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libertàcivili In questo numero interventi di: Diritto di parola Primo Piano / Carmelo Mifsud Bonnici Antonello Folco Biagini Natale Forlani Marcello Maneri Anna Meli Mario Morcellini Enrico Pugliese Serenella Ravioli BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE FrancoAngeli Speciale/ La grande emergenza

Transcript of ivili libertàc · Anna Meli Mario Morcellini Enrico Pugliese Serenella Ravioli BIMESTRALE DI STUDI...

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In questo numero interventi di:

Diritto di parolaPrimo Piano /

Carmelo Mifsud Bonnici

Antonello Folco Biagini

Natale Forlani

Marcello Maneri

Anna Meli

Mario Morcellini

Enrico Pugliese

Serenella Ravioli

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

FrancoAngeli

Speciale/La grande emergenza

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BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le libertà civili e l’immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 [email protected] [email protected]@interno.it

Comitato scientificoPresidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore ordinario della facoltàdi Scienze politiche - Universitàcattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore ordinario di Demografia- facoltà di Scienze statistiche -Università degli studi di Roma“La Sapienza”

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - Universitàdegli studi di Roma “La Sapienza”

Umberto Postiglione Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina e pag.80 © Alexis Duclos | UN Photo - Unhcr;pag.15 © Albert GonzalesFerran | UN Photo;pag.66 © Frontepagina pag. 74 © UN Photo - Unhcr;pag.94 © Ky Chung | UN Photo;pag.96 © Paul Banks | UN Photo;pag.142 © Fondo Europeo;pag.149 © Roberta Ferraro - Corporativa Dedalus-Fei;pag.154 © foto dal set del filmIl sangue verde;pag.160 © Luca Bambi;pag.170 © P. Moore | UN Photo

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by FrancoAngeli s.r.l.

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Primo bimestre 2011finito di stampare maggio 2011

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In questo numero interventi di:

Diritto di parolaPrimo Piano /

Carmelo Mifsud Bonnici

Antonello Folco Biagini

Natale Forlani

Marcello Maneri

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Mario Morcellini

Enrico Pugliese

Serenella Ravioli

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Speciale/La grande emergenza

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EditorialeTra nuova comunicazione e l’emergenza da superaredi Angela Pria 5

L’intervento“Nel Mediterraneo è piena emergenza:Italia e Malta devono essere aiutate dall’UE”Intervista a Carmelo Mifsud Bonnici 7

La presa di parola: i migranti da oggettoa fonte di comunicazionedi Mario Morcellini 11

I media interculturali: una panoramica dettagliatadi Marcello Maneri 21

Le tante voci della nuova Italia multiculturaledi Anna Meli 29

Fare il giornalista nel Bel Paese:storie ed esperienze di cittadini stranieridi Paula Baudet Vivanco 36

Una “babele” di lingue e di genteper raccontare i colori della nuova ItaliaIntervista a Luca Artesi (Babel) 44

Migranti, internet e pomodoridi Enrico Pugliese 46

Restare in Italia? Sì, se ci sono i figlidi Alessandro Grilli 51

I media locali di fronte alla sfida dell’immigrazionedi Marinella Belluati 58

Verso una comunicazione istituzionaleal servizio dell’inclusione socialedi Serenella Ravioli 63

Se l’Europa impara a daredi Giuseppe Sangiorgi 70

Il r isveglio arabo in rotta sul Mediterraneodi Claudia Svampa 71

Un cambiamento che nasce dal bassoIntervista ad Antonello Folco Biagini 78

Il “Mare nostrum” diventa adultoa cura del Censis 84

La finestra sul mondoUna base comune di principi e dirittiper un governo globale delle migrazionidi Guia Gilardoni 92

EuropaParole di integrazione:il ruolo dei media e gli strumenti del Feidi Andrea Fama 100

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LaborValorizzare la sussidiarietà e il ruolo dei corpi intermediè la via italiana per l’integrazioneIntervista a Natale Forlani 105

Dalla stagione delle emergenze a una politica strutturata 110

CittadinanzaImmigrazione e diritto di cittadinanza:il paradosso storico della vicenda europeadi Laura Zanfrini 117

Diritto d’asiloIl 2010 dell’asilo: domande in calo nei Paesi industrializzati 123

La ricercaPer una conoscenza comparata dell’integrazionedi Stefania Nasso 126

Dal territorio allo spazio reticolare delle migrazioni:la governance territorialedi Emanuela Casti 131

Minimum mediaL’immigrazione in Italia nel Rapporto Sopemidi Anna Italia 138

Il buon esempioNon è mai troppo tardi… anche per gli stranieridi Alberto Bordi 144

Strumenti per la progettazione interculturale 150

ImaginariumLa sfida del cinema, dare voce alla dignità dei migrantiIntervista ad Andrea Segre 152

Riparlare di ieri per parlare di oggi 157

Un viaggio fotografico nella vita degli altri 159

Esperienza e trasferibilità dei progettiper l’educazione interculturale 162

Le trasformazioni politiche del Nord-Africa:il parere del Comitato per l’islam italiano 171

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omunicazione ed emergenza sono le due espressioni che in questi mesi più si sono intrecciate fra loro con riferimentoal tema dell’immigrazione nel nostro Paese. I mass media

hanno rilanciato quotidianamente il tema e accanto alla televisione,alla radio, ai giornali, altri media come internet e la telefoniamobile sono stati al tempo stesso l’amplificazione di quanto avveniva,ma anche veri e propri strumenti di collegamento e di organizzazionedei disperati esodi attraverso il Mediterraneo. Comunicazione ed emergenza si intrecciano anche in questo nuovonumero di libertàcivili che dedica il suo primo piano al “diritto di parola” degli immigrati. Diritto di parola intesocome un fenomeno nuovo, da scandagliare e del quale dare conto:come gradualmente gli immigrati si stanno trasformando da semplice oggetto della comunicazione a soggetti attivi, fonteed espressione diretta delle notizie e dei problemi che li riguardano.La stampa etnica è dunque un settore che sempre più si va strutturando e consolidando, sopperendo spesso con la voglia di esserci e con la passione dei suoi pionieri alle difficoltà organizzative, editoriali ed economiche che ne stanno accompagnandole diverse esperienze, come documentano le analisi e le valutazionidella equipe di studiosi coordinata dal professor Mario Morcellini.Era il lontano 1954 quando la televisione muoveva i suoi primipassi in Italia. Oggi è lo strumento di comunicazione fondamentaledel Paese, quello che più ha contribuito a raccontarne la storia e spesso a farla. Perciò non è un caso se un recente accordo tra il ministero dell’Interno e la Rai abbia avviato un progetto educativo come “Cantieri d’Italia, l’italiano di base per costruire la cittadinanza”. Esso è volto idealmente a proseguire quella che nei primi anni di vita della tv pubblica fu “Non è mai troppo tardi”, la trasmissionecondotta dal maestro Alberto Manzi volta ad alfabetizzare una popolazione che registrava all’epoca punte significative

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Tra nuova comunicazionee l’emergenza da superare

di Angela Pria

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Tra nuova comunicazione e l’emergenza da superare

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di analfabetismo, considerato un deficit sociale di non integrazione,oltreché di non conoscenza linguistica. Come accade oggi con tantiimmigrati. Conoscenza del nostro Paese, integrazione, cultura della legalità: tanto si gioca sul tavolo della comunicazione attraverso il ruolo strategico che essa riveste. Accanto all’aspetto della comunicazione c’è quello dell’emergenza,e dunque del dramma umanitario in corso, dramma che più di altri ha investito il nostro Paese, ma che è anche una conseguenzadi tutto ciò che di nuovo sta avvenendo di là dal Mediterraneo e che l’Europa troppo spesso si ostina a non vedere nelle sue implicazioni più profonde di carattere sociale, economico e politico.A questo contesto geopolitico dell’emergenza dedichiamo un altroapprofondimento nelle pagine della rivista, grazie anche alle analisi del Censis sui processi di transizione nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e gli scenari di cambiamentoche essi prefigurano. Per fronteggiare davvero l’emergenza in corso, all’intervento umanitario deve accompagnarsi la comprensione delle cause di ciò che sta avvenendo. Questo vale per noi, e questo sosteniamocon convinzione nei confronti dell’Unione Europea.

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ento“Nel Mediterraneo

è piena emergenza:Italia e Malta devonoessere aiutate dall’UE”

Intervista a cura di Claudia Svampa

Il ministro dell’Interno maltese Carmelo MifsudBonnici auspica un ruolo centrale dell’agenziaFrontex e un aumento dei fondi europei per ilsettore dell’immigrazione: Roma e La Vallettaunite sul principio del “burden sharing”

Ministro Bonnici, la situazione di instabilità e crisi in alcuniPaesi nordafricani e mediorientali sta facendo riprendere inmodo massiccio i flussi dei clandestini verso l’Europa conil rischio di infiltrazioni di terroristi legati ad Al-Qaeda. Malta,così come l’Italia, si trova ancora una volta in prima linea adover fronteggiare tale emergenza. Quali iniziative, comeministro dell’Interno, intende intraprendere affinché l’UnioneEuropea affronti concretamente questa reale emergenza nelMediterraneo?

Prima di tutto dobbiamo valutare gli sviluppi nei Paesi inquestione giorno per giorno perché le esperienze recenti ciconducono su questa via. In questo momento la situazione sista sviluppando per il peggio, con un flusso di persone chetentano di trovare rifugio nei nostri Paesi. Questo movimentoumano di proporzioni straordinarie sicuramente porta con sépersone che tentano di fuggire dalla guerra civile, principalmentelibici, ma senza escludere altri di idee politiche e provenienzevarie.

Considerando questo scenario, fuori dall’ordinario, l’UnioneEuropea deve tenersi pronta a mettere in atto misure che sonomanifestamente di emergenza e solidarietà. Sicuramente perproteggere le nostre coste e per far fronte alla prospettiva digente che sta mettendo in pericolo la propria vita nell’attraversareil mar Mediterraneo, cioè questa crisi umanitaria, deve essermessa in opera un’operazione Frontex fuori dal normale e didimensioni adatte, con una partecipazione attiva all’insegnadel principio di solidarietà.

In questo momento la situazione si sta sviluppando per il peggio con un flusso di persone che tentano di trovare rifugio neinostri Paesi.L’Unione Europea deve mettere in atto misure di emergenza e solidarietà

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più che mai, davanti ai nuovi scenaridell’area mediterranea è necessarioche l’UE si doti di una strategia e distrumenti concreti che prevenganol’emergenza di esodi incontrollati cheminerebbero la sicurezza dell’interaEuropa. Come vede il ruolo di agenziecome Frontex e dell’Ufficio europeo disupporto per l’asilo (Easo), che ha sedeproprio a La Valletta, in questa nuovaprospettiva di criticità?

Direi, come già accennato, che Frontexdovrebbe essere maggiormente coinvoltae su più fronti, anche su questioni cheriguardano l’acquisizione di documentidi viaggio di migranti che devono ritornarenei Paesi d’origine. Gli Stati membri,particolarmente quelli come l’Italia eMalta, devono essere aiutati a questo

riguardo. Allo stessotempo, la cooperazionedei Paesi d’origine perquanto riguarda il rim-patrio dei loro cittadinidovrebbe essere unapriorità per l ’UnioneEuropea. Frontex do-vrebbe essere parteintegrante e di unatale strategia, comeho avuto l’opportunitàdi sottolineare più volte

in sintonia con l’Italia.È in questa direzione che l’Easo

dovrebbe implementare il concetto del“burden sharing” nel settore dell’asilo.A tale riguardo, quest’ufficio potrebbe edovrebbe assumere il ruolo di coordinatoredel “burden sharing”.

Parlando delle prospettive finanziariedell’UE nel settore dell’immigrazione:ritiene sufficienti le risorse stanziate?Come vede una razionalizzazione degli

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Intervista al ministro dell’Interno maltese, Carmelo Mifsud Bonnici

La Francia, in seno alla riunione delG6 di Cracovia del febbraio scorso,ha lanciato l’idea di effettuare unaconferenza tra cinque Paesi dell’Europacontinentale (Francia, Germania, Italia,Regno Unito e Spagna) insieme conCipro, Grecia e Malta, per affrontarele nuove sfide di governance dell’immi-grazione. Pensa che l’esperienza del“Quadro Group”, possa in qualchemodo rafforzare, in un tale contestoallargato, la centralità del Mediterraneoe riaffermarlo con forza nell’agendadella Commissione Europea e dellepresidenze ungherese e polacca?

L’esperienza del “Quadro Group”sicuramente ha aiutato e può aiutare dipiù, tenendo conto che è importanteche tutti gli Stati membri del Mediterraneocontribuiscano alla cen-tralità del Mediterraneostesso nel contesto difuture discussioni. Andreianche oltre, e direi chela centralità del Medi-terraneo dovrebe essereuna priorità anche perStati membri dell’UnioneEuropea che geografi-camente non affaccianosu questo mare. Leesperienze passatedell’immigrazione clandestina via marehanno dimostrato che quello che succedenel Mediterraneo è di importanza ancheper i Paesi del Nord, che spesso sonole vere e ult ime destinazioni degliimmigrati irregolari.

L’agenzia europea Frontex non sembrasino ad ora essere stata in grado disvolgere, in modo sufficientemente attivoed efficace, un ruolo importante nellalotta contro l’immigrazione illegale. Oggi

Le esperienze passate dell’immigrazione clandestina via mare hanno dimostrato che quello che succede nel Mediterraneo è importanteanche per i Paesi del Nord Europa che spesso sono le vere e ultime destinazioni degli immigrati irregolari

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Intervista al ministro dell’Interno maltese, Carmelo Mifsud Bonnici

stanziamenti in rapporto alle prioritàdel suo Paese e dell’area Mediterraneanel suo insieme?

Credo che lo stanziamento di questifondi dovrebbe riflettere la posizionegeografica di un Paese, tenendo contoche i Paesi di frontiera, tra cui quelli delbacino Mediterraneo, sono più espostial fenomeno. Le risorse in questo settoredevono essere di più, considerando intutta evidenza l’attuale momento che altrihanno sfortunatamente sottovalutato.Per questo ritengo necessario poter vederemaggiore solidarietà, con stanziamentiche abbiano senso rispetto al peso chesiamo chiamati a sostenere.

Italia e Malta hanno sempre sostenutola necessità di attuare tra i Paesi membridell’UE il principio del “burden sharing”per far sì che anche gli altri Paesieuropei si impegnassero a sostenere il“peso” dell'immigrazione, accogliendonel proprio territorio parte degli immi-grati che entrano in Europa dai Paesidi frontiera. Ritiene che attraverso unosviluppo di un siste-ma europeo dell'asi-lo si possa attuareuna tale prospettiva?

Ritengo che l’attua-zione di una tale pro-spettiva sia essenzialeal fine di assicurarsiche lo sviluppo dellapolitica comune dell’UEsul tema dell’asilocontinui a essere unsuccesso. Non ci si puòaspettare che Paesi sottoposti a flussistraordinari siano capaci di implementarestandard più rigorosi se il resto dell’Eu-ropa, se cioè l’altra parte, non è disponibilea fornire aiuto. E per questo ritengo che

la solidarietà debba essere praticatapure in questa direzione per dare unanuova prospettiva di vita a gente cui noiabbiamo dato il riconoscimento che l’asilocomporta.

Gli ottimi rapporti di collaborazionebilaterale tra Italia e Malta sono statirafforzati in occasione del vertice tra iministri degli Affari esteri, dell’Internoe della Difesa dei due Paesi, che si ètenuto a Roma l’8 luglio 2010. Quali sonostate le principali convergenze registratenel settore di sua competenza? Nelcorso del vertice è stato affrontatoanche il tema del salvataggio e dellasicurezza in mare. Qual è lo stato dellacollaborazione tra i nostri due Paesi inproposito?

Direi che le posizioni dell’Italia e di Maltasono molto simili. Considerando che i duePaesi hanno spesso affrontato simili dif-ficoltà, ciò non è affatto sorprendente.Questo è evidente in modo particolarenel contesto dell’Unione Europea, vistoche i due Paesi hanno consistentemente

sottolineato l’importanzadel Mediterraneo inri ferimento al l ' immi-grazione e ai concettidella solidarietà e del“burden sharing”.

La cooperazione traItalia e Malta nel settoredella sicurezza in mareè ottima. A questoriguardo dobbiamo direche le attività delleautorità italiane e mal-

tesi hanno salvato centinaia di vite nelMediterraneo.

Non ci si può aspettare che Paesi sottoposti a flussi straordinari siano capaci di implementare standard più rigorosi se il resto dell’Europa,cioè l’altra parte, non èdisponibile a fornire aiuto

Il Primo Piano di questo numero di libertàcivilipropone di nuovo il tema dell’informazione,ma in una chiave diversa: non come i nostri mass media vedono gli immigrati ma come loro vedono noi; come da oggetto di analisiessi diventino fonte comunicativa dando vitaa un modello di integrazione non subalterno.Un laboratorio del futuro, come scriveMario Morcellini nel saggio introduttivo.

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La presa di parola:i migranti da oggetto a fonte di comunicazione

di Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienze della comunicazione, “Sapienza” università di Roma

I migranti “non stanno più seduti davanti ai media”,ma hanno cominciato da tempo a percorrere la stradadell’autoproduzione di contenuti e di messaggi: è la strategia più convincente per passare dall’invisibilitàa un modello di integrazione non subalterno

La nostra rivista ha già scelto, nel terzo numero del 2010intitolato “La realtà e la percezione”, di considerare strategico,entro una moderna riflessione sulle migrazioni, il ruolo dellacomunicazione, indagando la realtà e la percezione dei migrantinegli stili di rappresentazione del giornalismo italiano 1. Non era unbanale e un po’ buonista segno di attenzione, quanto il ricono-scimento del fatto che una rivista intitolata generosamente aidiritti e alle libertà civili deve tematizzare il grado di accoglienzariservato dal sistema comunicativo ai nuovi venuti, nella profondaconvinzione che esso sia largamente responsabile di unasupplementare sofferenza per i migranti.

Ma il numero che presentiamo costituisce davvero un saltodi qualità e una radicale scelta di modernità. Non è più in questionequanto e come il sistema informativo italiano si occupa deimigranti e dei loro problemi. La vertenza è un’altra. Si tratta diprendere coscienza di una significativa rivoluzione comunicativanello scenario mediale, che solo un'adeguata divulgazionepubblica può rendere più forte e diffusa: i migranti non stannopiù seduti davanti ai media, ma hanno cominciato da tempoa percorrere la strada dell’autoproduzione di contenuti e dimessaggi. È una vera e propria svolta in termini di soggettività

Occorre prendere coscienza di una significativa rivoluzione avvenuta nello scenariomediale:gli immigratihannocominciato a produrre in autonomiacontenuti e messaggi

1 All’interno delle attività di monitoraggio dell’informazione giornalistica italianasull’immigrazione dell’Osservatorio Carta di Roma, il dipartimento di Comunicazionee Ricerca sociale della Sapienza ha realizzato – con la direzione scientifica di MarioMorcellini – la Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani e Iltempo delle rivolte, consultabili sul sito www.cartadiroma.org

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I migranti da oggetto a fonte di comunicazione

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e di interpretazione dei diritti; è anche così che i migranti cessanodi essere oggetto di trattazione e assumono il ruolo di fontecomunicativa. È però necessario dire qualcosa di più nettosull’autoproduzione mediale da parte dei migranti: essa rappre-senta probabilmente la strategia più convincente, volontariao meno che sia, per passare dall’invisibilità a un modello diintegrazione non subalterno.

La svolta è tanto più rilevante in un contesto in cui i cambiamenticontemporanei delineano, di fatto, una società sempre più apertae policentrica, caratterizzata da accresciuta mobilità a tutti i livelli.Gli studiosi della tarda-modernità 2, ma anche la consapevolezzadiffusa nel dibattito pubblico, ci ricordano che questa è unacompagine sociale in cui diventa finalmente possibile rivendicareun’inedita libertà dei destini individuali. Ma proprio per questostraordinario aspetto di apertura e di nuove chance, la nostra èuna società più esposta al rischio, all’incertezza e al conflitto,in cui la dialettica tra valorizzazione delle differenze e ricom-posizione delle disuguaglianze è incessante e mai scontata nelsuo esito. Del resto, l’evoluzione multiculturale 3 rappresentasolo uno dei tasselli della modernizzazione in atto, anche se trai più delicati e vitali per il benessere e la pace sociale. Un temaemergente e di assoluto primo piano nella quotidiana “messa inscena” delle società contemporanee e del loro cambiamento.È per questo che dedichiamo il focus di questo numero a quellache Don Milani avrebbe chiamato la “presa di parola” dei migranti.

Secondo l’aggiornata critica di Pierpaolo Donati 4 al concettodi multiculturalismo, appare chiaro come il principale limite ditale dimensione concettuale consista nell’incapacità di tenerconto della cultura come fatto relazionale. La realtà socialecontemporanea pone inevitabilmente la questione del rispetto delledifferenze culturali, al fine di favorire la costruzione di personee “ambienti mentali” capaci di tener conto dei particolarismi edell’integrazione razionale della vita sociale. A fronte di un’istanzacosì generosa, oggi, quando i movimenti culturali si caricano didimensioni sociali, di appelli all’eguaglianza e alla giustizia,sono percepiti come pericolosi.

2 Per un’esauriente rassegna critica nella prospettiva della modernizzazione, si rinviaad A. Martinelli, La modernizzazione, Laterza, Roma-Bari 2004.3 Per una riflessione sui cambiamenti nelle “società multietniche” si rimanda a al testodi V. Cesareo, Società multietniche e multiculturalismi, Vita e Pensiero, Milano 20073.4 P. Donati, Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune,Laterza, Roma-Bari 2008.

Una società più esposta al rischio,all’incertezza e al conflitto,in cui la dialettica fra valorizzazione delle differenze e ricomposizionedelle disuguaglianze è incessante e mai scontata nel suo esito.L’evoluzione multiculturale uno dei tassellidella moderniz-zazione in atto

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I migranti da oggetto a fonte di comunicazione

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A partire dagli anni Settanta, l’ingresso del capitalismo nell’eradella flessibilità e della precarietà ha trasformato anche lo sguardorivolto alle differenze culturali 5. Diseguaglianze, precarizzazione,disoccupazione, coscienza dei danni del progresso, hannoindebolito la spinta delle identità culturali. Nell’opposizione trawinner e loser, il culturale e il sociale si ritrovano mescolati, traglocalismo, omogeneizzazione e eterogeneizzazione, vari tipidi diaspore, ethnic business e metissage. È evidentementenecessaria una vertenza sulle dimensioni culturali e simbolichedegli obiettivi sociali dell’azione politica; così come è chiaro che ilsoggetto, per costruirsi, ha bisogno di mettersi in relazione conle identità collettive e, al tempo stesso, di autonomizzarsi.Perché la ricerca identitaria passa per la memoria, e la memoriae l’azione non sono solo riproduzione ma anche produzione,creatività e cambiamento.

È evidente che la costruzione dell’Europa multiculturale nonpuò fondarsi solo sulla capacità di governare tecnicamenteuna serie ampia e spinosa di questioni socio-economiche epolitiche; diversamente, essa deve far leva anche sulla capacitàdi lavorare in modo proattivo sulle dinamiche culturali che, “dalbasso”, attengono alla vita quotidiana e alla sfera propriamentemicro-sociale: modelli simbolici e di interazione che chiamanodirettamente in causa le responsabilità delle reti della comuni-cazione, della partecipazione sociale e della formazione 6. Inquesto senso, occorre anzitutto riconoscere al ruolo “intermedio”del Terzo Settore, dei movimenti, del mondo dell’associazionismoe del volontariato un importante contributo in termini di mobili-tazione di valori e rapporti sociali in grado di “spostare” inavanti la società e promuoverne il mutamento in direzioni – qualequella del multiculturalismo o, ancora oltre, dell'intercultura –che risultino, di fatto, positive per i singoli e la collettività: èl’apertura di nuovi spazi sociali proattivi, in cui avviene l’estensionee il consolidamento delle reti di socialità e solidarietà.

La tesi centrale di Donati è che la prospettiva relazionale,ovvero un’interpretazione sociologica fondata sull’analisi delle

5 Una particolare attenzione alle dinamiche che si innescano nel mondo del lavoroanche in relazione ai più generali processi migratori viene da Enrico Pugliese inalcune sue pubblicazioni; in particolare E. Pugliese, L'Italia tra migrazioni inter-nazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna 2006 2.6 Si r imanda anche all ’ interessante prospettiva socio-semiotica sviluppata inG. Bettetini, Capirsi e sentirsi uguali. Sguardo sociosemiotico al multiculturalismo,Bompiani, Milano 2003 .

Anche la costruzione dell’Europa multiculturaledeve far leva sulla capacità di lavorare sulle dinamiche che attengono alla vita quotidiana e alla sfera microsociale

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I migranti da oggetto a fonte di comunicazione

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relazioni e una prassi di azioni guidate dalla ragione relazionale,possa essere un’alternativa al termine “multiculturalismo”, diffusosiin Occidente dagli anni Sessanta per indicare rispetto, tolleranza,difesa delle minoranze culturali, ma lentamente approdato aun’ideologia e soprattutto a una prassi che ha provocatoevidenti effetti critici. Multiculturalismo è diventato dunquesinonimo di un immaginario collettivo (“tutti differenti, tuttiuguali”) che produce paradossi e paralisi quando le diverseculture devono confrontarsi e deliberare intorno alla sferacomune. Si è trasformato, in definitiva, in una dottrina politicache, mentre afferma di propugnare una cittadinanza “inclusiva”nei confronti delle culture “diverse”, di fatto si limita ad acco-starle l’una all’altra senza produrre alcuna reale relazionalità,che sola potrebbe generare un autentico riconoscimento.

Nel multiculturalismo le relazioni vengono “neutralizzate”attraverso il principio liberale della tolleranza e quello socialistadell’inclusione politica, che poiché accentra l’attenzione sulla libertàe l’uguaglianza, dimentica i rapporti di solidarietà, reciprocità efraternità. Quindi il multiculturalismo male applicato, soprattuttonei Paesi europei, con tradizioni culturali, religiose e civiliomogenee e stabili, può generare frammentazione sociale,separatezza delle minoranze e un relativismo culturale acriticoe asettico che disorienta l’opinione pubblica.

Immigrati e nuovi cittadini italiani possono finalmente essereconsiderati non solo come soggetti passivi delle dinamichecomunicative, ma, attraverso una propria “presa di parola”nello spazio comunicativo, esercitare un più articolato diritto dicomunicazione, come dimensione centrale del più radicalediritto di cittadinanza. Si sta evidentemente discutendo di unacittadinanza “sociale” prima ancora che giuridica, qualcosa cheha di sicuro a che fare con ciò che – con molta approssimazionee ambiguità – è stata definita integrazione.

Si tratta, in pratica, di riconoscere l’importanza di una specifica“vocalità” che va oltre il mero possesso di competenze linguistiche,ma che interessa la persona e la sua capacità di esprimereappieno la propria soggettività. La possibilità di soddisfare ipropri bisogni comunicativi, tanto di tipo informativo quanto ditempo libero e di intrattenimento, è un requisito e, da certi puntidi vista, una componente tutt’altro che secondaria della socialità.Uno stare in società che si realizza “disponendo” e scambiandola risorsa comunicazione.

In questo senso, la partecipazione a iniziative di comunicazionee la creazione di professionalità, ma anche solo di specifiche

Il limite del multicultu-ralismo:non produce relazionalità,e dunque integrazione,tra le diverse provenienze

La “presa di parola nello spazio comunicativo”da parte degli immigrati come affermazione di un diritto di cittadinanza sociale prima ancora che giuridico

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competenze comunicative – dalla possibilità di essere informatisu ciò che accade nella città in cui l’immigrato vive e fa crescerei propri figli, fino alla creazione e utilizzo di strumenti e canaliattraverso cui esprimere rivendicazioni politiche anche forti oconflittuali – assume un significato ben più strategico di quantopossano illustrare numeri e casi di studio. In questo caso èdecisivo il potere di annuncio e di discontinuità rispetto a unpassato anche recente. Il passaggio dei migranti da oggettia protagonisti della comunicazione è un modo di esercitaree rivendicare un diritto alla comunicazione che va al di là dellarichiesta di aprire una vertenza contro distorsioni e distrazionidei media generalisti.

Proprio per le caratteristiche dello scenario mediale italiano,è significativo il ruolo che rivestono gli stranieri nella fruizionedei media mainstream e in particolare delle tv, anche per idelicati equilibri nel rapporto tra il pubblico dei grandi mezzi

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ano di comunicazione e le nuove tendenze alla frammentazione

che rischiano di rendere problematica l’esistenza di un luogosimbolico in cui incontrarci tutti. Non è secondario ricordare,infatti, che in termini di bottino di pubblico e di equilibrioeconomico una vasta platea di immigrati tende a riconoscersianzitutto nei media più diffusi nei Paesi di arrivo, interpretatilegittimamente come una possibile autostrada di riconoscimentoe di partecipazione in comune. Il contributo dei migranti allacomunicazione generalista, e dunque essenzialmente alla tv inchiaro, è decisivo per le sorti dell’audience televisiva, non di radoaccanto a fasce periferiche del pubblico, anziani e personecon bassi livelli di istruzione. È un vero e proprio paradossoche gli old media – in passato luogo privilegiato di incontro,di alfabetizzazione sociale e civica a partire dalla dimensionelinguistica – si lascino sfuggire una funzione strategica capaceanche di reinventare i contenuti, e dunque di consolidare laricomposizione sociale dei pubblici.

La comunicazione nel vissuto dei migranti, mostra però ulteriorispecificità e complessità: il bisogno di essere informati, ovviamente,ma anche il mantenere un legame con le proprie origini, oppurel’esigenza di uscire dall’invisibilità e partecipare alla vita collettiva,di ottenere promozione sociale, di comunicare con le istituzionipolit iche, fino alla possibil ità di esprimersi direttamenteattraverso i mezzi di comunicazione di massa. Spesso, invece,il “passaparola” resta ancora l’unico canale di comunicazionea disposizione di molti immigrati, il che non basta certo agarantire questi diritti primari. Gran parte di queste dimensionidel bisogno di comunicazione, quindi, al momento non sembrasoddisfatta, al punto che spesso tale deficit viene in qualchemisura ridimensionato grazie alla diffusione della cosiddetta“stampa etnica” che mostra dinamiche interessanti e degne diapprofondimento; oppure, per quel che riguarda i media digitali,quasi esclusivamente attraverso la ricostruzione di legamielettronici con il Paese di provenienza: internet e tv satellitare,media che quando diventano l’esclusivo canale di soddisfacimentodi queste necessità relegano l’immigrato in un’ulteriore area dimarginalità, prima fra tutte quella linguistica, rispetto alla societàdi accoglienza.

Si tratta, quindi, di guardare al rapporto comunicazione-immigrati con una mappatura che tenga adeguatamente contodi tutte le sfere che esso mette in gioco; anzitutto la prospettivadei diritti e, in particolare, il “diritto alla comunicazione”. Ènecessario riconoscere che in una società che si basa in primoluogo sullo scambio dei significati, sulla compartecipazione

Una vasta platea di immigrati tende a riconoscersi anzitutto nei media più diffusi dei Paesi d’arrivo comeuna possibile via di riconoscimentoe di partecipazione in comune

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con contributi di diversa provenienza alla costruzione di undiscorso che è inevitabilmente comune, sono in gioco i dirittispirituali, della cultura, della comunicazione 7. Spesso infatti siaffronta il tema dell’integrazione dei “nuovi arrivati” nelle societàoccidentali in termini di diritti oltre che di doveri. Tuttavia, non èsolo necessaria la messa in compartecipazione dei diritti e deidoveri, ma anche la reale possibilità – la “confortevole sicurezza”– di poter esprimere, da parte del nuovo arrivato, la propriadiversità/complessità culturale, affinché possa contribuire adarricchire la conoscenza della maggioranza. Allora, e forse solocosì, si può parlare di “diritto alla comunicazione”: nel senso piùsemplice e forse più disarmante di un diritto a esprimere se stessi,e di un diritto all’uguaglianza delle possibilità di formazione,di comunicazione e di cultura.

Un altro attore importantissimo in questo processo di accom-pagnamento della società che si fa interculturale è il sistemadei mass media. Detto delle difficoltà del generalismo e deisuoi linguaggi di fronte alla diversità culturale, va ricordato cheè necessaria una presa in carico del problema soprattutto da partedel servizio pubblico, sia in termini di immagine della diversità,sia per quanto riguarda il più generale problema dell’accessodella diversità culturale alle stesse professioni comunicative 8.

Il rapporto delle comunità straniere con il sistema medialedel Paese che le ospita va letto, infatti, sia nei termini dell’accessoe delle autorappresentazioni, sia rispetto alle politiche che lostesso sistema dei media dovrebbe intraprendere per risponderealle trasformazioni di una società che da multiculturale si staavviando, seppur faticosamente, verso l'interculturalità. Anchein tema di accesso delle persone di diversa provenienza allaproduzione di contenuti mediali, la situazione italiana restascoraggiante, se si eccettua una certa vitalità di testate “etniche”o programmi in lingua spesso “ospitati” da emittenti radiotele-

7 Ovviamente, dando per già soddisfatti e garantiti i diritti “materiali”: il che è sicuramentevero per la maggioranza degli abitanti del cosiddetto “Occidente”, lo è meno rispettoad altri contesti socio-politici oppure rispetto alle sacche di vecchie e nuove marginalitàe disuguaglianze che hanno con il processo di globalizzazione un rapporto quantomenoambiguo, molto più complesso della semplice idea che si tratti della semplice esclusioneda un processo che, dispiegato al meglio, assorbirebbe le iniquità senza problemi.8 Per ulteriori riflessioni sul rapporto media-immigrazione, si rimanda ancora al giàci tato M.Binotto, V.Mar t ino (a cura di) , Fuori luogo. L’ immigrazione e i mediaitaliani, Pellegrini/Rai-Eri, Cosenza, 2005. Si veda anche M.Bruno, La “diversitàmediata” . Problemi e prospett ive nel rappor to mass media- immigrazione, inR.De Vita, F.Berti (a cura di), Pluralismo religioso e convivenza multiculturale,FrancoAngel i , Mi lano 2003.

Accanto alla messa in comune dei diritti e dei doveri c’è dunque il problema per i nuovi arrivati di poteresprimere la propria diversità/complessità culturale rispetto al Paese d’arrivo

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visive locali 9. L’analisi delle precedenti esperienze di multicultu-ralismo nel sistema dei mass media generalisti, e della situazione,passata e presente, di altre realtà europee – che come è notohanno una ben più lunga storia di immigrazione e che, quindi,hanno affrontato tali tematiche con molto anticipo rispettoall’Italia – mostra dinamiche e indicazioni che vale la pena nonsottovalutare 10.

Si tratta quindi di intercettare questo cambio di prospettiva o,comunque, di ricostruire analiticamente le strade intraprese dallagalassia di esperienze che sperimentano quotidianamente formedi comunicazione “interculturale”, spesso a partire da una filosofiadi partecipazione “dal basso” alla comunicazione. Il primo elementoè una fluidità intrinseca, una ricchezza di esperienze che sicu-ramente – se solo fossero superati i molti ostacoli di naturaeconomica e industriale, ma soprattutto la “precarietà” cheimpedisce una sperimentazione dal “lungo respiro” – porterebbea un’innovazione degli stessi linguaggi mediali. In quest’ottica,il riferimento va, da studiosi della comunicazione, alla necessitàdi ripensare e reinventare tutti i formati e tutti i generi mediali,ferma restando la già sottolineata critica alla rigidità ormaiintrinseca del generalismo.

Allo stesso modo, si fanno sempre più promettenti le potenzialitàdelle tecnologie della comunicazione, arricchitesi nel tempo diuno straordinario valore in termini di espressione delle identitàe di scambio culturale: ciò nel momento in cui soprattutto lacomunicazione sociale tende a imporsi come un interessanteterritorio di frontiera e sperimentazione, in cui – a dimostrazionedel definitivo superamento di vecchi e ormai usurati paradigmiapocalittici – nuove soggettività, anche collettive, si affaccianodal “retroscena” alla “ribalta” del sistema mediale.

Detto ciò, se la comunicazione è così centrale nel definire leprospettive di crescita degli individui e, per riflesso, della società,la questione si fa ancora più spinosa quando in gioco c’è anchel’integrazione – anche da un punto di vista comunicativo eculturale – delle nuove presenze che attraverso i flussi migratoridiversificano e rendono ancora più complessa la realtà italiana.

9 M. Maneri, A. Meli (a cura di), Un diverso parlare. Il fenomeno dei media multiculturali inItalia, Carocci, Roma 2007.10 L.Mauri, S.Laffi, D. Cologna, E.Salamon, E.Brusati (a cura di), Così vicini, così lontani. Per una comunicazione multiculturale, Rai-Vqpt, Roma 1999; G.Gianturco, Culturae identità. Orientamenti concettuali di base per l’intercultura, in F. Colella, V.Grassi(a cura di), Comunicazione interculturale. Immagine e comunicazione in una societàmulticulturale, FrancoAngeli, Milano 2008.

Nella comunicazione interculturale c’è una fluiditàintrinseca,intesa come ricchezza di esperienze,che potrebbe determinare una forte innovazione dei tradizionali linguaggi mediatici

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La categoria degli immigrati non esaurisce ovviamente le possibiliaree in cui è possibile rintracciare fenomeni di deprivazioneculturale e comunicativa: le nuove povertà urbane, una fasciain espansione di anziani spesso monoreddito e “isolati” cultu-ralmente sono gli esempi più immediati. Tuttavia, una riflessionesulle forme di marginalizzazione comunicativa degli immigratipermette di mettere in evidenza interessanti elementi del problemae anche possibili strategie di resistenza.

Sono diverse le possibili strategie di reazione a questamarginalità: i “media etnici” in primo luogo, ma anche il web eil satellite mostrano elementi di interesse assai promettenti. È veroche la frequentazione esclusiva di queste piattaforme puòlegarsi ai rischi di scarsa integrazione, tuttavia tra gli immigraticomincia invece a emergere un uso discretamente maturo diqueste tecnologie: lo testimonia, ad esempio, la qualità e il ritmodella diffusione di internet presso le seconde generazioni11. A benvedere, si tratta di una prospettiva che echeggia il ricorsoimponente alla tv satellitare. Nasce come strumento di connessionecon i luoghi e con i gusti televisivi d’origine, ma poi si consolidauna tale “familiarità” col mezzo che spesso il satellite vieneutilizzato anche per seguire programmi in italiano, dunque lalingua del luogo d’insediamento. Una competenza comunicativache prendeva le mosse da un basso grado di integrazione spostail soggetto direttamente nella sfera dei consumi culturali piùmaturi, dove – pur rimanendo nell’ambito del solo latifondotelevisivo – più intenso sembra l’investimento in termini di sceltae di diversificazione dei gusti.

Molti segni di contraddizione ci ricordano in questi giorni chela vertenza migrazioni offre un album di livelli di gestione e di“forme culturali” da parte delle istituzioni politiche sempreguardate con preoccupazione e distacco finché il confrontonon si apre sull’Europa. Quando questo si verifica, ecco chel’analisi tende a farsi più aperta e persino a segnalare nonpoche occasioni in cui il nostro Paese assume posizioni piùrealistiche (e dunque, per definizione, moderate), anche rispettoa democrazie più antiche e pompose della nostra.

L’esitazione dell’Unione Europea nel parlare una sola linguaanche nei momenti di emergenza alle periferie della “comunitàdi destino” fa capire – stando alle informazioni oggi disponibili

11 È esemplare in proposito gli studi raccolti in S.Giannini, S.Scaglione, Lingue e dirittiumani, Carocci, Roma 2009.

I media etnici,il web e il satellite intesi come strategie di resistenzaai fenomeni di marginaliz-zazionecomunicativa degli immigrati.L’esempio offerto dal crescenteuso di internetda parte delle nuove generazioni

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– quanto sia difficile fare una scelta netta di impostazione culturalee storica: l’impatto delle migrazioni è un vero e proprio laboratoriodel futuro e sconcerta dunque registrare la misura in cui i fenomeniglobali vengano affrontati con logiche di cortile e, comunque,entro un’ottica parziale.

Con altrettanta chiarezza occorre affermare che – a fronte dicrisi come quella che stiamo vivendo in questi mesi – sel’Europa non è al centro rischia di diventare periferica. Se nonassume come proprie, almeno simbolicamente, le tensioni ele criticità che si registrano in partibus, c’è il rischio che nellapercezione collettiva la sua forza coesiva risulti pericolosa-mente indebolita.

Certo resta il nodo più profondo sullo stress delle identità.Come mai una cultura storicamente potente, capace nei secolidi giocare una partita attiva e addirittura fondativa del patrimoniosimbolico europeo, soffre così bruscamente il trauma portatoda segmenti di popolazione tutt’altro che imponenti (se nonaltro perché si tratta di coorti molto diverse tra di loro). Forse citroviamo dinnanzi a un grave indizio di nuova fragilità della culturaitaliana e persino di un suo inedito deficit di egemonia, sulle cuiradici occorrere attentamente studiare. Certo sarebbe auspicabilericordare che: “Ciascuno di noi dovrebbe essere incoraggiatoad assumere la propria diversità, a concepire la propria identitàcome la somma delle sue diverse appartenenze, invece diconfonderla con una sola, eretta ad appartenenza suprema e astrumento di esclusione …” 12.

12 A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano 1999; ed. orig.1998.

Non solo dal punto di vista comunicativo,ma anche da quello sociale e politico l’impatto delle migrazioni rappresenta un vero e proprio laboratorio del futuroche interroga le nostre responsabilità

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I media interculturali:una panoramica dettagliata

di Marcello ManeriUniversità di Milano -Bicocca

I numeri, la mappa geografica e le caratteristiche peculiari delle testate cartacee, radio e televisivenate nel nostro Paese negli ultimi venti anni,a seguito del massiccio arrivo di immigrati

Il panorama dei media italiani non è più culturalmente monoliticocom’era e si rappresentava ancora pochi anni fa. Non tanto perl’ingresso di ”culture altre” – in realtà assai diversificate e inrapida trasformazione – ma per la modificazione e la pluraliz-zazione delle prospettive dalle quali le voci che accedono allospazio pubblico guardano il mondo. Questo cambiamento è ingran parte dovuto all’avvento dei media interculturali, che hainnescato processi che iniziano a influenzare anche gli stessimedia tradizionali. I giornali, le trasmissioni radiofoniche e quelletelevisive interculturali, cioè prodotte da, e rivolte prevalentementea, cittadini alloctoni, sono cresciuti molto velocemente negli ultimi15 anni 1. Nel 2007 contavano già quasi 150 testate e programmi,centinaia di giornalisti, pubblicisti, o professionisti prestati a questaattività, un pubblico scarsamente conosciuto ma sufficiente astimolare la creazione di un mercato pubblicitario a esso dedicato.

La diffusione delle testate interculturali e il suo contestoIl censimento effettuato nell’ambito del progetto Mediam’Rad 2

ha rilevato la presenza di 63 giornali, soprattutto mensili, 59trasmissioni radiofoniche, a cadenza quasi sempre settimanale,

1 Le prime iniziative risalgono all’inizio degli anni Novanta, ma alcune esperienzepionieristiche sono apparse addirittura all’inizio degli anni Ottanta.2 Una ricerca co-finanziata dalla Commissione Europea e affidata per l’Italia alCospe. Il censimento è stato effettuato nel periodo compreso tra i mesi di gennaio2006 e aprile 2007. Per ogni iniziativa è stato sottoposto a intervista semi-strutturatauno dei promotori.

L’avvento dei media interculturali il vero fatto nuovo nel panorama della comuni-cazione.I risultati delcensimentoeffettuato nell’ambito del progetto Mediam’Rad

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ano 24 programmi televisivi, anch’essi il più delle volte in scaletta

una volta alla settimana (Tabella 1). Il maggior numero dei prodotticensiti si trova al Nord e al Centro. Nel Sud del Paese si hannomeno di un decimo del totale dei giornali e dei programmiradiofonici, ma in compenso è cresciuta in questi anni la presenzadi trasmissioni televisive, un quinto del totale.

Medium

Macro-regione Stampa Radio TV Totale

Nord 25 33 10 68

Centro 33 21 9 63

Sud 5 5 5 15

Totale 63 59 24 146

Tabella 1. Mezzi di diffusione per macro-regioni

Le maggiori concentrazioni territoriali sono dovute allanumerosità della popolazione di origine straniera, alla presenzadi importanti poli di produzione, al supporto fornito dagli entilocali, alla capillarità della diffusione sul territorio di stazioniradiofoniche e televisive. Si tratta in ogni caso di un ambitoin rapida evoluzione. I due terzi delle iniziative censite nonsuperavano nel 2007 i cinque anni di attività e il loro ciclo divita è spesso breve.

Le persone che svolgono lavoro giornalistico o redazionalenei media interculturali si possono stimare intorno alle 800 unità,delle quali la maggior parte di origine straniera (circa 550) 3.La stampa ne assorbe il numero maggiore (approssimativamente450), la radio una fetta ancora consistente (poco meno della metàrispetto alla stampa) e la televisione una quota decisamenteinferiore (un centinaio). I giornalisti professionisti sono unaminoranza sia nella radio che nella stampa, mentre diventanomaggioranza nelle trasmissioni televisive. A fianco di giornalisti epubblicisti, che in ogni caso solo in piccola parte ricevono uncompenso in denaro, troviamo le figure professionali e i percorsiformativi più vari, con una forte prevalenza di mediatori culturalie operatori sociali in generale.

Tra i fattori che hanno svolto un ruolo catalizzatore per lo

3 Se si considerano le posizioni direttive il divario si riduce. In generale, nel settoreradiofonico le proporzioni tra stranieri e italiani sono leggermente più equilibrate.Nei giornali rivolti a persone della stessa nazionalità invece la componente italianaè normalmente assente.

Il maggior numero dei prodotti censiti si trova al Centro e al Nord.Le persone che vi lavoranosono circa 800,di cui 550 stranieri.La stampa ne assorbe il maggior numero,circa 450,mentre la televisione un centinaio

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sviluppo dei media interculturali troviamo da un lato, si potrebbedire “a valle”, la percezione dell’esistenza di un nuovo tipo dipubblico, con suoi bisogni informativi; d’altro lato, diciamopure “a monte”, la scelta di una generazione di giornalisti, oaspiranti tali, di origine straniera, di svolgere la professione inmezzo a difficoltà di ogni tipo. Ciò che è successo in Italia nonsi comprenderebbe appieno però senza un fattore motivazionaleimportantissimo: la maggior parte dei promotori cita il desideriodi contrastare la rappresentazione – parziale e distorta, fattadi emergenze presentate con tinte minacciose – del fenomenodell’immigrazione effettuata da parte dei media a larga diffusione.

A fianco di alcuni obiettivi ovunque 4 tipici dell’editoria inter-culturale (mantenere legami con la madrepatria; salvaguardarela lingua e l’identità nativa; combattere gli stereotipi negativisulle minoranze; fornire informazioni utili alla comunità; inco-raggiare e promuovere il lavoro di artisti, imprenditori e giornalistidelle minoranze) i promotori che abbiamo intervistato insistonoinfatti con particolare enfasi sull’esigenza di “dare voce a chinon ha voce”, di fornire una migliore comprensione della vitareale delle minoranze, di combattere la rappresentazionestigmatizzante dei migranti, di promuovere i diritti, di costruireun dialogo tra italiani e stranieri. Una politica culturale dellarappresentazione e allo stesso tempo una politica dell’accesso,dunque, che introduca nella sfera pubblica il punto di vistadelle minoranze, se non altro sui temi che le riguardano. Unaccesso che ha riguardato anche i media a larga diffusione,che in molti casi oramai ospitano sezioni, pagine o inserti pensatiper i cittadini di origine straniera o di “seconda generazione”e in una certa misura da questi creati.

La specificità I media interculturali presentano, rispetto al panorama dei

media a larga diffusione, caratteristiche peculiari. Per molti versiqueste caratteristiche sono dovute a un loro tratto specifico:pur stando da una parte e dall’altra del microfono – o della pagina,estendendo la metafora – giornalisti e pubblico hanno qualcosain comune, dal momento che condividono la condizione migratoria.Questa condivisione (prevalente, giacché sia tra i promotoriche tra il pubblico non sono rare persone di nazionalità italiana)produce una serie di conseguenze. Ad esempio i temi trattati

4 Una ricapitolazione si trova in D.R. Browne, Ethnic Minorities, Electronic Media,and the Public Sphere. A Comparative Study, Hampton Press, Cresskill, N.J., 2005.

La motivazioneprincipale:“dare voce a chi non ha voce”,rispetto agli stereotipi con i quali spesso gli immigrati vengono descritti dai media nazionali

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seguono, per così dire, il percorso dei loro pubblici, che è poiin gran parte quello degli stessi promotori. Dal Paese di partenza,con le sue storie, vicende politiche e sociali, cultura e musica;al luogo di arrivo, che coinvolge spazi e problemi diversi da quellicui è socializzato il pubblico italiano: i luoghi di ritrovo, gli eventiculturali e le attività delle associazioni, le iniziative imprenditoriali,gli uffici stranieri, i consolati, le code, le normative. Tra questi duepoli, le migrazioni, l’asilo, l’intercultura, i diritti, l’integrazione,la discriminazione.

