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S hakespeare, in Come vi piace, fa parlare delle varie età dell'uomo il personaggio di Lord Jacques e lo fa concludere con questa triste descri- zione della vecchiaia: «Ed alfin ultima scena - che chiude questa storia avventurosa e strana - è la seconda fanciullezza, è il puro oblio di tutto...» Per molti di noi, come per il malinco- nico Jacques, la prospettiva dell'invec- chiamento continua a evocare immagini di inesorabile, devastante declino, un lento cammino verso la perdita delle funzioni mentali e la morte. Ma un grave deterioramento del cervello - e quindi della mente - è inevitabile? La risposta è no. Certamente le ricer- che dimostrano che dopo l'età giovanile certe molecole e cellule cerebrali perdo- no progressivamente la loro efficienza o scompaiono. Alcune di queste alterazio- ni possono senza dubbio sconvolgere le funzioni cognitive se si accumulano ol- tre una soglia critica. Tuttavia lo studio del comportamento umano indica che un accumulo di danni tale da pregiudicare l'intelligenza non è affatto una conse- guenza automatica della vecchiaia. Negli anziani che perdono le funzioni mentali è probabilmente una patologia specifica ad accelerare il processo di in- vecchiamento o a sovrapporsi a esso. Nei paesi sviluppati la causa principale di demenza senile - perdita di memoria e di capacità di ragionamento negli an- ziani - è la malattia di Alzheimer. Fra le altre cause vi sono infarti cerebrali mul- tipli e la malattia di Parkinson. Non è sempre possibile distinguere fra le persone anziane che soffrono di una lieve e relativamente stabile perdita di memoria e quelle che si trovano nei primi stadi della malattia di Alzheimer o di un'altra patologia degenerativa che causa demenza. Le ricerche in corso sul- l'invecchiamento e sui disturbi della mente permetteranno ai medici di com- piere queste distinzioni e porteranno allo sviluppo di terapie palliative e di pre- venzione. Per quasi tutti coloro che stu- diano l'invecchiamento del cervello lo scopo ultimo è migliorare la qualità del funzionamento dell'encefalo nella vec- chiaia e non necessariamente prolungare la vita, anche se questo secondo risultato potrebbe certamente derivare dal primo. Gli scienziati che studiano le altera- zioni strutturali e chimiche che caratte- rizzano il cervello nell'invecchiamento, in assenza di una patologia, osservano che queste variazioni sono eterogenee, come il cervello stesso. Quest'ultimo è composto non solo da vari tipi di neuro- ni (le cellule che trasmettono i segnali), ma anche da cellule gliali (che contribui- scono al sostegno e alla rigenerazione dei neuroni) e vasi sanguigni. Certe sot- toclassi di cellule e alcune aree cerebrali sono soggette più di altre ai danni indotti dall'età. Inoltre l'epoca di insorgenza e il tipo e l'entità delle alterazioni fisiche, così come gli effetti sull'intelletto, pos- sono differire enormemente da persona a persona. In generale, tuttavia, sembra di poter affermare che gran parte delle modificazioni strutturali e chimiche di cui si parlerà in seguito diventa evidente al termine della mezza età, vale a dire tra i 50 e i 60 anni; alcune di esse si ac- centuano notevolmente dopo i 70 anni. Poiché probabilmente non esiste un meccanismo unificante che stia alla base di ogni manifestazione della sene- scenza (ossia la disfunzione cellulare o molecolare correlata all'età) nel cervel- lo, sembra improbabile che si possa sco- prire un portentoso elisir capace di ritar- dare o annullare ogni tipo di declino. I cambiamenti associati all'età sono stati studiati soprattutto nei neuroni, che in generale non proliferano dopo la na- scita. Via via che un individuo invec- chia, il numero totale di neuroni cerebra- li diminuisce, ma con un andamento tut- t'altro che uniforme. Per esempio po- chissimi neuroni scompaiono dalle aree dell'ipotalamo che regolano la secrezio- ne di certi ormoni ipofisari. Invece un numero molto più alto di cellule nervose tende a svanire dalla so- stanza nera e dal locus coentleus, che so- no popolazioni di cellule specializzate del tronco cerebrale. La malattia di Par- kinson può provocare la distruzione del 70 per cento o più dei neuroni di queste aree, danneggiando seriamente le fun- zioni motorie. Il semplice invecchia- mento porta di solito all'eliminazione di un numero molto inferiore di cellule, sebbene gli anziani che mostrano lievi sintomi analoghi a quelli della malattia di Parkinson - scarsa mobilità articolare, lentezza dei movimenti e andatura curva ed esitante - possano aver perduto anche il 30 o 40 per cento della dotazione di cellule originaria. V arie parti del sistema limbico, tra le quali l'ippocampo, subiscono in di- versa misura la perdita di neuroni. (Il si- stema limbico è fondamentale per l'ap- prendimento, la memoria e l'emotività.) Si è stimato che circa il 5 per cento dei neuroni dell'ippocampo scompare ogni 10 anni nella seconda metà della vita, il che corrisponde a una perdita comples- siva del 20 per cento dei neuroni. Il de- cremento non è però uniforme; in alcune aree dell'ippocampo non si osservano diminuzioni significative. Anche quando i neuroni stessi soprav- vivono, il loro corpo cellulare e le lo- George Bernard Shaw, morto nel 1950 a 94 anni, scrisse diverse opere dopo i 90 anni. Un importante obiettivo delle ricerche sull'invecchiamento è quello di aumen- tare il numero di persone capaci di conservare fino alla fine le loro capacità mentali. L'invecchiamento cerebrale In età avanzata il cervello umano subisce la perdita di certi neuroni e va incontro ad alterazioni biochimiche, ma in molte persone questi cambiamenti non si traducono in un evidente declino dell' intelligenza di Dennis J. Selkoe LE SCIENZE n. 291, novembre 1992 107

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S

hakespeare, in Come vi piace, faparlare delle varie età dell'uomoil personaggio di Lord Jacques e

lo fa concludere con questa triste descri-zione della vecchiaia:

«Ed alfin ultima scena - che chiudequesta storia avventurosa e strana -

è la seconda fanciullezza, è il purooblio di tutto...»

