l'isola 03_13

24
Belgique - België P.P. - P.B. 1099 BRU X 1/1605 P912772 Bureau de Dépôt: Bruxelles X Bimestrale (sauf Juillet - Août) di cultura, polica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 - Maggio/Giugno 2013 Ed. Resp.: Catania Francesco Paolo, Bld de Dixmude , 40/ bte 5 (B) 1000 Bruxelles - Tél & Fax: +32 2 2174831 - Gsm: +32 475 810756 La contraddizione dell’Europa (pagg. 1 & 2) SICILIA L’ALTRO IERI : DUCEZIO SICILIA L’ALTRO IERI : DUCEZIO (pag. 4) (pag. 4) Radici storiche dell’Autonomia Radici storiche dell’Autonomia siciliana : Dalla “Gran Contea” al siciliana : Dalla “Gran Contea” al Regno di Sicilia Regno di Sicilia - (pagg. 5 & 6) (pagg. 5 & 6) SULLA LINGUA SICILIANA SULLA LINGUA SICILIANA - A A SCUOLA DI DIALETTO SCUOLA DI DIALETTO - ( pag. pag. 7) 7) Piazza Indipendenza o piazza della Piazza Indipendenza o piazza della mistificazione mistificazione - (pag. 8) (pag. 8) Lo schiavo che si fece re! Lo schiavo che si fece re! - (pag. 15) (pag. 15) Per non dimenticare mai... Per non dimenticare mai... - (pagg. 16 & 17) (pagg. 16 & 17) LU PANI DI CASA LU PANI DI CASA ... profumo e sapore allo stato puro ... profumo e sapore allo stato puro - (pag. 18) (pag. 18) "Chiunque può fare la storia. Solo un grande uomo può scriverla." Oscar wilde Ciclismo, il siciliano Ciclismo, il siciliano Ciclismo, il siciliano Vincenzo Nibali Vincenzo Nibali Vincenzo Nibali vince il Giro d’Italia vince il Giro d’Italia vince il Giro d’Italia (pag. 9) (pag. 9) (pag. 9) Cannes parla siciliano, doppio premio per “Salvo” (pagg. 3 & 10) L’astronauta siciliano Luca Parmitano , originario di Paternó, nello spazio (pag 9)

description

Il Periodico dei Siciliani della Diaspora

Transcript of l'isola 03_13

Page 1: l'isola 03_13

Belgique - België

P.P. - P.B.

1099 BRU X

1/1605

P912772

Bureau de Dépôt: Bruxelles X

Bimestrale (sauf Juillet - Août) di cultura, poli�ca, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 - Maggio/Giugno 2013

Ed. Resp.: Catania Francesco Paolo, Bld de Dixmude , 40/ bte 5 (B) 1000 Bruxelles - Tél & Fax: +32 2 2174831 - Gsm: +32 475 810756

⇒ La contraddizione dell’Europa (pagg. 1 & 2)

⇒⇒ SICILIA L’ALTRO IERI : DUCEZIO SICILIA L’ALTRO IERI : DUCEZIO (pag. 4)(pag. 4)

⇒⇒ Radici storiche dell’Autonomia Radici storiche dell’Autonomia siciliana : Dalla “Gran Contea” al siciliana : Dalla “Gran Contea” al Regno di Sicilia Regno di Sicilia -- (pagg. 5 & 6)(pagg. 5 & 6)

⇒⇒ SULLA LINGUA SICILIANA SULLA LINGUA SICILIANA -- A A SCUOLA DI DIALETTO SCUOLA DI DIALETTO -- ((pag. pag. 7)7)

⇒⇒ Piazza Indipendenza o piazza della Piazza Indipendenza o piazza della mistificazione mistificazione -- (pag. 8)(pag. 8)

⇒⇒ Lo schiavo che si fece re!Lo schiavo che si fece re! -- (pag. 15)(pag. 15)

⇒⇒ Per non dimenticare mai...Per non dimenticare mai... -- (pagg. 16 & 17)(pagg. 16 & 17)

⇒⇒ LU PANI DI CASA LU PANI DI CASA ... profumo e sapore allo stato puro ... profumo e sapore allo stato puro -- (pag. 18)(pag. 18)

"Chiunque può fare la storia. Solo un grande uomo può scriverla." Oscar wilde

Ciclismo, il siciliano Ciclismo, il siciliano Ciclismo, il siciliano Vincenzo Nibali Vincenzo Nibali Vincenzo Nibali

vince il Giro d’Italiavince il Giro d’Italiavince il Giro d’Italia

(pag. 9)(pag. 9)(pag. 9)

Cannes parla siciliano, doppio premio per “Salvo” (pagg. 3 & 10)

L’astronauta siciliano Luca Parmitano , originario di Paternó, nello spazio (pag 9)

Page 2: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

2

La contraddizione dell'Europa

Eugenio Preta

O rmai che l'Europa è misura di tutto, ad ogni osservatore più attento non può sfuggire il livellamento verso il basso delle scelte operate e la mancanza di

un progetto comune, non solo nell'attuazione di politiche unitarie, ma nell'identificazione di scelte opportune. L'Europa è avvertita oggi con fastidio dal cittadino, lontana e impegnata in discussioni che rimangono nella inutile sfera di una "palestra" verbale, e per di più limitata, se si pensa che ogni gruppo politico per assegnare il tempo di parola, deve limitare ai 2 minuti di tempo massimo ogni intervento, per soddisfare le richieste delle varie delegazioni e non accendere focolai di insoddisfazione già nel suo interno. Paradossalmente sono i gruppi minori, proprio perché costretti ad esprimere un solo oratore, alla fine quelli che riescono ad esprimere una posizione unitaria e non contraddittoria nella serie infinita degli interventi in Aula, che non servono proprio a niente. Ogni mese, con una puntualità stabilita già l'anno precedente con una discussione tra i gruppi che appare una discussione semplice, senza contrasti - ma che poi necessita dell'intervento del Presidente del Parlamento europeo (oggi lo statista (?)Schultz per definire se in tale mese si dovrà iniziare il lunedì 4 o quello successivo questa Assemblea che ogni cinque anni gli europei sono chiamati a rinnovare per eleggere i rappresentanti del proprio Paese, si sposta armi e bagagli verso Strasburgo, capitale dell'Alsazia con un dispendio di fondi calcolato in centinaia di milioni di euro, e questo mentre il Consiglio riduce pensioni e modifica pesantemente gli organigrammi funzionali. A Bruxelles per tutto il mese, con la pausa delle missioni interne ai gruppi o alla definizione delle relazioni da presentare in Aula, ad ogni vigilia di Plenaria, si scatena, da parte delle "maestranze", una vera e propria lotta per essere inseriti nell'organigramma di Strasburgo, decisione che porta qualche soldino in più, che non fa male (oltre 1000 euro per un'attività lavorativa che inizia alle 17.30 del lunedì e si conclude alle ore 13 del giovedì successivo con fuga precipitosa sulle auto di servizio, ove disponibili, o sul treno gentilmente e a prezzo stracciato messo a disposizione dalle ferrovie francesi e belga . Nel frammezzo ci sono cene e pranzi offerti, - pantagrueliche le abbuffate di asparagi offerte dal municipio di Strasburgo ai poveri

rappresentanti del PE - attività umane nell'uranio dell'Europa inarrivabile . Però resta un quadro deleterio quello che ci offre l'Europa, dietro le quinte, ma ancora più tragico quello che traspare dall'attualità cosiddetta politica. Per fortuna noi italiani siamo favoriti da una pattuglia di europarlamentari, sono 79, che difendono l'Italia in ogni occasione,

suscitando anche l'ammirazione dei 4 deputati lussemburghesi present i nell'Assemblea, o dei 5 ciprioti o maltesi! Eurodeputati che nessuno in Italia conosce, che non si sa cosa facciano, tranne che guadagnare un lauto stipendio a cui si aggiungono indennità varie, facilitazioni di viaggio, spese di diaria giornaliere, fondi per segretarie e assistenti , guarentigie che "obbligano" praticamente chi assapora queste delizie di Europa a fare carte false pur di ritornarci. Da considerare anche che l'impegno si esplica per 5 anni, al sicuro da crisi di governo (che non esiste) o da antipatie di partito, e che consente di accumulare un discreto saldo pensionistico. Ora non vogliamo sparare sul morto, ma vorremmo capire cosa ci fanno in europa De Mita o Mastella, Angelilli o Bonsignore, Salvini o Borghezio, ma pure Fidanza, La Via, Bonsignore, Sonia Alfano, Saracchiani, Sassoli, Comi o Renzulli, e in che modo abbiano mai salvaguardato gli interessi nazionali... Però, dicevamo, l'Europa nel suo insieme appare distante e solo serbatoio di lobbies e interessi particolari, sempre sulle spalle del cittadino. Quest'anno poi assisteremo ad un altro allargamento, e sono 28 proprio con la Croazia, a cui non abbiamo chiesto nemmeno riparazione ai danni di guerra e agli espropri subiti violentemente dalla comunità italiana, a proposito della vigilanza dei nostri rappresentanti, mentre si delineano le candidature di Albania, Serbia con la Turchia sempre in attesa, per riempire il calderone informale della babele europea, dello Stato federale che ha ucciso la sovranità degli Stati nazione. Una grande Europa politica? ma no! Solo una più' vasta area di libero scambio dove già circolano liberamente merci, capitali e persone, ma anche emigrati clandestini, droga, merci contraffatte, criminalità in genere, non ultima quella bancaria, sempre sotto la vigilanza dei nostri rappresentanti, e questo nel momento in cui si sogna l'Europa politica e Paesi recentemente ammessi, come la Bulgaria, dimostrano la loro passione per l'Unione europea votando solo al 37% degli aventi diritto, in occasione delle ultime europee. Povera Europa, oggi che può vantare i nostri nominati istituzionali alle politiche estere e a quelle comunitarie nella persona di Emma Bonino - 02% di suffragi erosi dalle marce

Parlamento europeo a Strasburgo

Torre di Babele

« Eurodeputa� che nessuno in Italia conosce, che non

si sa cosa facciano, tranne che guadagnare un lauto s�pendio a cui si aggiungono indennità varie, facilitazioni di viaggio, spese di diaria giornaliere, fondi per segretarie e assisten�, guaren�gie che "obbligano" pra�camente chi assapora queste delizie di Europa a fare carte false pur di ritornarci.

Page 3: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

3

IIII registi siciliani continuano ad ottenere successi di critica e pubblico a livello internazionale. L’ultimo in ordine di tempo è “Salvo”, opera prima dei registi palermitani Fabio Grassadonia e

Antonio Piazza. Il film ha stravinto la 52esima Settimana della Critica del 66esimo Festival di Cannes. Attribuito a ‘Salvo’ il Grand Prix 2013. E non finisce qui, il film si è anche aggiudicato il Prix Révélation. Convince la pellicola interamente girata tra Palermo ed Enna. I due registi hanno anche avuto la possibilità di fare una dedica speciale: “Dedichiamo i nostri premi a Falcone e Borsellino. La coincidenza con l’anniversario della strage di Capaci è stato il primo pensiero che abbiamo avuto quando ci hanno detto che avevamo vinto”.

