Libro boldrini-morcellini.20maggio

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Supervisione redazionale e coordinamento editoriale: Francesca Romana Decorato Impaginazione: Eleonora Chirichilli Grafica di copertina: Elena Pellegrini In copertina: Minerva, idea grafica di Carlo Volpe Copyright © 2005 by FrancoAngeli, Milano, Italy Ristampa Anno - 0 1 2 3 4 5 6 7 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata a qualsiasi titolo, eccetto quella ad uso personale. Quest’ultima è consentita nel limite massimo del 15% delle pagine dell’opera, anche se effettuata in più volte, e alla condizione che vengano pagati i compensi stabiliti dall’art. 2 della legge vigente. Ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita ed è severamente punita. Chiunque fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per farlo, chi comunque favorisce questa pratica commette un reato e opera ai danni della cultura. Stampa: Deltagrafica, Via G. Pastore 9, Città di Castello 3

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Grafica di copertina: Elena Pellegrini In copertina: Minerva, idea grafica di Carlo Volpe Copyright © 2005 by FrancoAngeli, Milano, Italy 3 Stampa: Deltagrafica, Via G. Pastore 9, Città di Castello

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Supervisione redazionale e coordinamento editoriale: Francesca Romana Decorato Impaginazione: Eleonora Chirichilli

Grafica di copertina: Elena Pellegrini In copertina: Minerva, idea grafica di Carlo Volpe

Copyright © 2005 by FrancoAngeli, Milano, Italy

Ristampa Anno - 0 1 2 3 4 5 6 7 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata a qualsiasi titolo, eccetto quella ad uso personale.

Quest’ultima è consentita nel limite massimo del 15% delle pagine dell’opera, anche se effettuata in più volte, e alla condizione che vengano pagati i compensi stabiliti dall’art. 2 della legge vigente.

Ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita ed è severamente punita. Chiunque fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per farlo, chi comunque favorisce questa pratica

commette un reato e opera ai danni della cultura.

Stampa: Deltagrafica, Via G. Pastore 9, Città di Castello

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Indice

Introduzione, di Piero Tosi pag. 7

Parte prima La comunicazione nell’Università: un processo in continua crescita, di Alessandro Bianchi » 11 Università, la reputazione oltre l’immagine,di Maurizio Boldrini » 17 La comunicazione lascia il segno, di Mario Morcellini » 43 Parte seconda Premessa » 59 Riflessioni sui risultati della Terza Ricerca AICUN sullo stato della comunicazione nelle Università italiane, di Brunella Marchione e Paola Claudia Scioli » 61 Comunicare l’Università. Le campagne 2002-2003, di Valentina Martino » 77 La comunicazione nell’Università orientata alle relazioni e alla reputazione, di Emanuele Invernizzi e Alessandra Mazzei » 101

L’Università prende corpo: un nuovo protagonista tra luci e ombre. Analisi di un anno di rassegna stampa sulle testate nazionali, di Anna Majuri e Simona Piselli » 123 Parte terza Premessa » 159 Sum, ergo comunico, di Alessandro Ciarlo e Brunella Marchione » 161 Comunicazione istituzionale, interna e di marketing per

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promuovere la nuova identità delle Università italiane, di Roberto Grandi pag. 169 Tradizione e modernità, burocrazia ed efficientismo. Sull’identità visiva delle Università Italiane, di Gianfranco Marrone » 173 L’evoluzione della comunicazione universitaria: da giornalismo episodico ad attività istituzionale,di Ugo Volli » 179

Fare rete con la rete: la strategia vincente dell’Università, di Dario De Cesaris » 183 L’Università nel vissuto dei giornalisti. Forum-intervista con i giornalisti del settore, a cura di Emanuela Stefani, con Tiziana Caroselli (“ANSA”), Piero Damosso (“Tg1 - RAI”), Raffaello Masci (“La Stampa”), Mario Reggio (“La Repubblica”), Alessia Tripodi (“Il Sole 24 Ore”) » 189

Bibliografia » 203

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Introduzione Negli ultimi decenni l’Italia si è confrontata con cambiamenti profondi, che

ne stanno modificando l’economia, la politica e la cultura, insieme al modo stesso di vivere delle persone. Le Università, che del Paese sono parte costitu-tiva, si sono trovate a vivere e ad affrontare gli stessi problemi, nella consape-volezza del ruolo fondamentale che, ancor più nei momenti di difficoltà del-l’intera società, esse hanno riguardo alla formazione delle classi dirigenti, alla ricerca e al trasferimento dei risultati della ricerca alle imprese.

Proprio in questa fase difficile e problematica, le Università – anche per l’azione caparbia di tanti docenti, di molti Rettori e della stessa CRUI – sono riuscite finalmente a porre all’attenzione generale del Paese i problemi della formazione superiore, facendoli uscire dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori.

Lo hanno fatto grazie alla capacità di guardarsi al proprio interno e com-prendere la necessità di rinnovarsi per divenire un’istituzione aperta alla so-cietà, ai suoi bisogni e alle sue richieste. Lo hanno fatto abbandonando un at-teggiamento di mal compresa superiorità e di chiusura, per diventare real-mente il luogo della cultura, del dialogo, della valutazione. Lo hanno fatto divenendo un vero e proprio sistema, che ha nella CRUI il suo cuore pulsante. In questo modo, le Università hanno lavorato con grande impegno per riap-propriarsi di quella necessaria legittimazione che viene dalla società e per consolidare il legame con essa.

Nonostante la drammatica inadeguatezza delle risorse, le Università italiane hanno intrapreso, a partire dagli anni Novanta, una serie di importanti processi di innovazione, tanto da presentarsi oggi con notevoli risultati di segno positi-vo e con una più chiara consapevolezza delle proprie criticità e dei propri pun-ti di forza. Hanno dimostrato, soprattutto, di sapersi confrontare con gli inter-

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locutori politici e sociali, dando prova di una straordinaria capacità di conser-vazione della propria missione culturale.

Nel far questo, si è rivelato particolarmente utile il ricorso agli strumenti e alle professioni della comunicazione, che non a caso è divenuta una risorsa strategica di ogni amministrazione pubblica.

Nel passato i media si sono spesso dimostrati incapaci di cogliere e di tra-smettere alla società i temi fondamentali del sistema universitario. Oggi, con l’ingresso della comunicazione nelle Università e con la creazione di specifi-che strutture di comunicazione e di informazione interne agli Atenei, siamo in grado di confrontarci con il sistema mediatico, facendo udire la nostra voce attraverso i canali più giusti e utili a raggiungere i nostri pubblici. Possiamo così rivolgerci ai media e, tramite essi, alla società nella quale viviamo. Ma possiamo anche trovare le modalità migliori per ascoltare e parlare ai nostri collaboratori, potenziando la comunicazione interna, indispensabile per il buon funzionamento di una amministrazione. Possiamo parlare agli studenti e alle loro famiglie, illustrando le caratteristiche dell’Università italiana, la sua offerta di percorsi di studio diversificati e i suoi servizi per i giovani, ma al contempo far capire al sistema politico e all’opinione pubblica quanto l’Università contribuisca ad arricchire il Paese.

Questo libro, che ho l’onore e il piacere di introdurre, ripercorre il lungo e complesso cammino che le Università italiane hanno compiuto in questi anni per giungere a comunicare. Vengono individuati e descritti i macroprocessi che sono intervenuti in questo ultimo decennio e viene ricostruito il percorso che ha portato i media e gli Atenei a divenire, ciascuno per proprio conto, due sistemi, spesso in contrasto ma comunque dialoganti. Viene, quindi, fatto un bilancio di quella che è stata l’esperienza comunicativa delle Università italia-ne negli ultimi anni, segnalando casi particolarmente innovativi e buone prati-che.

Ma, soprattutto, questo volume si caratterizza per la profonda riflessione che alcuni studiosi di comunicazione pubblica istituzionale fanno sulla situa-zione attuale della comunicazione degli Atenei e per i suggerimenti che gli stessi danno per una nuova e necessaria fase di questo processo ancora in cor-so.

Piero Tosi Presidente Conferenza dei Rettori

delle Università Italiane

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Parte prima

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La comunicazione nell’Università: un processo in continua crescita

di Alessandro Bianchi

Negli ultimi dieci anni, a seguito della riforma degli ordinamenti didattici e

all’entrata in vigore dell’autonomia degli Atenei, il Sistema Universitario Ita-liano si è trovato a vivere un vero mutamento epocale nell’ambito della co-municazione in quanto, il mondo accademico ha finalmente manifestato l’esigenza di comunicare con sistematicità e impegno le proprie esperienze sia alle istituzioni che all’opinione pubblica.

Nelle Università si è ovviamente sempre “comunicato”, ma tale attività era contrassegnata da una certa casualità sia nel messaggio che nella forma e la comunicazione era vissuta in molti casi come un’azione dei singoli Atenei, tesa principalmente al reclutamento di nuovi iscritti. Non ci si era mai adden-trati in una riflessione a livello di sistema e il concetto di comunicazione an-dava inevitabilmente a sovrapporsi e confondersi con quello di advertising. In sostanza gli Atenei, mossi dall’esigenza di competitività generata dall’au-tonomia, si sono lanciati in una indisciplinata corsa al reclutamento dello stu-dente, basata in gran parte su campagne pubblicitarie a volte poco mirate e per lo più discordanti tra loro.

Col passare del tempo e via via che la riforma veniva metabolizzata, si è re-so indispensabile informare il mondo esterno delle nuove logiche e dei mec-canismi adottati dalle Università, al fine di valorizzare l’offerta del nostro si-stema sul mercato dell’alta formazione anche a livello internazionale.

L’adozione di strategie sempre più integrate, e l’individuazione sistematica di obiettivi informativi e pubblici di riferimento sono procedure ormai diffuse anche nelle Università pubbliche, che in questi anni hanno compreso l’importanza di coltivare relazioni con il contesto sociale ed economico, anche attraverso la formazione di nuove figure professionali sempre più specializza-te, ma al contempo flessibili e multiformi.

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La CRUI, una voce sempre più rappresentativa Un ruolo centrale in questo processo va attribuito alla CRUI, che ha assun-

to per delega degli stessi Atenei il compito di comunicare un’idea complessi-va di Università, a livello di sistema, cosicchè grazie a una profonda azione di sensibilizzazione e coinvolgimento di media e opinione pubblica, è stata av-viata una riflessione profonda sull’immagine che questo sistema intende co-municare al mondo esterno.

L’Università è senza dubbio una delle istituzioni occidentali più solide e longeve, in particolare in un Paese come l’Italia che proprio sulla tradizione accademica ha costruito un patrimonio culturale inestinguibile. La capacità di resistere nel tempo a fasi e conflitti sociali e politici è indice di come questa istituzione sia sempre stata in grado di fronteggiare il cambiamento, conti-nuando a trasmettere un forte senso di autorevolezza, e proprio questa straor-dinaria capacità ha consentito agli Atenei di vivere e partecipare, a profondi e radicali cambiamenti, condizionati e provocati dalla naturale evoluzione della cultura e dei saperi.

Tuttavia la percezione che il mondo esterno ha attualmente dell’Università è quella di un sistema statico, governato da logiche poco comprensibili e piut-tosto distante dal contesto sociale di riferimento. Diventa, pertanto, sempre più urgente ricercare una legittimazione sociale, che renda l’istituzione acca-demica riconoscibile come risorsa strategica per il Paese. E’ vero che in pas-sato l’Università non ha mostrato una particolare propensione al racconto di se stessa, ma oggi, in un momento di profonda innovazione e apertura, ha ac-quisito la consapevolezza che la comunicazione è uno strumento essenziale per trasferire la nuova identità del sistema universitario e per ribadire il suo fondamentale ruolo sociale e culturale.

Proprio a fronte di tale considerazione, la CRUI si sta progressivamente af-fermadno come organo di rappresentanza e portavoce dell’Università nei di-versi ambiti della comunicazione: dal rapporto con i media, alla valorizzazio-ne dei risultati, fino al consolidamento della rete di comunicazione intrauni-versitaria.

Il rapporto con i media

Uno degli aspetti più delicati della comunicazione universitaria riguarda il rapporto con i mezzi d’informazione, rivelatosi fino ad oggi abbastanza com-plesso: l’immagine dell’Università, veicolata da quotidiani, periodici e televi-sione risulta spesso legata ad aspetti negativi e situazioni di disagio. Il raccon-

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to di episodi di malcostume o di malfunzionamento amministrativo è conside-rato dai media sicuramente più notiziabile di approfondimenti tematici sugli ambiti di eccellenza del Sistema Universitario.

Dal punto di vista politico-istituzionale le paventate dimissioni dei Rettori nel dicembre 2002 hanno consentito di vedere riconosciute, sia pure parzial-mente, le esigenze finanziarie del sistema e di aprire un confronto con il mon-do politico, ma più in generale hanno fatto crescere la sensibilità e l’atten-zione dell’opinione pubblica nei confronti dell’Università. E’ tuttavia evidente che il sistema dell’informazione continua ad avere una visione stereotipata del mondo dell’Università, evidenziandone solo gli aspetti deteriori: i fenomeni di nepotismo e baronaggio, l’offerta scadente nell’area della ricerca che porta alla fuga dei cervelli, la mancanza di un sistema di valutazione della qualità, la crescita spropositata di corsi di laurea dopo la riforma.

La CRUI è convinta tuttavia che occorra contrastare questa tendenza trami-te un’incisiva strategia di comunicazione. Il Paese ha il diritto di essere messo al corrente di tutti i processi in atto nel sistema universitario: ad esempio l’esistenza, accanto alla cosiddetta “fuga dei cervelli”, del fenomeno opposto, quello dei tanti ricercatori che, dopo un’esperienza gratificante all’estero, sen-tono l’esigenza di tornare in Italia per contribuire allo sviluppo della nostra ricerca scientifica, in contesti che sentono più congeniali al proprio lavoro.

E’ quindi necessario costruire una rete di relazioni sempre più stretta con il sistema dell’informazione, che trasferisca ai diversi segmenti dell’opinione pubblica le informazioni chiave sull’Università, contribuendo così a rimuove-re i molti pregiudizi che ancora circolano e che ne danneggiano l’immagine.

Valorizzare i risultati: l’esperienza di CampusOne Il presupposto necessario per una collaborazione solida e continuativa con i

media è naturalmente la scelta dei contenuti da veicolare. L’Università deve trasmettere un’immagine, che corrisponda a ciò che effettivamente è e fa, at-traverso la comunicazione della propria offerta, ma soprattutto dei risultati ot-tenuti, sia nell’ambito della formazione che in quello della ricerca, conside-rando che è stata spesso la stessa Università a incentivare una visione negativa con una scarsa capacità di trasmettere e valorizzare i cambiamenti in atto. Alla luce di tale consapevolezza, si sta provando a sviluppare una comunicazione più organica e solida che, sganciandosi dalla pura “pubblicità”, definisca stra-tegie e linguaggi comuni tesi a favorire la comprensione dei processi innova-tivi e basati su principi di responsabilizzazione e valutazione delle azioni con-dotte. In sostanza occorre dimostrare il miglioramento con i fatti, ricostruen-

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doli con campagne di comunicazione che illustrino la sua nuova identità, i servizi che offre, la tensione continua all’innovazione, senza nascondere le criticità che sempre permangono.

In questa logica l’esperienza condotta da CampusOne, progetto triennale di sperimentazione della riforma, promosso dalla CRUI e conclusosi nel 2004, può dirsi esemplare: grazie ad una capillare e costante azione di raccolta e dif-fusione delle informazioni è finalmente emersa la faccia virtuosa dell’Università, culla di idee e saperi molteplici, fatta di gente che crede e si impegna nel proprio lavoro.

L’attività promossa ha portato alla creazione di una comunità di operatori che sperimenta quotidianamente il nuovo sistema universitario, una comunità significativa che può diffondere di giorno in giorno i successi realizzati dal progetto, e che, se organizzata in chiave sistemica può diventare parte attiva del processo di comunicazione anche verso il resto del mondo accademico.

L’effetto comunicativo ottenuto da CampusOne si è rivelato efficace, so-prattutto perché basato su dati concreti e non su inutili autocelebrazioni; e perchè ha portato a sistema attività e iniziative promosse dai singoli Atenei, costruendo una rete universitaria in grado di rappresentare l’intero sistema in coesione e a obiettivi e metodi.

Inoltre, la CRUI, anche al di fuori del progetto CampusOne, si è impegnata nel compito di facilitare i flussi informativi interni al mondo accademico, no-toriamente lenti e piuttosto farraginosi per l’eterogeneità delle fonti (MIUR, singole Università, programmi internazionali, istituti di ricerca).

Il buon esito dell’azione finora condotta, è dovuto in gran parte ai numero-si strumenti messi a disposizione delle singole Università, per agevolare il contatto e lo scambio tra le diverse realtà coinvolte. Naturalmente si tratta di soluzioni perfettibili e la strada è ancora in salita, ma il dato fondamentale è aver innescato un meccanismo che è interesse di tutti i soggetti interessati por-tare avanti autonomamente.

La responsabilità etica e culturale dell’Università L’utilità e l’importanza dell’istituzione universitaria nei confronti della so-

cietà, apre il campo a un altro fondamentale ruolo dell’Università, finora mai abbastanza valorizzato a livello comunicativo, come riferimento culturale per il Paese. Sarebbe importante iniziare a porre l’accento sul fatto che l’Università oltre a erogare formazione e ricerca, favorendo lo sviluppo e la diffusione di saperi molteplici, rappresenta un mondo che elabora e trasmette cultura attraverso eventi e iniziative che contribuiscono a promuovere

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l’immagine del nostro Paese anche a livello internazionale. I messaggi provenienti dalle diverse componenti del mondo universitario,

non possono dunque esimersi dall’affrontare tematiche di carattere sociale e culturale, in particolare quelle che pongono gli studenti al centro del processo, come ospiti umani delle società del futuro.

In questo senso gli Atenei sono stati chiamati - e si sono ormai da tempo at-tivati - ad adottare metodi innovativi ed efficaci per consolidare i rapporti con il mondo del lavoro, senza relegare la formazione a un obiettivo professiona-lizzante, ma rafforzando il ruolo dell’Università come motore di sviluppo cul-turale ed economico per l’intero sistema Paese .

Tale responsabilità culturale implica inevitabilmente un preciso impegno etico dell’Università, che bisogna far emergere anche nelle campagne di co-municazione.

In sostanza occorre definire, accanto a un piano di comunicazione struttura-to e condiviso, un codice etico della comunicazione universitaria, un manife-sto che indichi le regole generali di comportamento e chiarisca i requisiti ne-cessari per l’attribuzione di un marchio di qualità dell’Università: dalle rela-zioni con i mezzi di informazione a quelle con gli interlocutori chiave del si-stema, fino al ruolo della pubblicità nella comunicazione istituzionale.

Il valore internazionale dell’offerta universitaria Un altro piano di rappresentazione delle attività di comunicazione, risulterà

utile anche per il confronto con le realtà universitarie internazionali, rispetto alle quali il nostro sistema serve a individuare i propri punti di forza e a valo-rizzarli, trasformando peculiarità finora ritenute poco attrattive in caratteristi-che vincenti per un rilancio internazionale della propria immagine. Basti pen-sare al prestigio delle nostre lauree umanistiche, riconosciuto da tutto il mon-do, ma che da troppo tempo risente di un insensato confronto con percorsi di-dattici di tipo tecnico-scientifico. Bisogna capire che non possiamo sviluppare competitività importando acriticamente modelli che, sebbene eccellenti, ri-specchiano esigenze di sistemi completamente diversi dai nostri.

Al contrario dobbiamo valorizzare e comunicare ciò che di buono e solido già abbiamo, per innescare un processo di sensibilizzazione del mondo ester-no che contribuisca a rafforzare l’immagine dell’Università, migliorandone contemporaneamente i meccanismi interni.

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Un doveroso riconoscimento a dieci anni di attività Nel concludere queste brevi note di presentazione m piace pensare che que-

sto testo possa rappresentare una sorta di tributo al lavoro svolto in questi ul-timi anni per fare della comunicazione universitaria un’attività capace di tra-smettere un’immagine dell’Università reale e coerente alla sua identità stori-camente determinata.

Attraverso il contributo di alcuni dei massimi esponenti ed esperti di comu-nicazione che il nostro sistema universitario esprime, abbiamo voluto riper-correre questo incredibile decennio di evoluzione per la comunicazione uni-versitaria, analizzandola nei suoi principali aspetti: dal rapporto con i media alle attività promosse dagli Atenei, dal rapporto con la riforma della didattica alla diffusione di good practices legate ai progressi della ricerca scientifica.

L’obiettivo finale, ammetto abbastanza ambizioso, è quello di dimostrare quanto l’Università, proprio per la sua tradizione così ricca e solida, abbia or-mai chiara l’esigenza di rapportarsi alla realtà estera, scoprendo senza reticen-ze la propria identità, che è tanto più solida quanto più libera e molteplice.

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Università, la reputazione oltre l’immagine

di Maurizio Boldrini

Una idea o una ikea di Università?

Sfogliando quotidiani o riviste, sbirciando qualche TV locale o viaggiando

sull’onda delle infinite stazioni radio, accade sempre più spesso – soprattutto in estate – di imbattersi in annunci pubblicitari di atenei italiani. È una pratica che ha assunto una sua consistenza a partire dall’anno accademico 2000/2001, quando con l’introduzione della riforma dei cicli – la ormai famosa “3 e 2” – la maggior parte delle Università italiane si è trovata nelle condizioni di far conoscere a un pubblico sempre più ampio la propria offerta didattica e i pro-pri servizi, nel tentativo di accrescere il numero dei giovani che si iscrivono presso le proprie sedi. Nel far questo, gli stessi atenei si sono dovuti misurare con le pratiche della pubblicità e del marketing, con effetti diversificati e pa-gando, talora, lo scotto di chi usa questi metodi con l’inesperienza del neofita.

Da allora si acquistano spazi sulla stampa, si lanciano spot sulle radio na-zionali oppure si creano ammiccanti banner pubblicitari all’interno di quel-l’immenso mare informativo che risponde al nome di Internet e in qualche ca-so – per ora solo in qualche raro caso – si usa anche lo spot televisivo, dando così la sensazione, specie ai critici, che si intenda trattare le Università come una qualsivoglia merce, seppure di pregio.

Non a caso, da allora, compaiono puntualmente ogni anno, sugli organi di informazione, polemiche1, più o meno aperte, da parte di intellettuali, docenti

1 Si pensi, a questo riguardo, al lungo dibattito e alle polemiche sollevate da parte della stampa naziona-le rispetto alle campagne di comunicazione e di pubblicità attivate dalla maggior parte degli atenei italiani a partire dalla riforma dei cicli didattici. Esiste un ricco corpus di articoli che hanno trattato questo argomen-to fin dal 1999: Mangiaterra S., AAA Università offresi a prezzi speciali, bella città compresa, in “Panora-ma on line”, 10 settembre 1999; Sorbo A. M., Università italiane sedotte dalla pubblicità, in “l’Unità - Scuola e Formazione”, 22 settembre 1999; Gervasio M., Gli atenei vanno a scuola di pubblicità, in “il Sole 24 ORE”, 4 settembre 2000; Pratesi C. A., Gli scontri in “campus”. Gli atenei si contendono i nuovi stu-

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e giornalisti, basate sull’opportunità e sull’efficacia di investire risorse in pubblicità2 e in campagne di comunicazione che traggono il loro motivo di e-sistere dalla volontà di incrementare le immatricolazioni. In realtà queste no-tazioni polemiche sembrano essere l’avamposto di un più vasto segmento dell’opinione pubblica, che ha una sua corposità proprio all’interno dell’Università e che, non accettando o criticando il clima riformatore che de-riva dalle leggi approvate dalla stagione dell’autonomia in poi, teme una mu-tazione antropologica dei caratteri dell’Università anche attraverso una sua eccessiva contaminazione con la società. Scrive, ad esempio, Maurizio Ferra-ris in un gradevole pamphlet che deve il suo successo anche alla sfiziosità del titolo, Una ikea di Università: “Il problema, adesso, mi pare che sia una filo-sofia dell’Università, dove il genitivo vale in due sensi: sia come filosofia che va a pennello nella neoUniversità, sia come filosofia (al modo in cui si espri-mono o si esprimevano certi manager) che guida le trasformazioni della Uni-versità. Una filosofia, comunque la si voglia intendere, che oscilla tra l’elogio della tecnica, della superficie, della secolarizzazione, del mondo divenuto fa-vola, e il ritorno al tragico, all’abissale, alla religione: ossia, tra la pubblicità e il misticismo, saldati – e qui si viene al punto che vorrei sottolineare per pri-mo – da un equivoco madornale circa la nozione di spirito”3.

In un altro dei tanti libri su questa particolare stagione della vita delle Uni-versità, Gian Luigi Beccaria, curando la pubblicazione di saggi scritti da molti e noti docenti – anche in questo caso con un emblematico titolo, Tre più due uguale zero – porta ancora più avanti, con sapienza, la precedente osservazio-ne: “Quest’Università non promette nulla di buono. Siamo passati com’era

denti, in “la Repubblica – Affari e Finanza”, 8 marzo 1999. Il tema diventa oggetto di ampi dibattiti ogni estate. Nel 2002 la polemica prende piede anche rispetto alla pubblicazione delle cifre riguardanti gli inve-stimenti in pubblicità e advertising degli atenei sui media: segnaliamo, tra gli altri, De Seta C., Ai nostri atenei non servono spot, in “la Repubblica”, 31 luglio 2002; Panza P., Università, caccia agli studenti a colpi di spot in “Corriere della sera”, 6 settembre 2002; Motta D., La pubblicità? Serve per informare i giovani, in “.Com”, 1 agosto 2002. Nel 2003 la discussione coinvolge inoltre le tecniche comunicative e i registri liguistici utilizzati dagli atenei per promuovere la propria offerta didattica, come ad esempio in Co-motti M., Iscrizioni. Va dove ti porta lo spot, in “CampusWeb”, luglio/agosto 2003, e nel sito Internet Ka-taweb, che nell’estate del 2004 ha addirittura realizzato una sezione speciale su questo tema, prendendo a pretesto il dibattito nato attorno alla comunicazione pubblicitaria realizzata dall’Università di Macerata. Uno dei primi scritti scientifici che ha affrontato queste controverse questioni è rappresentato da Boldrini M., Lovari A., Dalla torre d’avorio al marketing mix, in “Annual Congress CERP Education and Research, Conference Proceedings”, Università IULM, Milano 2000.

2 Secondo alcuni studi e rilevazioni di Nielsen Media Research gli investimenti pubblicitari delle Uni-versità italiane sono passati dai 5,073 milioni di euro del 2001 ai 7,6 milioni di euro del 2002. Questa im-ponente crescita della spesa in comunicazione non ha trovato conferme nel 2003, anno in cui gli investi-menti si sono contratti del 12,7% passando a 6,6 milioni di euro. I primi 6 mesi del 2004 sembrano rilevare una nuova inversione di tendenza con un incremento del 45% rispetto al primo semestre del 2003.

3 Ferraris M., Una ikea di Università, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, pag. 25.

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giusto e come abbiamo voluto da un’Università di élite a una di massa, ma ora l’abbassamento del livello sta diventando offensivo per quelle masse, le quali hanno diritto a un insegnamento del più alto livello possibile: a una tavola imbandita, non delle briciole di un pasto. È vero che ‘se potesse scegliere libe-ramente, la maggior parte dell’umanità opterebbe per il calcio, la telenovela o la tombola, piuttosto che per Eschilo’ (ho citato ancora Steiner) e che i circen-ses sponsorizzati da una omologata tv di stato e tv commerciale già stanno a-vendo la meglio. Ma non vedo perché anche noi, che da una vita ci occupiamo di scuola, dobbiamo assecondare questa tendenza al ribasso e alla svendita. Se poi […] la riduzione dei saperi del presente e del passato privilegerà la dimen-sione pedagogica, allora le scienze della comunicazione e della didattica si preparino a formare insegnanti preparati a comunicare il nulla, non più l’antico ma neppure il nuovo”4.

Alle diatribe riguardanti i contenuti hanno dato già alcune risposte gli stessi effetti prodotti dalla riforma (aumento delle immatricolazioni, diminuzione della mortalità scolastica e tempi più brevi per concludere il percorso di stu-di), mentre il sistema universitario si sta facendo carico di produrre assesta-menti alla riforma dei cicli didattici all’interno di una più ampia riflessione strategica sul ruolo e sul futuro delle Università. Anche alle molte osservazio-ni polemiche, che ci vengono dalle azioni – a volte clamorose – di comunica-zione universitaria, si devono dare adeguate risposte, avviando una riflessione su questa stagione e conseguentemente sull’uso corretto che deve essere fatto della comunicazione pubblica e della promozione d’immagine nelle Universi-tà. Non ci si deve soffermare solo sull’uso di tutte quelle pratiche volte a in-formare gli studenti e le loro famiglie sull’offerta didattica degli atenei – pra-tiche comunicative che potremmo definire di pubblica utilità e, quindi, da in-centivare; piuttosto bisogna chiedersi in che misura e fino a che punto si può spingere la tecnica persuasiva, nel tentativo di influenzare il giovane nella scelta del proprio percorso formativo5.

Alcune cose diventano sempre più chiare dopo questa prima fase di deregulation comunicativa. Il problema non consiste tanto nel mettersi in bel-la mostra con i propri pubblici, ma nell’analizzare come questi strumenti e queste pratiche comunicative vengano fatti propri e utilizzati dagli atenei, te-nendo conto delle specificità dell’istituzione universitaria e della sua mission originaria. Lo stesso presidente della CRUI, Piero Tosi, nella seconda Rela-

4 Beccarla G. L. (a cura di), Tre più due uguale zero, Garzanti, Milano 2004, pag. 19. 5 Molte delle tesi che qui esplicito sono frutto di una quotidiana riflessione e sperimentazione che svolgo

con i miei collaboratori del Centro Comunicazione e Marketing dell’Università degli studi di Siena, rifles-sioni che saranno sviluppate in un volume di prossima pubblicazione. In particolare, in questa occasione, desidero ringraziare per la collaborazione Alessandro Lovari e Davide Orsini.

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zione sullo stato delle Università italiane, ha ribadito che il marketing e la pubblicità non possono essere applicati alle istituzioni, al patrimonio e ai beni culturali così come si applicano alla vendita delle merci6.

Al tempo stesso, è opportuno ricordare che sarebbe altrettanto pericoloso riportare indietro le lancette della comunicazione universitaria, che oggigior-no, oltre a essere strategica e integrata, non può rinunciare alle forme di pro-mozione che possiamo rintracciare, seppure in nuce, anche nelle stesse origini delle antiche Università. La società dell’immagine, lo sappiamo, non nasce oggi, come troppo facilmente si fa credere. Lo sanno bene anche gli atenei più antichi, che sono stati fondati da maestri e da scolari attratti dalle promesse di laute ricompense che la classe politica di alcune città del tempo ha offerto nel tentativo di conquistare, attraverso di loro, un peso e uno spazio rilevanti nella società medievale.

Federico II, un gran comunicatore Proprio pochi mesi fa un’amica studiosa di medioevo, alla quale confidavo

i miei problemi di comunicatore alle prese con la laboriosità del raccontare un ateneo, mi ha segnalato uno scritto di Antonio Ivan Pini (Campagne bologne-si, le radici agrarie di una metropoli medioevale) che mette in evidenza come molte delle città che ospitavano Studi universitari erano solite attirare gli stu-denti facendo leva sulla ricchezza delle campagne e i prodotti del territorio. Ad esempio i procuratori del Comune di Vercelli firmarono, nel lontano 1228, una convenzione con gli studenti di Padova nella quale il Comune si impe-gnava a tenere in permanenza nel granaio pubblico una scorta di “500 moggi di frumento e 500 moggi di segale […] e darli agli scolari soltanto, e non ad altri, per il prezzo di acquisto, e ciò in tempo di carestia e dietro richiesta degli stessi scolari”7: il tutto allo scopo di convincere gli studenti a trasferirsi nella cittadina piemontese per costituire uno Studio universitario.

Ma le forme della promozione con cui veicolare le “virtù” di un ateneo ri-spetto agli altri emergono ancor più nella costituzione emanata nel 1226 dall’imperatore Federico II di Svevia, con la quale si invitano gli studenti del regno ad abbandonare l’Università di Bologna e a trasferirsi nell’Ateneo di Napoli: “ubi et loci viget amenitas, rerum copia et doctorum societas honora-ta”8. L’imperatore avvertiva in modo acuto la concorrenza con lo Studium di

6 Tosi P., Relazione sullo stato delle Università italiane, CRUI, Roma 2004, pag. 25. 7 Coppi E., Le Università italiane nel Medio Evo, Firenze, 1880, pag. 111. 8 “Luogo dove al contempo si trovano amenità, abbondanza e una onorata comunità di docenti”, in

Gaudenzi A., La costituzione di Federico II che interdice lo Studio Bolognese, in “Archivio storico italia-

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Bologna e fin nella lettera di fondazione dello Studio napoletano nel 1224 si faceva sostenitore di quella che oggi chiameremmo “l’Università sotto casa”, mettendo in evidenza i gravi rischi che correvano i giovani nello studiare lon-tano dalla propria città di origine.

Forme di incentivi promozionali nella competizione per attrarre studenti e docenti da un ateneo all’altro emergono anche da altri documenti storici e non sembrano quindi essere fenomeni tipici solamente dell’attuale sistema univer-sitario: è il caso, ad esempio, del Comune di Siena che, a seguito della tempo-ranea soppressione dello Studio bolognese avvenuta nel 1306, si assicurò, contraendo un mutuo di seimila fiorini d’oro, numerosi validi docenti e scolari bolognesi per battere la pericolosa concorrenza che già stavano esercitando altre città come Perugia, Firenze e Padova.9

Neanche in quel passaggio epocale per la vita degli atenei, che è la struttu-razione secondo il modello humboldtiano, viene meno l’idea di promuovere le singole Università con la forza evocativa delle immagini, al fine di garantirsi i docenti più prestigiosi e un cospicuo numero di studenti. Oggi lo chiamerem-mo marketing, anche se ovviamente queste pratiche furono attivate ancor pri-ma che questa disciplina fosse teorizzata e diventasse uno dei cardini delle moderne organizzazioni. Così come la forza comunicativa dei marchi degli atenei è un elemento che non nasce con l’affermarsi della cultura del brand10 ma trova la sua applicazione nella consuetudine da parte degli atenei di dotar-si, fin dalla loro nascita, di sigilli e insegne araldiche “alla maniera dei princi-pi e delle città”, così come è descritto nella Cronaca del Concilio di Costanza, compilata da Ulrich von Richental.

È perciò inutile proseguire in sterili disquisizioni sull’opportunità dell’uso della comunicazione e del marketing nelle Università. C’è comunicazione e comunicazione, c’è marketing e marketing. C’è, ad esempio, il marketing no profit e del terzo settore, quello sociale o quello che Morcellini definisce “ap-proccio morbido al marketing, capace di innovazione creativa e distinzione

no”, s. V, XLII (1908) pagg. 356-357. Per approfondire il tema dello sviluppo degli studi universitari nella città di Napoli si veda Violante F., Federico II e la fondazione dello Studium napoletano, in “Quaderni me-dievali”, n. 54, 2002. Per il tema delle Università nel periodo medievale è possibile fare riferimento a una ricca bibliografia tra cui segnaliamo Le origini dell’Università, Araldi G. (a cura di), Bologna 1974; Le Goff J., Gli intellettuali nel Medioevo, Milano 1998; Rashdall H., The Universities in Europe in the Middle Ages, ed. F. M. Powicke, A.B. Emden, London 1969.

9 Nardi P., Dalle origini al 1357, in L’Università di Siena. 750 anni di storia, Amilcare Pizzi Editore, 1991.

10 Sul rapporto tra Università, loghi e brand segnalo un originale studio del laboratorio di pubblicità e comunicazione dell’Università di Palermo, coordinato da Gianfranco Marrone, che ha analizzato 73 logoti-pi delle Università italiane (58 pubbliche e 15 private), oltre a 156 loghi di Università straniere, sia europee che americane (www.unipa.it ).

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rispetto al marketing commerciale”11 e che, proprio per questo, è da utilizzare nelle Università. Mi interessa sottolineare che la comunicazione è in realtà da sempre nel DNA degli atenei e che in questi ultimi anni – al di là di errori e di improvvisazioni – ha finalmente abbandonato il suo ruolo di cenerentola del sistema, trasformandosi da elemento esornativo e sussidiario ad asset fondan-te e strategico delle moderne Università, specie nel momento in cui esse mira-no a riacquistare in pieno il consenso della società.

Autonomia, un ponte per le torri d’avorio Se il rapporto – o meglio sarebbe dire la mancanza di rapporto – tra istitu-

zione universitaria, sistema dei media e comunicazione prima della metà degli anni Ottanta è argomento ormai noto a tutti, è invece utile tratteggiare gli ele-menti distintivi che hanno caratterizzato il sistema universitario italiano in questi ultimi venticinque anni, analizzando il grande cambiamento prodotto con l’avvento della stagione dell’autonomia e mettendo in relazione questo cambiamento con gli effetti a loro volta prodotti dalle pratiche comunicative. Gli atenei sono stati coinvolti nell’ultimo decennio del Novecento in un pro-cesso normativo che ha portato una formidabile ventata di innovazione12. Nell’arco di nove anni viene infatti sancito il principio dell’autonomia univer-sitaria. In prima istanza, tramite l’approvazione della legge 168 del 1989, quella statutaria e regolamentare. Successivamente, con la legge 537 del 1993, vengono modificate anche le modalità di finanziamento e di gestione patrimo-niale degli atenei, responsabilizzandoli dal punto di vista finanziario. Infine, con il decreto ministeriale 509 del 1999, viene stabilita l’autonomia didattica delle Università ed è istituito il sistema dei crediti all’interno di un modello che viene definito “a veli di cipolla”13.

Tutti questi elementi, che si manifestano in maniera acuta dopo l’impetuoso sviluppo dell’Università di massa, assieme a fattori esogeni al sistema come, ad esempio, l’affermarsi della società della conoscenza, la globalizzazione dell’economia e della società e lo sviluppo delle nuove tecnologie, hanno

11 Morcellini M., Un marketing dei servizi, in “Universitas”, n. 84, 2002, pag. 18. Il tema del marketing

sociale e della sua applicazione a contesti pubblici è oggetto anche del volume di Grandi R., La comunica-zione pubblica, Carocci, Roma 2001.

12 Per maggiori approfondimenti sull’evoluzione normativa è possibile far riferimento al libro bianco della CRUI, Sullo stato delle Università italiane, Roma 2001 e a Pedreschi D., Il cambiamento delle Uni-versità, dispense del corso di formazione sulla comunicazione ai sensi del DPR 422/2001, a cura della CRUI, Roma 2003.

13 Stefani E., Le Università e la comunicazione, lezione al corso di formazione su “La comunicazione ai sensi del DPR 422/2001”, Università degli studi di Siena, 2003.

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messo in discussione lo storico modello della torre d’avorio e hanno portato alla nascita di nuove forme organizzative degli atenei.

Le Università nella stagione dell’autonomia si sono trovate necessariamen-te nella condizione di uscire dalla “torre” e gettare un ponte verso la società per dialogare con i propri pubblici e con il sistema Paese in generale: è inizia-ta la fase che Capano (2000) ha descritto come quella di un cantiere perma-nente in cui gli atenei italiani hanno cominciato a sperimentare nuovi modelli di sviluppo e a creare nuove modalità relazionali con i propri stakeholder.

Questo susseguirsi di cambiamenti e di scossoni, veri o solo annunciati, ha reso difficile per gli operatori dei media la comprensione di tali fenomeni e la successiva traduzione degli stessi ai cittadini. La conseguenza potrebbe essere una nuova diffusa difficoltà a comprendere l’evoluzione che sta caratterizzan-do gli atenei. Se prima, infatti, le Università erano distanti perché opache, og-gi potrebbero diventare incomprensibili perché troppo dinamiche, al punto che “delle faccende della scuola in generale e di quelle dell’Università in partico-lare l’opinione pubblica ha smesso di interessarsi”14.

Nella sostanza, comunque, l’autonomia didattica ha permesso agli atenei di calibrare la propria offerta formativa in funzione di un’utenza che, anche sulla base di un processo di tipo normativo, è sempre più consapevole di avere non solo bisogni da soddisfare ma anche diritti da garantirsi. Lo studente non è più facilmente classificabile all’interno delle griglie interpretative dell’Università pre-riforma: l’utenza degli atenei, infatti, attraversa molteplici fasi all’interno della relazione tra istituzione universitaria e studente (Lovari, 2003; Mazzei, 2004), proiettata nella prospettiva di lifelong learning. L’autonomia ha inoltre accelerato i processi di differenziazione tra gli atenei, favorendo lo sviluppo di dinamiche competitive non solo a livello locale ma anche a livello nazionale e internazionale (Boffo, 2002; Strassoldo, 2001).

Al contempo, si è messo in atto un processo che sta portando l’Università ad assumere una nuova funzione sociale: la rigidità del modello gerarchico-funzionale universitario si disgrega sotto il peso del cambiamento, trasfor-mando l’Università da luogo deputato solo alla conoscenza e al sapere in atto-re rilevante per il benessere e la crescita del territorio. Una istituzione alla quale il Paese chiede una crescita nella quantità e nella qualità della produtti-vità legata alla formazione e della ricerca, oltre all’assunzione di compiti im-prenditoriali che la connotino come “Università imprenditoriale” (Etkowitz, 1997). Che non è, ovviamente, l’Università azienda contro la quale rimangono valide tutte le osservazioni fatte anche da Piero Tosi: “L’Università non può, se non perdendosi, trasformarsi in un’impresa. […] È una istituzione che ha sì

14 Galli della Loggia E., Demagogia all’Università, in “Corriere della sera”, 1 marzo 2005.

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da darsi una nuova cultura di sé, ma rimanendo un bene pubblico usufruibile da tutti.”15

Gli anni della semiclandestinità In questo nuovo contesto sono obbligatoriamente cambiati anche gli schemi

e le pratiche della comunicazione. Nella moderna Università humboldtiana la comunicazione agiva in una zona grigia e gli atenei si dimostravano general-mente restii a esporsi e a entrare nel cono di luce della comunicazione diretta ed esplicita (Boffo, 2004). Il flusso informativo era unidirezionale, dall’alto verso il basso. La comunicazione interna connotava l’appartenenza al clan dei docenti e seguiva forme e procedure tipiche di una ritualità quasi intoccabile. La comunicazione esterna era tipicamente asettica e formulata attraverso il sottocodice del burocratese (Boldrini, 2000) per ribadire la funzione sacrale dell’istituzione. Anche le informazioni di servizio per gli studenti venivano scarsamente promosse e il mezzo di comunicazione per eccellenza era rappre-sentato dal manifesto degli studi. L’informazione era principalmente autorefe-renziale e rispecchiava la funzione di “torre d’avorio” che le Università rico-privano in quel preciso contesto storico. Inoltre, i gestori della comunicazione erano proprio le popolazioni che abitavano la torre; i flussi informativi coin-volgevano, in maniera differenziata, solo i sottosistemi universitari, cioè quei corpi professionali che tuttora la compongono (docenti, studenti e tecnici amministrativi), e gli atenei non si aprivano quasi mai alla società civile e ai sistemi informativi, al di là di tradizionali occasioni quali l’inaugurazione de-gli anni accademici e importanti convegni dall’alto valore scientifico e di ri-cerca.

Questo tipo di modello era stato costruito intorno alla centralità del vertice dell’organizzazione, unico luogo deputato al mantenimento e alla gestione di tutte le informazioni necessarie alla vita e all’organizzazione della stessa. Fa-ceva assumere al docente un ruolo centrale all’interno del sistema tolemaico che si reggeva su meccanismi di cooptazione: la scarsa trasparenza dell’istituzione diventava così funzionale a questa regola. Alcune di queste pratiche continuano a sopravvivere nonostante, in tante occasioni, se ne sia dichiarata ufficialmente la scomparsa.

Lo sviluppo prepotente dell’information technology e il nuovo ruolo attri-

15 Tosi P., Relazione sullo stato delle Università italiane, CRUI, Roma 2004, pag. 26. La riflessione più

recente sull’uso della espressione “Università azienda” è presente nel volume di Mazzei A., Comunicazione e reputazione nelle Università, Franco Angeli, Milano 2004.

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buito alle Università come soggetti sociali hanno portato dei cambiamenti non solo all’organizzazione universitaria ma anche ai suoi modelli comunicativi.

Queste modificazioni vanno inserite nel più generale processo di riforma del ruolo e della funzione degli enti pubblici in Italia e nell’affermarsi della comunicazione pubblica come disciplina in progress, che da allora ha comin-ciato a ritagliarsi un preciso spazio e ad acquisire caratteristiche specifiche.

A partire dal 1990 si è imposta un’azione verso la trasparenza degli atti amministrativi che ha consentito un salto di qualità nel rapporto tra enti locali, Pubblica Amministrazione e cittadini16. Per accogliere le istanze di trasparen-za, efficacia e pubblicità apportate dalla normativa, anche le Università hanno iniziato, molto lentamente, a differenziare i propri modelli e le procedure co-municative. Importante è stato anche il contributo delle cosiddette “leggi Bas-sanini”, che hanno posto in primo piano le questioni della chiarezza dell’agire amministrativo e della semplificazione del linguaggio17.

In una prima fase le Università hanno reagito all’urto del cambiamento ge-nerale causato dal processo di riforma; hanno cioè contrastato tale processo, opponendo a queste innovazioni resistenze maggiori di quelle riscontrate in altri comparti della pubblica amministrazione. Abbiamo assistito a quel feno-meno di resistenza al cambiamento, tipico di tutte le organizzazioni complesse (Butera, 1999; Weick, 1997; Nonaka, Takeuchi, 1997). Solo successivamente questo immobilismo ha cominciato a disgregarsi per l’affermarsi di una cultu-ra dell’informazione e della comunicazione che prendeva linfa proprio all’in-terno degli atenei.

In questa direzione va evidenziato come fattore cruciale di cambiamento la nascita dei corsi di laurea in Scienze della comunicazione, fucine di teorie e di pratiche della comunicazione e veri laboratori dell’innovazione, che hanno rappresentato un forte stimolo alla sperimentazione di alcuni modelli nel con-testo istituzionale degli atenei. La comunicazione, come sostiene Morcellini in questo stesso volume, ha lasciato il segno; un’espressione che è stata ripresa anche nel titolo del primo incontro nazionale del coordinamento di Scienze

16 In particolar modo si fa riferimento alle leggi 142 e 241 del 1990 e al decreto legislativo 29 del 1993,

che istituisce tra l’altro l’ufficio di relazione con il pubblico. Il quadro normativo, a partire da queste primi provvedimenti fino all’approvazione della legge 150 del 2000, è riportato con un attento approfondimento critico da Grandi R., La comunicazione pubblica, Carocci, Roma 2001 e Rovinetti A., Diritto di parola, Il Sole 24 Ore, Milano 2000.

17 Sono le leggi 59 e 127 del 1997, 191 del 1998, 50 del 1999. Il tema della semplificazione del lin-guaggio amministrativo e l’importanza per le Istituzioni di utilizzare un linguaggio comprensibile a tutti i cittadini sono stati oggetto di studio che hanno portato alla pubblicazione, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica, di un Manuale di stile a cura di Alfredo Fioritto (Il Mulino, Bologna 1997), e alla pro-posta del progetto Chiaro!, promosso dal nel maggio 2002, sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi.

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della comunicazione, tenutosi nel 2003 a Bologna presso il Com-Pa. Risale all’inizio degli anni Novanta anche la prima ricerca sulla comunica-

zione pubblica in ambito universitario: nel 1992, infatti, AICUN (Associazio-ne Italiana dei Comunicatori delle Università Italiane), una delle organizza-zioni che ha avuto il merito di aver stimolato gli operatori a sviluppare in ma-niera coerente ed eticamente corretta la comunicazione negli atenei, realizzò uno studio approfondito tra le allora 58 Università presenti sul territorio ita-liano per verificare l’impatto della comunicazione all’interno degli atenei. I risultati di quell’analisi evidenziarono che il 63% delle Università aveva af-fermato di realizzare attività di comunicazione e informazione, avvalendosi in media di circa 4 persone, generalmente appartenenti alle segreterie dei rettori, principalmente dedicate a gestire il rapporto con i media (94%) e con gli stu-denti delle scuole superiori (87%)18.

La comunicazione iniziava così ad affacciarsi negli atenei, ma restava co-munque in una posizione di semiclandestinità: un’attività non strutturata e non formalizzata. Numerosi erano ancora gli ostacoli da superare e le contraddi-zioni all’interno dell’Università: i comunicatori erano immediatamente identi-ficati con giornalisti, magari in cerca di scoop, e si guardava al sistema dei media come a qualcosa di estraneo alle logiche proprie dell’istituzione univer-sitaria. D’altra parte, molti degli operatori dei media si mostravano ancora impreparati ad affrontare i temi dell’istruzione e dell’Università in generale, proprio nel periodo in cui nel sistema dell’informazione si andavano affer-mando logiche di spettacolarizzazione delle notizie.

Occorreva, pertanto, dar vita a un processo culturale interno agli atenei per far comprendere, progressivamente, agli apparati amministrativi e ai docenti che la comunicazione rappresentava una funzione strategica per il vertice dell’organizzazione, una leva manageriale di cambiamento, e non una sempli-ce tendenza del momento.

In sostanza si è delineata alla fine degli anni Novanta una situazione carat-terizzata da due fattori rilevanti: la scarsa dimestichezza da parte dell’acca-demia a misurarsi con una comunicazione trasparente e la scarsa capacità dell’istituzione universitaria a fare sistema di fronte all’affermarsi della logica dei media.

All’interno degli atenei, la paura che la comunicazione potesse sconvolgere la vita e la libertà dell’accademia, rompendone la struttura tolemaica, si face-

18 Per maggiori approfondimenti sulla ricerca si veda Marchione B., Scioli P. (a cura di), Lo stato della

comunicazione nelle Università italiane, in “Quaderni dell’AICUN”, n. 1, 2003; oppure il sito di AICUN, all’indirizzo www.aicun.it. Oltre a queste specifiche ricerche, AICUN si è fatto promotrice di numerosi seminari di formazione e conferenze, a partire dal 1994, quando organizzò il primo seminario sul rapporto comunicazione e Università presso l’Università degli studi di Roma Tre.

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va ogni giorno più rilevante; mentre l’Università italiana non aveva ancora peso come sistema e non era possibile identificare una voce unitaria che rap-presentasse le esigenze, i bisogni e le prerogative dell’intera comunità.

L’autoreferenzialità tipica degli atenei entrava in rotta di collisione con la prepotente crescita del sistema dei media e con l’affermarsi della società della conoscenza. Accadeva così che la trattazione delle tematiche del sistema uni-versitario fosse oggetto di una comunicazione eteroprodotta e raramente con-tenuto consapevole di processi comunicativi autoprodotti dagli atenei.

Una legge dà voce al diritto di parola Oltre al lievito culturale portato dalla nascita di Scienze della comunicazio-

ne, è una legge – la 150 del 2000 – a imporre, dieci anni dopo l’emanazione delle prime norme sull’autonomia universitaria, un cambiamento significativo al sistema pubblico, legittimando la funzione centrale della comunicazione e dell’informazione tramite la creazione e la gestione dell’ufficio relazioni per il pubblico, dell’ufficio stampa e del portavoce.

La legge – è bene sottolinearlo per gli effetti che produrrà – è il punto di mediazione degli interessi dei protagonisti di questo nuovo scenario, che da qualche anno avevano cominciato ad abitare le stanze dei palazzi delle istitu-zioni, comprese quelle universitarie: dirigenti e dipendenti amministrativi, giornalisti e comunicatori rappresentati, oltre che dalle associazioni di catego-ria, anche dal cospicuo numero di laureati di Scienze della comunicazione che erano già presenti nel mercato del lavoro. Gli interessi di queste categorie di-ventano convergenti per una serie di processi economici e sociali. Tra questi va segnalato il grande cambiamento che si registra all’interno del sistema edi-toriale. L’introduzione di nuove tecnologie nella lavorazione dei prodotti giornalistici (il famoso passaggio dalla lavorazione a caldo a quella a freddo, cioè dalla linotype al computer), oltre a mettere in una condizione di crisi de-finitiva il mondo dei lavoratori tipografici, determina i primi licenziamenti e le prime forme di disoccupazione per i giornalisti. Cresce così negli anni Ot-tanta e si mantiene vivo anche nel decennio successivo il bisogno di questi giornalisti di trovare una diversa collocazione al di fuori del sistema editoria-le, nel sistema delle imprese private e, più tardi, della pubblica amministra-zione. Al tempo stesso, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni avverto-no la necessità di far fronte a nuove pratiche alle quali non sono preparati: quelle, appunto, che derivano dalla trasparenza, dal nuovo rapporto con l’utenza e con il sistema dei media, che nel frattempo è cresciuto. C’è, infine, l’esigenza di rispondere alle aspettative di un numero sempre crescente di lau-

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reati in Scienze della comunicazione. Sulla spinta di questi impulsi molti atenei hanno iniziato a dotarsi di figure

e di strutture dedicate alla comunicazione, compiendo percorsi originali e a volte anomali, molto diversificati tra loro a seconda del contesto universitario di riferimento in cui si sviluppavano19. Tuttavia molte Università non hanno compreso la portata innovativa e gestionale della comunicazione e si sono sof-fermati sul suo lato più immediato e persuasivo: pensavano che bastasse pro-nunciare le parole magiche advertising e marketing per poter risolvere tutti i problemi relativi all’immatricolazione degli studenti e all’immagine degli ate-nei.

Fiducia e reputazione vanno a braccetto Prendendo in considerazione il ricco repertorio di campagne di comunica-

zione di quegli anni, si nota che esse generalmente non partono da una pro-fonda riflessione strategica interna all’organizzazione, e non mirano a tessere relazioni con i diversi pubblici e rafforzare la reputazione dell’istituzione stes-sa. Altre campagne finiscono addirittura, in alcuni casi estremi, col fornire una rappresentazione dell’immagine dell’organizzazione pubblica non corrispon-dente alla realtà, smentendo le promesse fatte e producendo sfiducia e delegit-timazione da parte degli utenti. Si lavora, cioè, molto sull’immagine e sulla persuasione e poco sulla comunicazione per la qualità e sulla costruzione della reputazione. Immagine e reputazione non sono fra loro sinonimi ma rappre-sentano due concetti differenti. L’immagine si fonda prevalentemente su ele-menti esteriori, su una dimensione che a volte può acquistare anche connota-zioni negative come opposto della realtà e imitazione di qualcosa20. La repu-tazione, invece, trae la sua specificità dalle azioni e dai comportamenti com-piuti dall’organizzazione; è l’opinione che i pubblici hanno dell’istituzione, basata su cosa essa ha fatto negli anni, che consente l’instaurarsi di un rappor-to di fiducia: si forma, quindi, solo con il passare del tempo e non la si può modificare rapidamente, utilizzando ad esempio campagne di comunicazione.

19 Un approfondito repertorio di casi di studio, oggetto di una ricca convegnistica organizzata da AI-

CUN, è presente nei due volumi sulla comunicazione universitaria curati da Alessandra Mazzei (La comu-nicazione per il marketing dell’Università, Franco Angeli, Milano, 2000 e il già citato Comunicazione e reputazione nelle Università). In particolare nel secondo libro vengono riportati i casi di studio di alcuni atenei italiani (Università della Calabria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università di Siena e Uni-versità di Verona) e messi a confronto con esperienze di produzione e gestione della comunicazione univer-sitaria di atenei europei e statunitensi.

20 «Image has many negative connotative meanings: the average person sees image as the opposite of reality, as an imitation of something» (Grunig, 1993).

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Come sostiene Alessandra Mazzei, “la fiducia e la reputazione si alimentano reciprocamente, in particolare nel caso dell’Università”21.

Al di là di questi e altri errori di gioventù, determinati molto spesso da pra-tiche imitative nei confronti degli altri atenei, si può comunque affermare con certezza empirica che la comunicazione sta lasciando un segno rilevante nel sistema universitario, e ciò si evince estrapolando alcuni spunti dalle tre ricer-che realizzate sul tema della comunicazione universitaria, contenute e appro-fondite nella seconda parte di questo volume22.

Tre ricerche, una risorsa Queste ricerche sono tutte importanti perché mettono in luce alcuni aspetti

significativi dell’attuale stato della comunicazione in ambito universitario. Le strutture di comunicazione e di marketing sono presenti in maniera ca-

pillare all’interno degli atenei. La comunicazione è ormai parte integrante dell’apparato universitario nella quasi totalità degli atenei, a prescindere dalle dimensioni, dalla forma giuridica e dalla locazione geografica. Si tratta di strutture ancora giovani essendo nate nel 65% dei casi dopo il 1995 e nel 25% solo dopo il 2000. Le più diffuse sono l’ufficio stampa e l’orientamento uni-versitario (71%), gli uffici comunicazione (51%), gli Uffici di relazione con il pubblico (43%) fino ad arrivare anche a specifiche unità di marketing presenti nel 27% delle Università italiane

Le figure professionali incaricate della comunicazione sono cresciute a di-smisura e sono equamente ripartite tra professionisti esterni e personale di-pendente dell’amministrazione. Gli addetti alla comunicazione non provengo-no solamente dal mondo del giornalismo e della comunicazione d’impresa ma sono il frutto di una crescita delle risorse umane interne; da un lato tramite una specifica formazione dei dipendenti degli atenei, dall’altro grazie alla pre-senza sul mercato del lavoro dei laureati in Scienze della comunicazione e Re-lazioni pubbliche, che vengono assunti dagli atenei per occuparsi dell’ufficio

21 Mazzei A. (2004), pag. 29. Questi concetti trovano inoltre un loro primo sviluppo in Grunig J., Gru-

nig L., A new definition & measure of reputation, in “Research. A supplement of PR Report”, n. 16, mag-gio 2002 e Mazzei A. (2000).

22 Su questo tema si possono confrontare le tre specifiche ricerche, realizzate a cavallo tra il 2001 e il 2003, che sono presenti in questo volume e che hanno monitorato la presenza e le caratteristiche specifiche delle strutture di comunicazione universitaria in Italia: una, diretta da Emanuele Invernizzi, dell’Istituto di Economia e Marketing dell’Università IULM di Milano; una a cura dell’Associazione Italiana Comunicato-ri Universitari (AICUN); una, a cura di Roberta Bracciale e Valentina Martino, del Dipartimento di Comu-nicazione dell’Università La Sapienza di Roma, con il coordinamento scientifico di Mario Morcellini, diret-tore del Dipartimento, e di Stefano Boffo, della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari.

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stampa, dell’Urp e di uffici simili. Queste ricerche evidenziano, inoltre, quella che possiamo definire

un’innovazione di qualità: esiste un rapporto stretto con il vertice dell’ammi-nistrazione. La comunicazione si è fatta strategica. Se leggiamo gli organi-grammi degli atenei come mappe che segnalano i poteri nell’accademia, si no-ta una relazione molto forte tra chi dirige e gestisce la comunicazione e il ver-tice dell’organizzazione; gli atenei sembrano, cioè, sempre più prendere co-scienza dell’importanza strategica di questa leva.

Emergono anche altri dati significativi, relativi alle attività di comunicazio-ne svolte dagli atenei: il 100% delle Università dichiara di fare comunicazione istituzionale, il 94% comunicazione esterna di marketing e il 98,5% comuni-cazione interna.23 Questi flussi informativi sono rivolti non solo agli studenti ma a un’ampia tipologia di pubblici interni ed esterni all’istituzione universi-taria.

