L'isola che non c'era

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numero zero - marzo / aprile 2010 L’ISOLA CHE NON C’ERA | 1 BIMESTRALE GRATUITO DI MUSICA ITALIANA www.lisolachenoncera.it GIANNA NANNINI - GIOVANNI ALLEVI - NICCOLO’ FABI - VINICIO CAPOSSELA L’ISOLA N.ZERO MARZO - APRILE 2010 G IANNA NANNINI L’anima inquieta di un’artista capace ancora di sognare NICCOLO’ FABI Nuovo disco e nuova linfa artistica per ridare forza alle parole GIOVANNI ALLEVI L’arena di Verona, la musica e la bellezza Magico incanto per il pianista marchigiano. ISOLA-ZERO-48R1.indd 1 22-03-2010 17:56:28

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numero zero - marzo / aprile 2010 L’ISOLA CHE NON C’ERA | 1

BIMESTRALE GRATUITO DI MUSICA ITALIANA www.lisolachenoncera.it

GIANNA NANNINI - GIOVANNI ALLEVI - NICCOLO’ FABI - VINICIO CAPOSSELA

L’ISOLAN.ZERO MARZO - APRILE 2010

GIANNANANNINI L’anima inquietadi un’artista capace ancora di sognare

NICCOLO’ FABINuovo discoe nuova linfa artistica per ridare forza alle parole

GIOVANNI ALLEVIL’arena di Verona, la musica e la bellezzaMagico incanto per il pianista marchigiano.

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NUOVO SITO ONLINE: WWW.LISOLACHENONCERA.IT

06 LA COPERTINAGianna Nannini - Sognando mi risveglio

10 LA VETRINA DEL NUOVOTutte le ultime novità discografi che - Paola Turci, Alessia D’andrea, Denise, Francesco De Gregori, Neff a, Nicola Pisu, Cariòn, Vinicio Capossela, Federico Salvatore, Pino Daniele, Paolo Conte.

16 INCONTRI SULL’ISOLANiccolò Fabi - Cogliere l’attimo e renderlo unicoGiovanni Allevi - Una musica per parlare

19 OPERA PRIMAGli esordi - Agnese Manganaro, Chiara Raggi, Malghesetti, Petrina, Il disordine delle cose, Naif Herin, Th e Niro.

22 LETTURELe ultime novità editoriali - A.Podestà, C.Cremonini, M.Pagani, Farinaccio/Sutera/Martorella, F.Fratarcangeli

26 IMMERSIONIAnni ‘70 - Parco LambroCantautori Novissimi

29 LE CITTÀ DELLA MUSICAGenova, Torino, Brescia, Verona, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Pescara, Napoli.

39 RUBRICHECinema - Finalmente HopelessTeatro - Quando musica e teatro si incontrano

42 MI RITORNI IN MENTEI migliori dischi del passato recensiti oggi - Giorgio Gaber, Frankie Hi-Nrg Mc, Sergio Caputo, Lucio Battisti, Juri Camisasca.

46 UNA CANZONE A FUMETTIDomenico Modugno - Nel blu dipinto di blu

Il bimestrale gratuito di musica italiana di oggi e di ieri con recensioni, approfondimenti, interviste, immagini... ampio spazio agli appuntamenti musicali con i luoghi dedicati alla musica ed alla cultura delle principali città italiane.

NUMERO ZERO - ANNO 1 - MARZO APRILE DUEMILADIECIL’ISOLA

L’ISOLAVia Sempione, 25 - 20016 Pero (MI) - Tel. 02 3581586

Redazione: [email protected] : [email protected]

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METTIAMO ALLA PROVA LA TUA MEMORIA VISIVASCOPRI A QUALI ALBUM APPARTENGONO I QUATTRORIQUADRI E VAI SUL SITO

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È uscito da qualche settimana e già staziona nei piani alti delle classifiche. Un disco che vuole rimarcare il sogno come appar-tenenza, una dimensione più reale di quel che non si creda.

GIANNA NANNINIUn’energia travolgente da rocker di razza, di stampo anglosassone, e allo stesso tempo una vena melodica che si inscrive nella migliore tradizione italiana. Sempre aperta alle contaminazioni, che vengano dall’opera lirica, dall’hip hop, dalla musica popolare, Gianna Nannini amalgama tutto con la sua grinta e con la sua inconfondibile voce graffiante e potente, ma al contempo dolce e talvolta malinconica. Da qualche anno (“Grazie”, 2006), varcata la soglia dei 30 anni di carriera, sta vivendo un nuovo periodo di successo tanto clamoroso quanto meritato. di Alessia Cassani

S o che non ti piace parlare del passa-to, però hai fatto un “best of”...È vero, ma le canzoni sono tutte rima-

sterizzate e c’è “Possiamo sempre”, remixata da Alan Moulder. La verità è che avevo tre canzoni scritte all’epoca di “Grazie” che non potevano aspettare un nuovo album di ine-diti, così ho pubblicato questa raccolta e le ho messe con le canzoni del passato che mi piacciono di più.

Parlaci della tua collaborazione con Pacifico.Io compongo il testo e la musica insieme, quindi so già cosa voglio dire con una can-zone. Poi, però, a volte scelgo delle perso-ne, in questo caso Pacifico, per completare

e migliorare il testo con delle sfumature che io non avrei e che mi aiutino a dire meglio quello che voglio dire. Lo stesso faccio con la musica: a volte sento l’esigenza di una mano diversa dalla mia per un arrangiamento, come quella di Wil Malone o Alan Moulder. Il rock è collaborazione.

Una collaborazione riuscita è quella con Isabella Santacroce.Quando ho scelto di collaborare con lei stavo lavorando a una produzione in Sicilia e non avevo voglia di mettere troppe cose persona-li, così ho cercato un autore magari di libri, magari d’avanguardia. Ed è nato il nostro af-fiatamento.

E la tua collaborazione con Flora, Fauna e cemento?Nella fase in cui ho collaborato io il grup-po era bello, rock, con due batteristi. Quello prodotto da Mogol era tutta un’altra cosa. Abbiamo fatto solo un singolo, neanche un concerto, ma mi è servito per crescere. Però c’erano due donne che cantavano, e io volevo essere l’unica!

Qualcuno dice che gli studi musicali clas-sici inibiscono la creatività, e che quando si compone una canzone al pianoforte bi-sogna scordarsi di aver fatto il conservato-rio. Tu che ne pensi?In effetti, lo studio classico ti castra un po’ nello scrivere una canzone. Tutti i giorni

SOGNANDOMI RISVEGLIO...

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suono Beethoven come disciplina musicale e di vita. Lo risuono in continuazione finché non viene come voglio io. Però questo non ha niente a che vedere con la mia musica, se non che mi dà più agilità nelle mani.

Ho letto che tu da bambina cantavi le can-zoni popolari.Tuttora le canto. Mi identifico con la mia tradizione toscana, ma la trasformo in rock. Ad esempio l’ottava rima, su cui ho fatto l’opera, nasceva come gara poetica popolare d’improvvisazione. L’opera è più sinfonica, più classica, ma ho cercato di prendere l’ispi-razione da quel modo di esprimersi.

Hai conosciuto Caterina Bueno?Caterina Bueno mi ha dato tutte le coordi-nate per fare quest’opera, oltre a insegnarmi a cantare in toscano. Lei ha fatto delle ricer-che di grande valore poetico, era bravissima, molto preparata. In “Pia come la canto io” si sente anche la sua voce.

Il tuo passato è infarcito di collaborazioni con cantautori italiani: Vecchioni, Lavezzi, PFM, Bennato, Jovanotti, Conte... È casuale o voluto?Sono state cose che mi sono capitate. Con Conte è nata una collaborazione con gli Avion Travel, e anche un festival in cui c’era-vamo io, Mano Negra e lui. Tre stili diversi. Anche in campo internazionale sono nati degli incontri, con Elton John, Sting... Non faccio differenza tra italiani o stranieri, per me parlare di musica italiana è riduttivo in quest’Europa dalle differenze.

Quando senti che un musicista è vecchio?Lo sento subito dalle frequenze, dagli stru-menti, la voce, il missaggio, la masteriz-zazione. Lavorando con grandi tecnici del suono ho sviluppato un orecchio che mi fa capire immediatamente se un suono è giusto

o sbagliato. Come quando assaggi un vino. In quanto ai testi, invece, le parole in sé non sono indicative. È nel contesto che diventano vecchie.

Noi che scriviamo di musica in Italia dia-mo un’importanza ai testi forse eccessiva rispetto magari a un critico inglese o ame-ricano, che invece è molto più veloce a cogliere se una cosa è valida o meno, indi-pendentemente da quello che sta dicendo. La lingua italiana è più dram-matica, mentre in inglese è più facile scrivere rock. Sicuramen-te la lingua del paese in cui na-sci ti segna molto nel momen-to in cui devi scrivere un testo. Scrivendo in inglese (cosa che non ho mai fatto) mi sento libera dal contenuto, mentre in italiano sto più attenta a quello che dico. Pensa a Amy Winehouse, che in “Rehab” canta “I say no”, su quel “no” ci sono mille modulazioni, mentre in italiano sarebbe più secco, solo una negazione.Però per noi lo stile cantauto-rale è importante, e non si può bollarlo come vecchio o fuori moda. È uno dei nostri valo-ri, come l’opera lirica. I nostri cantautori hanno molta atten-zione per le parole, e questo al-l’estero non lo capiscono. Però ad esempio Conte è un cantau-tore, ma ha groove nelle paro-le, ha swing. Il mio produttore Conny Plank, che veniva dal jazz, mi ha insegnato a inserire il testo in un contesto ritmico. A me bastava cantare bene a

livello di espressione, e del resto noi in Italia ci preoccupiamo di dare più espressività alla parola. Quindi cantavo all’italiana, con un tempo dilatato. Lui mi ha insegnato il ritmo, che è fatto per accenti. E che le parole hanno lo stesso peso sonoro della musica. Secondo me un cantautore italiano può avere successo all’estero se ha una voce particolare e un suo

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groove. Quindi un’importanza al testo va sempre comunque data, perché è una no-stra caratteristica e un valore, ma bisogna evolversi. Credo che il mondo musicale cambierà con l’opera moderna. Anche perché l’opera ha tenuto insieme tutta la musica italiana negli anni. Nasce tutto dal melodramma, da “Volare” in poi.

Cosa pensi di Modugno?Modugno è un grande punto di riferi-mento per me. È un grande nel riprende-re la tradizione, nell’essere un cantautore e nell’essere rock nel groove. Sono convinta che la musica italiana tro-verà nuova linfa dal suo passato. E inoltre l’opera lirica moderna deve fare i conti con il rock, con l’hip-hop con il punk, e con la musica new-metal. “Pia” ha tutte queste cose, oltre alla danza. Credo che sia un genere ancora più bello del cine-ma, perché è uno spettacolo completo. Puoi cambiare la regia, i cantanti, i musicisti, ma l’opera rimane. In un mondo digitalizzato, bisogna tornare a vedere le cose dal vivo.

Che musica ascolti?Soprattutto musica popolare. Mi piace co-

gliere la musica dei popoli e contaminarla. Soprattutto in Africa. Mi piace studiarli, ascoltare come cantano, vedere come si muo-vono quando cantano.

“Giannadream” va benissimo, “Gianna-best” è stato a lungo primo in classifica,

“Grazie” ci è rimasto ancora di più, e hai dovuto aggiungere altre date al tuo tour. Come ti spieghi questo successo così cla-moroso proprio adesso?Qualcuno che mi segue adesso non era ancora nato quando ho cominciato. Io non faccio niente per essere di moda o per sembrare più giovane. Secondo me la gente si accorge quando la musica è fatta bene. Se avessi tenuto il mio ma-nager non avrei mai fatto un disco come “Grazie”, perché per lui sa-rebbe stato troppo caro. Allora ho deciso di produrlo io. Prendo un anticipo, tutto quello che spen-do in più ce lo metto io. Così ho potuto usare la London Session Orchestra in tutti i pezzi, ho speso e rischiato tanto, ma mi è andata

bene. Del resto anche ai tempi di Modugno la musica costava tanto. Adesso si usa il com-puter e il suono si appiattisce tremendamen-te. Io apprezzo l’elettronica, ma deve avere un senso nel disco, non deve essere fatta solo per risparmiare. ■

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EGEA MUSICCorso Mazzini, 12

12037 Saluzzo (CN)TEL.0175.217323FAX.0175.475154

www.egeamusic.com

PAOLA TURCI| Attraversami il cuoreUniversal 2009Questo nuovo album di Paola Turci è il primo episodio di una trilogia che vedrà la luce nella sua completezza entro il 2010. Il cd è com-posto da otto brani, tutti incentrati sul tema dell’amore. Ormai la Turci è consapevole (da anni) delle sue doti di autrice e firma ben sei brani, mentre altri sono scritti a quattro mani con Marcello Murru, ombroso e straordinario cantautore sardo. Manca forse il singolo radio-fonico, nel senso più commerciale del termine, a vantaggio però di un progetto più ricercato e intimista; scelta certamente ponderata e volu-ta, sia per quanto riguarda le parti musicali che per i testi. Un album capace di parlare delle varie sfaccettature dell’amore senza mai cadere nel banale, rischio concreto per un argomento da molti abusato in modo frivolo. Il singolo che ha lanciato l’album è La mangiatrice di uo-mini, scritto da Francesco Bianconi (Baustelle) ed ha la peculiarità di essere al contempo un testo ironico e trasgressivo accompagnato da una parte musicale con riferimenti alle sono-rità anni ‘70. È presente anche una cover, Dio come ti amo di Modugno, resa qui in modo originale, intensa e soffusa, grazie all’apporto di Paolo Fresu al flicorno i cui interventi im-preziosiscono l’arrangiamento. Attraversami il cuore, è al di fuori di certe logiche di merca-to, ma è un cd da ascoltare con attenzione, a riprova del fatto che Paola Turci è un’artista in continua evoluzione. Maturità confermata anche dal vivo, basti pensare al concerto “le donne per l’Abruzzo”, dove la sua esibizione chitarra e voce insieme a Carmen Consoli al basso e Marina Rei alla batteria è stata una del-le più convincenti. A questo punto rimane solo la curiosità di ascoltare i prossimi due lavori di questa trilogia, il secondo dei quali dovrebbe essere focalizzato su tematiche sociali mentre il terzo ed ultimo capitolo sarà incentrato sul mondo femminile e dovrebbe comprendere brani scritti anche da altre cantautrici.

Stefano Tognoni

ALESSIAD’ANDREA| Alessia D’andrea2009 ReinilinLa scelta di Alessia d’Andrea è molto chia-ra. Cioè quella di affrontare un repertorio pop-rock di lingua inglese che le permetta di volare oltre i nostri confini che pure l’hanno vista protagonista in molti Premi. Un reper-torio non di cover ma originale, firmato dalla stessa cantante e da Antonio Notaro, al di là di Astradeni’s Lifetime del greco Theodore Zefkilis (da qui il gran numero di musicisti greci tra gli ospiti). È il primo album a lunga durata di Alessia dopo l’ep dedicato all’inter-pretazione di Locomotive Breath dei Jethro Tull con lo stesso Ian Anderson ospite del-l’incisione. Pertanto l’intento programmati-co è molto forte ed è costruito attorno a una voce potente e melodica che talvolta indulge al soul. Per una voce così serve anche una base strumentale adeguata. Per ottenere questo ha chiamato musicisti stranieri dalle collabora-zioni prestigiose come Stephan Zeh, David Arch, e Florian Ophale (chiamato dal già ci-tato Anderson nei tour acustici dei Jethro). I momenti più convincenti sono quelli dove fa capolino la voglia di musica nera, ma è da sottolineare anche l’unico momento in ita-liano, Al Bar di Tommy dove finalmente in-dugia in una ballata senza dinamiche troppo forti e in cui il testo ben si adatta alla linea del canto. Pensiamo di consigliarla bene se intendesse proseguire su questa strada. Il Cd è autodistribuito attraverso il sito dell’artista, mentre sulla copertina sono attaccati 50 cen-tesimi per sensibilizzare il supporto all’orga-nizzazione umanitaria Save the children.

Michele Manzotti

DENISE| Carol of wonders2009 Memory man Denise delicate intuizioni. Carol of Wonders è il suo primo ep ufficiale. Scoperta all’edizione 2007 di Musical Box di Urbino, in cui vinse il primo premio, il disco in questione succede ad un demo che conteneva due brani presenti anche in questo nuovo lavoro, Let Them Take Some Care, piccolo gioiello pop qui ripro-posto e vestito di una nuova aurea melodica, più matura e complessa; stesso destino per la splendida Moonchild a chiudere elegante e candida il mini-album in una versione in cui la mano degli arrangiamenti è stata più incisiva. Nei due brani inediti Cuddly Cloudy After-noon e Carol Of Wonders Denise e compagni ribadiscono nuovamente quello che nel suo esordio si poteva definire freschezza ed innova-zione, riscoprendo quell’approccio fanciullesco e pop nella melodia, mentre estro e fantasia, per quanto riguarda la scelta dei suoni e delle strumentazione, sono la dimostrazione di una maturità vicina. L’incontro tra folk ed elettro-nica creano un sodalizio interessante che visto nell’ottica di un progetto più articolato e di più ampio respiro fornirebbe il terreno giusto per sviluppare nuovi percorsi; ma è anche vero che procedendo così a piccoli passi, si approfondi-sce il proprio iter creativo dando all’ascoltatore una prospettiva diversa del lavoro di un arti-sta: una piacevole sensazione di trasparenza e forse onestà. Comunque una strada intrapresa affascinante che conduce ad un immaginario musicale ed emotivo ben definito e di gusto raffinato, sintomo che l’artista è a buon punto nella delineazione della sua identità.

Gabriele Betti

LA VETRINADEL NUOVO

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FRANCESCODE GREGORI| Per brevità chiamato artista2008 CARAVAN-SONY BMG

Tre cose vengono immediatamente in mente quando si fi nisce di ascoltare Sognando con-tromano, il nuovo disco di Neff a. La prima è che dal punto di vista musicale Giovanni Pellino non ha aggiunto nulla di nuovo a quello già presente nel calderone musicale, anzi è andato a ripescare nel passato, special-mente negli anni Sessanta e Settanta. La se-conda è che ha superato se stesso, realizzando un disco molto curato soprattutto dal punto di vista del suono e degli strumenti che lo porta di quattro gradini più in alto rispetto al precedente Alla fi ne della notte del 2006. Sognando contromano, pur essendo carat-terizzato da sonorità molto semplici e suoni molto scarni, è infatti un disco pieno di det-tagli mai lasciati al caso. Da citare in tal senso In un sogno, dove il pianoforte iniziale lascia spazio ad un assolo di chitarra che dà forza al testo sottolineandone l’impatto emotivo. Ma anche La mia stella e Giorni d’estate. La terza è la più diffi cile da spiegare perché riguarda il piano emozionale e quella intimità mista a semplicità in cui si viene avvolti sin dal primo brano. Scordatevi le solite canzoni da classifi ca stile La mia signorina, ma lasciatevi andare con Distante, Lontano dal tuo sole, Nessuno, brani in cui emerge soprattutto l’autore di alto livello che è Neff a (come già dimostrato in passato con Aspettando il sole) e la maturità raggiunta non solo come artista ma come uomo. Unica nota un po’ stonata è il brano in inglese, Th e hill: forse in un di-sco con dieci canzoni in italiano mettere una traccia in inglese appare più una forzatura che un’attenta scelta dell’artista. Nemmeno questo, però, ci fa cambiare idea sulla bellezza di Sognando contromano.