Per molti di noi, come per il malinco-nico Jacques, la prospettiva dell'invec-chiamento continua a evocare immaginidi inesorabile, devastante declino, unlento cammino verso la perdita dellefunzioni mentali e la morte. Ma un gravedeterioramento del cervello - e quindidella mente - è inevitabile?

La risposta è no. Certamente le ricer-che dimostrano che dopo l'età giovanilecerte molecole e cellule cerebrali perdo-no progressivamente la loro efficienza oscompaiono. Alcune di queste alterazio-ni possono senza dubbio sconvolgere lefunzioni cognitive se si accumulano ol-tre una soglia critica. Tuttavia lo studiodel comportamento umano indica che unaccumulo di danni tale da pregiudicarel'intelligenza non è affatto una conse-guenza automatica della vecchiaia.

Negli anziani che perdono le funzionimentali è probabilmente una patologiaspecifica ad accelerare il processo di in-vecchiamento o a sovrapporsi a esso.Nei paesi sviluppati la causa principaledi demenza senile - perdita di memoriae di capacità di ragionamento negli an-ziani - è la malattia di Alzheimer. Fra lealtre cause vi sono infarti cerebrali mul-tipli e la malattia di Parkinson.

Non è sempre possibile distinguerefra le persone anziane che soffrono di

una lieve e relativamente stabile perditadi memoria e quelle che si trovano neiprimi stadi della malattia di Alzheimero di un'altra patologia degenerativa checausa demenza. Le ricerche in corso sul-l'invecchiamento e sui disturbi dellamente permetteranno ai medici di com-piere queste distinzioni e porteranno allosviluppo di terapie palliative e di pre-venzione. Per quasi tutti coloro che stu-diano l'invecchiamento del cervello loscopo ultimo è migliorare la qualità delfunzionamento dell'encefalo nella vec-chiaia e non necessariamente prolungarela vita, anche se questo secondo risultatopotrebbe certamente derivare dal primo.

Gli scienziati che studiano le altera-zioni strutturali e chimiche che caratte-rizzano il cervello nell'invecchiamento,in assenza di una patologia, osservanoche queste variazioni sono eterogenee,come il cervello stesso. Quest'ultimo ècomposto non solo da vari tipi di neuro-ni (le cellule che trasmettono i segnali),ma anche da cellule gliali (che contribui-scono al sostegno e alla rigenerazionedei neuroni) e vasi sanguigni. Certe sot-toclassi di cellule e alcune aree cerebralisono soggette più di altre ai danni indottidall'età. Inoltre l'epoca di insorgenza eil tipo e l'entità delle alterazioni fisiche,così come gli effetti sull'intelletto, pos-sono differire enormemente da personaa persona. In generale, tuttavia, sembradi poter affermare che gran parte dellemodificazioni strutturali e chimiche dicui si parlerà in seguito diventa evidenteal termine della mezza età, vale a diretra i 50 e i 60 anni; alcune di esse si ac-centuano notevolmente dopo i 70 anni.Poiché probabilmente non esiste unmeccanismo unificante che stia allabase di ogni manifestazione della sene-

scenza (ossia la disfunzione cellulare omolecolare correlata all'età) nel cervel-lo, sembra improbabile che si possa sco-prire un portentoso elisir capace di ritar-dare o annullare ogni tipo di declino.

I cambiamenti associati all'età sonostati studiati soprattutto nei neuroni, chein generale non proliferano dopo la na-scita. Via via che un individuo invec-chia, il numero totale di neuroni cerebra-li diminuisce, ma con un andamento tut-t'altro che uniforme. Per esempio po-chissimi neuroni scompaiono dalle areedell'ipotalamo che regolano la secrezio-ne di certi ormoni ipofisari.

Invece un numero molto più alto dicellule nervose tende a svanire dalla so-stanza nera e dal locus coentleus, che so-no popolazioni di cellule specializzatedel tronco cerebrale. La malattia di Par-kinson può provocare la distruzione del70 per cento o più dei neuroni di questearee, danneggiando seriamente le fun-zioni motorie. Il semplice invecchia-mento porta di solito all'eliminazione diun numero molto inferiore di cellule,sebbene gli anziani che mostrano lievisintomi analoghi a quelli della malattiadi Parkinson - scarsa mobilità articolare,lentezza dei movimenti e andatura curvaed esitante - possano aver perduto ancheil 30 o 40 per cento della dotazione dicellule originaria.

Varie parti del sistema limbico, tra le

quali l'ippocampo, subiscono in di-versa misura la perdita di neuroni. (Il si-stema limbico è fondamentale per l'ap-prendimento, la memoria e l'emotività.)Si è stimato che circa il 5 per cento deineuroni dell'ippocampo scompare ogni10 anni nella seconda metà della vita, ilche corrisponde a una perdita comples-siva del 20 per cento dei neuroni. Il de-cremento non è però uniforme; in alcunearee dell'ippocampo non si osservanodiminuzioni significative.

Anche quando i neuroni stessi soprav-vivono, il loro corpo cellulare e le lo-

George Bernard Shaw, morto nel 1950 a 94 anni, scrisse diverse opere dopo i 90anni. Un importante obiettivo delle ricerche sull'invecchiamento è quello di aumen-tare il numero di persone capaci di conservare fino alla fine le loro capacità mentali.

L'invecchiamento cerebraleIn età avanzata il cervello umano subisce la perdita di certi neuroni eva incontro ad alterazioni biochimiche, ma in molte persone questicambiamenti non si traducono in un evidente declino dell' intelligenza

di Dennis J. Selkoe

LE SCIENZE n. 291, novembre 1992 107

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ro complesse estensioni, gli assoni e idendriti (collettivamente neuriti), posso-no atrofizzarsi. I neuroni hanno un sin-golo assone che trasmette segnali ad altrineuroni, spesso molto lontani. I dendriti,che sono più numerosi e organizzati instrutture ramificate, ricevono general-mente segnali da altri neuroni.

L'atrofia del corpo cellulare e deineuriti si verifica di solito con l'età inun certo numero di aree cerebrali impor-tanti per l'apprendimento, la memoria,la pianificazione e altre funzioni intellet-tive complesse. In particolare si ha unariduzione delle dimensioni dei grandineuroni in alcune parti dell'ippocampo edella corteccia cerebrale. Si può ancheavere un deterioramento del corpo cel-lulare e dell'assone in certi neuroni chesecernono acetilcolina e che si connetto-no, dalla base del proencefalo, con l'ip-pocampo e diverse aree della corteccia.L'acetilcolina è uno dei numerosi neu-rotrasmettitori tramite i quali i neuroniinviano i segnali.