Gli atenei, infine, utilizzano un mix di comunicazione integrata24. Dalla carta alla Rete, dal telefonino alla televisione, il communication mix delle U-niversità si sta sempre più arricchendo di nuovi media e diversificando nell’utilizzo, anche se è ancora troppo legato a pratiche tradizionaliste di pub-blicity riferite alla stampa, che “rappresentano l’espressione di una forma an-cora rudimentale di acquisizione delle politiche di comunicazione da parte dell’Università italiana”25. La pianificazione della comunicazione è diffusa solo nel 41% dei casi e si avvale di un budget dedicato nel 82% degli atenei, contro il 25% di Università del 199226.

Queste prime riflessioni evidenziano come la comunicazione assuma sem-pre più un importante significato nelle strategie generali adottate da ogni sin-gola Università: diventa cioè una risorsa strategica, un sapere da sviluppare e da trasmettere, una competenza da usare in modo innovativo e creativo al fine di implementare la qualità della rete organizzativa universitaria.

La comunicazione rappresenta perciò una leva fondamentale per gestire il processo di transizione che gli atenei stanno vivendo in questi anni di cam-biamento, apre l’istituzione alla società e la stimola al dialogo con i suoi sta-keholder e con il sistema dei media.

23 I dati provengono dalla ricerca realizzata dall’Università IULM, che ha messo a confronto queste di-

verse tipologie di oggetti di comunicazione. 24 Dati della ricerca realizzata dall’Università La Sapienza di Roma, che ha messo a confronto le cam-

pagne di comunicazione 2000-2001 e i media planning degli atenei che hanno risposto all’indagine. 25 Morcellini M., Un marketing dei servizi, in “Universitas”, n. 84, 2002, pag. 19. 26 I dati provengono dalla ricerca realizzata da AICUN, che ha messo a confronto l’evoluzione della

comunicazione e delle strutture incaricate di questa funzione all’interno degli atenei dal 1992 al 2003.

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I media si mettono in proprio Nello stesso decennio di fine secolo, nel quale prendono corpo l’autonomia

e la comunicazione universitaria, diventa maturo anche il sistema dei media, grazie anche all’affermarsi di Internet e delle nuove tecnologie per la comuni-cazione, che permettono la nascita di forme di convergenza multimediale. I media rappresentano un interlocutore specifico degli atenei: non è più possibi-le, infatti, nel nuovo contesto competitivo, ignorare il ruolo dei mezzi di in-formazione perché l’esistenza, nella conoscenza del pubblico, dipende dalla presenza nel sistema dei media e, senza questa presenza, l’esistenza degli ate-nei rimane un fenomeno privato per ampi settori della società. Al tempo stes-so, i media divengono un’istituzione autonoma collocata nella sfera pubblica e rispondono a proprie logiche interne ma anche a dinamiche sociali ed econo-miche. Rispondono cioè a una logica di mercato che mette in evidenza il gra-dimento del pubblico, tramite un’attenta selezione delle notizie che risponde a precisi criteri di notiziabilità. Comprendere i fondamenti del newsmaking di-venta perciò necessario per capire quello che i media decideranno di selezio-nare per i propri prodotti di comunicazione e, quindi, quali saranno i temi di opinione che determineranno la discussione e il confronto tra i segmenti della sfera pubblica.

Come mette in evidenza Roberto Grandi (2001), se prima si pensava che i giornali e i media in generale fossero strumenti usati dagli altri, oggi ci si ren-de sempre più conto che sono i media che possono usare gli altri: da semplici canali sono diventati essi stessi comunicatori e responsabili attivi di cambia-mento, costringendo le altre istituzioni sociali ad adattarsi in funzione dei loro orari, compiti e formati (Mancini, 1999). I media hanno una propria visione del mondo che spesso non collima con quella dell’amministrazione: occorre pertanto trovare un punto di incontro, una mediazione tra le logiche diverse. È in questo mutato contesto che le sfere dell’opinione pubblica – istituzioni, media, politica – si confrontano in quello che viene definito agenda setting game, per riuscire ad affermare la propria identità e il proprio potere di agenda sulla discussione pubblica (Hewitt, Mandelson, 1989).

La logica dei media e quella degli atenei La “competizione per l’agenda” coinvolge anche gli atenei, che troppo

spesso sono stati solamente oggetti di trattazione e mai soggetti attivi di uno scambio comunicativo. Questo sbilanciamento avrebbe inevitabilmente porta-to le Università verso l’isolamento e verso la perdita di ogni funzione comuni-

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cativa. Le Università avrebbero così rischiato di venir coinvolte in quella che Noelle Neumann (1993) definisce “la spirale del silenzio”. Doveva, dunque, essere compiuta un’operazione che desse visibilità, credibilità e soprattutto spessore al sistema universitario. E questa operazione doveva essere compiuta cercando di far procedere la comunicazione sugli stessi binari del cambiamen-to che stava coinvolgendo il sistema universitario. Veicolare informazioni nel-la società mediatizzata, inoltre, era ed è per le Università sempre più comples-so e problematico, soprattutto di fronte a criteri di notiziabilità in cui l’ateneo fa notizia solo quando si può parlare di “mala Università”, di sprechi di risor-se, di baroni e di concorsi truccati. Tutto questo si trasforma, in alcune tra-smissioni televisive, in veri e propri tribunali di accusa o nella divulgazione di leggende metropolitane, orientando il senso comune delle persone.

Si fa strada in questo periodo, non solo negli atenei che già si sono dotati di autonome strutture di comunicazione e di uffici stampa capaci di confrontarsi con i media, ma anche ai livelli più alti del sistema universitario, come ad e-sempio nella Conferenza dei rettori, l’esigenza di attivare una strategia di co-municazione e di relazione con i diversi interlocutori e si capisce anche l’importanza di presidiare in maniera diretta la comunicazione stessa, che pre-cedentemente era affidata solamente alla trattazione del sistema dei media27. La CRUI dà così un forte impulso allo sviluppo della comunicazione, poten-ziandone lo staff, attivando corsi di formazione sulla base della legge 150, dimostrando un interesse verso i nuovi media con la realizzazione del nuovo sito Internet e, cosa ancor più importante, costituendo una commissione co-municazione28, alla quale vengono chiamati alcuni tra i più prestigiosi studiosi e teorici della comunicazione pubblica e della comunicazione di massa. Ma, al di là delle decisioni istituzionali e degli atti di volontà, come sempre accade, sono i fatti della vita e della storia che improvvisamente fanno mutare gli e-venti. In questo caso, lo spartiacque è rappresentato dalla strettoia economica nella quale le Università si sono venuti a trovare negli anni scorsi e che, nell’autunno 2002, ha indotto i rettori a minacciare le dimissioni in massa.

Come osservato da Majuri e Piselli29 l’evento rende improvvisamente più visibile il sistema universitario e rappresenta il momento chiave da cui prende il via, soprattutto sui media a mezzo stampa, una trattazione seriale di temi

27 Un momento importante di questo percorso è rappresentato, nel marzo del 2001, dalla presentazione

da parte del presidente della CRUI, Luciano Modica, del libro bianco Sullo stato delle Università italiane. La carta dei doveri e dei diritti nell'anno del cambiamento.

28 Piero Tosi insedia la Commissione comunicazione della CRUI nei primi mesi del 2003, contempora-neamente a una analoga Commissione per la cultura.

29 Majuri A., Piselli S., L’Università prende corpo: un nuovo protagonista tra luci e ombre. Analisi di un anno di rassegna stampa sulle testate nazionali.

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che ruotano attorno a questo organismo. Le dimissioni dei rettori divengono una forte cassa di risonanza che, con un tipico effetto alone, permette alla CRUI di far sentire la propria voce e proporsi all’attenzione del sistema dei media come interlocutore attivo con il quale dialogare e tessere relazioni di fiducia. Negli anni era maturata, nelle parti attive dei corpi accademici, la comprensione della strategicità del dialogo tra le diverse arene della pubblica opinione. Questo evento è un ulteriore stimolo per le Università, le quali capi-scono sempre più che è importante saper produrre informazione specifica per aumentare le proprie possibilità di essere selezionate all’interno del mare ma-gnum delle notizie, che arrivano ogni giorno nelle redazioni dei diversi media. Basti pensare – come osserva Rolando (2000) – che, fatta 100 l’informazione circolante a disposizione di ogni singola testata, i media selezionano e metto-no su carta per i propri utenti non più del 10%, applicando regole diverse da quelle concepite dalle fonti che hanno generato l’informazione. Inoltre, il si-stema media tende, per natura, a leggere nel sistema istituzionale più patolo-gia che fisiologia, con un orientamento generale che privilegia il racconto di eventi e non di processi. La vicenda delle dimissioni dei rettori e la conse-guente trattazione mediatica evidenziano che è fondamentale per ogni ateneo, e per il sistema universitario in generale, avere una maggiore e più approfon-dita conoscenza delle regole con le quali le Università sono accolte dal siste-ma dei media; che occorre, cioè, inserire nella cultura amministrativa degli atenei un’attenzione specifica alla media logic.

Ci dimostra, inoltre, che è necessario lavorare perché non solo i grandi e-venti ma anche le pratiche quotidiane siano rese notiziabili per il mondo dell’informazione. È questa la frontiera che può permettere, al di là della co-pertura informativa dei picchi alti, che per propria natura sono spettacolarizza-ti dal sistema dei media, di fornire una sistematicità nella trattazione dei temi universitari, attribuendo a essi la giusta rilevanza.

Come è avvenuto nella fase successiva all’applicazione della legge 150, che ha permesso l’evoluzione di specifiche competenze comunicative, il sistema universitario dovrebbe oggi operare perché gli uffici stampa delle Università abbiano al proprio interno professionalità sempre più capaci di confrontarsi quotidianamente con la logica del sistema dei media locali e nazionali. Questo anche attraverso corsi di formazione e di aggiornamento, in collaborazione, tra gli altri, con le scuole di giornalismo, che nel frattempo sono nate grazie al rapporto proficuo tra gli atenei e l’Ordine dei giornalisti.

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L’evoluzione dei pubblici degli atenei Oltre alla complessità del rapporto con il sistema dei media, gli atenei si

sono trovati a confrontarsi con l’evoluzione quantitativa e qualitativa dei pro-pri pubblici. Infatti, se i destinatari dei messaggi dell’Università torre d’avorio erano gli stessi abitanti della torre, l’Università di oggi deve essere in grado di compiere un’attenta analisi dei pubblici per segmentare e trattare i suoi molte-plici target audience. Questa complessità di pubblici dell’Università non ri-guarda solo i rapporti esterni degli atenei ma anche la loro organizzazione in-terna. Si pensi alle relazioni tra il corpo docente e l’apparato amministrativo, che necessitano di meccanismi di comunicazione e di linguaggi diversi in quanto possiedono ancora oggi valori fortemente disgiunti; o al passaggio dal modello gerarchico dell’Università torre d’avorio all’Università rete organiz-zativa30, i cui nodi sono costituiti da soggetti dotati di autonomia e legati da relazioni che tendono a essere più strutturate e che si rapportano all’ambiente esterno mediante una serie di partnership di lungo periodo basate sulla repu-tazione e sulla fiducia (Boldrini, Lovari, 2000; Mazzei, 2004).

I destinatari finali del messaggio si aspettano comunicazioni sempre più personalizzate e disponibili in modalità multimediale; in questo nuovo scena-rio i cambiamenti hanno riguardato perciò gli studenti, i docenti, il personale tecnico amministrativo nonché le aziende31, i donatori, gli ex studenti fino a coinvolgere, come abbiamo visto, gli operatori dell’informazione che si muo-vono secondo le logiche proprie dell’arena mediatica.

I target interni, quelli esterni e il sistema dei media si trovano così a dialo-gare tra di loro dentro un flusso pervasivo di comunicazione, che vede coin-volto il soggetto Università sia in quanto emittente del messaggio sia in quan-to contenuto comunicativo della trattazione dei diversi pubblici. Questo av-viene in una duplice dimensione. Da un lato l’Università, a fronte del suo ruo-lo attivo di emittente, centrale e periferico, dialoga con il sistema dei media e i suoi pubblici con messaggi specifici, differenziati nelle modalità narrative e nell’utilizzo dei mezzi. Dall’altro lato, ciascuno dei pubblici di un ateneo è un potenziale emittente di messaggi che riguardano l’Università e che possono confermare o smentire la comunicazione di carattere istituzionale: in questa ottica di comunicazione totale i pubblici interni sono in grado, ad esempio, di comunicare l’ateneo anche con la propria stessa attività lavorativa (Lovari, Mazzei; 2004).

30 Sull’evoluzione dei modelli dell’Università europea, dalla “Università collegium” alla “Università re-te professionale” il riferimento è a Mazzei A. (2004).

31 Basti pensare all’accordo raggiunto tra CRUI e Confindustria con il patto delle 10 azioni per il rilan-cio della ricerca e dell’innovazione in Italia (www.crui.it).

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Questa complessità nelle relazioni tra le Università e i pubblici è un feno-meno che si concretizza sia a livello nazionale tra i diversi sistemi – la CRUI, i media e le diverse sfere dell’arena pubblica – che a livello locale tra i singoli atenei, i propri pubblici e i microsistemi mediatici locali. In questo caso, infat-ti, il decentramento delle sedi universitarie e il serrato dialogo con gli attori politico-sociali del territorio creano spesso sinergie e scenari nuovi, ma apro-no anche terreni di confronto e conflittualità.

Comunicare il sistema e nel sistema Da tutta questa analisi quali sono gli elementi che emergono e quali gli

spunti che possono essere considerati come prioritari? E quali sono le nuove frontiere che si aprono al lavoro di quanti operano nella comunicazione uni-versitaria? Un primo elemento da mettere in evidenza è la necessità di lavora-re in maniera più approfondita e strategica nei confronti della comunicazione interna.

Occorre però mettere in risalto la duplice valenza dell’aggettivo che ac-compagna il termine comunicazione: interna al sistema Università e ai suoi organismi rappresentativi, come ad esempio la CRUI, e interna a ogni singolo ateneo.

In prima istanza è necessario rinforzare la comunicazione dell’intero siste-ma universitario. Se la fase dell’autonomia ha aperto la strada a forme di dif-ferenziazione competitiva degli atenei, occorre ora recuperare la dimensione di sistema unitario dell’Università italiana, soprattutto di fronte alle nuove di-namiche presenti nell’arena pubblica. L’obiettivo è quello di creare una pecu-liare logica dell’istituzione universitaria che possa dialogare con le logiche degli altri sistemi e con l’opinione pubblica in generale.

Occorre però sviluppare prima un sistema di relazioni e di comunicazione interna al sistema universitario, magari tramite una rete Intranet tra gli atenei, che consenta lo sviluppo e la circolazione delle informazioni e il passaggio continuo da un elemento all’altro. Questa concettualizzazione evoca per certi aspetti la struttura rizomatica: nel rizoma ogni punto può essere connesso e deve esserlo con qualsiasi altro punto, e in effetti nel rizoma non vi sono punti o posizioni ma solo linee di connessione32.

Questa nuova prassi di relazione tra atenei presenta caratteristiche tecnico-professionali che necessitano di un approccio meditato e presidiato perché i

32 Deleuze G., Guattari F., Rhizome, Minuit, Paris 1976; questa descrizione proviene da Eco, U., Semio-

tica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984.

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linguaggi e i format di questi processi comunicativi sono alla base dell’obiettivo generale di coesione istituzionale (Rolando, 2004).

Solo così, facendo sistema, gli atenei potranno mostrare il proprio vero vol-to al sistema dei media e alle altre istituzioni, non solo generando visibilità per i soggetti in campo ma raggiungendo soprattutto legittimazione culturale per le issues e i temi di opinione oggetto della pubblica discussione. Occorre per-ciò fare sistema per competere con la logica delle altre istituzioni e la CRUI potrebbe così, in questo processo, assumere un nuovo ruolo.

Una sana circolazione dei flussi La seconda dimensione del problema è quella relativa alla comunicazione

interna ai singoli atenei. Se molti passi in avanti sono stati compiuti per quel che riguarda i flussi di comunicazione verso l’esterno, finalizzati al raggiun-gimento di obiettivi di marketing e alla definizione del posizionamento, è al-trettanto vero che gli atenei troppo spesso, pur indicando la comunicazione interna come un elemento fondamentale, non le hanno dedicato un’attenzione specifica. La comunicazione interna sembra essere un’attività che viene svol-ta, ma alla quale non viene attribuita importanza strategica da parte di coloro che gestiscono l’informazione negli atenei33. Si può affermare, in sostanza, che i comunicatori degli atenei non attribuiscono a queste attività interne un valore proporzionale a un così alto grado di presenza nelle Università, quasi a ritenerlo uno spreco di energie rispetto a quanto necessario e richiesto.

In genere la pratica della comunicazione interna viene affrontata e risolta attraverso la realizzazione di newsletter e di house organ, che hanno rimpiaz-zato i vecchi bollettini, o dedicando uno spazio particolare all’interno dell’home page del sito d’ateneo. Troppo poco.

Questa evidenza empirica potrebbe significare, secondo chi scrive, una mancanza di visione strategica da parte dei comunicatori universitari e una parziale consapevolezza della criticità rappresentata dai pubblici interni della moderna Università rete. Ma potrebbe significare anche che i comunicatori trovano molta difficoltà a confrontarsi con i pubblici interni, o perché alcune componenti interne – penso ai docenti – mostrano forma acute di resistenza alle innovazioni della comunicazione, o per un atteggiamento di subalternità culturale nei confronti della cultura e della tradizione dell’istituzione in cui

33 Come rivela Alessandra Mazzei (2004) nella ricerca IULM, il 97% delle Università interpellate fa comunicazione interna per diffondere informazioni ma solamente l’80% la reputa importante; l’84,5% co-munica per coinvolgere il personale ma solo il 73% lo fa perché convinto della sua efficacia; il 78,8% a-scolta i clienti interni ma solamente il 66,7% lo fa perché lo reputa un’attività fondamentale.

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operano. Qualche tempo fa, un docente illustre, caro amico, mi ricordava che non c’è giornalista che non desideri avere, in qualche modo, riconoscimenti accademici, che ne consacrino anche la propria dimensione intellettuale. D’altra parte, non c’è docente universitario che non ami finire con un proprio saggio, con un articolo o con un intervento di valore nelle prime pagine dei giornali, o, se il suo pezzo è di medio livello, nelle pagine delle innumerevoli gazzette che si stampano ogni giorno in Italia, così da essere riconosciuto non solo dai propri studenti ma anche dalle masse. Ma, al di là di questa schizo-frenica modalità comportamentale, gli atenei dovrebbero essere in grado di dedicare la stessa attenzione e la stessa professionalità, utilizzata verso l’esterno, anche alla gestione dei rapporti con i pubblici interni, identificando gli strumenti e i linguaggi più idonei al fine di perseguire gli obiettivi di una relazione di fiducia e di valore. La comunicazione interna deve diventare sempre più il fluidificante che permetta all’apparato universitario di funziona-re meglio (Rovinetti, 2000); l’amministrazione pubblica è come un corpo, nel quale, se non vi è una circolazione corretta dei flussi, non c’è capacità massi-ma di espressione e di dinamismo comunicativo verso l’esterno (Faccioli, 2000). Inoltre, la comunicazione interna crea consenso all’interno degli atenei perché valorizza le specificità dei diversi settori che compongono il comparto universitario, esplicita la mission e i valori guida dell’ateneo, e permette a tutti di confrontarsi in maniera costante e non sporadica.

La comunicazione deve dunque compiere un ulteriore salto di qualità: da strategica e integrata34 deve assumere le caratteristiche di comunicazione tota-le. Adottare questo approccio significa attivare meccanismi interni all’amministrazione che, a partire dal vertice, rendano l’intera struttura consa-pevole delle conseguenze che l’assunzione della centralità strategica della comunicazione comporta per un’amministrazione pubblica, mettendo in evi-denza una sensibilità nuova sugli effetti comunicativi di ogni decisione presa verso i diversi pubblici di riferimento (Grandi, 2001). L’efficacia della comu-nicazione non dipenderà solamente dalle strutture interne dedicate alla stessa, ma dovrà misurarsi con i flussi informativi e relazionali prodotti dai diversi sottosistemi dell’organizzazione e dal contesto in cui essa opera. In questa ot-

34 “Strategica” perché concordata direttamente con il top management dell’organizzazione universitaria:

contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell’istituzione tramite l’analisi del contesto e dell’ambiente di marketing, grazie all’attivazione di piani concreti di azione, che agiscono all’interno della mission dell’ateneo ma che colgono dall’esterno elementi e segnali utili a un eventuale ripensamento delle stesse strategie in un processo di raccolta del feedback. “Integrata” perché in grado di usare a 360 gradi i tasti del-la comunicazione, capace cioè di sfruttare le potenzialità e le peculiarità dei diversi mezzi di comunicazione a disposizione dell’organizzazione. Boldrini M., Lovari A., (2000); Moretti A., La comunicazione integrata dell’Università, in L’azienda Università, Isedi, Torino, 2001; Lovari A., Mazzei A., L’Università di Siena: la comunicazione come sapere scientifico e come competenza gestionale, in Mazzei A. (2004).

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tica grande spazio dovrà essere attribuito ai nuovi media e alle tecnologie in-formatiche che consentiranno a larghe fasce di utenza di avere relazioni inte-rattive con gli atenei. Internet rappresenta il mezzo per eccellenza per costrui-re un nuovo rapporto con gli utenti, sia perché fornisce risorse per una mag-giore informazione e abitua le persone a una comunicazione interattiva, sia perché ha grandi potenzialità nella comunicazione interna, nell’amministra-zione e nel governo dell’istituzione.

Occorre ragionare perciò sull’introduzione di una logica di comunicazione partecipata35, pervasiva e multicanale; sull’adozione di una logica di marke-ting relazionale al fine di aumentare la fiducia e il dialogo tra gli atenei e i suoi stakeholder. Alla base di questa logica c’è una nuova cultura dell’ascolto dei molteplici pubblici dell’ateneo, che può essere favorita attivando gli uffici di relazione con il pubblico o sportelli presidiati e utilizzando specifici stru-menti quali, ad esempio, ricerche di customer satisfaction e indagini di clima verso gli studenti, le imprese e il personale tecnico amministrativo e docente.

Così, seguendo una logica di comunicazione totale, ogni ateneo potrà esse-re in grado di creare una propria identità distintiva, di sviluppare senso di ap-partenenza e di mantenere alta la propria reputazione nei diversi contesti in cui si trova ad agire.

Coltivare i germogli delle élites Questo passo in avanti nel concepire la comunicazione come elemento stra-

tegico per gli atenei, sia nel sistema nazionale che nelle singole realtà, apre il fronte al tema dell’importanza della formazione delle risorse umane incaricate di gestire questi processi negli atenei. È necessario, cioè, creare nuove figure professionali che siano in grado non solo di padroneggiare gli strumenti di comunicazione e di conoscere la logica dei media ma che abbiano una cono-scenza approfondita delle dinamiche interne al sistema universitario e del fun-zionamento degli atenei.

È importante infatti non solo avere padronanza delle tecniche della comu-nicazione ma anche essere in grado di tradurre la logica e i linguaggi

35 La comunicazione partecipata è quella che coinvolge l’utente nella progettazione e nell’erogazione

dei flussi informativi; essa rappresenta una frontiera da esplorare per la comunicazione pubblica, in quanto consente di iscrivere all’interno dei prodotti comunicativi il lettore modello, il simulacro testuale del rice-vente. In questo modo, e tramite altre tecniche di condivisione della conoscenza, diventa possibile prestare attenzione alle specifiche esigenze dei diversi target, eliminando, nella maggior parte dei casi, i fenomeni di decodifica aberrante del messaggio (Lovari A., Dalla laurea all’apprendimento continuo, Master in “Co-municazione e informazione nelle pubbliche amministrazioni”, Università degli studi di Siena, 2003).

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dell’accademia in una comunicazione efficace verso i mediatori dell’infor-mazione e l’opinione pubblica in generale; facilitatori in grado di saper alzare e abbassare i toni della negoziazione informativa, a seconda del tema e dei pubblici coinvolti, ma che abbiano sempre presente il ruolo sociale e l’utilità pubblica degli atenei. Una funzione importante, in questo senso, dovrebbero averla proprio i docenti universitari.

In buona sostanza si tratta di impedire che si possa creare una frattura tra i livelli della cultura di massa e le élites che ancora continuano ad alimentare la dimensione accademica e universitaria. Il rapporto tra la produzione di cultura alta e le pratiche sociali che derivano da una cultura prevalentemente mediati-ca dovrebbe essere simile a quello che regola il rapporto tra l’Università di massa e la formazione di élite, così come lo descrive Salvatore Settis, nel suo libro Quale eccellenza?: “l’errore più grande sarebbe quello di creare fra l’una e l’altra un abisso invalicabile. Al contrario, è importantissimo che anche nell’Università di massa si sappia seminare e coltivare quei germogli che poi, sviluppandosi, daranno vita alle punte di élite. Solo così quelle persone che hanno intrapreso un percorso più professionalizzante potranno elaborare, per proprio conto e/o grazie a circostanze particolari, talenti e potenzialità che li indirizzeranno verso esperienze più autonome e inventive.”36

Questo livello più elevato di competenze richieste oggi agli operatori dell’informazione universitaria e questa partecipazione attiva dei pubblici in-terni dovrebbero portare anche a rivedere alcuni contenuti della legge 150, che fino a qualche anno fa sono apparsi innovativi e che ora mostrano la propria arretratezza, in quanto non riescono più a fotografare e a valorizzare la com-plessa tipologia di operatori della comunicazione, dell’informazione e del marketing che operano nel settore pubblico e nelle Università in particolare.

La valutazione e l’etica della comunicazione L’aumentato flusso informativo, i crescenti investimenti in comunicazione

e in pubblicità pianificati dagli atenei aprono anche il terreno a un’ulteriore considerazione rispetto alla qualità e la dimensione etica del messaggio.

Occorre, secondo me, non insistere solo sui tratti persuasivi della comuni-cazione ma stabilire linee guida su cui sviluppare la comunicazione degli ate-nei, definendo in maniera più precisa il perimetro etico della comunicazione universitaria. La cultura e il sapere non sono una merce da piegare alla logica della competizione e al potere dei media, anche se con i media sono chiamati

36 Settis S., Quale eccellenza?, Laterza, Bari 2004, pag. 159.

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a fare i conti. Gli atenei prima di produrre informazione devono necessaria-mente definire cosa si deve fare, cosa può essere fatto e cosa non può essere messo in atto con le proprie azioni comunicative. La comunicazione diventa efficace solo se l’Università prima riflette su se stessa, sulla propria mission, sugli obiettivi da raggiungere e sulle politiche da praticare. La veridicità dei contenuti comunicati ai diversi pubblici viene così a coincidere con le pro-messe che l’Università si impegna a mantenere all’interno del patto fiduciario con i propri interlocutori. Come sostiene Simonetta Pattuglia, “l’etica dell’Università e della comunicazione universitaria significa costruire meglio con onestà, veridicità, correttezza, con trasparenza e responsabilità il servizio didattico-formativo e il servizio di comunicazione attivato attorno ad esso”37.

Orientare e informare gli studenti e l’intero sistema Paese sulle peculiarità e sulle caratteristiche dell’Università rappresenta dunque un dovere per tutti gli atenei. A tal proposito, la CRUI potrebbe farsi promotrice della creazione di una sorta di carta etica della comunicazione universitaria, condivisa da tutti gli atenei e da tutti gli operatori che lavorano all’interno delle Università, che i-dentifichi i codici e i registri da utilizzare ed eviti comportamenti manipolatori e meramente propagandistici dell’informazione. Sarà così possibile rispondere alle provocazioni come quella di Mario Perniola, nel suo scritto Contro la comunicazione38: “la comunicazione è l’opposto della conoscenza ed è nemica delle idee”. In realtà, se si presta attenzione a queste pratiche, la comunicazio-ne sarà una comunicazione amica della conoscenza e delle idee, poiché in grado di proporre contenuti. E le Università sono il luogo privilegiato dove si confrontano le idee e si sviluppano i contenuti.

Il rischio di una nuova opacità L’attenzione dei comunicatori delle Università non deve quindi essere tesa

solo alla realizzazione di questi obiettivi ma anche al processo e alle modalità con le quali gli stessi sono perseguiti. Il rischio, infatti, è quello che possa na-scere una nuova stagione dell’opacità: prendendo a pretesto un’idea sbagliata di autonomia e la mancanza di criteri condivisi di qualità all’interno del siste-ma, la società potrebbe percepire l’Università come un corpo opaco, seppure di una opacità diversa dal passato. Un’opacità che deriva non tanto dalla vo-lontà o dalla incapacità di comunicare, quanto dalla tentazione di promuovere

37 Pattuglia S., Etica e comunicazione delle Università, atti del Convengo AICUN, Roma 2003, pag. 4. È interessante leggere anche Fabris A. (a cura di), Guida alle etiche della comunicazione. Ricerche, docu-menti, codici, Edizioni ETS, Pisa 2004.

38 Perniola M., Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004.

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un’immagine altra e non veritiera rispetto alla reale situazione e alle caratteri-stiche degli atenei italiani.

Se, infatti, esiste una differenza tra l’immagine che gli atenei comunicano e la sostanza delle loro azioni e del loro essere istituzione si può creare un di-stacco che darebbe luogo a questa nuova opacità. Potrebbe, cioè, svilupparsi una discrasia percepibile dall’utente, che diverrebbe così il maggior demistifi-catore dell’accademia. Questo processo, oltre a promuovere e veicolare un’immagine distorta degli atenei, porterebbe a mettere in discussione o addi-rittura a rovinare la reputazione degli stessi.

Il vero antidoto all’opacità sarà rappresentato dalla completa realizzazione dei processi di autovalutazione e di valutazione che coinvolgeranno profon-damente tutti gli atenei: solo allora, di fronte a un monitoraggio approfondito, basato su criteri trasparenti e su un sistema di peer reviewing condiviso, la comunicazione potrà assolvere alla funzione di informare sulla qualità, fuori dai bassi tentativi di vincere la competizione utilizzando gli schemi della pro-paganda. Così, gli atenei non potranno più, sia in un’ottica di comunicazione esterna che interna, fare appello ad argomentazioni che creerebbero dissonan-za con le valutazioni complessive del sistema.

Di qui la necessità di veicolare non solo le decisioni che l’istituzione assu-me ma soprattutto di comunicare le azioni compiute e i loro effetti. L’apertura di un laboratorio, l’attivazione di un corso di studi, la creazione di un servizio non devono essere solo annunciate e lasciate poi cadere nel dimenticatoio me-diatico; tali informazioni devono arricchirsi e sostanziarsi di ulteriori comuni-cazioni che ne raccontino l’uso e l’utilità concreta per i pubblici. In questa nuova prospettiva le Università dovranno lavorare non solo per avere un’ottima reputational reputation, costruita su processi di comunicazione e di informazione da soggetto a soggetto all’interno delle reti di relazioni, ma piut-tosto investire per consolidare una forte experiential reputation, quella cioè che emerge dall’esperienza diretta che fanno i pubblici quando vengono a contatto con le azioni concrete e i servizi erogati dall’istituzione universitaria (Costabile, 2001; Grunig, Grunig; 2002). Questa nuova logica può essere im-plementata – come ho scritto nelle pagine precedenti – attraverso la cultura dell’ascolto e di comunicazione totale. Occorre forse ritornare a privilegiare una comunicazione funzionale e non solo una comunicazione di integrazione simbolica39.

In questo contesto il comunicatore universitario deve tener conto anche del-la grande velocità e dinamicità dei processi che coinvolgono gli atenei e

39 La differenza tra la comunicazione funzionale e la comunicazione di integrazione simbolica è tratteg-

giata con precisione in Mancini P., Manuale di Comunicazione pubblica, Laterza, Bari 1999.

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dell’ambiguità del rapporto tra politica e Università: ciò accade, tra l’altro, in un momento in cui sono in discussione questioni nodali per l’intero sistema, come ad esempio lo stato giuridico dei docenti. Si rende allora necessario, in questa fase caratterizzata da continue accelerazioni e rinegoziazioni, saper se-lezionare le tematiche universitarie più rilevanti e strategiche, proponendole al sistema dei media come contenuto di comunicazione e traducendole al con-tempo per i diversi pubblici e la società. Evitando, così, che possa emergere un’immagine dell’Università legata solo alla forma e non alla sostanza. È im-portante, quindi, che la Crui lavori non solo alla definizione di una carta etica ma anche alla creazione di un’agenda di questi temi, in modo da condividerli all’interno del sistema universitario e farli affermare nella logica delle istitu-zioni, per poi renderli comunicabili – secondo il new deal appena esposto – ai cittadini e al sistema dei media.

Questo circuito virtuoso e la sua messa in discorso potranno rappresentare la base per far emergere la personalità distintiva degli atenei, promuovere una comunicazione volta alla fiducia, alla trasparenza e alla qualità non solo verso i pubblici interni ed esterni agli atenei ma anche verso il sistema dei media, impedendo così una emarginazione dell’Università dalla società civile e dai suoi interlocutori.

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La comunicazione lascia il segno di Mario Morcellini

1. L’Università italiana tra crisi e progetto

Che ruolo spetta all’Università nella moderna società dell’informazione e

della conoscenza? Come si ridefinisce l’idea di Università in un’epoca di cambiamento accelerato dell’istituzione e del contesto sociale? E quale scena-rio evolutivo è possibile prospettare oggi in Italia, a qualche anno dell’intro-duzione dell’autonomia didattica e di fronte ad uno spazio pubblico infiamma-to – più che in passato – sulle sorti dell’accademia?

Mai come oggi, l’Università si avvia ad estendere il proprio radicamento nella società italiana, opponendo alla drammatica penuria di investimenti pubblici un’effervescenza di “numeri” e di esperienze senza precedenti. Si tratta di fermenti spesso sottovalutati dall’opinione pubblica e dagli stessi ad-detti ai lavori, ma che fanno dell’Università uno dei più straordinari cantieri aperti dell’innovazione presenti nel Paese. La Riforma didattica – al di là del suo stress – ha suggellato di fatto la maturazione di una serie di rivoluzioni silenziose: anzitutto la contrazione dei drammatici standard di dispersione, ma anche il ritorno all’incremento delle immatricolazioni dopo un declino quasi decennale (e, peraltro, anche da parte dei giovani neodiplomati rispetto a quanti, in passato, preferivano deliberatamente il lavoro al proseguimento de-gli studi1). Va inoltre segnalato l’aumento dei laureati, degli studenti-lavoratori, delle vocazioni tardive, dei “ritorni” all’Università e, non ultimo,

1 Si tratta della cosiddetta “logica del carrozziere”: con questa efficace espressione, Giuseppe De Rita ha

sovente designato, nei suoi interventi pubblici, l’opzione dei giovani per il lavoro – rispetto alla continua-zione degli studi – non giustificata da condizionamenti socioeconomici.

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l’exploit del post-lauream2. Rivoluzioni quantitativamente ancora non esaltan-ti, ma che assumono dimensioni “prodigiose” se lette alla luce di due elementi di contesto: esse si registrano per la prima volta simultaneamente e, soprattut-to, maturano senza un adeguato investimento economico da parte dello Stato.

Eppure, dalle testimonianze di quanti nell’Università vivono e lavorano, fi-no alla quotidiana copertura dei media, è evidente che troppo raramente i di-scorsi sull’Università rendono conto in modo convincente del significato e della portata della “rivoluzione” in atto nel contesto italiano. A prevalere nel dibattito pubblico è, anzi, una visione frequentemente incompleta, “salottie-ra”, se non addirittura viziata dall’emotività e da scelte pregiudiziali. Persino l’interpretazione e il racconto delle statistiche ufficiali appaiono spesso infi-ciati e compromessi da una clamorosa incertezza nell’aggiornare le stesse ca-tegorie di analisi (i tradizionali indici di efficienza e produttività) e, dunque, nel restituire con le giuste proporzioni il significato della singolare efferve-scenza strutturale e didattica che sta oggi attraversando l’Università italiana.

E, a ben guardare, neppure l’emergente “ideologia” dell’Università-azienda - vessillo alla moda dell’innovazione - si sottrae alla tentazione di smarrire la natura unica e distintiva dell’istituzione rispetto all’identità di qualsiasi altra organizzazione pubblica e privata. I tentativi di modernizzazione linguistica (la brusca conversione al lessico «aziendalese» ed esterofilo) non paiono, del resto, meno contraddittori di quanto non appaiano gli episodi, anche recenti, di “fanta-riformismo” politico. E non pensiamo solo alla bruciante provoca-zione del disegno di legge delega sul riordino della docenza, quanto a episodi vecchi e nuovi di trasformazione radicale delle cornici di un’istituzione che meriterebbe anzitutto un riformismo cauto, ben più selettivo e soprattutto pro-grammato nel tempo, entro un quadro di sviluppo capace di integrare autova-lutazione e monitoraggio indipendente. L’impressione è che sia mancata, in questi anni, una visione di sistema: ciò significa anzitutto capacità di leggere e di affrontare in priorità le criticità, valutando anche i costi sociali ed economi-ci conseguenti.

E’ chiaro: molte responsabilità spettano all’Università e alla sua tentazione storica di autoreferenzialità. Ma i tempi sono cambiati per tutti. Gli atenei ita-liani si stanno interrogando a fondo: sul senso di una mission plurisecolare e sulla propria immagine di fronte all’opinione pubblica3.

2 Per un resoconto puntuale dei trend strutturali, si rimanda a: CNVSU, Quinto rapporto sullo stato del

sistema universitario, 2004; e Associazione TreeLLLe, Università italiana, Università europea? Dati, pro-poste e questioni aperte, Quaderno n. 3, Genova, settembre 2003.

3 Per un approfondimento del caso italiano, si rimanda al saggio in corso di pubblicazione: M. Morcelli-ni, V. Martino, Contro il declino dell’Università. Appunti e idee per una comunità che cambia, Il Sole 24 Ore, Milano, in corso di pubblicazione.

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2. Immagine pubblica e potere negoziale

2.1. Un’Università in “bianco e nero” La modernizzazione dell’Università italiana passa con fatica nell’opinione

pubblica, e si intreccia comunque ad una sistematica sopravvalutazione delle criticità e delle prospettive di sviluppo e, soprattutto, alla strutturale tendenza della politica e dei media a leggere i fenomeni a breve invece che a lungo termine. Entro l’agenda pubblica, la visibilità dell’Università resta - nel mi-gliore dei casi - debole e quantitativamente sottodimensionata rispetto alle sue effettive potenzialità in termini di impatto economico e di promozione sociale.

Da parte dei media e degli altri protagonisti del dibattito pubblico, a preva-lere è ancora una rappresentazione distorta, superficiale e spesso solo parziale delle epocali proporzioni assunte dai processi di cambiamento all’interno del sistema universitario: gli atenei sono cambiati, ma solo raramente i giornalisti e i commentatori hanno saputo “mettere in scena” adeguatamente il racconto di questo processo storico di mutamento, facendosi inconsapevolmente re-sponsabili di uno dei più drammatici limiti dei media italiani nel tratteggiare la modernizzazione della nostra società. E’ una difficoltà nel rappresentare l’innovazione del sistema universitario che riapre peraltro l’antica questione della capacità dell’informazione nel documentare il “nuovo”4.

Di fatto, la diffusa polarizzazione ideologica ravvisabile nel dibattito pub-blico (e, a volte, tra gli stessi addetti ai lavori5) segnala la persistenza e l’inos-sidabilità di interpretazioni che continuano a non aver chiaro un progetto di sviluppo socioculturale dell’Università italiana. L’evoluzione del sistema dell’alta formazione viene spesso declinata in termini di un riformismo radica-le o, viceversa, di un irragionevole “pessimismo cosmico” nei confronti del-l’autonomia didattica e delle sorti dell’Università, e comunque sempre entro una curvatura di dibattito fortemente politicizzata. Vista dall’angolo visuale

4 E’ esemplare, in questo senso, un dibattito promosso negli scorsi mesi da “Il Foglio” con personalità

degli atenei, a partire dal documento della Commissione Cultura della CRUI sulla riforma della governan-ce. Ebbene, nelle opinioni si alternano criticità, positività e proposte, ma il titolo riesce a falsificare tutto ciò con un disarmante: Al capezzale dell’Università italiana (“Il Foglio”, 19 maggio 2004, p. 2).

5 Si pensi, ad esempio, al clamore sollevato nei primi anni Novanta dall’impietosa requisitoria di Raffa-ele Simone (ordinario di Linguistica Generale presso l’Università “La Sapienza” di Roma) sul presunto tradimento operato dal corpo docente dell’Università a danno degli studenti, dello Stato, della ricerca (R. Simone, L’Università dei tre tradimenti, Laterza, Bari, 2001). Per una rassegna di alcuni tra i più autorevoli contributi volti ad annunciare, di volta in volta, la “crisi”, il “tramonto”, la “fine” dell’Università moderna, si veda V. Tagliasco, Nella ricerca scientifica può l’ordine scaturire dal caos?, “Media Duemila”, anno XXI, n. 4, maggio 2003, pp. 31-39.

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degli editorialisti, dei media e di alcuni luoghi comuni diffusi sull’accademia, emerge la persistente incapacità di confrontarsi serenamente con i nuovi “nu-meri” dell’Università italiana, di individuare un terreno finalmente propositi-vo di analisi, di avere chiaro l’inedito spettro di valori e di aspettative sociali con cui il mandato universitario è chiamato a misurarsi nella società dell’in-formazione e della conoscenza. Ne discende un ritratto drammaticamente re-trò e, per così dire, in “bianco e nero”: l’immagine degli atenei italiani risulta a tutt’oggi appannata e indubbiamente poco dinamica (soprattutto nel con-fronto con gli altri Paesi), oltre che troppo spesso vittima di allarmismi scon-siderati; infiammazioni che puntualmente finiscono per riproporre una tradi-zionale e ormai stanca polarizzazione tra “apocalittici” e “integrati”, tra posi-zioni conservatrici e riformismi estremi.

Si tratta di polarizzazioni che non aiutano a capire, anche perché è impen-sabile che possano rappresentare posizioni entrambe plausibili: non bisogna dimenticare che il punto di partenza, infatti, dovrebbero essere studi quantita-tivi e indagini comparative sull’Università, che invece mancano sistematica-mente nel dibattito pubblico, e non solo a causa dell’impreparazione degli o-peratori dell’informazione. Per quanti margini di interpretazione vi siano, i dati sull’Università non possono giustificare visioni radicalmente contrappo-ste; piuttosto, viene da pensare che questa carenza di analisi sia da imputare ad un profilo tradizionalmente basso dell’analisi socioculturale del caso italia-no che, da sempre scarsamente tematizzata dalla politica e dalle istituzioni, non è mai stata in grado di produrre una verifica obiettiva delle linee di ten-denza.

In questo clima, accanto all’ormai tradizionale rapporto annuale del CNVSU, acquista maggior valore sia il lavoro di divulgazione promosso con pubblicazioni e rapporti periodici dall’ISTAT (fonte statistica ufficiale per an-tonomasia)6, sia il sistematico lavoro di analisi e documentazione messo in campo dall’Associazione TreeLLLe7; da segnalare, per l’indubbio valore co-noscitivo, anche i poderosi approfondimenti mirati a cura del Consorzio Al-maLaurea (condotti su un campione di atenei peraltro sempre più ampio negli

6 Nell’ambito dell’ampia produzione statistica su istruzione e cultura (non esente da qualche ritardo ec-

cessivo nella diffusione dei dati), segnaliamo in particolare i rapporti: ISTAT, Lo stato dell’Università. I principali indicatori, Collana “Indicatori statistici”, Roma, n. 4, 2003; e Università e lavoro: statistiche per orientarsi 2004-2005, Roma, 2004.

7 Il Terzo Quaderno statistico promosso dall’Associazione, presieduta in passato da Umberto Agnelli, ha infatti rappresentato una vera e propria operazione culturale e di divulgazione (Associazione TreeLLLe, op. cit.).

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anni)8 e, inoltre, le numerose indagini ad hoc promosse dalla CRUI. Mentre pare persino inutile sottolineare che, su questo punto, risiede una responsabili-tà specifica del sistema universitario italiano e, più in generale, degli intellet-tuali: troppo spesso pronti a lanciare allarmi, a puntare il dito sulle crisi e sulle emergenze, ma quasi mai promotori di interventi concreti e di politiche alter-native – a partire dall’aggiornamento delle categorie di analisi applicate all’Università – che possano contribuire, di fatto, ad un allargamento del cam-po visivo.

Simili contraddizioni e dissonanze culturali minacciano oggi un punto di rottura, ingigantite e radicalizzate dalla profonda percezione di discontinuità che imperversa dentro e fuori il sistema in seguito alla Riforma didattica. Il rischio è di un “cortocircuito” comunicativo, che finisca oltretutto per ingi-gantire il naturale senso di spaesamento avvertito da parte dello stesso perso-nale interno e dell’utenza di fronte alla “rivoluzione copernicana” dell’auto-nomia. Grosse responsabilità vanno certamente ricondotte, a monte, al manca-to allestimento di una seria azione di valutazione e di monitoraggio della per-formance universitaria durante e dopo la stagione di cambiamento: in altre pa-role, all’assenza di quella necessaria opera di manutenzione del processo di Riforma didattica (rispetto alla consueta passione, tutta italiana, per le “inau-gurazioni” denunciata da Ennio Flaiano) che, per prima, avrebbe potuto con-tribuire a riscattare il dibattito pubblico dall’emotività e dalle coloriture apo-calittiche. Diversamente, il giudizio sull’Università italiana continua a fondar-si a tutt’oggi su una visione angusta e a breve termine che – ancorata a para-metri decontestualizzati quali i tempi di conseguimento delle lauree, il numero di laureati e le prospettive di occupabilità – rischia di perdere di vista il senso della mission di lungo periodo.

Come se non bastasse, l’immagine pubblica dell’Università è incalzata, ormai quasi quotidianamente, dalle interpretazioni offerte dai media: viziate da preconcetti e pregiudizi, esse rivelano sottotraccia una labile e solo inter-mittente conoscenza dell’attuale condizione dell’Università italiana, a partire – come già segnalato – dall’interpretazione dei dati e delle stesse fonti ufficia-li. Basti solo pensare all’ormai quotidiana caricatura del “3+2” da parte della stampa italiana, portata avanti attraverso una copertura ipercritica (se non propriamente “terroristica”), e comunque alimentata da una serie di incredibili luoghi comuni, spesso svincolati da qualsiasi fondamento di realtà.

E’ incredibile quanto notizie di “seconda mano” e rumores abbiano fortuna

8 Si segnalano gli ormai tradizionali rapporti sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati

(Almalaurea, Profilo dei laureati 2003, Osservatorio Statistico, Bologna, 2004; Condizione occupazionale dei laureati. Indagine 2004, Osservatorio Statistico, Bologna, 2005).

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nel nostro paese (fino a costituire quasi una sorta di basso continuo del dibatti-to pubblico), pur di non sottoporsi alla fatica della verifica quantitativa e di dati statistici anche elementari. E non basta: nella visione caricaturale e un po’ espressionistica dei problemi dell’Università, hanno sempre spiccato editoria-listi spesso di provenienza accademica, incapaci di cogliere segnali positivi di cambiamento e, comunque, spesso disponibili alla demagogia dell’attacco “a testa bassa”. In questo senso, gli anni recenti hanno forse persino assistito ad una sorta di cambiamento al ribasso dell’immagine dell’Università italiana nella sfera pubblica: non solo sulla scia di snobismi e perplessità spesso poco costruttive che il modello formativo emerso dalla Riforma Berlinguer ha fin troppo presto sollevato tra commentatori e intellettuali9, ma anche a causa del-la sovraesposizione mediatica dell’opinione pubblica ad una serie di “scanda-li” che hanno coinvolto le strutture e il personale universitari10.

Anche dal punto di vista di una trattazione così poco tematizzata e a tal punto drammatizzante degli eventi e dei dati, l’Università italiana paga certa-mente lo scotto del mancato appuntamento con un adeguato “marketing della Riforma”, tale da comunicare e rendere percepibili – presso i diversi interlo-cutori interni ed esterni – i contenuti, il significato e il valore di novità dell’autonomia didattica.

2.2. Alla ricerca di una nuova vocalità Di fronte ai ritmi e alle criticità del cambiamento, è anzitutto evidente l’esi-

genza di rivitalizzare la professione di fede nell’Università post-riforma a par-tire dai suoi stessi attori (primi fra tutti, il corpo docente11 e il personale): que-

9 E’ il caso del clamoroso editoriale di Piero Citati (Da Berlinguer alla Moratti il grande disastro dell’Università, “La Repubblica”, 8 giugno 2004, p. 1), ma anche di un titolo liquidatorio e ammiccante quale quello del saggio Tre più due uguale zero. La riforma dell'Università da Berlinguer alla Moratti, recentemente curato da Gian Luigi Beccaria.

10 Tra i più eclatanti, il caso Marta Russo, l’episodio del professore indagato per concussione a Cameri-no nel gennaio 2002, il “traffico” illecito di esami scoperto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” nel 2003. Ed è quantomeno singolare che alle psicopatologie dei docenti universitari si possa dedicare un intero “manuale di sopravvivenza” per studenti, peraltro scritto da un ac-cademico (G. C. Nivoli, Sopravvivere all’Università: conflitti e soluzioni, Centro Scientifico Editore, Tori-no, 2002).

11 A questo proposito, si veda: P. Dilorenzo, E. Stefani, La riforma universitaria. Una indagine sui do-centi: dall’estraneità al coinvolgimento, Fondazione CRUI, 2003. A pochi mesi dall’avvio della Riforma didattica, l’inchiesta sulla percezione della Riforma da parte di docenti universitari, dei Presidenti di Corso di Laurea e dei Presidi di Facoltà ha fotografato un giudizio prevalentemente positivo e forti aspettative interne verso l’autonomia didattica, pur in uno scenario di generale preoccupazione circa l’efficace attua-zione del dettato legislativo da parte degli atenei e la mancanza di risorse aggiuntive a supporto dell’innovazione didattica.

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sto il presupposto e la condizione per una piena autovalorizzazione di quella ricchezza “sommersa” di cui l’istituzione accademica resta, quasi suo malgra-do, portatrice naturale ed elettiva12. Infatti, solo se generosamente condiviso e sostenuto all’interno del sistema, questo processo di promozione culturale dell’istituzione - volto a renderne finalmente percepibili le straordinarie po-tenzialità e le oggettive dimensioni di crescita - può ambire a estendersi all’attenzione dell’intera società civile e del Paese.

L’impressione è che, fortunatamente, le ricadute nocive della retorica ostile all’Università siano state finora più forti all’esterno del sistema - nei confronti dell’opinione pubblica - che non al suo interno, cioè tra gli attori e i “protago-nisti” del cambiamento. Non può passare sotto silenzio la campagna classica-mente ispirata alla dinamica tutta italiana degli opposti estremismi che, di-sperdendosi nei luoghi comuni e nei tic anti-riformistici, dimentica in modo regolare e sistematico le drammatiche condizioni della “vecchia” Università e il suo caratteristico spreco economico e sociale fatto di abbandono e di disper-sione, di élitismo e di autoreferenzialità. Il passato finisce così per apparire caricaturalmente come una sorta di “età dell’oro”, da rimpiangere e da restau-rare: su questo punto, è persino sconcertante che quasi mai i protagonisti della politica e della decisione governativa abbiano avvertito il bisogno di ripristi-nare una logica di verità e un minimo di difesa.

E’ in un simile contesto - caratterizzato da impulsi di profonda innovazione e, al tempo stesso, da una certa difficoltà a intercettare adeguatamente l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica - che si è fatta strada l’opportunità di un flusso di comunicazione meno intermittente con il Paese. Un passo imprescindibile per difendere e accrescere il capitale di immagine dell’Università italiana, valorizzando e rendendo percepibile la stessa effi-cienza e dinamicità di cui il sistema universitario nazionale è capace, purché esso sia messo in condizione di confermarsi un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale. E’ necessario anzitutto colmare l’attuale deficit informativo, al fine di ottenere una diversa “notiziabilità” e, dunque, un nuovo e più incisivo potere negoziale in merito alle risorse economiche e all’individuazione delle prospettive di sviluppo: da questo punto di vista, oc-corre oggi imprimere una vera e propria svolta culturale al dibattito pubblico sull’innovazione universitaria, puntando a lanciare non soltanto le questioni e le criticità più urgenti su cui stimolare l’intervento politico, quanto le stesse dimensioni e testimonianze concrete di crescita e di sviluppo, nella partita di una comunicazione diretta ai media e al Paese.

12 J. Derrida, P. A. Rovatti, L’Università senza condizione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002.

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In questo sforzo, l’Università italiana si avvia a interpretare più efficace-mente un ruolo di interposizione tra potere e società. E’ quanto dimostra l’inedito e certamente non facile protagonismo dei Rettori italiani e del loro organo di rappresentanza: la sovraesposizione mediatica della CRUI alla fine del 2002, in occasione della Finanziaria, ha segnato tutt’altro che uno strappo con i cittadini, ma al contrario l’inizio di un fortissimo riavvicinamento all’o-pinione pubblica e alle “piazze”. La maturazione di una nuova “massa criti-ca”, di una più acuta autocoscienza da parte dei vertici e degli addetti ai lavori (peraltro con uno straordinario potenziale in termini di universalismo dei valo-ri e di mobilitazione della base sociale), è quindi culminata nella vera e pro-pria operazione culturale e di sensibilizzazione affidata alla Prima relazione sullo stato delle Università italiane13, presentata a Roma il 25 settembre 2003: un evento comunicativo di singolare carisma, in cui è sembrato di ascoltare - per la prima volta nella sua storia - la voce dell’Università italiana, alla pre-senza dei vertici di quasi tutti gli atenei e del Ministro Moratti. In questo sen-so, l’evento ha voluto rappresentare un inequivocabile “segno dei tempi”: una prova tangibile della rinnovata vocalità dell’Università italiana, tesa a segnare una percezione di profonda discontinuità rispetto alla storia e alla tradizione. Si è trattato anzitutto di un importantissimo passo verso una rinnovata professione di fede, già rinnovata in occasione dalla Seconda relazione – “L’Università per il Paese” – del 21 settembre scorso: la dichiarazione di un più energico e volitivo modo di essere e di autorappresentarsi da parte dell’Università italiana, attraverso una “presa di parola” promossa dai vertici e un’analisi stringente delle criticità e delle prospettive di sviluppo.

E’ con gesti concreti come questo, programmaticamente segnati da una tra-dizionale ritualità civile, che un “collegio invisibile” quale la CRUI ha saputo trasformarsi, nell’arco di pochi anni, in un soggetto sociale capace di azione e mobilitazione. Definitivamente superata una fase solo “adattiva”, retaggio del-la tradizionale autarchia istituzionale, l’Università si rivela così pronta a riflet-tere con lucidità su se stessa e a parlare - direttamente e senza reticenze - alla classe politica, all’opinione pubblica, al Paese intero. Nella consapevolezza degli addetti ai lavori, si è fatta strada anzitutto la necessità di superare un grave errore del passato: quello di confinare il dibattito sull’Università entro una dimensione solo élitaria, tale da compromettere irragionevolmente la vita-lità stessa dell’azione di rinnovamento e il suo necessario radicamento cultu-rale.

L’eccessivo rivendicazionismo o, ancor peggio, il vittimismo in merito alla cronica carenza di risorse non hanno trovato posto negli interventi pubblici

13 CRUI, Prima relazione sullo stato delle Università italiane, 25 settembre 2003, <www.crui.it>.

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del Presidente della CRUI, Piero Tosi, al contrario caratterizzatisi per una let-tura sempre misurata dei problemi. La scelta di un simile registro comunicati-vo non ha affatto significato abdicare rispetto alla gravità dei problemi, che anzi entro questa retorica sobria ed eticamente sostenuta - quasi un manifesto di ciò che l’Università italiana è e aspira a diventare - sono sembrati acqui-stare straordinaria forza espressiva. Hanno dimostrato la forza di parlare da soli.

Non c’è dubbio. Credere nell’Università italiana oggi significa costruire at-tivamente le condizioni affinché diventi fattiva la sua straordinaria capacità di alimentare la ricchezza individuale e collettiva. La “società dell’informazione e della conoscenza” rischia infatti di restare solo una vuota epigrafe, una pura espressione retorica – e persino di accrescere ulteriormente gap e squilibri so-ciali esistenti o nuovi – in assenza di investimenti adeguati e di un programma organico di sviluppo del sistema universitario nazionale. Occorre contrastare la “logica del declino” attraverso maggiori investimenti del paese sul terreno della ricerca e dell’istruzione, rinnovando la scommessa sul ruolo strategico della scuola e dell’Università: è quanto ha ribadito, con sorprendente vigore e lucidità, il discorso di insediamento del neo-Presidente Luca Cordero di Mon-tezemolo all’Assemblea di Confindustria il 27 maggio scorso14. Un atto pub-blico che ha avuto l’indubbio merito di rilanciare con forza, nell’agenda pub-blica, i temi dello sviluppo e dell’innovazione del Paese, prospettando un nuo-vo e più promettente clima culturale: l’inizio di un positivo ciclo dell’attenzione pubblica sul problema – ormai quasi grottesco – della ricerca in Italia, a fronte del suo inestimabile valore a sostegno dello sviluppo collet-tivo.

3. Nuove frontiere della comunicazione strategica

3.1. Lo scenario di riferimento: dalla prima ricerca AICUN a oggi Non c’è più neanche bisogno di dimostrare che, proprio sul terreno della

comunicazione e della rappresentazione simbolica, si gioca oggi una partita senza precedenti per l’Università italiana, dal punto di vista sia del sistema complessivo, che da quello delle singole identità istituzionali e geografiche.

14 Per il testo integrale della relazione, si rimanda alla pagina web: <http://www. confindu-

stria.it/DBImg2002.nsf/HTMLPages/DocumentoMontez>.

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Quasi una radicalizzazione del tradizionale paradosso dell’identità15 che per definizione esige, ad un tempo, integrazione e sapiente differenziazione dell’immagine degli atenei rispetto al sistema complessivo, e comunque una diversa e più efficace modalità della rappresentazione e della “messa in sce-na” nei confronti della sfera pubblica.

Di fatto, la rivoluzione dell’Università italiana avvenuta nel corso degli an-ni Novanta è stata significativamente contrassegnata dalla svolta della comu-nicazione strategica16. Ad una più consapevole interdipendenza e apertura dell’Università - non più “torre d’avorio” - verso tutti gli ambienti sociali di riferimento corrisponde oggi un’inedita attenzione per la comunicazione e per lo scambio propriamente relazionale con le diverse categorie di stakeholders: utenti, imprese, opinion leaders e opinion makers, oltre naturalmente a tutti i destinatari che popolano il fronte interno17.

Più in generale, l’apertura alla comunicazione e ai suoi dettami va conte-stualizzata entro il più sistematico riassestamento delle routine gestionali dell’Università italiana, anche in vista dell’appuntamento di tutte le ammini-strazioni pubbliche con l’applicazione della Legge 150/2000 del 7 giugno 2000 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pub-bliche amministrazioni)18. Analogamente a quanto si è di recente verificato in altri comparti tradizionalmente considerati “immuni” al mercato (quali i beni culturali e il non profit), l’apertura al marketing e alla comunicazione da parte degli atenei segnala un’accresciuta consapevolezza e sensibilità dei soggetti accademici nei confronti di logiche economico-aziendali. Anche grazie al tempestivo aggiornamento delle cornici normative, un bisogno di trasparenza e di espressività inizialmente abitato solo dalla generosità, dall’avanguardia e dal pionierismo si è così lentamente consolidato, fino a divenire una sensibili-

15 Ogni singola realtà universitaria è infatti costantemente chiamata, da una parte, ad allinearsi ai requi-

siti e agli standard di qualità attribuiti dalla società a qualunque ateneo e al sistema universitario nel suo complesso; dall’altra, a distinguersi in nome di un valore aggiunto e di una propria, specifica “personalità”: T. Kuhn, The discourse of issues management: a genre of organisational communication, “Communication Quarterly”, n. 3, 1997; cit. in A. Mazzei, La comunicazione per il marketing dell’Università, Franco Ange-li, Milano, 2000, p. 149.

