Lo sport per sordi: una realtà oltre le prestazioni

9
9 dossier segni amo - dicembre 2015/gennaio 2016 Lo sport per sordi: una realtà oltre le prestazioni Lo sport, aldilà del suo aspetto competitivo, svolge un ruolo culturale e sociale molto impor- tante presso la comunità dei sordi. Gli avvenimenti sportivi, che siano essi regionali, nazio- nali o internazionali, per i sordi rappresentano sempre un’occasione per riunirsi e dimenti- carsi, almeno per la durata dell’evento, della loro sordità. testo: Sandrine Burger; foto: SGSV-FSSS; traduzione: Catia De Ronzis N el suo Libro bianco sullo sport, l’Unione europea ha voluto ricor- dare che oltre agli aspetti legati alla salute e alle prestazioni, lo sport veicola ormai da decenni valori essenziali come la solidarietà e la tolleranza, rafforzando al contempo la crescita personale e la fiducia in se stessi. Questi elementi contano molto nella società degli udenti, ma a maggior ra- gione contano nel mondo dei sordi. LO SPORT COME RIVENDICAZIONE Storicamente, lo sport dei sordi ha avuto un ruolo di affermazione della comunità. Infatti, in un’epoca come quella del vente- simo secolo che vedeva la comunità sorda come una sottoclasse della popolazione, dove i singoli individui sordi erano da considerarsi esseri intellettualmente e lin- guisticamente inferiori, un certo Eugène Rubens-Alcais decise di reagire, organiz- zando una competizione internazionale dei sordi, ovvero le prime Deaflympics della storia (cfr. riquadro). Questa fu la sua maniera di dimostrare che anche la comunità dei sordi aveva il proprio valore, e che come tutte le altre, questa fetta di popolazione era in grado di organizzare dei banchetti o fondare delle associazioni. Ancora oggi, le Deaflympics rappresen- tano una favolosa tribuna che consente di mettere in mostra la comunità sorda almeno nel Paese organizzatore di turno. Questo è anche uno dei principali ar- gomenti regolarmente addotti dalle associazioni dei sordi per respingere le avances del movimento paralimpico, che vorrebbe assorbire le Deaflympics al suo interno. In effetti, i sordi perderebbero la loro visibilità se si confondessero nella massa delle altre disabilità. PERCHÉ DELLE ORGANIZZA- ZIONI SPORTIVE INDIPENDENTI ? Più o meno in tutto il mondo, gli atleti sordi si sono raggruppati all’interno di società sportive indipendenti, a circu- ito chiuso. Questo tipo di chiusura non si riscontra né all’interno degli sport praticati dagli udenti, né in quelli svolti dalle persone con altri tipi di disabilità. Ciononostante, questo fatto non è da at- tribuirsi né alla casualità, né ad un capric- cio immotivato. Esso è piuttosto da impu- tarsi al fatto che i sordi non si sono mai considerati delle persone disabili, bensì come una minoranza culturale, sulla quale fondare l’identità della loro lingua, la lingua dei segni. Anche se non si sentono disabili al mo- mento di praticare sport, ciò non toglie che i sordi s’imbattano spesso in problemi di comunicazione quando entrano a far parte di una società sportiva di udenti, analogamente a quanto avviene in molti altri ambiti. In quei casi, si assiste ad una perdita totale, o parziale, delle informa- zioni che, a lungo andare, tende a scorag- giare le persone sorde, fino ad indurle ad abbandonare l’attività sportiva. Gli atleti sordi ricevono le informazioni in maniera completa e paritaria solo all’interno dei club per sordi, dove la co- municazione avviene in lingua dei segni. Ciò permette loro di praticare l’attività sportiva in piena autonomia. La sensa- zione di autonomia e di autodetermi- nazione è rafforzata anche dal fatto che, nelle società sportive per sordi, solo le persone sorde possono ricoprire le più alte cariche dirigenziali. Ciò porta al miglio- ramento della crescita sociale e della fidu- cia in se stessi.

Transcript of Lo sport per sordi: una realtà oltre le prestazioni

9

dossiersegni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Lo sport per sordi: una realtà oltre le prestazioni

Lo sport, aldilà del suo aspetto competitivo, svolge un ruolo culturale e sociale molto impor-tante presso la comunità dei sordi. Gli avvenimenti sportivi, che siano essi regionali, nazio-nali o internazionali, per i sordi rappresentano sempre un’occasione per riunirsi e dimenti-carsi, almeno per la durata dell’evento, della loro sordità. testo: Sandrine Burger; foto: SGSV-FSSS; traduzione: Catia De Ronzis

Nel suo Libro bianco sullo sport, l’Unione europea ha voluto ricor-dare che oltre agli aspetti legati

alla salute e alle prestazioni, lo sport veicola ormai da decenni valori essenziali come la solidarietà e la tolleranza, rafforzando al contempo la crescita personale e la fiducia in se stessi. Questi elementi contano molto nella società degli udenti, ma a maggior ra-gione contano nel mondo dei sordi.

