L'odissea di Zoster - CompraeBook.com · al momento l’uso dell’effetto fionda era diventata la...

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  • Presentazione Le teorie con cui viene narrata la comparsa e l’evoluzione dell’uomo sulla Terra, non hanno mai convinto l’autore di questo libro; che siano esse descritte da evoluzionisti, o ancora meno, imposte da istituzioni teocratiche. Non è credibile, infatti, che il nostro pianeta sia stato creato cinquemila anni fa, perché siamo in possesso di reperti antecedenti quella data di molti milioni d’anni ed ancora più incredibile, per chi ha un minimo di raziocinio, risulta accettare che l’artefice di una simile creazione non fosse a conoscenza dei meccanismi che la regolano, tanto da imporne una descrizione senza fondamento alcuno. Ma, la teoria evoluzionista in quanto a lacune non è da meno. Innanzitutto non riesce a fornire spiegazioni esaurienti per quanto concerne la specie da cui si è evoluto l’uomo. Le scimmie sono rimaste tali e i resti di individui che hanno caratteristiche vagamente umane si attestano intorno al milione d’anni. Ma, ammesso che a costoro si possano attribuire con certezza le nostre origini, questo periodo, considerate le doti fisiche e cognitive che gli vengono attribuite, è da ritenersi sufficiente a prepararlo in modo da renderlo idoneo alle sfide che lo attendono agli albori della storia? Improvvisamente noi ci imbattiamo in comunità umane con conoscenze ben strutturate e una manualità di tutto rispetto che nulla hanno da spartire con coloro che li hanno preceduti. Comunque sia, il problema più ostico si pone quando noi proviamo a immedesimarci nell’animale uomo al momento della sua nascita, quando deve confrontarsi con un ambiente assolutamente ostile senza il minimo strumento con cui difendersi e senza cognizioni che gli consentano di districarsi in una simile situazione. Tale individuo avrebbe dovuto scontrarsi con specie ben più dotate che in una condizione di estrema competizione ed il numero esiguo di suoi simili che la logica lascia supporre, non avrebbe avuto la benché minima probabilità di salvezza. In conseguenza di ciò, appare evidente che l’essere umano non può avere origini terrestri, infatti, tutti gli altri esseri viventi originari di questo pianeta sono prodotti

  • finiti e in quanto tali non hanno modificato in alcun modo l’ambiente che li ha prodotti. L’uomo è un organismo infinito proiettato in un’espansione esponenziale delle sue conoscenze, di conseguenza non è coerente con gli altri organismi del pianeta che anzi, lo limita nella sua evoluzione e ne rende illogiche le aspirazioni e i fini. In seguito a queste considerazioni Carlo Fulgheri ha ideato una storia romanzata con la quale si sforza di dare risposte esaurienti ai quesiti rimasti in sospeso, senza rinunciare tuttavia alla suspense e ai colpi di scena che rendono vibrante e ricco di emozioni il suo svolgimento. Il protagonista di questa vicenda è un tale Zoster, che al seguito di un gruppo di disperati in fuga dal pianeta di origine viene abbandonato sulla Terra, in un ambiente tra i più avversi che potessero immaginare. La sua audacia e l’estrema tenacia gli consentono di raggiungere nuovamente la nave, ma la fatalità è in agguato e a nulla valgono i reiterati tentativi di porsi in salvo dalla trappola rappresentata dal nostro pianeta, se non a interferire sull’evoluzione dei compagni da cui si era allontanato per raggiungere la nave e che nel frattempo hanno creato le prime comunità umane.

    L’Odissea di Zoster

  • DI

    CARLO FULGHERI

    La vera storia della comparsa dell’uomo sulla Terra

  • Antefatto

    Zoster era seduto davanti agli strumenti di bordo; le spalle appoggiate allo schienale della poltrona, lo sguardo fisso verso i dati che fluivano incessantemente, tracciando un quadro precisissimo della condizione complessiva della nave e della mappatura in cui si muoveva. Sembrava talmente assorbito da quell’incombenza da apparire quasi una statua di cera; tuttavia, l’immobilità dei suoi tratti non era dovuta alla concentrazione necessaria a decifrare i dati; ormai conosceva la nave a tal punto che gli sarebbe stato sufficiente un’ occhiata per fare il punto della situazione. Le rughe di espressione che aveva stampate sulla fronte, erano sì, un segno inequivocabile di grande raccoglimento, ma la causa erano i pensieri, o meglio, i ricordi che gli provocavano gli astri tutt’intorno, divenuti ormai familiari. La nave era l’ultima delle sue preoccupazioni, era consapevole che mai, nel passato, aveva potuto constatare un’anomalia rispetto alla rotta tracciata, da quando, un infinità di tempo prima, aveva incominciato a navigare.Certo non era al comando di una nave allora e non avrebbe dovuto esserlo nemmeno al momento, se le regole gerarchiche consuete avessero seguito il loro corso e gli avvenimenti più incredibili non gli avessero spianato la strada per sedere in quella sedia e a dire il vero, la sua posizione non lo inorgogliva di certo, né tanto meno lo entusiasmava.In breve era tornato a prendere il controllo della situazione; con un colpo di reni aveva fatto girare la poltrona su se stessa, inquadrando con una rapida occhiata il salone circolare che serviva a contenere tutti gli strumenti di controllo di bordo: spie e grafici si alternavano sulle lavagne luminose, tutto procedeva come programmato.Zoster, fisicamente, per il concetto che possiamo avere noi del tempo, appariva come un uomo sulla cinquantina: capelli corti brizzolati, occhi scuri, labbra carnose, fisico asciutto.Indossava una tunica senza maniche di colore chiaro, che lo copriva fino al ginocchio e che lasciava intravedere le sue forme ancora armoniose.Calzava sandali molto leggeri e di fattura semplice, ma molto ben rifiniti e comodi.

  • Zoster era una persona calma e misurata, un individuo che posava le sue certezze su conoscenze inconfutabili acquisite nel corso dei tempi; non aveva paura degli imprevisti, semmai era contrariato dal fatto che le sue previsioni non venivano mai intaccate dalle sue speranze, dai suoi sogni, ormai ridotti al lumicino; ciononostante, una certa euforia, un certo languore, lo pervadeva sottilmente, all’idea di quel che si sarebbe parato davanti ai suoi occhi di lì a breve. Aveva spinto un pulsante e la sedia si era mossa verso l’enorme vetrata che si affacciava all’esterno. Le stelle e un’ infinità di corpi celesti gli venivano incontro; fenomeno causato dalla velocità, anche se ormai poteva spostarsi solo ad andatura di crociera ed erano lontani i tempi in cui la nave poteva superare di gran lunga la velocità della luce; dato che al momento l’uso dell’effetto fionda era diventata la norma per i suoi spostamenti.Ecco, di fronte c’era l’enorme massa del pianeta con l’atmosfera di metano, lì c’era quello che serviva a lui, quello che avrebbe risolto gran parte dei problemi della sua nave, ma si trovava nel nucleo del pianeta, come poteva appropriarsene?Si era morso le labbra ed aveva fatto scorrere nuovamente la sedia verso gli strumenti, sapeva che quella era un’impresa impossibile anche per lui.Di lì a breve avrebbe avvistato il Pianeta Rosso e poi…Il tempo passava e lui diventava suscettibile, ansioso, irrequieto e ciò lo indispettiva oltremodo, perché era abituato a controllare le sue emozioni in ogni circostanza. Nonostante queste considerazioni, nel momento in cui all’orizzonte gli era apparso splendente il Pianeta Azzurro, non aveva opposto più alcuna resistenza agli stimoli che gli provocavano quella visione; il cuore aveva accelerato i battiti e il viso gli si era illuminato in conseguenza di un largo sorriso.Lo aveva inquadrato ed ammirato a lungo. Ne era ammaliato. Quell’astro gli provocava belle sensazioni nonostante l’esperienza, nonostante le tante promesse mancate al tempo del suo primo approdo. Quanto tempo era passato dalla prima volta che aveva visto quello spettacolo… Era giovane allora, inesperto, fiducioso, ottimista, e che fermento sulla nave…Erano arrivati in quel luogo dopo essere stati a lungo in balìa degli eventi, nonostante i mezzi e le conoscenze di cui disponevano i suoi padroni di allora.Com’era stato penoso quel viaggio. Stipati in quella nave senza una meta, senza sapere quando, nell’infinità delle galassie e dei sistemi stellari avrebbero trovato un luogo adatto alla sopravvivenza, dove fosse ancora possibile respirare aria, costruire qualcosa per il futuro.

  • Erano scappati in fretta e furia da Eden, perché i suoi padroni, che allora amministravano una regione molto ricca e progredita, sopravvalutando le loro forze e le loro conoscenze avevano architettato un colpo di stato, ma qualcosa non era andato per il verso giusto e sentendosi scoperti avevano organizzato la fuga in gran fretta su quel bastimento, prima di essere arrestati.A bordo c’erano un centinaio di cospiratori o famigliari di questi, di razza Teo e un migliaio di Umani, che erano al loro servizio e che ne avevano dovuto seguire il destino. Per tutta la durata del viaggio: intercalato da repentini abbassamenti di temperatura quando dovevano sottoporsi a trattamenti d’ibernazione, per permettere alla nave di andare alla massima velocità senza compromettere la loro incolumità; a periodi di riabilitazione al risveglio, nelle vicinanze di sistemi stellari da esplorare alla ricerca di luoghi abitabili; avevano dovuto seguire una disciplina ferrea, indispensabile, non sapendo dove e quando avrebbero potuto trovare un approdo, ma in quel momento, quando era parsa probabile la scoperta di una nuova civiltà, si erano lasciati andare per esprimere in modo fragoroso tutta la loro gioia.Ecco, era davanti a loro, il posto dove finalmente poter ricominciare una nuova vita … non riuscivano a distoglierne lo sguardo. Già immaginavano di poter appoggiare i calzari su un suolo dove si lasciano impronte, di riconquistare degli spazi che non fossero quelli appena vitali di una nave.Zoster aveva premuto un pulsante e la sedia si era sollevata dal suolo per essere diretta verso una balaustra a metà altezza della grande vetrata. Lasciata la sedia si era sollevato sui piedi, posando le mani e la faccia sul cristallo nitido.Urlava con quanto fiato aveva in gola, come avevano fatto allora, provocando un grande frastuono; come non avevano fatto mai prima d’allora, ma le loro speranze più recondite si stavano realizzando e valeva veramente la pena di perdere l’autocontrollo.Già si discuteva di come bisognasse presentarsi agli abitanti del luogo. Si facevano propositi per un inserimento in quella società, cercando di non turbarne alcun equilibrio, perché quella che avevano subìto era una lezione veramente troppo dura, un’esperienza che nessuno di loro avrebbe voluto ripetere.Zoster ricordava proprio tutto, come se i fatti, quei lontanissimi avvenimenti si stessero svolgendo in quel momento. Ricordava la manovra d’inclinazione della nave per entrare nell’atmosfera senza esserne rigettata, cosa che lui si premunì di non fare, mantenendo invece un’orbita costante, quasi per prolungare la vista di quel corpo abbagliante.Ricordava i giri di ricognizione, le sterminate foreste, gli oceani, le

  • montagne maestose. Ricordava tutto.

