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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 17 settembre 2020 anno LXXIII, numero 38 (4.062) Le frontiere non siano barriere di divisione ma finestre aperte all’accoglienza Un migrante tratto in salvo nel Mediterraneo (Afp)

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 17 settembre 2020anno LXXIII, numero 38 (4.062)

Le frontiere non sianobarriere di divisionema finestre aperteall’accoglienzaUn migrante tratto in salvo

nel Mediterraneo (Afp)

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L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAD irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

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In un suo recente tweet inviato dall’accountPontifex, Papa Francesco ha voluto ricordareche «Per il credente, il mondo non si contem-pla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscen-do i legami con i quali il Padre ci ha unito atutti gli esseri».

Pur nella sua necessaria brevità il testo è co-sì denso che è molto azzardato con un articolodi giornale pretendere di esaurirne tutto il te-soro di significati nascosti, però vale la penasottolinearne alcuni aspetti.

Innanzitutto il Papa ci invita a contemplareil mondo. Il che può cogliere di sorpresa chi èabituato a guardare il mondo con sentimentimisti di paura e diffidenza, che portano ad at-teggiamenti difensivi e giudicanti.

No, non guardare, dice il Papa, ma contem-plare. Quello scelto è un termine particolare,preciso, esigente. Pochi giorni fa su questogiornale il teologo Giovanni Cesare Pagazzi haricordato la prima lettera pastorale del cardi-nale Martini neo-arcivescovo di Milano di 40anni fa sulla “dimensione contemplativa dellavita” e si è concentrato sul significato etimolo-gico del verbo per cui «contemplare è un’atti-vità che mira al cielo, all’oltre, all’al di là, alp ro f o n d o … rispetto a quanto è solitamente di-sponibile. Ciò che nella vita è comune e quoti-diano sarebbe superficiale, mentre la contem-plazione aspira alla profondità o all’altezza.Affermare invece che la vita è tutta contempla-bile significa ammettere la profondità di quan-to affiora alla superficie di ogni giorno».

Questo è il punto di partenza anche dellaredazione di questo giornale, «L’O sservatoreRomano» che, ogni giorno, cerca non di guar-dare ma di “c o n t e m p l a re ” il mondo, andandooltre ciò che emerge in superficie e provando aessere “intelligente”, a intus-legere. Da questopunto di vista il progetto che porterà, nelleprossime settimane, ad una ripartenza anche inedizione cartacea del quotidiano, si muoveproprio su questa linea, privilegiando la di-mensione dell’approfondimento a quella delsemplice notiziario.

Leggere dentro, dunque, esattamente comechiede il Papa nel suo tweet. Cosa vuol direche «il mondo non si contempla dal di fuorima dal di dentro»? L’immagine, spesso usatain funzione del mistero della Chiesa è quelladelle vetrate: rimanendo fuori di una chiesanon si coglie la bellezza di una vetrata, mentreentrando all’interno della chiesa (e della Chie-sa) le vetrate rifulgono in tutto il loro splendo-re grazie alla luce che le attraversa. Solo en-trando nella vita della Chiesa si riesce a co-glierne tutta la profondità e ricchezza, altri-menti si rischia di giudicarla applicandovi ca-

tegorie che non rendono ragione di quellacomplessità e la riducono ad una realtà mera-mente umana, socio-politica, a una “ong pieto-sa” come spesso ha ripetuto Francesco sindall’inizio del suo pontificato. Ma in questotweet il Papa non parla della Chiesa ma delmondo e invita il credente ad attraversarlo, adentrarvi dentro per contemplarlo dall’interno.E il credente non si può esimere dal farlo, nonsolo perché è il Papa che lo sta chiedendo ma

perché questo è quello che ha fatto Dio in Ge-sù. È il mistero dell’incarnazione, cuore dellafede cristiana. Dio non è rimasto al di fuoridel mondo da lui creato, non si è fermato adammirarlo come fosse uno “sp ettacolo”, ma cisi è calato dentro, immergendosi fino all’abissopiù profondo, la morte e la morte di croce, perfar risplendere quel disegno di amore inscrittogià nell’atto della creazione. Disegno di amoreche è costituito dai “legami” di cui parla il Pa-pa: legami verticali, tra noi uomini e il PadreCreatore e legami orizzontali che ci uniscono atutti gli esseri, in primis il legame della fratel-lanza. È questo il tema della nuova lettera en-ciclica del Papa di cui il mondo conosce perora solo le prime due parole tratte da una cita-zione di san Francesco d’Assisi: «Fratelli tut-ti». È questo un nodo, quello dei legami, cen-trale per il Papa che lo ha affrontato spesso eanche nel Messaggio per la giornata mondialedelle comunicazioni sociali ha invitato gli uo-mini a riscoprire il gusto della narrazione dellestorie, di quei “tessuti” che tengono insieme ifili che legano ogni esistenza una all’altra nellospazio così come ogni generazione nel tempo.

È questo soprattutto il percorso della keno-sis di Gesù che si è fatto uomo ed ha vissutola condizione umana in tutte le sue dimensio-ni. Il credente, la Chiesa, è invitata a fare lostesso, non può fare diversamente. Molto si-gnificativo è il dettaglio che nel Vangelo diMatteo Gesù usa il termine “fratelli” per indi-care i suoi amici nell’ultima pagina, alla fine,dopo la sua passione e morte, quando è risor-to e dice: «Andate ad annunziare ai miei fra-telli che vadano in Galilea e là mi vedranno»(Mt 28, 10). Vuol dire che essere “f r a t e l l i / s o re l -le” non è solo una condizione di partenza, undato “e re d i t a t o ” per il fatto di avere tutti lacomune origine nella creazione di Dio, ma è

Per contemplare il mondobisogna entrarci dentro

#editoriale

di ANDREA MONDA anche un processo, una meta che deve e puòessere conquistata ma a patto di condividere intutto, “dall’interno”, la vita degli altri esseri acui siamo già uniti. Vuol dire prendere la cro-ce (e quindi anche morire) per amore degli al-tri esseri. Solo dopo quindi si può dire “fratel-l i / s o re l l e ”, solo se si è contemplato il mondodall’interno e non guardato dall’esterno comeuno spettacolo da giudicare e magari condan-n a re .

Per il credente,il mondo

non si contempladal di fuori

ma dal di dentro,riconoscendo

i legamicon i quali

il Padreci ha unito

a tutti gli esseri.# Te m p o D e l C re a t o

(@Pontifex,11 settembre)

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Per uscire da una pandemia, occorre curarsi ecurarci a vicenda. E bisogna sostenere chi siprende cura dei più deboli, dei malati e deglianziani. C’è l’abitudine di lasciare da parte glianziani, di abbandonarli: è brutto, questo.Queste persone — ben definite dal terminespagnolo “c u i d a d o re s ”, coloro che si prendonocura degli ammalati — svolgono un ruolo es-senziale nella società di oggi, anche se spessonon ricevono il riconoscimento e la rimunera-zione che meritano. Il prendersi cura è una re-gola d’oro del nostro essere umani, e portacon sé salute e speranza (cfr. Enc. Laudato si’[LS], 70). Prendersi cura di chi è ammalato, dichi ha bisogno, di chi è lasciato da parte: que-sta è una ricchezza umana e anche cristiana.

Questa cura, dobbiamo rivolgerla anche allanostra casa comune: alla terra e ad ogni crea-tura. Tutte le forme di vita sono interconnesse(cfr. ibid., 137-138), e la nostra salute dipendeda quella degli ecosistemi che Dio ha creato edi cui ci ha incaricato di prenderci cura (cfr.Gen 2, 15). Abusarne, invece, è un peccato gra-ve che danneggia, che fa male e che fa amma-lare (cfr. LS, 8; 66). Il migliore antidoto controquesto uso improprio della nostra casa comu-ne è la contemplazione (cfr. ibid., 85; 214). Macome mai? Non c’è un vaccino per questo, perla cura della casa comune, per non lasciarla daparte? Qual è l’antidoto contro la malattia dinon prendersi cura della casa comune? È lacontemplazione. «Quando non si impara afermarsi ad ammirare e apprezzare il bello,non è strano che ogni cosa si trasformi in og-getto di uso e abuso senza scrupoli» (ibid.,215). Anche in oggetto di “usa e getta”. Tutta-via, la nostra casa comune, il creato, non èuna mera “risorsa”. Le creature hanno un valo-re in sé stesse e «riflettono, ognuna a suo mo-do, un raggio dell’infinita sapienza e bontà diDio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 339).Questo valore e questo raggio di luce divinava scoperto e, per scoprirlo, abbiamo bisognodi fare silenzio, abbiamo bisogno di ascoltare,e abbiamo bisogno di contemplare. Anche lacontemplazione guarisce l’anima.

Senza contemplazione, è facile cadere in unantropocentrismo squilibrato e superbo, l’“io”al centro di tutto, che sovradimensiona il no-stro ruolo di esseri umani, posizionandoci co-me dominatori assoluti di tutte le altre creatu-re. Una interpretazione distorta dei testi biblici

sulla creazione ha contribuito a questo sguar-do sbagliato, che porta a sfruttare la terra finoa soffocarla. Sfruttare il creato: questo è il pec-cato. Crediamo di essere al centro, pretenden-do di occupare il posto di Dio e così rovinia-mo l’armonia del creato, l’armonia del disegnodi Dio. Diventiamo predatori, dimenticando lanostra vocazione di custodi della vita. Certo,possiamo e dobbiamo lavorare la terra per vi-vere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinoni-mo di sfruttamento, ed è sempre accompagna-to dalla cura: arare e proteggere, lavorare eprendersi cura… Questa è la nostra missione(cfr. Gen 2, 15). Non possiamo pretendere dicontinuare a crescere a livello materiale, senzaprenderci cura della casa comune che ci acco-glie. I nostri fratelli più poveri e la nostra ma-dre terra gemono per il danno e l’ingiustiziache abbiamo provocato e reclamano un’altrarotta. Reclamano da noi una conversione, uncambio di strada: prendersi cura anche dellaterra, del creato.

