L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma 2011

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LE ECCELLENZE DELL’ISOLA NELLA CAPITALE 23 - 24 - 25 settembre 2011 VENERDÌ 23 SETTEMBRE SABATO 24 SETTEMBRE DOMENICA 25 SETTEMBRE VUOI INVESTIRE IN SARDEGNA? ECCO IL TUO PARTNER IDEALE [email protected] CERCHI NUOVI MERCATI FUORI DALL’ISOLA? ECCO IL TUO PARTNER IDEALE [email protected]

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Numero monotematico dedicato alla manifestazione "L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma" - Edizione 2011.

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Periodico di tradizioni popolari, cultura della tavola, ambiente, eventi e turismo diretto da Giorgio Ariu • Settembre 2010 • Anno VIII • N. 1 • COPIA GRATUITA

LE ECCELLENZE DELL’ISOLA NELLA CAPITALE

23 - 24 - 25 settembre 2011

VENERDÌ 23 SETTEMBRE SABATO 24 SETTEMBRE DOMENICA 25 SETTEMBRE

VUOI INVESTIREIN SARDEGNA?

ECCO IL TUO PARTNERIDEALE

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CERCHI NUOVI MERCATIFUORI DALL’ISOLA?

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2 Settembre 2011

«Cagliari è una delle Capitali del Medi-terraneo, un nodo nevralgico nel pro-cesso di sviluppo già in atto», così il

sindaco di Roma Gianni Alemanno ha definito il capoluogo sardo in una delle sue visite. Il primo cittadino della Capitale ama la Sardegna e lo ave-va dimostrato anche in occasione dell’edizione di due anni fa de ”L’Isola che c’è”, quando aveva lo-dato l’iniziativa in quanto occasione di una cono-scenza lontana dagli stereotipi, «l’opportunità di una visione più vera di questa splendida regione».E Cagliari deve assumere il ruolo di guida dell’Isola, sostenuta dalla Regione, che a sua volta «deve do-tarsi di strumenti finanziari e legislativi per assicu-rare al suo capoluogo quella funzione di traino che è irrinunciabile nell’attuale assetto organizzativo dello Stato Federale». Una città metropolitana, nel-la quale anche l’hinterland venga valorizzato e ab-bia una parte importante. Una città dalla bellezza struggente, tanto da fargli ritenere eccessivo il rico-noscimento promesso con la cittadinanza onoraria.

Gianni Alemanno

ECCO LA GRANDE PIAZZA di Antonio Maria Masia

Perché stavolta parliamo di “miracolo”, seppure con le attenzioni del caso rispetto alla parola usata? La festa di una comunità uguale a un “miraco-lo”, seppure piccolo? Ebbene sì! La nostra As-

sociazione, ancorché alle prese con limitatissime risor-se finanziarie e con altrettanto limitate disponibilità di risorse umane, si è fatta carico, pur nell’attuale contesto di grave crisi economica e istituzionale che attraversa il nostro Paese, di dare fondo alle proprie energie e capa-cità organizzative e di passione per organizzare, anzi co-organizzare, l’attesa manifestazione culturale, enogra-stronomica e di spettacolo per il terzo anno consecutivo. Così ecco l’edizione 2011, ancora una volta a Roma e an-cora nella splendida piazza di San Giovanni in Laterano. Ancora insieme con la GIA Comunicazione di Giorgio Ariu, il dinamico operatore economico e culturale che, da sempre, con le sue iniziative contribuisce a dare visibilità e notorietà alla nostra Isola, alle sue tradizioni, ai suoi arti-sti, scrittori ed imprenditori. Ricordiamo fra le produzioni più significative di Giorgio Ariu, i suoi apprezzati giorna-li, Il Cagliaritano, SardegnaTavola e Via Mare. L’Isola che c’è è una sua idea, una sua “creatura” che data da diversi anni e che dopo aver girato per varie città d’Italia a con-tatto diretto con le comunità dei Sardi in Continente, si è ora fermata a Roma grazie all’incontro con il Gremio. Ancora insieme con l’Associazione Salpare di Alghero-Ro-ma di Neria De Giovanni, presidentessa dell’Associazione internazionale dei critici letterari (AICL), scrittrice, editri-ce, ed instancabile punto di riferimento per la diffusione della cultura sarda e non solo. Con l’apporto di Salpare an-che in questa edizione avremo l’onore di ospitare lo svol-gimento del prestigioso premio “Alghero Donna 2011” che Neria organizza e tiene ad Alghero da dieci anni. Fra le premiate la nostra grande giornalista Bianca Berlinguer per il settore informazione e la poetessa Anna Manna per la letteratura, con la speciale esibizione dell’attrice Nerina Nieddu di Sassari, interprete di alcuni brani del compian-to poeta Ignazio Delogu di Usini, di recente scomparso. Il piccolo “miracolo”, con poche risorse, dicevamo, ma con enorme entusiasmo, e come sempre con l’aiuto prezioso e determinante della nostra socia d’onore Gemma Azuni, la nostra Consigliera Sarda al Comune di Roma, e del presi-dente della FASI (la Federazione dei Circoli sardi d’Italia), Tonino Mulas, vedrà la luce venerdì mattina 23 settembre, a partire dalle ore 10:30, e proseguirà per le giornate suc-cessive di sabato 24 e domenica sera 25, fino a tarda sera.Molte le iniziative culturali e gli spettacoli previsti. Nu-

merosi gli stand presenti a fare da vetrina ai prodotti enogastronomici d’eccellenza della Sardegna ed in par-ticolare di alcuni centri dell’Isola famosi per i torroni, il vino, l’olio d’oliva, il formaggio, le salsicce; ma anche i prodotti dell’artigianato, dai tappeti agli arazzi, dai ce-sti ai coltelli e così via. Stand che ospiteranno libri ed autori, documentari e registi, enti sardi che valorizzano i luoghi della nostra Terra ai fini turistici come ad esem-pio il “Trenino verde”. Importanti personaggi, legati o per nascita o per affetto alla Sardegna, riceveranno il premio “L’Isola nel cuore”. L’anno scorso, ci piace ri-cordarlo, il premio fu assegnato ai dieci giornalisti sardi più noti ed affermati a Roma (Olla, Sechi, Floris, Frau, Berlinguer, Chessa, Ribichesu, Bellu, Gagliardi, Piras). Tra coloro che verranno premiati quest’anno, Gigi Riva, l’indimenticabile “Rombo di tuono” grazie al quale an-che nel settore calcio la Sardegna è pervenuta ai mas-simi livelli, i Cugini di Campagna, Gemma Azuni e Tonino Mula a testimonianza e riconoscenza del loro impegno politico e sociale per la conservazione e valo-rizzazione dell’identità e della cultura della Sardegna. In onore a Gigi Riva uno speciale e quasi inedi-to, ma attraente e significativo, spettacolo teatra-le e musicale sulla vita, straordinaria, del cannonie-re di Leggiuno, ormai sardo doc a tutti gli effetti. Il concerto degli amici (così li consideriamo ormai per af-fetto e continuità di presenza) del coro “Gavino Gabriel” di Tempio con i loro canti a tenores ricchi di brani sug-gestivi e famosi. Ricordiamo che Gavino Gabriel, l’usi-gnolo di Tempio, è stato un grande artista, socio a suo tempo del Gremio, che ha lasciato segni importantissimi nell’ambito della discografia e del panorama musicale italiano. Il coro, tra l’altro, accompagnerà la Messa che a mezzogiorno della domenica 25 verrà celebrata nel-la Basilica di San Giovanni per la comunità dei Sardi di Roma. Il fantasmagorico e colorato gruppo medievale di sbandieratori di Iglesias ci accompagnerà nel corso di tut-ta la manifestazione con le sue marce e lanci di bandiere. La manifestazione, all’insegna della positiva con-taminazione culturale con la città che ci ospita, ve-drà incontri e dibattiti con artisti e personag-gi di Roma ed amici non sardi: questa una delle finalità della nostra rassegna: incontrare e rapportarsi con gli altri per uno scambio di idee, valutazioni e progetti, per una convivenza ed integrazione tollerante e civile. Non mancherà il tema della solidarietà. Noi Sardi sia-mo stati un popolo che ha conosciuto e praticato l’emi-grazione, attraverso tanti uomini e donne che, in al-tre epoche gravide di enormi sacrifici e amare rinunce, hanno lasciato la propria Terra alla ricerca di un futuro migliore, non sempre incontrato. Noi che abbiamo cerca-to e chiesto solidarietà alle comunità che ci hanno ospi-tato, ora rivolgiamo la nostra attenzione ai più poveri del mondo: ai campesinos del Nicaragua, aiutando la Onlus dell’Arch. Luciana Vasile “Ho una casa”, voglia-mo donare una piccola abitazione vera, al posto di una baracca, al costo di 5.000 euro che stiamo raccoglien-do e che contiamo di completare durante la rassegna. Parleremo con responsabili delle Istituzioni del problema