  • Zoster

    Giri su giri, alla ricerca di qualche segno di civiltà, sempre più a bassa quota, nella speranza che gli strumenti di bordo si fossero inceppati e non riuscissero a localizzarle.Giri su giri, per cercare un luogo adatto a un atterraggio, e più era chiaro che lì non c’era alcuna civiltà, più scure divenivano le facce dei nostri signori, più scemava l’armonia che nonostante le difficoltà aveva dominato durante tutto il viaggio.Un livore, una rabbia che non riuscivano a dominare e noi si diventava più diffidenti, impegnati in uno sforzo corale di ottimismo nel tentativo di ammansirli, argomentando a favore dei nostri mezzi, che a nostro avviso erano più che sufficienti per sopravvivere comunque ma… Al nostro sbarco avevamo dovuto prendere atto che l’ambiente era estremamente ostile e i nostri sforzi, le marce forzate ci conducevano regolarmente verso foreste e acquitrini, infestate da insetti, animali selvaggi, insidie di ogni genere. Non riuscivamo a portare una sola buona notizia che calmasse la rabbia dei nostri signori.Eravamo lontani anni luce dalla nostra straordinaria civiltà, dove tutto ci era concesso, dove le cose necessarie ai nostri bisogni erano a portata di mano.Al settimo giorno, quando ormai era chiaro dove eravamo capitati, i Teo si consultarono e ritenendo che le provviste stipate nella nave si erano troppo assottigliate, decisero di abbandonarci nella foresta, lasciandoci inermi, le mani, gli unici strumenti che avevamo a disposizione.Dopo un primo momento di sbigottimento cercammo di organizzarci in qualche modo. Eleggemmo le persone che consideravamo più calme e più responsabili, al fine di avere qualche punto di riferimento ed evitare lo sbando a cui poteva condurci

  • quella situazione disperata e ci avviammo alla ricerca di un luogo adatto a costruire una base da cui cominciare la colonizzazione forzata di quelle terre.Eravamo aggrediti da ogni tipo d’insetto, dovevamo difenderci dagli animali più strani, dal freddo, dai morsi della fame. Ingurgitavamo frutti sconosciuti, affidandoci per la loro scelta solo al gusto più o meno gradevole ai nostri sensi.Avvenne l’ineluttabile. I primi sintomi si manifestarono con malori e giramenti di testa e ciò era stato sufficiente a metterci in apprensione, perché fino ad allora non li avevamo mai sperimentati, giacché su Eden le malattie erano state sconfitte da tempi immemorabili e nessuno di noi si era mai sentito male, nemmeno nel lunghissimo viaggio, ma eravamo solo all’inizio dell’odissea.La marcia era cominciata da poche ore e già dovevamo contare i primi morti; sbranati da animali o inghiottiti dal fango, e nessuno di noi aveva memoria che qualcuno fosse morto prima.La paura aveva cominciato ad insinuarsi in ognuno di noi, perché avevamo preso atto di quanto eravamo fragili e indifesi in quei luoghi.In breve venne la notte; e noi sperimentammo il terrore, che ci accompagnava in tutte quelle che seguirono, allorché ci ammassavamo fidando solo sul calcolo delle probabilità per la nostra sopravvivenza.Dopo alcuni giorni di marcia, con la quale non dovevamo aver percorso grandi distanze, considerate le nostre condizioni, arrivammo in prossimità di un grande spiazzo soleggiato, delimitato a nord da una parete rocciosa da cui scaturiva una copiosa sorgente; a est da un fiume di modeste proporzioni che aveva il suo alveo scavato nell’arenaria; quindi decidemmo di stanziarci in loco e di costruire delle capanne sollevate da terra, in modo da difenderci meglio dall’aggressività degli animali.Molti dei nostri compagni di viaggio erano morti, altri deboli, denutriti, malati.

  • Quelli di noi che avevano subìto meno danni da quell’ambiente e che manifestavano una forma fisica meno precaria, erano diventati più aggressivi e si costruirono delle armi rudimentali per andare a caccia ed integrare la nostra dieta con proteine animali, che non facevano più parte delle nostre abitudini alimentari da tempi lontanissimi.Arrivò la stagione fredda e i nostri indumenti non erano adeguati, la temperatura si abbassò fino a gelare l’acqua! La mortalità ebbe un picco spaventoso. I miei compagni d i sventura erano sfiniti da interminabili conati di tosse e perdite di sostanze ematiche dalla bocca e dal naso.Eravamo ridotti a qualche centinaio.Passavano le stagioni e il nostro numero si assottigliava sempre di più; i nostri compagni perdevano i denti e i capelli; per la prima volta vedevo la gente invecchiare e regredire nelle loro funzioni fisiche.

    Ero vittima di un grande e interminabile sbigottimento che raggiunse il suo apice il giorno che morì mio padre, omadA. Mia madre avE, facendo leva su tutte le sue risorse e la razionalità di cui disponeva, mi prese in disparte e mi disse: “figlio mio, nessuno di noi può sopravvivere in queste condizioni; tu sei uno dei pochi che finora è rimasto in buona salute. Oggi è morto quello che per tutti era tuo padre, colui che ti ha allevato come un figlio, ma il tuo vero padre è evoiG, che mi usò violenza quando eravamo al suo servizio.Si mostra come un individuo pacato, saggio, giusto; pochi sono a conoscenza della sua prepotenza e noi non potevamo farci giustizia, perché lui era il detentore dello scettro della giustizia e a lui saremo dovuti ricorrere per averla.Egli è un codardo!” Continuò. “Però, nonostante la sua boria e il suo autocompiacimento mi ha lasciato questo!” E mi mostrò un navigatore miniaturizzato. “Mi ha raccomandato di dartelo, quando mi fossi resa conto che noi non ce l’avremmo fatta e che la tua esistenza sarebbe stata in pericolo. Tienilo!”

  • E mentre pronunciava quelle parole mi mise nelle mani quell’oggetto e guardandomi negli occhi continuò: “Seguilo, è la tua unica speranza di salvezza! Ti porterà da loro e quando li raggiungerai, nonostante tutto, io so che ti accoglierà a braccia aperte, sei pur sempre sangue del suo sangue!”“Madre mia,” – le risposi – “finché tu sarai in vita, io non ti abbandonerò, sfideremo la sorte insieme, accada quel che deve accadere!” E ci abbracciammo consolandoci a vicenda.Passò altro tempo ma mia madre non vide l’estate seguente. Solo ora, ripensando a quegli avvenimenti sono in grado di fare considerazioni adeguate e riesco persino a rivivere quelle sensazioni. Era come se quel pianeta ci stesse aspettando per utilizzarci quale suo nutrimento, e noi eravamo davvero inesperti e inadeguati per sfuggire a tutte le insidie con cui dovevamo confrontarci. Me ne resi conto casualmente, anche se quella fu più che altro un’intuizione e solo successivamente ebbi modo di approfondire, un giorno che stavo portando al naso un fiore, attratto dal suo profumo. Lo avevo scrutato attentamente e con stupore mi ero reso conto che tra i suoi petali erano annidati dei minuscoli ragnetti rossi, quindi, anche con un gesto così innocente, noi davamo opportunità a parassiti più o meno pericolosi di invadere il nostro corpo.Mentre tumulavo mia madre in qualche modo, coprendola con delle pietre, non riuscivo a farmi una ragione di come avevo potuto perdere i miei genitori. Erano due bellissimi esemplari della nostra razza, pieni di vita e di speranze, una coppia ammirata e invidiata. Mia madre aveva una chioma di capelli lunghissimi, uno sguardo ingenuo e trasognato, il naso un po’ all’insù, un sorriso largo che lasciava intravedere una dentatura perfetta. Di corpo era snella, ma con delle forme ben evidenti che stentavo a riconoscere, mentre la coprivo di pietre.Mio padre omadA, a dire di mia madre era tale e quale a me, ma io, anche se l’avevo sempre ammirato e preso ad esempio non riuscivo a intravedere la nostra somiglianza.

  • Le disavventure assumono quasi sempre un aspetto più drammatico, più oscuro, quando siamo toccati negli affetti e anche se ero ben conscio della situazione in cui ci trovavamo, solo dopo la perdita di mia madre, il mio naturale ottimismo sembrava avermi abbandonato. Ormai eravamo ridotti a poche decine, la nostra lotta per la sopravvivenza ci aveva stremato, ma quando ormai ci sentivamo perduti definitivamente, quasi ci fosse stata una selezione della natura in favore dei più forti, cominciarono a sopravvivere i primi bambini.Questo avvenimento, anche se non ci toccava tutti personalmente, fu una miccia sufficiente per riaccendere un nuovo entusiasmo.Ci eravamo adattati a una vita di cacciatori raccoglitori e la grande paura si era stemperata, anzi, erano gli animali a temerci, ma io ero diventato un problema per la nostra piccola comunità. Dal giorno del nostro arrivo non mi ero mai ammalato, ma c’era ben altro, il mio aspetto fisico non era mutato minimamente, per cui ero guardato con sospetto da tutti e mi escludevano dalla vita sociale della comunità. Ora non so se quello fu un giorno bello o brutto, ma decisi di lasciarli e mi avventurai verso l’ignoto più totale.