NEFFA| Sognando contromano2009 SONYMUSIC / RCA/HERMANOS

A rtista è chi si alza da terra, anche per un solo istante. Chi arrischia il volo, quali che siano gli esiti. Molti

di noi sono dotati di ali, pur corte e tarpa-te, comunque d’artista. Artista è chi si tuff a nell’aria, pur essendo pesce e inventa una storia nuova, una promessa, anche con i piedi nel fango e con la testa immersa nel cielo. Artista è anche chi ascolta, nel libero esercizio di valicare il limite che ci separa dal bello. Francesco De Gregori ha indica-to da sempre tale confi ne ed è una grande consolazione, attraverso le sue canzoni, i suoi versi, accedere con tanta facilità in uno spazio dove innocenza e aria fresca sono il comune fondale. Da questo nuovo lavoro, uscito a distanza di solo due anni dal più che pregevole Calypsos, sortisce il De Gregori d’annata, “en barrique”, profumo di legno, colore sanguigno e retrogusto di viola, quel-lo delle ballate fatte di progressioni d’accor-di semplici e smaganti, melodie trasparenti, una voce che le stagioni non hanno potuto avvizzire. Già con Per brevità chiamato ar-tista, brano d’apertura, sembra di ritornare all’età dell’oro della canzone d’autore. Una ballata di incanti, dove riecheggia il magi-stero di Leonard Cohen, quando la chitarra punteggia le note o nei cori, nei testi e nel-le armonie, un modello cui Francesco può guardare senza soggezione alcuna. Trasci-nante è il doppiaggio melodico degli stru-menti, violino in testa, fra un risonante as-solo di mandolino e il sostegno arpeggiato della chitarra. Come sempre, nelle canzoni di Francesco, ci sono espressioni che sedi-mentano a lungo. “Cattolico di ritorno”, per esempio, è una locuzione che non passa inosservata. Il rock blues di Finestre rotte è, musicalmente, più prevedibile, ma è il testo a sollevarsi e a ondulare la pagina. Giro di chitarra “fl amboyant”, organo Hammond come raccomanda la storia. Celebrazione vanta un effi cace riferimento dantesco ed è un folk-rock dove emerge malconten-to politico. Un buon pezzo, anche se non così originale. La fi lastrocca di Volavola è la Buonanotte fi orellino del XXI secolo, uno zibaldone popolare, di un’Italia vestita con abiti lunghi e speranze virginali. Con una strizzata d’occhi al mondo parallelo di Mimmo Locasciulli e un romantico accom-pagnamento pianistico di cui è artefi ce l’ot-timo Alessandro Arianti. Dai gazebo della provincia si va con un volo diretto sulle strade del Greenwich Village, cui rimanda Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra, country folk con la terra di Woody Guthrie sotto le unghie. Questo resta il pane benedetto di cui De Gregori si è sem-pre nutrito. Non è lecito quindi aspettar-si dal disco conigli presi per le orecchie o colombe nascoste in un foulard, piuttosto

una coerente coda alla cultura di una generazio-ne. Il principe soffi a sul-l’armonica come un busker da crocevia. A conferma di questa tesi, arriva una cover, L’angelo di Lyon, fi rmata Tom Russel, Steve Young e Luigi Grechi (sempre in fondo al cuore epigrammi e balla-te), a testimoniare un inossidabile interscambio Italia-America. Una struttura semplice, solo quattro accordi, ma la capacità di traspira-re poesia. Viene da pensare al più truculento Shakespeare, quello di “Tito Andronico”, ascoltando i versi all’arsenico di Carne umana per colazione, uno schiaff o lirico, permeato di un’ironia verdastra. L’imperfetto, il tempo dell’epica fanciullesca, è un piacevole “esercizio di sti-le”, un calembour dalla melodia semplice. È curioso notare che l’ultima canzone di un album, giustamente non troppo lungo, è L’infi nito, con Francesco al pianoforte e gli archi in evidenza, come in altri punti, siste-mati con gusto, senza enfasi o sforamenti. Qui non c’entra Leopardi e neppure l’ite-razione di un altro tempo verbale. È invece una magnifi ca ballata, spolverata di ma-linconia, ricca di versi emblematici, come “metti un palio al mio dolore”. Se non è lecito forse parlare di un disco alla vecchia maniera, perché caratteristica di Francesco De Gregori non è mai stata l’immobilità ar-tistica, è giusto riferire di un orientamento “classico” nel suo repertorio, aggiornato al mutar dei tempi. Ma è stupefacente con-statare come quasi quarant’anni di carriera non abbiano lasciato ombre sul viale. Acco-starsi ai testi delle canzoni, anche slegandoli per un attimo dalla musica, è comunque un viaggio alternativo, dove la parola, associan-dosi alle altre, ha sempre un peso specifi co rilevante, nelle intenzioni come nei suoni, nella metrica come nell’avventurosa e non così oggettiva ricerca dei signifi cati. La voce di Francesco, soprattutto, non è poi così di-versa da quella che si ascoltava trent’anni fa. Una bella fortuna, ma anche, probabilmen-te, una sapiente gestione dei propri mezzi vocali. Per brevità chiamato artista può essere considerata, nell’immensa discogra-fi a del cantautore romano, una delle opere migliori, in special modo per quel talento tutto personale di saper modellare con tan-ta naturalezza le parole alle melodie.

Francesco Caltagirone

A Cristina che sarà amata “sempre e per sempre”

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Il bimestrale di musica italiana di oggi e di ieri con recensioni, approfondimenti, interviste, immagini... ampio spazio agli appuntamenti musicali con i luoghi dedicati alla musica e alla cultura delle principali città italiane.

CATALOGO “L’ISOLA”Ad un certo punto è sembrato un passaggio obbligato quello di offrire ai nostri lettori una serie di dischi di diffi-cile reperibilità. Molti ci chiedevano dove trovare questo o quel CD, magari dopo averne letto la recensione. L’Isola prova a dare il suo contributo. Attraverso il contatto con distributori ed etichette piccole e medie abbiamo messo insieme un buon numero di titoli, che vi proponiamo in queste pagine. Aumenterà con il passare del tempo; se in-vece cercate qualche titolo che non è tra questi... provate a chiedere. Il più autorevole interprete dell’evoluzione del mondo maschile. Spettacolo, attualità, arte e cultura rac-contati in esclusiva attraverso i personaggi più influenti e le figure più prestigiose. Con uno stile ineguagliabile, riconosciuto internazionalmente.

L’ISOLA NICOLA PISU| Abacrasta e dintorni2009 Autoprodotto

È decisamente lontano anni luce da qualsiasi moda o tentazione commerciale questo splendido lavoro di Nicola Pisu, ancorato saldamente ad un’ancestrale Sar-degna, ai suoi ritmi lenti e dolenti.

Liberamente ispirato ai lavori letterari di Salvatore Niffoi “La leggenda di Re-denta Tiria” e “Il viaggio degli inganni” questo concept album è pregno di poesia che grazie anche alla voce profonda e limpida di Nicola Pisu che a tratti ricorda quella di un giovane Fabrizio De Andrè, si insinua sotto pelle, è un procedere lento ma che porta quasi alla commozione nei momenti più toccanti. Sebbene l’intero lavoro prenda titolo da un nome di pura fantasia come Abacrasta “paese che non lo trovi nella geografia”, non ci troviamo immersi in una fiaba, ma anzi nei versi di Pisu c’è tutta la durezza di un territorio descritto con forza oscillando tra limpido lirismo e tragico realismo. Un mondo segnato da ataviche paure, le cui condizioni di vita sono spesso ai limiti della schiavitù, in cui è sempre presente il senso di un peccato da espiare di un’esistenza vissuta per “salvare l’anima”, in cui i volti delle donne sono “maschere tragiche” segnate dalle con-tinue disillusioni, in cui i bambini che “corrono a piedi scalzi” a Chentu canes ricordano tanto quelli dei film pasoliniani, in cui si ritrova anche una vita come quella di Serafina spesa come prostituta “a cancellare i giochi di bambina”. Op-pure ancora come quella di Nineddu reo di aver osato reagire contro chi detiene il potere e perciò “scomparso nell’aria polverosa mangiato dal cielo o dalla terra argillosa”. Ottimo l’utilizzo ibrido di strumenti acustici anche appartenenti alla tradizione sarda mescolati ad arte con sonorità elettriche e voci della natura, in un accurato lavoro corale.

Fabio Antonelli

CARIÒN| Non cercare verità2009 Otium Records/CNI

Secondo disco per questo gruppo rock, ma anche un po’ pop, di Bari: i Cariòn. Dieci brani che vanno a formare un puzzle che solo con l’ultimo brano prende

forma, agli occhi ma soprattutto alle orecchie. Apre Instabile e lo stile Negra-maro-Subsonica è già chiaro, forte la batteria, chitarre distorte a tenere compat-to il tutto e un buon testo, mentre Se tu inciampa invece nello stile Vibrazioni, specie nell’interpretazione. Continuando questo avvicinamento ai gruppi rock-pop italiani, Perdo il controllo profuma di Negrita, chitarra acustica e pianofor-te come intro, viola e violino addolciscono il brano ma gli evitano purtroppo di farlo decollare. Tra i migliori c’è sicuramente Scorpione, un bell’incipit di batteria, il testo snocciolato con maestria dalla voce solista Vigos, un buon rock che rimane in testa. In un album che aspira ad essere davvero rock, non può mancare la ballad d’occasione, ed ecco quindi Diamante, base di pianoforte sovrastata forse troppo dalle chitarre, buona melodia che però non aggiunge poi molto all’intero album. Detto questo, spunti interessanti per questi Cariòn se ne vedono, anche se siamo all’inizio di un viaggio compositivo personale. Il consiglio che viene da dare una volta che tutti i pezzi del puzzle si sono incastra-ti è uno: essendo impossibile cercare verità assolute, in una realtà dove nulla è ciò che sembra, il consiglio è quello di cercare ciascuno la propria verità.

Giulia Zichella

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LA NOTTE È UN PAZZO CON LE MÈCHES (live)SERGIO CAPUTOEuro 12È un bootleg d’autore, registrato con la complicità dell’artista nei concerti degli ultimi anni. Il lavoro raccoglie il me-glio dell’esperienza del Sergio Caputo Quintet.

UNA VITA CONTROVENTOIVANO FOSSATIEuro 14Pavese, Conrad, Cervantes, ma anche Leopardi, dal quale mutua immagini - come quelle del deserto e del naufra-gio - tra le più care e ricorrenti: sono questi gli scrittori che hanno offerto le maggiori influenze e suggestioni a Ivano Fossati, più di trecento canzoni in oltre trent’anni di carriera.

ANDARE, CAMMINARE, LAVORARE E ALTRI DISCORSIPIERO CIAMPIEuro 12Raccoglie pezzi di due album precedenti più due inediti e mostra le principali doti del Piero Ciampi cantautore; la bizzarra e originale vena compositiva e l’estro poetico onesto e commovente.

NIENTE PASSA INVANOMASSIMO BUBOLAEuro 10Dodici storiche canzoni di Massimo Bu-bola, uno dei più significativi artisti ita-liani, che ha saputo coniugare le sonorità del rock con la più fine poesia.

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VINICIOCAPOSSELA| Da Solo2008 Atlantic/Warner

I l disco del ripiegamento su se stesso, la quiete dopo la tempesta, il ritorno a casa: tante potrebbero essere le etichet-

te da apporre a questo nuovo (settimo, con-siderando le sole raccolte di inediti) episodio della saga caposseliana. In eff etti i due lavori precedenti, Canzoni a manovella (2000) e Ovunque proteggi (2005), veicolavano con-cetti e soluzioni estetiche un po’ diverse da quelle del Capossela DOC; non del tutto inattese, specie a frequentare i suoi concer-ti, ma certo ormai sistematicizzate, uffi ciali. Con Da solo, che già il titolo ci dice quanto graviti attorno alla voce, stentorea ed elusi-va, e al piano di Vinicio, si scantona dalla via tracciata negli ultimi anni (non, però, dal vivo, visto che il ‘Soloshow’ è tour circense quant’altri mai, e senza neppure quelle spes-se, drammaturgico-ritualistico-mitologiche suggestioni che segnavano lo spettacolo connesso a ‘Ovunque proteggi’). Ripiega su se stesso, appunto: recupera il lirismo fra il dinoccolato e il disarmato (quindi così tipi-camente suo) che caratterizzava i lavori del-l’altro millennio (per esempio, copiosamen-te, lo stupendo Modì, anno di grazia 1991), placa i colpi di testa, le impennate umorali, i deliri sfrontati (ma spesso anche geniali) del recente passato. Ripiega, si acquieta, ritorna. Per l’appunto.Quello che un tempo si chiamava il primo “solco” del disco, Il gigante e il mago, in

realtà, col suo impianto bandistico-circense e quell’organo che vira verso una solennità quasi liturgica, funge un po’ da collante, da punto di sutura, fra le due anime, pur man-tenendosi sostanzialmente pacato e quasi lu-dico. È però fi n troppo ampio, dilatato; non appare, insomma, tra i vertici del lavoro. Già con la seconda traccia, In clandestinità, ini-zia a farsi largo quello che per alcuni può co-stituire il limite, e per altri (quorum ego) il pregio, del disco: la sua uniformità climati-ca, un deambulare ovattato e sommesso che rimanda ad analoghi monoliti dell’amato Tom Waits o alle ‘Murder Ballads’ di Nick Cave. Parla piano non fa che rinforzare l’as-sunto, laddove la successiva Una giornata perfetta è una sorta di canzone-giocattolo, come Capossela ce ne ha regalate diverse. Assolutamente geniale (non ultimo per la trovata in sé) è, a seguire, Il paradiso dei calzini, in cui Pascal Comelade vezzeggia un piano giocattolo (che, dal vivo, è lo stes-so Vinicio a manipolare, seduto per terra), spiccatamente favolistica, soffi ce e come in-cantata, probabile vetta del disco. Che si conferma docile, di tratto onirico e domestico. Dopo Orfani ora, quanto mai pianocentrica, arriva quella sorta di fi lastrocca che è Sante Nicola. Di particolare forza evocativa si rivela poi, da subito, Vetri ap-pannati d’America, abbeverata anche a un generoso dispiega-mento di fi ati. Dall’altra parte della sera, che segue, è una di quelle tipiche, dolenti bal-late così squisitamente à la Capossela che si fanno amare fi n dal primo ascolto, mentre

più intrisa di umori popolari (country, per esempio, con tanto di banjo) e a sua volta notevole è La faccia della terra. Particolar-mente lieve e intim(istic)a, ammaliante nel-la sua sottoesposizione, col canto che si fa quasi sommesso recitativo, è poi Lettere di soldati, per voce, piano e violoncello (Mario Brunello). Chiusura sulla falsariga con Non c’è disaccordo nel cielo, pressoché fi siologico proseguimento del brano precedente: dura quattro minuti e mezzo, a cui ne seguono altri sette abbondanti di totale silenzio (il disco in sé e per sé è fi nito, è ovvio), dopo di che la musica riprende nella bonus track di rito, una sorta di intrico di voci e suoni che è una sorta di frullato di schegge varie estratte dal disco. Così fi no ai 71’04” fi nali.Gioverà, in chiusura, il fatidico pensierino della sera. Detto che, negli abbinamenti più disparati, il disco coinvolge oltre una ven-tina di musicisti (fra cui Frank London e Matt Darriau, rispettivamente trombettista e sassofonista dei Klezmatics, Zeno De Ros-si, Anthony Coleman, quattro elementi dei Calexico, il quartetto d’archi Edodea, ecc.),

va ribadito con convinzione come l’im-magine che l’album ci consegna ri-manga, in buona sintesi, quella evocata

all’inizio: un’epopea del binomio pia-no/voce, dove tutto il resto è colore, contorno (senza con ciò sminuire e/o svilire l’apporto dei singoli, per

carità), arricchimento e sotto-lineatura dei vari microclimi

che il lavoro ci propone. Che Da solo sia destinato a tra-mandarsi nel tempo come un disco eminentemente, capillarmente legato al suo deus ex machina, infatti, sembra fuor di dubbio (con tutta probabilità quanto mai è accaduto in passato). Al prossimo capitolo della

saga, dunque.

Alberto Bazzurro

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FEDERICOSALVATORE | Fare il napoletano...stanca!Arancia Records/Lucky Planets 2009

Nomini Federico Salvatore e pensi a quel-l’uomo col codino e chitarra che faceva divertire tutti dal palco del Maurizio Costanzo Show con Azz e con brani parodistici e diver-tenti. Quasi nessuno considera, invece, il lato serio di questo artista partenopeo iniziato per i più a Sanremo ‘96 con un brano su un ra-gazzo che confessa la sua omosessualità alla madre (Sulla porta). Nel 2002 pubblica L’osceno del villaggio, disco che contiene Se io fossi San Gennaro, brano che la manda a dire a politici, cantanti e a tutti quei napoletani che rendono la città del Vesuvio una vergogna agli occhi di tutti. Brano a causa del quale non abbiamo quasi più sentito nominare Federico Salvatore per anni, anche se nel 2004 pubblica l’album Dov’è l’individuo. È ora uscito Fare il napoletano...stanca!, una bella prova di sé come autore di testi con Il monumento, la title track, Fare il napoletano stanca e Se io fossi San Gennaro (riproposta in una versione senza troppi fronzoli musicali che lascia più spazio al testo e alle doti interpretative dell’artista). L’arte del raccontare la realtà, spesso con ironia, non ha abbandonato l’artista napoletano. Ecco dunque Il progresso della marchetta, La rosa sbocciata nera e La macchia. Un album che poco aggiunge alla sua discografi a, ma va ascoltato perché oggi ben pochi sono gli artisti italiani che hanno il coraggio di restare se stessi raccontandosi in maniera sincera.

Veronica Eracleo

PINODANIELE | Electric jamSony BMG 2009

La jam elettrica di Pino Daniele (prima parte di un progetto che prevede un segui-to acustico) è certamente una prova degna di nota, ma purtroppo non riesce ad elettrizzare come era auspicabi-le. Questo perché a fronte della schiera di musicisti d’alto rango che affi ancano il cantautore partenopeo, la musica prodotta sa troppo di confezione infi occhetata, curata in fase di registrazione e priva della necessaria ruvidità per lasciare un segno profondo. Sei brani inediti, molto solari e dall’andamento disteso, tra i quali fa la sua comparsa l’ospite J-Ax che si propone in un duetto resistibile nell’opener Il sole dentro me. Brano al quale segue Dimentica, anch’esso virato verso un mood decisamente estivo, da party all’aria aperta per intender-ci, che si mantiene per tutto Electric jam. Fa leggermente eccezione Sesso e chitarra elettrica grazie a un carattere più vicino al rock anni Settanta, quello autentico, tagliente al punto giusto e privo di fron-zoli. Per il resto assistiamo all’alternarsi delle consuete soluzioni che rappresentano il marchio di fabbrica di Pino Daniele, soprattutto del Pino Danile degli ultimi lustri: testi cantati un po’ in italiano e un po’ in inglese, melodie fl essuose e alcuni slanci alla sei corde che non guastano. Tutto sommato si tratta di un disco piacevole, ma la sua quasi mezz’ora passa in fretta e somiglia a una di quelle scritte fatte sulla sabbia in riva al mare, destinate a scomparire alla prima onda di una certa entità.

Roberto Paviglianiti

IL DISCO CONSIGLIATO a cura di Enrico de Angelis*

A.VIRGILIO SAVONA| Cose delicate

Amiata

LA VETRINA DEL NUOVO

Intorno alla grandiosa fi gu-ra di Virgilio Savona non è uscito solo il disco realizza-to dal Club Tenco in segui-to all’omaggio tributatogli alla Rassegna della canzone

d’autore del 2004 (ovvero “Seguendo Virgilio”, più libro omonimo). A costo di sostenere... la concorrenza (ovviamente stiamo scherzando), vale la pena segnalare anche quest’altra raccolta, voluta e curata dal fi glio di Savona, Carlo. Che del resto qualche remota responsabilità indiretta del singolare repertorio contenuto in que-sto Cd deve avercela, se è vero che a caval-lo tra anni ’60 e ’70 la sua accesa militan-za politica giovanile (inutile specifi care da quale parte) stimolò il padre, magari anche con qualche sconfi namento confl ittuale, a intraprendere, parallelamente all’attivi-tà comunque impagabile del Quartetto Cetra, la strada della canzone di protesta, di satira, di polemica civile, complice la moglie Lucia Mannucci. Le “cose delica-te” di cui al titolo sono appunto queste: le questioni sociali e politiche di cui Vir-

gilio cominciò a occuparsi in musica - sia come autore, produttore e arrangiatore, sia come cantautore in proprio - e che nell’autoreferenziale canzone omonima, a quanto pare, risultavano ostiche e inop-portune all’abituale pubblico dei Cetra. E non solo al pubblico, ma anche all’altra metà del Quartetto: come evoca la can-zone, infatti, fu proprio il conservatore Felice Chiusano che, preoccupato, ripor-tò al collega la critica raccolta in piazza secondo cui di queste “cose delicate” non era il caso di parlare in canzone. Virgilio ci rise sopra e proseguì per la sua strada, e ora, a distanza grosso modo di 35 anni, quel repertorio viene in parte ripubblica-to in questo Cd, con la sua stessa voce, la stessa fulminante effi cacia, la stessa intel-ligenza. L’album riprende otto pezzi dal memorabile album di Savona cantautore “È lunga la strada” (uno degli otto però in una versione diversa, con il solo pia-noforte). Due canzoni risalenti alla stes-sa epoca sono inedite: Il formichiere (la cui musica fu poi utilizzata proprio per Cose delicate) e Dietro le quinte. Ma si

ha anche l’occa-sione di sentire per la prima volta cantati da lui alcuni brani già noti in altre esecuzioni: Th e little green man (presente nel 33 giri da lui scritto e prodotto “Pia-neta pericoloso”) e soprattutto tre delle famose canzoni che Virgilio adattò da testi di autori la-tini, musicandoli per un album di Gaber. Queste quattro registrazioni, inedite, pro-vengono da un programma della Radiote-levisione della Svizzera italiana. Infi ne, ci sono quattro brani strumentali ricavati in parte da “Pianeta pericoloso” e in parte da “L’Opera delle fi lastrocche”. Saranno an-che cose delicate, ma riescono ancora oggi a divertire, a commuovere, a indignare.