Lo sport come rivendicazioneStoricamente, lo sport dei sordi ha avuto un ruolo di affermazione della comunità. Infatti, in un’epoca come quella del vente-simo secolo che vedeva la comunità sorda come una sottoclasse della popolazione, dove i singoli individui sordi erano da considerarsi esseri intellettualmente e lin-guisticamente inferiori, un certo Eugène Rubens-Alcais decise di reagire, organiz-zando una competizione internazionale dei sordi, ovvero le prime Deaflympics della storia (cfr. riquadro). Questa fu la

sua maniera di dimostrare che anche la comunità dei sordi aveva il proprio valore, e che come tutte le altre, questa fetta di popolazione era in grado di organizzare dei banchetti o fondare delle associazioni.

Ancora oggi, le Deaflympics rappresen-tano una favolosa tribuna che consente di mettere in mostra la comunità sorda almeno nel Paese organizzatore di turno. Questo è anche uno dei principali ar-gomenti regolarmente addotti dalle associazioni dei sordi per respingere le avances del movimento paralimpico, che vorrebbe assorbire le Deaflympics al suo interno. In effetti, i sordi perderebbero la loro visibilità se si confondessero nella massa delle altre disabilità.

perché deLLe organizza-zioni sportive indipendenti?Più o meno in tutto il mondo, gli atleti sordi si sono raggruppati all’interno di società sportive indipendenti, a circu-

ito chiuso. Questo tipo di chiusura non si riscontra né all’interno degli sport praticati dagli udenti, né in quelli svolti dalle persone con altri tipi di disabilità. Ciononostante, questo fatto non è da at-tribuirsi né alla casualità, né ad un capric-cio immotivato. Esso è piuttosto da impu-tarsi al fatto che i sordi non si sono mai considerati delle persone disabili, bensì come una minoranza culturale, sulla quale fondare l’identità della loro lingua, la lingua dei segni. Anche se non si sentono disabili al mo-mento di praticare sport, ciò non toglie che i sordi s’imbattano spesso in problemi di comunicazione quando entrano a far parte di una società sportiva di udenti, analogamente a quanto avviene in molti altri ambiti. In quei casi, si assiste ad una perdita totale, o parziale, delle informa-zioni che, a lungo andare, tende a scorag-giare le persone sorde, fino ad indurle ad abbandonare l’attività sportiva.

Gli atleti sordi ricevono le informazioni in maniera completa e paritaria solo all’interno dei club per sordi, dove la co-municazione avviene in lingua dei segni. Ciò permette loro di praticare l’attività sportiva in piena autonomia. La sensa-zione di autonomia e di autodetermi-nazione è rafforzata anche dal fatto che, nelle società sportive per sordi, solo le persone sorde possono ricoprire le più alte cariche dirigenziali. Ciò porta al miglio-ramento della crescita sociale e della fidu-cia in se stessi.

10

dossier segni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Le Deaflympics si svolgono ogni quattro anni (cadenza interrotta solo dalla Seconda Guerra mondiale). A livello di anzianità, esse sono seconde solo ai Giochi olimpici. Com’è risaputo, i primi giochi hanno avuto luogo nel 1924 a Parigi, sotto il nome di Giochi silenziosi interna-zionali. L’artefice di questa prima edizione è stato Eugène Rubens-Alcais, l’allora presidente della Federazione spor-tiva dei sordomuti di Francia. Questa prima edizione ha riunito 148 atleti provenienti da nove Paesi europei, per poi sfociare nella creazione del Comitato internazionale degli sport silenziosi, ribattezzato più tardi in Comitato internazionale degli sport per sordi.

Col passare degli anni, i giochi si sono successivamente chiamati «International Silent Games» (1924-1965) e «World Games of the Deaf» (1966 - 1999). Infine, dal 2001 si è optato per la denominazione Deaflympics. La competizione è divenuta sempre più ampia, investendo sempre più Paesi e divenendo sempre più importante, perché da nove nazioni si è passati ad un’organizza-zione che conta ben 108 Paesi membri.

Da notare che i primi giochi invernali si sono svolti nel 1949 in Austria (33 atleti provenienti da 5 nazioni), mentre i primi giochi fuori dall’Europa hanno avuto luogo soltanto nel 1965, negli Stati Uniti, a Washington DC. Dal canto suo, la Svizzera ha ospitato per ben tre volte le Deaflympics invernali (Montana nel 1959, Adelboden nel 1971 e Davos nel 1999), ma non ha mai potuto organiz-zare i giochi estivi, essendo quest’ultimi assai costosi.

differenze maLgrado tutto…Come già detto, benché i sordi non si de-finiscano come persone disabili, ciò non toglie che i problemi d’udito restino co-munque un fattore che impedisce ai sordi di gareggiare in maniera paritaria. Infatti, la sordità non influisce solo sull’apprendi-mento dei movimenti, bensì impedisce ai diretti interessati anche di percepire quelle informazioni che passano per via acu-stica, come ad esempio lo stato del terreno o l’approssimarsi di un altro giocatore. Sottigliezze fini, che però possono fare un’enorme differenza durante una gara!

e in svizzera?Anche in Svizzera, i sordi si sono mo-strati molto attivi negli sport già a par-tire dal ventesimo secolo. Il titolo di pio-niere, in tal senso, spetta al Gehörlosen Sportverein di Zurigo che è stato fon-dato nel 1916. A livello nazionale, nel 1930 è nata la Federazione sportiva dei sordi della Svizzera SGSV-FSSS, il che la rende l’organizzazione sportiva più vec-chia dello sport per disabili di tutta la Confederazione elvetica.