    Le foreste erano troppo fitte perché io avessi la presunzione di poterle attraversare, per cui mi costruii una zattera e quando non era troppo impetuosa mi lasciavo trascinare dalla corrente dei fiumi, altrimenti ne seguivo la riva e così diventai anche pescatore; imparai a tessere i giunchi, a farne funi resistenti, a manovrare quei tronchi con destrezza, superando rapide e spuntoni di rocce.I fiumi prima o dopo portano al mare, questo l’ho imparato. Un mare trasparente, un’aria frizzante che mi rinvigoriva, che mi inebriava, che mi dava ancora fiducia, la certezza che sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe capovolto la mia situazione,

  • prospettato altre opportunità di vita sociale.Intanto il mio sguardo non era limitato dalla vegetazione e poteva spingersi lontano, e dove non arrivava lo sguardo approdava la mia fantasia, la mia indomabile voglia di fare progetti, nonostante la situazione per molti versi disperata.Decisi di stabilirmi nelle vicinanze e così mi costruii una capanna robusta sulla sommità di un dirupo, in modo da avere la visibilità più ampia possibile. Trascorrevo le mie giornate in solitudine, con un ottimismo che non aveva niente da spartire con la mia condizione. Mi comportavo come se quella fosse solo una parentesi e cercavo di rendere il mio soggiorno in quel luogo il più comodo possibile, costruendo tutti gli oggetti di uso quotidiano che mi erano necessari. Avevo tempo, tutto quello che mi era necessario e tanto ne dedicavo per la ricerca del cibo, per procurami il quale aguzzavo la mia inventiva, che si trattasse di pesca, o caccia, o della raccolta dei frutti, dei tuberi e delle verdure che coglievo in base all’estro e ai bisogni del momento.Avevo trovato alcune schegge di ossidiana che custodivo gelosamente; erano gli unici oggetti taglienti che avevo a disposizione; i miei coltelli, quando dovevo scuoiare la selvaggina, ma il mio orgoglio erano delle rozzissime stoviglie di terracotta che ero riuscito a fabbricarmi dopo innumerevoli tentativi falliti.Ero quasi felice in quel microcosmo che mi ero conquistato, ma una sera l’oggetto che mi aveva affidato mia madre cominciò a vibrare, a lampeggiare e posizionarsi in una direzione precisa.Non sapevo se prenderlo in considerazione, o se buttarlo in mare… Avevo trovato un posto tranquillo e mi stavo sistemando bene, che me ne importava dei Teo?Però quella notte non riuscii a prendere sonno.Le considerazioni riguardo alla mia effettiva situazione mi facevano rigirare di continuo nel mio giaciglio e anche quando decisi di alzarmi per dirigermi verso il mare antistante, sperando che la passeggiata potesse darmi sollievo, avevo il cuore gonfio di rammarico. Stavo prendendo atto che se fossi rimasto in quei luoghi

  • avrei consumato i miei giorni in perenne solitudine, mi sarei abbruttito e avrei perso la ragione, perché probabilmente non avrei mai più avuto l’occasione di scambiare una parola con qualcuno. Non avevo alternative, dovevo andare se non volevo precludermi l’unica opportunità che mi avrebbe permesso un reintegro sociale e i Teo, che mi piacesse o meno erano gli unici che me ne potevano dare occasione, quindi decisi che il giorno seguente avrei seguito le indicazioni del navigatore.A quei tempi non conoscevo tentennamenti e mi lanciai nell’impresa con una sorta di volontà inossidabile che non venne mai scalfita, nonostante gli ostacoli che si presentavano di continuo a rallentare la mia marcia. Deciso, verso l’obiettivo per tutta l’estate e gran parte dell’autunno, seguendo solo le indicazioni del navigatore. Camminavo in cresta per vedere in lontananza, ma anche e perché la vegetazione era meno fitta e mi consentiva di percorrere un tragitto considerevole, anche se non era paragonabile a quelli che mi garantiva la zattera, quando tempo prima cavalcando la corrente dei fiumi avevo raggiunto il mare in un lasso di tempo molto inferiore. Quante volte avevo maledetto la legge di gravità, in quell’occasione… Grazie a questo fenomeno che non mi permetteva di risalire i fiumi, dovevo affidare il mio destino alla forza delle mie gambe e a tutta la volontà di cui disponevo. Tuttavia, nonostante le condizioni avverse sarebbe sbagliata l’idea che l’umore e la tenacia risentissero di quelle sporadiche recriminazioni, la certezza granitica riguardo alla riuscita dell’impresa e alle prospettive in essa contenute erano un balsamo capace di lenire qualsiasi ferita. Il passo era sempre energico, decisa la direzione verso cui mi rivolgevo, nonostante non conoscessi l’ubicazione dell’obiettivo. “È solo questione di giorni.” Mi ripetevo e quel pensiero era sufficiente a darmi nuovo vigore e nuovo entusiasmo. Ecco, a proposito di entusiasmo devo dire che ebbe un tracollo repentino. Uno di quei giorni, all’imbrunire, il momento in cui cercavo un luogo adatto per trascorrere la notte, cercai il navigatore per dargli un’ultima occhiata e fare il punto della situazione, ma per quanto

  • frugassi in ogni dove non riuscii più a trovarlo. Vi lascio immaginare il mio stato d’animo…Avevo sfidato tante insidie, tante fatiche, senza curarmi d’altro che andare avanti seguendo le indicazioni di quell’oggetto; ma a quel punto mi sentivo perso. Sentivo in pieno il peso della mia solitudine, delle difficoltà insormontabili in cui mi trovavo, della mia impotenza rispetto agli elementi della natura. Mi lasciai andare a un lungo momento di sconsolazione e di pianto. Ero solo in un pianeta alieno.E non era andata meglio nel momento in cui mi ero rincuorato in qualche modo, quando era venuta l’ora di decidere il da farsi. Proseguire nonostante tutto, o tornare indietro verso il rifugio sul mare? Ammesso che fossi in grado di ritrovarlo, il mio cervello si rifiutava di esaminare ambedue le considerazioni. Proseguire significava avviarmi verso l’ignoto senza il minimo indizio che mi spingesse in una direzione qualsiasi. Tornare verso il rifugio rappresentava difficoltà altrettanto insormontabili, perché non mi ero premunito di lasciare alcuna traccia che mi guidasse in quella direzione, in conseguenza della certezza con cui mi ero diretto verso la nuova meta. Ero in quello stato, vittima dello sconforto più acre, quando vidi un bagliore in lontananza. Il cuore prese a battere all’impazzata, in conseguenza delle prospettive insite in quel fenomeno e subito dopo, individuato un punto in cui la visibilità non era ostacolata dalle fronde, puntai nuovamente lo sguardo in quella direzione, portando le mani alla fronte per allungarne la gittata. Intanto il sole era calato completamente all’orizzonte e non riuscii a percepire più nulla, nonostante i tentativi ripetuti a più riprese. Mi lasciai andare a una serie infinita di supposizioni, sfiorando timidamente l’idea che potesse trattarsi di un riflesso della luce solare sulla nave, che razionalmente avrei voluto lasciare come ultima delle ipotesi, per non avere poi cocenti delusioni nel caso mi fossi sbagliato, ma il mio bisogno di accendere qualche speranza prevalse immediatamente. Non stavo in me, preso com’ero dalla frenesia e dal bisogno di sapere, comunque, se non era servito ad altro, quel bagliore aveva sciolto ogni dubbio riguardo alla direzione verso cui

  • mi sarei indirizzato il giorno seguente. Ero in uno stato di estrema agitazione, tuttavia anche quella sera dovetti dedicarmi alle attività consuete, la principale delle quali era di cercare legna sufficiente a tenere acceso un fuoco per tutta la notte, in modo da tenere lontani gli animali e riscaldare il cibo che mi ero procurato durante il tragitto. Dopo essermi rifocillato, come tante altre notti che avevano preceduto quella in particolare, m’ero infilato dentro un sacco di pelli che mi ero cucito alla meno peggio e tenendo a portata di mano un bastone appuntito, mi sforzavo di tenere almeno un occhio vigile, cosa che la notte non mi fu affatto difficile.Guardavo le stelle: chissà da quale parte del firmamento era la nostra Eden?E com’è strana la sorte; mai avrei potuto immaginare di trovarmi un giorno nella mia situazione.Fu una notte piena di riflessioni dolorose, comunque all’indomani ripresi a camminare al primo spuntare del sole, ma per quanto scrutassi l’orizzonte nella direzione in cui avevo scorto il bagliore il giorno precedente, non riuscivo a vedere nulla che interrompesse l’uniformità del paesaggio: alberi, solo alberi, vegetazione a perdita d’occhio, nient’altro. In mattinata i dubbi erano tornati a soverchiare i miei ragionamenti, ma quel sottile filo di speranza riacceso da un fenomeno che in sé conteneva tutto e nulla mi spingeva ad andare oltre.Camminavo e scrutavo, senza scorgere nulla, come un assettato arso dal sole cocente in cerca di una pozza d’acqua, ma per quanto mi sforzassi di allungare lo sguardo non intravedevo nessun segnale che lenisse la mia ansia. Al tramonto ero sfinito. Quel giorno avevo dato fondo a tutte le mie energie, spinto dal desiderio implacabile di cogliere qualcosa di positivo all’orizzonte e a quel punto avevo quasi paura di puntare ancora lo sguardo in quella direzione. Ero consapevole che se il fenomeno non si fosse ripetuto la mia situazione sarebbe stata equivalente a quella di un naufrago in mezzo all’oceano. Nonostante i miei timori e la fatica avevo raggiunto il

  • punto più alto e scoperto che si trovava nel mio cammino, e mentre il sole calava definitivamente, dalla parte opposta avevo scorto nuovamente il bagliore. Era stato un fenomeno che mi aveva riempito di gioia e colmato gli occhi di lacrime. Fino a quel momento mi ero sentito come sull’orlo di un abisso e subito dopo ero felice, nonostante fossi consapevole che in sé quel bagliore non rappresentava nulla di positivo riguardo alle mie aspettative, ma a volte una speranza è sufficiente a farci accettare anche la situazione più disperata. I giorni seguenti avevo affrontato la marcia con un umore senz’altro più positivo, galvanizzato dal fenomeno che si ripeteva immancabilmente al tramonto, per assumere una forma sempre più definita man mano che i giorni passavano e la distanza tra me e l’oggetto diminuiva. La mia tenacia era stata premiata, si trattava proprio della nostra nave e le fatiche per raggiungerla non mi apparivano più tali, tanto che incrementai ulteriormente il ritmo della marcia. Nei giorni che seguirono i contorni della nave assumevano una forma sempre più precisa; mi sembrava di tornare a casa ed effettivamente lo era stata per tanto tempo, dato che vi avevo trascorso gran parte della mia infanzia. Una mattina, reso più audace del solito dall’euforia che mi provocava la vicinanza della nave, mi lasciai tentare dall’impulso di proseguire al riparo degli alberi. Lo spessore del substrato di foglie era tale da non lasciar radicare un sottobosco rilevante, quindi mi ero inoltrato a passi lesti sotto la folta fronda. Mi stavo chiedendo come avevo fatto a non pensarci in precedenza, quando ad un tratto scivolai nelle foglie umide senza riuscire ad individuare un appiglio a cui afferrarmi. Ruzzolavo verso il basso in preda unicamente alla forza di gravità, e la china era talmente ripida che in breve perdetti i sensi, in conseguenza della velocità della caduta di cui non vedevo la fine.Quando ripresi i sensi, alla fine della scarpata, mi trovai all’interno di un enorme ragnatela a forma di imbuto. “Che fortuna,” - pensai - “ad essere precipitato proprio qui; sembra quasi un coppo che mi ha pescato prima che mi sfracellassi.” La gioia però era stata di breve

