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Università Telematica Pegaso La riserva di legge e la sua funzione “garantista

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LA RISERVA DI LEGGE E LA SUA FUNZIONE “GARANTISTA” ---------------------------------------------- 3

2 L’EVOLUZIONE DELL’ORIGINARIA PORTATA GARANTISTA DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ

DELLA RISERVA DI LEGGE ALL’INTERNO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO – ISTITUZIONALE

VIGENTE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6

3 L’ATTUALE FORMULAZIONE DELL’ARTICOLO 23 DELLA COSTITUZIONE -------------------------- 8

3.1. LA NOZIONE DI PRESTAZIONI PATRIMONIALI IMPOSTE ------------------------------------------------------------------ 8 3.2 LA NOZIONE DI LEGGE ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 10 3.3 LA NOZIONE DI RISERVA DI LEGGE ---------------------------------------------------------------------------------------- 14

4 CONCLUSIONI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19

Università Telematica Pegaso La riserva di legge e la sua funzione “garantista

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1 La riserva di legge e la sua funzione “garantista”

Nel trattare dei principi fondamentali del diritto tributario non si può che iniziare con quanto

disposto dall’art. 23 della Costituzione1, secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale

può essere imposta se non in base alla legge” (principio di legalità e riserva relativa di legge in

materia di prestazioni patrimoniali imposte, tra cui i tributi).

Per comprendere la portata di tale disposizione costituzionale è opportuno ripercorrere le

tappe che, storicamente, hanno condotto alla formulazione dell’art. 23 della Costituzione e alla

funzione evidentemente garantista che ne è sottesa.

L’attuale formulazione dell’art. 23 della Costituzione rappresenta, infatti, il punto di

approdo di una evoluzione storica che si è soliti far risalire all’ordinamento feudale del XIII secolo.

Più precisamente, si può affermare che il nucleo del principio di legalità tributaria, inteso nella sua

massima accezione democratica e garantista, sembra contenuto nella “Magna Charta” di Enrico III

del 1215 ed è racchiuso nel noto principio del “no taxation without representation”, che sintetizza e

coniuga in una sola formula il tema del Fisco e quello della democrazia, cioè del consenso al

tributo. Tale principio, infatti, involge il tema della sovranità e del potere conseguente ed è da

intendersi come l’espressione embrionale di uno Stato democratico in cui la nobiltà non si

assoggettava al sovrano, anzi pretendeva essa stessa di imporre la necessità del proprio consenso al

tributo2.

Nei regimi di monarchia assoluta, infatti, il sovrano era libero di introdurre nuovi tributi e di

gestire a suo piacimento le relative entrate. Con il passaggio alla forma di governo propria delle

monarchie costituzionali e con il progressivo ampliamento delle competenze dei primi Parlamenti,

le classi borghesi - economicamente più colpite dal prelievo - riuscirono a limitare la libertà del

sovrano subordinando l’istituzione di nuovi tributi e la gestione del bilancio al proprio preventivo

1 Sull’art. 23 Cost., si vedano tra le tante opere, Berliri, Appunti sul fondamento e il contenuto

dell’art. 23 della Costituzione, in Studi per A.D. Giannini, Milano, 1961, 139 ss.; Fedele,

Commento all’art. 23 Cost., in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma,

1978; Fedele, La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario diretto da Amatucci, I, I, 1994, 157

ss.; Marongiu, I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria, Torino, 1991, 29 ss.; Grippa

Salvetti, Riserva di legge e delegificazione, Milano, 1998.

2 A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, pag. 84.

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consenso. Il “principio del consenso”, inteso come necessaria e preventiva approvazione per

l’imposizione dei tributi da parte degli organi parlamentari, si configurò pertanto come primo

strumento di controllo dell’operato del sovrano (in senso lato, del potere esecutivo) e di garanzia per

un più giusto ed equo rapporto tra i diversi organi dello Stato.

Con particolare riferimento all’ordinamento costituzionale italiano, è possibile rintracciare

un immediato antecedente storico dell’art. 23 della Costituzione nell’art. 30 dello Statuto Albertino,

secondo il quale “nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle

Camere e sanzionato dal Re”. La norma statutaria di cui all’art. 30 dello Statuto Albertino, nel suo

incipit di chiara matrice tributaria (“nessun tributo”), enunciava quindi la necessità di acquisire

preventivamente il consenso da parte delle Camere. Nell’ipotesi di mancata adesione alla volontà

autoritativa veniva, infatti, applicata una sanzione da parte del re; il consenso era necessario,

dunque, non solo nella fase della imposizione del tributo, ma anche in quella successiva e più

traumatica della sua riscossione. La nozione di consenso da parte delle Camere è stata tradotta come

la necessità, al fine di imporre o riscuotere un tributo, di avere la piena adesione delle stesse.

L’introduzione di un principio garantista di siffatta portata si era resa necessaria alla luce

dell’esercizio, pressoché indiscriminato, del potere che veniva gestito da parte dello Stato assoluto il

quale, così, veniva fortemente limitato nel suo arbitrio.