Dunque, è importante recuperare la dimen-sione contemplativa, cioè guardare la terra, ilcreato come un dono, non come una cosa dasfruttare per il profitto. Quando contemplia-mo, scopriamo negli altri e nella natura qual-cosa di molto più grande della loro utilità.Qui è il nocciolo del problema: contemplare èandare oltre l’utilità di una cosa. Contemplareil bello non vuol dire sfruttarlo: contemplare ègratuità. Scopriamo il valore intrinseco dellecose conferito loro da Dio. Come hanno inse-gnato tanti maestri spirituali, il cielo, la terra,il mare, ogni creatura possiede questa capacitàiconica, questa capacità mistica di riportarci al

Una rivoluzione pacificaper la cura della casa comune

Il Ponteficeribadisce

che abusaredella natura

è un peccato grave

#udienzagenerale

Un elogio di quei «movimenti, associazioni,gruppi popolari, che si impegnano per tutelareil proprio territorio con i suoi valori naturalie culturali»; di «realtà sociali non sempreapprezzate» — anzi a «volte persino ostacolate»— ma che «contribuiscono a una rivoluzionepacifica» per poter «lasciare un’e re d i t àalla futura generazione». Lo ha tessuto PapaFrancesco all’udienza generale svoltasi mercoledìmattina, 16 settembre, nel Cortile di San Damasodel Palazzo apostolico Vaticano.Proseguendo il ciclo di catechesi sul tema«Guarire il mondo» in questo tempodi pandemia, il Pontefice ha preso spuntodalla lettura biblica tratta da Genesi 2, 8-9.15,per offrire una riflessione su «Cura della casacomune e atteggiamento contemplativo».

CO N T I N UA A PA G I N A 4

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L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020il Settimanale

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In ricordodi don Roberto Malgesini

Creatore e alla comunione con il creato. Adesempio, Sant’Ignazio di Loyola, alla fine deisuoi Esercizi spirituali, invita a compiere la“Contemplazione per giungere all’a m o re ”, cioèa considerare come Dio guarda le sue creaturee gioire con loro; a scoprire la presenza di Dionelle sue creature e, con libertà e grazia, amar-le e prendersene cura.

La contemplazione, che ci conduce a un at-teggiamento di cura, non è un guardare la na-tura dall’esterno, come se noi non vi fossimoimmersi. Ma noi siamo dentro alla natura, sia-mo parte della natura. Si fa piuttosto a partireda dentro, riconoscendoci parte del creato,rendendoci protagonisti e non meri spettatoridi una realtà amorfa che si tratterebbe solo disfruttare. Chi contempla in questo modo pro-va meraviglia non solo per ciò che vede, maanche perché si sente parte integrante di que-sta bellezza; e si sente anche chiamato a custo-

dirla, a proteggerla. E c’è una cosa che nondobbiamo dimenticare: chi non sa contemplarela natura e il creato, non sa contemplare lepersone nella loro ricchezza. E chi vive persfruttare la natura, finisce per sfruttare le per-sone e trattarle come schiavi. Questa è unalegge universale: se tu non sai contemplare lanatura, sarà molto difficile che saprai contem-plare la gente, la bellezza delle persone, il fra-tello, la sorella.

Chi sa contemplare, più facilmente si mette-rà all’opera per cambiare ciò che produce de-grado e danni alla salute. Si impegnerà a edu-care e promuovere nuove abitudini di produ-zione e consumo, a contribuire ad un nuovomodello di crescita economica che garantisca ilrispetto per la casa comune e il rispetto per lepersone. Il contemplativo in azione tende a di-ventare custode dell’ambiente: è bello questo!Ognuno di noi dev’essere custode dell’ambien-te, della purezza dell’ambiente, cercando diconiugare saperi ancestrali di culture millena-rie con le nuove conoscenze tecniche, affinchéil nostro stile di vita sia sempre sostenibile.

Infine, contemplare e prendersi cura: ecco dueatteggiamenti che mostrano la via per correg-gere e riequilibrare il nostro rapporto di esseriumani con il creato. Tante volte, il nostro rap-porto con il creato sembra essere un rapportotra nemici: distruggere il creato a mio vantag-gio; sfruttare il creato a mio vantaggio. Nondimentichiamo che questo si paga caro; nondimentichiamo quel detto spagnolo: “Dio per-dona sempre; noi perdoniamo a volte; la natu-ra non perdona mai”. Oggi leggevo sul gior-nale di quei due grandi ghiacciai dell’Antarti-de, vicino al Mare di Amundsen: stanno percadere. Sarà terribile, perché il livello del marecrescerà e questo porterà tante, tante difficoltàe tanto male. E perché? Per il surriscaldamen-to, per non curare l’ambiente, per non curarela casa comune. Invece, quando abbiamo que-sto rapporto — mi permetto la parola — “fra-ternale” in senso figurato con il creato, diven-teremo custodi della casa comune, custodi del-la vita e custodi della speranza, custodiremo ilpatrimonio che Dio ci ha affidato affinché nepossano godere le generazioni future. E qual-cuno può dire: “Ma, io me la cavo così”. Ma ilproblema non è come tu te la caverai oggi —questo lo diceva un teologo tedesco, protestan-te, bravo: Bonhoeffer — il problema non è co-me te la cavi tu, oggi; il problema è: quale sa-rà l’eredità, la vita della generazione futura?Pensiamo ai figli, ai nipoti: cosa lasceremo, lo-ro, se noi sfruttiamo il creato? Custodiamoquesto cammino così diventeremo “custo di”della casa comune, custodi della vita e dellasperanza. Custodiamo il patrimonio che Dioci ha affidato, affinché possano goderne le ge-nerazioni future. Penso in modo speciale aipopoli indigeni, verso i quali abbiamo tutti undebito di riconoscenza — anche di penitenza,per riparare il male che abbiamo fatto loro.Ma penso anche a quei movimenti, associazio-ni, gruppi popolari, che si impegnano per tu-telare il proprio territorio con i suoi valori na-turali e culturali. Non sempre queste realtà so-ciali sono apprezzate, a volte sono persinoostacolate, perché non producono soldi; ma inrealtà contribuiscono a una rivoluzione pacifi-ca, potremmo chiamarla la “rivoluzione dellacura”. Contemplare per curare, contemplareper custodire, custodire noi, il creato, i nostrifigli, i nostri nipoti e custodire il futuro. Con-templare per curare e per custodire e per la-sciare un’eredità alla futura generazione.

Non bisogna però delegare ad alcuni: quelloche è il compito di ogni essere umano. Ognu-no di noi può e deve diventare un “custo dedella casa comune”, capace di lodare Dio perle sue creature, di contemplare le creature e dip ro t e g g e r l e .

#udienzagenerale

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 3

Papa Francesco ha ricordato don RobertoMalgesini, il sacerdote cinquantunenne diComo ucciso ieri mattina, 15 settembre,da uno dei tanti che da lui ricevevanosostegno e aiuto. «Mi unisco al dolore ealla preghiera dei suoi familiari e dellacomunità comasca — ha detto al terminedell’udienza generale — e, come ha dettoil suo Vescovo, rendo lode a Dio per latestimonianza, cioè per il martirio, diquesto testimone della carità verso i piùpoveri. Preghiamo in silenzio per donRoberto Malgesini e per tutti i preti,suore, laici, laiche che lavorano con lepersone bisognose e scartate dallaso cietà».E pronti a prendere il posto del sacerdotecomasco ucciso si sono detti i tresacerdoti bresciani, ordinati sabato scorsoin piazza Paolo VI, che hanno fortementevoluto incontrare il Papa proprio «perpartire con il “piede giusto”». Francescoli ha accolti con il gesto eloquente dibaciare le loro mani. Stare accanto allagente è il loro obiettivo, tanto che hannodato vita alla «pastorale della telefonata»,l’unico modo per far sentire una vocefamiliare alle persone isolate nel tempodella pandemia.D0n Nicola Mossi, don Stefano Pè e donAlessio Torriti — insieme a don AlbertoComini, che non è potuto essere presente— non conoscono ancora la parrocchiadove presteranno il servizio sacerdotale,ma hanno ben chiaro lo stile pastoraleche metteranno in campo. «PapaFrancesco ci indica sempre l’esempio delpastore che sente l’odore delle sue pecore— confidano — e ci chiede di avere unatteggiamento di vera vicinanza allepersone. E il nostro vescovo PierluigiTremolada, nell’ordinarci sacerdoti, ci hachiesto di essere più che mani “segni disp eranza”, cioè il segno con cui laprovvidenza di Dio ha risposto al sensodi smarrimento e di impotenza che inquesti mesi tutti noi abbiamo vissuto».Con questo spirito, spiegano, «abbiamoscelto come motto del nostro sacerdoziol’espressione del Vangelo di Giovanni“Rimanete nel mio amore”: l’abbiamotrovata perfetta per delineare la nostrascelta di impegnare la vita tutta per Dio».I nuovi sacerdoti di Brescia raccontano,con profonda commozione, il dolore della

loro gente, duramente colpita dallapandemia: «Come diaconi abbiamocondiviso con i sacerdoti, nelle parrocchiedove prestavamo servizio, questo tempocosì difficile. Brescia è stataparticolarmente provata dal covid-19. Cisiamo affidati alle telefonate per staresempre accanto alla gente che soffriva perla malattia o per la perdita di unfamiliare o di un amico. Non era infattipossibile essere vicini fisicamente allanostra gente, così siamo ricorsi al telefonoma anche ai social media: su Youtube, adesempio, abbiamo creato canali dicomunicazione diretta e continua quandoogni contatto era impossibile. E la genteha apprezzato questo nostro sforzocreativo e appassionato di far sentirecomunque, in qualche modo, una voceamica, una voce familiare, perché nessunosi sentisse solo».I nuovi preti bresciani portano nel cuoretante testimonianze, davvero eroiche, disacerdoti «che hanno sempre portatoall’altare, con la celebrazionedell’Eucaristia, il popolo loro affidato, eche hanno sostenuto i morenti, i malati eanche il personale ospedaliero».A lungo Francesco ha salutato i presenti,in particolare le coppie di sposi novelli, lepersone con disabilità e i bambini.Tra le numerose bandiere, anche lostriscione con la scritta «Venimos de lap eriferia».Tra i doni per il Papa,un quadro raffigurante la statua di sanGiovanni Paolo II che si trova nel centrodi Mosca, precisamente nel cortile dellaBiblioteca di Letteratura straniera, realtàculturale molto conosciuta in Russia.Il monumento a Papa Wojtyła, realizzatoda artisti ucraini e russi su idea delregista Grigoriy Amnuel, venneinaugurato il 14 ottobre 2011, festa delManto Protettore della Vergine Mariasecondo il calendario giuliano.Lo stesso anno la Biblioteca pubblicòComprendendo l’a m o re , una collezione di testiteologici, sociali e teatrali di KarolWo j t y ła. E quest’anno, il 18 maggio, haricordato solennemente i 100 anni dellanascita del primo Papa slavo. Infine, ilgruppo di motociclisti Shot gun haportato a Francesco un dono dei detenutidi Biella.