del caro trasporti, che quest’anno ha pesato gravemente sull’attività turistica, fonte importantissima dell’economia dell’Isola, e della continuità territoriale. Quella vera, quella definitiva e non più legata a temporanei provvedimenti le-gati alla specificità etnica, quella che possiamo riassumere con questa definizione: ogni cittadino italiano, a prescinde-re dalla sua origine, (vale anche per le merci) deve potersi spostare nel territorio peninsulare ed insulare di questo Paese a parità di condizioni, come se fra l’Isola e la Peniso-la ci fosse un ponte, come se il mare non fosse più un osta-colo fisico ed economico. Questo obiettivo ha portato, il 15 giugno, in piazza Santissimi Apostoli a Roma tutti i Circoli sardi d’Italia a manifestare per l’abbattimento del divario insulare, la sua misurazione e conseguente compensazione. “L’Isola che c è” avrà quest’anno un preciso filo condutto-re: la cultura del Vino. Vogliamo in questo modo, assecon-dando un indirizzo della Regione Sarda, che come noto, riconosce nei Circoli d’Italia e del mondo una sorta di suoi ambasciatori culturali ed economici, dare risalto e ancora più diffusa conoscenza dei più importanti vini sardi. Vini di qualità che hanno tanto di nome e cognome e che ver-ranno fatti degustare ai presenti alle varie iniziative in cor-so, da esperti sommelier. Vini che rappresentano una parte importante del vissuto, delle tradizioni agricole e produtti-ve della Sardegna, vini che con il loro affermarsi nel pano-rama regionale, nazionale ed internazionale hanno deter-minato prosperità per una attività sempre più importante per operatori e famiglie intere che hanno visto evoluzione e progresso per se stessi e per il contesto locale e sociale di origine. Vino significa economia, significa cultura, significa alimentazione. Ma anche divertimento, se utilizzato nelle giuste dosi. Vino vuol dire arte, anche sacra con il vino per la messa. Chenza ‘inu ‘onu non si cantat Missa” è un modo di dire significativo di quanto valga questo prodotto che farà ampio sfoggio durante questa edizione. Parleremo del vino con conferenzieri di provata capacità nel setto-re. Canteremo il vino della Sardegna anche con l’esibi-zione del gruppo musicale “Ruseddu” di Gavino Ruggiu, autore ed interprete della canzone identitaria sassarese. E ricordando (come amava cantare mio padre) che “tres sunt sos regalos de Deus/misciados a dolu e allegria/s’aba, su ‘INU e s’olzu e s’olia, pro chi sa vida colet in recreu”, propongo, a nome del Gremio, di Giorgio Ariu e di Neria De Giovanni, l’appuntamento a piazza San Giovanni in Laterano per il “piccolo miracolo”, che dura tre giorni, ai sardi di Roma e dintorni, nonché agli ami-ci romani e continentali che desideriamo affettuosamen-te incontrare, per tuffarci, tutti insieme, nell’atmosfera magica della nostra Terra ospitale, assaporando, perché no, il profumo ed il gusto dei suoi vini... e non solo. Appuntamento che opportunamente interviene, nel segno attuale del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e che ser-virà a rafforzare il legame fra quei “Fratelli d’Italia”, per i quali la FASI ha realizzato, ed ha tuttora in corso, una bel-lissima, per quantità e qualità, Mostra per illustrazioni, sa-tira, immagini e disegni, dedicata al concetto dell’Unione e della Solidarietà, presentata inizialmente a Roma, attraver-so il Gremio, e poi esposta in tante altre città d’Italia e del mondo in collaborazione con i Circoli ed altre Associazioni.

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Settembre 2011 3

È partita il 2 settembre da Teti l’edizione 2011 di “Autunno in Barbagia”, la rasse-gna durante la quale i Comuni dell’interno dell’isola mettono in mostra i loro saperi e sapori. “Una scommessa vinta”, come l’ha

definita il sindaco di Teti Pietro Galisai, e una spe-ranza di rilancio dopo i bilanci deludenti dell’esta-te, per una manifestazione che l’anno scorso ha fatto registrare 35 mila visitatori in ogni paese coinvolto.

Tra i ventotto Comuni del Nuorese anche quelli della Comunità Montana del Gennargentu Mandrolisai, che presenta a Roma per l’evento “L’isola che c’è” il suo pa-trimonio di 600 chilometri quadrati fra le montagne del Gennargentu che includono i paesi di Aritzo, Atzara, Austis, Belvì, Desulo, Gadoni, Meana Sardo, Ortueri, Sorgono, Teti e Tonara. Piccoli gioielli incorniciati da un territorio che offre angoli meravigliosi, dove il trekking, l’agriturismo e la pesca di lago hanno una ambientazione