Orbene, da un rapido approccio comparativo fra l’attuale formulazione dell’articolo 23 della

Costituzione e l’art. 30 dello Statuto Albertino si evince come il consenso delle Camere, nella

moderna Carta Costituzionale, abbia ceduto il posto alla espressione “in base alla legge” che è di

impatto inferiore anche se, comunque, presuppone il consenso parlamentare. Invero, la nozione di

consenso da parte delle Camere oggi – in uno Stato caratterizzato da una “decisa supremazia del

Parlamento, della cui maggioranza il governo ci sembra espressione”3 – sembra superata da quella

di consenso al tributo. Tale interpretazione evolutiva mantiene, comunque, inalterata la natura

garantista del principio la cui introduzione, come detto, si era resa necessaria in un primo momento

storico per limitare l’esercizio smodato ed indiscriminato del potere che veniva gestito dallo Stato

assoluto ed oggi si è, invero, arricchita di nuovi contenuti.

Siffatta premessa – lungi dal costituire un mero excursus storico – è fondamentale per

comprendere pienamente la valenza del principio in esame. Si tratta, infatti, di una regola generale

3 Fedele, La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, Padova, 1994, pag.

159.

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circa le competenze e la legittimazione all’intervento nei procedimenti di produzione normativa, per

cui la configurazione del principio ed il suo effettivo operare nel diritto vivente risentono,

necessariamente, del diverso atteggiarsi dei più generali assetti politici ed istituzionali. E’ evidente,

pertanto, che nell’ordinamento attuale – incentrato su di un modello di democrazia parlamentare

pura – si è giunti ad un conseguente superamento della originaria funzione garantista affidata al

principio della riserva di legge.

In particolare, tale principio non è più uno strumento di equilibrio tra poteri dello Stato

espressivi di interessi socialmente ed economicamente contrapposti. La sovranità, infatti, spetta al

popolo ed il potere esecutivo, diretta espressione della maggioranza parlamentare, é titolare

esclusivamente dei poteri previsti per esso dalle norme costituzionali. E’ in tale nuovo contesto

istituzionale, quindi, che si inserisce il principio consacrato dall’art. 23 della Costituzione, il quale

attribuisce alla legge, approvata dalle Camere nel rispetto dell’iter formativo previsto dalla

Costituzione, la qualifica di fonte primaria e necessaria delle norme tributarie4.

4

La previsione comprende non soltanto le leggi in senso stretto, ma anche i decreti legge e i decreti

legislativi, le leggi delle Regioni a Statuto speciale e delle Regioni a Statuto ordinario, nonché le

leggi delle Provincie autonome di Trento e Bolzano. Si era posto il problema di compatibilità delle

norme comunitarie con l’art. 23 Cost.: in passato è stato risolto con riferimento all’art. 11 Cost., a

partire dal 2001 la normativa U.E. è stata costituzionalizzata all’art. 117, I°c. Vedi Sorrentino,

Regolamenti comunitari e riserva di legge, in Dir. prat. trib., 1974, II, 245 ss., L. Perrone, La

sovranità impositiva tra autonomia e federalismo in Riv. dir. trib., 2004, I, 1173 ss.

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2 L’evoluzione dell’originaria portata garantista del principio di legalità della riserva di legge all’interno dell’ordinamento giuridico –

istituzionale vigente

Per quanto sopra detto, il principio di legalità e la riserva di cui all’art. 23 Cost. di legge

riveste un’innegabile funzione istituzionale e garantista perché legato anzitutto al principio

democratico e di garanzia dei singoli che si fonda, prevalentemente, sulla necessità che

l’imposizione subita sia realizzata solo in base ad una legge e in essa trovi la sua legittimazione.

Se ora si prova a esaminare l’indicata riserva di legge nell’ambito di un ordinamento come il

nostro, è agevole percepire la mutata fisionomia assunta dalla funzione garantista ricoperta dalla

medesima riserva. Nel differente contesto in cui la sovranità spetta al popolo, il quale la esercita

mediante il Parlamento formato dai suoi rappresentanti eletti, e il potere esecutivo è diretta

espressione di tale organo ed è titolare unicamente dei poteri che siano ad esso specificamente

riconosciuti dalla legge (c.d. principio di legalità), appare evidente che l’originaria funzione

garantista - sebbene non smarrita - si pone tuttavia su un piano e con obiettivi diversi.

La riserva di legge posta dall’art. 23 verrebbe anzitutto a tutelare l’interesse del cittadino alla

libertà personale e all’integrità del patrimonio a fronte del potere autoritativo di imposizione di

prestazioni personali e patrimoniali. Al tempo stesso, però, essa diviene anche strumento di tutela di

interessi generali e pubblici.

In particolare, la ratio dell’art. 23 Cost. non si esaurisce più nell’esigenza della c.d.

autoimposizione, (cioè previa approvazione da parte dei propri rappresentanti), avvertita dalle classi

borghesi all’epoca delle prime monarchie costituzionali.