Da quando è stata creata, la Federazione sportiva dei sordi della Svizzera si è pre-

1924: Parigi1928: Amsterdam 1931: Norimberga 1935: Londra 1939: Stoccolma1949: Copenhagen 1953: Bruxelles 1957: Milano 1957: Helsinki 1965: Washington DC 1969: Belgrado 1973: Malmö

1949: Seefeld 1953: Oslo 1955: Oberammergau 1959: Montana-Vermala 1963: Åre 1967: Berchtesgaden

1971: Adelboden 1975: Lake Placid 1979: Meribel 1983: Madonna di Campiglio

Deaflympics estive

La storia delle Deaflympics

fissata come obiettivo quello di inco-raggiare la pratica dello sport dei sordi attraverso tutto il Paese e in diverse discipline, sostenendo le varie sezioni e i loro membri. La conseguenza logica di quest’obiettivo è stata l’istituzione di corsi e di campi di allenamento. Nel corso degli anni, l’incoraggiamento dell’attività sportiva delle giovani leve (a scuola o nei club) è diventata una delle nuove priorità della Federazione sportiva dei sordi della Svizzera. Questo è anche il motivo per il quale essa ha intensificato la sua collabo-razione con le scuole, nonché altre istitu-zioni, organizzando regolarmente anche dei campi sportivi per giovani sordi. ■

Deaflympics invernali

1977: Bucarest 1981: Colonia1985: Los Angeles 1989: Christchurch 1993: Sofia 1997: Copenhagen 2001: Roma 2005: Melbourne 2009: Taipei 2013: Sofia

1987: Oslo 1991: Banff1995: Ylläs

1999: Davos 2003: Sundsvall 2007: Salt Lake 2015: Khanty-Mansiysk

11

dossiersegni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

«Per correre i 100 metri ci vuole comunicazione»

Roman Pechous dirige la Federazione sportiva dei sordi della Svizzera. Nella nostra intervi-sta ci parla dello statuto speciale dello sport per sordi, delle differenze regionali in Svizzera e dell’allontanamento dei giovani talenti dalla cultura sorda. intervista e foto: Martina Raschle; traduzione: Emilia Pennella

Roman Pechous, da sette anni lei dirige la Federazione sportiva dei sordi. Qual è la sua motivazione?Innanzitutto, lo sport è il mio cavallo di battaglia! Inoltre, questo lavoro ha un gran significato per me. Grazie allo sport, possiamo raggiungere grandi cose con uno sforzo minimo. Mi riferisco alla giornata sportiva o al meeting di atletica leggera con i giovani – abbiamo bisogno solo di una struttura, poi tutto può avere inizio.

Lei è una persona molto sportiva e ha l’abitudine di allenarsi con gli udenti. Come ha iniziato a lavorare con i sordi? Nella mia associazione di badminton c’era un giocatore sordo, Jakob Bieri, che mi ha invitato ad allenarmi insieme a lui per preparare una gara internazionale tra sordi. Nel 1998 sono quindi diven-tato l’allenatore nazionale del team di badminton della squadra di sordi e ho cominciato a frequentare un corso di

lingua dei segni. Oltre ad ampliare i miei orizzonti, la lingua dei segni mi è stata di grande aiuto nella comunicazione. Anche se non avessi diretto questa squadra, sa-rebbe stata comunque una lingua che avrei voluto imparare. È un’esperienza che consiglierei a chiunque!

Nel frattempo è diventato responsa-bile della Federazione sportiva dei sordi della Svizzera. Perché è così importante che i sordi abbiano la loro Federazione sportiva?Il motivo più importante è la comuni-cazione! Ciò non ha nulla a che fare con lo sport, ma torniamo sempre allo stesso punto. Si tratta di un vero e proprio osta-colo. Entrambe le parti – sportivi udenti e audiolesi – devono essere disposte a superarlo. Siamo confrontati con quest’a-spetto a tutti i livelli: sport di massa, nuove leve e sport agonistico. Nello sport di punta, i sordi hanno una posizione ancora più particolare: fac-ciamo parte di «PluSport», l’organizza-zione mantello delle discipline sportive per disabili, ma organizziamo tutte le ma-nifestazioni per conto nostro. Ancora una volta per via della comunicazione, perché ne va dei segnali di partenza, delle infor-mazioni, e chi più ne ha, più ne metta…

In ambito di sport per disabili, i sordi hanno un vantaggio, poiché non pre-sentano alcun handicap a livello mo-torio …Sì, ci vorrebbe una categoria a sé. Ci sono discipline sportive in cui la disabilità udi-tiva non ha nessun impatto, per esempio il tirassegno. Ciò vale, però, solo per le gare. Durante l’allenamento, invece, tutti

12

dossier segni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

gli atleti si confrontano nuovamente con problemi di comunicazione.