ideale. Un’occasione per valorizzare la natura, ma anche quelle che furono e sono le maggiori tradizioni e realtà economiche della zona, a partire da Teti, circondato di fitti boschi di lecci e sugherete secolari abitati da cervi, daini, cinghiali, volpi e lepri e numerosi siti archeologici di epoca prenuragica e nuragica, e Austis dove tra i boschi rigoglio-si affiorano rocce granitiche che sembrano vere e proprie sculture come Sa Crabarissa. Poi Tonara, famosa per il suo torrone e dove si può osservare il lavoro dei mastri ferrai e degli artigiani dei tappeti nelle loro botteghe, Meana Sardo con il suo suggestivo centro storico di case costruite in pie-tra scistosa e decorate in stile aragonese e Belvì con il suo territorio ricco di boschi di ciliegi, noccioli, noci, castagni, roveri, lecci e agrifogli e il Museo naturalistico. E ancora Sorgono, le cui origini risalgono all’epoca prenuragica e che conserva il sito di “Biru’e Concas”, tra i più suggestivi raggruppamenti di menhir di tutta la Sardegna, Aritzo con i suoi panorami estremamente vari che vanno dalle valla-te ricoperte da castagneti e noccioleti alternate alle ripide spaccature e gole create dai torrenti affluenti del Flumen-dosa, e Desulo, dove la bellezza della tradizione convive con le bellezze naturali della vallata coperta di boschi di lecci e castagni e ricca di sorgenti. Infine Atzara e il suo centro storico medievale di impianto aragonese con le tipi-che case basse in granito dalle soffitte coperte con travi di quercia, e Gadoni, famoso per le miniere di “Funtana Ra-minosa”, sfruttate già nel periodo nuragico per la produ-zione di rame e oggi parte del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco.La rassegna “Autunno in Barbagia” è nata quando la Ca-mera di Commercio di Nuoro ha fatto propria l’idea lancia-ta dal Comune di Oliena, che aveva organizzato nel 1996 la prima edizione di Cortes Apertas nel proprio territorio, ed ora una realtà importante per questi piccoli Comuni, ognu-no con i suoi tesori valorizzati dall’unione sotto il mar-chio Barbagia che li identifica. Un successo testimoniato dall’aumento delle comunità entrate quest’anno nel circu-ito e dalla proposta di estendere la manifestazione ai mesi estivi e invernali. «Il nostro territorio si presta ad essere visitato in tutte le stagioni, è questa la sua peculiarità», af-ferma il presidente della Comunità Montana Gennargentu Mandrolisiai, Gian Luigi Littarru, «in autunno con le nu-merose sagre, in inverno offriamo lo spettacolo dei monti innevati, in primavera la natura si mostra al massimo del suo splendore e perfino in estate, grazie al clima mite con-tinua ad essere un piacere per i turisti venire a trovarci».

Autunno in Barbagia

Trentacinque anni fa nasceva la prima scuola calcio in Sarde-gna, e una delle prime in Italia, voluta e intitolata al famosis-simo campione del Cagliari e della Nazionale Gigi Riva. Con lui altri importanti personaggi del mondo dello sport isola-no, il rag. Cenzo Soro ed il prof. Enzo Molinas, che con gran-

de impegno ne hanno curato la gestione ogni giorno per oltre trent’anni.Lo sport prima di tutto, inteso come “palestra di vita”, luogo di incontri e so-cializzazione, momento di crescita per ogni atleta nella vittoria e nella sconfit-ta: questo lo spirito del Centro Sportivo “Gigi Riva”, il primo in Italia ad aver ricevuto il riconoscimento ufficiale del CONI e della FIGC come Centro di Av-viamento allo Sport del Calcio e come Scuola Calcio. Ai riconoscimenti uffi-ciali si aggiunge quello, non meno importante, dei numeri: la scuola calcio più frequentata in Sardegna ha contato oltre 10 mila bambini tra i sei e sedici anni allenarsi sui campi delle Saline di Stato in questi trentacinque anni di attività.La ragione di questo successo è la proposta dello sport per tutti, indipen-dentemente dal talento e dalle condizioni sociali ed economiche. La defi-niscono “smitizzazione del campionismo”, ossia di quella ricerca osses-siva del talento che affligge il calcio: i dirigenti e gli istruttori del Centro Sportivo hanno sempre anteposto alla selezione l’obiettivo di offrire a tut-ti i ragazzi la grande opportunità di socializzare e crescere insieme. Tutto questo anche senza alcun guadagno, come nel caso dei tanti ragazzi pro-venienti dai quartieri più disagiati di Cagliari che hanno avuto la possibi-lità di giocare senza pagare nulla, o di tutti i giovani che sono approdati in squadre di categoria superiore. Perché sport per tutti non significa accanto-nare la ricerca e l’assecondamento del talento anzi, più ragazzi inseguono il pallone sui campi, più talenti hanno la possibilità di emergere. Ed è per questo che calciatori diventati poi professionisti, come Massimiliano Pani e Gianluca Festa, hanno indossato da bambini la maglia del “Gigi Riva”. “L’Isola che c’è” è anche una festa di sport in cui i giovani calciatori cagliaritani hanno la possibilità di confrontarsi con i giovani calciatori romani delle stori-che società Spes Montesacro e Romulea, in attività dagli anni Venti. Non una battaglia per aggiudicarsi un trofeo ma un incontro tra coetanei che condivido-no la stessa passione per il calcio, questo lo spirito del triangolare organizzato quest’anno nell’ambito della manifestazione di piazza San Giovanni. La Scuo-la Calcio “Gigi Riva” festeggia dunque anche così i suoi trentacinque anni, of-frendo un’altra nuova occasione di divertimento e di crescita ai propri allievi.

L’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA, LA MAGIA DEL TRENINO VERDE

Ecco l’isola mai vista

Invitoper l’isola

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CANTANDOI VINIDELL’ISOLA

VENERDÌ23 SETTEMBREORE 19

PREMIO‘‘LA SARDEGNANEL CUORE’’

SABATO24 SETTEMBREORE 20

ESIBIZIONE BALESTRIERI IGLESIAS

SABATO24 SETTEMBREORE 21DA LEGGIUNOIN NAZIONALE

SABATO24 SETTEMBREORE 22COROGAVINO GABRIEL

SPETTACOLO TEATRALEDI FRANCESCO PELLICINIIN PRIMA NAZIONALE

DOMENICA25 SETTEMBREORE 18GALEP,TRA TEXE OPERERELIGIOSE

DOMENICA25 SETTEMBREORE 20

RINO LOMBARDIIN CONCERTO

ROMA PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO

SPETTACOLI - EVENTI - INCONTRI - SPETTACOLI -

VENERDÌ 23 SETTEMBREORE 19CUGINI DI CAMPAGNA

VENERDÌ23 SETTEMBREORE 21

GRUPPO FOLK RUSEDDU DI SASSARI

DOMENICA 25ORE 12ARCIBASILICA DI SAN GIOVANNIMESSA CANTATA IN SARDO

DALLA FRANCIAIL CANTAUTORE DI ORIGINI SARDE

Cento31s u l l a Carlo Felice

Periodico di tradizioni popolari a diffusione gratuitaSETTEMBRE 2011 - Anno IX n° 1

DIRETTORE RESPONSABILEGiorgio Ariu

IN REDAZIONESimone Ariu, Maurizio Artizzu, Antonella Solinas,

Lorelise Pinna, Stefania Onano, Antonello Angioni

Registrazione Tribunale di Cagliarin. 19/03 del 10/03/2003

GIA Comunicazione di Giorgio Ariuvia Sardegna, 132 - 09124 Cagliari

Tel. 070 728356 [email protected]

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A “L’isola che c’è”il Premio Alghero Donna trova casa