  • durata, la ragnatela era resistentissima e vischiosa, tanto che non riuscivo a staccarmela di dosso. Cercai di liberarmi divincolandomi come un forsennato ma non c’era niente da fare, ero come incollato a quella tela. Mi fermai a riposare in modo da riprendere energie e ritentare con strattoni più vigorosi, però in quel lasso di tempo non potei fare a meno di notare che tutt’intorno alla ragnatela, v’erano un’infinità di carcasse di animali che avevano fatto il mio stesso percorso nella scarpata, per poi ritrovarsi nella mia identica condizione. Dovevo liberarmi assolutamente da quella situazione assurda, non potevo terminare i miei giorni in maniera così ridicola, ma per quanto mi divincolassi non ottenevo i risultati sperati, anzi, peggioravo il contesto ed in breve mi trovai talmente invischiato da non potermi nemmeno muovere. Ero completamente stremato.Credo che mi assopii per qualche tempo, ma quando mi svegliai, in seguito allo scricchiolio di rami spezzati, la scena era stata raccapricciante. Un ragno di proporzioni mai viste si stava avvicinando nella mia direzione ed io ero completamente immobilizzato dalla tela. Cercai ancora di reagire, invano. Già intuivo la fine che mi aspettava non appena il ragno mi avesse raggiunto e riflettevo sulle vicende della vita, che avevo fatto il viaggio da Eden fino a lì perché servivo da pasto a un simile animale.Il ragno aveva raggiunto la tela, era su di me! Ormai mi sentivo spacciato; chiusi gli occhi per non vedere la mia miserevole dipartita, contratto all’inverosimile, quasi che ciò potesse farmi sopportare meglio gli ultimi terribili istanti. Ero in quella posizione, in attesa di sentire i rostri del ragno che mi dilaniavano la carne, quando a un tratto sentii un sibilo e subito dopo, aperti nuovamente gli occhi lo vidi che si contorceva al suolo, trafitto da un dardo. Ero impietrito. Non ritenevo verosimile che in quel luogo esistesse qualcuno in grado di salvarmi, semmai era più probabile che la mia mente stesse mettendo in moto un meccanismo che proiettava i miei desideri, allo scopo di alleviarmi le sofferenze degli ultimi istanti. No; un urlo di trionfo e una fragorosa risata avevano fatto volare via gli uccelli che erano nelle vicinanze e ancora più in

  • alto la mia gioia e l’incredulità.“Sei proprio un pivello!” Con queste parole mi aveva apostrofato, prima ancora che potessi scorgerlo, l’individuo che mi aveva salvato. Sollevai appena il capo, il tanto che mi concedeva la mia posizione, ma era bastato a farmi provare un grande sollievo. Andro329 si stava avvicinando nella mia direzione.“Sei un pivello, ma tanto, tanto fortunato. Se così non fosse a quest’ora ti troveresti tra le mascelle di quel ragno. E pensare che oggi ero persino indeciso se scendere o meno dalla nave. A costo di ripetermi devo ribadire che non ho mai conosciuto nessuno con una fortuna sfacciata come la tua.” Ero ancora intontito dalle emozioni che avevo provato fino a pochi istanti prima, senza parole per commentare quelle del mio salvatore, che però aveva continuato.“Come ci hai trovato?E gli altri, che fine hanno fatto?”Lo guardai per qualche attimo, rimuginando sull’incredibile coincidenza che mi aveva salvato la vita. In quel momento tutti i miei pensieri erano concentrati in quella congettura, mentre Andro329 era di fronte a me, ed aspettava che rispondessi alla sua sequela di domande.Aveva i capelli tagliati a zero, come d’abitudine; le folte sopracciglia facevano da cornice a uno sguardo penetrante che incuteva una certa soggezione; i lineamenti marcati e la corporatura imponente, anche se equilibrata, rivelavano la sua forte costituzione fisica. Indossava la tunica che era d’uso su Eden, stretta alla vita da una grossa cintola, mentre io mi ero dovuto adattare a vestire pelli conciate alla meglio. Nel frattempo che mi riprendevo dallo stordimento causato dalle emozioni appena vissute, lui ne aveva approfittato per sistemarsi l’arco a tracolla. Avevo notato che era stato costruito con estrema cura, così come le frecce che potevo scorgere nella faretra appesa alle spalle, una decina in tutto. Ritenendo che fosse trascorso un tempo sufficiente a farmi riprendere fiato, mi fece un cenno per sollecitare una mia risposta

  • che esaudisse la sua necessità di sapere. Intanto con l’aiuto di un pugnale mi aveva liberato dalla ragnatela che mi teneva immobilizzato.Lo ringraziai per quell’intervento provvidenziale e gli raccontai per sommi capi quel che era accaduto e del navigatore che evoiG aveva lasciato a mia madre. Mi aveva ascoltato con vivo interesse e con altrettanta partecipazione si era rammaricato per la sorte dei miei compagni. “Bisogna avvertire evoiG” - gli dissi - “e metterlo al corrente dell’accaduto.”“Oh, per avvertire lo avvertiremo, ma non credere di sollecitare in lui grandi gesta di commiserazione.” – Mi aveva risposto pensieroso. “Tu quindi pensi che non sarà contento di vedermi? Che non si prodigherà per soccorrere i sopravvissuti?” – Gli chiesi con uno sguardo incredulo.“Un motivo per essere contento ce l’ha di sicuro, lui e tutti gli altri, se non altro perché potranno sopperire almeno in parte alla mancanza di servitù che li ha angustiati dal momento stesso che vi anno abbandonato. La nave al momento è senza equipaggio e senza servitù e loro sono alquanto refrattari alle incombenze manuali necessarie ai loro bisogni. Fino ad ora me ne sono occupato io, tralasciando la manutenzione necessaria ad un’eventuale partenza, quindi da questo momento considerati pure arruolato. Ciò detto si era voltato, avviandosi con passo deciso nella direzione opposta a quella che mi aveva visto imprigionato dalla tela e mi aveva fato un cenno perentorio per seguirlo. “Dai, vieni, c’è fermento sulla nave! Si sono formate due fazioni: una favorevole a mantenere lo status quo e l’altra che spinge per riprendere il viaggio e raggiungere una destinazione migliore di questa. È da parecchi giorni che quasi si accapigliano, ma le posizioni contrapposte non si avvicinano di un millimetro. Sono curioso di sapere chi saprà trarre più vantaggio dal racconto di quel che vi è capitato. Sono davvero imprevedibili nella loro capacità mistificare gli avvenimenti per ricondurli alla convenienza del momento.”

  • Terminata la frase aveva dato impulso alla marcia, arrampicandosi energicamente sulla china, tanto che dovetti sforzarmi per stargli al passo, nonostante camminassi da mesi e quindi perfettamente allenato agli spostamenti in quell’ambiente; comunque mentre lo seguivo riflettevo sulle sue parole, che contrastavano decisamente con le assicurazioni di mia madre riguardo al presunto interesse di evoiG nei miei confronti. “Quindi tu dici che l’unico motivo per cui saranno contenti di vedermi è per le notizie che gli porto?”“No, quelle per loro saranno solo un ulteriore argomento su cui arzigogolare, sono molto pratici e ciò che apprezzeranno di più sarà sicuramente l’opportunità che rappresenti in quanto servo.” – Aggiunse lui con una smorfia che rimarcava quanto fosse scontata la sua affermazione.“Andiamo, comincia a immedesimarti nel ruolo; aiutami a trasportare questi frutti. Non puoi immaginare quanto saranno graditi alle signore di bordo. La selvaggina invece, temo che non lo sarebbe altrettanto, non quella di oggi, almeno…“Vedo che sei attrezzato”… gli dissi indicando l’arco e le frecce.“Stare a bordo a contatto con loro è asfissiante, perciò appena trovo un attimo libero scendo a terra. Sono convinto che potrebbe tornarmi utile, oltre che dilettevole, inoltre mi permette di procurare del cibo che i Teo apprezzano tanto, innanzitutto perché rappresenta un’alternativa alle nostre scorte alimentari e quelle sono già in sofferenza.”“Quindi, loro non scendono mai?”Sono troppo impegnati a gongolarsi con la loro filosofia e le loro diatribe; ci provano un gusto pazzesco e più sono contorte e inestricabili più si appassionano. Ci dedicano una tale quantità di energie che investite diversamente, potrebbero produrre risultati davvero lusinghieri. Comunque anche tra loro ci sono le eccezioni e costoro si sono inventati dei passatempo e interessi analoghi al mio ed eccellono davvero, in alcuni casi. anaiD, per esempio, nel tiro con l’arco è imbattibile, però non sa rinunciare completamente agli agi e

  • alle consuetudini vigenti sulla nave e quindi divide il suo tempo come meglio può, sollecitata dall’umore del momento.”Dialogando sugli argomenti che ritenevamo più impellenti al momento ci eravamo portati nelle vicinanze della nave. Per me era come un ritorno a casa, una conquista insperata, anche se la gioia era mitigata dal ricordo delle vicissitudini nelle quali avevo perso i miei genitori ed altre persone care. In quel momento tuttavia non riuscii a controllare l’emozione e più la guardavo più ne restavo ammaliato. Era posata su una radura che permetteva un’ampia visibilità e l’aria tersa di quella mattina la dilungava a distanza davvero considerevoli. Ricordo che in quella circostanza mi martellavano nella testa le parole di Andro329, riguardo alla mia fortuna e ce n’era voluta davvero tanta, perché anche il mio impegno e la mia determinazione non sarebbero stati sufficienti a ritrovare la nave sul pianeta, senza una buona dose di questa.Quando fummo a bordo ci indirizzammo nella zona che in passato era riservata all’equipaggio e a quel punto Andro 329 mi aveva indicato uno degli appartamentini nel quale mi sarei potuto sistemare. Lui sembrava impaziente quanto me, e mi aveva indicato i servizi con una certa sollecitudine, in modo che potessi darmi una ripulita. Finalmente potevo togliermi di dosso le pelli malamente conciate, lavarmi, radermi; assumere nuovamente un aspetto civile. Mentre mi ripulivo riflettevo sulla mia avventura. Non avevo mai perso definitivamente le speranze ma c’era stato un momento che a stento ero riuscito a vincere la disperazione e anche quando ero caduto nella tela del ragno, anche in quell’occasione mi ero sentito spacciato e invece al momento potevo godere della compagnia di Andro329, che per quanto non fosse molto loquace era comunque schietto e affidabile. Andro329 era l’androide in dotazione alla nave e la conosceva alla perfezione in tutti i suoi meccanismi. Aveva compiti ben definiti ma il programma gli consentiva un vasto repertorio sia tecnico che culturale, qualora i suoi utilizzatori avessero avuto necessità di confrontarsi in maniera soddisfacente su argomenti di loro interesse

  • ed ultimamente si era dovuto prodigare anche nella cucina di bordo, essendo l’unico subalterno di tutto l’equipaggio. “Adesso che ti sei fatto bello e non hai più quella puzza insopportabile addosso, posso accompagnarti in sala mensa e potrai deliziarti con uno dei miei manicaretti. Dai, andiamo! Poi ci toccherà prodigarci per esaudire i desideri e le necessità dei nostri padroni.” Mi disse invitandomi a seguirlo.Mi sentivo quasi felice, ma sopraggiunti nella mensa che un tempo ci aveva accolto tutti, nel vederla così squallidamente deserta il ricordo era tornato ai miei genitori, ai miei amici e alla sciagura che ci aveva sterminati, e allora mi ero sentito mancare. Che brutta fine… Il pensiero di loro mi aveva sempre accompagnato, ma la lotta per la sopravvivenza in qualche modo attenuava il dolore, in quel momento invece ne percepivo tutta la drammaticità e soffrivo per la loro mancanza. La notte fu densa di incubi. Rivedevo i miei compagni azzannati dagli anfibi della palude, sbranati da enormi felini, stritolati da serpenti di proporzioni inaudite, gonfi per la puntura di insetti e peggio ancora, infestati da invisibili microbi e batteri che non eravamo in grado di combattere.Non riuscivo a far tacere i sensi di colpa per averli abbandonati, anch’io come i Teo, peggio dei Teo, perché erano i miei compagni di sventura e nella sventura non ci si abbandona.Mi auguravo che ce la facessero, che il loro coraggio, la loro tenacia avesse la giusta ricompensa, ma non riuscivo a crederci.