Tuttavia le alterazioni dei neuroni nonsono necessariamente distruttive; al-

cune di esse potrebbero rappresentaretentativi, da parte dei neuroni superstiti,

di compensare la distruzione o l'atrofiadi altri neuroni e delle loro proiezioni.In effetti Paul D. Coleman, Dorothy G.Flood e Stephen J. Buell del MedicalCenter dell'Università di Rochester han-no osservato un netto accrescimento deidendriti in alcune regioni dell'ippocam-po e della corteccia fra la mezza età (in-torno ai 40-50 anni) e la prima vecchiaia(verso i 70 anni), seguito da una regres-sione dei dendriti nella tarda vecchiaia(dopo gli 80 anni). Essi suppongono chel'iniziale accrescimento dei dendriti ri-fletta il tentativo dei neuroni vitali di farfronte alla perdita dei loro vicini asso-ciata all'età. Evidentemente questa capa-cità di compensazione viene a mancarenei neuroni molto vecchi. Uno studio suratti adulti dimostra una capacità di ac-crescimento analoga; dendriti più grandie complessi appaiono nella corteccia vi-siva dopo che l'animale è esposto adambienti che stimolano l'osservazione.

Queste scoperte sono incoraggianti, inquanto fanno pensare che il cervello siain grado di rimodellare dinamicamentele connessioni fra neuroni anche in tardaetà, e che qualche tipo di terapia possaaumentare questa plasticità. D'altro can-to non si è ancora determinata la fun-

CORTECCIA CEREBRALEAtrofia dei neuroniFormazione di depositi amiloidinegli spazi extracellulari

TALAMOAtrofia o distruzionedi particolari neuroni

BASE DEL PROENCEFALOAtrofia o distruzione di neuroniche secernono acetilcolina

TRONCO CEREBRALE

AMIGDALAFormazione di depositi amiloidinegli spazi extracellulariFormazione di ammassi neurofibrillari

SOSTANZA NERA

zionalità dei dendriti che fanno la lorocomparsa nella vecchiaia.

Oltre ai cambiamenti nel numero enella struttura del corpo cellulare e deineuriti, i neuroni possono subire altera-zioni sorprendenti della loro architetturainterna. Per esempio il citoplasma di cer-te cellule dell'ippocampo e di altre areecerebrali fondamentali per la memoria el'apprendimento può iniziare a riempirsidi fasci di filamenti proteici avvolti a eli-ca, chiamati ammassi neurofibrillari.Un'abbondanza di ammassi in queste ealtre aree cerebrali è ritenuta associataalla demenza che si manifesta nella ma-lattia di Alzheimer, ma il significato del-la loro presenza in piccole quantità nelcervello sano è meno chiaro. Lo svilup-po di ammassi neurofibrillari durantel'invecchiamento sembra indicare checerte proteine, in particolare quelle delcitoscheletro (la struttura di sostegno in-terna della cellula), vengano modificatechimicamente in modo tale da provocareun'inefficiente trasmissione dei segnalida parte di questi neuroni.

In un altro tipo di alterazione si osser-va che il citoplasma dei neuroni in moltezone del cervello è sempre più punteg-giato da innumerevoli granuli contenenti

lipofuscina, un pigmento fluorescenteche deriverebbe da membrane internericche di lipidi non del tutto digerite.Non si sa però se i granuli di lipofuscinasiano dannosi per le cellule o siano solouna manifestazione della vecchiaia.

Come accade per i neuroni, si hannoalterazioni anche nelle cellule gliali, chehanno un ruolo di supporto nelle funzio-ni cerebrali. Robert D. Terry dell'Uni-versità della California a San Diego e al-tri hanno stabilito che un tipo di cellulegliali, gli astrociti fibrosi, è soggetto aun costante aumento di numero e dimen-sioni dopo i 60 anni. La proliferazionedi queste cellule, capaci di liberare fat-tori che promuovono la crescita dei neu-roni e dei neuriti, ha un significato sco-nosciuto, ma forse rappresenta un altrotentativo da parte del cervello di com-pensare la diminuzione del numero deineuroni e il graduale deterioramento del-la loro struttura.

Nel frattempo, anche le aree compre-se fra i neuroni subiscono alterazioni.Nell'uomo, nelle scimmie, nei cani e inaltri animali, gli spazi extracellulari del-l'ippocampo, della corteccia e di altreregioni cerebrali si riempiono normal-mente di un numero da moderato a gran-de di depositi sferici, le placche senili.Queste placche, che si sviluppano moltolentamente, sono in gran parte aggregatidi una piccola molecola, la beta-proteinaamiloide (si veda l'articolo La proteinaamiloide e la malattia di Alzheimer diDennis J. Selkoe in «Le Scienze» n. 281,gennaio 1992). La proteina amiloide siaccumula anche nei vasi sanguigni cheirrorano queste regioni e nelle meningi.

Non si è ancora stabilito esattamentequali cellule diano origine a questi de-positi proteici e quali siano gli effettidelle placche sui neuroni circostanti ne-gli anziani in buona salute. Le rispostedovrebbero però essere trovate prestoperché l'enorme aumento della deposi-zione di proteina amiloide in pazienti af-fetti dalla malattia di Alzheimer ha ri-chiamato l'attenzione sul problema.

-r e diverse alterazioni strutturali che-1--1 avvengono nel cervello durante l'in-vecchiamento sono il risultato di cam-biamenti dannosi dell'attività o dellaquantità di molecole importanti per l'in-tegrità e il funzionamento delle cellule.Una delle più autorevoli teorie sull'in-vecchiamento sostiene che il processo èdovuto al fatto che le cellule dell'orga-nismo accumulano lentamente difetti nelloro DNA, il materiale costitutivo deigeni. Questi ultimi contengono le istru-zioni chimiche che informano le cellulesul procedimento esatto di sintesi delleproteine. A un certo punto, i danni alDNA ridurrebbero la qualità o la quan-tità di certe proteine fondamentali nellecellule. In alternativa, i danni possonoaccrescere l'attività o la quantità di pro-teine indesiderabili (come quelle che fa-voriscono lo sviluppo di tumori).