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Gentili Signori e Signore, buongiorno!Vi do il mio cordiale benvenuto e vi ringraziodi questa visita in occasione del Meeting an-nuale della International Gynecologic Cancer So-c i e t y. Essa mi offre l’opportunità di conoscere eapprezzare l’impegno della vostra Associazio-ne in favore delle donne che affrontano malat-tie così difficili e complesse. Ringrazio per ilsaluto il vostro Presidente, Prof. Roberto An-gioli, che ha promosso questa iniziativa.

Sono lieto di accogliere le rappresentanti didiverse associazioni, soprattutto tra ex pazienti,che favoriscono la condivisione e il sostegnoreciproco. Nel vostro prezioso servizio, voi sie-te ben consapevoli dell’importanza di crearelegami di solidarietà tra gli ammalati con gravipatologie, coinvolgendo i parenti e gli opera-tori sanitari, in una relazione di mutuo aiuto.Questo diventa ancora più prezioso quando cisi confronta con malattie che possono mettereseriamente a rischio, o pregiudicare, la fertilitàe la maternità. In queste situazioni, che inci-dono a fondo sulla vita della donna, è indi-spensabile avere cura, con grande sensibilità erispetto, della condizione — psicologica, rela-zionale, spirituale — di ciascuna paziente.

Per questo motivo, non posso che incorag-giare il vostro impegno per considerare tali di-mensioni di una cura integrale, anche nei casiin cui il trattamento è essenzialmente palliati-vo. In questa prospettiva, diventa molto utilecoinvolgere persone capaci di condividere ilcammino curativo dando un apporto di fidu-cia, di speranza, di amore. Tutti sappiamo —ed è anche dimostrato — che vivere buone re-lazioni aiuta e sostiene gli infermi lungo l’inte-ro percorso di cura, riaccendendo o incremen-tando in loro la speranza. È proprio la vici-nanza dell’amore che apre le porte alla speran-za, e anche alla guarigione.

La persona malata è sempre e molto di piùdel protocollo — molto di più! — all’internodel quale la si inquadra da un punto di vistaclinico — e si deve farlo —. Ne è prova il fattoche quando l’ammalato vede riconosciuta lapropria singolarità — la vostra esperienza puòconfermarlo — cresce ulteriormente la fiduciaverso l’équipe medica e verso un orizzonte po-sitivo.

È desiderio mio, e non dubito anche vostro,che tutto questo non rimanga solo espressionedi un ideale, ma trovi sempre più spazio e ri-conoscimento all’interno dei sistemi sanitari.Spesso si afferma giustamente che la re l a z i o n e ,

l’incontro con il personale sanitario, è partedella cura. Che grande beneficio offre agli am-malati avere l’opportunità di aprire il loro cuo-re liberamente e confidare la loro condizione esituazione! Anche la possibilità di piangerecon fiducia. Questo apre degli orizzonti e aiu-ta la guarigione. O almeno, a sopportare benela malattia terminale.

Tuttavia, nel concreto, come sviluppare que-sta grande necessità all’interno dell’o rg a n i z z a -zione ospedaliera, fortemente condizionata daesigenze di funzionalità? Consentitemi diesprimere tristezza e preoccupazione riguardoal rischio, piuttosto diffuso, di lasciare la di-mensione umana della cura delle persone am-malate alla “buona volontà” del singolo medi-co, invece di considerarla — come è — parte in-tegrante dell’attività di cura offerta dalle strut-ture sanitarie.

Non bisogna permettere che l’economia en-tri così prepotentemente nel mondo della sani-tà al punto da penalizzare aspetti essenzialicome la relazione con i malati. In questo sen-so, lodevoli sono le diverse associazioni senzafini di lucro che pongono al centro le pazienti,sostenendo le loro esigenze e legittime doman-de e dando voce anche a chi, per la fragilitàdella sua condizione personale, economica esociale, non è in grado di farsi sentire.

Certo, la ricerca richiede un forte impegnoeconomico, questo è vero. Credo tuttavia chesi possa trovare un equilibrio tra i diversi fat-tori. Il primo posto va comunque riconosciutoalle persone, in questo caso le donne ammala-te, ma anche — non dimentichiamo — il perso-nale che opera quotidianamente a stretto con-tatto con loro, perché possa lavorare in condi-

La persona malataè sempre e molto di piùdi un protocollo clinico

Il Papap re o c c u p a t o

dal rischio diffusoche la dimensioneumana della cura

sia lasciataalla “buona

volontà”del singolo medico

#sanità

«La persona malata è sempre e molto di piùdel protocollo – molto di più! — all’internodel quale la si inquadra da un punto di vistaclinico». Lo ha sottolineato il Papa nel discorsorivolto ai partecipanti all’annuale incontrodella Società internazionale di ginecologiaoncologica, ricevuti in udienza venerdì 11settembre nell’Aula Paolo VI.

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di ANDREA TORNIELLI

«F ratelli tutti» è il titolo che il Papaha stabilito per la sua nuova encicli-ca dedicata, come si legge nel sotto-

titolo, alla “fraternità” e alla “amicizia sociale”.Il titolo originale in lingua italiana rimarrà tale— e dunque senza essere tradotto — in tutte lelingue in cui il documento sarà diffuso. Com’ènoto, le prime parole della nuova “lettera cir-c o l a re ” (questo è il significato della parola “en-ciclica”) prendono spunto dal grande Santo diAssisi del quale Papa Francesco ha scelto ilnome.

In attesa di conoscere i contenuti di questomessaggio, che il Successore di Pietro intenderivolgere all’umanità intera e che firmerà ilprossimo 3 ottobre sulla tomba del santo, negliultimi giorni abbiamo assistito a discussioni aproposito dell’unico dato disponibile, vale adire il titolo e il suo significato. Trattandosi diuna citazione di san Francesco (la si trova nel-le Am m o n i z i o n i , 6, 1: FF 155), il Papa non l’haovviamente modificata. Ma sarebbe assurdopensare che il titolo, nella sua formulazione,contenga una qualsivoglia intenzione di esclu-dere dai destinatari più della metà degli esseriumani, cioè le donne.

Al contrario, Francesco ha scelto le paroledel santo di Assisi per inaugurare una riflessio-ne a cui tiene molto sulla fraternità e l’amiciziasociale e dunque intende rivolgersi a tutte lesorelle e i fratelli, a tutti gli uomini e le donnedi buona volontà che popolano la terra. A tut-ti, in modo inclusivo e mai escludente. Vivia-mo in un tempo segnato da guerre, povertà,migrazioni, cambiamenti climatici, crisi econo-miche, pandemia: riconoscerci fratelli e sorelle,

Un testo universale rivolto al cuore di ogni persona

Un’enciclica per fratellie sorelle tutti

zioni adeguate, e anche che possa avere il tem-po di riposo per riprendere le forze per potereandare avanti.

Vi incoraggio a diffondere nel mondo i pre-ziosi risultati dei vostri studi e delle vostre ri-cerche, in favore delle donne di cui vi prende-te cura. Esse, malgrado le loro difficoltà, tutta-via ci ricordano aspetti della vita che talvoltadimentichiamo, quali la precarietà della nostraesistenza, il bisogno l’uno dell’altro, l’insensa-tezza del vivere concentrati solo su di sé, larealtà della morte come parte della vita stessa.La condizione di malattia richiama quell’atteg-giamento decisivo per l’essere umano che èl’affidarsi: affidarsi all’altro fratello e sorella, eall’Altro con la maiuscola che è il nostro Padreceleste. E richiama anche il valore della vici-nanza, del farsi prossimo, come ci insegna Gesùnella parabola del Buon Samaritano (cfr. Lc10, 25-37). Quanto, quanto guarisce una carez-za nel momento opportuno! Voi lo sapete me-glio di me.

Cari amici, vi auguro ogni bene per il vo-stro lavoro. Su di voi e sulle vostre famiglie,sui vostri associati e su coloro di cui vi pren-dete cura invoco la benedizione di Dio. Bene-dico tutti voi. Tutti, ognuno con la propria fe-de, la propria tradizione religiosa. Ma Dio èl’Unico per tutti. Benedico tutti voi. Invoco la

benedizione di Dio, fonte di speranza, di for-tezza e di pace interiore. Vi assicuro la miapreghiera e — dicono che i preti sempre chie-dono! — io finisco chiedendovi di pregare perme, perché ne ho bisogno. Grazie.

riconoscere in chi incontriamo un fratello euna sorella; e per i cristiani, riconoscerenell’altro che soffre il volto di Gesù, è un mo-do di riaffermare l’irriducibile dignità di ogniessere umano creato a immagine di Dio. Ed èanche un modo per ricordarci che dalle pre-senti difficoltà non potremo mai uscire da soli,uno contro l’altro, Nord contro Sud del mon-do, ricchi contro poveri. O separati da qualsia-si altra differenza escludente.

Lo scorso 27 marzo, nel pieno della pande-mia, il Vescovo di Roma aveva pregato per lasalvezza di tutti in una piazza San Pietro vuo-ta, sotto la pioggia battente, accompagnato so-lo dallo sguardo dolente del Crocifisso di SanMarcello e da quello amorevole di Maria SalusPopuli Romani. «Con la tempesta — avevadetto Francesco — è caduto il trucco di queglistereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego”sempre preoccupati della propria immagine;ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella(benedetta) appartenenza comune alla qualenon possiamo sottrarci: l’appartenenza comefratelli». Il tema centrale della lettera papale èquesta “benedetta appartenenza comune” checi fa essere fratelli e sorelle.

Fraternità e amicizia sociale, i temi indicatinel sottotitolo, indicano ciò che unisce uomi-ni e donne, un affetto che si instaura tra per-sone che non sono consanguinee e si esprimeattraverso atti benevoli, con forme di aiuto econ azioni generose nel momento del biso-gno. Un affetto disinteressato verso gli altriesseri umani, a prescindere da ogni differenzae appartenenza. Per questo motivo non sonopossibili fraintendimenti o letture parziali delmessaggio universale e inclusivo delle parole“Fratelli tutti”.