    Passarono alcuni giorni, nei quali avevo atteso impazientemente che evoiG si degnasse di convocarmi per un colloquio privato, ma ciò non avvenne, anzi, non mi degnò né di una parola, né di uno sguardo nemmeno quando io e 329 andavamo a servire i pasti e capitava di trovarci uno di fronte all’altro. Una gelida sera d’inverno, portati a termine i miei compiti me ne stavo davanti a un oblò a contemplare la neve che cadeva copiosa, ormai ero rassegnato all’indifferenza dei Teo, anzi mi ero reso conto

  • che questa poteva darmi solo vantaggi e poi nel tempo l’insensibilità era divenuta reciproca. Quella sera 329 venne a chiamarmi per ordine di evoiG: la mia presenza era richiesta nel salone dove i Teo si riunivano per le loro frequenti disquisizioni.Era un’ampia sala circolare occupata da lunghe tavolate, nei pressi delle quali i Teo amavano intrattenersi dopo i pasti, almanaccando su sottigliezze che alle persone comuni apparivano incomprensibili. Erano quasi tutti individui abituati a contenere le loro emozioni, in modo da gestire al meglio l’immagine che si erano ricamati e che volevano rendere coerente con le idee che professavano, tutte al di sopra delle meschinità materiali ed improntate a nobili e imperscrutabili ideali. Li conoscevo bene, perciò rimasi alquanto perplesso quando entrato nella sala ne percepii l’atmosfera e la tensione palpabile. Un brusio di voci aveva confermato le mie sensazioni, probabilmente la discussione che aveva preceduto il mio ingresso era stata davvero rovente, diversamente avrebbero contenuto i loro umori senza sforzo alcuno. Mi stavo recando al cospetto di evoiG, ma prima ancora che potessi raggiungerlo, etraM si alzò in piedi, spostando la sedia all’indietro con le gambe e mostrandosi in tutta la sua baldanza, accentuata dalla tunica rosso porpora che indossava.Dimostrava si e no trent’anni e in omaggio a una spiccata vanità, curava il suo aspetto in maniera maniacale. I capelli folti e castani erano pettinati alla perfezione e resi lucidi da unguenti profumati, al pari della barba ben coltivata. Lo sguardo era duro, la bocca serrata in un ghigno di collera. Con un tono che non ammetteva repliche si rivolse a me, dicendo: “Racconta a questi signori che fine hanno fatto i tuoi compagni!” Mi ero fermato per sostenere il suo sguardo minaccioso e poi mi ero rivolto verso la tavolata alla quale sedeva evoiG e i suoi amici più fidati, che era stata rialzata da un palchetto e in conseguenza di ciò emergeva rispetto alle altre apparecchiate nella sala, rimarcando in tal modo il prestigio e l’alta considerazione che aveva di se stesso il capo indiscusso degli apolidi.

  • evoiG, in quanto a vanità non prendeva certo lezioni dal figlio, anche se la manifestava a modo suo, con una classe che non era possibile disconoscergli, tanto l’aveva eletta a portamento abituale. La sua era un’autorità voluta e consapevole, ma soprattutto riconosciuta e in quell’aurea si gongolava misurando l’autocompiacimento affinché non apparisse plateale e lo esponesse a commenti poco rispettosi. Quasi a sottolineare la sua superiorità in modo fisico, che lo identificasse con un colpo d’occhio, era l’unico a indossare una tunica lunga. L’indumento era di fattura semplice e la sua linearità, che si estendeva dalle spalle fino ai piedi, era spezzata unicamente da una cintola riccamente decorata. Sulla tunica color nocciola teneva un drappo tinto con la senape, ai bordi del quale erano stati intessuti dei ricami in fili d’oro e delle pietre che rilasciavano luccichii al riflesso della luce, lasciato cadere con voluta noncuranza dalle spalle fino a lambire il suolo. Aveva un corpo massiccio e ciò si era evidenziato in maniera incontestabile quando alzatosi in piedi a sua volta era emerso dalla tavolata in tutta la sua imponenza, dominando nettamente l’assemblea. Allungata la mano destra verso la folta barba bianca, in perfetta sintonia con la chioma, l’aveva accarezzata più volte con fare estasiato, per poi lanciarmi uno sguardo che non ammette esitazioni ma, senza rinunciare alla sua espressione di beatitudine e di autorevolezza, consapevole che non gli era necessario alzare il tono della voce per vedere appagati i suoi desideri.Mi fece un segno d’assenso col capo per autorizzarmi a rispondere in modo adeguato alla domanda che mi aveva rivolto il figlio, dopodiché mi sentii in dovere di raccontare gli avvenimenti di cui ero stato protagonista e testimone, fino al giorno in cui mi ero dovuto allontanare dai miei sfortunati compagni, che da un migliaio che erano al nostro arrivo, si erano ridotti a 48 individui in condizioni davvero disperate. etraM, sembrava non aspettasse altro; appena finito il mio intervento si era scatenato in una violenta arringa, con la quale

  • voleva rendere evidenti le sue ragioni, senza rinunciare all’ingiuria e allo scherno nei confronti di coloro che non intendevano adeguarsi al suo modo di ragionare. evoiG aveva abbassato lo sguardo, quasi a chiedere venia ai commensali per l’irruenza del figlio più giovane, che ancora non aveva imparato a contenere l’impeto che gli procuravano le energie in eccesso, in ogni modo, anche se in maniera poco diplomatica aveva avviato il dibattito che ognuno per le proprie ragioni attendeva da tempo.Pur non avendo gran simpatia per i modi, spesso brutali, di etraM, il dibattito che ne era scaturito, a suo confronto mi era apparso addirittura vomitevole. Con ragionamenti a volte mielosi e contorti, altre improntati a sciorinare sottigliezze oratorie con le quali si pavoneggiavano molti dei contendenti, più attenti alla forma che al contenuto e rese interminabili dagli interventi cruenti di etraM che non perdeva occasione per puntualizzare quelle contraddizioni; il dibattito era entrato nel vivo, evidenziando per l’ennesima volta pareri contrastanti che non permettevano alcuna decisione riguardo alle scelte necessarie nell’immediato. Più si discuteva e più era evidente che il numero di coloro che volevano stabilirsi definitivamente sul pianeta era perfettamente equivalente a quello di coloro che se ne volevano allontanare.Gli uni ricordando quanto fosse stato penoso il viaggio che ci aveva condotti in quel luogo e di come vi eravamo approdati per una fortunosa coincidenza; di come l’avevamo salutato con gioia, riconoscendogli una sorta di occasione insperata, da ultima ancora di salvezza. Ricordando quanto ci eravamo ripromessi: di non nutrire mai pensieri che non fossero stati di gratitudine e riconoscenza e meno che mai, proporre alternative inconsistenti che potevano esporci ad avventure ancora peggiori. Gli altri, e tra questi etraM, che sembrava il più determinato ad allontanarsi da quel luogo nel più breve tempo possibile, rilevavano che il pianeta era inospitale, e a sostegno di ciò portavano la mia testimonianza, con la quale intendevano dimostrare che mai

  • avremmo potuto colonizzare il pianeta e che la permanenza su di esso equivaleva ad un’autentica regressione. Ero esterrefatto, nonostante l’asprezza del dibattito, nemmeno una parola era stata spesa per ricordare le condizioni in cui io e i miei compagni eravamo stati abbandonati. Nessuno, nemmeno coloro che propendevano per la permanenza in quel luogo, nemmeno uno di loro aveva la decenza di evidenziare che se noi fossimo stati muniti dei mezzi necessari, probabilmente avremmo avuto la capacità di colonizzare veramente quei luoghi, rendendo possibile a tutti una vita almeno decorosa. Quando rimarcai i miei pensieri, evoiG non seppe trattenere un guizzo di sconcerto. Era durato un battito di ciglia, infatti aveva recuperato il contegno abituale subito dopo e rivolgendosi a me come un padre saggio, tollerante e paziente che concede udienza al figlio indisciplinato, mi aveva degnato delle sue spiegazioni.“Quando si è al posto di comando, a volte è necessario prendere decisioni dolorose, sacrificare qualcuno perché non periscano tutti!Cosa credi che abbiamo fatto noi in tutto questo tempo? Abbiamo sofferto per la vostra mancanza e abbiamo sperato ardentemente nel vostro successo. Ora dimmi!Che giovamento avreste avuto voi, se anziché lasciarvi nel posto che sappiamo, con ampie possibilità di mettere in pratica le conoscenze che vi avevamo reso disponibili tenendovi al nostro servizio e creare le condizioni per la sopravvivenza vostra e nostra di conseguenza; fossimo risaliti tutti sulla nave per consumare in breve tempo tutte le scorte; trovandoci poi tutti nelle medesime condizioni, solo qualche tempo dopo?”“Io non so se la decisione fosse inevitabile,” – gli avevo risposto carico di livore – “so che è stato criminale il modo in cui lo avete fatto. Ci avete scaricato come immondezza da abbandonare alla chetichella, senza il minimo sostegno tecnologico, con le sole mani, a dover affrontare quelle insidie. Così facendo vi siete preclusi a vostra volta la possibilità di potervi stabilire qui, nel caso che noi avessimo avuto successo!”