I due registi palermitani si collocano all’interno di un prestigioso elenco di cui si fregia la Sicilia. Uno su tutti il regista bagherese Giuseppe Tornatore. L’incontro con il noto produttore Franco Cristaldi porta alla genesi di quello che è considerato il suo capolavoro, Nuovo Cinema Paradiso. La pellicola riscuote un successo clamoroso in tutto il mondo. Il film si aggiudica il gran premio della giuria al Festival di Cannes e il premio Oscar come “miglior film straniero”. Poi torna alla ribalta con Baarìa neel 2009. Il film, tra le altre cose, ha inaugurato la 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il 2 settembre ed è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 25 settembre 2009. Il film è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar 2010. Al Golden Globe ottiene la nomination 2010 come miglior film straniero. Una regista che sicuramente farà parlare di sé è la palermitana Costanza Quatriglio. Il suo film d’esordio, L’isola, è stato presentato al festival di Cannes nel 2003. Ha ottenuto il Nastro D’Argento per la colonna sonora originale del trombettista jazz Paolo Fresu. Anche Emanuele Crialese, nato a Roma da genitori siciliani,è sicuramente da annoverare tra i registi di maggior successo. Dopo aver

(Segue a pagina 10)

della fame di Giacinto Pannella detto Marco e dalle pratiche abortiste documentate da Youtube, il tutto sotto l'egida protettiva del Mahatma Gandhi, pacifista e diverso, ma non è un'offesa.. - e Moavero Milanesi, suo degno capogabinetto ai tempi dello scandalo Echo, il settore cooperazione di cui era commissaria responsabile proprio la Emma nazionale, oggi riconfermato per chissà quali meriti (familiari? fondazione della Bocconi?) ministro per gli affari europei... Poveri Stati nazione se si fanno bacchettare dai funzionari della commissione, sempre in perenne deficit di democrazia, perché burocrati e non politici nominati dal voto dei cittadini, quindi mai eletti, inabilitati a prendere decisioni che possano obbligare gli Stati (e più i cittadini) a subire determinate pratiche che tendono tutte alla cancellazione delle sovranità nazionali per creare, nelle logiche di Koudenove Kalergi, Spinelli o Schuman un super stato sì , ma delle banche e delle lobbies multinazionali. Poveri Stati che adesso dovranno inviare ogni anno i propri ministri economici a Bruxelles con i bilanci nazionali per chiedere il benestare agli altri Stati e poter quindi permettere le attività economiche programmate, non più dai vari ministeri, nazionali, ma ormai dalla Commissione esecutiva. E in questa logica l'ultima decisione eclatante dell'Europa dei cittadini: cancellare l'embargo sulla vendita di armi ai terroristi siriani e confermare le sanzioni economiche contro il "pessimo" Bashar al Assad, reo di opporsi alle infiltrazioni pilotate dall'occidente - mercenari francesi, inglesi, belga e statunitensi aiutano le violazioni alla frontiera con il Libano delle forze taquardite_quaediste . Infati il Consiglio europeo ha deciso di vietare tutte le vendite di armi, ma in verità le ha cancellate per lasciarle alle decisioni di ogni singolo Paese, con somma gioia dei massimi fornitori di armi continentali come italiani, britannici e francesi, questi ultimi maggiori fornitori di gas nervini, ma capaci di denunziarne ipocritamente il preoccupante uso, oggi intensificato. Un Consiglio di guerra dell'Unione, alla fine, quello tenuto dai governi europei a Bruxelles, al solo scopo di punire Assad, ai loro occhi reo di opporsi - come in un recente articolo ha ben dimostrato il prof. Mario Di Mauro di Terra e Liberazione -, alle infiltrazioni quadeiste e taquardite che si stanno rivolgendo pesantemente oggi anche contro il Libano, perché protegge la sua propria frontiera e aiuta con gli hezbollah, il "pessimo" regime siriano. L'Inghilterra, sollecitata dall'alleato storico USA, vuole abbattere il regime siriano e consegnarlo alla fine, come avvenuto in Libia, in Tunisia, Algeria ed Egitto, all'integralismo islamico e l'Europa con la complicità anche dell'Itaglietta della Bonino, si schiera con gli statunitensi e minaccia ritorsioni, come auspicato dal ministro degli esteri inglese Hague, dimostrando di non capire niente della realtà politica nordafricana... Povera Europa, Europa dei paradossi e delle contraddizioni ... E dire che qualche mese fa era stata insignita del Nobel per la Pace,...Ma in che epoca viviamo? L'Europa patria delle industrie militari, primo fabbricante mondiale di armi, la stessa Europa che bombarda Sarajevo con gli aerei Nato, poi Tripoli con quelli francesi e italiani, che vende armi e malaffare, viene insignita del premio Nobel per la Pace, una volta riconosciuto come suggello all'impegno forte e incondizionato in ogni ramo dell'attività umana da personaggi di grande spessore morale. Ma quello di oggi è un Nobel ormai inflazionato e senza alcun valore, se si è stati capaci di assegnarlo persino ad un terrorista riconosciuto come Arafat, accomunato all'Unione Europea oggi anche da questo premio senza senso.

Eugenio Preta

Tornatore, Crialese, Quatriglio, Ciprì e Maresco ...

Il cinema di Sicilia che piace ai festival

Due palermitani premiati a Cannes

Nel ruolo di Salvo, l’attore palestinese Saleh Bakri

Page 4: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

4

FORSE NON TUTTI SANNO CHE...FORSE NON TUTTI SANNO CHE...FORSE NON TUTTI SANNO CHE...

A l siciliano manca l'orgoglio di appartenere ad una comunità, ad un insieme: il siciliano non ha il senso dell'appartenenza, non ha il rispetto dell'appartenenza e di conseguenza non sente nemmeno la necessità di difendere la propria comunità. Tutti noi sappiamo che invidia,

gelosia, meschinità, ipocrisia etc... sono motori che spesso muovono le comunità umane, regola dalla quale neanche la nostra comunità siciliana può sottrarsi, ed è questo che ci fa male. Invece di essere orgogliosi del fatto che qualcuno voglia fare qualcosa senza tentennamenti e senza prendere tempo, automaticamente mettono in moto quel meccanismo di autodistruzione che nessun'altra comunità può eguagliare. (fpc)

Ducezio fu re dei siculi dal 460 a.C. al 440 a.C..

Q uando i Greci giunsero in Sicilia, verso la metà dell’VII sec. a.C., se da una parte fondarono nuovi e floridi centri, dall’altro, molto

spesso, si stanziarono in città già esistenti occupate dalla popolazione sicula, nella parte orientale dell’isola, e dalla popolazione Sicana ed Elima, nella parte occidentale della stessa.

La convivenza tra greci e siculi si mantenne pacifica per circa tre secoli, ovvero dall’VII al V sec circa, fin quando i Siculi, consci del pericolo di una totale ellenizzazione della Sicilia, non tentano di rientrare in possesso della loro indipendenza ed anche di quei territori loro sottratti dall’espansione greca e soprattutto siracusana.

È questo il “momento di Ducezio”.

Nato nella Sicilia sud orientale, probabilmente a Menai (l'odierna Mineo) o a Nea, (l'odierna Noto), tra il 490 e il 488 a.C. da una nobile famiglia della città, era un uomo abile e attivissimo, molto car i smat ico , e seppe s f ru t tare potentemente queste sue qualità a favore della sua gente, i siculi, di cui era capo, che da alcuni secoli erano oppressi dalla

dominazione greca.

La sua fu un'azione politica, religiosa e militare.

La prima realizzata tramite la creazione di una vera e propria lega di città sicule

La seconda con la costruzione, nell’attuale sito di Rocchicella, del “santuario” dei fratelli Palici, demoni sotterranei, il cui culto era già proprio del popolo siculo.

La terza tramite la conquista di alcune città e la fondazione di altre, come Palikè, accanto al santuario dei Palici, che diventerà il centro non solo religioso, ma anche militare della synteleia sicula. L’area sulla quale agisce Ducezio, dunque, è quella del Simeto, all’interno della quale Palikè occupa appunto una posizione strategica. L’azione del condottiero non si ferma però all’allargamento verso nord-est, né egli può pensare di avanzare a sud in pieno territorio siracusano.

Alla testa del suo esercito, Ducezio dominò la scena militare per più di dieci anni, per cercare di riaffermare la supremazia della popolazione indigena su quella dei conquistatori.

La sua prima impresa da generale fu quella di conquistare Etna, probabilmente ancora governata da Dinomene e sotto l'influenza siracusana da molto tempo. Nel 461 a.C. la rinominò Katane, costrinse gli abitanti che erano stati condotti lì da Gerone I a trasferirsi ad Inessa (da lui ribattezzata Etna) e riportò a Katane gli abitanti originari rifugiatisi a Leontinoi. Nel 460 a.C. venne eletto re del suo popolo.

Nel 459 a.C. distrusse la fiorente città di Morgantina.

Nel 453 a.C. presso l’antico santuario dedicato agli dei Palici, figli di Adranos, e da lungo tempo venerati dai Siculi, Ducezio fondò la città di Palikè, dominante la fertile piana di Mineo (presso Mineo e Palagonia) e ne fece la capitale del suo stato.

Dopo quest’opera Ducezio, con il suo numeroso esercito, rivolse le sue mire verso l’agrigentino e pose l’assedio a Motyon

(Vassallaggi - San Cataldo). Contro di lui la città di Agrigento chiese l’aiuto di Siracusa la quale inviò il suo esercito. Ducezio lasciò parte dei suoi soldati all’assedio di Motyon e rivolse l’attacco contro i Siracusani. Ducezio riuscì a sconfiggerli e i due comandanti dei Siracusani furono giustiziati.

La città di Motyon fu espugnata nel 459 a. C. Non passò però molto tempo che un nuovo, forte, esercito di Siracusa, unito a quello di Agrigento, assaltò quello di Ducezio. Nella cruenta battaglia che ne seguì i Siculi furono sconfitti; molti morirono, altri fuggirono in alture ben difese, tanto che gli avversari rinunziarono a inseguirli. Ducezio venne fatto prigioniero e mandato in esilio a Corinto.

Avendo perduto la guerra i Siculi perdettero la Piana di Catania con Morgantina, Menai e Inessa che passarono a Siracusa, mentre Motyon fu ripresa da Agrigento. I Siculi rimanevano indipendenti nella parte settentrionale della Sicilia ovvero sulla valle superiore del Simeto e sui Nebrodi. Ducezio, dopo tre anni di esilio a Corinto, fuggì e nel 444 a.C. rientrò in Sicilia. Qui si diede a costruire una nuova città, nella parte settentrionale dell’Isola, (Kalè Aktè= bella spiaggia), presso l'odierna Caronia, secondo lo storico Diodoro Siculo, su preesistenti insediamenti.

Da lì partirà la seconda fase della sua azione: egli sceglierà infatti di abbandonare lo scontro con Siracusa e di impedire una sua espansione verso nord, cercando invece di unificare quella zona che era rimasta indipendente. Ma anche questo tentativo portò ad uno scontro tra agrigentini e siracusani nel 446 a.C., presso il fiume Imera (l’attuale Salso). La battaglia si concluse nella sanguinosa sconfitta di Agrigento, costretta ad un trattato di pace con il quale rinunciava a tutti i territori perduti. Ducezio ammalatosi si spense di morte naturale a Kaleakte, nell’anno 440 a. C., cioè quattro anni dopo il suo ritorno dall'esilio, nello stesso anno della distruzione di Palikè.

Siciliae Regnum

SICILIA L’ALTRO IERI

DUCEZIODUCEZIODUCEZIO

Page 5: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

5

N ei fatti il Duca di Puglia, Roberto, di Sicilia non si poté occupare troppo. Aiutò il fratello Ruggero

sulle prime alla conquista dell’Isola, tenne per qualche tempo Palermo, poi solo mezza, e l’alta sovranità sull’Isola, ma non usò mai il titolo di “Duca di Sicilia”. La sua strategia di consolidamento dei possedimenti nell’Italia meridionale e i tentativi di espansione nei Balcani lo portavano

lontano. Fu Ruggero I invece il vero edificatore del nuovo Stato di Sicilia sulle ceneri dell’Emirato in frantumi. Dal 1060 (sbarco a Messina) al 1098 (presa di Malta) la sua vita fu un’epopea di conquiste dalle quali sarebbe uscita quella Sicilia che poi sarebbe arrivata sino alla contemporaneità. Al termine di questa epopea l’Apostolica Legazia (1098) riconosciuta da Urbano II garantiva ai sovrani siciliani un controllo autonomo sulla Chiesa siciliana che li rendeva piú simili agli imperatori d’oriente che non a sovrani occidentali.

Ruggero si appoggiò quanto poté su ciò che restava a Palermo dell’amministrazione saracena, molto piú efficiente di quella feudale ancora prevalente in tutta Europa, Italia meridionale inclusa. Anzi potremmo dire che la miscela tra elementi arabi, greco-siciliani, monaci benedettini francesi e la spada dei normanni creò la base per una potenza politica ed economica senza precedenti.

Anche l’amministrazione interna – la divisione in Valli ad esempio – fu complessivamente lasciata, pur se i sovrani normanni su questa ritagliarono una mappa di diocesi vescovili che, con qualche innesto successivo, è tutto sommato ancor oggi riconoscibile.