Fino a tempi recenti, le ricerche gene-

tiche si concentravano sul DNA nuclea-re dei cromosomi, i lunghi filamenti diDNA avvolti a elica che immagazzinanocollettivamente i geni per quasi tuttele proteine sintetizzate nelle cellule.Questi studi hanno indicato che i mec-canismi enzimatici che hanno il compitodi tagliare e riparare il DNA nucleare di-fettoso diventano meno efficienti in etàavanzata e forse anche in presenza dicerte malattie cerebrali. I controlli cellu-lari che regolano l'attività genetica po-trebbero essere allentati durante l'invec-chiamento. Uno di questi meccanismipotrebbe interessare l'eliminazione gra-duale di gruppi metile (CH 3 ) da certeparti dei cromosomi (si veda l'articoloUn tipo diverso di trasmissione eredita-ria di Robin Holliday in «Le Scienze»n. 252, agosto 1989).

In anni recenti, si è ipotizzato che an-che il DNA che si trova in particolari or-ganelli cellulari - i mitocondri - possacontribuire alla senescenza del cervello.I mitocondri sono «centrali di potenza»intracellulari che forniscono alle cellulel'energia indispensabile per il loro fun-zionamento. Essi contengono un propriosegmento di DNA che porta le istruzioniper la sintesi di 13 proteine necessarieper la produzione di energia. Se il DNAmitocondriale accumulasse a poco a po-co difetti, i danni potrebbero riflettersi inuna produzione di proteine mitocondria-li anomale o addirittura nella loro elimi-nazione dall'organismo.

L'osservazione che il DNA mitocon-driale sembra più suscettibile ai danniche non il DNA nucleare indica che essopotrebbe essere coinvolto in alcune alte-razioni associate all'invecchiamento. Ilfenomeno potrebbe dipendere dal fattoche i meccanismi per la riparazione delDNA negli organelli sono meno efficaci

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di quelli che agiscono nel nucleo. IlDNA mitocondriale è anche probabil-mente soggetto a più attacchi da parte dicomposti ossigenati reattivi, i radicali li-beri. Questi composti sono sottoprodottidelle reazioni con le quali i mitocondrigenerano energia, ma hanno origine an-che in altri processi cellulari e in rispostaa radiazioni ionizzanti. Essi ossidano lemolecole, ossia vi aggiungono atomi diossigeno, e quindi le alterano.

Oltre a ciò si è scoperto che un enzi-ma fondamentale codificato dal DNAmitocondriale - la citocromossidasi - di-minuisce con l'età nel cervello dei ratti.Diversi ricercatori hanno identificato an-che delezioni specifiche in tratti delDNA mitocondriale nel cervello di an-ziani e di pazienti con alcune patologiecerebrali correlate all'età, come la ma-lattia di Parkinson.

A nche se la maggior parte dei geni nu-cleari e mitocondriali rimanesse i-

nalterata e producesse una adeguataquantità di proteine normali, successivemodificazioni delle proteine potrebberodar luogo a danni molecolari in età avan-zata. Le proteine possono subire un grannumero di alterazioni chimiche distinte,fra cui l'ossidazione di alcuni dei loroamminoacidi, la glicosilazione (aggiuntadi catene laterali di carboidrati) o la for-mazione di legami crociati (ossia di le-gami a ponte molto forti fra molecole).Queste modificazioni sono processi nor-mali e permettono alle proteine di svol-gere le proprie funzioni; d'altro canto visono prove che, con l'invecchiamento,molte proteine vanno incontro ad altera-zioni dannose. Per esempio, i livelli diproteine ossidate nelle cellule epidermi-che dell'uomo e in quelle cerebrali deiratti aumentano via via con l'età. Nei

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IPPOCAMPOAtrofia dei neuroniFormazione di depositi amiloidinegli spazi extracellulariFormazione di ammassi neurofibrillari nei neuroni

LOCUS COERULEUSDistruzione dei neuroni

Le strutture cerebrali coinvolte nell'apprendimento, nella memoria e nel ragiona-mento subiscono di norma nella vecchiaia diversi cambiamenti anatomici che po-tenzialmente possono pregiudicare queste capacità. Le alterazioni indicate nella fi-gura sono solo un esempio e in genere si manifestano in regioni specifiche dellestrutture colpite. Anche il peso del cervello diminuisce con l'età (nel grafico). RobertD. Terry e collaboratori dell'Università della California a San Diego, che hannoraccolto i dati qui mostrati, attribuiscono questo fenomeno all'atrofia dei neuroni.

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MEZZA ETA VECCHIAIA VECCHIAIA AVANZATA ADULTI AFFETTI DA(CINQUANTA ANNI) (SETTANTA ANNI) (NOVANTA ANNI) MALATTIA DI ALZHEIMER

Dorothy G. Flood e Paul D. Coleman del Medical Center dell'Università di Roche-ster hanno osservato che la lunghezza media delle ramificazioni dendritiche dei neu-roni dell'ippocampo aumenta fra la mezza età e la vecchiaia in individui sani, e re-gredisce solo in tarda età. L'accrescimento normale potrebbe riflettere un tentativodel cervello di compensare i mutamenti distruttivi legati all'età. In individui affet-ti da malattia di Alzheimer i dendriti non mostrano accrescimento correlato all'età.

108 LE SCIENZE n. 291, novembre 1992

LE SCIENZE n. 291, novembre 1992 109

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BOSTON

4,1FRAMINGHAM

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La demenza negli Stati Uniti

Nel 1992 il Framingham Study, che esegue ricerche sistematiche sullo statodi salute di un ampio gruppo di soggetti durante l'invecchiamento, ha stimato

la diffusione della demenza, compresa la malattia di Alzheimer. In quest'ultimocaso i valori differiscono da quelli di un sondaggio condotto a Boston (da ungruppo guidato da Denis A. Evans della Harvard Medical School), probabilmenteperché i ricercatori del Framingham Study applicavano una definizione più ristret-ta della malattia di Alzheimer. Il Framingham Study, in accordo con altri gruppi,ha rilevato che la malattia di Alzheimer è la principale causa di demenza nellavecchiaia. Sono indicate anche alcune cause di demenza attualmente curabili.