16 Si rimanda anche a: M. Morcellini, “Comunicare l’Università in un’epoca di cambiamento”, in MURST (a cura di), Atti del primo seminario sul rapporto comunicazione e Università, Roma 29-30 no-vembre, 1994; e Comunicare la nuova Università, “Unile”, anno I, n. 1, marzo 2003, pp. 34-36.

17 Su questo tema, si veda anche: S. Boffo, Comunicare: come e perché, “Universitas”, anno XXIII, n. 84, giugno 2002, pp. 9-12; e La nuova comunicazione universitaria, “Rivista italiana di comunicazione pubblica”, anno V, n. 15, 2003, pp. 9-12. Sull’importanza dei destinatari dell’Università ha posto l’accento anche il seminario di formazione La nuova Università e i suoi pubblici: strategie, forme e contenuti della comunicazione, organizzato dall’AICUN il 19-20 aprile 2004 (Roma, Palazzo Rondanini).

18 Si rimanda anche a: M. Morcellini, La rivoluzione copernicana della Pubblica Amministrazione, “Desk” - Speciale Compa Bologna, n. 3, ottobre 2002, pp. 4-9.

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tà diffusa e una cultura condivisa anche all’interno dell’istituzione accademi-ca.

Bisogna intanto riconoscere che lo stesso interesse scientifico per il tema della comunicazione universitaria costituisce un fenomeno solo recente in Ita-lia, diversamente da una ben più ricca e consolidata tradizione di studio e di ricerca maturata in altri ambienti culturali, primi fra tutti i Paesi anglosassoni. Ma le politiche promozionali e di orientamento degli atenei dimostrano di guadagnare progressivamente visibilità entro l’agenda scientifica (oltre che presso lo stesso sistema dei media): non a caso, proprio in seguito all’aprirsi di una fase di profondi cambiamenti per il sistema universitario nazionale, di-verse azioni di studio e di ricerca si sono cimentate nella ricognizione dello stato dell’arte nel settore, succedendosi a brevissimo termine l’una dall’altra.

Questa curiosa concentrazione di iniziative di monitoraggio dalla fine del 200119 segnala in modo inequivocabile la crescente visibilità della comunica-zione universitaria, oltre che un nuovo e importante sforzo di tematizzazione da parte della comunità scientifica e, più in generale, l’inizio di un ciclo di in-teresse pubblico quantitativamente e qualitativamente nuovo per il fenomeno. Al tempo stesso, resta un dato altrettanto eloquente il ritardo con cui proprio le Università hanno riconosciuto le issues legate alle proprie azioni di marke-ting e di comunicazione quale potenziale terreno di conoscenza e “autoco-scienza strategica”.

Un riferimento obbligato è certamente l’inchiesta promossa nei primi anni Novanta dall’AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d’Università)20, prima nel suo genere e prezioso termine di paragone per valutare - anche in un’ottica longitudinale e di trend - l’evoluzione di un fenomeno tutt’altro che inedito, ma di certo nuovo nella sua più recente fisiologia quantitativa e quali-tativa. E’ stata infatti l’introduzione dell’autonomia didattica a portare a com-pimento il processo di compenetrazione tra Università e comunicazione, la sua definitiva legittimazione all’interno e all’esterno dell’accademia; una svolta culturale che certamente è stata alimentata anche dal ruolo storicamente

19 Il riferimento è alle indagini (alcune delle quali raccolte in questo volume) promosse, nel corso degli

ultimi tre anni accademici, da soggetti universitari e non: tra questi, l’AICUN, il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza”, l’Università “Cattolica del Sacro Cuore” di Milano, la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, il “Sole-24Ore”, la rivista “LabItalia”, l’istituto di ricerche Nielsen. Si veda anche la nota successiva.

20 La prima indagine effettuata in Italia risale, infatti, al 1994 (poi ripetuta nel 1997) e all’iniziativa dell’AICUN. Cfr. B. Marchione, Le attività di comunicazione negli atenei italiani, “UR-Università Ricer-ca”, n. 11, novembre 1993; e “La comunicazione delle Università”, in S. Rolando (a cura di), La comunica-zione pubblica in Italia, Editrice Bibliografica, Milano, 1995, pp. 290-297. Nel corso del 2002, anche l’AICUN si è impegnata in una nuova azione di monitoraggio, l’Osservatorio AICUN sulla comunicazione universitaria (infra).

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giocato dai nuovi Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione nel favori-re, all’interno del sistema, la maturazione di una più spiccata consapevolezza e sensibilità per il valore della comunicazione. Dal punto di vista della parti-colare congiuntura storica, la scelta di investire strategicamente sulla dimen-sione simbolica della rappresentazione ha accomunato Università pubbliche e private nel “passaggio al futuro”, denotando anzitutto la corretta assunzione della comunicazione stessa quale principale risorsa autogena per valorizzare le potenzialità dell’istituzione in una fase di acuto cambiamento e di intensa turbolenza strutturale.

Al tempo stesso, questa apertura segnala finalmente il riconoscimento della comunicazione quale processo che, seppur connaturato e tutt’altro che secon-dario rispetto alle stesse routine didattiche e scientifiche (in termini di tra-smissione, condivisione e accumulazione continua della conoscenza), è stato tuttavia troppo a lungo sottovalutato e marginalizzato nel fisiologico funzio-namento dell’Università italiana.

3.2. Dalla parte dei “portatori di interesse” Occorre fare un passo indietro, per riconoscere quanto nel nostro paese la

capacità degli atenei di comunicare abbia a lungo rappresentato un anello strutturalmente debole del sistema nazionale dell’alta formazione. Un’analisi storica dell’evoluzione dei sistemi universitari proverebbe come gli investi-menti più deboli siano stati proprio quelli destinati a risorse simboliche quali l’orientamento e la comunicazione: lo spiccato verticalismo organizzativo, proprio di una struttura a basso tasso di democraticità e fluidità dei processi quale l’Università, ne ha fatto a lungo - e quasi per antonomasia - un’istitu-zione fondamentalmente aliena alla comunicazione.

E’ una contraddizione paradossale, che emerge in tutta evidenza soprattutto se riferita ai tradizionali destinatari diretti dell’offerta universitaria, cioè i gio-vani: soggetti che, per definizione, sono profondamente assetati in termini di scambio simbolico e di interazione e di fronte ai quali, tuttavia, l’Università del passato ha puntualmente risposto con una sorta di ideologico veto alla comunicazione. Occorre ammettere che troppo spesso gli studenti hanno otte-nuto poco dall’istituzione, in quanto gli atenei hanno negato a lungo - per de-cenni e per ragioni genetiche del proprio Dna - anche la comunicazione21.

Più analiticamente, tra i principali ostacoli che storicamente e fino a tempi

21 Si veda anche: M. Morcellini, “Il punto di vista dell’Università”, in S. Cherubini (a cura di), Comuni-

care per competere, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 103-108.

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molto recenti hanno compromesso la diffusione della comunicazione in ambi-to accademico, vanno segnalate almeno due dimensioni (propriamente ideolo-giche e culturali) di addensamento delle criticità. In primo luogo, l’Università - per la natura stessa dell’identità culturale che ha incarnato nel nostro Paese - ha a lungo rappresentato una delle istituzioni più “monarchiche” e assolutisti-che che si conoscano, in cui a livello apicale il Rettore detiene tradizional-mente una sorta di plenitudo potestatis: non a caso, si tratta della nota aspira-zione di Bonifacio VIII, istitutore - settecento anni fa – dell’Università “La Sapienza”. Ed è chiaro che un’istituzione per natura così verticistica tenda a comunicare poco con l’utenza, oltretutto secondo una visione della comunica-zione più come strumento personale di consenso e di potere, che come risorsa al servizio dei portatori di interesse.

Il secondo fattore di criticità fa riferimento all’idea - prevalente sino a tem-pi recenti - che l’Università debba rappresentare una sorta di “palestra” per l’utenza, in cui l’elemento di fatica costituisce una delle principali e necessa-rie condizioni di crescita cognitiva e culturale dello studente: quasi una com-ponente strutturale del servizio offerto. Nel momento in cui la domanda di formazione si avvia a raggiungere livelli di massa, tuttavia, una simile visione del patto formativo si rivela più che mai anacronistica e insensata: una strate-gia educativa, per così dire, “spartana” rischia di scadere in una performance semplicemente inefficiente da parte dell’istituzione, votata cinicamente alla dispersione studentesca e dunque a disattendere clamorosamente il proprio mandato sociale.

Diventa chiaro, allora, che la modernizzazione dell’Università italiana im-plica la necessità di metabolizzare e rendere pienamente operativo il significa-to di valori-chiave quali orientamento e comunicazione. Soprattutto di fronte alla partita della Riforma (e a tutte le difficoltà che una così radicale trasfor-mazione di sistema comporta), la comunicazione ha dato prova finora di gio-care una funzione fondamentale: essa consente di non perdere la base di con-senso necessaria ad affrontare la stagione di transizione, riducendo il rischio che le ricadute critiche del cambiamento prevalgano - in termini di visibilità interna ed esterna - su quelle positive. Da questo punto di vista, la comunica-zione ha anzitutto l’effetto di sensibilizzare ciascuna componente dell’Università e di contribuire al diretto coinvolgimento di tutta la comunità accademica, in una sorta di grande incontro simbolico tra i diversi contraenti del patto universitario: organi accademici, docenti, personale, studenti, fami-glie.

La stessa rivoluzione degli ordinamenti didattici e l’inarrestabile moltipli-cazione dei percorsi formativi impongono oggi un investimento massiccio nell’interfaccia con gli utenti: in altre parole, una maggior attenzione verso gli

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standard qualitativi dell’informazione a livello di penetrazione, approfondi-mento, chiarezza e interattività del messaggio universitario. Dal punto di vi-sta della rinnovata centralità assunta dallo studente entro la catena di genera-zione del valore, l’obiettivo prioritario diventa anzitutto quello di saper parla-re ai giovani: in altre parole, riconciliarsi con le loro aspettative comunicative e intercettarne efficacemente i caratteristici “codici generazionali”, nel mo-mento in cui l’Università italiana appare più che mai destinata a rappresentare un gigantesco laboratorio all’aperto di culture giovanili e di stili di vita. Pa-rallelamente, la crescente pluralizzazione dei “pubblici diretti” impone un’ac-curata conoscenza e segmentazione della stessa platea studentesca, tanto più per quegli atenei che scelgano consapevolmente di riposizionare la propria of-ferta formativa in una moderna prospettiva di life-long learning.

Ma occorre investire sulla promozione della stessa attività di ricerca e, più in generale, ragionare non più in un’ottica di comunicazione indifferenziata alla sfera pubblica, bensì di accurata definizione delle diverse soggettività di riferimento e degli stakeholders. Donde, l’esigenza strategica e l’opportunità di costruire reti di relazioni continuative con la comunità di riferimento non solo a livello locale, ma sempre più in una prospettiva nazionale e globale: un capitale di immagine che va oggi guadagnato e difeso in termini tanto di pre-stigio e di reputazione nei confronti nei confronti delle istituzioni e di altri enti e soggetti scientifici, quanto di accreditamento dell’accademia presso un mon-do del lavoro che richiede profili professionali sempre nuovi e più specializza-ti.

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Parte seconda

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Viene presentata in questa sezione una raccolta delle più recenti ricerche,

indagini e studi che hanno analizzato da prospettive diverse il tema della co-municazione universitaria. Essa rappresenta il frutto più recente dell’intenso lavoro di analisi critica che lo stesso mondo universitario sviluppa costante-mente al proprio interno.

Si tratta di un contributo importante che punta, con il rigore di strumenti e metodologie scientifiche, ad integrare e a fornire nuovi spunti di riflessione ed elementi di studio all’elaborazione delle teorie sociologiche, politiche ed eti-che che maturano costantemente nel sistema universitario in tema di comuni-cazione.

Esso contribuisce inoltre alla definizione di uno scenario sempre più lim-pido del contesto, delle caratteristiche e delle variabili chiave che stanno deli-neando l’evoluzione della comunicazione universitaria, offrendo un quadro informativo determinante anche per chi opera dall’interno del sistema per va-lorizzare l’immagine dell’Università.

Il documento predisposto dall’AICUN, l’Associazione Italiana dei Comu-nicatori Universitari, a cura di Brunella Marchione e Paola Claudia Scioli, of-fre un quadro chiarissimo dello stato della comunicazione nei diversi Atenei italiani, con riferimenti specifici anche all’adeguamento di questi alla legge 150/2000 relativa agli uffici stampa e agli URP nelle pubbliche amministra-zioni.

Dal DISC, Dipartimento di Sociologia e Comunicazione, dell’Università di Roma “La Sapienza”, arriva un interessante studio diretto da Mario Morcellini e a cura di Valentina Martino, che analizza le campagne di comunicazione re-alizzate dagli Atenei tra il 2002 e il 2003, per verificare come comunicano e a quali media affidano la promozione della propria immagine gli atenei italiani nell’era dell’autonomia didattica.

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Più improntata all’analisi degli strumenti e delle attività condotte dalle U-niversità nell’ambito dell’informazione e della comunicazione è invece la ri-cerca di Emanuele Invernizzi e Alessandra Mazzei per lo IULM, che verifica in particolare le specificità dell’impiego del marketing e della comunicazione nelle Università italiane testandone lo stadio di sviluppo negli ultimi anni.

Completa il quadro l’approfondito studio qualitativo e quantitativo realizza-to da Anna Majuri e Simona Piselli del Centro Comunicazione e Marketing dell’Università di Siena. La ricerca analizza l’evoluzione dell’immagine del sistema universitario ricostruito attraverso i commenti della stampa nazionale nell’arco di un periodo cruciale (2002-2003), che si apre con le dimissioni dei rettori.

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Riflessioni sui risultati della Terza Ricerca Aicun sullo stato della comunicazione nelle Università italiane a cura di Brunella Marchione, Paola Claudia Scioli, Consiglio Direttivo AICUN Introduzione

La terza ricerca sullo stato della comunicazione nelle Università italiane è

stata realizzata dall’AICUN, l’Associazione Italiana Comunicatori d’Università nel corso del 2003.

Questa iniziativa fa parte di una serie di attività che l’AICUN istituzional-mente realizza, a partire dall’anno della sua fondazione, il 1992, a favore dello sviluppo della comunicazione nelle Università italiane.

Solo recentemente, infatti, la comunicazione universitaria è diventata mate-ria di studio, oggetto di tesi, argomento di interesse accademico e di ricerche diverse, che hanno cercato di evidenziarne i differenti aspetti e le peculiarità.

Sono anni nei quali il sistema universitario nel suo complesso ha vissuto in-tensi e radicali processi di innovazione.

La Riforma Universitaria entrata in vigore dal 2001 ha modificato profon-damente il sistema italiano degli studi accademici, con l’obiettivo di aderire rapidamente alla costruzione di un modello europeo comune di istruzione u-niversitaria, così come stabilito nella “Dichiarazione di Bologna”, sottoscritta nel giugno 1999 da una trentina di paesi europei.

Ma anche il contesto nel quale si è inserita la Riforma Universitaria espri-me già da oltre un decennio elementi di grande cambiamento, rispetto alla sto-ria millenaria degli atenei italiani.

Si tratta di elementi che hanno portato le Università a rivedere la propria struttura organizzativa, i propri rapporti con l’esterno e di conseguenza le pro-prie politiche e strategie di comunicazione.

Tra i vari fattori, che hanno inciso sul cambiamento del panorama universi-tario degli ultimi anni, si evidenziano: ▪ la contrazione progressiva del numero di immatricolati, iniziata nell’anno

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accademico 1993-94 e proseguita, senza soluzione di continuità, fino all’a.a. 2000-01; ▪ il minore potere di attrazione delle Università verso i giovani diciottenni:

nell’a.a. 93-94 si immatricolava il 73% dei maturi, nell’a.a. 99-2000 solo il 65%; ▪ la crescita del numero delle Università sul territorio nazionale (negli anni

‘80 le Università italiane erano 55, nel 2003 sono diventate 77, in 126 sedi); ▪ il progressivo calo dei finanziamenti pubblici, non bilanciato da un corri-

spondente aumento di risorse provenienti da privati; ▪ l’applicazione di varie forme di autonomia all’interno degli Atenei (tra-

sformazione dei modelli organizzativi, nuovi statuti, dipartimentalizzazione, valutazione della performance e creazione dei nuclei di valutazione, distribu-zione delle risorse in base a indicatori di efficienza ed efficacia, ecc.);

In un contesto così mutevole e incerto, connotato anche da prime manife-stazioni di competitività, si inserisce nel 1999 il DM 509 di Riforma Universi-taria, che consente, per la prima volta nella storia delle Università italiane, la creazione di nuovi prodotti formativi, prevedendo forme diverse di relazione con il mondo del lavoro e delle professioni (denominazioni originali ed inno-vative dei corsi, curricula diversificati, nuove tipologie di corsi offerti).

Si apre quindi la strada ad una radicale modifica dell’offerta di formazione universitaria, con l’obiettivo di pervenire ad una maggiore diversificazione e specializzazione dei titoli conseguiti dai laureati.

La Riforma dovrebbe consentire, quindi, alle Università di conseguire rapi-damente rilevanti risultati, tra cui: ▪ l’aumento del numero degli immatricolati, agendo sull’attrattività in en-

trata; ▪ la contrazione di fenomeni troppo diffusi, quali la dispersione e

l’abbandono degli studenti iscritti nei primi anni del percorso universitario; ▪ la riduzione della durata del percorso di studi, finalizzata a consentire ai

giovani di conseguire un primo titolo universitario a 22 anni, in linea con le medie europee; ▪ l’aumento del numero dei laureati, grazie alla razionalizzazione del per-

corso di studi e all’inserimento di tutor e di attività di orientamento in itinere; ▪ la facilitazione dell’ingresso dei laureati nel mondo del lavoro, anche at-

traverso l’istituzione del tirocinio formativo obbligatorio all’interno di tutti i percorsi di studio; ▪ la differenziazione dei percorsi di studio, per consentire ai laureati di pri-

mo livello di proseguire nell’approfondimento di attività di ricerca o di pro-fessionalizzarsi conseguendo un master; ▪ la possibilità di rientrare nel mondo della formazione universitaria per co-

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loro che sono già inseriti nel mondo del lavoro, in applicazione dei principi di lifelong learning.

Obiettivi il cui raggiungimento la Riforma Universitaria può favorire, al-meno a giudicare dalla variazione percentuale del numero degli immatricolati, ritornato largamente positivo dall’a.a. 2001-2, con un incremento pari al 12,4% rispetto all’anno precedente (e una percentuale del 72% di maturi che si sono immatricolati). E’ questa, per ora, l’unica valutazione possibile, cioè il gradimento degli studenti rispetto alla nuova offerta formativa delle Universi-tà.

Certamente questo processo di rinnovamento sta recando importanti conse-guenze sulle attività di comunicazione e di marketing delle Università.

Tra i cambiamenti più rilevanti, è necessario evidenziare come la comuni-cazione stia assumendo, all’interno delle Università, un ruolo sempre più cen-trale, a supporto della gestione politica dell’Ateneo, come insostituibile leva strategica per governare questa straordinaria fase di cambiamento.

E’, infatti, evidente che solo una politica efficiente di comunicazione e una gestione delle strategie opportune consente alle Università di raggiungere in modo efficace e capillare i nuovi target di riferimento, in tutte le loro articola-zioni.

La comunicazione infatti consente di instaurare e di migliorare le relazioni dell’Ateneo con i giovani che si avvicinano all’ambiente universitario, ma an-che con il territorio in cui è inserito e col quale inevitabilmente deve confron-tarsi giorno dopo giorno, come parte insostituibile di un sistema complesso.

Una efficace strategia di comunicazione presuppone, come sua caratteristi-ca essenziale, l’elaborazione di programmi di comunicazione a medio e lungo termine, pianificati con organicità e con una visione di insieme delle azioni che di volta in volta si decide di porre in essere.

L’estemporaneità delle azioni di comunicazione risulta essere inadeguata, nel momento in cui si riconosce alla comunicazione stessa un ruolo strategico e centrale nel governo del cambiamento.

La comunicazione universitaria ha portato gli Atenei a ripensare al proprio ruolo nella società e ad abbandonare definitivamente tentazioni auto-referen-ziali, stimolandone l’apertura, l’attenzione e il confronto con la realtà nella quale sono inseriti.

La comunicazione universitaria ha inoltre consentito ai vertici politici degli Atenei di gestire con professionalità gli strumenti tipici del marketing e di uti-lizzarli per rispondere alla recente necessità di analizzare costantemente il mercato, tramite ricerche, analisi, dati e sondaggi interni ed esterni, essenziali per definire obiettivi, posizionamento, ecc.

Infine, la comunicazione universitaria, per poter esprimere appieno le pro-

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prie potenzialità, ha stimolato gli Atenei ad aumentare gli investimenti, sia in termini di risorse economiche, che e soprattutto in termini di risorse umane.

Da qui, l’esigenza degli Atenei di rivedere i modelli organizzativi della comunicazione e di dotarsi di una struttura professionale in grado di governa-re il cambiamento con rapidità ed efficacia.

Per questo, a distanza di dieci anni dalla prima indagine, realizzata dal-l’AICUN nel 1992, si è ripetuto un analogo studio, finalizzato ad analizzare il cambiamento, che ha caratterizzato la comunicazione universitaria dal punto di vista di chi vi opera professionalmente dall’interno

E’ stato, inoltre, istituito l’Osservatorio Aicun sulla Comunicazione Uni-versitaria, punto di osservazione e di valutazione permanente dell’evoluzione di un’attività, che è espressione e al tempo stesso strumento dei cambiamenti in atto nel mondo universitario italiano.

La ricerca evidenzia, tra gli altri, i problemi di strategia, le tematiche legate ai diversi aspetti della comunicazione (dagli uffici stampa al marketing, dall’orientamento agli URP, dalla pubblicità all’informazione), le priorità e le difficoltà interne ed esterne di questa professione, e i percorsi professionali dei comunicatori d’Università.

Nel 1992 l'ipotesi di partenza che aveva mosso la prima ricerca era che, nella maggioranza delle Università italiane, esistevano dei nuclei -più o meno strutturati- che realizzavano, in modo più o meno organico, delle attività di comunicazione.

L’obiettivo era quello di verificare lo stato dell’arte ed avere elementi che permettessero di analizzare in modo oggettivo le difficoltà, di ordine cultura-le, strategico, organizzativo, che tanti comunicatori, durante incontri e contatti informali, lamentavano di avere nello svolgimento del loro lavoro.

Oggi, a distanza di dieci anni, questa ricerca rende evidente cosa è cambia-to in un settore, quale quello della comunicazione universitaria, che sta viven-do una straordinaria evoluzione, anche a seguito delle recenti normative sulle attività di comunicazione ed informazione delle amministrazioni pubbliche, di cui la legge 150/2000 rappresenta un fondamentale momento di svolta.

A differenza di quanto avveniva nel 1992, oggi è stato possibile il confron-to con una rete professionale consolidata, quale quella che l’AICUN ha saputo creare in un decennio, mettendo in relazione tra loro professionisti che, a vari livelli, svolgono attività di comunicazione nelle Università italiane e ricopro-no ruoli e funzioni di maggior peso e stabilità rispetto a quanto avveniva nel passato.

Va sottolineato anche il forte stimolo al cambiamento che l’Aicun ha rice-vuto dal rapporto costante con i comunicatori delle Università europee nell’ambito dell’EUPRIO (European Universities Public Relations and Infor-

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mation Officers Association). Un rapporto che ha favorito il continuo confronto tra la situazione della

comunicazione nelle Università italiane e in quelle straniere, favorendo il di-battito al di là dei confini nazionali ed avvicinando i comunicatori universitari italiani a modelli e standard adottati negli Atenei di tutta Europa.

Presentazione della metodologia

La ricerca è stata articolata in 4 parti. Nella I parte sono state poste domande relativamente alla struttura che, al-

l'interno dell'Ateneo, si occupa delle attività di comunicazione e alla sua defi-nizione organizzativa.

Con la II parte, la più estesa, si entrava nel merito delle caratteristiche delle attività svolte, dei pubblici di riferimento, degli obiettivi identificati e degli strumenti utilizzati, nonché del budget destinato e delle difficoltà incontrate.

La III parte poneva come quesito principale il “chi” è il comunicatore uni-versitario: le domande erano centrate sul profilo personale e professionale dei responsabili della comunicazione negli Atenei.

Seguiva una IV e ultima parte, più generale, centrata sul futuro della comu-nicazione nelle Università e sullo stato di applicazione della Legge 150/2000 e della successiva normativa.

Il questionario è stato inviato a fine 2002 a tutte le Università italiane (ai Rettori, ai Direttori Amministrativi e ai responsabili della comunicazione), ai soci AICUN, ed è stato inserito nel sito web dell’Associazione (www. Aicun. it).

Nel luglio 2003, 60 Università, cioè il 78% degli Atenei italiani, avevano inviato la loro riposta: un campione che può dunque essere considerato rap-presentativo dell'intera realtà universitaria nazionale.

Si tratta di un campione equilibrato per distribuzione geografica (35% Ate-nei del nord Italia, 38% del centro e 27% del sud), per dimensioni della popo-lazione studentesca (33% atenei con oltre 30.000 studenti, 40% atenei con un numero compreso tra i 30.000 e i 10.000 studenti, 27% atenei con meno di 10.000 studenti) e per tipologia (statali, non statali, politecnici).

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Parte I: Le strutture della comunicazione nelle Università Il primo dato, di indubbio valore, che emerge dalla ricerca, è che nel totale

(100%) delle Università che hanno risposto vengono sviluppate attività di comunicazione (esterna e interna, relazioni pubbliche, URP, orientamento pre o post universitario, marketing, ufficio stampa, ecc.) e che esiste almeno una specifica struttura, creata ad hoc per sviluppare tali attività, nel 97% degli A-tenei.

Nel 1992, il 37% degli Atenei non aveva una struttura specifica: in queste Università le attività di comunicazione venivano per lo più svolte da uffici di segreteria del rettorato.

Le funzioni più presenti sono quelle di "Ufficio stampa" e di “Orientamento in ingresso” .

72%

70%

57%

48%

45%

33%

28%

27%

Ufficio stampa

Orientamento pre-laurea

Orientamento post-laurea

Comunicazione

URP

Relazioni pubbliche

Marketing

Altro

Fig. 1 – Strutture centralizzate che si occupano di comunicazione

Altre funzioni presenti sono l’“Orientamento in uscita” (57%), la “Comuni-cazione” (48%), gli URP (45%), le “Relazioni Pubbliche” (33%), il “Marke-ting” (28%). Altre definizioni usate sono quelle di “Ufficio Relazioni Esterne” o “Internazionali” (fig. 1).

Vale la pena di sottolineare che il 35% degli Atenei afferma di sviluppare almeno 5 funzioni di comunicazione e che solo 12 Università su 60 dichiarano di gestire le attività di comunicazione utilizzando anche strutture decentrate nelle Facoltà o nei Dipartimenti. In tale contesto, la funzione più presente è

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l’Orientamento in entrata. In questi dieci anni le strutture che gestiscono aspetti diversi della comuni-

cazione sono aumentate vertiginosamente, come numeri assoluti, e si sono differenziate nelle funzioni, segno della sempre maggiore consapevolezza dell’importanza della specializzazione per comunicare con target molto diver-si tra loro.

Rispetto a dieci anni fa, gli Atenei si avvicinano ai concetti di strategie e di politiche della comunicazione, di relazioni esterne e interne, di differenziazio-ne dei pubblici e quindi di strumenti, tecniche, piani di comunicazione e bu-dget ad essi destinati.

La comunicazione universitaria è ormai a tutti gli effetti considerata leva strategica per il posizionamento dell’Università nel mercato dell’istruzione superiore e per lo sviluppo dei rapporti con i diversi stakeholders.

Nella struttura organizzativa dell'Ateneo, i servizi di comunicazione dipen-dono per la totalità (100%, rispetto al 79% dell’indagine del 1992) dal Rettore e/o dal Direttore Amministrativo (di cui il 60% da entrambi, il 30% solo dal Rettore e il 10% solo dal Direttore Amministrativo).

E’ una collocazione, nella struttura gerarchica universitaria, assolutamente corretta, poiché significa che i servizi di comunicazione applicano le direttive impartite dal top management e che si presuppone esista un rapporto diretto e evidentemente fiduciario tra massime autorità e comunicatori dell'Università.

Ciò conferma che la percezione del valore della comunicazione è de-cisamente migliorata nel contesto organizzativo delle Università.

Anche il numero di risorse umane dedicate alle attività di comunicazione negli Atenei è aumentato, rispetto all’indagine di dieci anni fa, passando me-diamente da 4 a 10 persone.

Sono dati che indicano il livello di investimento sulle risorse umane dedica-te alla comunicazione universitaria, alle quali viene anche richiesto un livello di professionalità e competenza più elevato e specializzato, elemento quest’ul-timo che emerge con chiarezza nella III parte della ricerca. Parte II: Caratteristiche delle attività di comunicazione svolte

Nell’analisi dei principali pubblici di riferimento, emerge fortemente la consapevolezza, conseguente anche alle innovazioni apportate dalla Riforma universitaria, della necessità di dedicare attenzione nel creare e consolidare le relazioni con nuovi target.

Rispetto a 10 anni fa, si ridimensiona infatti l’interesse all’epoca così corale verso i mass media e lo si ridistribuisce su altri pubblici che acquisiscono per

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l’Ateneo maggiore importanza. Infatti, il 90% delle Università definisce “Molto importanti”, gli studenti

delle scuole medie superiori e contestualmente identifica al secondo posto (68%) gli studenti già iscritti. I mass media si ridimensionano con il 67%, contro il 94% del 1992.

35%35%

42%47%

52%55%

67%68%

90%Studenti scuole medie superiori

Studenti già iscritti

Mass media

Mondo economico imprenditoriale

Docenti scuole medie superiori

Personale docente

Mondo politico istituzionale

Personale tecnico-amministrativo

Laureati

Fig. 2 – Pubblici di riferimento

Si evidenzia in questo modo un interesse importante e diretto verso il con-solidamento dei rapporti con i “clienti” già acquisiti e la loro fidelizzazione, migliorando il più possibile la qualità della comunicazione e dei servizi diretti a loro.

Come già sottolineato, è un’attenzione conseguente anche al fatto che, a seguito delle novità apportate dalla Riforma universitaria, gli studenti iscritti sono potenziali clienti dei corsi di laurea specialistica e dei master.

Da rimarcare, nella graduatoria dei pubblici primari di riferimento, il mon-do economico e imprenditoriale (55%, un dato importante, che denota, alme-no nei piani strategici degli Atenei, il desiderio di un raffronto più diretto con il mondo del lavoro), i docenti delle scuole medie superiori con il 52%, il per-sonale docente con il 47%, il mondo politico istituzionale (42%) il personale tecnico amministrativo (il 35%), i laureati con il 35% (fig. 2).

Gli obiettivi che si perseguono tramite la politica di comunicazione, sono per l'assoluta maggioranza (95%) “informare sulle attività dell’Ateneo”. Se-gue, con il 75% “migliorare l’immagine dell’Università”.

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18%27%

40%57%58%59%

65%75%

95%Informare sulle attività dell'ateneoMigliorare l'immagine dell'universitàSviluppare la comunicazione interna

Agevolare l'accesso dei laureati al mondo del lavoroAccrescere la notorietà dell'ateneo presso l''opinione pubblica

Incrementare le immatricolazioniOttenere contributi finanziari

Mantenere i rapporti con i laureatiInfluenzare gli opinion leader

Fig. 3 – Gli obiettivi di comunicazione

Nel 1992, il dato più alto (92%) era “creare, migliorare e diffondere l'im-

magine dell'Ateneo nel territorio”, e “accrescerne la notorietà presso l'opinio-ne pubblica” (adesso è il 58%) (fig. 3).

La funzione dell’informazione diventa, dopo 10 anni, assolutamente priori-taria e senza dubbio conseguente al disorientamento e alla disinformazione che i giovani, le famiglie e i mass media dimostrano nei confronti dei radicali cambiamenti prodotti dalla Riforma universitaria.

Questo bisogno di “informazioni di base” fa scivolare al secondo posto la necessità degli Atenei di migliorare la propria immagine in senso più genera-le.

Aumenta inoltre la percentuale che indica come obiettivo importante il mi-glioramento della comunicazione interna, segno di una forte e accresciuta sen-sibilità sui temi della comunicazione, che certamente mancava dieci anni fa, da parte degli stessi operatori.

L’obiettivo di incremento delle immatricolazioni raccoglie il 57%: nel 1992 il dato era del 44%, indicativo di una “pressione sui risultati”, che sarebbe di-venuta sempre più marcata nel corso del decennio, portando come conseguen-za lo sviluppo delle attività di comunicazione pubblicitaria, di marketing, ecc.

L’attività di fund raising pare non riscuotere particolare attenzione da parte delle strutture di comunicazione degli Atenei, almeno a giudicare dalle per-centuali di attenzione verso gli opinion leader (18%) e la raccolta di contributi finanziari (40%).

E’ in realtà un dato in rapida evoluzione: è facile prevedere infatti, e se ne colgono già i primi concreti segnali, che l’attenzione delle Università verso il fund raising, rivolto a privati, imprese e fondazioni, diverrà sempre più mar-cata, come peraltro è avvenuto, in condizioni socio-economiche analoghe, da-

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gli anni ‘80 nel contesto dell’istruzione universitaria anglo-sassone. Per quanto concerne gli strumenti di comunicazione utilizzati verso l'ester-

no, nell'area degli stampati, l’82% produce e utilizza guide d'Ateneo, specifi-che guide alle facoltà (70%), depliant istituzionali (63%), giornali o bollettini periodici (25%, contro il 60% del 1992) e annuari (il 10% contro il 56% del 1992).

Questi due ultimi strumenti, più tradizionali, sono stati in questo decennio progressivamente sostituiti dal web, che offre la possibilità di raccogliere dati e di produrre periodici on line con costi notevolmente più contenuti rispetto ai prodotti cartacei.

Se entriamo nell'area “New media e audiovisivi”, la voce “sito web d’Ateneo” raccoglie un’adesione pressoché corale: il 93% pone questo nuovo strumento al vertice della scala degli utilizzi, da parte di chi fa comunicazio-ne. Va detto che questa voce era del tutto assente nella ricerca del 1992. Se-guono le “comunicazioni via e-mail” (anch’esse inesistenti dieci anni fa) con il 53%.

Questa nuova attenzione verso gli strumenti multimediali coinvolge anche i video, utilizzati con continuità dal 37% degli Atenei, oltre a un 10% che uti-lizza abitualmente CD rom..

L’area dei rapporti con i media non riserva particolari sorprese: complessi-vamente l’80% utilizza strumenti quali comunicati stampa (era il 97% nel 1992), il 43% le conferenze stampa (l'89% nel 1992), il 70% cura giornalmen-te la rassegna stampa (contro il 55% del 1992), il 33% ha promosso trasmis-sioni alla TV o alla radio (contro il 76%).

Ancora una volta va ricordato che le percentuali non si riferiscono alla “quantità assoluta” di attività svolte, ma al loro “peso relativo” nel contesto più generale del complesso di attività di comunicazione. A differenza di quan-to avveniva 10 anni fa, le attività e le funzioni si sono fortemente differenziate e sono aumentate come tipologia.

Pertanto le attività di ufficio stampa sono certamente aumentate in assoluto, ma non sono più così prioritarie come potevano esserlo 10 anni fa, perché molte altre attività si sono aggiunte. Da qui, un ridimensionamento della valu-tazione dei rapporti con i media.

Rilevante è pure l'utilizzo degli strumenti tradizionali di pubblicità e l’investimento che ne consegue: la pressione del mercato è forte, e questa ne è la riprova più eclatante.

Il 74% afferma di utilizzare in modo costante le inserzioni pubblicitarie sui giornali, a pari peso con i manifesti interni (75%). Seguono le affissioni ester-ne (il 51%), la pubblicità radio, con il 42%, la pubblicità TV con il 29%, e i volantinaggi con il 25%. L’uso di gadget e del merchandising è anch’esso for-

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temente diffuso, e raccoglie il 37%. Rispetto al 1992, in cui il 52% degli Atenei affermava che la pubblicità TV

e radio era attività del tutto sconosciuta, il cambiamento è decisamente rile-vante.

I dati raccolti vengono peraltro confermati da tutte le recenti indagini effet-tuate da istituti diversi del settore, che hanno rilevato un fortissimo incremen-to degli investimenti, soprattutto dal 2000 ad oggi.

Anche l'attività convegnistica è strumento di largo utilizzo (84%), seguita ad una certa distanza dall’attività di direct marketing/utilizzo di mailing list (complessivamente il 47%), dall’utilizzo delle ricerche di mercato e banche dati (40%), dalla gestione di archivi fotografici (40%), dall’organizzazione e/o la partecipazione a manifestazioni fieristiche (30%).

Per quanto concerne gli strumenti per la comunicazione interna, rispetto al 1992 l’influsso dei new media rivoluziona completamente tali attività.

Infatti, il sito web d’Ateneo (68%) e le liste di posta elettronica (63%) sono in assoluto gli strumenti ideali per fare circolare le informazioni all’interno delle strutture, e per migliorare contestualmente, offrendo nuovi strumenti di condivisione, il clima organizzativo e la partecipazione alle politiche dell’Ateneo. Ovviamente, questi strumenti 10 anni fa non esistevano.

Ancora utilizzati sono strumenti classici quali le bacheche (37%) e le riu-nioni, con il 35%. Il 22% produce newsletter e solo l’8% un house organ.

Le Università italiane si servono per il 60% di collaborazioni esterne per le attività di comunicazione, soprattutto agenzie di pubblicità o studi grafici, li-mitatamente ad attività di forte specializzazione tecnica.

Come logica conseguenza all’espansione degli strumenti e delle attività di comunicazione utilizzati dalle Università, si rileva un deciso cambiamento, rispetto a dieci anni fa, relativamente all’ammontare delle risorse economiche appositamente destinate

Nel 1992 solo nel 25% delle Università esisteva un capitolo di bilancio de-dicato alle attività di comunicazione, che andava, nei pochi casi esistenti, da un minimo di 10 milioni di vecchie Lire a un massimo di un centinaio.

Nel 2002 la situazione è decisamente cambiata: l’83% ha un budget dedica-to, contro il 17% che ha ancora non lo ha.

L’ammontare dei budget dedicati può andare da cifre minime, al di sotto dei 500.000 euro, quali quelle dichiarate dal 65% delle Università, fino a cifre superiori a 1.000.000di euro, come dichiara il 22% degli Atenei.

Va ricordato che la Direttiva del Ministro per la Funzione Pubblica sulle at-tività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, 7 febbraio 2002. prevede per tutti gli enti pubblici sia l’istituzione di un capitolo di spesa dedi-cato alle attività di comunicazione e di informazione, sia l’ammontare, che

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dovrebbe essere almeno pari al 2% del bilancio generale dell’ente. Si è cercato infine di analizzare quali difficoltà i comunicatori universitari

incontrano nel realizzare e gestire i processi di comunicazione (fig. 4).

2%

33%

27%

25%

30%

37%

45%

74%

24%

58%

74%

50%

Carenza di strumenti e di tecnologie

Carenza di coordinamento e organizzazioneall'interno della struttura universitaria

Carenza di personale

Insufficienza di budget

Carenza o mancanza di strategia globale e diprogrammazione

Carenza di flussi di informazioni dall'interno

19922003

Fig. 4 – Difficoltà incontrate nell’applicazione della politica di comunica-zione

Si evidenzia in modo molto marcato come la situazione dei comunicatori

sia cambiata all’interno delle strutture universitarie: il problema fondamentale non è più la sensazione di estemporaneità delle proprie attività e la mancanza di un chiaro indirizzo strategico e di coordinamento interno, come veniva se-gnalato fortemente 10 anni fa, bensì problemi più concreti e quotidiani, legati ad una ancora insufficiente organizzazione dei flussi di comunicazione interna (obiettivo ritenuto tra i principali nell’attività di comunicazione) e ai consueti problemi connessi a tuttora insufficienti risorse umane ed economiche.

Va comunque segnalato il fatto che, a questa domanda, le percentuali di co-loro che indicano problemi e difficoltà sono comunque diminuite moltissimo, rispetto a 10 anni fa.

Si può affermare che la situazione complessiva di chi fa comunicazione è grandemente migliorata e che c’è una sensazione diffusa di maggiore soddi-sfazione nei confronti della struttura universitaria in cui si opera, struttura che pare percepire e valorizzare molto di più la professionalità dei comunicatori e le loro funzioni.

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Parte III: Profilo professionale dei comunicatori delle Università italiane Nella struttura organizzativa dell’Università è decisamente migliorato, ri-

spetto alla ricerca condotta 10 anni fa, il profilo professionale del comunicato-re d’Ateneo.

Attualmente, nel 77% degli Atenei esiste la figura di “responsabile della comunicazione”, di questi, il 50% sono donne.

Per quanto concerne il livello professionale ricoperto, il 49% dei responsa-bili della comunicazione universitaria sono Dirigenti o EP (erano il 10% nel 1992); il 39% sono funzionari - livello D (erano il 90% nel 1992). Il restante 12% è formato da docenti Delegati del Rettore (fig. 5).

49%

39%

12% Dirigenti - EP

Funzionari (livello D)

Delegati del Rettore

Fig. 5 – Livello ricoperto dai Comunicatori d’Università

E’ un dato di grande importanza, questo, non solo perché i comunicatori universitari avanzano nella “piramide gerarchica” dei propri Atenei, ma so-prattutto perché ciò significa che le attività di comunicazione possono eserci-tare una maggiore influenza sulle strategie e sulle politiche generali di condu-zione delle Università.

Ricoprire un livello più elevato vuol dire poter intervenire con maggiore autorevolezza sulle attività diverse dell’Ateneo, tramite il “filtro” della comu-nicazione.

Per quanto riguarda la formazione posseduta dal comunicatore, l’84% è laureato e Il 74% appartiene ad associazioni o ordini professionali.

Di questi il 49% è iscritto all’AICUN, il 37% è iscritto all’Ordine dei Gior-

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nalisti, l’11% è iscritto all’Associazione della Comunicazione Pubblica, a FERPI, TP e altre.

In conclusione, il responsabile della comunicazione dell'Università ha un considerevole livello culturale e una rilevante preparazione professionale, ac-quisita per lo più al di fuori dell'ambiente di lavoro universitario e che co-munque viene costantemente perfezionata grazie alla rete di relazioni che le associazioni e gli ordini professionali possono fornire. Parte IV: Il futuro della comunicazione nelle Università

Il giudizio conclusivo espresso dai responsabili della comunicazione è e-

stremamente positivo nei confronti del probabile sviluppo della funzione della comunicazione nelle Università.

E’ convinzione di tutti i comunicatori universitari che la maggiore autono-mia che caratterizza l’attività delle Università, in particolar modo dopo la Ri-forma universitaria, abbia modificato le politiche di comunicazione degli Ate-nei stessi, “radicalmente” per il 67%, “in parte” per il 30%.

Solo il 53% afferma che i cambiamenti apportati dalla Riforma sono stati gestiti in modo centralizzato, nell’ambito della comunicazione, mentre il 37% asserisce di avere gestito il cambiamento solo in parte, e addirittura il 10% as-serisce di non avere gestito affatto la comunicazione sulla Riforma.

Per quanto concerne l’applicazione della legge 150/2000, e in particolare il riconoscimento delle funzioni di informazione e di comunicazione per il per-sonale che svolge queste attività, il 37% ha risposto di aver ottenuto tale rico-noscimento dalla propria amministrazione universitaria, contro il 55% che an-cora non lo ha acquisito.

Va ricordato che la normativa in vigore prevede questo atto entro il 31 di-cembre 2005, dopodiché i soggetti coinvolti non potranno più svolgere le atti-vità di comunicazione e di informazione e dovranno essere destinati dalla propria amministrazione ad altri incarichi.

Un dato analogo emerge alla domanda relativa ai corsi di formazione ob-bligatori previsti dal DPR 422/2001, anch’essi finalizzati al riconoscimento professionale di cui si parlava prima ed obbligatori, entro la fine dell’anno, per coloro che non posseggono la laurea in Scienze della Comunicazione o, nel caso dell’attività di informazione e ufficio stampa, non siano iscritti all’Ordine dei giornalisti.

Alla data del luglio 2003 avevano frequentato tali corsi il 47%. Anche per rispondere a questa esigenza sono stati poi organizzati, su pro-

posta della Commissione Comunicazione della Conferenza dei Rettori, in col-

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laborazione con AICUN e con il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università di Roma “La Sapienza”, corsi di formazione per comunicatori che operano negli URP e negli uffici stampa delle Università, corsi che si so-no svolti nel periodo ottobre – dicembre 2003.

Conclusioni Ciò che emerge, con chiarezza, da questa ricerca, è la consapevolezza che

la comunicazione universitaria sta vivendo una fase di forte evoluzione. Questo si nota da più fattori concomitanti, che possono essere così riassun-

ti: 1. diffusione in tutti gli Atenei italiani delle attività di comunicazione e delle

strutture che le gestiscono; 2. maggiore specializzazione delle funzioni di comunicazione realizzate; 3. collocazione ai vertici dell’organigramma delle strutture di comunicazione; 4. incremento rilevante delle risorse umane dedicate alle attività di comunica-

zione; 5. intensificazione nell’uso dei new media sia per la comunicazione esterna

che per quella interna; 6. aumento dell’utilizzo di strumenti pubblicitari e di approcci di marketing,

laddove necessario; 7. potenziamento delle risorse economiche destinate per la comunicazione

(diffusione e consistenza dei budget); 8. minori difficoltà segnalate, e sensazione di maggiore soddisfazione e di va-

lorizzazione della professionalità; 9. migliore profilo professionale dei comunicatori: posizioni gerarchiche più

elevate, più laureati, più iscritti ad associazioni professionali. Vorremmo da ultimo sottolineare come emerga fortemente la consapevo-

lezza, da parte dei comunicatori d’Università, di avere 2 obiettivi fondamenta-li e prioritari, che sono centrali rispetto alle strategie comunicative degli Ate-nei.

Da un lato, rendere più accessibile e comprensibile l'approccio alla struttura universitaria da parte dei “clienti primari”, cioè gli studenti, realizzando con gli strumenti più diversi una continua attività di informazione. Quindi, la fun-zione dell’informazione diretta ai target principali di riferimento, un’informa-zione capillare e diffusa, realizzata con tutti i mezzi disponibili, assume un nuovo e più consapevole rilievo nelle strategie di comunicazione delle Uni-versità italiane.

Dall’altro, incrementare e migliorare le relazioni tra gli Atenei e la società

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nella quale essi sono inseriti, approfondendo un rapporto che troppo spesso è superficiale e approssimativo (e il riscontro sui mass media ne è un evidente esempio), favorendo la conoscenza e la comprensione dei processi di innova-zione che le Università attivano e valorizzando, dandone visibilità, il ruolo chiave che le Università hanno nello sviluppo della società.

Un obiettivo, quello del riconoscimento del valore sociale degli Atenei e della loro piena legittimazione, certamente prioritario, che potrà essere rag-giunto se le Università supereranno logiche a volte un po’ troppo particolari e competitive, per pervenire, avvalendosi delle enormi potenzialità che la co-municazione può offrire, ad agire in forma di “sistema dell’istruzione univer-sitaria italiana”, nei confronti dei più diversi pubblici e della società in genera-le.

Giugno 2004

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Comunicare l’Università. Le campagne 2002-2003 di Valentina Martino Atenei alla prova della comunicazione

Come comunicano gli atenei italiani dopo la “rivoluzione copernicana” del-l’autonomia didattica? A quali canali affidano la promozione della propria immagine e offerta nella stagione post-riforma, e nei confronti di quali pub-blici? E, più in generale, su quali linee di tendenza si muove il panorama della comunicazione universitaria, nel nostro Paese? Questi gli interrogativi ai quali ha tentato di rispondere l’inchiesta di seguito presentata, realizzata dal Dipar-timento di Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” sulle campagne universitarie 2002-2003.

La ricerca, diretta da Mario Morcellini1 e patrocinata dal CODAU (Conve-gno permanente dei Dirigenti Amministrativi delle Università italiane), si in-serisce nel contesto di un’ormai pluriennale e consolidata tradizione del Di-partimento in materia di innovazione universitaria: si tratta infatti della se-conda edizione dell’indagine inizialmente promossa sulle iniziative di comu-nicazione attivate dagli atenei italiani nel corso dell’a.a. 2000-20012, alla qua-le erano stati affidati anzitutto obiettivi esplorativi e di mappatura dello scena-rio nazionale. Nel corso del 2002, una nuova azione di monitoraggio ha visto quindi impegnata anche l’Associazione Italiana Comunicatori d’Università, a seguito delle indagini pionieristicamente già realizzate nel 1992 e 1997: l’Os-servatorio AICUN sulla comunicazione universitaria3, rispetto a cui l’inchie-

1 L’indagine è stata realizzata da Valentina Martino e Roberta Bracciale. Hanno inoltre collaborato alla

rilevazione Alba Guidi, Emmanuel Mazzocchi e Massimiliano Lauriello. 2 Per i risultati della rilevazione condotta sulle campagne 2000-2001, si rimanda a: R. Bracciale, V.

Martino, Le strategie di comunicazione esterna delle Università italiane, “Universitas”, anno XXIII, n. 84, giugno 2002, pp. 13-17; e Comunicare l’Università. I dati dell’indagine Uni.com, “Rivista italiana di co-municazione pubblica”, anno V, n. 17, 2003, pp. 151-172.

3 Per i risultati dell’indagine, si rimanda al contributo di Brunella Marchione e Paola Scioli in questo volume.

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sta sulle campagne 2002-2003 - di cui si presentano qui i principali risultati - ha inteso collocarsi in una naturale linea di continuità, individuando del resto significative convergenze in merito agli scenari e alle tendenze emergenti.

Almeno su un punto generale, l’esperienza della maggioranza degli atenei italiani parla chiaro: esiste, di fatto, una straordinaria sintonia – una vera e propria affinità elettiva – tra bisogni e valori della vita universitaria, da una parte, e linguaggi della comunicazione, dall’altra. Al tempo stesso, sul terreno della comunicazione si gioca un cambiamento che impone una scommessa in-terpretativa più radicale: quella di contestualizzare adeguatamente il processo di apertura alla comunicazione e l’adesione alle sue peculiari “logiche cultura-li” entro un’analisi di più ampio respiro sull’Università che cambia insieme al Paese, in una stagione di mutamento accelerato che vede un’accresciuta inter-dipendenza degli atenei nei confronti dell’ambiente sociale. I nostri anni assi-stono, di fatto, ad un epocale ampliamento delle superfici di contatto tra si-stema universitario e mondo esterno: un processo di portata sistemica, che contribuisce giorno dopo giorno a trasformare la classica dialettica tra “den-tro” e “fuori” in un equilibrio di tipo reticolare, rendendo più mobili e sensibi-li i confini stessi dell’istituzione.

In secondo luogo, occorre riconoscere che il panorama nazionale della co-municazione universitaria continua a presentare una conformazione molto fra-stagliata ed eterogenea, in cui esperienze strutturate e persino d’“avan-guardia»4 convivono con realtà decisamente meno avanzate, fino al caso di atenei che cominciano solo di recente a muovere i primi passi sul terreno della comunicazione. Al tempo stesso, l’adozione di strategie comunicative e pro-mozionali si avvia ormai a diventare una prassi consolidata presso la maggio-ranza delle Università italiane, sia pubbliche che private: un processo accele-ratosi soprattutto in seguito alla Riforma didattica del “3+2” e al suo potente effetto dinamizzante sul sistema nazionale dell’alta formazione.

In questo senso, sono soprattutto i dati sugli investimenti pubblicitari a re-stituire le proporzioni della “svolta” culturale di cui sono stati protagonisti gli atenei italiani. Gli ultimi anni hanno infatti assistito ad un impetuoso trend e-spansivo degli investimenti pubblicitari delle Università (addirittura decupli-cati dal 1997 al 2001), che ha visto il definitivo allineamento della spesa tra

4 Tra i migliori esempi di managerialità nella gestione delle politiche comunicative spicca l’attività della

Bocconi Comunicazione S.r.l., esempio pionieristico di vera e propria house agency universitaria, di cui l’ateneo milanese si è dotato fin dal 1986. Altro esempio di indubbia best practise è quello del Centro Co-municazione e Marketing dell’Università di Siena: una struttura che dal 1998 coordina a 360 gradi le attivi-tà di comunicazione, dalle funzioni di ufficio stampa alla gestione della radio d’ateneo “Facoltà di Frequen-za”. Per alcuni studi di caso in ambito italiano e internazionale, si rimanda al recente: A. Mazzei (a cura di), Comunicazione e reputazione nelle Università, Franco Angeli, Milano, 2004.

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gli atenei pubblici e quelli privati e, in particolare, una crescita addirittura del 60% nel corso dei primi otto mesi del 2002 - cioè nella fase di introduzione dell’autonomia didattica - rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Più analiticamente, secondo la Nielsen Media Research, fonte dei dati sopra citati: “Nel 1997 le Università private italiane investivano oltre un milione e mezzo di euro in pubblicità e quelle pubbliche quasi 600 mila. Il consuntivo dello scorso anno dice che le Università private hanno investito 11.558.821,86 euro e quelle pubbliche 10.385.948,24. In quattro anni si è passati da un inve-stimento complessivo di oltre due milioni di euro a quasi 22 milioni e il pub-blico investe come il privato”5.

Sono numeri che descrivono un’espansione straordinaria e senza precedenti dello spazio della comunicazione all’interno delle Università italiane, in gran parte trainata proprio dalla “rivoluzione copernicana” dell’autonomia didatti-ca: un trend ulteriormente radicalizzatosi nel corso dell’a.a. 2002-20036, ma che ha finito per trovare una parziale battuta d’arresto di fronte alla perdurante e cronica penuria di risorse. Dopo anni di boom soprattutto per effetto dell’in-troduzione del “3+2”, il 2004 torna infatti a segnalare un trend più stabile rispetto all’impennata registratasi nel biennio precedente: non sono mancati gli atenei costretti a ridurre i budget per la comunicazione e a spostare così la propria attenzione strategica verso formule alternative e a più basso costo ri-spetto ai canali della promozione classica7.

La tastiera dei media: tra publicity e comunicazione pubblicitaria Rispetto alla prima indagine-pilota realizzata dal Dipartimento di Sociolo-

gia e Comunicazione, la ricerca qui presentata ha puntato ad approfondire so-prattutto l’area del media planning e delle scelte operative, accanto ad una se-rie di aspetti relativi alle strategie, agli obiettivi e ai destinatari della comuni-cazione, nonché alle strutture e ai budget ad essa dedicati presso le diverse re-altà territoriali. Tra gli altri elementi di novità, va segnalato - sul piano meto-dologico - il ricorso alla tecnica della web survey: tra l’ottobre 2003 e il gen-naio 2004, è stato infatti somministrato on line un questionario articolato in 76 items. Grazie alla collaborazione dei Direttori Amministrativi e ad una serie di

5 P. Panza, Università, caccia agli studenti a colpi di spot, “Corriere della Sera”, 6 settembre 2002. Per i

dati dell’indagine realizzata dalla Nielsen Media Research, si veda anche: B. Bollag, At Italian universities, advertising has arrived, “The Chronicle of Higher Education”, n. 49, December 13, 2002.

6 G. Visintini, L’Università: vecchi ruoli e nuove tendenze. Gli atenei come imprese erogatrici di servi-zi, “Tendenze – Consumatori & Consumi”, n. 27, ottobre 2003, p. 7.

7 F. Micardi, G. Trovati, Gli atenei tagliano la pubblicità, “Il Sole 24 ore”, 2 febbraio 2004.

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successivi recall telefonici, la rilevazione ha complessivamente raggiunto i responsabili della comunicazione di 51 atenei italiani8, pari al 66,3% dell’universo di riferimento9.

Negli ultimi anni, le Università italiane hanno promosso una significativa diversificazione nel ricorso alla “tastiera” allargata dei media, in particolare dimostrandosi più inclini che in passato a lanciarsi in iniziative e vere e pro-prie campagne pubblicitarie. Questa la prima e più generale evidenza che si ricava da una visione di insieme dei dati relativi al mix di strumenti comunicativi utilizzati nelle campagne 2002-2003, anche nel confronto con lo scenario relativo al 2000-2001.

Alla luce della notevole espansione registrata dalla leva pubblicitaria nel corso degli ultimi anni (non solo dal punto di vista degli investimenti econo-mici, ma anche da quello qualitativo e della creatività), la comunicazione del-le Università italiane sembra dunque ormai avviata ad una fase di maturità. E’ noto invece che, rispetto alla prassi di un’acquisizione diretta di spazi, a carat-terizzare tipicamente l’iniziale fase di penetrazione della cultura comunicativa negli atenei è lo schiacciamento su modalità volte a far parlare di sé in modo indiretto diffondendo messaggi e informazioni ai media10, in genere attraverso

8 In particolare, si ringraziano per la disponibilità e la collaborazione all’iniziativa: Università degli Stu-

di di Roma “La Sapienza”, Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Università degli Studi di Ur-bino “C. Bo”, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati - S.I.S.S.A., Università degli Studi di Ca-gliari, Università degli Studi di Foggia, Università degli Studi di Napoli “L'Orientale”, Università di Fer-rara, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Scuola Normale Superiore di Pisa, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi Roma Tre, Università degli Studi di Padova, Università degli Studi di Verona, Università degli Studi di Udine, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Università degli Studi di Cassino, Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, Politecnico di Bari, Libera Uni-versità di Bolzano, Università Politecnica delle Marche, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro” - Vercelli, Università degli Studi di Bergamo, Università “Campus Bio-Medico” di Roma, Uni-versità degli Studi di Camerino - Unicam, Università degli Studi per le Scienze Motorie e dello Sport - IUSM, Università degli Studi di Parma, Università “Cattolica del Sacro Cuore” di Milano, Università de-gli Studi di Sassari, Università di Catania, Università di Trieste, Università degli Studi di Lecce, Università degli Studi del Molise, Università “Ca’ Foscari” di Venezia, Università degli Studi dell'Aquila, Università degli Studi della Tuscia, Università degli Studi dell'Insubria, Università degli Studi di Trento, Università della Calabria, Università della Valle d’Aosta, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Palermo, Politecnico di Torino, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano – IULM, Università degli Studi di Siena, Libera Università Internazio-nale Studi Sociali “G. Carli” di Roma - LUISS, Scuola Superiore “Sant'Anna” di Pisa, Università degli Studi “G. d‘Annunzio” Chieti-Pescara, Università IUAV di Venezia, Università degli Studi “Mediterrane-a” di Reggio Calabria.

9 Seppur non del tutto ortodossa sul piano metodologico (l’ampiezza del campione e dello stesso univer-so è infatti inferiore a 100 casi), la scelta di percentualizzare i valori è stata tuttavia consigliata dall’esigenza di agevolare la comparabilità dei dati con le altre indagini raccolte in questo volume, soprat-tutto ai fini di un’efficace lettura diacronica dei trend.