#sanità

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 5

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L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020il Settimanale

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Non ci sono aggettiviper la morte di un figlio

Ricevutii famigliaridelle vittimedella tragediadi un annoe mezzo faa Corinaldo

#francesco

Cari fratelli e sorelle,vi ringrazio di essere venuti a condividere an-che con me il vostro dolore e la vostra pre-ghiera. Ricordo che allora, quando accadde latragedia, ne fui scosso. Ma col passare deltempo — e purtroppo col susseguirsi di tante,troppe tragedie umane — si rischia di dimenti-care. Questo incontro aiuta me e la Chiesa anon dimenticare, a tenere nel cuore, e soprat-tutto ad affidare i vostri cari al cuore di DioPa d re .

Ogni morte tragica porta con sé un doloregrande. Ma quando rapisce cinque adolescentie una giovane mamma, è immenso, insoppor-tabile senza l’aiuto di Dio. Io non entro nelmerito delle cause che hanno determinato gliincidenti in quella discoteca dove sono morti ivostri familiari. Ma mi unisco con tutto il cuo-re alla vostra sofferenza e al vostro legittimodesiderio di giustizia.

Desidero anche offrirvi una parola di fede,di consolazione e di speranza.

morte”! E anche se in quegli istanti caoticinon hanno potuto farlo, la Madonna non di-mentica, non dimentica le nostre suppliche: èMadre. Sicuramente li ha accompagnati all’ab-braccio misericordioso del suo Figlio Gesù.

Questa tragedia è avvenuta nella notte, alleprime ore dell’8 dicembre 2018, festa dell’Im-macolata. In quello stesso giorno, al terminedella recita dell’An g e l u s , ho pregato con la gen-te per le giovani vittime, per i feriti e per voifamiliari. So che in tanti, ad iniziare dai vostriVescovi, qui presenti, dai vostri sacerdoti edalle vostre comunità, vi hanno sostenuto conla preghiera e con l’affetto. Anche la mia pre-ghiera per voi continua, e la accompagno conla mia benedizione.

Quando noi perdiamo papà o mamma, sia-mo orfani. C’è un aggettivo: orfano, orfana.Quando nel matrimonio si perde il coniuge,chi rimane è vedovo o vedova. C’è un aggetti-vo anche per questo. Ma quando si perde unfiglio, non c’è aggettivo. La perdita di un fi-glio è impossibile da “a g g e t t i v a re ”. Ho perso

Corinaldo, il luogo della tragedia, si trovain un territorio sul quale veglia la Madonna diLoreto: il suo Santuario non è molto distante.E allora voglio — vogliamo — pensare che lei,come Madre, non abbia mai staccato il suosguardo da loro, specialmente in quel momen-to di confusione drammatica; che li abbia ac-compagnati con la sua tenerezza. Quante voltel’hanno invocata nell’Ave Maria: “Prega pernoi peccatori, adesso e nell’ora della nostra

il figlio: cosa sono…? No, non sono né orfa-no, né vedovo. Ho perso un figlio. Senza ag-gettivo. Non c’è. E questo è il grande dolorev o s t ro .

Ora vorrei recitare insieme con voi l’AveMaria per Asia, Benedetta, Daniele, Emma,Mattia ed Eleonora.

[Ave Maria …][Benedizione]

«Quando si perde un figlio, non c’è aggettivo. La perdita di un figlio è impossibile da “a g g e t t i v a re ”.Ho perso il figlio: cosa sono? No, non sono né orfano, né vedovo... E questo è il grande dolore vostro».Lo ha sottolineato il Papa — con un’aggiunta a braccio al discorso preparato — ricevendo in udienzai famigliari delle sei vittime della tragedia avvenuta presso la discoteca di Corinaldo, in provinciadi Ancona, la notte dell’8 dicembre 2018. Al termine del toccante incontro — svoltosi sabato 12 settembre,nella Sala del Concistoro — il Pontefice ha chiesto ai presenti di recitare insieme un’«Ave Maria»per Asia, Benedetta, Daniele, Emma, Mattia ed Eleonora.

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il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020

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C

Coinvolgere per promuovere». È il leitmotiv del video — il quinto della serie inpreparazione alla 106° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebreràil 27 settembre — proposto dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale,in particolare dalla sua Sezione che si occupa direttamente del fenomeno della mobilitàumana.È lo stesso Papa Francesco a spiegare nel video la scelta del tema dell’appuntamento diquest’anno: «Ho voluto dedicare la Giornata mondiale del migrante e rifugiato —afferma — alla pastorale degli sfollati interni. Ho scelto come titolo del mio messaggio“Come Gesù Cristo costretti a fuggire”, collocando al centro della mia riflessionel’esperienza di Gesù Bambino sfollato e profugo insieme ai suoi genitori».Poi, all’immagine del Pontefice segue quella di un sacerdote di origini asiatiche chetestimonia la sua esperienza personale di migrante interno. «Queste difficoltà, questoviaggio di sfollati — racconta — sono stati una sorta di vocazione per me. Quando sonodiventato sacerdote, ho potuto capire gli sfollati più di chiunque altro». Il Papa, daparte sua, sottolinea come «a volte l’entusiasmo del servizio non ci permette di vederele ricchezze degli altri. Se vogliamo davvero promuovere le persone cui offriamoassistenza, dobbiamo coinvolgerle e renderle protagoniste del proprio riscatto».Persone, quindi, artefici della propria emancipazione e integrazione sociale nel nuovoambiente in cui gli sfollati si trovano ad approdare. Non a caso, mentre riprende laparola il sacerdote, scorrono alcune immagini a fumetti — tecnica visiva efficace sceltaanche per i precedenti video — di persone che tristemente spingono una barca con iloro bagagli, costrette a lasciare le loro case e il loro ambiente per trovare fortunaa l t ro v e .«Essere uno sfollato — fa notare il prete — significa aver perso tutto. E dover ripartiredall’inizio. Quando dico tutto, intendo relazioni, sostentamento, amicizie, tutte coseche abbiamo dovuto ricominciare dal principio». I fumetti stavolta raffigurano bambinicostretti a lavorare, volti tristi ed emaciati di persone che camminano quasi per inerziaverso un ipotetico futuro, gruppi di gente che vive in condizioni drammatiche sia dalpunto di vista igienico, sia abitativo. «Essere uno sfollato — riprende il sacerdote —vuol dire che da bambino non avevo gli stessi diritti e opportunità dei bambininormali. Ad esempio, mentre gli altri bambini giocavano, io dovevo lavorare. Cosìquando ero piccolo ho lavorato in un golf club. Ho portato le sacche da golf persopravvivere». Le immagini illustrano le parole del giovane prete, che si fa “p ortavo ce”di una massa anonima di uomini e donne costrette a una precarietà quotidiana:«Queste difficoltà, questo viaggio di sfollati interni, è stato una sorta di vocazione perme. A causa della nostra povertà mia madre non ha più potuto provvedere alla nostraeducazione e per questo sono stato mandato in un pensionato gestito dalla Chiesacattolica. È stato un buon segno per me, diventare sacerdote è stata una sorta divocazione. Quando lo sono diventato, ho potuto comprendere gli sfollati più di ognia l t ro » .A margine di queste parole, viene trasmesso un bozzetto colorato con la scena di unbattesimo di un bambino. «Io capisco — continua la voce narrante — cosa vuol direessere uno sfollato: queste persone hanno bisogno davvero di una parola buona e dicomprensione, specialmente da parte dei leader della Chiesa. Quando i leader dellaChiesa li visitano, sono con loro, sono felici e si sentono al sicuro». Il video siconclude con le immagini della fuga in Egitto della Sacra famiglia: un invito allasperanza e alla consolazione.

Le frontiere non siano barriere di divisionema finestre aperte all’accoglienza

Il Papaa una delegazione

del progettoeuropeo Snapshots

from the borderschiede di cambiare

il mododi raccontarela migrazione

#copertina

«Le frontiere, da sempre consideratecome barriere di divisione, possono invecediventare “f i n e s t re ”, spazi di mutuaconoscenza, di arricchimento reciproco,di comunione nella diversità; luoghi in cuisi sperimentano modelli per superarele difficoltà che i nuovi arrivi comportanoper le comunità autoctone». Lo haauspicato il Papa ricevendo in udienzanella mattina di giovedì 10 settembre,nella Sala Clementina, una delegazionedi persone impegnate nel progetto europeoSnapshots from the borders. Dopo il salutorivoltogli dal sindaco di Lampedusa,il Pontefice ha pronunciato il seguented i s c o rs o .

C o n d i v i d e reper promuovere

ari sorelle e fratelli,do il benvenuto a voi che avete aderitoal progetto «Snapshots from the borders».Ringrazio il Signor Salvatore Martello,Sindaco di Lampedusa e Linosa, per leparole che mi ha indirizzato a nome ditutti. E ringrazio anche per questa bellacroce, così significativa, che voi aveteportato. Grazie.

Il vostro è un progetto lungimirante.Esso si propone di promuovere unacomprensione più profonda della migra-zione, che permetta alle società europeedi dare una risposta più umana e coor-dinata alle sfide delle migrazioni con-temporanee. La rete di autorità locali eorganizzazioni della società civile, cheda questo progetto è nata, si prefigge dicontribuire positivamente allo sviluppodi politiche migratorie che rispondano aquesto fine.

Lo scenario migratorio attuale è com-plesso e spesso presenta risvolti dramma-tici. Le interdipendenze globali che de-terminano i flussi migratori sono da stu-diare e capire meglio. Le sfide sono mol-teplici e interpellano tutti. Nessuno puòrimanere indifferente alle tragedie umaneche continuano a consumarsi in diverseregioni del mondo. Tra queste ci inter-pellano spesso quelle che hanno cometeatro il Mediterraneo, un mare di confi-ne, ma anche di incontro di culture.

Nel febbraio scorso, durante l’Incon-tro — molto positivo — con i Vescovi delMediterraneo, a Bari, ricordavo come«tra coloro che nell’area del Mediterra-neo più faticano, vi sono quanti fuggo-no dalla guerra o lasciano la loro terrain cerca di una vita degna dell’uomo.[...] Siamo consapevoli che in diversicontesti sociali è diffuso un senso di in-differenza e perfino di rifiuto […]. Lacomunità internazionale si è fermata agliinterventi militari, mentre dovrebbe co-struire istituzioni che garantiscano ugua-li opportunità e luoghi nei quali i citta-dini abbiano la possibilità di farsi caricodel bene comune […]. Nel contempo,non accettiamo mai che chi cerca spe-

ranza per mare muoia senza riceveresoccorso […]. Certo, l’accoglienza e unadignitosa integrazione sono tappe di unprocesso non facile; tuttavia, è impensa-bile poterlo affrontare innalzando muri»(D i s c o rs o , 23 febbraio 2020).