65-74 75-84 +84

ETA (ANNI)

DISTRIBUZIONE IN BASE ALLA PROBABILE CAUSA*

MALATTIA DI ALZHEIMER

• La somma delle percentuali non raggiunge il 100 per cento a causadella approssimazione.

ALCUNE CAUSE DI DEMENZA CURABILI

Farmaci

Alcuni tumori o infezioni cerebrali

Depressione

Coaguli che esercitano una pressione sul cervello

Carenza di vitamina B12

Squilibri metabolici (compresi quelli della tiroide,

Alcolismo cronico

del rene o del fegato)

ICTUS

CAUSE MOLTEPLICI

MALATTIA DI PARKINSON

LESIONE CEREBRALE

ALTRE CAUSE

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ratti molto vecchi queste proteine posso-no assommare al 30-50 per cento delcontenuto proteico totale della cellula.Le cellule di giovani adulti affetti daprogeria, una rara e grave sindrome ca-ratterizzata da invecchiamento precocedi molti tessuti dell'organismo, conten-gono livelli di proteine ossidate non lon-tani da quelli che si possono riscontra-re in ottantenni sani. Poiché gli enzimisono le proteine che catalizzano moltedelle più importanti reazioni chimichecellulari, gli studi si sono concentrati sudi essi. Vari enzimi che sintetizzano ineurotrasmettitori o i loro recettori di-ventano meno attivi con l'invecchia-mento; per alcuni di essi la perdita di at-tività potrebbe essere dovuta in parte adalterazioni successive alla sintesi.

É una crudele ironia che le proteasi,gli enzimi responsabili della degradazio-ne delle proteine ossidate, subiscano aloro volta ossidazione e perdita di atti-vità. Il problema del danno alle proteasi,di per sé grave, può essere ancor più ac-centuato dalla riduzione parallela di altridue enzimi, la superossidodismutasi e lacatalasi. Queste proteine protettive dinonna inattivano i radicali liberi e atte-nuano i danni dovuti all'ossidazione indiverse molecole. Almeno nei ratti, essediventano sempre più scarse con l'età.

John M. Carney dell'Università delKentucky e Robert A. Floyd dell'Okla-homa Medical Research Foundation ecollaboratori hanno fornito di recente leprime prove che l'ossidazione può com-promettere le funzioni mentali. Confron-tando gerbilli vecchi e giovani, essi han-no dimostrato che negli animali anzianivi era una quantità significativamentesuperiore di proteine ossidate. Questoincremento era accompagnato da una di-minuzione dell'attività di enzimi fonda-mentali. Oltre a ciò, gli animali anzianiavevano più difficoltà di quelli giovania orientarsi in un labirinto a raggiera.

Inoculando ai gerbilli anziani un com-posto (N-terz-butil-a-fenilnitrone) cheinattiva i radicali liberi dell'ossigeno eriduce l'ossidazione, i livelli di proteineossidate sono diminuiti e l'attività enzi-matica si è innalzata fino a livelli carat-teristici di animali giovani. I migliora-menti biochimici sono stati accompa-gnati da un ripristino a livelli giovanilidell'abilità nel percorrere il labirinto.Quando la terapia è stata interrotta, laquantità di proteine ossidate e l'attivitàenzimatica sono tornate a valori caratte-ristici di animali in tarda età.

Anche molte importanti molecole ce-rebrali non proteiche variano significati-vamente per struttura o quantità nell'in-vecchiamento. Le lunghe catene di ato-mi di carbonio che compongono i lipididelle membrane che rivestono le cellulee gli organelli interni subiscono modifi-cazioni chimiche, fra le quali l'ossida-zione distruttiva da parte dei radicali li-beri. Ne consegue che la composizioneesatta delle membrane può variare, alte-randone lievemente il comportamento.

110 LE SCIENZE n. 291, novembre 1992

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Questo tessuto cerebrale di un uomo di 69 anni ècostellato delle classiche lesioni della malattia di Alz-heimer, le placche senili e gli ammassi neurofibrilla-ri. La placca visibile in questa sezione (grande sferapiù scura) è costituita da beta-proteina amiloide e,alla periferia, da assoni e dendriti danneggiati (trattiscuri). Gli ammassi, fibre attorcigliate che riempionoil citoplasma, fanno apparire annerite diverse cellule(piccole zone scure). Queste lesioni si trovano an-che nel cervello di anziani in buona salute, ma di so-lito in quantità molto minore e in regioni ristrette.

Per esempio, si è documentato un de-clino correlato all'età nella fluidità dellemembrane che costituiscono i sinaptoso-mi, minuscole vescicole sui neuroni co-involte nell'immagazzinamento e nellaliberazione dei neurotrasmettitori. Inol-tre si hanno cambiamenti associati all'e-tà nella composizione lipidica della mie-lina che riveste e isola gli assoni. L'al-terazione della mielina può avere un ef-fetto misurabile sulla velocità e sull'ef-ficienza con cui le fibre nervose propa-gano impulsi elettrici su lunghe distanze.

T e variazioni molecolari citate sono so-lo un piccolo campionario di quelle

riscontrate nel cervello di esseri umanio altri mammiferi in età avanzata. Neltentativo di far rientrare in un quadro ge-nerale queste alterazioni, ci si tro-va subito di fronte al problema distabilire se un certo fenomenodocumentato sia il proverbiale«uovo» o la «gallina». Per esem-pio, non vi è dubbio che il DNAaccumuli difetti nel corso deglianni; ma sono questi danni a pro-vocare l'aumento di ossidazionedegli enzimi, oppure l'ossidazio-ne avviene prima e conduce al-l'accumulo di difetti nel DNA? Everosimile che possano verificar-si entrambe le sequenze di eventi.Quando molti processi sono incorso, altri indubbiamente ne ri-sultano accentuati, innescando u-na complessa cascata di eventi.

Ugualmente importante è ilproblema di quali conseguenzeabbiano sulla mente tutte questealterazioni anatomiche e fisiolo-giche correlate all'età. Per moltepersone la risposta potrebbe esse-re «pochissime». A meno chenon si riesca a documentare ilfunzionamento mentale in nume-rose persone sane poco primadella loro morte e a correlare que-sti dati con variazioni strutturali echimiche nel cervello dei sogget-ti, qualsiasi collegamento fra specifichealterazioni fisiche e disfunzioni dell'in-telletto è destinato a rimanere oscuro.