Il Premio Alghero Donna di letteratura e gior-nalismo che ho ideato nel 1995 col periodico di cultura SALPARE che dirigo e l’Associa-zione omonima che presiedo, dopo una breve

interruzione dovuta al mancato finanziamento del Premio da parte del Comune di Alghero, nel 2010 è ritornato più vitale e “nazionale” di prima grazie al sostegno dell’associazione ambientalista “Mare Amico”. Infatti nel 2010 è stato assegnato all’inter-no della manifestazione “Rassegna del Mare”: per la narrativa a Lia Levi con “La sposa gentile” (E/O ed.), per la poesia a Gabriella Sica con Le lacrime delle cose (Moretti & Vitali), mentre la sezione gior-nalismo a Paola Saluzzi di Sky TV è stata consegna-ta proprio durante le giornate dell’Isola che c’è- Sar-degna incontra Roma, a San Giovanni in Laterano.Il Premio Alghero donna per l’albo d’oro delle sue premiate, per l‘ottima stampa che ha sempre avuto, per l’attenzione del pubblico dei lettori e dei critici, pur portando il nome della città dove è nato, credo raggiunga una dimensione nazionale di grande ri-lievo proprio nel cuore del nostro Paese, grazie alla collaborazione di GIA Comunicazione di Cagliari e del Gremio dei sardi di Roma. Così nel 2011 una Giuria composta da Neria De Giovanni, presidente, Massimo Milza dell’Associa-zione SALPARE, Giorgio Ariu, della GIA Comuni-cazione, Antonio Maria Masia presidente del Gre-mio dei sardi e l’on. Maurizio Policastro consigliere dell’Assemblea capitolina, ha indicato le vincitrici tra cui, per il Giornalismo Bianca Berlinguer, di-rettore del TG3, alla quale già anni orsono, avevo

proposto il Premio e soltanto una indisposizione fa-miliare le aveva impedito di venire ad Alghero per ritirarlo. A Piazza San Giovanni in Laterano alle ore 19 di sa-bato 24 settembre, il Premio sarà aperto da un mo-mento di spettacolo: l’attrice Nerina Nieddu inter-preterà brani letterari di Ignazio Delogu e Gavino Ledda.Il Premio Alghero Donna a Roma è di casa. Infatti ho pensato a questo riconoscimento in quanto la Sarde-gna è la terra natale di Grazia Deledda, l’unico Pre-mio Nobel donna alle Lettere per l’Italia che a Roma è vissuta più della metà della sua vita e nell’agosto del 1936 è stata sepolta al Verano, il cimitero monu-mentale della Capitale.A L’Isola che c’è - Sardegna incontra Roma, il Pre-mio Alghero Donna è in ottima compagnia. Infatti nello Spazio Incontri dal 23 al 25 settembre si alter-neranno presentazioni di scrittori a cura di Neria De Giovanni e Antonio Maria Masia: Josefa Rhocco con “Un luogo dove restare” e Gianni Atzori con “Anda-las” entrambi delle Edizioni Nemapress, Biagio Ari-xi con Donne…per niente (Edizioni Libreria Croce). E poi dibattiti e convegni (Il vino nell’arte, I proble-ma dei trasporti tra la Sardegna e il Continente), e il Premio “La Sardegna nel cuore” a personalità che con il loro lavoro e la loro vita dimostrano attacca-mento ed amore per la Sardegna. Poi teatro e musica, tradizione e folklore, stand isti-tuzionali ed enogastronomici. E sì, L’Isola che c’è - Sardegna incontra Roma, aspet-ta il Premio Alghero Donna 2011 ed aspetta anche te!

di Neria De Giovanni

Angelo Liberati nasce a Frascati (Roma) il 2 giu-gno 1946. L’incontro a Roma con il pittore italo-argentino Silvio Benedetto, nei primi anni sessanta

(1964), è l’occasione per l’apprendimento delle tecniche del mestiere di pittore, attraverso la frequentazione del-lo studio dell’artista, in via del Babuino, strada storica tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna. Per tutti gli anni sessanta sarà questo il suo percorso preferito per le fre-quentazioni delle gallerie di punta in quegli anni (Galleria Due Mondi, Il Fante di Spade, L’Attico, La Nuova Pesa). Nel 1970 si trasferisce in Sardegna, dove, a contatto con le neoavanguardie isolane (Galleria Sinibaldi, Il Basilisco di Francesco Tanda, Arte Duchamp), matura una poetica che combina la rivalutazione dell’elemento pittorico con le pratiche del riporto e del décollage di provenienza “pop”.Programmaticamente il suo segno è permeato dalla in-fluenza di Renzo Vespignani, maestro da sempre e amico fraterno per quasi vent’anni.

Bibliografia: Angelo Liberati, opere 1975-1993, presenta-zione di Mario Ursino e una testimonianza di Renzo Ve-spignani, Ed. S.P.A.C.C. –Roma 1993.

“Liberati”, opere 1973-2000, con interventi di Pietro Stora-ri ed Enrico Deplano, Ed. CUEC – Cagliari 2001.

Angelo Liberati – Opere, a cura di Maura Quartu, I Qua-derni n. 1, catalogo della mostra al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea A. Ortiz Echague di Atzara (NU) 2004-2005

Angelo Liberati - Luchino Visconti percorsi di pittura, ci-nema, architettura. Cura e organizzazione: Provincia di Cagliari, Assessorato Beni Culturali - Sistema Museale Testi: Barbara Cadeddu, Maura Quartu, Marcella SerreliSpazio San Pancrazio Cittadella dei Musei, Cagliari 24 feb-braio - 25 marzo 2006

Documentari:Arte Duchamp Cagliari-Stresa - regia di Tonino Casula, 1981Angelo liberato - regia di Andrea Frisan, DVD, 2003L’Invito - regia di Gino Melchiorre, DVD, 2004Transfer Drawing – consulenza video, Gino Melchiorre, DVD, 2005Secretum patellae – regia di Gino Melchiorre, DVD, 2008

Angelo Liberati viive a CagliariStudio: Via Corte d’Appello, 28Tel. 39 3207038922 – 39 07066927809124 Cagliariwww.angeloliberati.it

Atelier di RomaPiazza Santa Maria Ausiliatrice, 24Tel. 06 782220400181 ROMA

Angelo Liberati, “L’Isola che c’è”, 2011. Particolari estratti dalle 11 opere realizzate con la tecnica degli inchiostri, delle matite colorate, dei colori acrilici, degli smalti, dei pastelli, del dècollage e collage su cartoncino, in occasione della manifestazione: Sardegna incontra Roma 2011

Bianca Berlinguer e Giorgio Ariu a “L’isola che c’è” .

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6 Settembre 2011

F ino a qualche decennio fa era opinione co-mune fra tutti gli studiosi del settore che l’arrivo in Sardegna del vino, e di conse-guenza della successiva coltivazione della vite, fosse da far risalire alla prima coloniz-zazione fenicia (IX-VIII sec. a.C.), e che la vitivinicoltura diffusa in scala più ampia

datasse alla successiva dominazione cartaginese (VI sec. a.C.), e romana poi (III sec. a.C.). Fortunate campagne di scavo, condotte con i più moderni sistemi di indagine ar-cheologica, coadiuvate da sofisticate analisi scientifiche, nonché comparazioni con altri siti extra-insulari, le cui gen-ti hanno avuto contatti nella preistoria e nella protostoria con le popolazioni dell’Isola, hanno consentito di spostare, almeno a partire dalla fine dell’Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.) fino agli inizi dell’Età del Bronzo Recente (XIV sec. a.C.), la certezza della presenza in Sardegna della vite e del vino. A partire da tale periodo, infatti, si intensifica-no e si consolidano i rapporti bilaterali, già intrapresi in precedenza, col bacino orientale del Mediterraneo e in particolare col mondo miceneo. Compaiono nuove forme ceramiche più adatte alla conservazione e al trasporto di derrate, con le superfici esterne ed interne particolarmen-te trattate al fine di contenere sostanze liquide di pregio, quali olio d’oliva e vino, nonché recipienti per la mescita e per il consumo di bevande, come appunto il vino. Sono significative, a questo proposito, le diverse bocchette “da vino”, provenienti da livelli certi del Bronzo Recente, in ce-ramica “grigia nuragica”, ritrovate in alcune località della Sardegna: nel Nuraghe Antigori di Sarroch, nel comples-so nuragico di Santu Pauli di Villamassargia, nella grotta santuario di Pirosi - Su Benazzu di Santadi, nel Nuraghe Arrubiu di Orroli, e nel probabile scalo commerciale nura-gico nel porto di Kommos, nelle coste meridionali dell’iso-la di Creta. Nell’età del Bronzo Finale (XII-IX sec. a.C.), che vede anche la Civiltà Nuragica al suo massimo apogeo, la presenza della vitivinicoltura nell’isola si fa più puntuale ed è suffragata da analisi scientifiche incontrovertibili. La coltivazione della vite è un fatto ormai acquisito da gran tempo, con tutte le operazioni ad essa connesse, compresi anche tutti i processi di addomesticamento della “Vitis vi-nifera silvestris”, ampiamente diffusa in tutto il territorio dell’Isola. Anche i contenitori “da vino” si modificano e si evolvono in forme tipiche della cultura sarda: “brocche askoidi” e piccoli “askos”, di squisita fattura, in ceramica e in bronzo, caratterizzeranno il repertorio vascolare sardo