Di fronte a queste sfide, appare evi-dente come sono indispensabili la soli-darietà concreta e la responsabilità con-divisa, a livello sia nazionale che inter-nazionale. «L’attuale pandemia ha evi-denziato la nostra interdipendenza: sia-mo tutti legati, gli uni agli altri, sia nelmale che nel bene» (Udienza generale, 2settembre 2020). Bisogna agire insieme,non da soli.

È anche fondamentale cambiare ilmodo di vedere e raccontare la migra-zione: si tratta di mettere al centro lepersone, i volti, le storie. Ecco alloral’importanza di progetti, come quello davoi promosso, che cercano di proporreapprocci diversi, ispirati dalla culturadell’incontro, che costituisce il camminoverso un nuovo umanesimo. E quandodico “nuovo umanesimo” non lo intendosolo come filosofia di vita, ma anche co-

me una spiritualità, come uno stile dicomp ortamento.

Gli abitanti delle città e dei territoridi frontiera — le società, le comunità, leChiese — sono chiamati ad essere i primiattori di questa svolta, grazie alle conti-nue opportunità di incontro che la storiaoffre loro. Le frontiere, da sempre consi-derate come barriere di divisione, posso-no invece diventare “f i n e s t re ”, spazi dimutua conoscenza, di arricchimento re-ciproco, di comunione nella diversità;possono diventare luoghi in cui si speri-mentano modelli per superare le diffi-coltà che i nuovi arrivi comportano perle comunità autoctone.

Vi incoraggio a continuare a lavorareinsieme per la cultura dell’incontro edella solidarietà. Il Signore benedica ivostri sforzi in questo senso, e la Ma-donna protegga voi e le persone per cuilavorate. Io prego per voi, e voi, per fa-vore, non dimenticatevi di pregare perme. Che il Signore benedica tutti voi, ilvostro lavoro e i vostri sforzi per andareavanti in questa direzione. Grazie.

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L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020il Settimanale

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Nella parabola che leggiamo nel Vangelo dioggi, quella del re misericordioso (cfr. Mt 18,21-35), troviamo per due volte questa supplica:«Abbi pazienza con me e ti restituirò» (vv.26.29). La prima volta è pronunciata dal servoche deve al suo padrone diecimila talenti, unasomma enorme, oggi sarebbero milioni e mi-lioni di euro. La seconda volta viene ripetutada un altro servo dello stesso padrone. Anchelui è in debito, non verso il suo padrone, maverso lo stesso servo che ha quel debito enor-me. E il suo debito è piccolissimo, forse comelo stipendio di una settimana.

Il cuore della parabola è l’indulgenza che ilpadrone dimostra verso il servo con il debitopiù grande. L’evangelista sottolinea che «il pa-drone ebbe compassione — non dimenticaremai questa parola che è proprio di Gesù: “Eb-be compassione”, Gesù sempre ebbe compas-sione — [ebbe compassione] di quel servo, lolasciò andare e gli condonò il debito» (v. 27).Un debito enorme, dunque un condono enor-me! Ma quel servo, subito dopo, si dimostraspietato con il suo compagno, che gli deveuna somma modesta. Non lo ascolta, inveiscecontro di lui e lo fa gettare in prigione, finchénon avrà pagato il debito (cfr. v. 30), quel pic-colo debito. Il padrone viene a saperlo e, sde-gnato, richiama il servo malvagio e lo fa con-dannare (cfr. vv. 32-34): “Io ti ho perdonatotanto e tu sei incapace di perdonare questop o co?”.

Nella parabola, troviamo due atteggiamentidifferenti: quello di Dio — rappresentato dal re— che perdona tanto, perché Dio perdonasempre, e quello dell’uomo. Nell’atteggiamen-to divino la giustizia è pervasa dalla misericor-dia, mentre l’atteggiamento umano si limita al-la giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con co-raggio alla forza del perdono, perché nella vitanon tutto si risolve con la giustizia lo sappia-mo. C’è bisogno di quell’amore misericordio-so, che è anche alla base della risposta del Si-gnore alla domanda di Pietro che precede laparabola. La domanda di Pietro suona così:«Signore, se il mio fratello commette colpecontro di me, quante volte dovrò perdonar-gli?» (v. 21). E Gesù gli rispose: «Non ti dicofino a sette, ma fino a settanta volte sette» (v.22). Nel linguaggio simbolico della Bibbia,questo significa che noi siamo chiamati a per-donare sempre!

Quanta sofferenza, quante lacerazioni,quante guerre potrebbero essere evitate, se ilperdono e la misericordia fossero lo stile dellanostra vita! Anche in famiglia, anche in fami-glia: quante famiglie disunite che non sannoperdonarsi, quanti fratelli e sorelle che hannoquesto rancore dentro. È necessario applicarel’amore misericordioso in tutte le relazioniumane: tra i coniugi, tra i genitori e i figli,all’interno delle nostre comunità, nella Chiesae anche nella società e nella politica.

Oggi, al mattino, mentre celebravo la Mes-sa, mi sono fermato, sono stato colpito da unafrase della prima Lettura, nel libro del Siraci-de. La frase dice così: “Ricorda la fine e smettidi odiare”. Bella frase! Pensa alla fine! Pensache tu sarai in una bara... e ti porterai l’o diolì? Pensa alla fine, smetti di odiare! Smetti ilrancore. Pensiamo a questa frase, tanto toccan-te: “Ricorda la fine e smetti di odiare”.

Non è facile perdonare, perché nei momentitranquilli uno dice: “Sì, questo me ne ha fattedi tutti i colori ma anch’io ne ho fatte tante.Meglio perdonare per essere perdonato”. Mapoi il rancore torna, come una mosca fastidio-sa d’estate che torna e torna e torna... Perdo-nare non è soltanto una cosa di un momento,è una cosa continua contro questo rancore,questo odio che torna. Pensiamo alla fine,smettiamola di odiare.

La parabola di oggi ci aiuta a cogliere inpienezza il significato di quella frase che reci-tiamo nella preghiera del Padre nostro: «Rimet-ti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ainostri debitori» (Mt 6, 12). Queste parole con-tengono una verità decisiva. Non possiamopretendere per noi il perdono di Dio, se nonconcediamo a nostra volta il perdono al nostroprossimo. È una condizione: pensa alla fine, alperdono di Dio, e smettila di odiare; caccia viail rancore, quella mosca fastidiosa che torna etorna. Se non ci sforziamo di perdonare e diamare, nemmeno noi verremo perdonati e ama-ti.

Affidiamoci alla materna intercessione dellaMadre di Dio: Lei ci aiuti a renderci conto diquanto siamo debitori verso Dio, e a ricordar-lo sempre, così da avere il cuore aperto allamisericordia e alla bontà.

Al termine dell’Angelus il Papa ha espressosolidarietà ai profughi di Lesbo vittimedegli incendi che hanno devastato il campodi accoglienza di Moria. Poi, dopo l’appelloa governanti e manifestanti, ha invitato i fedelia partecipare con generosità alla Collettaper la Terra Santa.

Cari fratelli e sorelle!Nei giorni scorsi, una serie di incendi ha deva-stato il campo-profughi di Moria, nell’Isola diLesbo, lasciando migliaia di persone senza unrifugio, seppure precario. È sempre vivo in meil ricordo della visita compiuta là e dell’app el-

I governi ascoltino la vocedei cittadini ma le protestesiano pacifiche

Appello del Papadopo

le manifestazionipopolari svoltesi

nelle ultimesettimane

in diverse partidel mondo

#angelus

Duplice appello lanciato domenica13 settembre all’Angelus da Papa Francesco,che parlando delle proteste popolari delle ultimesettimane in diverse parti del mondo ha chiestoai governanti di ascoltare «la voce dei loroconcittadini» e ai manifestanti di non «cederealla tentazione dell’aggressività e della violenza».In precedenza il Pontefice aveva proposto ai fedeliriuniti in piazza San Pietro una riflessionesul brano evangelico della liturgia domenicale(Mt 18, 21-35) dedicato al perdono.

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C

La salutedell’uomonon puòp re s c i n d e reda quelladell’ambiente

ari fratelli e sorelle, buongiorno!Vi do il benvenuto, e salutando voi desideroraggiungere tutti i membri delle ComunitàLaudato si’ in Italia e nel mondo. Ringrazio ilSignor Carlo Pertini nella mia lingua paterna,non materna: “Carlìn”. Avete posto come cen-tro propulsore di ogni vostra iniziativa l’ecolo-gia integrale proposta dall’Enciclica Laudato si’.Integrale, perché tutti siamo creature e tuttonel creato è in relazione, tutto è correlato. An-zi, oserei dire, tutto è armonico. Anche la pan-demia lo ha dimostrato: la salute dell’uomonon può prescindere da quella dell’ambientein cui vive. È poi evidente che i cambiamenticlimatici non stravolgono solo gli equilibri del-la natura, ma provocano povertà e fame, colpi-scono i più vulnerabili e a volte li obbligano alasciare la loro terra. L’incuria del creato e leingiustizie sociali si influenzano a vicenda: sipuò dire che non c’è ecologia senza equità enon c’è equità senza ecologia.

Voi siete motivati a prendervi cura degli ul-timi e del creato, insieme, e volete farlosull’esempio di San Francesco d’Assisi, conmitezza e laboriosità. Vi ringrazio per questo,e rinnovo l’appello a impegnarsi per salva-guardare la nostra casa comune. È un compitoche riguarda tutti, specialmente i responsabilidelle nazioni e delle attività produttive. Servela volontà reale di affrontare alla radice le cau-

se degli sconvolgimenti climatici in atto. Nonbastano impegni generici — parole, parole... —e non si può guardare solo al consenso imme-diato dei propri elettori o finanziatori. Occorreguardare lontano, altrimenti la storia non per-donerà. Serve lavorare oggi per il domani ditutti. I giovani e i poveri ce ne chiederannoconto. È la nostra sfida. Prendo una frase delteologo martire Dietrich Bonhoeffer: la nostrasfida, oggi, non è “come ce la caviamo”, comenoi usciamo da questa realtà; la nostra sfidavera è “come potrà essere la vita della prossi-ma generazione”: dobbiamo pensare a questo!

