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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 9 luglio 2020 anno LXXIII, numero 28 (4.052) Lampedusa sette anni dopo

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 9 luglio 2020anno LXXIII, numero 28 (4.052)

Lamp edusasette anni dopo

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L’Osservatore Romanogiovedì 9 luglio 2020il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

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Nei giorni scorsi il Consiglio di sicurezza delleNazioni Unite ha approvato una risoluzioneper «una cessazione immediata delle ostilità intutte le situazioni per almeno 90 giorni conse-cutivi» così da garantire assistenza umanitariaalle popolazioni colpite e contrastare le deva-stanti conseguenze della diffusione del covid-19. Francesco, con il suo intervento alla finedell’Angelus ha voluto dare il suo sostegnoall’iniziativa, auspicando che il cessate il fuocoglobale venga osservato «effettivamente e tem-pestivamente». L’iniziativa del Papa rappre-senta un nuovo passo di un lungo cammino.Un passo reso ancora più urgente dalla crisiprovocata dalla pandemia, le cui conseguenzepiù devastanti — al pari di quelle delle guerre— ricadono sui più poveri.

Domenica 29 marzo, il Pontefice aveva giàavanzato questa richiesta, appoggiando l’ap-pello in questo senso lanciato cinque giorniprima dal Segretario generale delle NazioniUnite. António Guterres aveva chiesto un«cessate il fuoco globale e immediato in tuttigli angoli del mondo», richiamando l’emer-genza per il covid-19, che non conosce frontie-re. Francesco si era associato «a quanti hannoaccolto questo appello» e aveva invitato «tuttia darvi seguito fermando ogni forma di ostilitàbellica, favorendo la creazione di corridoi perl’aiuto umanitario, l’apertura alla diplomazia,l’attenzione a chi si trova in situazione di piùgrande vulnerabilità».

L’impegno congiunto contro la pandemia,aveva auspicato il Papa, «possa portare tutti ariconoscere il nostro bisogno di rafforzare i le-gami fraterni come membri di un’unica fami-glia. In particolare, susciti nei responsabili del-le Nazioni e nelle altre parti in causa un rin-novato impegno al superamento delle rivalità.I conflitti non si risolvono attraverso la guerra!È necessario superare gli antagonismi e i con-trasti, mediante il dialogo e una costruttiva ri-cerca della pace».

Francesco nelle settimane successive, era tor-nato altre due volte a deplorare le spese per

gli armamenti. Nell’omelia della Veglia di Pa-squa, celebrata in San Pietro, aveva detto:«Mettiamo a tacere le grida di morte, bastaguerre! Si fermino la produzione e il commer-cio delle armi, perché di pane e non di fuciliabbiamo bisogno». Papa Bergoglio aveva vo-luto ricordare nuovamente questo tema cherappresenta una costante del suo pontificato,anche nella più lunga delle due preghiere ma-riane suggerite ai fedeli a conclusione del Ro-

sario nel mese di maggio: «Assisti i Responsa-bili delle Nazioni, perché operino con saggez-za, sollecitudine e generosità, soccorrendoquanti mancano del necessario per vivere, pro-grammando soluzioni sociali ed economichecon lungimiranza e con spirito di solidarietà.Maria Santissima, tocca le coscienze perché leingenti somme usate per accrescere e perfezio-nare gli armamenti siano invece destinate apromuovere adeguati studi per prevenire similicatastrofi in futuro».

Più volte e in occasioni diverse, negli anniprecedenti, Francesco aveva denunciato “l’ip o-crisia” e il “p eccato” dei responsabili di queiPaesi che «parlano di pace e vendono le armiper fare queste guerre». Parole ripetute ancheal ritorno dall’ultimo viaggio internazionaleprima dello scoppio della pandemia, quello inThailandia e Giappone: «A Nagasaki e Hiro-shima ho sostato in preghiera, ho incontratoalcuni sopravvissuti e familiari delle vittime, e

Un magistero per la pacee contro l’ip o crisia

#editoriale

di ANDREA TORNIELLI

Il sostegnodel Ponteficeall’iniziativadelle NazioniUnite

ho ribadito la ferma condanna delle armi nu-cleari e dell’ipocrisia di parlare di pace co-struendo e vendendo ordigni bellici». Secondoun rapporto Oxfam, nel 2019 la spesa militareglobale ha sfiorato i duemila miliardi di dollarie attualmente ci sono due miliardi di esseriumani intrappolati nei Paesi in guerra e stre-mati da violenza, persecuzioni, carestie e oraanche dall’emergenza rappresentata dalla pan-demia.

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Il brano evangelico di questa domenica (cfr.Mt 11, 25-30) è articolato in tre parti: anzituttoGesù innalza un inno di benedizione e di rin-graziamento al Padre, perché ha rivelato ai po-veri e ai semplici il mistero del Regno dei cie-li; poi svela il rapporto intimo e singolare chec’è tra Lui e il Padre; e infine invita ad andarea Lui e a seguirlo per trovare sollievo.

In primo luogo, Gesù loda il Padre, perchéha tenuto nascosti i segreti del suo Regno,della sua verità, «ai sapienti e ai dotti» (v. 25).Li chiama così con un velo di ironia, perchépresumono di essere saggi, sapienti, e dunquehanno il cuore chiuso, tante volte. La vera sag-gezza viene anche dal cuore, non è soltantocapire idee: la vera saggezza entra anche nelcuore. E se tu sai tante cose ma hai il cuorechiuso, tu non sei saggio. I misteri di suo Pa-dre, Gesù li dice rivelati ai «piccoli», a quantisi aprono con fiducia alla sua Parola di salvez-za, aprono il cuore alla Parola di salvezza, sen-tono il bisogno di Lui e attendono tutto daLui. Il cuore aperto e fiducioso verso il Signo-re .

Poi, Gesù spiega che ha ricevuto tutto dalPadre, e lo chiama «Padre mio», per affermarel’unicità del suo rapporto con Lui. Infatti, solotra il Figlio e il Padre c’è totale reciprocità:l’uno conosce l’altro, l’uno vive nell’altro. Maquesta comunione unica è come un fiore chesboccia, per rivelare gratuitamente la sua bel-lezza e la sua bontà. Ed ecco allora l’invito diGesù: «Venite a me…» (v. 28). Egli vuole do-nare quanto attinge dal Padre. Vuole donarcila verità, e la verità di Gesù è sempre gratuita:è un dono, è lo Spirito Santo, la Verità.

Come il Padre ha una preferenza per i «pic-coli», così anche Gesù si rivolge agli «affatica-ti e oppressi». Anzi, mette sé stesso tra loro,perché Egli è il «mite e umile di cuore» (v.29), così dice di essere. Come nella prima enella terza beatitudine, quella degli umili opoveri in spirito; e quella dei miti (cfr. Mt 5,3.5): la mitezza di Gesù. Così Gesù, «mite eumile», non è un modello per i rassegnati nésemplicemente una vittima, ma è l’Uomo chevive «di cuore» questa condizione in pienatrasparenza all’amore del Padre, cioè allo Spi-

rito Santo. Egli è il modello dei «poveri inspirito» e di tutti gli altri “b eati” del Vangelo,che compiono la volontà di Dio e testimonia-no il suo Regno.

E poi, Gesù dice che se andiamo da Lui tro-veremo ristoro: il «ristoro» che Cristo offreagli affaticati e oppressi non è un sollievo sol-tanto psicologico o un’elemosina elargita, mala gioia dei poveri di essere evangelizzati e co-struttori della nuova umanità. Questo è il sol-lievo: la gioia, la gioia che ci dà Gesù. È uni-ca, è la gioia che ha Lui stesso. È un messag-gio per tutti noi, per tutti gli uomini di buonavolontà, che Gesù rivolge ancora oggi nelmondo, che esalta chi si fa ricco e potente.Quante volte noi diciamo: “Ah, vorrei esserecome quello, come quella, che è ricco, ha tan-to potere, non gli manca nulla!”. Il mondoesalta il ricco e potente, non importa con qualimezzi, e a volte calpesta la persona umana e lasua dignità. E questo noi lo vediamo tutti igiorni, i poveri calpestati. Ed è un messaggioper la Chiesa, chiamata a vivere le opere dimisericordia e a evangelizzare i poveri, ad es-sere mite, umile. Così il Signore vuole che siala sua Chiesa, cioè noi.

Maria, la più umile e la più alta tra le crea-ture, implori da Dio per noi la sapienza delc u o re , affinché sappiamo discernere i suoi segninella nostra vita ed essere partecipi di quei mi-steri che, nascosti ai superbi, vengono rivelatiagli umili.

Al termine della preghiera mariana, dopo l’appelloper il cessate-il-fuoco, il Pontefice ha salutato inparticolare i fedeli polacchi, benedicendol’iniziativa del pellegrinaggio al santuariodi Częstochowa che avrà luogo sabato 11 luglio,nel centenario della nascita di san GiovanniPaolo II.

Cari fratelli e sorelle,questa settimana il Consiglio di Sicurezza del-le Nazioni Unite ha adottato una Risoluzioneche predispone alcune misure per affrontare ledevastanti conseguenze del virus covid-19, par-ticolarmente per le zone già teatro di conflitti.È lodevole la richiesta di un cessate-il-fuocoglobale e immediato, che permetterebbe la pa-ce e la sicurezza indispensabili per fornire l’as-sistenza umanitaria così urgentemente necessa-ria. Auspico che tale decisione venga attuataeffettivamente e tempestivamente per il benedi tante persone che stanno soffrendo. Possaquesta Risoluzione del Consiglio di Sicurezzadiventare un primo passo coraggioso per unfuturo di pace.

Saluto di cuore tutti voi, romani e pellegrinidi vari Paesi. Saluto in particolare i polacchi:benvenuti!, e benedico il grande pellegrinag-gio della famiglia di Radio Maria al Santuariodi Częstochowa, che avrà luogo sabato prossi-mo, nel centenario della nascita di San Gio-vanni Paolo II, con il motto «Tutto ho affidatoa Maria». Una benedizione a quel pellegrinag-gio.