Ancor più rilevante è il fatto che lo sguardo sul mondo dell’im-migrazione gettato dalle testate interculturali, pur nelle loroenormi differenze, è caratterizzato da un punto di vista esplicita-mente situato, di chi vive la situazione di cui parla, e di chi parlaa chi la vive. Una prospettiva totalmente assente nei mediaa larga diffusione, dove il punto di vista del giornalista è,per convenzione, rimosso dal testo per dare l’ impressionedell’obiettività. E infatti molti di coloro che lavorano in questocampo lo fanno in un’ottica piuttosto diversa da quella tradizionale– dove il riferimento a norme professionali è il parametro divalutazione e di senso del lavoro – più vicina al concetto dimissione che a quello di mestiere. Nella stampa e nella radiointerculturali gli operatori che dichiarano di concepire il propriolavoro come una sorta di contributo politico/culturale oppure diservizio comunitario sono il doppio di quanti si sentono principal-mente esponenti di una professione 5 (nella televisione i rapporti siinvertono e prevale l’identificazione professionale).

Anche la separazione dei ruoli tra giornalisti e pubblico èmeno spinta che nei media a larga diffusione. Le voci checompongono il giornale o la conduzione radiofonica sono diverse:il giornalista, il corrispondente dal Paese di provenienza o dallacittà italiana (spesso non un professionista dell’informazionema piuttosto una persona disposta a raccontare), il protagonistadei fatti che sono oggetto della notizia o il loro spettatore (chelancia appelli, racconta avvenimenti e iniziative, scrive al giornaleo partecipa a un confronto di opinioni su un certo tema).

Al contrario, i format e i generi non sono, per il momento,particolarmente caratterizzanti. Nella stampa prevale un prodottoche, per le sue caratteristiche, sembrerebbe stare a metà stradatra un quotidiano (con notizie, interviste e molte informazioni di

5 Soprattutto nel caso della stampa, la scelta di aprire o collaborare con un giornaleindipendente è stata per alcuni la via personale e autonoma a un percorso professionaleche non trovava sbocchi nel sistema dei media tradizionali.

La caratteristica prevalente del giornalismodelle testate interculturali è quella della testimonianza diretta:di chi vive la situazione di cui parla,e di chi parla a chi la vive

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servizio) e un settimanale (con approfondimenti, inchieste,panoramiche), anche se la sua periodicità è prevalentementemensile e solo raramente settimanale o quindicinale. A fiancodi giornali dedicati soprattutto all’informazione “seria” se netrovano molti che hanno invece tratti da stampa popolare,accompagnando all’informazione un’abbondanza di fotografie,fatti curiosi, moda, bellezze, cerimonie nuziali, compleanni, festeprivate, star e personalità famose.

Nella radio prevalgono trasmissioni contenitore, che presentanoun mix di informazione, cultura, musica dei Paesi di provenienzae prevedono in molti casi un’interazione con il pubblico. A questesi accompagnano dei progetti informativi rivolti al mondodell’immigrazione o a specifiche nazionalità, simili a notiziarima spesso più orientati all’approfondimento, e conduzioni piùinteressate alla cultura.

Nei programmi televisivi, che in generale mostrano unaconsiderevole uniformità, l’informazione predomina largamente sututti gli altri generi, e il tipico format è il notiziario. Intrattenimento,musica e interazione con il pubblico rimangono momenti residuali,presenti solo in una piccola parte di programmi.

Le lingue e i pubbliciÈ possibile distinguere le pubblicazioni interculturali in base alla

scelta operata su un doppio problema: a quale pubblico mivoglio rivolgere? Qui si può decidere di parlare a personedella stessa nazionalità, che provengono dalla stessa areageoculturale (arabi, latinoamericani) o continentale, a tutte lepersone immigrate in Italia, a immigrati e italiani. Secondadomanda: in che lingua? Non si tratta di un dilemma di poco conto:una testata che si rivolge a persone della stessa nazionalità diprovenienza può scegliere la lingua d’origine, ma può anchepropendere per l’uso dell’italiano, o di parti in italiano, in mododa raggiungere anche un pubblico che a quella nazionalità nonappartiene o un pubblico che preferisce leggere o ascoltarenella lingua del Paese di destinazione. Oppure può esservicostretta, perché la stazione radiofonica o televisiva che laospita non vuole trasmettere programmi in lingua. Una testata chesi rivolge ai latinoamericani, o agli africani, dal canto suo devefare i conti con la varietà linguistica presente in quei continenti.Non parliamo poi dell’ampio ventaglio di possibilità che siaprono a chi vuole raggiungere idealmente tutti i migranti emagari anche gli italiani: l’italiano sembrerebbe la scelta piùovvia ma si perderebbero tutti coloro che desiderano ascoltare osono in grado di comprendere solo la loro lingua di provenienza.

Nei programmitelevisivi prevale l’informazione,alla radio l’interazione con il pubblicoe sui giornali i format tipici della stampa popolare

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Il problema della lingua è strettamente connesso a quasi tuttigli altri aspetti del prodotto editoriale, essendo strettamentelegato al tipo di pubblico, di prodotto, in definitiva di mercato,su cui puntare. Ha a che vedere poi con la relazione che latestata instaura con i suoi lettori, dal momento che la linguanativa, secondo l’opinione corrente, è associata all’identità, aun rapporto caldo, fiduciario (ma secondo alcuni chiuso, conser-vativo), mentre la lingua franca è associata al cosmopolitismoe privilegerebbe un rapporto aperto, di cambiamento (masecondo alcuni freddo, spersonalizzante).

In Tabella 2 per ogni medium sono riportate le scelte fatte daigiornali e le trasmissioni raggiunte dalla ricerca. Si sono consi-derate da un lato le opzioni concernenti i pubblici: un solo Paese;un continente o sub-continente; quanti più migranti possibile(è possibile che una parte del pubblico sia composta da italiani).Dall’altro lato si è considerata la lingua impiegata: una sola linguastraniera; più l ingue straniere, una l ingua franca diversadall’italiano, l’italiano.

Tabella 2. Le scelte linguistiche e di pubblico. Percentuali

Tipo Stampa Radio TVNazionale monolingua 35 29 17Continentale monolingua 19 19 13Nazionale plurilingua 1 2 0Continentale plurilingua 5 5 4Nazionale italiano 0 3 0Continentale italiano 0 3 4Migranti plurilingue 21 12 16Migranti lingua franca 1 3 0Migranti italiano e lingua 5 0 0Migranti italiano 13 24 46Totale 100 100 100

Più della metà dei giornali si rivolge a persone della stessanazionalità o dello stesso continente o sub-continente nella lorolingua nativa. Un quarto di questo sottogruppo, però, affiancaagli articoli in lingua traduzioni o rubriche in italiano (dato nonriportato in tabella). A parte un altro 6% di testate che si rivolgea persone dello stesso continente o nazione usando più di unalingua, i giornali rimanenti non hanno un pubblico geografica-mente collocato. Di questi, i tre quarti scelgono di utilizzare unavarietà di lingue, da due a sei (tra le quali è sempre presentel’italiano), per raggiungere il maggior numero possibile di nazio-

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nalità nella loro lingua madre o in una lingua di loro conoscenza. Nelle radio sono un po’ meno numerose, ma pur sempre

intorno alla metà, le trasmissioni rivolte a persone della stessanazionalità o continente nella loro lingua d’origine (prevalente),e sono invece più frequenti che nella stampa i programmi rivoltia tutti i migranti e condotti in italiano (pari a un quarto). Ingenerale, la radio trova più difficoltà non tanto a rivolgersi apersone di una specifica nazione o continente (circa il 60%delle trasmissioni lo fa, a testimoniare che anche per questomezzo ha senso caratterizzare culturalmente il messaggio)quanto ad adottare il formato plurilingue (farraginoso nell’ascoltopiù che nella lettura) o a rinunciare all’italiano. In questo casosi preferisce più spesso inserire delle parti in italiano (che sonopresenti nei tre quarti delle trasmissioni, dato non riportato intabella), che si alternano, senza doverne essere delle tradu-zioni, alle parti in lingua straniera. Si capisce qui quanto, perun mezzo a vocazione generalista, non sia facile tagliare fuoriuna larga fetta del pubblico maggioritario, che viene coinvoltocon occasionali o frequenti “ganci” linguistici.

Il caso della televisione è abbastanza diverso. Qui quasi i dueterzi dei programmi sono rivolti a un pubblico non marcato da unaappartenenza nazionale o continentale. La tv, dunque, ancorpiù della radio, rappresenta un ostacolo deciso per quellascelta “comunitaria” monolingua che era invece maggioritarianella stampa, dove non si dà il problema dei rapporti di forzatra chi ospita e chi viene ospitato. Quel modello funzionaperfettamente dal punto di vista della fruizione anche in radioe televisione ma presenta dei problemi evidenti dal lato dellaproduzione. Tanto più per la televisione, che più di tutti ha unavocazione generalista. Se un programma indirizzato agli immigraticostituisce già una deroga da questo orientamento, ciò valeancor di più per trasmissioni rivolte a una specifica provenienzageografica, tanto peggio se in lingua.

Appare a questo punto piuttosto chiaro che la produzionetelevisiva rappresenta, in quanto a scelte di lingua e di pubblici,l’estremo opposto di quella della carta stampata, con la radioche cerca soluzioni spurie. Nei giornali il modello più forte,anche se non certo esclusivo, era quello del prodotto rivolto aun pubblico nazionale (o continentale) nella sua lingua madre.La metà circa dei giornali ha fatto questa scelta, anche sealcuni di essi affiancandovi traduzioni in italiano. Solo un decimodi essi invece ha optato per il modello opposto: pubblico indif-ferenziato di migranti e lingua italiana, in quanto lingua franca,o dell’integrazione. Il panorama radiofonico costituisce da questo

Nel ventagliodelle lingue adoperate l’italiano è presente quasi sempre,spesso in alternanza alle linguestraniere ma senza esserne la traduzione.Le diversità tra stampa scritta, radio e televisione

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I media interculturali: una panoramica dettagliata

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punto di vista un caso intermedio. Il modello comunitario ètemperato dal fatto che alla lingua madre è accompagnato,nella maggioranza dei casi, l’italiano, mentre un quarto delletrasmissioni sono rivolte a migranti in generale e in lingua italiana.

Nel caso della televisione gli equilibri si invertono. Quasi lametà delle trasmissioni appartengono a questo ultimo tipomentre il modello comunitario “puro”, pubblico specifico e solalingua madre, interessa un quarto dei programmi.

Frammentazione e dispersioneDue caratteristiche certe del pubblico dei media interculturali

sono la sua frammentazione e la sua dispersione sul territorio.A differenza di altri contesti migratori, in Italia non ci sonocomponenti nazionali o linguistiche fortemente predominanti.Questa situazione implica un mercato potenziale estremamenteridotto per i prodotti rivolti a un pubblico composto da personedella medesima provenienza. La dispersione territoriale comportaa sua volta, per i giornali, gravi problemi di distribuzione laddovesi propenda per la strada delle copie a pagamento e quindidella distribuzione in edicola, che finisce per raggiungereinutilmente luoghi privi dei lettori di riferimento, non toccandoneinvece altri che sarebbero di interesse strategico.

Una conseguenza rilevante di questa situazione, al di là dellafragilità economica che ne deriva, sta nella difficoltà a identificareil proprio target. L’esperienza dei media rivolti a persone dellastessa nazionalità o area geo-culturale, che ha una sua efficaciapiuttosto evidente, comporta l’aggravamento del problema dellasostenibilità economica, a maggior ragione se si tiene contodel fatto che tale pubblico è segmentato anche per sesso, età,classe sociale, affiliazione politica, generazione migratoria.

Da parte loro le tecnologie del broadcasting, cioè quelle dellaradio e della tv via etere, sono in contraddizione con la scelta diandare incontro a target così specifici. Ciò comporta una spintaad allargare il pubblico di riferimento. Alcuni format, in particolarei notiziari e le trasmissioni di servizio, si trovano perfettamente aloro agio con un pubblico allargato a tutti i migranti, anche perchéè proprio la condizione di migrante a costituire la specificitàrispetto alla quale costituiscono un’offerta. Per altri prodottil’allargamento del target, comprendente anche una fetta dipubblico italiano, rischia di dar luogo a operazioni confuse, chepotrebbero scontentare segmenti dai bisogni informativi eculturali molto diversi. Sta forse in questo nodo il più grandeinterrogativo che si trova ad affrontare oggi l’offerta di mediainterculturali in Italia.

Per la stampascritta c’è il problema delladistribuzione in edicola.La scelta di un target allargato alla generalità dei migranti è la specificitàrispetto alla quale viene costruital’offerta editoriale alternativa

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Le tante vocidella nuova Italiamulticulturale

di Anna MeliCoordinatrice promozione dei diritti di cittadinanza Cospe (Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi emergenti)

Tv, radio, carta stampata, ma soprattutto internete new media: si diffondono sempre di più in Italiale iniziative degli immigrati, che scelgono di promuovere le loro istanze attraverso gli strumenti della comunicazione di massa

Nella società dell’informazione i mezzi di comunicazionerivestono un ruolo chiave per l’inclusione sociale dei cittadinimigranti, sia rispetto alla rappresentazione che essi offrono dellamoderna società multiculturale sia nella loro capacità di favorirepari opportunità di accesso e spazi adeguati alla pluralità dellesue componenti.

In Italia, rispetto ad altri Paesi europei, le questioni relative allaconvivenza sociale, culturale e religiosa con le nuove minoranzegenerate dall’immigrazione si sono affacciate solo di recentenell’agenda dei mezzi di comunicazione di massa, all’interno dellaquale occupano spazi residuali, poco accessibili al grandepubblico e su cui le aziende editoriali hanno sinora investitorisorse – umane ed economiche – inadeguate.

In questo quadro emerge un fenomeno di estrema importanzaper il futuro della nostra società multiculturale. Si tratta della“presa di parola” degli immigrati che, in misura crescente,scelgono di utilizzare gli strumenti della comunicazione perdare voce alle loro istanze.

Sono numerose, infatti, le iniziative di comunicazione eauto-rappresentazione realizzate da immigrati. Video, radio,carta stampata e, soprattutto, internet e i new media diffondonole voci della nuova Italia multiculturale con linguaggi nuovi,formati originali o reinventati. Solo nell’ultimo anno sono statesegnalate più di 20 nuove iniziative mediatiche al portale delCospe su media e multiculturalità www.mmc2000.net, in unpanorama nazionale che, nonostante la crisi, sembra continuarea crescere: l ’ult ima mappatura a l ivello nazionale conta

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Le voci della nuova Italia multiculturale

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146 iniziative radio, tv e carta stampata1. Si tratta per lo piùdi esperienze che nascono dai territori e hanno quindi unadimensione locale che corrisponde – anche qui in contrappo-sizione con la stampa tradizionale – all’orientamento al pubblicoe alla rilevanza primaria attribuita da questi media agli eventie fatti che accadono vicino a chi li racconta.

Non è stato ancora indagato a livello nazionale l’ambito deinuovi media (testate on line, web radio e tv) che sembra invece

essere, sia in termini numerici che di innova-tività, il terreno privilegiato su cui si misuranosoprattutto le cosiddette seconde generazioni.La rete G2 è stata la prima realtà associativache ha investito su forme di comunicazioneinnovative che vanno dai video divulgativi –tra i quali “Forte e Chiaro a Miami 2010 ” 2 –all’interessante esperienza del “FotoromanzoG2”, strumento di comunicazione per tutti

che riprende forme e linguaggi accessibili anche a tutti i minori.Un’offerta mediatica che si esprime in una molteplicità di lingue

(italiano incluso) variamente combinate; un settore che si sostienefaticosamente, attraverso finanziamenti pubblici e fondi privati,nel quale il volontariato continua ad avere un peso enorme. Idue terzi delle iniziative attive nel 2007 3 non superavano i cinqueanni di vita ma solo nell’ultimo biennio si contano più di 30 nuoveesperienze, rilevate in modo non sistematico 4. È il segnale diun bisogno costante di comunicazione e informazione che vienesentito dai migranti e dai figli di immigrati e al quale si tendea dare una risposta attivando le risorse umane e finanziarie delterritorio.

Ne è un esempio la recente esperienza lanciata da giovaniromeni e moldavi di seconda generazione a Torino che, con larivista L’accento 5, si pongono l’obiettivo di informare le comunitàstraniere che vivono sul territorio sugli eventi locali e parlano initaliano a giovani e meno giovani, italiani e stranieri. Comespiega la direttrice responsabile Anca Manolea, la giovane

Dal “Fotoromanzo G2”alla rivista L’Accento redatta da giovani moldavi e romeni per informare dei loro problemile comunità straniereche vivono su quel territorio

1 Maneri M. e Meli A., Un diverso parlare. Il fenomeno dei media multiculturali, Carocci,Roma 20072 http://www.secondegenerazioni.it/video/ 3 Vedi ricerca citata. 4 Informazioni pervenute o trovate in modo non sistematico da Cospe e segnalatesul sito www.mmc2000.net 5 http://www.youblisher.com/p/87568-L-Accento/

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redazione ha percepito l’urgenza di mettere “l’accento” su quellequestioni che riguardano tutti e che spesso o sono trattate inmodo improprio dai media italiani oppure sono ignorate perchéconsiderate “notizie che non vendono”. “L’ambizioso obiettivoche ci siamo posti – racconta Manolea – è quello di cercare dicontrastare non solo gli stereotipi nei confronti degli immigrati,ma anche i pregiudizi che si sono creati all’interno e tra le stessecomunità straniere e dare un’immagine della realtà più comple-ta e approfondita. La scelta della lingua della testata, non acaso, è stata discussa a lungo. Inizialmente si era pensato diadottare la formula del bilinguismo, ma poi ha prevalso l’ideache non ci sono notizie che riguardano soltanto i romeni e mol-davi, ma tutti, sia italiani che stranieri. Per questo motivo lascelta non poteva che cadere sull’italiano”.

Con l’obiettivo analogo di contribuire ad abbattere gli stereotipie i pregiudizi sui rom e sinti è nata a ottobre 2010 U VeltoRadio 6 (Il Mondo Radio), l’emittente web dell’Istituto di culturasinta che porta in rete la musica sinta, rom, manouche, kalèe romanichals. Una scommessa condivisa con il Consiglio

direttivo dell’associazione Sucar Drom7, cheha messo a disposizione le proprie risorse etutto il suo patrimonio musicale. “Proprio grazieall’interazione tra musica sinta, musica jazz ein parte musica colta europea è nato il jazzeuropeo – spiega Carlo Berini, direttore dellaradio – ed è per questo che U Velto Radio iniziale sue trasmissioni sperimentali con un omaggioa questa grande musica, nel centenario dalla

nascita del suo alchimista, Django Reinhardt”. Una scelta forzatamente di nicchia quella di andare sul web,

ma anche di grande significato perché la libertà nelle scelteeditoriali, che presuppone la proprietà del mezzo di comunicazione,è un elemento fondamentale sottolineato da molti promotori diqueste iniziative. Gli ideatori della prima web radio multiculturalein Italia – Asterisco Radio 8 – lo hanno sottolineato più volte comepunto di arrivo di un percorso che li ha visti prima collaborarea dei programmi radio su emittenti locali e infine proporre unproprio strumento che permetteva loro scelte autonome e più

L’esperienza di U Velto Radioemittente web dell’Istituto di cultura sinta che porta in retemusica rom, manouche, kalè e romanichals. Interazioni da cui è nato il jazz europeo

6 http://s3.mediastreaming.it/9 512 7 http://sucardrom.blogspot.com 8 http://www.asteriscoradio.com

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innovative in fatto di linguaggi e format delle trasmissioni.La leva motivazionale che spinge molti giornalisti, o aspiranti

tali, di origine straniera a promuovere iniziative mediatichesembra non bastare più per garantire qualità e continuità alleesperienze redazionali. In pochi anni la concorrenza si è allargataanche a gruppi editoriali strutturati e l’interesse di alcuni mediatradizionali è aumentato. Si intravede, così, il pericolo che –anche in questo settore – sia i finanziamenti privati (sponso-rizzazioni e mercato pubblicitario) che la pubblicità istituzionalefiniscano per andare a vantaggio di pochi gruppi editorialipiù strutturati.

In un contesto come quello descritto, fare rete e auto-orga-nizzarsi diventa un’esigenza primaria per i media multiculturalie per i giornalisti immigrati che operano nel settore dellacomunicazione interculturale.

Nasce da questa consapevolezza la “rete Mier” (Mediainterculturali Emilia-Romagna), un network innovativo, che

raccoglie le testate, i siti web, le iniziativeradiofoniche e televisive realizzate da cittadinidi origine straniera o gruppi misti nella regioneEmilia-Romagna. Obiettivo della rete è “darevoce a tutti i cittadini che abitano nel territorio,promuovendo la comunicazione interculturaleper contribuire alla crescita civile e allo sviluppodi una società più inclusiva” come dice il suopresidente Tahar Lamri.

La rete Mier è stata creata all’inizio del 2010 da un gruppo ditestate che negli anni avevano beneficiato dei bandi regionalie provinciali e che hanno deciso di impegnarsi in un progettocomune per garantire una maggiore sostenibilità alle proprieiniziative. Sono cinque le testate promotrici: Albania News, sitointernet con sede a Modena, Città Meticcia, periodico ravennate,Il Tamburo, sito e rivista di Bologna, Radio Icaro, radio e tv diRimini e Segni e Sogni, quadrimestrale cartaceo di Forlì, a cui siaggiungono il sito Associna, associazione di seconde genera-zioni italo-cinese e la web tv Crossing tv, testate non aderentiformalmente in quanto non ancora registrate. La scelta deipromotori è stata infatti quella di creare un’associazione compostada testate giornalistiche registrate, coerentemente con l’obiettivodi proporsi ai diversi interlocutori come realtà professionale delsettore della comunicazione e del giornalismo. Le prime collabo-razioni a livello locale confermano l’interesse e il bisognoemergente dal territorio di avere voci dirette dei cittadini stranieri

Un’altra esperienza, quella di “rete Mier” Emilia-Romagna network che raccoglie le testate e le altre iniziative mediatiche degli stranieri residenti in quella regione

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ed evidenziano allo stesso tempo i limiti di iniziative ancorafragili per proporsi a livello competitivo sul mercato.

Rispondere ai bisogni informativi del territorio e rappresentarnele istanze più innovative sembra invece essere l’obiettivo dialcune esperienze nate come “laboratori” tra giornalisti autoctonie di origine straniera di prima e seconda generazione da Torinoa Genova a Reggio Emilia. Il Laboratorio Multimediale diGenova ha lanciato “Diorama” 9, analisi degli stereotipi checaratterizzano il linguaggio pubblicitario, non solo in Italia, euna produzione di video-storie sui quartieri genovesi. Il grupporedazionale, composto da filmaker professionisti, ragazziautoctoni e figli di immigrati, formatosi a partire da un corso diformazione, nel settembre 2010 si è costituito in associazioneculturale. L’associazione sta attualmente lavorando sul sensodell’appartenenza e sull’identità nazionale, anche in occasionedel 150° dell’Unità di Italia. Secondo il responsabile dellaboratorio, Michele Coppari, “in un Paese che da emigrazione

è diventato d’immigrazione, dove le personedi origine straniera costituiscono una quotaconsistente della popolazione e danno unapporto fondamentale all’economia, dove cisono persone straniere per la legge puressendo nate sul nostro suolo, ma caratterizzatoanche da spinte localistiche e regionalisticheinterne e da un’inversione di tendenza connuove forme d’emigrazione di giovani e

lavoratori qualificati italiani e rimpatrio volontario di alcunefasce di immigrati, è fondamentale intraprendere un lavoro diricerca, nel nostro caso ‘video’, sul senso dell’appartenenzanazionale oggi”.

A Torino invece è partita a dicembre 2010 Glob011 10, unarivista gratuita a cadenza mensile che parla della città maanche del mondo con uno sguardo “glocale” e interculturale.Come si legge nell’editoriale del primo numero, Glob011 vuoleessere “un laboratorio di idee e opinioni dove interagisconoalla sua creazione giornalisti di varia provenienza geografica”,provando a legare le questioni locali a dinamiche globali e lenotizie del mondo alle loro conseguenze sulla vita quotidiana.Da qui il nome del mensile: “Glob” per globale e 011 come il

A Genova il Laboratorio Multimediale sta lavorando sul nuovo senso dellaappartenenza e dell’identità nazionale, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia

9 http://vimeo.com/18009473 10 www.youblisher.com/p/90145-Glob011-Numero-1/

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prefisso di Torino. Il giornale è disponibile gratuitamente in diversipunti della città di Torino.

Sebbene lavorino in rete con attori pubblici, per preservarela propria indipendenza i redattori di Reggio 3.0 hanno decisodi essere del tutto autonomi finanziariamente e di non avvalersidel sostegno di nessun ente pubblico. “L’investimento iniziale è

arrivato dall’editore Davide Caiti che ha credutonel progetto – racconta il direttore MarcelloStecco – poi il bilancio lo faranno gli abbo-namenti (quello annuale costerà 20 euro) ela pubblicità”. Reggio 3.0 è stato presentatolo scorso dicembre a Reggio Emilia ed è ilfrutto della collaborazione tra il Centro inter-culturale Mondinsieme del comune di ReggioEmilia e l’agenzia giornalistica Kaiti expansion.

“Reggio 3.0 ha una redazione mista composta al 50% dagiornalisti stranieri” – spiega l’editore Davide Caiti – “ed è scrittoin italiano, russo, urdu e arabo perchè il nostro scopo è parlare diintercultura a tutti i cittadini, sia italiani che stranieri”.

Adottano sia la versione cartacea, spesso gratuita, ma anchela versione web molte altre nuove esperienze editoriali, qualiMelting, un mensile edito a Roma e distribuito anche a Milanoe Perugia rivolto agli immigrati e scritto in italiano semplificatoe in bengalese, cinese e rumeno, oppure Palascìa - l’informazionemigrante 11, realizzato a Lecce e distribuito gratuitamente intutta la Puglia.

La scelta dell’informazione locale, unita al mondo del web, sembrad’altronde essere quella vincente per chi vuole raggiungere primadi tutto il pubblico di migranti di prima e seconda generazione.Lo conferma un’indagine condotta in Umbria secondo la qualegli stranieri utilizzano internet molto più degli italiani, leggonoi quotidiani locali e guardano le tv private, mentre la Rai èseguita poco, così come le tv dei Paesi di origine. La ricerca“Mass media e immigrazione in Umbria”, realizzata dalla facoltàdi Scienze della comunicazione dell’università di Perugia12,incentrata sulla fruizione mediale degli immigrati e sulla lororappresentazione nei quotidiani e nelle tv locali, è una dellepoche che ha indagato anche il consumo mediale dei migranti,più spesso oggetto di indagini di mercato che non di quelleuniversitarie.

Informazione locale e web,scelta vincente per chi vuoleraggiungere il pubblico dei migranti di prima e secondagenerazione, che utilizza internet più degli italiani

11 http://www.metissagecoop.org 12 http://www.mmc2000.net/doc.php?id_doc=75

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Informare e raggiungere la popolazione migrante, proporrenotizie diverse sul mondo dell’immigrazione, così come il dialogotra autoctoni e nuovi cittadini sarebbero gli obiettivi comuni dienti locali e media multiculturali. Il riconoscimento, però, di unruolo centrale di questi mezzi di informazione, così come dipolitiche locali che vedano nel superamento dell’informazioneparziale e distorta che i mezzi di comunicazione di massa fannosui temi dell’immigrazione uno dei nodi cruciali per il governodel territorio, sembra ancora un tema lontano per gli enti localiitaliani.

Uno dei pochi esperimenti significativi sembra essere quellopromosso dalla regione Emilia-Romagna che, prendendo spuntodall’esperienza svolta nella provincia di Forlì-Cesena, ha siglatoinsieme agli organismi del settore e ai media multiculturali un“Protocollo d’intesa sulla comunicazione interculturale”. Il protocolloriconosce tra l’altro che “i media multiculturali offrono un serviziodi interesse pubblico fondamentale e che, in quanto tali,dovrebbero entrare a far parte integrante del sistema mediatico

nazionale ed europeo”. Un passo significativo, questo, verso

l’abbattimento di quelle barriere che ancoraimpediscono agli editori con cittadinanzanon italiana di aprire una testata, così comeai giornalisti stranieri di essere direttoriresponsabili delle testate che dirigono.Attraverso i loro organi di informazione gliimmigrati vogliono entrare nel dibattito politico

e sociale su di loro da interlocutore e non solo come oggettisilenziosi di discussione.

Attraverso nuovi organismi di rappresentanza, Ansi 13 e Mierin primis, gli editori e i giornalisti di origine straniera chiedonoa gran voce una vera “par condicio” democratica anche sulfronte dell’informazione. È tempo che la classe politica a livellonazionale e locale e il mondo dell’informazione attuino dellemisure efficaci per garantire uno spazio di visibilità alle istanzesociali, politiche e culturali dei cittadini immigrati. Non si trattadi una gentile concessione paternalistica, ma di misurarsi conla reale democraticità di un Paese.

Par condicio: attraverso i loro organi di informazionegli immigrati vogliono entrarenel dibattito su di loro da interlocutori e non solo come oggetto di discussione

13 Associazione nazionale stampa interculturale – il gruppo di specializzazionedella Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) nato nel febbraio 2010dalla spinta e volontà di un gruppo di giornalisti di origine straniera che lavoranoper testate italiane, multiculturali e a larga diffusione.

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Le donne straniere non sono tutte dedite alla cura delle casee delle famiglie degli italiani così come non tutti gli uomini chegiungono da altre nazioni investono tutte le energie nell’ediliziadel Bel Paaese. Un gruppo sempre più numeroso di immigratededicano la propria attenzione alla conoscenza e cura dellarealtà alla ricerca di notizie, mentre aumentano anche gliimmigrati che costruiscono articoli con la forza delle parole.Sono gli operatori dell’informazione di origine straniera chefin dalla creazione dell’Ansi (Associazione nazionale stampainterculturale) nel 2010 hanno una casa da condividere e farcrescere all’interno della Fnsi, il sindacato nazionale deigiornalisti. Una trentina, per ora, i fondatori dell’organizzazione,tutti iscritti all’Ordine dei giornalisti o comunque con le cartein regola per poterlo fare, a cui si sommano altri colleghi chehanno partecipato al percorso o che simpatizzano con gliobiettivi.

I loro curricula sono variegati come le loro origini e le lingueche utilizzano per lavorare, e spaziano da media multiculturali,spesso autogestiti e basati sul volontariato, a media mainstream.A volte passando dagli uni agli altri, come nel caso di MirunaCajvaneanu, 32 anni, passaporto romeno e residenza a Roma,giunta in Italia nel 1999 con una borsa di studio e prima colla-boratrice della Gazeta Romaneasca, una delle testate multiculturalipiù lette, per poi approdare alla rubrica Babzine, magazine diinformazione e approfondimento quotidiano in onda su Babel,canale tematico di Sky rivolto alle comunità straniere in Italia(vedi articilo pag.44). Per la Gazeta aveva iniziato occupandosi

Fare il giornalista nel Bel Paese:storie ed esperienzedi cittadini stranieri

di Paula Baudet VivancoGiornalista Ansi (Associazione nazionale stampa interculturale)

Un percorso spesso difficile, fatto soprattutto di collaborazioni saltuarie e difficoltà nel riconoscimento formale del ruolo.Chi ce l’ha fatta oggi rappresenta un punto di riferimento per la propria comunità

Il forte legame con le comunità di provenienza.Cresce il numero delle donne impegnate nella professione.Dai media autogestiti e basati sul volontariato a quelli mainstream

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“degli eventi della comunità a Roma e delle prime elezioniamministrative alle quali avevano partecipato i cittadini romeniuna volta diventati comunitari” racconta Cajvaneanu, lasciandosialle spalle i lavori da studentessa come operatrice in un internetpoint e per una ditta di import export.

Per lei quella del giornalista che informa dall’interno èun’assunzione di responsabilità: “Essendo in pochi, diventiamoun punto di riferimento per la comunità, quindi dobbiamoricambiare la fiducia dei lettori. Ma allo stesso tempo è difficiletrovare un punto di equilibrio quando non sei del tutto unospettatore esterno – che dovrebbe essere il ruolo del giornalistaimparziale – ma fai parte di un gruppo verso il quale senti diavere dei doveri”. Un legame forte che spiega anche perchéCajvaneanu si sia occupata esclusivamente delle notizie chepiù riguardavano o interessavano la comunità di origine.

Una scelta diffusa perché molti degli operatori dell’informa-zione di origine straniera hanno forgiato le armi del mestierespecializzandosi in notizie e servizi sul mondo dell’immigrazione,anche perché potevano muoversi con agilità sapendo distingueretra le diverse fonti all’interno delle comunità, come i loro colleghiitaliani non sempre erano in grado di fare. Questo uno dei motividell’alto numero di collaboratori stranieri del settimanale Metropoli- Il giornale dell’Italia multietnica, allegato del quotidiano laRepubblica, distribuito con tiratura nazionale fino a metà del 2009e oggi presente come singola pagina sulle cronache locali dialcune città e con scarsa presenza di firme non italiane.

Proprio da Metropoli hanno mosso i primi passi DeliaCosereanu, altra giornalista romena di 32 anni, e Alen Custovic,30 anni, origini bosniache. Entrambi giunti in Italia da ragazzie poi laureati nel settore giornalistico, scrivevano sulla realtàdegli immigrati e fornivano loro informazioni di servizio,rispettivamente da Torino e Milano. Tutti e due si sono poispostati su altri settori che permettono di spaziare professio-nalmente senza abbandonare lo strumento giornalistico.Cosereanu oggi si occupa di cronaca lavorando per il quotidianoon line Lettera43 che, racconta, “mi ha offerto più delle testateprecedenti e mi permette di stare in redazione con uno stipendiofisso, una situazione più che dignitosa rispetto ai soliti pagamentiad articolo”. Tra i servizi realizzati quando si occupava diimmigrazione ricorda “i più difficili e che mi sono anche piaciutidi più: il primo sugli scrittori immigrati che scrivono in italianoe l’altro sui film realizzati dai nigeriani a Torino”. Anche se lagiovane giornalista non ha abbandonato del tutto le scelte

Una specificitàprofessionale:saper valutarel’attendibilità delle diverse fonti all’internodelle varie comunità

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Il difficile percorso dei giornalisti stranieri in Italia

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passate; infatti, dice, “sono attualmente direttore responsabiledel mensile bilingue, romeno e italiano, Ora”. “Però”, continua,“al tribunale ho dovuto combattere un po’ con l’impiegata. Mi hachiesto il testo della legge che dà la possibilità ai comunitaridi essere direttori responsabili”. Legge nazionale che però nonconsente ancora ai giornalisti extracomunitari di poter esercitarelo stesso ruolo di responsabilità di una testata registrata in Italia.

Per Alen Custovic l’apporto dei giornalisti di origine straniera“è quello di contribuire con entusiasmo e principi deontologicia raccontare, spesso con più cognizione di causa, l’Italia checambia”. Inoltre ha un punto di vista preciso sul passato, sullaprima testata nazionale in lingua italiana centrata esclusivamentesul tema e che coinvolgeva diversi colleghi immigrati: “lavorareper Metropoli è stato formativo ed entusiasmante. Si è trattato diun progetto editoriale audace, anche se forse non ha avuto ilcoraggio di esserlo fino in fondo. Infatti il gruppo editoriale nonha avuto, a mio avviso, il coraggio di perseverare nel progetto,ufficialmente per contenere i costi di produzione, più verosimil-mente per questioni di orientamento politico e di percezionesociale del fenomeno migratorio”. Oggi Custovic collabora contestate nazionali e locali “spaziando su tematiche diverse neicontenuti e nel taglio” scrivendo “per l’Avvenire, Il Giorno, IlSole 24 Ore, Milano 7, Il Diario, Reset Doc e altri”. Per capirequanto lontano si possa arrivare basti pensare che è anche“direttore della rivista cartacea nazionale Basta sangue sullestrade, che si occupa di sicurezza stradale e viene distribuitaattraverso abbonamento postale”.

Ma non tutti sono giunti al giornalismo occupandosi diimmigrazione. Tra i diversi percorsi spicca quello di una collegalituana residente in Toscana: di mestiere faceva la ciclista edall’anno scorso “dopo aver appeso la bicicletta al chiodo”, sidedica esclusivamente al giornalismo sportivo. Campionessadel mondo nel 1999 Edita Pucinskaite si era in realtà avvicinataal mondo della carta stampata già anni prima, cercando disuperare “il bivio tra carriera agonistica e università. Decisi disfidare il sistema dello sport post sovietico e tentare entrambele strade: Lettere o Giornalismo erano le mie preferite. Purtroppofui invece costretta a piegarmi e, di fronte a un ultimatum, optaicosì per la carriera ciclistica – ricorda Pucinskaite –. Ho cominciatoa scrivere per colmare quel vuoto, quasi per ‘vendetta’, versoun’ingiustizia subita e non del tutto digerita”.

La ciclista ammette di non essersi mai occupata di immi-grazione a livello giornalistico, anche perché “appena ho potuto,

Metropoli è stato un progetto innovativo,ma bisognava continuare e andare fino in fondo

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Il difficile percorso dei giornalisti stranieri in Italia

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ho cercato di rimboccarmi le maniche per sollecitare alcuniaspetti del ciclismo femminile internazionale ‘fin troppo frenato’,dimenticando completamente il mio non essere italiana d’origini.Ho sempre militato in team internazionali: fatti da intrecci dilingue, culture e approcci diversi”. La prima rivista a ospitarla èstata Ciclismo, ma nel 1999 dopo aver vinto i campionati delmondo “mi si sono aperte tante strade e ho colto al volo laproposta di scrivere le mie impressioni dall’interno del gruppo,fattami dall’ex direttore di Ciclismo Buriani. Per anni ho curatola mia rubrica incentrata sul movimento rosa, collaborandonel frattempo con alcune pagine web, almanacchi di ciclismoregionali e nazionali, libri”. Attualmente “sto tentando viesconosciute e diverse. Sono l’addetta stampa e la responsabiledelle pubbliche relazioni del team ciclistico Gauss RDZ OrmuUnico1. Si è poi intensificata la mia collaborazione con Ciclismoe nella mia agenda spiccano progetti legati al giornalismotelevisivo con Tvl Pistoia”.

Tutti lavori e collaborazioni, quelli citati dall’ex campionessa,che si basano su uno strumento non sottovalutato dai giornalistidi origine straniera che lavorano per testate del Belpaese: lalingua italiana. Infatti se è vero che molti di loro si rivolgonoconsapevolmente al pubblico costituito dalle comunità diimmigrati nelle lingue di origine, in genere meglio conosciutee che stimolano anche sentimenti di forte nostalgia e diappartenenza, cresce la consapevolezza di dover raggiungeresempre più anche lettori, ascoltatori e spettatori italiani. Unaconsapevolezza che aumenta col passare degli anni di residenzae l’approfondirsi del contatto con l’informazione e la rappre-sentazione sull’immigrazione fornita dai media italiani a largadiffusione.

Due giornalisti che fin dall’inizio hanno puntato sulla linguaitaliana sono stati i camerunensi di Bologna Raymon Dassi eFaustin Akafak, il primo laureato in scienze della comunicazionee il secondo proveniente dall’esperienza di Crtv (CameroonRadio and Television), la radio nazionale del Camerun.Insieme, dall’ottobre 2005, hanno realizzato Asterisco Radiosu web, dopo aver vinto il premio nazionale per la multiculturalitànei media, intitolato a Mostafà Souhir e promosso dall’OngCospe. Per farla, Akafak e Dassi, avevano investito tutti i 5milaeuro del premio nel garage del primo, per una sala insonorizzata,mixer e microfoni di ultima generazione, in grado di trasmettere24 ore su 24 programmi “dei nuovi cittadini per tutti i cittadini”.

La scelta della lingua italiana per essereconsapevolidella nuova dimensione e abbandonarela nostalgia del passato

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Oggi Asterisco Radio rappresenta solo uno dei passi compiutidal team bolognese: dopo alcuni anni si è infatti aggiunta lafondazione della cooperativa Felsimedia, strumento per dedicarsicon più facilità a scelte editoriali locali, “con una scelta dicuore: praticare un giornalismo militante non doveva essereun hobby: volevamo vivere di questo mestiere – spiega Akafak –e Felsimedia ci è sembrata la forma adatta per coniugare ledue cose; così ci siamo creati il nostro stesso lavoro. Felsimediaè nata per rinforzare l’idea che altre voci nel panorama dellacomunicazione si possono far sentire senza per forza rimanereai margini del sistema”. La cooperativa oggi ha permesso “lanascita di una nuova testata su web Rfa Frequenza Appennino– racconta il giornalista – con cui intervenire sul territorio dellamontagna, nel distretto di Porretta Terme, che vede semprepiù la presenza di nuovi cittadini”.

Raggiungere un più vasto pubblico è un punto che interessaanche a chi appartiene alla realtà delle seconde generazioni,i figli degli immigrati che crescono parlando l’italiano e senten-dosi spesso parte di una realtà più vasta della sola comunitàdi origine, anche se non tutti hanno un accesso semplice allacittadinanza italiana. È il caso di Domenica Canchano, 31 anni,passaporto peruviano, che da un media multiculturale al qualecollaborava in forma volontaria è poi approdata alle paginelocali di un quotidiano nazionale.

La sua attività giornalistica era iniziata con El Noticiero,trasmissione televisiva locale rivolta alla numerosa comunitàlatinoamericana della Liguria, molto seguita anche per leinformazioni di servizio. “Ho lavorato senza compensi perquattro anni – racconta Canchano – e all’inizio eravamo in cinquepersone a curare il programma, senza contare gli operatori;poi con il passare degli anni siamo diminuiti sempre di più e miè capitato di fare anche tre servizi per edizione. Mi occupavodel lavoro di redazione, di programmare e realizzare le intervistee poi montare e fare da assistente di produzione”. Il tutto ènaufragato per la mancanza di fondi per l’editoria multiculturalee per gli insufficienti introiti pubblicitari. “Credevo molto in quelprogetto, era una finestra per la comunità latinoamericana, mal’ambizione della produzione era di coinvolgere anche le altrecomunità di immigrati” ricorda la giornalista.

Comunque grazie all’esperienza costruita sul territorio ealla padronanza della lingua italiana oggi la giovane scriveper la Repubblica di Genova, non solo per Metropoli, oggiridotto a una pagina locale, “ma anche con altri servizi di cronaca

Un genere molto seguito dalle comunitàstraniere è quello delle informazioni di servizio,ma il problemadell’editoria multimediale è quello della scarsità dei fondi e degli introiti pubblicitari

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che non sempre riguardano l’immigrazione o non solo lacomunità latinoamericana”. Inoltre oggi collabora con il consigliodirettivo dell’Associazione ligure dei giornalisti e in Liguria portaavanti le istanze dell’Ansi per denunciare gli ostacoli cheancora incontrano i giornalisti di origine straniera. Al riguardoChanchano racconta: “proprio in questi giorni siamo venutia conoscenza di un concorso pubblico indetto dal comune diSavona per un posto di specialista in Comunicazione e infor-mazione e che esclude categoricamente la partecipazione deicolleghi non comunitari. Questo nonostante la ratifica italianadella Convenzione Oil (Organizzazione internazionale del lavoro)sulla parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti per ilavoratori immigrati e le loro famiglie e le sentenze a favoredegli infermieri per la partecipazione a concorsi pubblici”.

Proprio nel settore delle amministrazioni pubbliche si sonorecentemente aperte altre strade per i giornalisti di originestraniera anche se per ora non si parla di accesso a postideterminati da concorsi. Si tratta in particolare di ruoli cheprevedono l’uso delle lingue di origine per avvicinare i “nuovicittadini” alle informazioni e comunicazioni degli enti locali.Infatti alla collega Viorica Nechifor è stato affidato un compitoimportante in questa direzione in qualità di curatrice dellapagina in lingua romena del comune di Torino e coordinatricedella redazione in lingue straniere (arabo, albanese, inglese,spagnolo e francese). “Penso che nel 2005 quando ho incontratoil direttore dei servizi informatici del Comune – raccontaNechifor – il fatto che io fossi romena è stato essenziale. Dallenostre conversazioni è emerso che sulle informazioni utili airomeni in quel periodo si lucrava molto e che c’era davverobisogno di una fonte ufficiale e autorevole di informazione.Credo che il fatto di essere interessata a tutto quello cheriguardava la comunità romena – dalle sanatorie ai permessidi soggiorno, dalla residenza al passaggio dallo status diextracomunitario a quello di comunitario – sia stato essenziale. Daquesto punto di vista l’aver vissuto l’esperienza dell’immigrazioneè una carta in più sul mercato del lavoro italiano. Certamentel’essere un interlocutore romeno in una città con più di 80milaromeni è utile. Non fosse altro che per le chiacchierate che unosente la mattina sull’autobus e che rappresentano un barometrodi quanto accade in città in un determinato momento”.

Esistono poi colleghi che con il Paese di origine riescono amantenere un legame professionale forte che travalica l’oceano,

Un ulterioreprofilo specifico è quello della comunicazioneistituzionale nelle diverselingue, rivoltaai cittadini stranieri dagli enti localie dagli organi centrali

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anche se poi non si tratta dei classici corrispondenti inviatiall’estero direttamente dalle testate più grandi ma di professionistiche si sono stabiliti in Italia per svariati motivi. È il caso digiornalisti come l’argentino Sergio Mora, anima di Expreso latino,mensile rivolto alla comunità latinoamericana del gruppo Stranieriin Italia e collaboratore per anni del quotidiano spagnolo El Paìs,ma anche della brasiliana Anelise Sanchez, che nonostanteun decennio di vita in Italia ha proseguito lavorare per diversetestate del suo Paese di origine. “La collaborazione – spiegaSanchez – è costante e, chiaramente, ha una grande rilevanzaper il mio profilo professionale, perché scrivo per pubblicazioniche leggevo con ammirazione da quando ero in Brasile. È il caso,per esempio, della rivista mensile Caros Amigos, che ha grandifirme come quelle di Fidel Castro e Frei Betto. Nel corso degli anniho scritto per riviste diverse, come Forbes Brasil (economica),Elle (moda) o il quotidiano O Estado de S.Paulo. Al giornod’oggi, oltre a Caros Amigos collaboro con Valor Economico(paragonabile a Il Sole 24 Ore) e anche a testate più specifiche,come quelle del settore chimico”.

Tutte collaborazioni che seppure sommate a quelle pertestate italiane non hanno reso facile l’iscrizione di Sanchezall’Ordine dei giornalisti del Lazio, “una via lunga e faticosache sono riuscita a percorrere fino in fondo solo dopo averottenuto la cittadinanza italiana. Prima mi avevano propostol’iscrizione all’elenco stranieri o alla stampa estera, ma siccomecollaboro con più di una testata e non una singola pubblicazione,anche quello era difficile”. Un percorso lungo a causa anchedi informazioni errate o confuse rilasciate a volte anche dagliorgani competenti, un percorso che però non dovrebbe esserea ostacoli: per legge i colleghi di passaporto non comunitariocome i comunitari possono iscriversi ai diversi Albi, indipen-dentemente dalla loro cittadinanza, e senz’altro non sonocostretti a segnare il proprio nome sull’elenco stranieri se di fattolavorano per testate registrate in Italia, anche se non sono inlingua italiana.

Ma i problemi incontrati in questi anni dai giornalisti di originestraniera non hanno riguardato solo le difficoltà di accesso alriconoscimento formale o il divieto di fare i direttori responsabili.A ben vedere ostacoli si incontrano ancora più a monte, nellostatus di immigrato per lavoro unito alle specificità del settoregiornalistico. “Considerando il profilo e percorso della grandemaggioranza dei nostri soci e anche di quanti non ancora iscritti– sostiene Viorica Nechifor, in qualità di presidente Ansi –,

Non è facile il percorso professionaledegli immigraticheintraprendono il lavoro del giornalista,tra i vincoli posti dal lorostatus e quelli posti dalle leggi italiane che regolano la professione

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siamo dell’idea che fare i giornalisti in Italia per chi ha originistraniere, e soprattutto un passaporto straniero, è quasi unprivilegio. Il settore è oggi particolarmente flessibile e difficil-mente qualcuno che deve rinnovare continuamente il classicopermesso di soggiorno per motivi di lavoro può permettersi didipendere dalle collaborazioni con pagamento ad articoloche in genere ci offrono. I contratti dignitosi e di lungo temponon ci vengono offerti spesso e soprattutto non a chi non ha icontatti giusti nel settore e una rete di conoscenze di lungadata che un immigrato fa fatica a costruire. Una considerazioneche ci piacerebbe poter analizzare meglio, magari con unaricerca da noi promossa”.

Così possono “permettersi” di spaziare nel mondo del giorna-lismo in Italia, senza rischi di cadere in percorsi di clandestinità,i colleghi che hanno un passaporto comunitario o permessi disoggiorno per motivi familiari, magari perché sposati con italiani.Oppure chi ha ormai l’agognato passaporto italiano, seppurepuò tardare ad arrivare, come nel caso di Alen Custovic cheaspetta da oltre tre anni. Oppure si è costretti a costruire unpercorso professionale in un settore più sicuro finché il giornalismodiventa quasi un hobby che, per quanto coinvolgente, puòessere abbandonato con meno rischi. Così è accaduto al collegaKastriot Cara che dopo anni di messa in onda della trasmissionealbanese “Mall per Atdhene”, sulle frequenze di Radio Inn diPiacenza e Radio4Peace di Bologna, si è arreso e ora coltivasolo l’attività di agente immobiliare “con molte soddisfazioni, sì.Ma – ammette – fare il giornalista con passione mi manca”.