* Responsabile artistico del Club Tenco

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PAOLOCONTE| Psiche2008 Platinum-Universal

Assolutamente lui. Dopo il Raz-Mataz del 2000 e l’Elegia di quat-tro anni fa, è ora alle prese con la Psiche. Ed è profondamente – inconscio, preconscio e con-scio – Paolo Conte. Non inganni la novità dell’utilizzo diff uso del suono sintetico, che di rado e malvolentieri ha fatto parte del-la strumentazione dell’Avvocato. Questa, più delle due precedenti, è un’opera densamente, intima-mente contiana. La sua poetica si esprime qui in tutta la sua ormai classica singolarità, in una sintesi ricca e appagante. Si ritrovano, tra le musiche, quei passaggi ar-monici e melodici che rimanda-no al miglior Conte di sempre, le suggestioni emozionali che si mettono in movimento attraver-so la sonorità avvolgente (Psiche, Intimità), la sensualità misteriosa (e qui quasi dolorosa, tra i violini di L’amore che), le atmosfere da fi lm in bianco e nero, l’incedere terzinato del valzer (nella splen-dida Bella di giorno), il gusto

retrò che attinge all’immaginario collettivo sulla prima metà del Novecento (Berlino), e i viaggi virtuali in America (Silvery Fox, luccicante di musical) e in Fran-cia (Coup de théatre, cantata in duo con Emma Shapplin). E si ritrovano, nei testi, le parole de-suete, i modi di dire, gli aggetti-vi improbabili, le frasi retoriche abusate ma reinventate dal toc-co magico dell’ironia. C’è tutto: il kazoo, il canticchiare di “ah”, “mhmm”, “she shi shara shu” e di “ba da ba di du du da”, i “forse” e i “?” con i “so/non so” e i “sì ma” e “così o non così chissà”, il rosso e lo scarlatto, teatri e palcosceni-ci, gesti randagi e pruriti torridi, belle senza ritegno, biciclette e Giri d’Italia, praterie e frecce di pellerossa, piogge spagnole e soli

zulù, l’India e l’Arabia, Vien-na, Berlino, e Napoli che fa rima interna con Tripoli. Evocativo come e più che mai, dei suoi mondi e di se stesso. Classico tra i classici. In questa summa di poetica contiana, poi, si disvela tutto il gioco di andata e ritorno rispetto alla generazione di cantautori che fa di lui il suo più prezioso punto di riferi-mento. C’è Il quadrato e il cerchio, ad esempio, con i suoi morbidi cori maschili che ricordano i dischi degli Avion Travel versione Anni Novanta. E viene persino un po’ di capogiro quando si ascolta Ludmilla: ritmo bal-canico, canto sbronzo e tema circense decisamente capos-seliani. Un omaggio ai suoi “allievi”?, un’incoraggiante e paterna pacca sulla spal-la al miglior cantautorato post-contiano? Geniale co-munque. E divertente. Con rinnovata emozione, dun-que, diamo il bentornato al maestro Paolo Conte.

Alessia Pistolini

retrò che attinge all’immaginario

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S olo un uomo è un album raro, prezioso, lo avevi detto che saresti ritornato con canzoni nuove solo

quando avessi avuto materiale di grande qualità, come sei arrivato al suo concepi-mento?Questo disco è irripetibile ed unico in quan-to tutte le coincidenze temporali ed esperien-ziali che sono avvenute e che sono la causa o alla base della nascita dello stesso non capi-teranno più, questo posso dirlo con certezza perché è la cesura della prima parte della vita con la seconda, sono di fronte ad un giro di boa fondamentale.

I testi hanno un ruolo determinante nel-l’economia del disco, sono importanti, ritraggono un uomo nell’età, stai facendo i conti con te stesso? Per questo lo ritieni l’album della maturità?Da una parte concordo, in realtà gli ricono-sco una consapevolezza ed un’irruenza, nel modo di averlo scritto e realizzato con il mio linguaggio da persona non aggressiva nella vita. Dal punto di vista del linguaggio è più ruvido, tutte le esecuzioni sono state fatte in maniera casalinga, cercando di non allonta-narsi dal calore originario dell’ispirazione, di quel momento magico durante il quale la canzone è nata.

Stilisticamente il tuo nuovo lavoro mi tra-smette suggestioni di Nick Drake, Sufjan Ste-vens ma anche di Lucio Battisti, ti ritrovi?Mi fa piacere che tu abbia colto questi aspetti, infatti, ciò fa parte di quella scelta di campo di cui accennavo prima, senza dubbio stiamo parlando della tradizione del cantautorato folk americano dove quando parlo di folk intendo un’interpretazione moderna che è contaminata da jazz, blues, country e rock.

Un chiaro esempio di quello che stai di-cendo mi pare sia “La mia fortuna” che in fatto di scrittura va molto in quella dire-zione, non credi?

NICCOLO’ FABI

Torna Fabi e ci regala, si regala, dieci nuove canzoni che sanno fotografare l’uomo e il musi-cista, alla luce di una nuova stagione artistica e personale.

Incontriamo il cantautore romano, fresco di un nuovo contratto discografico che gli ha permesso di proporre, in un clima di libertà artistica e serenità personale, il nuovo lavoro; “Solo un uomo” è un disco di grande profondità che potrebbe dargli quei riconoscimenti della critica che mancano dai tempi degli esordi, odore di Tenco? Niccolò Fabi è uno dei migliori, perché escluderlo? di Gianni Zuretti

COGLIERE L’ATTIMOE RENDERLO UNICO

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Si quell’arrangiamento, un po’ roots, è da ricondurre a certe cose di Tom Petty però, come hai detto tu, gli epigoni di questo cantautora-to rispondono appunto ai nomi di Sufj an Stevens, Andrew Bird, e mol-ti altri, questa è la musica che ascol-to di più ed è quindi automatico che abbia questo retaggio e trovi lì fonte d’ispirazione.

Sotto l’aspetto degli arrangiamen-ti tu spazi molto, vai dalla suite di “Attesa ed inaspettata” con quella coda molto lunga, bellissima ma anche quel crescendo di “Parte di me” che dopo una partenza acustica e leggera fi nisce in modo grandioso, ti è servita e ti ha in-fl uenzato l’esperienza fatta con Violenza 124?Tantissimo, hai citato “Parti di me” che è il pezzo che suono insieme a Mokadelic che è questo gruppo di Roma di post-rock che avevo cono-sciuto ascoltandoli suonare e con cui ho suonato le tastiere per un anno e mezzo ed insieme abbiamo fatto la colonna sonora del fi lm di Salvatores “Come Dio comanda” hanno un linguaggio tipicamente ipnotico supportato da grosse suite psichedeliche, come appunto quella della coda di “Parte di me”.

Vorrei parlare del video collega-to al singolo “Solo un uomo”, è molto bello, coinvolgente, trasfe-risce una suspense notevole, quasi un’angoscia.Il video è una forma espressiva di supporto alle canzoni che io non amo molto ma questo mi piace pa-recchio; in questo caso la metafora dell’uomo sul fi lo, tutte le sue esita-zioni, le ansie ma anche le sue gioie che trova alla fi ne del percorso, è un po’ il senso della canzone, l’uomo che deve saper stare in equilibrio tra tutte le sue porcherie ed i suoi gesti eroici, quindi è ovvio che sia emo-zionante ed intenso perché parla lo stesso linguaggio della canzone.

Condivido il messaggio positivo che comunque le canzoni trasfe-riscono, le ultime due aff rontano il tema dello stato di salute del pianeta e della nostra società, qui l’analisi è abbastanza impietosa o sbaglio?È vero che il disco è diviso in due, da un lato il calore che mi deriva al-l’interno delle mura domestiche con le persone che amo e che mi danno gioia infi nita e le persone che incon-tro quando esco di casa in poi e che non necessariamente mi danno lo stesso motivo di conforto in quanto l’essere umano medio è permeato di valori rispetto ai quali mi sento pro-fondamente estraneo.

Non mi pare migliore il tuo giu-dizio sulla qualità complessiva di vita nel nostro paese, usi parole che fanno male in Parole che fan-no bene, l’immagine che ne esce è molto deprimente, c’è speranza secondo te di cambiare lo stato delle cose o sei pessimista sul fu-turo?Io per natura non sono pessimista e nemmeno mi sono mai riconosciu-to in colui che gioca socialmente, in senso vanitoso, la carta della negati-vità, però se è vero che mi distanzio da quel tipo di personaggio, mi tro-vo a non sapere quale possa essere il grimaldello per interrompere il meccanismo, storicamente, pur-troppo, l’inversione di tendenza si è sempre verifi cata dopo eventi tra-gici, quali le guerre, evidentemente non me lo auguro spero ci possa es-sere una modalità diversa per cam-biare lo stato delle cose.

Vorrei concludere con una speran-za che è anche un augurio, credo che questo disco sia così cospicuo da poterti portare ad un ricono-scimento al Premio Tenco, ci fai un pensierino?Magari, sarebbe il coronamento di un duro lavoro di anni, spero che la giuria se ne accorga, grazie comun-que per l’augurio. ■

Pur nella grande cura dei testi, Niccolò innesta una forte anima rock.

Elettronica e ritmi sincopati racchiudono esperienze musicali lontane eppure

tenacemente riunite dentro un sound riconoscibilissimo.

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T utti si aspettavano un tuo ritorno, ma niente lasciava presagire un evento unico come il concerto che hai in programma il primo di settembre...

Ciò che avverrà a Verona sarà qualcosa di irripetibile, per una sola notte metteremo in scena il risultato di un progetto visionario di musica eseguita con un’orchestra sinfonica i cui musicisti sono stati selezionati dalle Filarmoniche più prestigiose del mondo. Londra, Tokyo, Seoul, Tel Aviv, San Pietroburgo, Monaco di Baviera, Bue-nos Aires, New York. Per una sola notte, il cuore della moderna Musica Classica sarà l’Arena di Verona. Sarà bellissimo!

Immagino ci sia stato uno sforzo organizzativo notevole...Colossale direi. Abbiamo dovuto prenotare 10 voli intercontinen-tali! Ma c’è un significato ben preciso dietro a questo concerto: voglio che sia considerato come la dimostrazione che la musica classica italiana contemporanea ha qualcosa da dire al mondo, e che lo fa dal palco più internazionale che abbiamo in Italia, lo fa con sorriso ed entusiasmo, grazie al pubblico che ha reso tutto que-sto possibile.

Sei arrivato al traguardo della quarantesima candelina, dopo anni di enormi successi, ma anche di accese critiche....Il compleanno è un giorno straordinario, perché significa ricordare di essere nati, e non di avere un anno di più. Sento di essere nel mezzo del cammin di nostra vita, un limbo da cui ancora devo ri-cevere certezze. Per quanto riguarda le critiche, si sa che esse fanno parte del gioco del successo, e... mi riferisco per esempio al Concer-to di Natale scorso in Senato..., si sale sempre di più e non si può piacere a tutti e spesso si tratta di atteggiamenti tipici di chi vuol difendere una “casta”, nulla più. Ho dovuto affrontare e sostenere un gioco molto duro, ma dopo aver superato il panico che ordi-nariamente torna a trovarmi è stato importante ricevere critiche violente, perché questo non fa altro che confermare l’importanza di quel che sto facendo. Così è sempre avvenuto, ed io mi sento in buona compagnia leggendo le severe cronache dell’epoca relative a mostri sacri come Mozart, Brahms, Puccini, Bernstein, Satie o Debussy.

Cosa intendi in particolare quando parli di una casta musicale?La casta è rappresentata da quell’ampia parte della musica classica che non è disposta ad accettare che esista qualcosa di nuovo, por-tando ad un conflitto tra i giovani e un certo tipo di autorità che vuole tenersi stretta la poltrona. Sono diventato uno dei simboli, dei giovani alla riscossa, dando il via ad una destabilizzazione cul-turale: la musica classica, di per sé fenomeno elitario, ha comincia-to a spostarsi nei cortili delle università, nelle strade. Adorno, che definiva il bello come ciò che è complesso e incomprensibile non è più attuale. Inoltre la complessità è stata usata troppo spesso come strumento di potere, come il latinorum dell’avvocato Azzeccagar-bugli. La musica deve parlare al cuore dell’umanità, in questo senso dobbiamo farla tornare pop-olare.

Quali artisti ritieni che abbiano condotto in passato o stiano portando avanti in questo momento un discorso compositivo simile al tuo? Sicuramente Ludovico Einaudi può dirsi il mio diretto precedente. Ha ottenuto i miei stessi risultati, ma la sua esperienza ha un im-patto più prorompente. Philip Glass è senza dubbio un mio ovvio punto di riferimento, ma da un punto di vista concettuale potrei dire lo stesso per tutti i minimalisti statunitensi degli anni sessanta, per il loro intento di abbandonare la dodecafonia novecentesca per qualcosa di più semplice. Se invece dovessi indicare chi è per me il giovane più promettente del momento non avrei incertezze, sono stregato da Lang Lang.

Un sogno nel cassetto?Ovviamente che Lang Lang un giorno suoni qualcosa di Allevi! ■

Stimato e richiesto da tutto il mondo, il pianista milanese rappresenta un vero collantetra musica colta e musica leggera.

Incontro con il compositore di Ascoli Piceno a ridosso dell’irripetibile even-to che lo vedrà protagonista di un con-certo all’Arena di Verona il primo set-tembre accompagnato dalla All Stars Orchestra, voluta appositamente per l’occasione e costituita da 90 profes-sori d’orchestra provenienti, oltre che dall’orchestra I Virtuosi Italiani e dal-l’Orchestra dell’Arena di Verona, dai più importanti e prestigiosi ensemble musicali del mondo. Un’esclusiva oc-casione con cui l’artista ha deciso di rompere i sette mesi di silenzio dopo le polemiche successive al famigerato e discusso concerto in Senato dello scor-so 24 dicembre.

GIOVANNI ALLEVIUNA MUSICA PER PARLAREDI ALESSIO ZIPOLI

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AGNESEMANGANARO| Mille petali2009 Irma Records Srl

Talvolta ci sono ascolti che, almeno di primo acchito, lasciano un po’ perplessi, non per un motivo preciso, ma perchè c’è come la sen-sazione di un “qualche cosa” che non qua-dra come dovrebbe; in questo caso, ovvero il debut album di Agnese Manganaro, c’è, da un lato, una cura estrema, davvero certosi-na, negli arrangiamenti, cui fa da contralta-re una voce dal timbro quasi adolescenziale, decisamente particolare, che va riascoltata per inquadrare in modo preciso il risultato d’insieme. Ed allora in Mille Petali non c’è nulla che non vada, tutt’altro; l’esordio è di quelli con i fiocchi, intriso di ritmi ed atmo-sfere sudamericane, che fanno da cornice a questa vocalità così singolare, undici brani decisamente soft, ma non eccessivamente “patinati”, e, soprattutto, nessun esercizio di acrobazia vocale, rischio che spesso corrono i giovani artisti, più preoccupati di “far vede-re quanto sono bravi” che non di “entrare” nei brani che interpretano per tirarne fuori l’anima. Se una critica si può fare, non certo per sminuire la validità del lavoro, la si può indirizzare nei confronti dei testi, probabil-mente un po’ monocordi e, questi si, forse eccessivamente “adolescenziali”; è vero che l’approccio introspettivo ha una solida e lun-ga storia, ed una sua propria dignità ma, al di là del fatto che ogni artista, come ogni per-sona, ha una sua storia assolutamente unica, il rischio che si corre è quello di transitare at-traverso quella sensazione di “già sentito” che talvolta non permette una corretta valutazio-ne del lavoro realizzato. Qui le potenzialità ci sono tutte e limitare l’espressività con questi sottili “legacci” intimisti potrebbe essere un peccato; chiaramente ora sta all’artista, ed

ai suoi collaboratori, non fermarsi a questi stilemi ma progredire ricercando strade più impegnative, più complesse forse, ma certo più stimolanti.

Andrea Romeo

CHIARARAGGI| Molo 222009 LaZaRiMus

Il disco Molo 22 di Chiara Raggi è il con-vincente debutto discografico per l’artista nata a Rimini ventisette anni fa. Iniziamo col dire che è un disco ben suonato, pulito e dalle atmosfere convincenti. Grazie anche alla sapiente mano del chitarrista brasiliano Roberto Taufic Hasbun (Rosalia de Souza, Hermeto Pascola, Gianmaria Testa, Gabrie-le Mirabassi, Patrizia Laquidara), si va da un ambiente di bossa nova che più che altro serve in alcuni brani per catapultare l’ascol-tatore in un ritmo imposto dall’artista, fino a un rapporto confidenziale tra la voce – ot-timamente usata – e gli strumenti, chitarra in primis. Ed è davvero ben riuscito il con-trasto tra brani dalla strumentazione corale come Molo 22 e canzoni più intime come È cambiata la notte, dove si cerca la melo-dia e la profondità, in cui l’anafora del testo presagisce un incedere ascendente e frenetico e, invece, si deve accontentare di quello che l’autrice stessa – completamente padrona del mezzo canzone – è disposta a concedere alla ruffianeria. In definitiva, dunque, è un disco autonomo, un disco d’autore. Per esempio non ricerca la “rima ritmica”, perché la Raggi scrive in modo diverso rispetto alla struttu-ra chiusa della strofa di una canzone. Spesso l’uso della rima, anzi, è più vicino a quello che se ne fa nella poesia moderna dal verso sciolto, piuttosto che a quello che di solito

succede in canzone: un uso parsimonioso che, proprio per questo, quando c’è non serve per questioni eufoniche o per rendere più gradevole il ritmo e dare la sensazione di un “tutto al suo posto”. Al contrario, dietro ogni rima c’è un significato e una funzione. Prendiamo ad esempio un passo della prima canzone dell’album, Confessioni: la maggior parte delle rime riprende la nasale intervoca-lica dell’ultima sillaba del titolo, per evocarlo senza mai citarlo; è inevitabile il rimando, conscio o inconscio, a quella sensazione, ma non è mai didascalico. Proprio per questi motivi, il disco di Chiara Raggi rappresenta di certo qualcosa di unico in un panorama musicale sempre più omologato.

Paolo Talanca

MALGHESETTI| Malghesetti2009 Essebiemme

Uno degli aspetti più interessanti degli ultimi venticinque anni è il recupero di una rinno-vata attenzione verso il canto folk, popolare, etnico. A livello italiano possiamo attribui-re al binomio De Andrè-Pagani, con il ca-polavoro Creuza de mä del 1984, il merito di avere rilanciato il discorso etnico-popo-lare. A Brescia credo che nessuno abbia da obiettare se individuiamo nel disco Torolo-lo (1998) e in Charlie Cinelli il riferimen-to del new-folk bresciano. Entrambi questi album hanno avuto il merito di riprendere la tradizione riaggiornandola con suoni più freschi e aperti, più adatti all’habitat musi-cale contemporaneo. Questo preambolo ci è servito per introdurre il nuovo recente disco di un gruppo bresciano particolarmente in-teressante. Si tratta dei Malghesetti, nati nel 2001 come supporto al disco Nom e cognom di Charlie Cinelli, trasformatisi nel 2003 in Malghesetti Indipendenti e approdati final-

OPERAPR1MA

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mente nel 2009 a questo album d’esordio. La band è composta da Ivan Becchetti e Mas-simo Pintossi alla voce, Dario Fezzardi al contrabbasso e agli arrangiamenti, Gigi Pu-xeddu all’armonica e voce e i giovani Mauri-zio Felicina alla batteria e Stefano Gustinelli alla chitarra acustica, senza trascurare Arturo Raza, anima, voce e “logo” del gruppo. A questi si aggiungono due collaboratori “fissi” come Mauro Becchetti, fisarmonica e arran-giamenti, e Giovanni Pintossi al violino. Con Malghesetti il gruppo si propone come uno dei punti fermi del folk bresciano di questi ultimi anni, dimostrando di aver recepito nel modo migliore il nuovo vento folk. Il disco è godibile, attinge direttamente dalla tradizio-ne popolare mostrando però la giusta aper-tura verso il mare infinito della musica. Nel disco vengono recuperati tutti e sei i brani già inseriti nelle varie raccolte dialettali ...Goi de contala?: la Pinamata, nata da un testo del poeta bresciano Aldo Cibaldi, Le castigni-ne, delicata ballata introdotta dal recitato di Francesco Braghini, I dis che i minatori son lingeri, coinvolgente canto tradizional-po-polare nel repertorio della Famiglia Bregoli, Osterie de paes, un testo del poeta Alberto Iottini messo in musica, il traditional A lè ura a lè tarde e Busulù, canzone popolare del Carnevale di Bagolino e Ponte Caffaro. A queste canzoni ne hanno aggiunte altre 4 più la poesia composta e recitata da Massimo Pintossi, Nel bus en font al cor, che chiude con delicatezza il disco. Un album nel quale si intrecciano molteplici esperienze e influssi musicali, che vanno dal tradizionale, al beat, al polifonico di matrice gregoriana, al rock, che si fondono però in un folk frizzante dal retrogusto asprigno, tipico delle valli brescia-ne. Un’ottima compagine quindi, nella quale spiccano il timbro vocale di Ivan Becchetti e la dimensione poetica assicurata dalla presen-za di Massimo “Mahem” Pintossi.