Cari amici, ora vorrei condividere con voidue parole-chiave dell’ecologia integrale: con-templazione e compassione.

Contemplazione. Oggi, la natura che ci cir-conda non viene più ammirata, contemplata,ma “divorata”. Siamo diventati voraci, dipen-denti dal profitto e dai risultati subito e a tuttii costi. Lo sguardo sulla realtà è sempre piùrapido, distratto, superficiale, mentre in pocotempo si bruciano le notizie e le foreste. Mala-ti di consumo. Questa è la nostra malattia!Malati di consumo. Ci si affanna per l’ultima“app”, ma non si sanno più i nomi dei vicini,tanto meno si sa più distinguere un albero daun altro. E, ciò che è più grave, con questostile di vita si perdono le radici, si smarrisce lagratitudine per quello che c’è e per chi ce l’hadato. Per non dimenticare, bisogna tornare acontemplare; per non distrarci in mille coseinutili, occorre ritrovare il silenzio; perché ilcuore non diventi infermo, serve fermarsi. Nonè facile. Bisogna, ad esempio, liberarsi dallaprigionia del cellulare, per guardare negli oc-chi chi abbiamo accanto e il creato che ci èstato donato.

Contemplare è regalarsi tempo per fare si-lenzio, per pregare, così che nell’anima ritornil’armonia, l’equilibrio sano tra testa, cuore emani; tra pensiero, sentimento e azione. Lacontemplazione è l’antidoto alle scelte frettolo-se, superficiali e inconcludenti. Chi contemplaimpara a sentire il terreno che lo sostiene, ca-pisce di non essere al mondo solo e senza sen-so. Scopre la tenerezza dello sguardo di Dio ecomprende di essere prezioso. Ognuno è im-portante agli occhi di Dio, ognuno può tra-sformare un po’ di mondo inquinato dalla vo-

Nel discorsoalle Comunitàche si ispiranoalla sua enciclicaFra n c e s c odice bastaagli impegnigenericidi chi guardasolo al consensodi elettorio finanziatori

#laudatosi’

«La salute dell’uomo non può prescindereda quella dell’ambiente in cui vive».Lo ha ribadito Francesco durante l’udienzaai partecipanti all’incontro delle ComunitàLaudato si’, ricevuti sabato mattina, 12 settembre.È stato Carlo Petrini — uno dei promotoridell’iniziativa insieme al vescovo di Rieti,Domenico Pompili, presente anch’egli nell’aulaPaolo VI — a salutare il Pontefice a nome deipresenti, illustrando le linee guida del movimento,che oggi è impegnato su tre fronti: quelloeducativo, con «la diffusione dell’enciclicae l’educazione ambientale»; quella delle «buonee piccole pratiche quotidiane, che hanno unavalenza incredibile»; e quello della denuncia,allorché «ci sono abusi perpetrati nei confrontidella nostra terra madre». Petrini ha anchesottolineato il valore della fratellanza universale,ricordando che «senza affetto e senza amore»la fraternità non diventa «sostanza».Di seguito il discorso pronunciato dal Papa.

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I tweet della settimana

racità umana nella realtà buona voluta dalCreatore. Chi sa contemplare, infatti, non stacon le mani in mano, ma si dà da fare concre-tamente. La contemplazione ti porta all’azio-ne, a fare.

Ecco dunque la seconda parola: compassione.È il frutto della contemplazione. Come si capi-sce che uno è contemplativo, che ha assimilatolo sguardo di Dio? Se ha compassione per glialtri — compassione non è dire: “questo mi fap ena...”, compassione è “patire con” —, se vaoltre le scuse e le teorie, per vedere negli altridei fratelli e delle sorelle da custodire. Quelloche ha detto alla fine Carlo Petrini sulla fratel-lanza. Questa è la prova, perché così fa losguardo di Dio che, nonostante tutto il maleche pensiamo e facciamo, ci vede sempre comefigli amati. Non vede degli individui, ma deifigli, ci vede fratelli e sorelle di un’unica fami-glia, che abita la stessa casa. Non siamo mai

estranei ai suoi occhi. La sua compassione è ilcontrario della nostra indifferenza. L’indiffe-renza — mi permetto la parola un po’ v o l g a re— è quel menefreghismo che entra nel cuore,nella mentalità, e che finisce con un “che si ar-rangi”. La compassione è il contrario dell’in-d i f f e re n z a .

Vale anche per noi: la nostra compassione èil vaccino migliore contro l’epidemia dell’indif-ferenza. “Non mi riguarda”, “non tocca a me”,“non c’e n t ro ”, “è cosa sua”: ecco i sintomidell’indifferenza. C’è una bella fotografia —l’ho detto altre volte —, fatta da un fotograforomano, si trova nell’Elemosineria. Una notted’inverno, si vede che esce da un ristorante dilusso una signora di una certa età, con la pel-liccia, il cappello, i guanti, ben coperta dalfreddo esce, dopo aver mangiato bene — chenon è peccato, mangiare bene! [ridono] — ec’è alla porta un’altra donna, con una stampel-la, malvestita, si vede che sente il freddo... unahomeless, con la mano tesa... E la signora cheesce dal ristorante guarda da un’altra parte. Lafoto si chiama “I n d i f f e re n z a ”. Quando l’ho vi-sta, ho chiamato il fotografo per dirgli: “Seistato bravo a prendere questo in modo sponta-neo”, e ho detto di metterla nell’Elemosineria.Per non cadere nello spirito dell’i n d i f f e re n z a .Invece, chi ha compassione, passa dal “di tenon m’imp orta” al “tu sei importante per me”.O almeno “tu tocchi il mio cuore”. Però lacompassione non è un bel sentimento, non èpietismo, è creare un legame nuovo con l’a l t ro .È farsene carico, come il buon Samaritanoche, mosso da compassione, si prende cura diquel malcapitato che neppure conosce (cfr. Lc10, 33-34). Il mondo ha bisogno di questa cari-tà creativa e fattiva, di gente che non sta da-vanti a uno schermo a commentare, ma digente che si sporca le mani per rimuovere ildegrado e restituire dignità. Avere compassio-ne è una scelta: è scegliere di non avere alcunnemico per vedere in ciascuno il mio prossimo.E questa è una scelta.

Questo non vuol dire diventare molli esmettere di lottare. Anzi, chi ha compassioneentra in una dura lotta quotidiana contro loscarto e lo spreco, lo scarto degli altri e lo spre-co delle cose. Fa male pensare a quanta genteviene scartata senza compassione: anziani,bambini, lavoratori, persone con disabilità…Ma è scandaloso anche lo spreco delle cose.La Fao ha documentato che, nei Paesi indu-strializzati, vengono buttate via più di un mi-liardo — più di un miliardo! — di tonnellate dicibo commestibile! Questa è la realtà. Aiutia-moci, insieme, a lottare contro lo scarto e lospreco, esigiamo scelte politiche che coniughi-no progresso ed equità, sviluppo e sostenibilitàper tutti, perché nessuno sia privato della terrache abita, dell’aria buona che respira, dell’ac-qua che ha il diritto di bere e del cibo che hail diritto di mangiare.

Sono certo che i membri di ogni vostra Co-munità non si accontenteranno di vivere daspettatori, ma saranno sempre protagonisti mi-ti e determinati nel costruire il futuro di tutti.E tutto questo fa la fraternità. Lavorare comee da fratelli. Costruire la fraternità universale.E questo è il momento, questa è la sfida di og-gi. Vi auguro di alimentare la contemplazionee la compassione, ingredienti indispensabilidell’ecologia integrale. Vi ringrazio ancora perla vostra presenza e per il vostro impegno. Viringrazio per le vostre preghiere. A coloro divoi che pregano, chiedo di pregare, e a chinon prega, almeno mandatemi buone onde, neho bisogno! [ridono, applauso]

E adesso vorrei chiedere a Dio che benedicaognuno di voi, benedica il cuore di ognuno divoi, che sia credente o non credente, di qual-siasi tradizione religiosa sia. Che Dio benedicatutti voi. Amen.

#laudatosi’

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 11

Oggi, nel dramma della #pandemia, di fronte a tantecertezze che si sgretolano, di fronte a tante aspettative

tradite, nel senso di abbandono che ci stringe il cuore, Gesùdice a ciascuno: “Coraggio: apri il cuore al mio amore.

Sentirai la consolazione di Dio, che ti sostiene”

(@Pontifex, 10 settembre)

La natura è piena di parole d’amore, ma come potremoascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione

permanente e ansiosa? #TempoDelCreato

(sabato 12)

La rivelazione dell’amore di Dio per noi sembra una pazzia.Ogni volta che guardiamo il Crocifisso troviamo questoamore. Il Crocifisso è il grande libro dell’amore di Dio.

# E s a l t a z i o n e d e l l a C ro c e

(lunedì 14)

La Vergine Addolorata, che pianse con il cuore trafittola morte di Gesù, ora ha compassione della sofferenza

dei poveri crocifissi e delle creature di questo mondosterminate dal potere umano. #TempoDelCreato

(martedì 15)

Il ripristino di un equilibrio climatico è di estremaimportanza per il futuro della Terra. Per questo, invito

ciascun Paese ad adottare traguardi nazionali più ambiziosiper ridurre le emissioni. #TempoDelCreato

(mercoledì 16, Giornata internazionaleper la preservazione dello strato d’ozono, Onu)

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L’Osservatore Romanogiovedì 17 settembre 2020il Settimanale

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La pandemia dovuta al virus Covid 19 ha pro-dotto stravolgimenti non solo nelle dinamichesociali, familiari, economiche, formative e lavo-rative, ma anche nella vita della comunità cri-stiana, compresa la dimensione liturgica. Pertogliere spazio di replicazione al virus è statonecessario un rigido distanziamento sociale,che ha avuto ripercussione su un tratto fonda-mentale della vita cristiana: «Dove sono due otre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo aloro» (Mt 18, 20); «Erano perseveranti nell’in-segnamento degli apostoli e nella comunione,nello spezzare il pane e nelle preghiere. Tutti icredenti stavano insieme e avevano ogni cosain comune» (At 2, 42-44).