Perché è importante questa diffe-renza? Tante persone pensano che la sordità non rappresenti un vero handicap e che i sordi possano sempre far parte di una squadra! Ciò accade, per esempio, nel caso della corsa dei 100 metri. Proprio questo tipo di gara, però, presenta degli aspetti molto tecnici. Ci vogliono equili-brio, tanto allenamento e comunicazione. Quando una persona audiolesa fa parte di un’associazione sportiva udente, l’alle-natore non si prende il tempo necessario per allenarla in maniera appropriata. Noi, invece, possiamo formare dei gruppi più piccoli e informare in modo mirato. Allo stesso tempo, invitiamo sempre i nostri atleti di punta a continuare ad allenarsi con gli udenti. È importante, poiché il loro livello è semplicemente più alto. Con i nostri settori sportivi possiamo agire in modo specifico.

Salta all’occhio che talune discipline sportive che per gli udenti sono piut-tosto marginali, per i sordi hanno invece una grande valenza, come ad esempio il tirassegno o il futsal. A cosa si deve questo fatto? Alla disa-bilità uditiva o all’offerta? Da un lato, guardiamo quali discipline ci sono a livello internazionale. Dall’altro, qui da noi si trovano tante iniziative di privati che offrono la possibilità di pra-ticare un determinato sport. Poi, però, dobbiamo chiarire se esiste una vera do-manda. Vogliamo un’offerta duratura, ma il bacino dei nostri atleti è limitato e tra questi molti praticano varie discipline sportive.

Ha notato alcune differenze in am-bito sportivo nelle diverse regioni della Svizzera?È la stessa situazione che si presenta nel mondo dello sport per persone non disa-bili; in Romandia lo sport è meno diffuso – e le discipline importanti sono diverse. Per esempio, il basket e la pallavolo. In questo periodo la Svizzera tedesca si di-mostra la regione più impegnata a favore dello sport per sordi. Ciò significa che gli

appuntamenti si svolgono spesso nella Svizzera tedesca, poiché è qui che c’è una maggiore presenza di associazioni. Non conosciamo esattamente il perché di tale situazione, non ci sono motivi legati allo sport. Forse si tratta effettivamente di dif-ferenze culturali.

Lo sport è un aspetto importante della cultura sorda e Lei vi è diretta-mente coinvolto. Si sente parte inte-grante di questa cultura? È una domanda che mi sono posto per la prima volta in occasione dei congressi internazionali. Una persona udente non ha il diritto di essere nominato presidente di un’associazione e non ha alcun diritto di voto. Ho scoperto così di non appar-tenere alla cultura sorda e nemmeno di farvi parte. È da molto tempo che ho una buona visione d’insieme e intrattengo an-che svariati contatti personali. Tuttavia, per me rimane un altro mondo con tante barriere linguistiche. Ciononostante, non ho mai avuto la sensazione di non essere accettato.

I sordi sono riusciti a ottenere le loro federazioni sportive nel periodo in cui la cultura sorda e la lingua dei segni erano vietate. Potrebbe essere questo il motivo per cui ora i sordi non vogliono aprirsi? In effetti, potrebbe essere così. Soprattutto nella parte orientale della Svizzera ci sono tanti presidenti sordi in carica ormai da lungo tempo. Essi non sono pronti ad aprirsi, anche perché te-mono per l’integrità della cultura della lingua dei segni. Essi sono scettici anche

riguardo alla possibilità di aderire alle Paralympics; anche se questo aiuterebbe molto il mondo dello sport rivolto ai sordi. Tutto questo cambierà con le nuove generazioni.

Come vede il cambio generazionale qui in Svizzera? Ci sono abbastanza nuove leve? È la stessa cosa che avviene per gli udenti – solo in modo più evidente, poiché ci sono meno sportivi audiolesi. Nessuno vuole più stringere i denti e impegnarsi veramente. Ci sono però alcune eccezioni, anche se molto poche. Non possiamo più attirare i giovani con la prospettiva delle gare internazionali, poiché l’estero non è niente di nuovo per loro. Dobbiamo ispi-rare le nuove leve con altri metodi.

C’è già un’idea su come si vuole pro-cedere?Dobbiamo convincerli dei vantaggi. Possono allenarsi in un team composto da persone alla pari e li sosteniamo fi-nanziariamente nel raggiungimento dei loro obiettivi. L’identificazione rimane comunque un problema; tanti giovani sono cresciuti in maniera integrata e non si considerano nemmeno più sordi. Non conoscono la cultura sorda. Questi gio-vani gareggiano per noi, poi però è poco probabile che assumano un ruolo all’in-terno della nostra Federazione a livello di gestione. Da quando le scuole per sordi sono state chiuse, è più difficile trovare le giovani leve. Dobbiamo essere ovun-que per far sapere ai giovani che esiste un mondo dello sport rivolto ai sordi.