Tale principio, infatti, manifesta oggi la necessità che sia il Parlamento, quale massimo

organo rappresentativo di tutta la comunità nazionale, a stabilire i limiti che, nel concorso alle spese

pubbliche, il singolo cittadino può incontrare alla libertà e alla integrità del suo patrimonio.

Più in generale, si è riconosciuto che il rispetto della riserva di legge si giustifica proprio

nell’interesse alla sussistenza di una collettività riconosciuta dalla Costituzione e organizzata entro i

limiti tracciati dal rispetto del principio di legalità5. In tal senso si comprende perché l’istituzione di

5 In tal senso, Micheli, voce Legge (diritto tributario), in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1973, 1080.

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nuove prestazioni imposte, ed in particolare di nuovi tributi, non possa essere il frutto di una scelta

del tutto autonoma e discrezionale del potere esecutivo, quanto piuttosto di un procedimento di

formazione della disciplina normativa condotto attraverso criteri di ponderatezza, razionalità e

valutazione di tutti gli interessi rappresentati nel Parlamento.

Nell’ambito di questa più ampia funzione di tutela, la dottrina ha posto l’accento su taluni

aspetti necessariamente connessi alla riserva di legge posta dall’art. 23 Cost.

Secondo alcuni autori, la tutela degli interessi pubblici nella disciplina delle prestazioni

imposte si realizzerebbe attraverso i caratteri di generalità e di astrattezza propri della legge6.

Secondo altri autori, detta tutela verrebbe assicurata in virtù della necessaria partecipazione

anche delle minoranze parlamentari all’ordinario iter legislativo, quale valido strumento per

assicurare il più ampio livello possibile di consenso nella determinazione delle scelte di politica

economica e fiscale7.

Infine, viene anche messo in luce come la riserva di legge renda possibile il controllo di

conformità ai principi costituzionali che la Corte Costituzionale è istituzionalmente chiamata a

svolgere sugli atti normativi primari. Controllo che, altrimenti, rimarrebbe precluso qualora i tributi

fossero disciplinati attraverso fonti normative secondarie8.

6

Esposito, La costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, 56; Paladin, La potestà legislativa

regionale, Padova, 1958, 82 ss.; Lombardi, Problemi costituzionali in materia tributaria, in Temi

trib., 1961, 328 ss..

7 Fedele, La riserva di legge, cit., 171; Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 1999, 128;

Visco, Alcune osservazioni sulla formazione delle decisioni legislative in materia di politica fiscale,

in Riv. dir. fin., 1991, I, 261.

8 Fedele, La riserva di legge, cit., 171; Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, I, Torino, 1994, 16.

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3 L’attuale formulazione dell’articolo 23 della Costituzione

Considerato il principio di legalità nel suo significato generale, è necessario esaminare in

dettaglio l’articolo 23 della Costituzione alla luce anche delle particolari statuizioni via via sancite

dalla Corte Costituzionale. I problemi esegetici posti dalla formulazione normativa sono

essenzialmente tre: la nozione di prestazione imposta; la nozione di legge; la natura di tale riserva.

3.1. La nozione di prestazioni patrimoniali imposte

Per quanto concerne le prestazioni personali imposte, in questa sede è sufficiente notare che

l’art. 23 della Costituzione fa riferimento a tutte quelle attività comportanti il dispendio di energie

fisiche ed intellettuali, con conseguente limitazione delle libertà di autodeterminazione del singolo

cittadino9.

Secondo la prevalente opinione della dottrina e della giurisprudenza, anzi,

nell’identificazione della categoria delle prestazioni personali sarebbe irrilevante la valutazione

patrimoniale delle stesse.

Tra le prestazioni personali nelle quali, ad esempio, può prescindersi dalla rilevanza

patrimoniale dell’attività imposta al privato, possono essere ricordati l’obbligo di presentarsi, se

convocati, all’autorità di pubblica sicurezza, l’obbligo imposto al fallito di presentarsi

personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori, nonché l’obbligo di

comparire in giudizio come testimoni.

Passando ora alla qualificazione delle prestazioni patrimoniali imposte, la dottrina ha

espresso due diverse interpretazioni del dettato costituzionale e, in paricolare, riguardo al requisito

della patrimonialità.

Una parte della dottrina, infatti, ritiene che le prestazioni patrimoniali debbano essere

identificate anzitutto in ragione (del depauperamento) del patrimonio del privato, cui la disciplina

della prestazione sarebbe preordinata in via diretta e necessaria e che si tradurrebbe nella perdita di

9 V. Fedele, Commento all’art. 23 Cost., 43 ss.; Fedele, voce Prestazioni imposte, in Enc. giur.

Treccani, XXIV, Roma, 1991, 3; Fantozzi, Diritto tributario, cit., 23 ss..

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un diritto o nell’imposizione di un’obbligazione10. Seguendo questa interpretazione, pertanto, non

vi sarebbe “prestazione patrimoniale” nei casi in cui manchi l’incisione del patrimonio del

privato11 e nei casi in cui, pur in presenza di una determinazione autoritativa del rapporto, la

disciplina della prestazione non risulti preordinata a realizzare un effettivo squilibrio a favore di una

delle parti.