Ricky Barone

PETRINA| In doma2009 Autoprodotto

In doma, fin dal titolo, sembra voler inse-guire una vocazione di liberazione da eti-chette o incasellamenti predigeriti, da riti convenzionali e modaioli, per proporre un’alternativa “viva”, non mediata o “ad-domesticata”, per restituirci nel breve las-so di un disco una poesia e una verità che

tonnellate di sovracostruzioni e corruzioni musicali, artistico-commerciali e sociali hanno sotterrato. Barbara Petrina - è evi-dente anche solo sfogliando il booklet - è un’artista dalle risorse praticamente illimi-tate: cantante precisa e di talento, polistru-mentista (buona parte del disco è suonata da lei medesima, che si è occupata anche di arrangiamenti e produzione), sperimenta-trice del corpo, in bilico tra teatro e danza. Questa potenzialità espressiva è tutta cana-lizzata in una “decostruzione coerente” dei linguaggi, inteso sia come idioma, oggetto di gioco e mescolamento, che come forma musicale, frullata e rimontata nei generi e nella struttura canzone. Infatti, le die-ci canzoni di questo In doma sono tutte piccole suite, sfuggenti e avventurose an-che quando apparentemente semplici. Ci accoglie l’acquerello per organetto e voce di Babel Bee, per poi lasciarci all’inaffer-rabile frenesia di A ce soir, ibrido incerto di ritmiche quasi trip-pop e refrain surf, e alla pazzia di She-Shoe, sorta di mini-au-tobiografia di scena, di invito ad abbando-narsi questa continua frantumazione e ri-costruzione testuale. Fuori Stagione suona come una ballata impura, coniugazione in chiave “petroniana” del cantautorato italia-no, SMS zompa divertita dalla filastrocca zoppicante all’impazzito ritornello-mantra in ungherese, Notte Usata si lancia verso una metamorfosi continua, guidata da un testo che sembra costruito per libera asso-ciazione, mentre il felpato jazz da piano bar di Pool Story dilata una macabra storia d’infanzia, resa ancor più inquietante da parentesi frenetiche.Il disco chiude con la sospesa Ghost Track, quasi una lunga immagine in assenza di percezione, seguita, quasi a creare un os-simoro, dal giocoso funky-progressive di Asteròide 482 (meteorite realmente esi-stente, e, “causalmente”, battezzato “Petri-na”), e Sounds-Like, quasi un poliedrico manifesto d’intenzioni artistiche – e con qualche riconoscibile ammiccamento au-tobiografico.In doma è la concretizzazione di una vo-lontà artistica forte, che rende delizioso lo spaziare in così tanti generi e linguag-gi proprio grazie all’indiscutibile maestria tecnica. Ma tanta debordante inventiva è offuscata dalla sfuggevolezza di questo decostruzionismo. Insomma, un disco eli-tario, volontariamente sofisticato, “diffici-le”, ma dal retrogusto autoreferenziale, di “sperimentazione per la sperimentazione” e non per la “comunicazione”, un corto circuito di talento e idee.

Paolo D’Alessandro

IL DISORDINEDELLE COSE| Il disordine delle cose2009 Tamburi Usati/Venus Cos’è il disordine delle cose? Non è caos scomposto. È il pezzo mancante di una co-struzione morettianamente incompleta, un dettaglio fuori posto che rivela un’indiffe-renza che uccide. È la consapevolezza ama-ra dell’errore, la scoperta della falla incom-prensibile che ha distrutto un microcosmo intimo. È il disagio sepolto sotto il nome di utopia, oppure dietro l’ostentazione patetica della sicurezza di un presidente semplice-mente perfetto, o ancora dentro l’infezione dell’anima. Questi sono i contorni dei pae-saggi emozionali tracciati nel disco d’esordio di questo quintetto novarese, prodotto da Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele dei Per-turbazione, con cui la band condivide quel senso della misura che permette ai suoni di restare in bilico tra cantautorato di tradizione e indie-pop raffinato, ariete contro la banali-tà, e lascia le emozioni in equilibrio perfetto tra quiete e punto di implosione/esplosione, quasi in una nuova stasi nel turbamento. Però se l’attitudine di fondo non è dissimi-le rispetto al gruppo torinese, il Disordine delle Cose, in questo album inciso per Tam-buri Usati, etichetta-anagramma dei Marta sui Tubi, comunque esplora territori diversi e variegati. Così il viaggio dell’album passa attraverso l’epica minima di sonorità folk, percorse da leggero lirismo, e tra le note di violoncello di Elena Diana mai pompose, che si fanno generatori di atmosfere su quat-tro pareti o alimentano le lacerazioni di brevi dissonanze. Ci si immerge poi nella ritmica straniante di Lacrime e fango e in tessiture delicate di chitarre o episodiche impetuosità rock, che riportano entrambe vagamente ai Pearl Jam; si scende infine nella solarità di cori quasi à la Beach Boys e fra ottime, quasi immancabili linee di piano, che paiono vo-ler rinnovare il cantautorato italiano con un gusto simile a quello degli Amor Fou (Don Giovanni), conducono tra echi beatlesiani (La mia fetta) e sontuosità irregolari stile Ben-vegnù (Sottile ipocrisia) e sfoggiano spesso una già definita, personale vena inquieta (v. il singolo L’astronauta o Quella sensazione di comodità con Paolo Benvegnù, che dimostra un’eleganza a tratti morrisseyana). Si segnala-

OPERA PRIMA

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no la ferma drammaticità dell’Idiota, aperta e conclusa da una marcia tetra, e Infezione, perla cantautorale di malinconia, imprezio-sita dalla voce fragile di Syria, ormai non più una rivelazione nella sua seconda vita indie. Ad illustrare finemente il disordine delle cose, «delizia dell’immaginazione» secondo la cita-zione di Paul Claudel in epigrafe, i disegni di Miofiglio.

Ambrosia J. S. Imbornone

NAIF HERIN| ...È tempo di raccolto!2009 TdEstudio production

Diciamolo subito: Naif è una delle più valide artiste emergenti italiane. Polistrumentista autodidatta, compositrice e arrangiatrice, si nutre di influenze che vanno dal funky al-l’elettronica passando attraverso la lezione dei grandi cantautori, dando vita ad una proposta variegata e originale che traghetta il concetto di cantautorato nel presente, ren-dendolo contemporaneo. Forte di un’intensa attività live, in questo primo cd raccoglie una parte del materiale scritto negli ultimi anni. È tempo di raccolto fotografa tutti gli aspetti della musica della giovane valdostana: la fre-schezza, l’originalità, la suggestione e l’ener-gia che la rendono unica, soprattutto nelle esibizioni dal vivo, in cui si presenta abbiglia-ta a metà tra una extraterrestre e un’astronau-ta. Non bisogna farsi distrarre però solo da-

gli arrangiamenti, perché pezzi ironici come Oui, maman, Faites du bruit e As-tronauti nascondono testi che fanno riflettere. Anche l’amore è trattato in forma mai banale nel-l’accattivante No, nella sensuale Mi piace e nell’intima Immensamente. Con Io sono il mare, gioiello ipnotico e oscuro che apre il cd, Naif è arrivata tra i vincitori di Musicultura 2009. Tutti i pezzi sono stati composti, suo-nati e arrangiati da lei, con la collaborazione degli inseparabili Simone “Momo” Riva alla batteria e chitarra elettrica e Raffaele “Neda” D’Anello alle tastiere, synth e programmi. La grafica e il package del cd sono molto elegan-ti e le foto la mostrano immersa in un campo di grano con una grossa cuffia sulle orecchie e la scritta “In fondo in ognuno di noi qual-cosa può nascere e fiorire.” Le auguriamo di riuscire a raccogliere i frutti del suo lavoro quanto prima, se lo merita.

Martina Neri

THE NIRO| The Niro2008 Universal

The Niro, all’anagrafe Davide Combusti, sale alla ribalta internazionale tra il 2005 e il 2006 rivelandosi un ottimo folk-singer di apertura per i concerti di star del calibro di Amy Winehouse, Deep Purple e Sondre Ler-che, tra gli altri. Dopo aver esordito nel 2002 con una sua band, The Niro, intuisce quasi

subito che il gruppo rappresenta un limite alle potenzialità che è in grado di esprimere e decide di intraprendere la carriera da solista. Dopo un EP, esce sul mercato nel 2008 con un album che porta il suo nome e viene su-bito apprezzato dalla critica. Definito da un giornalista de Il Messaggero “poeta dei giorni nostri”, Combusti ama scrivere testi intimi-stici dove il dolore e il tormento sono perce-pibili sin dalle prime strofe, come accade in uno dei suoi migliori pezzi, About Love and Indifference, in cui il giovane talento roma-no canta «Lei tornerà/Io vivrò il mio destino/Voglio restare immobile/Da solo». Ne scatu-risce una sorta di romanticismo urbano che, secondo lo stesso cantautore, prende origine dalle esperienze vissute nel quartiere in cui è nato, Capannelle, all’estrema periferia della capitale, un luogo dove non è facile crescere. Le coordinate musicali, attraverso le quali il cantautore italiano elabora il proprio parti-colare rock nostalgico, Combusti le riceve in dono dal padre, ex-batterista, assieme alla passione per il jazz. Questo suo primo album completo non presenta sonorità particolar-mente innovative, evidenziando un chiaro le-game con lo stile introspettivo e intimista di gruppi come i Coldplay degli esordi. La voce di Combusti, eterea e affilata, si sposa per-fettamente con la scelta stilistica, ricordando, nella medesima padronanza della timbrica in falsetto e negli slanci in acuti da brivido, il grande Jeff Buckley. Balzano all’attenzione anche le analogie tra l’atmosfera a tinte fo-sche, nostalgica e struggente, che attraversa come un leit-motiv tutti i brani dell’album del nostro e quelle presenti nei capolavori musicali di Nick Drake e di Elliot Smith. Piacevoli anche i brani minori, come Mi-stake e il sorprendente Liar, entrato in clas-sifica lo scorso anno, mentre in Just for a bit si percepiscono chiaramente le influenze dei Radiohead e dei loro tipici riff.

Perla Pugi

OPERA PRIMA

The Niro

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Tra le molte canzoni che l’arte di Fabrizio De Andrè ci ha regalato, Bocca di Rosa è forse la più nota, una sorta di passaporto per l’universo dei suoi personaggi, emblemi delle sfaccettature di un mondo spesso ipocrita. Dietro un testo accessibile, si cela un reticolo di riferimenti e contestualizzazioni da cui un’opera al contempo universale e fi glia del suo tempo non può prescindere, un reticolo che Andrea Podestà ci aiuta a

scoprire. L’intento è dichiarato fi n dall’inizio: rendere giustizia a Bocca di Rosa, su cui è già stato detto fi n troppo e troppo a sproposito. Da qui, Podestà intraprende un percorso che lo porterà a Barbara, Nancy, Jamin-a, e persino al Pescatore e Gesù, insomma a tutti quei personaggi emarginati dal Potere perchè ancora puri nella loro capacità di amare, esattamente come Bocca di Rosa. Segue poi una succosa ricostruzione storica del contesto

socio-culturale in cui il brano fece capolino, e che il brano stesso, con la sua evidente dirompenza, andava ad attaccare. L’autore però batte anche altre piste, in particolare quella “accademica”,

con un’analisi stilistico-retorica del testo, e quella “investigativa”, con ritrovamento di citazioni e ispirazioni del testo di De Andrè, per poi chiudere con segnalazioni sui vari omaggi e fi liazioni che questa fi gura fondamentale dell’immaginario musicale italiano ha generato. Podestà non si è risparmiato alcun orizzonte d’analisi: il lavoro è ispirato da una sincera passione, che spesso off usca l’occhio critico e “blasè” dello studioso, per sostituirlo a quello un po’ romantico del fan. Una debolezza che si fa presto perdonare, vista la completezza e l’attrattiva dello scritto.

Paolo D’Alessandro

ANDREA PODESTÀBOCCA DI ROSA: SCESE DAL TRENO A SANT’ILARIO. E FU LA RIVOLUZIONE.Zona / Le Canzoni della Nostra Vita 2009,128 pagine. Euro 9,90

Che cosa signifi ca sentire le note di una propria canzone uscire dal fi nestrino aperto di un’auto ferma ad un semaforo? 50 special è stata una tra le canzoni più note del 1999 (del singolo ne sono state vendute più 100.000 copie) e Le ali sotto ai piedi, l’esordio letterario di Cesare Cremonini, racconta in prima persona la sua stra-ordinaria biografi a e la storia del gruppo di giovani bolognesi che ha monopolizzato

le classifi che a ridosso del nuovo millennio. Non si può certo dire che Cesare Cremonini non abbia avuto il spregiudicatezza di seguire i propri sogni, con impegno e dedizione, e di avere il coraggio di sperare anche quando tutto poteva sembrare perduto: tra le pagine di questo romanzo, che si lascia leggere tutto d’un fi ato, troviamo Bologna (e i suoi colli), il primo amore, il pianoforte, colei che ha il nome

di un fi ore, l’esame di maturità, i Senza Filtro e l’incontro con il produttore Walter Mameli. Ed è proprio questa collaborazione che segnerà fortemente la carriera di Cremonini, sia con i Lùnapop, sia come solista. Grazie al contributo di Mameli stesso ci si potrà sorprendere nella lettura e assaporare la vicenda da due punti di vista: quello entusiastico del giovane cantautore e quello altrettanto coinvolto di un produttore che si rende conto di aver incontrato qualcuno di speciale.

Daniela Giordani

CESARE CREMONINILE ALI SOTTO AI PIEDIRizzoli / 2009, 264 pagine. Euro 16,50

Dalla prima riga del suo esor-dio come romanziere, Mauro Pagani ci trascina nel mezzo dell’azione, in un dialogo qual-

siasi di una giornata come tante – o quasi – della vita di Sonny, un giovane che lascia la fami-glia per fare della musica il suo

mestiere, suonando nei night, frequentando l’università e i “suoi” movimenti, al di là di ogni ortodossia. Un musicista intransigente con se stesso, che sorride spesso e il cui più grande sogno misura quanto la custodia della sua Stratocaster rossa. Con

Sonny inseguiamo un’occasione frugando nel mondo, intratte-niamo i passeggeri di una nave da crociera, facciamo sosta a Mi-ami, visitiamo gli studi di Ab-bey Road, approdiamo a Cuba, giochiamo a chemin de fer dove il sorriso della sorte scivola nel

MAURO PAGANIFOTO DI GRUPPO CON CHITARRISTARizzoli / 2009, 364 pagine. Euro 17,50

NOTE DI CARTA

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dissolversi di ogni illusione e giriamo per Milano, città amata con quel rancore aff ettuoso riservato solo

alle persone care. Attraverso un viaggio lungo dieci anni – dai giorni che precedono la strage di Piazza Fontana ai funerali di Demetrio Stratos – impariamo a conoscere il numeroso gruppo fotografato nel titolo: la pen-sione di pappa e puttane in Via Archimede, quel bravo diavolo di Sam Fortuna, Clara “Uacci-uari” e la sua vita da rifare, Wal-ter, Rosa la creola, il professore, l’uomo psichedelico, Sandro, Sergio e lo stesso Mauro Pagani, l’altro, l’amico musicista che ce l’ha fatta. Il romanzo scorre piacevolmente, costituito, più che dalla successione degli av-

venimenti, da una narrazione irrequieta e tenera «con una ca-denza troppo da musicista per essere casuale» che ci restituisce la sensazione di essere realmente parte del gruppo di Sonny, di seguirlo mentre rincorre il suo sogno. Sullo sfondo c’è la storia, protagonista gregaria del quo-tidiano, ci sono i suoni degli anni ‘70, un decennio intenso ed entusiasmante, indifeso nei confronti dei propri difetti, che è stato molto altro rispetto a ciò che ne può far rivivere la nuda cronaca.

Paola Chiesa

dissolversi

“Ci sono molti Bollani che scor-razzano per l’Italia. Ce n’è uno che fa il conduttore radiofo-nico. Un altro fa l’imitatore di cantanti e non solo (favolosa la sua imitazione di Paolo Conte e straordinaria quella di Enrico Rava). Poi ce n’è uno carioca che impazza nelle favelas di Rio de Janeiro. C’è pure uno scrittore un po’ così. Un altro fa il pianista di musica classica. Hanno tutti un elemento in comune: si chia-mano Stefano e si assomigliano paurosamente”. Con queste parole quasi woody-alleniane Enrico Rava, nella sua postfazione, fotografa con ironica sintesi le direttrici lungo le quali si muove questo volume

realizzato per e con Stefano Bol-lani, un libro in cui il pianista interloquisce, spiega, racconta,

viene raccontato, descritto; non una biografi a nel senso clas-sico del termine, anche perchè l’andamento cronologico della narrazione è un fi lo sottile, una sorta di traccia lungo la quale l’artista si racconta con aneddoti, fl ashback, battute, “duellando” con gli autori sul fi lo del sorriso.La prefazione di David Rion-dino, del resto, lascia intendere da subito quale sia il senso di La Sindrome di Bollani: non solo, dunque, Bollani pianista, ma an-che Bollani uomo di spettacolo, uomo curioso, persona che non si accontenta di essere un pianista in senso stretto ma, sull’onda del-la propria inesauribile curiosità, cerca sempre di allargare i propri orizzonti artistici, accetta, anzi ricerca collaborazioni con altri musicisti. E non tanto nell’ottica del confronto, quanto in quella dello scambio di esperienze, di

attitudini, in una sorta di conti-nua sperimentazione artistica ed umana. L’elemento che, peraltro, risulta evidente leggendo queste pagine è la profonda coerenza di Bollani nell’aff rontare esperienze artistiche decisamente diff erenti; mondi musicali apparentemente lontani, dal jazz con Enrico Rava alle collaborazioni con la Banda Osiris o Elio e Le Storie Tese, le varie esperienze nelle band in cui ha suonato, le apparizioni tele-visive, questo bagaglio di cono-scenze fi ltrato da un approccio che abbiamo detto essere sincero e genuinamente esplorativo tes-timonia l’onestà intellettuale ed artistica di un uomo che, co-munque sia, ci tiene ad essere prima di tutto un pianista... an-che se con diversi sdoppiamenti di personalità!

Andrea Romeo

VALENTINA FARINACCIO, MARCO SUTERA, VINCENZO MARTORELLALA SINDROME DI BOLLANIVanni Editore / 2009, 227 pagine. Euro 15,00

Nel 1978 sotto il tendone di Bussoladomani il pubblico inconsapevole si gusta l’ultimo concerto di Mina, un concerto che resterà nella storia della discografi a della Tigre di Cremona, grazie ad una registrazione “casuale” che diventerà il celeberrimo “Mina live ‘78”. Questo libro ripercorre tutta la carriera di Mina, sino all’ultimo concerto, e focalizza l’attenzione

non solo sugli aspetti musicali, ma anche su tutte le apparizioni televisive, cinematografi che, e sulle vicende personali della cantante lombarda. Grazie a stralci di interviste, contributi di persone con cui ha lavorato e documenti esclusivi (come la trascrizione di uno scambio di battute, tra Mina e Totò, durante Studio Uno nel 1965) si ricostruiscono i

momenti anche meno noti della sua sfolgorante carriera. Molti gli aspetti presi in considerazione, dalle pubblicità di cui è stata protagonista, al rapporto con gli stilisti, ma la sua discografi a resta il punto centrale su cui porre l’attenzione, anche se è degno di nota l’intervento-intervista a Luciano Tallarini, art director delle copertine di Mina e dei più grandi artisti italiani. Il volume, inoltre, è arricchito dalle immagini delle copertine. Ottima la sezione “Mina Parade” ovvero la selezione

dei 100 brani più signifi cativi (realizzata con la collaborazione del Mina Fan Club di Aosta). Ogni brano è corredato da note di approfondimento che permettono di conoscere anche piccole curiosità e aneddoti signifi cativi. L’autore, Fernando Fratarcangeli, è conduttore di diversi programmi musicali su RadioUno, giornalista specializzato e ha già all’attivo, tra le sue pubblicazioni, “Mina Talk. Vent’anni di interviste 1959-1979”.