Come evolverà lo sport per sordi in Svizzera?La nostra Federazione si fonda su tre pilastri: nuove leve, sport di massa e li-vello agonistico. Lo sport di punta può esistere solo se gli altri due settori sono abbastanza forti. Dobbiamo promuovere lo sport di massa e le nuove leve. E que-sto funziona solo nelle regioni! Le nostre associazioni regionali devono attirare le persone e informare i giovani sordi e de-boli d’udito. Come Federazione nazio-nale dobbiamo aprirci maggiormente e collaborare con le altre organizzazioni – anche con gli udenti. ■

«LA GENERAZIONE PIÙ ANZIANA HA PAURA DI

APRIRSI.»

13

dossiersegni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Futsal, che passione!La storia del futsal è talmente movimentata, che vale la pena dedicare una pagina del nostro dossier a questo sport molto apprezzato in Ticino!testo: Catia De Ronzis: foto: Birol Kayicki

iL confronto storico tra caLcio e futsaL

Com’è noto a tutti gli appassionati di cal-cio, il primo Mondiale della storia venne disputato nel 1930 in Uruguay. Questo perché in Uruguay il calcio era già molto diffuso, avendo il Paese già vinto due edi-zioni olimpiche (1924 e 1928). Anche quello che oggi chiamiamo futsal nacque in Uruguay, ma solo tre anni più tardi, nel 1933, quando in Europa si incominciava già ad assistere alla lenta ascesa nazista che poi sarebbe purtroppo sfociata nella seconda guerra mondiale. In Uruguay, invece, non c’erano guerre simili in vista e il fatto di aver vinto il primo Mondiale di calcio appassionava molte persone a questo sport. Uno di questi appassionati fu anche il professore di educazione fi-sica, Juan Carlos Ceriani Gravier. Nel suo mestiere non aveva la possibilità di far giocare i suoi ragazzi nei grandi campi di calcio, bensì doveva, per così dire, accon-tentarsi delle palestre oppure dei campi di pallacanestro, se non addirittura di quelli di hockey su pista (unihockey). Visto che lo spazio a disposizione era as-sai ristretto, Ceriani Gravier ideò una formula per giocare il cosiddetto calcio

a cinque. Questa formula, benché largamente orientata al calcio, prendeva in prestito anche regole di altri sport, in particolare della pallamano (dimensioni del campo e della porta), della pallanuoto (re-gole sul portiere) e del basket (numero di giocatori e durata delle partite).

diffusione sportivaLa prima edizione moderna delle Olimpiadi sul finire del 19° secolo (1896) segnò una

svolta decisiva per la diffusione di molti sport su scala mondiale, soprattutto a livello agonistico. Infatti, a partire da quel momento, si formarono via via sem-pre più associazioni sportive, anche nel mondo dei sordi. Basti pensare che l’as-sociazione sportiva dei sordi di Zurigo venne fondata già nel 1916. Nel 1930 non solo venne fondata la Federazione spor-tiva dei sordi della Svizzera SGSV-FSSS, bensì anche la Società Silenziosa Ticinese dei Sordi SSTS, al quale fece seguito l’o-dierno Gruppo Sportivo nel 1931. La creazione della Silenziosa in Ticino è fon-damentalmente da attribuirsi al fatto che, nel 1928, quattro esponenti ticinesi ven-nero invitati dalla Silenziosa di Milano ad assistere a delle partite di calcio nella capitale lombarda. Un anno dopo, gli svizzeri decisero di ricambiare l’invito organizzando una partita di calcio a Lugano. Siccome il calcio a cinque uffi-cialmente ancora non esisteva, all’inizio anche nella comunità dei sordi si giocava al calcio classico. Col passare del tempo, evidentemente, i vantaggi del calcio a cinque si sono imposti, nominatamente quelli dovuti agli spazi più esigui che di conseguenza permettono l’utilizzo d’in-frastrutture più compatte e meno costose.

due modaLità di gioco

In Italia, la prima traduzione del calcio a cinque fu calcetto. Ben presto però fece breccia la denominazione di calcio a cinque, termine ancora in uso benché la parola futsal stia prendendo sempre più piede. In italiano, però, questo termine indica unicamente la versione propagata dalla FIFA, che gestisce anche il classico calcio a undici. Già, perché in effetti, la FIFA ha cambiato un bel po’ di regole originali del calcio a cinque praticato so-prattutto in America Latina. Per questo motivo, all’inizio del ventunesimo secolo è nata la AMF, l’Associazione Mondiale di Futsal, allo scopo di preservare le regole originali, tant’è vero che ormai si gioca in due maniere diverse a livello mondiale. Per distinguere le due entità, in italiano si parla di calcio da sala quando s’intende quello dell’AMF.

percorsi diversiLo sport, si sa, ha un enorme potere ag-gregativo. Ciò vale anche per i sordi. Tuttavia non è l’unico vettore in grado di offrire un senso di appartenenza. Anche le attività ricreative in generale hanno il potere di accomunare le persone. Evidentemente, è ciò che è successo all’in-terno della comunità sorda romanda, che essendosi specializzata presto nelle cosid-dette animazioni, non ha più sentito il bisogno di cercare l’unione nello sport, com’è invece successo nella Svizzera te-desca e in Ticino. Forse, come supponeva anche Roman Pechous nella sua intervi-sta, è davvero un fatto di mentalità e di culture diverse. O, più semplicemente, è la storia che non segue sempre gli stessi percorsi nelle varie regioni! ■