10 N. Davies, “Colleges and Customers”, in J. Lumby, N. Foskett, Managing External Relations in Schools and Colleges, Paul Chapman, London, 1999; cit. in A. Mazzei, La comunicazione per il marketing

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le funzioni dell’ufficio stampa: in una parola, la cosiddetta publicity11. E in effetti anche nel nostro Paese, in un primo momento e per lungo tempo, la comunicazione e l’orientamento al mercato delle Università si sono connotati più come reazioni di adeguamento tattico all’ambiente, anziché come coordi-nate di un investimento strategico, autonomo e continuativo.

Va detto, comunque, che nonostante il vero e proprio exploit pubblicitario che ha contrassegnato gli anni più recenti, continua a prevalere in termini comparativi - per ovvie ragioni di ordine economico - una vasta attività di pu-blicity rivolta alla carta stampata e al sistema radio-televisivo, soprattutto nell’ambito locale. Nell’a.a. 2002-2003, quasi tutte le Università hanno avuto accesso ad articoli e/o servizi sui quotidiani locali (96,1% degli atenei) e ben il 74,5% su quelli nazionali (Fig. 1); anche la presenza su tv (80,4%) e radio locali (62,7%) è stata declinata soprattutto sotto forma di interventi, interviste e servizi (Figg. 2-3).

Quanto alla pianificazione pubblicitaria, le scelte degli atenei privilegiano i quotidiani locali (96,1% delle Università), seguiti da quelli nazionali (70,6%) e dalle radio locali (62,7%). Più residuale il ricorso a riviste specializzate (47,1%): un canale che presenta interessanti potenzialità ai fini di una comu-nicazione mirata e di un’elevata resa del messaggio sul piano qualitativo ed estetico e che appare comunque in crescita negli anni, anche grazie alle tante iniziative editoriali fiorite per iniziativa degli studenti o ad essi dedicate. Ri-spetto alla pianificazione pubblicitaria a mezzo stampa, quella attraverso il si-stema radio-televisivo continua invece a rappresentare una prassi decisamente meno frequente: se la diffusione di spot su emittenti televisive locali riguarda poco più di un terzo degli atenei (37,3%), la pubblicità destinata alle radio e, soprattutto, alle tv nazionali resta piuttosto un’eccezione alla regola (rispetti-vamente, con una penetrazione del 19,6 e 5,9%). In crescita anche la diffusio-ne delle iniziative di web advertising (37,3%), in particolare su quotidiani on line (27,5%).

Questi dati provano dunque che, tra i mezzi tradizionali, è soprattutto il ri-corso alla stampa quotidiana a garantire un’estensione e una dimensione na-zionale della comunicazione strategica degli atenei. I quotidiani rappresentano un canale particolarmente utile nella promozione di percorsi formativi avanza-ti: tra questi soprattutto i Master, che per definizione implicano una più decisa specializzazione dell’offerta e si rivolgono ad un’utenza particolarmente mo-

dell’Università, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 84.

11 Per publicity si intende, infatti, il complesso di attività promozionali e pubbliche relazioni volte a “far parlare di sé”, attraverso “la veicolazione di messaggi non a pagamento sotto forma di informazioni e noti-zie, indirizzati a specifici target-group e trasmessi con un apporto attivo e spontaneo dei mezzi di comuni-cazione” (S. Rolando, La comunicazione pubblica in Italia, Editrice Bibliografica, Milano, 1995, p. 149).

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tivata e selettiva, disposta alla mobilità e dunque più trasversale dal punto di vista della provenienza territoriale. Più in generale, i quotidiani continuano a rappresentare – dopo il sito Internet – il mezzo universalmente più diffuso presso gli atenei italiani, in termini sia pubblicitari sia di comunicazione indi-retta ai media: la stampa è tradizionalmente vissuta come il mezzo più idoneo a rafforzare la visibilità e il prestigio dell’istituzione nei confronti dei pubblici adulti, tra cui le famiglie degli studenti acquisiti/potenziali (di fatto, un impor-tantissimo pubblico cerniera) e le tipologie d’utenza meno tradizionali. Ri-spetto alla centralità dei canali a stampa, appare invece ancora notevolmente sottodimensionato il ricorso al sistema radio-televisivo: ad eccezione di un segmento solo molto ristretto di atenei, la radio e la televisione restano canali accessibili soprattutto nell’ambito locale e in termini di copertura informativa delle attività e delle iniziative d’ateneo.

Tra le modalità più tradizionali e diffuse di intervento comunicativo, va quindi segnalato il ricorso estensivo alle diverse leve che fanno capo al settore dell’editoria universitaria, peraltro con qualche elemento di novità rispetto ai formati utilizzati (Fig. 4). Gli strumenti più diffusi sono, in assoluto, la bro-chure istituzionale (86,3%) e la guida d’ateneo (82,4%): due veicoli informa-tivi ormai presenti quasi universalmente nel media-mix delle Università. Qua-si una sorta di indispensabile “biglietto da visita”, a cui è affidata la funzione di comunicare all’esterno la notevole diversificazione delle aree di offerta isti-tuzionale e didattica di cui sono oggi protagonisti gli atenei italiani. Seguono, a maggior distanza, canali quali il giornale/bollettino periodico (54,9%), il cd-rom di presentazione (39,2%), l’annuario (33,3%), le monografie (27,5%).

Gli eventi rappresentano un’altra area strategica in crescita, oltre che uno strumento tra i più tradizionali della comunicazione universitaria, soprattutto per ciò che concerne gli appuntamenti culturali e scientifici nei loro diversi formati (Fig. 5): convegni, conferenze, workshop, tavole rotonde (92,2%) e, naturalmente, presentazioni di novità editoriali (47,1%). Si tratta, in ogni caso, di iniziative che rivestono non solo la funzione di rilanciare la partecipazione diretta e la promozione culturale all’interno degli atenei e presso la comunità scientifica, ma a cui è affidata sempre più una seconda, importante finalità strategica: quella di mobilitare l’attenzione dei media, consentendo di accede-re ad una ricaduta informativa e a spazi di comunicazione indiretta potenzial-mente molto remunerativi in termini di profilo immagine e di visibilità nei confronti dell’opinione pubblica12.

12 Sulla funzione comunicativa degli eventi, si rimanda, tra gli altri, a E. Invernizzi (a cura di), Le rela-zioni pubbliche. Le competenze, le tecniche e i servizi di base, McGraw-Hill, Milano, 2001, pp. 409-455. Cfr. anche A. Mattiacci, V. Martino, “Produzione e gestione di eventi”, in PerCorsi di comunicazione pub-blica, Servizio per la Comunicazione-MIUR, Roma, 2003, pp. 145-158.

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Se adeguatamente integrata in un piano strategico di iniziative e azioni promozionali mirate alla pluralità dei pubblici di riferimento, la comunicazio-ne per eventi si rivela così un modo competitivo e moderno di declinare la strategia comunicativa: essa consente di intercettare l’attenzione di una platea allargata - ma non per questo necessariamente indifferenziata - di destinatari e, soprattutto, di tener conto in modo adeguato della scarsa compatibilità esi-stente tra alcuni servizi ad elevato contenuto professionale dell’Università (ad esempio, la ricerca) e la loro promozione diretta. Stessa funzione strategica spetta, del resto, anche ai sempre più frequenti casi di partecipazione delle U-niversità a eventi culturali promossi da soggetti esterni, secondo le formule della sponsorizzazione classica o del “co-branding” (43,1%).

Presso gli atenei italiani, anche gli appuntamenti di orientamento13 rappre-sentano ormai una prassi consolidata e un settore in costante crescita, anche e soprattutto per effetto della Riforma didattica e dell’ondata di nuovi percorsi formativi che essa ha generato. Non a caso, le diverse categorie di eventi di orientamento sono diffuse pressoché universalmente nelle Università italiane: sia gli appuntamenti esterni (incontri e presentazioni nelle scuole medie supe-riori), sia quelli che hanno luogo presso la sede dell’ateneo (open day e visite guidate), riguardano ormai ben il 90,2% degli atenei coinvolti nella rilevazio-ne. Solo lievemente meno diffusa, ma in forte crescita, la consuetudine a prendere parte a eventi collettivi e a cadenza periodica quali fiere e Saloni del-lo studente (78,4%)14: contesti comunicativi in cui è possibile attivare un con-tatto diretto e mirato con gli utenti potenziali, un confronto immediato con i competitors e, non ultima, una circolazione estensiva di materiali e supporti promozionali (dalla brochure all’eventuale linea di merchandising).

13 Tra le diverse definizioni del valore emergente dell’orientamento, sempre più al cuore del modello di

sviluppo che si va preparando per l’Università italiana, quella contenuta nel Documento Martinotti costitui-sce un riferimento pressoché obbligato: “un insieme di attività che mirano a formare o a potenziare nei gio-vani capacità che permettano loro non solo di scegliere in modo efficace il proprio futuro, ma anche di par-tecipare attivamente negli ambienti di studio e di lavoro scelti. Tali capacità riguardano, infatti, la cono-scenza di se stessi e della realtà sociale ed economica, la progettualità, la organizzazione del lavoro, il co-ordinamento delle attività, la gestione di situazioni complesse, la produzione e la gestione di innovazione, le diverse forme di comunicazione e di relazione interpersonale, l’auto-aggiornamento, etc. Una definizione più precisa di tali capacità è di competenza delle singole strutture educative, in riferimento all’ambiente in cui esse sono presenti; le capacità indicate sono rilevanti in un periodo storico nel quale i mondi vitali sono indeboliti, favoriscono una partecipazione sempre più matura ai processi educativi e, successivamente, co-stituiscono componenti necessarie della cittadinanza e della professionalità”. MURST, Autonomia didattica e innovazione dei corsi di studio di livello universitario e post-universitario, Rapporto finale, 23 ottobre 1997 (art. 3).

14 Anche la CRUI ha di recente promosso un’indagine ad hoc sulle iniziative di orientamento promosse dagli atenei italiani durante l’anno accademico 2001-2002 (CRUI, L’Università orienta. Comportamenti e iniziative negli atenei italiani, Roma, 2004), già replicata sull’anno accademico 2002-2003 nel giugno-luglio 2004.

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Più in generale, di fronte alla moltiplicazione e frammentazione dei cicli formativi, ai cambiamenti introdotti dalla Riforma didattica, alla crescente complessità del mercato del lavoro, l’orientamento si afferma, giorno dopo giorno, come un registro comunicativo tra i più indispensabili e consonanti alla peculiare mission dell’Università: esso rappresenta infatti un importantis-simo anello strategico affinché i percorsi formativi individuali da un lato, e il moderno sistema della formazione, dall’altro, possano centrare pienamente i rispettivi obiettivi nel medio-lungo termine, fronteggiando una situazione di mutamento accelerato di tutti i contesti di riferimento15. Di fatto, investire sull’orientamento significa puntare a ridurre il più possibile le distanze tra l’istituzione e i suoi destinatari, contrastando attivamente e in modo continua-tivo i gap e le asimmetrie informative che rischiano di prodursi non solo al momento della prima iscrizione (rendendo deficitario il processo decisionale che coinvolge lo studente e la sua famiglia), ma anche in itinere ed ex post, così da compromettere la qualità dell’esperienza formativa e di vita all’interno dell’istituzione.

Da questo punto di vista, non c’è dubbio che compito degli atenei sarà sempre più quello di garantire un pieno diritto di cittadinanza a tutte le cate-gorie di utenti. In altre parole, a rendere l’esperienza formativa realmente ac-cessibile e a misura d’uomo anche grazie ad una comunicazione universitaria più ricca, diretta e personalizzata.

Da pubblici a stakeholders dell’Università Non a caso, le Università italiane esprimono livelli molto elevati di soddi-

sfazione proprio per la redemption legata agli ormai diffusissimi incontri ed eventi di orientamento, coerentemente con la crescente centralità dello studen-te - e, in particolare, della “matricola” - al cuore delle comunicazioni universi-tarie post-riforma. Un principio, del resto, espressamente sancito dallo stesso spirito dell’autonomia didattica, nel contesto di un progetto riformistico teso a massimizzare l’accesso di giovani e meno giovani alla formazione terziaria prima, e al mondo del lavoro poi.

Come si vedrà meglio più avanti, la stessa attenzione verso la dieta multi-mediale del pubblico degli studenti acquisiti e potenziali testimonia l’assoluta centralità di questo “target” nelle moderne politiche – anche e soprattutto co-

15 Si veda anche: M. Morcellini, “L’orientamento nella società della comunicazione”, in A. Grimaldi (a

cura di), Orientare l’orientamento. Modelli, strumenti ed esperienze a confronto, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 112-116.

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municative – delle Università italiane. E’ una tendenza che, tuttavia, si ac-compagna ad una progressiva pluralizzazione degli interlocutori, interni ed esterni, con cui gli atenei scelgono oggi di confrontarsi sul terreno dell’offerta e, dunque, della stessa comunicazione. L’odierna tendenza a riconoscere nella platea studentesca il primo e il più naturale interlocutore delle comunicazioni universitarie è pienamente comprensibile anche alla luce del progressivo ina-sprirsi dello scenario competitivo: alla crescente concorrenza diretta tra atenei (anche a seguito dell’incremento quantitativo dei centri di offerta attivi sul ter-ritorio nazionale), corrisponde un inedito fermento nel settore dell’alta forma-zione non universitaria, nel momento in cui vengono a fare ingresso sul mer-cato organizzazioni formative che offrono percorsi di professionalizzazione alternativi all’iter universitario. Completa e inasprisce il quadro l’insediamento sul territorio nazionale di Università straniere, spesso decisa-mente agguerrite sul piano del marketing e della comunicazione.

D’altra parte, l’offerta universitaria è chiamata sempre più a confrontarsi con settori e nicchie non tradizionali di utenza, tra cui anzitutto studenti lavo-ratori, di lungo corso e post-experience: interlocutori con i quali è necessario instaurare interazioni comunicative qualitativamente diverse rispetto al tradi-zionale rapporto con gli studenti neo-diplomati e full time16. In più, cresce la competizione tra Università per assicurarsi gli studenti migliori: attraverso i successi negli studi prima, e nella professione poi, questi ultimi diventano, in-fatti, la prova vivente e i più importanti testimonials della qualità del percorso formativo erogato, contribuendo nel lungo termine al prestigio e alla reputa-zione dell’ateneo. D’altra parte, non va sottovalutata neppure l’esigenza di sviluppare relazioni sistematiche e continuative con il pubblico degli stessi ex-studenti, sebbene la fidelizzazione di questi ultimi costituisca una frontiera strategica ancora poco esplorata dalle Università italiane, diversamente da una tradizione molto più consolidata in altri Paesi e, in particolare, nel mondo anglosassone17. Non ultima, l’opportunità di potenziare con la comu-nicazione la stessa capacità di attrazione esercitata verso gli studenti di altre nazionalità: un orientamento strategico allo spazio europeo e internazionale dell’alta formazione che andrebbe oggi valorizzato in tutti gli atenei (e non solo nelle “Università per stranieri”), a partire dall’individuazione di specifi-che “aree di gravitazione” nei Paesi esteri.

A non lasciare molti dubbi in merito alla “rivoluzione copernicana” che ve-de assurgere sempre più lo studente al cuore delle interazioni di cui gli atenei

16 Basti pensare che, secondo i dati MIUR, nel 2002 la platea degli studenti-lavoratori avrebbe ormai superato per dimensioni quella degli studenti a tempo pieno.

17 A. Moretti, “La comunicazione integrata dell’Università”, in M. Strassoldo (a cura di), L’azienda U-niversità. Le sfide del cambiamento, Isedi, Torino, 2001, pp. 241-254.

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sono oggi protagonisti e promotori, è il dato relativo agli stakeholders (Fig. 6). Un concetto, quest’ultimo, che, pur scontando le contaminazioni di una certa retorica aziendalista alla moda e un po’ approssimativa, offre tuttavia l’innegabile vantaggio di identificare gli interlocutori dell’Università non più nella controparte di un sistema asimmetrico di relazioni, ma come partner di una dinamica continuativa e interattiva di generazione e “messa in comune” del valore. Si tratta, in altre parole, delle diverse categorie di portatori di inte-resse, reali e potenziali che gravitano da diverse distanze intorno ad un’orga-nizzazione complessa e che, con le loro aspettative e attese, hanno l’effetto di influenzarne il contesto di azione e, dunque, la stessa performance.

Alla domanda su quali fossero stati i principali destinatari della campagna 2002-2003, la maggioranza assoluta delle Università non ha esitato nel segna-lare gli studenti delle scuole medie superiori (66,6%), seguiti in seconda battuta dalle altre e meno tradizionali categorie di studenti potenziali (23,5%). Le famiglie degli studenti potenziali – un pubblico assolutamente determinante nel favorire la decisione di scelta – compaiono solo alla seconda opzione di risposta (29,4%), a fronte di una tendenza solo residuale a identificare i target prioritari delle iniziative di comunicazione nelle altre tipologie di destinatari: sistema dei media18, docenti delle scuole medie superiori, studenti acquisiti, imprese e liberi professionisti.

E’ chiaro che un’evidenza così netta rischi di avvalorare la tesi – sempre presente e così cara alla retorica di commentatori ed editorialisti – secondo cui la comunicazione delle Università finirebbe spesso per scadere in un puro “marketing delle immatricolazioni”, di per sé poco strategico e di modesto profilo culturale. Tuttavia, è altrettanto evidente che questa tendenza va ade-guatamente contestualizzata rispetto al significato e alle effettive ricadute dell’autonomia didattica in termini di radicale innovazione e diversificazione dell’offerta formativa e, dunque, di necessità di comunicare adeguatamente i nuovi corsi attivati (lauree triennali, specialistiche, corsi di Alta Formazione, Master) ai loro destinatari diretti ed elettivi: per l’appunto, gli studenti.

Non a caso, in un’ideale “hit-parade” degli obiettivi strategici che hanno o-rientato la campagna 2002-2003, il primato assoluto spetta all’esigenza di in-formare sulle diverse attività d’ateneo (Fig.7): un’esigenza segnalata come prioritaria da oltre un terzo degli atenei (35,3%). Ma sono comunque numero-se le Università che hanno fatto riferimento, più pragmaticamente, anzitutto

18 Questo il principale “target” rilevato dalla prima ricerca AICUN nei primi anni Novanta, quando –

nell’economia di una comunicazione ancora fortemente mediata con i pubblici di riferimento - il 95% degli atenei individuava il principale pubblico di riferimento nei mass-media e l’87% negli studenti. Cfr. B. Mar-chione, “La comunicazione delle Università”, in S. Rolando (a cura di), La comunicazione pubblica in Ita-lia, Editrice Bibliografica, Milano, 1995, pp. 290-297.

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alla volontà di aumentare il numero degli iscritti (27,5%), intervenendo posi-tivamente sul volume dell’utenza con specifiche iniziative di comunicazione. Più residuali tutte le altre opzioni di risposta: dall’esigenza di promuovere la notorietà presso l’opinione pubblica (11,8%), fino all’opportunità di “lancia-re” nuovi corsi e prodotti formativi (9,8%), sviluppare una nuova immagine (3,9%), rafforzare la propria immagine rispetto alla concorrenza (3,9%) e po-tenziare le relazioni con il contesto (2%). Sul fronte della valutazione delle esperienze intraprese e della loro efficacia (Fig. 8), lo scenario appare ancor più netto: ben il 74,5% delle Università non ha avuto esitazioni nel segnalare l’aumento delle immatricolazioni con il principale risultato positivo raggiunto grazie alle iniziative di comunicazione, accompagnato del resto da un buon riscontro anche sul fronte dell’attenzione dei media (62,7%).

Si sottolinea, a margine, la crescente centralità che i registri della comuni-cazione corporate – rispetto a quella di brand e di prodotto – tendono a gioca-re per la maggioranza delle organizzazioni complesse, e dunque anche per le Università. In un’ottica strategica e di investimento a lungo termine, infatti, l’identità e l’immagine istituzionale vanno correttamente assunte come il principale baluardo contro congiunture negative e repentini cali di immagine, tali da minare la reputazione dell’ateneo di fronte alla sfera pubblica e ai di-versi stakeholders. É quanto insegna il duro contraccolpo di immagine subito, nel gennaio 2002, dall’Università degli Studi di Camerino: l’effetto dello scandalo popolare e del forte stress mediatico è stato certamente quello di mettere alla prova la tenuta complessiva delle strategie comunicative nella cri-si, oltre che la loro duttilità ai fini del risanamento dell’immagine accademica. Al di là dell’effettivo risultato e della qualità del rimedio proposto, già la scel-ta di affidare il delicato compito ad una campagna ad hoc – prontamente atti-vata a ridosso del danno d’immagine19 - testimonia la sensibilità acquisita ver-so la comunicazione, quale indispensabile risorsa al servizio della stabilità istituzionale. La dominante informativa e la centralità della “vetrina multimediale”

Una notevole crescita accomuna le iniziative di orientamento ai canali della

comunicazione mediata dal web, cioè l’altro “continente”emergente della mo-derna vocalità universitaria.

19 Il tristemente noto episodio di cronaca cui si fa riferimento – il professore universitario indagato per

concussione – è stato prontamente tradotto in un’azione di contro-comunicazione e in una sibillina headline (nonché, successivamente, in una vera e propria azione legale per il risarcimento del “danno di immagine”).

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Non a caso, numerosi analisti sono concordi nel ritenere la comunicazione interpersonale face-to-face e quella supportata dalle nuove tecnologie (soprat-tutto la rete Internet e il telefono cellulare) come l’ambito sul quale si prevede la crescita più cospicua degli investimenti universitari nell’immediato futuro; e i dati più aggiornati non fanno che confermare questa linea di trend. La par-ticolare funzionalità di questi canali si salda - come già accennato - all’ac-cresciuta centralità della platea studentesca e, più in generale, al vero e pro-prio exploit dell’offerta didattica con cui tutti gli atenei italiani si trovano a misurarsi e a fare i conti nella stagione post-riforma. Nel momento in cui alla base dei servizi offerti è più che mai in gioco il patto a medio/lungo termine con gli studenti e le loro famiglie, infatti, la comunicazione è naturalmente chiamata a essere informativa e a supportare in modo adeguato processi di scelta che implicano - per le loro caratteristiche intrinseche - un elevato inve-stimento in termini psicologici ed emotivi da parte dell’utenza20.

In questo senso, la campagna 2002-2003 conferma la dominante informati-va della comunicazione universitaria. Infatti, i dati provano che il messaggio veicolato nelle stesse iniziative pubblicitarie è stato prevalentemente informa-tivo per il 41,2% delle Università, e informativo e spettacolare allo stesso tempo per il 47,1%; diversamente, solo pochissimi atenei (5,9%) hanno scelto di far leva su un registro comunicativo teso anzitutto alla spettacolarizzazione dell’immagine istituzionale e dei contenuti di volta in volta veicolati. E l’attenzione riposta nei confronti dei valori informativi tende, del resto, ad an-corarsi saldamente alla crescente centralità del sito Internet, mezzo attraverso cui erogare a distanza e in tempo reale un’informazione aggiornata e comple-ta.

Ne è una testimonianza eloquente l’eccezionale funzionalità di cui Internet ha dato prova finora, fino al punto da promuovere l’affermazione di una sorta di comunità universitaria parallela soprattutto tra le giovani generazioni, di cui va a intercettare uno dei consumi senza dubbio più distintivi. In altre paro-le, a emergere è l’impareggiabile attitudine della Rete a configurarsi come una dimensione alternativa e “integrata” ad un tempo: un canale in grado di rilan-ciare le stesse interazioni “reali” che fanno capo all’istituzione universitaria e di rispondere non solo ad un bisogno diffuso di trasparenza e di informazione, ma anche di partecipazione e vera e propria formazione di comunità, attraver-so la condivisione allargata e interattiva delle vocazioni distintive di una spe-cifica realtà universitaria. Basti pensare che: “quasi la metà dei Web surfer

20 Ciò è vero anche e soprattutto se si considera il notevole rischio associato all’eventuale decisione di sciogliere la relazione di scambio. In questo senso, occorre ricordare che i servizi offerti dall’Università si configurano come beni fiducia (confidence good) ad elevato contenuto professionale; in quanto tali, essi sollevano una serie di problematiche specifiche in merito al rapporto con l’utenza (ibidem, pp. 111-112).

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italiani frequenta i siti degli atenei. Secondo i dati Nielsen NetRatings, nel trimestre che va da settembre a novembre 2003 le pagine web delle Università sono state visitate da più di sette milioni di persone, pari al 40% del totale dei navigatori del periodo”21.

D’altra parte, coerentemente con queste eccezionali potenzialità di penetra-zione, la Rete ha già dato prova di essere uno spazio integrato di comunica-zione decisamente “a portata di mano” per le Università italiane. Uno stru-mento al servizio non solo della comunicazione interna, ma della stessa pro-mozione verso l’esterno, fino al punto di porsi, di fatto, come il mezzo in gra-do di riassumere più compiutamente in sé la rappresentazione globale che gli atenei offrono della propria identità, oltre che della qualità delle stesse rela-zioni intrattenute con l’utente e il contesto. Se oltre la metà degli atenei (52,9%) ha fatto ricorso all’inserimento di link su altri siti, il 37,3% gestisce una propria newsletter elettronica e altrettante sono le Università che hanno messo in campo vere e proprie iniziative pubblicitarie attraverso la presenza strategica di banner promozionali su altri siti (contro il solo 20,4% dell’a.a. 2000-2001). Inoltre, risultano ormai piuttosto diffuse anche le iniziative di di-rect mailing (31,4%), fino all’allestimento di veri e propri servizi interattivi: tra questi, l’invio di SMS personalizzati22, le chat, i newsgroup e i forum (ca-nali citati complessivamente nel 17,8% dei casi: Fig. 9). E, per le ragioni so-pra descritte, soprattutto il sito istituzionale sembra destinato ad affermarsi sempre più come la superficie comunicativa e il “punto di aggregazione” sim-bolico su cui, in futuro, tutte le Università potranno strategicamente fondare una costruzione e una proiezione di identità specifiche, interattive e a tutto tondo: un canale accessibile sul piano economico, almeno rispetto ai media generalisti, e di per sé straordinariamente espressivo non solo dell’habitus comunicativo, ma della stessa tradizione distintiva di una determinata comuni-tà scientifica e formativa23.

Il potere rivoluzionario di Internet è, di fatto, quello di tradurre in una pro-spettiva tutt’altro che futuribile lo spessore dinamico di processi organizzativi

21 F. Micardi, G. Trovati, Bologna vince la classifica sul Web, “Il Sole 24 ore”, 2 febbraio 2004.22 A fare da apripista in questa direzione l’Università degli Studi di Firenze che, nel corso dell’anno ac-

cademico 2000-200l, ha proposto per la prima volta l’invio di SMS personalizzati ai propri studenti. 23 Da questo punto di vista, sono particolarmente espressivi i dati dell’indagine La comunicazione delle

Università europee e la promozione della loro immagine, realizzata nel 2001 da Silvia del Mastro e Nevina Satta presso l’Università “Cattolica Del Sacro Cuore”, con la Direzione scientifica di Francesco Casetti: la ricerca ha individuato quattro principali tipologie di siti universitari - vetrina, comunità, promo, soglia - cui corrispondono altrettanti stili di comunicazione e modelli formativi (L. Fantozzi, Atenei in rete, strategie di comunicazione, “Presenza”, n. 2, febbraio 2002, pp. 25-26). Sulla funzionalità delle nuove tecnologie nella comunicazione delle Università, si vedano anche: M. L. Zuzzaro, Web e Università, “Universitas”, anno XXIII, n. 85, 2002, pp. 41-42; e R. Bracciale, V. Martino, Comunicare l’Università…, cit.

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e valori come quelli di cui gli atenei italiani hanno al momento bisogno (tanto più di fronte al perdurare di oggettive criticità gestionali come quelle ben si conoscono): l’universalità e il “tempo reale” della comunicazione, e cioè l’esigenza – vitale sul piano organizzativo – di scambiare e condividere le in-formazioni da parte della collettività allargata, con un coinvolgimento poten-zialmente senza esclusioni di tutte le componenti universitarie; ma anche la possibilità di una comunità culturale di rappresentarsi a se stessa e all’esterno, potenziando così il volume delle relazioni significative. Non solo “vetrina” e facciata, dunque, ma vera sostanza di quella parte della vita organizzativa più difficile da rendere condivisibile e percepibile dentro e fuori l’istituzione; una sintesi assolutamente realistica del bisogno di informare e comunicare in pre-sa diretta.

Del resto, tutti gli studi e le ricerche più recenti provano che la vocazione informativa e l’enfasi strategica sui valori notizia connessi alla vita quotidiana d’ateneo non hanno mai limitato le Università italiane nel praticare linguaggi di più spiccato impatto spettacolare, giocati su una comunicazione più sedut-tiva, ammiccante, spesso ricca di autentica verve creativa. La componente persuasiva è anzi decisamente crescente: è quanto dimostra l’ormai ampio ri-corso a metafore visive, testimonial d’eccezione e, soprattutto, slogan (utiliz-zati da ben il 54,9% delle Università: cfr. Fig.10). Ancor più diffuse le strate-gie – variamente strutturate - di identità visiva basate sulla gestione comunica-tiva del marchio/logo, che riguardano ormai ben tre atenei su cinque (60,8%).

Ma il cambiamento in atto è anche e soprattutto qualitativo. Sebbene fonda-ta su un’elaborazione ancora solo parziale dei dati rilevati, l’impressione è in-fatti che nella campagna 2002-2003 le headline diano prova di una più spicca-ta capacità di affrancarsi dalla tradizionale retorica pubblicitaria che ha visto a lungo le Università puntare quasi esclusivamente sui valori dell’innovazione/ tradizione24, sull’identificazione con il contesto urbano di insediamento25 e, non ultima, sulla qualità dell’offerta formativa erogata26.

24 Da una parte, lo slancio utopico verso il futuro e le dichiarazioni di apertura al “nuovo” hanno rappre-sentato - a dire il vero, fin troppo a lungo - le principali figure della retorica pubblicitaria promossa sia dagli atenei più giovani, sia da quelle Università intenzionate a riposizionarsi sul mercato con un’immagine più dinamica; dall’altra, il richiamo comunicativo alla memoria e alla tradizione è principalmente teso a consolidare il patrimonio di immagine attraverso la storicizzazione di un ateneo e delle sue attività, specie nel caso delle Università di più antica fondazione (si veda anche: A. Moretti, op. cit.). In particolare, le stra-tegie di storicizzazione trovano un validissimo supporto nella comunicazione per eventi; per il caso del Settecentenario dell’Università “La Sapienza” (nella cui cornice, il 17 maggio 2003 è stata conferita la lau-rea honoris causa allo stesso Pontefice), si veda: M. Morcellini, Buon compleanno Sapienza, “Technology Review”, anno XV, n. 1, 2003, pp. 62-63. Si segnalano anche le attività culturali studentesche presentate sul sito: <http://www.settecentoanni.it>.

25 Soprattutto schiacciamento su temi quali la vivibilità e la qualità della vita nella città di riferimento rappresenterebbe - secondo il giudizio di alcuni analisti - un chiaro esempio di retorica universitaria, se-

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Una “via italiana” alla comunicazione universitaria

Di fatto, la comunicazione delle Università italiane si muove oggi verso o-

rizzonti di strategicità e multimedialità crescenti, avviandosi a diventare un’importante risorsa a disposizione di tutti gli atenei e non più principalmen-te una prerogativa di quelli privati, tradizionalmente più sensibili alla concor-renza e reattivi alle sollecitazioni esterne di “mercato”.

Nonostante sia ancora una volta l’esperienza di altri Paesi a offrire trend avanzati e modelli paradigmatici di sviluppo, il processo di apertura alla co-municazione da parte delle Università italiane - per quanto lento e non sempre supportato da un adeguato background manageriale - sembra già contrasse-gnato da una peculiare vocazione al marketing e alla comunicazione. In que-sto senso, se è certo possibile pronosticare alcuni percorsi di sviluppo sulla base dell’esperienza straniera, qualunque tentativo previsionale sembra dover-si confrontare con la formazione di una cultura della comunicazione peculiare e ancora in progress.

In questo senso, è plausibile e del tutto auspicabile che, nei prossimi anni, le Università italiane contribuiscano alla costruzione di una specifica via alla comunicazione strategica: ciò è possibile attraverso la sperimentazione di lin-guaggi innovativi, capaci di valorizzare - entro una logica propriamente cul-turale e di responsabilità - le occasioni di relazione mirata con i diversi inter-locutori di riferimento presenti nella sfera pubblica. Da questo punto di vista, gli studenti, le famiglie, il mondo delle imprese, la comunità scientifica, le al-tre istituzioni e, non ultimi, i media, rappresentano i principali soggetti porta-tori di interessi reali e potenziali che - a diversi gradi di distanza - gravitano intorno alle diverse realtà universitarie e con cui queste non possono esimersi oggi dal confrontarsi, pena la perdita di prestigio e credibilità nel mare ma-gnum della concorrenzialità crescente.

Non c’è dubbio che, in un’ottica di servizio, il focus del messaggio univer-sitario debba essere anzitutto quello di informare: una funzione che si rivela particolarmente delicata nei confronti degli studenti, che la comunicazione ha il compito di accompagnare e supportare nella loro esperienza formativa e di vita all’interno dell’istituzione. Al tempo stesso, l’esperienza insegna che tutte le categorie di interlocutori possono essere coinvolte con successo attraverso gnaletico di un’adozione solo rudimentale dei registri comunicativi (F. Barbieri, Atenei a caccia di matrico-le, “Il Sole-24 Ore”, 6 settembre 1999).

26 Sul tema della qualità nella performance globale dell’Università, si veda per approfondimenti: F. Te-sta, La Carta dei servizi: uno strumento per la qualità nell’Università, Cedam, Padova, 1996.

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l’allestimento di una nuova comunicazione strategica: in altre parole, una co-municazione che non si limiti a importare acriticamente i modelli stranieri, e neppure a “fare il verso” a quella commerciale o di altri soggetti pubblici, ma che al contrario sappia rivisitarne e integrarne i migliori stimoli all’interno di un modello comunicativo originale, sapientemente border line tra pubblico e privato27. Da questo punto di vista, l’Università italiana è chiamata a sviluppa-re un peculiare orientamento culturale alla comunicazione, teso a valorizzare con convinzione l’unicità dell’istituzione rispetto all’identità di ogni altra or-ganizzazione complessa, sia pubblica che privata, ma anche a evitare effetti puramente imitativi rispetto ad altri contesti culturali; una comunicazione in grado di esaltare soprattutto i registri dell’interattività e della condivisione, piuttosto che la visibilità generalizzata o l’impatto fine a se stesso28.

Da una parte, la comunicazione universitaria è chiamata ad alludere, quasi per definizione, anzitutto a stili di comportamento, aspettative di vita, prospet-tive relazionali tra l’erogatore di servizi di alta formazione e l’utente: risulta pertanto opportuno un approccio “morbido” al marketing e alla pubblicità, ca-pace di innovazione creativa e distinzione rispetto al marketing commerciale. Dall’altra, è necessario promuovere le condizioni per un rapporto realmente proattivo, trasparente e non a senso unico nei confronti delle agenzie culturali, sociali ed economiche del territorio. Solo una giusta attenzione ai contenuti e alla dimensione relazionale può infatti supportare l’adesione - non solo passi-va e inerziale - ad un’autentica cultura della comunicazione, affinché quest’ul-tima diventi uno stile di comportamento pienamente interiorizzato dal sistema e capace di riverberarsi in modo efficace all’esterno, attraverso l’offerta di va-lori tangibili e di identità da parte dell’istituzione.

Siamo probabilmente di fronte ad un cambiamento irreversibile - quasi un punto di rottura - che incalza l’Università italiana e da cui essa uscirà rivolu-zionata. Per questo, assume tanta più rilevanza l’avviamento di una riflessione sistematica sul ruolo giocato dalla comunicazione: la risorsa più decisiva nel promuovere lo scambio dell’istituzione accademica non tanto con una sommatoria crescente di stakeholders, ma con la società civile nella sua interezza, in quello che appare l’orizzonte di un positivo allargamento della

atrice di relazioni con il mondo esterno. A discenderne è l’immagine m 27 S. Pattuglia, “La comunicazione universitaria”, in S. Cherubini (a cura di), Comunicare per compete-

re, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 92-99. 28 Sul fatto che la comunicazione aggressiva e ad effetto non paghi, è assolutamente paradigmatico il ca-

so della campagna pubblicitaria promossa nella scorsa estate dall’Università degli Studi di Macerata: affis-sioni chiaramente progettate per farsi notare, che hanno suscitato imbarazzo e irritazione nell’opinione pubblica, fino alla protesta del Codacons e ad un’impietosa, quanto ironica stroncatura dello scrittore Mar-co Lodoli sulle pagine di “La Repubblica” (M. Lodoli, Volgarità e corna, prove d’ateneo, “La Repubblica – Cronaca di Roma”, 21 luglio 2004, p. 1; si rimanda anche a: F. Alliata Bronner, Spot d’ateneo, il Coda-cons chiede il ritiro, “La Repubblica – Cronaca di Roma””, 22 luglio 2004, p. 1).

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relazioni con il mondo esterno. A discenderne è l’immagine metaforica di una nuova architettura a “rete”, ben emblematizzata dallo straordinario valore che soprattutto le nuove tecnologie - insieme a tutte le forme di interazione diretta - dimostrano di aggiungere, ogni giorno di più, al mix delle comunicazioni u-niversitarie, oltre che ai moderni modelli di produzione e trasmissione del sa-pere nella società della conoscenza.

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58,8%

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quotidianilocali

quotidianinazionali

rivistespecializzate

quotidiani online

stampa estera

Advertising Publicity

Fig. 1 – Il media mix: la stampa* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

5,9%

33,3% 37,3%

80,4%

3,9%11,8%

0102030405060708090

tv nazionali tv locali altre tv (tv satellitari, tvestere)

Advertising Publicity

Fig. 2 – Il media mix: la televisione* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

94

Page 93: Libro boldrini-morcellini.20maggio

19,6%25,5%

62,7%62,7%

3,9% 3,9% 5,9%

01020

30405060

70

radio nazionali radio locali radio on line radio estere

Advertising Publicity

Fig. 3 – Il media mix: la radio* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

39,2%

54,9%

86,3%

33,3%27,5%

82,4%

22%

0

1020

304050

607080

90

brochure giornale/bollettinoperiodico

annuario altro

Fig. 4 – Il media mix: l’editoria universitaria* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

95

Page 94: Libro boldrini-morcellini.20maggio

92,2%

47,1%

90,2% 90,2%

43,1%

78,4%

0102030405060708090

100

Convegni/conferenze Open day e visited’orientamentopresso l’Ateneo

Presentazioni dinovità editoriali

Fig. 5 – Il media mix: gli eventi* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

Quali sono stati i principali destinatari della camapagna 2002-03 (I e II risposta)?

7,9%

29,4%

23,5%

3,8%5,9%5,9%5,9%7,9%9,8%

2% 2%

23,5%

5,9%

66,6%

0

10

20

30

40

50

60

70

Famiglie deglistudenti

potenziali

Mass media Studentiacquisiti

Np Altro(comunità

locale, dip. efacoltà,

istituzioni edenti, ex

alunni…)

II risposta I risposta

Fig. 6 – I destinatari della comunicazione* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

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Page 95: Libro boldrini-morcellini.20maggio

35,3%

27,5%

11,8%9,8%

5,9%3,9% 3,9%

1,9%

5 0

10

15

20

25

30

35

Info

rmar

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edia

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ritor

io

Qual è stato il principale obiettivo della campagna 2002-03 (I risposta)?

Fig. 7 – La hit-parade degli obiettivi strategici base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

97

Page 96: Libro boldrini-morcellini.20maggio

74,5%62,7%

49%43,1%

37,3%11,8%

9,8%5,9%

0 10 20 30 40 50 60 70

Aumento delleimmatricolazioni

Rafforzamentodell’immagine rispetto alla

Riduzione del numero degliabbandoni

Quali sono stati i risultati positivi conseguiti grazie alla campagna 2002-03?

Fig. 8 – L’efficacia della comunicazione* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

37,3%31,4%

52,9%

37,3%

17,8%

0

10

20

30

40

50

60

Newsletterelettronica

Link su altrisiti

Banner sualtri siti

Direct mailing Altro (inviosms, chat,

newsgroup,forum…)

Fig. 9 – Il media mix: Internet* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

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Page 97: Libro boldrini-morcellini.20maggio

54,9%60,8%

31,4%

2%

0

10

20

30

40

50

60

70

Slogan Marchio, logo Visual(immagine/foto,

etc.)

Testimonial

La campagna 2002-03 ha previsto un leit motiv comune a tutte le iniziative?

Fig. 10 – La creatività della comunicazione* (*) item a risposta multipla; base: 51 atenei; Fonte: DiSC – Università “La Sapienza”, 2004.

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La comunicazione nell’Università orientata alle relazioni e alla reputazione di Emanuele Invernizzi e Alessandra Mazzei*

Introduzione

Secondo i più accreditati studiosi di comunicazione organizzativa, di relazio-ni pubbliche e di corporate communication, un importante fattore di successo di lungo periodo delle organizzazioni si fonda sulla coerenza tra le diverse forme di comunicazione, e in particolare sulla coerenza tra queste e le loro azioni ge-stionali e strategiche. E, a ben vedere, la stessa importanza che ha assunto la comunicazione per il governo e la gestione delle organizzazioni complesse, per la qualità di prodotti e servizi e per le relazioni coi mercati, deriva proprio dalla coerenza tra ciò che si comunica e ciò che si fa.

Finché la comunicazione si occupava solo di propaganda e di immagine era confinata negli uffici che gestivano la pubblicità e le relazioni con la stampa. Oggi la comunicazione è diventata, o sta diventando, una componente struttura-le in tutti i processi decisionali e produttivi delle organizzazioni complesse e vede moltiplicare le sue specializzazioni. Il responsabile della comunicazione contribuisce a definire le strategie aziendali e la comunicazione viene impiegata per coinvolgere i dipendenti, i collaboratori e i clienti e per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi.

Tutto ciò succede, e comunque ha effetti positivi e duraturi, quando la comu-nicazione corrisponde alle azioni e anche ai principi che guidano quelle stesse azioni. Gli esempi positivi, di organizzazioni che hanno fondato il loro successo sulla coerenza tra comunicazione e azioni guidate da principi etici, non manca-no anche tra quelle che hanno solo finalità commerciali.

* Il paragrafo 1 è stato scritto da Emanuele Invernizzi; i paragrafi 2, 3 e 4 sono stati scritti da Alessan-

dra Mazzei.

101

Page 100: Libro boldrini-morcellini.20maggio

Infatti da un’indagine appena conclusa1, svolta nelle grandi imprese private e pubbliche italiane, emergono risultati interessanti e addirittura sorprendenti se confrontati con quelli di precedenti ricerche. La grande novità è che esiste una Direzione comunicazione nella maggioranza delle grandi imprese italiane. Di-rezione che può trovarsi in staff o in line, ma comunque è sempre collocata alle dirette dipendenze dell’Amministratore delegato. Il Direttore della comunica-zione entra così a far parte della Direzione strategica delle grandi imprese.

Da questi cambiamenti consegue che il ruolo della comunicazione assume un peso specifico decisamente maggiore sia nella definizione delle strategie e delle politiche dell’impresa sia nelle sue diverse fasi gestionali. Naturalmente ne con-segue anche che alle attività più tradizionali, come le relazioni con i media e l’organizzazione di eventi, si affiancano nuove specializzazioni.

Alcune vengono istituite all’interno della Direzione comunicazione, come per esempio quelle della Comunicazione di crisi e della Comunicazione della Corporate Social Responsibility. Altre presso le Direzioni con le quali hanno maggiori affinità di contenuto: tipico è il caso della funzione Investor Relations o Comunicazione finanziaria che viene creata nella Direzione Finanza e Con-trollo.

La costituzione della Direzione comunicazione comporta dunque nelle grandi imprese alcuni rilevanti cambiamenti qualitativi e quantitativi. Un più ampio ventaglio di obiettivi strategici e gestionali che determina maggiori responsabilità; più numerose funzioni specialistiche sia interne sia esterne alla Direzione comunicazione; un maggior numero di professionisti da gestire e, in particolare, nuove esigenze di governo e quindi di coordinamento strategico e op

erativo. Se questo è il panorama dei cambiamenti in corso nelle grandi imprese italia-ne, sia private sia pubbliche, cosa succede nelle Università? Possiamo affermare che cambiamenti analoghi nella comunicazione sono in corso anche nelle Uni-versità italiane?

La ricerca presentata in questo articolo evidenzia che nelle Università italiane la comunicazione è perlopiù orientata alla pubblicità istituzionale volta a far co-noscere e a migliorare la propria immagine. Anche se diverse Università dedi-cano buona parte della loro pubblicità a far conoscere i servizi offerti e il loro livello qualitativo. L’obiettivo prioritario è quello di accrescere la propria noto-rietà e di attrarre studenti: naturale, se si pensa al livello di concorrenzialità tra le Università che la riforma universitaria ha attivato.

In che misura questo obiettivo viene perseguito dalle Università attraverso

1 E. Invernizzi, “Relazioni pubbliche e Corporate Communication: evoluzione del ruolo organizzativo e professionale”, Relazione al Convegno 10anniRP: tra il dire e il fare, Università IULM, Milano, 29 marzo 2004.

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Page 101: Libro boldrini-morcellini.20maggio

azioni strategiche e iniziative di comunicazione volte a sviluppare, oltre all’immagine, la reputazione delle Università stesse? Dai risultati della ricerca qui presentata emergono realtà eccellenti di Università che fondano le loro stra-tegie di mercato e di gestione su un approccio strutturato che prende le mosse dalla qualità dell’offerta di servizi formativi e di importanti servizi collaterali.

Realtà che basano la qualità della loro offerta su concreti fattori ed elementi strutturali, dalle competenze dei docenti alle strutture fisiche. Realtà che presta-no grande importanza alla soddisfazione degli studenti iscritti, quindi alla quali-tà della docenza e dei corsi, al supporto di attività di stage e di percorsi all’estero. Inoltre alla collocazione dei laureati attraverso servizi di placement e a offerte di formazione postgraduate ai laureati.

Dall’indagine risultano tra le Università eccellenti modalità di comunicazione che mirano a sviluppare il senso di appartenenza non solo degli studenti, ma an-che dei docenti e del personale amministrativo. Senso di appartenenza che diffi-cilmente può svilupparsi se non si fonda anche su elementi concreti e caratteri-stiche positive delle Università. Si tratta quindi di comunicazione di reali fatti positivi e dunque di comunicazione per la reputazione.

Risulta dunque un interessante e variegato panorama delle Università italiane impegnate a migliorare l’offerta di servizi e a comunicare il cambiamento. Pa-norama multiforme dove tuttavia le ombre si alternano alle luci e a volte le pri-me prevalgono. In particolare nello sforzo di affermare quel modello di Univer-sità azienda e che potrebbe rappresentare un punto di riferimento per le Univer-sità che vogliono crescere migliorando la qualità dei servizi e aumentanto la soddisfazione dei suoi stakeholder.

In effetti il concetto di Università azienda è aborrito da molti, in particolare da chi (Martinotti, 2003) l’intende come la fabbrica del dopoguerra dove il pa-drone licenzia o elargisce premi, o punizioni, a suo piacimento. Diverso è se si intende l’Università-azienda come organizzazione di professionisti nella quale il successo si raggiunge coinvolgendo le persone, facendole crescere e motivandole con modalità più vicine allo sviluppo del senso di appartenenza e dello spirito di gruppo che alla paura del licenziamento.

Anche nelle organizzazioni non profit si è capito che solo una gestione ma-nageriale, basata sui principi aziendali, può consentire loro di raggiungere gli obiettivi che si propongono. Esempi come quello dell’associazione Sodalitas, che mette a disposizione delle organizzazioni non profit il lavoro di manager provenienti da imprese, lo testimoniano.

Il fatto è che l’analogia Università-azienda regge in quanto le aziende, come le Università e come tutte le organizzazioni complesse, hanno successo solo se sono governate con criteri e modalità gestionali che consentano di coinvolgere e motivare le persone intorno a strategie e a valori guida etici. E mi pare che

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Page 102: Libro boldrini-morcellini.20maggio

dall’indagine emergono sufficienti risultati per poter sostenere la validità di questa tesi che pare davvero importante per lo sviluppo futuro delle Università. La ricerca: ipotesi e metodo

La ricerca “L’Università verso il mercato: la comunicazione a supporto del marketing e del miglioramento dei servizi”è stata svolta tra il 2001 e il 2003 presso l’Istituto di Economia e Marketing dell’Università IULM2. L’obiettivo è stato quello di comprendere le specificità dell’impiego del marketing e della comunicazione nelle Università italiane e testarne lo stadio di sviluppo negli ul-timi anni.

La prima fase del progetto è stata l’elaborazione di ipotesi relative al modello di Università che si sta affermando e alla connessa evoluzione del marketing e della comunicazione3. Il modello di Università che si profila è caratterizzato da orientamento a soddisfare le esigenze di una pluralità di partner e di stakeholder e dalla ricerca di efficienza ed efficacia nell’impiego di risorse. Per questo esso è stato definito come un modello di Università azienda (Strassoldo, 2001; Maz-zei, 2000; Baccarani, 1999).

Nel contesto dell’Università azienda il marketing ha l’obiettivo principale di costruire e mantenere relazioni di lungo periodo e la comunicazione è una leva per migliorare la qualità dei servizi offerti, per sviluppare le risorse di reputa-zione e di fiducia, per attrarre nuovi studenti e risorse finanziarie (Mazzei, 2000).

La seconda fase del progetto è stata quella di verificare le ipotesi formulate attraverso una ricerca empirica qualitativa e quantitativa. La ricerca quantitativa è consistita in una survey su tutti gli atenei italiani. In parallelo è stata svolta la ricerca qualitativa con degli studi di caso in Italia e all’estero al fine di comple-tare le informazioni raccolte e di interpretare i risultati della ricerca quantitativa.

Nelle pagine che seguono, dopo una breve nota metodologica necessaria a comprendere l’impostazione della ricerca e a valutare la consistenza dei risulta-ti, verranno presentati i principali risultati emersi4.

Le ipotesi della ricerca possono essere riassunte in tre principali. La prima ipotesi della ricerca è stata che nelle Università la comunicazione si sta istitu-

2 La ricerca è stata diretta dal professor Emanuele Invernizzi. Essa ha beneficiato dei finanziamenti della

Fondazione Cariplo. 3 La formulazione delle ipotesi è scaturita da un’analisi della letteratura internazionale sul tema i cui ri-

sultati sono contenuti nel volume di Alessandra Mazzei, La comunicazione per il marketing delle Universi-tà, Franco Angeli, 2000.

4 Un resoconto dettagliato dei risultati è riportato in Alessandra Mazzei, Comunicazione e reputazione nelle Università, Franco Angeli, Milano, 2004.

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Page 103: Libro boldrini-morcellini.20maggio

zionalizzando. Ciò vuol dire che la comunicazione si sta trasformando da attivi-tà svolta in modo sporadico da persone con incarichi predominanti di tipo diver-so e all’interno di varie funzioni, in attività riconosciuta e svolta in una funzione organizzativa ad hoc. Essa entra a far parte in modo strutturato e formalizzato nella struttura delle Università attraverso una o più unità organizzative con competenze specialistiche appositamente costituite, come a suo tempo è avve-nuto per la comunicazione nelle imprese private manifatturiere e di servizi (In-vernizzi, 2000 e 1996; Romano, Felicioli, 1992).

Gli indicatori empirici impiegati a tale proposito sono: la costituzione di unità organizzative specialistiche, la denominazione degli uffici dedicati alla comuni-cazione, l’andamento degli investimenti in comunicazione, il ricorso a consu-lenti esterni che possano supportare il successo delle iniziative di comunicazio-ne con competenze specialistiche.

La seconda ipotesi della ricerca è che la comunicazione integri molteplici fi-nalità di comunicazione e strumenti e che questi ultimi siano in prevalenza di tipo interattivo. Si tratta di una comunicazione con ampie finalità: di comunica-zione interna, di marketing e istituzionale. Infatti l’Università azienda gestisce relazioni con una molteplicità di interlocutori e attraverso questo processo age-vola le condizioni per creare le risorse più preziose per il suo successo duraturo.

Per rilevare le finalità della comunicazione, esse sono state declinate in obiet-tivi specifici. La comunicazione interna è stata specificata con gli obiettivi di diffondere informazioni sui servizi, di coinvolgere il personale e gli studenti, di ascoltare i clienti interni. La comunicazione di marketing è stata declinata negli obiettivi di aumentare il numero di iscritti, di raccogliere fondi, di fidelizzare gli studenti, di intrattenere relazioni con le imprese, di ascoltare i clienti esterni. La comunicazione istituzionale/relazioni pubbliche è stata ricondotta agli obiettivi di far conoscere l’Università, di aumentarne il prestigio e la fama, di intrattenere relazioni con le istituzioni.

Tale ampio ventaglio di finalità è integrato per massimizzare le sinergie e il valore prodotto. Le finalità di comunicazione da perseguire orientano la scelta degli strumenti, che sono di diversa natura e in prevalenza interattivi e persona-lizzati, data l’alta intensità relazionale ed esperienziale del servizio universita-rio.

Gli indicatori impiegati nella ricerca per valutare il grado di integrazione del-la comunicazione sono l’esistenza di un ente unico di comunicazione, di uno o più comitati o di scambi tramite incontri. L’esistenza di modalità di integrazione di tipo istituzionale, cioè tramite un’unica unità organizzativa per tutta la comu-nicazione o comitati, è nelle ipotesi della ricerca indice di un elevato sviluppo della comunicazione.

La terza ipotesi della ricerca afferma che lo sviluppo della comunicazione

105

Page 104: Libro boldrini-morcellini.20maggio

nelle Università deve essere governato attraverso il presidio diretto del vertice accademico e l’impiego di metodi di gestione di tipo manageriale.

Con presidio strategico s’intende il coinvolgimento del top management nella definizione delle strategie di comunicazione e la collocazione a livelli gerarchici elevati della scala organizzativa dell’ente, o degli enti, preposti alla comunica-zione (Invernizzi, 2000). Il presidio strategico della comunicazione è un ele-mento che assicura che la comunicazione sia legata alle strategie dell’organiz-zazione e ne supporti la realizzazione.

La gestione manageriale vuol dire che la comunicazione viene svolta sulla base di indagini conoscitive, di una pianificazione della comunicazione e della valutazione dei risultati raggiunti. L’impiego di metodi manageriali per gestire la comunicazione indica che essa ha raggiunto un notevole livello di sviluppo e che le viene riconosciuto il ruolo strategico di contribuire al successo dell’Università. In virtù di questa consapevolezza la comunicazione viene gesti-ta secondo il classico ciclo manageriale di ricerca preliminare, pianificazione, realizzazione e valutazione dei risultati conseguiti.

Gli indicatori impiegati nella ricerca per verificare l’ipotesi sul governo stra-tegico sono: il grado di coinvolgimento del vertice accademico nella gestione della comunicazione; la definizione e l’esplicitazione della missione, dei valori guida e della strategia di comunicazione perché in esse si esplicita il pensiero dell’organo di governo dell’Università; l’impiego di metodi manageriali quali il piano di comunicazione e il monitoraggio dei risultati.

Le ipotesi sulle finalità della comunicazione, sull’assetto organizzativo e sui metodi manageriali, sono state indagate attraverso l’analisi quantitativa e quella qualitativa.

La survey sulle Università italiane

La survey ha coinvolto tutti gli atenei italiani esistenti nell’ottobre 2001 e ha ri-sposto il 94,6% degli atenei, assicurando un’ottima rappresentatività del campio-ne. Hanno risposto 58 atenei pubblici e 10 privati, distribuiti su tutto il territorio nazionale. Il più piccolo degli atenei ha 100 iscritti, e il più grande 180.000, la dimensione media è di 23.981 iscritti.

Le variabili esplicative impiegate per interpretare i dati sono state il tipo di strategia adottata dalle Università, le dimensioni e l’area geografica. Per quanto riguarda la strategia, alle Università è stato chiesto di indicare se essi adottano una strategia proattiva, cioè volta a innovare e creare opportunità di sviluppo; reatti-va, cioè orientata a reagire agli stimoli ambientali; adattiva/di mantenimento, cioè incline ad adattarsi alle richieste emergenti e a conservare lo status quo.

106

Page 105: Libro boldrini-morcellini.20maggio

Il tipo di strategia che le Università dichiarano di adottare è un elemento mol-to importante perché identifica quelle Università che, grazie a una strategia pro-attiva, anticipano e interpretano il cambiamento per creare nuove opportunità di sviluppo. Le tendenze che caratterizzano le Università proattive sono quelle che si stanno rivelando di maggiore efficacia e quindi si presume che indichino i trend di sviluppo prossimi.

Gli studi di caso

Gli studi di caso svolti sono stati avviati parallelamente alla survey e prose-guiti dopo la sua conclusione. I casi studiati sono l’Università della Calabria, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Università di Siena, l’Università di Ve-rona, la Frei Universität Berlin, la Miami University, l’Università della Svizzera Italiana.

La parte qualitativa della ricerca ha l’obiettivo di spiegare le ragioni dello sviluppo della comunicazione e di approfondirne le modalità. Le Università studiate sono tra quelle che hanno realizzato programmi di comunicazione più ricchi e interessanti fino a oggi. Dalla Errore. L'origine riferimento non è sta-ta trovata. emerge che il mix dei casi studiati è arricchito dalla presenza di e-sperienze eterogenee da diversi punti di vista: atenei grandi e piccoli, antichi e molto giovani, di tutta Italia, di diversi paesi del mondo. L’eterogeneità consen-te di verificare in che misura le tendenze osservate siano analoghe oppure di-vergenti in contesti diversi. Tabella 1 - I casi studiati

Università N° iscritti N° Facoltà Anno di fon-dazione

Sede principale

Università della Calabria

30.000 6 1972 Cosenza, Sud Italia

Università Cattolica del Sacro Cuore

42.000 14 1921 Roma e Milano

Università di Siena

20.000 9 1240 Siena, Centro Italia

Università di Verona

21.000 14 1959 Verona, Nord Italia

Frei Universität Berlin

42.500 12 1948 Berlino, Germania

Miami University

18.800 5 College 1809 Oxford, Michigan

Università della Svizzera Ita-liana

1.500 3 1996 Lugano, Svizzera

107

Page 106: Libro boldrini-morcellini.20maggio

I risultati: comunicare per le relazioni e per la reputazione

L’analisi dei risultati quantitativi e qualitativi ha messo in evidenza alcune tendenze che vengono discusse nelle pagine che seguono. Per ciascuna ten-denza vengono richiamati sia i risultati della survey sia gli esempi dagli studi di caso.

La funzione di comunicazione si è istituzionalizzata

La survey sulle Università italiane ha confermato la tendenza a costituire delle unità organizzative dedicate alla comunicazione istituzionale, a quella di marketing e a quella interna. Ciò è accaduto a ritmi sostenuti dal 1996 in poi, arco di tempo nel quale è stato formalizzato il 65% delle unità organizzative dedicate alla comunicazione e il 24,7% dal 2000 in poi. La comunicazione sta acquistando uno spazio istituzionale specifico nella struttura organizzativa delle Università italiane di recente e a ritmi piuttosto elevati. Il consolidamento organizzativo si è verificato soprattutto per la comunicazione istituzionale, dedicata ad aumentare il prestigio e la notorietà, come indica il fatto che questa attività di comunicazione trova nell’organigramma una denominazione molto omogenea.