E a tutti auguro una buona domenica. Perfavore, non dimenticatevi di pregare per me.Buon pranzo e arrivederci!

Cessate-il-fuoco globale e immediatoper contrastare la pandemia

Al l ’An g e l u sil Papa chiede

l’attuazionedella risoluzione

dell’Onuper l’assistenza

umanitariadelle popolazionicolpite dal virus

#angelus

Appello del Papa per un «cessate-il-fuoco globalee immediato» che garantisca «l’assistenzaumanitaria» alle popolazioni delle zonedi conflitto colpite dalla pandemia.Al termine dell’Angelus di domenica 5 luglio —recitato con i fedeli riuniti in piazza San Pietronel rispetto delle misure di sicurezza adottate perevitare il diffondersi del contagio — il Ponteficeha rilanciato la risoluzione del Consigliodi sicurezza dell’Onu che chiede la finedelle ostilità, invitando ad attuarla«effettivamente e tempestivamente».In precedenza Francesco aveva commentato ilbrano evangelico della liturgia domenicale(Matteo 11, 25-30), esortando i cristianiad accogliere «il sollievo» che scaturisce dalla«gioia che ci dà Gesù».

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Occorre sostenere i processi di pace, perchésenza la sicurezza globale le risposte allapandemia risultano insufficienti. Lo ha detto ilcardinale Peter Kodwo Appiah Turkson,prefetto del Dicastero per il servizio dellosviluppo umano integrale, durante l’i n c o n t rocon i giornalisti sul tema «Preparare il futuro,costruire la pace al tempo del covid-19»svoltosi martedì mattina, 7 luglio, nella Salastampa della Santa Sede. Con il porporatosono intervenuti anche suor AlessandraSmerilli, religiosa delle Figlie di Mariaausiliatrice, docente di Economia politica allaPontificia facoltà di Scienze dell’educazioneAuxilium, e Alessio Pecorario, officiale delDicastero, che coordinano rispettivamente latask force per l’economia e la task force per lasicurezza della Commissione vaticana covid-19,della quale è stato presentato il secondo

gruppo di lavoro «Guardare al futuro concreatività, preparare il futuro». Durante ilcolloquio con i rappresentanti dei media ilporporato ha ribadito che l’appello di PapaFrancesco e la richiesta del Consiglio disicurezza dell’Organizzazione delle NazioniUnite di un cessate-il-fuoco a livello globalein questo tempo di pandemia servonosoprattutto per portare soccorsi umanitarinelle zone interessate dai conflitti. Da partesua il Dicastero, ha spiegato, sta operando invari territori attraverso la Commissionegiustizia e pace e la Caritas Internationalis,due organismi impegnati a promuovere lapace e a favorire la sospensione delle ostilitàper avviare un processo di riconciliazione e didialogo con operazione di peacekeeping ep e a c e m a k i n g. Riferendosi alla situazione delcontinente di cui è originario, il cardinaleTurkson ha ricordato che in Africa esistonogià dei gruppi, ben radicati anche nella realtàdella Chiesa locale, che lavorano in modospecifico per la risoluzione dei conflitti.Grazie anche a questa opera, si sta cercandodi promuovere la solidarietà in tutti gliambienti e di ricostruire la fiducia,specialmente nelle zone più martoriate daguerre e violenza. La fiducia reciproca, infatti,è alla base di ogni progetto e va instauratanon solo tra uomo e Dio ma tra uomo euomo. In questo modo si promuovono lasolidarietà e il multilateralismo, due formeconcrete attraverso cui si realizza la pace. Laquestione più attuale al centro degli interventiè stata quella legata alla corsa agli armamentie alle spese militari, che sottraggono risorsealla sicurezza alimentare e sanitaria proprio inquesto periodo di emergenza. Ne hannotrattato Pecorario e suor Smerilli, la quale harilanciato la necessità di una riconversionedell’industria bellica a usi civili, comedimostrato proprio in questo tempo di crisidalle aziende che, nel giro di poco tempo,hanno avviato la produzione di pezzi diricambio per i ventilatori polmonari. In questepagine pubblichiamo i testi degli interventiintroduttivi svolti dai tre relatori durante laconferenza stampa.

Senza pacee sicurezzaglobalenon si sconfiggela pandemia

Rilanciatoin Vaticanol’appello del Papaper il cessate-il-fuocoe la sospensionedella produzionee del commerciodi armi

#CommissionevaticanaCovid19

Congelare la produzionee il commercio di armi

di PETER KODWO APPIAH TU R KS O N

Come tutti sappiamo, stia-mo affrontando una dellepeggiori crisi umanitariedalla seconda guerramondiale. Mentre il mon-do adotta misure di

emergenza per affrontare una pandemiaglobale e una recessione economica glo-bale, entrambe sostenute da un’emer-genza climatica globale, dobbiamo an-che considerare le implicazioni per lapace di queste crisi interconnesse. LaCommissione covid-19 del Vaticano, inparticolare attraverso le task force per lasicurezza e per l’economia, ha analizzatoalcune di queste implicazioni. Permette-temi di evidenziare i seguenti punti.

Mentre oggi si destinano somme sen-za precedenti alle spese militari (com-presi i più grandi programmi di moder-nizzazione nucleare), i malati, i poveri,gli emarginati e le vittime dei conflittisono colpiti in modo sproporzionatodalla crisi attuale. Finora, le crisi inter-connesse (sanitaria, socio-economica edecologica) stanno allargando il divarionon solo tra ricchi e poveri, ma anchetra le zone di pace, di prosperità e digiustizia ambientale e le zone di conflit-to, di privazione e di devastazione eco-logica.

Non ci può essere guarigione senzapace. La riduzione dei conflitti è l’unicapossibilità di ridurre le ingiustizie e ledisuguaglianze. La violenza armata, iconflitti e la povertà sono infatti collega-

ti in un ciclo che impedisce la pace, fa-vorisce le violazioni dei diritti umani eostacola lo sviluppo.

Personalmente, accolgo con favore larecente approvazione da parte del Con-siglio di sicurezza dell’Onu di un cessa-te-il-fuoco globale. Non possiamo com-battere la pandemia se ci combattiamo oci stiamo preparando a combattere l’unocontro l’altro. Accolgo inoltre con favorel’approvazione, da parte di 170 Paesi,dell’appello delle Nazioni Unite a met-tere a tacere le armi! Ma una cosa èchiamare o approvare una dichiarazionedi cessate-il-fuoco, un’altra cosa è met-terla in pratica. Per farlo, dobbiamocongelare la produzione e il commerciodi armi. Le attuali crisi interconnesse di

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La pandemia, che è un male comune, ha fattoemergere in modo esperienziale l’imp ortanzadel bene comune. Come ci ha ricordato PapaFrancesco, nessuno potrà farcela da solo. Unmale comune e globale si affronta solo se com-prendiamo di essere tutti legati: umanità daldestino comune. Se ne esce solo con l’imp e-gno di tutti.

La pandemia ha rivelato le nostre fragilità, apartire dai sistemi sanitari: le dimensioni e lagravità della pandemia ha messo in difficoltàanche sistemi sanitari ben finanziati. Oltre aesercitare pressione sui sistemi sanitari, la pan-demia ha anche provocato un aumento dram-matico di forniture mediche essenziali. Abbia-mo capito che i sistemi sanitari in tutto ilmondo hanno bisogno di maggiori investimen-ti di qualità. Abbiamo bisogno di protezionenei confronti delle malattie trasmissibili, e diinvestire in prevenzione: il covid-19 ha rivelatol’insufficiente finanziamento delle cure per lemalattie trasmissibili nel cuore di molti sistemisanitari. In questo momento abbiamo bisognodi un vaccino.

La pandemia ha rivelato la vera portata del-la nostra interconnessione. Sappiamo che lasalute è un bene comune globale e che anche iservizi di prevenzione e cura devono essereglobali. In particolare, la salute globale deveessere considerata un bene comune nel sensoche tutti ne hanno diritto, ma anche pari re-sponsabilità nel promuoverla.

La recessione economica che sta attraversan-do e attraverserà tutto il mondo provocherà lospiazzamento di milioni e milioni di posti dilavoro. La crisi economica e sociale potrebbeavere dimensioni disastrose. Inoltre, la pande-mia ha accelerato la transizione tecnologica edigitale: in 8 settimane abbiamo fatto passi in

avanti di 5 anni, e questo velocizzerà la perdi-ta di posti di lavoro.

Le vie di uscita ci sono, ma richiedono ca-pacità di visione, coraggio e collaborazione in-ternazionale. Nessuno Stato potrà farcela dasolo. Investimenti in sanità e cura, transizioneecologica, riqualificazione dei lavoratori e aiu-to alle imprese che subiranno inizialmentedanni dalla transizione. Di tutto questo abbia-mo bisogno, e per farlo sono indispensabili in-genti investimenti pubblici.

Papa Francesco ci ha chiesto soluzioni crea-tive. E allora ci chiediamo: se invece di fare lacorsa agli armamenti, facessimo la corsa versola sicurezza alimentare, di salute e lavorativa?Cosa chiedono i cittadini in questo momento?Hanno bisogno di uno Stato militarmente for-te, o di uno Stato che investa in beni comuni?Come ogni cittadino vorrebbe che fossero spe-si i propri soldi oggi? Ha senso continuare afare massicci investimenti in armi se poi le viteumane non possono essere salvate perchémancano le strutture sanitarie e le cure ade-guate? La spesa militare nel mondo nel 2019ha raggiunto il livello più elevato. Se ho unapersona malata in famiglia e ho bisogno dispendere per le cure, non indirizzerò tutte lemie risorse per curare il mio familiare?

Non voglio banalizzare, ma siamo nel mo-mento in cui dobbiamo comprendere dove in-dirizzare le risorse in un momento di cambioepocale. Oggi la prima sicurezza è quella dellasalute e del w e l l - b e i n g. A cosa servono arsenaliper essere più sicuri, se poi basta una mancia-ta di persone infette per far dilagare l’epide-mia e provocare tante vittime? La pandemianon conosce confini.