Secondo una diversa opinione, invece, la formula adottata dal legislatore costituente sarebbe

tale da ricomprendere ogni prestazione coattivamente imposta al cittadino, a prescindere dall’effetto

di decurtazione del suo patrimonio personale12. Inoltre, a parere di questa dottrina, l’art. 23 della

Costituzione non coprirebbe quelle prestazioni che, seppur coattivamente imposte, risultano al

contempo disciplinate da altri principi costituzionali. In quest’ottica, ad esempio, si esclude che

rientrino nella previsione dell’art. 23 della Costituzione: le sanzioni pecuniarie penali (rientranti

nella previsione del successivo art. 25 Cost.), l’espropriazione per pubblica utilità dietro indennizzo

(che troverebbe copertura costituzionale nell’art. 42, terzo comma, e nell’art. 43 Cost.), nonché le

prestazioni a contenuto negativo limitative dell’iniziativa economica privata (riconducibili all’art.

41 Cost.)13.

Un elemento essenziale che, per pacifica opinione, contraddistingue le prestazioni

patrimoniali imposte è rappresentato dalla coattività. In altri termini, la prestazione deve essere

istituita in virtù di un atto autoritativo (ad es. un regolamento o un atto amministrativo) alla cui

formazione la volontà del privato non abbia partecipato14.

10

Questa interpretazione è sostenuta, soprattutto, da Fedele, di cui si ricordano ancora una volta

Commento all’art. 23 Cost., cit., 52 ss. e la voce Prestazioni imposte, cit., 3.

11 Fedele fa l’esempio dell’espropiazione forzata per pubblica utilità, laddove la perdita del diritto

subita dal privato sarebbe comunque accompagnata da un indennizzo finalizzato a compensare

effettivamente la decurtazione del suo patrimonio.

12 In tal senso, v. Russo, Manuale di diritto tributario, 1999, pag. 44 ss.; Falsitta, Manuale di diritto

tributario, cit., 129 ss..

13 In tal senso Russo, Manuale di diritto tributario, cit., 45; Falsitta, Manuale di diritto tributario,

cit., 133.

14 Secondo Fedele, la derivazione da un atto autoritativo risulta anche nei casi in cui la disciplina del

rapporto sia soltanto in parte riconducibile all’esercizio di poteri autoritativi, purchè comunque da

questi sia determinata la parte di disciplina da cui deriva la decurtazione patrimoniale a carico del

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Da quanto sinora detto, è possibile constatare che la categoria delle prestazioni patrimoniali

imposte non si esaurisce nei tributi, rappresentandone questi soltanto una parte. Ad esempio, si

ritiene pacificamente che vi rientrino anche le sanzioni amministrative pecuniarie, gli sconti

obbligatori proposti alle case farmaceutiche, i prelievi comunitari in materia agricola. Più

problematica è, invece, la qualificazione di alcune prestazioni che trovano la loro fonte e la loro

disciplina in un rapporto di natura contrattuale a carattere sinallagmatico, ma che la giurisprudenza

costituzionale tende generalmente a ricondurre nell’alveo delle prestazioni imposte di cui all’art. 23

della Costituzione. Più precisamente, la Corte Costituzionale ha esteso l’ambito di applicazione del

principio della riserva di legge a tutte le ipotesi nelle quali la disciplina della fattispecie è fissata

essenzialmente da una delle parti, e nelle quali l’accettazione delle condizioni unilateralmente

predisposte non dipende da una libera determinazione della controparte.

Intendiamo riferirci alle diverse fattispecie di monopolio legale in materia di servizi

essenziali ai bisogni della vita, laddove la regolamentazione del rapporto è affidata al monopolista,

mentre la domanda dell’utente solo formalmente si dimostra libera, essendo in realtà limitata dalla

essenzialità della prestazione fornita15.

3.2 La nozione di legge

La formula adottata con l’articolo 23 della Costituzione individua con il termine legge l’atto

normativo cui è riservata (sia pure secondo la formula della riserva relativa, di cui dopo si dirà) la

materia delle prestazioni imposte. Come per le altre norme costituzionali in cui questo termine è

utilizzato, si tratta quindi di individuarne, innanzitutto, l’esatto valore nello specifico contesto.

Limitando qui l’analisi alle sole prestazioni imposte costituenti tributi (aventi come fine il concorso

alle spese pubbliche ex art. 53 Cost.), è piuttosto agevole formulare un criterio interpretativo

fondato sull’esigenza che le scelte fondamentali in materia di ripartizione dei carichi pubblici siano

privato. In secondo luogo, l’atto autoritativo deve essere primariamente e direttamente preordinato

ad incidere il patrimonio del soggetto inciso.

15 La Corte Costituzionale, ad esempio, ha applicato i suddetti principi in materia di servizi

telefonici, ove le tariffe sono approvate con decreto ministeriale (v. Corte Cost., 9 aprile 1969, n.

72, in Giur. cost., 1969, 1070 ss.), in materia di diritti portuali (v. Corte Cost., 2 febbraio 1988, n.