Daniela Giordani

FERNANDO FRATARCANGELIPAROLE... PAROLE... PAROLE...Arcana, 2009, 320 pagine. Euro 16,50

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NUOVA CAMPAGNA ABBONAMENTI 2010Per sottoscrivere l’abbonamento, o fare richiesta di numeri arretrati, è suffi ciente inviare l’importo relativo.Per ogni rinnovo o nuovo abbonamento sottoscritto entro il 31.03.2010 avrai in omaggio un cd o un libro (per abbonamento a 6 numeri). A tua scelta tra quelli elencati nell’apposita sezione del sito. Nella causale del versamento elenca 3 cd/libri in ordine di preferenza, priorità che verrà utilizzata nel caso di esaurimento scorte. Indicare il nome degli artisti prescelti o il relativo numero.

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LISOLACHENONCERA.ITIl nuovo sito della rivista è stato completamente rinnovato nella grafi ca e nei contenuti, completo e aggiornato con recensioni, interviste, tante nuove rubriche, letture, eventi, notizie aggiornate

L’ISOLA

FRAMMENTIDI UN DISCORSOGIORGIO GABERCOD. 01Si tratta di un’atipica autobiografi a, composta di frammenti, dove Giorgio Gaber racconta se stesso, le scelte ar-tistiche e, insieme, la storia dei nostri ultimi quarant’anni.

FIGLI DI ORIGINE OSCURALES ANARCHISTESCOD. 03Il primo disco della band toscana, è una raccolta di 14 tracce legate al mo-vimento libertario italiano, riadattate dal gruppo che le propone in veste attuale. Il campionario è ricco: storia, lotta politica, anarchia, jazz, folk, mu-

LOVE SONGSCLAUDIO LOLLI

COD. 05Finalmente un album di canzoni

d’amore, a fi rma di un poeta della protesta e dell’impegno”. Così viene

defi nito dalle note allegate al disco, il nuovo lavoro di Claudio Lolli.

CHIEDI UN AUTOGRAFO ALL’ASSASSINOSAMUELE BERSANICOD. 02La biografi a di Samuele Bersani rea-lizzata dal giornalista Marco Ranal-di. Il libro (Editrice Zona) presenta un’intervista all’artista e un interven-to di Gianfranco Baldazzi.

I NASI BUFFI E LASCRITTURA MUSICALEGERARDO BALESTRIERICOD. 04Disco d’esordio ispirato alla Francia dei primi del ‘900. Finalista al Premio Tenco 2007, è un “riuscito” tentativo di coniugare canzoni d’autore e atmo-sfere internazionali.

ERA CHE COSÌETTORE GIURADEI

COD. 06È il suo secondo disco, successore di

“Panciastorie”, vincitore del “Premio Nuova Canzone d’Autore” al M.E.I. Passato e presente che si mescolano

con cucchiaiate di ironia e un velo di Balcani, fra buona e cattiva sorte.

PROCURARSI GUANXIFOU

COD. 07 Provenienti dal sottobosco indie milanese, i Fou propongono una

versione edulcorata di un certo pop non-sense che ebbe origine con i

gloriosi Bluvertigo.

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IMMERSIONI a cura di Rosario Pantaleo

S e con i grandi raduni di Monterey nel 1967, di Woodstock nel 1969 e di Wight nel 1970 il sogno dell’uto-

pia americana era nato, si era portato al suo zenith e poi lentamente svanito insieme al-l’illusione che attraverso la musica potesse nascere una nuova società, in Italia i tempi erano maturi perché nuovi soggetti sociali cercassero nuovi stili di vita, nuovi model-li politico-culturali, defi nendo meglio tutte le problematiche che in quegli anni stavano maturando (c’era stato un certo ’68 che an-cora non aveva esaurito la sua carica innova-tiva...). Dopo una prima esperienza in terra romana datata 1970, un giorno dell’ottobre 1971, dalle parti di Ballabio (CO), si radunò ‘un nuovo popolo’ giunto da varie città, con l’intenzione di ascoltare musica con la voglia di parlarsi, con il desiderio di scoprire nuove possibilità di convivenza oltre le convenzio-ni stabilite e da tempo contestate. Il festival fu organizzato dalla rivista e movimento di controcultura Re Nudo, che organizzerà tutti i successivi fi no al 1976. Più di trenta anni fa...In quei tre giorni di festa tra i tan-ti che suonarono in maniera assolutamente informale, vi furono le prime apparizioni ‘uffi ciali’ di artisti che sarebbero stati molto amati negli anni a venire. Non ce li ricordia-mo tutti ma non si possono non citare, per quello che andremo a raccontare, gli eclettici Stormy Six, già da tempo impegnati in testi

politici ed impegno sociale e Clau-dio Rocchi che aveva pubblicato un disco davvero originale, Viag-gio il quale, grazie al suo ‘Spazio Rocchi’ inserito nella trasmissio-ne radiofonica ‘Per Voi Giovani’, permetteva di ascoltare musica alternativa aiutandoci ad entrare in sintonia con il ‘nuovo mondo’ che si stava sviluppando. L’anno successivo la terra promessa si con-cretizzò tra i prati pavesi di Zerbo, che per tre giorni fu raggiunta da migliaia di giovani armati di zaini, sacchi a pelo, fi -ducia nel prossimo, politica e commerciale misticismo. E poi amore, tanto amore per la musica. Si incontrarono per la musica, ma anche per capire a che punto del cammino fosse il loro percorso di scoperta della nuova realtà. Il festival rese nuovamente possibile l’opportunità, a musicisti ignoti, di esibirsi senza condizionamenti di sorta e consegnò alla memoria l’esibizione di un gruppo mila-nese che non incise mai un disco ma che, a tutt’oggi, è presente nel ricordo dei tanti che in quei giorni erano presenti a Zerbo. Parlia-mo deIl pacco e tra i componenti ricordiamo Finardi, Camerini, Fabbri, Donnarumma e la stupenda voce di Donatella Bardi. Il Bat-tiato che oggi non ti aspetteresti fu il prota-gonista del terzo Festival, quello che si tenne all’Alpe del Vicerè, prealpi lombarde, anno

di grazia 1973. Maglietta sgargiante, capel-li lunghi e folti, occhiali scuri, “carismatico mistero” e suoni inusitati e sperimentali evo-cati dai sintetizzatori, a catturare l’attenzione di ventimila giovani. Grande performance di un musicista che ha sempre saputo esse-re davvero originale e geniale. Nel 1974 ‘la città’ riprende il controllo della situazione. Il Festival si svolge al Parco Lambro. È l’anno della consacrazione di molti artisti che, par-titi dai circuiti periferici erano riusciti, erano riusciti ad aff ermarsi. Questo è anche l’anno in cui il lato ‘mistico’ del Movimento lascia il campo al lato politico e la manifestazio-ne, seppure in maniera ancora non eccessi-va, risente di questa nuova situazione. Nel momento in cui l’ideologia mette le mani sul pentagramma le note incominceranno a suonare con altre armonie e, qualche volta, con grandi stecche. Di quei giorni e di quelle canzoni abbiamo l’ardire di parlare...

Ed arrivò il tempodi un tranquillo

Festival pop di paura...

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N el Parco Lambro del ‘74 fu indi-menticabile l’esibizione degli Area, capaci di un set che elevò una

spanna su tutti il lavoro del compianto De-metrio Stratos che con la sua voce prodigio-sa affascinò le migliaia di persone presenti. Mitica la PFM, con un suono innovativo e orgogliosamente italiano. E poi i talentuosi musicisti del Canzoniere del Lazio, propu-gnatori di un suono popolare unito a tema-tiche sociali o gli inarrivabili Aktuala, pre-cursori di quel suono interetnico che oggi si chiama world music ma che allora ben

pochi compresero appieno. Il 1975 portò tre novità: il prezzo di ingresso a solo cinque-cento lirette, l’estrema politicizzazione or-ganizzativa e tanta pioggia. Gli artisti sono cresciuti, hanno alle spalle dischi e concerti in tutta Italia. Gli Area proposero tutto il nuovo album Crack! con l’intermezzo hap-pening de La mela di Odessa, e la strepitosa esecuzione di Gioia e rivoluzione; gli Stor-my Six presentarono Un biglietto del tram, epico ritratto della resistenza vissuta e pati-ta dalla ‘gente comune’. Finardi fu un altro grande protagonista, grazie ai testi e ai suoni così pulsanti e nervosi e poi Alberto Came-rini, con la musica raccolta nel virtuosismo chitarristico e l’originalità dei testi. Da ri-cordare un sempre più sperimentale e soli-tario Battiato, catalizzò l’attenzione con una straniante versione di Sapore di sale, così come caustico e inatteso lo spazio di Giorgio Gaber. Altri passarono su quel palco, noti e meno noti; e poi la gente, come si diceva allora, meglio ancora ‘i compagni’ come de-marcazione di uno status politico. Chi era lì, poteva essere solo ‘un compagno’ (l’iro-nico Ricky Gianco aggiustò musicalmente il conto, a modo suo...). Era il sintomo che qualcosa stava uscendo dai binari anche se quell’evento consentì a circa 100mila perso-ne di trovarsi a parlare di politica, di socia-lità, di nuovi modi di essere e di espri-mersi, di futuro, di nuove modalità espressive, artisti-che, esistenziali. Ma qualcosa di ter-ribile incombeva. Arrivò l’edizione del ‘76 e la bomba ed i lapilli che co-vavano sotto la cenere eruttarono il magma-tico mondo dell’estremismo militante/mili-tare. Il Festival vide la presenza complessiva, nei quattro giorni, di circa 200mila persone.

La tensione era nell’aria da tempo e se ‘74 e ‘75 erano stati anni pesanti (c’erano state le Stragi di Piazza della Loggia, del Treno Itali-cus, l’assassinio di vari giovani della sinistra extraparlamentare, le Brigate Rosse stavano vieppiù inondando la vita politica di azioni armate), il 1976 non sarà da meno in quan-to a tensione e violenza e porrà le basi per quell’anno tremendo che sarà il 1977 con le contraddizioni all’interno del Movimento sempre più diviso tra spontaneismo armato ed organizzazione rivoluzionaria. Si erano svolte da poco le elezioni politiche che han-no visto una grande avanzata delle sinistre, e quella extraparlamentare ha sempre più se-guito nelle piazze, la diffusione della droga è sempre più devastante ed una generazione intera rischia di disgregarsi. È Gianfranco Manfredi ad aprire questa edizione del Festi-val con le sue canzoni ironiche riuscendo ad instillare il dubbio che quello a cui stavano assistendo altro non era che il funerale per i sogni e per le aspettative del mondo gio-vanile. In questa edizione troviamo anche i Napoli Centrale, con il sax di James Senese, tra suoni jazz e tradizioni mediterranee. Ma qualcosa non funziona. Vi sono scontri tra le varie organizzazioni politiche, si compio-no ‘incursioni’ in città alla ricerca ‘gratuita’, nei supermercati, di quanto necessario per la

sussistenza nella tendopoli creatasi nel parco. Circo-la molta eroina e la tensione è la-cerante come lo è ogni momento di cambiamen-to quando non è preceduto da un necessario as-

sestamento. Saranno gli Area, Camerini e Claudio Rocchi a cercare di riportare l’at-tenzione sulla musica e proprio Rocchi sarà uno degli ultimi artisti ad esibirsi prima che

“...e poi la gente, come si diceva allora, meglio

ancora ‘i compagni’ come demarcazione di uno status politico. Chi era lì, poteva

essere solo ‘un compagno’...”

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il sipario cali sull’ultimo Festival italiano di musica alternativa il cui percorso, partito ad inizio anni ‘70 dalle legittime domande di un mondo giovanile sempre meno propenso ad ac-cettare la realtà costruita da altri soggetti (gli adulti, la società borghese, la Chiesa, l’Esercito, la scuola, etc.) approda nella palude della più bieca, infi ma, violenta, inestricabile ideologia. Il confl itto non è più fi siologico, generazionale ma pervade ogni spazio della realtà, ne inquina

ogni aspetto, uccide i momenti migliori in cui si dovrebbe essere società, determina fratture all’interno delle generazioni, divide il mondo in maniera netta. Non si può pensare ma bisogna schierarsi schiacciando il giudizio critico, la fantasia, gli aff etti, le emozioni. Si è ormai schiavi del veleno ideologico, delle sostanze stupefacenti, della violenza pseudorivoluzionaria e la musica non è più un veicolo di liberazione ma anch’essa diventa parte del confl itto. Le divisioni tra i vari gruppi politici sono abissali, laceranti, aberranti. Nelle periferie delle grandi città, Milano in particola-re, sono nati i Circoli del Proletariato Giovanile che partiranno con una campagna per l’autoriduzione del biglietto del cinema, del tram, delle tariff e dei servizi per tentare l’assalto al cielo il 7 dicembre del 1976, quando cercheranno di boicottare la prima della Scala. Senza successo ma con grandi danni umani, sociali, politici. Sarà, questa, la prova generale del 1977, un anno davvero terribile eppure germi-natore di segnali di novità in svariati campi del vivere sociale. Sono passati più di trent’anni da quel Festival, iniziato male e fi nito con le scimmie di eroina, le cariche della Polizia, la battaglia dei polli trafugati da un camion refrigerato. Ma il peggio doveva ancora arrivare: il sequestro Moro, le leggi speciali, e tante altre nefandezze. Il mondo è cambiato, certamente non è migliorato. Molti degli spettatori di quei Festival hanno ormai i capelli grigi oppure li ha persi tutti, così come ha perso le illusioni, i sogni, le aspettative per un mondo diverso, migliore. Qualcuno è morto, qualche altro ha abbandonato le utopie cercando in altri ambiti la sua personale liberazione, il suo riscatto. Una colata lavica è franata sulle vite di una generazione ed anche nel peggior travaglio è necessario trovare una dimensione di positività perché, altrimenti, avrebbe davvero avuto ragione Manfredi quando cantava “...è l’ultimo spettacolo, non solo della festa/è la mia generazione che svuota la sua testa...(da Un tranquillo festival pop di paura). Ed anche se le canzoni, come diceva il cantore di Pàvana, non fanno rivoluzioni, certamente aiutano a rifl ettere...

C os’è la “canzone d’autore”? Ha ancora senso parlarne? È un vero e proprio genere o solo una moda

generazionale legata ai lontani anni Settanta? E ha senso parlare di generi per le canzoni? Queste sono solo alcune delle domande che ci accompagneranno in questa rubrica, in cui spero di poter raccogliere anche voci autorevoli delle principali fi gure critiche che abbiamo in Italia per questo argomento.Cominciamo con l’avanzare immediatamente una tesi drastica: mai come in questo preciso momento storico – mi riferisco al primo decennio di questo Terzo Millennio – la canzone d’autore ha visto un proliferare di energie artistiche che esaltano il suo codice e, mai come adesso, si sono create condizioni così favorevoli per la sua realizzazione.Da sempre, chi scrive canzoni ha a che fare con le inevitabili esigenze di vendibilità avanzate da chi ha in mano modi e luoghi

di produzione. Questo è un fatto, ma è un fatto che si verifi cava esclusivamente prima dell’informatica e di internet.Oggi, produrre un disco – s’intenda: “farlo esistere come opera d’arte” – costa molto meno; costa molto meno anche promuoverlo e i supporti sono interscambiabili e veloci: non dico per gustare al meglio la musica, ma per conoscerla sì. Ed è un aspetto assolutamente non secondario. Così, solo oggi è possibile che Max Manfredi produca e diff onda un disco come Luna persa – con un brano di dodici minuti e totale assenza di ruffi aneria – e trionfi sacrosantemente al Tenco; così, solo oggi Capossela esce con un album dove piano e voce pretendono solitari inciuci, aprendo il disco con una canzone, Il gigante e il nano, assolutamente riuscita di sei minuti e cinquanta secondi per tre accordi tre. Libertà di composizione che è combustibile unito a un comburente, alla funzionalità espressiva

del trittico testo-melodia-armonia come materiale altamente infi ammabile a contatto con la fonte d’innesco dell’interpretazione. Questa è la canzone d’autore e tutti – dopo la rivoluzione informatica – possono farlo: chi la sa fare meglio è semplicemente il più bravo. Solo oggi il cantautore è davvero artisticamente libero. Solo oggi, la tecnica artistica della canzone d’autore può arrivare a livelli talmente avanzati da diventare avanguardia ancor prima che sia metabolizzata. Solo oggi, il brano è dell’autore e la sua canzone è una canzone immediata. Servono, e sono indispensabili, dei critici competenti che esaltino le meraviglie d’incontro tra intenzione e riuscita artistica, però.

CANTAUTORI NOVISSIMIdi Paolo Talanca ([email protected])

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Max Manfredi

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

Le città della musicaDieci città e tutto quello che assolutamente non dovete perdervi, con approfondimenti

sui principali appuntamenti culturali.

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GENOVA di Andrea Podestà ([email protected])

TORINO di Antonello Furione ([email protected])

LE CITTA’ DELLA MUSICA

Se l’anno musicale genovese si era aperto nel nome di Fabrizio De André, in qualche modo si conclud-erà ancora parlando di lui e suonando la sua musica. Il 20 novembre Cristiano e il suo fortunato tour, De André canta De André, farà tappa a Genova presso il Vaillant Palace. Un concerto molto atteso nel capoluogo ligure anche per le sue valenze simboliche. Da una parte, infatti, è come se si chiudesse un cerchio e il figlio davvero riportasse il padre nella sua terra natale e dall’altra c’è molta curiosità nel rive-dere Cristiano finalmente sul palco.Parlerà molto genovese quest’anno il Premio Tenco in programma dal 12 al 14 novembre. Vincitore as-

soluto nella categoria “Album dell’anno” Max Manfredi con lo splendido Luna persa. Il giusto riconoscimento ad uno degli autori più colti e raffinati del nostro panorama musicale. Ma protagonisti al Tenco saranno anche altri due genovesi doc: Vittorio De Scalzi, piazzatosi secondo con Mandilli nella categoria “Album in dialetto” e Franco Boggero con l’album d’esordio Lo so che non c’entra niente.Tornando a Genova, in ambito teatrale segnaliamo il nuovo spettacolo di Michele Serra Italiani, italieni, italioti, con Ugo Dighero e la Banda Osiris per la regia di Giorgio Gallione, in programma al Teatro dell’Archivolto dal 26 al 28 novembre. Sempre tra teatro e musica si muove l’atteso Tutte le carte in regola per essere Piero (al Teatro della Tosse dal 16 al 19 dicem-bre), un omaggio al grande Piero Ciampi scritto e diretto da Giampiero Alloisio con Adolfo Margiotta, Roberta Alloisio e Fabio Vernizzi. A proposito di musica d’autore, da non perdere gli appuntamenti al Vaillant Palace: il 13 novembre salirà sul palco Francesco Guccini; il 20 novembre sarà la volta – come detto - di Cristiano De André; quindi la doppia serata di Renato Zero, il 23 e 24 novembre; a concludere An-tonello Venditti il 5 dicembre. Il “Never ending tour” personale di Fran-cesco De Gregori farà tappa a Genova, invece, il 21 dicembre al Teatro Carlo Felice.