La dimensione comunitaria ha un significatoteologico: Dio è relazione di Persone nella Tri-nità Santissima; crea l’uomo nella complemen-tarietà relazionale tra maschio e femmina per-ché «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18), si pone in rapporto con l’uomo e la donnae li chiama a loro volta alla relazione con Lui:come bene intuì sant’Agostino, il nostro cuoreè inquieto finché non trova Dio e non riposain Lui (cfr. Confessioni, I, 1). Il Signore Gesùiniziò il suo ministero pubblico chiamando asé un gruppo di discepoli perché condividesse-ro con lui la vita e l’annuncio del Regno; daquesto piccolo gregge nasce la Chiesa. Per de-scrivere la vita eterna la Scrittura usa l’imma-gine di una città: la Gerusalemme del cielo(cfr. Ap 21); una città è una comunità di perso-ne che condividono valori, realtà umane e spi-rituali fondamentali, luoghi, tempi e attivitàorganizzate e che concorrono alla costruzionedel bene comune. Mentre i pagani costruivanotempli dedicati alla sola divinità, ai quali lepersone non avevano accesso, i cristiani, appe-na godettero della libertà di culto, subito edi-ficarono luoghi che fossero domus Dei et domusecclesiae, dove i fedeli potessero riconoscersicome comunità di Dio, popolo convocato peril culto e costituito in assemblea santa. Dioquindi può proclamare: «Io sono il tuo Dio,tu sarai il mio popolo» (cfr. Es 6, 7; Dt 14, 2).Il Signore si mantiene fedele alla sua Alleanza(cfr. Dt 7, 9) e Israele diventa per ciò stessoDimora di Dio, luogo santo della sua presenzanel mondo (cfr. Es 29, 45; Lv 26, 11-12). Perquesto la casa del Signore suppone la presenzadella famiglia dei figli di Dio. Anche oggi,nella preghiera di dedicazione di una nuovachiesa, il Vescovo chiede che essa sia ciò cheper sua natura deve essere:

«[...] sia sempre per tutti un luogo santo[...].

Qui il fonte della grazia lavi le nostre colpe,perché i tuoi figli muoiano al peccatoe rinascano alla vita nel tuo Spirito.Qui la santa assembleariunita intorno all’a l t a re ,celebri il memoriale della Pasquae si nutra al banchetto della parola

e del corpo di Cristo.Qui lieta risuoni la liturgia di lodee la voce degli uomini si unisca ai cori degli

angeli;qui salga a te la preghiera incessanteper la salvezza del mondo.Qui il povero trovi misericordia,l’oppresso ottenga libertà verae ogni uomo goda della dignità dei tuoi fi-

gli,finché tutti giungano alla gioia pienanella santa Gerusalemme del cielo».

La comunità cristiana non ha mai persegui-to l’isolamento e non ha mai fatto della chiesauna città dalle porte chiuse. Formati al valoredella vita comunitaria e alla ricerca del benecomune, i cristiani hanno sempre cercato l’in-serimento nella società, pur nella consapevo-lezza di una alterità: essere nel mondo senzaappartenere a esso e senza ridursi a esso (cfr.Lettera a Diogneto, 5-6). E anche nell’e m e rg e n -za pandemica è emerso un grande senso di re-sponsabilità: in ascolto e collaborazione con leautorità civili e con gli esperti, i Vescovi e leloro conferenze territoriali sono stati pronti adassumere decisioni difficili e dolorose, fino allasospensione prolungata della partecipazionedei fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia.Questa Congregazione è profondamente grataai Vescovi per l’impegno e lo sforzo profusinel tentare di dare risposta, nel modo migliorepossibile, a una situazione imprevista e com-plessa.

Non appena però le circostanze lo consen-tono, è necessario e urgente tornare alla nor-malità della vita cristiana, che ha l’edificiochiesa come casa e la celebrazione della litur-gia, particolarmente dell’Eucaristia, come «ilculmine verso cui tende l’azione della Chiesa einsieme la fonte da cui promana tutta la suaforza» (Sacrosanctum Concilium, 10).

Consapevoli del fatto che Dio non abban-dona mai l’umanità che ha creato, e che anchele prove più dure possono portare frutti digrazia, abbiamo accettato la lontananzadall’altare del Signore come un tempo di di-giuno eucaristico, utile a farcene riscoprirel’importanza vitale, la bellezza e la preziositàincommensurabile. Appena possibile però, oc-corre tornare all’Eucaristia con il cuore purifi-cato, con uno stupore rinnovato, con un accre-sciuto desiderio di incontrare il Signore, distare con lui, di riceverlo per portarlo ai fratel-li con la testimonianza di una vita piena di fe-de, di amore e di speranza.

Questo tempo di privazione ci può dare lagrazia di comprendere il cuore dei nostri fra-telli martiri di Abitene (inizi del IV secolo), iquali risposero ai loro giudici con serena de-terminazione, pur di fronte a una sicura con-danna a morte: «Sine Dominico non possu-mus». L’assoluto non possumus (non possiamo)e la pregnanza di significato del neutro sostan-tivato Dominicum (quello che è del Signore) nonsi possono tradurre con una sola parola. Unabrevissima espressione compendia una grandericchezza di sfumature e significati che si of-frono oggi alla nostra meditazione:

— Non possiamo vivere, essere cristiani, rea-lizzare appieno la nostra umanità e i desideri

«Torniamo con gioia all’Eucaristia!»

Ai presidentidelle Conferenze

episcopalisulla celebrazione

della liturgiadurante e dopo

la pandemiadel covid-19

#lettera

La Congregazione per il culto divinoe la disciplina dei sacramenti ha inviatoai presidenti delle Conferenze episcopaliuna lettera — diffusa nella mattina di sabato 12settembre — sulla celebrazione della liturgiadurante e dopo la pandemia del covid-19.Ne pubblichiamo di seguito il testo in italiano.

CO N T I N UA A PA G I N A 14

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di bene e di felicità che albergano nel cuoresenza la Parola del Signore, che nella celebra-zione prende corpo e diventa parola viva, pro-nunciata da Dio per chi oggi apre il cuoreall’ascolto;

— Non possiamo vivere da cristiani senza par-tecipare al Sacrificio della Croce in cui il SignoreGesù si dona senza riserve per salvare, con lasua morte, l’uomo che era morto a causa delpeccato; il Redentore associa a sé l’umanità ela riconduce al Padre; nell’abbraccio del Croci-fisso trova luce e conforto ogni umana soffe-re n z a ;

— Non possiamo senza il banchetto dell’Eucari-stia, mensa del Signore alla quale siamo invita-ti come figli e fratelli per ricevere lo stessoCristo Risorto, presente in corpo, sangue, ani-ma e divinità in quel Pane del cielo che ci so-stiene nelle gioie e nelle fatiche del pellegri-naggio terreno;

— Non possiamo senza la comunità cristiana,la famiglia del Signore: abbiamo bisogno diincontrare i fratelli che condividono la figlio-lanza di Dio, la fraternità di Cristo, la voca-zione e la ricerca della santità e della salvezzadelle loro anime nella ricca diversità di età,storie personali, carismi e vocazioni;

— Non possiamo senza la casa del Signore, cheè casa nostra, senza i luoghi santi dove siamonati alla fede, dove abbiamo scoperto la pre-senza provvidente del Signore e ne abbiamoscoperto l’abbraccio misericordioso che rialzachi è caduto, dove abbiamo consacrato la no-stra vocazione alla sequela religiosa o al matri-monio, dove abbiamo supplicato e ringraziato,gioito e pianto, dove abbiamo affidato al Pa-dre i nostri cari che hanno completato il pelle-grinaggio terreno;

— Non possiamo senza il giorno del Signore,senza la Domenica che dà luce e senso al suc-cedersi dei giorni del lavoro e delle responsa-bilità familiari e sociali.

Per quanto i mezzi di comunicazione svol-gano un apprezzato servizio verso gli ammala-ti e coloro che sono impossibilitati a recarsi inchiesa, e hanno prestato un grande servizionella trasmissione della Santa Messa nel tem-po nel quale non c’era la possibilità di celebra-re comunitariamente, nessuna trasmissione èequiparabile alla partecipazione personale opuò sostituirla. Anzi queste trasmissioni, dasole, rischiano di allontanarci da un incontropersonale e intimo con il Dio incarnato che siè consegnato a noi non in modo virtuale, marealmente, dicendo: «Chi mangia la mia carnee beve il mio sangue rimane in me e io in lui»(Gv 6, 56). Questo contatto fisico con il Si-gnore è vitale, indispensabile, insostituibile.Una volta individuati e adottati gli accorgi-menti concretamente esperibili per ridurre alminimo il contagio del virus, è necessario chetutti riprendano il loro posto nell’assembleadei fratelli, riscoprano l’insostituibile preziositàe bellezza della celebrazione, richiamino e at-traggano con il contagio dell’entusiasmo i fra-telli e le sorelle scoraggiati, impauriti, da trop-po tempo assenti o distratti.

Questo Dicastero intende ribadire alcuniprincipi e suggerire alcune linee di azione perpromuovere un rapido e sicuro ritorno alla ce-lebrazione dell’Eucaristia.

La dovuta attenzione alle norme igieniche edi sicurezza non può portare alla sterilizzazio-ne dei gesti e dei riti, all’induzione, anche in-consapevole, di timore e di insicurezza nei fe-deli.

Si confida nell’azione prudente ma fermadei Vescovi perché la partecipazione dei fedelialla celebrazione dell’Eucaristia non sia deru-bricata dalle autorità pubbliche a un “assem-

bramento”, e non sia considerata come equipa-rabile o persino subordinabile a forme di ag-gregazione ricreative.

Le norme liturgiche non sono materia sullaquale possono legiferare le autorità civili, masoltanto le competenti autorità ecclesiastiche(cfr. Sacrosanctum Concilium, 22).

Si faciliti la partecipazione dei fedeli alle ce-lebrazioni, ma senza improvvisate sperimenta-zioni rituali e nel pieno rispetto delle norme,contenute nei libri liturgici, che ne regolano losvolgimento. Nella liturgia, esperienza di sa-cralità, di santità e di bellezza che trasfigura,si pregusta l’armonia della beatitudine eterna:si abbia cura quindi per la dignità dei luoghi,delle suppellettili sacre, delle modalità celebra-tive, secondo l’autorevole indicazione del Con-cilio Vaticano II: «I riti splendano per nobilesemplicità» (Sacrosanctum Concilium, 34).

Si riconosca ai fedeli il diritto di ricevere ilCorpo di Cristo e di adorare il Signore pre-sente nell’Eucaristia nei modi previsti, senza li-mitazioni che vadano addirittura al di là diquanto previsto dalle norme igieniche emanatedalle autorità pubbliche o dai Vescovi.