Si può ipotizzare che la tendenza a istituzionalizzare la funzione di comuni-cazione avrà un ulteriore sviluppo anche perché influenzata all’applicazione delle legge 150/2000, che prevede la costituzione dell’Ufficio Relazioni con il pubblico.

L’istituzionalizzazione è sottolineata anche dagli investimenti in forte cre-scita: nell’81,1% delle Università il budget dedicato alla comunicazione per il 2001 rispetto a quello del 2000 è aumentato. Addirittura nel 27,6% dei casi l’incremento è stato superiore al 30%. Inoltre le Università più proattive in-crementano il budget nell’89,5% dei casi contro il 75% delle Università con strategia reattiva (figura 1). Sono dunque le Università che guidano il proces-so di diffusione della comunicazione nelle Università italiane quelle che ten-dono a investire di più in comunicazione.

Anche il ricorso a consulenti esterni, le cui competenze sono indispensabili per sostenere un tasso di sviluppo così alto, è molto significativo. Vi ricorre il 48,5% delle Università comprese nel campione. Tra queste la percentuale sale al 57% se si considerano solo le Università con strategia proattiva contro il 20% delle Università con strategia reattiva. Il forte ricorso a consulenti esterni può essere interpretato come l’orientamento proattivo ad apprendere nuove competenze.

108

Page 107: Libro boldrini-morcellini.20maggio

10,525

57,1

89,575

42,9

diminuito o stabile aumentato

Per tipo di strategia

proattiva reattiva adattiva - mantenimento

Fig. 1 - Variazioni del budget in comunicazione per tipo di strategia (dati percentuali)

I casi studiati hanno evidenziato una forte istituzionalizzazione, anche per-ché si tratta di Università che si sono mosse tra le prime sul fronte della co-municazione. L’Università della Calabria (Unical) ha docenti delegati dal Ret-tore per il marketing, per l’orientamento in entrata, per quello in itinere e per quello in uscita. Inoltre ha un Ufficio Marketing e un Ufficio Stampa. In pro-spettiva l’istituzionalizzazione sarà più forte poiché verrà costituita un’Area Comunicazione per integrare tutte le attività oggi esistenti.

L’Università di Siena ha un Centro Comunicazione e Marketing articolato al suo interno in Aree: Ufficio stampa, Comunicazione online, Liaison Office, Congressi, Produzione culturale, Front Office, Marketing. Queste ultime ope-rano in un’ottica di lavoro per processi e per team, sia interni alle Aree sia tra-sversali alle stesse. Il responsabile del Centro definisce le linee strategiche della comunicazione e coordina tutta l’attività. Il coordinamento è assicurato anche da incontri fra i responsabili di Area, da piani di lavoro semestrali, da riunioni allargate a tutti gli operatori del Centro, da modalità di condivisione delle conoscenze.

L’Università di Verona ha gradualmente consolidato una struttura centrale, l’Ufficio Comunicazione, con il compito di progettare e coordinare le iniziati-ve di comunicazione realizzate da una pluralità di unità organizzative. Queste ultime operano secondo un modello organizzativo a matrice e per processi.

La Miami University ha un Department of Communication in staff al presi-dente che coordina l’attività di comunicazione e svolge la comunicazione stra-tegica. Inoltre due divisioni curano rispettivamente la comunicazione per at-

109

Page 108: Libro boldrini-morcellini.20maggio

trarre nuovi studenti e per assicurare la qualità dei servizi nel Campus e la comunicazione per il fundraising. Al loro interno il dipartimento e le due divi-sioni sono ulteriormente articolati secondo una logica di specializzazione fun-zionale.

L’Università della Svizzera Italiana (USI) ha istituzionalizzato la comuni-cazione progressivamente, in armonia con il proprio sviluppo. Inizialmente le Facoltà comunicavano in modo quasi indipendente. In seguito i servizi di co-municazione sono stati centralizzati in sei unità organizzative: Comunicazione e Media, Orientamento, Ricerca, Stage e Placement, Alumni Relations e Web. La centralizzazione delle attività di comunicazione è scaturita dalla volontà di presentare l’USI come un'unica entità organizzativa dotata di proprie risorse e non come la somma delle singole Facoltà. In sostanza la scelta non è stata so-lo quella di integrare diverse attività di comunicazione bensì quella di svilup-pare una comunicazione unitaria e consapevole, con valenza strategica.

I casi studiati mostrano soluzioni organizzative policentriche che gravitano intorno a un’unità con funzioni di coordinamento e presidio. La Miami University ha una configurazione funzionale con unità in staff e altre in linea gerarchica. L’Università di Siena, l’Università di Verona e l’USI hanno strut-ture più flessibili e reticolari. L’Unical ha una struttura basata su docenti dele-gati dal Rettore per attività di marketing e di comunicazione e sulla presenza di due uffici, Marketing e Stampa, che sta evolvendo verso un modello più in-tegrato.

In sintesi emerge che la comunicazione fa il suo ingresso nell’organi-gramma dell’Università. L’esistenza di una o più unità organizzative ad hoc per la comunicazione implica che essa diventi un’attività permanente dell’Università e non più una leva da impiegare per esigenze contingenti. Inol-tre alla comunicazione vengono dedicate risorse a tempo pieno e anche in ba-se a piani di sviluppo futuro attraverso uno specifico budget. Infine l’istituzionalizzazione implica l’accumulazione di competenze e la creazione di nuovi gruppi professionali interni all’Università. L’istituzionalizzazione è la base per i futuri sviluppi della comunicazione. Le finalità della comunicazione sono ampie e integrate

I risultati della ricerca sulle finalità della comunicazione indicano che tutte le finalità di comunicazione, interna, esterna e di marketing, sono presenti nel-le Università italiane. La survey ha rilevato che per le Università italiane gli obiettivi di comunicazione più importanti, in ordine di priorità, sono: far co-noscere l’Università (93,5%), accrescerne il prestigio (83,6%), aumentare gli

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Page 109: Libro boldrini-morcellini.20maggio

iscritti (80,4%), diffondere informazioni all’interno (80%), sviluppare le rela-zioni con le istituzioni (79%) e con le imprese (77,8%). A significativa distan-za si posizionano per importanza gli obiettivi di fidelizzare gli studenti (62,7%) e ascoltare i clienti esterni (63%).

La risorsa di reputazione è dunque quella più preziosa, se è prioritaria in un momento in cui la competizione per attrarre studenti è fortissima. Anzi, è pro-prio questa il fattore per attrarre nuovi e più motivati studenti. Non pare venga considerata in modo adeguato la comunicazione per mantenere le relazioni di fiducia con studenti ed ex alunni.

Un’ottica strategica dovrebbe portare l’Università azienda a impiegare la comunicazione di marketing per creare relazioni privilegiate e di fiducia con gli studenti attuali, con gli ex-alunni e con tutti gli stakeholder per attivare processi di generazione delle risorse immateriali. Considerando il campione nel suo complesso, tra gli obiettivi di comunicazione riconducibili all’attività di marketing, prevale l’impiego della comunicazione per raggiungere gli o-biettivi immediati di aumento degli iscritti e di migliori relazioni con le im-prese.

I risultati cambiano quando si incrociano i dati dell'importanza attribuita ai diversi obiettivi della comunicazione di marketing con la strategia competitiva adottata. Nella figura 2 sono state riportate le risposte “alta e altissima impor-tanza” dei singoli obiettivi di comunicazione di marketing incrociate con il tipo di strategia adottata.

La figura 2 mostra che l’obiettivo di aumentare gli iscritti è molto impor-tante per tutte le Università, a prescindere dal tipo di strategia poiché si tratta evidentemente di un’esigenza ineliminabile per tutte. L’obiettivo di raccoglie-re fondi non è di importanza molto elevata per nessuna categoria di Universi-tà, ma comunque è più significativo per quelle con strategia proattiva.

L’obiettivo di fidelizzare gli studenti ha un’importanza crescente con il passare dalla strategia adattiva-di mantenimento a quella reattiva e a quella proattiva, fino a quasi triplicare. Anche gli obiettivi di sviluppare relazioni con le imprese e di ascoltare i clienti esterni diventano più importanti per le Università con strategia proattiva. Esiste dunque una correlazione fra gli o-biettivi di comunicazione più riconducibili a un’ottica di marketing relaziona-le e il tipo di strategia delle Università.

Mentre l’insieme delle Università impiega la comunicazione in prevalenza al fine di aumentare gli iscritti e sviluppare relazioni con le imprese, cioè con i clienti più immediati, le Università proattive si distinguono perché sono orien-tate a comunicare per costruire reti di comunicazione e di relazioni.

111

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0

20

40

60

80

100

StrategiaAdattiva-

mantenimento

Strategia Reattiva StrategiaProattiva

Aumentare gli iscritti

Sviluppare relazioni conle imprese

Ascoltare i clienti esterni

Raccogliere fondi

Fidelizzare gli studenti

Fig. 2 - Alta importanza degli obiettivi di comunicazione di marketing per tipo di strategia (dati percentuali)

Per quanto concerne la comunicazione interna, la survey indica che prevale quel-la per informare. La comunicazione per il coinvolgimento e per l’ascolto sono me-no diffuse e ritenute ancor meno importanti. Nelle Università proattive la comuni-cazione interna rivolta agli studenti è molto importante, come dimostra lo sviluppo dei programmi di fidelizzazione rivolti agli iscritti. Poco sviluppata appare invece la comunicazione interna rivolta ai docenti e ai collaboratori non docenti.

La Miami University è uno dei pochi casi ad avere un sistema di comunicazio-ne a cascata per divulgare le informazioni all’interno dell’organizzazione per e-sempio tramite alcune newsletter e la intranet. Per l’Università di Verona il senso di appartenenza dei docenti e del personale amministrativo ha rappresentato un elemento di successo delle campagne per l’immatricolazione. In questo ateneo lo sviluppo della comunicazione interna è uno dei principali fronti di sviluppo pros-simi, al fine di costruire un armonico sistema di comunicazione interno-esterno.

Quanto finora richiamato mostra che le Università stanno sperimentando uno sviluppo vertiginoso della comunicazione. Eppure, l’analisi delle finalità della comunicazione ha rilevato che i rispondenti alla survey ritengono che la comuni-cazione istituzionale, interna e di marketing sono più diffuse di quanto essi riten-gano necessario. Questo dato induce a pensare che parte dello sviluppo della co-municazione sia legato all’imitazione dei concorrenti e non a una vera consapevo-lezza delle sue potenzialità. La comunicazione non scaturisce interamente da un cambiamento della cultura e dell’orientamento di fondo delle Università.

Tale dato però non trova riscontro negli studi di caso italiani. Questi indicano che i programmi di comunicazione sono stati avviati perché il management ha vo-

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luto tale innovazione e/o perché le strategie di sviluppo ne hanno creato il biso-gno. Nei casi stranieri la consapevolezza dell’importanza della comunicazione è ancora più marcata. Nella Miami University la comunicazione è impiegata in modo strutturato a supporto delle principali finalità strategiche da decenni. All’USI la comunicazione è stata ritenuta fin dalla fondazione una leva chiave per creare il patrimonio di reputazione.

La comunicazione interattiva è quella più diffusa nelle Università italiane, per l’elevato grado di impatto emozionale e di coinvolgimento che la caratterizza. Ciò è coerente con le necessità di supportare un processo decisionale complesso come quello del corso di laurea, di coinvolgere e fidelizzare gli studenti, di rafforzare la rete di cooperazione con tutti gli interlocutori. La comunicazione è una leva per sviluppare la risorsa reputazione

Come è stato ricordato sopra, la survey ha indicato che la finalità di comunica-zione per sviluppare la risorsa reputazione è quella prevalente. I casi confermano tale tendenza e inoltre fanno emergere che le diverse finalità di comunicazione sono molto interdipendenti tra di loro.

La risorsa reputazione è l’obiettivo prioritario degli atenei più giovani, Unical e USI. L’Unical ha una politica di marketing e di comunicazione che mira a tradur-re gli elementi distintivi - la sua missione di attivatore di capitale umano e l’essere un’Università residenziale dotata di un campus - in risorse di reputazione. L’USI ha creato in breve tempo una forte reputazione anche se è partita da zero e ha do-vuto superare alcuni pregiudizi. Il Canton Ticino era infatti percepito dal resto della Svizzera come un contesto privo di tradizione accademica e come luogo di vacanza. L’USI ha potuto beneficiare di una percezione di affidabilità e di serietà da parte dell’Italia.

Il processo di costruzione della reputazione dell’USI si è basato su alcuni aspetti: la valorizzazione della posizione geografica al centro dell’Europa per pre-sentare la nuova Università come contesto di collegamento fra culture diverse; l’amplificazione della reputazione individuale dei vertici dell’organizzazione; il network di docenti e studiosi chiamati a collaborare; le reti di promozione istitu-zionali come gli enti svizzeri per l’orientamento allo studio; l’offerta di servizi al-la comunità allargata oltre che agli interlocutori diretti; l’attività di conferenze e convegni; le riviste scientifiche; l’ospitalità a visiting professor; il conferimento di lauree honoris causa.

La reputazione è anche alla base delle scelte strategiche di comunicazione in Cattolica, che attorno all’identità e alla missione ha fatto gravitare le campagne di posizionamento e quelle per promuovere le iscrizioni. Le attività di relazioni con i

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media sono focalizzate a promuovere la cultura e l’autorevolezza dell’Università Cattolica, per esempio mettendo a disposizione dei giornalisti un data base per individuare i docenti delle diverse discipline che possono essere interpellati in quanto esperti su temi di attualità.

La comunicazione istituzionale ha mirato a colmare la distanza fra percezione interna ed esterna con un posizionamento incentrato sui valori distintivi della Cat-tolica e sulla sua vocazione a sviluppare il libero pensiero. Anche le campagne di informazione in occasione dell’introduzione della riforma sono state coerenti con la logica della comunicazione basata sulla forza del brand attraverso il tono alto dei claim, la scelta di immagini ricercate e d’autore, la continuità tematica con la campagna istituzionale. La forza della creatività è riuscita a dare un tono alto e istituzionale a un contenuto di tipo informativo. La fidelizzazione degli studenti è cruciale nelle Università più proattive

Dopo la comunicazione per la reputazione, la più importante finalità di comu-

nicazione messa in luce dai casi studiati è la fidelizzazione degli studenti. Questa richiede un processo che inizia fin dal momento dell’orientamento degli studenti delle scuole superiori, prosegue con l’accoglienza delle matricole, accompagna lo studente durante il percorso universitario, si conclude con l’inserimento del laure-ato nel mondo professionale e col supporto durante lo sviluppo di carriera. Il ciclo della relazione con lo studente abbraccia un periodo che va ben al di là degli anni di studio come è chiarito dalla strategia dell’Unical che ha articolato perfino la sua organizzazione in orientamento in entrata, in itinere e in uscita.

L’Università di Verona ha tra le sue linee guida quella di facilitare e stimolare la partecipazione degli studenti alla vita universitaria. A tale scopo sono presenti servizi di supporto quali il counseling psicologico e iniziative di comunicazione che vedono protagonisti gli alunni. Inoltre gli studenti trovano spazio per esprime-re le proprie idee, come per esempio l’Ufficio di comunicazione che è una sorta di laboratorio di sperimentazione per gli studenti di Scienze della comunicazione.

L’USI affida la fidelizzazione degli studenti a tre iniziative: il programma Am-bassador con il quale gli studenti iscritti si recano nel loro liceo di provenienza a presentare l’USI ai potenziali loro colleghi; la realizzazione di tesi che coinvolgo-no gli studenti su temi di ricerca rilevanti per la stessa Università come il marke-ting e la comunicazione; la gestione delle relazioni con gli ex alunni ai quali è of-ferto un servizio di collocamento e di consulenza professionale. La forte identifi-cazione degli allievi è testimoniata anche dal fatto che su 600 laureati 52 collabo-rano con l’USI nelle attività di didattica, di ricerca e di gestione.

La Miami University coinvolge gli studenti in varie iniziative di comunicazio-

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ne rivolte a promuovere le nuove iscrizioni e ad accogliere le matricole. Molto articolato è il programma di gestione delle relazioni con gli ex alunni con l’o-biettivo di costruire una rete di fonti di finanziamento affidabile e duratura nel tempo.

La Frei Universität Berlin coinvolge gli studenti iscritti come partner nel pro-cesso di orientamento e promozione verso i potenziali studenti, di tutoraggio per gli studenti più giovani e nel processo di apprendimento con un piano di seminari preparati dagli stessi studenti. Gli ex alunni diventano sponsor dei nuovi studenti facendo loro da tutor durante periodi di stage e offrendo borse di studio. Si tratta principalmente di una rete di relazioni con gli ex alunni orientata a scambi profes-sionali.

Il coinvolgimento degli studenti è molto curato anche all’Università di Siena che mira a costruire una communitas tra e con gli studenti. A tal fine viene curata la completezza dell’offerta formativa e dei servizi che migliorano la qualità della vita degli studenti.

Per fidelizzare gli studenti il processo di formazione viene sempre più esteso al di fuori dell’aula e comprende momenti di vita nel Campus, attività culturali, sportive, spirituali, sociali. Le Università che dispongono di un Campus - Unical e Miami University - ne sviluppano in tal senso i servizi. Quelle che ne sono sprov-viste curano l’integrazione con le attività cittadine e si fanno promotrici di nume-rosi contesti di vita. La FUB promuove momenti per coltivare gli hobby e i talenti dei suoi studenti sostenendo le orchestre nelle quali questi suonano. L’Unical o-spita compagnie teatrali costituite da studenti. All’Università di Verona gli stu-denti animano programmi radiofonici, televisivi e pagine web nell’ambito del progetto “Fuori aula”. Tutti gli atenei promuovono iniziative culturali di cui gli studenti possono essere partecipanti o spettatori proprio per l’integrazione fra contesto di studio, contesto di vita e di impiego del tempo libero.

L’importanza delle reti di relazioni è sottolineata dal caso dell’Università di Siena che sta sperimentando una logica di comunicazione che si rivolge ai diversi interlocutori sia per parlare con loro direttamente, sia per attivarli a essere cassa di risonanza dei messaggi nelle loro reti di relazioni. Gli interlocutori sono allo stes-so tempo riceventi e fonti della comunicazione.

L’Università di Verona valorizza le relazioni di fiducia in primo luogo attra-verso lo sviluppo della partecipazione degli studenti e il miglioramento della qua-lità della vita universitaria. In secondo luogo attraverso i contenuti della comuni-cazione che di recente è stata centrata sull’evento “Estate universitaria veronese”. L’evento vuole essere un momento di interazione con la città, di costruzione di un contesto di sviluppo relazionale per gli studenti, di coinvolgimento dei docenti e del personale amministrativo.

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La comunicazione verso i potenziali studenti si ispira al ciclo della relazione con loro

La comunicazione di marketing per attrarre nuovi studenti è presente in tutte le

Università italiane studiate, anche perché esse hanno gestito il periodo della tran-sizione al nuovo ordinamento e il rischio che diminuissero le iscrizioni. A tale ri-guardo l’Unical ha armonizzato le iniziative di comunicazione in un flusso nel quale ciascuna innesca e trascina le altre. Il Piano di comunicazione per le imma-tricolazioni è ispirato da un principio di coerenza tra gli strumenti scelti e i target, tra gli stessi strumenti e nella loro sequenza temporale.

La comunicazione rivolta ai potenziali studenti si configura come un processo che nel tempo segue la maturazione della decisione degli studenti potenziali: in una prima fase la comunicazione attiva l’attenzione per poi via via spingere all’azione. In questo processo vengono curate le relazioni con i soggetti che influenzano il pro-cesso decisionale dei giovani. L’Unical rivolge una comunicazione mirata ai genito-ri degli studenti potenziali con le campagne pubblicitarie. Ai docenti delle scuole superiori incaricati dell’orientamento dedica l’iniziativa “Scendere in Campus” e una serie di contatti personalizzati. La Miami University intrattiene i rapporti con le famiglie dei suoi studenti attraverso l’associazione dei genitori.

La logica del processo di marketing per il reclutamento è riscontrabile alla Miami Univerity, che ha strutturato il Marketing Core Process, e alla Frei Univer-sität Berlin, che articola le sue azioni di comunicazione seguendo il classico pro-cesso di far conoscere l’offerta formativa, dare un’informazione più approfondita, far sperimentare il servizio offerto, dare consulenze personalizzate.

La comunicazione per promuovere le iscrizioni impiega in larga misura stru-menti di comunicazione di massa quali per esempio le campagne pubblicitarie tramite affissioni realizzate dall’Università Cattolica. La comunicazione di massa è spesso integrata con strumenti interattivi personalizzati come per esempio nel caso dell’Unical il counseling, il tour con un camper nei luoghi frequentati dagli studenti delle scuole superiori, le feste negli internet café e un webgame. La comunicazione è diffusa in più unità organizzative e integrata

L’ampia diffusione di tutte le finalità della comunicazione è in linea con le ipo-

tesi del modello della comunicazione dell’Università azienda, in quanto presup-posto per concepire un impiego strategico della comunicazione che valorizza tutte le sinergie fra i diversi flussi di comunicazione in un’ottica di integrazione.

L’interdipendenza delle finalità di comunicazione è testimoniata dal fatto stes-so che nell’ambito delle campagne per attrarre studenti, i messaggi sull’identità

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distintiva, la cura della qualità e l’attivazione del passaparola sono sempre la stra-tegia chiave. Il caso della Miami University mostra inoltre come la comunicazio-ne per migliorare la qualità dei servizi sia l’indispensabile presupposto per pro-muovere le immatricolazioni, tanto da affidarle allo stesso ufficio.

L’integrazione fra le finalità è assicurata, secondo i risultati della survey, nel 51,5% dei casi da un unico ente che governa tutta la comunicazione. Incrociando il dato della presenza dell’ente unico con la strategia delle Università, emerge che quelle proattive hanno per metà un ente unico e per l’altra metà si avvalgono di più uffici, come mostra il grafico della figura 3. Mentre le Università che hanno strate-gia adattiva o di mantenimento ricorrono a un ente unico per tutte le attività di co-municazione nel 60% dei casi. Sono dunque le Università meno innovative ad adot-tare in prevalenza la soluzione dell’ente unico per tutte le attività di comunicazione.

Nel caso in cui esistano diversi uffici che si occupano di comunicazione, l’integrazione è assicurata dall’esistenza di un comitato nel 61,7% dei casi, da riunioni periodiche nel 14,7% dei casi e da un coordinamento informale o del tut-to assente nel 23,6% dei casi. Ciò che emerge è che nelle Università più innovati-ve il grado di integrazione avviene in gran parte tramite comitati. Nelle Università si afferma un modello organizzativo nel quale le attività di comunicazione sono piuttosto diffuse tra diverse unità specialistiche e anche in unità non specialistiche e il livello di integrazione è piuttosto alto grazie a modalità di coordinamento ga-rantite da comitati.

I casi studiati hanno messo anche in evidenza l’importanza dell’integrazione di tipo simbolico-valoriale. L’elemento unificante più forte delle diverse attività di comunicazione non sono solo le coerenze fra contenuti, strumenti, target, ma più di tutto il riferimento a concetti pregnanti come la missione, l’identità distin-tiva e i valori.

50 53,860

proattiva reattiva adattiva - mantenimento

Fig. 3 - La diffusione dell'ente unico di comunicazione per tipo di strategia (dati percentuali)

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Le Università studiate riferiscono il contenuto chiave della loro comunica-zione a qualche tratto distintivo, spesso legato alla storia e alle origini. Per l’Unical la missione sociale di sviluppo del capitale umano per pilotare la cre-scita economica. Per l’Università Cattolica i valori cristiani, che fanno sì che essa venga percepita come un’istituzione più antica di quanto in realtà non sia. Per l’Università di Siena la storia secolare e la grande tradizione accademica nelle discipline giuridiche e mediche. Per l’Università di Verona l’essere un ateneo in movimento rappresentato da un’onda presente in una recente cam-pagna pubblicitaria su media (stampa e radio), l’orientamento a valorizzare le relazioni, l’idea di comunanza. Per la FUB sono la libertà di ricerca e di inse-gnamento senza alcun condizionamento ideologico. Per la Miami University la tutela della multiculturalità, della diversità, delle minoranze. Per l’USI la qualità e l’innovatività del suo progetto di formazione e di ricerca.

L’integrazione della comunicazione è anche ricercata tramite il coordina-mento dell’identità visiva. All’Unical e all’Università di Verona è stato ridi-segnato il marchio ed esso rappresenta un elemento per presidiare l’omoge-neità della comunicazione. Nel caso dell’Università di Verona tale presidio sull’immagine visiva, ritenuto strategico, è favorito dal fatto che la maggior parte delle iniziative di comunicazione scritta e visiva confluiscono nel Centro arti grafiche. La comunicazione viene governata attraverso il presidio strategico e manage-riale

Alla domanda “La comunicazione è così importante da richiedere il coin-volgimento del vertice?” il valore medio di importanza su una scala da 1 a 10 risulta essere 7,9. Ciò indica che viene riconosciuta l’importanza di un presi-dio diretto dei massimi organi dell’Università.

Le Università con strategia proattiva ritengono il coinvolgimento del verti-ce più importante rispetto alle altre. Infatti il 47,5% delle Università con stra-tegia proattiva ritiene molto importante il coinvolgimento del vertice nella comunicazione contro il 10% di quelle con strategia adattiva. E soprattutto l’effettivo coinvolgimento è superiore nelle Università proattive, dove è alto nel 58,5% dei casi contro il 30% delle Università con strategia adattiva.

Il corpo accademico ha responsabilità sulla comunicazione nella maggior parte dei casi: nel 38% dei casi è il Rettore e nel 33% è presente un docente de-legato. Solo nel 27% delle Università i docenti non hanno alcuna responsabilità.

Molte Università hanno esplicitato la missione (40,9% dei casi) e in parti-colare quelle con strategia reattiva (61,5%). Non si rileva dunque una correla-

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zione con il tipo di strategia. La spiegazione possibile è che molte Università definiscano la propria missione per imitazione o per consuetudine.

Le Università con strategia proattiva hanno definito i valori guida in misura mol-to maggiore rispetto alle Università con strategia reattiva, come mostra la figura 4.

10,0

33,3

41,5

adattiva -mantenimento

reattiva proattiva

Fig. 4 - Definizione dei valori guida per tipo di strategia (dati percentuali) L’esplicitazione dei valori guida è da ritenere un indicatore di un cambia-

mento culturale profondo, essenziale per descrivere le specificità delle singole Università. Il vertice accademico è protagonista dello sviluppo della comuni-cazione in tutti i casi, con varie modalità di presidio strategico. Quest’ultimo è spesso di tipo diffuso, nel senso che coinvolge il rettore, il direttore ammini-strativo, i presidi delle facoltà, i presidenti dei corsi di laurea e i docenti dele-gati per attività di marketing e di comunicazione.

I metodi manageriali sono l’elemento più debole nello sviluppo della co-municazione rilevato dalla survey. Pur essendo importantissima per consoli-dare lo sviluppo della comunicazione e la sua efficacia, la gestione manageria-le è ancora agli inizi. La pianificazione è fatta in gran parte attraverso pro-grammi non strutturati, l’ascolto e il monitoraggio sono scarsi.

L’ascolto verso l’interno e verso l’esterno consiste nelle indagini di clima sul personale, nelle ricerche di mercato sui potenziali studenti, nelle indagini sulle richieste delle imprese e nelle indagini sulla soddisfazione degli studenti. Le indagini sulla soddisfazione degli studenti rappresentano l’attività più dif-fusa, 84,8% dei casi, come ci si poteva aspettare visto che si tratta di un’attivi-tà obbligatoria per le Università. L’attività di ascolto meno diffusa è quella rivolta al personale interno: le indagini di clima. Molto diffuse sono le attività di ascolto rivolte alle imprese, svolte dal 77,3% delle Università. Un po’ meno

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presenti sono le indagini sui potenziali studenti, limitate al 44,4% delle Uni-versità. Ciò appare sorprendente tenuto conto del notevole sviluppo della co-municazione promozionale rivolta ai nuovi potenziali iscritti.

La diffusione delle indagini sui potenziali studenti è direttamente connessa al tipo di strategia: sono le Università più proattive quelle che dedicano mag-giori risorse a conoscere il mercato prima di comunicare. Il 51,3% delle Uni-versità con strategia proattiva e il 33,3% di quelle reattive svolgono indagini conoscitive sui potenziali studenti.

L’ascolto del mercato, connesso al forte sviluppo delle attività di promozione e di attrazione degli studenti, è dunque molto più presente in quelle Università che hanno maggiore consapevolezza dei meccanismi e delle implicazioni gestionali della comunicazione. Queste Università sono quelle che presumibilmente impie-gano la comunicazione come una leva di marketing e quindi la collocano in un processo manageriale che parte dalla conoscenza del contesto.

Complessivamente si può affermare che le attività di ascolto sono ancora da sviluppare, soprattutto se si pensa all’importanza di questa attività per l’efficacia della comunicazione. Seppure le Università con strategia proattiva mostrano un orientamento manageriale più maturo.

La pianificazione della comunicazione è presente nel 62,5% delle Universi-tà sotto forma di un programma annuale delle attività di comunicazione. Un piano di comunicazione formalizzato e approvato esiste invece solo nel 18,8% dei casi. Un altro 18,7% di Università non impiega alcun metodo per la piani-ficazione. Nel complesso la maggior parte delle Università si è dotata di una modalità di pianificazione della comunicazione.

Le attività di monitoraggio dei risultati della comunicazione sono, come le attività di ascolto, ancora da sviluppare. Il 18,8% delle Università monitora tutte le iniziative di comunicazione che realizza. Il 51,4% valuta i risultati di alcune delle iniziative e addirittura il 29,7% delle Università, cioè quasi un terzo, non svolge alcun monitoraggio. Non sembrano dunque molto diffuse le attività di valutazione dei risultati conseguiti e soprattutto non sono sistemati-che ma concentrate solo su alcune attività.

Il questionario ha chiesto di indicare con quali modalità viene svolto il mo-nitoraggio della comunicazione. Le risposte indicano i seguenti esempi: inda-gini su questionario, interviste individuali, focus group, interviste telefoniche, nucleo di valutazione, monitoraggio contatti al sito web, monitoraggio della presenza sui media, dinamica degli iscritti. Si tratta di un panorama di stru-menti consolidati, fortemente centrato sui questionari.

Si può dunque concludere che il metodo manageriale più diffuso è la pro-grammazione di tutte le iniziative di comunicazione, mentre poco diffuso è un piano formale di comunicazione. Da rafforzare sono i metodi per l’ascolto sia

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verso l’interno sia verso l’esterno e per il monitoraggio dei risultati raggiunti. Nel complesso si può notare che le Università stanno iniziando a impiegare dei metodi gestionali specialistici per la comunicazione. Ciò contrasta con il forte impulso registrato dall’attività di comunicazione e indica che è necessa-rio accelerare il percorso di adozione e di apprendimento dei metodi manage-riali.

Diversa la situazione analizzando i casi. L’Unical ha un piano di comunica-zione annuale molto strutturato. Svolge inoltre periodiche indagini di monito-raggio. L’Università di Verona ha, nell’attuale fase di consolidamento della comunicazione, un piano strutturato e una deliberata strategia. L’Università di Siena segue un approccio di marketing fatto di segmentazione, analisi della domanda, pianificazione e controllo. È stato già detto che la Miami University e la Frei Universität Berlin hanno un processo di marketing strutturato. L’Università Cattolica ha svolto diverse indagini di ascolto e di monitoraggio.

L’impiego di metodi manageriali è essenziale per evitare alcuni errori quali attivare singole iniziative o strumenti di comunicazione per reazione a eventi casuali, inattesi e spesso negativi, senza riferirsi a una strategia più ampia e a effettivi bisogni di comunicazione. Il vantaggio è quello di capitalizzare al meglio le risorse investite perché si indirizzano gli sforzi alle aree di debolez-za o a quelle più strategiche e ci si dota di strumenti per seguirne la realizza-zione (Lumby, Foskett, 1999; Radock, 1998).

Conclusioni: il capitale relazionale per generare la reputazione

I risultati della ricerca fin qui analizzati indicano che la finalità di comuni-cazione alla quale le Università danno maggiore importanza è quella di accre-scere la propria notorietà e il proprio prestigio, in sostanza di consolidare una reputazione positiva. Quest’ultima rappresenta la risorsa che distingue un ate-neo dagli altri, una protezione in caso di eventuali crisi e soprattutto il princi-pale fattore in grado di attrarre gli studenti e i docenti migliori.

I casi ricordati in questo articolo mettono in evidenza che la reputazione viene sviluppata grazie a tre leve, peraltro già individuate dagli studiosi della materia (Balmer, Gray, 1999; Fombrun, 1996; Van Riel, 1995): la comunica-zione, le relazioni e i comportamenti.

La comunicazione esplicita e intenzionale, come per esempio la pubblicità istituzionale, la presenza sulla stampa, il sito web, ha l’obiettivo di rendere vi-sibile l’identità distintiva dell’ateneo.

Le relazioni sono il vettore che tramite il passaparola diffonde la reputazio-

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ne dell’Università nei confronti di un elevato numero di soggetti. Gli studenti soddisfatti del loro percorso, e gli altri interlocutori dell’Università che hanno sviluppato fedeltà nei confronti della stessa, ne diventano promotori. Grazie a tale processo di divulgazione dei messaggi tramite le reti di relazioni interper-sonali si sviluppa la cosiddetta “reputational reputation” (Grunig, 1993).

I comportamenti dei soggetti che appartengono all’Università rivelano a loro volta i valori e l’identità dell’ateneo e si imprimono nella mente degli interlocutori per il forte impatto dell’esperienza diretta. Il contatto personale tra l’Università e i suoi interlocutori crea la cosiddetta “experiential reputa-tion” (Grunig, 1993).

Gli atenei che comunicano sulla scia di fenomeni imitativi, e che non hanno sviluppato una piena cultura della comunicazione, impiegano in misura preva-lente iniziative di comunicazione volte a costruire un’immagine. Cercano inoltre di colpire i propri target con effetti speciali e accentuano l’aspetto per-suasivo della comunicazione.

Gli atenei che invece comunicano sulla base di una chiara strategia, in pri-mo luogo impiegano e curano sia la comunicazione, sia i comportamenti, sia le relazioni per generare e rafforzare la propria reputazione. In secondo luogo coltivano in modo particolare il proprio patrimonio relazionale (Costabile, 2001) attraverso azioni che fidelizzano gli studenti e coinvolgono il personale, docente e non, affinché diventino i primi e più importanti veicoli per accresce-re la reputazione. In terzo luogo accentuano il carattere etico e il contenuto informativo della comunicazione in virtù del ruolo di istituzione culturale che svolgono.

Milano, 4 giugno 2004

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L’Università prende corpo: un nuovo protagonista tra luci e ombre Analisi di un anno di rassegna stampa sulle testate nazionali di Anna Majuri e Simona Piselli*

Introduzione

Questa ricerca vuole verificare quali dinamiche giornalistiche hanno deter-

minato un incremento della presenza dell’Università italiana sulla carta stam-pata e quale immagine del sistema universitario è stata veicolata in un anno di trattazione: dal mese di ottobre 2002, quando appaiono le prime minacce di dimissioni da parte dei rettori, e fino al mese di ottobre 2003.

La scelta del periodo di analisi è stata funzionale, appunto, all’individuazio-ne di quello che potremmo definire il punto di rottura tra la lunga epoca della sostanziale invisibilità universitaria e quella, neonata e in evoluzione, della sua visibilità mediatica.

L’analisi svolta ha preso in esame tutti gli articoli attinenti l'Università pubblicati dai quotidiani e settimanali nazionali1 e ha riguardato lo studio del linguaggio utilizzato, gli argomenti maggiormente trattati e quelli omessi, le strategie della narrazione giornalistica e i valori e le "passioni" attribuite ai protagonisti delle azioni.

Scegliendo alcune tra le tecniche di analisi del testo2, abbiamo quindi svol-

* L’analisi degli articoli è stata svolta in collaborazione dalle due autrici. Il paragrafo “Nuovi soggetti tra clamore e passioni” è stato scritto da Anna Majuri; i paragrafi “Cos’è

l’Università?” e “Chi è l’Università?” sono stati scritti da Simona Piselli. 1 Le testate prese in esame sono: “Avvenire”, “Il Corriere della Sera”, “l'Espresso”, “Il Foglio”, “Il

Giornale”, “Libero”, “Il Manifesto”, “Panorama”, “Quotidiano Nazionale”, “La Repubblica”, “il Riformi-sta”, “Sette”, “La Stampa”, “Il Sole 24 ore”, “l'Unità”.

La ricerca si concentra sulla carta stampata in quanto essa è il mezzo al quale è riconosciuta più autore-volezza negli ambienti istituzionali. Riteniamo infatti che il giornale quotidiano, in primo luogo, riesca ad influenzare il dibattito pubblico nel lungo periodo ed influenzi in modo marcato le posizioni degli opinion leaders. Su questo, cfr. Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Bompiani, Milano 1992.

2 Le tecniche di analisi dei testi giornalistici si distinguono tra tecniche quantitative e qualitative. Senza prescindere da alcune valutazioni quantitative (numero di articoli riguardanti l'Università pubblicati nel periodo di riferimento, numero di notizie brevi, numero di interviste ecc.) abbiamo svolto un'analisi qualitativa degli articoli.

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to un’analisi essenzialmente qualitativa, pur servendoci di alcune indispensa-bili valutazioni quantitative.

Il lavoro si configura come lo studio di un caso: i temi e gli eventi trattati nel corso di un anno dai giornali, seppur numerosi e vari, prendono infatti le mosse dalla vicenda delle dimissioni dei rettori. Tutta la trattazione del tema Università è condizionata da questa azione percepita come “clamorosa”, che innesca le strategie di narrazione: si creano gli “eroi”, i “nemici”, i conflitti, le storie da raccontare. In seguito, l'argomento Università è trattato con più at-tenzione, è più “notiziabile” perché può rientrare in uno schema di racconto predefinito, conosciuto dal giornalista e dal lettore3. La ricerca evidenzia quindi i criteri, gli argomenti, i personaggi utilizzati per narrare il complesso mondo universitario.

Lo studio non si occupa delle intenzioni degli autori degli articoli, né delle azioni di comunicazione attuate dal mondo universitario o dalle controparti politiche, ma riguarda solo il testo “visibile” e vuole evidenziare cosa gli arti-

tiva degli articoli.

Lo studio ha riguardato: - la titolazione ("calda" o "fredda", valutazione del tono, del grado di enfasi, analisi della punteggiatura,

delle virgolettature ecc); - le unità di notizia accostate nello stesso articolo e il lead; - il linguaggio utilizzato come le aggettivazioni, le figure retoriche, i campi semantici più usati; - le tecniche di narrazione, studiate secondo le definizioni della semiotica greimasiana (eroe/antieroe,

oggetto di valore, competenza/performanza/sanzione; valori e passioni associati agli attori; modalizzazioni come saper fare/voler fare/dover fare);

- le tecniche di enunciazione (utilizzo della prima o terza persona, vicinanza o presa di distanza rispetto al fatto narrato, uso dei deittici, strategie di coinvolgimento del lettore)

- le tecniche di spettacolarizzazione come la costruzione del conflitto o la personalizzazione. Per la definizione dell'analisi qualitativa e quantitativa dei testi giornalistici, cfr. Enrica Armaturo, Mes-

saggio, comunicazione, simbolo, La Nuova Italia, Firenze 1993. Per una sintesi sulle teorie relative al lin-guaggio giornalistico, ed alcuni esempi di analisi di testi giornalistici, cfr. Maurizio Boldrini, Lezioni di giornalismo, Protagon editori toscani, Siena, 2000. Per una ricognizione sulle teorie semiotiche di Algirdas Julien Greimas, che fondano le tecniche di analisi del racconto, cfr. Francesco Marsciani e Alessandro Zin-na, Elementi di semiotica generativa: processi e sistemi della significazione, Progetto Leonardo, Bologna, 1991.

3 La notiziabilità è l’attitudine di un fatto a diventare notizia, ad essere cioè selezionato e poi trattato da-gli apparati mediatici. Un fatto diventerà tanto più probabilmente notizia quanto più risponde a certi criteri, definiti dalla pratica giornalistica e poi codificati dalle teorie della comunicazione. I “criteri di notiziabilità” elencati da Mauro Wolf riguardano non solo la sostanza del fatto, ma anche il prodotto – notizia, il me-dium, il pubblico di riferimento, la concorrenza. Cfr. Mauro Wolf, Teorie della comunicazioni di massa, Bompiani, Milano,1985.

Da questi criteri di selezione dei fatti dipende anche la modalità di trattazione delle notizie, che sempre di più di basa sulla serialità, la personalizzazione, la spazializzazione, la creazione del conflitto: modalità che rientrano nella più generale e predominante tendenza alla spettacolarizzazione della notizia. Su queste modalità di trattazione giornalistica cfr. Carlo Sorrentino, I percorsi della notizia, Baskerville, Bologna, 1995, e dello stesso autore Cambio di rotta. Temi e tendenze del giornalismo italiano, Liguori, Napoli, 1999.

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coli pubblicati comunicano, e secondo quali strategie intrattengono un rappor-to con il proprio pubblico. Le tecniche di analisi del testo escludono infatti gli elementi extratestuali, come quelli psicologici o sociologici.

Alla vicenda delle dimissioni dei rettori, seguita con notevole interesse dai giornali, seguono vari eventi, nel corso dell'anno analizzato: il dibattito sulla riforma dello status giuridico dei docenti (sui quotidiani l'aspetto che viene evidenziato è quello delle assunzioni a tempo determinato); la revisione della riforma didattica del “3+2” e la previsione dell'articolazione “a Y”; la riforma del Cnr e le successive dimissioni del presidente Lucio Bianco; il dibattito sull'autonomia finanziaria e gestionale degli atenei; la Prima relazione sulla stato delle Università italiane svolta dal presidente della Crui Piero Tosi a Roma, il 25 settembre 2003.

Ogni testata si occupa di questi eventi con diversa intensità e da un diverso punto di vista, fornendo una propria interpretazione politica dei fatti narrati.

Le testate che si occupano più intensamente dell'argomento Università sono certamente “Il Sole 24 ore”, da un punto di vista tecnico, e “Il Corriere della Sera”, le cui pagine danno spazio ad un ampio dibattito di taglio culturale e politico.

Il quotidiano economico4 pubblica un numero molto elevato di articoli, du-rante tutto il periodo analizzato, con inchieste e resoconti che scandagliano tutti gli aspetti del mondo universitario: dalla questione dei finanziamenti, al problema del sistema di governo degli atenei, dalle tasse a carico degli studen-ti alle borse di studio. E’ forte l'interesse per la ricerca, soprattutto dal punto di vista della collaborazione con i privati, e dettagliata la cronaca dei dibattiti parlamentari e delle proposte governative.

“Il Corriere della Sera”5 inizia la trattazione il 24 ottobre, con la pubblica-zione in esclusiva di stralci della lettera indirizzata dalla Crui al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.6 Il meccanismo dell’esclusiva porta il più antico quotidiano nazionale ad essere il principale interlocutore dei rettori.

“Il Corriere della Sera” infatti, in tutto il periodo analizzato, dà ampio spa-zio alla Crui e lascia intervenire direttamente Piero Tosi a spiegare le ragioni

4 “Il Sole 24 ore” è un quotidiano nazionale specializzato, si definisce Quotidiano politico economico

finanziario. E’ edito da “Il Sole 24 ore” s.p.a. e il direttore responsabile è Ferruccio De Bortoli. La tiratura è di circa 408.267 copie. Ha pubblicato un altissimo numero di articoli riguardanti l’Università, in totale 152, con un picco nei mesi estivi, soprattutto giugno e luglio.

5 “Il Corriere della Sera” è il quotidiano nazionale più antico e il più diffuso, con la redazione centrale a Milano. E' edito da RCS quotidiani e diretto Ferruccio de Bortoli fino al 12 giugno 2003, poi da Stefano Folli e attualmente da Paolo Mieli. La diffusione attuale è di circa 767.682 copie. In totale in “Il Corriere della Sera”, nel periodo analizzato, ha pubblicato 72 articoli dedicati all’Università. Gli articoli sono distri-buiti abbastanza uniformemente nel tempo, con un picco nel mese di luglio 2003 e di ottobre 2003.

6 Maria Latella, Atenei, la protesta dei rettori, “Il Corriere della Sera”, 24 ottobre 2002.

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degli atenei, contrapponendogli interventi di firme autorevoli o di rappresen-tanti istituzionali. Il dibattito è ampio, l'immagine dell'Università è composita e si crea un certo equilibrio attraverso la giustapposizioni di molti interventi e molti argomenti.

Anche “La Stampa”7 evita di creare uno scontro frontale e diretto tra Crui e governo, ma sottolinea sempre la volontà di collaborazione tra i rettori e il ministero dell'Istruzione. Comunque, anche su questa testata, che presenta le diverse posizioni e ospita commenti con opinioni diverse, l'enfasi degli artico-li e la loro quantità aumentano notevolmente nelle fasi “calde”, quando il di-battito per i fondi da destinare all'Università si fa più acceso.

“La Repubblica”8, il giornale che per vocazione e tipologia di pubblico normalmente dà più spazio ai temi universitari, non riveste un ruolo primario nella vicenda delle dimissioni dei rettori. Nel quotidiano ampio credito è dato alla posizione della Crui, con una forte leadership di Piero Tosi, mentre il tipo di trattazione, più marcatamente conflittuale dal punto di vista politico, è simi-le a quello delle testate di tendenza di sinistra.

Testate, queste, che trovano proprio nel conflitto politico la chiave di tratta-zione dell'argomento Università: “l'Unità”9 contrappone fortemente il mondo universitario, rappresentato dai rettori, al governo di centro destra, con una trattazione incentrata sulle figure Piero Tosi - Letizia Moratti - Giulio Tre-monti e un alto tasso di emozionalità negli articoli.

“Il Manifesto”,10 sempre in un forte schema di conflitto, dà maggiore spa-zio agli studenti e ai lavoratori degli atenei, che non sono sempre in linea con le posizioni espresse dai rettori. La forte critica politica vuole soprattutto di-fendere il carattere pubblico e l'accessibilità dell'istruzione superiore.

Più sporadica è la trattazione dei giornali di tendenza di destra, che fanno

7 “La Stampa” è un quotidiano nazionale con la redazione centrale a Torino. E’ diretto da Marcello Sor-gi e edito da Editrice La stampa spa. La tiratura è di circa 513.809 copie. In totale il quotidiano ha pubblica-to 33 articoli sull’Università, di cui 12 nei mesi di dicembre 2002 e gennaio 2003, il periodo delle dimissio-ni dei rettori.

8 “La Repubblica” è un quotidiano a tiratura nazionale, fondato da Eugenio Scalfari, con la redazione centrale a Roma. E’ edito dal Gruppo editoriale l’Espresso spa e diretto da Ezio Mauro. La diffusione è di circa 783.623 copie.

In totale “La Repubblica” ha pubblicato 53 riguardanti l’Università, di cui 26 pubblicati tra dicembre 2002 e gennaio 2003, nel periodo delle dimissioni dei rettori.

9 “l’Unità” è un quotidiano di partito edito da Nuova iniziativa editoriale spa. Attualmente la direzione del giornale si sta avvicendando, da Furio Colombo ad Antonio Padellaro. La redazione centrale è a Roma. La tiratura è di circa 136.207 copie. L’Unità ha pubblicato, nel periodo di riferimento per l’analisi, in totale 47 articoli sull’Università, di cui 19 tra dicembre 2002 e gennaio 2003.

10 “Il Manifesto” è un quotidiano di tendenza di sinistra, edito da Il Manifesto coop editrice a r.l. e diret-to, nel periodo di riferimento per l’analisi, da Riccardo Barenghi. Attualmente il quotidiano è diretto da Sandro Medici. La redazione centrale è a Roma e la tiratura è di circa 89.700 copie. “Il Manifesto” ha pub-blicato in totale 30 articoli sull’Università, di cui ben 18 tra dicembre 2002 e gennaio 2003.

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poco uso del commento e non aprono un vero e proprio dibattito sul tema. “Il Giornale”11 pubblica in sordina la notizia delle dimissioni dei rettori ed

inscena, successivamente, un forte conflitto tra il governo e il mondo della ri-cerca, rappresentato principalmente dall’allora presidente del Cnr Lucio Bian-co. Le proposte di riforma volute dal governo sono enfatizzate e considerate “rivoluzionarie”. “Il Giornale”, in tutto il periodo analizzato, si incentra sull'a-zione decisa del governo verso lo svecchiamento di un sistema ritenuto auto-referenziale e burocratico.

Allo stesso modo “Libero”12 appoggia le proposte di riforma del governo, accusando gli atenei di inefficienza e i rettori di corporativismo. Una posizio-ne forte e determinata dunque, ma distribuita in una trattazione discontinua, non fondamentale nell'economia del giornale.

Stessa considerazione si può fare per “Il Foglio”13 che porta avanti, con il consueto stile sarcastico, una critica serrata alle Università, considerate ineffi-cienti e autoreferenziali. Gli articoli, di solito ampi commenti, spaziano tra più temi ma sostanzialmente prendono le mosse dalle azioni dei rettori: le dimis-sioni, il documento dei dieci intellettuali che sostiene le ragioni della Crui (pubblicato da “Il Corriere della Sera” il 17 settembre), le richieste pressanti di finanziamenti.

Una conflittualità ridotta ed un certo equilibrio nelle posizioni caratterizza-no invece il quotidiano cattolico “Avvenire”14, che riconosce un ruolo istitu-zionale importante alla Crui ed evidenzia le posizioni del presidente Tosi, ma allo stesso tempo mette in risalto le proposte e le iniziative del ministero. La posizione del giornale non è definita esplicitamente ed è affidata alle cronache più che ai commenti. E' alto l'interesse per il tema della ricerca e per il pro-blema della cosiddetta "fuga dei cervelli".

11 “Il Giornale” è un quotidiano di tendenza di destra, a tiratura nazionale, edito dalla Società europea di

edizioni spa e diretto da Maurizio Belpietro. La redazione centrale è a Milano. La tiratura attualmente è di circa 313.400 copie. Il quotidiano ha pubblicato in totale 26 articoli dedicati all’Università, distribuiti uni-formemente nel tempo.

12 “Libero” è un quotidiano a diffusione nazionale di tendenza di destra, diretto da Vittorio Feltri. E’ il giornale del Movimento monarchico italiano. Il direttore responsabile è Alessandro Sallusti, l’editore è la Cooperativa editoriale Libero a.r.l. La tiratura è di circa 148.563 copie. “Libero” ha pubblicato in totale 16 articoli sull’Università, di cui 8 tra dicembre 2002 e gennaio 2003.

13 “Il Foglio” è un quotidiano di tendenza di destra a diffusione nazionale, ed è organo della Convenzio-ne per la giustizia. E’ edito dalla società Il Foglio quotidiano srl. e diretto da Giuliano Ferrara. Non sono disponibili i dati sulla tiratura, che è comunque piuttosto limitata. In totale il quotidiano di Ferrara ha pub-blicato 9 articoli sull’Università, di cui 5 tra dicembre 2002 e gennaio 2003.

14 “Avvenire” è un giornale quotidiano di ispirazione cattolica, diretto da Dino Boffo ed edito dalla Nuova editoriale italiana spa. La tiratura è di circa 155.872 copie. In totale ha pubblicato 51 articoli sull’Università, concentrati soprattutto tra dicembre 2002 e gennaio 2003 e tra settembre e ottobre 2003.

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Infine, il “Quotidiano Nazionale”15 pubblica sporadici articoli sul tema del-l'Università, con più interesse alla ricerca scientifica che alla didattica o al di-battito sui fondi da destinare agli atenei. Nonostante un'attenzione costante al-le mosse del ministero dell'Istruzione, sono riportate anche le ragioni dei ret-tori, con qualche critica al ministro delle Finanze Giulio Tremonti.

Questi sono, brevemente, gli atteggiamenti riscontrati nelle diverse testate rispetto al tema Università. Pur nelle diverse modalità di trattazione, c’è sicu-ramente da registrare un interesse rilevante nei confronti di questo tema: l’episodio delle dimissioni dei rettori accende un vero e proprio dibattito, co-me vedremo nei paragrafi successivi, sul sistema universitario in Italia. Nuovi soggetti tra clamore e passioni

Come accennato, nel processo che ha portato all’incremento della trattazio-

ne del soggetto Università sulle testate quotidiane nazionali riveste un ruolo fondamentale quello che possiamo considerare l’evento scatenante: le dimis-sioni dei rettori, occasione da cui prenderà il via una trattazione seriale dei fat-ti che ruotano intorno al complesso sistema universitario. All’esaurirsi dello stupore generato dal gesto di rivolta, l’attenzione si estenderà progressivamen-te e con sempre minori generalizzazioni ad un ampio ventaglio di temi che in precedenza si erano mostrati assolutamente privi di elementi di interesse per il settore dell’informazione cartacea.

Le caratteristiche di questo evento, prima minacciato16 e poi realizzato, e in più intriso dei tratti della clamorosità, determinano una breccia nelle tecniche di selezione dei fatti adottate dai quotidiani che, come detto, si erano sempre mostrati sostanzialmente indifferenti a tutto quello che avveniva nelle impene-trabili e noiose stanze dell’Accademia.

Considerato che i valori notizia17 si differenziano anche sulla base dell’in-tensità passionale e dei ritmi narrativi con cui un fatto può essere trattato, è

15 “QN”, il Quotidiano Nazionale, è il fascicolo nazionale delle tre testate interregionali “La Nazione”,

“il Resto del Carlino”, “Il Giorno”. E’ edito dal Gruppo Poligrafici Editoriale, il direttore è Giancarlo Maz-zuca. La tiratura è di circa 555.561 copie. “QN” ha pubblicato in totale 13 articoli dedicati all’argomento Università, uniformemente distribuiti nel periodo analizzato.

I dati relativi alla tiratura dei quotidiani sopra citati sono ripresi dalle copie in edicola mercoledì 23 feb-braio 2005.

16 La possibilità delle dimissioni di massa dei rettori si profila per la prima volta il 26 settembre 2002. La minaccia è contenuta in un documento che la Crui, nel giorno di elezione del suo nuovo presidente Piero Tosi, invia al governo sottolineando la necessità di stanziare adeguati finanziamenti da destinare all’Università e alla ricerca. La notizia appare sui quotidiani il 27 settembre.

17 Per una classificazione dei valori notizia vedi M. Wolf, 1985, op. cit. e C. Sorrentino, 1995, op. cit.

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evidente che le caratteristiche di questo avvenimento hanno messo in gioco degli elementi nuovi, finalmente “spendibili” per la trattazione giornalistica.

L’apparizione sulla scena dell’eventualità delle dimissioni è accompagnata dal termine “minaccia”18, parola che prefigura un seguito19, che crea una ten-sione narrativa vincolando il giornale e il lettore alla verifica del “come andrà a finire”20. Non a caso da ottobre a dicembre i giornali riportano puntualmente il rinnovarsi delle minacce21, e al realizzarsi delle dimissioni, l’11 dicembre 2002, utilizzano sia termini che richiamano l’estensione temporale della vi-cenda, sia elementi paratestuali che riassumono gli eventi precedenti. Ne è lampante esempio il caso di “Avvenire” che dopo aver pubblicato il 27 set-tembre 2002 la notizia della minaccia di dimissioni22, e, il mese successivo, aver reso noto il rinnovarsi dell’avvertimento specificando «E i responsabili degli atenei lo hanno già detto: senza cambiamenti sostanziali rinunceranno al proprio incarico in massa», l’11 e il 12 dicembre 2002 pubblica una serie di articoli in cui, oltre a inserire box che riassumono la cronologia degli eventi, afferma che «il clamoroso gesto arriva dopo numerosi appelli» ed è «l’epilogo di un braccio di ferro che va avanti da quasi tre mesi», e ancora titola Rettori, il caso approda al Senato23, dove con l’uso del verbo approdare indica

18 I rettori minacciano le dimissioni, “La Repubblica”, 27 settembre 2002; Atenei a secco, i rettori mi-

nacciano le dimissioni, “Avvenire”, 27 settembre 2002; I rettori delle Università minacciano dimissioni di massa contro i tagli dei fondi previsti per gli Atenei, “l’Unità”, 27 settembre 2002; Nell’incontro i rettori hanno anche minacciato – senza troppi giri di parole – le dimissioni di massa, “Il Sole 24 ore”, 27 settem-bre 2002.

19 Il dizionario della lingua italiana De Mauro definisce la minaccia come «indizio che preannuncia l’approssimarsi di un’eventualità sfavorevole e indesiderata».

20 Sul rapporto tra autore-testo-lettore vedi U. Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano 1979 e G. Ma-netti, “I modelli comunicativi e il rapporto testo/lettore nella semiotica interpretativa” in R. Grandi (ed), I mass media tra testo e contesto, Lupetti, Milano 1992.

21 Il picco di notizie successivo a quello del 27 settembre si registra tra il 24 e il 25 ottobre 2002 in oc-casione della pubblicazione in prima pagina da parte de “Il Corriere della Sera” dell’articolo Atenei, la pro-testa dei rettori. Si tratta di un’esclusiva sulla lettera inviata il 18 ottobre da Piero Tosi a Berlusconi in cui «i settanta rettori delle Università italiane chiedono che la Finanziaria 2003 venga modificata in modo da consentire alle Università di sopravvivere». Va rilevato che la pubblicazione di tale notizia, ripresa il giorno successivo da “Avvenire”, “l’Unità” e “Il Manifesto”, determina per “Il Corriere della Sera” un salto nella dimensione quantitativa della trattazione delle notizie relative al sistema universitario. Attraverso il mecca-nismo dell’esclusiva il quotidiano si appropria del tema e adotta un sistema di trattazione caratterizzato da un’attenzione e una continuità decisamente maggiori rispetto al periodo precedente (nella classificazione dei valori notizia la ricerca dell’esclusiva rientra nei criteri relativi alla concorrenza, M. Wolf, 1985, op. cit.).

22 Atenei a secco, i rettori minacciano le dimissioni, “Avvenire”, 27 settembre 2002. 23 I rettori al ministro: più fondi in Finanziaria o pronti a dimetterci, “Avvenire”, 25 ottobre 2002; Ret-

tori-Tremonti Tregua armata sui fondi agli atenei, “Avvenire”, 11 dicembre 2002; Un braccio di ferro lun-go 3 mesi, “Avvenire”, 11 dicembre 2002; Rettori, il caso approda al Senato. Dalla Torre: “Più collabora-zione”, “Avvenire”, 12 dicembre 2002.

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l’esistenza di un “viaggio”- percorso precedente24. L’11 dicembre 2002, quindi, esplode l’evento, i rettori si dimettono davve-

ro25. L’azione, contrapposta all’austerità e al rigore tipicamente associati all’immagine del “rettore”, si configura immediatamente come clamorosa: «senza precedenti», «eccezionale», «atto clamoroso», «un colpo durissimo» per “l’Unità”, per “Il Manifesto” le dimissioni sono «un gesto storico», «ine-dito», «clamoroso», «un’iniziativa forte e radicale», «un atto estremo ma ne-cessario», per “La Repubblica” quella dei rettori è una «sollevazione» e una «protesta senza precedenti», “Il Corriere della Sera”, nonostante complessi-vamente tenda a smorzare i toni dello scontro a favore della rappresentazione di una predominante volontà di conciliazione, parla di «gesto forte e clamoro-so», anche le testate che sminuiscono l’evento e ne danno una lettura negativa non mancano di accompagnare il racconto dell’azione intrapresa dai rettori con termini che ne indicano la clamorosità, per “Il Giornale” «[...] il gesto è di plateale disperazione, non c’è che dire» mentre per “Libero” è un «gesto par-ticolare ed eccezionale». È comunque da rilevare che insieme alla dimensione di eccezionalità emerge dal complesso degli articoli una lettura delle dimis-sioni come “gesto”, l’azione è cioè interpretata come “simbolica”26.