Prossimamente a Torino ci saranno grandi appuntamenti non concentrati in uno o due locali, ma ben estesi su tutto il territorio e provincia. Iniziamo con uno dei più grandi locali torinesi per la musica dal vivo, l’Hiroshima Mon Amour (www.hiroshimamonamour.org/) che ha in scaletta il 27/11 I Ministri ingresso gratuito, consumazione omaggio a chi arriva in bici o bus, il 10/12 Il teatro degli Orrori, con la stessa formula per la consumazione, Marta sui tubi l’11/12, Nina Zilli (18/12), Neffa (23/01), Carmen Consoli (17/02) con la presentazione di Elettra. Per quelli che non si accontentano, e vogliono qualcosa di più “colto”, al Teatro Regio di Torino, Lunedì 14/12 ci sarà lo splendido

spettacolo di Ludovico Einaudi (nella foto) con la presentazione del suo nuovo disco in una location molto particolare di forte suggestione. Sempre al Teatro regio torna poi il “Don Giovanni” di Verdi, ma questa volta la regia ha la firma un inedito Michele Placido. Appuntamento il (25/01/10). Al Teatro Colosseo di via Madama Cristina 71, (www.teatrocolosseo.it) grandi appuntamenti per gli amanti della musica italiana, con I Nomadi (14/11), gli Stadio (16/11), Il 20 e 21/11 ci sarà il pungente Maurizio Crozza, mentre il 27/11 una serata in-

tima con il piano solo di Cesare Picco. Da Dicembre si riparte, con Neri Marcorè ed un ritrovato Luca Barbarossa (1/12), mentre sotto le feste natalizie il teatro propone ancora le sorelle Marinetti con Note di Natale, per chiudere domenica 20 con il grande nome di Francesco De Gregori ed il suo “Per brevità chiamato artista” tour.Martedì 17/11, c’è l’imbarazzo della scelta, con il nuovo tour di Laura Pausini al Palaolimpico Hisozaki, oppure la Bandabardò sarà al Teatro della Concordia di Venaria, arriveranno sempre a Venaria il 20/11 Giuliano Palma ed I suoi Bluebeaters, e farà tappa anche il tour di Cristiano De Andrè, che porta in scena il repertorio del padre a dieci anni ormai dalla sua scomparsa carico di emozioni. Appuntamento il 6 febbraio al PalaOlimpico Hisozaki. Altre news aggiornate sul sito www.lisolachenoncera.it

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

GENOVAI LUOGHI DELLA MUSICA

D a diversi anni Genova annovera tra gli “attori culturali” anche la Li-

breria del Porto Antico. Instanca-bili nell’organizzare presentazioni e incontri, i soci della libreria (Annalisa Ruppino, Lorenza Mer-lo, Roberto Marmorato, Andrea Guglielmino), cercano di fron-teggiare, come tutti gli operatori del settore, questi tempi diffi cili. Proprio con Guglielmino abbia-mo parlato della situazione del libro in Italia oggi.

Com’è lo stato di salute dell’edi-toria in Italia?Per quanto attiene alla mia espe-rienza, preferisco non unirmi al coro di coloro che parlano di “morte del libro”. Certo, l’edito-ria è un settore marginale come fatturato all’interno dell’econo-mia del nostro paese; ma è un settore merceologico (perché alla fi ne il libro è anche merce) che ha la bellezza dell’eterno rinnova-mento. Ogni settimana è diversa dall’altra, con nuove uscite, nuo-ve proposte. E alla fi ne, quindi, vivi sempre nella speranza che il mercato si allarghi.

E come consideri la situazione specifi ca di Genova?Pure in questo momento di crisi, mi sembra che il mercato genove-se stia reggendo. Mi risulta , per esempio, che a Milano e Roma alcune librerie indipendenti ab-biano purtroppo chiuso.

Ecco, appunto: la libreria indi-pendente, piccola o grande che sia, come regge la concorrenza delle librerie di catena? A Geno-va, per esempio, è stata aperta

da poco la nuova Feltrinelli, uno spazio in pieno centro cit-tadino di enormi dimensioni e polifunzionale...Il problema esiste. Manca una disciplina che regoli il commer-cio librario e questo fa giocare ad handicap le librerie non di cate-na; penso – per esempio – alla scontistica su cui noi partiamo enormemente svantaggiati. Per quanto riguarda la nascita del-la nuova Feltrinelli genovese, io voglio vederne l’aspetto positivo. Non c’è dubbio che essa, infatti, sia un polo di attrazione, sia un negozio concepito per accogliere le persone con una serie articola-ta di opportunità (bar, postazioni informatiche, ecc.) e credo che ciò possa allargare il bacino d’utenza, attraendo un pubblico che in al-tre circostanze non entrerebbe in una libreria:e questo tornerà a favore di tutte le librerie. Perché la grande sfi da dei moderni librai è quella di far entrare nei nostri negozi le persone che in qualche modo sono “intimorite” dal libro. Io sono di una generazione edu-cata ad accogliere il cliente con la fatidica domanda: “Desidera?”. Un ottimo modo per “spaventa-re” il non-lettore e farlo scappare.

Ti sei soff ermato sulla situazio-ne dei grandi e dei piccoli li-brai. Qual è invece a tuo avviso la situazione tra le piccole e le grandi case editrici?Il nostro è un mercato strano, fat-to anche di mode del momento. Adesso, per esempio, c’è la cac-cia agli scandinavi. Uno scrittore qualsiasi del baltico (meglio an-cora se giallista) viene molto più facilmente pubblicato in Italia dopo l’exploit di Stieg Larson e della sua Millenium trilogy. Op-pure penso al fi lone Horror dopo Stephenie Meyer e la sua Saga di Twilight. Mi ricordo che negli anni Novanta, invece, andava di moda il cannibalismo dopo i libri di Aldo Nove e di Niccolò Am-maniti. Ci sono delle tendenze che tutti rincorrono. Insomma, ci sono questi fi loni dell’editoria di massa che si sovrappongono a lavori di ricerca dei più piccoli. Penso a Iperborea, per esempio, che da vent’anni lavora sulla let-teratura del nord e oggi si vede “scavalcata” dai grandi editori.

Qual è invece la situazione del-l’editoria musicale, che negli ultimi anni ha avuto una gran-dissima diff usione?Individuerei anche in questo set-

tore due linee, due diversi orien-tamenti. Da una parte alcune case editrici seguono i fenomeni del momento: l’anno scorso ho perso il conto dei libri usciti sui Tokio Hotel, quest’anno qual-cosa di simile è accaduto con gli Jonas Brothers. Dall’altra, invece, ci sono case editrici che pubblica-no libri più “meditati”. Mi piace ricordare il libro–tributo a Sergio Bardotti, edito da Zona. E poi a Genova è De André a vendere tantissimo, come è del resto facil-mente immaginabile.

Quali sono i prossimi appun-tamenti presso la Libreria del Porto Antico?Sabato 21 novembre alle 18 ospi-teremo la presentazione del volu-me Da Paperinik a Pk - Viaggio fra i supereroi Disney (Tunue Edizioni). Si tratta del catalogo della Mostra che si è svolta a Ra-pallo dal 3 al 18 ottobre scorso; ma è un testo in edizione bilin-gue italiano-inglese che è fruibile come pubblicazione autonoma, con contributi critici sui vari su-pereroi. Grazie a questa mostra ho scoperto che non solo è esisti-ta una fantomatica “scuola geno-vese” della canzone d’autore, ma che ne è esistita una anche del fumetto.

LIBRERIA PORTO ANTICOPalazzo Millo - Porto Antico

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di Andrea Podestà[email protected]

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

BRESCIA di Ricky Barone ([email protected])

PFM CANTA DE ANDRE’ - 9 novembre 2009 ore 21,00 - Location: TEATRO FILARMOMICO DI VERONA - Via Mutilati, 4k Per i nostalgici e gli appassionati di Fabrizio De Andrè il 1979 fu un anno storico: fu l’anno del tour del cantautore genovese con la band rock/progressive PFM che contaminò i generi in un’operazione partico-larmente riuscita. A distanza di trent’anni, la PFM ha deciso di riproporre nei teatri le canzoni più signi-fi cative di quell’evento, suonate ancora con i medesimi arrangiamenti. Sull’operazione non esprimiamo un giudizio, ma siamo abbastanza certi che Verona risponderà molto bene a quest’evento aff ascinante,

vuoi per la tradizione che lega De Andrè a Verona (Massimo Bubola, i Tempi Duri), vuoi per splendida location (Teatro Filarmonico), vuoi per l’unicità dell’occasione. Da non perdere.COROT E L’ARTE MODERNA - Dal 27 Novembre al 7 Marzo 2010 - Location: GRAN GUARDIA, Piazza BraDopo molti anni fi nalmente arriva a Verona una mostra d’arte di caratura internazionale che può risollevare le sorti turistiche della città. Fortemente voluta dal Comune di Verona (in collaborazione con il Louvre parigino), nel cuore della città (Gran Guardia), un’esposizione di circa 100 dipinti, in un arco temporale di quattro secoli, illustreranno il ruolo di Corot come ponte tra passato e futuro, tra tradizione e modernità. Tramite numerosi confronti emergerà lo stile sobrio e luminoso di Camille Corot, a cui hanno contribuito in modo determinante i viaggi in Italia: un lungo soggiorno del 1825 e i più brevi del 1834 e del 1843. Tra le rovine di Roma e la campagna laziale, tra Venezia e il lago di Garda, a ritrovare la luce e l’idea della natura dei suoi illustri precursori. Illuminante.U.V.A. (United Verona Artists) - 16 Giugno 2009 Location: TEATRO ROMANO.Si è tenuta lo scorso 16 Giugno la prima edizione della manifestazione U.V.A., evento che ha riunito alcuni dei principali artisti veronesi nella location del Teatro Romano: c’erano quasi tutti i personaggi veronesi che hanno fatto parlare di sé nell’ultimo mezzo secolo appena trascorso dai Gatti dei Miracoli ai Sonohra, da Nascimbeni a Cecilia Gasdia, dall’ex Miss Italia Silvia Battisti a Fabio Testi. Bene per la varietà della manifestazione (musica, cabaret, spettacolo), per l’alto livello mantenuto e per la buona risposta di pubblico. Da rivedere invece la formula (troppi artisti, troppi tempi morti per uno spettacolo che è durato quasi quattro ore). Peccato per la mancata chiamata/adesione di Massimo Bubola (forse l’artista veronese più importante), e di molti giovani del rock che tanto hanno fatto parlare della città (Canadians, Cherry Lips, Home, L’OR ...) negli ultimi anni.

VERONA di David Bonato ( [email protected])

Utilizziamo questo spazio dedicato alle iniziative che nei prossimi mesi vedranno la luce in città, par-lando di “Brescia canta il Natale nelle pievi”, raccolta di canzoni natalizie composte da artisti bresciani che verrà presentata uffi cialmente il 5 Dicembre 2009, con un grande concerto pomeridiano – inizio ore 17 - in Piazza Loggia, uno dei simboli, per motivi purtroppo tristemente noti, di Brescia. Un progetto che si abbina al sempre più avvincente percorso teatrale del “Natale nelle Pievi”. Saranno della partita alcuni tra i migliori cantautori bresciani: Beppe Donadio, Alessandro Ducoli, Daniele Gozzetti, Enrico Mantovani, Malghesetti, Selvaggi Band, Ful-

vio Anelli, Giovanni Peli e Angela Kinczly, Roberto Guarneri, le Cornamuse della Franciacorta con la strumentale “Pastorale”, Marco Giubileo e infi ne Girogio Guizzi. Un’ottima squadra, che conferma il momento d’oro della Brescia che canta e che suona, nella quale ai nomi già noti e stimati si stanno affi ancando molti altri talentuosi artisti, alcuni dei quali presenti in questa raccolta. Quasi un movimento, per una provincia che negli ultimi decenni sta dimostrando di aver dato vita ad un circolo virtuoso musicale fatto di frequentazioni, di contatti e di stimoli sempre più effi caci. Il disco, in vendita in librerie e negozi specializzati della città e della provincia, verrà distribuito anche in occasione dei numerosi spettacoli teatrali proposti dal “Natale nelle Pievi”. A questi si accosteranno anche recital-concerti tenuti dai musicisti partecipanti al cd, con l’esecuzione dei brani del disco arricchiti da letture di ambito natalizio e da classici della tradizione del Natale. Le canzoni dello spettacolo “Brescia canta il Natale nelle Pievi – live 2009”, saranno eseguite dalla “Brescia Nedal band”, guidata dal cantautore Fulvio Anelli, che si modulerà aprendosi alla partecipazione di volta in volta degli altri protagonisti del disco.

vio Anelli, Giovanni Peli e Angela Kinczly, Roberto Guarneri, le Cornamuse della Franciacorta con la strumentale “Pastorale”, Marco Giubileo e infi ne Girogio Guizzi. Un’ottima squadra, che conferma il momento d’oro della Brescia che canta e che suona, nella quale ai nomi già noti e stimati si stanno affi ancando

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

MILANO di Francesco Paracchini ([email protected])

Non solo freddo e nebbia nelle vie sotto la madonnina, ma anche tanta musica live. Artisti e location per tutti i gusti, un’offerta capace di dare voce ad artisti emergenti così come ai grandi tour che qui prevedono una tappa obbligata..Ecco una panoramica di quello che si potrà ascoltare e vedere in alcune “case della musica” nel ca-poluogo lombardo. Non potendo e volendo essere esaustivi, abbiamo scelto di dare spazio a luoghi diversi in cui è possibile godere di un concerto, passando dai classici locali ai piccoli teatri fino ai circoli Arci, lasciando da parte le grandi strutture e i grandi nomi che andranno a riempirli.Cominciamo con LA SALUMERIA DELLA MUSICA (www.lasalumeriadellamusica.com), storico

locale che continua a programmare “Rockfiles live”, una bella iniziativa voluta e gestita da Ezio Guaitamacchi insieme a Lifegate. Tra le altre segnaliamo la data del 09 novembre in cui l’ospite sarà Angelo Branduardi e quella del 23 novembre, in cui il palco verrà lasciato a Ricky Gianco. Per questi incontri l’ingresso è sempre gratuito prenotandosi sul sito di Lifegate. Infine molto atteso il ritorno di Niccolò Fabi a Mi-lano, che suonerà alla Salumeria il 23 novembre. Ingresso 16 Euro.Altro locale che da anni regala concerti di altissimo livello è il BLUE NOTE (www.bluenotemilano.com), che – solo per citare artisti italiani – nel mese di novembre metterà in fila Radiodervish (7), Mimmo Locasciulli (12), Malika Ayane (21), Eugenio Finardi (28) per poi aprire il mese di dicembre con quatto serate di Ornella Vanoni (01-04), Simona Molinari (5) e Luca Jurman il 19.Rimaniamo sempre in atmosfere a cavallo tra pub e teatro, per entrare nel mondo Arci, con il CIRCOLO BELLEZZA (www.arcibellezza.

it), uno dei più conosciuti in città. Variegata la pro-grammazione, dove trvoa spazio il cabaret, il teatro e per rimanere in ambito musicale segnaliamo solo il concerto di Roberta Carrieri il 16 dicembre.Chiudiamo con un teatro e diamo spazio al TEATRO BLU (www.teatroblu.org), piccolo gioiel-lino che non gode ancora di molta visibilità ma che con ostinazione continua a mettere insieme rassegne e concerti di ottimo livello. Segnaliamo ad esempio “Cantine musicali”, che dal 05 novembre 2009 al 06 maggio 2010, ogni primo giovedì del mese, con-sentirà di gustare vino e musica di qualità. Questi gli artisti che parteciperanno alla rassegna proposta da Ideificio, giovane realtà culturale molto attiva in città.: Arm On Stage (05.11), Syria + Perturbazione (03.12), Edda (14.01), Amor Fou (04.02), Cesare Basile (04.03), Diego Mancino (01.04), Atletico Defina (06.05). L’inizio è sempre alle 19.00.Una selezione più ampia potrete trovarla sul sito www.lisolachenoncera.it

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

BOLOGNA di Cristiano Governa ([email protected])

FIRENZE di Michele Manzotti ([email protected])

La forza di una proposta sta nella sua capacità di spiazzarti, di costringerti a scegliere, magari perdendoti qualcosa. Eccolo allora un bel novembre bolognese fra musica italiana, rock, oscurità britanniche (vec-chie e nuove) e il grande jazz. Buone notizie per tutti i sorcini felsinei e limitrofi, torna in città Renato Zero (06 novembre, FuturShow Station). Gli anni passano, ma il patto che Renato ha instaurato col diavolo, gli consente di prendersi gioco anche del tempo e di confermarsi il geniale Pierrot della canzone italiana. Fra nuovi successi e grandi classici, il ritorno di un vecchio amico sotto le torri, una voce che non si ferma. Torna in città anche Gianna Nannini, prosegue dunque il “Sogno di Gianna” (si chiama

infatti GiannaDream il suo album uscito a Marzo di quest’anno) e saranno dunque le sonorità della rocker senese (15 novembre, FuturShow Station) a condurci nel bel mezzo di novembre. Fra i mostri sacri del pop-wave elettronico anni ottanta, riecco poi i Depeche Mode (25 novembre Palamalaguti), oscuri e sintetici senzi dimenticarsi l’anima. In qualche modo anche figli loro sono anche i Placebo di Brian Molko, alternative band britannica ospite il 29 novembre alla Futurstation. Rieccolo il vecchio amico jazz. Proprio lui, quello che in città animava le notti raccontate da Pupi Avati nel suo sceneggiato televisivo “Jazz Band” che perfettamente raccontò il rapporto fra i nostri portici e l’inesau-sta necessità di soffiare dentro una tromba, di sfinirsi dietro un contrabbasso, di fare mattina con le dita su un pianoforte. Torna dal 6 al 14 novembre Bologna Jazz Festival, si parte il 6 novembre (Teatro delle Celebrazioni) con quella che Bilboard definiva “La voce più completa, fantasiosa e coinvolgente dell’ultimo millennio” Rachelle Ferrell e restando al Celebrazioni, segnaliamo, sabato 7, il Dave Douglas Quintet. Il grande trombettista suonerà con uno dei gruppi più popolari e duraturi che siano mai rimasti al suo fianco (Donny McCaslin, sassofono, Uri Caine, piano, Matthew Penmann, basso, Clarence Penn, batteria) nella prima parte della serata, alle 21.15. Seguirà, alle 22.30, Franck Avita-bile con il suo trio in un omaggio a Michel Petrucciani, insieme a Flavio Boltro. Densissimo anche il secondo weekend, con il pianista Brad Mehldau (in trio venerdì 13), di cui si ricordano, tra le altre, le numerose colonne sonore per film storici come Eyes Wide Shut di Kubrick e Million Dollar Hotel di Wenders, e, il 14, il leggendario sassofonista Wayne Shorter, accompagnato da un quartetto di recente composizione (con Brian Blade alla batteria, John Patitucci al contrabbasso e Danilo Perez al piano). Fra gli altri appuntamenti ricordiamo il cartellone di ’Round midnight, per chi ama fare le ore piccole, al Chet Baker, la Cantina Bentivoglio e, tra le novità, un nuovo locale ospite, Il Posto a Bo-logna (in regione ci sono il Torrione a Ferrara e Il Baluardo della Cittadella a Modena). Ed infine da non perdere l’ After Hours, che ospiterà il 13 e 14 Steve Grossman e il suo quartetto (a mezzanotte e mezza).

La musica d’autore in Toscana ha come capitale Livorno. E non potrebbe essere altrimenti dato che ogni anno, nel mese di no-vembre, per il XV anno consecutivo si ricorda Piero Ciampi con il premio che si tiene nella sua città natale. È tutta nel ricordo di Ciampi la serata inaugurale del 14 novembre al Teatro Goldoni. Talenti emergenti (Brunori Sas, Gina Trio (nella foto), Giovanni Caruso) e musicisti che hanno percorso tappe importanti nella

storia della canzone d’autore (Patty Pravo, Mimmo Locasciulli) ma anche esponenti della canzone d’autore di questi anni, come Simone Cristicchi, Marco Fabi, l’italo inglese Emma Tricca, e musici-sti della tradizione rock nostrana come Rigo, già bassista di Luciano Ligabue, saranno protagonisti dell‘evento. Martedì 17 novembre ci sarà invece il concerto di Gianna Nannini Nel pomeriggio del 14, come di consueto nello spazio della Goldonetta, si terrà il convegno intitolato “Fuori dal coro si sta meglio”, che prevede un confronto tra una mitica talent scout della musica italiana come Mimma Gaspari autrice del libro “Penso che un mondo così non ritorni mai più - Vita in canzone” (editore Baldini e Castoldi) e Renzo Arbore, che tanto ha fatto e fa per la buona musica italiana da tempi non sospetti. Inoltre il giornalista Paolo Pasi e Luciana Bianciardi parleranno sul rapporto tra Luciano Bianciardi e Piero Ciampi. Il presidente della edizioni Universal Claudio Buja farà il punto a un anno dalla stampa del libro di spartiti dedicati al grande cantautore livornese. Sarà presente anche il can-tautore bresciano Ettore Giuradei, che interpreterà brani dal suo album “Era che così”. Il 4 dicembre infine Francesco Guccini sarà l’evento speciale a conclusione del premio. Firenze invece si conferma crocevia dei grandi concerti , in particolar modo a dicembre quando arrive-ranno nel capoluogo Claudio Baglioni per quattro date (dal 20 al 23), Eros Ramazzotti (15), Vinicio Capossela (13), Laura Pausini (7), ma anche la tappa del tour di Neri Marcorè e Luca Barbarossa (2).