fino alla prima Età del Ferro ed oltre, e verranno adottate nelle prospicienti coste tirreniche presso le Culture Villa-noviane prima, ed Etrusche poi (IX-VII sec. a.C.). Questi recipienti così particolari sono diffusi in tutta l’isola in nu-merosissimi esemplari e presenti in diversi contesti extra-insulari, in Sicilia, nell’Isola di Creta, in Tunisia (a Carta-gine, forse da attribuire ad un insediamento precedente la fondazione fenicia della città) e nella penisola iberica. A questi siti sono ovviamente da aggiungere i numerosissi-mi esemplari presenti, come si è detto, negli insediamenti etruschi della costa tirrenica della penisola italiana. E pro-prio da una brocca askoide versa il vino in una ciotola un personaggio seduto rappresentato in un bronzetto rinve-nuto nel sacello del santuario di Monte Sirai di Carbonia (VIII-VII sec. a. C.). Sempre più numerose sono, invece, le testimonianze dirette della presenza della vite e del vino in numerosi contesti nuragici isolani. Vinaccioli carbonizzati provengono dal Nuraghe Genna Maria di Villanovaforru e dal Nuraghe Duos Nuraghes di Borre, mentre alcuni acini carbonizzati sono stati di recenti ritrovati presso il Nura-ghe Adoni di Villanovatulo, in uno strato datato con cer-tezza alle fasi iniziali dell’Età del Bronzo Finale (XII sec. a.C.). Dal complesso nuragico di Bau Nuraxi di Triei, il località “Talavè”, ancora oggi a grande vocazione vitivi-nicola, proviene una grande brocca askoide in frammenti, dalla superficie esterna accuratamente dipinta di rosso. Un attento esame gascromatografico eseguito sui frammenti ha accertato la presenza di acido tartarico e che quindi il recipiente aveva contenuto del vino. E dal nuraghe Fun-tana di Ittireddu provengono due brocche askoidi, di cui una frammentaria contenente sul fondo una massa viola-cea di natura imprecisata: l’esame gascromatografico ha evidenziato anche in esse la presenza di acido tartarico e di conseguenza si tratta di contenitori usati per contenere e per la mescita del vino. Allo stato attuale delle conoscenze non si hanno però elementi certi riferibili ad attrezzature per la vinificazione in Età Nuragica. La presenza dell’uva e del vino è invece ben documentata in Età Fenicio-Punica dalla grandissima quantità di anfore vinarie da trasporto e recipienti di pregio in ceramica fine da mensa. Nel vil-laggio nuragico di Sant’Imbenia nella baia di Porto Conte ad Alghero, divenuto col tempo emporio fenicio e greco-euboico, è documentata la produzione di anfore vinarie da trasporto, denominate “ZitA” (Zentralitalische Anphoren), di foggia orientale, ma di argilla locale, la cui presenza è stata accertata in tutto il Tirreno, nell’Italia Centrale, a

Cartagine e nella Penisola Iberica a Toscanos e nel Castello di Dona Blanca di Cadice nella costa atlantica (X-IX sec. a.C.). Questi contenitori dovettero essere considerati par-ticolarmente adatti alla conservazione e al trasporto del vino, visto il vasto orizzonte di diffusione di questa forma ceramica così particolare. La recente identificazione di an-fore di tipo “ZitA” nel rione di “Dorimannu”, nell’abitato di Irgoli, sotto le cui abitazioni è presente un esteso abitato nuragico, e nel territorio di Posada, attesta la presenza di questi recipienti anche nelle coste orientali dell’Isola e spie-ga quindi la diffusione di questi contenitori lungo le coste del mar Tirreno. Appare logico supporre che, se la maggior parte delle anfore da trasporto del tipo “ZitA” presenti nel bacino del Mediterraneo occidentale erano sarde, anche il loro contenuto, cioè il vino prodotto nell’isola, raggiun-gesse i mercati iberici e nord-africani nella piena Età del Ferro: la più antica testimonianza, quindi, di una grande attività vitivinicola in Sardegna nei primi secoli del primo millennio a.C. e della commercializzazione del vino, quale prodotto di pregio, al di fuori dell’Isola! Le attrezzature per la vinificazione sono, invece ben documentate per quanto concerne il periodo romano. Un ambiente per la vinifica-zione è presente nella fattoria romana di S’Imbanconadu presso Olbia, recentemente riportata alla luce, e due labo-ratori enologici in eccezionale stato di conservazione, con vasche per la pigiatura, bacili, basi e contrappesi dei torchi, nonché recipienti di vario uso, in ceramica e vetro, erano presenti nei livelli di riutilizzazione degli spazi in Età Ro-mana (I sec. a.C. – V sec. d.C.) nel grande complesso nura-gico di Nuraghe Arrubiu di Orroli. Lo scavo ha permesso di recuperare una certa quantità di vinaccioli carbonizzati, appartenenti ad un vitigno ancora coltivato nell’isola, de-nominato a seconda delle diverse località “Bovale sardo, Muristellu”, ecc. Appare quindi evidente e scientificamen-te provata la presenza della vite e del vino in Sardegna, al-meno a partire dalla metà del secondo millennio a.C. Nulla è dato sapere per i periodi precedenti, anche se le culture preistoriche sarde, avendo avuto rapporti con popolazio-ni che già conoscevano la preziosa bevanda, potrebbero aver appreso la tecnologia relativa all’addomesticamento di specie selvatiche, alla coltivazione e alla vinificazione. Spetta ora agli specialisti del settore stabilire quali rapporti e parentele siano intercorsi tra i vitigni documentati per il passato e le varie “Cultivar” oggi presenti nell’isola, che è ora più che mai, come fu definita in passato, “Sardinia Insula Vini”.