14

dossier segni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Sordi e sport a livello agonistico: un’intervista a Nicole Lubart

Nicole Lubart è responsabile del settore sport competitivo/nuove leve della Federazione sportiva dei sordi della Svizzera SGSV-FSSS. In questa intervista ci rivela come si distingue lo sport per sordi da quello praticato dagli udenti.intervista: Catia De Ronzis; foto: Nicole Lubart; traduzione: Emilia Pennella

Signora Lubart, lei è responsabile del settore sport competitivo/nuove leve della SGSV-FSSS. Quali requisiti sono richiesti agli atleti sordi? Da noi alla SGSV-FSSS esiste un processo di selezione. L’allenatore deve formulare precise richieste agli atleti, affinché questi sappiano quali condizioni devono sod-disfare. Questo significa soprattutto che gli atleti devono superare i dati di riferi-mento e fornire quindi prestazioni ben precise, sia nelle gare sportive tra udenti sia in quelle tra sordi. In base a questi ri-sultati si decide chi sarà selezionato per il grande evento. È la Commissione dello sport competitivo (LSK) a decidere.

Sembra che non ci sia in pratica alcuna differenza tra lo sport d’e-lite per udenti e quello per sordi. Tuttavia, gli atleti sordi non possono sentire il segnale d’inizio per lo sprint e neppure il fischio dell’arbitro negli

sporti di squadra. Come funziona? Quando un sordo pratica uno sport in-dividuale tra udenti, per esempio nello sprint, il segnale d’inizio dovrebbe essere sostituito da una bandiera o da un segno della mano. Affinché questo diventi re-altà, l’arbitro deve essere informato del fatto che una persona sorda partecipa alla gara. In caso di sport di squadra con udenti, un apparecchio acustico può es-sere spesso d’aiuto, poiché grazie a questo tanti riescono a sentire il fischio dell’arbi-tro. In un caso estremo l’arbitro deve fare ricorso, anche in questo caso, a una ban-dierina.

Un caso che mi ha particolarmente colpito è quello dello sciatore Philipp Steiner. Ha molto successo nel mondo dello sport per sordi. Ha sempre so-gnato di partecipare al campionato del mondo a Wengen e battersi contro gli altri concorrenti (udenti). Tuttavia, è potuto scendere sul trac-ciato di Wengen solo come apri-pista. Non ci si allena abbastanza come atleti sordi per gareggiare con l’elite mondiale degli udenti? Oppure si tratta del fatto che alcune disci-pline sono più pericolose per i sordi? Che le discese libere siano più pericolose per i sordi, questo lo pensano gli organiz-zatori udenti delle Deaflympics. Di con-seguenza, tracciano le piste in modo da ottenere un percorso facile. Inoltre, la pre-parazione di una pista richiede tanti soldi e ci vogliono tanti sponsor. Questo vale anche per Philipp Steiner. È attivo pro-fessionalmente al 100% e, in più, pratica sport da noi. Ciò corrisponde a quasi un 150% d’impegno. Se avesse abbastanza

sponsor, potrebbe allenarsi tutti i giorni, poiché noi della SGSV-FSSS offriamo sufficienti opportunità di allenamento. Con una migliore copertura finanzia-ria Philipp potrebbe concentrasi meglio sullo sport e quindi avere la possibilità di gareggiare a Wengen. Dobbiamo, però, anche pensare al fatto che ha iniziato da noi solo all’età di 14 anni. A livello ago-nistico, spesso, s’incomincia molto prima.

L’ex sciatore udente Marco Büchel del Liechtenstein è rimasto molto impressionato da Philipp Steiner. Büchel riteneva che non oserebbe sciare senza poter sentire, poiché lo scricchiolio della neve aiuta a capire in tempo quale tratto della pista è pericolosamente ghiacciato. Lei, si-gnora Lubart, è stata a lungo una sciatrice di successo. Cosa ne pensa come sorda? Non posso dirlo, poiché sono sorda sin dalla nascita. Quando sono entrata a far parte della squadra, mi è stato detto che avrei dovuto togliere gli apparecchi acu-stici. Da allora mi sono abituata a sciare senza sentire. Per questa ragione non posso fare alcun paragone. Devo solo te-nere la testa un po’ alzata per vedere bene i paletti e le linee. È una bella sfida, ma l’esercizio rende maestri e abbiamo an-che i sopralluoghi. Devo imparare tutto a memoria e ricordare tutto. Così facendo, ottengo le conoscenze necessarie per af-frontare bene il momento della partenza. Anche se non è sempre facile…

Nicole Lubart, grazie mille per que-sta intervista! ■

15

dossiersegni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Yves Bula, un cavaliere sordo

Yves Bula è un cavaliere sordo in un mondo di competizione e di allenamento udente. Fais-moi signe l’ha incontrato per sapere come se la cava e com’è riuscito ad imporsi in quest’ambito.

intervista: Sandrine Burger; foto: Yves Bula; traduzione: Catia De Ronzis

Yves Bula, in cosa consiste il TREC?TREC è l’abbreviazione di tecniche di ricognizione equestre competitive. Si tratta di un concorso basato su tre prove: la prova (del percorso) d’orientamento e regolarità, la prova di padronanza delle andature e la prova (del percorso) di ter-reno vario.