  • “E quale sostegno potevamo darvi?” Mi aveva risposto abbandonando la flemma per qualche istante. “Non eravamo una spedizione di pionieri che partiva con la nave carica di oggetti e macchinari per colonizzare il pianeta; non ricordi quanto sono stati ristretti i tempi per l’imbarco? Che a malapena siamo riusciti a caricare le scorte alimentari e la stiva era pressoché vuota? Come hai detto poc’anzi, anche noi eravamo interessati ad un esito positivo della vostra impresa!”“Non pretendevamo certo dei trattori, ma se ognuno di voi si prende la briga di ispezionare la nave, può rendersi conto di quanti oggetti per voi del tutto superflui, sarebbero stati utili, indispensabili, per noi! Avete agito in quel modo perché temevate un nostro ammutinamento, qualora avessimo intuito i vostri piani, quindi ci avete privato anche dell’indispensabile. I miei compagni, i vostri fedeli servitori, li avrete sulla coscienza se ne avete una!”“Basta!” Aveva gridato evoiG, facendo valere la sua posizione gerarchica.“Non è il momento di scenate isteriche! Adesso puoi andare, che noi abbiamo da prendere decisioni importanti. Come vedi non siamo egoisti come ci dipingi, dal momento che ti abbiamo accolto con noi, come uno di noi!”Dovetti uscire mio malgrado ma prima li puntai uno ad uno senza riverenze, a testimonianza del disprezzo che nutrivo per ognuno di loro, che al di là della boria e dell’alterigia erano ben poca cosa e la loro posizione gerarchica era dovuta a condizioni di ceto, non certo al valore o a meriti conquistati nelle attività quotidiane. Il giorno dopo venni a sapere che nemmeno l’ennesima estenuante discussione era valsa a farli propendere per una decisione definitiva, anche se la mia testimonianza era stata usata da etraM per avvalorare la sua tesi, comunque, più di uno dei suoi antagonisti si stava avvicinando alla sua posizione e presto ciò avrebbe smosso gli equilibri che si erano stabiliti fino ad allora. Passai quei giorni in compagnia di 329, col quale ispezionavamo i

  • punti strategici della nave. Io lo seguivo volentieri, approfittando dell’occasione per farmene rivelare tutti i segreti; del resto lui era prodigo nel mettermi a disposizione le conoscenze che riteneva potessero tornarmi utili e non perdeva occasione per istruirmi in tal senso. Più acquisivo nozioni e più mi sembrava inverosimile che avessi trascorso tutto il tempo in quei luoghi restandone all’oscuro. Non ero altri che un passeggero ignaro della parte più importante della nave, quella che la fa funzionare. Intanto etraM si prodigava per convogliare il numero più alto possibile di consensi verso la sua tesi ed ebbe presto ragione degli avversari.Quando fu ufficializzata la decisione di andare via, noi eravamo pronti. 329 l’aveva prevista con largo anticipo ed io che fino a quel momento, per certi versi l’avevo persino auspicata, all’improvviso avevo scoperto l’attaccamento verso quei luoghi, nonostante tutte le disavventure di cui ero stato vittima, ma il pensiero che con un approccio diverso forse avremmo avuto miglior fortuna e che in quel momento potevo stare con i miei cari a festeggiare mi rendeva amara quella decisione. Il mio parere comunque era meno che irrilevante, per cui quando fu il momento dovetti eseguire gli ordini insieme a 329 e impostare la rotta che ci veniva assegnata. Si andava verso una stella binaria che mostrava segni spettrografici interessanti, essendo circondate da una nutrita serie di pianeti, ma niente di più, puntavamo solo sul calcolo delle probabilità, quasi che fosse prevalente la volontà di allontanarsi da quei luoghi rispetto all’inconsistenza della nostra destinazione.Appena fuori dall’atmosfera furono prese tutte le precauzioni necessarie per andare alla massima velocità.Diedi un ultimo malinconico sguardo al Pianeta Azzurro e come gli altri mi alloggiai tristemente in uno dei cilindri per l’ibernazione. Le operazioni preliminari erano state quelle che avevo odiato di più in assoluto, quando dovevo avvicinare la mascherina al volto e lasciare che mi riempisse i polmoni e la bocca e tutto l’intestino di quel

  • liquido denso. La prima volta avevo creduto di soffocare, anche se poi ci avevo quasi fatto l’abitudine. Gli edeniti andavano fieri della messa a punto di quel medicamento, che era come un balsamo per le nostre cellule messe a dura prova dalle basse temperature e dalla velocità della nave. Questa invenzione, a loro dire ci aveva permesso di allontanarci così tanto dal nostro pianeta, cosa che altrimenti sarebbe stata impossibile.329 restava nella sala di guida; indossava uno scafandro a cui erano allacciati tutti i comandi, che gestiva in una sorta di torpore telepatico, pronto a comunicare con lo stesso metodo con i suoi superiori, in caso di anomalie. Gli avvenimenti andavano avanti sempre uguali da alcune settimane e tutti noi eravamo praticamente incoscienti, ma riponevamo una fiducia incondizionata nella tecnologia avanzatissima della nave che fino ad allora ci aveva accompagnato e custoditi nel nostro cammino. Adesso non so esattamente quanto tempo sia trascorso dal momento della partenza in poi, però ad un certo punto i nostri sensi erano stati allertati. 329 aveva attivato tutti i contati telepatici, avvertendoci tramite essi che la nave era attratta da una forza che non riusciva a contrastare, nonostante tutti i congegni all’avanguardia di cui disponeva.Non ci volle molto a capire che avevamo sfiorato un buco nero, che la sua immane forza di attrazione ci aveva lambito e ci stava risucchiando verso di esso. Era un corpo di piccole dimensioni, comunque sempre di una potenza disastrosa per la nostra nave, se non fossimo riusciti a divincolarci dalla sua morsa fatale. I Teo si trovavano ancora una volta nella condizione di prendere una decisione dalla quale dipendeva la vita o la morte di tutti e nell’occasione non potevano permettersi nemmeno il lusso di argomentare le loro scelte, i tempi erano ristrettissimi. Che fare? Lasciarsi catturare sperando di venir catapultati in un’altra dimensione, o tentare di resistergli per essere completamente padroni del proprio destino? Ognuna delle possibili alternative

  • presentava dei rischi mortali.Furono analizzati tutti i dati riguardanti esperienze simili affrontate in precedenza dagli equipaggi delle navi edenite e i risultati non erano incoraggianti; gli elaboratori non aiutavano né in un senso, né nell’altro. La teoria che attraversando il buco nero si venisse catapultati in un’altra dimensione era solo il risultato di un calcolo matematico, ma non c’era nessuna esperienza in tal senso. Tutti gli equipaggi che si erano trovati in una situazione simile avevano preferito tentare di resistergli, piuttosto che correre il rischio di essere stritolati dalla sua forza immane ed essere ridotti a una minuscola particella dell’antimateria. La nave scricchiolava in ogni suo elemento, le sollecitazioni erano troppo forti anche per materiali di una tecnologia così avanzata. Le luci andavano e venivano, il suono dell’allarme era angosciante e noi eravamo impacchettati come salami. Avevamo paura… il buco nero ci stava facendo suoi!Non avremmo potuto fare nulla di diverso nemmeno se fossimo stati liberi nei nostri movimenti, ma stare in quella posizione, completamente in balia degli eventi era terribile, nonostante ciò, dovevamo affidare la nostra sorte alla fatalità.Quando tutto sembrava perduto, 329 ci aveva informato di ciò che aveva appreso dai dati pervenuti a proposito di navi in circostanze simili alla nostra che gli sembrava plausibile ed attuabile. In quell’occasione la nave aveva rilasciato e fatto esplodere tutto il propellente dei serbatoi, provocando un’esplosione che l’aveva liberata dalla morsa. Nei serbatoi della nostra nave era stipato un propellente di nuova generazione, sufficiente a farci navigare a velocita doppia di quella della luce per migliaia d’anni, se fosse stato necessario, però la decisione non poteva prenderla lui, quella spettava ai Teo. “Ma poi resteremo senza propellente?” Aveva chiesto evoiG, preoccupato. “Certo,” – gli aveva risposto 329 – “però avremmo una pur minima

  • possibilità di cavalcare l’effetto fionda di quell’esplosione e dirigerci nuovamente verso il pianeta azzurro!”.A quel punto la nostra sopravvivenza era legata a decisioni che andavano prese nell’immediato e non essendoci nessuno che proponeva alternative, la proposta di 329 era stata resa operativa. L’esplosione fu tremenda, indescrivibile; la nostra nave venne scagliata nello spazio come un fuscello, priva di alcun controllo, poiché i comandi non rispondevano più; noi perdemmo conoscenza.

    Fu 329 a risvegliarci, dopo un tempo che non ci era stato possibile calcolare, poiché avevamo perso i sensi. Dopo un controllo accurato della nave e riparati i danni causati dalle sollecitazioni abnormi a cui ci aveva sottoposto l’esplosione a ridosso del buco nero, aveva attivato i comandi per ripristinare la temperatura ottimale che ci avrebbe sciolto dalla morsa dell’ibernazione. A quel punto ci attendeva un periodo di riabilitazione che ognuno di noi conosceva alla perfezione, in conseguenza delle esperienze precedenti, quando avevamo dovuto sottoporci a trattamenti di ipotermia e tutti, indistintamente, avevamo in odio le fasi che la precedevano e quella successiva, nella quale era prevista una noiosissima e dolorosa serie di esercizi riabilitativi. Eravamo intorpiditi e preoccupati, perché le nostre coscienze avevano ben presenti gli avvenimenti drammatici di cui eravamo stati testimoni impotenti, ma già il fatto di essere ancora in vita era stato un enorme sollievo. Trascorso il tempo indispensabile per riacquisire almeno le funzioni più elementari e poterci muovere in maniera autonoma, evoiG, convocò 329 per un rapporto dettagliato dei fatti accaduti. Si erano ritirati nella sala comandi lasciandoci in apprensione per giorni, ma il peggio doveva ancora venire. Ce ne rendemmo conto quasi subito dalle urla contrariate di evoiG, che nell’occasione non era stato in grado di mantenere la flemma consueta, lasciandosi andare ad esternazioni talmente vigorose che nemmeno le pareti insonorizzate della sala avevano potute contenere ed il rapporto di pochi minuti che tutti si auspicavano si era prolungato sine die. Qualche giorno dopo,