Ruggero non ebbe il tempo di sistemare i propri domini (morí infatti nel 1101) che rimasero separati tra Sicilia e Calabria. Su quest’ultima estese progressivamente la propria signoria, dapprima su quella meridionale con accordi con il fratello, del quale restava vassallo (non dimentichiamo che propriamente Roberto era Duca di Puglia e Calabria), dopo venne alle armi, strappandogli tutta quella che poi sarebbe diventata la “Calabria Ultra” e ricusando la Signoria feudale sulla Sicilia, infine, mentre il nipote Ruggero Borsa, successore del fratello Roberto alla corte di Salerno stava per far andare in pezzi tutti i domini normanni, trasformò lo stesso Ducato di Puglia di fatto in un protettorato siciliano e si fece dare ciò che restava della Calabria sino a raggiungere quelli che sono gli attuali confini settentrionali di quella regione (la “Calabria Citra”).

Salvando l’imbelle nipote dagli attacchi esterni e dall’interna anarchia feudale, Ruggero dimostrò che, non fosse stato per la Sicilia, del dominio normanno non sarebbe rimasto piú nulla nel Meridione nel giro di appena una generazione. Il nipote omonimo, “forse” ancora signore feudale di Ruggero per la Calabria, ad ogni buon conto da allora prese solo il titolo di “Duca di Puglia”, non avendo nemmeno il coraggio di aggiungere il nome di una terra su cui aveva cessato di avere ogni sovranità. Nemmeno Ruggero però

si proclamò “Duca di Calabria”. Sta solo di fatto che a Mileto aveva sede l’amministrazione comitale che in quegli anni governava la Calabria e che quel titolo da allora in poi sarebbe stato solo orpello onorifico per i principi ereditari del Regno di Napoli.

La situazione istituzionale in Sicilia era ancora piú fluida. Dopo aver riconosciuto l’autorità del fratello in appena qualche occasione, Ruggero ricusò quell’autorità considerando lo stato siciliano un paese del tutto indipendente. Questo venne organizzato però in maniera feudale, dividendo tra “conti” le terre conquistate ed attribuendo a sé solo un ruolo di primus inter pares. La capitale di questo stato era un po’ incerta tra Palermo, che prevaleva per inerzia dall’emirato da cui “sostanzialmente” derivava, e Messina, sede della prima conquista; incertezza che il Regno di Sicilia si sarebbe portata per troppi secoli a venire.

Questo periodo è rimasto famoso come “Gran Contea” dal nome del titolo che Ruggero, in quanto semplice conte, assunse per distinguersi dai suoi compagni. Ma pare che col tempo assumesse quello quasi repubblicano di “Console di Sicilia”, stante a significare la peculiare condizione collegiale di gestione del nuovo stato. E pure i successori di Ruggero I tennero sino al 1130 tale titolo curioso, con un’evidente incertezza istituzionale che non sarebbe potuta durare all’infinito.

E questa “gestione collegiale” comportò il rafforzamento dell’antica tradizione germanica, poi vichinga, poi normanna, di accompagnare con “colloqui” o “assise” (la prima a Mazara nel 1097) le decisioni politiche o amministrative piú importanti: non certo un vero Parlamento, perché solo assemblee di nobili e prelati, peraltro senza moderne funzioni costituzionali, ma certo una “cosa”, un embrione che col tempo, in Sicilia come nella sorella monarchia inglese, sarebbe diventata tale.

Sarà Ruggero II a segnare la svolta definitiva ed a chiamare definitivamente con il suo nome quello che già esisteva: il Regno di Sicilia.

Troviamo negli scritti dei suoi cortigiani ed apolegeti la giustificazione per la creazione del nuovo Regno. Non dimentichiamo che nel Medio Evo non era pensabile una “rivoluzione”: ogni novità veniva pensata sempre come “ritorno alla vera tradizione”, come era stata la “renovatio imperii” di Carlo Magno e poi di Ottone di Sassonia: creature nuove che si rivestivano di antichi allori.

E così pure Ruggero, per bocca dell’ideologo Nilos Doxopatris, giustifica la legittimità dell’elevazione a Regno sull’autonomia della Sicilia come paese e come monarchia precedente alla conquista romana, come in queste pagine si è piú volte evidenziato. Già antico regno pre-romano e poi provincia dell’Impero, essendo cessata l’autorità diretta dell’Impero, essa era “per natura” regno e tale doveva essere riconosciuto.

Con la stessa motivazione, qualche anno piú tardi, Ruggero avrebbe aggiunto ai suoi titoli quello di Re di Africa, per il fatto di essersi impossessato di un’altra antica provincia romana di questo nome (poi persa insieme al titolo dal figlio Guglielmo il Malo).

Radici storiche dell’Autonomia siciliana Radici storiche dell’Autonomia siciliana Radici storiche dell’Autonomia siciliana

Dalla “Gran Contea” al Regno di SiciliaDalla “Gran Contea” al Regno di SiciliaDalla “Gran Contea” al Regno di Sicilia

superpotenza internazionale superpotenza internazionale superpotenza internazionale

di Massimo Costa

����

Page 6: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

6

Era il trionfo dell’impostazione ghibellina della Questione Siciliana. Ruggero II, tuttavia, proprio perché consapevole che altra impostazione, a lui meno favorevole, era possibile, aveva bisogno di dare legittimazione quanto piú ampia a questo stato di cose. Essendo in rotta di collisione con l’impostazione guelfa cara al papato, si fa riconoscere dall’antipapa Anacleto II (riconoscere, non investire) ma soprattutto convoca a Palermo non piú solo i nobili e i prelati ma altri uomini, dotti, rappresentanti delle città (oggi si direbbe della “società civile”) per discutere (o simulare una discussione) ed approvare (plebiscitariamente) l’incoronazione.

Per quanto possa essere stato tutto organizzato e preventivamente deciso, questo segna, forse involontariamente, una svolta rivoluzionaria nella storia istituzionale della Sicilia. A mio sommesso avviso quello di Palermo del 1130 può definirsi un vero e proprio Parlamento, e così anche quelli a seguire, perché per la prima volta le città non sono piú rappresentate dal re ma inviano i loro rappresentanti. Poco rileva che si sia trattato di un parlamento ancora solo consultivo o che la rappresentanza non fosse democratica, poiché identiche caratteristiche avevano i parlamenti inglesi a partire dal 1215 (Magna Charta libertatum): si tratta certamente del primo dei protoparlamenti di Antico Regime come quello inglese che sarebbe seguito, ma poi anche altri in Europa, come le Cortes spagnole o le Diete dell’Europa centrale. La Sicilia aveva inventato e donato al mondo il Parlamento. E sul Parlamento, sul consenso della Nazione, si fondava anche la legittimazione ultima della sovranità regia, altro fatto rivoluzionario non meno degno di menzione.

Nella pratica quel parlamento accolse solo rappresentanti Siciliani e Calabresi ed effettivamente da allora in poi le due terre appaiono amministrativamente unificate.

Diverso il discorso per il resto del Sud. Scomparso il cugino Ruggero Borsa, Ruggero II diventa anche “Duca di Puglia” e mette lo stesso Principato di Capua dei Drengot sotto la sua alta sovranità. Analoga assemblea a Salerno del 1129 aveva votato la perpetua unione degli stati continentali con la Sicilia che veniva già riconosciuta come Regno. Ed effettivamente, per tutto il periodo normanno, Puglia e Capua non saranno parte integrante del Regno di Sicilia bensí dipendenze, corone legate alla Sicilia da unione personale ed amministrate con i consueti costumi feudali.

Non seguiremo nei dettagli la vita del Regno “normanno” di Sicilia se non per dire che in breve diventa la prima potenza del

Mediterraneo e quindi, per i tempi, del mondo intero.

Il papa vero e proprio fu preso prigioniero e costretto a riconoscere il fatto compiuto nel 1139. Nello stesso anno cadeva Napoli. Anche il Principato di Capua nel frattempo veniva definitivamente integrato nei domini siciliani. I figli di Ruggero, cui egli delegò l’amministrazione delle “Puglie”, approfittarono poi della dissoluzione del Ducato di Spoleto per conquistare pure l’Abruzzo, da allora in avanti per sempre “meridionale”. Tutto il Sud era ormai un “possedimento siciliano”.

Poco cambia dal punto di vista istituzionale nel passaggio dalla dinastia Altavilla a quella Hohenstaufen nel secolo successivo. Ormai la superpotenza siciliana è riconosciuta e raggiunge il culmine: l’Italia (il regno del Centro-Nord), la Germania con la corona imperiale, la Borgogna, persino la Palestina del Regno di Gerusalemme sono in unione personale con la Sicilia, centro politico dell’intero mondo allora conosciuto, la Tunisia resa tributaria, la Sardegna regno satellite.

E tuttavia si devono registrare tre piccole ma significative novità.

La prima è che il Parlamento siciliano, nonostante il maggiore autoritarismo di Federico II, si stabilizza con un’importantissima funzione ormai non piú solo politica (Guglielmo II e Tancredi erano stati proclamati re su voto del Parlamento, come con il fondatore della monarchia) ma adesso anche legislativa: celeberrime le Costituzioni di Melfi che sarebbero resistite per secoli. E in piú la partecipazione dei comuni da eccezionale divenne ricorrente ancorché non ancora stabile.

La seconda è che, nonostante la formula teorica di “Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua” non venga intaccata, Federico in realtà unifica realmente le due parti del suo dominio da un punto di vista legislativo. Non deve ingannare il dualismo di amministrazioni o corti, dettato da ragioni geografiche (ad esempio la presenza di due zecche, una a Messina e l’altra a Brindisi), perché con lui si persegue davvero il disegno di un’unica “Grande Sicilia” dal Tronto alle Pelagie (ultimo avanzo, sino ad oggi, dell’avventura africana del nonno Ruggero II). Il Sud Italia viene “sicilianizzato”, considerato Sicilia tout court a differenza che sotto i Normanni, e, sebbene l’Isola resti il centro politico del Regno, di fatto il baricentro dei domini fridericiani si sposta piú a nord costringendolo a residenze sempre piú frequenti nella parte continentale del Regno che, in ultima analisi, diluivano la reale “sicilianità” del Regno.

La terza, la piú importante, è che i rapporti con Roma segnano ora il punto piú basso. Durante la minore età di Federico, il tutore Innocenzo III aveva proclamato la subalternità feudale dell’intero Regno, isola compresa. Poi Federico aveva contrato queste pretese ma, con la sua politica imperiale ed apertamente ghibellina, oltre alle scomuniche aveva visto crescere un fossato tra lui e il papato le cui pretese sulla Sicilia erano adesso totalmente deluse e sconfitte.

La sua morte, infatti, se non segnerà l’eclissi della grande creazione politica, segnerà però un’occasione di rivalsa per i non pochi nemici che la Sicilia nel tempo si era fatta, soprattutto in Italia.

Massimo Costa

—————————————————————————————————-

Nel prossimo numero

Il Vespro e la monarchia costituzionale insulare

Page 7: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

7

SULLA LINGUA SULLA LINGUA SULLA LINGUA SICILIANASICILIANASICILIANA

LLL a Lingua Siciliana ha sempre avuto un rapporto

controverso con la poli�ca e con il potere; se ciò

risulta pienamente comprensibile per quanto

riguarda la storia passata dell’isola, dominata sempre da

invasori, ovviamente alloglo�, risulta invece quanto

meno strano oggi che la Sicilia è dotata di una propria

autonomia.

Infa� lo Statuto della Regione Siciliana, all’ar�colo 14,

sancisce che l’Assemblea Regionale ha la legislazione

esclusiva – tra l’altro – anche sull’istruzione elementare e,

all’ar�colo 17, che “l’ Assemblea regionale può, al fine di

soddisfare alle condizioni par�colari ed agli interessi

propri della Regione, emanare leggi” – tra l’altro – anche

sull’istruzione media e universitaria.

Nonostante i mezzi che la classe poli�ca siciliana ha a

disposizione dal 1946, al Siciliano non è stato ancora

riconosciuto il diri.o di entrare in tu.e le scuole come

materia di insegnamento.