Più risorse per garantirecibo, salute e lavoro

#CommissionevaticanaCovid19

di ALESSANDRASMERILLI

cui ho parlato (sanitaria, socio-economi-ca ed ecologica) dimostrano l’u rg e n t enecessità di una globalizzazione dellasolidarietà che rifletta la nostra interdi-pendenza globale. Negli ultimi due de-cenni, la stabilità e la sicurezza interna-zionale si sono deteriorate. Sembra chel’amicizia politica e la concordia interna-zionale cessino sempre più di essere ilbene supremo che le nazioni desideranoe per il quale sono pronte a impegnarsi.Purtroppo, invece di essere uniti per ilbene comune contro una minaccia co-mune che non conosce confini, moltileader stanno approfondendo le divisio-ni internazionali e interne.

In questo senso, la pandemia, attra-verso morti e complicazioni sanitarie, re-cessione economica e conflitti, rappre-senta la tempesta perfetta! Abbiamo bi-sogno di una leadership globale chepossa ricostruire legami di unità, rifiu-tando al contempo il capro espiatorio, la

recriminazione reciproca, il nazionalismosciovinista, l’isolazionismo e altre formedi egoismo. Come ha detto Papa Fran-cesco lo scorso novembre a Nagasaki,dobbiamo «rompere il clima di sfiducia»e prevenire «l’erosione del multilaterali-smo». Nell’interesse della costruzione diuna pace sostenibile, dobbiamo promuo-vere una «cultura dell’incontro» in cuiuomini e donne si scoprano l’un l’a l t rocome membri di una stessa famigliaumana, condividano lo stesso credo. So-lidarietà. Fiducia. Incontro. Bene comu-ne. Non-violenza. Noi crediamo chequesti siano i fondamenti della sicurezzaumana.

La Chiesa sostiene con forza i proget-ti di costruzione della pace che sono es-senziali per le comunità in conflitto epost-conflitto per rispondere al covid-19.Senza il controllo delle armi, è impossi-bile garantire la sicurezza. Senza sicu-rezza, le risposte alla pandemia non so-no complete.

La pandemia dovuta al covid-19, la re-cessione economica e il cambiamentoclimatico rendono sempre più chiara lanecessità di dare priorità alla pace posi-tiva rispetto a concetti ristretti di sicu-rezza nazionale. San Giovanni XXIII se-gnalò già oltre cinquant’anni fa la neces-sità di questa trasformazione ridefinendola pace in termini di riconoscimento, ri-spetto, salvaguardia e promozione deidiritti della persona umana (Pacem interris, 139). Ora più che mai è giunto ilmomento che le nazioni del mondo pas-sino dalla sicurezza nazionale con mezzimilitari alla sicurezza umana comepreoccupazione primaria della politica edelle relazioni internazionali. Ora è ilmomento che la comunità internazionalee la Chiesa sviluppino piani audaci efantasiosi per un’azione collettiva com-misurata alla portata di questa crisi. Oraè il momento di costruire un mondo cherifletta meglio un approccio veramenteintegrale alla pace, allo sviluppo umanoe all’ecologia.

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CO N T I N UA A PA G I N A 6

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Il peggiore impatto medico da covid-19 deveancora venire, avverte l’Organizzazione mon-diale della sanità (Oms). L’impatto finora stagià innescando la più grave perturbazione eco-nomica e sociale dei tempi moderni. Il Fondomonetario internazionale (Fmi) ha già previstoun calo globale del Prodotto interno lordo(Pil) di almeno il 3 per cento. A sua volta que-sto ha un impatto diretto sulla sicurezza a tuttii livelli, da quello interno a quello globale.

Il sostegno al cessate-il-fuoco globale daparte del Consiglio di sicurezza dell’Onu e ilsupporto ricevuto dalla grande maggioranzadegli Stati è un’importante misura di stabiliz-zazione che secondo la nostra opinione po-trebbe essere completata con il congelamentoo la moratoria della produzione e del commer-cio di armi: come ha osservato il Papa, questonon è il momento di fabbricare armi.

Tuttavia, l’Istituto internazionale di ricercasulla pace di Stoccolma (Sipri) osserva uncontinuo aumento della spesa militare. La spe-sa militare globale nel 2019 è stata di 1,9 trilio-ni di dollari Usa (che supera di gran lunga lespese militari globali annuali durante la guerrafredda ed è circa 300 volte il budgetdell’Oms), e alcuni osservatori e funzionarisollecitano un aumento della spesa militare inrisposta alla pandemia da covid-19. Tale spesava dai nuovi programmi di armi nucleari tratutti coloro che già ne sono in possesso, pas-sando per i principali equipaggiamenti delleforze armate convenzionali e le armi di piccolocalibro con esportazioni nelle regioni in con-flitto.

La cosiddetta cyberwar e la criminalità han-no fatto del covid-19 un nuovo teatro di ope-razioni. Anche le organizzazioni criminali sonoimpegnate in attività che non favoriscono lapace e la prosperità in un’area di acuta vulne-rabilità dei sistemi informatici integrati. Letensioni sono in aumento con il covid-19, inalcuni casi diventato un motivo di disputa, ali-mentando quello che la task force per la sicu-rezza della Commissione vaticana per il covid-19 ha descritto come «trappola del conflitto»,«dilemma della sicurezza», ecc.

Devono essere fatte delle scelte. Le fornituremediche, la sicurezza alimentare e la ripresaeconomica incentrata sulla giustizia sociale esull’economia verde richiedono risorse chepossono essere sottratte al settore militare nelcontesto di un rinnovato controllo degli arma-menti. I risultati ottenuti nel controllo degliarmamenti e le strutture dei trattati hanno per-messo di ottenere un dividendo di pacenell’ultima generazione, può esserci dunqueuna rinascita in quest’a re a ?

La sicurezza alimentare è al primo posto edè fondamentale per la sicurezza internazionale.L’Organizzazione delle Nazioni Unite perl’alimentazione e l’agricoltura (Fao), qui a Ro-ma, è stata creata negli anni Quaranta per evi-tare che la fame alimenti un nuovo conflittomondiale; oggi essa mette in evidenza aumen-ti, derivanti dal covid-19, nellafame e nell’interruzione delleforniture alimentari mondiali.Il Programma alimentare mon-diale (Pam) stima già un rad-doppio delle persone che sof-friranno la fame. Lo sviluppoumano integrale richiede unurgente ri-dispiegamento dellerisorse globali per liberare lepersone dal bisogno.

Guardando oltre i bisogniimmediati della fame, abbiamola necessità di un’analisi appro-fondita che forse l’antica pro-spettiva di questa città puòfornire. Una triste innovazionedell’attuale crisi è che essacombina la pandemia da co-vid-19 con l’avventurismo na-zionalista e la disuguaglianzaeconomica visti l’ultima voltaprima del 1914 e del 1939, conl’emergente crollo economicovisto l’ultima volta negli anni Trenta, in com-binazione con le armi nucleari e la rapidacomparsa del fenomeno del cambiamento cli-matico.

Attraverso l’enciclica Populorum progressiodel 26 marzo 1967, che afferma il concetto disviluppo umano integrale, il magistero dellaChiesa anticipa quello che diventerà un im-portante cambiamento di paradigma dopo laseconda guerra mondiale, cioè il passaggiodall’attenzione per la sicurezza nazionale allasicurezza umana e globale, dalla semplice pre-venzione dei conflitti alla costruzione della pa-ce. Insieme ai membri della nostra task forceper la sicurezza ricordiamo che le istituzioniinternazionali del secondo dopoguerra sonostate create per portare e sostenere lo sviluppoe la pace. Alla luce dell’emergenza, della com-plessità e delle sfide interconnesse emerse dallapandemia, potremmo concludere che le risorseumane e finanziarie e la tecnologia dovrebberoessere usate per creare e stimolare strategie, al-leanze e sistemi per proteggere le vite e il pia-neta, non per uccidere le persone e gli ecosi-stemi. Per noi, dunque, il multilateralismo el’attuazione degli Obiettivi di sviluppo soste-nibile (SD GS) sono fondamentali in questo pro-cesso.

Dalla sicurezza nazionalealla sicurezza umana globale

#CommissionevaticanaCovid19

di ALESSIO PECORARIO

Sappiamo bene che il tema è piùcomplicato di quello che sembra: lacorsa agli armamenti è un dilemmache vede gli Stati, per paura degli al-tri Stati, o per voler primeggiare,continuare ad aumentare i propri ar-senali militari. Ma questo genera uncircolo vizioso che non finisce mai,spingendo ad aumentare sempre piùle spese militari. È una competizione

posizionale che spinge a spese irra-zionali pur di mantenere le proprieposizioni. Tale tipo di corsa si arrestasolo con una volontà collettiva di au-todelimitazione. Abbiamo bisogno dileader coraggiosi che dimostrino dicredere al bene comune, che si impe-gnino per garantire quello di cui oggic’è maggior bisogno. Abbiamo biso-gno di un patto collettivo per indiriz-zare le risorse per la sicurezza nellasalute e per il benessere.

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CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 5

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ASua Santità Francesco, Papa dell’antica Sededi Roma: saluti nel Signore!

Nel celebrare con Lei la santissima memoriadi san Pietro, Principe degli Apostoli, e di sanPaolo, Dottore delle Genti e “Apostolo dellalib ertà”, che con gioia hanno proclamato ilVangelo dell’universale economia salvifica divi-na e hanno donato la vita come martiri a Ro-ma, rivolgiamo a Vostra Santità i nostri piùcordiali auguri e La salutiamo con l’abbracciosanto.