  • finalmente fummo convocati nella sala riunioni, dove nell’attesa che evoiG e 329 facessero il loro ingresso non mi fu difficile rilevare che tutti, anche i più intransigenti ed esuberanti avevano perso la loro baldanza ed attendevano mogi mogi gli esiti del colloquio tra i due. Quando ci raggiunsero, evoiG aveva riacquisto almeno apparentemente il contegno che gli era abituale. Io invece trasalii, quando apparse 329. Lo vedevo sciupato, accigliato, invecchiato di qualche anno e ciò mi appariva inverosimile, in conseguenza della mia consapevolezza che si trattava di una macchina.evoiG aveva atteso che scemasse il brusio che li aveva accolti nella sala e quando era stato certo di aver calamitato l’attenzione di tutti si era rivolto all’indirizzo di 329.“È giunto il momento che anche loro vengano a conoscenza della situazione. Estendi pure a loro il resoconto dettagliato che hai fatto a me, nei minimi particolari! 329 era in piedi, a qualche passo da evoiG, sul palchetto sul quale spesso i Teo si esibivano in occasione della messa in scena delle loro opere teatrali e poetiche. Mi era parso esitante, quasi non lo riconoscevo, comunque, dopo una pausa che a noi era parsa interminabile e che probabilmente gli era servita per cercare le parole più appropriate per l’occasione, aveva dato inizio all’esposizione del rapporto. Il mio interesse però era calamitato dal suo aspetto, dal quale ero certo di poter ricavare più elementi di quanti ne potesse offrire la sua esposizione. Sembrava avesse perso la sua abituale sicurezza, oltre che invecchiato. Era più magro di come lo ricordassi e delle rughe appena percettibili gli ornavano il contorno occhi, quindi la mia perplessità si intensificava, in conseguenza delle mie nozioni riguardo alla cura che gli edeniti dedicavano all’aspetto delle macchine, che dovevano rappresentarli al massimo del loro splendore, nelle occasioni in cui venivano a contatto con entità di altri pianeti. “Per la prima volta da quando sono stato costruito, devo riconoscere di non essere in grado di darvi risposte esaurienti riguardo ai fatti incontestabili che sto per annunciarvi.” Abbassati gli occhi si era

  • fatto scivolare le mani sui fianchi, reprimendo malamente il fastidio per doversi assumere personalmente un onere che toccava ad altri, nonostante tutto aveva continuato l’esposizione dei fatti. “Per quanto possa sembrarvi incredibile, per un certo tempo è come se anch’io avessi perso conoscenza, perché mancano i dati necessari a dare una spiegazione logica alle cose che sto per esporvi.”Dalla sala si era levato un coro di disapprovazione e di incredulità che era tracimata nell’intervento beffardo di otsefE. “Come puoi perdere conoscenza tu? Capirei se fossi dotato di sistema nervoso; al contrario, i tuoi circuiti biologici sono stati progettati per resistere a qualsiasi tipo di sollecitazione, proprio per evitare che la nave restasse senza controllo nel caso che il resto dell’equipaggio venisse a trovarsi in difficoltà e finora, nonostante tali circuiti siano stati sottoposti ai collaudi più massacranti non hanno mai dato segni di cedimento! Ed ora noi dovremmo credere che tu hai perso conoscenza?”Viste le reazioni della platea, evoiG aveva fatto cenno a 329 di mettersi da parte e si era impegnato in prima persona per l’esposizione dei fatti di cui era a conoscenza. “Carissimi,” – aveva esordito con voce suadente –“voi mi stupite! Vi conosco tutti come individui di larghe vedute, pronti a rilevare la realtà dei fatti per ricondurli ai bisogni dell’occorrenza, quindi ritenevo superfluo ricordarvi quanto sia vasto l’universo e quanto in questa vastità sia vario il comportamento degli elementi. Ciò che è considerato elementare in certe circostanze, può rivelarsi improponibile in altre e se noi non abbiamo la capacità di accettare l’evidenza, le nostre risposte rischiano di restare in gran parte incompiute.”A quel punto evoiG fece una pausa per guardare in faccia e rassicurare tutti i presenti riguardo alla solidarietà che provava nei confronti di ognuno di loro; che era sempre il medesimo individuo in cui sistematicamente avevano riposto la propria fiducia e che per quanto potesse essere compromessa la situazione, i loro rapporti personali non avrebbero dovuto mutare.

  • “Se voi guardate all’esterno non vi sarà difficile riconoscere il luogo dove ci troviamo al momento.” Ed aveva sostenuto le parole con un ampio gesto della mano per indicare i cristalli che permettevano di veder fuori dalla nave. “Non sappiamo darvi una spiegazione di come siamo arrivati sin qui!” Aveva gridato.“Da quando 329 ha ripreso la sua attività,” – aveva proseguito evoiG dopo una breve pausa, approfittando della quale aveva indicato nuovamente il pianeta azzurro – “questo pianeta ha compiuto solo mezzo giro di rivoluzione intorno alla sua stella. Noi eravamo già in questo sistema stellare, al suo; chiamiamolo risveglio! Lui ha solo condotto questa nave che navigava per inerzia, nell’orbita di questo pianeta.Dopo aver controllato e ricontrollato i dati in nostro possesso, in conseguenza della mia poco accondiscendente propensione ad accettarli per veri; di fronte all’evidenza, possiamo affermare con assoluta certezza che: a) Non abbiamo più carburante.b) Tutta l’energia di cui usufruiamo viene ricavata dai pannelli fotovoltaici ma, e questa è una nota positiva, è sufficiente per farci soggiornare qui per sempre, se noi lo volessimo.Le parole di evoiG erano state interrotte da un coro di disapprovazione che non lo aveva dissuaso comunque dal continuare.“Amici miei, devo essere sincero, mi aspettavo un atteggiamento diverso da parte vostra. I fatti di cui vi sto informando non sono avvenuti per volontà di qualcuno di noi, che lo vogliamo o no, sono accaduti e noi dobbiamo prenderne atto ed adeguarci, cercando le soluzioni più adatte all’occasione!” Dopo il richiamo di evoiG l’atteggiamento dei presenti si era fatto più arrendevole, facilitandogli il compito di esporre la parte più indigesta della situazione corrente. “Quello che stento a dirvi, e sono sicuro che non me ne vorrete se lo farò con franchezza, è che gli strumenti di bordo; gli strumenti di

  • bordo registrano ottocentomila giri di rivoluzione di questo pianeta intorno alla sua stella, da quando noi siamo partiti.Gli strumenti saranno impazziti! É quello che ho gridato anch’io ma,” - evoiG fece una pausa, quasi che ciò che si apprestava a dire potesse mettere in crisi la sua credibilità.“Il fatto è, che adesso il Pianeta Azzurro è abitato da individui umani!”Tutti i presenti a quel punto si voltarono nella mia direzione, quasi a indagare sulle mie responsabilità riguardo a quella vicenda, pronti a scagliarsi su di me, qualora avessero potuto appurare mie menzogne pregresse, causa indiretta di quella situazione. “No, lui non ha responsabilità, purtroppo.” Intervenne evoiG ancora una volta.“Non si tratta di poche centinaia di persone disperate, ma di milioni di individui che hanno praticamente colonizzato tutto il pianeta.”evoiG aveva atteso pazientemente l’ennesima dimostrazione d’intemperanza dei presenti, questa volta nell’impassibilità più totale, per riprendere solo quando il silenzio era tornato a prevalere.“In qualsiasi modo la pensiate,” – aveva proseguito spazientito l’oratore – “quella che mi appresto a enunciarvi è la nostra situazione, poi ognuno di voi sarà libero di proporre le soluzioni che meglio si adattano al caso. Scusatemi, ma il vostro atteggiamento mi costringe a ripetermi e a riproporvi lo stato dei fatti, che non cambiano in conseguenza della nostra contrarietà ad accettarli. Il fatto più eclatante è che non abbiamo più carburante, quindi non possiamo allontanarci da qui.Se togliamo la nave dall’orbita intorno al pianeta, questa va alla deriva; se la portiamo sul pianeta, non potremmo mai più riportarla in orbita, perché qui non ci sono le tecnologie adatte a fabbricare un qualsiasi tipo di carburante a cui poter adattare la nostra nave.Tuttavia, potremmo usare le navette in dotazione della nave e sbarcare in gruppi di trenta, però vi avverto; adesso i rapporti di forza si sono invertiti e saremo noi a dover sottostare alle regole degli umani, dato che sono in stragrande maggioranza e che

  • conoscono il modo per sopravvivere in questo ambiente, cosa che noi non sappiamo ancora fare.” “Ma, scusatemi se non mi adeguo e se mi appello alla logica più elementare,” - intervenne enodisoP, facendosi avanti tra gli astanti per dirigersi con estrema risolutezza verso il palchetto. enodisoP era un uomo massiccio e questa caratteristica era evidenziata in particolar modo nell’occasione dalla tunica verde acqua che faceva risaltare i suoi lineamenti estremamente invigoriti dalla collera e la folta capigliatura disordinata e scomposta. “Non posso accettare che si propongano come veritieri, fatti che sono diametralmente opposti a conoscenze acquisite e verificate nel corso dei tempi! “Non siamo novellini che si allontanano da Eden sporadicamente per ragioni turistiche. Noi qui abbiamo soggiornato a lungo! Siamo tutti a conoscenza del meccanismo che regola il sistema stellare in cui ci troviamo. Sappiamo che un giro di rivoluzione equivale al ciclo completo delle stagioni di questo pianeta, a trecentosessantacinque notti e altrettanti giorni; siamo consapevoli, del fatto che siamo stati in viaggio un tempo infinitesimale, rispetto a quegli ottocentomila giri di cui ci parli tu, evoiG?”“Ero incredulo quanto te,” – gli aveva risposto evoiG senza scomporsi – “e rammento perfettamente i fatti accaduti dal momento della nostra partenza fino al momento del disastro! Per quanto riguarda il periodo in cui eravamo coscienti non c’è alcun problema a ricostruirlo; per il resto è buio totale. Non sappiamo quanto è durato il periodo in cui eravamo privi di conoscenza, non sappiamo cosa è realmente accaduto alla nave al momento dell’esplosione e ci sono i fatti, che sono inconfutabili e che vi ho descritto con dovizia di particolari. I quarantotto individui che abbiamo lasciato alla nostra partenza sono diventati milioni e questo non è che avvenga in un giro di rivoluzione. Sappiamo bene quanto passa dall’accoppiamento alla nascita di un individuo e possiamo anche immaginare la percentuale altissima di mortalità, nelle condizioni di estrema competizione per la sopravvivenza in cui si

  • sono venuti a trovare detti individui. Noi possiamo credere quello che vogliamo, rimangono i fatti, vogliamo prenderne atto?”“E, non potremmo semplicemente chiedere aiuto per poi ripartire? Assicurandoli che subito dopo toglieremmo il disturbo…”avreniM aveva esordito titubante; calamitando l’attenzione di tutti i presenti.La ragazza era minuta ma dalle forme aggraziate, appena celate da una tunica di colore celeste. Teneva i capelli rossi e ondulati acconciati della lunghezza appena necessaria a coprirle il capo, in cui erano incastonati dei lineamenti delicati e regolari, lasciando in evidenza il collo lungo e sottile, quasi fosse un piedistallo che lo reggeva. evoiG non seppe trattenere un sorriso di commiserazione.“Gli umani si sono moltiplicati, è vero, vivono in piccoli gruppi sparsi un po’ ovunque, ma in quanto a tecnologia non la conoscono proprio. Hanno imparato a tessere la lana degli animali addomesticati, coltivano piccoli appezzamenti di terreno con aratri di legno a trazione animale, quando non sono loro stessi a farlo; vivono in capanne e sono ancora in gran parte cacciatori raccoglitori, in che modo potrebbero aiutarci?”“Quindi noi dovremmo adattarci a una simile esistenza?”Gli aveva chiesto incredula e spaventata, ereneV.evoiG aveva rivolto lo sguardo verso la figlia e aveva dovuto dar fondo a tutto il suo autocontrollo per non lasciar trasparire lo sgomento e l’incertezza che aveva fatto emergere in lui quella semplice domanda. In quel momento la coglieva per la prima volta nelle sue fattezze di donna, perché fino ad allora l’aveva sempre considerata una bambina, ma al momento ne scopriva tutta la sua avvenenza, una dote che nelle circostanze che si prospettavano non era necessariamente favorevole. In effetti la ragazza era la femmina più bella della nave ma non avrebbe temuto confronti nemmeno se la compagnia fosse stata molto più numerosa. Il corpo era slanciato, snello ma con le forme