aQuei brindisi in Piazza

LA STRAORDINARIA STORIA DEL VINO IN SARDEGNAL’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA

di Mario Sanges

Page 7: L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma 2011

Da dove arrivarono gli antichi abitatori del-la Sardegna? Ancora oggi non è dato sa-pere con assoluta certezza come e quando abbia avuto inizio il popolamento della Sardegna. Tuttavia, negli ultimi decenni, le indagini condotte attraverso l’esame

del dna hanno aperto agli studiosi nuove strade ed oggi l’archeologia e l’antropologia dispongono di indicazioni preziose sulle origini dei sardi. Tra non molto, proprio con l’ausilio della genetica, potremo essere in grado di sfilare il sottile velo che avvolge la nostra preistoria. Recenti studi attestano che in Sardegna l’espansione de-mografica si sarebbe verificata - con molta probabilità - nel paleolitico, in un periodo compreso all’incirca tra 27 mila e 78 mila anni fa, allorché l’Isola costituiva un unico grande blocco con la Corsica. Era in atto la glaciazione wurmia-na e il livello del mare - notevolmente più basso rispetto all’attuale - aveva permesso la formazione di una sorta di ponte tra il blocco sardo-corso e le coste della Toscana, cir-costanza che favorì flussi migratori di popolazioni “con-tinentali” le quali, alla ricerca di un clima relativamente mite, si spingevano verso le aree più meridionali. La cul-tura materiale in Sardegna si sviluppa in un’epoca assai successiva, vale a dire circa 8 mila anni fa, nel neolitico an-tico, con la creazione dei primi insediamenti umani stabili e la produzione di rudimentali utensili di pietra lavorata. E’ proprio all’inizio del VI millennio a.C. che la colonizza-zione neolitica, partendo dall’Oriente fertile (la Mesopo-tamia), investe vaste fasce costiere e le isole del Mediter-raneo occidentale, gettando per mare i germi della nuova civiltà conseguente alla prima grande “rivoluzione agrico-la” ed alle relative innovazioni socio-economiche. Da allo-ra la Sardegna è attraversata da un’interessante sequenza di manifestazioni culturali fino al 1.800 a.C., quando ha inizio la civiltà nuragica che rappresenta la manifestazio-ne più originale e compiuta della preistoria sarda. Tale civiltà, che troverà espressione attraverso quindici secoli, ha lasciato i nuraghi, i maestosi monumenti di pietra che ancora oggi contraddistinguono le grandi solitudini della Sardegna.La Sardegna è una terra dove tutto richiama il passato. Un sottile filo lega la cultura prenuragica e nuragica a quella fenicio-punica, romana e cristiana. Il fatto di essere un’iso-la, infatti, se da un lato ha comportato molti svantaggi, al tempo stesso, ha determinato la ripetizione - nel corso del tempo - dei modelli comportamentali e culturali e quindi ha favorito il mantenimento di un’identità più spiccata, immediatamente avvertibile da parte di chi entra a con-tatto con questa terra. Il popolo sardo, per l’ isolamento

geografico, da sempre è stato costretto alla riproposizione della propria cultura sulla quale hanno operato, secondo una dialettica fatta talvolta di aspri conflitti e più spesso di graduali integrazioni, le influenze esterne derivate dal-le varie dominazioni. Tuttavia l’assorbimento non è mai stato acritico e passivo. I sardi hanno sempre rielaborato i modelli esterni che hanno adattato al loro linguaggio ed alla loro cultura primordiale.Per questo carattere dei sardi - aperto ma, al tempo stes-so, “conservativo” e “resistenziale” - la cristianizzazione dell’Isola non fu né semplice e né rapida: circostanza che favorì il permanere, frammisti alla religione che si andava imponendo, di elementi pagani taluni dei quali riscontra-bili ancora oggi. In certe preghiere rivolte al Cristo non mancano invocazioni al sole e alla luna. Sa perda de s’ogu, usata contro il malocchio, ad esempio, diventa l’occhio di Santa Lucia. Per sconfiggere le antiche idolatrie il clero, più di una volta, ha dovuto assorbirle cercando di darle un significato cristiano.Più in generale - anche in Sardegna - simbologie, ritualità e credenze cristiane si fondono con elementi culturali e ma-teriali del substrato pagano e magico. Qui la gente ha una religiosità antica, carica di echi e suggestioni, una spiri-tualità cristiano-pagana che affonda le radici nelle diverse dominazioni: fenici, romani, vandali, bizantini, spagnoli. Molti dei luoghi in cui le popolazioni primitive si recavano ad adorare gli idoli di pietra hanno mantenuto nel corso del tempo la loro destinazione sacra. La chiesa di San Gio-vanni del Sinis, ad esempio, è stata costruita sui resti di un luogo di culto romano che si sovrappose ad un precedente tempio punico il quale, a sua volta, era stato innalzato sui ruderi di un tempio più antico legato al culto delle acque. Nel corso dei secoli dunque le divinità cambiano ma il ca-rattere sacro del luogo resta e con esso permane il senti-mento religioso del popolo ed il valore che si collega allo spazio fisico in cui il culto si esprime nelle forme esteriori.La Dea Madre, divinità comune a tutte le popolazioni ne-olitiche del Mediterraneo, era considerata il simbolo della fertilità e della rigenerazione della vita ed esprimeva la spiritualità di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo matriarcale. Ad essa si ricollega - con molta pro-babilità - anche la figura di Orgia, divinità fecondatrice adorata nelle primitive società sarde. La radice “org” - che significa acqua – si ritrova in numerosi toponimi della Sar-degna: Orgosolo (che venne edificata in un terreno acqui-trinoso), Sorgono (che, non a caso, presenta un territorio ricco di sorgenti), ecc. Secondo i filologi il termine òrgia si ricollega al sànscrito ûrg’âs che, tra i vari significati, ha quello di “succo” e quindi di liquido. Le òrgie erano ceri-

monie a carattere religioso che si compivano in uno stato di esaltazione e convulsione. Presso le popolazioni elleni-che il termine indicava certi sacrifici notturni - che si cele-bravano in onore di Bacco - ai quali erano ammessi i soli iniziati e dove, sotto l’ influsso del vino, si commettevano cose indicibili.Nelle società tradizionali, attraverso il banchetto, soprat-tutto se notturno, si univano cibo ed eros, si coniugava il bisogno primario del cibo al bisogno, altrettanto prima-rio e potente, dell’attrazione sessuale. La cultura sarda, all’origine, esprimeva anche una colleganza profonda con i flussi della vita, con le pulsioni primarie dell’uomo sano nella sua pienezza di persona, con ritmi e tempi ancora capaci di gustare eros e cibo immersi nel grande respiro della natura. Stessa continuità è dato reperire nella vasta produzione artigianale: quei medesimi motivi ornamen-tali geometrici presenti nelle ceramiche che vanno dal VI millennio a.C. fino alla colonizzazione romana li ritrovia-mo ancora oggi non solo nei vasi di Assemini e di Oristano ma anche nei tappeti di Mogoro, di Samugheo, di Uras, di Nule, di Isili e di tanti altri centri dell’Isola. E ancora li ritroviamo negli arazzi e nelle cassapanche lavorate a Desulo, Tonara e Aritzo.Le produzioni artigianali si sono evolute rimanendo so-stanzialmente fedeli alla tradizione e ancora oggi rivelano una straordinaria ricchezza di fantasia che si esprime in manufatti di rara bellezza e originalità.Ma la diversità della Sardegna si avverte immediatamente anche nella straordinaria ricchezza del canto, dei suoni e dei balli popolari. Appartiene al folklore musicale sardo uno dei più antichi strumenti del Mediterraneo, le launed-das, il cui suono misterioso esprime l’anima di questa terra e delle sue genti. La diffusione di tale strumento fin da epoca anteriore alla colonizzazione punica è documentata attraverso il bronzetto del suonatore, rinvenuto in agro di Ittiri, attualmente custodito nel Museo archeologico nazio-nale di Cagliari.Molti dei riti e dei canti religiosi tuttora presenti nell’Isola risalgono alla dominazione iberica. Durante i quattro se-coli in cui la Sardegna fu prima catalana e poi spagnola, il popolo sardo assimilò gradualmente non solo le istituzio-ni, le leggi, la lingua, la cultura e le tradizioni, ma anche il costume e il modo di pensare. Ma l’assimilazione, come detto, non fu acritica e passiva. E proprio in tale periodo, attraverso un graduale processo, maturò la consapevolez-za dei sardi di essere un popolo “distinto” da suoi domi-natori: consapevolezza che costituisce la base fondamen-tale per l’affermazione della propria identità etno-storica e dei valori della moderna autonomia.