L’attuale pandemia del nuovo coronaviruscovid-19 ha reso impossibile la nomina e lapresenza di una Delegazione ufficiale del Pa-triarcato ecumenico presso la Vostra Sede perla Festa patronale della Chiesa di Roma, comeconsuetudine negli ultimi decenni. Partecipia-mo da lontano a questa gioia festosa e veneria-mo qui con devozione le sacre reliquie di Pie-tro, fondatore della Vostra Chiesa e fratello diAndrea, nostro Patrono e primo chiamato tragli Apostoli, mentre attingiamo forza e bene-dizione dalle reliquie di cui Ella ha fatto gene-rosamente dono alla Chiesa di Costantinopoli.

Preghiamo e ci adoperiamo incessantemen-te, Santissimo Fratello, per il progresso deldialogo teologico bilaterale tra le nostre Chie-se e per il cammino verso l’unità. Tale proces-so è arricchito dalle iniziative che condividia-mo e dalle nostre dichiarazioni congiunte di-nanzi alle grandi sfide contemporanee e aiproblemi globali. Abbiamo un approccio co-mune a tali questioni, che poggia “sulla roc-cia” della fede e sulle virtù cristiane fonda-mentali dell’amore e della giustizia. La crea-zione dell’uomo “a immagine” di Dio e il suodestino eterno in Cristo gli conferiscono unvalore insuperabile.

Per tutto il periodo della pandemia siamorimasti colpiti dalla sofferenza di tanti esseriumani, come anche dallo spirito di sacrificio edall’eroismo di medici e infermieri. Sentiamo ilgrido dei malati e dei loro cari, e avvertiamol’angoscia dei disoccupati e di quanti sono indifficoltà a causa delle conseguenze finanziariee sociali della presente crisi. Dinanzi a questadolorosa situazione, la Chiesa è chiamata a da-re la sua testimonianza con le parole e con ifatti.

I testi del Nuovo Testamento sono pieni diracconti di guarigione di malati, una guarigio-ne che si riferisce alla pienezza esistenziale ealla salvezza umana. Cristo è il “medico delleanime e dei corpi” e al tempo stesso Colui che“ha preso le nostre infermità e si è addossatole nostre malattie” (cfr. Mt 8, 17). Nel linguag-gio teologico il peccato è descritto come ma-lattia e si fa largo uso della terminologia medi-

ca per rappresentare l’incorporamento e il rin-novamento dell’uomo nella Chiesa, che è l’in-fermeria e l’ospedale delle anime e dei corpi. ICanoni della Chiesa esistono e servono «per laguarigione delle anime e la cura delle passio-ni» (Canone 2, Concilio in Trullo). Per noi cri-stiani la terapia e la guarigione sono un’antici-pazione della vittoria definitiva della vita sullacorruzione, nonché della trascendenza ultima edell’abolizione della morte. Non è un caso chela Chiesa consideri ilcontributo del medico uncompito sacro, sottoli-neando il rapporto di fi-ducia tra medico e pa-ziente e respingendo inmodo assoluto la perce-zione del malato comeentità impersonale, come“oggetto” e “caso”.

È con questo spiritoche la Chiesa approcciaanche i problemi econo-mici e sociali, evidenzian-do gli aspetti negatividell’attuale modello do-minante di attività finan-ziaria e di sviluppo, cheha al centro la “massi-mizzazione dei profitti”.Se tale principio prevarràunilateralmente anchedurante la fase in cui siaffrontano le conseguen-ze economiche della pan-demia, allora l’umanitàverrà condotta in un’im-passe senza precedenti. Ilfuturo non può apparte-nere all’economismo e al-la “produzione di denaroattraverso il denaro”, senza riferimento all’eco-nomia reale. Esso appartiene a una economiasostenibile, basata sui principi della giustiziasociale e della solidarietà. La soluzione non è“a v e re ” o “avere di più”, bensì “e s s e re ”, cheimplica sempre “essere insieme”. La Chiesapredica la priorità della “re l a z i o n e ” sulla “ac-quisizione”.

Con queste riflessioni e con sinceri senti-menti fraterni, auspichiamo un rapido supera-mento dei problemi che la pandemia ha creatopersino alla vita della Chiesa, nonché gioia nellodato giorno della Vostra Festa patronale,mentre preghiamo che il Datore di ogni beneconceda a Lei, amato Fratello, per intercessio-ne dei santi, gloriosi e ovunque acclamatiApostoli Pietro e Paolo, robusta salute, moltianni e ogni benedizione dall’Alto, a beneficiodella pienezza della Chiesa, della testimonian-za cristiana nel mondo e dell’intera umanità.Ci confermiamo con particolare stima e amoreprofondo nel Signore.

29 giugno 2020

Di vostra Santità affezionato fratello in Cri-sto,

BARTOLOMEO DI CO S TA N T I N O P O L I

A causa delle restrizioni imposte dalla pandemia,quest’anno il Patriarcato ecumenico diCostantinopoli non ha potuto inviare a Roma latradizionale delegazione in occasione dellasolennità dei santi Pietro e Paolo, celebrata daPapa Francesco il 29 giugno nella basilicaVaticana. Per l’occasione il patriarca Bartolomeoha inviato al Pontefice la lettera che pubblichiamoin una traduzione italiana:

La Chiesa come “osp edale”delle anime e dei corpi

Me s s a g g i odel patriarca

Bartolomeoa Papa Francesco

#ecumenismo

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il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 9 luglio 2020

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IL’invo cazionea Maria, confortodei migranti

«Solacium migrantium»,“conforto dei migranti”:è una delle nuoveinvocazioni a Mariaaggiunte dal Papaalle litanie lauretane.E proprio con questo titoloFrancesco ha chiesto aiutoalla Vergine perché proteggai profughi e i rifugiati.Lo ha fatto durantela messa celebratanella cappelladella Casa Santa Marta,in Vaticano, mercoledìmattina, 8 luglio,a sette anni dalla visitacompiuta a Lampedusa.Con il Papahanno concelebratoi due sotto-segretaridella Sezione migrantie rifugiati del Dicasteroper servizio dello sviluppoumano integrale,il cardinale Michael Czernye padre Fabio Baggio,e l’officialepadre Lambert Tonamou.Alla preghiera dei fedelisono state elevate intenzioniper la Chiesa,perché continui a predicareil Vangelo in umiltàe povertà; per quantisono chiamati dal Signorea seguirlo; per le famigliedivise e conflittuali;per coloroche non esercitano piùil ministero sacerdotale;per i partecipantialla mensa eucaristica.

l Salmo responsoriale oggi ci invita a una ri-cerca costante del volto del Signore: «Ricerca-te sempre il volto del Signore. Cercate il Si-gnore e la sua potenza, ricercate sempre il suovolto» (Sal 104). Questa ricerca costituisce unatteggiamento fondamentale della vita del cre-dente, che ha compreso che il fine ultimo dellapropria esistenza è l’incontro con Dio.

La ricerca del volto di Dio è garanzia delbuon esito del nostro viaggio attraverso questomondo, che è un esodo verso la vera TerraPromessa, la Patria celeste. Il volto di Dio è lanostra meta ed è anche la nostra stella polare,che ci permette di non perdere la via.

Il popolo d’Israele, descritto dal profetaOsea nella prima Lettura (cfr. 10, 1-3.7-8.12),all’epoca era un popolo smarrito, che avevaperso di vista la Terra Promessa e vagava neldeserto dell’iniquità. La prosperità e l’abb on-dante ricchezza avevano allontanato il cuoredegli Israeliti dal Signore e l’avevano riempitodi falsità e di ingiustizia.

Si tratta di un peccato da cui anche noi, cri-stiani di oggi, non siamo immuni. «La culturadel benessere, che ci porta a pensare a noistessi, ci rende insensibili alle grida degli altri,ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle,ma non sono nulla, sono l’illusione, illusionedel futile, del provvisorio, che porta all’indiffe-renza verso gli altri, anzi porta alla globalizza-zione dell’indifferenza» (Omelia a Lampedusa,8 luglio 2013).

L’appello di Osea ci raggiunge oggi comeun rinnovato invito alla conversione, a volgerei nostri occhi al Signore per scorgere il suovolto. Dice il profeta: «Seminate per voi se-condo giustizia e mieterete secondo bontà; dis-sodatevi un campo nuovo, perché è tempo dicercare il Signore, finché egli venga e diffondasu di voi la giustizia» (10, 12).

La ricerca del volto di Dio è motivata da unanelito di incontro con il Signore, incontropersonale, un incontro con il suo immensoamore, con la sua potenza che salva. I dodiciApostoli, di cui ci parla il Vangelo di oggi (cfr.Mt 10, 1-7), hanno avuto la grazia di incontrar-lo fisicamente in Gesù Cristo, Figlio di Dioincarnato. Lui li ha chiamati per nome, aduno ad uno — lo abbiamo sentito —, guardan-doli negli occhi; e loro hanno fissato il suovolto, hanno ascoltato la sua voce, hanno vistoi suoi prodigi. L’incontro personale con il Si-gnore, tempo di grazia e di salvezza, comportala missione: «Strada facendo — li esorta Gesù—, predicate, dicendo che il regno dei cieli èvicino» (v. 7). Incontro e missione non vannoseparati.

Questo incontro personale con Gesù Cristoè possibile anche per noi, che siamo i discepo-li del terzo millennio. Protesi alla ricerca delvolto del Signore, lo possiamo riconoscere nelvolto dei poveri, degli ammalati, degli abban-

Ricordo quel giorno, sette anni fa, proprioal Sud dell’Europa, in quell’isola… Alcuni miraccontavano le proprie storie, quanto avevanosofferto per arrivare lì. E c’erano degli inter-preti. Uno raccontava cose terribili nella sualingua, e l’interprete sembrava tradurre bene;ma questo parlava tanto e la traduzione erabreve. “Mah — pensai — si vede che questa lin-gua per esprimersi ha dei giri più lunghi”.Quando sono tornato a casa, il pomeriggio,nella reception, c’era una signora — pace allasua anima, se n’è andata — che era figlia dietiopi. Capiva la lingua e aveva guardato allatv l’incontro. E mi ha detto questo: “Senta,quello che il traduttore etiope Le ha detto nonè nemmeno la quarta parte delle torture, dellesofferenze, che hanno vissuto loro”. Mi hannodato la versione “distillata”. Questo succedeoggi con la Libia: ci danno una versione “di-stillata”. La guerra sì è brutta, lo sappiamo,ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì,in quei lager di detenzione. E questa gente ve-niva soltanto con la speranza e di attraversareil mare.