Sappiamo che in individui non affettidalla malattia di Alzheimer e da altrespecifiche patologie cerebrali, l'entitàdelle alterazioni anatomiche e fisiologi-che è di solito modesta. In molti studirelativi a deficit neurochimici associatiall'età - quali riduzioni dell'attività di unparticolare enzima o dei livelli di deter-minate proteine o di molecole di RNA -le misurazioni riguardanti gli anziani sicollocano dal 5 al 30 per cento più inbasso dei livelli riscontrati in giovaniadulti. L'entità della perdita di neuroniin varie regioni cerebrali ricade più omeno nello stesso intervallo.

Sebbene una riduzione del 30 per cen-to possa apparire alquanto elevata, un si-mile declino graduale sembra avere benpoche conseguenze pratiche sul pensie-ro. In effetti immagini ottenute per to-

mografia a emissione di positroni (PET)indicano che in ottantenni sani il cervel-lo è attivo quasi quanto quello di perso-ne fra i 20 e i 30 anni. Come è vero peraltri organi, sembra che il cervello abbiaconsiderevoli riserve fisiologiche e pos-sa tollerare un piccolo declino nella fun-zionalità dei neuroni.

Gli studi epidemiologici e psicologicicompongono un quadro molto simile. Lestime sulla diffusione della demenza va-riano, ma la più drammatica - derivatada uno studio condotto domiciliarmenteda Denis A. Evans della Harvard Medi-cal School e colleghi - indica che, comegruppo, circa il 90 per cento degli indi-vidui al di sopra dei 65 anni non è affettoda questa patologia. Evans e collabora-tori hanno riferito nel 1991 che meno del

5 per cento dei soggetti fra i 65 e i 75anni mostrava sintomi di demenza; que-sta frazione saliva a circa il 20 per centoper gli individui fra i 75 e gli 84 anni.Poi il valore balzava intorno al 50 percento in persone di più di 85 anni (circadue volte più elevato che in altre stime).Sebbenè i dati siano preoccupanti percoloro che hanno più di 75 anni, questecifre indicano che un buon numero dipersone non manifesta gravi disturbi co-gnitivi in età avanzata.

Le analisi delle prestazioni in anzianiin buona salute conducono a conclusionisimili. Per esempio, Arthur L. Benton,Daniel Tranel e Antonio R. Damasio delCollege of Medicine dell'Università del-l'Iowa hanno osservato che in personesane ultrasettantenni vi è solo un lievedeclino delle prestazioni in test di me-moria, percezione e linguaggio.

Un fenomeno su cui molti studi con-cordano è la riduzione della velocità di

alcuni aspetti dell'elaborazione cogniti-va. I settuagenari possono essere incapa-ci di ricordare rapidamente certi dettaglidi un particolare evento del passato - peresempio la data o il luogo esatto - masono spesso in grado di richiamare que-sta informazione dopo alcuni minuti oore. Avendo a disposizione tempo suffi-ciente e un ambiente che tenda ad atte-nuare l'ansia, gran parte degli anziani inbuona salute ottiene risultati paragona-bili a quelli di persone giovani o di mez-za età in test di prestazioni mentali. Piùil compito è complesso (per esempio unproblema matematico con molte opera-zioni) più è probabile che l'anziano loesegua meno bene di un giovane adulto.Molti studi sull'invecchiamento lascianotrasparire un messaggio di cauto ottimi-

smo; anche se non impara o ri-corda altrettanto rapidamente diun giovane, un anziano in buonasalute può imparare e ricordarequasi altrettanto bene.

Nel complesso, dunque, i ri-sultati fisici, epidemiologici epsicologici fanno pensare cheuna lieve o moderata diminuzio-ne della memoria o della velocitàdi elaborazione intellettiva possaessere correlata a un accumulograduale delle normali variazionianatomiche e fisiologiche nelcervello che accompagnano l'in-vecchiamento. La demenza, alcontrario, sembra derivare da al-terazioni più gravi e specifiche inalcune sottoclassi di neuroni enei circuiti nervosi. In altri ter-mini, alla base della demenza se-nile stanno malattie con cause emeccanismi ben precisi. Natural-mente ci si potrebbe chiedereperché molti individui diventinopiù suscettibili con l'età a variepatologie cerebrali debilitanti,fra cui la malattia di Alzheimer.In molti casi la risposta è incerta.

Poiché la malattia di Alzhei-mer è di gran lunga la causa più

comune di grave declino intellettuale ne-gli anziani, riepilogherò brevemente lepiù recenti ricerche sulle cause del suosviluppo, sulle ragioni dell'aumento del-la sua diffusione in età avanzata e su co-me possa essere curata. Per fortuna iprogressi in questo settore sono statidavvero rilevanti.

Fa epoca molto recente, alla do-

i manda su quali siano le cause dellamalattia di Alzheimer si doveva dareuna sola risposta: «Non lo sappiamo».Ma i rapidi progressi nell'analizzare lastruttura chimica e gli effetti biologicidei depositi beta-amiloidi hanno oracondotto a identificare la prima causamolecolare specifica di questa comples-sa e gravissima malattia. Nel 1991 glistudi di Alison M. Goate e John A. Har-dy e colleghi della St. Mary's HospitalMedical School di Londra, e in seguitodi altri gruppi di ricerca, hanno portato

112 LE SCIENZE n. 291, novembre 1992

Page 5: L'invecchiamento cerebraledownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1992...giato da innumerevoli granuli contenenti lipofuscina, un pigmento fluorescente che deriverebbe da

C PLACEBO d FINE DELTRATTAMENTO

GIOVANI VECCHI

Le scansioni PET del cervello di un anziano in buonasalute (a sinistra) e di un paziente affetto da malat-tia di Alzheimer (a destra) differiscono notevolmen-te. La differente colorazione della seconda immagi-ne indica un'attività cerebrale anormalmente bassa.