Le cose vanno meglio per quanti hanno un passaportocomunitario o permessi di soggiorno per motivi familiari.Gli altri a voltesono costrettiad arrendersi

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Una “babele”di lingue e di gente per raccontare i colori della nuova Italia

Intervista a cura di Giuseppe Sangiorgi

A colloquio con Luca Artesi, managing directordi “Babel”, il primo e unico canale televisivodedicato ai cinque milioni di cittadini stranieri presenti nel nostro Paese, che trasmette sulla piattaforma Sky dallo scorso 8 novembre

Gli spettatori televisivi più attenti abbonati a Sky lo avrannosicuramente notato, facendo zapping fra i canali. Forse perun attimo avranno pensato di essere tornati al tempo delleprime parabole montate nelle case italiane, che portavanonel nostro Paese le immagini di telegiornali in lingue lontanee sconosciute o di film, telenovelas, sit com dai sapori deci-samente esotici. E probabilmente si saranno chiesti di cosasi tratta.

Per conoscere meglio Babel, questo il nome della primaemittente tutta dedicata ai cinque milioni di stranieri che vivononel nostro Paese, che dall’8 novembre scorso trasmette sulcanale 141 della piattaforma televisiva di Rupert Murdoch,ne abbiamo parlato con Luca Artesi, oggi managing directordi Babel e in passato protagonista di varie esperienze televisive(su tutte Miaeconomia, EasyBaby Tv e il lancio di SkyTG 24).

Come e quando avete pensato a uncanale del genere?

Ci siamo resi conto che in Italia mancavaun canale televisivo rivolto ai cinque milionidi “nuovi italiani” presenti nel nostro Paese.Le nostre ricerche hanno confermatol’interesse per questo progetto e cosìabbiamo intrapreso questa avventura.

Com’è stato scelto il nome?Il nome è un po' una provocazione

voluta. Babel parla all'Italia, e in qualchemodo (culturalmente parlando) siamouna “babele” di gente che non si capisceletteralmente e figurativamente. Immagi-niamo questa babele come un centrodi caos creativo pronto a emergere easpiriamo a far parte di un cambiamentopositivo attraverso le finestre che apriamosulla cultura, le storie e la vita di tutti gliitaliani della nuova Italia.

Il claim "tutti i colori dell'Italia" si riferisce

Un’offerta televisiva “dedicata”che ha copertoun vuoto attirando pubblico e investitori

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L’esperienza di Babel Tv

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ai colori di cui si sta tingendo la nuovarealtà italiana. Colori che sono in partefisici, come il cibo, gli abiti, le bandiere,le spezie ma soprattutto figurativi: le idee,le storie e i racconti.

Quanto tempo è durata la preparazionedel canale?

Cinque mesi circa. Abbiamo iniziato agiugno 2010 i lavori che ci hanno portatoal lancio dell'8 novembre scorso.

Come viene finanziato?Babel è un canale presente nell’offerta

base della piattaforma Sky. I costi sonocoperti da Sky e dalla pubblicità.

Quante persone ci lavorano?Il canale è realizzato da un gruppo

piccolo ma dinamico che complessivamenteè composto da circa una ventina di persone(fra management, programmazione, reda-zione, tecnici ecc).

Come può essere definita la sua lineaeditoriale?

Babel propone una programmazionededicata principalmente a coloro che,avendo deciso di lasciare le loro regionidi origine e iniziare una nuova vita in Italia,necessitano di informazioni e consiglipratici e legali per vivere al meglio il nostroPaese. Inoltre Babel offre una serie diprogrammi di intrattenimento che vannodalle produzioni originali, che raccontanole storie dei nuovi italiani, alle miglioriserie originali acquistate nei Paesi diriferimento delle comunità di stranieri piùrappresentate in Italia, trasmesse in linguaoriginale con sottotitoli in italiano.

C’è un equilibrio tra parte informativae intrattenimento?

La parte di intrattenimento è prevalente,

anche perché il canale è stato inseritoda Sky nella fascia di emittenti dedicataa questo settore.

Quante ore di trasmissione ci sono algiorno?

Babel trasmette 24 ore al giorno, conuna programmazione che, al momento,propone ogni giorno, da lunedì a sabato,una giornata dedicata a una specificaarea geografica: il lunedì è riservatoall'America Latina, il martedì alla Romania,il mercoledì alle Filippine, il giovedìall'Albania, il venerdì all'Africa e il sabatoall'Ucraina, mentre la domenica riassumeil meglio della settimana.

Dal prossimo mese di maggio il palin-sesto del canale si amplierà per darespazio a nuovi Paesi e a nuovi programmi.

Quale è il target al quale vi rivolgete?I “nuovi italiani” ossia tutti colori che sono

in Italia ma non sono di origine italiane:le persone giunte da poco, chi è in Italiada molto tempo, e le seconde generazioninate qui. Ma anche chi italiano lo è semprestato e desidera ampliare i propri orizzonticonoscitivi e culturali.

Pensate di avere coperto un vuotolasciato dalla tv pubblica?

Noi ci auguriamo soprattutto di essered'ispirazione per la televisione pubblica,ma non di sostituirla in un ruolo che spettadi diritto e di dovere alla stessa.

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Uno dei cambiamenti più significativi che le attuali migrazioniinternazionali fanno registrare rispetto alle grandi migrazionipassate del mondo contemporaneo (“la Grande emigrazione”transoceanica a cavallo tra Ottocento e Novecento e le migrazioniintraeuropee del periodo di sviluppo fordista del Dopoguerra)riguarda proprio la comunicazione. Non è l’unico cambiamento dirilievo. Ce ne sono altri, a cominciare dal carattere globaledegli attuali movimenti migratori o dal fatto che nuovi Paesi delSud del Mondo si affacciano sulla scena migratoria mondialementre altri Paesi, una volta di emigrazione, diventano oraPaesi soprattutto di immigrazione (come è appunto il casodell’Italia).

Ma sul piano della comunicazione le novità sono ancora piùrilevanti e si manifestano in tutta evidenza in quell’intreccio traultramodernità e arretratezza che ha spesso caratterizzato larealtà dei migranti nei Paesi di arrivo. Un esempio tratto da unrecente libro riguardante gli immigrati maghrebini (o prevalen-temente maghrebini) nel Mezzogiorno d’Italia è veramenteistruttivo del rapporto tra modernità e arretratezza, tra mondorurale e mondo post-industriale. Il libro Mannaggia la miserìa(con l’accento sulla ì secondo la pronuncia degli immigratidall’Africa francofona) di Anselmo Botte (si veda libertàcivilin.2/2010) è una indagine sociologica nella quale l’autore affidaai protagonisti della sua storia il racconto in prima personadella loro esperienza. La ricerca è svolta nelle campagne diSan Nicola Varco, frazione di Eboli: città – giova ricordarlo –resa celebre oltre mezzo secolo addietro da Carlo Levi, come

Migranti, internet e pomodori

di Enrico Pugliese Sociologo, “Sapienza” università di Roma

I web point a due passi dai campi coltivati,le e-mail al posto delle lettere, il cellulare invecedel telefono a gettoni: le nuove tecnologie hanno cambiato il modo di comunicare anche per coloro che emigrano

La possibilitàdi comunicarein modo istantaneo,oltre alla globaliz-zazionee alla rapiditàdegli spostamenti,è il carattere distintivo dellemigrazionidei nostri giorni rispetto a quelle del passato

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Migrazioni e nuove tecnologie: come cambia la comunicazione

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limite geografico (nella visone del lucani) del mondo civilizzato,del “mondo cristiano”.

Dai racconti dei migranti insediati a San Nicola Varco emergeuna sorprendente immagine del Mezzogiorno agricolo dove aimargini dei campi di pomodoro si trovano gli internet point daiquali i braccianti marocchini telefonano – magari usando Skype,ma questo non posso dirlo con certezza. Sentiamo a propositoBuchabib, uno dei protagonisti narranti: “Sono approdato sanoe salvo all’internet point, tiro un sospiro di sollievo. Il locale èvicino alla stazione dei carabinieri. Di fronte, separato solodalla strada, si estende per molti ettari un fondo dove spessoho lavorato. È piantato a pomodori, ma quest’inverno c’era lascarola. Sul marciapiede, davanti all’ingresso, è stato sistematoun gazebo di plastica sotto il quale ci sono una ventina dimarocchini seduti su sedie di plastica, guardando la tv satellitarecollegata ai programmi di Al Jazeera”. Si noti bene: alla tv delmondo arabo in generale non a quella del Marocco, né tantomeno ai programmi di intrattenimento delle reti private italiane.

Da qui, ai margini del campo di pomodoro dove l’anno prece-dente si coltivava la scarola, parte il messaggio raccolto intempo reale dalla famiglia o da chi sa chi. E non è da presumereche all’altro lato, cioè nell’altro continente, chi riceve la letterasi trovi in mezzo al deserto o in una oasi con palme da datteri.Molto probabilmente il messaggio di posta elettronica saràricevuto in casa o altrimenti in uno degli internet point cittadiniche si trovano nei paesi, nelle città e nelle metropoli del Suddel Mondo. L’attuale immigrazione, infatti, parte in larga misuradalle aree metropolitane per effetto della sovraurbanizzazionedi queste nazioni. E va anche ricordato che non solo i protagonistidelle nuove migrazioni internazionali, ma spesso anche il lorogruppo di pari rimasti in patria hanno un elevato livello di scolariz-zazione. Essi posseggono un capitale umano che non riesconoa far fruttare per carenza della domanda di lavoro: certamentenon ci riescono in patria, ma neanche fuori. Qui da noi per gliimmigrati il lavoro lo si trova solo in condizioni di sottoimpiego,cioè in attività per le quali non è richiesto alcun titolo di studio.E non a caso i marocchini che fanno i braccianti precari e sotto-pagati a San Nicola Varco hanno un titolo di studio piuttostoelevato.

Ma torniamo all’internet point. La velocità della comunica-zione – che è la prima cosa che viene in mente – è un datonoto e ovvio. Ma c’è un aspetto ancora più interessante cheriguarda il carattere della interlocuzione. Chi riceve il messaggio

“…Sono approdato sano e salvoall’internet point, tiro un sospiro di sollievo.Il locale è vicino alla stazionedei carabinieri.Di fronte,separato dalla strada,si estende per molti ettari un fondodove spesso ho lavorato.È piantato a pomodori…”

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può, volendo, rispondere immediatamente tramite un altromessaggio trasmesso in tempo reale. E c’è da dire, per inciso,che con internet c’è stata una ripresa di abitudine alla scrittura,sia pure in quella sorta di neo-lingua sgrammaticata e contrattatipica degli sms (anche essi molto usati dai migranti) maanche di internet. La corrispondenza scritta, che sembravadestinata a scomparire, così persiste e acquista un caratterenuovo, nel bene e nel male.

Il punto da sottolineare è che la comunicazione è potenzial-mente immediata non solo per quel che riguarda il messaggioinviato ma anche per quel che riguarda la risposta. E questo –a rifletterci bene – può rappresentare anche un elemento dicomplicazione. Il messaggio di posta elettronica dà poco spazioal ripensamento. Anche se non è a stretto giro di posta, la rispostaha un’immediatezza e una contingenza che sono utilissime pergli aspetti pratici della comunicazione ma, a confronto dellevecchie lettere degli emigranti, anche meno stringenti, di minorpeso, per quanto attiene alla relazione. Non so se qualcuno hamai raccolto materiali del genere riguardanti la comunicazionevia e-mail, ma dubito che su di essi si possano costruire grandiquadri, come quelli costruiti sulla base delle lettere degli emigrati,storicamente oggetto di analisi sociologiche.

Per inciso, va ricordato un aspetto collaterale che interessagli studiosi delle migrazioni: sociologi, storici, antropologi. Laprobabile distruzione del messaggio di posta elettronica riduceuna delle fonti principali a disposizione dello studioso dellacomunicazione nell’emigrazione. È noto che le lettere degliemigranti non ci aiutavano tanto a conoscere “come stavano lecose” (certamente anche quello), ma avevano una importanzaenorme per documentare come gli emigrati rappresentavanola loro situazione e i loro progetti. Le lettere, in generale benpreparate e spesso a lungo pensate, davano il quadro dellasituazione così come si intendeva farla conoscere al destinatario,alla famiglia (e su questo torneremo). Il messaggio di postaelettronica è breve e frettoloso e, d’altronde, cancellato.

Ma, a parte la sua cancellazione e conseguente scomparsa,il messaggio, scritto e immediatamente trasmesso, ha – per viadella sua immediatezza – una struttura retorica radicalmentediversa dalla vecchia lettera. Ciò sia nel caso della letterascritta direttamente che di quella dettata, pratica molto comunefino agli inizi del Novecento e non eccezionale per lo meno finoal secondo dopoguerra. In questo caso, nella lettera dettatada chi non sapeva scrivere, al lessico (e alla retorica) dell’emi-grante si aggiungevano i “miglioramenti” lessicali del compagno

L’immediatezzadella comunicazione via e-maile spesso la sua cancellazionela rendono una fonte molto meno rilevante rispetto allelettere del passato

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Migrazioni e nuove tecnologie: come cambia la comunicazione

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Migrazioni e nuove tecnologie: come cambia la comunicazione

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alfabetizzato o dello scrivano. Eppure, con tutto ciò, quelle letterehanno aiutato a conoscere e a comprendere l’emigrazione di allora.

C’è poi un aspetto che lega comunicazione e socialità.L’internet point è anche un meeting point, un punto di incontroper gli immigrati. Questi locali hanno un carattere più “etnico”,per così dire, degli internet café che si trovano ancora in giroper l’Italia e per tutti i Paesi di immigrazione. Con la diffusionedei cellulari questi tendono a scomparire. Ma è difficile chescompaiano del tutto, proprio per la loro funzione di centro disocialità, gli internet point degli immigrati (soprattutto se aimargini di un campo di pomodoro). In essi spesso si affollanoimmigrati così come, all’inizio della immigrazione italiana, siaffollavano nei posti dove erano concentrati dei telefoni pubblici– e poi nei piccoli locali (già questi “a carattere etnico”) daiquali si poteva telefonare. Con l’uso dei telefoni cellulari, tuttavia,anche questa attività si è ridotta drasticamente. Essa è limitatain sostanza alle situazioni in cui diventa più conveniente usareuna delle innumerevoli carte telefoniche internazionali, dellequali gli immigrati conoscono bene l’uso e che rappresentauno strumento di comunicazione ormai molto diffuso tra gliimmigrati in ogni parte del mondo.

Dunque – come si è detto – lo strumento di comunicazioneprincipale per gli immigrati, d’altronde come per chiunquealtro, è il telefono cellulare. Con esso la comunicazione deimigranti si è assolutamente rivoluzionata. Nel percorso migratorioil cellulare è una sorta di bussola. Perderlo in alcune circo-stanze può rappresentare una tragedia. Ma lo strumento è utile,soprattutto in caso di occupazione precaria, per informazionisul dove e come si può trovare lavoro. In alcune circostanze èanche uno strumento di autodifesa soprattutto durante il viaggiose si entra in condizione di irregolarità, ma non solo.

Questo tipo di comunicazione rende difficilissimo trasmettereuna immagine costruita. La presentazione di sé, e delle propriecondizioni, è molto più difficile da dissimulare. Le emozioni –e le angosce – non possono essere nascoste come nella lettera.Inoltre con il telefono, soprattutto portatile, la comunicazionecon i diversi interlocutori a casa diventa più personalizzata. Sipuò parlare diversamente con più persone nel Paese e nellafamiglia. La lettera non rendeva possibile questo: era rivolta insostanza a tutti o comunque tutti potevano leggerla. Si ricordanopoi spesso, nel caso di famiglie di emigranti, letture collettivedella lettera del congiunto lontano.

Ora si può parlare con la mamma in un modo e con il fratello

Il telefono cellularestrumentoprincipale di comunica-zione.Nei percorsi migratori è diventato una sorta di bussola,guai a perderlo.Ed è strumentodi relazione interpersonale diretta con i proprifamiliari lontani

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Migrazioni e nuove tecnologie: come cambia la comunicazione

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o la sorella in un altro riproducendo criteri diversificati dicomunicazione intrafamiliare. Insomma è possibile far conoscerecose diverse a persone diverse.

Di nuovo a questo riguardo ci viene in aiuto il libro diAnselmo Botte. Uno degli immigrati di San Nicola Varco parlaal telefono con il fratello più giovane e si vede che c’è un alterco.L’argomento è la richiesta di aiuto per venire in Italia da partedel fratello che sta in Marocco e vorrebbe a tutti costi emigrareanch’egli. L’immigrato lo sconsiglia raccontando le gravi difficoltàche sta affrontando; ma non c’è verso di convincerlo. È dolorosoraccontare le condizioni in cui si vive se si fa il braccianteimmigrato in una campagna del Mezzogiorno. Il “ghetto” a SanNicola – come gli stessi braccianti marocchini chiamano il postodove alloggiano – è un grande mercato ortofrutticolo mai utilizzatoper la sua funzione dopo la costruzione. Le condizioni sonodeplorevoli: mancano l’acqua e i servizi igienici. I salari sonobassissimi e taglieggiati dal caporale. C’è anche discrimina-zione nei confronti di chi si ribella. Insomma la vita è dura ecompletamente diversa dalla immagine che se ne vorrebbedare (e che in generale, come in ogni esperienza migratoria, sitende a dare). Il ragazzo che ancora sta in Marocco dovrebbecapire: il fratello gli dice come effettivamente stanno le cose ela comunicazione è chiara e immediata. Eppure non c’è versodi convincerlo.

Evidentemente la facilità di comunicazione, la velocità didiffusione delle informazioni, il contatto immediato e diretto adistanza aiutano a saperne di più, forse anche a capire di più:ma solo fino a un certo punto. Tutte queste cose non sonocapaci di scalfire gli effetti prodotti da altri canali di comuni-cazione, quelli dei grandi media da un lato e dei discorsi nelPaese dall’altro, che hanno prodotto e consolidato miti sullegrandi opportunità che si offrono nei Paesi di immigrazione.

E questo riguarda l’effetto attrazione, il pull effect dei tradizionalistudi sui moventi di popolazione, mentre – comunicazione aparte – è l’effetto spinta (push effect) che domina in primoluogo le migrazioni, come ben vediamo oggi.

La contraddizionefra i racconti in diretta degli immigratisulla durezza della loro condizione e la forza attrattiva dei grandi media dei Paesi d’arrivo

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Restare in Italia?Sì, se ci sono i figli

di Alessandro Grilli

L’Ispo ha condotto per il ministero dell’Internouno studio sugli atteggiamenti e i progetti futuridegli immigrati nel nostro Paese: solo il 3% si trova male, prevalgono i giudizi positivi sulla qualità della vita e il desiderio di rimanere

È l’altra faccia della luna, quella nascosta, quella che difficilmenteviene illuminata dalle cronache. Eppure è senza dubbio uno degliaspetti più importanti del fenomeno immigrazione, non solodal punto di vista conoscitivo, ma anche in funzione di unamigliore programmazione delle politiche di settore: conoscerele opinioni degli immigrati sulla loro vita in Italia e i loro progettimigratori, cioè farli diventare oggetto di rilevazione statistico-campionaria per valutarne gli orientamenti.

Non sono molte le indagini condotte in tal senso nel nostroPaese. Il fenomeno migratorio è relativamente recente e i variistituti di sondaggi si stanno progressivamente attrezzando,cercando di affrontare le sfide metodologiche che questocomporta, prima fra tutte, ad esempio, la mancanza di una listadi estrazione completa, aggiornata e accessibile al mondodella ricerca da cui formare i campioni (come ricordato dalpresidente di Ipsos, Nando Pagnoncelli, sul n.3/2010 di questarivista).

Uno dei lavori più recenti e meglio articolati è quello condottoper il ministero dell’Interno dall’Ispo (Istituto per gli studi sullapubblica opinione) diretto da Renato Mannheimer, dal titolo“Atteggiamenti e progetti migratori degli immigrati dei Paesi a fortepressione migratoria (Pfpm) in Italia”. Si tratta di un ponderosostudio quali-quantitativo che intende analizzare l’esperienzamigratoria attraverso un campione di popolazione straniera,soffermandosi in particolare due aspetti:

il progetto migratorio, ossia le motivazioni che spingono glistranieri a trasferirsi nel nostro Paese, il periodo di permanenza

La nuova sfidaper gli istitutidi sondaggi:conoscere le opinioni e gli orientamenti della popolazione immigrata attraverso rilevazioni statistico-campionarie

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

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ano in Italia, il legame ancora esistente con il Paese d’origine, e i

progetti per il futurola vita in Italia, presa in esame dal punto di vista della soddi-

sfazione complessiva, degli aspetti positivi e negativi, dellecondizioni di vita, delle relazioni con gli italiani, dei desiderie delle aspettative.

Metodologia e campioneLo studio si compone di due parti: quella qualitativa, mirata

ad approfondire le tematiche oggetto di rilevazione e a ottenerespunti di analisi attraverso il metodo dell’interazione di gruppo;quella quantitativa, condotta in una fase successiva, che sullascorta di quanto emerso nella prima parte del lavoro, haconsentito la costruzione di strumenti di rilevazione quantitativiin grado di fornire indicatori.

Diversi, dunque, sono stati anche i campioni di popolazionestraniera oggetto di analisi e diverse le metodologie applicate.Nella fase qualitativa è stato usato lo strumento del focus group,su un campione di immigrati regolarmente presenti in Italia;ne sono stati realizzati quattro, due Milano e due a Roma,ciascuno con otto partecipanti (in due casi tutti uomini, negli altridue casi tutte donne), costituito per metà da persone presenti inItalia da più di dieci anni e per l’altra metà da immigrati piùrecenti (periodo 2007-2010) e di età compresa fra 24 e 44 anni(ovvero la fascia che comprende la larga maggioranza deglistranieri). Per quanto riguarda le provenienze, il campione eraperfettamente suddiviso secondo le quattro aree di maggioreimmigrazione: Nord Africa, Sud America, Est europeo, Asia.

La fase quantitativa, invece, è stata condotta attraversointerviste telefoniche strutturate (costituite da 12 domande) a uncampione di 800 immigrati adulti regolarmente presenti in Italiae rappresentativo delle quindici nazionalità maggiormentepresenti nel nostro Paese.

L’immigrato tipo non esisteLe risultanze di questa indagine sono moltissime ed è impossibile

dare conto di tutte. Però alcuni aspetti chiave possono esserecolti e la prima evidenza è che l’esperienza della migrazioneassume profili molto diversi, tanto che non si può tracciare unprofilo tipo dell’immigrato, da nessuno dei molteplici, possibilipunti di vista. Ci sono alcuni tratti in comune largamente registratinelle interviste – ad esempio la presenza di figli, di cui moltinati in Italia, o la netta prevalenza dell’affitto come situazioneabitativa, o esperienze simili nel rapporto con la burocrazia e

Uno studio in due fasi:quella qualitativa,attraverso il metodo dellainterazione di gruppo,e quella quantitativa,per elaborareindicatori

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

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anola società – ma a prevalere, per il resto, sono le differenze,

soprattutto nel livello di soddisfazione sulla propria vita inItalia e nella valutazione positiva o negativa di alcuni aspetti.A tracciare la strada su cui si muovono tali differenze sonosoprattutto l’appartenenza geografica, il genere e l’anzianitàdi immigrazione.

Qualche esempio: i nordafricani sono i meno soddisfattidella loro esperienza in Italia, probabilmente perché si trovanoin una condizione economica più debole e disagiata e avvertonodi più il peso della discriminazione razziale, a differenza degliorientali, che invece valutano positivamente la loro esperienza;gli uomini sono tendenzialmente più critici rispetto alle donne,per motivi legati a una diversa “esposizione” pubblica maanche al tipo di ruolo ricoperto nel sistema; coloro che sonopresenti nel Paese da più tempo sono meno soddisfatti rispettoai più giovani, forse perché molti di loro hanno visto deluse lesperanze iniziali o hanno visto peggiorare le condizioni di vitanegli ultimi anni sotto vari punti di vista (da quello economicoai fattori discriminatori).

Dall’indagine emergono così almeno quattro profili tipo chepossono aiutare a classificare le esperienze migratorie,incrociando le differenze in termini di provenienza geografica,motivazioni della migrazione, livello socio-economico-culturaledi partenza:

l’emigrante classico. È la figura più diffusa, soprattutto a Roma.L’origine è generalmente povera, il livello d’istruzione è bassoo medio e dunque l’immigrazione diventa motivo di riscattosociale ed economico (“fare soldi”, conquistare il benessere emagari, poi, fare ritorno al proprio Paese). In questo profiloprevalgono le provenienze dal Nord Africa, ma un buon numeroarriva anche da Asia e America Latina. Con l’eccezione deifilippini, gli appartenenti a questa categoria sono fra i piùdelusi della loro permanenza in Italia e sono fra quelli chemaggiormente avvertono il peso della congiuntura negativadegli ultimi anni

l’emigrante moderno. Per la maggior parte questa categoriasi attaglia alla descrizione dell’immigrato proveniente dall’EstEuropa (molte sono donne). Si tratta di persone dal livellosocioculturale più alto (spesso sono diplomati o laureati) e daltenore di vita relativamente superiore rispetto al primo gruppo,che emigrano per realizzare sogni professionali, o per motiviaffettivi o, infine, per conquistare una maggiore libertà di vitae di movimento. Interessante notare come queste personeabbiano raggiunto un certo livello socioeconomico e come

I quattro profili-tipo che classificano le esperienzein base a provenienza,motivazionidella migrazione,livello socio-economico-culturale

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

siano caratterizzate da una cultura più rigida, che si traducead esempio in una maggiore richiesta di rispetto delle regolee delle leggi, e da una certa presa di distanza dagli altri gruppi“extracomunitari”

l’emigrante politico. È una tipologia non molto frequente e peralcuni tratti simili alla precedente, ma con alcune peculiarità.Anch’essi sono caratterizzati da un buon livello culturale e dacondizioni economiche di partenza discrete. La migrazione èdi natura più ideologica: queste persone ricercano la libertàdi pensiero e di cultura sociale o scappano da situazioni percepitecome negative dal punto di vista politico, sociale ed economicoche caratterizzano i loro Paesi. Per esemplificare, è il caso delledonne marocchine, o quello degli albanesi. Sono in generesoddisfatti e sono quelli che hanno maggiormente rescisso ilegami con la loro nazione di origine, ma al contempo sono fracoloro che colgono le maggiori criticità del vivere in Italia,non tanto dal punto di vista economico, quanto da quellorelazionale e professionale

la nuova generazione. Si tratta dei giovani, figli di immigrati,arrivati qui da piccoli o comunque da qualche anno seguendo leorme dei genitori. Come sottolineato anche nel precedentenumero di libertàcivili dedicato proprio alle seconde generazioni,sono una categoria fra le più problematiche, a differenza dei lorocoetanei figli di immigrati, ma nati in Italia. Il nodo principaleè la loro caratteristica di essere “migranti senza motivo”. Lerisultanze di questa indagine, tuttavia, sembrano far intravederein molti casi un miglioramento della loro situazione dopo ledifficoltà iniziali di inserimento. In genere tale figura sembracontraddistinta da un livello discreto di soddisfazione e da uncerto grado di percezione della propria “italianità”, tant’è chele loro paure e problemi sono abbastanza paragonabili a quellidi un giovane italiano.

Il progetto migratorioQualche evidenza numerica dell’ indagine ci aiuta ad

approfondire la conoscenza nel perimetro tracciato da questequattro tipologie.

Riguardo al progetto migratorio, gli immigrati intervistati sipresentano divisi in varie tipologie in base al tempo di perma-nenza in Italia. Quasi il 70% del campione risulta presente nelnostro Paese da oltre quattro anni, quindi già con un profiloabbastanza stabile, che probabilmente influenza anche il giudiziosostanzialmente positivo sull’esperienza italiana. Il legame conil Paese d’origine è mantenuto nella maggior parte dei casi

Il profilio più problematico è quello delle “nuove generazioni”,i figli di immigrati che sono nati in Italia,per la loro caratteristica di “migranti senza motivo”

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

(il 77% si informa regolarmente e i sudamericani sono fra i piùassidui), anche e soprattutto per motivi affettivi (parenti rimastiin patria), mentre raramente la nostalgia è talmente insopportabileda motivare un ritorno al Paese natio. Tra i mezzi utilizzati perinformarsi, in alcuni gruppi nazionali (indiani e ucraini) prevaleil passaparola con parenti e amici, per altri (ad esempiomarocchini e albanesi) si usano la tv e la radio, per altri ancora ilmezzo per eccellenza è internet (i cinesi su tutti).

L’idea prevalente degli immigrati intervistati è quella di restarein Italia per sempre. Quasi la metà del campione (44%)sceglie questa opzione, soprattutto gli africani e gli indiani,chi ha figli conviventi e chi si trova in Italia da un periodo piuttostolungo. È il fattore-figli a incidere più degli altri: la loro presenzarappresenta la vera barriera al ritorno in patria. Per un altro 23%il progetto resta indefinito, mentre per un 7% tornare al momentoè impossibile, anche volendo. Solo un immigrato su quattro,dunque, ha l’intenzione, dopo un periodo di tempo, di fareritorno nel Paese di origine; sono soprattutto i sudamericani,gli ucraini, i cinesi e gli immigrati più anziani.

La vita nel nostro PaeseUno dei risultati più interessanti dell’indagine è che la maggio-

ranza degli immigrati, più di otto su dieci, dice di trovarsi “bene”o “abbastanza bene” in Italia. Appena il 3% di loro dichiarainvece di trovarsi “male” o “abbastanza male”. Ancora una voltaè la provenienza a fare la differenza: i più soddisfatti sonogli ucraini, quelli che hanno la percezione più negativa sono imarocchini.

Di conseguenza i giudizi favorevoli riguardano un po’ tuttigli aspetti dell’esperienza italiana. In testa all’indice di gradimentoc’è la scuola (il 90% esprime un parere positivo), mentre tragli aspetti più critici c’è la situazione economica, con il 58%di soddisfatti e il 41% di insoddisfatti. Tre immigrati su quattrosi dicono contenti del loro lavoro e otto su dieci lo sono deiservizi sanitari. L’86% valuta positivamente le relazioni con gliitaliani, soprattutto i moldavi, mentre i più critici sono ancorauna volta i marocchini.

Nel complesso tra i plus della vita in Italia ci sono le condizionidi vita, la generosità dei nostri connazionali e quindi la lorodisponibilità ad aiutare, la qualità di alcuni servizi, la maggiorelibertà rispetto al Paese di origine, nonché alcuni aspettiparticolari come la piacevolezza del clima e la possibilità diricevere un’istruzione di buon livello. Tra i minus c’è sicuramenteil rapporto con la burocrazia, il costo della vita e in particolare

Prevalgono giudizi favorevoli sulla vitain Italia;tra gli aspetti più apprezzati la scuola,tra quelli più critici la situazioneeconomica

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

dell’affitto, la discriminazione (avvertita soprattutto da musulmanie nordafricani), lo scarso riconoscimento delle competenze e deititoli di studio acquisiti in patria, fatto questo che porta a svolgerelavori sottoqualificati rispetto al proprio grado di preparazione.

Per quanto riguarda le condizioni materiali di vita, l’11%appena abita in case di proprietà, mentre il 65% ha un contrattodi locazione regolare. Il resto abita da parenti o amici (7%), inaffitto ma senza contratto (5%), mentre un immigrato su diecivive sul luogo di lavoro (si tratta, come ovvio, principalmentedelle badanti, in particolare ucraine e moldave). Le tipologiedi convivenza più diffuse sono “da solo” (29%) o con coniugee figli (25%). Come sottolineato in precedenza, quasi la metàdegli immigrati intervistati vive in Italia con i figli; in particolare sitratta di albanesi, cinesi (fra questi ultimi è molto diffusa anchela famiglia allargata), indiani e moldavi. Quando sono presentifigli, in tre casi su quattro questi vanno a scuola o lavorano.

Venendo al grado di integrazione con gli italiani, questo sidimostra abbastanza buono. Solo un intervistato su cinquedichiara di frequentare esclusivamente altri stranieri, mentreoltre la metà ha relazioni indifferentemente con italiani e nonitaliani. C’è addirittura un 13% che frequenta solo o prevalente-mente nostri connazionali. I cinesi appaiono come la comunitàpiù “chiusa”, in cui prevale il rapporto con persone della stessanazionalità, mentre tutti gli immigrati europei, in particolare glialbanesi, sono quelli che frequentano maggiormente gli italiani.

Il rapporto con i mediaE veniamo a uno dei temi centrali di questo numero, ossia il

livello di informazione degli immigrati sui fatti italiani. Appenauno su quattro non si aggiorna, mentre per la maggior partedi loro i canali privilegiati sono tv e radio italiana (67%). Un 12%utilizza internet come canale informativo, una percentualemolto vicina a coloro che leggono i giornali (17%). I più informatisui fatti di casa nostra sono europei e sudamericani e, in terminirelativi, gli immigrati di lungo periodo rispetto a quelli presentida meno tempo, i 35-39enni e gli over50 rispetto ai più giovani.Gli africani sono quelli che utilizzano maggiormente mezzi diinformazione del proprio Paese per saperne di più sull’Italia,mentre i maggiori fruitori della stampa nostrana sono albanesie moldavi. A consuntivo, il livello di interesse per i fatti del proprioPaese e per quelli italiani registra livelli molto simili.

L’immagine complessiva che emerge dell’Italia è quella di unPaese in evoluzione. Per molti, specialmente nell’area asiatica,resiste ancora il mito di una nazione ricca, dove è facile guadagnare

Buono ancheil grado di integrazione con gli italiani:appena un immigrato su cinque frequenta solo stranieri

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Atteggiamenti e progetti di vita degli immigrati: uno studio dell’Ispo

soldi e dove si vive meglio che nel proprio Paese di origine;e soprattutto resiste, almeno nella percezione di chi si trovaqui da noi, la percezione di essere “invidiati” dai connazionalirimasti in patria. Si tratta però di un’immagine che sta cambiandoin peggio, soprattutto nell’opinione di nordafricani ed europeidell’Est: si inizia a registrare un certo grado di razzismo e lacrisi fa sentire i suoi effetti. Il lavoro, poi, è difficile da trovare,quando si trova è spesso umile e sottopagato, e “fare soldi” èdiventato più difficile.

Cittadinanza e normeDue aspetti da sottolineare in conclusione. Il diritto di voto

è considerato fondamentale dalla metà degli intervistati e lastessa percentuale dichiara di voler ottenere la cittadinanzaitaliana, soprattutto fra chi ha figli. I più interessati sono gliafricani, mentre un interesse relativamente minore si registrafra gli asiatici e i sudamericani. Solo tre immigrati su diecipongono come condizione quella di poter mantenere comunquela propria cittadinanza.

Per quanto riguarda invece il sistema pensionistico e quindiil futuro, oltre la metà degli intervistati non conosce il funziona-mento delle regole, anche per un certo disinteresse nell’immediato.Uno su quattro crede che la pensione possa essere ottenutadagli immigrati che ritornano in patria, ma solo al compimentodei 65 anni. In generale, comunque, su questo tema si registramolto disincanto, un atteggiamento che peraltro fa il pari conquello, analogo e crescente, dei nostri connazionali su questamateria.

Metà degli intervistati ritiene fondamentaleil diritto di voto e vorrebbe ottenere la cittadinanza

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I media locali di fronte alla sfidadell’immigrazione

di Marinella Belluati Ricercatrice - università di Torino

Da una ricerca dell’università di Torino emerge la disponibilità delle testate diffuse sul territorioa occuparsi di immigrazione, ma sono ancorapoche le opportunità per gli stranieri di partecipareal processo di produzione dei mass media

Il processo di globalizzazione sta producendo effetti di rapidocambiamento, ma è lo spostamento sempre più massiccio dellepopolazioni dai Paesi terzi verso l’Occidente che sta trasformandoprofondamente il volto delle cosiddette società avanzate. Proprioperché numericamente rilevante, oltre a essere un fenomenostrutturale, l’immigrazione è ormai diventata una questioneculturale che ha messo profondamente in crisi valori, credenzee legami sociali delle società di accoglienza.

I fattori di analisi sono molti, ma due sono gli ambiti che, piùdi altri, sono stati sollecitati dalla questione migratoria: i mediae il territorio.

Nella definizione pubblica delle relazioni interculturali il sistemadei media, al pari di quello politico e quello culturale, è direttamentechiamato in causa per la sua capacità di costruire e legittimarerappresentazioni sociali che gli individui e le comunità utilizzanonelle relazioni quotidiane (Moscovici, Farr, 1984). I media possonoalimentare xenofobie e comportamenti ostili (Van Dijk, 1991),ma anche forzare le resistenze che spesso ostacolano il dialogotra culture. Proprio perché il sistema dei media è una risorsastrategica nella regolazione delle dinamiche di pubblica evidenza,esso rappresenta un ambito da monitorare con attenzione.

Il territorio rappresenta il secondo ambito sensibile perchésta diventando sempre di più il luogo in cui la complessità delmondo globalizzato trova senso (Baumann, 2003). Di fronteall’aumento della presenza straniera, sono i contesti di acco-glienza (prima le città e poi i territori) a dare risposte politichee culturali. Tra gli strumenti di policy, a livello locale la capacità

Divenuta fenomeno strutturale,l’immigrazionesi è trasformataormai in una questione culturale che ha messoin crisi valori,credenze e legami sociali delle societàdi accoglienza occidentali

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Una ricerca sulla comunicazione interculturale nei media locali

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di controllo del discorso pubblico è sicuramente una competenzaimportante e l’approccio interculturale può diventa una praticasociale.

Analiticamente il rapporto tra media e immigrazione nelnostro Paese si può riassumere in tre passaggi continui e altempo stesso discreti. Il primo è quello della rappresentazionedel tema immigrazione e della capacità dei media di costruirediscorsi pubblici e senso sociale. Molto del lavoro di analisidegli ultimi vent’anni si è concentrato a studiare il modo concui i media italiani hanno parlato di immigrazione e questo èservito a verificare la disponibilità culturale e simbolica dellenostre società a includere e a riconoscere la diversità di cui glistranieri sono portatori 1.

Accanto al persistente gioco della rappresentazione, e aseguito del consolidarsi della presenza straniera sul territorio,verso la metà degli anni ‘90 si è aperta la prospettiva dellacomunicazione multiculturale (Mauri et al. 1999; Piccone Stella,2003; Maneri e Meli, 2007,) in cui, a seguito del riconoscimentodei bisogni comunicativi degli stranieri, i media hanno rispostooffrendo spazi dedicati alle comunità. La risposta è soprattuttolocale e ha riguardato, prima di tutto, i sistemi di comunicazioneterritoriali che hanno concesso spazi e opportunità di comuni-cazione agli stranieri. Questo passaggio ha fatto emergere nuovibisogni comunicativi e ha portato alla realizzazione di iniziativeimportanti e al tempo stesso ha legittimato una situazione a“comparto stagno” in cui i discorsi identitari sono rimasti, nellapratica, tangenti ma separati.

La fase attuale, paradossalmente se si pensa che è anchel’effetto della crisi economica – crisi che ha sottratto risorseimportanti al settore della comunicazione in generale e diquella multiculturale nello specifico – sta rendendo possibilisituazioni di metissage. Le competenze acquisite nel settoredella comunicazione da parte degli stranieri hanno aperto inalcuni casi (pochi sinora) opportunità di accesso ai processiredazionali dando vita a fenomeni di comunicazione interculturalein senso pieno (Corte, 2006; Castiglioni, 2005; Giaccardi, 2005).

1 I r isultati delle ricerche hanno più volte confermato la presenza di un doppioregistro narrativo verso i l tema: negativo e semplicistico da un lato, benevolo epaternalistico dall’altro (Belluati, 2004, 2007; Belluati et al., 1995; Binotto e Martino,2005; Bruno, 2008; Cabria e Collari, 1993; Gariglio et al. 2010; Marletti, 1991, 1995;Osservatorio Carta di Roma, 2009).

Il primo terreno persperimentarenuove forme dicomunicazioneinterculturaleè stato quello locale

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Una ricerca sulla comunicazione interculturale nei media locali

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Una ricerca condotta in Piemonte 2 è partita proprio da qui e siè posta come obiettivo quello di conoscere a che punto sia lacomunicazione interculturale intesa come presenza e disponibilitàad aprire ai cittadini di origine straniera possibilità concrete dipartecipazione al processo di costruzione di un discorso pubblicolocale della società plurale.

I dati di questa ricerca, sebbene non neghino le molte difficoltà,mostrano anche qualche elemento positivo. Affinché una societàplurale abbia modo di affermarsi a livello strutturale e culturaleoccorrono politiche e reti territoriali dinamiche e su questo versanteda anni Torino e il Piemonte si stanno mostrando all’avanguardia.A ciò va aggiunta la presenza di una radicata tradizione digiornalismo locale che può contare su una vasta rete di giornali,radio e televisioni locali, un potenziale importantissimo di innova-zione sociale e culturale. Si possono leggere in questo senso lebuone pratiche di comunicazione interculturale individuatedalla ricerca che, seppure ancora allo stato embrionale, fannointravedere opportunità di cambiamento nei discorsi e nellapratiche giornalistiche.

Al fine di esplorare il grado di consapevolezza e di aperturarispetto alla possibilità di “contaminazioni” culturali, nel periodotra maggio e giugno 2009 la ricerca sull’informazione inter-culturale in Piemonte ha cercato di censire il grado di maturazioneredazionale attraverso un questionario inviato a tutte le redazionilocali di giornali radio e tv in cui venivano fatte domande precisesul rapporto tra intercultura e prassi giornalistiche 3. Purammettendo che l’interesse verso la cronaca nera resta uncampo rilevante dell’offerta informativa, almeno nelle intenzioni,il sistema dei media locali si è dichiarato aperto verso unarappresentazione più variegata della diversità culturale di cuisono portatori gli stranieri.

La seconda parte del questionario è stata invece dedicataad approfondire le pratiche giornalistiche rispetto all’interculturaattraverso alcuni indicatori: a) il tipo di prodotti mediali dedicatiesplicitamente a queste tematiche (rubriche e spazi fissi,informazioni dedicate, ecc.); b) la disponibilità a includerestrutturalmente nelle redazioni collaboratori di origine straniera;

2 La ricerca è stata realizzata grazie al contributo di Paralleli - Istituto Euromediterraneodel Nord Ovest, della regione Piemonte e dell’Ordine dei giornalisti. È disponibile on-linehttp://www.dsp.unito.it/download/wpn14.pdf. 3 Nel momento della ricerca risultavano registrati 208 media locali così ripartiti:110 periodici locali, 69 radio e 29 tv.

La ricerca condotta in Piemonte si è avvalsa di un questionario inviato a tutte le redazioni locali di giornali,radio e tv per conoscere tutte le loro iniziative riferite agli immigrati

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Una ricerca sulla comunicazione interculturale nei media locali

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c) l’attenzione al linguaggio; d) il fatto di aver recepito il codicedeontologico voluto dall’Ordine nazionale dei giornalisti (la Cartadi Roma).

Il primo dato che appare è una buona disponibilità a continuarea occuparsi di immigrazione attraverso rubriche, approfondimentie prestando una certa attenzione al linguaggio utilizzato.L’approccio multiculturale, misurato attraverso la disponibilitàa dedicare spazi alla comunicazione di comunità all’internodella normale programmazione (solitamente rubriche musicalio di informazione nelle lingue madri) rappresenta un altroaspetto su cui le redazioni hanno dichiarato disponibilità.

Quella che invece sembra essere ancora una pratica residualeè quella dell’interculturalità intesa come opportunità data aglistranieri di partecipare attivamente al processo di costruzionedei prodotti comunicativi. Solo 12 redazioni su 100 hannodichiarato di avere collaboratori di origine straniera che sioccupano del normale lavoro redazionale. Anche se il dato èancora troppo esiguo per poter parlare di tendenza in atto,l’indicazione merita di essere colta e monitorata nel tempo.

La ricerca, nel complesso, ha rivelato un quadro fatto dimolte ombre ma anche di qualche luce. Il fatto che le societàcontemporanee siano sempre più multietniche costringeevidentemente le istituzioni culturali e politiche a significativicambiamenti e la principale evidenza è stata che l’interculturapuò trovare migliori risposte, ma anche forti resistenze, soprattuttonei rapporti di prossimità e nelle pratiche quotidiane.

Tabella 1. Pratiche di interculturalità in redazione

Fonte: Multi response - Missing value 108

Approccio Pratica Periodici Radio TV Totalecomunicativo redazionale locali locali locali

Rappresentazione Rubriche dedicate 26% 44% 54% 36%all’immigrazione

Rappresentazione Informazioni 38% 29% 31% 34%sulla Carta di Roma

Rappresentazione Attenzione al linguaggio 32% 21% 23% 27%utilizzato

Multiculturalismo Giornalisti specializzati 34% 21% 8% 26%nel discorso

Multiculturalismo Rubriche in lingua straniera 9% 26% 31% 18%

Intercultura Giornalisti stranieri 15% 9% 8% 12%in redazione

Totale risposte valide 53 34 13 10 0

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Una ricerca sulla comunicazione interculturale nei media locali

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I modelli comunicativo-informativi descritti ribadisconol’esigenza di ripensare a forme di potenziamento delle relazioniquotidiane in senso interculturale: nelle redazioni giornalistiche,ma anche nelle “dark rooms” dove si organizzano i palinsestidi radio e tv locali. In questo caso i media possono continuarea essere un laboratorio per l’innovazione e – come mostrano gliesiti della ricerca – un redditizio modello di sviluppo economicoper i sistemi locali.

Bauman, Z., 2003, Voglia di comunità,(ed. orig. 2001), Bari: Laterza

Belluati M., Grossi G. e E. Viglongo,1995, L’antenna di Babele. Mass mediae società multietnica, Milano: Anabasi

Belluati, M. (a cura di), 2007, L’islamlocale. Domanda di rappresentanza eproblemi di rappresentazione, Milano:FrancoAngeli

Belluati, M., 2004, L’insicurezza deiquartieri. Media, territorio e percezionidi insicurezza, Milano: FrancoAngeli

Binotto M. e V. Martino, (a cura di),2005, FuoriLuogo. L’immigrazione e imedia italiani, Cosenza: Pellegrini

Bruno M., 2008, L’islam immaginato.Rappresentazioni e stereotipi nei mediaitaliani, Milano: Guerini

Cabria A.L. e M. Collari (a cura di),1993, L’altra metà della luna. Capirel’Islam, Genova: Marietti

Castiglioni I., 2005, La comunicazioneinterculturale: competenze e pratiche,Roma: Carocci

Corte M., 2006, Comunicazione egiornalismo interculturale. Pedagogiae ruolo dei mass media in una societàpluralistica, Padova: CEDAM

Gariglio L., Pogliano A. e R. Zanini,2010, Facce da straniero. Fotogiornalismoe immigrazione sulla stampa illustrataitaliana, Milano: Bruno Mondadori

Giaccardi C., 2005, La comunicazioneinterculturale, Bologna: Il Mulino

Maneri M. e A. Meli, 2007, Un diversoparlare. Il fenomeno dei media multi-culturali in Italia, Roma: Carocci

Marletti C., 1991, Extracomunitari.Dall’immaginario collettivo al vissutoquotidiano del razzismo, Torino: NuovaERI

Marletti C., 1995, Televisione e Islam,Immagini e stereotipi dell’Islam nellacomunicazione italiana, Torino: Nuova ERI

Bibliografia

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I flussi migratori sono un fenomeno di rilevanza globale,per il quale è difficile ipotizzare un’inversione di tendenza;non si tratta di un semplice spostamento di persone, ma diuna vera e propria ridistribuzione della popolazione nel mondo,causata da fattori economici, demografici e politici. Siamo difronte, dunque, a una situazione complessa che richiede unapproccio articolato, sia in termini di intervento, sia in terminidi conoscenza scientifica e non solo mediatica.

Occorre, contestualmente, sostenere lo sviluppo economicoe sociale dei Paesi di origine, promuovere il rientro volontario

in patria, regolamentare le modalità perl’accesso, favorire l’integrazione nei Paesi diarrivo e accompagnare questi percorsi conun’adeguata informazione che passa attraversostudi e ricerche di cui troviamo vari esempi inquesto numero di libertàcivili.

In questa direzione riteniamo essersi mossoil Governo, soprattutto nell ’ult imo anno,attraverso la predisposizione del Piano per

l’integrazione nella sicurezza “Identità e incontro” e dell’Accordodi integrazione. Queste iniziative sono, peraltro, frutto di unacollaborazione interministeriale fra amministrazioni competentisulla materia, anche se per profili differenti. Predisposti dalministero dell’Interno con il ministero del Lavoro e delle Politichesociali e il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, talistrumenti coniugano accoglienza e sicurezza.

In particolare, il Piano “Identità e incontro” è finalizzato alla

Verso una comunicazione istituzionale al servizio dell’inclusione sociale

di Serenella RavioliResponsabile della comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Gli strumenti predisposti dalle nostre istituzioninon sono solo mezzi di informazione, ma la fontealla quale media e singoli possono rivolgersi peravere notizie o conoscere diritti e doveri. L’esempiovirtuoso del portale del ministero dell’Interno

Dobbiamo essere consapevolidi avere di fronte a noiun fenomeno di rilevanza globale che sta operando una vera e propria ridistribuzione di popolazione nel mondo

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La comunicazione istituzionale al servizio dell’inclusione sociale

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ano promozione di un efficace percorso di inserimento delle persone

immigrate e si basa su cinque asset di integrazione: educazionee apprendimento; lavoro; alloggio e governo del territorio;accesso ai servizi essenziali; minori e seconde generazioni.L’Accordo di integrazione, invece, è uno strumento a disposizionedegli stranieri che vogliono lavorare e inserirsi nella societàitaliana. Prevede un “percorso di inclusione” che funziona conl’acquisto di “crediti” attraverso il conseguimento di titoli distudio, l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale o la firma di uncontratto di affitto o di acquisto di un’abitazione.