La Vergine Maria, Solacium migrantium, ciaiuti a scoprire il volto del suo Figlio in tutti ifratelli e le sorelle costretti a fuggire dalla loroterra per tante ingiustizie da cui è ancora af-flitto il nostro mondo.

In fuga dall’inferno dei campidi detenzione

Nel settimoa n n i v e rs a r i odella visita

Francesco ricordale esperienzedei profughi

i n c o n t ra t ia Lampedusa

#copertina

donati e degli stranieri che Dio pone sul no-stro cammino. E questo incontro diventa an-che per noi tempo di grazia e di salvezza, in-vestendoci della stessa missione affidata agliAp ostoli.

Oggi ricorre il settimo anno, settimo anni-versario della mia visita a Lampedusa. Alla lu-ce della Parola di Dio, vorrei ribadire quantodicevo ai partecipanti al meeting “Liberi dallapaura” nel febbraio dello scorso anno: «L’in-contro con l’altro è anche incontro con Cristo.Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa allanostra porta affamato, assetato, forestiero, nu-do, malato, carcerato, chiedendo di essere in-contrato e assistito, chiedendo di poter sbarca-re. E se avessimo ancora qualche dubbio, eccola sua parola chiara: “In verità io vi dico: tuttoquello che avete fatto a uno solo di questi mieifratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)».

«Tutto quello che avete fatto...», nel bene enel male! Questo monito risulta oggi di bru-ciante attualità. Dovremmo usarlo tutti comepunto fondamentale del nostro esame di co-scienza, quello che facciamo tutti i giorni. Pen-so alla Libia, ai campi di detenzione, agli abu-si e alle violenze di cui sono vittime i migranti,ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai re-spingimenti. «Tutto quello che avete fatto…l’avete fatto a me».

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di ALESSANDROGISOTTI

«DD ov’ètuo fratello?

ov’è tuo fratello?, la voce del suo sangue gridafino a me, dice Dio. Questa non è una do-manda rivolta ad altri, è una domanda rivoltaa me, a te, a ciascuno di noi». Sono passatisette anni dalla visita di Papa Francesco aLampedusa e da quella domanda rivoltaall’umanità nella Messa celebrata al camposportivo dell’isola nel cuore del Mediterraneo.Un viaggio durato poche ore e che però è sta-to in qualche modo “p ro g r a m m a t i c o ” per ilPontificato. Lì, nella punta Sud dell’E u ro p a ,Francesco ha mostrato cosa intenda quandoparla di “Chiesa in uscita”. Ha reso visibilel’affermazione che la realtà si vede meglio dal-le periferie che dal centro. In mezzo ai mi-granti fuggiti dalla guerra e dalla miseria, hafatto toccare con mano il suo sogno di una“Chiesa povera e per i poveri”. A Lampedusa,d’altro canto, parlando di Caino e Abele, haanche posto in primo piano l’interrogativo sul-la fratellanza. Domanda fondamentale per ilnostro tempo. O forse, di ogni tempo.

Sull’asse della fratellanza ruota tutto il Pon-tificato di Francesco. “Fr a t e l l i ” è proprio laprima parola che ha rivolto al mondo da Papa,la sera del 13 marzo del 2013. La dimensionedella fratellanza è, se così si può dire, nel Dnadi questo Pontefice che ha scelto il nome delPoverello d’Assisi, un uomo che per sé ha vo-

luto come unico titolo quello di “frate”, f ra t e r,fratello appunto. Fraterno è anche il modo incui definisce il suo rapporto con il Papa emeri-to Benedetto XVI. Dopo la firma del Docu-mento sulla Fratellanza umana, tale cifra delPontificato appare certamente più marcata edevidente a tutti. Eppure, ripercorrendo all’in-dietro i primi sette anni di Pontificato di Fran-cesco, si ritrovano diverse pietre miliari sulcammino che ha condotto alla firma, assieme

al Grande Imam di Al Azhar, dello storico do-cumento ad Abu Dhabi, il 4 febbraio del 2019.Un percorso che ora prosegue, perchéquell’avvenimento in terra araba è stato unpunto di arrivo, certo, ma anche di un nuovoinizio.

Ritornando alla “domanda di Lampedusa”,è particolarmente significativo che il Papa ri-prenda le stesse parole in un’altra visita forte-mente simbolica, quella che compie al Sacrariomilitare di Redipuglia nel centenario dell’ini-zio della Prima guerra mondiale. Anche qui,nel settembre del 2014, torna a risuonare contutta la sua drammaticità il dialogo tra Dio eCaino, dopo l’uccisione del fratello Abele. «Ame che importa? Sono forse io il custode dimio fratello?» (Gen 4, 9). Per Francesco, inquel rifiuto di sentirsi custode del fratello, diogni fratello, sta la radice di tutti i mali chescuotono l’umanità. Questo atteggiamento,sottolinea il Papa, «è esattamente l’opposto diquello che ci chiede Gesù nel Vangelo», «Chisi prende cura del fratello, entra nella gioia delSignore; chi invece non lo fa, chi con le sueomissioni dice: “A me che importa?”, rimanefuori». Con lo scorrere del Pontificato, vedia-mo che la comune appartenenza alla fratellan-za umana viene declinata in tutta la sua multi-forme dinamicità, spaziando dal terreno ecu-menico a quello interreligioso, dalla dimensio-ne sociale a quella politica. Ancora una volta èil poliedro la figura che meglio rappresenta ilpensiero e l’azione di Francesco. La fratellan-za, infatti, ha tante sfaccettature. Tante quantisono gli uomini e le relazioni tra loro.

Francesco parla di fratelli nell’incontro dipreghiera e di pace nei Giardini Vaticani conShimon Peres e Abu Mazen. «La vostra pre-senza», sottolinea rivolgendosi al leader israe-liano e a quello palestinese, «è un grande se-gno di fraternità, che compite quali figli diAbramo, ed espressione concreta di fiducia inDio, Signore della storia, che oggi ci guardacome fratelli l’uno dell’altro e desidera condur-ci sulle sue vie». Nel nome della fratellanza,vivificata dalla comune fede in Cristo, si rea-lizza anche l’incontro, impensabile fino a po-chi anni prima, del Vescovo di Roma con ilPatriarca di Mosca, evento benedetto dal Pa-triarca di Costantinopoli, il fratello Bartolo-meo I. A Cuba, Francesco e Kirill firmano undocumento comune che, nel suo incipit, sotto-

Una visitadurata poche oreche ha datoun segnop ro g ra m m a t i c oal pontificatodi Francesco

Il saluto ad alcuni migrantia Lampedusa sette anni fa

#copertina

CO N T I N UA A PA G I N A 15

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S

L

Il cordoglio di Papa Francescoper la morte di Georg Ratzinger

ei ha avuto la delicatezza di comunicarmi perprimo la notizia del decesso del suo amato fra-tello Mons. Georg. Desidero rinnovarLel’espressione del mio più sentito cordoglio edella spirituale vicinanza in questo momentodi dolore.

Assicuro la mia preghiera di suffragio per ilcompianto defunto, affinché il Signore dellavita, nella sua bontà misericordiosa, lo intro-duca nella patria del cielo e gli conceda ilpremio preparato per i fedeli servitori del Van-gelo.

Appresa la notizia della morte del fratello di Benedetto XVI, monsignor Georg Ratzinger — avvenutamercoledì 1° luglio — Francesco ha inviato al Papa emerito la lettera che pubblichiamo di seguito.

A Sua SantitàBenedetto XVIPapa emerito

E prego anche per Lei, Santità, invocandodal Padre, per intercessione della Beata Vergi-ne Maria, il sostegno della speranza cristiana ela tenera consolazione divina.

Sempre uniti nell’adesione al Cristo risorto,sorgente di speranza e di pace.

Filialmente e fraternamente

FRANCESCO

Dal Vaticano, 2 luglio 2020

QuandoGeorg Ratzinger

ra c c o n t a v ala sua vita

e il suo legamecon il fratello

Joseph

#ricordo

e c’è una parola per descrivere il legame cheper un’intera vita ha tenuto uniti i fratelli Rat-zinger, quella parola è famiglia. L’immaginedel Papa emerito, provato dagli anni, che neigiorni scorsi ha voluto con tutte le sue forzeraggiungere il capezzale del fratello per stargliaccanto nell’ultimo tratto del suo percorso ter-reno, è stata solo il sigillo, l’espressione visibilea tutti di un filo d’amore che anche nelle cir-costanze meno note ha sempre intrecciato leloro esistenze. E quel filo, che anche oggi —dopo la morte di monsignor Georg, avvenutamercoledì 1° luglio — continua nella fede aunire strettamente i due fratelli, si chiama ap-punto famiglia.

Una vicinanza intima e discreta che si com-prende riandando alle radici della loro storiacomune e delle loro scelte di fede.

Georg, nato nel 1924, era più grande di treanni, non tanti da impedire di condividere ilproprio cammino con Joseph sin dalla fanciul-lezza. Gli anni della loro prima infanzia a Tit-tmoning, in Baviera, e poi ad Aschau sonodensi di ricordi, di tanti momenti di condivi-sione familiare, di piccoli “rituali” che scandi-vano i giorni e le ricorrenze. Come quandopapà Joseph li portava, insieme alla sorellaMaria, al santuario della Madonna Nera di Al-tötting: «Quelle visite — raccontava Georg nel2011 nel libro intervista Mio fratello Papa, scrit-to con Michael Hesemann — fanno parte deiricordi più belli della nostra infanzia. L’atmo-

sfera così pregna della presenza divina graziealle preghiere incessanti dei fedeli ha sempreaffascinato molto mio fratello e me: essere cre-sciuti respirando quel clima ha avuto un ruoloimportante nella nostra vita e nella nostra for-mazione. Potevamo sempre confidare a Mariale nostre paure e i nostri bisogni e sebbenequesti fossero di poco conto durante l’infan-zia, ci sentivamo sempre protetti da lei».