Settembre 2011 7

Più sani e più belli

Quei brindisi in Piazza

QUEL MAGICO INCONTRO TRA SOLE, CIELO E TERRA

col cibo sardo

L’ISOLA CHE C’È/ECCELLENZE DELL’ISOLA

di Antonello Angioni

Page 8: L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma 2011

8 Settembre 2011

Il vino e la vite – assieme al grano e quindi il pane – rappresentano un tema sacro tra i più interessanti e ripetuti di tutta l’iconografia cristiana. Fu Noè per primo a scoprire l’ebrezza che il vino dava, avendo coltivato la prima vite dopo il Diluvio (cfr. Gen 9,20-

21), anche se fu il re e sacerdote Melchisedek (che significa “il mio re è giustizia”) a portare il pane e il vino per bene-dire Abram dopo che ebbe sconfitto Chedorlaomer e i suoi alleati (cfr. Gen 14,17-20). Un aspetto quindi sacro del vino che – unito al pane e all’olio – rappresenta il nutrimento primo dell’uomo, anche con forte valore simbolico: “fai crescere l’erba e il bestiame/ e le piante che l’uomo colti-va./ Così la terra gli dà da vivere:/ vino per renderlo al-legro,/ olio per far brillare il suo volto,/ e pane per dargli vigore” (Sal 104,14-15), anche se – sempre nelle Scritture – si ammonisce l’uomo dal bere troppo ed essere amante dei liquori (cfr. Prv 23,29-32, Is 28,1, Rom 13,13).In ambito sacro quindi il vino rappresenta l’ebrezza dell’amore, il nettare delizioso per giungere alla felicità, ma anche il sacrificio del sangue e l’unione tra l’uomo e Dio: “Io sono la vera vite. Il Padre mio il contadino. Ogni ramo che è in me e non dà frutto, egli lo taglia e lo getta via, e i rami che danno frutto li libera da tutto ciò che im-pedisce frutti più abbondanti. Voi siete già liberati grazie

alla parola che vi ho annunziato. Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me” (Gv 15,1-4). Ed è proprio Cristo nella sua ultima cena a compiere il sacrificio eucaristico spezzando il pane – suo corpo – e offrendo il vino, suo sangue (cfr. Mt 26,27). Il vino è dunque medici-na del corpo (cfr. 1 Tim 5,23) e dell’anima per la salvezza dell’uomo, in quanto offre nutrimento ed ebrezza.Nell’iconografia sacra troviamo spesso il grappolo d’uva unito alle spighe, soprattutto in ostensori e calici, ma tro-viamo anche la rappresentazione dell’arbor vitae e del grappolo d’uva legato alla Vergine Maria. A Dolianova, presso l’antica cattedrale di S. Pantaleo, nella parete destra è collocato un grande affresco che rappresenta Cristo cro-cifisso dalla cui croce escono tralci d’uva da cui emergono – come grappoli – le virtù (teologali e cardinali), Maria e Giovanni, gli altri apostoli, i profeti e infine i santi, come a simboleggiare l’unione perpetua dell’uomo a Dio attraver-so il segno del sacrificio del figlio, morto per i peccati del mondo e la salvezza dell’umanità. Differente è la rappresentazione della Madonna dell’Uva, del pittore fiammingo Jan Goassaert, detto il Mabuse della Pinacoteca di Sassari, proveniente dal convento di S. Pie-

tro in Silki. In questo caso il grappolo d’uva retto dalla Vergine rappresenta l’ebrezza dell’amore per il figlio – te-nuto amorevolmente con la destra – che è anche suo sposo e suo padre (in sardo: mamma, fiza e hisposa de su Segno-re). L’uva – in questo caso – rappresenta il mistero dell’in-carnazione, posto che il ebraico il valore numerico delle parole “vino” (yayin) e “segreto” (sod) è identico: settanta in entrambi i casi, da qui l’idea che l’uomo – sotto l’effetto del vino – riveli tutti i suoi segreti (in negativo), ma anche acceda ai misteri della vita e alla conoscenza trascendente (in positivo). La Madonna – come Odigitria – indica nel figlio e nel sacrificio che questi compie – con il suo corpo, simboleggiato dal pane che tiene con la destra – la via ver-so la salvezza eterna, che è ebrezza d’amore per il creatore universale.A piazza San Giovanni in esclusiva per “l’Isola che c’è” domenica 25, alle 10,30 nella zona Convegni, prima della messa cantata in sardo (ore 12,00 Arcibasilica di San Gio-vanni in Laterano) ci sarà una conferenza del prof. Luigi Agus (docente presso Istituto Euromediterraneo di Tem-pio Pausania – Dipartimento di Storiografia socioreligiosa e Beni Culturali) su “La vite e il vino nell’iconografia sacra in Sardegna” con la visione dell’affresco dell’Arbor Vitae di Dolianova (sec. XIV) e la Madonna dell’Uva del Mabuse della Pinacoteca di Sassari . S. Agostino tra il latte della Vergine e il sangue di Cristo di Pietro Cavaro (Cagliari, Pi-nacoteca), il Cristo Eucaristico di Juan de Juanes ,il Trono eucaristico del duomo di Sassari, un gioiello dell’Assunta di Sassari (una croce con uno smeraldo fatta a tralci d’uva) e il collegio degli apostoli a bassorilievo della parrocchiale di Escalaplano.Il vino

e l’arte in Piazzadi Luigi Agus

LA VITE E IL VINO NELL’ICONOGRAFIA SACRA IN SARDEGNA

Come in ogni edizione “L’isola che c’è” vedrà la par-tecipazione di tanti personaggi importanti per la Sardegna: come lo scorso anno i giornalisti sardi

più popolari e stimati a Roma, il premio “L’Isola che c’è – La Sardegna nel cuore” verrà consegnato quest’anno ad alcuni esponenti della cultura e dello sport sardo, legati all’isola non solo per le loro radici ma anche per la loro attività, soprattutto a favore dei tanti immigrati sardi a Roma e nel resto del mondo.Gemma Azuni, sarda di origine e romana d’adozione, con-sigliera comunale nella Capitale che si è sempre impegna-ta a favore dell’integrazione degli immigrati sardi e delle pari opportunità, e Tonino Mulas, presidente della FASI, la Federazione delle Associazioni Sarde in Italia. Ma anche Italo Orrù, che con le sue imprese sportive dà lustro alla Sardegna nel mondo, e Gigi Riva, motivo d’orgoglio per tutti i sardi, sia per l’impegno nello sport che per la scelta di restare nell’isola.