Parlando di diri�, in fin dei con�, colui che risulta

penalizzato da questa situazione è lo stesso ci.adino

siciliano a cui è negato il diri.o di istruzione sulla lingua

della propria terra, che è stata lingua madre dei propri

genitori e dei suoi antena� e che, in mol�ssimi casi, è

anche la sua lingua madre; inoltre non gli viene

riconosciuto il diri.o di conoscere la storia della

le.eratura di tale lingua. E’ evidente che tale deficienza

del sistema scolas�co lo impoverisce culturalmente; e

qualsiasi impoverimento culturale, ancor più se legato

alla propria specifica iden�tà, non può non avere riflessi

sociali.

Non è un caso che spesso quelle regioni e quei paesi in

cui è più sviluppata la difesa della propria specifica

iden�tà culturale, anche e sopra.u.o a.raverso la

promozione della propria specifica lingua, siano regioni

all’avanguardia – o comunque in forte crescita - dal punto

di visto economico, culturale, sociale. L’orgoglio per la

propria iden�tà – senza, per forza, trasformarsi in

nazionalismo o separa�smo – è alla base dell’amor

proprio di un popolo, amor proprio senza il quale non è

possibile costruire sviluppo, a tu� i livelli e in tu� i

campi.

La ques�one della dignità da dare alla lingua siciliana

abbraccia, pertanto, un ambito ben più vasto del solo

aspe.o linguis�co; probabilmente il grado di dignità che

diamo alla nostra lingua è lo stesso di quello che, forse

pur inconsciamente, diamo a noi stessi, come popolo.

Quindi non c’è da meravigliarsi se le enormi potenzialità

della terra di Sicilia e delle sue gen� rimangono

a.ualmente inespresse. L’economia, la cultura, la poli�ca

e tu� gli altri aspe� della società siciliana non possono e

non potranno vivere una fase di “rinascenza” se non

passando a.raverso la rinascita dell’orgoglio per la

propria iden�tà e, quindi, anche per la propria lingua.

L’ALTRA SICILIA

C on piacere segnaliamo

l'inizia�va di una scuola di

Trapani di portare la lingua

siciliana tra i banchi di

scuola. La diatriba tra lingua

siciliana e diale.o siciliano è in

realtà inesistente, poiché per la

comunità scien�fica internazionale

il siciliano è una lingua a tu� gli

effe� (essendo riconosciuta come tale anche nella classificazione ISO

con il codice SCN), che gode addiri.ura di buona salute. Ma allora il

problema sorge solo per italica ignoranza? E no. Aggrapparsi

all'ignoranza sarebbe voler essere magnanimi con i colpevoli, e noi non

lo saremo.

Per l’Unione Europea la lingua siciliana si deve ritenere una Lingua

Regionale o minoritaria ai sensi della "Carta Europea delle Lingue

Regionali o minoritarie", che all’Art. 1 afferma che per "lingue regionali o

minoritarie si intendono le lingue ... che non sono diale� della lingua

ufficiale dello stato".

La "Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie" è stata

approvata il il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1 marzo 1998.

L’Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000 ed è stata ra�ficata

solamente nel marzo del 2012... E IL SICILIANO NON È STATO INCLUSO.

� � � � �

AAAA pprendere il dialeo a scuola. E' la missione del primo circolo

dida�co "Leonardo Da Vinci" guidato dalla dirigente Anna

Maria Campo che ha deciso di sfruare in questo modo quanto

previsto dal ministero della Pubblica Istruzione per arricchire il piano

dida�co in base al territorio in cui la scuola si trova ad operare.

Ogni is&tuto scolas&co, infa�, può des&nare il 15% delle ore curriculari ad

una materia diversa da quelle tradizionali, inserite d'ufficio nel piano

dell'offerta forma&va. E la scelta del primo circolo "Leonardo Da Vinci" è

ricaduta sulla lingua locale, il dialeo, in modo da promuoverlo e

valorizzarlo anche tra le nuove generazioni che devono imparare a

considerarlo un elemento importante della loro iden&tà.

"Potevamo scegliere fra diverse materie, ma abbiamo deciso di portare in

classe il diale�o, la nostra lingua siciliana - afferma Anna Maria Campo -.

L'inizia�va è stata accolta posi�vamente anche dai ragazzi e dai loro

genitori e ci siamo accor� che mol� di loro ormai non conoscevano più il

nostro diale�o, sia le parole che il loro significato".

Per spiegare il dialeo agli alunni, però, c'era bisogno di un esperto della

lingua siciliana e la dirigente ha chiesto la collaborazione del poeta

trapanese Nino Barone il quale ha subito acceato, avvalendosi anche della

collaborazione delle insegnan& Ninì Bonura e Laura Quirino, sostenitrici del

progeo.

"Conoscere il passato è fondamentale per costruire un futuro migliore -

afferma la dirigente Anna Maria Campo - e quale occasione migliore può

esserci, se non a�raverso la nostra lingua che è stata bistra�ata nel corso

degli anni", quasi come se bisognasse vergognarsi dell'uso del dialeo da

considerare rozzo o inopportuno nelle conversazioni pubbliche.

"Non u�lizziamo libri di testo - conclude Anna Maria Campo -, ma, andiamo

alla scoperta delle nostre tradizioni per far rivivere ciò che è stato". Anche

Nino Barone ha voluto soolineare l'importanza dell'inizia&va.

"Questo proge�o - afferma - ha l'obie)vo di far conoscere meglio la

lingua e la le�eratura siciliana per riscoprire un patrimonio linguis�co e

culturale che potrebbe da qui a poco scomparire lentamente".

Antonio Trama (fonte: www.gds.it)

A scuola di dialettoA scuola di dialettoA scuola di dialetto

Page 8: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

8

FORSE NON TUTTI SANNO CHE...FORSE NON TUTTI SANNO CHE...FORSE NON TUTTI SANNO CHE...

Piazza Indipendenza o piazza della mis�ficazionePiazza Indipendenza o piazza della mis�ficazionePiazza Indipendenza o piazza della mis�ficazione

FFF orse pochi sanno perché a Palermo esiste una Piazza Indipendenza; piazza questa situata all'esterno delle mura della vecchia città, fuori da Porta Nuova, all'inizio di quel "Corso Calatafimi" (già e più opportunamente "Stradone di Mezzomonreale") che un tempo congiungeva la capitale siciliana alla città normanna e che oggi è una grande arteria urbana.

Chi conosce un pò di storia siciliana di fronte a questo nome resta assai perplesso: Indipendenza di quale paese? e da chi? È forse impazzito il Comune di Palermo dedicando una sua piazza ad un'Indipendenza Siciliana che non c'è e che sarebbe considerata sovversiva? O è dedicato all'indipendenza dell'Italia? E se così è da chi? Dagli austriaci che in Sicilia non hanno mai messo piede da dominatori ma solo da legittimi re di Sicilia (1720-1734)? O da chi altro se no? In realtà è la Piazza dell'equivoco per eccellenza e della mistificazione! In quello stesso luogo un manipolo di generosi repubblicani (giacobini) furono decapitati e

impiccati per aver tentato di dar vita alla fine del '700 ad una Repubblica Siciliana del tutto indipendente da Napoli. Fra questi eroi dimenticati della Nostra Piccola Patria ricordiamo il Francesco Paolo di Blasi come "capo" di quella sfortunata congiura: sogno sfortunato e coraggioso di sollevare la Nostra Terra da secoli di servitù, sogno che aveva precedenti illustri (il nuovo Vespro dei primi del '500 contro il Moncada, la congiura di Squarcialupo, etc...) e che spe rava d i cong iunge re l'emancipazione politica della Sicilia con un'emancipazione sociale ed economica... Da quella stessa piazza nel 1866 prese le mosse l'esercito "italiano" per sedare nel sangue

la c.d. rivolta del "sette e mezzo"; rivolta che ebbe tante anime (borbonica, clericale, mazziniana) ma il cui sale era quello dei separatisti delusi dal Garibaldismo... Quella piazza dovrebbe a buon diritto chiamarsi Piazza dell'Indipendenza Siciliana (non come rivendicazione che a noi appare indesiderabile ed impraticabile) ma come fatto storico, come aspirazione storica che è incivile dimenticare. E invece, approfittando del fatto che mentre il Governo Italiano sparava a vista sui Siciliani che lottavano per il pane e l'autodeterminazione si stava svolgendo un'altra guerra (la III guerra d'indipendenza per la liberazione del Veneto dagli Austriaci), si è dedicata la Piazza proprio a quella guerra lontanissima nello spirito dalle rivendicazioni siciliane: un obelisco nel centro della Piazza ricorda i martiri della "indipendenza italiana" del 1866, proprio del 1866, per mettere così una pietra tombale sulle aspirazioni dei Siciliani e far loro confondere le idee sulle date e sui veri nostri interessi... Non si ebbe però il coraggio di chiamarla Piazza dell'Indipendenza Italiana, la si lasciò così "Piazza Indipendenza", senza aggiungere altro. Ricordiamo che tecnicamente la Sicilia, a parte l'appartenenza all'Italia, non era politicamente parlando dipendente da nessuno stato straniero da tempi immemorabili (per lo meno da quando, nell'847, l'emiro di Sicilia cominciò a considerarsi indipendente dai sovrani del Nordafrica). Quindi non ha senso dire che abbiamo lottato per "l'indipendenza dell'Italia"; semmai per l'Unità (e infatti abbiamo anche una piazza Unità d'Italia), anche se neanche questo è vero perché il risorgimento siciliano fu tutt'al più confederalista e mai annessionista al di fuori di piccolissime minoranze. Ma la memoria storica da noi sembra perduta e questa piazza - a suo modo vergognosa - giace tra il Parlamento del Palazzo Reale e il Governo di Palazzo d'Orleans.

Ufficio Stampa - L’Altra Sicilia

1111 2222

3333 4444

(lato 1) AI GENEROSI

LA PRIGIONE FU REGGIA IL PATIBOLO UN TRONO

(lato 2)

NON ABBIA ITALIA ALTRI MARTIRI SE NON CADUTI

NELLE PATRIE BATTAGLIE

(lato 3) AI TRONI INFRANTI

ALLE SPEZZATE CATENE IL NOME SOPRAVVIVE

DEI MARTIRI

(lato 4) PALERMO

NEL 4 APRILE 1860

AI MARTIRI DELL'INDIPENDENZA ITALIANA

Francesco Paolo Di Blasi - Giurista di idee illuministe, autore del Saggio sopra la legislazione di Sicilia, promosse

una cospirazione per l'instaurazione di un governo repubblicano. Fu giustiziato con tre compagni.

Leonardo Sciascia costruisce sulla sua vicenda il romanzo storico Il Consiglio d'Egitto (1963).

Page 9: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

9

V incenzo Nibali ha vinto il Giro d’Italia. L’ufficializzazione del successo dello Squalo dello Stretto è arrivata a 3 chilometri

dal termine dell’ultima tappa, la Riese Pio X-Brescia, dal momento che è scattata la “neutralizzazione” dei distacchi in caso di cadute e problemi meccanici in vista di un più che probabile arrivo in volata. “Ho coronato il sogno di tutta una vita. Forse neanche io riesco ancora a realizzare quanto è successo”, ha detto Nibali appena tagliato il traguardo. In questa edizione della corsa rosa lo Squalo ha vinto due tappe (la cronoscalata di giovedì e Le Tre Cime di ieri). E’ il primo siciliano a trionfare al Giro e chiude con 4’43″ di vantaggio su Rigoberto Uran e 5’52″ su Cadel Evans.

Vincenzo Nibali adesso è un mito. Accarezza la neve, mentre il sudore diventa ghiaccio. Sono schegge di gloria, perché il piccolo siciliano è appena diventato leggenda. Ha distrutto tutto e tutti, senza limitarsi a vincere. Ha deciso di stravincere, infliggendo distacchi d’altri tempi, come se d’incanto il ciclismo fosse tornato, per tre settimane, quello di Coppi e Bartali. Ma lo ha fatto senza spocchia.