O come quando, a Natale, i fratelli uscivanocon lo slittino sulla neve, mentre la mammaMaria addobbava l’albero. Dopo la recita delrosario in cucina, il suono di una campanellali chiamava in soggiorno e lì c’era un piccoloabete rosso e sul tavolo i regali: «Questa scena— diceva — ci colpiva sempre molto, anchegrazie alla luce creata dalle candele che diffon-devano un profumo meraviglioso (...) Poi pa-pà leggeva il vangelo che raccontava della na-tività secondo Luca e intonavamo alcuni cantidi Natale (...) Una volta, nel 1936, quando erogià al liceo, scrissi io stesso una piccola com-

Nella famiglia le radicidi una fede comune

di MAU R I Z I O FO N TA N A

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posizione. La eseguimmo in tre, mia sorellaall’armonium, mio fratello al pianoforte e iocon il violino. La mamma si commosse fino al-le lacrime e anche papà rimase colpito daquell’esibizione, sebbene in modo più sobrio».

Le radici della loro fede erano proprio inquesta quotidianità semplice, sostenuta da unforte senso di comunità domestica. In famigliasi pregava insieme tutti i giorni prima e dopoogni pasto, ma soprattutto dopo pranzo,quando ognuno poteva esprimere le proprie ri-chieste particolari. E si invocava anche san Di-sma, il “buon ladrone” che si pentì sulla crocee chiese perdono: si rivolgevamo a lui comepatrono dei malfattori pentiti, perché proteg-gesse papà Joseph durante lo svolgimento delsuo lavoro di gendarme.

Più grandicelli, i due fratelli servivano insie-me all’altare come chierichetti. Furono anni —quelli che precedettero lo scoppio della guerramondiale — ricchi di spensieratezza, di passa-tempi semplici e di passione per la musica.Una passione che li ha accompagnati fino allavecchiaia, con quel talento speciale di cuiGeorg godeva e che segnò la strada della suavita nella quale brilla la direzione, pert re n t ’anni, dal 1964 al 1994, del coro della cat-tedrale di Ratisbona, i Regensburger Domspat-zen. Georg ricordava con limpidezza l’emozio-ne di quando, nel 1941, insieme al fratello rag-giunse in bicicletta Salisburgo per ascoltare iRegensburger Domspatzen che eseguivano alcunibrani del Requiem di Mozart: «Eravamo entu-siasti, la musica era stupenda. In quel momen-to non potevo certo immaginare che ventitréanni dopo sarei stato io il responsabile di quelgruppo, ma fu proprio quello che accadde».

E anche la vocazione sacerdotale dei duefratelli ha visto intrecciarsi strettamente i loropercorsi. «Non so — ricordava Georg — se inqualche modo io sia stato di esempio per miofratello. Sicuramente egli vedeva nella miaesperienza quella che sarebbe stata la sua,quando decise, di sua volontà, di seguirmi suquesta via». Una vocazione comune che rin-saldò, ancora di più, nella solidarietà l’interafamiglia, costretta a non pochi sacrifici per ga-rantire ai due gli studi in seminario.

L’esperienza della guerra interruppe il per-corso di formazione in seminario. E i due fra-telli dovettero rispondere in modi diversi aglieventi che precipitavano. Nel 1942 Georg ven-ne arruolato nel Reichsarbeitsdienst, e in seguitonella We h r m a c h t , con la quale combattè anchein Italia. Catturato dagli Alleati nel marzo1945, resta prigioniero a Napoli per alcuni me-si prima di essere rilasciato e di poter far ritor-no in famiglia.

Un’esperienza che incise sui due fratelli,non solo per la lontananza fisica cui furonocostretti, ma che li segnò anche in quello chepotremmo definire il loro “cammino condivi-so”. Georg ne parlava così: «L’aver superatosenza conseguenze le brutte esperienze dellaguerra rafforzò in me e in mio fratello la con-vinzione che Dio avesse dei progetti per noi.Le disavventure di quegli anni ci avevano fattoconfrontare con la paura, un sentimento chefino ad allora non avevamo ancora provato.Eravamo stati costretti a vivere in un mondoche prima ci era completamente ignoto e chenon avremmo mai immaginato così brutale.Avevamo letteralmente visto la morte in faccia.Tutto questo ci aveva cambiati profondamente,facendoci comprendere l’importanza di moltecose che prima consideravamo ovvie e confer-mandoci sempre più nella nostra intenzione didiventare sacerdoti».

Ripresero tutti e due gli studi filosofici aFrisinga, dove i compagni, li chiamavano si-gnificativamente l’uno Bücher-Ratz (“il Ratzdei libri”) e l’altro O rg e l - R a t z (“il Ratz dell’or-

gano”). Poi, completati i corsi di teologia (perquesti Joseph si trasferì a Monaco), arrivò ilgiorno più importante della loro vita, vissutouno accanto all’altro. Il 29 giugno 1951 i duefratelli vennero ordinati sacerdoti nella catte-drale di Frisinga dal cardinale Michael vonFaulhaber. Una festa alla quale partecipò tuttala città. «Non appena entrammo nel duomo,l’organo iniziò a suonare, mentre il coro canta-va. La nostra liturgia ci regala davvero mo-menti meravigliosi! (…) In noi si rinforzò lacertezza che con l’imposizione delle mani co-minciava un nuovo capitolo della nostra esi-stenza, che sarebbe stata colma della presenzadi Dio e ricca di benedizioni».

Dopo l’ordinazione, i percorsi dei due fra-telli imboccarono direzioni decisamente diffe-renti, con Joseph, addirittura, portato nel tem-po a lasciare definitivamente la Germania, de-stinazione Roma.

Ma sempre quel filo tenace che li univa,quel sentirsi “famiglia” anche a centinaia dichilometri di distanza, li ha richiamati spessoper trascorrere del tempo insieme. Erano i mo-menti in cui si rivedevano per qualche giornodi vacanza: lunghe passeggiate e chiacchieratenella natura. Erano le feste, come il Natale, dapassare tutti insieme, rivivendo in famiglia ge-sti e devozioni depositati nei ricordi bambini.Erano anche i momenti tristi, della condivisio-ne del dolore, quando nel 1959 morì papà Jo-seph, quando, dopo le sofferenze della malat-tia, nel 1963 fu la mamma a essere chiamatadal Signore e quando scomparve l’amata sorel-la nel 1991.

E quando poi, il fratello divenne BenedettoXVI, fu Georg a raggiungerlo più volte in Vati-cano o a Castel Gandolfo. Come sempre, cuo-re a cuore, condividendo la gioia e la ricchezzadi essere famiglia. E pregando insieme. Rac-contava Georg sempre nel 2011: «Guida lui lapreghiera: dopo la messa del mattino, di po-meriggio i vespri e la sera la compieta, perchéio non riesco più da solo. Prima di coricarci, avolte mi chiede di eseguirgli qualche brano alpianoforte. Scelgo canti religiosi o popolari,come Im schönnsten Wiesengrund, ma anchebrani come Der Mond is aufgegangen o p p u reAdieu zur guten Nacht, molto semplici. Invecenel periodo dell’Avvento, com’è normale, pre-diligo inni natalizi».

Come tanti anni prima ad Aschau, quandofuori c’era la neve, loro recitavano il rosario emamma Maria addobbava l’alb ero.

#ricordo

I funeralia Regensburg

«Dio ti ricompensi per tuttoquello che hai fatto, che haisofferto e che mi haidonato»: è stato questol’ultimo saluto cheBenedetto XVI ha inviato al«caro fratello Georg», delquale sono stati celebrati ifunerali la mattina dimercoledì 8 luglio, nelduomo di Regensburg. IlPapa emerito — che dalVaticano ha seguito indiretta streaming le esequiepresiedute dal vescovo diRegensburg, RudolfVoderholzer — ha affidato lasua preghiera e il suoricordo del fratello a unalettera, indirizzata al presulecelebrante e lettadall’arcivescovo GeorgGänswein al termine dellamessa. Grato al Signore peravergli concesso il donointeriore di capire, nellescorse settimane, che eragiunto il momento ditornare in Germania avisitare il fratello malato,Benedetto XVI ha rievocatoquei giorni cosìemotivamente intensi:«Quando gli ho detto addiola mattina di lunedì 22giugno, sapevamo chesarebbe stato un addio daquesto mondo per sempre.Ma sapevamo anche che ilbuon Dio, che ci ha donatoil nostro stare insieme inquesto mondo, regna anchenell’altro mondo e lì cipermetterà di riunirci dinuovo». Cor ad cor loquitor: ilPapa emerito ha citatoanche il motto del cardinaleNewman per esprimere lasua sorpresa e la suagratitudine nel ricevere, inquesti giorni, numerosiattestati di vicinanza damolte persone. E nonpotendo ringraziarle unaper una, le ha accomunatiin un unico idealeabbraccio. Joseph Ratzingerha quindi tracciato un breveprofilo del fratello,richiamandone trecaratteristiche. Innanzituttoha fatto cenno alla suavocazione sacerdotalevissuta anche attraverso lamusica e, in particolare,attraverso il servizio comeDomkappellmeister aRegensburg: «Ho potutosperimentare — ha scritto —come egli sia stato, e si siacontinuamente realizzatocome uomo sacerdotale,essendo prete e musicista».Georg Ratzinger, haricordato il fratello, erapersona di «allegrasocievolezza», di«umorismo» e pieno di«gioia per i buoni donidella creazione». Allo stessotempo, «era un uomo diparola diretta, che esprimevaapertamente le sueconvinzioni». Capace diaccettare e superareinteriormente la grandedifficoltà di aver vissuto peroltre vent’anni in una cecitàquasi totale, egli era «unuomo di Dio».