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

ROMA Ricca la programmazione dei club romani da qui a dicembre, tante le proposte da non perdere: il 27 ottobre al The Place è di scena uno dei più interes-santi autori della giovane scena romana: Gabriele Ortenzi, in arte Areamag che darà vita a tutti i personaggi de “L’Omino e altre storie” un work in progress che vedrà presto la luce su cd. Sua è “Fei-sbum”, la canzone colonna sonora dell’omonimo film sul famoso social network. Al Lian Club si esibisce il 6 novembre Frankie Hi Nrg in coppia con l’autore teatrale Massimiliano

Bruno in una serata che riserverà della sorprese; l’11 il cantautore milanese Giuliano Dottori pre-senta il nuovo disco “Temporali e rivoluzioni” e il 12 è sul palco del locale di San Lorenzo Alessan-dro Grazian, singolare autore che esplora sonorità à la Sergio Endrigo, col nuovo ep “L’abito”.Al Circolo degli Artisti il 3 novembre si esibisce Emidio Clementi, cantante e fondatore dei Massi-mo Volume, in un reading dal suo ultimo romanzo “Matilde e i suoi tre padri”. Tutta al femminile la serata del 6 novembre:sul palco Marina Rei che porta in scena il suo ultimo album “Musa” men-tre per il 4 dicembre è l’atteso ritorno dal vivo di Moltheni.Il 17 ottobre è lo Stuttering awareness day, giornata dedicata alla sensibilizzazione verso il problema della balbuzie. La Aibacom Onlus (Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione) per questa occasione, organizza a Roma uno spettacolo che farà da cornice alla parte più scientifica e tecnica della manifestazione. Il programma prevede un incontro-dibattito alle ore 9 di sabato 17 Ottobre presso la sala conferenze dell’Istituto Santa Maria alle Fornaci e la sera, alle ore 20.45, è previsto uno spettacolo presso il Teatro Orione che vedrà la presenza di numerosi personaggi del mondo dello spettacolo. Gli autori del programma sono Cristina Di Giambattista e Andrea Lomoro, anche regista. Presenta Daniele Bocciolini. Saranno presenti: Filippo Timi, Paolo Bonolis, Roberto An-gelini, Simone Cristicchi, Niccolò Fabi, i ballerini Simone Di Pasquale con Daniela Ayala e Kledi Kadiu. Paolo Ormi, Marco Lo Russo, Giovanni Mirabile e la cantautrice Melissa Ciaramella.Si svolge al Lian Club, nel quartiere San Lorenzo a Roma, la mostra fotografica di Simone Cecchetti “From heart to lens” visitabile a ingresso libero fino a metà ottobre. Con la sua macchina fotografica Cecchetti, dal 2001 ad oggi, ha fotografato più di mille concerti, tutti racchiusi nel libro che dà il nome alla mostra.L’esposizione è un viaggio non solo alla scoperta dei tantissimi nomi e volti noti della musica inter-nazionale, ma anche e soprattutto, uno sguardo che rivela l’uomo che sta dietro l’artista, colto in quello che dovrebbe essere il momento più rivelatore: il concerto. Lo sguardo di Cecchetti si posa non solo su artisti famosi, molti i ritratti di giovani e ancora poco conosciute realtà della nostra penisola: accanto agli scatti che ritraggono Jovanotti, Carmen Consoli, Fiorella Mannoia, Nada, Mango, Sergio Cammariere, Paola Turci, Daniele Silvestri, Marco Conidi e Malyka Ayane ci sono la giovane Beatrice Antolini, Francesco Forni ( per il quale Cecchetti ha scattato le foto dell’album d’esordio), Roberto Angelini, The Niro.

AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA

Teatro, incontri letterari, danza, mo-stre, musica contemporanea, speri-mentazione, jazz, canzone d’autore, rock, saranno protagonisti dei primi tre mesi di programmazione della nuova stagione 2009 – 2010 dell’Au-ditorium Parco della Musica di Roma. A partire dal Roma Jazz Festival di novembre che vedrà alternarsi gran-di nomi del jazz internazionale come Stefano Bollani, Javier Girotto & Aires Tango, Sonny Rollins, Gabriele Mi-rabassi, Brad Mehldau, Diana Krall, Paolo Fresu e Uri Caine oltre alle due orchestre del Parco della Musica, la PMJO e la nuovissima PMJL. Natu-ralmente sarà di scena anche la grande musica italiana. Si inizia il 29 ottobre con il progetto Fu..turisti di Elio (senza Le Storie Tese), 19 novembre Solo di Nando Citarella, 21 novembre Solo di Roberto Angelini, 5 dicembre Banda-bardò, 6 dicembre Ludovico Einaudi, 13 dicembre Cristiano De Andrè, e in-fine, per chiudere con l’evento di fine d’anno, dal 25 al 30 dicembre Claudio Baglioni. Si segnala anche l’evento Se-rata Folkstudio del 22 novembre, per la rassegna Incontri d’autore a cura di Ernesto Assante e Gino Castaldo, un appuntamento che si preannuncia pieno di sorprese musicali. Un vero e proprio cross over culturale riparte al Parco della Musica di Roma: un pro-gramma unico, originale, di grande respiro internazione.Per info www.auditorium.com

Giampiero Cappellaro

di Martina Neri ([email protected])

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

PESCARA di Paolo Talanca ([email protected])

Si sono chiuse il 20 ottobre scorso le iscrizioni per l’edizione 2009 del Premio Pigro, uno tra gli eventi più importanti nel panorama musicale nazionale, dedicato alla memoria di Ivan Graziani.Dopo un periodo di incertezza dovuto ai tragici eventi legati al terremoto dell’Aquila, infatti, l’organiz-zazione del Pigro ha deciso di fissare la serata finale il 3 dicembre, presso il Teatro Comunale di Teramo. Sul palco, come ogni anno, ci saranno cantautori o band emergenti e si alterneranno dei Big di assoluto valore e personaggi di primo piano del mondo musicale italiano. Come ogni anno il Pigro può contare sulla tenacia organizzativa di Anna Bischi Graziani e sulla regia teatrale di un Maestro come Pepi Morgia. Il calendario è ancora tutto da definire, ma si vocifera anche quest’anno un cast decisamente succulento: dovrebbe esserci un omaggio al ricordo di

Beppe Quirici e una jam session di bassisti – dopo chitarra e batteria degli ultimi due anni –, coi migliori che ci sono in Italia, da Ares Tavolazzi a Pier Mingotti, fino a Saturnino. Addirittura si parla anche della presenza di Samuele Bersani, che da gennaio partirà con un nuovo tour per il disco di recente usci-ta Manifesto abusivo. I finalisti tra gli emergenti, quest’anno, saranno tre e si giocheranno il primo posto in uno dei pochissimi eventi abruzzesi di assoluto livello nazionale.A proposito di eventi nazionali, un altro importantissimo appuntamento è senz’altro il Premio “Un giorno insieme” - Augusto Daolio Citta di Sulmona, in ricordo dell’indimenticato cantante dei Nomadi. Le date in questo caso sono domenica 27 e lunedì 28 dicembre presso il Teatro Comunale “Maria Caniglia” di Sulmona. Anche per il Daolio sono attesi numerosi ospiti di prestigio, per una manifestazione che da anni permette al primo classificato di esibirsi, nel mese di febbraio del 2010, sul palco del “Nomadincontro – Tributo ad Augu-sto” a Novellara (Reggio nell’Emilia), prima del concerto dei Nomadi. Verrà, inoltre, offerta la stessa possibilità al vincitore del premio per la “Miglior Voce”, da quest’anno intitolato alla memoria di Alessandra Cora, giovane cantante dell’Aquila, scomparsa in seguito al sisma del 6 aprile 2009.

NAPOLI di Michelangelo Iossa ( [email protected])

“Struttura e vita interferiscono continuamente. Dappertutto si conserva lo spazio vitale capace di ospita-re nuove, impreviste costellazioni. Il definitivo, il caratterizzato vengono rifiutati”: è probabilmente una delle più celebri descrizioni di Napoli quella offerta – a metà degli anni Venti – da Walter Benjamin. La ‘città porosa’ non smentisce la sua natura, intrisa com’è di suoni, vibrazioni, timbri, vocalizzi, canzoni. Anzi, di più: Napoli “è” una canzone, come afferma il bel libro Song’ ‘e Napule di Carmine Aymone. La città è figlia naturale della sirena Partenope che ammaliava i naviganti con il suo canto: sulle spoglie di questa creatura marina nasce la canzone-Napoli.Sospeso tra magnificenza settecentesca, violenza metropolitana e passione disordinata, fenomeni post-neomelodici e combat-rock di periferia, il capoluogo campano non è, purtroppo, ‘dentro’ i grandi cir-

cuiti-live, non è sincronizzata con il mainstream, ma sfodera le sue carte con noncuranza. La voce della ‘cantattrice’ Lina Sastri diretta da Francesco Rosi caratterizza – sino al 7 novembre – il ruolo della leggendaria Filumena Marturano eduardiana sul palco del Teatro Augusteo, che il 21 dicembre dà spazio agli ottantotto tasti di Ludovico Einaudi e il 25 gennaio accoglie la voce profonda di Mario Biondi. Il 5 novem-bre, l’Auditorium del Castel Sant’Elmo non si lascia scappare l’occasione di celebrare, con l’Associazione Scarlatti, il centenario del Manifesto Futurista di Tommaso Marinetti affidando ad Elio (band-leader delle Storie Tese) un ‘viaggio sonoro’ nell’universo futurista in dieci canzoni su musiche originali di Nicola Campogrande: partirà, così, l’ideale “spedizione a Marechiare per uccidere il chiaro di luna”, luogo/stereotipo dell’immaginario partenopeo per eccellenza.La Casa della Musica ‘Federico I’ di Fuorigrotta – nata lo scorso anno e trasformatasi in variopinto ‘contenitore sonoro’ della città – ospiterà il 13 novembre i Club Dogo, artefici dell’album Dogocrazia. A pochi metri dalla Casa della Musica, sarà Claudio Baglioni (15 / 16 dicembre) a tener banco sullo stage del Palapartenope per una due-giorni napoletana che ospita la ripartenza del suo ultimo tour, che si aprirà al Teatro degli Arcimboldi di Milano il 5 dicembre. Un paradosso tutto napoletano: i ricostituiti 99 Posse, alfieri del suono/combat degli anni Novanta nato all’ombra del centro sociale Officina 99 si esibirano a Londra il 24 novembre per raccontare un volto di Napoli, la città “dalla durezza quasi bestiale” come amava definirla un’inglese d.o.c., Ian Fleming, nel suo leggendario reportage Thrilling Cities.

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LE CITTA’ DELLA MUSICA

NAPOLII LUOGHI DELLA MUSICA

Una storia lunga oltre 90 anni, fatta di proposte e sfi de culturali, di Musica

e musiche: da più di nove decadi l’Associazione Alessandro Scarlat-ti di Napoli off re il suo personalis-simo ‘racconto’ della musica colta e popolare attraverso un costante impegno concertistico, iniziato nel 1918 ad opera – tra gli altri – da Matilde Serao e Salvatore Di Giacomo, tra le più fertili menti nate all’ombra del Vesuvio.Concerti, spettacoli, programmi di formazione musicale, workshop, dibattiti, premi, borse di studio, dibattiti e conferenze: “tutta l’at-tività dell’Associazione – ci spiega Chiara Eminente, responsabi-le dell’organizzazione musicale per la stagione 2009/2010– ha come obiettivo l’organizzazione di eventi musicali nel segno di un costante approfondimento culturale ed è in questa direzione che da molti anni la Scarlatti ha avviato rapporti di collaborazione con alcuni tra i più importanti istituti culturali della città, dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano all’Isti-tuto Banco di Napoli – Archivio Storico, dal Real Conservatorio ‘S. Pietro a Majella’ all’Università di Napoli ‘Federico II’, solo per citarne alcuni”.

A ben vedere, l’attività della Scar-latti (www.associazionescarlatti.it) si muove in un’ottica di ‘progetto’, seguendo ‘movimenti concentrici’ in cui la musica è l’elemento cen-trale, il collettore-chiave.La stagione 2009/ 2010 rispetta pienamente questo atteggiamen-to dell’Associazione muovendosi tra le celebrazioni del centenario del Manifesto Futurista con Elio (band-leader delle ineff abili Sto-rie Tese), il grintosissimo jazz del giovane Francesco Cafi so e il ta-lento puro di Al Di Meola.Soprattutto dalla seconda metà degli anni Ottanta, la Scarlatti ha impresso una notevole acce-lerazione ai processi di ‘corto-circuitazione’ culturale delle sue proposte: dalla Histoire du Soldat di Roberto De Simone con Artu-ro Brachetti ai recital brechtiani di Milva, da Philip Glass a John Zorn, da Ute Lemper ai Tenores de Bitti, da Dee Dee Bridgewater al trio Franco Battiato / Giovanni Lindo Ferretti / Manlio Sgalam-bro.

INFO UTILIAssociazione Alessandro Scarlatti

Piazza dei Martiri, 58Info: 081.406011

Sito: www.associazionescarlatti.itMail: [email protected]

IL TEATROL’Associazione Alessandro Scarlatti, da novanta anni uno dei generatori culturali partenopei

di Michelangelo Iossa([email protected])

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RUBRICA CINEMA

W oody Allen è tornato. Il re-censore di turno, solitamente, defi nisce “tornato” un mostro

sacro quando questo ripiomba nei suoi “meravigliosi” difetti, nella sue mirabolanti nevrosi, nella sua luccicante disperazione. Non è la bravura a farci sentire di nuovo a “casa” ma quell’indimenticabile odore di soff ritto, quel profumo di cucina che mis-chiandosi ai mobili delle nostre stanze, ri-produce un paradiso terrestre dei ricordi. L’odore è la vista defi nitiva.Eccolo allora il Woody Allen cinico e dis-sacrante fi no alla scarnifi cazione, che torna a bisbigliarci che è fi nita, che tutto è fottuto, che gli esseri umani sono materiale malfun-zionante (quando non scaduto).Eppure cos’è questa voglia di raccontarcelo, Woody? Perchè se tutto è ormai è andato, ti piace ancora così tanto riferircelo?Perchè per te è così che “funziona”. Non è vero?Il fi lm ha una struttura semplice quanto solida, dialoghi mozzafi ato, leggeri e geniali (queste due cose viaggiano incatenate) e in-fi ne una malinconia “Manhattiana” che è ben lungi dall’essere lamentosa, somigliando invece ad una sorta di nostalgia del futuro.Niente più Spagna, per fortuna (Vicky Christina Barcellona), dove essere perfi di è inutile perchè fa troppo caldo e c’è troppa luce, fi ne delle nacchere, si torna al Jazz e quel suono che le vite emettono, solo nei pressi di New York. Fin dalla trama la riconoscibilità del Woody Allen’s touch è nitida; Boris (Larry David) è un irascibile misantropo che incontra Melody (Evan Rachel Wood) una giovane, timida e suggestionabile ragazza del sud fug-gita da casa. Quando i genitori della ragazza giungono a New York per salvarla, verranno rapidamente coinvolti in quel vortice appar-entemente privo di senso, ma pieno di sen-sazioni che la gente chiama vita. Inseguire una fi glia li porterà a loro stessi.Come in ogni esistenza che si percepisce come fi nalmente salva (mentre in realtà è dalla nostra supposta “pace” che iniziamo a morire) ogni “entrata” destabilizzante della

nostra sicurezza è la possibilità che la vita ci off re di farsi mordere ancora, forse per l’ultima volta.E la vita, solo quella, ci chiama a somigliarci, il resto è maquillage. Eccola allora la salvezza del vecchio misogi-no Boris, una stellina scema del Mississipi, la cosa più intelligente che il destino sia in grado di off rire ad un vecchio genio, una stupidità promettente.Era lì, tutta per lui, in un angolo sotto casa, ma aveva solo fame, era solo sporca, era solo sfi nita di sonno, ma non triste.Non senza speranza, fi ducia.I cretini, quelli perbene, sono il primo passo verso la salvezza, le cose “intelligenti” (bombe incluse) le abbiamo già provate e i risultati sono pillole nel comodino, traslochi infi niti, lavori da scimmiette, grandi amori perduti nel viavai.No, così non funziona, appunto. E allora mentre Boris è impegnato a rendere pessimista e nichilista la cosa più luminosa che transiti per New York, lei non può che ricambiare tutta quella disperazione con amore.Lui ha cose da insegnarle, lei ha vita da of-frigli, il baratto, per un pò funzionerà.E funzionerà a tal punto che si trasmetterà , come spesso a accade, a chiunque si trovi nei pressi di quello stesso baratto, funzion-erà con una donna (la madre di Melody)

che dopo aver vissuto una vita nel Mississipi scoprirà a New York che la vera vita è pren-dersene spesso una nuova, funzionerà con il padre di Melody che scoprirà di poter amare un persona sola alla volta, di qualunque ses-so essa sia. Funzionerà infi ne anche per una sconosciuta che di mestiere fa l’astrologa ma il fatto che Boris si avrebbe nuovamente ten-tato di uccidersi (buttandosi dalla fi nestra) franandole addosso dal secondo piano, non lo aveva previsto.Forse.<<Qualunque amore riusciate a dare o ad avere, qualunque felicità riusciate a rubac-chiare, qualunque temporanea elargizione di grazia; basta che funzioni>>. C’è un momento per tutte le cose, un attimo nel quale le cose “funzionano” e quell’attimo è giusto, è tutto quello che per Allen c’è da sapere circa la vita. Se davvero funziona, c’è amore anche fra un vecchio Celiniano e una giovane pin up, e lei lo amerà davvero, chi-ariamoci. Proprio perchè un giorno smetterà di farlo (in quel modo perlomeno). Perchè con gli occhi azzurri e una vita davan-ti non si ama chi non potrà esserci alla fi ne di quella vita, gli stupidi hanno ambizioni im-mense: vogliono morirci con qualcuno, per-chè come è scritto nel “Codice del Samurai” (Hagakure) <<La fi ne è importante. In tutte le cose>>. Valli a capire, gli “stupidi”.

Finalmente hopelessBASTA CHE FUNZIONI, il nuovo fi lm di Woody AllenDa “Hagakure” di Yamamoto Tsunetomo: “C’era un uomo in Cina che amava le immagini raffi guranti i draghi. Tutti i suoi vestiti e i suoi mobili erano decorati con questo motivo. Il dio dragone si accorse di questo amore profondo, e così, un giorno, un drago vero si presentò alla sua fi nestra. Si dice che l’uomo sia morto di paura. A parole costui era di certo molto corag-gioso, ma si rivelava tutt’altra persona al momento di agire”.

di Cristiano [email protected]

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RUBRICA TEATRO

L a musica italiana muove i propri passi anche sulle assi di un palcoscenico, e ha sempre di più un ruolo da protag-

onista: nell’ultimo decennio, i ritrovati fasti del musical d’importazione hanno convinto molti artisti e produttori a rispolverare la tra-dizione della commedia musicale nostrana. Ma anche i protagonisti della musica leggera italiana s’imbarcano con sempre maggiori fortune in tournèe esclusivamente teatrali. Inevitabilmente, anche il teatro diventa una realtà che l’Isola non può esimersi dal rac-contare.

Prosegue l’apprezzatissimo adattamento del Flauto Magico di Mozart realizzato dall’Orchestra di Piazza Vittorio, che vede tra gli interpreti anche Petra Magoni, nel ruolo della Regina della Notte. Il progetto è frutto di un lavoro di due anni coordinato da Mario Tronco, responsabile della direzione artistica e musicale, che ha guidato il nutrito gruppo di artisti provenienti da tutto il mondo nel processo di ri-arrangiamento e rielaborazione dell’opera del grande compositore austriaco.«Abbiamo sviluppato il progetto come se fac-esse parte di tutte le culture musicali di Piazza Vittoria, come se fosse una favola tramandata in forma orale e giunta in modi diversi a cias-cuno dei nostri artisti», spiega Mario Tronco. «Le melodie saranno riconoscibili ma alcune saranno solo tratteggiate, intrecciate a brani originali dell’Orchestra. Il racconto stesso è una sorta di altra possibile versione dei fatti, adattata all’ambientazione contemporanea. Poi lo spettacolo è più vicino a un concerto che a un allestimento teatrale, come se fosse diverso ogni sera».L’opera, che ha debuttato in occasione della manifestazione Romaeuropa 2009 e ha già toccato Lione, Atene, Barcellona, Roma e Napoli, tornerà in scena a Bobigny tra il 29 e il 31 gennaio 2010 e al Teatro La Fenice di Sinigallia il 12 febbraio 2010.