127, in Giur. it., 1989, I, 1, 24) ed in materia di canoni dovuti per l’estrazione di materiale limo

sabbioso dal greto dei fiumi (v. Corte Cost. 10 giugno 1994, n. 236, in Giur. cost., 1994, 1950).

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assunte tramite un procedimento che - riservando il potere decisionale agli organi istituzionalmente

rappresentativi di tutte le istanze sociali - garantisca, unitamente ad un adeguato margine di

intervento per le minoranze, il maggior livello possibile di consenso, ponderatezza e razionalità

delle scelte stesse, nonché un adeguato controllo della conformità ai principi costituzionali tramite

la giurisdizione della Corte Costituzionale.

In questa prospettiva, appare ovvia l’adozione di un criterio formale per l’identificazione

delle leggi fondato essenzialmente sulle caratteristiche del procedimento di produzione normativa e

sulla posizione in esso riservata alle Camere. Possono quindi formare idonea base legislativa per

l’imposizione di tributi, oltre alle leggi stricto sensu, anche le leggi costituzionali, vista la

sostanziale coincidenza degli organi competenti e le caratteristiche del procedimento per esse

previsto, nonché i decreti legge ed i decreti legislativi giacché anche per questi ultimi, in via

successiva o preventiva, sono le Camere a determinare, con la procedura propria delle leggi, il

contenuto normativo dell’atto.

Vale rammentare, invece, quanto disposto dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione,

laddove afferma che “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio”.

La ratio del divieto di referendum abrogativo per le leggi tributarie e di bilancio è stata

comunemente individuata nell’opportunità di evitare possibili forme di “demagogia fiscale”16. In

altri termini, il legislatore costituente ha inteso escludere l’impiego di strumenti di democrazia

diretta che facilmente avrebbero potuto condurre all’eliminazione di leggi impopolari (quali sono

indubbiamente le leggi istitutive di prestazioni tributarie), con conseguente grave pregiudizio per

l’equilibrio finanziario dello Stato17. Anche nella previsione dell’art. 75, secondo comma, della

Costituzione, dunque, sembra emergere una funzione di tutela degli interessi pubblici e di garanzia

del principio di legalità che già abbiamo visto insite nel principio della riserva di legge.

Più precisamente, il divieto posto dall’art. 75 Cost. trova giustificazione nell’intento di

evitare che scelte di carattere tributario possano essere vanificate in sede referendaria con

conseguente prevalenza dell’interesse individuale rispetto a quello della collettività.

16

In tal senso, v. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 56 s.; Chiappetti, L’ammissbilità del

referendum abrogativo, Milano, 1974, 163.

17 Tremonti, In materia di inammissibilità di referendum sulle leggi tributarie, in Riv. dir. fin., 1997,

II, 35 ss., secondo il quale la ratio dell’art. 75, secondo comma, sarebbe identica a quella dell’art.

81, quarto comma, Cost..

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Se questa appare una conclusione pacificamente accolta, si assiste in dottrina ad un vivace

dibattito in ordine al significato da attribuire all’espressione “leggi tributarie”.

Secondo una prima interpretazione, il divieto di referendum abrogativo posto dall’art. 75

Cost. riguarderebbe soltanto le norme tributarie sostanziali, quelle norme cioè dirette a disciplinare

la struttura portante ed essenziale del prelievo tributario e la cui rimozione altererebbe direttamente

la struttura di bilancio e l’equilibrio finanziario dello Stato18.

Secondo un’interpretazione più ampia, invece, l’espressione utilizzata dal legislatore

costituente sarebbe tale da ricomprendere anche le norme di disciplina dei profili strumentali ed

attuativi del rapporto d’imposta, in particolare tutte quelle norme relative all’accertamento ed alla

riscossione del tributo19.

A riguardo, la Corte Costituzionale ha affermato che la nozione di “leggi tributarie”, ai fini

del giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, è caratterizzata dalla ricorrenza di due

elementi essenziali. Da un lato, la norma deve sancire l’imposizione di un sacrificio economico

individuale, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio; dall’altro lato, deve

prevedere la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza

pubblica, ossia allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a coprire le

spese pubbliche20.

Al contempo, la Corte ha ritenuto che gli strumenti di attuazione della pretesa fiscale, e la

relativa disciplina, debbono ritenersi parte integrante della normativa tributaria. In assenza di essi,

18

In tal senso, Tremonti, In materia di inammissibilità di referendum sulle leggi tributarie, cit., 36

ss..

19 In tal senso, Fedele, La nozione di tributo e l’art. 75 Cost., in Giur. cost., 1995, I, 23 ss.; Tinelli,

Brevi considerazioni sulla nozione di “leggi tributarie” come limite costituzionale di ammissibilità

del referendum abrogativo, in Giur. cost., 1996, 1211 ss.; Falsitta, La latitudine del divieto di

abrogazione delle leggi tributarie mediante referendum e la nozione tricotomica del tributo, in Riv.

dir. trib., 1995, II, 266; Russo, Manuale di diritto tributario, cit., 63; Fransoni, Nozione di legge

tributaria e ratio del divieto di referendum abrogativo in materia tributaria, in Riv giur. trib., 1997,

906.