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Quest’anno, il prossimo 8 dicembre, ricorre il 55°anniversario della fine del concilio Vaticano II.Un evento che in questo periodo sta suscitan-do un nuovo dibattito nella comunità ecclesia-le, di fronte a chi ne prende sempre più le di-stanze e a chi ne vuole ridimensionare la por-tata e il significato.

Benedetto XVI ha usato una parola forte: haparlato di una «nuova Pentecoste». Lui è statoun testimone diretto del concilio, partecipandoin veste di esperto, al seguito del cardinaleFrings, e poi come perito ufficiale: «Sperava-mo che tutto si rinnovasse — ha detto ai sacer-doti di Roma il 14 febbraio 2013 — che venisseveramente una nuova Pentecoste, una nuovaera nella Chiesa (…) si sentiva che la Chiesanon andava avanti, si riduceva, che sembravapiuttosto una realtà del passato e non la porta-trice del futuro. E in quel momento, sperava-mo che questa relazione si rinnovasse, cam-biasse; che la Chiesa fosse di nuovo forza deldomani e forza dell’oggi». E citando GiovanniPaolo II nell’udienza generale del 10 ottobre2012, fa sua la definizione del «Concilio comela grande grazia di cui la Chiesa ha beneficia-to nel XX secolo: in esso ci è offerta una sicurabussola per orientarci nel cammino del secoloche si apre» (Novo millennio ineunte, 57): il «ve-ro motore» del concilio — aggiunge — è statolo Spirito Santo. Dunque, una nuova Penteco-ste: non per creare una nuova Chiesa, ma per«una nuova era nella Chiesa».

Ciò che il concilio ha mostrato con più evi-denza è che l’autentico sviluppo della dottrina,che viene trasmessa di generazione in genera-zione, si realizza in un popolo che camminaunito guidato dallo Spirito Santo. È il cuoredel celebre discorso di Benedetto XVI alla Cu-ria romana del 22 dicembre 2005. Benedettoparla di due ermeneutiche: quella della discon-tinuità e della rottura e quella della riforma edel rinnovamento nella continuità. La «giustaermeneutica» è quella che vede la Chiesa co-me «un soggetto che cresce nel tempo e si svi-luppa, rimanendo però sempre lo stesso, unicosoggetto del Popolo di Dio in cammino». Be-nedetto parla di una «sintesi di fedeltà e dina-mica». La fedeltà è in movimento, non è stasi,è un cammino che avanza sulla stessa strada, èun seme che si sviluppa e diventa albero cheamplia sempre di più i suoi rami, fiorisce eproduce frutto: come una pianta viva, da unaparte cresce, dall’altra ha radici che non sipossono tagliare.

Ma come giustificare un rinnovamento nellacontinuità di fronte a certi cambiamenti fortiavvenuti nella storia della Chiesa? A partire daquando Pietro battezza i primi pagani su cui èdisceso lo Spirito Santo e dice: «In verità storendendomi conto che Dio non fa preferenzedi persone, ma chi lo teme e pratica la giusti-

zia, a qualunque popolo appartenga, è a luiaccetto» (At t i , 10, 34-35). I circoncisi lo rim-proverano, ma quando Pietro spiega quanto èavvenuto tutti glorificano Dio dicendo: «Dun-que anche ai pagani Dio ha concesso che siconvertano perché abbiano la vita!» (At t i , 11,18). È lo Spirito che indica il da farsi e famuovere, fa andare avanti. In 2000 anni distoria, tanti sono stati i cambiamenti nellaChiesa: la dottrina sulla salvezza dei non bat-tezzati, l’uso della violenza in nome della veri-tà, la questione della donna e dei laici, il rap-porto tra fede e scienza, l’interpretazione dellaBibbia, il rapporto con i non cattolici, gli ebreie i seguaci delle altre religioni, la libertà reli-giosa, la distinzione tra sfera civile e religiosa,solo per citare alcuni temi. Benedetto XVI, nel-lo stesso discorso alla Curia, lo riconosce: sucerti temi si è «manifestata di fatto una di-scontinuità». Per esempio, al di là dei ragiona-menti filosofici, teologici o di contestualizza-zione storica per dimostrare una certa conti-nuità, prima si diceva no alla libertà di cultoper i non cattolici in un Paese cattolico e poisi è detto sì. Dunque, una indicazione ben di-versa nella pratica.

Benedetto XVI usa parole significative: «Do-vevamo imparare a capire più concretamentedi prima», «si richiedeva un ampio ripensa-mento», «imparare a riconoscere». Come Pie-tro che, dopo la Pentecoste, ancora deve capi-re cose nuove, ancora deve imparare, ancoradeve dire: «Sto rendendomi conto che…».Non abbiamo la verità in tasca, non «posse-diamo» la verità come una cosa, ma apparte-niamo alla Verità: e la Verità cristiana non èun concetto, è il Dio vivo che continua a par-lare. E riferendosi alla Dichiarazione conciliaresulla libertà religiosa, Benedetto XVI afferma:«Il concilio Vaticano II, riconoscendo e facen-do suo con il Decreto sulla libertà religiosa unprincipio essenziale dello Stato moderno, haripreso nuovamente il patrimonio più profon-do della Chiesa. Essa può essere consapevoledi trovarsi con ciò in piena sintonia con l’inse-gnamento di Gesù stesso (cfr. Ma t t e o , 22, 21),come anche con la Chiesa dei martiri, con imartiri di tutti i tempi». E aggiunge: «Il con-cilio Vaticano II (…) ha rivisto o anche corret-to alcune decisioni storiche, ma in questa ap-parente discontinuità ha invece mantenuto edapprofondito la sua intima natura e la sua veraidentità. La Chiesa è, tanto prima quanto do-po il concilio, la stessa Chiesa una, santa, cat-tolica ed apostolica in cammino attraverso itempi».

Allora si vede meglio che la continuità nonè semplicemente una dimensione logica, razio-nale o storica, è molto di più: è una continuitàspirituale in cui lo stesso e unico Popolo diDio cammina unito, docile alle indicazionidello Spirito. L’ermeneutica della rottura è at-tuata da quanti in questo cammino si separanodalla comunità, rompono l’unità, perché o sifermano o vanno troppo avanti. Benedettoparla dei due estremi: quelli che coltivano«nostalgie anacronistiche» e quelli delle «corsein avanti» (Messa 11 ottobre 2012). Non ascol-tano più lo Spirito che chiede una fedeltà di-namica, ma seguono le proprie idee, si attacca-no solo all’antico o solo al nuovo e non sannopiù mettere insieme le cose antiche e le cosenuove, come fa il discepolo del regno dei cieli.

Dopo i grandi Papi che lo hanno preceduto,è arrivato Francesco. Sta seguendo la scia deipredecessori: è il seme che si sviluppa e cresce.La Chiesa va avanti. Tante notizie distorte ofalse vengono messe in circolazione su France-sco, come del resto è accaduto con il predeces-sore Benedetto e con tanti altri Successori diPietro. Non sono cambiati i dogmi o i coman-

Un semeche continuaa crescere

R i c o rd a n d ola “nuovaPentecoste”del Vaticano II

#concilio

di SERGIO CE N T O FA N T I

Lello Scorzelli, «La chiusuradel concilio ecumenico

Vaticano II»

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L’Osservatore Romanogiovedì 9 luglio 2020il Settimanale

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damenti né i sacramenti né i principi sulla di-fesa della vita, la famiglia, l’educazione. Nonsono cambiate le virtù teologali o quelle cardi-nali e neanche i peccati capitali. Per capiremeglio la novità nella continuità di Francesco,andando oltre le distorsioni e le palesi falsità,bisogna leggere l’esortazione apostolica Evan-gelii gaudium, testo programmatico del Pontifi-cato. Inizia così: «La gioia del Vangelo riem-pie il cuore e la vita intera di coloro che si in-contrano con Gesù. Coloro che si lasciano sal-vare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tri-stezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce lagioia». La prima cosa è la gioia dell’i n c o n t rocon Gesù, nostro Salvatore. Il Papa invita a«recuperare la freschezza originale del Vange-lo» e a trasmetterla a tutti. Chiede di concen-trarsi sull’essenziale, l’amore di Dio e del pros-simo, evitando una modalità di annuncio «os-sessionata dalla trasmissione disarticolata diuna moltitudine di dottrine che si tenta di im-porre a forza di insistere (…) in questo nucleofondamentale ciò che risplende è la bellezzadell’amore salvifico di Dio manifestato in Ge-sù Cristo morto e risorto». Invece, succedeche si parli «più della legge che della grazia,più della Chiesa che di Gesù Cristo, più delPapa che della Parola di Dio». Esorta a far ri-suonare sempre il primo annuncio: «Gesù Cri-sto ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, eadesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per il-luminarti, per rafforzarti, per liberarti». Chie-de uno stile di «vicinanza, apertura al dialogo,pazienza, accoglienza cordiale che non con-danna». Indica l’arte dell’accompagnamento,«perché tutti imparino sempre a togliersi isandali davanti alla terra sacra dell’altro» chebisogna vedere «con uno sguardo rispettoso epieno di compassione ma che nel medesimotempo sani, liberi e incoraggi a maturare nellavita cristiana».

Desidera una Chiesa dalle porte aperte:«Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovreb-bero chiudere per una ragione qualsiasi». Così«l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezzadella vita sacramentale, non è un premio per iperfetti ma un generoso rimedio e un alimentoper i deboli. Queste convinzioni hanno ancheconseguenze pastorali che siamo chiamati aconsiderare con prudenza e audacia. Di fre-quente ci comportiamo come controllori dellagrazia e non come facilitatori. Ma la Chiesanon è una dogana, è la casa paterna dove c’èposto per ciascuno con la sua vita faticosa».Di qui il suggerimento di avviare percorsi didiscernimento caso per caso che valutinol’eventuale ammissione ai sacramenti per chivive in situazioni irregolari, come viene accen-nato dall’esortazione Amoris laetitia. È un pas-so che ha come fine quello di avvicinare e ac-compagnare guardando alla salvezza delle per-sone e alla misericordia di Gesù. Le normepossono diventare pietre come è accaduto alladonna sorpresa in adulterio. E anche certe do-mande di oggi ricordano quelle che gli scribi ei farisei hanno posto a Gesù 2000 anni fa:«Maestro, questa donna è stata sorpresa in fla-grante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci hacomandato di lapidare donne come questa. Tuche ne dici?» (Giovanni, 8, 4-5). La risposta diGesù la conosciamo.