Debutta in questi giorni lo spettacolo Certe Notti, realizzato da Fondazione Nazionale della Danza Aterballetto: i giovani ballerini della compagnia mettono in scena poesie, dialoghi e canzoni di Luciano Ligabue, in un percorso scaturito dalla fertile collaborazione tra il cantante e il coreografo Mauro Bigon-zetti. «È stata la curiosità a dar forza ai nos-tri animi, e ci siamo trovati a guardare uno l’opera dell’altro e a capire che ne poteva nas-cere un’opera unica», spiega Bigonzetti. «Sin-ceramente trovo molto aff ascinante e curioso che saranno dei danzatori appartenenti ad un’altra generazione, che è la stessa che più di ogni altra ascolta la sua musica, a dare let-teralmente forma a questo incontro. La mu-sica di Luciano di dà una sorta di ininterrotto movimento epidermico, e questo movimenti è diventato danza». Ligabue, da tempo ap-passionato agli spettacoli della compagnia, è stato piacevolmente sorpreso dall’operazione: «Trovo che ci sia molta spudoratezza nella loro gestualità, la stessa che uso nel creare le mie canzoni. Solo così l’emozione arriva, non deve avere pudore».La tournèe nazionale di Certe Notti, partita a Milano il 9 ottobre, passerà per i palcosce-nici le maggiori città italiane, per concludersi a Como nell’aprile 2010. La lista completa delle date è disponibile su www.certenottia-terballetto.it/

Torna sui palcoscenici Pinocchio, il musical fi rmato Pooh e prodotto da Saverio Mar-coni che, dopo la tournèe internazionale in Corea dello scorso anno, riparte proprio da quell’Alleanz Teatro di Assago che lo vide debuttare nel 2003. La tournèe riparte a no-vembre con un nuovo attore, Riccardo Sim-one Berdini, che raccoglierà il testimone di Manuel Frattini nel ruolo del protagonista, ma solo nella prima tranche della tournèe, che tra novembre e dicembre toccherà Re-canati, Bari, Piano di Sorrento, Vigevano, Bergamo, Brescia e Torino.

«Sono on-orato che Saverio Mar-coni mi ab-bia scelto per questo ruolo che ritengo uno dei più diffi cili nel panorama del musical ital-iano odierno. L’ interprete

di questo personaggio da parte di Manuel Frattini è memorabile, avendo delle caratter-istiche diverse da Manuel dovrò sviluppare un personaggio diff erente ma ce la metterò tutta per cercare di essere all’altezza del suo incredibile lavoro», ha commentato Berdini.Manuel Frattini tornerà a calcare le scene nei panni del burattino più famoso d’Italia nella seconda parte del tour, tra aprile e maggio 2010, quando lo spettacolo toccherà il Teatro Augusteo di Napoli e il Sistina di Roma.

I prossimi mesi saranno inoltre particolar-mente caldi per la musica leggera, con il debutto di alcune tournèe teatrali: apre le danze Claudio Baglioni, che il 5 dicembre inaugura il suo tour teatrale QPGA a Terza Vista dal Teatro degli Arcimboldi di Milano (informazioni su www.fedgroup.it); An-tonello Venditti invece presenterà due eventi speciali al Teatro Carlo Felice di Genova (il 5 dicembre) e all’Auditorium del Lingotto di Torino (il 23 gennaio 2010); infi ne, Elio e le Storie Tese lanceranno il Bellimbusti Tour il 17 gennaio 2010, con un’anteprima al Teatro Comunale di Vicenza (informazioni su www.international-music.it).

di Paolo d’Alessandroteruwnfi [email protected]

Quando musica e teatrosi incontrano

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MI RITORNI IN MENTE...

GIORGIOGABER| Sexus et Politica1970 Vedette RecordsMettete i più noti poeti latini, da Marco Por-cio Catone a Quinto Orazio Flacco e Publio Ovidio Nasone nella mani di un musicista del calibro di Antonio Virgilio Savona. Il quale decide di creare musiche originali su questi testi e di affidarle a una voce fuori dal comune come quella di Giorgio Gaber. Così, nel 1970, nasce Sexus et Politica (I dischi dello Zodiaco VPA 8114), un album destinato a rimanere nella memoria di pochi, ma dal grande valore storico. Quando il disco nasce, Virgilio Savo-na è per tutti uno dei quattro del Quartetto Cetra, mentre nella produzione di Gaber stan-no nascendo i primi momenti del suo teatro canzone. Ma Savona, che proviene da studi di musica classica, decide di compiere un’ope-razione singolare: con un accurato lavoro di ricerca seleziona testi di autori romani vissuti nel periodo che va dalle guerre contro Cartagi-ne fino al 180 dopo Cristo. Poi decide di met-terli in musica dato che, a differenza dell’an-tica civiltà greca, non esistono testimonianze scritte di composizioni dei latini. Quindi le affida a un cantante che accompagna rigore interpretativo e senso dell’umorismo come Gaber, che trova nelle poesie dell’antica Roma testi rispondenti al suo stile. Versi che vengo-no evidenziati grazie anche ad arrangiamenti

essenziali ma eleganti, curati da Giorgio Ca-sellato, dove sono privilegiati flauto e chitarra. Nonostante siano passati più di 30 anni, la scelta di Savona si rivela azzeccata per l’attua-lità degli argomenti. È già nostro nemico di Catone si riferisce ad Annibale e alla guerra (Il cartaginese / è già nostro nemico / perché chi si prepara / a muovere una guerra / pur se non stringe ancora / un’arma nelle mani / ma è pronto per colpire, / colpire all’improvviso / è già nostro nemico) mentre il conflitto per il potere è evidenziato in Dove andate? di Ora-zio (Siete spinti da un tragico destino / e i fra-telli uccidono i fratelli / fin da quando la terra fu macchiata / dal sangue di Remo). Tutti i testi sono commentati da un apparato di note con l’inserimento di una bibliografia. Quale disco oggi avrebbe tutti questi pregi? E quale musicista avrebbe il coraggio di un’operazione del genere?

Michele Manzotti

MI RITORNIIN MENTEI migliori dischi del passato recensiti oggi...

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MI RITORNI IN MENTE...

SERGIOCAPUTO| Un sabato italiano1983 CGD Warner

È l’album che rappresen-ta l’incipit della carriera di Sergio Caputo perché, sebbene sia preceduto da un singolo e da un mi-nialbum (concepiti sotto

l’egida di Ernesto Bassignano, al Folk Studio), tratteggia lo sche-ma sul quale sarà improntata la sua musica a venire. Convinto sostenitore del folk-rock americano, Caputo incontra il jazz ed è subito amore. La peculiarità jazz/swing/be-bop di questo disco ne fa all’epoca un album di nicchia che porterà il cantante al suc-cesso, complici anche otto video realizzati per la trasmissione

Mister Fantasy. Gli undici brani, di riconosciuta originalità nel-linguaggio, sia musicale sia testuale, riferiscono di stati d’animo quanto mai aderenti alla vita dei giovani degli anni ’80. Intriso di sapori beat alla Kerouac (Io e Rino), annaffiato da sbornie alla Bukowsky (Night), colorato dagli stereotipi hollywoodiani (E le bionde sono tinte), il disco in realtà approda a temi ben meno appariscenti e più complessi, che raccontano di incertezze, delu-sioni e paure nei confronti della vita. Non un banale scimmiottare Buscaglione, né la celebrazione de la dolce vita degli anni ’50, ma l’osservazione critica di un contesto rielaborato non in chiave so-ciologica, quanto piuttosto studiato nell’aspetto del semplice me-stiere di vivere, perciò carico di manie, di frustrazioni, di melan-conia. Per fortuna Caputo è un ottimista, così che, lasciandosi alle spalle le disarmonie squisitamente italiane, ci accompagna nella convivenza sentimentale che intratteniamo con la quotidianità. Se poi è sabato, l’effetto è ancora più intimo.

Marialucia Nagni

FRANKIEHI-NRG MC| Verba Manent1993 BMG

Chiunque in Italia creda che il rap possa essere un incredibile mezzo di comunicazione - potente come il ritmo, inammanettabile come il pensiero – non può fare a meno di (conoscere) Francesco Di Gesù; e di apprezzare la cultura e il talento con cui s’è infilato nella casa, tanto stipata nella quantità quanto troppo spesso sprecata nella qualità, della canzone italiana versante “ippop” (che ahinoi sta per ‘ippopotamo’ nel più dei casi, quando il modello americano viene preso e – inutile idiozia – pachidermicamente ricopiato). Perché d’intelli-gente con la penna a punta come Frankie Hi-Nrg Mc ne abbiamo fin troppo bisogno. Verba Manent circola agile – scripta volant hah! – poggiando i piedi su campionamenti lunghi e scratchate saltellanti, cori di voci o fiati e corde di basso, secondo il gusto del primo rap d’inizi Novanta (vedi anche : il Jovanotti del secondo periodo); mescolando universi distanti come Topo

Gigio e l’accusa sociale. Il sacrosanto Potere alla parola che l’ironia tagliente di mr Hi porta dalla strada fin nelle case dove comuni Libri di sangue fan bella mostra, o sugli scalini degli alti palazzi: in faccia alla gente seduta in poltrona (sia essa davanti alla tivvù o a governare), bastonando le contagiose “chiacchiere diafane come ali di tafani che ronzano nell’afa del deserto culturale in mezzo ai ruderi di un’epoca fatta di ideali mai raggiunti”. Frankie non è uno che coccola o dipinge di colori sgargianti: la sua luce si fa i denti attaccando il cemento e l’asfalto, la “morale sì falsa e opportunista che usa la censura come arma di difesa”, i potenti ufficializzati o quelli ufficiosi del crimine altrettanto tumoralmente organizzato. Un disco che, una decina d’anni fa, si scagliava contro i germi lobotomici di ciò che ora è il giardino sfitto in cui viviamo. Musicalmente frammentario ma più variegato che dispersivo in cui si coglie la vena di originale spessore che il disco-fratello maggiore uscito dopo (il prezioso La morte dei miracoli del ‘96) saprà legittimare, compiendosi in più rotondo e mirato progetto. La sua prosa mai scontata e dal fitto intreccio,

in pronuncia verticale, sputa indietro “il veleno che ci vogliono inoculare”, aggancia i neuroni a citazioni colte, spara negli interstizi del quotidiano e chiama alla sveglia. Un piacere continuo per il cervello di chi ama la profondità dell’italiano, saporito per il carattere che non vuole farsi addormentare (“ribellarsi è un dovere, disconnnetti il potere”) ed energetico per la gestione del ritmo, giocando fra senso e suono di ogni singola parola. Dire no ma con la voglia di trovare dei sì, sapendoci argomentare. Anche questo è canzone d’autore, “perché la lingua batte se la mente vuole”. Ed è giusto dargli qui “omaggio, tributo, riconoscimento”.

Giorgia Fazzini

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MI RITORNI IN MENTE

LUCIOBATTISTI| Hegel1994 Sony

In fondo non è cambiato nulla in Lucio Battisti. Qual è la sua canzone più celebre? Pensieri e parole (peraltro anche la più bella, con una costruzione che sarebbe all’avanguardia anche oggi, e infatti non l’ha imitata nessuno). E che cosa raccontava? La discrasia tra quel che si dice e quel che si pensa. Cioè possia-mo dire quel che vogliamo, ma quello che pensiamo (e quindi quello che siamo) lo sappiamo solo noi e nessun altro. Insom-ma, le parole sono davvero poco importanti. Servono per giocar-ci, per gettare fuffa negli occhi, per confondere tutti. E di questo concetto Hegel è la sublimazio-ne, il capolavoro insuperabile. Al punto che dopo di esso il duo col paroliere Pasquale Panella si scioglie e Battisti si dedica ad al-tro, solo che non sapremo mai a cosa.Proprio per questo suo erme-tismo spinto, Hegel è spesso considerato il disco peggiore dei cinque di Battisti-Panella, anche

perché il buon Lucio provvede a rivestire i testi di una musica ben lontana dalle melodie di Mogol, tutta roba tra dance e trip-hop. La sua tecnica, come la descris-se, era questa: “Prendo i versi di Panella e mi metto lì con una chitarra a trovare gli accordi, senza pensare a niente, svuotan-do il cervello”. Ovviamente chi reputa questo disco il peggiore è chi pensa - legittimamente, ci mancherebbe - che le canzoni si debbano sempre e per forza capire, debbano essere chiare e lineari. Senza cadere nell’ecces-so opposto, quello per cui solo le cose noiose e incomprensibili siano degne di essere chiamate arte (insomma quello di chi è troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane, tanto per citare il vero ere-de di Battisti, se solo se ne ren-desse conto), ecco senza cadere

in questo eccesso, abbiamo però un’altra concezione. Quella per cui è bello, dei puzzle, avere solo alcune tessere, che si incastrano solo di rado. E il resto del puzzle sta a noi disegnarlo, con le ma-tite della mente (le più potenti di tutte) o davvero mettendoci lì con i pennarelloni come da bambini. E alla fine anche quel-la sarà arte, perché sarà il frutto della fantasia, delle cellule grigie, della libera interpretazione.

Anche qui qualche tessera torna, ogni tanto. Come in Almeno l’inizio, il pezzo che apre il di-sco: “Alla fine ti fu chiaro perché quel gran parlare della tua bel-la conchiglia auricolare; e quel solleticare. Eccoli i padiglioni, i disimpegni, la chiocciola i vesti-boli ecco la stanza”. Padiglioni, disimpegni, chiocciola e vesti-boli sono le parti interne del-l’orecchio, quindi torna con la conchiglia auricolare. Oppure in La moda nel respiro in cui “dici i sogni e pensi ai bottoni, son aso-le i risvegli”: i risvegli sono i mo-menti che imbrigliano i nostri sogni, un concetto bellissimo. Squarci di luce, come quando c’è un temporale di notte e un lampo all’improvviso illumina la scena a giorno e tu vedi tutto, ma per mezzo secondo, che ba-sta solo a darti delle sensazioni. Squarci che bastano a farti capire che questa poesia fatta di ironie, giochi di parole, allitterazioni e metafore, sparsa, un po’ come il sale, a spizzichi e non in modo uniforme, basta a condire tutto il resto, che ha un senso. Anche se forse il senso è che non c’è senso.

Luigi Bolognini

Quando tempo fa mi misi a cer-care La finestra dentro di Roberto “Juri” Camisasca, rimasi stupito dalle 250.000 lire che il venditore di dischi usati mi chiese per acqui-stare una copia in vinile. “Questo Camisasca”, mi spiegò paziente, “ha una nicchia di irriducibili sostenito-ri che pagherebbero qualunque cifra per un suo vecchio disco!” Effettiva-mente nel mercato delle ‘bancarelle’ La finestra dentro di Camisasca è introvabile, e quando capita si può acquistare a prezzi proibitivi, nono-stante la successiva ristampa su CD, ad opera della Artis Records, del 1991. Questo aneddoto tratteggia l’alone di mistero che da un quarto di secolo ruota attorno a Juri Ca-misasca, artista culto dalla parabola umana e artistica affascinante, un

timbro vocale straordinario, venera-to alla ‘follia’ da chi l’ha conosciu-to, sconosciuto ai più. La Finestra dentro, del 1974, è il suo primo LP. Viene pubblicato per la BLA BLA Ed. Musicali e prodotto dall’amico Franco Battiato, col quale in futuro avrà una collaborazione proficua. Juri allora ha solo ventitré anni e, a parte due singoli del ‘75, rimane l’unica opera per quattordici anni, come una meteora. Sono canzoni dai testi irruenti e kafkiani e impos-sibili da inquadrare stilisticamente, se non nel contesto della beat ge-neration, di Kerouac, o nel mito di Woodstock di Hendrix. Camisasca colpisce soprattutto per l’intensità espressiva del suo modo di cantare, tra il timido e il selvaggio, l’alienato e lo sconvolto. Quasi ingenuamente

dipinge in maniera terribile e per-sonale il disagio esistenziale. Lo stesso disagio che da lì a pochi anni lo avrebbe portato a ritirarsi in un convento benedettino. È diverten-te ascoltarlo parlare oggi di queste prime canzoni. “Non le rinnego, perché fanno parte della mia storia, le porto nelle ossa ma... sembra che sia un’altra persona a cantarle!” Tut-tavia in questo esordio si anticipano temi che Camisasca approfondirà con gli anni. Come ammette lui stesso di Un galantuomo nel libretto del CD (ris.91): “Quei topi cui mi

riferivo erano i pensieri. -’Nel mio corpo ci sono delle fognature e tutti le chiamano vene, ma dentro ci sono dei topi che corrono’-. Dipingeva il mio stato di allora; la situazione di disagio che vivevo era causata dai pensieri negativi e io avevo dato quella connotazione: i topi. Adesso ho scritto un altro motivo molto si-mile, La nave dell’eterno talismano, e dico: -’I pensieri non danno pace, disturbano la mente, guardali pas-sare come degli aeroplani in volo, non fermarli, lasciali dissolvere...’- È la stessa canzone vent’anni dopo.” Viene da chiedersi se scrivendo Un fiume di luce avesse già in cuore la fiamma che avrebbe dato valore alla sua esistenza: “In questo istante la mia mente fa amicizia con la Luce. M’illumina per la prima volta in vita mia.” Per chi ne volesse sapere di più: http://web.tiscalinet.it/Ca-misasca

Paolo Micheli

JURI CAMISASCA| La finestra dentro1974 BLA BLA Edizioni Musicali

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L’EDITORIALEUna nuova scommessa per la musica italiana

Ha senso parlare ancora di editoria musicale su carta stampata? Domanda legittima dopo che la motosega chiamata crisi è passata sulle teste di molte piccole realtà e ne ha fatto brandelli. L’ISOLA è riuscita a non farsi rasare, schiacciare del tutto

(diciamo però che abbiamo preso una bella pettinata...) e proprio come un prato tagliato ricresce più forte di prima. Si riparte e si scommette su un nuovo modo di essere presenti sul mercato, su un concetto di “circuito” distributivo gratuito gestito prevalentemente in 10 città: Torino, Genova, Milano, Brescia, Verona, Bologna, Firenze, Pescara, Roma e Napoli.In ognuna di queste grandi città L’ISOLA sarà distribuita gratuitamente in dieci luoghi strategici, luoghi vivi, attivi, luoghi per chi ama la musica e la segue, sia da ascoltatore-spettatore passivo che acquirente-musicista attivo. Sarà possibile trovarla nei negozi di dischi, locali, biblioteche, librerie, università, scuole di musica, studi di registrazione, eccetera. Ma non in tutti, è ovvio. Essere così capillari con un prodotto gratuito non sarebbe possibile, ma quando parlavamo di “circuito” s’intendeva proprio questo. L’ISOLA sta lentamente costruendo un reticolo di luoghi legati a fi lo doppio con la musica e per ognuna di queste città sceglierà i propri “partner” con cui stringere le maglie di questa rete distributiva. Un’operazione che prevede un numero altissimo di copie distribuite (circa 90.000) e che pone L’ISOLA come interlocutore musicale privilegiato per ogni realtà che voglia raggiungere il proprio target di riferimento. Siamo pronti a questa nuova sfi da e grazie anche al sito, ormai una pietra insostituibile del progetto-Isola, potrete seguire tutte le indicazioni per trovare i luoghi a voi più vicini. Per tutti gli altri sono previste accattivanti formule di abbonamento e di fi delizzazione. Nel frattempo abbiamo anche cambiato formato, rifatto il look e aggiunto rubriche nuove. Non ci resta che varare questa nave e salirci sopra. Destinazione sempre la stessa: l’isola che non c’era. E come diceva il buon Bennato, ora più che mai, ...”E ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te”. Venghino signori, venghino, in questo mondo di pazzi...

Francesco [email protected]

Anno I - numero zero mar/apr 2010 In attesa di registrazione Tribunale di Milano.

Edizioni: L’Isola srlDirettore responsabile: Francesco ParacchiniVice direttore: Rosario PantaleoCapo-redattore: Alessio ZipoliSegreteria operativa: Martina ArzentonMarketing e Pubblicità: Alessandra PanaroRedattori: Gabriele Betti, Alessia Cassani, Paola Chiesa, Veronica Eracleo, Roberta Genovesi, Daniela Giordani, Paolo Micheli, Valeria Napolitano, Andrea Romeo, Simonetta Tocchetti, Stefano Tognoni.Corrispondenti: Antonello Furione (Torino), Andrea Podestà (Genova), Ricky Barone (Brescia), David Bonato (Verona), Cristiano Governa (Bologna), Michele Manzotti (Firenze), Giampiero Cappellaro (Roma), Martina Neri (Roma), Paolo Talanca (Pescara), Michelangelo Iossa (Napoli)Hanno inoltre collaborato: Fabio Antonelli, Alberto Bazzurro, Francesco Caltagirone, Paolo D’Alessandro, Enrico de Angelis, Giorgia Fazzini, Ambrosia J.S.Imbornone, Maria Lucia Nagni, Roberto Paviglianiti, Alessia Pistolini, Perla Pugi, Giulia Zichella, Gianni Zuretti.Per le foto si ringrazia: Danny Clinch (foto di copertina), tutti gli Archivi e gli Uffi ci Stampa degli artisti citati.Grafi ca, impaginazione e progetto grafi co: Antonello Furione ([email protected])

L’ISOLAVia Sempione, 25 - 20016 Pero (MI) - Tel. 02 3581586

Redazione: [email protected] e arretrati: [email protected]

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L’ISOLA

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Una canzone a fumetti

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