20 Corte Cost. 12 gennaio 1995, n. 2 (che ha respinto la richiesta di referendum in materia di

versamento annuale dovuto per l’assistenza sanitaria nazionale).

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infatti, si renderebbe inefficace e priva di effettività la rappresentazione contenuta nella norma

sostanziale del tributo21.

Conclusivamente, non si può poi tacere che l’ordinamento giuridico italiano ha visto

l’inserzione, negli ultimi decenni, di norme in esso immediatamente operanti ma prodotte da fonti

estranee all’ordinamento stesso e non costituenti, quindi, “Legge” ai fini dell’art. 23 Cost. Si fa

particolare riferimento all’azione legislativa sempre più incisiva svolta dalle istituzioni dell’Unione

Europea (ex Comunità Economica Europea). La dottrina e la giurisprudenza, pertanto, si sono poste

il problema dell’operatività anche rispetto a tali fonti dei principi costituzionali e, in particolare,

della riserva di legge. Al riguardo, si segnala come prima della modifica del titolo V della

Costituzione (Legge Costituzionale n. 3 del 2001), l’orientamento generalmente accettato, senza

significativi contrasti, muovesse dal richiamo all’art. 11 della Costituzione. Ormai il nuovo art. 117,

primo comma, ha costituzionalizzato l’ordinamento della U. E. (che ovviamente nel 1947-48 non

poteva esser previsto perché non esisteva) stabilendo, che la potestà legislativa è esercitata dallo

Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dai vincoli dell’ordinamento

comunitario e dagli obblighi internazionali.

D’altro canto, tende ormai a prevalere la tesi che estende l’efficacia normativa diretta

all’interno dell’ordinamento italiano non solo dei regolamenti comunitari, ma anche di altri atti

quali le direttive purché da essi derivi una disciplina immediatamente applicabile. Si viene quindi a

creare, anche in materia di prestazioni imposte, una vasta area normativa non soggetta alla riserva di

legge ex art. 23 della Costituzione.

21

Vedi, in relazione ad una fattispecie non riguardante direttamente una norma impositrice, Corte

Cost. 12 gennaio 1995, n. 11, in Riv. dir. trib., 1995, II, 161 con nota di Falsitta; Corte Cost. 10

febbraio 1997, n. 37, in GT Riv. giur. trib., 1997, 905, con nota di Fransoni; Corte Cost., 7 febbraio

2000, n. 51, in Boll. Trib., 2000, 1032 (che hanno dichiarato l’inammissibilità della richiesta di

referendum abrogativo della normativa in materia di prelievo alla fonte ai fini dell’IRPEF realizzato

tramite il sostituto d’imposta).

Si è anche affermato che “la dizione leggi tributarie contenuta nell’art. 75, secondo comma, Cost.

investe tutte le disposizioni che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme, da quelle

costitutive dell’obbligazione tributaria a quelle che disciplinano gli aspetti dinamici del rapporto”,

Corte Cost., 7 febbraio 2000, n. 51, cit..

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3.3 La nozione di riserva di legge

Dopo aver delineato la natura delle prestazioni imposte e la nozione di legge alla luce del

principio contenuto nell’articolo 23 della Costituzione, è necessario rilevare che, secondo l’opinione

dominante in dottrina e in giurisprudenza, la riserva di legge sancita dall’art. 23 della Costituzione è

a carattere relativo e non assoluto22.

La distinzione tra riserve relative e riserve assolute non è espressamente contemplata dalla

Costituzione. Piuttosto, essa è il risultato dell’elaborazione dottrinale e riflette il maggiore o minore

ambito che, all’interno della materia riservata, può essere lasciato dal legislatore alle fonti

normative secondarie e, in genere, alle scelte discrezionali dell’esecutivo23.

Il nucleo fondamentale della questione dei rapporti tra fonti primarie e fonti secondarie,

nelle materie coperte da riserva di legge, consiste pertanto nell’identificazione del contenuto

necessario che deve essere disciplinato con la legge e nell’individuazione dei criteri direttivi per

l’esercizio dei poteri rimessi all’esecutivo, e, nel caso specifico della materia tributaria,

all’Amministrazione finanziaria.

Per quanto concerne l’istituzione di nuovi tributi, si ritiene che l’atto normativo di fonte

primaria debba necessariamente contenere la disciplina dettagliata ed esaustiva degli elementi

identificativi della fattispecie impositiva. Più precisamente, si afferma che il legislatore debba

indicare il soggetto attivo, il soggetto passivo e il fatto o la circostanza fattuale in cui si concreta la

manifestazione di capacità contributiva che si intende colpire con il prelievo (il cd. presupposto

d’imposta)24.

22

Micheli, voce Legge (diritto tributario), cit., 1080; Fedele, Commento all’art. 23 Cost., cit., 98;

Fantozzi, Diritto tributario, cit., 76; Russo, Manuale di diritto tributario, cit., 45 ss.; Falsitta,

Manuale di diritto tributario, cit., 134 ss.; Gaffuri, Lezioni di diritto tributario. Parte generale,

Padova, 1999, 19 ss..