La misurazione dell'attività chimica delle proteine nel cervellodi gerbilli fa pensare che certe alterazioni correlate all'età sia-no reversibili. John M. Carney dell'Università del Kentuckye Robert A. Floyd della Oklahoma Medical Research Foun-dation hanno scoperto che il numero di gruppi carbonilici sul-le proteine cerebrali (un marcatore dell'ossidazione proteica)nei gerbilli anziani (barra blu in a) è più alto che in quelli

giovani (in marrone). Ma i livelli declinano in risposta a unfarmaco che inattiva certe sostanze ossidanti (b). I gerbilli an-ziani sono anche meno efficienti dei giovani nell'orientarsi inun labirinto radiale (e). Dopo il trattamento il numero di er-rori diminuisce (d). Il chiaro miglioramento della memoria abreve termine fa sperare che gli antiossidanti possano aiuta-re a proteggere la funzionalità mentale nelle persone anziane.

a stabilire che, almeno di alcuni casi, laresponsabilità va attribuita a determinatemutazioni genetiche.

Queste modificazioni del DNA av-vengono nel gene che codifica per il pre-cursore della beta-proteina amiloide, obeta-APP. Il precursore racchiude nelproprio interno la beta-proteina amiloi-de che costituisce sia le placche senilisia i depositi amiloidi nei vasi sanguigni.Le funzioni normali della beta-APP nonsono ancora state determinate, ma si èscoperto che il precursore viene sinte-tizzato dalla maggior parte delle cellu-le dell'organismo. Si sa anche che laversione mutata del gene accelera inqualche modo la deposizione extracellu-lare e vascolare del segmento beta-ami-loide. Alcune mutazioni potrebbero con-durre a un accumulo maggiore opiù veloce di depositi amiloidi,che a sua volta spiegherebbe inparte perché certi soggetti mostri-no i sintomi della malattia in etàpiù precoce di altri.

Le ricerche sulla sindrome diDown hanno contribuito in modoimportante alle nuove conoscen-ze. Gli individui affetti da questasindrome nascono con tre copiedel cromosoma 21 (dove è loca-lizzato il gene per la beta-APP)anziché con due come avviene dinorma. Inoltre, nel quarto e quin-to decennio di vita, essi svilup-pano invariabilmente miriadi diplacche senili e di ammassi neu-rofibrillari. L'esame neuropatolo-gico di pazienti affetti da sindro-me di Down morti in giovane etàha rivelato che alcuni depositiamorfi di proteina amiloide pos-sono cominciare ad apparire nel-l'adolescenza, decenni prima del-la comparsa di vere e proprie placche se-nili, di ammassi neurofibrillari e dei sin-tomi clinici della demenza. Questa im-portante osservazione, insieme con lascoperta di mutazioni del gene per la be-ta-APP associate a casi ereditari di ma-lattia di Alzheimer, chiarisce che la de-posizione di proteina amiloide può fun-gere da evento precursore di questa pa-tologia in alcuni casi, se non in tutti.

Non si è certi di come questa proteinainizialmente inerte provochi in un lungoarco di tempo i gravi danni strutturali ebiochimici - negli assoni, nei dendriti,nel corpo dei neuroni e delle cellule glia-li - che pregiudicano completamentel'attività mentale dei pazienti. Una pos-sibilità è che la proteina in sé rimanganon reattiva, ma, raccogliendosi nel cor-so di molti anni, attragga altri tipi di mo-lecole verso i depositi. Sarebbero questemolecole a danneggiare i neuroni e lecellule gliali circostanti. Secondo un'al-tra ipotesi, quando la proteina amiloideraggiunge una concentrazione criticapuò danneggiare direttamente le cellulevicine o renderle più vulnerabili a pro-cessi nocivi meno evidenti che possonoavvenire nel cervello.

In ogni caso, le ricerche di diversineuroanatomisti - fra cui Damasio, Bra-dely T. Hyman e Gary W. Van Hoesene collaboratori dell'Università dello Io-wa e John Morrison e colleghi dellaMount Sinai School of Medicine - hannodimostrato che vasti depositi di proteinaamiloide hanno effetti distruttivi. Assie-me alla formazione di ammassi neurofi-brillari e ad altre alterazioni strutturalinei neuroni e nelle loro estensioni, l'ac-cumulo di proteina amiloide contribui-sce a disconnettere progressivamente icircuiti di neuroni collegati alla memoriae al pensiero. Col passare degli anni ilsistema limbico e le aree associative cor-ticali, che sono indispensabili per orga-nizzare i processi mentali, appaionosempre meno in contatto con altre aree.

Questa dissociazione dà origine ai danniriguardanti la memoria, la capacità digiudizio e di astrazione e il linguaggioche colpiscono irrimediabilmente i pa-zienti affetti dalla malattia di Alzheimer.Poiché gran parte delle funzioni motoriee sensoriali si conserva fmo alle ultimefasi della malattia, queste alterazionidanno luogo al classico, drammaticoquadro di una persona che può cammi-nare, parlare e mangiare, ma che non ri-esce a interagire in modo sensato conquanto la circonda.

Nonostante i recenti progressi, si de-vono ancora affrontare molti problemifondamentali. In che modo le mutazionidel gene per la beta-APP accelerano ladeposizione della proteina amiloide ri-spetto alla velocità piuttosto bassa che siriscontra di norma negli anziani? Perchéquesta deposizione è in gran parte limi-tata al cervello, quando pressoché tutti itessuti sintetizzano il precursore dellaproteina amiloide? Quali sono le celluleche secernono i frammenti amiloidi dan-nosi? Perché alcuni neuroni di certe re-gioni cerebrali, come l'ippocampo, rea-giscono fortemente in presenza di pro-teina amiloide, mentre in altre aree, co-

me il cervelletto, la reazione è scarsa onulla? E, soprattutto, in che modo puòessere bloccato l'effetto distruttivo?

Oltre a questi problemi, si sta affron-tando anche quello di come stimolare eproteggere la mente dell'anziano. Il fattoche nessuna sostanza possa bloccare dasola tutti i potenziali danni di un'etàmolto avanzata è sottolineato dai risul-tati di numerose sperimentazioni clini-che relative a vitamine, minerali e varialtri composti che si ritiene «favorisca-no» le reazioni biochimiche nel cervelloo aumentino l'afflusso di sangue. Questesostanze hanno prodotto miglioramenticognitivi solo modesti o nulli in personeaffette sia da demenza sia da senilitàfunzionale.