È del tutto evidente l’importanza della comunicazione nellediffusione di queste grandi opportunità disviluppo. Di recente, segnaliamo un nuovointeresse a esaminare il fenomeno non solo congli occhi dei cittadini italiani che accolgono –più o meno volentieri – la presenza deglistranieri, ma anche dal punto di vista delleaspettative degli immigrati nel nostro Paese.Dato il crescente numero di lavoratori immigratisul territorio, si è posto infatti il problema di

avere la doppia chiave di lettura al fine di poter valutare lelinee di intervento e di regolazione dei progetti migratori.

In questo scenario, gli stessi immigrati indicano la necessitàdi una conoscenza più approfondita della lingua e della culturaitaliana come fattori indispensabili per una maggiore integra-zione, e sostengono di vivere una buona qualità di vita inItalia. L’ 83% dei regolari dice di trovarsi bene, o abbastanzabene nel Paese e di essere soddisfatto per la scuola e perl’assistenza medica, mentre la burocrazia viene giudicataproblematica in relazione ai tempi lunghi delle pratiche.

Ma torniamo ai progetti interministeriali: il loro comune deno-minatore è l’assunto che una piena consapevolezza dei dirittie una chiara conoscenza dei doveri rappresentino la base diogni interazione sociale, prima che un mezzo di integrazionenella società. In quest’ottica gioca un ruolo rilevante la comu-nicazione, e soprattutto la comunicazione istituzionale, chediventa fonte di informazioni e, in alcuni casi, strumento diservizio.

La comunicazione come strumento di conoscenzaComunicazione è informazione, e nel caso della comunicazione

istituzionale, informazione autorevole e affidabile. È in questosenso che – nell’ambito delle politiche afferenti l’immigrazione –gli strumenti di comunicazione delle istituzioni non sono semplici

Per affrontare in modo efficaceil problema della comunicazioneè necessaria una doppia chiave di lettura: quella dei cittadini italiani e quella degli immigrati

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mezzi di informazione, ma la fonte alla quale sia i media chei singoli possono rivolgersi per avere notizie o conoscerediritti e doveri.

Una buona pratica per eccellenza è il sito. Normativa di settore,aggiornamenti della recente giurisprudenza, ma anche paginecontenenti consigli pratici e modulistica di riferimento costi-tuiscono i contenuti dei portali delle principali amministrazionicoinvolte dai fenomeni migratori (www.interno.it, www.lavoro.gov.it,…). Rispetto ai numerosi siti web e ai blog realizzati dalleassociazioni, dai singoli o dagli enti locali, i siti istituzionalirivestono un ruolo di primo piano come fonte ufficiale dell’infor-mazione. I dati, le dichiarazioni, gli approfondimenti sonoripresi dai media, ma anche fruiti direttamente dagli interessati,che – nel caso del sito del ministero dell’interno – possonoavvalersi anche di una versione in lingua inglese.

La sezione “Immigrazione” del portale www.interno.it rappre-senta un ottimo caso di studio. Accessibile direttamente dallahome page, è quasi un mini sito autonomo dove confluisconotutte le notizie relative alla materia. La legislazione sul tema,

le modalità di accesso ai fondi europei, iprogetti realizzati, le più recenti iniziative diintegrazione, gli ultimi dati sui flussi migratorie, fiore all’occhiello, la sezione “come fare per”:una guida di immediata e semplice consul-tazione a disposizione dei cittadini, deidatori di lavoro, e degli immigrati che, conpochi click, possono sapere, ad esempio,come presentare una domanda di prima

assunzione, ottenere il ricongiungimento familiare o richiedere ilrilascio del permesso di soggiorno.

Nella stessa ottica si muove il progetto del ministero delLavoro e delle Politiche sociali, il “Portale dell’integrazione”,uno spazio virtuale che faciliterà l’accesso alle informazioniper tutti gli attori che si occupano di politiche di integrazione,ministeri, regioni, enti locali, ma soprattutto per i veri destinatari:gli immigrati. Il raccordo tra le amministrazioni pubbliche e glioperatori del privato sociale, infatti, permette di definire percorsinormativi e istituzionali di grande coerenza, efficacia edeconomicità, nella prospettiva di una generale ottimizzazionedella spesa pubblica.

Conoscere è sapere. Ma conoscenza è anche sensibilizzazionee consapevolezza. E per raggiungere questo obiettivo lo strumentoprincipe è la campagna di comunicazione. Attraverso le campagne,infatti, è possibile indirizzare la fruizione delle informazioni o

Il “caso di studio” rappresentatodalla sezione “immigrazione”del portale www.interno.it,accessibile dalla home page e concepito come un esaustivo sito autonomo

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dei servizi e contribuire alla costruzione di un nuovo modellodi convivenza. Ciò, naturalmente, può avvenire nel tempo e graziea una pianificazione della campagna attenta al target e allostrumento.

Questo secondo modello si coglie pienamente nel casodella campagna per l’integrazione, cofinanziata dal ministerodell’Interno - Fondo per l’integrazione dei cittadini per i Paesiterzi. Focus della strategia di comunicazione è promuovere laconsapevolezza di diritti e doveri di cui sono titolari gli stranieriemigrati nel nostro Paese e contemporaneamente migliorarela conoscenza del fenomeno migratorio da parte degli italiani. Lacampagna punta a favorire un dialogo interculturale effettivo,mediante l'informazione, la diffusione dei principi fondamentalidella Costituzione e dell'ordinamento giuridico nazionale, la divul-gazione dei percorsi di inclusione sociale.

Esempi concreti di campagne che indirizzano alla fruizionedi servizi sono invece rappresentati dalla campagna sullemutilazioni genitali femminili e da quella sulla tratta degli

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esseri umani. La prima è volta a promuovere il Numero Verde,gestito dal ministero dell’Interno in collaborazione con il diparti-mento per le Pari opportunità e dedicato alla prevenzione e alcontrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (MGF).L’attivazione del Numero Verde e la campagna a esso associatahanno rappresentato un importante strumento per sensibilizzaree far conoscere un fenomeno da molti ancora ignorato, e con-

tribuire a prevenire, contrastare e reprimerepratiche che violano i diritti fondamentalidell’integrità della persona di donne e bambine,soprattutto di quelle provenienti dai Paesi in viadi sviluppo. Sulla stessa linea la campagnarelativa alla tratta degli esseri umani, anche inquesto caso realizzata dal ministero dell’Internoin collaborazione con il dipartimento per le Pariopportunità, per aumentare la consapevolezza

della gravità e complessità del fenomeno e promuovere l’utilizzodel Numero Verde antitratta sia da parte dei cittadini, sia da partedelle potenziali vittime.

La comunicazione come strumento di servizioComunicazione è anche cultura del servizio. È offrire agli

immigrati gli strumenti per accedere facilmente ai propri dirittie ottemperare ai propri doveri. Ed è la rete, come nel casodell’informazione, il veicolo principale attraverso cui le istituzionisi pongono al servizio del cittadino.

Ancora una volta partiamo da un caso concreto: le azioniintraprese in occasione del decreto flussi. La procedura adottata,sperimentata nel 2007, si è svolta esclusivamente on line, mal’amministrazione ha supportato il cittadino nell’intero iter proce-dimentale. Prima del cosiddetto “click day”, il portale del ministerodell’Interno ha messo a disposizione degli utenti tutte le informazioniutili per scaricare l’applicativo con il quale inoltrare la domandae le istruzioni sulla compilazione dei moduli. Dopo l’invio,l’amministrazione ha fornito e continua a fornire un servizio diassistenza che, attraverso gli identificativi personali, permettedi verificare lo stato della domanda. Nella stessa direzioneanche le azioni realizzate dalle amministrazioni sul territorio:molte prefetture oggi garantiscono la possibilità di verificareon line lo stato della pratica di concessione della cittadinanza,consultando l’apposita sezione del sito istituzionale.

Tuttavia, accanto al web, la comunicazione si avvale anchedi prodotti più tradizionali per facilitare gli immigrati nell’accessoai servizi. Nel caso della procedura di regolarizzazione di colf

Le campagne realizzate con le Pari opportunità, relative alle mutilazioni genitali femminili e alla tratta degli esseri umani.L’attivazione del Numero Verdeper la prevenzione e il contrasto

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e badanti, ad esempio, oltre alle informazioni disponibili in rete,in particolare nello speciale pubblicato sul sito www.interno.ite sul sito www.lavoro.gov.it, il ministero dell’Interno e il ministerodel Lavoro e delle Politiche sociali hanno realizzato una brochure,una sorta di “come fare per” dedicato ai cittadini, in cui è statospiegato in cosa consista la procedura per l’emersione del lavoroirregolare di colf e badanti cittadini extracomunitari e ha fornitole notizie necessarie ad accedervi, compreso il ruolo e lecompetenze degli Sportelli unici per l'immigrazione.

Comunicazione per far conoscere un servizio. Ma anchecomunicazione che diventa essa stessa servizio. È quello cheè successo per le attività di supporto alla formazione linguistica.L’accordo per l’integrazione redatto in collaborazione con ilministero del Lavoro e delle Politiche sociali, come ricordato,prevede – tra gli specifici obiettivi – che lo straniero siimpegni a raggiungere nel periodo di vigenza del permessodi soggiorno l’acquisizione della conoscenza di base dellalingua italiana.

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Al fine di agevolare questo processo di alfabetizzazione, ilministero dell’Interno ha dunque realizzato un progetto, finanziatocon risorse del Fondo europeo per l’ integrazione (Fei), incollaborazione con Rai educational, indirizzato agli stranieripresenti sul territorio italiano. È “Cantieri d’Italia - l’italiano di baseper costruire la cittadinanza”, un corso di base di italianoorganizzato in moduli e, insieme, un corso di educazione allalegalità attraverso la descrizione di una mappa dei diritti e deidoveri del cittadino, realizzato anche attraverso la redazionedi un sito internet dedicato e un programma televisivo, al

quale questo numero dedica uno specialeapprofondimento (cfr. più avanti l’articolo diAlberto Bordi).

Le iniziative fin qui presentate delineanoun programma strategico nel quale lacomunicazione è protagonista dei percorsidi inclusione sociale. La porta attraverso laquale le istituzioni si aprono ai cittadini e icittadini – anche immigrati – possono accedere

alle istituzioni. Informazioni chiare e complete vogliono dire maggiore con-

sapevolezza e maggiore consapevolezza vuol dire maggioreresponsabilità, da parte di tutti, italiani e stranieri, cittadini eistituzioni. Chiarezza dei diritti e certezza dei doveri, quindi,come strada maestra per una pacifica e costruttiva convivenzae un ruolo della comunicazione istituzionale sempre più premi-nente nel processo di integrazione degli stranieri immigratinel nostro Paese.

La comunicazione intesa come programma strategico per attivare percorsi di inclusione sociale degli immigrati e canali di collegamento con le diverse istituzioni

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attrazione che esercita l’Unione Europea non può essere

intesa solo in termini di mercato ma anche di solidarietà.

Non si può garantire soltanto il benessere al proprio

interno quando a soli 80 chilometri dalla Sicilia si apre un continente

che è per tre quarti povertà. Deve cominciare una nuova fase in cui

l’Europa impari a dare: a dare senza ricevere, perché ha ricevuto

già molto”. Un grande storico come Gabriele De Rosa inquadrava

così, negli anni scorsi, i problemi che oggi sono esplosi

con la drammatica emergenza alimentata dai sommovimenti politici

in atto nell’Africa del Nord e in Medio Oriente. L’Italia è al centro

di tali avvenimenti perché è il naturale collegamento europeo

con il Mediterraneo e con i Paesi antichi e nuovi che vi si affacciano.

Perciò noi, non solo noi, ma noi più degli altri vi siamo coinvolti.

In che consiste questo “imparare a dare” che si chiede all’Europa?

C’è la fase dell’emergenza, che ha una connotazione prevalentemente

umanitaria e chiama in causa indistintamente tutti. Ma assieme

all’emergenza c’è l’aspetto dei mutamenti in atto e di come affrontarli.

“Dare” significa concepire politiche di lungo periodo a sostegno

della primavera in corso dei popoli arabi; significa essere avvertiti

che dietro la prima linea mediterranea dei Paesi africani ci sono

quelli della fascia sub-sahariana con un carico di arretratezza,

di povertà e di incrementi demografici ancora più esplosivi di quelli

della prima linea.

Abbiamo documentato più volte su questa rivista l’aumento

di popolazione che l’Africa avrà nell’arco di poche decine di anni:

un miliardo di esseri umani in più rispetto a oggi, l’Europa qualche

centinaio di milioni in meno. Se l’Europa non vuole diventare

un grande Titanic deve sbrigarsi a cambiare rotta prima

di ritrovarsi in un Mediterraneo pieno di iceberg. Le polemiche

lanciate sul ruolo e sull’utilità dell’Unione Europea riguardano questo:

l’Europa – e anche noi naturalmente – deve uscire fuori

dal provincialismo e dalla miopia nei confronti dei destini del mondo

intorno a noi.

Giuseppe Sangiorgi

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Se l’Europa impara a dare

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Il risveglio arabo in rotta sul Mediterraneo

di Claudia Svampa

Un mare di cadaveri in overbooking nella lotteriadell’approdo, che decide le sorti di chi galleggia e dichi affonda. Sono 15.760 secondo Fortress Europei migranti morti in traversata dal 1998 a oggi:eventi ricorrenti nella storia dei viaggi dei disperati

Quelle acque affamate di migrantiLa Tunisia e la Libia, destabilizzate dalle rivoluzioni interne,

non li contengono più come prima. La Francia interventista guardalontano da Schengen e non li vuole, la piccola Malta non haspazio e allora non li vede, la grassa UE è pesante e ha il passolento, e nel più trafficato specchio di mare che divide chi va sullerotte militari e chi viene sulle rotte clandestine c’è da sempredrammaticamente chi resta in fondo al mare. Perché l’esododella disperazione e il sogno mai abbandonato di approdaresull’altra sponda continuano a listare a lutto la fuga mediterraneaverso nord. Da anni quelle acque affamate di migranti tornanociclicamente a proporsi come un cimitero sottomarino mai sazio.Un mare di cadaveri, in overbooking nella lotteria dell’approdoche decide le sorti di chi galleggia e di chi affonda.

Sono 15.760, secondo Fortress Europe, i migranti morti intraversata dal 1998 ad oggi. Eventi tanto inumani quanto ricorrentinella storia della navigazione delle “carrette” dei disperati,determinati dalla solita triade di congiunture nefaste: l’imperiziadel traghettatore, l’inadeguatezza e il sovraccarico del barcone,le condizioni proibitive del mare. Come i 250 subsaharianiinghiottiti dai flutti ad aprile scorso con ancora le braccia teseverso i soccorritori italiani. La salvezza, sfuggita di mano a pochimetri di distanza. Ma c’è di mezzo il mare che inghiotte in quelcuneo d’acqua Sar (soccorso e ricerca) di discussa competenzamaltese dove La Valletta, questa volta, ha girato l’allerta satellitareal comando italiano. Notti di morte e maestrale che beffano ifaticosi accordi bilaterali che nelle stesse ore hanno tenuto

Nel più trafficato specchio di mare che divide chi va sulle rotte militari e chi viene sulle rotte clandestine c’è da sempre chi resta in fondo al mare

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impegnate Italia e Tunisia per arginare l’ignoto: 25mila fino ad oggigli immigrati, clandestini e richiedenti asilo, sbarcati sulle costesiciliane negli ultimi tre mesi, 400mila secondo Laura Boldrini,alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr) quelli pronti a partire.O forse più, infinitamente di più. Ad oggi nessuno può davvero dirlo.

La quadratura del primo cerchio negli accordi di TunisiPerché è tanto difficile negoziare i rimpatri dei clandestini nel

Paese di provenienza? Indubbiamente perché Tunisi non è Parigie non val bene una messa, considerando che la nazione a 50minuti di volo dall’Italia si divide in due grandi tifoserie: quelliche in Europa sono riusciti ad arrivarci e quelli che ci stannoprovando o continueranno a desiderarlo. E per un governotemporaneo, fragile come ali di farfalla, usare il pugno di ferrocon il Paese e decretare che il sogno tunisino verso l’Europa èal capolinea sarebbe un atto kamikaze.

Soprattutto se dietro l’angolo delle prime elezioni libere dopola caduta di Ben Ali in programma il 24 luglio prossimo si ha unpartito islamico, Al-Nadha (movimento islamico tunisino) in listaelettorale, e che, dai sondaggi, appare posizionarsi oltre il 20%del gradimento degli elettori. Mentre il governo tenta di costruireuna democrazia di impianto bourguibista con una cultura laicistasu un tessuto sociale che conta un’etnia araba e una fede musul-mana sunnita entrambe pari al 98%. Ça va sans dire allora cheil negoziato-fiume bilaterale andato avanti per due giorni a Tunisie che si è concluso per il ministro dell’Interno Roberto Maroni conil raggiungimento dell’accordo e la firma volta a fermare l’esododegli immigrati, abbia legittimamente sigillato la fatica dellamediazione in quella frase “ma che avventura” lasciata sul libroospiti dell’ambasciata italiana dal capo del Viminale alla finedell’estenuante maratona.

L’accordo tecnico di cooperazione operativa fra l’Italia e laTunisia raggiunto il 6 aprile scorso mira, da un lato, a rafforzarela cooperazione nei controlli di coste e mare allo scopo di prevenirel’attraversamento illegale delle frontiere, la lotta contro la migrazioneirregolare e la tratta di esseri umani. Dall’altro, regola il lato piùspinoso, ovvero il rimpatrio dei cittadini in situazioni di irregolarità,e indica nelle intenzioni di Tunisi la volontà di riprendersi gliimmigrati che sbarcano clandestinamente a Lampedusa.Naturalmente al centro degli accordi persistono aiuti e contributinella formazione del personale impegnato nella lotta all’immi-grazione clandestina, tanto quanto l’impegno, già preso dalpresidente del consiglio Silvio Berlusconi con il presidentead interim tunisino Fouad Mebazaa nell’incontro del 5 aprile,

I tunisini si dividono in due grandi tifoserie:quelli che in Europa sono riusciti ad arrivarci e quelli che ci stanno provando o continueranno a desiderarlo

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a concedere 75 milioni di euro di aiuti economici per piccole emedie imprese locali e 35 milioni di euro per la costruzionedel sistema di rete per il monitoraggio radar delle coste.

La quadratura del secondo cerchio, tutta da riscrivere, è invecequella con Tripoli. Nelle previsioni dei flussi migratori torna a esseredestabilizzante l’incognita Libia, dove la mancanza di interlocutoria seguito della guerra civile e dei futuri e incerti sviluppi ha di fatto“congelato” la validità del Trattato di amicizia, partenariato ecooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 ed entratoin vigore il 2 marzo 2009, facendo massicciamente riprendere iviaggi della disperazione di immigrati di provenienza subsaharianache tra il 2009 e il 2010 avevano subìto una battuta d’arresto aseguito di un significativo pattugliamento delle coste di imbarcoe dei confini terrestri battuti dalle rotte dei migranti.

La tenuta del controllo libico, tuttavia, resta la regia fonda-mentale nel controllo delle migrazioni del continente africanoverso l’Europa, con un potenziale umano di transito e fuga daiPaesi poveri o in guerra che potrebbe tradursi in un esercito dimilioni di disperati pronti a salpare verso le coste nord delMediterraneo.

L’appeal napoleonico della Francia di SarkozySe durante la rivoluzione tunisina l’Eliseo si era così

tenacemente aggrappato all’ultimo Ben Ali al punto da uscirne,contemporaneamente alla caduta del rais di Cartagine, conun’immagine di lungimiranza in politica estera un tantinoappannata, e con un ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Marie,costretto alle dimissioni (per via di una quantomai inopportunavilleggiatura di fine anno sulle bianchissime spiagge tunisinenegli stessi giorni in cui nel Paese impazzava la rivolta popolarecontro il regime poi destituito) l’appeal napoleonico della Franciadi Nicolas Sarkozy non si è fatto attendere quando al rogo èstato messo Moahammar Gheddafi. Con son ami Ben Ali ilpresidente francese aveva invero da sempre una tal buona intesada aver mal digerito l’inequivocabile fischio di inizio dato dagliStati Uniti ai fuochi arabi della rivoluzione. Altrettanto buona nonsi è invece rivelata l’intesa con un leggendario voltagabbanacome Gheddafi.

Eppure pareva essere nata sotto una buona costellazione,nel 2007, quando Sarkozy salì all’Eliseo per scelta elettoraledel popolo francese e, secondo le dichiarazioni del figlio diGheddafi Saif Al-Islam, non ultimo grazie anche ai finanziamentiche suo padre avrebbe generosamente elargito durante ladispendiosa campagna elettorale di Nicolas Sarkozy per la

La tenuta del controllo libico resta la regia fondamentale nel controllo delle migrazioni verso l’Europa

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presidenza. Finanziamento smentito dal presidente francese,che tuttavia verso il rais di Tripoli nutriva all’epoca tale simpatiada accoglierlo a Parigi pochi mesi dopo la sua elezione con tuttigli onori tributabili allo stravagante cerimoniale proprio del leaderlibico, ivi inclusi tenda berbera e codazzo di 400 amazzoni esicurezza di rito. Nella bilaterale Francia-Libia, durata cinquegiorni, non mancarono promesse di partnership economica nelleforniture di unità navali, mezzi militari aerei da caccia (come iRafale oggi impegnati a bombardare i bunker del rais) ed elicotteri.Promesse che naturalmente Gheddafi si guardò bene dalmantenere.

E per apparire più irritante al cospetto del suo già seccatointerlocutore francese pensò bene di mandare all’aria l’ambiziosoprogetto di Sarkozy dell’Unione per il Mediterraneo, che prevedevala creazione di sviluppo attraverso il libero scambio come altempo delle repubbliche marinare fra i paesi UE e la riva suddel Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia includendo Israele.Programma che tuttavia non incontrava il consenso stretto dellaGermania e che poneva come condizione di partenza da partedi Washington la nascita di democrazie nei Paesi arabi. Manell’insieme un gran bel progetto per il Mediterraneo, dal sapore

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eurabista e sul quale Gheddafi lanciò tutti i suoi strali, nonpartecipando alla cerimonia di inaugurazione e invitando i Paesiarabi a considerarlo un programma volto alla “colonizzazioneeconomica” e un terreno fertile per il terrorismo islamico. In altritermini strangolò la creaturina di Sarkozy prima che emettesseil primo vagito.

Ma l’ira funesta di Parigi che ha alimentato il rabbiosoaccanimento nel tentativo di cacciata del rais e l’interventismomilitare in Libia non può prescindere dalla necessità assolutadella Francia di doversi assicurare un corridoio di transito sulMediterraneo attraverso quelle rotte che, oltre a incrociare ilcammino disperato dei clandestini in fuga dai Paesi subsaharianie dal golfo di Guinea, accompagnano il business dell’uranio. Vistoche il colosso francese del nucleare, l’Avera, dopo aver sborsatoben 1,2 miliardi di euro aggiudicandosi la preziosa miniera diuranio fra le sabbie di Agadez in Niger (il secondo giacimento almondo), dal 2012 disporrà di una ingente quantità di uranio,5mila tonnellate l’anno per i prossimi 35 anni, da dover trasportare evendere, a tutto beneficio di un immenso investimento fatto innome dell’energia nucleare. Peccato che, dopo il devastanteterremoto del Giappone e i conseguenti incresciosi incidentialle centrali nucleari di Fukushima, la realizzazione di nuovecentrali nucleari non rappresenti più una priorità nelle agendeinternazionali ma un’alternativa energetica tutta da rivedere.

Se la rivoluzione diventa una maledizioneMentre la rivoluzione libica incrocia la sua battuta d’arresto in

cui la distinzione fra vincitori e vinti sul territorio non è di fattocosì marcata, e l’intervento militare Nato dal cielo resta sospesofra le azioni dell’aviazione e quelle della diplomazia, il resto deiPaesi arabi non naviga in acque molto più calme. Dopo laTunisia e l’Egitto, impegnate nella grande sfida dei governi ditransizione in attesa di risultati elettorali che saranno espressionedella volontà democratica e popolare, il sacro fuoco della rivoltae delle repressioni ha toccato molti altri Paesi del mondo arabo. Dalla Siria, le cui rivolte interne sono state finora soffocate nelsangue, al Bahrein, Paese guidato da una monarchia sunnitacontrastata da sommovimenti sciiti appoggiati dal governo diTeheran, allo Yemen dove il presidente Ali Abdullah Saleh harespinto il piano proposto dai sauditi e dai Paesi arabi del Golfoche prevedeva le sue dimissioni e la fine della crisi politica nelPaese, nel suo complesso, il risveglio arabo, rischia di inglobarenelle sue reazioni a catena realtà tanto diverse da rappresentareun pericolo ingestibile quando la combustione avviene a così

Parigi non può prescindere dalla necessità di doversi assicurare un corridoio di transito sul Mediterraneo attraverso quelle rotte che accompagnanoil business dell’uranio

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Il risveglio arabo in rotta sul Mediterraneo

breve distanza fra tante polveriere. Se è vero che, fino ad oggi,il motore trainante delle rivoluzioni e delle proteste sembraessere stato indistintamente un movimento per lo più giovanile,inneggiante ai valori di libertà e democrazia e dunque, se purcostituito da musulmani, che a buona ragione potrebbe esseredefinito post-islamista, è anche vero che nella possibileradicalizzazione di un clima di protesta diffuso e nelle inevitabiliricadute di instabilità socio-economica che ne deriverebbero,non farebbero fatica a fare capolino tutti quegli islamisti, finorarimasti nel buio, e che presto potrebbero tornare alla luce. Del restose Egitto e Tunisia, i primi due Stati a decapitare i precedentigoverni e ad aver avviato l’azione rivoluzionaria di un camminodemocratico, sono pur sempre Stati-nazione, Paesi come la Libiao lo Yemen sono al contrario Stati-tribù, che nell’esercizio dellagestione democratica non trovano gli stessi criteri applicativi deiprimi. Il concetto di democrazia allora torna a intersecarsi conquello coranico dove, tradizionalmente e culturalmente, i diritticollettivi hanno sempre avuto la meglio su quelli individuali. Edove il rischio islamista, possibile e indesiderato gadget inomaggio con la rivoluzione araba in atto, non dovrebbe maiessere sottostimato. Principalmente perché, in genere, chi cominciauna rivoluzione non è mai chi la finisce.

“Il mondo che vogliamo” nel copyright di Obama al Cairo“E vorrei dire con particolare chiarezza ai giovani di ogni fede

e di ogni Paese: voi, più di chiunque altro avete la possibilità dicambiare questo mondo”. Con queste parole, nel luglio del 2009,il presidente americano Barack Obama si rivolse a un’infiammataplatea studentesca egiziana nel celebre discorso all’universitàdel Cairo che oggi può essere letto solo come lungimiranteanteprima di quello che di lì a poco sarebbe accaduto. Unabbozzato ma già definito copione di temi che avrebberocostituito il motore delle rivolta verso la democratizzazione delmondo arabo secondo gli schemi americani. “Io sono profon-damente e irremovibilmente convinto – sottolineò Obama – che tuttii popoli aspirano a determinate cose: la possibilità di esprimersiliberamente e decidere in che modo vogliono essere governati,la fiducia nella legalità e in un’equa amministrazione della giustizia;un governo che sia trasparente e non si approfitti del popolo;la libertà di vivere come si sceglie di voler vivere. Questi nonsono ideali solo americani: sono diritti umani, ed è per questoche noi li sosterremo ovunque”.

E poi l’inquilino della Casa Bianca diede visibilità a quelli chesarebbero stati, di li a poco, i cavalli di Troia: i social-network,

Finora il motore delle rivoluzioni è stato un movimento giovanile che inneggia alla libertà e alla democrazia,ma la radicaliz-zazionedel conflitto può far emergere il pericolo islamista

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Il risveglio arabo in rotta sul Mediterraneo

tanto invisi ai governi arabi quanto amati dai giovani rivoluzionari,con cui questi ultimi avrebbero diffuso i video della protestacasa per casa.

“So che agli occhi di molti – disse il presidente – il volto dellaglobalizzazione è contraddittorio. Internet e la televisione possonoportare conoscenza e informazione, ma anche forme offensive disessualità e di violenza fine a se stessa. […] In tutte le nazioni –compresa la mia – questo cambiamento implica paura. […] Soanche però che il progresso umano non si può fermare, non cideve essere contraddizione fra sviluppo e tradizione. In Paesicome Giappone e Corea del Sud lo sviluppo cresce mentrele tradizioni culturali restano invariate. Lo stesso vale per lostraordinario progresso di Paesi a maggioranza musulmanacome Kuala Lumpur e Dubai. Nei tempi antichi, come ai nostrigiorni, le comunità musulmane sono sempre state all’avanguardianell’innovazione e nell’istruzione”.

Rilette oggi, le parole di Obama, impediscono di affermareche quanto accaduto nella primavera araba fosse impossibileda prevedere. “Noi abbiamo la possibilità di creare il mondoche vogliamo, ma soltanto se avremo il coraggio di dare il viaa un nuovo inizio” suggerì con il potere della persuasioneamericana l’uomo di Washington ai giovani del Cairo. E loro, igiovani arabi, non l’hanno deluso.

Il discorso di Obama all’universitàdel Caironel 2009:quasi un’anteprima di quanto è successo

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Un cambiamentoche nasce dal basso

Intervista a cura di Gabriele Natalizia e Gabriele Vargiu

Intervista ad Antonello Folco Biagini, pro-rettoreper la Cooperazione e le relazioni internazionalialla “Sapienza”. Un’analisi sulle rivolte in attoin Nord-Africa e Medio-Oriente, le specificitàdel caso libico, il ruolo dell’Europa e degli Usa

Gli sconvolgimenti politici e sociali che stanno attraversandoil mondo arabo, assumendo una particolare intensità negli Statidel Nord-Africa, impongono una riflessione su quelle chepotranno essere le conseguenze, sia a livello domestico che alivello internazionale, della possibile delegittimazione della classedirigente che ha raggiunto il potere in seguito al dissolvimentodegli imperi coloniali europei. Sia i regimi repubblicani, la cuiprincipale fonte di legittimazione è stata generata dal carismadi un leader, che quelli monarchici, la cui legittimità è stata unprodotto della conformità alla tradizione, si devono confrontarecon forme di contestazione che assumono, a seconda deicontesti, un grado più o meno intenso.

Nonostante anche nel passato il fenomeno dell’instabilitàavesse colpito l’area, questa volta ci troviamo al cospetto di unfenomeno non circoscrivibile a un singolo Stato e tale da deter-minare uno scenario molto più magmatico e, di conseguenza,imprevedibile. L’Italia in particolare, per via della sua posizionegeografica che la vede al centro del Mediterraneo e proiettataverso la sua sponda meridionale, ha tutto l’interesse alla stabi-lizzazione di questi Paesi, nonché all’emergere di un poterepolitico capace di assicurare contemporaneamente ordine esviluppo.

Per tracciare un quadro di analisi più chiaro di quello daicontorni sfumati che emerge dal susseguirsi di un flusso di notiziespesso contraddittorio, ci siamo confrontati sul tema conAntonello Folco Biagini, pro-rettore di “Sapienza” universitàdi Roma per la Cooperazione e le Relazioni internazionali.

L’interesse strategico dell’Italia che nei Paesi del Mediterraneo emerga un potere politico in grado di assicurare ordine e sviluppo

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Intervista ad Antonello Folco Biagini

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Tunisia, Egitto e Libia. Quanto e inquali dimensioni queste rivoluzioni/rivoltesono collegate tra loro e quali sono,secondo il suo giudizio, i loro principalielementi di distinzione?

Una distinzione fondamentale vaoperata a priori tra gli eventi tunisinied egiziani e quelli libici. Per quantoconcerne la prime due rivolte, i punti incomune risultano facilmente ravvisabili:una corruzione diffusa dell’apparatopolitico e amministrativo, che ha generatol’esasperazione e l’impoverimento dellasocietà civile. Le protestecontro gli alti tassi didisoccupazione e ilcaro prezzi hanno finda subito individuatoquale loro obiett ivocentrale la deposizionedi quei leader e diquelle piccole casteche si sono arricchitinel corso degli annicon affari e procedurespesso poco ortodossi.Altro elemento di contatto importante trala protesta tunisina e quella egiziana èstato l’uso dei mezzi di comunicazionedi ultima generazione, quale strumentodi coordinamento tra i manifestanti, e ilruolo giocato nella diffusione delle notiziedall’emittente televisiva in lingua arabaAl Jazeera. Sia nelle fasi precedenti alloscoppio dei tumulti, che durante il lorosviluppo, questi strumenti sono risultatifondamentali per favorire la presa dicoscienza da parte dell’opinione pubblicacirca l’inadeguatezza delle rispettiveclassi dirigenti: la velocità con cui leinformazioni sono risultate trasmesse,d’altronde, è stata tale da permettereparagoni istantanei e riflessioni immediate.

Il discorso cambia radicalmente se si

passa al caso libico. L’analisi di quantoaccaduto – e di quanto tuttora staaccadendo – non può, infatti, esimersi dalsottolineare le peculiarità e le anomalieche distinguono la Libia dagli altri regimidell’area nordafricana. Va considerato,anzitutto, che il Paese ha una storiaunitaria recentissima, che risale solo aitempi della colonizzazione italiana, e unacoscienza nazionale ancora poco sviluppata.L’unificazione forzata tra le due provincedella Tripolitania e della Cirenaica haportato, nel corso del XXI secolo, al per-

manere di un costantestato di tensione tra iclan rivali. Questo eragià divenuto evidentenel 1969 con il colpo diStato che portò Gheddafial potere. L’avventodell’allora colonnello,originario di Sirte, puòessere letto come unarivincita delle tribù tri-poline su quelle dell’areadi Bengasi, che, a partire

dal conseguimento dell’indipendenza,avevano gestito il potere per mezzo delsovrano senoussita Idris I. Le protesteodierne, quindi, possono essere interpre-tate come un tentativo di rivincita dellepopolazioni della Cirenaica, volto a farriacquistare loro quell’autonomia e quel-l’influenza mortificate dal quarantennaleregime di Gheddafi.

Nel caso libico, in altri termini, la pro-testa non ha origini di natura economica,come nei Paesi limitrofi. La popolazionedella Libia, d’altronde, gode di un tenoredi vita più alto di quelle della Tunisia edell’Egitto. A mio giudizio, quindi, è risultatainfluenzata dai moti rivoluzionari di que-st’ultimi solo in via marginale. Credo, alcontrario, che i leader della rivolta libica

Gli elementi di contatto tra la protesta tunisina e quella egiziana dei mesi scorsi. Il ruolo giocato dall’emittente televisiva Al Jazeera.Perché il caso della Libia è del tutto diverso dagli altri

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abbiano voluto sfruttare la congiunturainternazionale favorevole per portarein piazza rivendicazioni politiche che,già da tempo, covavano sotto le ceneri.

Algeria, Marocco, Yemen, Bahrein.Cosa ne pensa riguardo alla possibilitàche l’effetto domino continui investendoi regimi di questi Paesi? O pensa che cene siano altri, che non abbiamo citato,la cui stabilità corre seri rischi?

Desta sorpresa la presenza delBahrein nell’elenco dei possibili Paesi“a rischio”, in quanto si tratta di unricco e tranquillo regno che sembravaal riparo dai moti di protesta del vicinoNord-Africa. In questo caso il piccoloStato del Golfo Persico sta pagando glieffetti di una politica economica cheha portato nel Paese un numero diimmigrati talmente alto da alterarne il

fragile tessuto sociale. La presenza diuna consistente quota di lavoratoristranieri conduce sempre, nel breve onel lungo termine, a effetti di questotipo rispetto ai quali un’amministrazionestatale non può farsi trovare cosìimpreparata.

Si tratta, in verità, di un problemacomune nel mondo islamico, che derivaparzialmente da quei precetti coranicisecondo i quali il vero musulmano deveesimersi dallo svolgere le professionipiù umili, che devono essere tradizio-nalmente affidate agli stranieri. Unasituazione non dissimile è presenteanche in Arabia Saudita, un Paese nonancora inserito in questa particolareblack list, ma che lo potrebbe essere nelcaso in cui nella regione si consolidasseun clima insurrezionale permanente.Riyad rispetto ai suoi vicini gode di

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almeno tre vantaggi. Anzitutto è la sededi due delle città sante dell’Islam, LaMecca e Medina, la cui sacralità poneil territorio saudita alriparo da rivolte su vastascala e spargimentidi sangue. Un secondofattore di stabilità èrappresentato dal fattoche la corona sauditaha saputo giocare unasapiente partita sulloscacchiere interna-zionale, riuscendo amantenere una strettaalleanza con gli StatiUniti pur senza prendere ufficialmentele distanze dagli obiettivi politici delfondamentalismo islamico. Non è trascu-rabile, infine, il significativo ruolo giocatodall’Arabia Saudita negli equilibri energeticidell’intero pianeta: un gruppo eterogeneodi portatori di interessi, di conseguenza,potrebbe convergere in aiuto alla dinastiaSaud nel caso il suo potere vacillasse.

Sui giornali un numero sempremaggiore di opinionisti parla senzaremore di un “’89 del mondo arabo”.Secondo lei, da un punto di vistaaccademico e quindi non interessatoal sensazionalismo delle cronache,questo accostamento è effettivamenterealistico?

Chi si esercita nell’analisi della politicacomparata non può non accorgersi diquanto un simile paragone risulti forzatoe poco realistico. Gli eventi del 1989furono il risultato di una lunga crisi, cheaveva accompagnato il sistema sovieticoa partire dall’era Breznev quando, finital’industrializzazione stalinista e fallitala riforma agraria di Krusciov, Mosca siera trovata costretta a immettere fondi

sempre più consistenti nei suoi satellitiper evitare rivolte e defezioni nel camposocialista. Questi finanziamenti vennero

sostenuti con una piùattiva politica di estra-zione e vendita dellematerie prime, che finì,tuttavia, per vanificarei progressi nel settoresecondario raggiuntinel periodo stalinianoal prezzo di milioni dimorti: è, infatti, solo permezzo di un’economiaindirizzata sulla trasfor-mazione e non sulla

semplice vendita delle materie primeche risulta possibile ottenere un’effettivaredistribuzione della ricchezza. Le tardiveaperture liberali di Gorbaciov, nate sullascorta della presa di coscienza da partedella classe politica sovietica delledisfunzioni del sistema, non furono in gradodi correggere i difetti strutturali legatiall’eccessiva centralizzazione politicaed economica, né evitare il collasso siamilitare che sociale verificatosi alla finedegli anni Ottanta.

Il confronto tra queste dinamiche equelle attualmente in corso nel mondoarabo mostra chiaramente come nelcaso sovietico la spinta propulsiva alcambiamento è partita dall’élite politica,per legarsi solo successivamente a unmalcontento popolare strisciante. Alcontrario in Egitto, come negli altri Paesicoinvolti nelle recenti proteste, il cam-biamento è stato promosso dal basso eavversato dalle élite dominanti.

Pur non potendo prevedere glisviluppi politici, crede alla possibilitàche in questi Paesi, o anche solo inalcuni di essi, si possa istaurare una

Forzato e poco realistico il paragone tra quanto sta avvenendo nel mondo arabo e gli eventi del 1989nell’Europa dell’Est,che sono stati il culmine della lunga crisi del sistema sovietico

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democrazia sul modello europeo? Incaso negativo, qual è il tipo di regimeche più verosimilmente può istaurarsiin contesti che non hanno conosciutole nostre stesse tappe di evoluzionepolitica?

Appare chiaro che i regimi che potreb-bero sorgere sul le ceneri di quell iabbattuti non potranno essere iscritti apieno titolo all’interno di quelle chechiamiamo le democrazie parlamentaridi modello occidentale. Ritengo che perun’evoluzione di questo tipo sia neces-sario superare una serie di traguardisocio-economici che gli stati dell’areanordafricana e vicino-orientale nonhanno ancora raggiunto. Si tratta di unatrasformazione che l’Europa ha conse-guito in un arco di tempo di almenocinque secoli e che non può essere inalcun modo ottenuta con un semplicecolpo di mano.

A mio avviso la soluzione più realisticaè quella che si riallaccia all’esempiodella Turchia kemalista, un modello chegli Stat i Unit i hannosostenuto in seguitoalla dissoluzione del-l’Unione Sovietica.

Un’effettiva laiciz-zazione della societàe della poli t ica, inassenza di una classeborghese come quellache si è formata inEuropa dopo la Riformaprotestante, potrebberealisticamente esserepromossa dall’apparato militare. Questocostituisce una classe dirigente occi-dentalizzata, in quanto – soprattutto nelcaso egiziano – i suoi livelli più alti sisono formati nelle accademie americane.Non solo. L’esercito costituisce anche

un’istituzione autorevole, ma non neces-sariamente autoritaria, in grado di attivareun meccanismo elettorale condiviso e lacreazione dei rapporti di rappresentanza.Si tratta di una strada che il mondoarabo avrebbe dovuto intraprendere daalmeno trenta anni e che occorre nonrimandare ulteriormente.

L’appoggio alle rivolte da parte delpresidente americano Obama nel mediotermine quanto rinforza la posizione degliStati Uniti nell’arco che parte dal Maghrebe arriva in Asia centrale?

Molto probabilmente la posizionestatunitense nella regione finirà perrinforzarsi nel lungo periodo. Tuttavianutro delle profonde riserve per quantoriguarda il breve periodo, a causa dellescelte strategiche, diplomatiche e militaricompiute, nonché dei tempi di reazionedella Casa Bianca. Vi è stata, in particolarmodo nei riguardi della questione libica,una pericolosa inerzia nei momenti inizialidella crisi. Questa critica può essere estesa

a tutto l’Occidente, chesi è trovato sostanzial-mente impreparato difronte agli stravolgi-menti che hanno colpitoun’area nevralgica per isuoi interessi: il climadi rivolta e l’insoddisfa-zione delle popolazionisembrano aver sorpresotutti i più rilevanti attoridella comunità interna-zionale, nonostante il

forte impegno di mezzi e fondi destinatiall’intelligence per il monitoraggio di questedinamiche.

Il fattore sorpresa, dunque, ha impeditodi mettere in campo repentinamente unastrategia risoluta e oggi se ne pagano

In Paesi come l’Egitto la transizione può essere sostenuta dall’esercito,un’istituzione autorevole ma non necessariamente autoritaria. Il difficile ruolo giocato dalla Casa Bianca in questa partita

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le conseguenze. Sempre relativamenteal caso libico, secondo la mia opinione,un intervento militare nei primi giorni dellarivolta avrebbe potuto portare in pocotempo al collasso del regime, evitandoi successivi spargimenti di sangue, gliimbarazzi diplomatici e la guerra civilescoppiata tra la Tripolitania e la Cirenaica.

Considerati i rapporti che l’Italia hacoltivato con i Paesi del mondo arabo,di fronte a questa contingenza storicaquale atteggiamento dovrebbe assumereRoma?

L’Italia per i suoi rapporti con i Paesiarabi e l’Europa per ragioni geopolitiche,dovrebbero assumersi l’onere di affrontaredirettamente la crisi nordafricana. Sembraperò che sia Roma che, sebbene in misuraminore, Bruxelles si limitino a discuteredelle possibili conseguenze di tali eventisui flussi migratori. Procrastinare decisionie valutazioni più complessive significaperdere un’ottima occasione per testarele capacità dell’ancora evanescentepolitica estera europea, nonché lasciareogni compito direttivo a Washington,come in fondo è già successo durantele precedenti crisi internazionali dellaBosnia -Erzegovina (1994 -1996) e delKosovo (1999).

Personalmente mi auguro che a unapolitica più attiva faccia seguito un mag-giore sforzo occidentale per comprenderepiù a fondo quelle peculiarità dellesocietà arabe che europei e americanicontinuano a ignorare. Mi riferisco, inparticolar modo, al significato pubblicodella divisione in clan che è ancora pre-dominante in buona parte delle societàpolitiche della regione: sottovalutandoil grado di conflittualità del tribalismolibico è stato impossibile prevedere lasollevazione di Bengasi.

Per concludere, dalla nostra prospet-tiva dobbiamo temere qualcosa da questimutamenti? Naturalmente il riferimentoè all’emergenza umanitaria di masse difuggiaschi, ai problemi legati al settoreenergetico o, ancora, all’affermazionedi movimenti fondamentalisti sull’altrasponda del Mediterraneo.

Sebbene non possano essere trascu-rati i rischi di una migrazione di massae i timori per i rifornimenti di idrocarburiprovenienti dalla regione, ritengo l’ipotesidell’affermazione di movimenti o regimifondamentalisti il pericolo più rilevante.Soprattutto perché il fenomeno in questione,come dimostrato in altr i casi, trovanell’anarchia e nell’assenza di un’autoritàin grado di imporre legittimamente l’ordineil terreno più fertile per la sua proliferazione.Un altro motivo per spronare l’Italia el’Europa a una politica più attiva, voltaalla stabilizzazione dei Paesi coinvoltinelle rivolte.

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Il “Mare nostrum”diventa adulto

A cura del Censis

I processi di transizione socio-economica dei Paesiche si affacciano sul Mediterraneo segnano interessanti tendenze di cui l’Italia deve tenere contoper orientare le proprie politiche verso quest’area

Le rivolte divampate dal dicembre scorso nei Paesi delNord-Africa, coinvolgendo in una rapida escalation anche loYemen, il Bahrein e la Siria, fino a sfociare nella sanguinosarepressione in Libia, hanno riportato sotto i riflettori internazionalile tensioni della regione del Mediterraneo. Nelle prime paginedei giornali di tutto il mondo si è parlato di una “primavera deipopoli arabi” per sottolineare la portata epocale di quello chesta accadendo: il risveglio di quelle società, che ora protestanocontro i regimi autocratici, destituiscono rais rimasti in sella perdecenni, reclamano una maggiore partecipazione democratica,complice anche l’effetto pervasivo di un sistema mediatico – acominciare dalle tv satellitari e il web – sempre più integratocon quelli occidentali.

Per noi, questi stravolgimenti si sono tradotti immediatamentein preoccupanti ripercussioni: la ripresa degli sbarchi dimigranti sulle nostre coste, che mettono a dura prova l’apparatodi prima accoglienza e rischiano di trasformarsi in un veromaremoto; i rifornimenti energetici a rischio, con l’impennatadei prezzi del greggio e dei carburanti; l’esigenza di tutelare gliinteressi economici dell’Italia nell’area; la ridefinizione di rapportibilaterali con nuovi governi dalle ambizioni democratiche e iprofili ancora sfumati.

Quale che sia l’esito politico-istituzionale dei fermenti di questimesi, la questione implica un balzo di sensibilità decisivo rispettoai tanti dibattiti organizzati in passato sul Mediterraneo, focalizzaticon un certo ritualismo sulla storia e l’arte, sulle culture e lereligioni della regione.

La “primaveradei popoli arabi”, come è stata definitasui massmedia, è un fenomeno di portata epocale,la protesta contro regimi autocratici di società che reclamano una maggiore partecipazione democratica

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Del resto, anche le relazioni istituzionali avviate tra i Paesieuropei e quelli della sponda sudorientale del bacino sonorimaste invariabilmente imprigionate in una gabbia di astrattoformalismo. Si pensi, ad esempio, al Partenariato euro-mediter-raneo lanciato con la Dichiarazione di Barcellona del 1995 e alfallimento dell’obiettivo di creare entro il 2010 una zona di liberoscambio Nord-Sud, che sarebbe dovuta essere la più grandefree trade zone al mondo – ricomprendendo una quarantina diPaesi e 800 milioni di consumatori, ovvero un terzo del Pilmondiale – ma che neanche la Politica europea di vicinato el’Unione per il Mediterraneo – avviata con il summit di Parigidel luglio 2008 all ’ insegna di un maggiore pragmatismomultilaterale – hanno saputo rilanciare, benché venga sempreribadita in ogni sede la priorità strategica delle relazioni euro-mediterranee.

Oggi il Mediterraneo sembra avviato verso una nuova fasedi maturità, occorre quindi mettere al centro delle analisi i realiprocessi di transizione socio-economica dei Paesi dell’area,con un capovolgimento di prospettiva significativo, approfondendoi fenomeni che – per quanto siano spesso di difficile misurazione –costituiscono i tasselli dei nuovi scenari emergenti. Si trattacertamente di una regione fortemente differenziata al suo interno,e sono molteplici le definizioni di “Mediterraneo” che possonoessere prese in considerazione, con accezioni diverse chedipendono dalle tradizioni storiografiche, i paradigmi di riferimento,angolazioni e convenzioni le più diverse e di volta in voltamutevoli. Al punto che il Mediterraneo storico, il Mediterraneosociale ed economico, il Mediterraneo politico ricalcano mappedai confini non sempre sovrapponibili, ricomprendendo talvoltaanche la penisola arabica, o dilatandosi verso un’idea geopoliticadi Mediterraneo “allargato” contigua a quella di Grande MedioOriente, che include non solo il Golfo Persico, ma si estendefino all’Iraq, all’Iran e ricomprende ormai anche l’Afghanistan.