Un’altra caratteristica che determina l’eccezionalità dell’evento è rappre-sentata dall’unanimità del gesto che vede tutti i rettori fare fronte coeso e agi-re in accordo nella stessa direzione. Tale unanimità spesso si estende all’intero mondo accademico, all’intera società civile e a buona parte delle forze politi-che e sindacali27.

La testata che, ovviamente, adotta pienamente questo schema è “Il Manife-sto”: il giorno delle dimissioni, un articolo di Giorgio Rossi Barilli, titola: Tut-ti con i rettori contro il governo. Nei numerosi articoli che, tra l’altro, danno

24 Il medesimo schema si riscontra in numerosi altri casi: “La Repubblica” dal 27 settembre al 22 no-vembre pubblica sei articoli che seguono lo svolgersi dei fatti e ospitano opinioni sulla questione, e in cui è sistematicamente riportato o richiamato il rinnovarsi della minaccia. Alcuni esempi: «la Conferenza dei Rettori aveva giustamente minacciato su questo punto fuoco e fiamme» (7 ottobre) «Le Università senza soldi. I rettori: “Pronti a dimetterci”» (12 novembre), «Maxiconcordato e tassa sui giochi. I rettori: blocche-remo le Università» (22 novembre), «i rettori delle Università italiane, riuniti nel Crui, ieri sono tornati pesantemente alla carica minacciando di bloccare gli atenei» (22 novembre); ma anche “Il Manifesto”, 25 ottobre 2002 che nel riportare le richieste degli studenti che occupano le facoltà scrive: «chiediamo a i ret-tori di dar seguito alla minaccia di dimissioni».

25 La notizia delle incombenti dimissioni viene pubblicata in anteprima da diversi quotidiani il 10 di-cembre 2002, tra cui “Il Sole 24 ore”, in prima pagina, I rettori: senza fondi chiudiamo gli atenei, e “La Repubblica” Università, la rivolta dei rettori pronti a dimettersi in massa.

26 «Il clamoroso gesto dei massimi responsabili delle 62 sedi universitarie statali», “Avvenire”, 11 di-cembre 2002, «Il gesto è di plateale disperazione, non c’è che dire», “Il Giornale”, 11 dicembre 2002.

27 In un’intervista pubblicata su “Il Manifesto” l’11 dicembre 2002. Luciano Modica, ex presidente della Crui e senatore Ds, afferma: «Le preoccupazioni riguardo all’Università sono talmente fondate da superare gli schieramenti».

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spazio alle varie voci della protesta rendendo ulteriormente evidente il senso della coralità della contestazione, il tema dell’unanimità è sottolineato e riba-dito continuamente28: i rettori che hanno preso una «decisione unanime», sono «tutti», così come «tutti» sono gli atenei che protestano; l’intera comunità ac-cademica, studenti, docenti, ricercatori, personale tecnico amministrativo, è unanime nella protesta29: «L’Accademia si ribella»30. Gli esempi sono, co-munque, numerosi: per “Avvenire” «I rettori delle Università italiane rasse-gnano compatti il mandato al ministro», “La Repubblica” parla di «dimissioni in blocco» e in un trafiletto scrive «Anche gli studenti schierati accanto ai do-centi: “Difendiamo insieme l’Università”», e ancora su “l’Unità” in un’inter-vista a Gennaro Ferrara, rettore dell’Università degli Studi di Napoli “Parthe-nope”, alla domanda di chiusura «Una decisione difficile. Siete stati tutti d’accordo nel prenderla?», il rettore risponde «Tutti. All’unanimità...»31. In controtendenza va segnalata la presenza di una serie di casi in cui la presunta unanimità viene contestata esplicitamente32, non rilevata o, addirittura, letta in chiave spregiativa legandola, come vedremo successivamente, all’idea del corporativismo o del baronato.

Nell’economia delle tecniche narrative utilizzate dai quotidiani questo av-venimento consente di mettere in scena il classico schema del conflitto33: c’è

28 Va tuttavia rilevato che, proprio nel caso de “Il Manifesto”, al rientro delle dimissioni la narrazione dell’unanimità si interrompe e si trasforma nel suo opposto: se l’11 dicembre si legge «Gli studenti plaudo-no i magnifici» e il 12 «Resistono i rettori, gli studenti si mobilitano», il 14 lo schema della narrazione si ribalta «I rettori riprendono l’attività ma gli studenti no» e ancora «l’assemblea si è chiusa con il Magnifico da un lato [...] e gli studenti dall’altra».

29 Il giorno delle dimissioni su “Il Manifesto” si legge: «Partiti, sindacati, comuni e organizzazioni stu-dentesche hanno fatto a gara nel dare ragione ai “magnifici” capi degli atenei» (Cfr. Tutti con i rettori con-tro il governo, “Il Manifesto”, 11 dicembre 2002).

30 La scelta del termine “Accademia”, intende anche esplicitare una sorta di ossimoro tra il formalismo e la magnificenza, cui tipicamente è associata una certa immagine dell’Università, e la forza e l’impeto quasi scomposto espressi dall’azione di protesta che, perciò, appare ancora più eccezionale.

31 Rettori-Tremonti Tregua armata sui fondi agli atenei, “Avvenire”, 11 dicembre 2002; Rettori, schiaf-fo al governo, “La Repubblica”, 11 dicembre 2002; Così non si pagano nemmeno le bollette, “l’Unità”, 27 settembre 2002.

32Ad esempio, su “l’Espresso” del 19 dicembre 2002 nell’articolo Facoltà chiusa per collasso, Andrea Benvenuti sminuisce la portata del «fronte unito» tra studenti, professori e rettori definendolo come «occa-sionale». In più non nomina mai la Crui e parla dei rettori citandoli singolarmente senza mai fare riferimen-to a “i rettori” come gruppo unito e unanime.

33 Lo stesso schema sarà adottato in occasione dello scontro tra il governo e il mondo della ricerca uni-versitaria per il taglio dei fondi e per il commissariamento degli enti di ricerca: «Scienza di lotta contro Moratti», “Il Manifesto”, 13 febbraio 2003; «Lo scontro sulla riforma Moratti degli enti di ricerca», “Il Corriere della Sera”, 14 maggio 2003; «Il presidente si dimette dopo mesi di contrasti con il ministro Mo-ratti», “Il Giornale”, 14 maggio 2003; «Il braccio di ferro fra Letizia Moratti, che vuole riformare la ricer-ca, e il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche Lucio Bianco, che si è sempre opposto, è finito con la resa di quest’ultimo», “Il Foglio”, 15 maggio 2003; «Bianco lascia il Cnr e dà la colpa alla Moratti», “Libero”, 14 maggio 2003; «Ricerca: è un esproprio, non una riforma», “il Riformista”, 4 febbraio 2003.

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uno scontro, ci sono dei protagonisti ognuno con un proprio ruolo, un proprio schieramento, una propria forza e una propria identità. Ovviamente, come già accennato nel valutare le differenti letture del caso delle dimissioni, l’attri-buzione di tali caratteristiche non è data una volta per tutte ma varia in rela-zione allo schema interpretativo adottato dalla testata.

La suddivisione tra bene e male, tra forza e debolezza, tra ragione e torto sarà, quindi, differente secondo il quotidiano o il periodico considerato; e in base a ciò varierà anche il tipo di trattazione adottata, imperniata sulla crona-ca, sul commento o sull’intervista, e quindi l’enfasi data ai singoli avvenimen-ti, con la pubblicazione o meno di una notizia, con il punto di vista adottato, con una trattazione più o meno spettacolarizzata.

Anche i toni della contrapposizione saranno declinati in maniera differente dalle singole testate, distribuendosi su un continuum che andrà dallo scontro frontale all’assenza di conflitto, passando per posizioni intermedie in cui si parlerà di dissapori o di semplici divergenze di opinioni.

La stessa evoluzione della vicenda genererà delle variazioni nella defini-zione delle posizioni reciproche dei protagonisti: nell’arco di un anno si pas-serà dall’iniziale minaccia, allo scontro, al dialogo, alla tregua e nuovamente allo scontro34. Non bisogna dimenticare, infatti, che il succedersi degli eventi vedrà, nei mesi di settembre e ottobre 2003, il rinnovarsi delle minacce di di-missioni con la riproposizione narrativa da parte dei quotidiani nazionali dello schema del conflitto e delle dimensioni ad esso associate. Tuttavia i toni della trattazione saranno inevitabilmente meno enfatici: la dimensione del clamore associata all’eccezionalità delle dimissioni del dicembre 2002 è annullata dal trovarsi di fronte a una minaccia sì riconosciuta come rilevante, ma non più “storica” perché “già vista”35.

La prima chiara caratteristica della costruzione del conflitto è data dalla contrapposizione di due parti. L’elemento di innovazione più rilevante è costi-tuito dall’affermarsi di un protagonista precedentemente assente dalla tratta-zione giornalistica: i rettori, riuniti nella Crui e rappresentati da Piero Tosi.

Nella prima fase della vicenda, nonostante in alcuni articoli trovino posto

34 La Crui, ad esempio, passerà da un’iniziale immagine in cui alla fermezza delle posizioni era comun-

que associata una pacatezza delle azioni improntate per lo più alla ricerca del dialogo, ad una in cui i tratti della clamore e della forza, divengono ricorrenti e caratterizzanti. Se infatti in concomitanza con la minac-cia di dimissioni il comunicato emesso dalla Crui esprimeva chiaramente «la disponibilità a dialogare con il ministro Moratti, confrontarsi con il governo e Parlamento» (cfr. Rettori, Piero Tosi è il nuovo presidente, “La Repubblica”, 27 settembre 2002), in occasione delle dimissioni la situazione si ribalta. “La Repubbli-ca” l’11 dicembre titola: Rettori, schiaffo al governo, e afferma che «le parole di Tosi pesano come un ma-cigno» e ancora che le dimissioni sono una «dichiarazione di guerra» e un «colpo durissimo».

35 Il 31 ottobre 2003, ad esempio, Mario Reggio nell’articolo I rettori: così affossate l’Università, da “La Repubblica”, scrive: «Il braccio di ferro tra i rettori e il governo non è una novità».

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anche le ricostruzioni dei conflitti tra gli studenti e il governo, o tra i vari schieramenti politici, il vero scontro, su cui si titola, si scrive, si discute e di cui ci si stupisce è quello che vede i rettori contro il governo. “Il Manifesto”, “La Repubblica” e “l’Unità” sono le testate che adottano tale schema in ma-niera più esplicita. La contrapposizione è netta e lo scontro diretto e a tratti violento: i rettori lottano ponendosi a difesa di un valore e di una risorsa stra-tegica per il Paese la cui sopravvivenza è messa a rischio da una cronica man-canza di fondi, il governo ignora le esigenze degli atenei e le richieste dei ret-tori e sembra addirittura accanirsi nel tentare di peggiorarne le condizioni.

In questa prospettiva i rettori «chiedono ripetutamente di evitare i nefandi effetti dei tagli», «protestano contro governo e finanziaria», «lanciano un al-larme», «lanciano un avvertimento»36, «denunciano», «annunciano le dimis-sioni», «affermano», «rilanciano», «resistono», «rimangono sulle proprie po-sizioni»37; di contro il governo «ha un dichiarato progetto distruttivo», «taglia i fondi all’Università» e «offre solo garanzie verbali»38, «non ascolta»39.

Il tipo di trattazione che, visti gli elementi che la caratterizzano, più si adat-ta ad una narrazione seriale è, chiaramente, quella precedentemente descritta. Le dinamiche degli eventi e le forze in campo la rendono congeniale alle te-state con un preciso orientamento politico, tuttavia, nessuno degli altri quoti-diani ignora l’avvenimento: opta, piuttosto, per un tipo di trattazione differen-te.

“Il Foglio” ad esempio non adotta una narrazione improntata alla cronaca e alla pubblicazione serrata di numerosi articoli ma, come da tradizione, pubbli-ca pochi pezzi di commento in cui offre una lettura alternativa della situazio-ne, criticando ferocemente l’Università e il sistema di gestione della stessa. In questo modo assolve il governo dalla pioggia di attacchi da cui è bersagliato e riporta le colpe a quelli che ritiene essere i veri responsabili: i rettori40. Non applica, quindi, lo schema del conflitto concepito in maniera canonica ma, in qualche modo, richiama l’esistenza di uno scontro tra governo e rettori, rico-nosce la rilevanza degli eventi e conferma e rafforza l’esistenza di un dibattito

36 Le frasi, i verbi e i termini riportati sono tratti dagli articoli pubblicati da “La Repubblica” tra dicem-

bre 2002 e gennaio 2003. 37 Le frasi, i verbi e i termini riportati sono tratti dagli articoli pubblicati da “Il Manifesto” tra dicembre

2002 e gennaio 2003. 38 Le Magnifiche dimissioni, 11 dicembre 2002, “Il Manifesto”. 39 Su “La Repubblica”, ad esempio, nei mesi precedenti le dimissioni leggiamo «il conflitto è sordo»,

«le sale di palazzo Chigi sono ovattate». 40”Cari rettori, così non và” – sommario − Dimissioni? Le Università sono improduttive con o senza i

fondi, 12 dicembre 2002; L’Università vale quel costa, poco 17 dicembre 2002; E i rettori vissero felici e contenti – sommario – Le Università restano un disastro, ma ora ci sono i soldi e tanto basta 10 gennaio 2003.

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pubblico sulle questioni in ballo. “Libero”, attraverso una trattazione ampia e improntata alla cronaca, ripro-

pone lo schema del conflitto invertendo l’attribuzione dei ruoli e delle respon-sabilità: sono i rettori ad essere ritenuti i responsabili del pessimo stato dell’Università41 mentre il governo, di fronte a quello che viene presentato come “un attacco”, si mostra subito disponibile alla collaborazione dimo-strando “l’intempestività” delle dimissioni dei “magnifici”.

“Il Giornale” adotta una tecnica ancora differente. Segue l’evolversi degli eventi con una trattazione improntata alla cronaca, ma sminuisce la portata degli eventi pubblicando pochi articoli e collocandoli nel taglio basso delle pagine interne. In più, ovviamente, ribalta il punto di vista. I protagonisti non sono più i rettori ma il governo: non a caso i titoli sono sempre dedicati all’azione degli esponenti della maggioranza e la lettura che ne viene data è nobilitante: è grazie all’azione del governo, ad esempio, che «l’Università non è più centro immobile e autoreferenziale»42. Nonostante venga data un’inter-pretazione negativa delle dimissioni43 e delle figure dei rettori, dei professori e dell’intera Università, la testata non esaspera i toni del conflitto tra Crui e Go-verno ma mostra un rapporto sostanzialmente improntato al dialogo e alla col-laborazione.

Altra tipica caratteristica dell’adozione dello schema del conflitto in una narrazione giornalistica è l’uso di una terminologia afferente al campo seman-tico della guerra e della lotta. Ciò consente di enfatizzare i toni conflittuali della narrazione e di mettere in scena elementi che richiamano una vera e pro-pria battaglia. “l’Unità” il 27 settembre 2002 titola La rivolta dei rettori, il 2 ottobre il catenaccio di un commento di Nicola Tranfaglia recita «I rettori so-no sul piede di guerra» e ancora il 12 dicembre «i rettori sono in trincea, nell’Università che il governo ha deciso di affossare». Si parla di: «fronte», «attacco», «bersaglio», «barricate»44, «battaglia», «levata di scudi»45; al rien-tro delle dimissioni di «armistizio» e «tregua attiva». Tra settembre e ottobre 2003, al rinnovarsi delle minacce, “La Repubblica” titola parlando di «nuova

41 Il 15 dicembre 2002 su l’articolo di Iuri Maria Prado I rettori si dimettono anche per i loro sprechi si

legge «hai voglia a protestare che i soldi non bastano alla struttura, se sei tu che la rendi dispendiosa e inef-ficiente».

42 La Moratti: «Passaggi diretti dall’Università all’impresa», 30 gennaio 2003. 43 A rafforzare tale lettura negativa vengono chiamati anche i lettori: il 16 dicembre 2002 nella rubrica

“La parola ai lettori” leggiamo un intervento «Quelle dimissioni di massa erano necessarie? ». Il 20 dicem-bre 2002 in risposta ad una lettera di una lettrice Paolo Granzotto le definisce «un pretesto per attaccare il governo»; e ancora il 9 gennaio 2003 «I lamenti ingiustificati dei professori».

44 I termini riportati sono tratti dagli articoli pubblicati da “Il Manifesto” nel mese di dicembre 2002. 45 I termini riportati sono tratti dagli articoli pubblicati da “Il Corriere della Sera” nel mese di settembre

2003.

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guerra», «duello», «resa dei conti» e di «ultimatum» mentre “l’Unità” afferma «L’altolà dei rettori ha funzionato [...] Dalla sede nazionale della Conferenza dei rettori, a Roma, ieri Letizia Moratti è uscita alzando bandiera bianca», e definisce l’atto del ministro una «ritirata»46.

Nel succedersi delle dichiarazioni, delle azioni e dei colpi di scena, alle due controparti sono attribuite un ventaglio di passioni conformi alle posizioni as-sunte dai rispettivi protagonisti47.

Tutti gli articoli analizzati raccontano, sostanzialmente, di fatti e di passio-ni. Tuttavia è ovvio che ogni testata, secondo il tipo di trattazione adottata, declinerà tale “doppio racconto” con equilibri differenti: tra i fatti e le passioni i rapporti possono essere di diversi tipi. Vi sono, cioè, articoli che raccontano soprattutto i fatti e le azioni e utilizzano le passioni come elementi esplicativi, di contorno o, addirittura, non le utilizzano, e articoli che optano per modalità di enunciazione e forme narrative che proprio attraverso l’ampio uso delle passioni lavorano con insistenza sulla sollecitazione emozionale del pubbli-co48.

Gli indicatori per le passioni in gioco sono, sostanzialmente, di due ordini: da una parte riscontriamo una frequente verbalizzazione degli stati emotivi e passionali degli attori stessi, e quindi troveremo che Tosi è «fermo» e «peren-torio», ma, «sconsolato», «non nasconde la sua amarezza»49, la Moratti «acco-rata», «si lamenta» e «piange» o «è contenta» e «conciliante», mentre «il su-per ministro» Tremonti è «un cuore di pietra» «insensibile» e «infastidito»; dall’altra parte, a concorrere alla determinazione del maggiore o minore tono emotivo della narrazione, saranno il tipo di scrittura adottata, neutra o ricca di aggettivazione, il ritmo dell’intera trattazione, piano o concitato, la titolazione calda o fredda.

In questa prospettiva “l’Unità” e “Il Manifesto” sono le testate che adottano in maniera più evidente una trattazione improntata all’emotività avvalendosi

46 Atenei, la nuova guerra dei rettori «Il governo vuole decidere tutto», “La Repubblica”, 18 settembre

2003; Rettori a duello con il ministro «Più soldi o bloccheremo tutto», “La Repubblica”, 10 ottobre 2003; Rettori, ultimatum al governo «Taglieremo i corsi di laurea», “La Repubblica”, 11 ottobre 2003; Moratti, indietro tutta sulle Università, “l’Unità”, 24 settembre 2003.

47 Sullo studio semiotico delle passioni vedi I. Pezzini, Semiotica delle passioni, Esculapio, Bologna 1998.

48 Infatti, nonostante i temi e le argomentazioni su cui verte la narrazione intrattengano di per sé una for-te relazione con l'universo di riferimento del lettore, l’utilizzare le passioni, i “patemi”, nel mettere in scena gli eventi consente di rafforzare in maniera determinante il coinvolgimento del lettore; viceversa, anche se non esiste una contrapposizione tra l’uso delle passioni e il ragionamento argomentativo, scegliere di non attivare la dimensione passionale connota immediatamente la trattazione giornalistica come oggettiva e identifica, spesso, articoli di taglio tecnico solitamente destinati ad un lettore con interessi e competenze specifiche.

49 L’Università è in pericolo, la nostra protesta sarà dura, “La Repubblica”, 18 settembre 2003.

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sia di una terminologia che richiami direttamente le passioni sia di una moda-lità di narrazione “appassionata”. Di contro “Il Sole 24 ore” si caratterizza per una trattazione puntuale, approfondita e sostanzialmente neutra anche se nel succedersi degli eventi non manca di attribuire ai singoli protagonisti una se-rie di passioni che mirano a definirne le attitudini50. Le altre testate si colloca-no in posizioni intermedie adottando tipologie di trattazione differenti, modu-late secondo la fase della vicenda.

La figura dei rettori è quella che più si presta ad essere narrata secondo una prospettiva passionale.

Nel corso del succedersi degli eventi la Crui si rende presente con una serie di comunicati e di dichiarazioni ufficiali di cui la maggior parte dei quotidiani ha puntualmente riportato ampi stralci. Ne deriva una serie di caratterizzazioni passionali che si ritrovano in maniera trasversale su tutte le testate.

Il concetto centrale delle azioni condotte è quello della “fermezza”, non a caso il comunicato emesso dal neoeletto presidente della Crui Piero Tosi, il 26 settembre, è definito come «duro»; i verbi che, al suo interno, indicano inten-zioni e azioni non hanno toni conciliatori ma imperativi: «il sistema universi-tario deve essere riconosciuto come risorsa strategica del Paese», «non tollere-remo ulteriori tagli e per questo lanciamo una mobilitazione generale».

Dal succedersi delle dichiarazioni e dall’atteggiamento assunto dalla Crui di fronte alle risposte del governo proviene una netta immagine di «autorevo-lezza» e «credibilità»: «Abbiamo presentato una proposta seria e articolata, attendiamo una risposta»51.

Alla fermezza è associata un costante stato di «preoccupazione»: di fronte alla situazione delle Università i rettori «lanciano un grido di dolore»52 e ven-gono ritratti come «angosciati», «allarmati» ma «determinati», «ostinati» e «risoluti»: per “La Repubblica” la lettera che Piero Tosi scrive al premier Ber-lusconi è «documentata, allarmante e vibrata», su “Il Manifesto” e su “l’Unità” i rettori, protagonisti delle azioni, «denunciano», «chiedono», «af-fermano», «rilanciano», «resistono», «rimangono sulle proprie posizioni», «protestano contro governo e finanziaria». Come si vede dalla forma attiva dei verbi, i protagonisti delle azioni sono i rettori che conducono il gioco e, in qualche modo, intendono dettarne le regole.

50 A conferma di una trattazione non improntata alla spettacolarizzazione è da sottolineare come “Il Sole

24 ore”, dopo l’approvazione degli emendamenti alla Finanziaria e il ritiro delle dimissioni dei rettori, pro-segua nell’approfondimento delle tematiche legate all’Università pubblicando numerosi articoli di taglio tecnico.

51 I rettori tornano sul piede di guerra «Più fondi o gli atenei faranno crac», “La Repubblica”, 13 giu-gno 2002.

52 Università verso la privatizzazione, “l’Unità”, 2 ottobre 2002.

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“Il Sole 24 ore”, come accennato, dà ampio spazio ad una trattazione di ta-glio tecnico in cui, però, si staglia “l’instancabile” figura di Letizia Moratti: sempre “al lavoro” tra analisi e proposte di riforma, “determinata” in occasio-ne dello scontro Moratti-Tremonti sulla Finanziaria, l’unico per cui la testata adotta toni enfatici, la figura è rappresentata come protagonista caratterizzata da un’alta competenza nella complessa materia “Università”. A conferma del-la sostanziale neutralità della testata, nei numerosi articoli ritroviamo la de-terminazione e l’autorevolezza attribuite ai rettori ma non le dimensioni dell’allarme e della preoccupazione.

Testate come “Il Foglio” o “Il Giornale” interpretano e mettono in evidenza caratteristiche di segno opposto che spesso diventano predominanti indiriz-zando la lettura complessiva degli eventi: i rettori che hanno “arbitrio” ma non “responsabilità” - Giuliano Ferrara su “Il Foglio” afferma «è lo Stato che deve pagare tutti gli sprechi deliberati autonomamente da magnifici rettori che non rispondono mai del loro operato»53 - sono tacciati di malafede e accusati di lamentarsi ingiustificatamente54.

Strettamente connesse all’attribuzione di passioni sono le definizioni moda-li dei soggetti che ne determinano posizioni, competenze e poteri reciproci55. Per testate come “Il Manifesto”, “l’Unità” e “La Repubblica” che, come visto, adottano un preciso schema di rappresentazione del conflitto, i rettori, osteg-giati dal governo nel raggiungimento di un obiettivo funzionale e necessario al bene dell’intera nazione, sono nella condizione del “volere-non potere”; tut-tavia se l’Università è caratterizzata esclusivamente dal “non potere”, ed è quindi «impossibilitata a garantire i servizi essenziali»56, i rettori, soprattutto per quanto concerne gli articoli che seguono lo sviluppo del conflitto, sono caratterizzati dal “saper-fare” e quindi, come visto, accreditati come soggetti competenti e autorevoli57.

53 Se l’Università sbaglia, chi paga?, “Il Foglio”, 18 settembre 2003. 54 Paolo Granzotto, il 20 dicembre 2002, rispondendo alla lettera di una lettrice dalle pagine de “Il Gior-

nale” arriva ad accostare le lamentazioni dei rettori al «ragliare» degli asini. 55 Secondo la semiotica greimasiana un predicato si definisce modale quando modifica il valore di un

secondo predicato, detto descrittivo, semplicemente precedendolo nella frase in cui è contenuto. Tale modi-ficazione viene chiamata modalizzazione. I verbi detti modali sono sapere, potere, volere, dovere; i verbi detti descrittivi sono essere e fare. Per una teoria delle modalità vedi A.J. Greimas, Del senso 2 (tr. it.), Bompiani, Milano, 1984, e F. Marsciani, A Zinna, 1991, op. cit.

56 Fondi per sopravvivere, “La Repubblica”, 4 dicembre 2002. 57 Ad esempio nel comunicato che il Comitato di presidenza della Crui emette il 26 settembre 2002,

giorno di elezione del suo nuovo presidente Piero Tosi, nell’auspicare «la diffusione della cultura della va-lutazione e della qualità» si afferma che «la Crui dovrà essere alla guida di questo processo, per rendere gli alti standard dell’Università italiana riconoscibili e competitivi sullo scenario europeo»: dichiarazione uffi-ciale attraverso cui la Crui e i rettori si accreditano come soggetto autorevole e competente (Cfr. Rettori, Piero Tosi è il nuovo presidente, “La Repubblica”, 27 settembre 2002).

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In maniera esattamente inversa il governo, che non accoglie e si oppone al-le richieste dei rettori, è nella posizione del “potere-non volere”: «L’istruzione italiana è in rovina e il governo chiude la borsa»58; quella che il governo ma-nifesta nei confronti dell’Università è «totale insensibilità».

È da rilevare che in alcune fasi della vicenda le dichiarazioni e le azioni dei rettori comportano uno spostamento della posizione del governo da “potere-non volere” al “dovere”: ad esempio il giorno delle dimissioni dei rettori Ma-rio Reggio scrive su “La Repubblica” «è invece bastata la dichiarazione di guerra del mondo accademico per far recedere, anche se parzialmente, il mini-stro dell’economia» e ancora nella stessa data in prima pagina su “Il Manife-sto” «la forma di lotta prescelta non ha mancato di fare la dovuta impressione. Poco più di un’ora dopo l’annuncio, infatti, il governo ha innestato la retro-marcia»59.

In maniera esattamente opposta testate come “Il Giornale”, “Libero” e “Il Foglio” dipingono un governo che “vuole-sa-può fare” ingiustamente attacca-to dalla “corporazione” dei rettori. Il giorno stesso della protesta su “Il Gior-nale” si legge «Il ministro del Bilancio Tremonti rassicura i rettori che ieri si sono dimessi in massa contro le presunte riduzioni di finanziamenti» e in pri-ma pagina su “Libero” «Le dimissioni dei rettori rientreranno perché il mini-stro dell’Economia ha già risolto il problema» e ancora, il 22 dicembre, «il governo ha accontentato i Magnifici a costo di aumentare mediamente di 20 centesimi il prezzo dei pacchetti di sigarette»60. I “capi degli atenei”, tacciati di baronato e additati come i responsabili del pessimo stato delle Università, sono caratterizzati dal “non volere” e spesso dal “non sapere”. Sulle pagine de “Il Foglio” la critica ai “magnifici rettori” si evidenzia in valutazioni sulle competenze: «Se un’azienda privata avesse questi livelli di inefficienza i suoi manager sarebbero licenziati senza discussioni» e «quando agiscono come ca-tegoria [...] finiscono per condannare ogni spinta qualitativa» 61.

Vi sono poi casi specifici in cui emerge il ritratto di singoli personaggi co-me quello assolutamente positivo delineato da “Il Sole 24 ore” per Letizia Moratti: come accennato, in un panorama sostanzialmente esente da caratte-rizzazioni passionali si staglia la figura del ministro che “sa fare-vuole fare-può fare”, è competente, ha determinazione e potere.

58 L’istruzione italiana è in rovina e il governo chiude la borsa, “La Repubblica”, 19 novembre 2002. 59 Rettori, schiaffo al governo, “La Repubblica”, 11 dicembre 2002; Le Magnifiche dimissioni, “Il Mani-

festo”, 11 dicembre 2002 60 Niente tagli, pronti i fondi per le Università, “Il Giornale”, 11 dicembre 2002; Rettori contro gover-

no: si dimettono in massa, “Libero”, 11 dicembre 2002; Università, i rettori battono cassa ma hanno 6.300 euro a studente, “Libero”, 22 dicembre 2002

61 Cari rettori, così non va, “Il Foglio”, 12 dicembre 2002; E i rettori vissero felici e contenti, “Il Fo-glio”, 10 gennaio 2003.

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Nel panorama delle tecniche di drammatizzazione merita un’attenzione specifica la tecnica narrativa dell’umanizzazione. Come visto, nella trattazio-ne spettacolarizzata degli eventi è fondamentale utilizzare forme narrative che consentano di enfatizzare la dimensione emotiva delle notizie. Si passa dal-l’uso di una forma di titolazione calda, all’adozione di forme di enunciazione soggettive, a una trattazione caratterizzata da dimensioni lessicali non neutre, a forme di personalizzazione degli eventi fino ad arrivare a forme di umaniz-zazione di soggetti collettivi, astratti e comunque non letteralmente “vivi”.

Nel caso in questione assistiamo ad una vera e propria attribuzione di carat-teristiche umane al soggetto Università, la tecnica si avvale dell’uso di una terminologia che attribuisce fisicità all’istituzione, ne fa una persona che, in quanto tale, compie e subisce azioni. È ovvio che, nell’economia di una narra-zione che privilegia la sfera emotiva, tali azioni saranno fortemente dramma-tizzabili e che tale tipo di trattazione è funzionale allo schema narrativo di quei quotidiani che hanno inteso restituire tale vicenda utilizzando una narra-zione emotiva in modo tale da suscitare un forte coinvolgimento del lettore e da indurlo a schierarsi a difesa della vittima62. Non a caso è “l’Unità” a fornire l’esempio più forte dell’adozione di tale tecnica narrativa.

Il primo riferimento lo troviamo nell’articolo del 25 ottobre 2002 in cui gli studenti dell’Udu, Unione degli universitari, rivolgendosi con un comunicato alla Crui, al presidente del Consiglio, ai ministri Moratti e Tremonti, parlano di “morte” dell’Università. Negli articoli pubblicati successivamente, gli ate-nei sono «soffocati», «feriti», «strangolati», «dissanguati», «rischiano il col-lasso». Addirittura, nell'intervista ad Augusto Marinelli, pubblicata il 13 novembre, il giornalista parla di omicidio premeditato: «Anatomicamente, si tratterebbe di strangolamento per mancanza di ossigeno. Soldi. Un delitto per-fetto ai danni della ricerca pubblica, compiuto senza sporcarsi le mani, per te-dia»63. In occasione delle dimissioni il quotidiano riprende l’umanizzazione e la vicenda attraverso cui sta passando l’Università la porterà a «morire d’inedia, strozzata dalla cinghia che la Finanziaria gli stringe al collo». E an-cora, in un’intervista al rettore di Roma Tre, Guido Fabiani, si arriva a defini-re l’ateneo come «un’Università che cresce come un bambino di dieci anni, o forse meglio come un giovane nano»64.

Numerosi esempi si trovano anche su “Il Manifesto”: il 19 dicembre il tito-lo di un articolo di Luca Tancredi Barone recita: «Sulle spoglie

62 Nella classificazione dei valori notizia tali caratteristiche rientrano nei criteri riferiti al pubblico, M.

Wolf, op. cit., Bompiani, Milano 1990. 63 Gli studenti ai rettori: occupate con noi, “l’Unità”, 25 ottobre 2002. 64 I rettori si dimettono contro la Finanziaria, “l’Unità”, 11 dicembre 2002; A Roma Tre taglieremo e-

lettricità e riscaldamento, “l’Unità”, 11 dicembre 2002.

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dell’Università», ricorrono termini come «sopravvivenza», «soffocamento», «paralisi», «uccisione». Nel sostanziale equilibrio che lo caratterizza anche “Il Corriere della Sera” riportando le parole di Tosi afferma che «La vita delle Università è a rischio». A questi si aggiunge “La Repubblica” nei cui titoli, tra dicembre 2002 e gennaio 2003, riscontriamo una tendenza, anche se non insi-stita, all’umanizzazione dell’Università: «Un vero suicidio alla fine a rimet-terci saranno i giovani», «Protesta senza precedenti dei settantasette capi degli atenei: «Se vogliono far morire l’Università pubblica lo dicano»65.

In quello che abbiamo descritto come lo schema del conflitto, una maggiore presa emotiva della narrazione è correlata alla presenza di veri e propri prota-gonisti con cui il lettore potrà familiarizzare e dalla cui parte potrà schierarsi: nella restituzione giornalistica di un conflitto le forme discorsive di superficie necessitano, quindi, di attori con nomi e volti.

Come abbiamo anticipato ai protagonisti impersonali rettori-Crui e Gover-no si sovrappongono singoli protagonisti che nel corso della trattazione saran-no delineati con sempre maggiori caratterizzazioni fisiche e caratteriali: figura assolutamente forte e narrativamente ingombrante, dalla Crui emerge il volto e la personalità di Piero Tosi, dal Governo con tratti caratteriali assolutamente differenti ritroveremo Letizia Moratti e Giulio Tremonti.

Non bisogna sottovalutare che nell’introduzione dei protagonisti dei fatti le testate si devono confrontare anche con il background di conoscenze del letto-re. Ciò comporta, come nel caso dell’Università, la necessità di utilizzare for-me discorsive che mirino a colmare legittime lacune di informazione.

A differenza dei fatti attinenti alla sfera politica e dei protagonisti ad essi associati, nelle forme di trattazione tradizionalmente adottate per il tema “U-niversità” i protagonisti del mondo accademico sono sempre stati, coerente-mente con l’invisibilità o la sporadicità del soggetto, sostanzialmente anonimi e isolati. Alle citazioni relative al corpo docente, agli studenti, ai ricercatori come “entità impersonali”, si alternavano interviste a singoli docenti o singoli rettori su specifici accadimenti o comunque in relazione a realtà di pertinenza locale.

Con le dimissioni e il successivo evolversi degli eventi questo tipo di tratta-zione è stata scalzata e, attraverso la costruzione del conflitto, le pagine dei giornali si sono popolate di personaggi fino ad allora sconosciuti alla maggio-ranza dei lettori. Ciò ha determinato un’iniziale evidente difficoltà di conte-stualizzazione, una sorta di mancanza di memoria, che ha portato i quotidiani

65 Subito 50 milioni o gli Atenei si fermano, “Il Corriere della Sera”, 20 giugno 2002; Intervista ad Atti-

lio Maseri, ordinario di cardiologia al San Raffaele di Milano, “La Repubblica”, 10 dicembre 2002; Retto-ri, schiaffo al governo, “La Repubblica”, 11 dicembre 2002.

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o a continuare ad utilizzare le precedenti generalizzazioni o a recuperare gli elementi minimi di conoscenza con ridondanti specificazioni su chi fossero i protagonisti, cosa significassero le sigle e quali fossero gli eventi precedenti. È evidente la presupposizione di un’assoluta mancanza di familiarità del letto-re con l’argomento trattato.

Col passare dei mesi e con il progressivo infittirsi degli articoli questo disa-gio scompare e lascia spazio alla costruzione di singole identità, con nomi, volti, dimensioni caratteriali e autorità.

Ne è esempio lampante la figura di Piero Tosi. L’invisibilità di tale perso-naggio si rompe il 26 settembre 2002, quando, in occasione della nomina a presidente della Crui, emette il primo comunicato di allarme sullo stato delle Università. Molti giornali il giorno successivo riportano tale notizia, spiegan-do chi è Piero Tosi e pubblicandone, spesso, una foto. Tuttavia in tutta la pri-ma fase della vicenda il citarlo non consente di dare per scontato che il lettore sappia di chi si parla, non a caso il suo nome compare non nei titoli ma nel corpo dell’articolo ed è sempre accompagnato da una più o meno breve spie-gazione che lo identifica come «presidente della Crui».

Nel corso dell’anno analizzato la situazione muta profondamente, il succe-dersi degli eventi e l’infittirsi della trattazione determinano un’alta visibilità sia per Tosi che per la Crui. Il «presidente dei rettori» citato, intervistato, fo-tografato diviene una figura nota, di cui si conoscono il ruolo, le sembianze ma anche i tratti caratteriali. Voce e volto ufficiale della Conferenza dei Ret-tori delle Università Italiane Tosi assume un vero e proprio ruolo di leader.

Non a caso, al pari di «Moratti» o «Tremonti», «Tosi» compare sempre più spesso nei titoli e, il citarlo nel testo degli articoli è sempre più raramente ac-compagnato da una spiegazione: il giornale dà ormai per scontato che il letto-re sappia di chi si sta parlando.

La stessa Crui è un soggetto che nel corso dell’anno assume una visibilità e una notorietà rilevanti. Il percorso è, sostanzialmente, il medesimo. Se ini-zialmente il nominare la Crui era sempre seguito da un più o meno corretto disvelamento del significato dell’acronimo, durante il periodo considerato la costante presenza di questo soggetto all’interno delle notizie attinenti l’Università consente ai giornali di presupporre una certa familiarità del letto-re e di utilizzare la parola «Crui» senza la necessità di tradurla. Non a caso negli ultimi mesi del 2003 il soggetto «Crui» comincia ad apparire anche all’interno dei titoli.

La presupposizione della suddetta familiarità del lettore con l’argomento e con i protagonisti rappresenta uno degli elementi determinanti nel favorire una trattazione non più caratterizzata dagli elementi della sporadicità ma, in quan-to frequente, più articolata e più simile ad una narrazione a puntate.

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Nel complesso si vede come nel passaggio da una sostanziale invisibilità a una presenza continua e sempre più conforme alla complessità del sistema u-niversitario, i protagonisti di tale realtà si siano dovuti sottoporre a una sorta di traduzione capace di renderli comprensibili e narrabili secondo i criteri giornalistici. Una traduzione da un lato condotta dagli stessi quotidiani, ma dall’altro determinata dall’adozione di una diversa e innovativa strategia co-municativa da parte dell’Università.

Cos'è l'Università? Un'immagine poco definita Gli Atenei sono sistemi complessi: hanno organi di governo e sistemi di re-

golamentazione delle proprie autonomie, gestiscono strutture di didattica e di ricerca, svolgono numerose e diverse attività come l'insegnamento, l'appro-fondimento teorico e tecnico, la promozione e l’organizzazione di eventi e progetti culturali, l'orientamento al lavoro, la consulenza eccetera. Sono quin-di strutture organizzative e funzionali multiformi, non sempre comprese dai non addetti ai lavori e con un'immagine non molto chiara anche per il proprio pubblico di riferimento, come ad esempio gli studenti.

Anche sui giornali che abbiamo analizzato l'immagine degli Atenei è poco definita. A volte essi sono identificati con le attività didattiche, come i corsi di laurea o i servizi agli studenti; a volte sono identificati, in modo generico, con le attività di ricerca, ma senza chiarire il loro ruolo all'interno degli enti e sen-za attribuire loro una posizione definita nel panorama della ricerca scientifica. Inoltre, solo in alcuni casi - come in alcuni articoli pubblicati dal “Il Sole 24 ore”66 - si tiene conto della dimensione istituzionale degli atenei e del loro si-stema di governo interno.

Dunque, senza specificare a quali attività o a quali settori accademici ci si riferisce, anche per semplicità e comprensibilità, i giornali parlano generica-mente di “Università”. Prevale il consueto schema interpretativo, associato per anni alle notizie di mala Università67 che trovavano posto sui giornali: un luogo chiuso, impenetrabile, dove il potere è concentrato in poche mani.

Dunque, seppure i rettori dimostrino di uscire “allo scoperto” nella contrat-tazione politica, di incentivare un dibattito pubblico sugli atenei, di richiedere

66 cfr. ad esempio Quale governance per l'Università, “Il Sole 24 ore”, 1 febbraio 2003 67 Un classico episodio di mala Università accade anche nel periodo da noi analizzato: si tratta della

scoperta di esami truccati a La Sapienza. Tutte le testate ne parlano, con diversi articoli di apertura di pagi-na, dal 18 al 19 luglio. Altro episodio è quello del professore Enzo Capizzano, ex-docente a Camerino, «ac-cusato di violenza sessuale, corruzione, concussione e peculato» per aver girato «18 filmini hard», con stu-dentesse sul divano dello studio. cfr. «Il professore hard paghi i danni», “La Stampa”, 15 ottobre 2003.

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fondi, ma anche cultura della trasparenza e della valutazione, “l'Università” come soggetto generico continua ad essere “vecchia” e autoreferenziale.

Molto rappresentativo da questo punto di vista è il confronto, pubblicato con grande rilevanza da ”Il Corriere della Sera”, tra Piero Tosi e Francesco Giavazzi, al quale interviene anche il presidente del Senato Marcello Pera68.

Qualità, valutazione dei risultati, volontà e capacità di cambiamento sono i concetti espressi dal presidente della Crui, mentre Giavazzi accusa gli atenei di corporativismo, inefficienza e immobilismo, usando più volte parole come «palude», «zavorra», «congelamento».

Espressioni come queste appaiono in evidenza nei titoli degli interventi e “pesano” nella percezione delle notizie: se gli argomenti infatti sono speciali-stici e richiedono una discreta conoscenza del mondo universitario, i titoli at-traggono facilmente l'attenzione del lettore. L'esempio più lampante è: Incesto all'Università, il titolo dell'intervento di Marcello Pera, che accusa gli atenei di corporativismo e autoreferenzialità.

Un altro attacco frontale arriva dal ministro della Salute Girolamo Sirchia, che in seguito alle dimissioni rassegnate da Ignazio Marino da presidente del-l'Ismett, l'Istituto mediterraneo per i trapianti, accusa gli atenei di «nepoti-smo» e «gerontocrazia», usando ripetutamente la parola «baroni».69

E' un termine questo sui cui conviene soffermarsi. Viene utilizzato per indi-care un potere assoluto e arbitrario, quasi dispotico, ed è usato spesso per de-finire i magnati della politica o della finanza, ma ancor più spesso per definire alcuni professori universitari.70 Connota un'Università vecchia, burocratizzata e autoreferenziale, caratterizzata da dinamiche ingiuste ed esclusive: una vera e propria critica a tutto campo, racchiusa in un unico termine, quasi caduto in disuso ma piuttosto utilizzato in questo caso da tutte le testate per esprimere forte dissenso e creare conflittualità.

Per esempio, parlando di ricerca scientifica Francesco Giavazzi accusa i «baroni accademici», tra cui include anche il Cnr e la Crui, di creare una «lobby della scienza», mentre Roberto Napoletano scrive: «Il declino compe-

68cfr. Francesco Giavazzi, L'occasione perduta, “Il Corriere della Sera”, 11 dicembre 2002; Marco Ga-speretti, Lo Stato paghi gli aumenti ai docenti e noi controlleremo l’efficienza degli atenei, intervista a Pie-ro Tosi, “Il Corriere della Sera”, 13 dicembre 2002; Francesco Giavazzi, Fondi e concorsi qualche scomo-da verità, “Il Corriere della Sera”, 15 dicembre 2002; Marcello Pera, Incesto all'Università, “Il Corriere della Sera”, 22 dicembre 2002; Piero Tosi, Università, i fondi dello Stato e le spese, “Il Corriere della Se-ra”, 29 dicembre 2002.

69 La dichiarazione di Sirchia viene riportata da quasi tutte le testate nazionali, il 4 gennaio 2003. Il giorno dopo i rettori rispondono. Cfr. Rettori contro Sirchia: faccia i nomi dei baroni, “Il Corriere della Sera”, 5 gennaio 2003.

70 Il dizionario De Agostini definisce il barone come il signore feudale che riceveva l'investitura diret-tamente dal sovrano ed esercitava un potere assoluto sulle terre a lui soggette. Per esteso, una persona che esercita un potere incontrastato e spesso arbitrario.

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titivo del Paese affonda le sue radici, tra l'altro, in quel terreno melmoso dove si intrecciano le baronie universitarie, perverse logiche di appartenenza politica... »71. Per presentare la riforma del Cnr proposta dal ministero dell'Istruzione, “Il Giornale” titola: Enti di ricerca, basta “baroni”. La riforma imporrà i manager, mentre sulla proposta di riforma della docenza il titolo di “La Stam-pa” del 24 gennaio è: Via i baroni, solo prof a tempo. In questo articolo la paro-la è ribadita e rafforzata: «baroni fieramente arroccati nei loro dipartimenti», “i-namovibili baroni».72

L'immagine di un'Università controllata dai “baroni” non è veicolata soltanto dalle testate moderate o da quelle di tendenza di destra. Ad esempio, per motivi opposti, e cioè per criticare il progetto ministeriale di riforma sulla docenza, “Il Manifesto” scrive: «il provvedimento se approvato finirebbe col rafforzare le baronie (...) lo strapotere dei baroni». I docenti dovranno affrontare un «calva-rio», subire un «pesantissimo controllo accademico» e «potranno essere sotto-posti a pesanti ricatti».73

Insomma, il corporativismo sembra essere una delle accuse principali rivolte al sistema universitario, in questo caso inteso come un insieme di docenti. Infat-ti anche i giornalisti che danno ampio spazio alle voci dei rettori, come ad e-sempio Maria Latella, autrice per “Il Corriere della Sera” di alcuni importanti articoli sull'Università, vi allude spesso, soprattutto riguardo all'attribuzione del-le cattedre: «il diritto sacro e inviolabile a nominare un ordinario qua, un ricer-catore là (...) qual delicato sistema di potere grazie al quale si sono costruite car-riere e magari anche alimentati amori clandestini... »74.

Per quanto riguarda il tema conduttore di tutta la trattazione, il problema dei fondi da destinare agli Atenei, i rettori sottolineano più volte la situazione di emergenza finanziaria e l'impossibilità di continuare a mantenere lo stesso livel-lo di servizi. I rettori, negli articoli che rendono conto delle loro richieste, sono caratterizzati dalla volontà e capacità di fare. Decisione e competenza che si perdono in molti commenti o articoli di corredo, dove gli atenei sono tacciati di inefficienza e incapacità di gestione.

Ad esempio, su “La Stampa”, anche se in modo non enfatico e non sistemati-co, l'Università viene accusata di inefficienza e di «poca incisività», di «passivi-tà»75, e di sprecare il denaro76.

71 Francesco Giavazzi, Una Cambridge anche in Italia, “Il Corriere della Sera”, 25 ottobre 2002; Rober-to Napoletano, Ricerca e lavoro riformisti alla prova, “Il Sole 24 ore”, 5 febbraio 2003.

72 Enti di ricerca, basta «baroni». La riforma imporrà i manager, “Il Giornale”, 10 marzo; Via i baroni, solo prof a tempo, “La Stampa”, 24 gennaio 2003.

73 Docenti sotto ricatto, “Il Manifesto”, 24 gennaio 2003. 74 Maria Latella, L’autonomia dell’Università è in pericolo, “Il Corriere della Sera”, 17 settembre 2003 75 Riccardo Viale, Meno pianti, più idee, 17 dicembre 2002. 76 Gli atenei spendano meglio le loro risorse, intervista a Silvio Fortuna, 11 dicembre 2002.

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Le testate di tendenza di destra accusano direttamente docenti e rettori e cen-trano la loro interpretazione della notizia sul concetto di spreco: i docenti ad e-sempio formano una “lobby” che rende l'Università «impermeabile a qualsiasi intervento radicale», invece dovrebbero «intervenire sugli sprechi» e fare «un'a-zione di pulizia radicale al loro interno».77

La proposta di vincolare i fondi ad una gestione centralizzata, fatta dal mini-stro Moratti a metà settembre 2003, apre il dibattito sull'autonomia finanziaria delle Università. Mentre le testate di sinistra leggono questa mossa del governo come un tentativo di intromissione, un ingresso della politica nella libertà del-l'insegnamento e della ricerca, - «uno schiaffo di inusitata violenza», scrive “La Repubblica” - le testate di taglio moderato imputano agli atenei difficoltà nella gestione finanziaria e inefficienza. Negli organi di governo è presente «un con-sociativismo che porta a soluzioni inefficienti di tipo compromissorio», scrive “Il Sole 24 ore”78.

In questa occasione “Il Corriere della Sera”, pur con delle note critiche, dà ampio spazio alle posizioni dei rettori, ospitando una lettera aperta di sette intel-lettuali italiani e intervistando tre personalità forti e al centro del dibattito sul-l'Università e le ricerca: Piero Tosi, Luigi de Maio e Salvatore Settis.79 I tre ret-tori difendono l'autonomia, considerata «un cammino prezioso», le loro opinio-ni sono autorevoli e divergono su pochi punti, hanno in comune i concetti chia-ve di valutazione e responsabilità.

Si può dunque affermare che mentre ai rettori è attribuita la volontà di cam-biamento, da molte testate l'Università è interpretata ancora come obsoleta e au-toreferenziale. Lo schema interpretativo del tema Università sui giornali è la di-cotomia tra vecchio e nuovo, oltre che tra qualità e mancanza di qualità.

Proprio sul nodo della qualità si incentrano tanti articoli lungo il periodo pre-so in considerazione. Uno dei leitmotiv è che l'Università italiana è «indietro» rispetto all'Europa.

Nella lettera inviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, prima delle dimissioni in massa dei rettori, il presidente della Crui Tosi insiste molto sul fat-to che l'Università italiana è «indietro» rispetto ai Paesi d'Europa, «fuori dal-l'Europa». La lettera, di cui “Il Corriere della Sera” pubblica in esclusiva ampi stralci (24 ottobre 2002), indica il linguaggio e i temi del dibattito, per cui anche

77 I lamenti ingiustificati dei professori, “Il Giornale”, 9 gennaio 2003. 78 Regole certe per la qualità universitaria, “Il Sole 24 ore”, 7 ottobre 2003. 79 L'intervista a Piero Tosi, presidente della Crui e rettore dell’Università di Siena, è pubblicata il 18 set-

tembre 2003, quella ad Adriano de Maio, rettore alla Luiss, il 23 settembre, quella a Salvatore Settis, rettore de La Normale di Pisa, il 19 settembre. Il 17 settembre “Il Corriere della Sera” pubblica un intervento a difesa dell'autonomia degli atenei, firmato da Alberto Asor Rosa, Maurizio Bettini, Umberto Eco, Alessan-dro Figà Talamanca, Ernesto Galli delle Loggia, Angelo Panebianco, Aldo Schiavone. Correggere gli erro-ri senza tornare al passato, “Il Corriere della Sera”, 17 settembre 2004.

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negli articoli successivi si sottolinea sempre come l'Italia sia indietro rispetto a certi parametri.

Con l'aumento della “temperatura” rispetto al problema dei fondi, nel mese di ottobre 2002, aumentano le espressioni che esprimono l'emergenza dell'Univer-sità, che è alla «bancarotta» o al «collasso» dal punto di vista finanziario, e dal punto di vista della didattica "manca" di docenti, di ricercatori, di laureati. An-che nelle parole di Piero Tosi80 ha grande rilevanza la parola «emergenza» e i termini legati all'Università danno un'immagine negativa: «siamo penalizzati», «siamo indietro».

Siamo «spaventosamente indietro», sottolinea Paolo Sylos Labini nel com-mento pubblicato il 2 ottobre su “l'Unità”. Tosi alla trasmissione “Uno mattina” denuncia che l'Università italiana «non può far parte della competizione euro-pea». Lo «svantaggio» rispetto agli altri Paesi europei è continuamente sottolineato: «siamo all'ultimo posto... »81

Così, dalla bocca della Crui proviene un'immagine di un'Università molto ca-rente, anche se nelle settimane successive Tosi cambierà tono e sarà attento a difendere la qualità delle Università italiane.

Bassa qualità e forte difficoltà sono i concetti chiave di molti interventi pub-blicati da “Il Sole 24 ore” nel corso dell'anno: «la nostra produttività è assai bassa»; «è più basso anche il numero dei dottori di ricerca»82 scrive Paganetto il giorno in cui viene pubblicata la notizia delle dimissioni dei rettori. Le numero-se inchieste, corredate di dati e statistiche, pubblicate dal quotidiano economico nel corso dell'anno sono spesso su questa linea: «Italia in coda nel confronto in-ternazionale», «l'Italia arranca, seguita solo dalla Spagna», «l'Italia è solo al ventiseiesimo posto per la preparazione in matematica»83.

Un'occasione per fare il confronto tra Università italiane ed europee è anche la pubblicazione del rapporto TreeLLLe, a settembre 2003. «Atenei italiani in difficoltà» scrive il quotidiano “Avvenire”: l'Università è «in crisi», «vicina al collasso», «tra le peggiori in Europa», «al livello più basso rispetto agli altri pa-esi», «arranca per diventare europea»84.

L’Università è al «collasso» e c’è il «rischio di veder aumentare irrimedia-bilmente il divario con l’Europa», scrive con parole molto simili “Il Manifesto” quando, ad ottobre 2003, i rettori tornano a reclamare fondi sufficienti per gli

80 cfr. l'intervista al presidente della Crui pubblicata da “l'Unità” il 25 ottobre. 81 La dichiarazione di Piero Tosi alla trasmissione “Uno Mattina” è riportata da “l'Unità” il 7 novembre 82 Primo, investire in eccellenza, “Il Sole 24 ore”, 11 dicembre 2002. 83 cfr. All’Università spesa al contagocce, “Il Sole 24 ore”, 14 maggio 2003; In ricerca il 3% del Pil eu-

ropeo, “Sole 24 ore”, 30 aprile; Università, via ai fondi per i giovani, “Il Sole 24 ore”, 3 maggio. 84 Atenei italiani in difficoltà, “Avvenire”, 12 settembre 2003. cfr. Raffaello Masci, Standard qualitativi

per le Università, “La Stampa”, 12 settembre 2003.

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atenei nella legge Finanziaria.85

Questi sono solo alcuni dei tantissimi esempi che si potrebbero trarre dagli articoli: che si parli di qualità e quantità di ricerca prodotta, di numero di laurea-ti, di qualità dei corsi, di strutture e servizi, il confronto con i paesi stranieri sot-tolinea sempre lo svantaggio dell'Università italiana. I temi della didattica

La funzione più nota dell'Università è certamente quella di organizzare e ge-stire l'istruzione superiore.

In molti articoli - ma certamente non la maggior parte - gli atenei sono identi-ficati essenzialmente con questa funzione, ed i problemi dell'insegnamento tor-nano ad essere il centro della rappresentazione che si fa dell'Università.

Questo avviene in coincidenza delle proposte di riforma della didattica, e du-rante il periodo estivo, quando i ragazzi stanno decidendo a proposito dei propri studi universitari e allora diventano frequenti classifiche delle facoltà, statistiche e ricognizioni sui vari corsi di studio, sugli sbocchi professionali eccetera.86

A metà del mese di aprile si avvia il dibatto sulle proposte di riforma del mi-nistro Moratti al cosiddetto “3+2”. L'intenzione di trasformare il sistema attuale in un sistema ad “Y” (un anno comune e poi la scelta tra un biennio teorico ed uno professionalizzante) è l'occasione per fare un bilancio della riforma didatti-ca a 3 anni dal suo avvio.

Pronta la riforma del 3+2 titola “Il Sole 24 ore” il 15 aprile, sottolineando il decisionismo del ministro dell'Istruzione, mentre “l'Unità” sostiene che «smon-tare la riforma dell’Ulivo è la nuova mission di Letizia Moratti». Secondo “Il Giornale” la nuova riforma inaugura «l’evoluzione universitaria, vero passo verso il futuro della formazione dei nostri giovani».87

Il dibattito naturalmente si dipana secondo criteri di netto schieramento poli-tico. Ma quali considerazioni, nel concreto, vengono fatte sulla qualità della di-dattica?

Se le statistiche confermano che gli iscritti e i laureati aumentano, ricono-scendo risultati positivi in questo senso al “3+2”, molti commenti che accom-

85 CRUI: I rettori contro la finanziaria: «Università al collasso», “Il Manifesto”, 11 ottobre 2003. 86 Non abbiamo considerato, in questa analisi, le classifiche delle facoltà pubblicate da “La Repubblica”,

in più puntate, in collaborazione con il Censis. Le classifiche e quindi gli articoli che descrivono le migliori sedi di studio in Italia sono infatti slegate dall'attualità e dalla cronaca, e pur incidendo sulla percezione del lettore, non ci aiutavano a ricostruire l'effettivo atteggiamento della testata nei confronti dei temi universita-ri.

87 All’Università suona la campana della devoluzione, 18 maggio.

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pagnano le notizie sulle proposte di riforma attaccano il sistema voluto da Luigi Berlinguer.

Impietoso “Il Foglio”, che con una critica a tutto campo sostiene che il siste-ma dell’istruzione è coinvolto in «un decadimento che avanza senza ostacoli». Viene criticato l’intento della riforma di «conseguire velocemente un titolo di studi»: il legislatore è «cretino» perché «ha legato il programma dei corsi a una visione di un impegno di ore di studio calcolate sulle capacità di uno studente medio di cui però nessuno ha saputo dare una definizione». Le conseguenze so-no «imbarazzanti», i casi «grotteschi», «spopolano i corsi di laurea in Scienze della Pace, a Modena già pensano di istituire una Università Arcobaleno»88.

Anche le testate più moderate appuntano le loro critiche sulla proliferazione dei corsi di laurea e sull'alleggerimento del carico di studio: si punta ad aumen-tare “i numeri” col rischio di abbassare la qualità.89

Note positive sulla didattica vengono invece dall'indagine realizzata dal con-sorzio Almalaurea e presentata alla stampa all'inizio del mese di giugno. Nella pagina pubblicata il 9 giugno “Il Sole 24 ore” titola: Boom di matricole. «Uni-versità, scelta consapevole», recita l'attacco dell'articolo di apertura, che sottoli-nea l'aumento degli iscritti, collegato con l'organizzazione didattica del 3+2, e l'aumento degli studenti lavoratori. «L'efficacia della laurea è complessivamente buona»: il titolo di studio è importante per trovare lavoro.

Il quotidiano economico, nonostante pubblichi alcuni commenti molto critici, sottolinea spesso anche le note positive sulla didattica: gli ampi servizi pubbli-cati nel mese di settembre, ad esempio sul lavoro part-time e sui master, sono improntati alla positività: più opportunità per gli studenti, aumento delle inizia-tive in molti atenei, diversificazione dei servizi. Compaiono giudizi positivi an-che sull'ordinamento didattico basato sul 3+2: l'Università cambia, l'offerta formativa è migliore, c'è una riduzione degli abbandoni, anche se i docenti e i presidi di facoltà si dividono tra “fiduciosi” e “scettici”.