Perché ha scelto di praticare il TREC?Dal momento che il mio ex cavallo Midway non era bravo nei salti, ci siamo orientati verso l’equitazione di campagna. Ho scoperto questa disciplina nel 2004 durante una competizione amichevole. Visto che la partecipazione ci è piaciuta, abbiamo deciso di lanciarci nel 2005, par-tecipando a tutti i concorsi.Mi piace molto questa disciplina perché

mi permette di instaurare un rapporto di fiducia col cavallo, fino a sentirmi un tutt’uno con lui. Inoltre, grazie ai percorsi d’orientamento ho scoperto molti bei pa-esaggi, sia in Svizzera che all’estero, e mi diverto molto a macinare chilometri, su-perando i dislivelli, le difficoltà e le varie insidie.

Lei si allena con gli udenti e parte-cipa ai loro concorsi. Come va ? La comunicazione con gli udenti non è sempre facile. I miei colleghi hanno avuto bisogno di molto tempo per conoscere il mondo della sordità e imparare a comuni-care con me. Quando mi alleno in gruppo o individualmente, sono costretto ad av-vicinarmi al mio allenatore, affinché egli possa spiegarmi i punti tecnici e correg-germi prima della ripresa del mio lavoro. In occasione delle competizioni, la gente resta spesso affascinata dal mio mondo e dalla mia disabilità, tanto che la mag-gior parte presta attenzione quando co-munica con me. Certo, l’accessibilità al 100% ancora non esiste, ma almeno c’è un minimo di comprensione e in più cerco sempre di non annoiarmi troppo quando mi trovo in mezzo agli udenti per disputare questi concorsi, che in ge-nere vengono effettuati nell’arco di 2 – 3 giorni. Per fortuna che alcune persone si appassionano alla LSF e la imparano per poter comunicare con me!

Trae vantaggio dalla sua sordità quando pratica il TREC?La mia sordità mi permette di concen-trarmi meglio. Io e il mio cavallo formiamo una specie di bolla di sapone che ci separa da tutto il resto, e questo mi permette di sentirmi meno stressato. Purtroppo du-rante i campionati mondiali o europei, invece, che sono davvero dei grandi eventi, la mia sordità mi stressa di più perché non capisco quanto viene detto. Ma una volta sceso in campo, mi concentro a fondo sul mio cavallo e do il massimo.

Come comunica col suo cavallo? Ci sono differenze in confronto ai cava-lieri udenti? Secondo me non ci sono differenze, tut-tavia la mia disabilità mi ha reso più sen-sibile ai tocchi e ai fattori visivi. Rispetto agli udenti, forse, questo mi permette di percepire maggiormente il cavallo e di an-ticipare meglio i suoi movimenti. Col mio cavallo uso alcune semplici parole pronun-ciate oralmente, per il resto utilizzo molto il corpo e gli occhi nella comunicazione.

Quali sono i suoi prossimi obiettivi in questo sport?L’anno prossimo ho le qualificazioni per il campionato del mondo di TREC, che si terrà in Spagna dal 2 al 4 settembre. ■

Dati biograficiNome e cognome: Yves BulaEtà: 32 anniSport praticato: TRECClub: squadra nazionale svizzera di TREC Titoli vinti:- campione del mondo senior indivi-duale e vice campione del mondo in squadra (2008)

- campionato svizzero: 3o nel 2009, 2o nel 2010, 1o nel 2011

- 4o al campionato europeo senior individuale e medaglia di bronzo in squadra

- medaglia di bronzo individuale e in squadra ai campionati del mondo in Portogallo nel 2012

16

dossier segni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Sport con sordi e udentiJonas Jenzer pratica judo e snowboard ad alti livelli. Per rimanere al top, si allena con sordi e udenti – e approfitta al meglio di entrambi i mondi. redazione: Martina Raschle; foto: SGSV-FSSS; traduzione: Emilia Pennella

Dati biograficiNome: Jonas JenzerEtà: 30 anniDiscipline: judo, freestyle snowboardAssociazioni: Judo Club Spiez e Nippon Berna; Swiss Snowboard Deaf Team

I successi sportivi più importanti: Coppa del mondo di judo per sordi; 1° posto (2004), 2° posto (2008)Deaflympics estive; judo: 3° posto (2009), 5° posto (2013)Deaflympics invernali ; snowboard: 2° posto (2015)

Nota una differenza se si allena con sordi o con udenti?Per me entrambi i mondi sono molto im-portanti. Così posso frequentarli tutt’e due e fare molte belle esperienze.