Composto e silenzioso. Gentile e ambizioso. Guerriero senza violenza. Già a 20 anni si diceva che era un corridore da grandi giri, ma Nibali non ha mai fatto il passo più lungo della gamba (tipo Cunego per intenderci). La consacrazione arriva adesso, a 28 anni e mezzo, dopo tante stagioni da

eterno baby rampante, o gregario apprendista all’ombra di gente più esperta. Sempre dosato dai saggi del pedale che lentamente hanno costruito il prototipo del ciclista moderno in grado di vincere, o provare a farlo, a crono e in montagna. Al Giro come a Liegi o a Sanremo. Dopo la Vuelta e la corsa rosa adesso gli manca solo il Tour per salire sull’olimpo dei campionissimi.

Vincenzo Nibali è un grande. E non potrebbe non esserlo uno che da ragazzino scappa dalla Sicilia. Via da mamma, papà, amici, per inventarsi una vita in un minuscolo paesino della Toscana, con una nuova famiglia, a Lamporecchio. Senza mai voltarsi indietro, come ieri, sul traguardo delle Tre Cime di Lavaredo, per cercare rimpianti o avversari. La vita di Nibali è spezzata in due. La prima si snoda a Messina. La seconda a Mastromarco, provincia di Pistoia. Il classico paese che non sai dov’è, e cos’è, se non lo cerchi su

Wikipedia. Ai piedi di una montagna, il Montalbano. Nome dalla sicilianissima memoria. E lì il piccolo Vincenzo è diventato uomo.

E Nibali ha capito di essere già un grande nel 2010. Quando trionfa alla Vuelta, la Spagna inizia a temerlo, il mondo lo guarda ammirato. “E’ la replica siciliana di Contador”, titolò El Mundo il giorno dopo l’incoronazione di Madrid. Che in silenzio ce lo invidia. Lo Squalo dello Stretto ha lasciato la sua Sicilia ed è diventato un mito. Costretto a scappare da Messina e dalle sue antiche macerie, per essere qualcuno. Lontano dalla sua terra, poco avvezza a pedali e manubri. Perché da quelle parti funziona così: chi esce riesce.

Nibali in realtà poteva restare a Messina, nella sua videoteca di famiglia, invece di spellare sellini a ripetizione. Col termosifone in inverno, col ventilatore in estate. Ma non lo ha fermato nessuno. Neppure il caldo atroce, o gli avversari, o i tornanti, o il fiato corto sulla strada lunga. Neppure la neve, splendida compagna degli ultimi giorni della sua cavalcata rosa. Epico Nibali, nella sua semplicità. Mai una parola di troppo, mai una promessa arrogante, impresa tutt’altro che facile in un mondo di pescecani, come il ciclismo. Dove però, da oggi, il padrone è uno Squalo. Che ha appena addentato presente e futuro.

Alessandro Bisconti

(siciliainformazione.it)

“ La viIoria di Nibali rappresenta, per quanto deIo e per usare un termine leIerario, una sorta di

“rinascimento” del nostro ciclismo ed anche la consacrazione e l’ufficializzazione, con le imprese degli altri

corridori isolani Viscon�, i fratelli Caruso, Puccio e Tiralongo della indiscussa e qualificata presenza nel

panorama ciclis�co di una bella realtà come appunto quella del ciclismo siciliano. [ Ignazio Coppola ]

Giro d'Italia, Brescia incorona il messineseGiro d'Italia, Brescia incorona il messineseGiro d'Italia, Brescia incorona il messinese

Vita da Squalo: Nibali eroe rosa, Vita da Squalo: Nibali eroe rosa, Vita da Squalo: Nibali eroe rosa, fuga dalla Sicilia per diventare leggendafuga dalla Sicilia per diventare leggendafuga dalla Sicilia per diventare leggenda

L’astronauta siciliano Luca Parmitano, originario di Paternó, nello spazio

“ E, da catanese, mi sono detto: “perché non dare un pò di visibilità alla mia

terra, cui sono legatissimo, la città della mia famiglia e dei miei amici? E'

anche un segno di riconoscenza verso le mie origini. Ho vissuto in molte parti del

mondo, ma Catania è il posto dove mi trovo sempre a casa”. E ancora: “Non

siamo autorizzati a spettacolarizzare la cosa, fa parte del protocollo, è vietato fare

qualsiasi tipo di pubblicità. Però, lavorando, facendo dello sport, se la maglietta

che indosso è quella della mia città può essere una maniera per dire da dove

provengo, chi sono. Quello che non potrò fare è girare un video della serie

“guardate la maglietta della mia squadra quant'è bella”. Ecco, questo no”.

Page 10: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

10

Proverbi sicilianiProverbi sicilianiProverbi siciliani

IlIlIlIl proverbio è una massima che con�ene norme, giudizi,

deIami o consigli espressi in maniera sinte�ca e, molto

spesso, in metafora, e che sono sta� desun� dall'esperienza

comune. Essi generalmente riportano una verità (o quello che la gente

ri�ene sia vero): si dice infaN che i proverbi sono fruIo della saggezza

popolare o della cosiddeIa "filosofia popolare. In qualunque caso,

rappresentano pur sempre un patrimonio culturale da difendere e da

preservare, visto che ci lasciano una traccia di epoche passate, e ci

indicano quale cammino hanno percorso i nostri antena�. Lo studio dei

proverbi si chiama paremiologia.

Nun po' dari vastuna� a lu patruni, e li duna a lu sceccu.

Non può dare bastonate al padrone, e li dà all’asino. Il senso del

proverbio sembra non necessitare di ulteriori spiegazioni.

NuIata e figghia fimmina.

No.ata e figlia femmina. Nella società patriarcale la nascita di una

neonata era vista come una calamità, in quanto c’era la dote, spesa

cospicua per una famiglia di allora. In questo senso, il de.o no.ata e

figlia femmina vale: un grande sacrificio tu.o sommato inu�le, o, per

disturbare Shakespeare, tanto rumore per nulla.

Facci senza culuri, o sì boia o sì tradituri.

Faccia senza colore, o sei boia o sei traditore. Non servono altri

commen�!

Cu havi lingua passa lu mari.

Chi ha lingua passa il mare. Il proverbio consola chi deve fare un lungo

viaggio in un paese sconosciuto sulla buona riuscita dello stesso.

Fa lu fissa pi nun pagari la duana.

Fa lo gnorri per non pagare la dogana. L’adagio viene recitato quando si è

in presenza di un bugiardo… molto poco a.endibile!

Iúnci� cu li megghiu di �a e appizzaci li spisi.

Stai con i migliori di te, anche a costo di perderci le spese. Crediamo non

occorrano altri commen�.

Lu sceccu ca s’avanta nun vali mancu ‘nna lira.

L’asino che si vanta non vale neanche una lira. De.o coniato molto prima

dell’entrata in scena del famigerato Euro, sferza i presuntuosi, gli

arrogan� e i vanitosi così di moda nella nostra società dell’apparire e non

dell’essere, come tale non cessa mai di essere a.uale.

Aranci aranci, cu l’avi si li chianci.

Aranci aranci, chi c’è li ha se li piange. Proverbio che indica il rifiuto di

partecipare al dolore altrui, come tale non sembra par�colarmente

simpa�co.

Di sali meNccinni na bisazza, cònzala comu voi sempri cucuzza è.

O anche nella versione più abbreviata conzala comu voi sempri cucuzza

è. Di sale ce ne puoi me.ere una bisaccia, condiscila come vuoi: è

sempre zucca! De.o che origina dalle abitudini alimentari piu.osto

parche dei nostri avi, che per arginare i morsi della fame si nutrivano

spesso e volen�eri di ortaggi. Naturalmente, i condimen� nulla possono

contro cer� alimen� par�colarmente insipidi a confronto di pietanze più

sostanziose. L’adagio si riferisce sia a cibi par�colarmente poveri, che

metaforicamente a persone e cose che, con tu� gli abellimen� e i decori

del mondo, risultano spesso di scarso pregio. �

girato diversi corti, esordisce con un lungometraggio nel 1997, Once We Were Stranger. Seguono i lungometraggi Respiro e Nuovomondo, entrambi ambientati in Sicilia, film che riscuotono notevole successo di critica e di pubblico, specialmente in Francia. Nuovomondo presentato in concorso ufficiale alla Mostra del cinema di Venezia, un buon successo di pubblico che gli valse un Leone d’Argento e la candidatura italiana per il miglior film straniero dell’Academy Award (Premio Oscar) oltre a tre David di Donatello. Il suo quarto lungometraggio, Terraferma, è stato presentato al Festival di Venezia 2011 in cui è stato accolto con una standing ovation. Nel 2012 ha vinto il Premio Mario Monicelli per la miglior regia al Bif&st di Bari. Ultimi, ma non meno importanti i registi palermitani Daniele Ciprì e Franco Maresco. Iniziano a produrre una serie estrema e provocatoria, che sconvolgerà tutto l’ambiente televisivo italiano: Cinico TV. Un tipo di televisione è quanto di più cinematografico si possa vedere. Questa serie è stata premiata col Premio Aristofane a Saint-Vincent. Dopo vari cortometraggi che valgono la collaborazione di diversi grandi del cinema (Martin Scorsese, Samuel Fuller, Amos Gitai), dopo altri premi e retrospettive dedicategli (a Taormina e a Prato), Ciprì e Maresco dirigono il loro primo lungometraggio: Lo zio di Brooklyn del 1995. Nel 1998 girano Totò che visse due volte, aprendo un vero e proprio caso sulla censura in Italia. Nel 1999 hanno diretto un lungometraggio incentrato sulla figura del sassofonista jazz Steve Lacy che interpreta Duke Ellington. Il titolo del film è appunto Steve plays Duke. Il 2003 vede la luce Il ritorno di Cagliostro, presentato alla 60ª Mostra del Cinema di Venezia e successivamente, nel 2004 Come inguaiammo il cinema italiano, omaggio a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, anch’esso presentato a Venezia. Oltre ai numerosi corti e mediometraggi, hanno presentato a teatro lo spettacolo multimediale Palermo può attendere (2002), prodotto per la Biennale di Venezia. Nel 2012 È stato il figlio, primo film realizzato dal solo Daniele Ciprì ha ottenuto dalla giuria il premio “per il miglior contributo tecnico”, alla 69ª Mostra di Venezia.

(fonte:siciliainformazioni.it)

(Segue dalla pagina 3)

Cannes parla siciliano, doppio premio per “Salvo”

Page 11: l'isola 03_13
Page 12: l'isola 03_13

Vieni in Sicilia ... te ne innamorerai !Vieni in Sicilia ... te ne innamorerai !Vieni in Sicilia ... te ne innamorerai !Vieni in Sicilia ... te ne innamorerai !

ISOLA DI LEVANZO (TP) - FOTO DI ROSALBA BRUNO

RAGUSA IBLA (RG) - FOTO DI GILDO MATTIAZZI

TROINA (EN) - LA CATTEDRALE MARIA SS ANNUNZIATA E LA CHIESA DI SAN GIORGIO

BELMONTE MEZZAGNO (PA) - FOTO DI GIOVANNI PORGI

FARAGLIONI DI SCOPELLO (TP)

La Sicilia per apprezzarla ... bisogna amarla !

Page 13: l'isola 03_13

E se mi chiederanno perché amo La SICILIA, risponderò...

Guardala di notte, vivila di giorno, ascoltala d'estate

e sognala d'inverno... Allora forse capirai !