Un ragionevole «rimedio casalingo»può essere quello di mantenere laforma fisica. Robert E. Dustmane colleghi dell'Università delloUtah e altri scienziati hanno di-mostrato che i soggetti anzianiche eseguono regolarmente eser-cizi aerobici ottengono presta-zioni migliori nei test cognitivirispetto a soggetti sedentari dellastessa età con una ridotta capaci-tà aerobica.

arebbe inoltre opportuno evi-tare il consumo di sostanze,

alcool compreso, che interferi-scono con l'attività del sistemanervoso. Così pure i medici do-vrebbero essere cauti nel prescri-vere ad anziani farmaci che agi-scono sul cervello. Numerosi da-ti clinici e sperimentali hanno di-mostrato che le persone che han-no più di 60 anni sono partico-larmente sensibili alle benzodia-zepine (come il sedativo Valium)

e a molte altre sostanze che deprimonoo stimolano il sistema nervoso centrale.Rispetto ai giovani adulti, i soggettianziani presentano un declino più ac-centuato della capacità di ragionamen-to quando questi farmaci sono attivi nelloro organismo, ne risentono gli effet-ti più a lungo e reagiscono più fortemen-te a bassi dosaggi. Questi effetti indesi-derati sulla capacità cognitiva sono an-cora più pronunciati in coloro che sof-frono già di una malattia che provocademenza.

Continua a essere acceso il dibattitosugli effetti protettivi che eserciterebbenell'anziano il mantenimento o l'incre-mento dell'attività mentale. Purtropponon sono ancora stati ottenuti risultati ri-gorosi a questo riguardo.

Così pure non sono chiari i beneficisul funzionamento cerebrale di una dietaipocalorica, che viene pubblicizzata co-me potenziale antidoto contro l'invec-chiamento. Si è dimostrato che una dietabilanciata dal punto di vista nutrizionale,ma con un contenuto calorico molto bas-so, ritarda molte malattie correlate all'e-tà e prolunga la vita in diversi piccolimammiferi. In alcuni studi, ratti sottopo-

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OGIOVANI VECCHI

sti a diete ipocaloriche hanno presentatominori alterazioni neurochimiche delcervello durante la vecchiaia rispettoad animali ben nutriti e hanno mostratomigliori capacità di apprendimento ri-guardo all'abilità nell'orientarsi in unlabirinto.

Allo stesso modo Alan Peters e colle-ghi della School of Medicine dellaBoston University hanno allevato ratticon una dieta a scarsissimo apporto ca-lorico che ha consentito loro di viverefino a quattro anni, ossia circa un annopiù della norma. Il gruppo di ricerca haosservato che in questi animali la distru-zione di neuroni e lo sviluppo di diversealterazioni correlate all'età dei neuroni edelle cellule gliali hanno avuto inizio inetà più avanzata rispetto agli animali dicontrollo. D'altro canto, il fatto che que-ste alterazioni abbiano finito per mani-festarsi indica che il controllo caloricopuò rallentare, ma non impedire, la se-nescenza cerebrale.

Non si conoscono esattamente i mec-canismi per cui un basso apporto calori-co provochi una maggiore longevità ne-gli animali di laboratorio, né si sa fino ache punto esso possa ritardare i dannicausati dall'invecchiamento sulle facoltàcognitive nell'uomo. E evidente, tutta-via, che per dare qualche beneficio unadieta ipocalorica dovrebbe probabilmen-te essere adottata pressoché per tutta lavita. Inoltre, un'improvvisa e rilevantediminuzione dell'apporto nutritivo nel-l'anziano potrebbe causare sintomi didemenza, il che rende la dieta ipocalori-ca pericolosa se intrapresa senza super-visione medica.

Un'alternativa a un'alimentazione po-vera di calorie potrebbe in futuro essereuna somministrazione prolungata di an-tiossidanti come la vitamina E. Si è di-mostrato che questa vitamina nei rodito-ri favorisce la longevità e ritarda certepatologie sistemiche correlate all'età,ma eventuali benefici per il cervello

umano nel corso dell'invecchiamentonon sono stati provati. Dosi eccessivedella vitamina possono inoltre rivelarsitossiche.

Der ora l'approccio più razionale allamessa a punto di trattamenti per la

perdita delle capacità cognitive nell'an-ziano è quello di scoprire i meccanismimolecolari che stanno alla base dellemalattie che provocano demenza, perpoter produrre farmaci che ne blocchinouno o più stadi cruciali. Nella malattia diAlzheimer, per esempio, sembra proba-bile che la terapia verrà diretta a inibiregli enzimi che liberano la beta-proteinaamiloide dal suo precursore, bloccandocosì l'apporto di proteina amiloide aitessuti cerebrali e impedendo le risposteinfiammatorie e neurotossiche che essasembra innescare.

Questi trattamenti potrebbero rivelarsiutili anche per combattere la lieve o mo-derata perdita di memoria presente in al-cuni anziani che non manifestano sinto-mi di demenza vera e propria.

In effetti, le placche amiloidi e gli am-massi neurofibrillari che caratterizzanola malattia di Alzheimer si formano inaree importanti per la memoria e l'ap-prendimento anche durante l'invecchia-mento normale, sia pure in quantità assaipiù modesta. Sono allo studio anche di-verse terapie per prevenire la malattia diParkinson e per prevenire e curare l'in-farto cerebrale (si veda l'articolo La te-rapia dell' ictus cerebrale di Justin A.Zivin e Dennis W. Choi in «Le Scienze»n. 277, settembre 1991).

Nei prossimi tre decenni, con l'incre-mento della popolazione anziana in tuttii paesi del mondo, diventerà necessariotrovare strumenti sempre più efficaci percombattere l'invecchiamento cerebrale.Si stima che oggi, solo negli Stati Uniti,circa tre milioni di cittadini abbiano 85anni o più, e questo numero raddoppierànel 2020.

Abbiamo la certezza che, anche se leterapie non riusciranno a prolungare dimolto la vita, la scoperta di metodi perbloccare i disturbi delle funzioni corti-cali superiori correlati all'età permetteràsicuramente a molti anziani di mantene-re la loro autonomia e di vivere dignito-samente ben oltre gli 80 anni.

Questo risultato avrà profonde conse-guenze economiche e sociali che sarànecessario affrontare con grande creati-vità ed energia. Per fortuna, a quel pun-to, la società disporrà di una risorsa pre-ziosa per contribuire a risolvere tuttiquesti problemi: la mente ancora svegliaunita alla saggezza e all'esperienza dimolti dei suoi membri più anziani.

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