I fedeli nella celebrazione eucaristica adora-no Gesù Risorto presente; e vediamo che contanta facilità si perde il senso della adorazione,la preghiera di adorazione. Chiediamo ai Pa-stori di insistere, nelle loro catechesi, sulla ne-cessità dell’adorazione.

Un principio sicuro per non sbagliare èl’obbedienza. Obbedienza alle norme dellaChiesa, obbedienza ai Vescovi. In tempi didifficoltà (ad esempio pensiamo alle guerre, al-le pandemie) i Vescovi e le Conferenze Episco-pali possono dare normative provvisorie allequali si deve obbedire. La obbedienza custodi-sce il tesoro affidato alla Chiesa. Queste misu-re dettate dai Vescovi e dalle Conferenze Epi-scopali scadono quando la situazione torna al-la normalità.

La Chiesa continuerà a custodire la personaumana nella sua totalità. Essa testimonia lasperanza, invita a confidare in Dio, ricordache l’esistenza terrena è importante, ma moltopiù importante è la vita eterna: condividere lastessa vita con Dio per l’eternità è la nostrameta, la nostra vocazione. Questa è la fededella Chiesa, testimoniata lungo i secoli daschiere di martiri e di santi, un annuncio posi-tivo che libera da riduzionismi unidimensiona-li, dalle ideologie: alla preoccupazione dovero-sa per la salute pubblica la Chiesa unisce l’an-nuncio e l’accompagnamento verso la salvezzaeterna delle anime. Continuiamo dunque adaffidarci con fiducia alla misericordia di Dio, ainvocare l’intercessione della beata VergineMaria, salus infirmorum et auxilium christiano-rum, per tutti coloro che sono provati dura-mente dalla pandemia e da ogni altra afflizio-ne, perseveriamo nella preghiera per coloroche hanno lasciato questa vita, e al contemporinnoviamo il proposito di essere testimoni delRisorto e annunciatori di una speranza certa,che trascende i limiti di questo mondo.

Dal Vaticano, 15 agosto 2020Solennità dell’Assunzione della Beata VergineMaria

Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienzaconcessa il 3 settembre 2020, al sottoscrittoCardinale Prefetto della Congregazione per ilCulto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,ha approvato la presente Lettera e ne ha ordi-nato la pubblicazione.

Robert Cardinale SarahP re f e t t o

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#lettera

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Non chi dicema chi fa

«Strano Paese il nostro. Colpisce i contrabbandieridi sigarette, ma premia i venditori di fumo»; cosìscriveva anni fa Indro Montanelli. Il famoso giorna-lista condannava una contraddizione della societàitaliana.

Come Gesù, nel Vangelo, condanna la contraddi-zione di chi dice, e non fa. È una malattia che col-pisce un po’ tutti. Siamo, infatti, coerenti con certivalori quando ci fa comodo, ma siamo altrettantopronti a violarli appena ne sentiamo la convenienza.

Diciamo di accettare di fare la volontà di Dio, maappena vediamo che è pesante, facciamo il contra-rio! In chiesa promettiamo una cosa e nella vita nefacciamo un’altra.

È forte il giudizio di Gesù: «I pubblicani e leprostitute vi passano avanti nel regno dei cieli»(Vangelo). Ma Dio è sempre pronto a perdonare, adimenticare il nostro passato. Basta che noi siamodisposti a riconoscere il nostro errore, a pentirci, e acompiere opere di giustizia.

Non è mai lecito dire «ormai...». Possiamo sem-pre fare oggi quello che non abbiamo fatto ieri. Dionon chiede mai il conto con noi: ogni giorno cichiama a convertirci. Basta leggere la prima lettura.E noi possiamo passare dal “no” al “sì”. Meditiamosu quanto diceva Gregorio di Nissa: «Tre sono glielementi che manifestano e distinguono la vita delcristiano: l’azione, la parola e il pensiero. Primo fraquesti è il pensiero, al secondo posto viene la parolache dischiude e manifesta con vocaboli ciò che èstato concepito con il pensiero. Dopo, in terzo luo-go si colloca l’azione, che traduce nei fatti quelloche è stato pensato».

Il Signore ci conceda di passare dalle parole aifatti di una vita cristiana coerente. Perché è beato«non chi dice, ma chi fa!».

27 settembredomenica XXVI

del tempoo rd i n a r i oEz 18, 25-28Sal 23Fil 2, 1-11Mt 21, 28-32

#spuntidiriflessione

di LEONARD OSAPIENZA

Gesù incontra Giovanni il Battista, (icona del XV secolo)

lo lanciato assieme al Patriarca Ecumenico Bartolomeo e all’Ar-civescovo Ieronymos di Atene, ad assicurare «un’accoglienzaumana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e achi cerca asilo in Europa» (16 aprile 2016). Esprimo solidarietàe vicinanza a tutte le vittime di queste drammatiche vicende.

Inoltre, in queste settimane si assiste in tutto il mondo — intante parti — a numerose manifestazioni popolari di protesta,che esprimono il crescente disagio della società civile di fronte asituazioni politiche e sociali di particolare criticità. Mentre esor-to i dimostranti a far presenti le loro istanze in forma pacifica,senza cedere alla tentazione dell’aggressività e della violenza,faccio appello a tutti coloro che hanno responsabilità pubblichee di governo di ascoltare la voce dei loro concittadini e di veni-re incontro alle loro giuste aspirazioni, assicurando il pieno ri-spetto dei diritti umani e delle libertà civili. Invito infine le co-munità ecclesiali che vivono in tali contesti, sotto la guida deiloro Pastori, ad adoperarsi in favore del dialogo, sempre in fa-vore del dialogo, e in favore della riconciliazione — abbiamoparlato del perdono, della riconciliazione.

A causa della situazione di pandemia, quest’anno la tradizio-nale Colletta per la Terra Santa è stata trasferita dal Venerdì

Santo ad oggi, vigilia della Festa dell’Esaltazione della SantaCroce. Nel contesto attuale, questa Colletta è ancora di più unsegno di speranza e di solidale vicinanza ai cristiani che abitanonella Terra dove Dio si è fatto carne ed è morto e risorto pernoi. Oggi compiamo un pellegrinaggio spirituale, in spirito,con l’immaginazione, con il cuore, a Gerusalemme, dove, comedice il Salmo, sono le nostre sorgenti (cfr. Sal 87, 7), e facciamoun gesto di generosità per quelle comunità.

Saluto tutti voi, fedeli romani e pellegrini di vari Paesi. Inparticolare, saluto i ciclisti affetti dal morbo di Parkinson chehanno percorso la Via Francigena da Pavia a Roma. Siete statibravi! Grazie della vostra testimonianza. Saluto la ConfraternitaMadonna Addolorata di Monte Castello di Vibio. Vedo che c’èanche una Comunità Laudato si’: grazie per quello che fate; egrazie per l’incontro di ieri qui, con Carlìn Petrini e tutti i diri-genti che vanno avanti in questa lotta per la custodia del crea-to.

Saluto tutti voi, tutti, in modo speciale le famiglie italianeche nel mese di agosto si sono dedicate all’ospitalità dei pelle-grini. Sono tante! A tutti auguro una buona domenica. Per fa-vore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arri-v e d e rc i !

L’Angelus domenicaleCO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 10

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#controcopertina

Lunedì mattina, 14 settembre, ho accompagnato a scuola mia moglie, in-segnante di religione delle medie, emozionata per il primo giorno di unanno scolastico così particolare. Oggi un po’ per tutti, non solo per lascuola, è quasi come il capodanno, con quella frizzante trepidazione dainizio dell’avventura. Perché di questo si tratta, di un’avventura, cioè,

dobbiamo ammetterlo, di entrare nel regno dell’incertezza. Quest’anno questo in-gresso è venato da un pizzico di ansia in più, che colora tutto di profonda preo ccu-pazione e per alcuni anche di cupezza.

Le scuole stanno cercando di organizzare la possibile ripartenza in presenza deglialunni, che sono il motivo e il cuore di quell’avventura, e lo fanno spesso con quellacreatività necessaria nei momenti di crisi. Anche il Papa più volte ha sottolineato co-me le crisi tirino fuori il meglio o il peggio dal cuore dell’uomo e quanto sia impor-tante essere creativi per affrontare le nuove situazioni per le quali i vecchi strumentinon sono più sufficienti.

Mi ha colpito vedere negli appunti di mia moglie che la sua scuola ha predispo-sto ben cinque “gate” (così era scritto sulla mappa, non so perché “i n g re s s o ” nonandava bene) per far entrare in modo scaglionato nel tempo la popolazione studen-tesca evitando assembramenti in entrata e in uscita. Il termine usato mi ha fatto su-bito pensare all’aeroporto dove ci sono i “gate d’i m b a rc o ”, un’immagine che calzaperfettamente con la realtà della scuola che dovrebbe essere quella “rampa di lan-cio” per quel gran salto nella vita di cui parla Etty Hillesum nel suoi diari: «Dob-biamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale,dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infini-tamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori». La scuola comepista di decollo (e i piloti più esperti sanno che il decollo è il momento più delicatodi tutto il viaggio, verità mai vera come quest’anno) per far sì che i nostri giovanipossano finalmente volare. Con l’accortezza che, al contrario del decollo degli aerei,i nostri studenti per prendere il volo, non dovranno allacciare le cinture di sicurezzama appunto sganciarle: la sfida dell’incertezza va presa sul serio, fino in fondo,scendendo nella profondità del proprio desiderio, perché aveva ragione Goethe:

«Sono due le cose che i bambini dovrebbero ricevere dai loro genitori: radici e ali».In questa doppia immagine è racchiuso il senso della scuola: giovani e adulti si in-contrano per donarsi le radici, le storie, e nutrire così il desiderio radicale di “vola-re ”; per farlo bisogna però abbandonare tutto, ogni appiglio convenzionale e buttar-si. Un inizio quindi davvero vertiginoso scommettendo sulla verità del ritornello diMi fido di te, la nota canzone di Jovanotti: «La vertigine non è paura di cadere, mavoglia di volare». E allora anche la parola “gate”, misteriosamente prestata dalla lin-gua inglese, può andar bene per la scuola italiana, può suonare incoraggiante, sfi-dante, promettente.

A.M.

LETTERE DAL DIRETTORE