CATANIA

GROTTE (AG)

Grotte è un paese agricolo con circa 7.000 abitanti posto su una zona collinare. Il paese fu fondato intorno al XIV secolo dalla famiglia Ventimiglia. L' origine del nome Grotte deriva dal greco Krupte che significa grotta e indica la forte presenza di caverne su tutto il territorio. Monumenti principali sono: la Chiesa Madre del 1700, la Chiesa del Carmine ricostruita nel 1968 e la Chiesa del Purgatorio del XIX secolo. �

ISOLA DI FAVIGNANA (TP)

Favignana (in siciliano Faugnana) è un'isola dell'Italia appartenente all'arcipelago delle isole Egadi, in Sicilia. Principale isola delle Egadi, si trova a circa 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, tra Trapani e Marsala, di fronte alle Isole dello Stagnone, che sono a loro volta di fronte all'aeroporto internazionale di Trapani Birgi. Favignana fa parte della riserva naturale delle isole Egadi istituita nel 1991. L'isola è abbastanza brulla e ospita la tipica macchia mediterranea e la gariga. La vegetazione è quindi costituita da Oleastro, Lentisco, Carrubo, Euforbia e Sommacco. Vi sono alcuni interessanti endemismi quali il cavolo marino (Brassica macrocarpa), il fiorrancio marittimo (Calendula maritima), la finocchiella di Boccone (Seseli bocconi). Uno studio degli anni sessanta sulla vegetazione delle Egadi riporta a Favignana circa 570 specie. Nell'area est dell'isola vi sono molti giardini detti ipogei, curati e coltivati all'interno delle cave di tufo ormai dismesse. È una delle poche isole minori siciliane in cui sia presente una popolazione di rospo smeraldino siciliano (Bufo siculus). ����

ERICE (TP) - IL PICCOLO CASTELLO

CASSIBILE (SR) - CANYON

SCIACCA (AG) - CASTELLO LUNA

Page 14: l'isola 03_13
Page 15: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

Lo schiavo che si fece re!Lo schiavo che si fece re!Lo schiavo che si fece re!

15

A lla pubblicazione di “Grandi” di Sicilia! (L’ISOLA n°2 -

Marzo/Aprile 2013), sono stato benevolmente

“ripreso” per aver trascurato un grande dell’an�chità!

Per la verità, intenzione del post voleva essere il

ricordare, ad alcuni, ovvero il far conoscere, ad altri, come la Sicilia

abbia avuto, nella sua storia, figure che le hanno dato lustro e le

hanno portato onore e rispe.o, … molto più di quanto non ne

abbiamo ricevuto!

Nello stesso tempo, voleva evidenziare come una grande

mediocrità sia il fa.ore che accomuna, oggi, mol� di coloro che …

si sentono “grandi”!

Il tu.o, giusto con brevi cenni su pochissimi personaggi ritenu�

esemplifica�vi. Ma per un (troppo ambizioso, forse!) “… blog sulla

memoria siciliana …” che riterrebbe di aver conseguito “un

successo se aiutasse a diffondere la memoria storica di even� che

hanno coinvolto Sicilia e siciliani; a tenere viva l’a.enzione su fa�

di cui troppo spesso ci si dimen�ca o sui quali ci si intorpidisce”,

devo riconoscere che il richiamo … era dovuto!

Su Euno si sono cimentate persone molto meglio a.rezzate di me,

che volessero o meno richiamare principi indipenden�s�, o

quant’altro. Non potrò dire niente di nuovo, quindi! Anzi,

certamente sarò in grado di darne solo brevissimi cenni, giusto per

il piacere di … ricordare, ad alcuni, far conoscere, ad altri, … anche

quest’altra, affascinante figura! Di mio, mi limiterò solo a brevi

considerazioni finali, … invero assai banali e scontate!

Uno dei granai di Roma, al tempo l’isola era cara.erizzata da

grandi la�fondi in cui veniva impiegata manodopera in condizioni

di schiavitù e non erano insolite rivolte da parte degli schiavi.

La più importante fu la cosidde.a prima guerra servile, che ebbe

inizio nel 136 a.C.. Messosi a capo, inizialmente, di poche cen�naia

di altri schiavi, Euno guidò la rivolta e fu acclamato re col nome di

An�oco, assai diffuso nella sua terra d’origine, la Siria.

A lui si unì Cleone, che aveva guidato la rivolta di altre migliaia di

schiavi, nell’agrigen�no. Insieme, diedero vita ad un esercito che

arrivò a contare duecentomila uomini e fu in grado di resistere e di

sconfiggere a più riprese l’esercito romano, … fino alla discesa, nel

132 a.C., delle legioni del console Publio Rupilio! Ven�mila

ci.adini furono trucida� nella sola Enna, in una delle più grandi

stragi che la Sicilia abbia conosciuto!

Euno fu ca.urato e rinchiuso nelle carceri di Morgan�na, dove

morì in prigionia!

Nel castello di Lombardia, ad Enna, una lapide apposta nel 1960

riporta: “duemila anni prima che Abramo Lincoln liberasse

l’infelice turba dei negri l’umile schiavo Euno da questa sicana

fortezza arditamente lanciava il grido di libertà per i compagni

suoi il diriIo affermando di ogni uomo a nascere libero ed anche

a liberamente morire”!

Mi piace pensare che, nonostante la tragica vi.oria, Publio Rupilio

dove.e riconoscere, almeno in parte, le ragioni per le quali un

intero popolo si era ribellato! Egli diede il via, infa�, ad una

profonda riforma amministra�va della Sicilia: non essendovi mai

stato uno stato siciliano unitario ma, di fa.o, singole ci.à-stato,

con la promulgazione della lex rupilia se ne fissava, per ciascuna,

lo stato giuridico in base ai pregressi rappor� con Roma. Messina,

Taormina e Noto, che avevano s�pulato tra.a� bilaterali, furono

dichiarate formalmente libere ed indipenden�, con proprie

is�tuzioni e proprie leggi, senza essere sogge.e a tribu� e tasse.

Segesta, Salemi, Tusa, Centuripe e Palermo furono invece

dichiarate libere ed indipenden� per unilaterale a.o di Roma. La

gran parte delle ci.à furono dichiarate sogge.e alla decima,

essendosi so.omesse a Roma solo dopo iniziale resistenza.

Altre sei ci.à, che erano state conquistate con la forza, videro

confiscato il loro patrimonio ed i terreni agricoli ada� alla

col�vazione o al pascolo diventarono territorio dello stato di Roma

che, con asta pubblica, lo dava in affi.o.

Per il nostro modo di vedere e di pensare, moderno, democra�co

e liberale, una impostazione del genere non ci sembrerà magari

niente di che, ma ritengo che, allora, dove.e essere qualcosa di

importante ed innova�vo, se non proprio di straordinario.

Alcune considerazioni!

Innanzitu.o, la Sicilia ed i siciliani hanno avuto, nel passato, una

grande determinazione nel ribellarsi ad ogni sorta di oppressione

o di so.omissione. E ciò non vale solo per Euno, o Cleone, o

Ducezio, o per coloro che capeggiarono la rivoluzione del Vespro,

ma anche e sopra.u.o per le migliaia e migliaia che

comba.erono e morirono! E non può certamente dirsi che gli

oppressori del passato fossero poco cruen� …!

Ancora, … forse è servito, talora, ribellarsi! Anche solo ad essere

maggiormente rispe.a� e considera�! Ogni tanto, … uscire le

unghie … serve …!

Infine … e purtroppo, … ho l’impressione che i Siciliani abbiamo

perduto la capacità di … uscire le unghie …! E non significa

necessariamente comba.ere con le armi, guerreggiare o morire,

… si comba.e altre.anto bene … con la parola, se lo si vuole, … e

con la determinazione con la quale la parola viene proferita! E

questa determinazione e questa parola dovremmo innanzitu.o

averle verso noi stessi … e verso quei falsi grandi che oggi credono

di rappresentarci!

Ma temo che, più che felini, i siciliani s�amo diventando come

tante pecore, … capaci solo di belare …!

Arturo Frasca

Page 16: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

16

Per non dimenticare mai...

Caro Paolo,

oggi fra le colline, il mare, le strade e gli assolati paesaggi di

quest'Isola, echeggia più forte del solito il tuo sacrificio e

quello degli angeli della tua scorta.

Ventuno anni fa la violenza, l'assurdo e la viltà, la mafia, ti

strapparono alla tua vita e alla tua terra che tanto ti deve.

Ventuno anni dopo, in questo giorno, voglio cogliere

l'occasione per scriverti, perchè ne sento il bisogno.

Voglio dirti che quel che hai fatto, e che ha fatto Giovanni

Falcone, Don Pino Puglisi, tutte le persone come voi, è

grande.

Vorrei anche ringraziarti come meriteresti, ma purtroppo non

riesco a trovare le parole adatte, perchè nessuna basta a

racchiudere tanta gratitudine e ammirazione. Ma non voglio

fare retorica, voglio che questa stia ben lungi da me. Perchè

l'antimafia non può e non deve essere parolaia, non deve

essere la parola non seguita dai fatti, qualche discorso per

mettersi la coscienza a posto e poi non combattere nella

propria vita i soprusi.

Il tuo, il vostro esempio, è stato ben diverso, e il modo migliore

per rendervi onore è continuare il cammino che voi avete

intrapreso, seguire le vostre orme. Io ho un sogno, forse mi

puoi capire, perchè hai finito per fare della tua vita una nobile

missione e so quanto per te fosse importante trovare un senso

alla propria esistenza e vivere nel segno di esso. Io un senso

alla mia vita l'ho trovato, mi sono sempre sentita come

chiamata a una missione, aiutare gli altri e migliorare il

mondo e la mia realtà per quanto mi fosse possibile. Vivi

dentro di me come un esempio e un

modello di vita a cui tendere

costantemente, tu, Giovanni, Don Pino,

siete stelle polari che guidano i Siciliani e

gli Italiani onesti, le uniche luci in un

cielo oscuro.

Temo però di non essere all'altezza della

mia missione, e di avere voi come esempi.

Se non potrò diventare commissario, mi

piacerebbe essere giudice. A volte però

mi dico che non sarei degna della

professione che era la vostra, mi

domando se avrei il vostro coraggio...

Perchè, lo sapete, questa realtà fa di tutto

per sviarci, a volte ci si sente persino

illusi ad inseguire i propri ideali, e soli in

un mondo che si è arreso alla mediocrità

e alla rassegnazione, al male.

Vorrei chiedervi se sono e sarei degna di

avervi a modello. Poi, però, ricordo le

vostre parole,il vostro modo di lavorare, i

vostri sorrisi sinceri, e realizzo che, come

voi sapevate, "la paura c'è, ma ci

dev'essere anche il coraggio", che avere le persone come voi ad

esempio e l'onestà e la correttezza per vele,è dovere di ogni

essere umano. Voi non vi siete mai sentiti eroi.

Infatti, quel che avete fatto è quel che tutti dovrebbero fare, è

quel che era ed è giusto fare, è quel che vi dettava la

coscienza, la giustizia e il dovere. Purtroppo, però, è ben e

tristemente sotto gli occhi di tutti quanto uomini come voi

siano rari, ed ecco che l'onestà diventa dote straordinaria e il

senso del dovere diviene coraggio. Perdonate dunque se vi

chiamiamo eroi.

Ma, voi, eroi, lo siete davvero. Perchè avete proseguito a testa

alta nella strada della giustizia quando tutti abbassavano gli

occhi, e chissà quanti al vostro posto avrebbero fatto

altrettanto.

Siete per me eroi, ma non intendo con questa parola degli idoli

lontanissimi da noi, a cui dobbiamo guardare con adorazione

consci di non poter neanche immaginare di emularne le gesta,

ma al contrario.

Siete persone come noi - che spiccano nella massa come fiori

in un campo d'erba, sì - ma persone, non idoli, e quindi tutti

noi possiamo e dobbiamo prendervi ad esempio. Perchè è

anche questo che ci avete insegnato. Che ognuno, nella

propria vita, nel corso delle sue giornate, qualunque sia la sua

professione, nel suo piccolo, insomma, può essere utile agli

altri ed aiutare. Grazie per questo insegnamento.

Caro Paolo oggi ti ricordiamo ma non solo oggi, perchè il tuo

esempio vive costantemente nei giorni degli onesti, ed è

guardando a quel che hai fatto che troviamo sempre più

florida la forza di mandare avanti i nostri ideali e

Palermo: 19/01/1940 - 19/07/1992

Page 17: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

17

di non arrenderci al grigiore di questo

mondo.

Non ti hanno ucciso, perchè quel che hai fatto vive

ancora, splenderà per sempre il tuo esempio e non

potranno mai metterlo a tacere. Il tuo esempio splende

nei nostri cuori come il sole di questa Sicilia.

Mi sarebbe piaciuto conoscerti, ventuno anni fa avevo

solo sei anni, troppo piccola per serbarne ricordi nella

memoria. Cerco di conoscerti un poco leggendo quel

che scrivevi e ascoltando le parole di chi ti ha

conosciuto. E non posso non dirti che sei una persona

straordinaria. E che si sente la mancanza di persone

come te. Hai dato anche una grandissima testimonianza

di fede e hai dimostrato in ogni minuto della tua vita di

essere un vero cristiano.