Nel corso dell'estate si sottolinea più volte l'aumento degli iscritti e dei laure-ati: Università, è record di nuove iscrizioni», scrive il quotidiano presentando il rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, pre-sentato alla stampa il 22 luglio. Alcune testate pubblicano notizie sul rapporto e confermano l'aumento degli iscritti e dei laureati, mettendo anche in evidenza che le studentesse sono più numerose degli studenti.90

88 E la chiamano pure Università, “Il Foglio”, 29 maggio 2003. 89 cfr. ad esempio, Laurea, il fascino irresistibile di un pezzo di carta, “Il Corriere della Sera”, 19 luglio,

in cui si scrive che l'Università è «vista come una raccolta di punti alla pompa di benzina». Paola Potestio denuncia che «lo schema 3+2 è intrinsecamente inefficiente», «poco funzionale», è una «soluzione pessi-ma» (Università, idee per uscire dal caos, “Il Sole 24 ore”, 5 aprile 2003).

90 cfr. Università, è record di nuove iscrizioni, “Il Sole 24 ore”, 23 luglio; Crescono iscritti e laureati.

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Inoltre, «con una laurea in tasca è più facile trovare lavoro», sottolinea Raffa-ello Masci su “La Stampa”, riferendosi ai dati della ricerca Istat «Università e lavoro». «La laurea serve: dà più possibilità di lavoro e anche in tempi più rapidi che non il diploma o altri titoli».91

Insomma, tra spunti positivi e critiche generalizzate, l'immagine della didatti-ca universitaria è sicuramente poco coerente. Maggior peso e maggior forza hanno le voci che denunciano la difficoltà di garantire alti livelli di qualità: a causa della confusione normativa, del periodo di transizione tra diversi ordina-menti didattici, come spiegano le testate più attente, e a causa della cronica ca-renza di fondi, che si sta tramutando in vera e propria emergenza, come denun-ciano più volte i rettori su tutte le testate. I temi della ricerca

Il tema della ricerca è fondamentale e molto trattato, ma come abbiamo detto,

non sempre è correlato in modo chiaro all'Università. Alla ricerca scientifica sono associati i valori di innovazione, competitività, progresso, miglioramento. Ma se la ricerca e la questione della “fuga dei cervelli” sono temi centrali e con-siderati di grande rilevanza, soprattutto in alcuni periodi, il collegamento di questi temi con le attività degli atenei è sporadico. Questo collegamento è forte in occasione delle dimissioni dei rettori, quando tutte le testate si dimostrano preoccupate delle sorti degli atenei e della ricerca scientifica in Italia. Il presi-dente della Crui, nelle richieste che fa al Governo, difende spesso la ricerca: «la produttività per ricercatore in Italia è superiore a quegli degli Stati Uniti e tra le prime in Europa».92

In altri periodi, possiamo rintracciare la relazione tra atenei e ricerca solo in alcuni esempi, come nella dichiarazione del ministro dell'Istruzione durante la presentazione del rapporto annuale del Comitato di valutazione del sistema uni-versitario: «Nella ricerca di base - ha sottolineato il ministro Moratti - gli atenei appaiono come attori fondamentali... » oppure nel discorso di Giorgio Squinzi, vice presidente di Confindustria, che parlando di ricerca scientifica dice: nelle Università ci sono «punte di eccellenza assolute», «risorse specialistiche di li-vello mondiale»93.

Avanzano le donne, “Avvenire”, 23 luglio.

91 Con una laurea in tasca è più facile trovare lavoro, “La Stampa”, 5 luglio. 92 Fondi per sopravvivere, intervista a Piero Tosi, “La Repubblica”, 4 dicembre 2002. La Crui produce

anche un documento intitolato Ricerca scientifica nelle Università italiane, di cui parla “La Repubblica” nel commento di Tullio Regge, Tutti i numeri della ricerca, del 3 giugno 2003.

93 Università, è record di nuove iscrizioni, “Il Sole 24 ore”, 23 luglio 2003; Gian Guido Vecchi, Univer-

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Proprio su una punta di eccellenza, definita però «l'eccezione che conferma la regola», è incentrato l'articolo pubblicato sul settimanale “Sette” il 2 ottobre, che parla della collaborazione tra l'Università di Milano Bicocca e la fondazione Silvio Tronchetti Provera.

Rari insomma sono gli esempi di qualità. “Il Corriere della Sera” e “Il Sole 24 ore” collegano i buoni risultati solitamente alla collaborazione tra atenei e privati. Il quotidiano economico in numerosi articoli, soprattutto per bocca di esponenti di Confindustria, sottolinea l'importanza della ricerca e la necessità di collegarla al mondo produttivo, con finanziamenti anche da parte dei privati.

Altrimenti, in commenti o articoli di taglio generale, le critiche al sistema della ricerca sono forti. Franco Vergagnano consiglia di «aggrapparsi ai poli di eccellenza per rilanciare la ricerca italiana, rallentata dalla cronica carenza di fondi». Roberto Napoletano descrive ironicamente l'Italia come il «Paradiso della ricerca», dove si spende poco «e spesso quel poco lo si spende male» e dove i ricercatori «sono costretti a emigrare».94

E ancora: «che in Italia la ricerca scientifica mostri la corda, non ci piove. Che la ricerca di base sia messa anche peggio, idem. Che i soldi siano pochi e distribuiti un po’ a casaccio, lo ammettono tutti»95.

Inefficienza e sprechi sono imputati al sistema della ricerca in generale, non solo a quello universitario ma anche a quello degli enti.

Per questo motivo abbiamo scelto di analizzare anche la vicenda della rifor-ma del Cnr, che si svolge tra febbraio e maggio 200396: gli schemi interpretativi utilizzati dai giornali sono quelli usati per trattare temi più strettamente universitari. Infatti, si crea un forte schema di conflitto: enti e ricercatori contro il Governo.

Nelle testate di sinistra il Governo è accusato di voler «distruggere comple-tamente quello che di buono ha fatto il Cnr». La riforma è un tentativo di occu-pare il Cnr dal punto di vista politico ed è definita una «coltellata»: la ricerca viene «affogata»97. sità e nuovi criteri per i fondi La Sapienza perderebbe 83 milioni, “Il Corriere della Sera”, 19 ottobre 2003.

94 Italia aggrappata ai poli di eccellenza, “Il Sole 24 ore”, 26 aprile; Ricerca e lavoro riformisti alla prova, “Il Sole 24 ore”, 5 febbraio.

95 Ecco la via italiana al Mit per rilanciare la ricerca, “Il Corriere della Sera”, 26 ottobre. 96 L'1 febbraio vengono pubblicate da quasi tutte le testate le notizie relative alla riforma del Cnr: il Go-

verno ha approvato il riordino degli enti pubblici di ricerca e commissariato il Cnr, mettendone alla guida Adriano De Maio, rettore della Luiss. Il mondo della ricerca chiede l'intervento del Quirinale. Il 12 febbraio a Roma si svolge la protesta nazionale dei ricercatori contro il riordino degli enti. Lucio Bianco vince un ricorso al Tar contro la sua rimozione ed il commissariamento del Cnr: il 6 marzo viene annullata la deci-sione dell'Esecutivo. Bianco si dimette poi, il 13 maggio, per i contrasti con il ministro Moratti. Il 6 giugno De Maio viene nominato Commissario straordinario del Cnr. In tutte queste vicende le Università e la posi-zione dei rettori sulla ricerca scientifica non compaiono praticamente in nessuna testata.

97 Ricerca, interviene anche Prodi: un suicidio i tagli in Europa, “La Repubblica”, 2 febbraio 2003. No-

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Nelle testate moderate e di tendenza di destra, viceversa, si evidenzia la vo-lontà di cambiamento del ministero e la capacità di innovazione che caratterizza Letizia Moratti, e si accusano gli enti di inefficienza, sprechi e corporativismo.

Si torna a parlare di lobby e di «baroni»: ad esempio Francesco Giavazzi, so-stenendo l'ipotesi della creazione a Genova dell'Istituto Italiano di Tecnologia, include nella definizione di «baroni» anche il Cnr e la Crui.98

Una testata di tendenza come “Il Giornale” parla apertamente di malafede dei ricercatori: riferendosi all'appello contro il decreto legislativo di riordino del Cnr inviato al presidente Ciampi e firmato da personaggi del mondo scientifico italiano, si legge: «Quell’appello zeppo di bugie», a cui segue un’accusa ironica «all’estensore materiale del documento, tale Rino Falcone, ignoto ai più», alla forma «reboante» e di «stile burocratico» e ai contenuti, «dichiarazioni e istanze talmente banali e buone per ogni stagione (del tipo “no alla guerra!”) ».99

La vicenda del riordino del Cnr occupa, soprattutto nelle testate che dedicano meno attenzione a questi temi, uno spazio preponderante su quello dedicato alla ricerca scientifica. Altro tema rilevante è quello dei fondi da destinare alla ri-cerca, argomento trattato spesso in modo generico ed emozionale: alla mancan-za di fondi sono associati i concetti di arretratezza economica e declino: «Un suicidio ridurre la ricerca», dichiara ad esempio Romano Prodi su “Il Sole 24 ore” (2 febbraio 2003).

La ricerca è sempre identificata con gli studi in campo medico ed in campo tecnologico. Manca totalmente una rappresentazione degli studi in campo uma-nistico.

L'altro tema portante è quello della cosiddetta “fuga dei cervelli”, associata all'inefficienza del sistema della ricerca in Italia e spesso alla presenza di «baro-nie» che impedirebbero ai giovani, anche se preparati e capaci, di fare carriera. «Ho avuto allievi - dichiara Roberto Vacca a “La Repubblica” - che finché sono rimasti in Italia hanno fatto benino, poi un giorno hanno deciso di andare in America e lì sono esplosi»; «scassate e ammaccate le nostre Università produ-cono ricercatori che ci vengono persino rubati da paesi più attenti alla ricerca scientifica».100

tare il tono enfatico e l'umanizzazione del sistema della ricerca, come in occasione delle dimissioni dei ret-tori era stata umanizzata la stessa Università. Anche “l'Unità” tratta con enfasi il tema della riforma degli enti di ricerca, mettendo al centro la protesta dei ricercatori. Numerosi gli interventi di Lucio Bianco e Margherita Hack. Il fisico Carlo Bernardini dichiara (2 febbraio): «la riforma crea un mercato della ricerca e dei teoremi», c’è «un vero abisso culturale tra come si fa ricerca adesso e come si vorrebbe riformarla».

98 Una Cambridge anche in Italia, “Il Corriere della Sera”, 25 ottobre 2003. L'autore parla di «lobby della scienza», e quindi di corporativismo, gestione del potere, eccessiva importanza dell'anzianità e delle gerarchie.

99 Quell’appello zeppo di bugie, “Il Giornale”, 12 dicembre 2003. 100 Credo al lavoro di gruppo, i geni sono un’eccezione, “La Repubblica”, 4 luglio 2003; Il buco che ha

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Tra le tante interviste a ricercatori "fuggiti" all'estero citiamo quella che “Av-venire” dedica all'oncologo Mauro Ferrari, candidato al premio Nobel. «L’Università italiana non offre ai suoi giovani migliori (tanti!) le stesse oppor-tunità che si hanno all’estero»; «l’Università italiana, troppo spesso “punisce” metodicamente chi ha intelligenza, personalità, idee nuove premiando invece, chi è mediocre, il portaborse che si adegua pedissequamente alla “norma”».101 Gli fa eco il fisico Federico Capasso dalle pagine di “QN” (29 luglio 2003): ne-gli USA i ragazzi «non hanno bisogno di ingraziarsi alcun professore».

Un episodio che nel mese di ottobre 2003 riaccende l'attenzione su questo tema è la bocciatura del premio Nobel Carlo Rubbia al rinnovo della carica di presidente dell'Enea. Le testate vicine all'opposizione leggono questa bocciatura come un affronto ed un ulteriore tentativo della maggioranza di condizionare politicamente il mondo della ricerca. Il dibattito, che volge subito verso il tema della “fuga dei cervelli”, è ampio sulle grandi testate nazionali fino al 29 otto-bre, quando la candidatura di Rubbia è approvata al Senato.

In questo periodo il tema dell'emigrazione dei ricercatori diventa di dominio pubblico. Secondo la testata “Avvenire”, gli italiani sono «preoccupati» dalla “fuga dei cervelli”.102

“Il Corriere della Sera”, sul sito internet www.corriere.it, apre un forum di discussione, pubblicizzato sul giornale. Nella rappresentazione mediatica la “fu-ga dei cervelli” diventa insomma un problema di rilevanza nazionale, per cui tutti i cittadini sono coinvolti e sono chiamati ad esprimere la loro opinione.

Chi è l'Università? I soggetti protagonisti Abbiamo già detto che la rappresentazione dell'Università è piuttosto gene-

rica: anche i soggetti protagonisti, quelli che ogni giorno lavorano e studiano negli atenei, non sono ben delineati. Nel periodo analizzato i soggetti chiave nella rappresentazione del mondo universitario sono sicuramente i rettori. Se il giornalismo è sempre di più portato ad utilizzare le tecniche di personaliz-zazione della notizia, sicuramente queste tecniche si sono appuntate sui retto-ri, soggetti con un'immagine ben definita, a cui sono legati precisi valori e inghiottito l’Università, “La Repubblica”, 6 luglio 2003. cfr. Italiani in Usa: con i «baroni» rientro diffici-le, “Sole 24 ore”, 4 febbraio 2003.

101 Un cervello italiano contro il cancro, “Avvenire”, 19 luglio 2003. A corredo dell'intervista “Avveni-re” pubblica uno specchietto in cui si confrontano le statistiche italiane con quelle europee e si indicano le ragioni della fuga dei ricercatori, secondo una ricerca del Censis: «l’eccessiva burocratizzazione della ricer-ca (21,4%); la mancanza di tecnologie e di laboratori adeguati (13,4%), le retribuzioni basse (12,6%)».

102 Fuga dei cervelli. Italiani sempre più preoccupati, “Avvenire”, 8 ottobre 2003.

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precise passioni. Della rappresentazione dei rettori abbiamo già parlato ampiamente. Vo-

gliamo qui riflettere brevemente sulla rappresentazione degli altri protagonisti del mondo accademico: gli studenti, i docenti, i ricercatori.

Paradossalmente i grandi assenti negli articoli che trattano di Università so-no gli studenti. Soggetti sconosciuti, senza identità definita e senza rappresen-tanza, vengono delineati non attraverso volti, persone, storie, come sarebbe facile e normale fare per i giornali, ma soprattutto attraverso le statistiche.

In realtà si parla degli studenti essenzialmente quando vengono presentati dati e studi su di loro. Per esempio, l'indagine annuale svolta dal consorzio Almalaurea, con il profilo del laureati italiani, viene presentata alla stampa e ripresa da quasi tutte le testate. Scrive “La Repubblica” il 13 giugno: «Cambia la provenienza sociale degli studenti (...), le cifre descrivono un’Università sempre più democratica e meno classista». I ragazzi «non eccellono ma sono abbastanza preparati e tecnologicamente aggiornati».103

Oltre che nelle statistiche, pubblicate in abbondanza soprattutto da “Il Sole 24 ore”, gli studenti compaiono nelle testate di sinistra quando inscenano una protesta. Sono rappresentati a fianco dei rettori durante la minaccia e l'attua-zione delle dimissioni104, compaiono sporadicamente quando protestano con-tro i tagli dei fondi o le proposte di riforma del governo. A proposito della ri-forma della didattica proposta dalla Moratti, gli studenti bocciano il presunto fine della riforma di creare un maggior legame con il mercato del lavoro: per l’Udu, Unione degli universitari, «una persona iperspecializzata è condannata alla precarietà».105

“Il Manifesto” e “l'Unità” sono le uniche testate che danno voce diretta-mente, seppur sporadicamente, agli studenti. Da queste testate traspare che dopo il ritiro delle dimissioni da parte dei rettori l'unità delle comunità acca-demiche si rompe. Gli studenti temono aumento delle tasse e tagli nei servizi e non sono più in sintonia con i rettori.106

Tra i protagonisti della vita delle Università, una figura certamente più pre-sente è quella dei docenti, che però raramente hanno un'immagine positiva.

Classificati spesso come «baroni», le testate di tendenza di destra li accusa-

103 Tra i rari servizi che indagano sulla vita degli studenti, da segnalare quello sull'aumento degli studen-

ti lavoratori: Università e nuovi criteri per i fondi La Sapienza perderebbe 83 milioni, “Il Corriere della Sera”, 19 ottobre.

104 cfr. ad esempio Gli studenti ai rettori: occupate con noi, “l'Unità”, 25 ottobre 2002; la stessa testata scrive dello sciopero della fame intrapreso da alcuni studenti: «Visto che Tremonti ci vuole levare il pane quotidiano cominciamo a digiunare fin da adesso» (17 dicembre 2002).

105 Università indietro tutta, “Il Manifesto”, 19 aprile. 106 Vedi anche la notizia breve pubblicata da “La Stampa” sulle proteste studentesche: «l'attacco contro

il diritto allo studio è portato avanti dal governo e in alcuni casi anche dai rettori stessi» (3 febbraio).

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no anche di assenteismo e scarsa competenza. Su questo, scrivono queste te-state, interverrà il progetto di riforma della docenza pensato da Letizia Morat-ti, che permetterà di «eliminare quei numerosi personaggi che, appena diven-tati ordinari, si guardano bene al trascorrere in facoltà più di 2-3 ore settima-nali, sbattendosene del ricevimento degli studenti o dei vari obblighi didatti-ci».107

Ma preso atto di questa rappresentazione del professore, di cui abbiamo già parlato nei precedenti paragrafi, vorremmo qui affrontare anche casi diversi. In almeno due casi infatti, con rilevanti articoli, si dà spazio a testimonianze di prestigiosi professori universitari che testimoniano la propria competenza e la passione per il proprio lavoro. Uno degli articoli è quello su Alberto Asor Rosa che lascia l'insegnamento e tiene l'ultima lezione a La Sapienza: qui tra-spare il prestigio del personaggio ma anche dell'istituzione, l'orgoglio di esse-re docente, la passione per l'insegnamento (l’articolo è pubblicato nella pagina della cultura de “Il Corriere della Sera” il 6 giugno).

Di argomento più specialistico, ma con appassionate note personali, l'inter-vento di Maurizio Bettini su “La Repubblica”. Il professore prende spunto dal meccanismo di allocazione delle risorse proposto dal governo e delinea una situazione di disagio negli atenei, in cui i docenti, schiacciati da una cronica mancanza di risorse, devono combattere per garantire la sopravvivenza della propria cattedra. Negli atenei c'è un clima di «cronica litigiosità» che plasma una nuova figura, quella del «professore competitore».108

Questo articolo ci dà un'immagine inedita del docente universitario, rappre-sentato nella gran parte dei casi come estraneo alla possibilità di essere valuta-to, non in competizione, sicuro del proprio potere, in una posizione statica e conservatrice.

Infine, i ricercatori. Potremmo identificare questa figura, non molto deline-ata dagli articoli analizzati, secondo due definizioni: il ricercatore che emigra e il ricercatore che protesta.

La “fuga dei cervelli” è considerata un grave problema e il dibattito su que-sto è presente in tutte le testate. In questo caso il ricercatore è uno scienziato eccellente, che si occupa quasi sempre di temi medici, laureato in Italia ma costretto ad emigrare per svolgere le proprie ricerche o per fare carriera.

Nella maggior parte dei casi è dispiaciuto di non vivere nel proprio paese e sarebbe disposto a rientrare se le condizioni fossero migliori. Per esempio, l'oncologo Napoleone Ferrara dichiara: «In Italia non avrei avuto gli stessi

107 Università, licenziabili i professori incapaci, “Libero”, 24 gennaio 2003. 108 Il professore competitore, “La Repubblica”, 2 febbraio 2003.

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mezzi e le stesse chance per arrivare a questi risultati».109

Il ricercatore “fuggito” è insomma una persona che sacrifica la propria vita affettiva e personale all'amore per la ricerca: una persona caratterizzata da alti valori etici.

Altra figura è quella del ricercatore coinvolto nelle proteste contro il Go-verno: una figura che non compare durante la battaglia svolta dai rettori per aumentare i fondi stanziati dagli atenei e che invece si materializza quando il ministero mette mano al riordino degli enti di ricerca.

Le testate di sinistra dipingono i ricercatori come indignati, stupiti, arrab-biati a causa degli interventi promessi da Letizia Moratti. Chi lavora negli enti difende a spada tratta il proprio lavoro e considera le proposte del ministero come un'ingerenza colpevole.

Naturalmente, un altro quadro è fornito dalle testate moderate o di destra, che ripropongono lo schema innovazione/conservatorismo.

In questi articoli, nella maggior parte dei casi, il ricercatore è uno che vive chiuso nel proprio ufficio, in un ambiente burocratizzato e poco efficiente e gode di privilegi che non vuole lasciare. Quando il ricercatore difende la pro-pria posizione all'interno degli enti di ricerca assume le caratteristiche di auto-referenzialità e corporativismo che segnano, nelle testate prese in considera-zione, l'immagine dei professori universitari. Luci e ombre. Osservazioni conclusive

L’analisi degli articoli riguardanti l’Università pubblicati nell’arco di un

anno dalle testate nazionali ha evidenziato due aspetti principali: da una parte l’argomento è diventato di interesse per i media, per cui il numero di articoli pubblicati e il tono utilizzato sono sicuramente rilevanti, d’altra parte l’immagine dell’Università è ancora poco definita e piuttosto legata a valori “vecchi” e non positivi.

I rettori hanno sicuramente guidato e caratterizzato, con le loro azioni, l’avvicendarsi delle notizie. Essi hanno dato il filo conduttore alla storia narra-ta sull’Università italiana: figure forti e positive che hanno però lasciato in ombra gli altri soggetti che compongono le comunità accademiche, come i docenti, gli studenti e i ricercatori.

E’ ancora difficile inoltre, per i giornali, rendere conto della complessità organizzativa degli atenei e delle molteplici attività realizzate al loro interno:

109 Così ho trovato la cura che combatte il cancro, “La Repubblica”, 22 maggio 2003.

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la didattica e la ricerca risultano due mondi separati e quasi mai concorrono a formare l’immagine dell’Università.

Accanto a questa difficoltà di rappresentazione degli atenei prende invece corpo, nell’arco dell’anno preso in considerazione, la Conferenza dei rettori. Con le dimissioni dei rettori la Crui acquista subito una certa visibilità, anche se è citata in modo non sistematico e spesso rappresentata non in sé, ma in ri-ferimento al presidente Piero Tosi. In seguito la Conferenza stessa invece ac-quisisce sempre maggiore importanza, ponendosi alla fine del 2003, soprattut-to in occasione della presentazione della Prima relazione sullo stato delle U-niversità italiane, come esplicito referente politico. Un ruolo istituzionale cen-trale viene riconosciuto alla Crui, come un indiscusso ruolo di leader viene riconosciuto al suo presidente.

Questa dunque è la parabola che ha portato l’Università italiana dalla quasi invisibilità sui media alla centralità politica dei suoi rappresentanti. Un per-corso narrativo di cui ha beneficiato tutto il mondo universitario, su cui si è acceso l’interesse dei giornalisti e del pubblico.

Naturalmente, arrivare ad “esistere” in modo consistente sui media è un processo lungo e complesso, che non può essere governato immediatamente e in ogni suo aspetto.

Ora che l’Università ha “preso corpo” bisognerà curare le zone rimaste in ombra, per rendere giustizia dei cambiamenti che interessano da qualche anno il mondo accademico e scalfire quell’immagine negativa che è retaggio di tan-ti anni di non - comunicazione sugli atenei.

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Parte terza

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Premessa. La Commissione Comunicazione: i perché di una scelta

Nel febbraio 2003, la CRUI, al fine di consolidare la strategia politico-

comunicativa dell’organizzazione e di valorizzare l’immagine pubblica del sistema universitario, ha istituito la Commissione Cultura e la Commissione Comunicazione, entrambe con compiti di riflessione e consulenza strategica sui temi chiave dell’Università.

La Commissione Comunicazione*, in particolare, è impegnata nell’appro-fondimento dei processi e delle dinamiche di comunicazione volte a migliora-re la percezione interna ed esterna dell’Università. I membri della Commis-sione, personalità di estremo spessore nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, mettono a disposizione della CRUI le proprie competenze ed esperienze, specie in quanto docenti di comunicazione in diversi Atenei ita-liani, individuando i nodi maggiori del Sistema Universitario e indicando pos-sibili azioni risolutive.

Proprio per dare il senso della molteplicità degli approcci alla comunica-zione universitaria, nella prima parte di questa sezione, sono raccolti i contri-buti di alcuni membri della Commissione, dalle trattazioni di carattere più strategico e politico, in cui vengono analizzate metodologie e caratteristiche delle attività di comunicazione finora promosse e proposte nuove strade per-

* Fanno parte della Commissione Comunicazione CRUI: Sebastiano Bagnara, Politecnico di Milano; Giovanni Bechelloni, Università degli Studi di Firenze; Alessandro Bianchi, Rettore Università “Mediter-ranea” di Reggio Calabria; Maurizio Boldrini, Università degli Studi di Siena; Omar Calabrese, Università degli Studi di Siena; Alessandro Ciarlo, Presidente AICUN; Fausto Colombo, Università Cattolica del Sa-cro Cuore di Milano; Dario De Cesaris, Responsabile Ufficio Comunicazione CRUI; Mirka Giacoletto Pa-pas, Università Commerciale Luigi Bocconi; Roberto Grandi, Università degli Studi di Bologna; Marino Livolsi, Università IULM; Paolo Mancini, Università degli Studi di Perugia; Brunella Marchione, Vice Presidente AICUN; Michele Mirabella, Università degli Studi di Bari; Gianfranco Marrone, Università degli Studi di Palermo; Mario Morcellini, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; Emanuela Stefa-ni, Direttore Operativo CRUI; Piero Tosi, Presidente CRUI; Ugo Volli, Università degli Studi di Torino.

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corribili, ai saggi più operativi, estremamente utili agli “addetti ai lavori” e incentrati sulla presentazione dei principali strumenti, canali e contenuti della comunicazione universitaria.

La seconda parte ospita il contributo di Dario De Cesaris, responsabile dell’Ufficio Comunicazione, che intende aprire uno scorcio sull’attività opera-tiva della CRUI nel settore della comunicazione. Il testo è incentrato sul rac-conto dell’esperienza maturata nel delicato settore della comunicazione uni-versitaria in questi ultimi anni, con un’attenzione particolare al ruolo strategi-co del web per le dinamiche di comunicazione interna ed esterna dell’Università.

La sezione si chiude con l’interessante forum moderato da Emanuela Stefa-ni, Direttore Operativo della CRUI, che pone a confronto le opinioni dei gior-nalisti specializzati nei temi dell’Università e della Ricerca sulla loro perce-zione del sistema universitario. La formula del dibattito qui adottata è in grado di offrire una prospettiva nuova di analisi e approfondimento che consente una chiave di lettura alternativa delle dinamiche di comunicazione e di infor-mazione dell’Università.

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Sum, ergo comunico di Alessandro Ciarlo e Brunella Marchione

Comunico, ergo sum. Con questa paradossale parafrasi della famosa affer-

mazione di Cartesio un collega amava prendersi gioco dell’atteggiamento dei potenti nei confronti della comunicazione e, in particolare, della loro “ansia da millimetraggio”; dove questa parola, per i non addetti ai lavori, sta a significa-re la lunghezza totale degli articoli di giornale o delle parti di articolo di gior-nale che parlano di loro. Oggi è di moda parlare di minuti di apparizione tele-visiva. Naturalmente è vero (anche) il contrario: sum, ergo comunico; questo duplice concetto esemplifica bene i guai e le infelicità della nostra professio-ne.

Già, perché tutti comunichiamo, per il solo fatto di esistere e di agire, e, per di più alcuni strumenti essenziali della comunicazione, la parola, la scrittura sono (o forse, specialmente per quanto riguarda la seconda, l’espressione più esatta è “dovrebbero essere”) alla portata di tutti.

La conseguenza è che tutti ritengono di sapere di comunicazione e di poter-ne parlare e giudicare. A un ingegnere, a meno che non sia un matto o un truf-fatore, non verrebbe mai in mente di improvvisarsi chirurgo, ma comunicatore sì.

Insomma, chi di professione fa il comunicatore si trova abitualmente a rela-zionarsi con amministratori delegati, direttori, clienti che - loro sì - sanno co-municare e chiedono al comunicatore giusto un po’ di capacità operativa e or-ganizzativa.

E se questo è vero un pò in tutti gli ambienti di lavoro, si può immaginare quanto sia ancora più vero nell’ambito delle organizzazioni che custodiscono, creano e tramandano il sapere; che sono dirette da persone la cui professione è sapere.

Eppure la situazione è in rapida evoluzione.

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In principio era l’Ufficio Stampa

Forse anche per questo motivo, un po’ perché l’Università non sentiva l’esigenza di aprirsi e di comunicare con la società, un po’ perché appunto non si riteneva che per farlo fossero necessari conoscenze, saperi e competenze specifici, gli Atenei italiani sono arrivati buoni ultimi nel dotarsi di strutture di comunicazione.

Per molti anni i punti di riferimento del pubblico in generale sono stati la Segreteria Studenti, il centralino, la portineria e così via, in maniera del tutto casuale. Per un pubblico particolare, i giornalisti, punto di riferimento è stata la Segreteria del Rettore. Tutto qui.

La situazione inizia a cambiare a metà degli anni ’80, quando il dibattito sulla destinazione dei fondi pubblici entra nel vivo: l’Università comincia a pensare che la sua legittimazione in quanto costo a carico della fiscalità gene-rale, giustificata dalla propria utilità sociale, passa anche attraverso la comu-nicazione.

E naturalmente si comincia dall’ufficio stampa (il millimetraggio !). I rapporti con la stampa sono un’attività di comunicazione che conserva un

fascino e un prestigio particolare, tanto da indurre il legislatore, con la legge 150 del 7 giugno 2000 e successivo regolamento del 21 settembre 2001 a isti-tuire la figura del Responsabile dell’Ufficio Stampa e quella del Responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico come distinte e autonome, quasi non si occupassero entrambi di comunicazione.

Addirittura, sono previsti profili professionali diversi e, a sottolineare la specificità dell’ufficio stampa, per chi vi opera si richiede l’iscrizione all’Albo nazionale dei giornalisti, cosa che ha sollevato vive, peraltro vane, proteste, nonché attuali, notevoli problemi di applicazione contrattuale.

Dall’Ufficio Stampa al Marketing. Passando attraverso l’orientamento, si intende

Con la costituzione dell’Ufficio Stampa, a volte all’interno dell’istituzione,

a volte affidato a professionisti esterni, la comunicazione, intesa come coordi-namento dei messaggi volti all’esterno – non ancora come contributo alla de-finizione di essi - muove i primi passi.

Si comincia così a cercare un coordinamento d’immagine, e di contenuto - ma questo si rivela subito più difficile - degli eventi che si tengono in Univer-sità e delle varie pubblicazioni, periodici, brochure, etc..

L’esigenza del coordinamento dà vita alle prime riflessioni sulla corporate

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identity, cioè su una gestione coordinata dell’immagine e dei segni che la pro-pongono, sulla personalità, per così dire, dell’Ateneo, sulla mission istituzio-nale, sulla percezione da parte del pubblico e sull’influenza di questa sulle sue scelte.

Stiamo naturalmente sintetizzando, e semplificando per ragioni di spazio un processo complesso e articolato.

E’ con gli anni ’90 che gli Atenei si attrezzano per l’attività di orientamento universitario, volte cioè a sviluppare e rendere più efficace l’informazione sui propri corsi di studio rivolta agli studenti delle scuole medie superiori e alle loro famiglie.

Nel 1992 la prima ricerca condotta dall’Aicun – l’Associazione Italiana Comunicatori d’Università – sullo stato della comunicazione delle Università italiane registra che nel 50% degli Atenei censiti esiste un ufficio stampa, mentre non si ha traccia di strutture dedicate in maniera esclusiva all’orientamento.

Dieci anni dopo, sempre l’Aicun rileva che l’ufficio stampa è presente nel 71% degli Atenei, così come, con la stessa percentuale, esiste ora una funzio-ne organizzativa dedicata all’orientamento “pre-universitario”. Le strutture che si occupano di comunicazione sono ormai presenti nel 97% delle Univer-sità italiane.

Quello che è successo, nei dieci anni trascorsi fra le due rilevazioni, è stata la crescita del livello di competizione fra gli Atenei, anche finalizzata ad assi-curarsi il numero maggiore possibile di iscritti.

Si è scoperto che, a questo scopo, la comunicazione è essenziale: crescono di conseguenza anche il prestigio e l’influenza dei professionisti della comu-nicazione all’interno degli Atenei.

Sempre secondo le rilevazioni dell’Aicun, nel 30% dei casi le strutture di comunicazione riportano al Rettore, nel 10% soltanto al Direttore Ammini-strativo, nel 60% dei casi ad entrambi. Nel 2002, l’83% delle Università ha un capitolo di bilancio per le attività di comunicazione, dieci anni prima l’aveva il 25%.

L’Università “scopre” che gli strumenti del marketing possono essere effi-cacemente utilizzati per “vendere” i propri servizi formativi: inevitabilmente la comunicazione, e in particolare l’orientamento pre-universitario, si colora-no di marketing, e i contenuti di informazione si intrecciano in modo inestri-cabile con quelli promozionali.

L’Aicun interpreta correttamente il suo ruolo di coscienza della comunica-zione universitaria italiana e registra fedelmente questa evoluzione: è del 1998 il seminario “Lo studente universitario: cliente o prodotto?” in cui si comincia a parlare apertamente, ma sottovoce, di marketing. E’ del 2000 il

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seminario “La pubblicità nella comunicazione universitaria” che registra la crescita dell’utilizzo del mezzo pubblicitario.

Sempre nel 2000 l’Aicun organizza presso l’Università di Lecce, insieme all’Euprio – l’associazione europea dei comunicatori di cui fa parte – la confe-renza internazionale “Universities’ Communication: torn between Academy and Business?” che affronta il tema, di grande attualità negli atenei di tutta Europa, degli effetti derivanti dalle spinte “aziendaliste” a cui tutte le Univer-sità sono ormai sottoposte, e delle conseguenze sulle attività di comunicazio-ne.

Nel 2002 l’incontro annuale dell’Aicun con i propri soci titola: “Marketing e nuova offerta formativa”. Il percorso si è compiuto e la parola marketing è entrata a pieno titolo nel linguaggio corrente dei comunicatori d’Università.

La legge 150/2000 e la Comunicazione Universitaria

Va altresì considerato, nell’analisi del processo che vede il progressivo svi-luppo delle attività di comunicazione nelle Università, il ruolo essenziale ri-coperto dalla Legge 150, che nel 2000 riconosce e regolamenta le attività di comunicazione e informazione delle amministrazioni pubbliche.

La legge 150/00, e la successiva Direttiva del Ministro della Funzione Pub-blica in data 7.2. 2002, hanno il merito, a nostro parere, di aver sottolineato un aspetto essenziale della comunicazione, nella relazione tra amministrazioni pubbliche (nel nostro caso Università) e utenti (e quindi studenti, ma non so-lo).

E’ il concetto che la comunicazione non possa più essere considerata un’attività “opzionale”, che le Università decidono di volta in volta se realiz-zare o no, a seconda delle situazioni e delle necessità, bensì un dovere degli atenei, rispetto ai propri utenti e al contesto economico, territoriale e sociale in cui sono inseriti.

“La comunicazione pubblica cessa di essere un segmento aggiuntivo e re-siduale dell'azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte inte-grante…”: questo ci dice la Direttiva del 7.2.2002, e su questo aspetto della comunicazione come elemento strategico centrale per un efficace processo di ri-organizzazione delle amministrazioni pubbliche e del miglioramento del rapporto con gli utenti occorre portare la riflessione.

La comunicazione pubblica consente dunque di organizzare e gestire con professionalità gli strumenti che realizzano i principi di trasparenza e di ac-cesso già previsti nelle normative dell’ultimo decennio, dalla legge 241/90 in poi.

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E giacché la comunicazione mostra le eccellenze, ma anche le inefficienze delle organizzazioni, inevitabilmente contribuisce ad innestare, se saggiamen-te utilizzata, un circolo virtuoso che porta al costante miglioramento della qualità del servizio reso.

E ancora, la comunicazione pubblica fornisce all’utente la “possibilità di parola”, nel momento in cui può esprimere valutazioni sui servizi che sta uti-lizzando. Le analisi di customer satisfaction sono anch’esse un obbligo previ-sto nella normativa, per le amministrazioni pubbliche, e i risultati conseguenti sono elementi di cui si deve tenere conto, nell’organizzazione dei servizi resi.

Peniamo a cosa tutto ciò può voler dire per le Università, e che effetto stra-ordinariamente innovativo può causare un’efficace politica e strategia di co-municazione, nelle relazioni tra l’istituzione e gli studenti, ma anche nei con-fronti dei dipendenti, docenti e tecnico-amministrativi (il pubblico interno di cui è imprescindibile tener conto), e del tessuto sociale, economico e istitu-zionale in cui gli Atenei sono inseriti.

Capiamo allora quanto siano riduttivi concetti quali “ufficio stampa” o “marketing”, quando parliamo di comunicazione.

La Comunicazione ai tempi della Riforma

L’avvento della Riforma ha avuto un impatto enorme anche sulla comuni-cazione delle Università.

La trasformazione radicale dell’offerta formativa, la prima di questa portata nella storia dell’Università italiana, mette i comunicatori d’Università di fron-te a responsabilità di grande portata e per le quali probabilmente non tutti so-no attrezzati, anche in termini di budget e strutture organizzative disponibili.

Ad essi spetta il compito di informare gli studenti delle scuole medie e le loro famiglie sui contenuti della riforma e su quanto tutto ciò significa in ter-mini di preparazione e anche di spendibilità sul mercato del lavoro.

Ad essi spetta altresì di informare il pubblico in generale, così come un target di particolare interesse, quello delle imprese.

Si tratta di cambiare convinzioni e percezioni stratificate e cristallizzate nel tempo, un lavoro appena iniziato, che si preannuncia lungo e impegnativo e sul quale incombe, per di più, l’annunciata revisione della riforma.

La Riforma comporta però anche grandi opportunità per la comunicazione universitaria, che si trova ad essere più che mai protagonista di questo grande cambiamento.

E il cambiamento è stato il tema ricorrente del seminario organizzato dall’Aicun, “La nuova Università e i suoi pubblici: strategie, forme e contenu-

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ti della comunicazione”, nel corso del quale è stato da più parti rimarcato co-me la comunicazione degli Atenei sta diventando sempre più professionale, mediando metodologie e strumenti anche dal mondo delle aziende.

In effetti, la Riforma rilancia in grande stile la funzione informativa e di servizio della comunicazione, ma al tempo stesso le richiede uno sforzo parti-colare di caratterizzazione e di promozione sia per quanto riguarda le singole istituzioni (e il modo nel quale, nell’ambito della rispettiva autonomia, hanno interpretato la Riforma), sia per quanto riguarda i diversi prodotti formativi.

Fra questi, i Master Universitari nascono con un profilo professionalizzante e una precisa focalizzazione di mercato: destinati a un’accesa competizione nel mercato della formazione post-lauream, saranno (sono?) il primo vero e-sempio di una comunicazione universitaria che adotta tecniche di marketing anche aggressive. Il futuro della Comunicazione Universitaria

Anche sulla base dei dati riportati dalla ricerca Aicun, aggiornata al 2003, possiamo ritenere conclusa la fase pionieristica e sperimentale della comuni-cazione universitaria.

I comunicatori d’Università costituiscono oggi una rete professionale in via di consolidamento, con esperienze importanti, consapevolezza del proprio ruolo e una base culturale comune, alimentata da 14 anni di attività di forma-zione portata avanti dall’Aicun, nonché, negli ultimi due anni, dai corsi di ag-giornamento professionale effettuati per corrispondere a quanto dettato dalla legge 150/2000.

Il banco di prova della Riforma porterà a un’ulteriore maturazione degli operatori e ad una loro più spiccata diversificazione e specializzazione, che è importante però si verifichino nel segno del coordinamento e dell’integrazione.

Porterà anche, presumibilmente, al superamento delle difficoltà legate a in-vestimenti ancora insufficienti, a fronte del ruolo che la comunicazione è de-stinata a giocare.

In estrema sintesi, due sono gli obbiettivi prioritari con cui la comunicazio-ne universitaria dovrà cimentarsi nei prossimi anni: ▪ rendere accessibile e comprensibile ai potenziali studenti l’offerta formativa

del proprio Ateneo, con le sue specificità, pur nell’ambito del quadro gene-rale della Riforma, e le sue implicazioni per quanto riguarda il mercato del lavoro;

▪ approfondire le relazioni fra Atenei e società, contribuendo alla corretta per-

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cezione del ruolo irrinunciabile dell’Università nello sviluppo culturale, e-conomico e civile e quindi al ripristino, sulla base di una più ampia piatta-forma informativa, di una legittimazione sociale che è stata anche recente-mente messa in discussione. Occorre però che l’Università si apra ancora di più ai propri interlocutori, e

che la comunicazione divenga parte integrante della cultura organizzativa de-gli Atenei.

Si parlerà sempre di più di “clienti”, di “servizio”, certamente di marketing, ma soprattutto di trasparenza, di diritti degli utenti, di customer satisfaction, di qualità.

Noi comunicatori siamo pronti ad assumerci la nostra parte di responsabili-tà perché l’applicazione – inevitabile – di nuovi concetti e di nuovi strumenti avvenga in armonia con il ruolo proprio dell’istituzione universitaria, comuni-tà cui sono affidate la creazione e la trasmissione della cultura.

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Comunicazione istituzionale, interna e di marketing per promuovere la nuova identità delle Università italiane di Roberto Grandi

Le Università italiane si trovano in una situazione di passaggio da un siste-ma tradizionale ad uno nuovo che coinvolge vari aspetti, tra gli altri: l’offerta didattica, i processi di valutazione e accreditamento, la governance, il ruolo della ricerca, la necessità di internazionalizzarsi, la ridefinizione del proprio ruolo sociale. Questa fase di transizione si colloca all’interno di una cornice europea caratterizzata dalle conseguenze del processo di Bologna, che do-vrebbe condurre nel 2010 alla costituzione dello Spazio Europeo dell’Istru-zione Superiore.

Come è facile dedurre il sistema universitario europeo – non solo quello italiano – è scosso da una “crisi” caratterizzata dal fatto che i valori e i proces-si di legittimazione che ne presiedevano fino a qualche anno fa lo sviluppo non sono più adeguati e che quelli nuovi faticano non solo ad essere comuni-cati ma anche ad essere individuati.

Per dirla in altre parole si tratta di una crisi di “smarrimento”, da un lato, e di ricerca di risposte, dall’altro, che coinvolge l’identità stessa dell’istituzione che vogliamo ri-definire e comunicare.

Questa situazione di crisi – nei termini in cui l’ho definita – è percepita da molti settori della società che con l’Università hanno relazioni tra loro diver-se: i docenti, i tecnici e gli amministrativi che operano negli atenei; il governo e il sistema politico; gli studenti attuali, quelli potenziali e le rispettive fami-glie; gli addetti all’informazione giornalistica; i settori dell’economia, dell’industria, della finanza e, più in generale, tutti coloro che appartengono a quella che potremmo definire come opinione pubblica.

Di fronte a una situazione di questo tipo, aggravata da un atteggiamento del Governo tendente ad imporre ulteriori modifiche e una stretta finanziaria peri-colosa, la Crui si è resa conto che è necessario promuovere un piano di comu-nicazione dell’Università – in quanto istituzione e sistema – che si muova nei tre ambiti propri della comunicazione di una organizzazione complessa.

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In primo luogo attraverso l’attivazione di azioni configurabili come inizia-tive di relazioni pubbliche. Questo livello di intervento è particolarmente ur-gente perché l’Università non gode di buona immagine: gli stereotipi banaliz-zanti e semplificanti di una istituzione chiusa in se stessa, poco efficiente, men che meno meritocratica e che rifiuta qualsiasi forma di verifica del proprio operato sono maggioritari all’interno dei racconti giornalistici - e non – favoriti, talvolta, da abitudini e comportamenti che in qualche maniera li giustificano. Ciò che si è iniziato a fare – e che deve proseguire con costanza – è sì controbattere le singole accuse, ma soprattutto fornire informazioni sui vari aspetti della attività universitaria per contrapporre a “pregiudizi” dati di fatto: dalla produttività della nostra ricerca alla illustrazione dei rapporti con il mondo industriale, dalla presenza di attività di valutazione già in atto alla scarsità dei finanziamenti pubblici rispetto agli altri paesi europei. Questa co-municazione è diretta – soprattutto attraverso la mediazione giornalistica – sia all’opinione pubblica in generale sia ai portatori di interesse e a quei segmenti della popolazione influenti rispetto allo sviluppo dell’istituzione Università. In questo caso quali testimonial in grado di legittimare e fare più facilmente ac-cettare le nostre motivazioni possiamo utilizzare sia i colleghi che hanno maggiore notorietà sia l’illustrazione delle migliori pratiche di ricerca e di di-dattica che meglio evidenziano il percorso verso il quale intendiamo incam-minarci.

L’obiettivo di questa attività di relazione è il raggiungimento, attraverso una maggiore trasparenza del sistema universitario, della condivisione da par-te dell’opinione pubblica della priorità e rilevanza sociale dell’istruzione su-periore e della ricerca nello sviluppo di un paese come il nostro, che può competere sul mercato internazionale soltanto grazie all’innovazione e alla conoscenza.

A questa attività di relazioni pubbliche deve affiancarsi una attività di co-municazione interna che non riguarda tanto la Crui come tale ma i singoli ate-nei. In generale l’attività di comunicazione interna degli atenei italiani è poco sviluppata, poco condivisa e, quindi, poco efficace. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: la consapevolezza, il coinvolgimento, la partecipazione dei do-centi, tecnici - amministrativi e, perché no, degli studenti ai processi decisio-nali interni e alle scelte politiche strategiche degli atenei sono bassi. Non che manchino momenti di reazione ad attacchi esterni, come è accaduto anche di recente, ma proprio il carattere di queste reazioni testimonia di come poco se-dimentata sia la conoscenza e consapevolezza di chi opera all’interno delle Università.

D’altra parte pochi atenei, e sempre in maniera insufficiente, hanno attivato meccanismi partecipativi e interattivi di comunicazione interna che permetta-

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no una condivisione della mission e delle scelte strategiche dell’Università. E’ un fenomeno curioso se si pensa al numero straordinariamente elevato, e spes-so francamente inutile, di riunioni e di votazioni che costellano la vita acca-demica di ogni docente. Vi è una scissione tra la partecipazione a questi mec-canismi decisionali continui e l’adesione profonda al destino dell’istituzione. La comunicazione interna per incrementare effettivamente e in maniera dura-tura il senso di appartenenza del personale universitario alla propria istituzio-ne dovrà riuscire anche a coinvolgere attivamente tutti nelle innovazioni che sono frutto del Processo di Bologna: dagli Ects al Diploma Supplement; dall’E-learning al ruolo sociale dell’Università; dalla mobilità ai titoli con-giunti fino alla formazione permanente. Talvolta accade che innovazioni qua-li, per esempio, il passaggio agli Ects invece di dar luogo a una vera e propria rivoluzione del modo di insegnare, che pone al centro il carico di studi dello studente, vengano vissute come curiose ridefinizioni dei tradizionali modi di insegnamento che vengono così perpetrati senza alcuna messa in discussione. Chi opera all’interno dell’Università è il primo comunicatore dell’Università stessa e quindi qualsiasi piano di comunicazione esterna per essere credibile ed efficace deve presupporre una ampia attività di comunicazione interna ai singoli atenei in grado di attivare meccanismi di coinvolgimento e coopera-zione da parte di tutti al fine di accrescere il senso di appartenenza alla istitu-zione.

Il terzo ambito di comunicazione di una istituzione complessa come l’Università è quello che fa maggiormente riferimento alla comunicazione - con l’utilizzo delle tecniche proprie del marketing - del sistema universitario, nel suo insieme, e dei singoli prodotti, nello specifico. In questo caso si tratta di una comunicazione che si rivolge agli attuali e potenziali fruitori del servi-zio, a quegli studenti ai quali dobbiamo, nella maniera più trasparente ed effi-cace possibile, fare conoscere la varietà della nostra offerta per rafforzare re-lazioni durature e raggiungere una percentuale soddisfacente di giovani che si iscrivano con successo all’Università. E’ questo l’ambito in cui più si manife-sta la concorrenza tra i singoli atenei: ciascuno tende a definire il proprio po-sizionamento e a promuovere, con le modalità anche commercialmente più efficaci, la propria offerta. E’ chiaro che questa pluralità di iniziative dei sin-goli atenei tra loro in competizione non sono controproducenti per il sistema universitario nel suo insieme se si pongono all’interno di una cornice di con-divisione da parte dell’opinione pubblica del ruolo strategico dell’istruzione superiore per lo sviluppo del paese.

E’ quindi urgente che il sistema universitario ridefinisca con chiarezza la propria mission, ossia i valori di base del proprio servizio, e i modi attraverso i quali tali valori si trasformano in offerte didattiche e di ricerca. Questa attivi-

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tà, che stiamo affrontando, porta a definire le marche di identità del nostro si-stema universitario e quindi il contenuto di ciò che andiamo a comunicare nei tre ambiti che ho illustrato per ottenere che l’immagine che i diversi pubblici hanno dell’Università sia la più vicina possibile alla identità che abbiamo pri-vilegiato.

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Tradizione e modernità, burocrazia ed efficientismo. Sull’identità visiva delle Università italiane di Gianfranco Marrone

Come comunica visivamente l’Università italiana? e poi, soprattutto, che cosa comunica, quali valori sociali, ideologie, proposte culturali? quale im-magine essa offre di sé attraverso quei piccoli segni visivi che sono i logo? Una ricerca condotta alcuni anni fa (leggibile per intero su “Progetto Università Logo. Ricerca preliminare e proposte grafiche”, www.arcojournal.unipa. it/index_it.html) ha provato a provato a rispondere a questo tipo di questioni – che trovano il loro posto, per così dire, naturale all’interno del più ampio problema della comunicazione universitaria.

Per un’azienda, qualsiasi essa sia, il logo ha infatti un’importanza fonda-mentale. Esso non serve soltanto a rappresentarla visivamente, significando in modo più o meno sintetico ed efficace le sue caratteristiche principali. Il logo di un’azienda serve a differenziarla da altre aziende, a renderla riconoscibile sul mercato proponendo una identità di marca che stipuli tra l’azienda e i suoi potenziali clienti una specie di implicito “patto” fiduciario: da un lato l’a-zienda si fa garante della bontà dei suoi prodotti, dall’altro il pubblico le fa fede di tale bontà. Così, dovendo essere facilmente visibile e identificabile, il logo di un’azienda si deve differenziare da altri logo di altre aziende e al tem-po stesso indicare, dell’azienda che rappresenta, ciò che meglio ne permette la credibilità. Al mercato reale si sovrappone un mercato simbolico che ne gesti-sce in profondità le sorti.

L’Università pubblica italiana, tuttavia, non può essere considerata un’azi-enda in senso stretto. Per quanto oggi sempre di più si cerchi di renderla tale agendo internamente ed esternamente a essa (autonomia finanziaria, finan-ziamenti privati, regime di concorrenza con altre Università pubbliche o con Atenei privati etc.), essa rimane pur sempre un’istituzione dello Stato, e come tale sfugge, almeno in linea di principio, alle regole di mercato esistenti per ogni altra azienda. In particolare, il regime di concorrenza fra le Università

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pubbliche è, o dovrebbe essere, un regime di concorrenza “pacifico”; nel sen-so che la competizione dovrebbe limitarsi al campo dell’offerta didattica, e non coinvolgere quello della ricerca scientifica. Sarebbe lecito aspettarsi quin-di a livello dei logotipi che questa duplice anima delle Università venga fuori: da un lato un minimo di concorrenza, ma dall’altro un essere parte di un orga-nismo più grande in cui tutti cooperano a un progetto in definitiva comune.

Naturalmente le cose funzionano in maniera diversa per le Università priva-te. Queste sono soggette per un verso a una concorrenza fra loro che è analoga a quella che esiste fra due aziende qualsiasi, e per un altro a una competizione con le Università pubbliche decisamente differente dallo standard. Le pubbli-che sono un’istituzione statale; hanno una dignità “per definizione”, con la quale le private devono misurarsi, e che risulta difficilmente attaccabile pro-prio in quanto istituzionale: sono, a un certo livello di senso, parte dello Stato stesso. Contro questo argomento forte a favore della concorrente pubblica, l’Università privata può agire in due modi: o ignorarlo e puntare tutto sui va-lori aggiunti che tipicamente le sono propri (modernità, efficienza tecnico-pratica, snellimento della burocrazia, specializzazione etc.), o avvicinarsi a questa superiore dignità rendendosi per certi versi simile all’Università pub-blica (senza mai rinnegare i plus di cui si è detto). Questo effetto di senso può essere reso a un livello di significazione secondo, relativamente nascosto, e dunque eventualmente rinnegabile.

Prima di esporre i risultati dell’analisi è bene dire qualcosa circa le sue di-rettive teoriche. In primo luogo, non si ricostruiranno i valori simbolici dei singoli logo in riferimento alle singole Università, ma si ricostruirà il sistema complessivo dei tratti pertinenti presenti in tutti i logo, e dunque le categorie formali e semantiche grazie alle quali essi possono al tempo stesso differen-ziarsi fra loro e appartenere al medesimo contesto. In secondo luogo, non ci si occuperà di ricostruire le ragioni storiche per le quali ogni singolo logo è stato creato e/o trasformato nel corso del tempo, ma, appunto, il sistema attuale nel quale ciascuno di essi si trova a convivere con gli altri in un regime di quasi-concorrenza. In terzo luogo, non ci si occuperà di individuare le intenzioni comunicative di ogni singola Università, ossia ciò che essa vuol effettivamen-te significare attraverso il proprio logo, affidando poi alle competenze più o meno “alte” del pubblico la capacità di comprendere i riferimenti storici figu-rativi, la terminologia adoperata o le eventuali sigle. Ci si porrà invece dal punto di vista della competenza media del pubblico attuale, il quale difficil-mente può comprendere in tutto e per tutto ciò che nei logo è presente, se non una generica connotazione di “antichità”, “storicità”, “sacralità”, “efficienza”, “tecnologia” e simili.

Per ragioni di tempo e di coerenza complessiva, il corpus su cui s’è lavora-

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to è stato raccolto in Internet, ritrovando nelle pagine Web dei diversi atenei (i cui link sono elencati nei siti del MIUR e della CRUI) i rispettivi logotipi. Co-sì, si trovano nel corpus 58 logotipi di Università pubbliche e 15 di private, per un totale di 73 logotipi – riprodotti in appendice al testo sopra citato.

L’elemento che colpisce maggiormente osservando insieme i simboli presi in considerazione è certamente l’elemento grafico della forma: 43 sono infatti rotondi. Questa presenza così diffusa non può non indurre a considerare pro-prio la /rotondità/ un tratto importante dei logotipi universitari. Le ragioni di ciò sono ovviamente di tipo storico (i logo derivano da sigilli, timbri etc.), ma quel che qui in particolare ci interessa è proprio la diffusione della /rotondità/ in sé. Un altro particolare che deve essere notato è che la gran parte dei logo-tipi rotondi possiede oltre alla circonferenza che ne determina il perimetro una seconda circonferenza più interna che separa due aree del logo (formando una sorta di anello) che hanno due utilizzi differenti: la parte centrale ospita quasi sempre la componente figurativa; l’anello di cui si è detto, invece, quasi sem-pre quella verbale.

Ma la rotondità non è l’unica forma assunta dai logotipi. È possibile riscon-trare altre forme le quali, per differenza, contribuiscono a fornirci un’idea dell’importanza della rotondità nella costruzione del senso. Oltre ai logo ro-tondi (43), sono presenti, infatti, nel corpus forme ovali (9), quadrate o rettan-golari (4), complesse quali gli scudi distintivi delle città nel medioevo che so-no poi rimasti sovente a simbolo delle stesse (4), tridimensionali (2), più alcu-ne forme diverse che si descriveranno in seguito.

Questo elenco, di per sé sterile, diventa motivo di interesse se mettiamo in relazione le forme dei logo con altre caratteristiche delle Università che quei logo utilizzano (o non utilizzano). Per esempio, è interessante notare che gli atenei moderni o che hanno ridisegnato da poco il loro logo hanno scelto per esso una forma quadrata: così per esempio Roma tre e Milano Bicocca. Que-sto dato ci spinge immediatamente a cercare una relazione fra /modernità/ e forma quadrata, e dunque, per opposizione, tra /storicità/ e forma rotonda; en-trambe relazioni che risultano poi confermate dall’analisi sia dei contenuti fi-gurativi sia di quelli verbali. Insomma: tutte le forme rotonde rimandano alla “storia”, mentre pressoché tutte le forme quadrate (a eccezione della Sapienza di Roma) connotano invece “modernità”. Tondo e quadrato diventano così due poli di una categoria dell’espressione, la quale è strettamente collegata a una categoria del contenuto (che si dimostrerà di grande importanza) che vede opporsi /storicità/ a /modernità/. Ne viene fuori una specie di proporzione (“semi-simbolica”) del tipo: tondo: quadrato = storicità: modernità.

Il che appare importante anche rispetto all’opposizione tra Università pub-bliche e Università private. Nei logo di queste ultime, dovendo esse ostentare

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una connotazione di modernità e di efficientismo, non vige affatto il monopo-lio della rotondità; fatte salve le Università cattoliche (le quali perseguono dif-ferenti obiettivi comunicativi), nei logo privati la /rotondità/ è un’assoluta rarità. I tratti di contenuto associabili all’opposizione espressiva /tondo vs quadrato/ tendono dunque a moltiplicarsi, e ne viene fuori una proporzione più complessa, che modifica in parte le cose: tondo: quadrato = storicità: modernità, pubblico: privato, burocrazia: efficientismo. Nel momento in cui il tratto semantico della /modernità/ viene associato a quello di /efficientismo/, e dunque valorizzato positivamente, non può non accadere che, per una sorta di effetto retroattivo, il tratto della /storicità/ venga associato all’opposto di /efficientismo/, ossia a /burocrazia/. La /rotondità/ cambia totalmente di segno e diventa veicolo di valori negativi.

Ci sono eccezioni, quelle in cui anche nelle Università private viene mante-nuta la forma rotonda, in modo da dare all’Università privata lo stesso presti-gio di una Università storica (più ovviamente una serie di plus). In questo sen-so si muovono i logo dell’Università Commerciale Bocconi e dello IULM di Milano, che utilizzano una forma rotonda. Ma questi due logo sono interes-santi anche per altri motivi. La Bocconi è, infatti, l’unica Università a espri-mere in maniera esplicita che cosa “vende”: l’immagine stilizzata del libro presente al centro del logo è difficilmente equivocabile e rimanda direttamen-te alla dimensione della cultura. IULM si distingue rivoluzionando un altro tratto: incornicia il suo tondo in una corona di alloro, smorzando la rotondità senza farla sparire del tutto.

Se Bocconi e IULM decidono di giocare sul terreno della rotondità, LIUC abbraccia questa prospettiva solo a metà. Il suo simbolo è composto da una mezza circonferenza (in cui si possono individuare alcune stelle) sotto la qua-le troviamo la scritta LIUC in orizzontale. È chiara la volontà di differenziarsi, sia per questa rotondità mancata (che è comunque presente e produce i suoi effetti di senso) sia per questa scritta in orizzontale che è di fatto una rarità. Anche San Raffaele di Milano ritorna sulle stesse forme del quadrato e del cerchio. Infine LUISS gioca tutto sul nome: niente figure, niente simbologia; solo il prestigio dato dal nome proprio.