Francesco non fa che proseguire il camminosulla via del concilio. Una continuità spiritua-le, perché lo Spirito continua a parlare. «Ilpiccolo seme che Giovanni XXIII depose — af-fermava san Giovanni Paolo II il 27 febbraiodel 2000 — è cresciuto dando vita a un alberoche allarga ormai i suoi rami maestosi e pos-senti nella Vigna del Signore. Molti frutti essoha già dato (…) e molti ancora ne darà neglianni che verranno. Una nuova stagione si apre

dinanzi ai nostri occhi (…) Il concilio ecume-nico Vaticano II è stato una vera profezia perla vita della Chiesa; continuerà ad esserlo permolti anni del terzo millennio appena inizia-to».

Oggi come ieri. Aprendo il concilio l’11 ot-tobre 1962, san Giovanni XXIII affermava:«Sp esso… avviene … che, non senza offesaper le Nostre orecchie, ci vengano riferite levoci di alcuni che, sebbene accesi di zelo perla religione, valutano… i fatti senza sufficienteobiettività né prudente giudizio. Nelle attualicondizioni della società umana essi non sonocapaci di vedere altro che rovine e guai; vannodicendo che i nostri tempi, se si confrontanocon i secoli passati, risultano del tutto peggio-ri; e arrivano fino al punto di comportarsi co-me se non avessero nulla da imparare dallastoria, che è maestra di vita, e come se ai tem-pi dei precedenti concili tutto procedesse feli-cemente quanto alla dottrina cristiana, allamorale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noisembra di dover risolutamente dissentire dacodesti profeti di sventura, che annunzianosempre il peggio, quasi incombesse la fine delmondo». E parlando degli errori di caratteredottrinale aggiungeva: «Non c’è nessun tempoin cui la Chiesa non si sia opposta a questi er-rori; spesso li ha anche condannati, e talvoltacon la massima severità. Quanto al tempo pre-sente, la Sposa di Cristo preferisce usare lamedicina della misericordia invece di imbrac-ciare le armi del rigore; pensa che si debba an-dare incontro alle necessità odierne, esponen-do più chiaramente il valore del suo insegna-mento piuttosto che condannando».

A chiusura del concilio, l’8 dicembre 1965,san Paolo VI nel suo «saluto universale» affer-mava: «Per la Chiesa cattolica nessuno è estra-neo, nessuno è escluso, nessuno è lontano …questo Nostro universale saluto rivolgiamo an-che a voi, uomini che non Ci conoscete; uomi-ni, che non Ci comprendete; uomini, che nonCi credete a voi utili, necessari, ed amici; e an-che a voi, uomini, che, forse pensando di farbene, Ci avversate! Un saluto sincero, un salu-to discreto, ma pieno di speranza; ed oggi,credetelo, pieno di stima e di amore … Ecco,questo è il Nostro saluto: possa esso accenderequesta nuova scintilla della divina carità neinostri cuori; una scintilla, la quale può darfuoco ai principii, alle dottrine e ai propositi,che il concilio ha predisposti, e che, così in-fiammati di carità, possono davvero operarenella Chiesa e nel mondo quel rinnovamentodi pensieri, di attività, di costumi, e di forzamorale e di gaudio e di speranza, ch’è stato loscopo stesso del concilio».

In questo tempo in cui la Chiesa cattolica èattraversata in modo particolare da contrasti edivisioni, ci fa bene ricordare le esortazioni disan Paolo alle prime comunità cristiane. AiGalati ricorda che «tutta la legge (…) trova lasua pienezza in un solo precetto: amerai ilprossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordetee divorate a vicenda — avverte — guardate al-meno di non distruggervi del tutto gli uni glialtri! Vi dico dunque: camminate secondo loSpirito» (Galati, 5, 14-16). E agli Efesini ag-giunge: «Nessuna parola cattiva esca più dallavostra bocca; ma piuttosto parole buone chepossano servire per la necessaria edificazione,giovando a quelli che ascoltano. E non voglia-te rattristare lo Spirito Santo di Dio, col qualefoste segnati per il giorno della redenzione.Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira,clamore e maldicenza con ogni sorta di mali-gnità. Siate invece benevoli gli uni verso glialtri, misericordiosi, perdonandovi a vicendacome Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Efe-sini, 4, 29-32). Cosa succederebbe se mettessi-mo in pratica sine glossa questa Parola?

#concilio

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Pa z i e n z ae tolleranzaUn famoso poeta affermava che «entrambi leggiamola stessa Bibbia giorno e notte, ma tu leggi nero do-ve io leggo bianco» (William Blake). Questo ci facapire che la varietà della mente, dei cuori, delleesperienze forma un arcobaleno dotato di un suo fa-scino.

E uno statista tedesco notava che: «Viviamo tuttisotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo lo stessoorizzonte». La diversità è strutturale alla realtà.

È quanto vuole insegnare Gesù, con la paraboladella zizzania.

C’è la tentazione ricorrente di dividere la Chiesa,le comunità, in buoni e cattivi, i “nostri”, e “gli al-tri”. Qualcuno ha detto: «Non innamoriamoci trop-po delle nostre verità, potremmo avere brutte sor-p re s e ! » .

Ma il padrone del campo si preoccupa soprattut-to della salvezza del grano. E Gesù insegna il valoredel rispetto e della tolleranza.

Non dobbiamo avere la pretesa di classificare tut-te le cose in due categorie ben distinte: bene e male,verità ed errore. Anche l’eresia può contenere unaparte di verità, e la buona dottrina può contenerequalche errore.

«Non crediamoci i monopolizzatori del vero.Sappiamo riconoscere la verità anche nell’avversarioincredulo, seppure incompleta! E godiamo della ve-rità. Dio è verità» (Don Primo Mazzolari).

Occorre pazienza e tolleranza. Mentre ognuno dinoi deve impegnarsi a voler essere il buon grano,lievito nella pasta. Solo così il piccolo seme perdutonel campo del mondo germoglierà e crescerà a pocoa poco, fino a diventare un albero grande ricco difiori, di frutti, di vita.

19 luglioXVI domenicadel Tempoo rd i n a r i oSap 12, 13.16-19Sal 85Rm 8, 26-27Mt 13, 24-43

#spuntidiriflessione

di LEONARD OSAPIENZA

linea: «Con gioia ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cri-stiana che si incontrano per “parlare a viva voce”». Fratellanzaè pure la parola chiave che ci permette di decodificare uno de-gli atti più forti e sorprendenti del Pontificato: il gesto di ingi-nocchiarsi a baciare i piedi dei leader del Sud Sudan convocatiin Vaticano per un ritiro spirituale e di pace. «A voi tre, cheavete firmato l’Accordo di pace — dice il Papa con parole acco-rate — vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chie-do con il cuore. Andiamo avanti».

Se dunque il Documento di Abu Dhabi è stato come la fiori-tura di semi piantati all’inizio e poi lungo il Pontificato, certa-mente il “cambiamento d’ep o ca” che stiamo vivendo, acceleratodalla pandemia, rende improrogabile l’assunzione di responsa-bilità rispetto alla questione della fratellanza umana. «Dov’ètuo fratello?». Quella domanda-appello, levata nella mattina as-solata dell’8 luglio 2013 a Lampedusa, è oggi “la” domanda. Ilmondo, convinto di poter fare da sé, di poter andare avanti nel-la logica egoista del “si è sempre fatto così”, si è invece ritrova-to a terra, incredulo e impotente di fronte ad un nemico invisi-bile e inafferrabile. E ora fa fatica a rialzarsi perché non trovala base giusta per sorreggersi. Questa base, ci ripete Francesco,

è la fratellanza. Lì sono le uniche fondamenta su cui costruireuna casa solida per l’umanità.

Il coronavirus ha mostrato drammaticamente che, per quantosiano differenti i livelli di sviluppo tra le nazioni e di redditoall’interno delle nazioni, siamo tutti vulnerabili. Siamo fratellisulla stessa barca, agitata dalle onde di una tempesta che colpi-sce tutti e ciascuno indistintamente. «Con la tempesta — affer-ma il Papa sotto la pioggia il 27 marzo nella piazza San Pietrovuota — è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui masche-ravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagi-ne; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta)appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’ap-partenenza come fratelli». Ecco cosa può risvegliare le nostrecoscienze un po’ anestetizzate dinnanzi alle tante “pandemie”,come la guerra e la fame, che hanno bussato alle nostre porte,ma di cui non ci siamo curati perché non sono riuscite ad en-trare in casa. «Ci sono tante altre pandemie che fanno morire lagente — ha ricordato Francesco nella Messa a Santa Marta del14 maggio — e noi non ce ne accorgiamo, guardiamo da un’al-tra parte». Oggi come sette anni fa a Lampedusa, il Papa ci di-ce che non dobbiamo guardare dall’altra parte, perché se vera-mente ci sentiamo fratelli, membra gli uni degli altri, l’altra par-te non esiste. L’altra parte siamo noi.

D ov’è tuo fratello?CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 10

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La famiglia ha bisognodi essere protetta. Tanti sono

i pericoli che affronta: il ritmodella vita, lo stress...

A volte i genitori dimenticanodi giocare con i propri figli.

La Chiesa deve incoraggiarele famiglie e stare loro accanto,

aiutandole a scoprire vieche permettano loro

di superare tutte queste difficoltàPreghiamo affinché le famiglie

di oggi siano accompagnatecon amore, rispetto e consiglio,

e in particolare venganoprotette dagli Stati

(Rete mondiale di preghiera del Papaintenzione per il mese di luglio)

#controcopertina