Consideriamo qui l’arco dei Paesi non europei che affaccianosul bacino, dal Marocco alla Turchia, dalle coste di Gibilterra allostretto del Bosforo, per motivi storici e geopolitici più vicini all’Italiae all’Europa. La regione del Mediterraneo così intesa si estendesu una superficie territoriale di 6,8 milioni di kmq (un aggregatogeografico secondo nel mondo, per dimensione, solo al territoriodella Russia, della Cina e degli Stati Uniti), dove vive una popola-zione di oltre 284 milioni di abitanti, il 4,2% della popolazionemondiale, con un peso demografico pressoché simile a quellodegli Stati Uniti e superiore a quello della grande Russia e delpopoloso Giappone (tabella 1).

I risultati deludenti delle strategiefinora seguite nelle relazioni istituzionali ed economichefra Paesi europei e nazioni della sponda sudorientale

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Certo, si tratta di un aggregato non monolitico, anzi tutt’altroche omogeneo, con divari infraregionali che appaiono ancorarilevanti. Basti osservare, ad esempio, che nella regione delMediterraneo solo in Israele, Libia e Turchia si può contare suvalori del reddito pro-capite superiori alla media mondiale, mentrePalestina, Egitto, Siria e Marocco presentano un valore inferiorea 3.000 dollari annui per abitante (tabella 2). Una constatazione,questa, che rilancia la priorità del riallineamento sociale ed eco-nomico interno alla regione anche come fattore propedeutico aogni politica di progressiva integrazione euro-mediterranea.

Tabella 1. Il peso territoriale, demografico ed economico della regione del Mediterraneo nell’economiaglobale, 2009

Fonte: elaborazione Censis su dati World Bank, Eurostat

Unione Europea 4,2 501,1 16.374,5 32.677Stati Uniti 9,2 307,0 14.119,0 45.989Giappone 0,4 127,6 5.069,0 39.738Cina 9,3 1.331,5 4.985,5 3.744Russia 16,4 141,9 1.231,9 8.684India 3,0 1.155,3 1.310,2 1.134Regione del Mediterraneo (*) 6,8 284,3 1.444,1 5.079

Mondo 129,6 6.775,2 58.141,5 8.581

Superficie (milioni di kmq)

Popolazione(milioni

di abitanti)

Pil (miliardi

di dollari)

Pil pro-capite

(dollari)

(*) Comprende: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Israele, Territori PalestinesiOccupati, Libano, Siria e Turchia.

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Naturalmente, profonde differenze di reddito caratterizzanoanche l’Unione Europea allargata a 27 Paesi. Ma il rapporto trala maggiore ricchezza per abitante registrata nella regione delMediterraneo (in Israele) e quella minore (nei Territori PalestinesiOccupati) è pari a 20,6. E i divari sono netti nel confronto Nord-Sud:mediamente la ricchezza di un francese è pari a 34 volte quelladi un palestinese, quella di un italiano è pari a 17 volte quella di unegiziano e a 13 volte quella di un marocchino.

Al di là della ovvia cesura Nord-Sud, l’insieme dei Paesi delMaghreb, il Mashreq, la Turchia presentano quindi significativi

Tabella 2. Indicatori socio-economici di base dei Paesi del Mediterraneo, 2009

Fonte: elaborazione Censis su dati World Bank, Unicef

Marocco 31.993 2.770 38 72Algeria 34.895 4.420 32 73Tunisia 10.433 3.720 21 74Libia 6.420 12.020 19 74Egitto 82.999 2.070 21 70Giordania 5.951 3.980 25 73Israele 7.442 25.790 4 81Territori Palestinesi Occupati 4.043 (*) 1.250 30 74Libano 4.224 8.060 12 72Siria 21.092 2.410 16 74Turchia 74.816 8.720 20 72

Medio Oriente e Nord-Africa 376.580 3.029 41 70Africa subsahariana 840.292 1.135 129 53Asia del sud 1.567.720 1.082 71 64Asia dell’est e Pacifico 2.183.049 6.389 26 73America Latina e Caraibi 578.877 7.155 23 74Csi 404.153 6.854 21 69

Paesi industrializzati 988.390 40.463 6 80Paesi in via di sviluppo 5.580.485 2.988 66 67Paesi meno sviluppati 837.112 639 121 57

Mondo 6.775.236 8.728 60 69

Popolazione(migliaia)

Reddito nazionale

lordo pro-capite

(dollari in valoricorrenti)

Tasso di mortalità

sotto i 5 anni(per 1.000 nati vivi)

(*) Dato riferito al 2005.

Speranza di vita

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differenziali territoriali infraregionali tra i diversi Paesi appartenentialla regione, come si è visto, e all’interno dei singoli Paesi stessitra le aree più sviluppate e le zone più arretrate e segnate daprocessi di involuzione economica e sociale. Uno scenario che,soprattutto per noi italiani, abituati a leggere i divari di sviluppointerni secondo un modello dualistico che differenzia profonda-mente il nostro Mezzogiorno dalle regioni più avanzate delNord, non può non indirizzare l’attenzione verso l’obiettivo delriallineamento degli squilibri più gravi.

Si prenda il caso dell’Egitto, un Paese che nell’ultimo decennioha compiuto passi rilevanti sul sentiero dello sviluppo, ottenendosuccessi sostanziali nella pratica delle vaccinazioni, prossimea una copertura del 100%, per garantire la sopravvivenza e ilbuono stato di salute dei bambini; conseguentemente, nellariduzione del tasso di mortalità sotto i cinque anni, che è crollato,tra il 1990 e il 2009, da 90 a 21 decessi per mille bambini nativivi; nell’allungamento della speranza di vita, che mediamenteè aumentata, nello stesso periodo di tempo, da 63 a 70 anni;nell’iscrizione scolastica, che ha raggiunto ormai un tasso del99,7% nella scuola primaria.

L’osservazione dei dati articolati a livello territoriale evidenzia,però, significative differenze interne: il livello di alfabetizzazioneoscilla tra l’83,6% registrato nel governatorato di Port Said e il58,7% nella zona di Menia; l’indice di povertà varia tra il ridotto1,1% della popolazione residente nel governatorato di Damiettae l’1,9% di Suez, fino all’incidenza del 47,5% nell’area di Suhage addirittura del 61% nel governatorato di Assiut; il tasso didisoccupazione appare nettamente inferiore negli ultimi gover-natorati, dove l’arruolamento della forza lavoro nell’economiainformale e irregolare è molto più diffuso. E queste differenze siregistrano, naturalmente, anche sul fronte della speranza divita (72,7 anni a Port Said, 69,3 anni a Menia) o della mortalitàinfantile (11,8 decessi per mille nati vivi a Damietta, che salgonoa 35,2 per mille ad Assiut).

Ciò nondimeno, occorre sottolineare che nel medio periodosi registrano significativi processi di convergenza della strutturasocio-demografica dei Paesi del Mediterraneo verso standardassimilabili a quelli europei, confermati e rafforzati dalle proiezionial 2050 con riferimento innanzitutto ai tassi di fertilità, ai tassidi mortalità, all’aspettativa di vita e ai livelli di benessere dellepopolazioni.

Ad esempio, tra il 1970 e il 2009 il tasso di natalità è diminuitoin Giordania da 52 a 25 nascite per mille abitanti; nello stesso

I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo non rappresentanoun blocco omogeneo:esistono differenzialinotevolidal punto di vista socio-economicofra le nazionidella regionee, all’internodei singoliStati, fra zonepiù o menosviluppate

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arco di tempo, il tasso di mortalità si è ridotto in Marocco da 17a 6 decessi per mille abitanti; il tasso di mortalità sotto i cinqueanni si è drasticamente ridimensionato in Tunisia, scendendoda 187 a 21 per mille bambini nati vivi; il tasso di fertilità èpassato in Algeria da 7,4 a 2,3 figli per donna; sempre nelperiodo 1970-2009 l’aspettativa di vita è aumentata in Libia da51 a 74 anni.

Ma forse il dossier più scottante dell’area riguarda l’occu-pazione e la elevata presenza di giovani, che se rappresentanosenza dubbio una risorsa in termini di capitale umano, costituisconoal tempo stesso un fattore di pressione su un mercato del lavorogià fragile.

In Medio Oriente e Nord Africa il 31% circa della popolazioneha meno di 14 anni (si passa dal 27% dell’Algeria al 30% dellaLibia, al 32% dell’Egitto, al 35% della Siria), in contrapposizionea un continente europeo che invecchia progressivamente. E senell’Unione Europea, con sempre meno giovani, si evidenzia untendenziale depauperamento del bacino di manodopera, a cuicorrisponde un numero di persone in quiescenza in costanteaumento, l’area del Mediterraneo può attingere a un bacino di98,5 milioni di lavoratori.

Il mercato del lavoro regionale presenta però alcune evidenticriticità:

il meccanismo di assorbimento dell’offerta di lavoro nonregge appieno l’attuale forte pressione demografica. Il tasso didisoccupazione è pari mediamente al 10,6% in Medio Orientee Nord-Africa, comprendendo anche i ricchi Paesi produttori dipetrolio, ma la componente giovane e istruita viene fortementepenalizzata (il dato sale al 27%)

i tassi di crescita dell’economia, per quanto relativamentesostenuti, si coniugano con rilevanti incrementi demografici,con una marginalizzazione della componente femminile delmercato del lavoro (fa eccezione il contesto israeliano)

tradizionalmente nella regione il settore pubblico si è fattocarico della creazione di posti di lavoro. Tuttavia, i mutamentieconomici portati dalla globalizzazione riducono la possibilitàdi creare occupazione da parte delle amministrazioni pubbliche,mentre le restrizioni crescenti dei flussi migratori ridurranno lepossibilità di gestire efficacemente l’ingente bacino di mano-dopera attraverso la “valvola” migratoria

proprio la presenza significativa del settore pubbliconell’economia ha conferito margini di rigidità al mercato del lavoro.L’ampia quota di occupazione in questo settore fa sì che siano isalari del settore pubblico a trainare quelli del settore privato

Nonostante ilmiglioramentodegli standard di vita, nel Mediterraneo permane il problema della pressioneesercitata sul mercato del lavoro locale da un’elevatapresenza di giovani

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a differenza di quanto si è verificato nelle economie dell’Esteuropeo o in quelle asiatiche, nella regione del Mediterraneonon si sono registrati fenomeni di delocalizzazione produttivatali da poter introdurre rilevanti innesti imprenditoriali nell’areaattingendo al bacino di manodopera locale.

È dunque il momento di porre seriamente l’accento sullepotenzialità implicite in una serie di constatazioni non ancoraopportunamente sedimentate nel dibattito corrente:

la “nostra” Cina è assai prossima, si trova al di là delle acque delMediterraneo – si potrebbe dire usando uno slogan – poiché ilPil cumulato dei Paesi rivieraschi non europei, dal Marocco allaTurchia, ammonta già oggi a 1.444 miliardi di dollari (il 2,5% delPil mondiale), pari a quasi un terzo di quello della Cina, mamaggiore del prodotto complessivo dell’India

il Mediterraneo lo abbiamo già “in casa”, considerando i flussimigratori provenienti dalla riva sud stratificatisi in tanti anni(nel 2010 gli stranieri provenienti dai Paesi dell’area, soprattuttomarocchini, tunisini ed egiziani, regolarmente residenti in Italia,dove lavorano e fanno impresa, erano più di 675.000, ovvero il15,9% del numero totale di stranieri che vivono entro i nostriconfini)

c’è per noi la necessità di guardare a nuovi mercati, dopo lacrisi, per favorire la ripresa del nostro export, presidiando dipiù e meglio quelle aree finora rimaste ai margini del processodi riposizionamento delle imprese del made in Italy (al momentole esportazioni italiane nell’area sono pari a 18,2 miliardi dieuro, corrispondenti a una quota del 14,8% del nostro exportextra-Ue complessivo).

Del resto, il rafforzamento del ruolo del Mediterraneo nelcontesto dei flussi di trasporto globali è una realtà percepibileda almeno un decennio. Le dinamiche dei traffici marittimiinternazionali, spostando il traffico intercontinentale dal Canaledi Panama al percorso Suez-Gibilterra e ribaltando così gli assistrategici preesistenti, hanno riposizionato il Mediterraneo nelloscenario globale ricollocandolo al centro dei flussi est-ovest,sottraendo anche quote di traffico ai grandi porti del Mare delNord (Northern Range), tra Le Havre e Amburgo, fino a ieri iprincipali punti di arrivo delle merci in transito verso l’Europa.

Le potenzialità di un’area che ha un Pil di oltre 1400 miliardi di dollari e che può rappresentare un mercato a cui guardare perriposizionare le imprese del made in Italy dopo la crisi

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Una base comunedi principi e dirittiper un governo globaledelle migrazioni

di Guia Gilardoni fondazione Ismu

Le riflessioni emerse durante la XV Conferenzainternazionale del progetto Metropolis, network di istituzioni di ricerca, enti di governo e Ong che ha lo scopo di condividere buone pratichee politiche efficaci di gestione dell’immigrazione

Il Progetto internazionale Metropolis (http://www.international.metropolis.net) è costituito da un complesso di attività coordinatee promosse da istituzioni di ricerca, enti di governo e organizzazioninon governative, che hanno aderito all’iniziativa con l’intento dicondividere le buone pratiche e di contribuire a svilupparepolitiche efficaci per la gestione delle migrazioni. L’obiettivogenerale dell’iniziativa consiste nel favorire la condivisione traricerca operativa ed elaborazione delle politiche, soprattuttoa livello internazionale, promuovendo occasioni in cui i ricercatorie i policy maker si incontrano per esplorare e per dibattere iproblemi e i temi emergenti, nonché per verificare nuove possibilisoluzioni operative in risposta alle esigenze e ai bisogni cheemergono in contesti differenti. Attraverso un’intensa attività diconferenze e seminari, Metropolis consente ai decisori politici,ai funzionari operativi e agli studiosi di condividere ricerche,pubblicazioni, esperienze e progetti. Avviata nel 1995 dallaCarnegie Foundation americana e dal governo canadese, vi sisono associati il governo italiano (allora ministero degli Affarisociali) e israeliano (Ministry of Immigrant Absorption), con lacollaborazione anche di alcuni partner internazionali dell’areanordamericana ed europea (per l’Italia la fondazione Ismu). Nelcorso degli ultimi anni la rete di Metropolis è cresciuta grazieanche a un sempre maggiore coinvolgimento di partner africani,latinoamericani e asiatici.

La conferenza internazionale annuale costituisce una delleprincipali attività del network, promuovendo il confronto tra piùdi 900 esperti di migrazioni provenienti da tutto il mondo,

Hanno partecipato ai lavori oltre900 esperti di migrazioni provenienti da tutto il mondo.Negli ultimi anni la rete è cresciuta grazie a un sempre maggiore coinvolgimentodi partner africani latino-americani e asiatici

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doLa governance delle migrazioni globali

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attraverso un’offerta molto variegata di contenuti. L’ultimo incontrointernazionale, “Justice and Migration: Paradoxes of Belonging”, siè tenuto in Olanda, a L’Aia, mentre il prossimo, dal titolo“Migration Futures: Perspectives On Global Changes” si terrà inPortogallo, alle isole Azzorre, dal 12 al 16 settembre 20111.

I principali temi generali affrontati nel 2010 sono stati lemigrazioni internazionali e i processi di urbanizzazione, la questionedei rifugiati, il ruolo dei media e della società civile nei processidi integrazione e la governance delle migrazioni a livello globale.I 94 workshop proposti e organizzati da ricercatori, studiosi efunzionari hanno riguardato un’ampia serie di temi: dalle politichedi governo degli enti locali allo sviluppo della cooperazione alivello europeo per la ricezione dei richiedenti asilo, dall’importanzadegli apprendimenti linguistici alle sfide poste dai matrimoniinteretnici, al ruolo delle comunità religiose nei processi di inte-grazione alle istanze transnazionali, dalle condizioni abitativedei migranti alle esigenze in ambito sanitario, dall’inserimentonel mercato del lavoro dei migranti altamente qualificati all’impattoche le migrazioni da lavoro hanno sulle politiche nazionali,dall’etnicizzazione dello spazio pubblico alla segregazionespaziale e i suoi effetti sulle politiche.

In questa sede si riportano alcune delle considerazioniemerse nella sessione plenaria di chiusura intitolata “TowardsGlobal Governance of International Migration?”, volta ad affrontareil complesso tema della gestione internazionale delle migrazionie, in particolare, a richiamare l’importanza dei recenti sforzicompiuti per iniziare a definire un denominatore comune di principiquale base entro cui porre la questione della tutela dei diritti deimigranti. Ad eccezione dei rifugiati, non esiste infatti a livellomondiale alcun regime di coordinamento delle migrazioni inter-nazionali. Tuttavia, al pari di ogni altro ambito che richiede unagovernance planetaria, anche le migrazioni necessitano di accordie di intendimenti globali e della definizione di una cornicelegislativa comune.

I contributi dei relatori e il dibattito che ne è seguito hannoquindi esplorato, da un lato, il tema dei diritti dei migranti e,dall’altro, la praticabilità di accordi governativi, possibilmenteorientati non solo alla gestione dei flussi e al controllo delle frontiere,ma anche alla tutela dei diritti.

I principalitemi affrontati:i processi di urbanizzazione,la questione dei rifugiati,il ruolo dei media

La definizione di un denominatore comune diprincipi-baseentro cui porrela questione della tutela dei diritti

1 Le iscrizioni alla conferenza si aprono ogni anno a marzo e si chiudono a luglio,sono a pagamento e possono essere effettuate on line

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Gli accordi internazionaliSebbene le migrazioni siano indiscutibilmente un fenomeno

globale (attualmente i migranti raggiungono 214 milioni di persone)e sempre più transnazionale, gli Stati continuano a promuovereun approccio di governo delle migrazioni per lo più nazionale.Dal momento che le forze che soggiacciono al fenomeno migratorio– quali ad esempio le disparità nella distribuzione della ricchezza,la costante innovazione tecnologica nel campo delle comunicazionie dei trasporti, le dinamiche autopropulsive dei network migratorie la sempre più attiva industria delle migrazioni – sono di naturaglobale, ogni singolo tentativo di gestione delle politiche migratoriea livello nazionale risulta, per forza di cose, inadeguato. Spessoaccade, infatti, che le politiche migratorie falliscano, che nonottengano i risultati previsti o che, nel migliore dei casi, producanoeffetti non previsti.

Secondo il parere di Khalid Koser – direttore del Centre forSecurity Policy di Ginevra – gli Stati saranno in grado di raggiun-gere gli obiettivi che si prefiggono a livello nazionale solo a pattoche riescano a instaurare maggiori forme di collaborazione traloro. Attualmente, la maggior parte degli accordi sono relativi alcontrollo dei flussi e delle frontiere e sono per lo più accordi

Inadeguato ogni tentativo di affrontare in una chiave nazionale un problema che è per sua natura globalee sempre più transnazionale

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doLa governance delle migrazioni globali

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bilaterali tra Stati o tra regioni. Nel corso degli ultimi anni, il nostroPaese ne ha sottoscritti vari: nel 1998 con la Tunisia, nel 2003,nel 2004 e nel 2005 con la Libia, nel 2002, nel 2005 e nel 2006con la Nigeria. Lo stesso hanno fatto anche altri Paesi che siaffacciano sul Mediterraneo, come ad esempio Francia e Spagna.Gli accordi stipulati sono orientati essenzialmente al controllodell’immigrazione irregolare e alla riammissione degli irregolarida parte dei Paesi di provenienza o incentrati principalmentesulle migrazioni per lavoro e sulla promozione della cosiddettamigrazione circolare secondo cui i migranti, dopo aver condottoun’esperienza formativa o lavorativa all’estero, tornano nel Paesedi origine incrementandone lo sviluppo. Negli anni più recenti siè sempre più affermata l’idea di co-sviluppo, come ad esempionegli accordi promossi dalla Francia nell’Africa Occidentale.Rispondendo all’intenzione ideale di impiegare al meglio lepotenzialità insite nelle migrazioni a favore dei sending countries,le strategie di co-sviluppo mirano a instaurare una circolaritàvirtuosa grazie alla quale i Paesi di origine possono beneficiaredelle competenze e delle risorse acquisite dai propri cittadiniemigrati.

Sebbene l’insieme di accordi costituisca un primo e importantepasso verso l’avvio di un governo globale delle migrazioni,si ravvisa tuttavia un’evidente asimmetria di potere tra gli Statidi partenza dei migranti e quelli di ricezione. Gli accordi vengonoinfatti pensati e redatti dai Paesi più ricchi e firmati da quelli piùpoveri. Sarebbe invece auspicabile una maggiore determinazionedei sending countries nel tutelare i propri interessi, limitando ledinamiche secondo le quali un più efficace controllo dei confinidiventa la contropartita di aiuti economici.

I diritti dei migrantiSecondo Koser, una prima forma di sinergia istituzionale

a livello internazionale potrebbe essere sperimentata nel tentativo,quanto mai necessario, di colmare il divario che esiste in meritoalla protezione dei migranti irregolari. A fronte del fatto che lestime relative alla presenza complessiva a livello mondiale dimigranti irregolari si aggirano intorno ai 23-24 milioni di persone,l’assenza di una cornice legislativa comune da cui trarreindicazioni per gestire la situazione costituisce un vuoto che èsempre più urgente colmare.

Le convenzioni esistenti sono scarsamente ratificate, pocoincrementate e troppo spesso ignorate. In alcuni casi si hannorisposte nazionali o regionali, ma, in forza di quanto richiamatofinora, ciò non basta e le nuove forme di cooperazione istituzionale

Si afferma sempre di più l’idea di co-sviluppo intesa come strategia volta a instaurare una circolaritàvirtuosa grazie alla quale i Paesi d’origine possono beneficiare delle competenze e delle risorseacquisite dai propri emigrati

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do La governance delle migrazioni globali

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a livello internazionale potrebbero partire proprio dall’intentodi produrre un documento che riconosca e sancisca i dirittidei migranti. Da un lato, esse potrebbero diminuire il gap diprotezione che riguarda un sempre più ampio numero di persone,e, dall’altro, dare avvio a un processo comune volto alla ricercadi soluzioni per i problemi globali.

Questo tipo di coordinamento, tuttavia, è tutt’altro che facile.Secondo Susan Martin – docente di migrazioni internazionalipresso la Georgetown University di Washington DC – il primopunto di attenzione riguarda la costruzione delle norme. Lasfida consiste nel trovare consenso attorno a una serie di normee principi che riguardano le migrazioni. Idealmente, per costruireconsenso attorno a un insieme di norme e principi è necessaria,da un lato, la comprensione dei diritti tanto dei migranti quantodella comunità in cui essi si inseriscono e, così come accadeper ogni insieme di norme correlate alla governance globale,ad esse devono corrispondere validi principi. Dall’altro lato, èindispensabile considerare l’autorità degli Stati e, soprattutto,quali possano essere le particolari aree di interesse entro cuirealizzare forme di cooperazione internazionale che pongano al

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doLa governance delle migrazioni globali

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Il ruolo che stanno avendo grandi università di diversiPaesi nel definire un condiviso International Migrant Bill of Rights

centro la questione dei diritti. “Per lo sviluppo di un regime coor-dinato entro cui collocare la questione migratoria è necessariaun’attenzione rivolta alla definizione, alla promozione e alla tuteladei diritti umani dei migranti e, al contempo, alle possibilità diconvergenza degli interessi degli Stati ai fini di una più fattivaed efficace cooperazione internazionale, nella prospettiva di unasempre maggiore assunzione di responsabilità su quei temi rispettoai quali gli Stati rivendicano sovranità”, afferma la Martin.

Secondo Koser, sebbene alcuni Stati stiano dimostrando,almeno formalmente, la volontà di impegnarsi nel dialogo,iniziando così a costituire un forum globale per le migrazioni,permangono alcuni ostacoli che limitano grandemente la costi-tuzione di intese operative. Il primo ostacolo è senza dubbio laferma volontà di ciascuno Stato di controllare chi entra e chi restasul proprio territorio. Ciò è più che comprensibile dal momentoche la questione costituisce una prerogativa degli Stati.

Un secondo ostacolo riguarda il fatto che agli incontriinternazionali dedicati a questi temi la voce degli Stati più poveriè ancora piuttosto debole e ciò non consente che si possanoveramente affrontare e risolvere le tensioni che nascono dallacrescente domanda dei Paesi poveri di poter accedere ai mercatidel lavoro dei Paesi ricchi. Oltre a ciò, la mancanza di cooperazioneche si verifica anche tra le agenzie governative, che mostranospesso una certa ritrosia nel collaborare tra loro anche relativa-mente alle questioni più operative quali ad esempio lo scambiodi dati o l’adozione di terminologie comuni, non agevola lacostruzione di un terreno comune. Infine, si evidenzia come lamancanza di un consenso su questi temi rispecchi un problemadi natura etica. Koser si chiede: di quale forma di governanceglobale stiamo parlando? Si discute semplicemente di più efficaciaccordi bilaterali per il rispetto dei diritti umani o di strategieregionali di controllo e potere? Si vuole realmente un’agenziaeuropea che si occupi delle migrazioni? Si vuole veramenteratificare una convezione sui migranti a livello europeo? Vogliamodavvero una cornice legislativa comune entro cui porre laquestione?

Un primo passo che, secondo Susan Martin, potrebbe contri-buire alla costituzione delle basi attorno a cui iniziare a costruireconsenso è la messa a punto dell’International Migrant Billof Rights, un lavoro in progress, elaborato in collaborazione traLondon School of Economics, American University del Cairo,Centro di diritto della Georgetown University e Università ebraicadi Gerusalemme, redatto con l’intento di fornire una prima bozzadi un documento condiviso che offra quell’insieme di diritti

Tener conto della volontà dei singoli Stati di controllare chi entra e chi esce dal proprio territorio

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universali interdipendenti e correlati che possa realisticamenteintersecarsi con le prerogative di sovranità e con le esigenzedegli Stati.

In un momento in cui ci si trova all’inizio di un processocomplesso, è necessario sfruttare le occasioni di dialogo econfronto che precedono l’assunzione di decisioni politiche.Oltre agli incontri annuali di Metropolis, anche il Global forum“Migrazione e sviluppo”, giunto nel novembre 2010 alla suaquarta edizione, costituisce sicuramente un importante spaziodi confronto su questi temi (www.gfmd-fmmd.org).

Sebbene le ricerche più recenti ammettano che si è ancoralontani dal cogliere gli effetti reali della crisi economica e deiprocessi finanziari sulle migrazioni internazionali, secondoMartin, la crisi finanziaria può costituire una buona occasioneper forzare gli Stati a meglio coordinare i propri intendimenti alfine di raggiungere alcuni obiettivi in certe aree di azione. “In uncerto senso questa crisi detterà ampiamente la direzione in cuici si muoverà nel migliorare il modo di gestire le migrazioni”,dice la Martin. Ciò sta già accadendo per quanto riguarda,ad esempio, il dibattito in merito alla sicurezza dei migrantie ai modi in cui le migrazioni si verificano e incidono sullepolitiche.

Il ruolo dell’Unione EuropeaRispetto a quanto richiamato finora, l’Unione Europea costituisce

un soggetto incisivo sulla scena globale. Come espressonella versione consolidata del Trattato sul Funzionamentodell’Unione Europea (TFUE), “le politiche dell’Unione in ambitomigratorio e la loro applicazione devono essere governate daiprincipi di solidarietà e di condivisione della responsabilità,comprese le implicazioni finanziarie, tra Stati membri” (articolo 80).Attraverso il supporto del Parlamento e del Consiglio europeo,le politiche sono volte ad assicurare una efficiente gestionedei flussi migratori da parte degli Stati – senza tuttavia ledereil diritto di questi ultimi nel determinare il volume delleammissioni per lavoro –, il giusto trattamento dei cittadiniprovenienti da Paesi terzi e legalmente residenti negli Stati,la prevenzione dell’immigrazione illegale e il rafforzamentodelle misure atte a combattere il traffico di esseri umani(articolo 79).

Come definito nel Programma di Stoccolma, l ’Europa,all’insegna della responsabilità, della solidarietà e del partenariatoin materia di immigrazione e asilo, promuove i cinque impegnifondamentali assunti nel Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo:

Il (disatteso) articolo 80 del Trattato sulfunzionamentodell’Unione Europea(TFUE)

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1) organizzare la migrazione legale tenendo conto dellepriorità, delle esigenze e delle capacità di accoglienza stabilite daciascuno Stato membro e favorire l’integrazione; 2) combatterel’immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno, nelPaese di origine o in un Paese di transito, degli stranieri in posizioneirregolare; 3) rafforzare l’efficacia dei controlli alle frontiere;4) costruire un’Europa dell’asilo; 5) creare un partenariato globalecon i Paesi di origine e di transito che favorisca le sinergietra migrazione e sviluppo.

Nel corso degli ultimi anni l’Unione e alcuni Stati, tra cui, comeaccennato, anche l’Italia, hanno sottoscritto accordi bilaterali omultilaterali finalizzati al controllo delle frontiere e all’esternaliz-zazione dei confini, senza che, tuttavia, come hanno ricordatoKhalid Koser e Susan Martin, vi sia ancora una cornice legaleche sancisca la tutela dei diritti dei migranti. A fronte quindi diun chiaro ed evidente impegno europeo a favore della tuteladei migranti legalmente presenti sui diversi territori degli Statiche compongono l’Unione, se si eccettua il caso dei rifugiatie richiedenti asilo, permane ancora l’assenza di un’azionepregnante volta a promuovere la tutela dei diritti dei migranti.

Come accaduto in altri momenti storici fondamentali perl’affermazione dei diritti, come ad esempio durante il periododell’Illuminismo, sembra verificarsi, anche in questo caso, ilparadosso della legittimità democratica che consiste nel fattoche la democrazia viene fondata su norme universalistiche il cuivalore è però, almeno per il momento, circoscritto esclusivamentea una determinata comunità geopolitica.

Continua il paradosso di una democrazia fondata su norme universalistichema applicate in modo circoscritto

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Parole di integrazione:il ruolo dei media e gli strumenti del Fei

a cura di Andrea FamaErnst & Young - Financial and Business Advisor per il servizio di assistenzatecnica del Fei

Il Fondo europeo per l’integrazione prevede nei suoiprogrammi annuali l’attuazione di un’azione specificadi sensibilizzazione, informazione e comunicazione,rivolta a stranieri e italiani, per stimolare dialogo,comprensione reciproca e cultura dell’accoglienza

Il carattere dinamico e bilaterale del processo di integrazionecosì come definito dal primo dei Principi fondamentali comunidella politica di integrazione degli immigrati nell’Unione Europea

comporta, tra le altre cose, che i cittadiniimmigrati acquisiscano le conoscenze di basedella lingua, della storia e delle istituzionidella società ospitante, la quale deve a suavolta fornire loro gli strumenti necessari peril conseguimento di tali obiettivi. In questoquadro, va evidenziato l’impatto dei medianell’ambito di una corretta azione di infor-mazione e comunicazione in grado di favorirel’affermarsi di un modello di integrazione

flessibile effettivamente capace di ingenerare un senso diappartenenza e riconoscimento tra la popolazione migrante ela società di accoglienza.

Orientamenti dall’EuropaCon particolare riferimento al primo dei Principi fondamentali

comuni, l’Agenda comune per l’integrazione evidenzia il valoreessenziale di un’informazione accurata sul fenomeno migratorio,soprattutto a livello locale, tale da far emergere le diverse possibilitàdi contatto tra società migrante e autoctona. Gli interventi auspi-cati dall’Agenda includono campagne di sensibilizzazione,eventi interculturali, mostre e manifestazioni, al fine di proiettareun’immagine veritiera di coloro che in prima persona vivonoquotidianamente il proprio processo di integrazione e accoglienza.

Il ruolo dei media sull’azioneinformativa e comunicativa,per favorire un modello di integrazione flessibile che generi senso di appartenenzae riconoscimento reciproco

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Il ruolo dei media e gli strumenti del Fei

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Avere reciproca conoscenza delle tradizioni culturali e religiose,radicare la consapevolezza del contributo economico e valorialeapportato dagli immigrati, adottare un approccio aperto di buonvicinato sono tutti elementi che contribuiscono alla valorizzazionedel cosiddetto “capitale di raccordo” che unisce le comunitàdi immigrati alla popolazione locale. Secondo l’Agenda, pertanto,i media assumono “un ruolo essenziale nell’offrire una coperturaequilibrata e un’informazione responsabile nell’ambito di undibattito pubblico su immigrazione e integrazione. Alla luce diciò, si rendono necessarie varie forme di cooperazione con imedia, tra cui l’adozione di un codice di condotta su basevolontaria che offra un corretto orientamento ai giornalisti”.

L’Europa ha ribadito l’importanza di un approccio multisettorialeall’integrazione evidenziando la centralità dei media nel processodi integrazione anche attraverso la terza edizione del “Manualesull’integrazione per i responsabili delle politiche di integrazionee gli operatori del settore”.

La molteplicità dell’offerta mediatica è oggi quanto maivariegata e accessibile. Il mondo dell’informazione è in gradodi influenzare la percezione pubblica dell’immigrazione eriflettere i punti di vista della società, che possono contemplare

tanto sentimenti di accettazione e tolleranzaquanto manifestazioni di ostilità. In questocontesto, le comunità di migranti spesso con-sumano unicamente l’informazione provenientedai propri Paesi d’origine, in quanto ritenutapiù affidabile e attendibile rispetto all’offertamediatica del Paese ospitante.

Il Manuale, dunque, auspica una produzionemediatica più orientata ai gruppi migratori:“Le organizzazioni operanti nel settore dei

media possono rendere la propria programmazione maggiormenterispondente alle esigenze di un pubblico sempre più diversificatodal punto di vista etnico. Ciò è possibile facendo pieno usodella diversità nelle fonti di informazione al fine di dare voce allecomunità di immigrati e ai protagonisti dei servizi, sviluppandoformat sui membri di varie comunità e sulla loro vita quotidiana,e mostrando la diversità come caratteristica normale dellasocietà in programmi popolari”.

Un’ulteriore raccomandazione prende spunto ancora unavolta dai Principi fondamentali comuni, precisamente dal sesto,che promuove l’accesso degli immigrati ai servizi pubblici subase paritaria: “Occorre incoraggiare gli immigrati a partecipareai programmi in qualità di attori, protagonisti, partecipanti,

Il mondo dell’informazione è oggi in grado di influenzare la percezione pubblica dell’immigrazione riflettendoi punti di vista della società,dalla tolleranza all’ostilità

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membri del pubblico ed esperti e a sviluppare commedie oprogrammi di intrattenimento propri. Nel caso in cui si raccontinostorie multiculturali e siano descritti personaggi immigrati, alfine di assicurare che l’immagine degli immigrati fornita nellesoap opera e negli sceneggiati sia corretta, occorre usareattori e autori immigrati”.

Le politiche del FeiIl Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi

terzi (Fei) dà ampio risalto a misure che coniughino informazionee comunicazione rivolte ai distinti segmenti della società. A

partire dagli orientamenti strategici delineatinella Decisione istitutiva del Fondo, infatti,i l Fei prevede la realizzazione di azionicomunitarie – i cui bandi sono indetti diret-tamente dalla Commissione Europea – chesostengano campagne transnazionali disensibilizzazione e di azioni a valenzanazionale che aumentino l'accettazione delfenomeno della migrazione e delle misuredi integrazione nelle società di accoglienza

attraverso campagne di sensibilizzazione, in particolare suimezzi di comunicazione.

In Italia, le programmazioni annuali del Fei hanno sempreprevisto l’attuazione di una specifica azione di sensibilizzazione,informazione e comunicazione, rivolta sia ai cittadini stranieriche a quelli italiani, allo scopo di stimolare il dialogo, lacomprensione reciproca tra culture differenti, la creazione di unacultura dell’accoglienza nonché l’affermazione di una “coscienzamultirazziale”.

Oltre alla società di accoglienza e alla popolazione migrantevi è un terzo attore cui è affidato un ruolo determinante per unacorretta percezione del fenomeno migratorio: gli operatori deimedia. L’immigrazione, infatti, è una fotografia in movimento,e per coglierne, accettarne e apprezzarne il carattere poliedrico –in tutte le sue positività, ma anche nelle problematiche chetalvolta comporta – è necessario affidarsi a una correttanarrazione delle dinamiche che la governano. Nell’ambitodella programmazione 2011, l’autorità responsabile del Fei inItalia ha previsto interventi intesi a migliorare l’approccio deimedia rispetto all’immigrazione, attraverso la sensibilizzazionedei giornalisti nel veicolare le informazioni relative all’immi-grazione e all’integrazione in maniera completa, obiettiva epositiva. Al fine di garantire un effettivo cambio di rotta nel

Il Fei prevede la realizzazionedi azioni comunitarie,transnazionali e nazionalidi sensibilizzazione, miratea migliorare l’accettazionedel fenomeno migratorio

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rapporto tra media e immigrazione, gli interventi finanziati dal Feientreranno anche nelle scuole di giornalismo, per formare oggii professionisti dell’informazione di domani.

Obiettivo regionale del Fondo è quello di attivare interventiche, tanto attraverso la formazione quanto attraverso la realiz-zazione di campagne multimediali, investano l’intero territorionazionale ponendosi come cassa di risonanza, a una sola voce,per la diffusione di messaggi virtuosi di integrazione.

Focus sui progetti FeiCampagna integrata di comunicazione istituzionale sull’inte-

grazione degli immigrati – Ministero del Lavoro, della Salutee delle Politiche sociali. L’obiettivo delprogetto è duplice: da un lato vi è l’intentodi trasferire ai cittadini immigrati il patrimoniodi conoscenza delle norme fondamentalidell ’ordinamento giuridico italiano e delleinformazioni utili che consentono l’accessoai servizi pubblici; dall’altro vi è la volontàdi sensibil izzare i cittadini italiani sullarilevanza dell’effettiva integrazione dei cittadiniextracomunitari nell’ambito di una società

multietnica lontana da ogni forma di discriminazione o xenofobia.Al fine di raggiungere tali obiettivi, il progetto ha inteso

realizzare le seguenti attività: La stampa e la diffusione del vademecum “L’immigrazione:

come, dove, quando?”, realizzato in otto lingue per trasferireai cittadini stranieri i principi della Costituzione italiana, le regoleche disciplinano l’immigrazione e le procedure di accesso aiservizi pubblici

Una campagna pubblicitaria incentrata sulla convivenzapositiva nella società civile della comunità straniera e italiana,nonché sulla conoscenza di diritti e doveri di ciascun cittadino.

Un’azione di sensibilizzazione che ha previsto un tour in seicittà italiane, durante il quale è stato distribuito il vademecumplurilingue sull’integrazione, e l’organizzazione di eventi sportivie culturali realizzati con l’appoggio del terzo settore che hannovisto il coinvolgimento della società ospitante e della popolazionemigrante.

Donne di origine straniera, contro ogni discriminazionemultipla - Unar, dipartimento per le Pari opportunità. Il progettointende promuovere, attraverso una massiccia campagna dicomunicazione semestrale, una maggiore conoscenza della

Gli esempi della campagna sull’integrazione del ministerodel Lavoro e di quella contro la discriminazioneverso le donne straniere delle Pari opportunità

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situazione che vivono le donne di origine straniera in Italia. Ilprogetto di comunicazione si sviluppa all’interno di un gruppodi lavoro nazionale che vede la partecipazione delle maggioriorganizzazioni rappresentative delle federazioni e delle retinazionali di associazioni operanti nell’ambito delle discriminazionidi genere e delle donne di origine straniera. Il gruppo di lavoro,coordinato dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - Unar,dipartimento per le Pari opportunità, mira a realizzare uninnalzamento dei diritti per tutte le donne di origine straniera,discriminate doppiamente sia in quanto donne che straniere.

Le attività progettuali sono articolate in quattro fasi distinte:Costituzione del gruppo di lavoro nazionaleRealizzazione di un documentario che raccolga le esperienze

positive vissute nel mondo del lavoro da parte di donne di originestraniera

Realizzazione di una campagna di sensibilizzazione a livellonazionale e territoriale (presentata l’11 marzo scorso)

Organizzazione della conferenza stampa finale.

Comunicazione, sensibilizzazione e informazione: i progetti Fei

Anno

2007

2008

2009

Soggetto AttuatoreMinistero della Giustizia - DgmMinistero dell’InternoMinistero dell’Interno

Ministero Lavoro, Salute e Politiche sociali

Ministero dell’Interno Ministero dell’Interno - Utg Roma

Presidenza del Consiglio - dipartimentodella GioventùMinistero Lavoro, Salute e Politiche sociali

Ministero della Giustizia - DgmMinistero della Salute

Ministero dell’InternoMinistero della GiustiziaMinistero dell’Interno Dipartimento Pari opportunità - Unar

Dipartimento della GioventùMinistero dell’Interno

Ministero Interno - Dipartimento Vigili FuocoMinistero del Lavoro e delle Politiche sociali

ProgettoOltre la discriminazione - Fase 1Convegno Nazionale ImmigrazioneAssemblea congressuale Anci - Expo 2009TorinoCampagna integrata di comunicazioneistituzionale sull'integrazione degli immigrati - Fase 1Cinesi in Italia: percorsi di inclusione socialeSportello unico immigrazioneAmici Fei

Campagna integrata di comunicazioneistituzionale sull'integrazione degli immigratiOltre la discriminazione - Fase 2Percorsi di integrazione presso lo Sportello Unico ImmigrazioneAnci Expo PadovaErrando tra la genteMigrazioni AfricaneDonne di origine straniera. Contro ognidiscriminazione InformagiovaniDiffusione dossier statistico immigrazione2010Casa sicuraMusa - Musica Sport Accoglienza

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Valorizzare la sussidiarietàe il ruolo dei corpi intermediè la via italianaper l’integrazione

Intervista a cura di Stefania Nasso

Natale Forlani, capo della direzione generaleall’Immigrazione del ministero del Lavoro:più pragmatismo e meno ideologia sul temadel lavoro immigrato. Servono semplificazionee una corretta programmazione dei fabbisogni

Direttore, negli anni 2000 la popolazione straniera residentein Italia si è triplicata. Secondo Lei l’Italia ha gestito in modoadeguato il fenomeno?

Se guardiamo alla natura del dibattito politico che si èsviluppato nel decennio scorso direi proprio di no. Come sualtri versanti, ad esempio le politiche del lavoro, si è preferitorimanere su dibattiti ideologici, caratterizzati sull’essere ostilio sull’essere accoglienti verso gli immigrati, a prescinderedalla capacità di valutare pragmaticamente i fenomeni reali.Un ritardo che ha portato a privilegiare l’attenzione per i riflessimassmediatici delle politiche migratorie. Le attività istituzionalihanno risentito di questi limiti. Nonostante una notevole inno-vazione legislativa, di qualità non inferiore a quella prodottada Paesi con rilevante esperienza storica sulla materia, i flussireali di immigrazione per motivi di lavoro si sono rivelati distantida quelli programmati e con due rilevanti interventi di sanatoriadel lavoro sommerso.

Quali, secondo lei, le cause che hanno impedito, nelcontesto italiano, l’adozione di politiche adeguate a contenerequesti fenomeni?

Tre cause principali. Una, già citata, è la rilevante propensionea ideologizzare i problemi a discapito di un approccio piùpragmatico.

La seconda: la sottovalutazione delle implicazioni dell’invec-chiamento demografico. Negli anni ’90 la crescita dell’immigrazioneè stata trainata soprattutto dall’indisponibilità degli italiani a fare

I flussi reali d’immigrazionesi sono rilevatidistanti daquelli programmati

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Intervista a Natale Forlani (ministero del Lavoro)

lavori disagiati; nel decennio recentesono l’invecchiamento della popolazionee l’esodo degli anziani dal mercato dellavoro che hanno fatto da motore alladomanda di nuovi ingressi. E infine,vanno sottolineati i nostri ritardi storicinel promuovere buonepoli t iche att ive dellavoro: dalla capacitàdi individuare i fabbi-sogni della domanda,di far incontrare ladomanda di lavorocon l’offerta, alla qua-lità della formazione.Per gli italiani questiritardi significano bassaqualità dei servizi peril lavoro e per la forma-zione. Per gli immigrati, anche lavorosommerso, dequalificazione, sottosalario.

L’immigrazione ha cambiato pertantoil nostro mercato del lavoro…

Certamente, e in profondità. Si tengaconto di alcuni numeri. Nel decennioprecedente la grande crisi del 2009 gliimmigrati hanno rappresentato, in generale,il 40% della crescita dell’occupazione,ma tassi assai più elevati in alcuni settoricome l’edilizia, l'agricoltura, i servizi allepersone e nelle aree territoriali delCentro-Nord. È cambiata in questo modoanche la struttura del lavoro sommersoche ormai tende a identificarsi soprat-tutto con le attività ad alta incidenzaoccupazionale dei lavoratori stranieri.Lavoro sommerso e sottosalario hannoinnestato componenti di flessibilità e dicompetizione sleale nelle attività produttivee nel mercato del lavoro.

Come contrastare questi fenomeninel mercato del lavoro?

Innanzitutto ricostruendo le condizioniper la programmazione corretta dei fabbi-sogni e per l’incontro trasparente delladomanda-offer ta di lavoro. Bisognadotare l’amministrazione di strumentimigliori di monitoraggio e di programma-

zione dei fabbisogni,coinvolgere gli inter-mediar i pubbl ic i eprivati autorizzati nellarilevazione della doman-da di lavoro e nell’in-staurazione dei contrattidi lavoro. Inoltre diventanecessario non soloqualificare la nuovaprogrammazione degliingressi, ma fare inmodo che agli immi-

grat i che perdono i l lavoro vengaofferta una nuova opportunità occupa-zionale, intervenendo anche sul miglio-ramento delle loro competenze con unaformazione mirata.

Gli accordi bilaterali finalizzati aregolare gli ingressi per motivi dilavoro con i Paesi a forte flussomigratorio sinora stipulati, in chemisura hanno contribuito a una gestioneregolata dei flussi?

Gli accordi con i Paesi di originesono uno degli strumenti più innovativiprevisti dal Testo unico sull’immigrazione,che ritengo sia stato sottoutilizzato siaquantitativamente sia qualitativamente.Il numero delle intese è stato esiguo,solo quattro, ed essenzialmente miratea sperimentare programmi limitati diingresso per lavoratori formati nei Paesidi origine.

Stiamo lavorando per ampliare ilnumero degli accordi in atto, allargandolidall’area mediterranea a quella asiatica

Fino al 2009 gli immigrati hanno contribuitoper il 40% alla crescita dell’occupazione.È cambiata in questo modo anche la struttura del mercato clandestino

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Intervista a Natale Forlani (ministero del Lavoro)

e sudamericana, per gestire tutte letipologie di ingresso per lavoro attra-verso liste di disponibilità, intermediariautorizzati e accreditati nel fare selezione,formazione, inserimento al lavoro. Inoltresiamo intervenuti per semplificare leprocedure, per rendere più tempestivoil rilascio delle autorizzazioni.

Entro il 2011 contiamo di realizzarealtri sei accordi bilaterali, ed entro il 2012arrivare a un numero di intese in gradodi coprire l’equivalente dell’80% deiflussi migratori, calcolato sulle comunitànazionali che storicamente hanno ali-mentato l’emigrazione verso l’Italia.

Il rapporto 2011 sul mercato dellavoro degli immigrati in Italia (vediarticolo successivo Ndr) stima per iprossimi cinque anni un probabilefabbisogno medio annuo di manodoperadi 100mila immigrati. Quali settoriassorbiranno questa manodopera?

La stima sui fabbisogni del prossimoquinquennio è contenuta per gli effettidella crisi economica che imporranno ilriassorbimento dei disoccupati, ancheimmigrati, presenti nel nostro territorio.Il nuovo fabbisogno è essenzialmentedeterminato dalla domanda di lavoroper la cura delle persone e, in parte,per compensare l’esodo dei lavoratoriitaliani anziani in edilizia e agricoltura.

Lei sottolineava l’anomalia dellesanatorie ufficiali, o in via di fatto,per il lavoro sommerso come effettodella scarsa efficacia dell’incontrodomanda-offerta ufficiale. Come rime-diare?

Il Testo unico prevede che l’attribuzionedi un nuovo permesso di soggiorno perlavoro debba avvenire dopo aver verificatoche una nuova domanda di lavoro non

possa essere soddisfatta da un disoc-cupato italiano o straniero, già presentesul territorio. In pratica l’attribuzioneavviene a seguito di una raccolta didomande tese a ratificare rapporti dilavoro già informalmente convenienti.

Il “click day” ha certamente miglioratola gestione della raccolta delle domande,ma per rimediare le criticità evidenziateè necessario organizzare con le imprese,e con gli intermediari autorizzati, unaverifica preventiva dei fabbisogni. Stiamoriflettendo con il ministero dell’Internosu come riformare l’attuale sistema diprogrammazione e distribuzione dellequote per ottenere questo risultato.

I centri per l’impiego sono in gradodi gestire e controllare il mercato dellavoro?

La risposta è banale. No! Non soloper lo storico ritardo dei nostri servizipubblici, ma perché il mercato del lavoroè complesso, fatto di incontri di domanda-offerta spontanea, di carenza di offertaqualificata, ovvero di disoccupati che nonhanno le competenze richieste dalleimprese.

Sono solo alcuni dei problemi cherichiedono risposte personalizzate: servizidi orientamento mirati e di adattamentodelle competenze verso la domanda dilavoro attraverso il concorso delle persone,delle imprese, di operatori specializzati.Tuttavia nel mercato del lavoro degliimmigrati, che ha una regolazione pubblicaspecifica, il servizio per l’impiego puòsvolgere un ruolo importante. Ad esempio:verificando le scadenze dei rapporti dilavoro, per fare in modo che i disoccupatipotenziali o reali siano evidenziati in liste didisponibilità per il reinserimento al lavoro.Mettere in trasparenza queste disponibilitàè importante anche per evitare nuovi

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Intervista a Natale Forlani (ministero del Lavoro)

ingressi che si sovrappongono alladisoccupazione locale.