Per quel che riguarda la componente verbale, la tipologia più ricorrente è la forma linguistica latina riscontrata in 36 logo, 3 dei quali presentano una dop-pia scritta, su 73 totali. Le scritte in lingua italiana sono 14. Tra le Università private è in uso la sigla del nome proprio. Visivamente le scritte seguono per lo più la dimensione circolare con alcune eccezioni nelle quali la disposizione testuale si discosta da quella tipica e diventa orizzontale o segue il suo ele-mento figurativo.

Gli elementi figurativi che ricorrono maggiormente nei logo delle Universi-

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tà italiane sono: volatili, in particolare aquile; fonti luminose: il Sole, uno o più fari, una fonte di luce generica; leoni; costruzioni di varia natura quali tor-ri, antichi edifici ed elementi architettonici come archi, finestre, volte e capi-telli; stemmi monarchici o religiosi; Minerva; gruppo formato dal maestro e dai suoi allievi. A prescindere dai valori simbolici dei singoli elementi (che esulano dalla nostra analisi) alcune di queste figure richiamano dei temi ben precisi circolanti nella cultura dei media.

Il principale è, ancora una volta, quello della storicità. La componente sto-rica ha, anche a livello del contenuto, una grande pertinenza nei logotipi delle Università Italiane. Fra queste vi sono infatti Università tra le più antiche del globo (Padova, Bologna), ed è naturale che tengano a valorizzare il prestigio dato dalla propria storia plurisecolare. La storia o, meglio, la storicità delle Università è riscontrabile nei simboli in maniere diverse: alcune affidano, co-me già detto, la connotazione di questa dimensione alla forma del logo, ma pensiamo a tutte quelle che utilizzano i già citati simboli storici a forma di scudo; altre utilizzano nella componente figurativa del logo riferimenti più o meno espliciti alla storia: dèi, immagini di personaggi del passato, papi; altre ancora combinano a questi elementi l’aspetto complessivo del logo, simile per esempio a una medaglia antica o a un arazzo, ossia ad altri elementi con un innegabile sapore storico-archeologico.

Se le Università tengono a esplicitare una localizzazione di tipo storico-temporale, non meno importante e presente risulta la loro volontà di darsi – secondo tema importante – una collocazione geografica. Questa informazione viene veicolata o dal significante verbale (viene scritto, in italiano o in latino, il nome della città che ospita l’Ateneo) o dalla componente figurativa che de-nota, attraverso un simbolo, la città in cui ha sede l’Ateneo stesso: così, per esempio, Torino ha il toro, Venezia il leone alato, Udine l’aquila; certe Uni-versità addirittura usano il simbolo della città come simbolo della Università: un esempio per tutti può essere San Marino.

Fin qui abbiamo ritrovato nei logotipi diversi riferimenti, per esempio alla localizzazione spaziale e geografica. Non abbiamo invece riscontrato un rife-rimento che ci saremmo dovuti aspettare, e che evidentemente o non è presen-te o non è molto evidente nel corpus: il riferimento a quello di cui l’Università si occupa cioè la ricerca scientifica, lo studio, l’istruzione. Da nessuna parte sembra esserci un riferimento esplicito al “prodotto” dell’Università, quanto meno a livello di una percezione visiva immediata e spontanea del destinata-rio.

Bisogna osservare sia la componente figurativa sia quella verbale con at-tenzione per comprendere “che cosa vende” l’Università. In particolare, dal punto di vista del significante figurativo bisogna entrare nel merito della sim-

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bologia specifica per ritrovare un riferimento alla ricerca e alla cultura. Così per quanto riguarda Palermo, il destinatario è tenuto a sapere che le due figure rappresentate nel logo sono Minerva e Mercurio, e che la prima la prima è la dea della sapienza mentre il secondo il messaggero degli dèi; a Bari invece bisogna interpretare “correttamente” l’immagine del faro che illumina come “luce della conoscenza”, o ancora il sole (con un’identica simbologia) per Cassino.

Una metafora un po’ più chiara dell’insegnamento si trova nella presenza del libro come fonte di sapere accademico e nella esplicita rappresentazione del maestro con i suoi allievi che in un’unica figura realizzano una comunica-zione partecipativa (a livello d’enunciato) ed un contratto di veridizione (a li-vello d’enunciazione). A volte la metafora viene spezzata dalla proiezione delle categorie del ‘qui’ e dell’‘ora’; come per esempio accade nel caso della riproduzione visiva della sede fisica dell’Università o di un edificio antico rappresentativo della città dove quest’istituzione è sorta.

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L’evoluzione della comunicazione universitaria: da giornalismo episodico ad attività istituzionale di Ugo Volli

Fino a pochi anni fa l’Università italiana non è stato un soggetto di comu-

nicazione. Beninteso, si è comunicato molto intorno all’Università, sia in am-bito politico e giornalistico che in quello scientifico e propriamente accademi-co: si è discusso a lungo e accanitamente in occasione dei vari tentativi di ri-forma universitaria (a partire almeno dalla proposta di legge Gui che fu il casus belli per le agitazioni studentesche del ’67-68, fino alla legge del 1980 che ha dato una configurazione “provvisoriamente definitiva” allo stato giuri-dico dei docenti e alla riforma ancora in corso. E naturalmente si è comunica-to abbondantemente dentro l’Università, perché l’insegnamento e la ricerca scientifica sono attività naturalmente comunicative, che non possono avvenire se non nello scambio linguistico e delle idee.

L’Università però, in quanto tale, non comunicava, né lo facevano le singole Università, con la parziale eccezione delle relazioni rettorali alle aperture del-l’anno accademico, in cui si affrontavano i problemi correnti dell’Ateneo, alla presenza delle autorità intervenute e dunque si svolgeva una sorta di presenta-zione istituzionale, dedicata soprattutto a coloro che avevano il potere di accor-dare finanziamenti o di aiutare la realizzazione dei grandi progetti universitari, per esempio di tipo edilizio. Le Università invece non ritenevano di dover parla-re ai propri studenti né alle loro famiglie né a coloro che avrebbero potuto im-matricolarsi e neppure pensavano a comunicare con la società circostante in ge-nerale. Tanto meno lo faceva l’Università nel suo complesso, mancando di un’occasione ufficiale comparabile a quella dei singoli atenei e soprattutto es-sendo sfornita di una rappresentanza propria, poiché il Ministero dell’Università è sempre stato sentito piuttosto come organo politico e in definitiva come con-troparte, il CUN come organo di regolazione tecnico-scientifica e certo non di rappresentanza e dato che la CRUI ha assunto solo negli ultimi anni con deci-sione il ruolo di espressione generale che oggi le è riconosciuto.

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Ancor prima di questi problemi di rappresentanza, l’Università italiana non comunicava per un atteggiamento che potremmo definire ideologico: la co-municazione era considerata come una faccenda tutto sommato poco dignito-sa, caratteristica del commercio e della politica, attività viste entrambe come molto lontane dalla vocazione accademica e tendenzialmente incompatibili con essa. Che le Università potessero farsi pubblicità, per presentare la propria offerta formativa, o che promuovessero attivamente con iniziative varie l’inte-resse dei cittadini e delle forze politiche, economiche e sociali intorno alla propria condizione, che cercassero di ottenere donazioni come sistematica-mente fanno gli atenei anglosassoni anche più prestigiosi sarebbe apparsa fino a pochi anni fa una stranezza o ancor peggio, un’intollerabile caduta di stile e perdita di dignità. La comunicazione giusta dell’Università poteva essere solo quella della sua storia, dei suoi risultati scientifici, degli edifici storici che la ospitavano.

Perché dunque si superassero questi ostacoli era necessario un doppio pro-cesso. Da un lato la consapevolezza crescente della necessità anzi di un vero e proprio dovere di comunicare per tutta la pubblica amministrazione, corri-spondente a un diritto dei cittadini a essere informati. Questa consapevolezza si è generalizzata anche grazie a un intervento legislativo, che ha stabilito una serie di obblighi comunicativi anche a carico delle Università. In questa con-sapevolezza rientra anche la diffusione, nel sistema universitario di forme di pubblicizzazione dell’offerta formativa che hanno tenuto conto della concor-renza fra atenei e fra le Università e le altre forme di istruzione. Il secondo processo è dipeso dalla riforma universitaria, dalla discussione molto accesa che essa ha provocato e dalla crisi finanziaria che ha coinvolto il mondo uni-versitario in seguito a una serie di provvedimenti restrittivi adottati dal gover-no. A questi problemi si è aggiunto un clima di opinione, alimentato da buona parte della stampa, che dipingeva un’immagine negativa dell’Università, an-che al di là delle critiche legittime cui il sistema dell’istruzione superiore cer-tamente si presta: qualche volta anche oltre il limite dell’invettiva. E’ apparso chiaro che il sistema universitario doveva essere in grado di rispondere in ma-niera complessiva, che questa capacità di risposta era parte della responsabili-tà che senza dubbio il sistema universitario ha verso il paese.

Questa funzione di comunicazione è stata assunta dalla Crui inizialmente per un processo di supplenza, che si è gradualmente trasformato in assunzione di responsabilità e in proposta. Una delle grandi novità del sistema universita-rio degli ultimi anni è questa assunzione della comunicazione fra i compiti i-stituzionali del sistema nel suo complesso come dei singoli atenei. Una tra-sformazione non ancora del tutto compiuta, ma che presenta anche sviluppi inediti in Italia e molto interessanti come l’istituzione di radio e telegiornali

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d’Ateneo, la collaborazione con l’ordine dei giornalisti per i master che av-viano al praticantato della professione giornalistica e richiedono l’allestimento di testate proprie; oltre naturalmente alla crescita quantitativa e qualitativa della comunicazione in Internet, che ha reso le procedure universitarie di ogni tipo e le relative normative molto più trasparenti. Insomma, la comunicazione è davvero uno dei fronti più attivi del sistema universitario. Su questo, come sull’evoluzione della didattica e della ricerca e del rapporto con la società, si misurerà la capacità del sistema universitario di rispondere alla difficile sfida cui è chiamato a rispondere nella società contemporanea.

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Fare rete con la rete: la strategia vincente dell’Università di Dario De Cesaris

Ogni volta che sento dire che bisogna saper comunicare l’Università meglio e di

più, sono attanagliato da una imbarazzante sensazione di disagio e inadeguatezza: avverto, infatti, il terribile peso di dover comunicare una istituzione che è, di fatto, un mondo. Un mondo antico ed estremamente complesso, un mondo in continuo cambiamento, espressione di realtà molteplici e individualmente mutevoli.

Comunicare l’Università non è impresa facile, considerando soprattutto la scarsa attitudine che per secoli la stessa ha mostrato nel parlare di sé, come evi-denziato dalla metafora della turris eburnea. Una resistenza che in questi ultimi anni si è andata, però, man mano modificando, portando gli Atenei a uscire dal-le proprie stanze per raccontarsi all’esterno.

L’impresa di comunicare l’Università è difficile anche perché abbiamo di fronte una istituzione ricca di storia, riconosciuta a livello internazionale come guida culturale ed etica, culla di saperi e di valori, di scienza e di intelletto: larga parte del prestigio di cui gode il nostro Paese nel mondo è riconducibile all’immenso patrimonio culturale e artistico tradizionalmente elaborato e soste-nuto, se non promosso, dall’autorità accademica. Forte di tale prestigio ricono-sciuto, l’Università ha per molto tempo sottovalutato l’esigenza di promuovere e di valorizzare la propria identità, contribuendo ad alimentare una percezione crescente e diffusa di elitarismo.

Cambiamento e pregiudizi Nel corso degli ultimi decenni, la situazione si è modificata per effetto, innan-

zitutto, dell’introduzione dell’autonomia universitaria e dei processi di riforma più generali che hanno caratterizzato la Pubblica Amministrazione. Gli Atenei, al fine di rispondere alle nuove e molteplici esigenze dei diversi stakeholders e per aumentare l’efficacia e l’efficienza del sistema, hanno dovuto avviare e ren-

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dere costante una rete di relazioni con il mondo del lavoro e il territorio. Tutto ciò ha dato inizio a una fase di profonda innovazione del sistema uni-

versitario, che è stata accompagnata da una gestione sempre più consapevole della comunicazione.

Si è passati, cioè, da una Università “torre d’avorio” a un modello di Univer-sità a rete, con la possibilità di dialogare sia al suo interno che all’esterno, con l’opinione pubblica e con le altre istituzioni sociali, economiche e politiche.

I processi strutturali di cambiamento e di modificazione della percezione del nuovo ruolo degli Atenei hanno però bisogno di tempo e di buone pratiche per affermarsi. Quindi, nonostante i passi in avanti compiuti, le Università non sono ancora riuscite a scrollarsi completamente di dosso il peso di un’immagine lega-ta ad anni di giudizi stereotipati, basati in alcuni casi su informazioni frammen-tarie e autoprodotte dallo stesso sistema dei media. Anche la CRUI, che sempre più spesso viene riconosciuta come voce rilevante del sistema universitario, non riesce a dare continuità all’attenzione dei mezzi d’informazione, per cui il taglio cronachistico, legato prevalentemente a episodi clamorosi, può talora prendere il sopravvento su una riflessione più pacata e profonda sulle tematiche strategi-che per il sistema stesso.

In questo libro è ampiamente dimostrato come sia difficile mettere a confron-to sistemi e culture di istituzioni diverse, e le stesse ricerche testimoniano che la logica dei media e quella delle istituzioni entrano spesso in contrasto fra di loro. Gli effetti negativi di queste pratiche possono diventare ancor più rilevanti se, a una situazione oggettivamente critica, si aggiungono carenze soggettive interne al sistema universitario, con la conseguenza che le Università appaiono in af-fanno quando si tratta di comunicare in modo strutturato, per grandi temi e in chiave di sistema, i successi, l’impegno e il valore delle stesse.

Si sa che il più delle volte gli errori o l’incapacità di comunicare una istitu-zione all’esterno dipendono dal fatto che si è incapaci di ascoltare le esigenze dei pubblici interni così come di dialogare e indicare soluzioni aggreganti. Que-ste difficoltà nella comunicazione interna sono i principali ostacoli nelle attività di comunicazione verso l’esterno. Ecco perché gli Atenei devono porsi come prioritaria una attività sistematica di comunicazione rivolta a docenti, ricercato-ri, personale tecnico amministrativo e studenti. Solo così si potrà spiegare e dare una solida prospettiva al cambiamento in atto.

Una progressiva apertura dei media È in questo quadro che la funzione della CRUI può risultare particolarmente

importante. Grazie a un coordinamento sempre più forte con le strutture di co-

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municazione degli atenei, essa può svolgere una delicata funzione di raccordo per la valorizzazione dei cambiamenti in atto, contribuendo alla socializzazione delle informazioni e dei casi di successo sia verso l’interno del sistema che ver-so l’esterno.

Come emerge nell’ambito di questa stessa pubblicazione, la visibilità della Conferenza a livello istituzionale ha trovato una spinta notevole nell’episodio delle dimissioni dei Rettori nel dicembre 2002. Quel gesto, da parte di una isti-tuzione fino ad allora scarsamente percepita o comunque vista come paludata e tendenzialmente restia a palesi atti di protesta, ha immediatamente suscitato l’interesse dei media.

A partire da quell’occasione, attraverso un paziente e minuzioso lavoro è sta-to possibile trasformare un interesse mediatico episodico in una presenza sem-pre più costante sulla stampa, sia pure spesso connotata dai colori dalla cronaca e dalle grandi “battaglie politiche”, rispetto ai grandi temi della vita universita-ria e, in particolare, della didattica e della ricerca.

Di questo lavoro quotidiano e delle modalità che la CRUI ha adottato per stabilire un rapporto diretto e costante con i giornalisti, che si occupano della selezione e della trattazione delle tematiche universitarie, ne parla Emanuela Stefani in una conversazione con alcuni operatori dell’informazione contenuta in questa sezione del volume.

Una volta ottenuta l’attenzione dei media, è stato possibile proporre, via via, nuovi contenuti e spunti di discussione che hanno contribuito a facilitare la comprensione della vera identità del sistema universitario. A una fase pu-ramente “reattiva” è stato possibile farne seguire una “proattiva”, tesa a far e-mergere aspetti inediti dell’identità del sistema accademico e a rendere visibili i numerosi risultati del processo di innovazione e le nuove dinamiche in atto. Un esempio di come una occasione specifica possa diventare un’opportunità a van-taggio non più soltanto dell’istituzione quanto del sistema che essa rappresenta.

Questi passi in avanti potrebbero però risultare insufficienti se l’attività che ne è conseguita non venisse inserita in un programma di comunicazione integra-ta sempre più ampio e strutturato.

Nella rete per dar valore all’Università

In questo nuovo contesto Internet e le nuove tecnologie possono giocare un ruolo determinante per realizzare una sempre più incisiva strategia di comuni-cazione tematica e di sistema. Il web, grazie all’estrema flessibilità che lo carat-terizza, rappresenta infatti il canale ideale per organizzare e veicolare le infor-mazioni complesse ed eterogenee che gravitano attorno al sistema universitario.

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Allo stesso tempo, esso può contare su una crescente penetrazione presso i pub-blici di riferimento esterni (istituzioni, famiglie, mezzi di informazione) e inter-ni al sistema universitario.

Il patrimonio informativo, in parte già presente in forma organizzata nei siti che costituiscono il sistema delle autonomie universitarie, una volta analizzato, segmentato nelle sue diverse componenti e organizzato nel quadro di un portale di sistema, può, da un lato, costituire il principale strumento di relazione e di riferimento informativo per il sistema dei media e, dall’altro, dar vita nel tempo a una vera e propria banca dati dell’innovazione universitaria: strumento di in-formazione (i dati, le statistiche, ecc.); di orientamento (le offerte didattiche; le offerte universitarie); di valorizzazione delle molte buone pratiche di sistema (i centri di ricerca, il sistema dei musei, la rete delle biblioteche, ecc.). Il tutto sen-za intaccare minimamente il ruolo e il valore dei singoli siti universitari che, an-zi, avrebbero tutto l’interesse a rafforzare i contenuti specifici e a rendere sem-pre più innovativi e strategici i loro contenuti “distintivi”.

Un portale del genere potrebbe costituire una vetrina unica attraverso cui mo-strare la nuova immagine dell’Università come istituzione solida, in continua evoluzione, sempre più aperta alla trasparenza e alla condivisione.

Portale CampusOne: un’esperienza su cui costruire La CRUI ha avuto modo di maturare in questi anni un’interessante esperien-

za in questa direzione sia in ambito istituzionale, attraverso il sito della Confe-renza, sia nell’area della comunicazione di progetto, grazie a CampusOne, il più importante programma di innovazione universitaria mai realizzato in Italia sui temi chiave della riforma universitaria, giunto a conclusione nel 2004.

La creazione di un portale web dedicato al progetto ha prodotto, tra tutti i soggetti coinvolti, una vera rivoluzione comunicativa. Il portale ha infatti rap-presentato uno strumento di informazione flessibile, aggiornato e accessibile; uno strumento di lavoro e di condivisione costante di tutti i materiali e i docu-menti prodotti nell’ambito della molte aree tematiche del progetto; un’oppor-tunità concreta di sperimentazione attorno al quale progettare e condividere nuove modalità gestionali; un ambiente per la creazione di comunità orizzontali tematiche e di comunità locali di progetto (veri e propri siti gestiti autonoma-mente nel quadro del portale); un elemento di raccordo tra tutte esperienze per la comunicazione complessiva del progetto verso l’interno oltre che una vetrina informativa per l’interazione costante con i media.

Queste caratteristiche hanno permesso di avviare un fondamentale circuito di conoscenza, scambio e cooperazione basato sia sulla partecipazione attiva di

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tutto il cosiddetto “popolo di CampusOne”, sia sull’interazione costante con i molti soggetti esterni che hanno contribuito al progetto (le relazioni con il terri-torio e il mondo del lavoro sono state uno degli aspetti chiave di CampusOne).

Il portale è così diventato un luogo virtuale di incontro e di interazione che ha notevolmente agevolato il processo di recupero e conquista di quel senso di ap-partenenza così necessario tra le componenti del nostro sistema accademico. Al contempo, la struttura del progetto e il modello comunicativo da esso adottato hanno contribuito ad avvicinare le singole figure che operano all’interno dei singoli Atenei: dai docenti coordinatori ai valutatori, dai manager didattici agli stessi studenti, destinatari del progetto, ma anche importanti attori interni.

Parallelamente i contenuti prodotti nell’ambito di forum, pagine locali, se-zioni tematiche, aree di archivio e consultazione, così come le diverse esperien-ze condotte negli Atenei e i documenti e materiali prodotti, sono stati costante-mente valorizzati e messi a sistema sul piano nazionale attraverso un’attività di coordinamento centrale, di creazione di percorsi tematici e una attività più pro-priamente giornalistica e redazionale. In questo contesto, oltre al ruolo di co-municazione interna e di valorizzazione verso i media dei risultati conseguiti nell’ambito del progetto, il ruolo della CRUI ha assunto un’importanza crescen-te proprio in quanto elemento di raccordo e di facilitazione del processo di costituzione delle comunità organizzate per temi o per categorie.

Nel suo insieme il meccanismo indotto dall’utilizzo del portale ha agito su un duplice fronte intra-ateneo e interuniversitario, con il risultato principale di rea-lizzare una vera e propria rete delle Università, fondamentale per la formazione di una massa critica in grado di assumere rilevanza anche sul piano istituzionale della comunicazione. Ciò ha consentito, ad esempio, di rafforzare le relazioni con i media attraverso un processo informativo in grado di soddisfare al con-tempo le esigenze locali (i risultati e le attività realizzati a livello di Ateneo) e quelle nazionali (i risultati e le innovazioni complessive del progetto), produ-cendo risultati significativi. Il futuro del sistema universitario

Si è trattato di una esperienza importante, che può fornire molti elementi di

riflessione come base per la creazione di un possibile portale del sistema uni-versitario. Oltre alle molte aree tematiche orizzontali di carattere più istituziona-le c’è uno spazio enorme per la valorizzazione di aree comuni di forte impatto comunicativo. Penso, ad esempio, alla valorizzazione della rete museale univer-sitaria o a quella dei molti centri di eccellenza nell’area della ricerca. Penso an-che a un più forte e costante raccordo con la rete di comunicazione degli Atenei

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per una ulteriore valorizzazione nazionale delle loro iniziative, non soltanto nei confronti dei media ma anche di specifiche comunità di interesse.

Portando a sistema i risultati soddisfacenti finora ottenuti, si potrebbe inter-venire sull’area critica della comunicazione interna, riuscendo finalmente a rag-giungere una maggiore sintonia tra le diverse comunità accademiche mirata al complessivo miglioramento dell’Università.

Effetto diretto del consolidamento dell’identità interna dell’Università sarà una maggiore chiarezza e compattezza dei messaggi rivolti all’esterno, da cui progressivamente scaturirà un’immagine unitaria, solida e innovativa del siste-ma accademico. Il web, insieme all’uso strategico degli altri mezzi di informa-zione – che in esso però possono confluire – consentirà di facilitare e accelerare tale conquista, lasciando emergere un nuovo volto dell’Università, decisamente più aperto agli stimoli esterni, interessato all’attuale contesto territoriale e, quindi, anche più rispondente ai principi cardine della riforma.

Si tratta di una strada che vogliamo esplorare come approccio propositivo e attivo, mirato a diffondere i profondi mutamenti in corso nel sistema univer-sitario, ma attento anche a temi attuali d’interesse sociale. Una strada che può confermare ulteriormente alla Conferenza dei Rettori il ruolo di portavoce delle Università italiane.

I dibattiti all’interno della Commissione comunicazione, i contributi dei do-centi, degli operatori e dei giornalisti, contenuti in questa stessa sezione, oltre al ricco numero di convegni e interventi su questi temi, ci dimostrano che sono due i punti strategici in grado di legare comunicazione interna e comunicazione esterna, immagine e reputazione degli Atenei italiani.

Il primo è l’evoluzione e il mantenimento del rapporto tra Università e siste-ma dei media, operando per una crescita professionale all’interno degli Atenei e per una maggiore sensibilizzazione dei media alle tematiche universitarie. Il se-condo è un uso innovativo della Rete, che può avere funzione vitale di collante nella comunicazione interna e che deve divenire, sempre più, uno dei volti di-namici e interattivi che le Università mostrano all’esterno.

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L’Università nel vissuto dei giornalisti Forum-intervista con i giornalisti del settore a cura di Emanuela Stefani Emanuela Stefani Direttore operativo CRUI

Vi ringrazio di essere qui a discutere sulle caratteristiche e sulle prospettive

del rapporto tra il sistema degli Atenei italiani e quello dei media. Dialogo con voi dal momento che siete alcuni degli interlocutori privilegiati nel processo di cambiamento degli Atenei. È fuori discussione che in questi ultimi quindici anni l’Università italiana abbia subito un grande processo di rinnovamento: basti pensare al numero dei laureati e degli iscritti – se si ci riferisce alle macroten-denze – o ai grandi temi chiave dall’autonomia alla valutazione.

Voglio partire proprio da qui. In che modo, a vostro parere, il sistema dei media ha saputo rendere conto di questo mutamento? Mi riferisco alle trasfor-mazioni e alle evoluzioni vissute dagli Atenei ma anche al ruolo assunto dalla CRUI in questo processo. Raffaello Masci La Stampa

Vorrei suddividere la mia risposta in due parti: è cambiata l’Università ed è

cambiato il modo in cui i giornali parlano di Università. Ovviamente, il mio giudizio finale sul cambiamento dell’Università resta in qualche modo sospe-so. Parlerei più di episodi di cambiamento: gli Atenei si sono modernizzati e la stessa CRUI, che prima era nell’ombra, è ora diventata una sorta di Confin-dustria dell’Università, capace di parlare a nome di tutte le sedi. Ma voglio segnalare che all’interno del sistema permangono, però, ancora molte sacche di resistenza.

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Anche per quanto riguarda il modo di fare comunicazione nelle Università la situazione è molto diversificata. Alcuni Atenei praticano una comunicazio-ne assidua e puntuale; molte altre Università pensano che il fatto stesso di esi-stere rappresenti di per sé un’azione di comunicazione; di alcune non si sa nulla; di altre si sente parlare solo quando si trovano al centro di fatti cronaca.

La vera novità è rappresentata dallo spessore che ha assunto la dimensione di sistema: la CRUI è divenuta una interlocutrice forte e rappresentativa. Fa parte ormai dell’aneddotica: tutti conoscono orami il professor Piero Tosi che, andando spesso in televisione e strappando titoli sui giornali, è divenuto un personaggio riconoscibile.

Tiziana Caroselli ANSA

Dal mio punto di vista, il cambiamento in corso è più evidente se si guarda

all’introduzione a breve di un sistema globale di valutazione delle attività uni-versitarie. Quindi, la valutazione può avere lo stesso significato e impatto che, qualche decennio fa, ha avuto l’autonomia universitaria. Ciò influisce sulle azioni messe in atto dalle Università: alcune vengono spinte a esporsi, di con-seguenza sia i Rettori che l’organizzazione interna si trovano costretti a pren-dere in considerazione il grado di visibilità che intendono raggiungere.

L’esempio di alcuni Atenei – tra i quali, nel Lazio, Roma Tre – è in questo senso paradigmatico. Lì organizzano iniziative di comunicazione collaterali a fatti di cronaca e ciò è estremamente positivo. Penso che questo circolo vir-tuoso produrrà nuovi frutti in tutto il sistema man mano che il concetto di va-lutazione da astratto comincerà ad avere concretezza. Ciò, se non modificherà radicalmente lo status quo, almeno costringerà il mondo accademico ad un approccio diverso anche alla comunicazione, attraverso una sorta di auto pro-mozione.

Alessia Tripodi Il Sole 24 Ore

Il mio giudizio è perentorio: l’Università è profondamente cambiata, la ri-

forma del 3 e 2, per esempio, ha modificato significativamente l’impianto normativo. La quantità di informazioni disponibili sui media è cresciuta espo-nenzialmente. Nello stesso giornale che rappresento lo spazio è ora più ampio di qualche anno fa. Quello che noi giornalisti non riusciamo ancora a percepi-

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re a pieno è quali siano i cambiamenti concreti che sono stati realizzati nei singoli atenei. Alcuni di questi, infatti, fanno molta comunicazione, altri sono completamente assenti. Tutto questo ci impedisce di cogliere fino in fondo quali siano i cambiamenti che la riforma ha apportato alla vita universitaria, in particolare in quella dei docenti e rispetto alla condizione degli studenti.

Quando si parla con i docenti degli effetti della riforma dei cicli, noi giornalisti ci rendiamo conto che una parte di essi non è d’accordo, trova che l’organizzazione del lavoro sia peggiorata, che esistano più punti di riferimen-to, che le ore di docenza si moltiplicano. È questo un fenomeno circoscritto o rappresenta un’opinione diffusa tra i docenti? Sarebbe importante che la CRUI offrisse a noi giornalisti indicazioni di quadro e specifiche che ci per-mettano di svolgere in maniera più approfondita il nostro lavoro.

Mario Reggio La Repubblica

Se dovessi fare un confronto fra la mia esperienza di studente nel 1971 e

quella di mia figlia, direi che la più fortunata è sicuramente lei. Ai miei tempi non c’era possibilità di scelta: per me che abitavo a Roma c’era solo La Sa-pienza. Lei invece ha potuto scegliere Siena, basandosi sulla qualità dei corsi offerti da questo Ateneo. D’altra parte penso che quella di Siena sia una delle migliori Università letterarie. Ai miei tempi non c’era scelta, c’era solo “La Sapienza”.

È vero che l’Università è cambiata e che si sta scuotendo molto lentamente da un lungo torpore. Ma è altrettanto vero che si tratta di un’istituzione molto disomogenea, che è vissuta di rendita per decenni. In passato bastava avere un nome illustre in cattedra per garantire la qualità dell’istruzione, se poi le le-zioni non venivano svolte il problema non veniva nemmeno sollevato. È vero che la CRUI, da quando ha smesso di essere una sigla ed è diventata un’istituzione rilevante, ha avviato una discussione continua tra i Rettori. Continua però a esserci una diversità abissale tra piccoli e mega Atenei, tra Università storiche e Università nuove, tra Università del Nord e Università del Sud.

Secondo me molte resistenze all’innovazione vengono dalla classe docente. Per esempio, quando venne definitivamente approvata la riforma berlingue-riana del 3 e 2, vi fu una significativa parte dei docenti che era pronta a bloc-care le attività didattiche e di ricerca se il nuovo ministro dell’Università aves-se snaturato quella riforma. Qualche mese dopo, sempre nel mondo accademi-co, altri gruppi di pressione speravano l’opposto: che il ministro Moratti bloc-

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casse, cioè, il processo perché non avevano nessuna voglia di diventare pro-fessori di serie B e perché a loro dire questo processo avrebbe portato alla ro-vina l’Università italiana. È evidente che ci sono tante diverse visioni di Uni-versità: alcune aperte e moderne, altre arretrate e che definirei “docente-centriche”, e tutto questo non è da mettere in relazione con le diverse colloca-zioni politiche.

Emanuela Stefani Mi sembra di capire da quello che dici che si tratti di un quadro d’insieme

molto caotico. D’altra parte, non ti sembra inevitabile, nel momento in cui si producono scossoni di tal genere in un corpo complesso come quello universitario, che possano scaturire posizioni discordanti? È evidente che la CRUI, allo scopo di fare sistema, abbia favorito il dibattito e il confronto tra le varie componenti, nonostante la fermezza mantenuta nei documenti programmatici su alcuni punti chiave, per i quali è sempre stato chiarito ciò che poteva essere cambiato e ciò che andava ritenuto un asset di sistema.

Mario Reggio Sì, hai ragione. Ma noi giornalisti non dobbiamo solo riportare i documenti,

dobbiamo capire ciò che accade per poi raccontarlo. E dovremmo saperlo fare molto di più e i nostri giornali dovrebbero metterci nelle condizioni ottimali.

Se prima abbiamo visto le contraddizioni che riguardano il corpo docente, anche gli studenti si trovano a vivere realtà spesso fortemente diverse. Quelli che studiano nelle Università in cui il rapporto docenti-studenti è di 1 a 20 o 22 possono permettersi metodologie didattiche e servizi impensabili là dove lo stesso rapporto è di 80 a 36000, i numeri di qualche mega Ateneo. In queste re-altà il processo di cambiamento sarà molto lungo e complesso e la stessa azione della CRUI per migliorare il coordinamento complessivo dovrà durare per anni.

Inoltre, in questa situazione complessa, non va comunque dimenticata l’altra faccia della medaglia: l’aspetto finanziario, uno di quei temi che noi giornalisti abbiamo trattato di più sulle nostre testate. Alcuni consigli di am-ministrazione non riescono a far quadrare il bilancio. L’Università è sottosti-mata e oggetto di un palese paradosso: che senso ha chiedere che essa sia va-lutata – cara Tiziana – e tagliare allo stesso tempo i finanziamenti a didattica e ricerca? In alcuni luoghi della politica non si capisce che questo è un punto cruciale.

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Infine, per quanto riguarda la questione della comunicazione, aggiungo un altro elemento di difficoltà a quelli che hanno già evidenziato i miei colleghi. La difficoltà nel comunicare l’Università è aumentata da quando molti docenti universitari collaborano con i giornali. Quando, infatti, si decide di trattare temi universitari che esulano dalla cronaca, si ricorre in genere ad alcune fir-me di rilievo che di solito confezionano pezzi che, nella maggior parte dei ca-si, hanno un linguaggio autoreferenziale e quindi raccontano l’Università solo a quelli che già la conoscono, rendendo oscura la comprensione dei temi uni-versitari all’opinione pubblica.

Raffaello Masci Voglio tornare su un concetto che ho già espresso. Fare comunicazione sul

miglioramento dell’Università sarebbe relativamente facile se l’Università fosse effettivamente cambiata.

Le contraddizioni che segnala Mario Reggio sono sostanzialmente vere. La nostra sensazione è che ci sia una parte dell’accademia che comunque frena rispetto al cambiamento e risente di questioni generazionali, di potere ma an-che di pressioni localistiche. Ma è chiaro che, se si guarda al sistema universi-tario nel suo complesso, non si può che affermare che l’Università italiana sia cambiata. Ma è la stessa parola “cambiamento” che può risultare equivoca: si può cambiare, infatti, in meglio o in peggio. Per esempio Lettere, all’Università di Roma “La Sapienza”, è stata divisa in quattro facoltà di cui due sono pressoché identiche. Si è cambiato, certo. Ma è un cambiamento che va nella direzione di una maggiore attenzione alla qualità della didattica e del-la ricerca o nella direzione di nuovi interessi di potere?

C’è poi il grande tema degli investimenti in ricerca. Alcuni anni fa ho in-contrato un collega che ha lasciato il giornalismo ed è tornato all’Università. Mi ha detto che stava facendo un’edizione critica di un’opera di Cicerone, do-po due anni ci siamo rivisti e mi ha detto che stava ancora lavorando a quel progetto. Quando il volume uscirà, sarà costato allo Stato un occhio della te-sta.

Emanuela Stefani

Spero almeno che quest’opera critica sia degna di rimanere negli annali.

Mi permetto di farti una notazione: il problema non è tanto il tempo impiega-to per realizzare una ricerca quanto l’utilità della ricerca stessa, che si tratti di un ambito puramente scientifica o di ricerca applicata. Come la CRUI ha

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sottolineato più volte, quello che deve essere chiamato in causa è il criterio della valutazione.

Raffaello Masci Sì, valutiamo. A patto però che non ci sia una grande differenza tra i docu-

menti che si scrivono e le pratiche di lavoro. Voglio insistere con l’anedottica: un medico, mio vecchio compagno di liceo, ha lavorato a lungo negli Stati Uniti. Incontrandolo due anni fa, è mi ha detto che sarebbe voluto tornare in Italia ma che non poteva perché il sistema non glielo permetteva. Potrei recu-perare decine e decine di comunicati stampa del Ministro che affermano che tutti i ricercatori che vogliono possono tornare in Italia. La realtà, però, è ben diversa perché un docente, con titoli guadagnati sul campo, rischia di non es-sere inquadrabile, nemmeno economicamente, all’interno di un sistema rigido come quello italiano.

E ancora, un giovane ricercatore di filosofia che ho intervistato poco tempo fa ha lavorato due anni per realizzare l’edizione critica delle opere di un illu-stre filosofo scomparso. Oggi il professore non solo non gli parla più, ma non gli ha nemmeno rinnovato la borsa di studio dicendogli che i titoli vanno ac-quisiti al momento giusto.

Un ultimo esempio. La prossima settimana mia nipote si laurea in Storia. Quando è venuta a Roma le ho fatto vedere le mura aureliane e lei mi ha guardato perplessa dicendomi che ad Aureliano non c’era arrivata in quanto il suo programma d’esame, bloccato dal sistema introdotto di recente, per cui non si possono dare più di tot pagine da studiare, le aveva imposto di fermarsi a Treboniano Gallo.

Ecco cosa intendo quando parlo di ambiguità: è questo il cambiamento dell’Università? Episodi simili mi lasciano dubitare sulle reali possibilità di innovare. Ancora troppo spesso si lavora sull’immagine piuttosto che sulla so-stanza. Quando l’Università ci mostrerà un cambiamento sostanziale? Emanuela Stefani

Da persona che si è sempre preoccupata del ruolo che la comunicazione

poteva avere dentro l’Università, ho la sensazione che l’informazione media-ta dalla stampa sia il frutto di un processo molto complicato, legato spesso alle logiche delle singole testate e comunque alla necessità di intrecciare la trattazione con gli elementi di cronaca senza affrontare quei processi che

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avete prima descritto. Ho anche la sensazione che sia difficile far passare sui media una visione complessiva, il più rispondente possibile alla situazione at-tuale del sistema. Lo sapete meglio di me, dal momento che è la vostra pro-fessione: è più notiziabile ciò che non funziona, è più facile parlare di crisi e di disastri piuttosto che di eccellenza o qualità. È qui forse il principale pro-blema dell’Università. Non si può sempre aderire alle logiche della spettaco-larizzazione mediatica, pur di far passare una buona pratica da diffondere.

Cosa si può fare per rendere appetibile anche ciò che funziona? Forse si potrà parlare di cambiamento reale nel momento in cui verrà colmato anche questo gap.

Piero Damosso RAI

Dal mio punto di osservazione, posso dire che l’informazione

sull’Università è cambiata perché è cambiato il contesto politico-istituzionale. Mentre nel mondo della scuola il processo di autonomia ha provocato, per ora, frantumazione e si fa fatica ad avere una voce che rappresenti in maniera uni-taria il sistema degli istituti scolastici, questo non è avvenuto nell’Università. Noi giornalisti siamo agevolati dal fatto che la CRUI si è data anche una strut-tura più capace di comunicare tempestivamente alle agenzie il punto di vista del sistema, così che possiamo seguire con più attenzione i processi di cam-biamento politico-istituzionale. Questo modo di essere della CRUI è molto utile a chi deve sintetizzare il dibattito, ad esempio, su di un progetto di legge che riguarda l’Università. Essa rappresenta, infatti, una voce unitaria che rias-sume le autonomie universitarie e le rende autorevoli e, soprattutto, agevola il passaggio delle notizie, facendole diventare notiziabili.

Rispetto alla logica dei media, con la quale noi operatori ci confrontiamo tutti i giorni in redazione, l’Università e la vita accademica, scandita dai clas-sici appuntamenti dell’apertura delle iscrizioni o dell’inaugurazione dell’anno accademico, è considerata un’informazione di nicchia. Lo scontro e il con-fronto acceso sulle questioni universitarie possono finire nel TG di punta della sera, ma tutto il resto viene relegato, nel migliore dei casi, nelle edizioni della notte. Ovviamente – ha ragione Emanuela Stefani – il discorso è ben diverso se ciò che proviene dal mondo delle Università è appetibile per il valore della notizia in sé. Ed è naturale, lo sappiamo bene, che è più facile che faccia noti-zia l’uomo che morde il cane che viceversa.

Tuttavia, anche nella classe dirigente giornalistica si va diffondendo la con-

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sapevolezza che la qualità del sistema istruzione, e quindi anche universitario, è strategico per la crescita del sistema-Paese.

Tiziana Caroselli La situazione che verifichiamo in agenzia è un po’ diversa dalla realtà de-

scritta da Piero Damosso. Secondo me l’informazione della scuola ha un im-patto diverso rispetto a quella dell’Università, che rischia di essere margina-lizzata tranne in caso di eventi clamorosi. Ciò succede anche perché si pensa ancora che la scuola interessi una platea molto più ampia di utenti, mentre l’Università rimane appannaggio di un’élite.

Anche in una redazione è difficile far risalire la gerarchia interna a notizie sull’Università che non siano clamorose.

Emanuela Stefani La competizione nella notiziabilità tra scuola e Università non dovrebbe

esistere, anzi bisognerebbe iniziare a ragionare sempre più in una logica di sistema complessivo della formazione. Ma tralasciamo questo tema che ci porterebbe lontano.

L’osservazione di Tiziana Caroselli ci permette di affrontare non tanto e non solo il tema dei criteri di selezione ma anche, diciamo così, quello della classificazione delle notizie che provengono dal nostro mondo. E allora mi chiedo: quali sono le difficoltà per convincere i decisori interni alla testata che una notizia vale la sua pubblicazione? E che la stessa merita una colloca-zione nobile anziché un trafiletto? Esistono meccanismi che l’Università può adottare per agevolare il lavoro delle vostre strutture produttive? Mario Reggio

Lo ripeto: i quotidiani e i settimanali hanno spesso docenti universitari di

fama come commentatori e, in genere, quando un tema diventa di attualità o sorge un improvviso problema all’interno del sistema universitario, il giornale li chiama come “firme” autorevoli.

Qualcosa si sta muovendo in questi ultimi tempi. Noto che, per non dipen-dere totalmente dalla televisione, i quotidiani hanno aumentato le parti del giornale non strettamente legate alla cronaca, nelle quali è possibile trattare i

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temi con il gusto del reportage, del servizio e dell’approfondimento. Questo sta accadendo anche sul giornale per il quale lavoro, la Repubblica, con inserti e dossier. In quella sede è possibile, infatti, approfondire con maggior atten-zione alcuni argomenti specifici e dare spazio a esempi concreti di cambia-mento dell’Università.

Alessia Tripodi Il problema non è tanto quello di convincere i decisori, cari amici, quanto

purtroppo il fatto che molte delle notizie che provengono dall’Università sono scarsamente notiziabili. Ad esempio, è difficile reclamare più spazio per una notizia che tratta di leggi specifiche: io che seguo l’argomento posso ritenerla interessante, mentre il caporedattore può non cogliere tale possibilità, giacché, secondo una regola che ben conosciamo, può non scorgere dietro alla notizia un fatto interessante per il lettore.

Sarebbe utile avere sempre esempi concreti: questo è l’aiuto che potreste darci. Non solo enunciare ed emettere comunicati sulle dispute in atto ma se-gnalare sempre più fatti concreti, che possono essere tradotti in modo emble-matico per il grande pubblico: un’Università che applica un nuovo progetto, un nuovo modo di fare lezione, una ricerca particolare di uno studioso. Ho no-tato, infatti, che il giornale mi concede più spazio da quando l’Università ha iniziato ad avvicinarsi sempre di più al mondo del lavoro. È così possibile scrivere di stage piuttosto che del protocollo di intesa con le imprese e il terri-torio, di come si fa una rete di formazione o dell’analisi dei fabbisogni forma-tivi. In questo modo la notizia si trova a metà tra il settore universitario e il mondo del lavoro, è quindi più facile, in un giornale come il mio, “piazzare” un pezzo così, perché di fatto rappresenta una novità. Tiziana Caroselli

La logica di un’Agenzia è diversa, anche perché noi produciamo dei “semi-

lavorati” o comunque notizie che vengono poi riprese dal sistema dei media. Molto dipende anche da come le singole testate scelgono di collocare il re-

dattore che segue l’Università. Alcuni inseriscono i temi dell’Università nell’ambito della politica interna, altri nelle pagine della cultura. All’ANSA fa parte delle cronache italiane, che è un settore che spazia dalla moda alla sani-tà, dalla scuola alla giustizia.

Quando si propone qualcosa si deve, quindi, ricostruire il background della

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notizia e spiegare perché è importante. Questo succede soprattutto quando l’informazione che si propone ha implicazioni che di primo acchito sfuggono. L’incalzare delle notizie, inoltre, non sempre lascia spazio per gli approfon-dimenti.

Raffaello Masci È facile parlare di Università quando si affrontano cambiamenti strutturali,

come ad esempio le nuova proposte di legge, il conflitto tra il Ministro e le sigle sindacali, o quando esplodono fatti di cronaca.

Più difficile è far capire che l’Università non è questo, che è un’istituzione dove si fa didattica e ricerca, e che a questo titolo dovrebbe guadagnare le pa-gine di un giornale. Ciò detto ci sono alcune realtà che si riesce comunque a far passare: ad esempio, l’innovazione oppure l’eccellenza.

A volte è anche possibile scendere nel dettaglio, non tanto nel quotidiano quanto nei supplementi come, nel nostro caso, Tutto Scienze e Specchio. Lì riusciamo a trovare spazi nei quali le Università possono raccontare il proprio operato, anche quando non è legato a fatti di cronaca. Un esempio: quando bruciò la Pineta di Castel Fusano a Roma, raccontammo il lavoro della catte-dra di Biologia Vegetale della Sapienza per la ricostruzione del parco e ci ac-corgemmo dell’alto valore della ricerca che veniva condotta per ripristinare un ecosistema fortemente danneggiato. Sono queste le circostanze che ci permet-tono di mostrare l’utilità dell’Università.

Piero Damosso

Condivido molte delle cose dette da Raffaello Masci. Le best practices che riguardano innovazione ed eccellenza sicuramente possono essere spunti inte-ressanti. Questo vale anche per i sondaggi che raccontano una parte della real-tà italiana e danno indicazioni di tendenza. Spesso le classifiche o un sondag-gio, basato su di un campione significativo, definiscono anche un’indicazione sulla didattica, la ricerca, il ruolo dei giovani e degli insegnanti e possono “bucare” il circuito mediatico. Mi sembra, ad esempio, che Almalaurea riesca ad avere risultati significativi su giornali e televisioni.

Un tema però merita di essere menzionato: i giovani. L’Università non è soltanto la comunità dei professori e degli scienziati. Gli studenti, i giovani ricercatori possono essere un eccezionale veicolo di notizia. Da parte nostra raccontiamo spesso dei giovani che occupano le Università, ma sappiamo be-

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ne che gli studenti universitari fanno molto altro, realizzano cooperative, ser-vizi per la comunità. Esiste, insomma, un vasto panorama di impegno sociale e culturale che potrebbe essere sicuramente oggetto di servizi giornalistici.

Quello che rende difficile il nostro lavoro è la dispersione delle informa-zioni, che sicuramente non aiuta la notiziabilità. Se la CRUI riuscisse a calen-darizzare le iniziative più importanti,evitando sovrapposizioni, forse alcuni avvenimenti universitari sarebbero più notiziabili.

È possibile pensare alla realizzazione di un’agenda del sistema universita-rio, da mettere in rete o da spedire ai diversi redattori delle testate, per avere un’idea complessiva delle iniziative e degli appuntamenti degli Atenei?

Raffaello Masci L’Università brulica di iniziative interessanti, positive e non conflittuali,

ma non si riesce molte volte a comunicarle, proprio perché non esiste ancora un modo organico di raccordarlo all’interno del sistema universitario. Come accennato in precedenza, la realtà è quella di Università che fanno buona co-municazione e di altre nelle quali la comunicazione è completamente assente. Mi piacerebbe davvero pensare alla possibilità di un coordinamento della co-municazione del sistema universitario.

Per la scuola sarebbe impossibile perché presenta un altissimo grado di frammentazione, mentre l’Università è un’istituzione vasta ma pur sempre co-ordinabile da un centro organizzatore. So che gli Atenei sono autonomi, ma almeno servirebbero criteri comuni e un coordinamento. L’eccellenza è troppo importante per rimanere nell’ombra, oscurata dalla cronaca.

Emanuela Stefani Voi tutti avete vissuto in prima persona quello che è accaduto due anni fa

nel momento in cui i Rettori rassegnarono le dimissioni per protesta contro il Governo. Sono in molti ad affermare che quel momento abbia rappresentato un punto di rottura che ha modificato il rapporto tra Università e politica. Ciò che tuttavia emerge anche dalle ricerche presenti in questo volume è che quello fu il momento in cui si è evidenziata in maniera emblematica la neces-sità di modificare il rapporto tra Università e sistema dei media. Ma al di là di queste riflessioni, quale contributo ha portato la minaccia di dimissioni dei Rettori al rapporto tra Università e mezzi di informazione? Che giudizio date sulla fase successiva?

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Mario Reggio La mia prima reazione è stata: “finalmente l’Università ha sollevato la te-

sta”. Di fatto la classe dirigente, in particolare i Rettori e i Presidi di Facoltà, era stata sempre molto tenera nei confronti dei governanti, preferendo pratiche di mediazione o, tuttalpiù, si rimetteva a un insistito lavoro di lobby. Con la decisione delle dimissioni, la Conferenza dei Rettori ha ribadito molto chia-ramente al Governo che l’Università non poteva continuare a essere trattata in quel modo, pena il tracollo. La correzione di rotta da parte di Tremonti mi è sembrata un autentico suicidio.

Il valore aggiunto dal punto di vista delle relazioni politico-istituzionali è stato evidente in seguito. Questa iniziativa ha avuto l’effetto di far capire al ministro dell’Università che, senza la CRUI, aveva poche speranze di prose-guire nel suo cammino. È così che, almeno nelle dichiarazioni, i contrasti so-no in un primo tempo scemati.

La Moratti – e non solo lei – si è resa conto della capacità di difesa e resi-stenza di un ambiente, come quello accademico, ritenuto tradizionalmente “docile”. Anche perché, lo sappiamo, sono molti i docenti in Parlamento e nel Governo, a qualunque parte politica si faccia riferimento, e quindi occorre af-frontare il problema con la dovuta cautela.

Le promesse fatte allora sono state mantenute solo parzialmente. E, quindi, si è tornati a una fase conflittuale. Secondo me, temi delicati quali la riforma dello stato giuridico dei docenti e la questione dei ricercatori porteranno a un riaccendersi di questa dialettica di confronto e conflitto.

Le dimissioni dei Rettori hanno rappresentato anche un fatto rilevante dal punto di vista comunicativo perché hanno fatto entrare la CRUI nelle case di tutti gli italiani. Prima la gente comune non sapeva nemmeno della sua esi-stenza. Da lì bisognerebbe ripartire, per parlare non tanto e non solo di que-stioni strategiche ma per porre i problemi così come vengono vissuti dagli studenti e dalle loro famiglie. In questo modo, con il processo più globale del-la valutazione tutti potranno sapere quali sono le zone di eccellenza in Italia. Così si potrà affrontare il problema della mobilità studentesca o della garanzia del diritto allo studio per le famiglie che non possono permettersi di pagare ai figli gli studi fuori sede. Semplifico: una volta entrati nelle case degli italiani, bisogna rimanerci per parlare dei problemi di tutti e non solo dei problemi delle élite e dei gruppi di pressione. Raffaello Masci

Concordo con quanto detto finora, anche se va fatta qualche precisazione.

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All’indomani delle dimissioni qualche dubbio su quell’operazione è rimasto. Non dico che esse dessero la sensazione che si recitasse la commedia delle parti, ma si è capito che i Rettori avevano difficoltà a portare fino in fondo quel gesto di protesta per paura di perdere le loro posizioni. Non so come sa-rebbe andata a finire se la questione si fosse protratta più a lungo. Ritengo che, anche nei mesi successivi, sia stato compiuto qualche errore di conduzio-ne e, conseguentemente, di comunicazione. Ad esempio: il conflitto sullo sta-to giuridico dei docenti è stato percepito da alcuni come l’espressione di una difesa corporativa da parte degli stessi. Ho qualche dubbio nel definirlo un er-rore di comunicazione, ma tale è stato ritenuto in molti settori della pubblica opinione. È mancata, forse, tra la fonte e il pubblico, la capacità di spiegare i contenuti e la dimensione innovativa del processo. Da questo si comprende come la comunicazione diventi interessante e con maggiore probabilità di successo, quando si fa carico di istanze collettive. Un esempio su tutti: la que-stione della mobilità. Quando il Rettore Tosi confermò le necessità di finan-ziamenti per le residenze universitarie, per sottrarre i ragazzi al taglieggio de-gli affittacamere, fu secondo me una dichiarazione importante in quanto toc-cava direttamente i problemi delle famiglie.

Emanuela Stefani

Avete già accennato a un maggiore orientamento alle best practice e alla qualità, alla costruzione di una rete che faccia emergere le eccellenze e che dia della ricerca l’immagine di concreta dimensione di supporto economico-sociale alla vita dei cittadini.

Come si può rendere più efficace il messaggio, caricandolo di nuovi signi-ficati? E la dimensione internazionale dei processi di formazione può dilatare gli orizzonti e far crescere il bisogno e il dibattito sulla ricerca e sull’innovazione, favorendo un nuovo schema della trattazione dei temi uni-versitari?

Piero Damosso Visto che si parla di efficacia del messaggio, ho trovato molto diretta e pun-

tuale la Relazione sullo stato delle Università italiane del professor Piero To-si, in quanto il linguaggio era molto immediato. L’iniziativa ha di per sé un profondo significato in quanto mette in relazione l’Università con il sistema Paese.

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La redazione di cui faccio parte è, analogamente alle agenzie, suddivisa in maniera tematica. Trattiamo in particolare argomenti che vanno dall’istruzio-ne all’Università, dall’ambiente alla sanità, dalla scienza al volontariato. Ri-flettendo su quello che si diceva, ho pensato alle trasmissioni scientifiche che curiamo, contenitori ideali per affrontare in maniera dettagliata le best practi-ces universitarie, sempre nell’ottica di un approfondimento di qualcosa di at-tuale. Le telefonate che riceviamo parlano chiaro. La gente vuole capire di più. Non gli basta quello che raccontiamo nei pochi minuti a disposizione in un TG.

È indubbio che un altro fattore che può aumentare la notiziabilità del mon-do universitario oggi è rappresentato dal rapporto con l’Europa. Tutto ciò che racconta come il nostro sistema universitario procede rispetto al contesto eu-ropeo ha un alto valore aggiunto e, di conseguenza, molte chance di diventare notizia rilevante. Con questo si scontra la nostra sensibilità, che non è ancora sufficientemente europea.

Tiziana Caroselli

Recentemente, il fatto che Tony Blair abbia parlato di Università ha rappre-sentato per noi una notizia traino per poter affrontare la situazione anche nel panorama italiano. Sono d’accordo anch’io che l’informazione proveniente dall’estero ci permette di fare confronti e, quindi, di aumentare in qualità e in quantità la trattazione dei temi universitari.

Alessia Tripodi Anche io ho notato che quando si attivano confronti a livello europeo è più

facile trovare spazio. D’altra parte, tutti i cambiamenti normativi dell’Università vanno nella direzione di un adeguamento alla legislazione eu-ropea.

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Gli Autori Alessandro Bianchi, Rettore Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, è pro-

fessore ordinario di Urbanistica presso lo stesso ateneo. Attualmente ricopre la carica di Segretario generale della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.

Alessandro Ciarlo è il Presidente dell’AICUN, l’Associazione Italiana Comunicatori U-

niversitari. Dirige la struttura di Sviluppo e Relazioni esterne dell’Università Bocconi di Milano.

Dario De Cesaris è Responsabile dell’Ufficio Comunicazione della CRUI, la Conferenza

dei Rettori delle Università Italiane. E’ Professore a contratto di Comunicazione d'im-presa presso la Facoltà di Scienze Umanistiche dell'Università La Sapienza di Roma.

Roberto Grandi è Prorettore per le Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Bologna. E’ docente presso lo stesso ateneo di Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa al Corso di laurea in Scienze delle Comunicazioni e alla Scuola Superiore di Giornalismo dell'Università di Bologna.

Emanuele Invernizzi è ordinario di Economia e tecnica della comunicazione aziendale all’Università IULM di Milano dove insegna anche Strategia e management delle re-lazioni pubbliche ed è Direttore dell’Istituto di Economia e Marketing.

Anna Majuri, laureata in Scienze della comunicazione, collabora presso l’area Marketing

del Centro Comunicazione e Marketing dell’Università di Siena.

Brunella Marchione è Vicepresidente dell’AICUN, l’Associazione Italiana Comunicato-ri Universitari. E’ Capo del Settore Orientamento e Relazioni Esterne presso l’Università degli Studi di Parma

Gianfranco Marrone è professore associato di Semiotica, presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Palermo. E’ Presidente dell’Associazione italiana di studi semiotici, condirettore della Collana “Segnature” presso l’editore Meltemi di Roma e collaboratore de “La Stampa” di Torino.

Valentina Martino, dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione, svolge attività di-dattica e di studio presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

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Alessandra Mazzei è ricercatrice di Economia e gestione delle imprese presso l'Universi-tà IULM di Milano dove insegna Economia e tecnica della comunicazione aziendale presso la sede di Feltre e Comunicazione d'impresa.

Simona Piselli, laureata in Scienze della comunicazione e giornalista pubblicista, collabo-

ra presso l’Ufficio stampa dell’Università di Siena.

Paola Claudia Scioli è Segretaria dell’AICUN, l’Associazione Italiana Comunicatori U-niversitari. Coordina l’Ufficio Stampa della De Agostini S.p.A. di Milano.

Emanuela Stefani è Direttore operativo della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Univer-sità Italiane, dal 1997 e della Fondazione CRUI dal 2001, anno della sua istituzione. E' Rappresentante nazionale per l’EUA, European Universities Association, per l’ELU, European Latin Universities e per alcune commissioni tematiche dell'UNESCO.

Piero Tosi, Presidente della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, dal

2002, è Rettore dell’Università degli Studi di Siena. E’ professore ordinario di Ana-tomia Patologica presso l’ateneo senese e fa parte del Consiglio d’Amministrazione del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Ugo Volli è professore straordinario di Semiotica del testo presso la Facoltà di Lettere e

Filosofia dell'Università di Torino, dove insegna anche Semiotica della pubblicità. E’ Presidente del Corso di laurea specialistico in comunicazione di massa e multimediale e direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione.

Giornalisti partecipanti al forum - intervista

Tiziana Caroselli, giornalista dell’ANSA, Agenzia Nazionale Stampa Associata, è spe-cializzata sulla cronaca bianca e in particolare sui temi relativi a Scuola e Università.

Piero Damosso, in RAI dal 1987, è ora Vice-Caporedattore della redazione “Società” del Tg1. Insegna “Teoria e tecniche del giornalismo” presso la Pontificia Università Late-ranense di Roma.

Raffaello Masci scrive di processi formativi ed economia per La Stampa. E’ autore di nu-merosi testi sui temi dell’educazione e della formazione pubblicati per Rizzoli Editore.

Mario Reggio si occupa di Sanità, Scuola e Università su La Repubblica. Nel 1976 è stato tra i fondatori di Radio Città Futura, nota radio libera romana. Ha collaborato con L’Espresso.

Alessia Tripodi scrive per il Sole 24 Ore sui temi “Scuola e Università”. E’ responsabile del settore “Università e Formazione” per il periodico Sole 24 ore Scuola. Collabora sugli stessi temi con Radio24.

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