E la tua frase "Palermo non mi piaceva, per questo ho

imparato ad amarla: perchè il vero amore consiste

nell'amare ciò che non piace per poterlo cambiare" fa

ben capire quant'era grande e puro l'amore che nutrivi

per la nostra terra.

E so che è anche per me che hai combattuto per la

giustizia e per la dignità umana, che ti sei caricato di

tale fardello e che hai affrontato tanti e inimaginabili

sacrifici e rinunce. Sono in debito con te, come

Siciliana, come Italiana e come persona.

Il tuo senso dello Stato e della giustizia, la tua integrità

morale e il tuo senso del dovere ci fanno esser fieri di

essere Siciliani.

E il tuo ricordo ci aiuta a proseguire la tua battaglia.

Grazie Paolo!

Chiara

“ Quando i politicanti dicono che nel Sud lo Stato è assente, sanno benissimo di mentire, in quanto esso è presente appunto nei panni delle stesse cosche mafiose. Tale coincidenza è spiegata dal fatto che lo Stato non fa nulla di decisivo per combattere la criminalità organizzata.

Lo Stato - eccettuati naturalmente alcuni suoi singoli esponenti o organismi - non solo è complice di questa criminalità, ma ha addirittura delegato ad essa molte sue funzioni. In un territorio ove la criminalità domina incontrastata, le funzioni dello Stato o non esistono (ovvero sono ridotte al minimo) oppure sono quelle stesse della mafia ” (fpc)

Tremò la terra, quel giorno. E tremò l’Italia tu�a.

Tremò la Sicilia – come registrarono i sismografi –

e dalle 17 e 58 di quel 23 maggio del’92 tremò

l’intero Paese.

Cosa Nostra, con le mani di Giovanni Brusca,

preme�e il telecomando – facendo saltare in aria

Giovanni Falcone, la moglie e tre agen� della

scorta!

Il loro ricordo è vivo nella mente della gente

onesta!

⇒ LA MAFIA NON POTRA' MAI SPARIRE SE NON SPARISCONO I MAFIOSI IN GIACCA E CRAVATTA CHE SIEDONO

TRA LE PIU' ALTE ISTITUZIONI ITALIANE E CHE NON HANNO ALCUNA INTENZIONE DI COMBATTERE LA

MAFIA IN QUANTO E' LA LORO MANOVALANZA PER FARE I LAVORI SPORCHI.

⇒ LA MAFIA NON POTRA' MAI SPARIRE FINCHE' CI SARANNO PECORE PRONTI A FARSI SODOMIZZARE

RINUNCIANDO AI PROPRI DIRITTI PER UN PEZZO DI PANE DURO.

⇒ LA MAFIA NON POTRA' MAI SPARIRE FINO A QUANDO LA PAURA E L'OMERTA' SARANNO PRESENTI NEI

VOSTRI PENSIERI.

⇒ LA PIOVRA MUORE SOLO SE VIENE ELIMINATA LA TESTA, IL FARE FINTA DI TOGLIERE QUALCHE TENTACOLO

E' SOLO UNA PRESA PER I FONDELLI E NON SERVE A NULLA, SOLO UN PALLIATIVO MEDIATICO.

Page 18: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

18

C’ erano, si, i fornai dove si poteva andare a comprare il pane già pronto, ma molta gente preferiva farselo da

sé. Da qui la distinzione tra: “pani di casa”, “pani di furnu” e, a partire dal dopoguerra, “pani di furnu elettricu”.

La preparazione del pane era lunga e laboriosa e spesso richiedeva la collaborazione di tutta la famiglia, per cui il pane di casa si faceva solo un paio di volte alla settimana e veniva conservato per vari giorni spesso avvolto in panni che ne mantenevano la fragranza e la morbidezza.

Ogni volta che si faceva il pane, si conservava un panetto di impasto crudo preferibilmente avvolto in una pampina di vite e conservato dentro un recipiente di terracotta o vetro, e, la sera prima di quando si doveva panificare nuovamente, si impastava quel panetto ormai fermentato e quasi asciutto con farina ed acqua tiepida e lo si metteva in un luogo ben riparato: era il “ cruscenti” (lievito naturale) e l’indomani sarebbe stato pronto per lievitare tutto il pane.

La mattina dopo le donne di casa preparavano uno “scanaturi (asse) su cui sarebbe stato impastato il pane. Per prima cosa si pesava la farina che veniva “cirnuta” (setacciata con un “crivu di sita” (setaccio molto sottile) e poi veniva messa sullo “scanaturi” a formare una piccola montagna.

A questo punto si procedeva all’impasto, veniva fatto un cratere al centro della montagnetta in cui veniva adagiato il “cruscenti” preparato la sera prima, poi si cominciava ad aggiungere aqua riscaldata (ma non troppo) e salata, cercando di sciogliere il cruscenti fino a ridurlo in poltiglia, pian piano, cercando di non far fuoriuscire il liquido contenuto nel cratere, si andava aggiungendo la farina, quando il liquido terminava si versava dell’altra acqua tiepida fino ad imbibire tutta la farina ed ottenere un impasto abbastanza solido, che, la più forzuta della famiglia, cominciava a “maciriari” cioè a lavorare l’impasto girandolo e ripiegandolo sullo scanaturi fino ad ottenere un tutto omogeneo , liscio ed elastico.

Con questo impasto venivano modellate una o due grandi pagnotte che venivano messe da una parte dello scanaturi e coperte con una salvietta: la pasta per il pane era pronta, ora bisognava prenderne un pezzettino per volta e farne pani di diverse forme e dimensioni, ma il primo pezzo veniva conservato come lievito per la prossima panificazione.

Le forme di pane più comuni erano: la “scanata” o “cuddrura” (una corona di pane), il “chichiri” ( un semicerchio, mezza scanata), i l “pupuni” o “pistuluni” (pane di forma allungata), la “mafalda” (una treccia di pane), le “guasteddri” (grosse pagnotte); certe volte si preparavano anche i “muffuletta” pagnotte rotonde preparate con un impasto più morbido, “caddriatu” (ulteriormente ammorbidito con acqua tiepida e talvolta anche un pò d’olio) spesso si facevano anche dei “muffulitteddra” piccole pagnotte monodose da mangiare farcite con olio, sale, filetti di acciughe salate, formaggio, etc (pani cunzatu) o con altre farciture. Infine i vari pani, tranne i muffuletta, venivano abbelliti con disegni e incisioni e impreziositi con una spolverata di “paparina” (semi di papavero) o di “giuggiulena” (sesamo).

Appena finita l’operazione di panificazione, i pani venivano adagiati su una tovaglia stesa sul letto, coperti con un altro telo e con delle “mante” (coperte di lana) e lasciati a riposare per qualche ora … e intanto, spesso con la collaborazione dei maschi di famiglia, cominciava l’ operazione forno.

I tipici forni siciliani avevano generalmente forma di un emisfero, con un’apertura a semicerchio, erano costruiti con mattoni compatti di terracotta e murati con gesso, anche la porticina (“balata”) era costruita in gesso o in pesante lamiera.

Prima di “famiari” (riscaldare il forno per cuocervi il pane) i forni venivano ripuliti con vecchie scope perché il pane sarebbe stato poggiato direttamente sui mattoni.

Gli addetti al forno preparavano la legna (fascine di rami ben secchi e anche pezzi di legna da ardere, un “furcuni” ( ungo bastone), una o più vecchie scope di sagina, una pala di legno e dei recipienti pieni d’acqua.

Poi si cominciava ad accendere il fuoco: dentro il forno si preparava una vera e propria impalcatura di legna da ardere a partire dai rametti secchi più sottili accompagnati da qualche manciata di “ristucca” (stoppia) che prendevano fuoco facilmente fino ad arrivare a dei piccoli ciocchi, il fuoco si propagava facilmente fino a consumare tutto il combustibile, allora il forno veniva liberato dalla cenere con delle scope bagnate e quando era ben pulito, veniva riempito nuovamente di

combustibile ed alimentato continuamente fino a quando le sue pareti non diventassero bianche.

A questo punto il forno veniva pulito definitivamente ed era pronto per accogliere il pane, operazione da fare in tutta fretta per non disperdere troppo calore. Si controllava la lievitazione del pane, lo si percuoteva col palmo di una mano tenendolo appoggiato delicatamente sull’altro e, se faceva un rumore di vuoto ad indicare che le sue molecole si erano abbondantemente distanziate tra loro con la lievitazione, il pane era pronto.

Con un coltello ben appuntito, venivano ripresi i disegni che vi erano stati fatti, soprattutto quello centrale (“sgrignatura”) per permettere al pane di aprirsi durante la cottura, poi veniva deposto sullo scanaturi o su una “maiddra” (asse con delle sponde) e portato in prossimità del forno. Qui, ad uno ad uno, i pani venivano deposti su una pala di legno ed adagiati sul pavimento del forno, i più grandi in fondo, i panini, vicini all’apertura, avendo cura di distanziarli tra loro e dalle pareti del forno per dar loro lo spazio di gonfiare senza “ncugnarisi” (attaccarsi gli uni agli altri). Finita questa operazione il forno veniva chiuso in gran fretta e la “balata” veniva sigillata con un impasto di cenere ed acqua perchè non si disperdesse il calore.

Dopo almeno una ventina di minuti, si socchiudeva la balata e si controllava la cottura: se non c’erano problemi, si risigillava, e, controllando di tanto in tanto si attendeva la cottura completa; se i panini piccoli situati appositamente vicino all’uscita erano già cotti si tiravano fuori in tutta fretta e si lasciava cuocere il resto della fornata; se il pane rischiava di bruciarsi, il forno veniva lasciato un pò socchiuso; se, invece, pareva che avesse difficoltà a prendere colore, gli si “faciva la facci” cioè si accendeva un pò di rametti o di stoppia davanti alla porta affinché la temperatura salisse del necessario.

Alla fine le fragranti pagnotte venivano sfornate (sempre con la pala) e adagiate in ceste o sull’asse e messe sul tavolo a intiepidirsi…PERCHÈ LU “PANI DI CASA” NON VA MAI MANGIATO TROPPO CALDO.

Angela Marino

Foto di Roberto Patroniti Il pane di SICILIA .... profumo e sapore allo stato puro Il pane di SICILIA .... profumo e sapore allo stato puro Il pane di SICILIA .... profumo e sapore allo stato puro

LU PANI DI CASA LU PANI DI CASA LU PANI DI CASA

di Angela Marinodi Angela Marinodi Angela Marino

CONOSCERE LA SICILIA

Page 19: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

19

Roma, 18 maggio 2013 - « Non interessa se la gente muore di fame, se non ha niente. Ci si preoccupa delle banche o della finanza...».

Papa Francesco parla davanti ai 200 mila fedeli (un record) appartenenti ai movimenti ecclesiali arrivati in piazza San Pietro per la veglia di Pentecoste. Bergoglio - che nella mattina ha avuto un lungo colloquio con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha toccato anche il tema della crisi economica - ha più volte sottolineato il suo messaggio alla politica: « Nella vita pubblica se non c'è l'etica tutto è possibile. Lo leggiamo i giornali quanto la mancanza di etica fa tanto male all'umanità intera ».

E ancora, parlando sempre a braccio: « Se cadono gli investimenti, le banche, tutti a dire che è una tragedia. Se le famiglie stanno male, non hanno da mangiare allora non fa niente... Questa è la nostra crisi ».