Non solo sardi dunque, ma pur sempre con la Sardegna nel cuore, come il titolo del premio: tra loro anche i Cu-gini di Campagna, Lucio Tunis e Rita Ornano, per la vita dedicata alla musica, che grazie a loro ha allietato anche i più bisognosi, e Rinaldo Ghisu, emigrato sardo e oggi proprietario con la famiglia di un’impresa che raccoglie le macchine più prestigiose e rare al mondo, oltre che famose perché del suo parco auto si serve anche Cinecittà per le sue produzioni.A loro andrà un’opera dell’artista Angelo Liberati, anch’egli simbolo del legame della Sardegna con Roma: nato a Frascati, si trasferì nell’isola nel 1970 e lì maturò la sua poetica unica, che fonde la pittura con le pratiche del riporto e del collage tipiche della pop art. Niente poteva meglio rappresentare una fusione ben riuscita tra due cul-ture, ognuna con il suo contributo di tradizione e innova-zione, di passione, altruismo e senso civico.

IL PREMIO ‘‘L’ISOLA NEL CUORE’’

Page 9: L'isola che c'è - Sardegna incontra Roma 2011

Settembre 2011 9

“Da Leggiuno in Nazionale”, basta questo titolo per capire che si parla di Gigi Riva: la vita del leggenda-rio bomber, nato nel varesotto ma cagliaritano d’adozione, raccontata

a teatro dalla voce dei suoi amici di infanzia, del suo pa-drino di Battesimo e del caporeparto dove lavorava, che lo “copriva” quando andava via per allenarsi. Nei loro ricor-di Gigi bambino, orfano di padre e costretto a lavorare da quando aveva 13 anni, Gigi piccolo calciatore e poi i trionfi con il Cagliari e con la Nazionale.L’idea dello spettacolo è nata quasi per gioco da Claudio Ferretti, giornalista compaesano e amico di Riva, oltre che presidente del suo Fans Club, che sin da giovane rac-conta di aver raccolto materiale sul campione e di aver-lo finalmente conosciuto durante le interviste che li han-no resi amici. Il progetto ha poi incontrato l’entusiasmo di Francesco Pellicini, attore comico e direttore artistico, con Francesco Salvi ed Enzo Iacchetti, del “Festival della Comicità” che si svolge sulle rive del Lago Maggiore. E ha preso forma di teatro-canzone con Francesco Pellicini regista e interprete, il fratello Paolo alla chitarra, Max Pe-roni chitarrista e cantautore, e la moglie di Francesco, Isa-dora Dellavalle, come attrice. Il titolo trae spunto da una canzone dedicata a “Rombo di Tuono” scritta dallo stesso Pellicini e Andrea Decio, che ora si può ascoltare sul suo sito ufficiale.La prima è andata in scena a Leggiuno, in un teatro comu-nale gremito di persone di tutte le età, da chi se lo ricorda giocare a chi non l’ha mai visto sul campo, ma ne conosce le imprese dai racconti dei genitori e dei nonni. I bambini in prima fila a sentire la storia di un campione, bambini

IL MITO RIVA ORA CANTATO A TEATROcome quelli che da 35 anni frequentano la Scuola Calcio che Riva ha fondato a Cagliari. La sorella Fausta ha ap-plaudito con loro, lui però non c’era a causa degli impegni con la Nazionale e della sua riservatezza: «cose di questo genere, pur facendomi molto piacere, mi imbarazzano moltissimo» ha spiegato. Ma lo spettacolo gli è piaciuto, «So che c’era tanta gente, è andata bene. Quella organizza-ta dai miei compaesani è stata una bella sorpresa. Gli amici che sono cresciuti con me e gli attori che hanno ricordato gli anni difficili da bambini, l’oratorio, fino all’approdo al Cagliari e alla scelta di rimanere a fare il calciatore in Sardegna». Lo guarderà in dvd, ha promesso ringraziando tutti: «Non ho più occasione di tornare a Leggiuno, ma ri-cordo tutti con grande affetto».“Da Leggiuno in Nazionale” andrà in scena ora a Roma per la manifestazione “L’Isola che c’é” in piazza San Gio-vanni, e sarà l’occasione per omaggiare un grande campio-ne che, non solo per le imprese sportive ma anche per le scelte e il suo stile di vita, ha dato lustro all’isola. Un invito per tutti i sardi, quelli che abitano nell’isola e i tanti emi-grati che prenderanno parte all’evento romano, orgogliosi di poter conoscere meglio e condividere l’affetto per il loro campione di sempre.

L’attore regista Francesco Pellicini

“SardANDEndi”, questo nome accosta Sardegna e Ande: è un progetto di interscambio culturale tra l’isola del Mediterraneo e la Regione delle Ande realizzato attraverso un documenta-rio che racconta i personaggi che suonano o costruiscono stru-menti musicali e che mantengono vive la cultura, gli usi e i costumi della loro terra.La prima parte del documentario è stata realizzata in Sardegna e in particolare a Villaputzu, dove vengono costruite le lau-neddas, il più antico strumento musicale del Mediterraneo, a Mamoiada, per testimoniare la lavorazione delle maschere dei Mamuthones e la loro vestizione, e a Ovodda, per seguire Giu-seppe Cuga, l’unico suonatore di launeddas della Barbagia, tra domus de janas, nuraghi e vendemmie. La seconda parte racconta invece le Ande, tra Argentina, Cile, Bolivia e Perù, dove vengono costruiti artigianalmente gli strumenti e con-servate le antiche tradizioni musicali. Sardegna Ande o Sar-degna Andendi è un viaggio attraverso due culture entusiaste di conoscersi e di farsi conoscere, realizzato dall’associazione culturale Semilla Cosmika con il contributo della Provincia di Cagliari e presentato poi in un circuito itinerante che ha coin-volto molti paesi della Sardegna e che proseguirà con la parte-cipazione a Cortes Apertas della Barbagia 2011. Ma “SardAN-DEndi” varcherà anche i confini dell’isola e arriverà a Roma: Roberta Aloisio, una delle curatrici del progetto, lo racconterà in una conferenza nell’ambito della manifestazione “L’Isola che c’è – Sardegna incontra Roma”.

Tra le acque cristalline di Cala Gonone e del Golfo di Orosei e le montagne incontaminate del Supramonte ecco Dorgali, capoluogo del turismo della Barbagia. Nel suo territorio

convivono paesaggi tipicamente montani e marini, fluviali e palustri, una caratteristi-ca che attrae i visitatori e che costituisce un patrimonio naturalistico senza eguali che l’uomo non ha intaccato. I campi coltivati, gli ovili in pietra e legno di ginepro e le chiese campestri sono entrate a far parte dei pae-saggi senza trasformarli, anzi abbellendoli. Qui molte specie animali e vegetali, alcune anche molto rare se non uniche, hanno tro-vato il loro habitat ideale: dal cinghiale al cervo sardo, e poi volpi, donnole, martore, ghiri, daini, aquile reali e mufloni, fino a tar-tarughe d’acqua e marine e la rarissima foca monaca convivono qui tra piante di olivastri, lecci, corbezzoli, mirto e asfodelo e un mare da cartolina.La cooperativa Ceacalagonone ha raccolto la ricchezza di questo territorio in un museo, il Primo Museo della Foca Monaca, presso il Centro di Educazione Ambientale di Cala Gonone, dove i visitatori potranno ammira-re un esemplare di foca monaca e oltre 300 esemplari di fauna sarda naturalizzata.

MAGICA

DORGALI

DALLA SARDEGNAALL’AMERICA LATINA

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