Si può pertanto semplificare lagestione amministrativa del rilasciodei permessi di soggiorno-lavoro?

Sì, e in diversi modi. Anzitutto, comericordato, facendo una istruttoria pre-ventiva con soggetti che rispondanodella correttezza dei loro atti, comeprevisto dalla legge 276, che imponeagli intermediari autorizzati la gratuitàdelle prestazioni verso i lavoratori, latrasparenza delle informazioni, la corret-tezza e la responsabilità riguardo ai nuovirapporti di lavoro instaurati. Questo evi-terebbe agli Sportelliunici dell’immigrazioneil sovraccarico delleoperazioni di controlloche caratterizza attual-mente la loro attività.

Ma altre semplifi-cazioni le abbiamo giàpromosse, d’intesa congli altri ministeri. Adesempio con l’intro-duzione del nulla ostapluriennale per il lavorostagionale e la programmazione egestione in via amministrativa dellequote riservate ai lavoratori già formatinei Paesi di origine, che renderanno piùflessibile, e coerente con la domandadi lavoro, la gestione di questi permessidi soggiorno.

Il ministero del Lavoro vuole valoriz-zare in questo modo la formazione neiPaesi di origine? Con quali costi?

Certamente sì. Nei prossimi annidovremo lavorare di più sulla qualitàdei flussi, anche in ragione delle conse-guenze della crisi dei Paesi nordafricani,

che consigliano di rafforzare gli accordibilaterali per la gestione dell’immigrazione,anche per evitare flussi indiscriminati diclandestini.

L’esperienza insegna che bisognaevitare di finanziare con risorse pubblichecorsi di formazione nei Paesi di origineche sono stati fonte di spreco, e inalternativa incentivare gli operatoriautorizzati a fare domanda-offerta di lavoro,nel selezionare e formare in modo miratoi lavoratori garantendo il risultato dell’im-piego finale. In questo modo si possonoridurre i costi della formazione a menodi un terzo di quelli registrati in questiultimi anni, perché la formazione nei

Paesi di origine costaassai meno di quella inItalia e perché sarannostimolate le imprese,le associazioni dato-riali, gli enti bilateralidi emanazione contrat-tuale, a concorrereanche finanziariamenteagli interventi.

Infine vogliamo valo-rizzare lo strumentodel tirocinio per l’inse-

rimento al lavoro in Italia, utilizzando lapossibilità prevista dal Testo unico peroffrire alle imprese una più vasta possi-bilità di qualificare le risorse umane anchein ambiti lavorativi italiani.

Secondo il Piano nazionale perl’integrazione nella sicurezza, l’edu-cazione civica e la formazione linguisticarappresentano un asse fondamentaleper l’integrazione. Quali interventioperativi state mettendo in campo?

Abbiamo concordato con i ministeridell ’Interno e dell'Istruzione un pianocomune volto a organizzare, intorno agli

Occorre lavorare di più sulla qualità dei flussi rafforzando gli accordi bilaterali per una gestionedell’immigrazione in grado di evitarel’arrivo indiscriminatodi clandestini

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Intervista a Natale Forlani (ministero del Lavoro)

Sportelli unici, una rete di operatori dellaformazione e di certificatori in grado diprodurre un’offerta di servizi per numericonsistenti di utenti.Per la parte relativaall’intervento del mini-stero del Lavoro abbia-mo già convenuto conle regioni una pianifi-cazione di oltre seimilioni di euro percofinanziare gli inter-venti formativi dei fondiinterprofessionali e deglienti bilaterali promossidai datori di lavoro e daisindacati, e per l’utilizzo delle 150 oredi formazione previste dai contratticollettivi.

Direttore, un’ultima domanda: gliinterventi che lei delinea sono moltoambiziosi. Come pensa sia possibileaffrontare in breve tempo le criticitàdel nostro mercato del lavoro degliimmigrati?

La domanda è pertinente. In effetti, iproblemi demografici e le difficoltà a farincontrare la domanda con l’offerta dilavoro per gli immigrati perdureranno esaranno complicati dalla crisi economica.Tuttavia, è necessario evidenziare che,a differenza del decennio scorso, si ècreato in Italia un mercato stabile dilavoratori extracomunitari che hannodeciso di rimanere nel nostro Paese, conricongiunzioni familiari e contribuendoalla crescita delle seconde generazioni.Tendenze che abbassano i fabbisognidi nuovi ingressi e consentono di lavorarenella direzione di una maggiore qualifi-cazione delle risorse umane già presentinel territorio.

Inoltre dobbiamo tener conto dell’im-

portante novità rappresentata daglistranieri comunitari che si muovono nelnostro mercato secondo regole ormai

del tutto simili a quelledegli i tal iani. Infinevorrei sottolineare chenel nostro Paese, sianel mercato del lavoro,che nei servizi rivoltiall’integrazione socialeoperano numerosi attoriprivati e privato-socialisinora sottoutil izzatinell’ambito delle politi-che pubbliche.

Il valore della sussi-diarietà, e dei corpi intermedi, può rap-presentare la via italiana per l’integrazionedegli immigrati, e costituire un esempioimportante anche per gli altri Paesi svilup-pati che stanno rivedendo le loro politichedell’immigrazione.

Nel nostro Paese,nel mercato del lavoro e in quello dei servizi rivolti all’integrazione sociale, operano numerosi attori privati e del privato sociale che occorre valorizzare

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Dalla stagione delle emergenzea una politica strutturata

di Gian Carlo Blangiardo e Stefania RimoldiDipartimento di Statistica - Università degli studi di Milano Bicocca

Il Rapporto sull’immigrazione per lavoroin Italia analizza l’impatto della crisi e forniscele previsioni sui fabbisogni di manodopera.Il rallentamento dei flussi, un’occasione per programmare meglio gli interventi futuri

Più volte su questa rivista è stata sottolineata l’importanzadi conoscere dati rigorosi e analitici sul fenomeno migratorio,per poterne valutare correttamente gli andamenti e miglioraregli interventi. Il rapporto “L’immigrazione per lavoro in Italia:evoluzione e prospettive” del ministero del Lavoro e dellePolitiche sociali, si propone di colmare proprio una lacuna diquesto tipo: la mancanza di una reportistica periodica consolidata,almeno per ciò che riguarda le istituzioni pubbliche, sull’andamentodel mercato del lavoro degli immigrati. Un obiettivo importante,soprattutto se si considera il ruolo assunto dagli stranierinell’economia e nella società italiana, sia in termini di produzionedel reddito, che per il contributo rivolto a soddisfare queifabbisogni lavorativi di mobilità e di flessibilità che sono insufficientinel contesto lavorativo italiano.

Come sottolineato nell’introduzione da Natale Forlani – a capodella direzione generale dell’Immigrazione del Ministero che hacommissionato il Rapporto – l’indagine utilizza le informazionistatistiche disponibili proprio per impostare un monitoraggiopermanente delle tendenze e dunque per valutare megliol’evoluzione della domanda di lavoro degli immigrati, delleimprese e delle famiglie, per migliorare la programmazionedegli ingressi dei lavoratori extracomunitari, per qualificare lepolitiche del lavoro che vengono loro rivolte. Il lavoro di ricercaè stato redatto con la direzione scientifica di Paolo Feltrin(docente di Scienza Politica all’Università di Trieste), da ungruppo di ricercatori della società Tolomeo Studi e Ricerche srl,con la collaborazione anche di esperti esterni, e rientra nel

Un’indagine che si proponedi avviare il monitoraggio permanente sulle tendenzedel mercato del lavoro per gli immigrati,in modo da migliorare gli interventi in questo settore

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Il Rapporto sull’immigrazione per lavoro in Italia

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progetto Mobilità Internazionale del Lavoro, finanziato dalMinistero e attuato da Italia Lavoro Spa.

Il Rapporto è suddiviso in tre parti: la prima analizza ladimensione della popolazione straniera in Italia dal punto di vistadell’evoluzione demografica, prendendo in esame in particolarele dinamiche più recenti. La seconda fornisce invece datirelativi all’impatto della crisi sul mercato del lavoro degliimmigrati. La terza tira le fila del discorso e volge lo sguardoal futuro, fornendo previsioni sul fabbisogno di manodoperaatteso per gli anni a venire, in base sia all’andamento demograficosia alla situazione del mercato del lavoro.

Sintetizzando il Rapporto nella sua presentazione, il ministrodel Lavoro Sacconi ha ricordato come negli ultimi 10-15 annil’Italia abbia dovuto far fronte a una vera e propria “ondatamigratoria” a cui il nostro Paese “non era adeguatamentepreparato” che ha costretto le autorità a “una lunga serie diprovvedimenti tampone e di tentativi di costruire una policydi settore in condizioni a dir poco drammatiche”. Nel 2010 ilavoratori stranieri regolari sono circa 2 milioni e sono raddoppiatirispetto al valore inferiore al milione di appena 10 anni fa.“La crisi del 2008”, scrive Sacconi, “ha avuto un effetto immediatodi rallentamento anche dei flussi migratori. La caduta delladomanda di lavoro e la mobilità delle forze di lavoro nazionalifa ipotizzare un rallentamento nei prossimi 2-3 anni dei fabbisognilavorativi di stranieri. È la prima volta che accade da oltre 15 anni.Si tratta di una occasione e di una opportunità da non perdereper riflettere con calma su quanto è avvenuto e attrezzarsimeglio per il futuro, con l’obiettivo di costruire politiche nonemergenziali, ma capaci di rispondere in modo ordinato aifabbisogni occupazionali che davvero servono”. Un’evoluzionequesta, come sottolinea ancora Natale Forlani, “che offre unterreno favorevole per le politiche del lavoro rivolte a qualificarele risorse umane e l’integrazione sociale degli immigrati”.

Di seguito sintetizziamo i dati fondamentali che emergonodal Rapporto – comunque consultabile sul sito ww.lavoro.gov.it –concentrandoci in particolare su quelli relativi all’andamentodel mercato del lavoro e alle previsioni future.

Il rallentamento dei flussiA partire dal 2009 in Italia, come in tutta Europa, si sta

registrando una frenata nei tassi di ingresso degli stranieri,in particolare in quei Paesi come Spagna e Italia dove l’im-migrazione per lavoro rappresenta il primo motivo di entrata.Il rallentamento dei flussi in ingresso è legato in parte ai

Tre le sezioni del Rapporto:evoluzione demografica,analisi dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro,previsioni sul futuro fabbisogno di manodopera

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Il Rapporto sull’immigrazione per lavoro in Italia

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Invecchiamentodella popolazione italiana ed elevata scolarizzazionehanno prodottouna crescitadel fabbisognodi manodopera

provvedimenti messi in atto da numerosi Paesi volti a contenerei nuovi ingressi di lavoratori stranieri, per esempio abbassandole quote di ingressi previste, come avvenuto in Italia.

Il Rapporto sottolinea come, peraltro, una buona partedello stock di popolazione immigrata presente in Italia siastato costruito attraverso i sei provvedimenti di regolarizza-zione che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni (1986,1990, 1995, 1998, 2002, 2009) che hanno complessivamentelegalizzato circa 1,7 milioni di immigrati (attorno al 40% dellapopolazione residente al 2010). Per il resto, a partire dal 1996i flussi di immigrati sono sempre stati regolati attraverso laprogrammazione di specifiche quote di ingresso, che a partiredal 2009 si sono sensibilmente ridotte (erano 225mila nel2008 e sono diventate 80mila nel 2009, 86mila nel 2010, 98milanel 2011).

Il saldo occupazionale fra generazioniUno degli aspetti più interessanti del Rapporto è la concreta

misurazione di un fenomeno già ampiamente enunciato in molteanalisi, ossia il fatto che l’invecchiamento della popolazioneitaliana negli ultimi 20 anni, unito alla crescita della scolariz-zazione dei giovani che li porta a entrare più tardi nel mercatodel lavoro, ha reso negativo il saldo occupazionale tra generazionicreando molti spazi vuoti nelle forze di lavoro. Se si considerainfatti la differenza tra i lavoratori tra i 15-24 anni (potenzialientranti nel mercato del lavoro) e il gruppo 55-64 (potenzialiuscenti dal mercato del lavoro), si osserva che fino al 2000 in Italiail saldo tra generazioni era positivo e quindi non vi era alcunfabbisogno occupazionale aggiuntivo dall’estero. Da quell’anno

Tabella 1. Numero di occupati per classe di età e saldo entrati usciti potenzialiAnni 1983, 1993, 1996, 2000, 2004, 2008 (valori in migliaia)

Fonte: elaborazioni su dati RTFL e RCFL - Istat

Anno 15-24 55-64 Differenza (entrati) (usciti) entrati-usciti

1983 2.929 2.245 +684

1993 2.501 2.005 +496

1996 2.104 1.966 +138

2000 1.948 1.946 +2

2004 1.671 2.120 -449

2008 1.478 2.466 -988

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si affaccia un crescente disequilibrio tra generazioni, che cresceprogressivamente fino ad arrivare all’ultimo dato registrato,quello del 2008, che segna uno squilibrio di quasi un milionedi posti di lavoro.

A questi spazi vuoti di lavoro si è fatto fronte con la maggiorepartecipazione delle donne e della popolazione più anziana(oltre i 54 anni) e, appunto, con il flusso di lavoratori stranieri. Inassenza di flussi migratori le dinamiche appena descrittesono destinate a proseguire.

La crisi e il mercato del lavoro: occupazione e disoccupazioneLa crisi economica ha interrotto quel processo di crescita

dell’occupazione che aveva caratterizzato molti Paesi europeinel periodo 2003 e 2008 e a cui aveva dato un forte impulsola forza lavoro straniera. La flessione osservata a partire dal terzotrimestre 2008 ha interessato in molti casi anche i lavoratoriimmigrati, in quanto i settori maggiormente colpiti sono statiquelli industriali (manifattura e costruzioni) in cui essi tendono aessere più numerosi. A questo si aggiungono altri aspetti cherendono il lavoratore immigrato più vulnerabile nei periodi direcessione: la minore tutela contrattuale, con più lavori acarattere temporaneo o parziale; la concentrazione in occupazionimeno specializzate dove il turnover risulta più semplice; lamaggiore esposizione ad atteggiamenti discriminatori perassunzioni e licenziamenti selettivi.

Tra il 2008 e il 2010 gli occupati stranieri nell’Unione europeasono diminuiti dello 0,8% contro una flessione complessivadel 2,4%. In quasi tutti i Paesi, con l’eccezione della Spagna,dell’Irlanda e dei Paesi Bassi, il calo dell’occupazione è statomeno contenuto per la componente straniera rispetto a quellalocale. In altri Paesi, poi, a una diminuzione generale del numerodi lavoratori occupati ha fatto da contraltare una crescitadell’occupazione straniera. È il caso soprattutto dell’Italia,dove il bilancio nei due anni della crisi (2009 e 2010) indicauna perdita complessiva di 554mila posti di lavoro ripartiti traun calo degli occupati italiani pari a circa 863mila unità (- 4%)e una crescita dell’occupazione immigrata di 309mila unità(+ 17,6%).

Per quanto riguarda l’andamento geografico e settorialedell’occupazione straniera, la crescita si concentra per tre quartinel Centro-Nord e riguarda per oltre la metà la componentefemminile impiegata nel settore dei servizi (soprattutto per ilboom del lavoro domestico), oltre agli altri comparti tipicidell’occupazione immigrata. Il risultato è stato un’accentuazione

La crisi del 2008 -2010 ha colpito i lavoratori immigrati in tutta Europa,anche se meno rispetto allepopolazioni locali

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Nativi Stranieri Totale Nativi Stranieri Totale 2008 2010

Germania 35.259 3.363 38.622 -0,7 0,1 -0,7 8,6 8,7

Spagna 15.909 2.563 18.473 -8,2 -12,5 -8,8 14,5 13,9

Gran Bretagna 26.538 2.349 28.887 -1,9 1,1 -1,6 7,9 8,1

Italia 20.791 2.060 22.851 -4,0 17,7 -2,4 7,5 9,0

Francia 24.403 1.352 25.755 -0,7 0,3 -0,6 5,2 5,3

Austria 3.651 433 4.084 -0,3 1,5 -0,1 10,4 10,6

Grecia 4.005 414 4.419 -4,4 11,9 -3,1 8,1 9,4

Belgio 4.085 382 4.467 -0,1 7,1 0,5 8,0 8,6

Irlanda 1.620 231 1.851 -8,4 -30,7 -11,9 15,8 12,5

Paesi Bassi 8.113 353 8.466 -1,3 -6,2 -1,5 4,4 4,2

Area Euro (16) 128.871 11.605 140.476 -2,7 -0,8 -2,5 8,1 8,3

Unione Europea (27) 201.721 14.677 216.398 -2,5 -0,8 -2,4 6,7 6,8

Tabella 2. Occupati per paese e nazionalità in alcuni Paesi dell’UE27Anno 2010 (valori assoluti in migliaia, variazione percentuale rispetto al 2008 e quota stranierisul totale occupati)

Occupati (in migliaia) al 2010

Paese

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat (sezione “Labour Force Survey”). Nota: al 2010 media sui primi 3 trimestri

Variazione % annua 2008-2010

% stranieri sul totale

del carattere “duale” del mercato del lavoro italiano, con gliimmigrati concentrati nei lavori meno qualificati e a bassaspecializzazione. A questo si aggiunge la performance positivadegli imprenditori stranieri, evidenziata dall’indagine annuale diUnioncamere. Infatti tra i l 2008 e il 2009, a fronte di unacontrazione delle ditte individuali con titolare italiano parial 2,4%, si registra un incremento degli imprenditori extra-comunitari del 5,6%.

Il dato relativo all’incremento dell’occupazione stranieranon va comunque sopravvalutato né letto come un boomdell’occupazione immigrata, in quanto si lega in parte a uncorrispondente, notevole aumento della popolazione presentein Italia e in parte allo sfasamento temporale che si registrafra l ’effettivo ottenimento di un lavoro (spesso precedenteall’ iscrizione in anagrafe) e il momento della rilevazione della forzalavoro (che parte dal momento in cui si ottiene la residenza),con l’effetto di attribuire a un determinato periodo – in questocaso il biennio 2008-2010 – un aumento dell’occupazioneavvenuto in tutto o in parte prima.

La riprova di questo fatto sta nella contemporanea crescita

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Gli ammortizzatori socialiCon la crescita della disoccupazione, nell’ultimo biennio è

aumentato anche il ricorso agli ammortizzatori sociali. Oltrealla cassa integrazione guadagni – che ha registrato valorirecord coinvolgendo circa 554mila lavoratori nel 2009 e729mila nel 2010, ma su cui però non sono disponibili datispecifici riguardo agli stranieri – è cresciuto anche il ricorsoalle indennità di mobilità e di disoccupazione concesse aseguito del licenziamento del lavoratore.

I beneficiari stranieri dell’indennità di mobilità nel 2009sono aumentati del 28,9% a fronte di una crescita complessivadel 9,6% (8,3% per la sola componente italiana). Per quantoriguarda la disoccupazione non agricola l’aumento dei percettoristranieri è risultato più alto del 65,4% nel caso di requisitiordinari e del 3,3% per i requisiti ridotti. I corrispondenti incre-menti per gli italiani si sono attestati su tassi ben inferiori

del tasso di disoccupazione degli immigrati nel nostro Paese,fenomeno peraltro comune a tutti i Paesi europei. Negli ultimidue anni i disoccupati stranieri in Italia sono aumentati di104mila unità in valore assoluto (contro le 281mila degli italiani),ma in proporzione per gli immigrati questo significa una crescitadei disoccupati del 64%, contro il 18,4% dei nostri connazionali.Dunque gli stranieri sono i più colpiti dalla crisi e fra questii maschi lo sono più delle femmine: +101,5% e +37,9% rispet-tivamente, contro il 28,7% e l’8,4% degli italiani.

Tabella 3. Disoccupati (in migliaia) per nazionalità, macro area e genere Anno 2010 (valore assoluto, variazione percentuale e assoluta rispetto al 2008)

Disoccupati al 2010(migliaia)

Fonte: elaborazioni su dati Istat. Nota: al 2010 media sui primi 3 trimestri

Variazione % annua 2008-2010

Variazione assoluta 2008-2010

Italiani Stranieri Totale Italiani Stranieri Totale Italiani Stranieri Totale

Totale 1.811 266 2.077 18,4 64,2 22,8 281 104 385

Nord 556 179 735 42,2 84,5 50,6 165 82 247

Centro 332 61 393 23,0 29,8 24,0 62 14 76

Sud e Isole 923 26 949 6,2 44,4 7,0 54 8 62

Maschi 969 135 1.104 28,7 101,5 34,6 216 68 284

Femmine 842 131 973 8,4 37,9 11,6 65 36 101

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Il Rapporto sull’immigrazione per lavoro in Italia

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(rispettivamente 45,9% e addirittura una diminuzione dell’11,3%).Nel settore agricolo, a fronte di una diminuzione dei beneficiariitaliani vi è stato un incremento di quelli stranieri, del 16,8%nel caso di requisiti ordinari e del 39,1% per quelli ridotti.

I fabbisogni futuri di manodoperaNella terza parte del Rapporto viene proposta la previsione

sul futuro fabbisogno di manodopera straniera. Si tratta di unmodello abbastanza complesso, basato su varie ipotesi chedebbono tener conto contemporaneamente dei possibiliandamenti della domanda e dell’offerta di lavoro (legati a fattoriquale il ciclo economico, il costo del lavoro, la demografia, lenorme vigenti ecc.), da cui tale fabbisogno dipende.

In sintesi, entro il 2020, a causa del calo demografico e inassenza di flussi migratori, la popolazione in età attiva (occupatipiù disoccupati) scenderebbe da 24 milioni e 970mila a unvalore compreso tra i 23 e i 23,5 milioni di persone e questononostante l’accresciuta propensione a entrare nel mercatodel lavoro delle donne. Come risultato si avrebbe un calodell’offerta pari a circa un milione di unità. La flessione maggioreinteresserebbe i maschi, in quanto la loro propensione al lavoroè già attualmente molto elevata rispetto a quella delle donne.Al contempo, sul lato della domanda di lavoro, gli occupatipotrebbero crescere in 10 anni a un tasso compreso fra lo 0,2e lo 0,9%, raggiungendo una quota compresa tra 23,25 milionie 24,90 milioni.

Su queste previsioni sono stati calcolati i possibili fabbisognifuturi di manodopera straniera, ipotizzando tre scenari che varianoin base a differenti ipotesi sull’andamento del tasso di disoccu-pazione, sul livello della domanda di lavoro (crescita minimao massima prevista) e sul grado di sostituibilità dei lavoratori(da un mercato perfettamente “compensativo”, ossia dove ilavoratori sono del tutto intercambiabili, a uno completamente“non compensativo” in cui tale intercambiabilità non esiste). Inquello minimo si stima che non ci sarà praticamente necessitàdi ulteriore manodopera almeno per i prossimi dieci anni, mentrein quello che si colloca all ’estremo opposto, i l fabbisognoconsiderato è pari in media a 264mila unità l’anno.

Lo scenario di mezzo risulta il più probabile, perché piùrealistiche sono le ipotesi sull’andamento delle variabili sottintese:nel periodo 2011-2015 il fabbisogno medio annuo dovrebbeessere pari a circa 100mila persone, mentre nel periodo 2016-2020dovrebbe portarsi attorno ai 260 mila lavoratori l’anno.

(a. g.)

Da qui al 2020il fabbisogno di manodoperastraniera dovrebbe essere mediamente di circa 180mila persone all’anno,più ridotto nel primo quinquennio,più elevato a partire dal 2016

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anzaImmigrazione

e diritto di cittadinanza:il paradosso storico della vicenda europea

di Laura ZanfriniUniversità Cattolica di Milano - Responsabile settore Economia e Lavorodella fondazione Ismu

L’ambiguità dell’approccio seguito dalle nazionidel Vecchio Continente, strette fra la necessità di dare concretezza al principio delle pari opportunità e la tentazione, sempre presente,di ridurre i migranti al rango di “lavoratori ospiti”

“Pensare l’immigrazione significa pensare lo Stato ed è loStato che pensa se stesso pensando l’immigrazione” (Sayad,1996: 9 -10). Con questa celebre affermazione, un grandecompianto studioso d’origine algerina, Abdelmalek Sayad, ciha resi edotti di come l’immigrazione rappresenti il limite delloStato nazionale che, per esistere, si è dato delle frontiere

nazionali e si è dotato dei criteri necessariper discriminare tra i cittadini e gli altri. Lungoil processo storico di formazione degli Stati-nazione, infatti, proprio lo sviluppo dellepolitiche di governo e controllo dei flussimigratori, da un lato, e delle legislazioni inmateria di cittadinanza, dall’altro, ha conferitoal concetto di confine i l suo significatocontemporaneo: oltre a delimitare il territorioin cui si esercita l’autorità statuale, i confini

funzionano da “filtri” per selezionare, ammettere o respingerecoloro che, pur non essendo cittadini di un determinato Stato,aspirano a risiedere e lavorare in esso (Wimmer et al., 2003)e a godere, in tutto o in parte, dei diritti e dei privilegi riconosciutiai cittadini.

Per altro verso, è proprio con l’accelerazione che il fenomenodelle migrazioni internazionali ha conosciuto negli ultimi decenni,insieme all’evoluzione dei caratteri “qualitativi” delle comunitàimmigrate – che possiamo sintetizzare nella trasformazione diuna popolazione di “lavoratori ospiti” in una presenza stabileed eterogenea, con una crescente incidenza delle cosiddette

Il confine degli Stati inteso anche come filtro protettivo per selezionare,ammettere o respingere quanti vengono da fuori

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Il paradosso storico della vicenda europea

“seconde generazioni” – che la necessità di fare i conti con laquestione dei confini della comunità politica è divenutaimprocrastinabile, via via che quest’ultima ha perso la suacoincidenza con la comunità dei residenti (e dei contribuenti).Così come sono stati definiti all’interno dello Stato-nazione,tali confini non sono più in grado di dare adeguatamente

forma all’appartenenza, di funzionare da filtroper l’allocazione dei diritti – e dei doveri –tradizionalmente associati alla cittadinanzae di legittimare la partecipazione a queigruppi di solidarietà rappresentati dai sistemidi welfare. In termini ancor più espliciti, apparesempre meno legittima l’ambizione degli Statidi poter “scegliere” i propri appartenenti,escludendo gli stranieri (Walzer, 1987) esempre più discutibile l’eticità di regimi di

redistribuzione e protezione basati sulla finzione di societàperimetrate dai recinti nazionali. Di qui un’imponente riflessioneattorno alla questione della cittadinanza e a quella dei confinidella membership.

Sul primo fronte, quello appunto del ripensamento dell’istitutodella cittadinanza, la riflessione di questi anni ci consegna alcunepossibili “soluzioni” (Zanfrini, 2007): da quella dell’adozionedi leggi che agevolino l’acquisto della cittadinanza per gliimmigrati e i loro figli (Aleinikoff et al., 2002), a quella rappre-sentata dal riconoscimento, agli stranieri lungo soggiornanti,dello status di denizen (Hammar, 1985), una sorta di statusintermedio tra quelli di cittadino e di straniero che garantisceai titolari, oltre al diritto di residenza a tempo indeterminato, ilgodimento dei diritti civili e sociali in condizione di quasiparità coi cittadini e, in taluni casi, anche quello, parziale, deidiritti politici (in genere limitatamente alle consultazioni locali);da quella fondata sul riconoscimento di una sorta di cittadinanzatransnazionale (Bauböch, 1994) che prevede la possibilità,per una persona, di essere contemporaneamente membro siadella società d’origine sia di quella di residenza, attraverso ilpossesso di una doppia cittadinanza e il godimento di diritti,anche politici, in entrambi i Paesi, a quella, ancor più provocatoria,di una membership post-nazionale (Arendt, 1999; Soysal, 1994)che prevede un progressivo ampliamento dei diritti esigibili dagliindividui in quanto persone (al di là del loro status di cittadinoo di straniero e, entro certi termini, di straniero regolare o irregolare);e ancora, meritano di essere considerate la prospettiva della

Ma oggi è sempre più difficile far coincidere i confini territoriali con quelli di un’unica comunità politica impermeabile all’esterno

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Il paradosso storico della vicenda europea

membership sovranazionale, di cui proprio l’Unione Europea,attraverso il riconoscimento di una “cittadinanza europea” aicittadini degli Stati membri, rappresenta l’esempio più avanzatoa livello internazionale, e quella che potremmo definire “cittadi-nanza multiculturale” (Kymlicka, 1999) che, prendendo le mossedalla convinzione che, insieme alla libertà e all’uguaglianza,anche l’identità culturale sia un bene costitutivo della dignitàumana, può spingersi a riconoscere diritti “speciali” e trattamentidifferenziati in base alle specifiche affiliazioni di ciascun individuo.

Il dibattito su tali questioni, lo abbiamo detto, è vivace, e benlontano dall’avere prodotto una convergenza di posizioni. Quantoalle soluzioni concretamente adottate, anch’esse sembranooscillare tra logiche diverse e a volte contrapposte. Così, adesempio, mentre alcuni Paesi hanno “ammorbidito” le proprienorme in materia di naturalizzazione, smussando le tradizionipiù fedelmente obbedienti al “diritto di sangue” (secondo il

quale si diventa cittadini solo nascendo dagenitori anch’essi cittadini), altri Paesi sisono risolti a correggere quegli automatismiche, secondo i critici, rischiavano di svalutareuna cittadinanza troppo facile da conqui-stare. Mentre la dottrina dei diritti umaniuniversali ha fatto breccia negli ordinamentinazionali, portando al riconoscimento didiritti perfino ai migranti irregolari (peresempio il diritto alle cure sanitarie urgenti),

i dispositivi e le pratiche che regolano le migrazioni per ragioniumanitarie sono sempre più spesso accusati di illegittimità;e si potrebbe continuare con tanti altri esempi delle tensionie dei conflitti che circondano la materia.

Quel che va ribadito è che, sebbene spesso il dibattito tendaad appiattirsi sulla valutazione dei vantaggi e degli svantaggidelle differenti opzioni in tema di politica migratoria e dellacittadinanza, occorre essere consapevoli di come legiferaresu tali questioni sia un modo attraverso il quale una comunitàstatuale riafferma i principi fondamentali alla base del proprioordinamento, esprime la propria identità culturale e valoriale,manifesta la sua disponibilità – o, al contrario, la sua refrattarietà– a includere nuovi cittadini, insieme all’apporto, in termini,ad esempio, di arricchimento culturale, che essi recano con sé.

Sullo sfondo resta però una ambiguità tipica dell’approccioeuropeo, che svela a un tempo il suo livello di civiltà giuridica

Il dibattito e le diverse esperienze compiutesul tema dell’allargamentodella cittadinanza,tra modelli rigidi e modelli morbidi

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Il paradosso storico della vicenda europea

– né potrebbe essere altrimenti, nel continente che è stato laculla dei diritti umani – e il retaggio di una vicenda storicapercorsa dalla tentazione di ridurre gli immigrati al rango di“lavoratori ospiti”, presenze temporanee escluse in tutto o in partedal “corpo” della nazione. Manifestazione emblematica di taleambiguità è, ai nostri giorni, la tensione tra il principio dellepari opportunità – indicato dall’Europa come strada maestraper la costruzione di una società coesa e di un’economia

competitiva – e la filosofia alla quale conti-nuano a ispirarsi le politiche migratorie,esplicitamente o implicitamente basate suun’idea di complementarietà tra il lavoroautoctono e quello immigrato.

Viene qui al nocciolo il paradosso irrisoltodella vicenda europea, il paradosso di unapopolazione di “lavoratori ospiti” trasformatiin denizen, senza che siano significativamentemutate le aspettative degli europei nei riguardi

dell’immigrazione, sintetizzate dall’espressione “possono entrarecoloro che hanno un lavoro; più precisamente un lavoro chenoi non vogliamo fare”. La tensione tra la logica del lavoratoreospite e quella della denizenship si rivela, ad esempio, nel fattoche quelli che per un verso sono sanciti come diritti universalistici,fruibili in condizioni di parità coi cittadini (per esempio il dirittoal lavoro o all’alloggio) costituiscono, al contempo, requisitinecessari a ottenere lo status di migrante regolare, esattamentelo stesso status che conferisce la titolarità dei diritti. Cosìcome si rivela nel paradosso di un’immigrazione selezionatain ragione del suo potenziale apporto all’economia e al mercatodel lavoro, ma poi sovrarappresentata tra le fila dei disoccupati(un fenomeno registrabile quasi dovunque, e ulteriormenteaggravatosi in conseguenza della recessione che ha investitol’economia mondiale in questi ultimi tre anni).

Ma cosa dire delle risposte che le società europee hannoindividuato per risolvere tali paradossi? Negli anni ’80 e ’90 delloscorso secolo, è stato prevalente il tentativo di tenere insiemedue obiettivi per certi versi contraddittori: la drastica riduzionedei nuovi ingressi e l’integrazione dei migranti già presenti (edei loro figli). È significativo anzi che la maggior parte dellepolitiche per l’integrazione dei migranti siano state lanciateall’indomani della chiusura ufficiale delle frontiere, quandocioè gli Stati europei avevano smesso, formalmente, di esserePaesi d’immigrazione. Negli ultimi anni, invece, dopo la timida

La frequente logica limitativa del “può entraresolo chi ha un lavoro:più precisamente un lavoro che noi non vogliamo fare”

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Il paradosso storico della vicenda europea

riapertura delle frontiere a un’immigrazione sempre più seletti-va, la soluzione prospettata dalla maggior parte dei Paesi marcia,ancora una volta, su un duplice binario: la preferenza per lemigrazioni di carattere stagionale o temporaneo e l’applica-zione ai migranti del principio dell’attivazione.

Sebbene gli esperti tendano a condividere l’opinione chel’apporto dei migranti al finanziamento dei sistemi di welfareè, nei vari Paesi europei, superiore ai benefici che essi nericevono, l’opinione pubblica mostra una particolare sensibilitàal rischio che una popolazione povera e vulnerabile sottraggarisorse e non sia estranea a comportamenti opportunisticinella fruizione delle prestazioni assistenziali. In vari Paesi, sonoi movimenti populisti e localistici a catalizzare l’aspettativa disistemi di stratificazione civica che privilegino i nativi, speciequando opportunità e risorse da distribuire appaiono scarse.Tuttavia, il regime di legal embeddedness entro il quale gliStati europei devono operare limita enormemente la possibilitàdi modulare i benefici di welfare, così che è soprattutto nelle

strategie di contrasto alla unwanted migrationche essi vedono un modo per assecondarei desiderata del proprio elettorato (Bommes,2008). Dietro l’opzione per la temporaneitàè dunque facile leggere il tentativo di scorag-giare la sedentarizzazione delle popolazioniimmigrate e tutti i problemi che essa comporta 1

(Zanfrini, 2003), non ultimo proprio il loro pesosugli apparati assistenziali e redistributivi.Semmai va aggiunto che tale orientamento

contraddice quell’enfasi sulla migrazione come possibilesoluzione al problema del declino demografico che investe ilVecchio Continente, compromettendone gli equilibri di welfare.

Quanto al tema dell’attivazione, si rileva come lo status dimigrante consente una ancor più decisa applicazione delcosiddetto principio di condizionalità, che oggi si realizza in formeun tempo impensabili, per esempio attraverso la sottoscrizionedi “contratti di integrazione”, la previsione di sanzioni per coloroche rifiutano di prendere parte ai programmi d’integrazionee di alfabetizzazione, o anche subordinando la possibil itàdi naturalizzazione a una verifica dei progressi realizzati nel

L’apporto dei migrantial finanziamento dei sistemi di welfare nei diversi Paesi europei è superiore ai benefici cheessi ricevono in cambio

1 Allo stesso obiett ivo mirano gli svariati tentativi di l imitare le migrazioni dicarattere familiare e umanitario, entrambe percepite come particolarmente oneroseper i sistemi di welfare europei.

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Il paradosso storico della vicenda europea

percorso d’integrazione (Bommes, 2008). Valutare tali dispositivinon è facile. Certamente, essi servono a mitigare alcuni eccessicui ha condotto la retorica multiculturalista, e a ricomporre gliesiti segreganti prodotti dalle politiche di riconoscimento delleminoranze. Ma occorre prestare attenzione agli “sbandamenti”ai quali si può andare incontro una volta imboccata questastrada. Basti pensare a come, in Italia, quando in questi anni siè trattato di legittimare il diritto degli stranieri a entrare nel Paeseo a essere regolarizzati, o ancora di perorare un ampliamentodei contingenti ammessi, si è fatto sempre riferimento al bisognoche l’economia e la società italiane hanno del lavoro degliimmigrati per ricomporre gli squilibri tra domanda e offerta econtribuire al finanziamento della spesa pubblica. Un simileapproccio rischia non solo di vanificare la possibilità di un effettivogoverno dell’immigrazione – che finisce in tal modo con l’essereconsegnato al mercato e a tutti i suoi vizi – ma, soprattutto,mostra il suo limite nel momento in cui questo bisogno diventameno incontestabile e, insieme alle accuse di dumping sociale ealle probabilità di conflitto interetnico, crescono anche leresistenze a condividere con gli stranieri risorse e opportunità.

Aleinikoff T.A., Klusmeyer D. (2002),Citizenship Policies for an Age of Migration,Washington, Carnegie Endowment forInternational Peace

Arendt H. (1999), Le origini del totalita-rismo, Torino, Edizioni di Comunità

Bauböch R. (1994), Transnational Citizen-ship: Membership and Rights in InternationalMigration, Edward Elgar Publishing Ltd.,Brookfield, Vt.

Bommes M. (2008), “Welfare systems andmigrant minorities: the cultural dimension ofsocial policies and its discriminatorypotential”, in Reconciling migrants’ well-being with the public interest. Welfare state,firms and citizenship in transition, Strasbourg,Council of Europe Publishing: 129 -158

Hammar T., a cura di (1985), EuropeanImmigration Policy, New York, CambridgeUniversity Press

Kymlicka W. (1999), La cittadinanzamulticulturale, Bologna, Il Mulino

Sayad A. (1996), La doppia pena delmigrante. Riflessioni sul “pensiero di Stato”,aut aut, 275: 8 -16

Soysal Y. (1994), Limits of Citizenship,Chicago, University of Chicago Press

Walzer M. (1987), Sfere di giustizia,Milano, Feltrinelli

Wimmer A., Glick Schiller N. (2003),“Methodological Nationalism, the SocialSciences, and the Study of Migration: AnEssay in Historical Epistemology”, Interna-tional Migration Review, XXXVII, 3: 576-610

Zanfrini L. (2003), “Politiche migratorie ereti etniche: un intreccio da costruire?” inLa Rosa M. e Zanfrini L., a cura di, Percorsimigratori tra reti etniche, istituzioni e mercatodel lavoro, Milano, FrancoAngeli: 225-249

Zanfrini L. (2007), Cittadinanze. Apparte-nenza e diritti nella società dell’immigrazione,Roma-Bari, Laterza

Zanfrini L. (2010), “I ‘confini’ della cittadi-nanza: perché l’immigrazione disturba”,in Lodigiani, R., Zanfrini, L. (a cura di) “Riconci-liare Lavoro Welfare e Cittadinanza”,Sociologia del Lavoro, n.117, Milano,FrancoAngeli, pp. 40-56

Bibliografia

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iloIl 2010 dell’asilo:domande in calonei Paesi industrializzati

a cura della redazione

Sono diminuite del cinque per cento rispetto al 2009 e del 42 per cento in confronto al 2001.I dati contenuti nel Rapporto statistico pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr)

Continua a diminuire, anche nel 2010, il numero di richiedentiasilo nei Paesi del mondo industrializzato. La cifra attuale infattiè pari a circa la metà del livello di inizio millennio. È questouno dei dati principali emersi dal Rapporto statistico sulledomande d’asilo presentate nel 2010 in 44 Paesi industrializzati 1,pubblicato il 28 marzo 2011 dall’Alto Commissariato delle NazioniUnite per i Rifugiati (Unhcr) e disponibile in forma integraleall’indirizzo http://www.unhcr.org/statistics.

È importante precisare che il rapporto prende in esame lenuove domande d’asilo presentate e non il numero di personealle quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Lo scorso anno – si legge nel rapporto – nei Paesi industria-lizzati sono state inoltrate complessivamente 358.800 domanded’asilo, il 5% in meno rispetto all’anno precedente e ben il 42%in meno del 2001. Negli ultimi dieci anni, il 2001 è stato l’annoin cui è stato presentato il maggior numero di domande: 620mila.“Le dinamiche dell’asilo a livello globale sono in continuo muta-mento” ha affermato l’Alto Commissario per i rifugiati AntónioGuterres. “Il numero di domande d’asilo nel mondo industrializzatosi attesta oggi su un livello molto più basso rispetto a undecennio fa. Le cifre annuali sono in crescita solo in un ridottogruppo di Paesi”.

1 I 44 Paesi presi in esame dal rapporto sono – oltre ai 27 dell’Unione Europea –Albania, Australia, Bosnia-Erzegovina, Canada, Repubblica di Corea, Croazia,Giappone, Islanda, Liechtenstein, Repubblica ex jugoslava di Macedonia,Montenegro, Norvegia, Nuova Zelanda, Serbia, Stati Unit i , Svizzera e Turchia.Sono così definit i solo ai f ini del rapporto stesso.

L’anno scorsosono state358.800le richiestedi protezionepresentatein 44 Paesi

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Il Rapporto statistico 2010 dell’Unhcr

Il numero di domande di asilo presentate lo scorso annorappresenta il livello più basso dell’ultimo decennio. Su baseannuale sono state riscontrate diminuzioni in gran parte delleregioni del mondo, tra cui Europa, Nord America e Nord Asia.Nel Vecchio Continente, il declino più sensibile si è registratonei Paesi meridionali, nei quali il numero di domande inoltratenel 2010 è stato complessivamente inferiore del 33% rispettoall’anno precedente. Ciò si spiega principalmente col fatto cheun numero minore di persone ha chiesto protezione a Malta,in Italia e in Grecia. Tale diminuzione è tuttavia bilanciata daaumenti in altri Paesi, come in Germania (+49%), Svezia(+32%), Danimarca (+30%), Turchia (+18%), Belgio (+16%) eFrancia (+13%). Al contrario, sensibili diminuzioni sono stateregistrate in Norvegia (-42%) e Finlandia (-32%).

La situazione in ItaliaNel 2008 in Italia si era verificato un significativo aumento

delle domande di asilo, in linea con gli standard europei (30.300).Molti di coloro che presentavano domanda arrivavano preva-lentemente via mare. Nel 2009, il numero delle domande diasilo è diminuito drasticamente; tale calo va attribuito anchealle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia da Italia eLibia, fra le quali i respingimenti in alto mare. Dal 2008 al 2009le domande di asilo si sono quasi dimezzate (17.600). Nel 2010,questo trend è continuato con 8.200 domande (sulla base deidati attualmente disponibili), classificando l’Italia al 14° postocome destinazione tra i 44 Paesi industrializzati.

Il panorama continentaleA livello di continenti, solo in Australia il numero di domande

d’asilo presentate lo scorso anno è stato superiore a quello del2009. In Australia le domande inoltrate sono state 8.250, per unaumento del 33%. Tuttavia le cifre relative a questo continentesono ben al di sotto dei livelli riscontrati in altri Paesi – sia del mondoindustrializzato che non industrializzato – e si sono rivelateinferiori di oltre un terzo se paragonate con quelle del 2001.

Se si prendono in considerazione i singoli Paesi, gli Stati Unitisono risultati ancora una volta – per il quinto anno consecutivo –il principale destinatario di domande d’asilo. Ogni sei richiestedi protezione presentate nei Paesi industrializzati consideratidal rapporto, una è stata depositata negli Usa, dove il numerodi domande è aumentato di 6.500 rispetto all’anno precedente,anche per l’incremento di richieste provenienti da cittadini di Cinae Messico.

Dal 2008 al 2010 in Italia le domande di asilo si sono ridottedi quasi quattro volte,classificandoil nostro Paeseal 14° postofra le nazioni prese in esame dal Rapporto

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Il Rapporto statistico 2010 dell’Unhcr

Al secondo posto, tra i Paesi che hanno ricevuto più richiested’asilo, si trova ancora la Francia: provengono principalmente dacittadini di Serbia, Federazione Russa e Repubblica Democraticadel Congo le 47.800 domande pervenute nel 2010. Il terzo Paese– con una crescita del 49% – è invece diventato la Germania,anche a seguito dell’aumento di domande presentate da cittadinidi Serbia e Repubblica ex jugoslava di Macedonia. Si tratta diuno sviluppo ampiamente attribuibile al fatto che, dal dicembre2009, i cittadini di questi due Paesi non hanno più bisogno diun visto per entrare nell’Unione Europea. Al quarto e quinto postotroviamo poi Svezia e Canada.

Complessivamente, i primi cinque Paesi hanno ricevuto piùdella metà (il 56%) del numero totale di domande d’asilopresentate in tutti gli Stati presi in esame dal rapporto.

Proviene da cittadini serbi il maggior numero di domandePassando ora ai Paesi d’origine, nel 2010 il più alto numero di

domande – 28.900, si legge nel rapporto – è stato presentatoda cittadini della Serbia, tra i quali vanno inclusi anche quelliprovenienti dal Kosovo. La cifra rappresenta un aumento del54% rispetto al 2009, quando il Paese si collocava al sestoposto nella classifica delle nazioni d’origine di richiedentiasilo. È interessante notare che la cifra del 2010 risulta vicinaa quella del 2001, quando si era appena usciti dalla crisi delKosovo.

Al secondo posto si trova l’Afghanistan, con una diminuzionedel 9% rispetto all’anno precedente. A differenza del 2009,quando la maggior parte degli afghani ha inoltrato la propriadomanda in Norvegia e Regno Unito, l’anno scorso i Paesi piùrichiesti sono stati Germania e Svezia. Terzi tra i richiedentiasilo del 2010 i cinesi, anche per la contemporanea sensibilediminuzione di domande presentate da cittadini di Iraq eSomalia. Per la prima volta dal 2005 infatti l’Iraq non è tra i primidue Paesi d’origine di richiedenti asilo. Si trova ora invece alquarto posto, seguito dalla Federazione Russa. La Somalia –terza nel 2009 – si trova invece al sesto posto.

Sono i serbiad aver presentato il maggior numero di domande,28.900,anche per ilcontributo dei cittadini del Kosovo

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rca Per una conoscenza

comparata dell’integrazione

di Stefania Nasso

L’indagine Mipex, progetto del British Councile del Migration Policy Group giunto alla sua terzaedizione, misura l’efficacia delle politiche messe in atto da 31 Paesi europei e nordamericani per facilitare l’inserimento dei migranti nella società

È stata pubblicata la terza edizione del Mipex, l’indice dellepolitiche di integrazione degli immigrati, progetto diretto dalBritish Council e dal Migration Policy Group, cui sono affiliate37 organizzazioni a livello nazionale. La ricerca, prodotta nelquadro del progetto “Outcomes for Policy Change”, cofinanziatodal Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesiterzi, ha lo scopo di “misurare” le politiche di integrazione in31 nazioni; i 27 Stati membri dell’UE, a cui si aggiungono Svizzera,Norvegia, Canada e Stati Uniti.

L’obiettivo di “garantire a tutti diritti, responsabilità e opportunitàcomparabili è al centro della cooperazione europea sull’inte-grazione”, ribadisce il programma di lavoro 2010-2014 dell’UEin materia di Libertà, Sicurezza e Giustizia; il Mipex è lo stru-mento per verificare come rispondiamo alla richiesta di parità.Le leggi e le politiche dei singoli Paesi sono sottoposte aun’indagine comparata, stimando in che misura la legislazionedel singolo Paese offra uguali diritti, opportunità e assegniresponsabilità ai residenti stranieri rispetto ai cittadini, in chemisura quindi ne riconosce il valore, garantendo ai nuovi arrivatiun percorso chiaro verso la cittadinanza e investendo in azionivolte a rendere le pari opportunità una realtà.

Vengono comparate sette aree oggetto di politiche – mobilitàdel mercato del lavoro, ricongiungimento familiare, istruzione,partecipazione politica, soggiorno di lungo periodo, accesso allacittadinanza e antidiscriminazione – utilizzando 148 indicatori.Ogni indicatore è una domanda cha fa riferimento a unacomponente specifica di uno dei settori politici. Gli standard

Leggi e politiche dei singoli Paesi sono sottoposte a un’indagine comparata per verificare quanto le singole legislazioni offrano eguali diritti e opportunitàai residenti stranieri rispetto ai cittadini,garantendo ai nuovi arrivati percorsi verso la cittadinanza

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Mipex, l’indice delle politiche di integrazione

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di riferimento più elevati sono ricavati dalle convenzioni delConsiglio d’Europa o dalle direttive dell’Unione Europea.

Il quadro ricco e multidimensionale tracciato dalla ricercapuò essere utilizzato da tutti coloro che si occupano di immi-grazione (attori internazionali, legislatori, governi, associazioni,immigrati etc.) per esaminare ad esempio:

i molteplici fattori che influenzano l’integrazione degli immi-grati nella società

l’impatto di standard internazionali ed europei – leggiraccomandazioni, accordi – sulla legislazione e sulle politichenazionali

l’impatto delle politiche di integrazione in generale o suun’area particolare

i punti di forza e di debolezza del Paesei reali obiettivi dei governi in base all’effetto delle politiche

sulla vita dei singolile possibili aree di miglioramentogli obiettivi, risultati e implementazioni che possono orientare

il miglioramento, utilizzandoli per analizzare e stimare i cam-biamenti passati e futuri delle politiche esaminate.