Perché ha deciso di praticare judo e snowboard?Da piccolo mi piaceva combattere per gioco contro i miei coetanei, perciò ho iniziato con il judo. E ora adoro questo sport, poiché è una disciplina che im-plica movimento, sentimento, forza, resi-stenza, concentrazione e diverse tecniche

di atterramento . Pratico molto volentieri lo snowboard, soprattutto lo stile libero e nella neve fresca. Mi alleno tanto anche nello Snowpark. Lo snowboard unisce lo sport con la bellezza della natura e delle montagne.

Ha esigenze particolari come judoka e snowboarder sordo?Il mio corpo ha le stesse fattezze di quello di un udente. L’unica differenza è che non sento. Nel judo e nello snowboard non è un problema, poiché sono discipline che non ricorrono ai suoni.

Che differenza c’è tra lo sport per sordi e quello per udenti?In fatto di sport, gli udenti e i sordi sono identici. L’unica cosa importante è che l’arbitro sappia che sono sordo.

Quale obiettivo vuole ancora rag-giungere come atleta di punta?Il prossimo obiettivo è il campionato europeo di judo in Armenia. Voglio arri-vare sul podio! Spero di mantenere la mia forma fisica e di continuare a divertirmi con il judo e lo snowboard. Ci sono an-cora tanti tornei in vista e voglio rimanere tra i primi in classifica!

Nota della redazione: Quest’intervista si è svolta prima del campionato euro-peo di judo in Armenia. Nel frattempo, Jonas Jenzer ha realizzato il suo sogno di salire sul podio e lo ha fatto nella maniera più bella, ovvero salendo sul gradino più alto, quello dedicato al vincitore della medaglia d’oro! Congratulazioni a Jonas Jenzer! ■

17

dossiersegni amo - dicembre 2015/gennaio 2016

Sport tra sordiSandra Sidler-Miserez gioca a pallavolo per il GSV Zurigo. Per lei lo sport è molto impor-tante e si sente particolarmente a suo agio nel mondo dello sport per sordi: è lì dove si parla la sua lingua e si vive secondo la sua cultura. redazione: Martina Raschle; foto: Sandra Sidler-Miserez; traduzione: Emilia Pennella

Nota una differenza se si allena con sordi o con udenti?La cosa più importante per me è poter comunicare in modo chiaro. Prima fa-cevo parte della squadra di sci, che era composta di atleti sordi e udenti, e andava tutto bene. Ora però le cose sono cam-biate, poiché faccio parte di una squadra di sordi. Questo è il mio mondo. Se non ci fosse quest’opportunità, probabilmente mi allenerei con gli udenti. Se, invece, ho la possibilità di fare sport coi sordi, pre-ferisco scegliere questa variante. È la mia lingua, la mia cultura e la comunicazione è chiara.

Perché ha deciso di praticare la pal-lavolo?Da adolescente ho fatto parte della squa-dra femminile di calcio, soprattutto per-ché avevo voglia di uscire di casa e i miei genitori mi permettevano di praticare

uno sport. Più tardi ho sciato, ho fatto parte della squadra nazionale di badmin-ton e ho giocato a pallavolo. Sciare era diventato troppo caro, poiché dovevamo pagare tutto di tasca nostra. Poi sono ar-rivati gli esami di fine apprendistato e non avevo più tempo per praticare così tanto sport. Di conseguenza, ho lasciato il badminton – e ho tenuto la pallavolo. Avevamo una bella squadra e mio marito era pure lui un pallavolista. Ho sempre avuto bisogno di una squadra, poiché da sola non ho abbastanza disciplina per pra-ticare regolarmente un’attività sportiva. Inoltre, grazie all’allenamento ho impa-rato nuove tecniche e sono migliorata costantemente. Mi divertivo e quindi ho deciso di rimanere.

Ha esigenze particolari come spor-tiva sorda?Ho bisogno di comunicare in modo chiaro. Non dev’essere per forza in lin-

Dati biograficiNome: Sandra Sidler-MiserezEtà: 42 anniDisciplina: pallavoloAssociazione: GSV ZurigoI successi sportivi più importanti: Nessun successo, ma la partecipa-zione alle Deaflympics del 1997 in Danimarca è stata la mia espe-rienza più bella. Era la mia prima gara internazionale. L’incontro con gli sportivi di tutto il mondo è stato molto interessante.

gua dei segni, ma non ho voglia di correre sempre dietro alle informazioni.

Che differenza c’è tra lo sport per sordi e quello per udenti?Innanzitutto, c’è una differenza a livello di comunicazione. Inoltre, nel mondo dello sport per sordi c’è anche l’elemento importante della cultura e della lingua. L’aspetto sociale è sempre un elemento fondamentale nello sport – per i sordi come anche per gli udenti.

Quali sono gli obiettivi che vorrebbe raggiungere nella sua disciplina?Vorrei poter proseguire. La mia squa-dra deve poter continuare ad esistere. Abbiamo fatto una pausa di dieci anni e ora siamo tornati. Spero davvero che la situazione non cambi e che sempre più persone si accostino a questo sport. Per l’organizzazione di tornei ci vogliono diverse squadre ed è più divertente se c’è uno scambio tra giovani e meno giovani. In effetti, per la pallavolo non si è mai troppo vecchi. ■