23 Sul concetto di riserva di legge in senso relativo ed in senso assoluto, v. Balduzzi – Sorrentino,

voce Riserva di legge, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1208.

24 Fedele, I principi costituzionali e l’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1992, 467, e La

riserva di legge, cit., 179, il quale ritiene che l’indicazione del presupposto e dei soggetti debba

essere contenuta nella legge in quanto espressione della scelta del criterio di ripartizione delle spese

pubbliche, posto dall’art. 53 Cost. Alcune pronunce della Corte Costituzionale ritengono, tuttavia,

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Per quanto riguarda gli altri aspetti della disciplina del tributo e, in particolare, in ordine alla

disciplina della determinazione quantitativa del prelievo (disciplina dei criteri tecnici di

determinazione del quantum di imposta dovuto, disciplina dell’imponibile e dell’aliquota o del tasso

fisso d’imposta) ed alla regolamentazione delle procedure di accertamento, riscossione e

contenzioso25, la dottrina e la giurisprudenza, invece, affermano che il rispetto della riserva di

legge possa essere adeguatamente garantito dall’individuazione di criteri direttivi e di limiti atti ad

indirizzare le scelte regolamentari e, soprattutto, ad evitare possibili forme di arbitrio da parte

dell’Amministrazione26.

In merito al rispetto del principio della riserva di legge, è opportuno del resto rilevare che

secondo un’autorevole dottrina27 si deve distinguere tra determinazione della base imponibile (in

relazione alla quale il problema della necessaria predeterminazione in atti di fonte primaria appare,

di regola, risolto in quanto i predetti limiti e criteri direttivi risultano già implicitamente dalla

disciplina legislativa del presupposto e dei soggetti passivi del tributo) e determinazione

che l’identificazione del soggetto passivo può non essere espressamente contenuta nell’atto di

normazione primaria, purchè risulti anche implicitamente dalla disciplina del presupposto ovvero

dal sistema normativo dell’imposta; si veda, ad es., Corte Cost., n. 56/1972.

25 Sull’opportunità di valorizzare la portata del principio della riserva di legge anche in ordine alla

disciplina dell’accertamento, v. Fedele, Rapporti tra nuovi metodi di accertamento e principio di

legalità, in Riv. dir. trib., 1995, I, 241; Fedele, I principi costituzionali e l’accertamento tributario,

in Riv. dir. fin., 1992, I, 463 ss.; Grippa Salvetti, Accertamento con adesione: riflessioni sul

principio della riserva di legge, in Riv. dir. trib., 1996, I, 378. In ordine alle disposizioni

procedimentali o di esecuzione e, in generale, sulle disposizioni che incidono comunque

sull’economia del contribuente, v. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, cit., 22.

26 In ordine al rapporto tra principio di legalità sancito dall’art. 23 e discrezionalità della Pubblica

amministrazione in materia tributaria v., in particolare, Perrone, Discrezionalità e norma interna

nell’imposizione tributaria, Milano, 1969. Si vedano sul punto anche Lupi, Diritto tributario. Parte

generale, cit., 53 e ss.; La Rosa, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, 30.

Sul concetto di discrezionalità tecnica in relazione ai vincoli derivanti dalla riserva di legge v.

Fedele, Commento all’art. 23 Cost., cit., 105 ss..

27 Fedele, La riserva di legge, cit., 179. Si vedano sul punto anche Fantozzi, Diritto tributario, cit.,

79; Russo, Manuale di diritto tributario, cit., 49; Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 137.

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dell’aliquota o tasso fisso d’imposta (per la quale, invece, sarebbe sempre necessaria

l’individuazione di specifici criteri a livello di normazione primaria con la previsione, ad esempio,

di un limite minimo e di un limite massimo).

Al riguardo, la Corte Costituzionale ha nel corso degli anni elaborato una serie di indici in

base ai quali valutare, anche nelle predette ipotesi, il livello di sufficiente predeterminazione

legislativa della disciplina del tributo, così da evitare che le scelte del potere esecutivo e degli enti

territoriali minori siano condotte secondo valutazioni di mera opportunità o di arbitrio28. In

particolare, si è fatto riferimento alla circostanza che la legge preveda la partecipazione al

procedimento di formazione dell’atto regolamentare dei rappresentanti delle categorie sociali più

direttamente interessate dal prelievo29, ovvero sottoponga l’operato dell’Amministrazione a

controlli di merito o di legittimità30. In altre pronunce, la Corte ha invece sottolineato la necessità

che la legge individui in maniera vincolante il limite minimo e massimo nella determinazione

dell’aliquota o del tasso fisso d’imposta31, se del caso ancorando la stessa al rispetto di precise ed

28

Corte Cost. 10 giugno 1994, n. 236, in Giust. civ., 1994, I, 2089: “il principio della riserva di

legge previsto dall’art. 23 Cost. è di carattere relativo, essendo richiesto che la prestazione sia

imposta “in base alla legge”: come tale, esso può dirsi rispettato anche in assenza di una espressa

indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l’ambito di

discrezionalità dell’amministrazione, purchè gli stessi siano in qualche modo desumibili (dalla

composizione o funzionamento dell’autonorità competente, dalla destinazione della prestazione, dal

sistema procedimentale che prevede la collaborazione di più organi) al fine di evitare arbitrii

dell’amministrazione”.