Il progetto mira a rendere i dati sull’integrazione visibili eallo stesso tempo fruibili a tutti, promuovendo la trasparenzae aumentando la conoscenza e la visibilità pubblica delle politichenazionali, dei cambiamenti e delle tendenze internazionali. Sulsito http://www.mipex.eu è possibile scaricare i risultati integralie i commenti degli esperti, prendere visione di come è statacondotta la ricerca, di come i Paesi la stanno utilizzando, einoltre “giocare con i dati”, creando grafici e comparandoPaesi e politiche per ottenere, ad esempio, una visione d’insiemedi ciò che è cambiato, oppure stimare la futura evoluzionedelle politiche.

Dal momento che il Mipex viene aggiornato di continuo, si puòavere accesso a informazioni contestuali e tenersi al correntedei punti in agenda nel proprio Paese.

Principali risultatiLa media del punteggio, di poco superiore al 50%, ottenuto

complessivamente dai 31 Paesi dell’Europa e del Nord Americaesaminati indica che, nell’insieme, le politiche sono solo parzial-mente favorevoli all’integrazione. In sostanza tante sono leopportunità di diventare membri paritari della società quantisono gli ostacoli. I lavoratori immigrati, le famiglie ricongiuntee i soggiornanti di lungo periodo godono di sicurezze fonda-

Il progetto mira a renderei dati sullaintegrazione visibili e allo stesso tempo fruibili da tutti,promuovendo la trasparenza e la visibilità pubblica delle politichenazionali

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Mipex, l’indice delle politiche di integrazione

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I primi dieci Paesi classificati sono in ordinedi punteggio Svezia,Portogallo,Canada,Finlandia,Paesi Bassi,Belgio,Norvegia,Spagna,Stati Uniti e Italia.I punteggi più bassivanno a Lettonia,Cipro Slovacchia,Malta e Lituania

mentali, diritti e tutele contro la discriminazione mentre i maggioriostacoli si incontrano nell’ottenimento della cittadinanza o neldiventare politicamente attivi e, per i bambini, nell’avere successoa scuola e nell’imparare a vivere e lavorare insieme.

Le classificheI primi dieci Paesi classificati sono, in ordine di punteggio,

Svezia (83), Portogallo (79), Canada (72), Finlandia (69), PaesiBassi (68), Belgio (67), Norvegia (66), Spagna (63), Stati Uniti (62)e Italia (60). A parte la Svezia, dove gli immigrati beneficianodi politiche classificate “favorevoli” all’integrazione (punteggioda 80 a 100), le politiche degli altri nove Paesi vengono clas-sificate come “leggermente favorevoli” (punteggio da 60 a 79).I risultati più bassi, classificati come “leggermente sfavorevoli”(da 21 a 40), sono stati ottenuti da Lettonia (31), Cipro (35),Slovacchia (36), Malta (37) e Lituania (40).

Rispetto ai risultati del 2007 (Mipex II), la Svezia, purrimanendo in testa scende di un punto, a causa del minorpunteggio ottenuto nel settore del ricongiungimento familiare,mentre il Portogallo sale di cinque punti.

La realizzazione di politiche ben sviluppate anche nei Paesidi nuova immigrazione dimostra come, nonostante la mancanzadi tradizione ed esperienza, sia stata sufficiente la volontàpolitica per raggiungere risultati apprezzabili. Le riforme degliultimi anni hanno determinato un miglioramento delle opportunitàdi integrazione in Grecia (da 39 a 49) e Lussemburgo (da 51 a 59)e un peggioramento nel Regno Unito (da 67 a 57). Nel prossimofuturo, i tagli dei finanziamenti conseguenti alla crisi economicapotrebbero indebolire l’implementazione delle politiche di integra-zione nei vari settori.

L’istruzione, nuovo settore del Mipex III, emerge comeun’importante area di debolezza. Pochi sistemi scolastici valutanoin materia professionale quello che i bambini nuovi arrivatihanno appreso all’estero mentre comunque tutti hanno accessoalle misure generali di sostegno per gli studenti svantaggiati.In generale è riconosciuto il loro diritto a frequentare la scuolamaterna e seguire il ciclo di studi obbligatori. Si rileva lamancanza di formazione degli insegnanti nel riconoscere leesigenze legate alle esperienze di immigrazione e l’ampiomargine di discrezionalità nel soddisfare queste esigenze da partedella scuola. I sistemi scolastici più impegnati nell’adattarsialle realtà dell’immigrazione sono quello svedese (77), canadese(71), belga (66), finlandese, norvegese e portoghese (63), tuttinella fascia “leggermente favorevole”. Il Portogallo è il migliore

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Mipex, l’indice delle politiche di integrazione

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tra i Paesi di nuova immigrazione, mentre il Regno Unito (58) è intesta tra i principali Paesi europei di vecchia immigrazione.

L’ ItaliaIn Italia, una delle principali nazioni di nuova immigrazione,

la maggior parte dell’immigrazione permanente è legata airicongiungimenti familiari e alla libera circolazione nella UE.

Rispetto al Mipex II perde un punto complessivo cedendo ilpasso alla Spagna; le nuove politiche adottate, in particolarela legge per la sicurezza, secondo le valutazioni degli espertihanno reso le condizioni leggermente meno favorevoli all’inte-grazione.

Si abbassa il punteggio del settore del ricongiungimentofamiliare (da 78 a 74) mentre rimane stabile quello del settoremobilità del mercato del lavoro (69), dove cittadini e lavoratoriimmigrati godono sostanzialmente di pari accesso, sostegno ediritti, ma mancano misure di sostegno mirate (es. riconoscimentotitolo di studio). Ciò implica che i lavoratori non comunitari trovanolavori che possono essere inferiori alle loro qualifiche oppurefuori dal circuito legale.

Il sistema dell’istruzione è, come in tutta Europa, uno deipunti di debolezza maggiori. Il punteggio italiano (41) è pocoal di sopra della media UE (39).

Il punteggio nel settore dell’accesso alla cittadinanza scendeda 65 a 63. L’attuale legge sulla cittadinanza non ha registratoil passaggio dell’Italia da “Paese d’emigrazione” a “Paese diimmigrazione” anche se, dato comunque l’alto punteggio ottenuto,con una riforma idonea facilmente si potranno porre le condi-zioni per una cittadinanza sicura e paritaria, in particolare perle seconde generazioni (vedi n. 1/2011 di libertàcivili). A questoproposito segnaliamo una recente iniziativa della regioneToscana e della città di Reggio Emilia che inaugurano unaazione di informazione a tappeto sulla possibilità di ottenere lacittadinanza con una semplice dichiarazione all’ufficio di statocivile entro il compimento del diciannovesimo anno di età,inviando una lettera di “buon compleanno” ai minori stranieriregolarmente residenti che stanno per compiere diciotto anni,possibilità prevista dall’attuale legge ma che pochi conoscono.

Nel settore della partecipazione politica le opportunitàsono più limitate rispetto alla maggior parte dei Paesi di immi-grazione consolidata. Il punteggio di 50 indica che siamocomunque sulla strada della miglior pratica. L’esempio positivodi integrazione nella politica locale è quello dei due organiconsultivi della città di Roma che potrebbero diventare modelli

In Italia la maggior parte dellaimmigrazione permanente è legata ai ricongiungi-menti familiari e alla libera circolazione nella UE.Il sistema dell’istruzionerappresenta,come in tutta Europa,uno dei punti di debolezza maggiori

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Mipex, l’indice delle politiche di integrazione

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Nella città di Roma due esempi di partecipazionepolitica locale degli immigrati che potrebberodiventare modelli per altre città italiane

per altri enti. I cittadini non comunitari possono candidarsi edeleggere consiglieri aggiunti che rappresentano i soggiornantiprovenienti da Africa, Asia, America ed Europa orientale, eche fanno parte del Consiglio comunale senza diritto di voto,mentre la Consulta cittadina per la rappresentanza dellecomunità straniere di Roma conta 32 membri liberamente elettidalle maggiori comunità.

Riguardo al soggiorno di lungo periodo (punteggio 66)l’Italia esclude molte categorie di immigrati considerati idoneinella maggior parte dei Paesi europei, ma le condizioni diacquisizione sono più favorevoli di quelle previste per il ricon-giungimento familiare e la naturalizzazione. La legge per lasicurezza, che impone condizioni di conoscenza della linguae integrazione, potrà incoraggiare i nuovi arrivati a ottenere lostatus di soggiornanti di lungo periodo, o viceversa, costituireun ostacolo, in ragione di come il governo implementerà inuovi requisiti richiesti.

Infine nel settore dell’antidiscriminazione (punteggio 62),pur avendo l’Italia accordato ai soggiornanti piena tutela controle discriminazioni, il punteggio delle politiche di parità (11),indicatore specifico riguardante in particolare l’azione degliorganismi dedicati (Unar), è molto al di sotto della mediaeuropea.

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Dal territorio allo spazio reticolaredelle migrazioni:la governance territoriale

di Emanuela CastiUniversità degli studi di Bergamo

Da anni all’università di Bergamo si applicanometodologie geografiche allo studio delle migrazioniper trovare strumenti utili alla rappresentazione e al governo del fenomeno e per produrre sistemiinformativi in grado di comunicarlo

La globalizzazione, oltre ad aver reso più cospicui gli scambimigratori, ha evidenziato la loro configurazione plurale: flussiprovenienti da ogni parte del mondo si distribuiscono in regioni,riconfigurate come un intreccio di territorialità. In tale contestoparlare di migrazione come fenomeno monolitico, caratterizzatoda elementi comuni e da dinamiche replicate, è limitativo masoprattutto fuorviante. Diversamente, per comprendere l’inedita

portata sociale delle migrazioni è necessarioaffrontarle come un fenomeno complesso lacui comprensione dipende dal possesso distrumenti analitici adeguati a disvelarne glistatuti e le dinamiche territoriali.

Vengono qui esposte le metodologiegeografiche quale strumentazione in grado dimonitorare il fenomeno, attuare una governancee produrre sistemi informativi per comunicarlo.Si richiamano, in tal senso, i risultati di ricerche

decennali svolte presso il Laboratorio Cartografico Diathesisdell’Università degli Studi di Bergamo e si prospetta un progettodi ricerca transdisciplinare che coinvolge sociologi della comuni-cazione e geografi di vari atenei italiani, ponendosi all’incrociodi due assi di riflessione: la comunicazione mediatica, nella pro-spettiva di trovare strumenti – testuali, cartografici, digitali, video –utili alla rappresentazione del significato dei sistemi migratorinell’età contemporanea; l’analisi dei territori plurali, ossia carat-terizzati da multiculturalità, mediante strumenti partecipativiin grado di attuare nuove forme di governance territoriale.

L’immigrazione non è un fenomeno monolitico ma èsegnata da flussi provenientida Paesi differenti che sidistribuiscono sul territoriogenerando dinamiche diverse

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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1. Movimento e territorialitàNel panorama della globalizzazione, le migrazioni rivestono

un significato inedito da decifrare alla luce della configurazioneassunta dal territorio in senso sia spaziale sia temporale: territoricon confini porosi, nuove distanze, mobilità accelerata, informa-zione globale hanno ormai reso inefficaci e obsoleti i tradizionalimodelli e metodi interpretativi, svuotandoli di senso. Uno deisignificati più rilevanti della mobilità è quello di essere diventata ilfattore di stratificazione sociale più potente e più ricercato.Dal momento che le attuali tecnologie della comunicazioneconsentono agli individui di agire o manifestarsi a distanza, lapresenza fisica diretta diventa un indice particolarmente signi-ficativo per valutare il grado di ibridazione interculturale nellesocietà multietniche.

In questo contesto lo spazio cessa di essere un limiteimprescindibile all’azione e alla comunicazione: la co-presenzafisica nel luogo in cui la territorialità è espressa dall’azione di

una pluralità di soggetti che appartengono adifferenti contesti culturali, diventa il segno piùevidente di riconoscimento, quale esito della“mobilità generalizzata”. Infatti, va ribaditoche la frammentazione e la riarticolazioneoperate dalle reti globali non hanno affattoeliminato la territorialità. Piuttosto ne hannocambiato i connotati differentemente in funzionedella scala d’analisi: esaltandola a livello locale,indebolendola a livello nazionale, generandola

a scala macroregionale e continentale. Essa costituisce, comunque,il collante dei legami orizzontali fra i soggetti che interagiscononelle reti locali e quelli verticali propri delle reti globali.

Studiare il fenomeno dell’immigrazione, che investe le nostreregioni, comporta, in definitiva, recuperare la territorialità migrante1.Occorre abbandonare l’idea di migrazione intesa come unmovimento di popolazione, che trasferisce o richiama individuiin un determinato territorio, e assumere, piuttosto, quest’ultimocome l’esito dell’incontro di soggetti che, al di là della loro origine,ne plasmano le forme e ne forniscono le rappresentazioni. Le nuoverealtà obbligano a interrogarsi su inedite forme di convivenzae di progettazione del territorio che assumano la convivenza

Nell’era globale della mobilità generalizzata il territorio diventa l’esito dell’incontrodi soggetti di origini diverse chene plasmano le forme e ne forniscono le rappresentazioni

1 Per territorial i tà si intende l ’ insieme di relazioni che nascono in un sistematridimensionale società-spazio-tempo in grado di esprimere la multidimensiona-l i tà del vissuto territoriale da parte dei membri di una collett ività o della societàin generale.

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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basata su rinnovate forme partecipative come quelle dellagovernance.

2. La pluralità dei territoriSpostando il focus dell’analisi dalla concezione del territorio

quale realizzazione della società che lo abita, a quello di condizioneattraverso cui la territorialità dell’immigrato si esprime, si assumeuna geografia della complessità in cui globale e locale si inter-

secano, dal momento che i valori localialimentano quelli che circolano nelle retiglobali. In tale contesto, l’identità locale nonpuò essere considerata soltanto come lacapacità di auto-organizzazione dei soggettilocali ma, viceversa, occorre prendere inconsiderazione la sua capacità di interagirecon i sistemi a rete globali. Di conseguenza,per rappresentare i flussi migratori e le formespaziali che ne derivano, all’idea classica

di referenza geografica, quale dato esauriente del loro mani-festarsi, bisogna sostituire quella di referenza relazionale cherimanda a un altro tipo di spazio, discontinuo e disomogeneo.Lo spazio topografico, rigidamente impostato sulla geometria,pertanto, non è più in grado di esprimere le qualità del territorioche necessitano delle più flessibili strutture della rete, caratterizzatada linee di flusso e punti di connessione 2.

Va precisato che, all’interno di tale impostazione analitica,non è sempre facile individuare i meccanismi di funzionamentodel territorio dell’immigrazione, poiché la complessità dei fattoriinteragenti o le sue forme poco manifeste lo rendono un fenomenosfuggente e, per certi versi, ingannevole. Si deve, dunque, farericorso a una semiotica del territorio, ossia a un metodo analiticoche lo esibisca come un insieme di segni, una griglia ordinatadi simboli, pratiche e strutture, in grado di palesare la logicache l’immigrato attiva per ricreare le condizioni della propriaesistenza. In questa prospettiva, il territorio non viene assuntocome dato statico ma come processo determinato dall’insiemedelle pratiche che trasformano lo spazio naturale, caricandolodi valenze antropiche. Così come non va taciuto che la territo-rialità si riconfigura in nuove forme, esaltandola o indebolendola in

2 Lo spazio reticolare è adatto a rappresentare ciò che è complesso, contraddittorio,confl i t tuale: per esempio logiche locali diverse da quelle globali, incontro direlazioni “verticali”e “orizzontali”, ecc.

L’identità locale non è più datasoltanto dalla capacità di auto-organizzazione dei soggetti di un territorio,ma include anche l’interazione con i sistemi a rete globali

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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relazione al ritaglio spaziale di riferimento. Se su scala globalesi stempera in forme sempre più ibride, su quella locale essaè accresciuta assumendo la forma di appartenenza culturalecome valore condiviso dagli abitanti di uno stesso luogo cheintrattengono rapporti con l’esterno. Nelle nostre regioni, lapresenza di una specifica comunità immigrata, come quellacinese, per esempio, non solo incide fortemente sul territoriopreesistente, modellandolo in nuove forme, ma interviene sullastessa territorialità ridefinendo i principi su cui essa si costruiscee si rappresenta presso i suoi abitanti.

È chiaro che l’accelerazione del movimento e l’incrementodell’interconnettività, che connotano il mondo contemporaneo,

influiscono in modo significativo anche sulmodo in cui controlliamo lo spazio, vale adire sul processo funzionale e simbolico diappropriazione e di gestione dei nostri contestigeografici. Se nel territorio, tradizionalmenteinteso, il controllo avveniva sui confini statali,in quello reticolare è impostato nei punti diconnessione ossia le città, riarticolate da unamolteplicità di frontiere culturali. Non c’èdubbio, infatti, che l’inserimento degli immigrati

ha ripercussioni sulle nostre città sotto il profilo materiale ma siesibisce in tutta la sua forza a livello delle patologie disgregativedella territorialità.

Ciò appare evidente mobilitando una categoria analiticaconiata proprio nello studio del funzionamento del territorio inrete che è quella di sistema locale. Si tratta di un sistema cheinteragisce con l’esterno secondo regole proprie, largamenteinformali e, tuttavia, sufficienti a garantire la sua riproduzionenel tempo. Per raggiungere la sua stabilizzazione dispiegatutte le potenzialità che gli derivano dalla sua coesione interna,individuabili nelle logiche, nel modo comune di pensare e diagire dei soggetti che lo compongono. In sintesi, il sistemalocale è un corpo autoreferenziale fortemente interessato alla suariproduzione mediante l’azione territoriale, poiché attraverso diessa rafforza la propria identità. Allo stesso modo la comunitàimmigrata non è un grumo uniforme di persone che ricopronoi medesimi ruoli e che assumono le medesime responsabilitànei confronti della società d’accoglienza. Essa è organizzatastrutturalmente in un sistema gerarchico, in cui alcuni soggettisvolgono ruoli autorevoli perché espressione di una condivisionedi valori collettivi.

Nella città multietnica questo risulta più evidente. Anche in

La presenza di una specificacomunità immigrata incide sul territorio plasmandoloin nuove forme e interviene sulla stessa territorialità,ridefinendone i principi

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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una città di medie proporzioni, come Bergamo, gli immigraticostituiscono una comunità che diviene sistema nel momentoin cui essa pratica e mette in atto strategie di autoriproduzione,finalizzate a preservare ed esibire la propria identità; tale sistema,tuttavia, non è avulso da ciò che lo circonda ma intrattienerapporti con la città nel suo complesso. Il sistema cinese, adesempio, è mimetizzato e attua delle strategie di sopravvivenzache non contemplano l’inserimento o l’integrazione; quello africano,viceversa, si palesa negli spazi pubblici e nelle forme dell’abitareche vanno a riempire spazi urbani poco utilizzati; quello sudame-ricano si stempera negli interstizi della domiciliazione pressoi datori di lavoro.

Non c’è dubbio, tuttavia, che l’inserimento di tali nuovecomunità nelle nostre città frammenti e rimodelli i territori e, diconseguenza, moltiplichi le territorialità esistenti. Si tratta diuna frammentazione in cui si determina la distruzione di una

società identitaria autorappresentatasi comemonolitica e ciò non va considerato elementoforzatamente negativo. Anzi sembra proprioche all’interno di tale frammentazione sianorintracciabili punti di intersezione e di contattotra sistemi sociali differenti in grado di farlievolvere. L’assunzione del sistema locale,dunque, ha il vantaggio di evidenziare lacoesione di soggetti interessati a mettere apunto strategie per raggiungere obiettivi di

interesse comune ma esula dal proporsi quale categoria attaa specificare il tipo di rapporto che una comunità intrattienecon le altre presenti sul territorio, più forti e pervasive.

3. Progettare il territorio: la governance territorialeÈ evidente che il progetto di costituzione di una società

multiculturale non può essere perseguito mediante pratiche dimera integrazione ma, piuttosto, attraverso il raggiungimentodi una condivisione dei valori che la dinamica d’incontro hacreato e attraverso la capacità di dotarsi di strumenti idoneiagli specifici contesti culturali in cui si intende agire. Una voltaassunta l’idea che l’obiettivo da perseguire sia la creazione diuna società plurale e multiculturale, gli interventi devono essereeffettuati da tutti gli attori coinvolti e mediante modalità propriedella governance territoriale. Ci si avvale, dunque, di una strategiadi ricerca (denominata SIGAP) che prevede fasi modulari destinatealla raccolta partecipativa dei dati, alla loro interpretazione evisualizzazione cartografica, alla validazione e all’impiego

La frammentazione dei territori e la distruzione di una società “monolitica”non sono processi negativi,poiché consentono laevoluzione dei sistemi sociali

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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nei tavoli di concertazione, alla creazione di strumenti dicapitalizzazione digitali da far circolare in rete. È un metodo diricerca partecipativo che mira soprattutto all’individuazionedegli strumenti di dialogo e confronto che gli attori implicatisono in grado di mobilitare, evidenziando le possibilità offerte dallagovernance per conseguire un’adesione attiva delle comunità

locali ai processi decisionali concernentiquestioni di carattere pubblico.

Non va nascosto che sul piano pratico lagovernance implica un investimento oneroso:da parte della società ospitante che deveattivare pratiche di partecipazione e concer-tazione, così come della società immigratache è portatrice di valori e saperi plurali, didifficile omologazione. Inoltre, tale investimentova interpretato alla luce della situazione

interetnica prodotta e, pertanto, della nuova territorialitàespressa dal luogo d’accoglienza che non può essere imputataall’esclusiva azione della popolazione immigrata, ma al contattotra questa e la popolazione già residente. Infatti, la governanceprevede l’attuazione di una società multiculturale mediante uncongiunto e paritetico ruolo di responsabilità degli attori che,pur ricoprendo differenti posizioni a seconda che appartenganoalla società ospitante o alla comunità immigrata, devonopartecipare ai tavoli di concertazione con uguale dignità eresponsabilità.

La governance è un cantiere di ricerca che tenta di coniugareuna strategia di adattamento nella risoluzione di contese,favorendo la ricomposizione dei ruoli e dei contenuti dell’azionepolitica. La nozione di governance – che, va precisato, non èun concetto ben definito ma una prescrizione, tesa, non tantoa ottenere risposte quanto, piuttosto, a enucleare nodi proble-matici e formulare una rosa di soluzioni – non rimpiazza ilgoverno istituzionale ma mostra nuove forme di scelte collettive,di valori, di dibattiti contraddittori, di contrapposizione di interessidiversi, di legittimità, in sostanza di politica. In termini generali,la governance definisce una modalità di azione pubblicadiversa, rispetto a quella del governo della città e del territorioistituzionale. Mentre il governo della città prefigura come centraleil ruolo dell’attore pubblico, la governance prefigura una modalitàdi intervento basato sulla flessibilità, sul partenariato e sullavolontarietà della partecipazione. Diversi soggetti, anche nonistituzionali, hanno, quindi, la possibilità di svolgere un ruoloattivo nella definizione delle scelte e di azioni di interesse

La governance territoriale impone il coinvolgimento di tutti gli attori e rappresentaun investimento oneroso sia per la società ospitante sia per quella immigrata

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Le metodologie geografiche applicate allo studio delle migrazioni

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collettivo. La governance si profila, dunque, come modalità diazione adeguata anche nelle questioni sollevate dall’immigrazionedal momento che il suo obiettivo è la costituzione di tavoli diconcertazione dove, più che la gerarchia delle competenzepreviste, conta la costruzione degli interessi in gioco, delle attesee delle intenzionalità espresse dai diversi soggetti.

In tale contesto l’analisi territoriale permette di individuare igruppi sociali, gli attori e i diversi interessi messi in campo perelaborare una strategia comune; di proporre all’esterno, neiconfronti degli attori istituzionali, una rappresentazione collettivadi tale strategia; infine, di individuare gli aspetti territorialinella loro funzione non tanto di localizzazione ma di territorialità.

Diventa cruciale sostenere il ruolo delle associazioni cheesprimono la cultura di ciascun gruppo e assumerle quali attoriautorevoli nell’attuazione della governance. Difatti, queste formeassociative costituiscono una grande potenzialità nella parte-cipazione ai tavoli di concertazione dal momento che il lorosistema di rappresentanza è composto da soggetti che richiamanoruoli autorevoli nella comunità di partenza oppure, avendoconcluso il progetto migratorio, hanno acquisito l’autorevolezzanecessaria a rappresentare tutta la comunità.

Infine, va specificato che tali associazioni possono relazionarsicon organismi presenti nel territorio, che esprimono a lorovolta l’esigenza di rafforzare i legami tra comunità locale e P. A.,come le associazioni di quartiere cittadine o quelle che abbianocapacità di dialogare con la comunità immigrata.

4. ConclusioniTale proposta operativa, naturalmente, presenta tutti i limiti

dovuti all’innovazione e al cambiamento e la sua validità potràessere verificata solo sul campo. D’altra parte l’allarmismo concui le istituzioni locali e nazionali stanno affrontando il temadella convivenza con le comunità immigrate mostra l’esigenzadi pensare nuove strategie operative.

Tradizionalmente il nostro Paese non ha dovuto affrontareemergenze interne o interferenze politiche sulle modalità digestione di tale convivenza, perché le dimensioni del fenomenosono state a lungo contenute e la ricaduta politica della loro azionetrascurata, ancorché trascurabile. Ora si è aperta una nuovastagione a cui conviene guardare con attenzione ma anche conottimismo. Intraprendere la via della conoscenza sull’Altro non puòcondurre che a un arricchimento e dotarsi di strumenti di gestione,per quanto la situazione possa apparire complessa, non puòche garantire il buon esito della sfida in cui siamo immersi.

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Da più di 30 anni il Censis è corrispondente dell’Ocse perl’Italia nell’ambito del Sistema di osservazione permanentedelle migrazioni (Sopemi); in questa veste predispone il“Rapporto annuale sulle migrazioni in Italia”, che viene presentatoa Parigi nel corso del meeting annuale dei corrispondenti.

Il Rapporto rappresenta un’occasione per analizzare concontinuità le caratteristiche dei flussi migratori e le modificazionidelle presenze degli stranieri nel nostro Paese e per metterli aconfronto con quanto accade negli altri paesi sviluppati. Di seguitosi riporta una sintesi delle analisi contenute nel Rapporto diquest’anno e presentate lo scorso 3 marzo al Cnel.

L’immigrazione in Italia in sintesiAnche quest’anno (e in controtendenza con quanto accaduto

in altri Paesi europei che hanno risentito maggiormente dellacrisi economica) il numero degli immigrati che scelgono l’Italiacome Paese dove compiere il proprio progetto di vita e di lavorocontinua a crescere: nel 2010 gli immigrati regolarmente presentiin Italia sono 4.235.059, con una crescita dell’8,8% nell’ultimoanno; a questi vanno aggiunti gli irregolari che, secondo lestime più accreditate, sarebbero almeno 500mila. Negli ultimianni si registra una tendenza alla riduzione dell’irregolarità,dovuta però soprattutto all’ingresso nella Unione Europea dialcuni paesi come la Romania che in precedenza rappresen-tavano un grosso serbatoio di irregolarità, e solo in parte allacrisi economica in atto.

La presenza straniera in Italia è insieme multiforme e polarizzata:

L’immigrazione in Italia nel Rapporto Sopemi

di Anna ItaliaCensis

Da 30 anni il Censis predispone per l’Ocse il Rapporto sulle migrazioni nel nostro Paese.Focus specifico sul lavoro, prima motivazioneche spinge a lasciare la propria terra e condizionenecessaria per ottenere una serie di diritti

Il documento contiene un’analisi dei flussi migratori posti a confronto con quanto accade negli altri Paesi sviluppati.In Italia ci sono stranieri di oltre 200 nazionalità,ma il 40 per cento appartienea tre gruppi:Romania,Albania e Marocco

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Il Rapporto annuale Ocse/Censis sulle migrazioni in Italia

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se è vero, infatti, che nel nostro Paese sono presenti stranieriappartenenti a oltre 200 nazionalità, al contempo occorresegnalare che oltre il 40% del totale delle presenze è ascrivibilea tre gruppi: i rumeni, che sono 887.763 e rappresentano il 21%degli stranieri in Italia; gli albanesi, che sono 466.684, e costitui-scono l’11%; i marocchini, che sono 431.529, pari al 10,2%.

Tabella 1. Popolazione straniera residente per sesso e cittadinanza al 31 dicembre 2009 (primi25 Paesi) (v.a., val. % e var. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Romania 887.763 21,0 409.464 478.299 53,9 11,5Albania 466.684 11,0 253.048 213.636 45,8 5,7Marocco 431.529 10,2 245.198 186.331 43,2 6,9Cina Rep. Popolare 188.352 4,4 97.504 90.848 48,2 10,6Ucraina 174.129 4,1 35.811 138.318 79,4 13,1Filippine 123.584 2,9 51.941 71.643 58,0 8,7India 105.863 2,5 62.912 42.951 40,6 15,3Polonia 105.608 2,5 31.051 74.557 70,6 6,3Moldova 105.600 2,5 36.193 69.407 65,7 18,1Tunisia 103.678 2,4 66.153 37.525 36,2 3,6Macedonia 92.847 2,2 52.441 40.406 43,5 4,2Perù 87.747 2,1 35.077 52.670 60,0 13,0Ecuador 85.940 2,0 35.469 50.471 58,7 7,3Egitto 82.064 1,9 56.834 25.230 30,7 10,0Sri Lanka 75.343 1,8 41.913 33.430 44,4 9,6Bangladesh 73.965 1,7 49.662 24.303 32,9 12,9Senegal 72.618 1,7 55.693 16.925 23,3 7,6Pakistan 64.859 1,5 43.415 21.444 33,1 17,1Serbia 53.875 1,3 29.505 24.370 45,2 -6,8Nigeria 48.674 1,1 21.900 26.774 55,0 9,3Bulgaria 46.026 1,1 17.822 28.204 61,3 12,6Ghana 44.353 1,0 25.092 19.261 43,4 4,8Brasile 44.067 1,0 13.704 30.363 68,9 6,2Germania 42.302 1,0 16.273 26.029 61,5 2,0Francia 32.956 0,8 12.993 19.963 60,6 2,7Totale primi 25 Paesi 3.640.426 86,0 1.797.068 1.843.358 50,6 9,0

Altri 594.633 14,0 266.339 328.294 55,2 7,7

Totale 4.235.059 100,0 2.063.407 2.171.652 51,3 8,8

Totale % femminile sul totale

Var. %2008-2009

%sul totale

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Il Rapporto annuale Ocse/Censis sulle migrazioni in Italia

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L’età media degli immigratiè decisamentepiù bassa di quella degli italiani:il 22% ha meno di 18 anni

Si tratta, a dire il vero, di una presenza che a livello territorialeè molto disomogenea, e si concentra nelle grandi città e nellearee del Centro-Nord, dove vi sono le maggiori opportunitàlavorative: il risultato è che in Italia vi sono province dove gliimmigrati rappresentano più del 10% della popolazione, e provincedove la loro presenza non raggiunge nemmeno l’1% del totaledei residenti.

Gli stranieri che si trovano nel nostro Paese hanno un’etàmedia decisamente più bassa rispetto agli italiani, e questo èdovuto al fatto che l’emigrazione è un fenomeno relativamenterecente; che a emigrare sono soprattutto gli individui più giovanie che godono di buone condizioni di salute; e che, una voltagiunti in Italia, gli immigrati tendono a formare famiglie e agenerare figli. A fine 2009 solo il 3,9% dei cittadini stranieri hapiù di 60 anni, mentre il 22% ha meno di 18 anni.

Dopo una prima fase pioneristica, in cui gli immigrati eranosoprattutto giovani e maschi, oggi il fenomeno migratorio inItalia si caratterizza per una crescente stabilizzazione, segnalatadall’aumento delle donne, dei minori, dei nuclei familiari. Daalcuni anni le donne straniere sono più numerose degli uomini;le famiglie che hanno almeno un componente straniero sono incontinua crescita e rappresentano l’8,3% del totale dei nucleifamiliari (2.074.065 in valore assoluto); nel 2009 i bambini natida stranieri sono stati 77.109, vale a dire il 13,9% dei neonati.La crescita dei nuclei familiari e dei minori determina una presenzasempre maggiore degli stranieri all’interno delle istituzioniscolastiche: lo scorso anno nelle scuole di ogni ordine e gradosi contavano oltre 670mila alunni stranieri, pari al 7,5% dellapopolazione scolastica. Infine sono da segnalare come positivifenomeni di una piena integrazione i matrimoni misti tra un italiano/ae uno straniero/a, che nel 2009 hanno rappresentato il 9,4%del totale dei matrimoni celebrati in Italia.

Le migrazioni economicheOltre all’analisi dei dati di carattere demografico l’Ocse

invita ogni anno i propri corrispondenti a tracciare un bilanciodelle migrazioni economiche. Infatti, non si deve dimenticareche il lavoro rappresenta il motivo principale che spinge glistranieri a lasciare il proprio Paese, ed è uno snodo decisivoper il processo di integrazione, poiché al lavoro è connesso ilraggiungimento di una serie di diritti, primo tra tutti quello alsoggiorno regolare.

In base ai dati che l’Istat rileva nella quadrimestrale Indaginesulle forze lavoro, i lavoratori con cittadinanza estera impiegati

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in Italia sono un milione e 898mila e rappresentano l’8,2% deltotale degli occupati. La crisi economica in atto ha senza dubbiorallentato la richiesta di lavoro immigrato e ha provocatol’espulsione di alcuni lavoratori dal mercato del lavoro; ma inItalia sino a questo momento gli effetti sono stati meno incisividi quello che le previsioni meno ottimistiche lasciavanoimmaginare.

Gli stranieri, mediamente più giovani, più flessibili, ma anchepiù precari rispetto agli italiani, presentano tassi di attività e dioccupazione superiori a quelli degli autoctoni, accompagnatiperò anche da tassi di disoccupazione più elevati di quelli deinostri connazionali: nel 2009 il tasso di attività degli immigratiera del 71,4% contro il 47,3% degli italiani; il tasso di occupazionedel 63,4%, mentre quello degli italiani era del 43,7%, e quellodi disoccupazione dell’11,2% contro il 7,5% degli italiani.

Tasso di attività (1) 48,7 47,3 71,4 38,3 37,0 58,6diff. tassi 2008-2009 -0,6 -0,7 -0,6 -0,4 -0,6 0,0

Tasso di occupazione (2) 44,9 43,7 63,4 34,7 33,7 50,9diff. tassi 2008-2009 -1,1 -1,1 -2,5 -0,7 -0,8 -0,7

Tasso di disoccupazione(3) 7,8 7,5 11,2 9,3 8,9 13,0diff. tassi 2008-2009 1,1 0,9 2,7 0,8 0,7 1,1

Tabella 2. Principali indicatori del mercato del lavoro - Anni 2008-2009 (tassi)

Totale di cui italiane

di cui straniere

di cui italiani

di cui stranieri

Donne

(1) Rapporto percentuale tra le persone appartenenti alle forze lavoro e la popolazione di 15 anni e oltre(2) Rapporto percentuale tra gli occupati e la popolazione di 15 anni e oltre(3) Rapporto percentuale tra le persone in cerca di occupazione e le forze lavoro

Indicatori

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Occupati principalmente nei servizi, soprattutto in quellidiretti alla persona, e come operai nell’industria e nell’edilizia,i lavoratori dipendenti rappresentano l’86% del totale deglioccupati tra gli stranieri (86,1% tra gli extracomunitari) e il 74%tra gli italiani; tra le donne, addirittura, le lavoratrici dipendentisono il 90,7% delle occupate (91,1% tra le extracomunitarie):è questo l’effetto dell’attuale normativa sull’immigrazione, cheha ridotto al minimo la possibilità di acquisire un regolare titolodi soggiorno per i lavoratori autonomi stranieri.

Nonostante ciò, gli immigrati rivelano un forte spirito diimprenditorialità, che fa sì che in Italia si contino ben 335.165titolari d’impresa nati all’estero, pari al 10,1% del totale degli

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imprenditori. Ovviamente non sempre le imprese di migrantipossono essere considerate esempi virtuosi: una quota signi-ficativa di queste opera in settori poco remunerativi e non èdestinata a perdurare nel tempo; nei casi peggiori, addirittura,si tratta di imprese di facciata che nascondono un lavoro che,nei fatti, è di tipo dipendente. Nella gran parte dei casi, però,si tratta di imprese di piccole dimensioni, avviate in prevalenzanel settore delle costruzioni e in quelli del turismo, della ristorazionee del commercio, che comunque rivelano la voglia di emergereche caratterizza questo segmento della popolazione.

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Bisogna saper leggerele migrazioniattraverso la lente degli effettivi bisogni del Paese

Le politiche sui flussi migratori Nell’analisi dei flussi migratori e delle politiche che in questi

anni sono state messe in atto non mancano, evidentemente, glielementi problematici. In particolare, si segnalano le ampiesacche di irregolarità da sempre presenti nel nostro Paese, e chesono l’effetto di politiche basate sul contenimento dei flussi esul contrasto all’immigrazione clandestina, piuttosto che sullacapacità di leggere le migrazioni attraverso la lente degli effettivibisogni del mercato del lavoro. L’incapacità del Decreto flussidi cogliere le effettive esigenze (sia in termini numerici che intermini qualitativi) del mercato del lavoro nazionale e locale èevidente, se solo si pensa che i tre quarti degli immigrati cheoggi risiedono in Italia sono stati irregolari e sono stati “sanati”attraverso una delle cinque regolarizzazioni che si sono succedutenegli ultimi 15 anni (l’ultima delle quali, del settembre 2009, hariguardato 300mila colf e badanti).

Passando all’attualità – e a conferma dell’insufficienzadegli attuali strumenti per rispondere agli effettivi bisogni delmercato del lavoro – risale allo scorso mese di dicembre lapubblicazione del Decreto flussi per l’anno 2010, che haammesso in Italia 98mila lavoratori extracomunitari per lavoronon stagionale, che vanno ad aggiungersi ai 6mila già previsticon Dpcm del 1 aprile 2010. Ebbene, al 28 febbraio di quest’anno,quando ancora rimanevano quattro mesi per inoltrare domanda,le richieste pervenute erano già 411.117. Come noto anche ai nonaddetti ai lavori, si tratta di domande che, in realtà, riguardanocittadini stranieri che già vivono e lavorano in Italia, e checomunque rimarranno nel nostro Paese, con o senza il permessodi soggiorno, nel secondo caso andando ad alimentare i circuitidel lavoro sommerso.

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“Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornantidi lungo periodo è subordinato al superamento, da parte delrichiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana”. Questo

il contenuto testuale del nuovo comma 2bisintrodotto all’articolo 9 del Testo unico sul-l’immigrazione dal cosiddetto “pacchettosicurezza”, nello specifico, dall’articolo 1, c.22 lettera i) della legge n. 94 del 15 luglio 2009.Su questa base normativa e in attuazione deldecreto 4 giugno 2010 emanato dal ministrodell’Interno di concerto con il ministrodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,ha preso il via, il 9 dicembre 2010, la procedura

informatica messa a disposizione dal dipartimento per le Libertàcivili e l’Immigrazione del Viminale per i richiedenti il test dilingua italiana.

La nuova procedura, che a livello istituzionale coinvolge,oltre al ministero dell’Interno e al dipartimento competente, leprefetture, le questure, i consigli territoriali per l’immigrazione,i centri provinciali per l’istruzione degli adulti e i quattro enticertificatori (università di Roma Tre, università di Perugia,università di Siena e società Dante Alighieri), prende avvio conla presentazione della domanda per via telematica da parte delcittadino extracomunitario, prosegue con la convocazionedello stesso da parte della prefettura e si completa con l’effet-tuazione del test, il cui esito positivo viene trasmesso alla questura.Se il test ha invece esito negativo, mancherà per il richiedente

Non è mai troppo tardi…anche per gli stranieri

di Alberto Bordi Viceprefetto - ministero dell’Interno

Dal test di lingua italiana per il permesso CEall’accordo di integrazione: la formazione per gli immigrati si costruisce anche attraverso il programma tv “Cantieri d’Italia”, un progettodel ministero dell’Interno in collaborazione con la Rai

Ha preso il via il 9 dicembre2010 la procedura informaticaelaborata dal dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell’Interno per gli stranieri che richiedono il test di lingua italiana

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il requisito per ottenere il permesso di soggiorno CE di lungoperiodo, ma potrà ripetere la prova effettuando una nuovarichiesta telematica. In ossequio al principio di trasparenza edi partecipazione lo straniero potrà conoscere i risultati deltest sul web all’indirizzo http://testitaliano.interno.it.

La prova di conoscenza di italiano, parametrata al livello A2del Quadro Comune di Riferimento Europeo, equivalente a unaconoscenza minima della lingua (quanto basta per capire efarsi capire per strada o sul lavoro, per scrivere testi brevi),non è necessaria per coloro che dimostrino di aver già acqui-sito una conoscenza di tale livello oppure siano in possesso dititoli di studio o professionali, come precisati nella normativacorrelata (attestato di conoscenza della lingua o diploma di scuolasecondaria di primo o secondo grado etc). Tutte le prefetture,dopo aver tempestivamente stipulato protocolli d’intesa conle sedi decentrate del ministero dell’Istruzione (sul sitowww.libertaciviliimmigrazione.interno.it alla sezione test di linguaitaliana è riportata l’attività delle prefetture in tale contesto),hanno proceduto alle convocazioni presso le sedi scolasticheindividuate, le più vicine possibili agli stranieri richiedenti. Il27 gennaio a Lucca, presso la Scuola Media Statale “Del Prete

- De Nobili - Massei”, si sono svolti i primi testdi lingua italiana per conseguire la carta disoggiorno CE. Questi hanno riguardato dodicicittadini extracomunitari impegnati in tre prove:una di comprensione orale, una di compren-sione scritta e una prova di scrittura.

L’intero procedimento, che ha funzionatoe funziona grazie a una diffusa informazionepreventiva, alla predisposizione di precisespiegazioni in vari formati sulla rete internet,

ai servizi di help desk in caso di necessità e alle circolaridettagliate dei ministeri competenti, è riservato a quanti soggior-nano in Italia da almeno cinque anni, ma in futuro sarà parteintegrante del cosiddetto “accordo di integrazione”, laddovela conoscenza della lingua e altri elementi di educazione civicaandranno a costituire componente obbligatoria per raggiungerenel biennio la quota di 30 crediti prevista dalla disciplina inmateria.

Questi, in estrema sintesi, i tratti salienti della nuova procedura,che ha ricevuto ampi consensi sulla base della considerazioneassorbente che la conoscenza della lingua del Paese ospitantecostituisca componente indefettibile per una integrazione

Richiesto alle prefetture di stipulare protocolli d’intesa con le sedi decentrate del ministero dell’Istruzione.Tre prove: due per accertare la comprensione, orale e scritta,e una di scrittura

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effettiva nel tessuto sociale nel quale lo straniero si va a inserire,come ribadito nel convegno del 24 marzo scorso a Roma intitolato“Integrazione: come tradurla in realtà?” che ha posto a confrontol’esperienza italiana con quella britannica. Si deve inoltre tenerconto che il permesso di lungo soggiorno anticipa in via generalel’acquisizione della cittadinanza (dopo 10 anni di regolarepermanenza nel territorio italiano), rispetto alla quale non èpensabile una scarsa padronanza della lingua.

Tuttavia non sono mancate talune criticheall’introduzione del test; la prima relativaalla mancanza di uniformità di tale esamesul territorio nazionale, essendo differenziatosecondo le scelte attuate dai singoli Centriper l’educazione degli adulti (ma in tale otticagià si sta approntando un modello unico). Altrihanno censurato un appesantimento dellaprocedura, già piuttosto onerosa, per otte-nere il permesso di lungo soggiorno, soprat-

tutto se rapportato al dato dell’ultimo Rapporto Censis cheindividua nella misura dell’85% la percentuale di stranieri sog-giornanti in possesso di una buona o sufficiente conoscenza dellalingua italiana. Qualcuno ha puntato il dito sulla procedura infor-matica, in realtà piuttosto semplice, che richiederebbe l’ausiliodei patronati o delle associazioni operanti al fianco degli immi-grati, in modo non dissimile da quanto avviene in occasione dei“decreti flussi”, ma la critica più frequente si riferisce allacarenza di offerta formativa a fronte di una consistente richiesta,richiamando, al confronto, le analoghe esperienze di altri Paesieuropei dove sono state messe a disposizione risorse in gradodi elargire fino a 600 ore di corsi gratuiti agli stranieri, comenel caso di Germania, Inghilterra e Francia.

In realtà negli ultimi tre anni, con il contributo del Fondoeuropeo per l’integrazione (Fei), il ministero dell’Interno hafinanziato 32 progetti di formazione linguistica ed educazionecivica e tra questi va annoverato il programma “Cantieri d’Italia”.Il progetto, cofinanziato dall’Unione Europea, è stato messoin campo dal Ministero, in collaborazione con la Rai -Radiotelevisione Italiana e consiste in un programma televisivofinalizzato a trasmettere agli stranieri in Italia “l’Italiano di baseper costruire la cittadinanza”, come recita il palinsesto.

Il format, in onda sui canali Rai già dal 3 febbraio 2011, einserito tra gli interventi progettuali di supporto al conseguimentodegli obiettivi dell’“accordo di integrazione”, promuove l’alfabe-

Negli ultimi tre anni, grazie al contributo del Fondo europeoper l’integrazione sono stati finanziati 32 progetti di formazione linguistica ed educazione civica tra i qualiil programma “Cantieri d’Italia”

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tizzazione di base della lingua italiana L2 per stranieri, accostandolaall’orientamento civico attraverso un corso di educazione allalegalità che valorizzi la conoscenza dei diritti e dei doveri deicittadini stranieri residenti nel nostro Paese. Il programmaviene trasmesso sia su Rai Scuola (Digitale terrestre) nellaversione integrale della durata di 30 minuti a puntata, sia su RaiDue nella versione ridotta della durata di 15 minuti. Le replichedel programma vanno in onda anche su Rai Uno in tarda serata.

Il programma si articola in 40 puntate televisive con contenutididattici e formativi, più due puntate speciali che introduconogli obiettivi dell’intervento e promuovono la certificazione dellivello di conoscenza linguistica acquisita. Ciascuna puntata èorganizzata in moduli per facilitarne la fruizione sia in un percorsoformativo in presenza di tutor, sia per una formazione individuale.In questo viaggio ideale tra le forme e le occasioni della lingua

e della cittadinanza lo straniero è accompa-gnato da un gruppo di attori, protagonisti diincontri, storie e sketch che riportano a moltesituazioni frequenti nella vita del cittadinoalle prese con le leggi, la cultura, la storia,le tradizioni e soprattutto gli usi linguistici delnostro Paese. Tutti temi, questi, che vengonopuntualmente approfonditi sia nelle rubrichededicate alla lingua italiana nei suoi aspettigrammaticali e nel suo vocabolario, sia nella

rubrica di educazione civica. Il programma fornisce, a ben vedere, uno strumento valido

per apprendere la lingua italiana e i principi di base del funziona-mento della nostra società, costituendo allo stesso tempo unpercorso di educazione alla legalità e alla conoscenza deidiritti e dei doveri dei cittadini. La sua duttilità ne permette unutilizzo diversificato non solo perché entra nelle case e si rivolgea un pubblico molto più ampio attraverso la televisione e internet,ma anche perché può essere utilizzato dagli insegnanti di italianoper stranieri, che possono sfruttare i diversi moduli presenti inogni puntata secondo le specifiche necessità didattiche; infatti,grazie alla struttura modulare, ogni docente può “scomporre”e “ricomporre” gli elementi – i mattoni – di ogni singola puntatasecondo la propria impostazione didattica.

Inoltre, per offrire uno strumento di formazione flessibile einnovativo il programma può essere seguito anche sul web sulsito www.cantieriditalia.rai.it che contiene, oltre al videostreamingdi ciascuna puntata, i testi, gli esercizi con autovalutazione, leguide normative, i giochi e i servizi. Quattro le rubriche in cui

L’accordo con la Rai prevede 40 puntate televisive con contenuti didattici e informativi.Il programma viene trasmesso su Rai Scuola (digitale terrestre)ma anche su Rai Due con repliche su Rai Uno

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il sito web è articolato: Benvenuti in Italia! una situationcomedy presentata in modo gradevole, in cui sono descrittealcune situazioni tipo in cui possono trovarsi i cittadini stranieri,dal mercato alla banca o più semplicemente al bar; Per usarel’italiano, approfondimento linguistico–grammaticale sempreimpostato su sketch accattivanti; il Vocabolario visivo, brevedizionario di base che descrive i concetti con immagini direpertorio accompagnate da una voce fuori campo; da ultimo,Vivere in Italia, approfondimenti sui diritti e doveri, talora digrandissimo interesse, come nel caso della “libertà religiosa”,raccontati da immagini e voce di accompagnamento.

Come ha sottolineato il capo del dipartimento per le Libertàcivili e l’Immigrazione, prefetto Angela Pria, “per la strettainterrelazione tra politica sull’immigrazione e politica sulla cittadi-nanza, è da ritenere che la via maestra per l’integrazione siaquella di garantire un effettivo percorso di inserimento sindall’ingresso dello straniero in Italia e lungo tutte le fasi delsuo soggiorno nel nostro territorio. E la conoscenza della linguaitaliana rappresenta un primo passo indispensabile per l’inserimentosociale dei cittadini stranieri nel nostro Paese e per l’esercizio deiloro diritti e doveri. Questo principio è riconosciuto nei programmidell’Unione Europea ed è confermato dagli stessi cittadinistranieri, che considerano la formazione linguistica come unfabbisogno prioritario”.