Egr. Presidente del Consiglio, egr. ministri; L’attuale crisi economica non è congiunturale, è strutturale. E affrontarla senza affrontare il meccanismo di creazione del denaro è come voler dare una mano di intonaco ad una casa che sta crollando: vanno rifatte le fondamenta, non serve ritoccare la facciata (anzi, peggio: ritinteggiare la facciata impedisce a chi la abita di rendersi conto del reale stato delle cose). Il settore finanziario, da settore di servizi all’economia e alla società, è diventato il vero padrone di questo mondo. E come ha fatto? impadronendosi del diritto di creare liquidità, creare moneta. Tutto il denaro esistente al mondo è infatti creato da banche private (anche le banche centrali sono private) che lo creano a debito. Cosa significa a debito? Le banche non hanno la stampante per creare denaro (sarebbero falsari) nè si auto-accreditano somme sui propri conti correnti (anche questo sarebbe molto simile all’opera di falsari). Il meccanismo è quello del prestito: creano denaro nel momento in cui qualcuno, pubblica amministrazione, impresa o privato, chiede un prestito alla banca stessa. Senza entrare però nel dettaglio della spiegazione di come ciò avviene, conviene invece concentrare l’attenzione sulle conseguenze di questo sistema. 1. Prima conseguenza: Il potere vero sta nelle mani di privati che condizionano l’economia (decidendo a chi prestare e a chi no, quali settori favorire e quali penalizzare ecc.) e agiscono in base a fini, logiche e linee guida tipiche che non tengono in considerazione il bene comune. Con buona pace della cosiddetta “democrazia“. (vedi video sotto) 2. Seconda conseguenza: Tutto il denaro esistente in circolazione è emesso a debito. Se anche uno possiede 1000 € e sono “suoi“, qualcun’altro si è indebitato perchè quei soldi esistessero. Questo implica che una percentuale crescente di tutte le attività di cittadini, imprese, pubblica amministrazione viene assorbita dal tentativo di ripagare il debito anzichè dallo sviluppo dell’economia, della società, ecc.. 3. Terza conseguenza: Il debito è impossibile da ripagare. Se ogni volta che viene creato “100” di nuovo denaro (perchè viene erogato un prestito) viene contestualmente creato “150” di debito (perchè il debito dovrà essere restituito con gli interessi, magari

con un mutuo ventennale), i 50 in più non esistono, e quindi dal punto di vista strettamente matematico il debito non può essere ripagato. Una volta capito questo si evince che qualunque manovra di stimolo all’economia, vuoi qualche rottamazione agevolata (auto? frigoriferi? divani?), vuoi qualche incentivazione fiscale (assunzioni esentasse? detrazioni per investimenti eco-compatibili?) così come qualunque manovra di austerity non possono nulla rispetto alla voragine del debito che divora il tempo, le energie, le ricchezze, la creatività di una intera società di lavoratori. SOLUZIONE Serve una nuova immissione di moneta nell’economia, moneta a credito e non a debito, che toglierà potere alle banche che lucrano da questa posizione privilegiata senza produrre alcunchè di utile all’economia reale, anzi dissanguandola senza pietà. Un governo che comprende questo può cominciare ad emettere in prorio titoli alternativi (le possibilità sono limitate solo dalla fantasia) che, una volta in circolazione, consentano un vero rilancio dell’economia senza la zavorra, la palla al piede della moneta emessa a debito. Basta avere il coraggio per iniziare e dare così avvio alla prima vera, grande rivoluzione della storia dell’umanità.

Alberto Medici (fonte: ingannati.it)

LETTERA APERTA AL NUOVO GOVERNO In particolare al presidente del consiglio, e ai ministri del tesoro, finanze e dello sviluppo.

Page 20: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

20

Reustaurant - Traiteur

Boulevard Lambermont 330

1030 Schaerbeek

L’ angolo della poesia

SICILIA

Matri di me matri e di me patri,

di li ricchi e di li puureddi.

Sicilia ranni. Sicilia maistusa

china d'amuri, magnianima e fucusa;

ccu li to valli assula� e surriden�,

tu duni pani; a tanta brava gen�.

Omini for�, sinceri e valurusi;

animi nobili, du tragghiu rispiIusi.

Lu to ciauru si sen� di luntanu,

e di luntanu s’apprizza lu to vinu.

Lu mari ca t’abbrazza, è riccu e funnu,

’nvidiato viramen� di lu munnu.

Par�i luntanu cumannatu di la sor�,

ma ’nto me cori lu disideriu è for�.

Passari ’nzoccu arresta da me vita,

’ntra li to brazza… Sicilia terra mia…

� � � � � �� � � � � �� � � � � �� � � � � �

C’è una terra bedda

jIata ‘nta lu mari

pari ‘na grossa petra

pusata pi passari.

Cu’ arriva si ci appoja

ma nun ci vo’ ristari

ognunu n’apprufiIa

pìgghia zoccu ci pari.

Pur’iu chi ci nascivu

un jornu la lassai

sugnu tantu luntanu

e spinnu pi turnari.

Dintra a ‘stu mari nostru

c'è un’isula bedda

nun è na petra grossa

ma è 'na perla.

Gianni Farruggio

Page 21: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

CONCHIGLIE PROSCIUTTO E PISELLI CONCHIGLIE PROSCIUTTO E PISELLI CONCHIGLIE PROSCIUTTO E PISELLI

Ingredienti per 4 persone:

- 300 gr di conchiglie, - 1 cucchiaio di pinoli, - 3 cucchiai di olio di oliva, - 1 porro, - 100 gr di prosciutto cotto a cubetti, - 150 gr di piselli,

- parmigiano, - sale.

Preparazione:

Mettete sul fuoco la pentola con l’acqua per la pasta. Intanto mondate il porro e tritatelo, anche la parte verde tenera. Scaldate una padella e fate tostare i pinoli per qualche istante e poi metteteli in un piattino. Versate l’olio nella padella usata per i pinoli, mettete il porro e quando si sarà ammorbidito aggiungere il prosciutto, scaldate il tutto per qualche minuto. Aggiungere i piselli e acqua e cuocete a fuoco basso per 15 minuti circa. Un pizzico di sale. Cuocete le conchiglie al dente scolatele e condite con il sugo di prosciutto e piselli. Aggiungere i pinoli e il parmigiano. �

PESCE SPADA IN AGRODOLCE PESCE SPADA IN AGRODOLCE PESCE SPADA IN AGRODOLCE

Ingredienti:

Pesce-spada: 4 filetti Aglio: 4 spicchi Rosmarino: 1 rametto Succo di limone: 1 Olio: 50 dl Sale e Pepe : q.b.

Preparazione:

Dopo averle ben lavate e asciugate spruzzate le fette di pesce spada con abbondante succo di limone. Poi conditele con un filo d’olio, sale e pepe e tenetele al fresco per un’ora. Riprendete le fette e incidetele in più punti, in questi tagli introducete delle fettine di aglio e degli aghi di rosmarino. Ungetele ancora di olio e cuocetele alla griglia oppure disponetele in una pirofila ben oliata che passerete in forno a 180 gradi per 20 minuti. �

TORTA DI PERE E CIOCCOLATO TORTA DI PERE E CIOCCOLATO TORTA DI PERE E CIOCCOLATO

Ingredienti:

2 uova - 200 ml di panna da cucina - 7 cucchiai di farina - 8 cucchiai di zucchero - 50 gr di cacao amaro - 1 bustina di lievito - latte q.b. - 1 o 2 pere a seconda della grandezza

Preparazione:

Montare il bianco a neve e lasciare da parte. In un'altra ciotola lavorare i tuorli con lo zucchero. Aggiungere la farina, il lievito, il cacao amaro e la panna. Mescolare prima con un cucchiaio e poi usare le fruste elettriche in modo che non rimangano grumi. Se la consistenza fosse ancora troppo densa aggiungere un po' di latte quanto basta. Unire il bianco montato a neve mescolando con un cucchiaio di legno dal basso verso l'alto, in modo che non si smonti. In composto risulterà abbastanza spumoso. Oliare uno stampo di silicone 0 una teglia e versare il composto. Sbucciare la pera e tagliarla nel senso della lunghezza. Incastonate le fette di pere a vostro piacimento nella torta. Io le ho messe un po' a raggiera. Infornare a 180° per circa 25 minuti. Durante la cottura le pere entreranno bene dentro il composto e quando taglierete una fetta saranno più o meno al centro. �

IL LIMONCELLO DI SICILIAIL LIMONCELLO DI SICILIAIL LIMONCELLO DI SICILIA

Ingredienti:

1 litro di alcool puro a 95°gradi, 10 limoni non trattati, 700 gr di zucchero, 1 litro di acqua.

Preparazione:

Tagliare le bucce dei limoni utilizzando il pelapatate in modo da asportare solo la parte gialla della buccia. Mettere le bucce in infusione con l’alcool in un barattolo con chiusura ermetica e lasciarlo per 12 giorni al buio. Ogni tanto andate a controllare e muovete leggermente il barattolo. Trascorsi i 12 giorni fate riscaldare l’acqua in una pentola e aggiungete lo zucchero mescolando continuamente a fiamma dolce, fino a completo scioglimento. Spegnete e fate raffreddare. Unite quindi lo sciroppo di zucchero all’alcool e alle scorzette di limone e mescolate per qualche minuto. Dopo filtrare il tutto e imbottigliate. Lasciare riposare per altre 24 ore e servire ben freddo. �

Page 22: l'isola 03_13

Bimestrale (sauf juillet - août) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XV - n° 3 / Maggio - Giugno 2013

22

REGALATI E REGALA UN ABBONAMENTO A UN TUO AMICO O PARENTE

Abbonamento ordinario: 20 € (Belgio); Altri Paesi europei: 40 €

Abbonamento sostenitore: versamenti volontari

Puoi versare la somma sul conto corrente CBC : IBAN : BE07 1911 2148 3166 - BIC : CREGBEBB intestato a Catania Francesco Paolo specificando nella causale “abbonamento a L’ISOLA”

AVIS AUX ABONNES: PRIERE DE RENOUVELER VOTRE ABONNEMENT A TEMPS. MERCI

UN POPOLO SENZA MEMORIA NON HA IDENTITÀ ! RECUPERA LA TUA MEMORIA « ABBONATI »

Una storiella graziosaUna storiella graziosaUna storiella graziosa

““““ Una sera, mentre una mamma preparava la cena, il figlio ven�qua.renne si presentò in cucina con un foglio in mano. Con aria stranamente ufficiale il ragazzo porse il pezzo di carta alla mamma e lesse quanto vi era scri.o:

⇒ per aver strappato le erbacce del giardino: 5 euro; ⇒ per aver ordinato la mia camere.a: 10 euro; ⇒ per essere andato a comprare il la.e: 1 euro; ⇒ per aver badato alla sorellina (tre pomeriggi): 15 euro; ⇒ per aver preso o�mo a scuola: 10 euro; ⇒ per aver portato fuori l’immondizia tu.e le sere: 7 euro; ⇒ totale: 48 euro.

La mamma fissò il figlio negli occhi, teneramente … la sua mente si affollò di ricordi, prese una penna e scrisse sul retro del foglio:

⇒ per aver� portato in grembo per mesi: 0 euro; ⇒ per tu.e le no� passate a vegliar� quando eri ammalato: 0 euro; ⇒ per tu.e le volte che � ho cullato quando eri triste: 0 euro; ⇒ per tu.e le volte che ho asciugato le tue lacrime: 0 euro; ⇒ per tu.o quello che � ho insegnato, giorno dopo giorno: 0 euro; ⇒ per tu.e le colazioni, i pranzi, le merende, le cene che � ho preparato: 0 euro; ⇒ per la vita che � regalo ogni giorno: 0 euro; ⇒ totale : 0 euro. Quando ebbe terminato, sorridendo la mamma diede il foglie.o al figlio … dopo che il figlio ebbe finito di leggere ciò che aveva scri.o la sua mamma, gli vennero due lacrimoni agli occhi, girò il foglio e sul suo conto, scrisse “PAGATO”, saltò al collo della madre e la sommerse di baci”! �

Questa affascinante foto mi ricorda l'odore del la.e appena munto.... quando il babbo rientrava dalle stalle ed era "tu.o" per me. Con quel la.e si assaporava tu.o l'amore che c'era tra noi, tu.a la complicità nelle piccole cose. Ho imparato che LA VERA FELICITÀ viene solo da semplici ges�.

Cari Lettori, con questo numero L’ISOLA Cari Lettori, con questo numero L’ISOLA Cari Lettori, con questo numero L’ISOLA

sospende la sua attività per la pausa estiva sospende la sua attività per la pausa estiva sospende la sua attività per la pausa estiva

e vi dà appuntamento a Settembre.e vi dà appuntamento a Settembre.e vi dà appuntamento a Settembre.

Page 23: l'isola 03_13
Page 24: l'isola 03_13