29 Si vedano sul punto Corte Cost., n. 4/1957, in Giur. cost, 1957, 22.; Corte Cost. n. 30/1957, in

Giur. cost., 1957, 407; Corte Cost. n. 47/1957, in Giur. cost., 1957, 598.

30 Corte Cost., n. 4 e n. 30/1957, cit.; Corte Cost. n. 67/1973, in Giur. cost., 1973, 811; Corte Cost.

n. 55/1963, in Giur. cost., 1963, 490.

31 In tal senso, Corte Cost., 18 giugno 1963, n. 93, in Giur. cost., 1963, 774; Corte Cost, 14 marzo

1964, n. 15, in Giur. cost., 1964, 161. La Corte sembra comunque ritenere che il margine fissato

dalla legge non debba essere estremamente ampio o addirittura indeterminato per evitare anche qui

che il potere dell’Amministrazione possa tramutarsi in arbitrio.

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oggettive regole tecniche ovvero al rapporto tra prelievo e fabbisogno finanziario dell’ente o del

servizio cui risulta collegato il gettito erariale32.

Peraltro, proprio dall’analisi della giurisprudenza costituzionale è possibile constatare la

tendenza ad allentare la rigidità dei vincoli derivanti dal principio della riserva di legge, laddove si è

riconosciuta la legittimità di interventi regolamentari molto ampi in ordine alla determinazione

quantitativa del debito d’imposta ed alle modalità di attuazione del rapporto33.

32

Corte Cost., 6 luglio 1961, n. 51, in Giur. cost., 1960, 705; Corte Cost., 3 maggio 1963, n. 55, in

Giur. cost., 1963, 490; Corte Cost., 23 maggio 1973, n. 67, in Giur. cost., 1973, 811; Corte Cost., 23

maggio 1985, n. 159, in Giur. cost., 1985, 1136.

33 Possibili giustificazioni di tale orientamento possono essere individuate nell’esigenza di

consentire l’esercizio di poteri di autonomia ad enti territoriali minori, soprattutto in relazione alle

loro particolari esigenze di finanziamento, nonché nell’opportunità di affidare scelte estimative ad

organi dotati della necessaria competenza tecnica.

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4 Conclusioni A conclusione di questo esame dei principi posti dalla riserva di legge in materia di

prestazioni patrimoniali imposte e, quindi, di tributi è opportuno svolgere una considerazione.

Quale che sia la ratio giustificatrice dell’art. 23 della Costituzione, tuttavia, deve essere sin

da ora evidenziato che in materia tributaria si assiste ad un sostanziale affievolimento dei limiti

posti dalla riserva di legge34 (ancorché relativa). Le ragioni di ciò possono essere ravvisate

anzitutto nel fenomeno dell’abuso dello strumento della decretazione d’urgenza.

In secondo luogo, tale processo si spiega con il progressivo rafforzamento dell’autonomia

tributaria degli enti locali35 e nella recente opzione del legislatore per metodi di accertamento di

tipo induttivo legati a parametri determinabili dall’amministrazione con una certa dose di

discrezionalità. Sebbene la prevalente dottrina ritenga che la disciplina delle procedure di

accertamento possa essere demandata ad atti di fonte secondaria, tuttavia il confine tra norme sul

presupposto e norme sull’accertamento non è nella pratica così netto. Si pensi, per l’appunto, ai

sistemi di accertamento di tipo induttivo basati su coefficienti presuntivi, laddove pur avendo il

legislatore sommariamente indicato gli elementi in base a cui elaborare i coefficienti, manca nella

legge la predeterminazione dei procedimenti tecnici di calcolo e dunque viene lasciata in concreto

all’amministrazione ampio margine valutativo nella determinazione del maggior reddito o del

maggior volume d’affari accertabile in capo al contribuente. In tal modo, la regolamentazione della

procedura di accertamento (vista la difficoltà della prova contraria in capo al contribuente) si

sostanzia, in realtà, in determinazione del criterio di ripartizione del carico tributario e, in definitiva,

del presupposto d’imposta in contrasto con l’art. 23 della Costituzione.

34

Si veda al riguardo, Perrone, Appunti sulle garanzie costituzionali in materia tributaria, in Riv.

dir. trib., 1997, I, 577 ss.

35 La quale porta necessariamente ad un aumento delle fonti normative sub-legislative. A riguardo

deve essere ricordato che la Legge Costituzionale concernente “Modifiche al titolo V della parte

seconda della Costituzione”, approvata dal Parlamento e confermata dal referendum popolare del 7

ottobre 2001, ha introdotto notevoli modifiche al testo della Costituzione attribuendo la potestà

legislativa alle Regioni (che in precedenza aveva solo Stato) e una certa autonomia normativa

secondaria agli Enti Locali. Vedi in proposito la successiva lezione.

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