  • ben evidenti e provocanti. I lineamenti del viso erano aggraziati, privi di difetti. Gli occhi grandi erano scuri, il naso diritto, la bocca ben disegnata e sensuale, le guance rosa. Faceva da cornice a simili lineamenti una folta chioma di capelli corvini appena increspati e questa caratteristica ne aumentava ancora il volume. evoiG provò a immaginare la figlia intenta ad accudire le pecore, o a raccogliere la legna per il fuoco, ma per quanto si sforzasse non riusciva a collocarla in simili faccende. “Siamo qui per decidere quello che vogliamo fare, tenendo conto di quello che ci viene offerto dalla nostra situazione!” Le aveva risposto evoiG in un estremo e vano tentativo di rassicurarla. “Del resto non è detto che vogliano aiutarci … dobbiamo rammentarci che noi li abbiamo abbandonati su questo pianeta, non è detto che non abbiano uno spirito di rivalsa nei nostri confronti.” Ciò detto aveva indirizzato lo sguardo per l’ennesima volta verso gli astanti, cercando di carpire i loro pensieri e le loro emozioni, per poi riprendere più deciso che mai. “A questo punto, considerato il fermento e la disapprovazione che colgo nella sala, vorrei fare in modo che la discussione non divenga sterile, quindi voglio assicurarvi che è permesso a tutti esprimere opinioni e proposte e tutti insieme decideremo in favore di quella che reputeremo più adatta alla soluzione del nostro problema. Prima di cedere la parola però, consentitemi una precisazione riguardo alle responsabilità verso le quali si potrebbero imputare le origini della nostra condizione. Sapete bene che non è mia abitudine scaricare su altri le mie responsabilità, ma in questa circostanza me ne considero totalmente alieno. Eravate tutti presenti e nessuno di voi in coscienza potrà negare che a suo tempo, l’assemblea ha deciso con larga maggioranza e contro il mio parere; decisione alla quale mi sono adeguato in omaggio alla democrazia. Chi ha delle idee si faccia avanti or dunque!” L’assemblea si era raggelata per qualche istante, riempiendo la sala di un silenzio siderale; poi i Teo avevano ripreso a discutere tra di loro; concitati, scettici; non potevano e non volevano accettare l’idea di

  • trovarsi senza vie d’uscita, di doversi sottomettere agli Umani, che avevano sempre dominato, nella storia del loro pianeta.Non riuscivano ad accettare di doversi adattare a una vita così misera e senza prospettive per il futuro, ma per quanto si sforzassero non erano in grado di individuare una sola alternativa. Quando ormai la rassegnazione cominciava a prevalere, prospettando un rinvio sine die, riguardo alle scelte necessarie a dare una svolta a quella situazione, la sagoma arcigna di Atavo, patrigno di Atlante, si fecce avanti.Era un individuo basso, tarchiato, sgraziato, con i pochi capelli che non l’avevano ancora abbandonato scarmigliati e grigi. Era l’antitesi dell’eleganza.Dopo essersi portato nelle vicinanze di evoiG e 329 e dopo essersi schiarito la voce, esordì: “Cari compagni di sventura, mi conoscete bene e sapete che sono di poche parole; io sono per i fatti e mai come in quest’occasione abbiamo avuto bisogno di fatti, per cui non mi dilungherò oltre. Lungi da me la presunzione di voler risolvere tutto, però nel mio piccolo voglio fare un tentativo, quindi mi propongo quale ambasciatore presso gli umani, o comunque quale tramite. Una sola richiesta, che mi venga concesso il tempo e la tranquillità necessaria al compimento dell’impresa, a me e a quel gruppo di volontari che vorranno seguirmi. Voglio rassicurarvi, non andremmo allo sbaraglio, sceglieremo una destinazione circoscritta che ci dia il margine più alto possibile di ritirata, nel caso si rivelasse necessaria, ma io sono pronto a scommettere che giocando bene le nostre carte possiamo capovolgere le sorti del nostro destino. Basta, lascio a voi la decisione di affidarmi questo privilegio; adesso mi faccio in disparte per darvi modo di discutere senza inibizione alcuna, o il patema di dover offendere la mia sensibilità. Chiamatemi quando avrete preso una decisione.” Ciò detto Atavo si era allontanato dalla sala.“Finalmente una proposta saggia e concreta.”Gli aveva fatto eco evoiG nel frattempo che lasciava la sala, tirando al contempo un sospiro di sollievo per lo spiraglio che si era

  • spalancato inaspettatamente. “Io direi di metterla ai voti…”L’assemblea era ammutolita il tempo necessario ad ogni individuo per valutare la proposta, ma immediatamente dopo, il coro di disapprovazione era divenuto un frastuono dal quale a fatica era emersa la voce furibonda di etraM. “Cosa vuoi mettere ai voti?Per chi vuoi allestire questa messinscena?Lo sai benissimo, così come lo sa ognuno di noi che non possiamo andare, né tanto meno partecipare a questa fantomatica missione!”evoiG si era portato una mano alla barba, accarezzandola come d’abitudine quando voleva mettere i suoi interlocutori di fronte al fato compiuto, o all’evidenza e dopo aver corrucciato la fronte e inarcato le sopracciglia, quasi a ricordare ad ognuno le proprie responsabilità, aveva espresso il suo pensiero in maniera quasi beffarda. “Glielo direte voi che dovrà andarci da solo?”“No, non sarà solo, ci andrò io con lui!” Dissi, proponendomi quale membro della spedizione; sconcertato e meravigliato per l’apparente disinteresse dei Teo alla soluzione del problema in cui ci eravamo venuti a trovare.Quasi avesse intuito l’esito degli avvenimenti, subito dopo Atavo aveva fatto la sua ricomparsa, contraddicendo il proposito di aspettare la decisione dei Teo.“Non è necessario, avevo già preso in considerazione questa ipotesi e se evoiG acconsente, porterò con me solo 329!”evoiG annuì, riflettendo sulle conseguenze di quella richiesta, che in pratica privava tutti loro del responsabile della nave, quasi che Atavo si prendesse la rivincita per la vigliaccheria che avevano dimostrato tutti loro in quell’occasione. Strabuzzò gli occhi e con un ghigno amaro si rivolse a 329. “Mettiti a disposizione di Atavo!” Gli disse non vedendo vie d’uscita.“Sono pronto ma, tu hai dimenticato di dire qualcosa all’assemblea!”“A cosa ti riferisci?” Gli aveva chiesto EvoiG, con l’interrogativo stampato sul volto.“Non hai menzionato il punto che riguarda le scorte alimentari!

  • Ti avevo avvertito che sono esaurite, che sono rimaste solo quelle dell’ultima emergenza!”“E tu aprile! Non è un’emergenza questa?” Aveva urlato evoiG spazientito, dall’esito dell’assemblea e dall’impudenza di 329.“Non è l’ultima emergenza!Il regolamento dice che per ultima emergenza s’intende quella in cui non ci sono più alternative, se non quella di consumare le scorte per la sopravvivenza.”“Appunto!” Lo aveva incalzato evoiG, che a stento reprimeva la collera.“Mi dispiace ma non posso assecondarti,” – gli aveva risposto 329 impassibile – “l’alternativa c’è ed è quella di scendere sul Pianeta Azzurro e di procurarsi lì il cibo. Tu lo sai che io sono programmato per eseguire il regolamento, se non lo faccio mi disattivo automaticamente e quelle scorte resteranno chiuse per sempre!”“Ma chi può essere quello sciagurato che ha concepito un simile regolamento?” Urlò evoiG, andando su tutte le furie, intuendo in quel momento cosa significava una simile eventualità.“Siete stati voi! evoiG guarda! Porta anche la tua firma, ma quando l’hai apposta non immaginavi che un giorno ti saresti trovato nella condizione di sperimentarne personalmente l’efficacia!Dovrete ibernarvi fino al nostro ritorno!”“Al vostro ritorno? E se voi non doveste tornare?Resteremo ibernati per sempre!”“A questo non posso risponderti, il regolamento di questo non ne parla!”

  • Andro 329

    “Funziona!” Aveva esclamato 329 entusiasta. “Funziona! Dove hai trovato quelle pietre, Zoster?”“Sul monte ianiS!” Gli aveva risposto lui soddisfatto. “ Ce ne sono anche altre, posso fare un altro viaggio con la navetta, tanto più che ho anche un’altra cosetta da sistemare!”“Sono dello stesso materiale di cui ho riscontrato la presenza su Io, ci saranno utilissime, ma tu non correre rischi inutili!”“Non preoccuparti 329, però ricordati che adesso sul Pianeta Azzurro sono conosciuto col nome di Canòt.” “Canòt ? E come mai ti hanno dato quel nome?”“Ho raccontato loro di come percorsi i fiumi con una zattera, quella volta che mi allontanai dai miei 48 compagni, quando ci abbandonarono i Teo, e loro mi hanno chiamato così perché nel loro idioma canòt significa trascinato dalle acque.”Zoster era rimasto in silenzio per qualche minuto, nel frattempo che il computer diagnosticava le condizioni operative della navetta, poi si era rivolto nuovamente all’indirizzo di329.“Mi aiuti a scrivere delle regole che stimolino un comportamento rispettoso tra esseri umani?”“Zoster non impari mai,” – lo aveva canzonato 329 – “li hai salvati, non ti basta?” Poi rendendosi conto che l’amico era mosso da ragioni che lui non poteva percepire, aveva cambiato atteggiamento. “Va bene, se proprio ci tieni, posso darti un consiglio, anche se tu li conosci sicuramente meglio di me, dato che sono della tua stessa genie. Non dilungarti troppo, pensa a una decina di regolette elementari da imparare a memoria, per il contenuto non hai bisogno di consigli, l’importante è che osservandole siano stimolati a vivere in modo civile e tollerante. Ad ogni modo, considera che nell’arco di tempo che li hai lasciati soli potrebbero essere tornati alle loro abitudini, non mi stupirei se al tuo ritorno li trovassi nuovamente che adorano dei feticci!”“Non essere pessimista 329, comunque devo fare un altro viaggio

  • per caricare di queste pietre, se vogliamo andare su Io.”Ciò de