Il “Piano per l’integrazione nella sicurezza. Identità e incontro”,approvato dal Consiglio dei ministri il 10 giugno 2010, riconoscetale importanza, indicando “Educazione e approfondimento”

come uno dei cinque assi delle politiche e deiservizi di integrazione dei cittadini stranieri. Ilministero dell’Interno continuerà, per dareattuazione agli obiettivi del Piano “Identità eincontro”, anche con il contributo del Fondoeuropeo per l’ integrazione, a finanziareinterventi progettuali per promuovere laconoscenza della lingua e dell’educazionecivica. Questo verrà fatto unitamente alministero del Lavoro e delle Politiche sociali,

a quello dell’Istruzione, alle regioni e con tutti gli attori chesono impegnati nel campo dell’immigrazione .

Questa formazione, realizzata attraverso il mezzo televisivo,entrando nelle case degli stranieri che ogni giorno vivono elavorano nel nostro territorio, non si impone in modo invasivoma propone il suo ascolto sotto il profilo della comunicazionein modo soft, gradevole, volutamente leggero ma anche per

La conoscenza della lingua italiana rappresenta ancorail primo passo indispensabileper l’inserimento sociale dei cittadini stranieri nel nostro Paese e per l’esercizio dei loro diritti e doveri

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questo efficace, studiato nell’ottica della crescita effettiva econcreta dell’utente straniero. Pur in un contesto più ricco eorganizzato, decisamente più dinamico e moderno, il programmasembra richiamare negli intenti e nella freschezza dell’impianto,una trasmissione storica della Rai, quel “Non è mai troppo tardi”che il maestro Alberto Manzi conduceva per alfabetizzare granparte degli italiani negli anni Sessanta. Non c’è più il gesso ela lavagna; ora le sit com e gli sketch, presentati in modo garbatoe simpatico, sono dedicati agli stranieri che insieme agli italianihanno il desiderio e la volontà di costruire la collettività delfuturo.

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Dopo un’intensa attività di raccoltadati e approfondimento teorico edempirico sulla progettazione nell’areainterculturale iniziata nel 2000, ilGruppo scuola dell’Orim (Osservatorioregionale per l’integrazione e la multiet-nicità della regione Lombardia) hamesso a punto una “cassetta degliattrezzi” rivolta agli operatori scolasticied extrascolastici, per facilitare icompiti di progettazione, realizzazione evalutazione degli interventi sul campo. Il Kit si compone di tre volumi:

Guida ai progetti di educazione inter-culturale. Come costruire buone pratiche(Colombo M., 2007) che contieneindicazioni sull’iter progettuale-tipo esui fattori chiave per una miglioregaranzia di riuscita del progetto. Traquesti: l’attenzione alle risorse umanee alla coltivazione della sensibilitàinterculturale negli operatori; la neces-sità di sviluppare un serio lavoro in rete,con livelli diversificati di assunzione diresponsabilità e di benefici; l’analisidel contesto locale; la documentazioneper garantire tracciabilità all’esperienza;l’attenzione alla valutazione dei risultatidell’azione interculturale, per definire,con procedimento deduttivo o induttivo,se e in che misura la pratica posta inessere può essere considerata “buona”.La valutazione in questo campo ènecessaria: 1) per creare orientamenticomuni alle diverse metodologie di

intervento interculturale, evitando moda-lità e approcci tra loro contraddittori inun’area in cui, talvolta, non intervenirepuò essere meglio che intervenire inmodo scorretto (ad es. nella prevenzionedel razzismo); 2) per sfuggire alle insidiedi ogni processo innovativo e trasformativoche deve fare i conti con realtà organizza-tive strutturate e con abitudini consolidate.Il modello di valutazione proposto dallaGuida si compone di una valutazionequalitativa (verifica dell’aderenza delprogetto ai sei principi-chiave delle“buone pratiche” coinvolgimento degliattori, lavoro in rete, coerenza internadel progetto, professionalizzazione, trac-ciabilità dell’esperienza, innovatività)e una di valutazione quantitativa, checonsiste nell’assegnazione di punteggiad alcune proprietà positive presentinel progetto.

Repertorio delle buone pratiche dieducazione interculturale in Lombardia(Colussi E., 2009), una raccolta di progettieccellenti che fungono da modello perla progettazione. I 13 progetti (uno perciascuna delle province lombarde) sonostati sottoposti a valutazione con misu-razioni quantitative degli indici diQualità e di Innovazione e sono risultatiai primi posti della graduatoria regionale.Gli indici utilizzati sono dettagliatiattraverso le diverse dimensioni. Ilrepertorio si divide in due parti: nellaprima parte vengono richiamate le

di Maddalena Colombo

Strumenti per la progettazione interculturale

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Strumenti per la progettazione interculturale

linee-guida per progettare le azioniinterculturali in un’ottica di “eccellenza”(qualità + innovazione), nella secondaparte si offrono 13 schede-progetto checontengono in forma discorsiva lecaratteristiche strutturali, gli aspettimetodologici (approccio formativo utiliz-zato e sequenza delle azioni portanti),gli elementi di novità, il confronto fra puntiforti/criticità, il punteggio totalizzato nellamisurazione degli indici di Qualità eInnovazione. I criteri con cui sono statiselezionati i progetti del repertoriocostituiscono un’ulteriore indicazionemetodologica per gli enti di coordinamentoterritoriale (distretti, enti locali, reti discuole, ecc.) che volessero costituirebanche dati dei progetti interculturaliin modo analogo.

Guida per i l tu tor di scuola:accompagnare le istituzioni formativenella progettazione interculturale(Colombo M., Santagati M., 2011), chesi rivolge ai responsabili delle organiz-zazioni formative (scuole, servizi primainfanzia, centri di formazione, serviziextrascolastici, ecc.) per facilitare unapresa d’atto della propria situazione dipartenza nell’area delle relazioni inter-etniche e per avviare uno sviluppo positivodegli interventi. La guida proponeall’organizzazione di utilizzare per laprogettazione interculturale l’accompa-gnamento di un tutor esterno. La figuradel tutor di scuola stabilisce una “doppiaimplicazione” tra l’istituzione educativae un esperto di educazione interculturale(può provenire anche dalla professionalitàdocente), che vi si affianca in vari momentidel percorso progettuale su richiestadell’organizzazione stessa. L’aiuto da

parte del tutor facilita il compimento diun salto di qualità da parte dell’orga-nizzazione formativa, in virtù del suoessere un’organizzazione “basata sullacultura”, che quindi richiede tempilunghi e riflessioni per incorporare inecessari cambiamenti. La particolareposizione del tutor, soggetto competentema non membro interno a tale organiz-zazione, crea le migliori condizioni perfungere da agente di serendipity (coluiche aiuta a “scoprire cose cercandonealtre”). Il testo ripercorre analiticamentele tappe dell’accompagnamento e sugge-risce le principali aree del suo intervento:1) nelle relazioni organizzative, il tutoraccompagna i membri dell’istituzioneverso un apprendimento organizzativosensibile alla presenza dell’Altro; 2)nella didattica, il tutor promuove una“svolta interculturale”, in cui metodi diinsegnamento e apprendimento, e i lorocontenuti, sono ri-considerati in funzionedell’impatto che producono sui diversiretroterra e sistemi simbolici degliallievi di varia provenienza.

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La sfida del cinema,dare vocealla dignità dei migranti

Intervista di Valeria Lai

Per il regista Andrea Segre, “bisogna cambiarepunto di vista e portare in primo piano le storiedi chi parte”. Il documentario come forma espressiva alternativa alla “narrazione della paura”, tipica dei media mainstream

Il fenomeno migratorio, oramai parte integrante dellasocietà italiana, in che termini diventa tema e argomentocinematografico?

Credo che l’ambito cinematografico abbia due scopi perquanto riguarda il tema dell’immigrazione: uno è riportare alcentro della narrazione e dell’attenzione pubblica l’individualitàdel migrante come persona che ha una propria storia, un propriopercorso e una propria dignità. È quell’individualità che mancanel racconto audiovisivo che per sua composizione strutturaletende a riportare tutto a degli stereotipi, dei tipi, per cui ilmigrante è l’immigrato povero che scappa o l’immigrato pericolosoche invade ed è schiacciato in una posizione che non rispettala storia e la dignità di una persona singola. Invece, il cinemaha la possibilità, i tempi e le strutture produttive per farlo. Conil cinema cerco di superare quello stereotipo che non è solonegativo – ci può essere anche quando c’è uno sguardo solidalecon il migrante – ma se la persona viene schiacciata in quellaposizione non ne viene rispettata la storia.

Questo si collega con l’altro scopo del cinema, cioè quelloche è una peculiarità del racconto cinematografico rispettoagli altri racconti: sedimentare una memoria storica. Cioè essereun humus culturale sul quale si costruiscono anche le sceltepolitiche. Il discorso politico degli ultimi anni sull’immigrazioneha costruito una memoria storica molto basata sul punto divista di noi italiani che accogliamo e che siamo preoccupati.Un punto di vista molto “italocentrico”. Le immagini dei barconio le principali tipologie di racconto fatte sull’immigrazione

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Intervista ad Andrea Segre

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nell ’arena polit ica e in altr i contestisono improntate su questo punto di vista:come facciamo ad accoglierli, quali pauredeterminano e come facciamo a respingerli.

Cambiare il punto di vista e capire leragioni delle partenze,dei viaggi e delle sfideche stanno dentro l’im-migrazione, dei pericolie delle speranze, cam-bia e cambierebbe, sefosse diffuso, anchel’orizzonte delle sceltepolitiche. È fondamen-tale dare alla storiaanche questo puntodi vista e il cinema lopuò fare e facendoloscopre degli elementi critici che l’altropunto di vista tende per volontà, o pigrizia,a nascondere.

Quali sono le chiavi narrative del-l’immigrazione che ha scelto per i suoidocumentari? Quale aspetto ha volutoraccontare, e qual è il messaggio cheaccomuna Come un uomo sulla terra eIl sangue verde?

I due documentari nascono per darerealizzazione produttiva ai due principidi cui ho parlato e, sintetizzando, possodire che entrambi puntano a dare vocealla dignità del migrante con la sua storiaraccontata in prima persona e gestitadirettamente. In Come un uomo sulla terraè molto evidente il ruolo attivo del migranteche diventa autore e narratore, ma anchenel Sangue verde le persone gestisconoin prima persona il racconto; dall’altraparte l’intento è quello di confrontare lastoria reale vissuta dal migrante con ilracconto stereotipato e molto spessopilotato, demagogico della narrazionetelevisiva e politica.

Le storie reali degli emigranti etiopied eritrei di Come un uomo sulla terra siscontrano brutalmente, ed è cronaca diquesti giorni, con l’immagine della Libiacome presunto grande alleato capace

di aiutarci a gestire iflussi migratori. Invece,i racconti dei protago-nisti del Sangue verdesi scontrano con alcunespiegazioni un po’ fret-tolose circa la questionedi Rosarno, letta daalcuni come un’ecces-siva tolleranza nei con-fronti dell’immigrazioneclandestina. I raccontidiretti degli immigrati

clandestini sullo sfruttamento e le condizionidel loro lavoro restituiscono un equilibriodiverso rispetto alla memoria storica e alladignità delle persone.

Nel suo film-documentario Come unuomo sulla terra lei sceglie di raccoglierele voci dei migranti sulle drammatichedinamiche dei flussi migratori. In chetermini un prodotto audiovisivo puòfornire al pubblico nuove chiavi inter-pretative per leggere un fenomeno“familiare”, ma di fatto poco conosciutonei suoi aspetti più tragici e umani?

Si crea un confronto tra questa nuovanarrazione e quella stereotipata deltelevisivo e del politico mainstream, maovviamente il quadro è molto più complesso.Sulla Libia, ad esempio, per tre o quattroanni abbiamo sentito dire dai media edai rappresentanti politici più importantiche era un fedele alleato per gestire ilflusso di immigrazione. Quando unoascolta i racconti dei protagonisti diCome un uomo sulla terra sa che quegliaccordi significano anche deportazione,

I racconti diretti degli immigrati clandestini sullo sfruttamento e sulle loro condizioni di vita restituiscono un equilibrio diverso rispettoalla memoria storica

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Intervista ad Andrea Segre

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violenze, torture e violazione dei principalidiritti umani e di migliaia di uomini, donnee bambini. Questo confronto apre a delleprospettive cognitive e politiche interessanti.

Nello scenario del Festival di Veneziaè stato presentato il lavoro sui fatti diRosarno, Il sangue verde, dove trovanovisibilità le disumane condizioni di vitadegli immigrati, sfruttati nei campi traviolenze e paure. È solo il racconto diuna delle tragedie dell’immigrazioneoppure c’è da parte sua l'istanza direndere cosciente il pubblico su unaquestione che riguarda la società italianae sulla quale è urgente intervenire?

Assolutamente questa diventa un’ope-razione di informazione anche se non nascecome controinformazione o informazione

militante. Il racconto cinematografico nasceper le esigenze di cui ho parlato, però èinteressante scoprire che quando unopone al centro la dignità del migranteindividua spesso delle ipocrisie dellanarrazione che, di fatto, sono legate soloal punto di vista “italocentrico”.

Ma è inevitabile che sia così. L’immi-grazione è una grande “manna dal cielo”per i politici e per i giornalisti quandonon sanno essere indipendenti, perchéè un tema su cui si costruiscono grandiconsensi, perché genera paura – e tuttele paure generano consensi – e sul qualesi può evitare di confrontarsi con i prota-gonisti.

Abbiamo mai visto una tribuna politicasui rapporti con la Libia o sui respingimentio su tutto ciò che è stato fatto negli ultimi

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Intervista ad Andrea Segre

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anni e che ci portiamo dietro, in cui sonostati messi a confronto il punto di vistadel deputato o del ministro con il prota-gonista diretto di quella storia, cioè unmigrante che attraversa la Libia? Nonl’abbiamo mai visto perché è impossibileall’interno della struttura del raccontotelevisivo attuale. Perchéal massimo il migranteè la persona che piange,ride o soffre, schiac-ciato nel suo stereotipoche lo immortala dentroil suo barcone appenasbarcato o nel campo diaccoglienza e lì rimane.Quell’immagine vienesfruttata dall’arena poli-tica che ne parla tantis-simo, però non ne parla“con lui”, ma “su di lui”. Nel momento incui si fa un’operazione banalissima marivoluzionaria, cioè dire al migrante:“raccontami tu”, dandogli una telecamerain mano, viene smontato quasi sempre ilcastello costruito dall’altra narrazione.

Rispetto anche ai fatti più recentiche vedono ribellioni e cambiamentiimportanti nel Mediterraneo in chemodo si può intervenire per informarel’opinione pubblica e, soprattutto, perevitare che le immagini o l’assenza dispiegazioni adeguate possano generare(o rafforzare) sentimenti di diffidenzae di ostilità verso l’altro?

L’unica alternativa è produrre e diffon-dere “altri racconti”. Farlo con maggiorefatica, sforzo e indipendenza possibile,sapendo che soltanto dando all’opinionepubblica la possibilità di accedere ad altriracconti si può scardinare quel bloccomonolitico di “non informazione” tuttoimprontato sulla costruzione della paura,

e del consenso in seguito alla paura. Questo è ciò che stiamo cercando di

portare avanti come Zalab (un’associa-zione culturale che realizza laboratori divideo partecipativo in contesti di margi-nalità geografica e sociale, e producefilm documentari, Ndr) insieme ad altri,

credendoci e nono-stante il “potere difuoco” della comuni-cazione mainstreamsia molto più ampio.Stiamo raggiungendorisultati insospettabili daquando siamo partiti:ad esempio Come unuomo sulla terra attra-verso la televisione,dvd, internet e proie-zioni è stato visto in

Italia da almeno tre milioni di personeed è stato diffuso in tutto il mondo; Ilsangue verde uscirà a breve in edicola,è stato trasmesso in televisione e gira intantissime proiezioni in Europa. E comequesti ci sono tanti altri racconti che sistanno diffondendo con un impatto enor-me sulle platee che “non si aspettano dinon sapere”.

Questo vuoto che una persona sentedentro, al di là dell’orientamento politico,genera una volontà di conoscenza chespinge a cercare altri racconti e altreoccasioni per vedere insieme “altre nar-razioni”. Tutto ciò crea un passaparolache ha fatto in modo che Come un uomosulla terra sia stato proiettato in oltre500 occasioni in tutta Italia e Il sangueverde sia a quota 250. Perché, sempli-cemente, le persone quando ascoltanodire da altre che i soldi dell’Italia sonoserviti anche per contribuire a metterele persone in un container insieme a unbambino di otto anni per 48 ore si inter-

Le immagini degli immigrati vengonousate moltissimo:spesso però non si parla con loro ma su di loro.Per questo dobbiamo rendere protagonisti i migranti stessi

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rogano e si rendono conto che moltecose non si sanno, che c’è bisogno dialtra informazione. E così si costruisceun’alternativa che è necessaria, perchése noi pensiamo di affrontare il tema del-l ’ immigrazione soltanto sull’onda deiconsensi elettorali che ci dà la paura ela sua gestione saremo sconfitti brutal-mente dalla storia e faremo una pessimafigura con noi stessi oltre a costruire unPaese davvero povero. È necessario coin-volgere i migranti. Per produrre questotipo di racconto la partecipazione attivadei migranti è condizione basilare.

Lei sceglie il documentario per rac-contare realtà complesse. Qual è lasua forza e il suo limite e, diversamente,quali possono essere altri strumenti perporre all’attenzione del pubblico proble-matiche e approfondimenti di carattereetico e sociale?

Io credo che il documentario cinema-tografico e quello partecipativo siano ilinguaggi che possono costruire un’alter-nativa alla narrazione mainstream dellapaura, perché pongono al centro la per-sona. Questo è ciò di cui ha bisogno ilcinema e utilizzando il metodo partecipativosi ha quello che noi di Zalab chiamiamo“documentario video partecipativo”.

Quali sono secondo lei le opportunitàe, quindi, le prospettive future dellacomunicazione per raccontare al pubblicoaspetti importanti – anche se talvoltacomplessi – della società?

Nel momento in cui allargo la parte-cipazione ad altri punti di vista e ad altrisguardi sto allargando la complessitàdella riflessione di una società e sicura-mente coinvolgere i migranti nel dibattitosull’immigrazione è un procedimento diallargamento della democrazia.

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Riparlare di ieriper parlare di oggi

di Stefania Nasso

Lo spettacolo teatrale Il confine del silenzio,è una storia al femminile che si svolge lungo le traiettorie dell’emigrazione italiana in Argentina e in cui le tracce del nostro passato rimandano ai drammi dell’attualità

Primo premio del concorso di scrittura teatrale “Fara Nume”,Il confine del silenzio, di Maria Grazia Adamo, è la storia di Lola,famosa ballerina di tango, figlia di emigrati italiani in Argentina,e della sua famiglia. È la storia di due Paesi che, in tempidiversi, uccidono i loro figli o accolgono i figli degli altri, unastoria che dagli anni Trenta si proietta fino ai nostri giorni al ritmoappassionato del tango, la cui musica nasce dalla mescolanzadelle tradizioni degli emigranti che, uniti da un destino comune,cantavano la tristezza e la speranza. Non è difficile, guardandole immagini dei filmati di repertorio utilizzati per ricostruire leorigini del tango, fare un accostamento fra gli emigrati italianiin Argentina nei primi anni del secolo e gli immigrati dei nostrigiorni che sbarcano sulle coste del Sud d’Italia. Le stesse “barchedella speranza”. Dunque, riparlare di ieri per parlare di oggi.

La storia è commovente, sorretta e assecondata da unarappresentazione scenica d'effetto che intercala e accompagnala lettura drammatizzata del testo con pezzi musicali e figuredi tango dal vivo, con lo sfondo di filmati d'epoca, riuscendoa trasportare gli spettatori nell'atmosfera struggente e fumosadelle sale da ballo di Buenos Aires.

“...la prima cosa che mi colpì furono i polpacci, polpacci daballerina, una caratteristica comune a tutte le donne della miafamiglia...”. Così il cuore di Lola riconosce, in una modella italianache sfila in mondovisione, la nipote Isabella, strappata dal senodella madre uccisa dai militari durante gli anni del terrore e dataillegalmente in adozione a una ricca famiglia italiana.

Storia di Lola,famosa ballerina di tango figlia di emigrati italiani in Argentina,una vicenda che dagli anni Trenta si proietta fino ai nostri giorni

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Teatro ed emigrazione: Il confine del silenzio

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Isabella è una giovane donna di 28 anni felice e ben inseritain una Roma agiata e benestante. Sa di essere stata adottata,ma non conosce la verità sul suo passato. Le hanno detto chela madre naturale l’ha abbandonata appena nata, ma non è cosìche sono andate le cose. È grazie a una lettera arrivataledall’Argentina che conoscerà la sua vera storia. La lettera l’hascritta sua nonna, una delle nonne “de Plaza de Majo” che dal 1980non ha smesso di cercarla, da quando cioè ha saputo che lagiovane figlia Inès, arrestata dal regime dei militari e desaparecida,al momento della detenzione aspettava un figlio.“...fin dai quei primi timidi passi sentii che le mie pulsazionirispondevano all’incitante e languido ritmo di quella danzavoluttuosa e soave come una carezza, inebriante e caldacome l’amore sotto il sole di mezzogiorno, pericolosa e intri-gante come la seduzione di un bosco tropicale…”. È così cheLola racconta alla nipote l’incontro con il tango e con Joaquin,l’uomo della sua vita, che non fu mai suo marito ma da cui ebbeInès, come unico e ultimo regalo. Inès, che non seppe mai che ilmarito della madre non era il suo vero padre. E, per un ingegnosoe malevolo disegno degli uomini, quel destino sembra volersiripetere negando a Isabella, la figlia di Inès, la possibilità diconoscere il suo passato. Ma Lola ha deciso di spezzare ilcerchio, di restituire memoria alla memoria. È per questo cheha vissuto così a lungo. E ora che Isabella sa può anche morire.“…molte volte, in questi mesi, mi sono domandata se fossegiusto chiedere a una giovane donna felice e ben inserita inun’altra nazione, ignara di tutto, di ricostruirsi un’altra identità,accettando di fare i conti con un passato crudele di cui nonha alcuna colpa. Dopo averci molto riflettuto la mia risposta è si:è giusto. È giusto per Inès e per Luis, i tuoi genitori, che hannopagato più di altri, ma anche per tutti noi: mio padre, mia madre,mio marito, per Joaquin e per l’Argentina intera affinché ciòche è accaduto in questo Paese non debba più ripetersi innessuna altra parte del mondo… un Paese che non sa da doveviene non può sapere dove andrà”. E insieme alla memoria e allaverità, Lola è certa che Isabella scoprirà dentro di se la passioneper il tango, al cui ritmo ha risposto la sua vita. E Isabella?“…Isabella andrà incontro al suo destino e danzerà fino a quandoil doppio che è in lei non cesserà di battere… e le voci del suopassato romperanno il confine del silenzio”.

Lo spettacolo è andato in scena il 14 e 15 gennaio 2011 al Piccolo Redi Roma.

Riconosciutada Lola peruna fortuita circostanza,una giovane argentina adottata da una ricca famiglia italiana potrà finalmente conoscere la vera storia dei suoi genitori e scoprire la sua vera vocazione nella vita

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Un viaggio fotografico nella vita degli altri

“Ogni giorno, appesa al corrimano dell’autobus, dopo unafaticosa giornata di lavoro, aspettavo di arrivare alla biforcazionesperando di trovare il semaforo rosso. Avrei potuto così sbirciareattraverso le finestre dell’elegante salone illuminato, pieno di librie di quadri colorati, nella casa a pochi metri da me. Immaginavocome potesse essere la vita di chi ci abitava, le conversazionisicuramente interessanti con ospiti divertenti avvolti dalla lucesoffusa e rallegrati dai colori e da una coppa di champagne, lafacilità di vivere che di chi ha la fortuna di essere benestante,bello e istruito. Sognavo di saltare dentro quella vita con un colpodi bacchetta magica…”

Viaggiare nelle vite degli altri, nelle vite dei migranti, cheinvece sognano di arrivare nelle nostre vite, di saltare il fossatodi acqua scura che li separa dal sogno, con le immagini e iracconti, comuni a ogni storia di migrazione, sorprendentementesimili alle immagini e ai racconti dei nostri emigranti, dal Sudal Nord, dalla Sicilia all’America. È questo un aspetto checolpisce guardando le fotografie e leggendo le testimonianzeraccolte nel progetto fotografico di Luca Gambi, MaurizioMasotti e Sokol Palushaj, insieme con la normalità della vitaquotidiana, nel Paese d’origine e in quello di arrivo.

Partito nella primavera 2008, il progetto illustra tre aspettidell’immigrazione: le nuove generazioni immigrate in Italia, lacondizione del lavoro e “album di famiglia”, vecchie fotoconservate per anni e che spesso raffigurano i luoghi e lefamiglie di origine, gli amici. Custodire la memoria affidandolaagli occhi degli altri. Diceva Flaiano che gli italiani leggono leimmagini e questo è un tentativo di comunicare per immaginila società italiana contemporanea in fase di profondo cambiamen-to, con realtà multietniche e multiculturali sempre più estese,donne, uomini e bambini portatori di strategie, aspettative eprogetti di vita. Così una foto diventa occasione per riflettere,trasportati da una emozione, dall’espressione di un volto,dalla descrizione di un luogo.

“La vita degli altri” comprende un libro fotografico (acquistabilein rete), una proiezione di immagini e una mostra di fotografie.Quest’ultima ha toccato diversi luoghi: dopo la Festa nazionaledel lavoro 2008 ai giardini di Ravenna, è stata ospitata alFestival delle culture di Ravenna, al museo della Marineria

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Un viaggio fotografico: “La vita degli altri”

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di Cesenatico, al comune di Faenza, al Centro per gli studicostituzionali, le culture, i diritti e le democrazie dell’universitàdi Bologna (sede di Ravenna), al palazzo Bentivoglio di Gualtieri(Reggio Emilia), alla Casa della contadinanza nel Castellodi Udine, a Porta Palio a Verona, alla Casa delle culture delmondo di Milano, all’Assemblea legislativa della regioneEmilia-Romagna a Bologna, alla libreria Bibli di Roma (con ilpatrocinio dell’Agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr).

Quindi una tappa all’università per Stranieri di Siena, a cuiè seguita una presentazione durante il Festival internazionaledella poesia “Mittelmeer” presso l’Akademie der Kunste di Berlino.Nella stessa città è stata esposta per tutto il mese di settembre2010 presso l’Istituto italiano di cultura. Durante la X Settimanadella lingua italiana nel mondo (ottobre 2010) la mostra èstata ospitata dall’Istituto italiano di cultura di Vienna e hapartecipato, nel mese di novembre, al Festival internazionaledella fotografia “Eyes On”.

Per ulteriori informazioni: Luca Gambi ([email protected]);Maurizio Masotti ([email protected])

(s.n.)

a cura di Stefania NassoDoc

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Esperienze e trasferibilitàdei progetti per l’educazione interculturale

di Piero RaimondiViceprefetto aggiunto - ministero dell’Interno

La scuola di fronte alle sfide della multiculturalitàIntegrazione e scuola costituiscono un binomio essenziale

per riflettere sulle prospettive delle società multiculturali, dalmomento che le politiche di istruzione/formazione e le praticheeducative rivolte alle nuove generazioni sono strumenti indi-spensabili nei processi di integrazione e presupposti per lafruizione di diritti e opportunità offerti dalla società di accoglienzaai giovani stranieri. In Italia il “Piano per l’integrazione nellasicurezza. Identità e incontro” del 10 giugno 2010 – documentopresentato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali,dal ministero dell’Interno e dal ministero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricerca – individua proprio nella dimensioneeducativa la peculiarità del modello italiano di integrazione,ovvero il suo fondarsi sullo scambio e sull’incontro tra italianie immigrati, tramite la messa in atto di azioni educative.

L’arrivo dei figli di persone provenienti da Paesi a fortepressione migratoria (Pfpm) induce quindi le istituzioni a

Nella dimensione educativa la peculiarità del modello italiano d’integrazioneper le nuove generazioni.Le linee portanti del piano inter-ministeriale “identità e incontro”

Pubblichiamo in queste pagine l’intervento che Vincenzo Cesareo,segretario generale della fondazione Ismu e membro del comitatoscientifico di libertàcivili ha svolto nell’ambito del seminario“A scuola di Mediterraneo. Ripensare l’educazione e la formazionein contesti multiculturali” tenutosi ad Aci Castello (Catania)dal 9 all’11 febbraio. Il seminario, riservato ai referenti regionalie provinciali per l’intercultura, è stato organizzato dal ministerodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - dipartimentoper l’Istruzione - direzione generale per lo Studente, l’Integrazione,la Partecipazione e la Comunicazione, nell’ambito delle azionidi formazione sull’integrazione degli alunni stranieri.L’iniziativa ha costituito un’importante occasione di riflessionee approfondimento del mondo della scuola sulle problematicheconnesse alla dimensione interculturale dell’integrazione.

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

elaborare nuove politiche che abbiano l’obiettivo di offrirechance di partecipazione sociale e scolastica ai minori stranierie garanzie per una convivenza civile tra autoctoni e immigrati.L’attribuzione del diritto all’istruzione costituisce pertanto unpunto fermo per le politiche e gli interventi rivolti a bambini,ragazzi e adolescenti di ogni provenienza, a prescindere dallaloro condizione giuridica (Giovannini, 2004).

La scuola, in particolare, è l’istituzione sociale che può incideremaggiormente sulle opportunità di riuscita, ma che può ancheconfinare i f igli degli immigrati ai margini della società,prefigurando un’inclusione subalterna in professioni pocoqualificate (Zanfrini, 2006).

Ciò premesso, le risposte politiche alla necessità di integrazionescolastica dei minori stranieri possono essere ricondotte a quattroprincipali modelli teorici (Cesareo, 2000; Besozzi, 1996).

Il primo modello consiste nell’assimilazione, cioè nell’assunzionedella cultura del Paese di approdo da parte degli allievi stranieri,tramite l’interiorizzazione di stili di comportamento e orientamentivaloriali della società di arrivo e l’abbandono della propria culturad’origine, considerata come uno svantaggio da superare attraversoappositi interventi formativi compensativi e un periodo di transizionein classi per soli stranieri. Gli interventi sono quindi focalizzatiprincipalmente sull’insegnamento della lingua seconda, tralasciandoil patrimonio linguistico e culturale nonché le esperienze formativepregresse (Gilardoni, 2008). Tale modello è congruente conl’opzione del monoculturalismo.

Il secondo modello di integrazione formativa recepisce laprospettiva del pluralismo culturale e si basa sul concetto diconvivenza di gruppi appartenenti a differenti sistemi culturali:nello spazio pubblico i soggetti si muovono su un piano diassoluta uguaglianza, ma le differenze vengono confinateall’interno di uno spazio privato che completa, in posizionesubordinata, la dimensione pubblica.

Un terzo modello, riconducibile al multiculturalismo, tendea riconoscere la pari dignità anche in ambito scolastico allediverse culture degli allievi in esso presenti. Tale modello, nellasua declinazione radicale, rischia però di creare ghetti volti apreservare l’identità culturale originaria, attraverso scuoleseparate o classi differenziali. Talvolta sono le stesse comunitàstraniere a richiedere e cercare strutture scolastiche proprie,nel caso ritengano provvisorio il loro soggiorno nel Paeseospitante, oppure quando temono l’erosione dei riferimenticulturali tradizionali. In certi casi, gruppi di genitori organizzanocorsi di lingua d’origine (paralleli all’insegnamento scolastico

La scuola istituzione cruciale:è quella che maggiormente può incidere sulle opportunità di riuscita,ma anche quella che può confinare i figli degli emigrati ai margini della società

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ordinario) e i figli frequentano tali lezioni qualche pomeriggioalla settimana.

Nel quarto modello, l’integrazione viene concepita come unprocesso fondato sullo scambio interculturale e quindi considerala differenza tra culture come una risorsa, in cui dialogo, coopera-zione e solidarietà fra studenti delle minoranze etniche e dellamaggioranza autoctona risultano fondamentali per la costruzionedi una società interculturale. La scuola è, senza dubbio, l’istituzioneche in diversi contesti nazionali – tra cui l’Italia – ha fatto proprioquesto quarto modello di integrazione, sviluppando pratiche dieducazione interculturale, in un percorso educativo che si realizzaanche attraverso l’incontro e l’attivazione di processi comunicativitra persone portatrici di orientamenti culturali, atteggiamenti e stilidi vita differenti (Bennett, 2002; Castiglioni, 2006).

L’approccio interculturale in ItaliaCome già evidenziato in precedenza, in Italia l’intercultura

ha costituito l’opzione di partenza per elaborare modelli diintegrazione scolastica. Ciò ha comportato, a livello normativo,la possibilità di ammettere lo straniero nella scuola ordinaria, lapromozione di attività per facilitare l’apprendimento della linguaitaliana, la realizzazione di progetti interculturali per tutti: si trattaindubbiamente di iniziative che consentono di affermare il pienoriconoscimento del diritto allo studio degli alunni stranieri. Lascuola italiana ha scelto infatti di inserire gli allievi di cittadinanzanon italiana nella “scuola comune” (Giovannini, Queirolo Palmas,2002), all’interno delle normali classi scolastiche, a partiredagli anni Settanta, differenziandosi in questo dall’esperienza dialtri Paesi europei (Colombo, 2004; Clementi, 2008; Santerini, 2010).

L’educazione all’interculturalitàCome già evidenziato, a partire dagli anni Novanta l’intercul-

turalità è stata l’opzione adottata per orientare gli interventieducativi in Italia. Nel 1990, il ministero dell’Istruzione ha definitoper la prima volta il concetto di educazione interculturale qualeazione educativa che “ha il compito di promuovere la convivenza,prevenendo il formarsi di stereotipi e pregiudizi nei confronti dipersone e culture e superando ogni forma di visione etno-centrica” 1. Tale concetto comporta l’adozione di un approcciointerdisciplinare e la centralità della dimensione relazionale, in unclima di dialogo che coinvolge l’intera comunità educativa.

La chiave interculturale fondamentale nelle politiche scolastiche ma anche in quelle più generali

1 Cfr. circolare ministeriale n. 205 del 26 luglio 1990.

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

Dopo circa vent’anni, con il documento ministeriale dell’ottobredel 2007 “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazionedegli alunni stranieri” (ministero della Pubblica istruzione, 2007),l’Italia ha definito con più precisione il proprio modello di integra-zione scolastica degli allievi stranieri, basato sull’intercultura,sulla formazione al dialogo e alla convivenza in contesti scolasticimulticulturali. Il testo sottolinea la complementarietà di linee diazione che comprendano l’integrazione degli studenti immigratie la prospettiva di scambio interculturale nelle relazioni scolasticheed extrascolastiche, nei saperi e nelle competenze.

Il documento ministeriale individua quattro principi generali,cui, peraltro, facevano riferimento le pratiche educative nei decenniprecedenti: 1) l’“universalismo”, che riconosce il diritto di ogniminore all’istruzione e all’uguaglianza di opportunità; 2) la“scuola comune”, ovvero politiche scolastiche basate sull’inse-rimento degli alunni di cittadinanza non italiana nelle classinormali; 3) la “centralità della persona in relazione con l’altro”,orientamento pedagogico che valorizza l’essere umano nei suoiaspetti peculiari e distintivi, riconoscendolo come soggettoinserito in un contesto relazionale e con una specifica biografiapersonale e familiare; 4) l’“intercultura”, intesa come promozionedel dialogo e del confronto tra le culture, in un’ottica di aperturaalle differenze e di condivisione di valori comuni.

Per declinare operativamente questi principi finalizzati apromuovere efficaci processi di integrazione, le buone pratichemesse in atto localmente costituiscono senza dubbio azionifondamentali. Ciò è stato confermato da alcune ricerche condottesul campo (Glenn, 2000) che evidenziano una vivacità e unamolteplicità di iniziative diffuse sul territorio italiano, ma diverseper risorse a disposizione, strumenti impiegati, consistenzaprogettuale e soggetti promotori. A tale riguardo sarebbeopportuno sia disporre di un modello generalizzabile di analisidelle buone pratiche educative sia stabilire indicatori e criteridi qualità che permettano di distinguere ciò che è educazioneinterculturale da ciò che non lo è.

Tale tentativo è stato compiuto dalla fondazione Ismu edall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità(Orim), in cui il gruppo scuola ha elaborato alcuni criteri per lavalidazione delle pratiche. Tra questi ne cito alcuni: ampiocoinvolgimento di insegnanti, dirigenti, studenti, genitori; creazionedi una rete scuola-territorio; collaborazione e circolazione delleinformazioni; esplicitazione di obiettivi, metodi, risorse e valutazionedei risultati; acquisizione di competenze e incremento di profes-sionalità di insegnanti e altri operatori; innovazione didattica

I quattro principi:universalismo,scuola comune,centralità della persona in relazione con l’altro,intercultura

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e metodologica (a livello di curriculum, contenuti, saperi);produzione di documentazione e riproducibilità dell’esperienza(Besozzi, 2005).

L’impegno del settore scuola della fondazione IsmuSin dal 1992 quando ha cominciato a operare, la fondazione

Ismu è stata significativamente impegnata sul territorio lombardo,ma anche in altre realtà regionali, nel promuovere e nell’approfon-dire l’approccio interculturale, peraltro in linea con quantoespresso nei documenti ministeriali e comunitari. Le principaliiniziative realizzate nell’ambito dell’educazione interculturalehanno riguardato la ricerca e la formazione 2. Il settore Educazionedella fondazione ha svolto un’intensa attività di formazione allaprogettazione interculturale concentrata essenzialmente sullemodalità di implementazione dei progetti. Le attività dell’Ismusono finalizzate a diffondere una cultura dell’integrazione culturale,facilitare lo sviluppo di contesti favorevoli all’integrazione,sostenere la progettualità e la professionalità degli operatori,monitorare i processi di cambiamento in atto nel sistema scolastico.In tali ambiti sono state sviluppate alcune esperienze che possonoessere definite buone pratiche, anche in virtù della loro trasfe-ribilità. Tra le molteplici iniziative realizzate se ne illustrano tre.

La Banca dati dei progetti di educazione interculturale. Unica,nel panorama nazionale, è l’esperienza della Banca dati deiprogetti di educazione interculturale che vengono attuati nellescuole e in contesti extrascolastici della Lombardia. Si tratta diun’iniziativa – condotta dall’Osservatorio regionale per l’inte-grazione e la multietnicità (Orim) in collaborazione con l’Ufficioscolastico regionale – che consiste nella mappatura, analisi eclassificazione dei progetti portati a compimento sul territorio(in base a diversi indicatori quali scuola, comune, provincia,ordine, promotore, area di progetto, destinatari, operatori,mezzi, tempi, finanziamenti, prodotti, tempi…), in vista di unavalutazione della loro capacità di incidere sul contesto socio-educativo (Colombo, 2007; Colussi, 2009).

In Lombardia l’iniziativa pilota della Banca dati delle esperienze integrative compiute nelle scuole e in contesti extrascolastici

2 A tale proposito Besozzi E., Colombo M., Santagati M., Formazione come inte-grazione. Strumenti per osservare e capire i contesti educativi multietnici.Rapporto 2009, fondazione Ismu, regione Lombardia, Osservatorio regionale perl’ integrazione e la multietnicità, 2010; Colussi E., Repertorio di buone pratiche dieducazione interculturale in Lombardia. Anno 2009, fondazione Ismu, regioneLombardia, Osservatorio regionale per l ’ integrazione e la multietnicità, 2010;Colombo M., Guida ai progetti di educazione interculturale. Come costruirebuone pratiche. Anno 2007 fondazione Ismu, regione Lombardia, Osservatorioregionale per l ’ integrazione e la multietnicità, 2007.

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

Questa banca dati è un servizio di documentazione rivoltoagli operatori scolastici ed extrascolastici dell’educazioneinterculturale. Essa raccoglie un patrimonio di progetti e di prodotti,che rappresenta quanto viene realizzato in tutte le provincedella Lombardia per favorire l’accoglienza e l’integrazione deglialunni stranieri nei percorsi formativi, nonché la diffusione di unasensibilità interculturale nei diversi ambiti sociali. Attraverso labanca dati si archiviano e si classificano i progetti di educazioneinterculturale realizzati da scuole, centri di formazione profes-sionale, enti locali, enti no profit e università. L’archivio comprende:un database aggiornato annualmente e interrogabile attraversouna maschera di ricerca, contenente le informazioni anagrafichedi ciascun progetto; un archivio cartaceo consultabile presso ilCentro documentazione della fondazione a Milano; statisticheessenziali relative alla distribuzione sul territorio regionale deiprogetti raccolti; documenti di lavoro per l’approfondimento ditematiche inerenti all’educazione interculturale. Attualmente ilpatrimonio della banca dati è composto da 1.400 progetti.

Il progetto Start - Strutture di Accoglienza in Rete per l’inTegrazione.Un altro progetto in cui la fondazione Ismu è impegnata daoltre due anni è Start - Strutture di Accoglienza in Rete perl’inTegrazione, promosso dal comune di Milano in collaborazionecon l’Ufficio scolastico regionale per la Lombardia. Start rispondealla volontà di creare un sistema integrato nell’erogazione deiservizi per l’integrazione dei minori stranieri finalizzato a costituireun sistema territoriale, inteso come centro che offre possibilitàe risorse quali la mediazione scolastica, linguistica e culturale,agendo direttamente e indirettamente con interventi di sostegnoalle scuole.

Concretamente il progetto prevede l’implementazione delleattività di prima accoglienza, di inserimento scolastico e diinsegnamento dell’italiano come seconda lingua. Destinatari sonogli alunni stranieri nelle scuole primarie e secondarie di primogrado presenti sul territorio del comune di Milano. Per realizzareciò sono stati creati quattro poli di servizio, collocati pressoaltrettanti istituti comprensivi della città, presso i quali vengonosvolte attività di consulenza e informazione alle famiglie immigrate,di organizzazione della distribuzione delle risorse sul territorioin base a i bisogni rilevati (laboratori di italiano L2) e di supportoalle scuole che hanno un numero particolarmente elevato dialunni con cittadinanza non italiana. In ciascuno dei poli Startopera una équipe multiprofessionale composta da docentidistaccati dall’ufficio scolastico provinciale e personale educativo

I poli “Start”di consulenza e informazionealle famiglie immigrate sul territorio del comune di Milano

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

del settore Servizi minori e Giovani del comune di Milano.Tramite i poli vengono ad esempio rilevati i bisogni di alfabe-tizzazione dei neo arrivati e la conseguente attribuzione deicorsi L2 messi a disposizione dal comune. Attivi durante tuttol’anno scolastico, i laboratori vengono realizzati presso le sediscolastiche con maggiore presenza di alunni stranieri.

Con il supporto della fondazione Ismu è stato avviato unpercorso di progettazione di attività di rete sulle tematichedella prima e della seconda accoglienza e dell’insegnamentodell’italiano come seconda lingua. Lavorando con docenti discuole differenti e formatori esperti, nel corso degli ultimi dueanni sono stati svolti 12 percorsi di ricerca-azione impostatisecondo la logica della circolarità tra teoria e prassi: i docentihanno progettato e realizzato azioni individuate a partire dauna puntuale rilevazione dei bisogni.

Con l’ausilio degli esperti formatori, i docenti hanno avviatoun percorso di formazione sul campo che ha condotto allaproduzione di materiali didattici interculturali, corredati dellametodologia con cui vanno utilizzati. Attualmente tali strumentisono in corso di sperimentazione da parte di altri docenti chesuccessivamente daranno i loro riscontri ai gruppi di lavoro. In talmodo si è instaurato un processo riflessivo e pratico che,attraverso la reciproca conoscenza, consente a docenti e ainsegnanti la messa in comune dei bisogni e delle risorse, e,soprattutto, di continuare a implementare le proprie competenzeprofessionali in ambito interculturale.

All’interno di questo stesso progetto è stato predispostoanche un archivio cittadino multimediale, denominato MultiStart,consultabile quindi on line, attraverso cui è possibile scaricaremateriali e strumenti didattici interculturali 3.

Patrimonio culturale e intercultura. Infine, la fondazione Ismuè impegnata sul tema innovativo del patrimonio culturale edell’intercultura. Anche in questo caso è stata creata una risorsaon line che si propone di contribuire alla costituzione sul territorioitaliano di una comunità di esperti sempre più ampia e aggiornataper quanto riguarda i molteplici aspetti relativi alla conoscenzae all’uso responsabile del patrimonio in una società multiculturale 4.

Il supporto dell’Ismu nella progettazione di attività di rete sulle tematiche della prima e della seconda accoglienza el’insegnamentodell’italianocome seconda lingua

3 Si tratta di un database che esiste solo da pochi mesi e che è ancora in corsodi implementazione. Per accedere a MultiStart l ' indirizzo è www.ismu.org/start.4 A tale proposito è possibile consultare il sito della fondazione alla paginawww.ismu.org/patrimoniointercultura.

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

Cenno conclusivo: la questione della trasferibilitàI progetti di educazione interculturale costituiscono opportunità

rilevanti e da estendere non solo per agevolare l’inserimentonelle scuole, e quindi nella società, dei figli di immigrati, maanche per favorire l’interazione tra costoro e i figli di italiani. A questadimensione intragenerazionale manifesta, se ne aggiunge unaintergenerazionale, forse più latente ma non meno rilevante,che riguarda il rapporto tra allievi italiani e immigrati, genitori einsegnanti.

Come si è accennato, i progetti di educazione interculturalesinora realizzati o in corso di realizzazione sul territorio italianosono numerosi, con una distribuzione provinciale alquantoeterogenea, cioè a macchia di leopardo, in quanto si registrauna maggiore densità in alcune zone, in particolare in quelle incui sono più numerosi i minori con diverse nazionalità, sonodisponibili maggiori risorse e gli insegnanti sono più disposti aimpegnarsi in progetti innovativi. Ampia è anche la tipologia deisoggetti proponenti e realizzatori: la singola scuola, un gruppo discuole, il privato sociale. Diverse, seppure sempre più ridotte,le fonti di finanziamento. Infine, i progetti vanno distinti in terminiqualitativi: non tutti ovviamente presentano lo stesso rigore nellaelaborazione e nella realizzazione o esiti ugualmente efficaci.

Ciò premesso, se e come una esperienza può essere trasferibile?Con riferimento al se, occorre che l’esperienza abbia assunto iconnotati di buona pratica o che, quanto meno, abbia prodottoeffetti positivi. In merito al come, persino nel caso in cui si prendain considerazione una buona pratica, essa non va assunta inmodo automatico e acritico, ma occorre sempre fare una verifica difattibilità nel contesto in cui si intende applicarla. Più precisamente,la trasferibilità di una esperienza, ancorché dimostratasi efficacein un determinato contesto, non implica che necessariamentesi dimostri altrettanto efficace in un contesto diverso: apparequindi necessario un esame preventivo della buona praticaproposta per verificarne la validità e per approntare eventualiaggiustamenti prima di assumerla. Di qui l’esigenza di una validacapacità di lettura critica delle proposte e di valutazione dellareale fattibilità.

Per concludere, alcuni suggerimenti.assicurare la massima diffusione di conoscenza delle esperienze

anche da parte degli stessi realizzatori di quest’ultimepromuovere occasioni di incontro per condividere gli interventi

sperimentati e organicamente documentati, allo scopo di superarela frammentazione e l’isolamento delle singole realtà scolastiche,nonché di favorire sinergie e collaborazioni

A macchia di leopardo sul territorio le iniziative d’integrazione in rapporto alla densità del fenomeno immigratorio

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Esperienze e trasferibilità dei progetti per l’educazione interculturale

predisporre strumenti il più possibile generalizzabili in meritoa cosa intendere per buone pratiche e su come valutarle: peresempio si potrebbero prendere in esame i criteri già elaboratiin varie sedi, per discuterli, verificarli e monitorarli

individuare criteri condivisi per assicurare effettivamente edefficacemente la trasferibilità delle pratiche migliori, sviluppandonei docenti competenze per rendere le prassi adeguate allespecificità dei differenti contesti locali.

Bennett M. J., Principi di comunicazioneinterculturale, Milano, FrancoAngeli, 2002

Besozzi E., “Insegnare in una societàmultietnica: tra accoglienza, indifferen-za e rifiuto”, in Giovannini G. (a cura di),Allievi in classe, stranieri in città, Milano,FrancoAngeli, 1996, pp. 22-260

Besozzi M., I progetti di educazioneinterculturale in Lombardia. Dal monito-raggio alle buone pratiche, Milano,Osservatorio regionale per l’integrazionee la multietnicità, fondazione Ismu, regioneLombardia, 2005

Besozzi E., Colombo M., Santagati M.,Formazione come integrazione. Strumentiper osservare e capire i contesti educativimultietnici, Milano, Osservatorio regionaleper l’integrazione e la multietnicità,fondazione Ismu, regione Lombardia, 2010

Castiglioni I., La comunicazioneinterculturale: competenze e pratiche,Roma, Carocci, 2005

Cesareo V., Società multietniche e multi-culturalismi, Milano, Vita e Pensiero, 2000

Clementi M. (a cura di), “La scuola e ildialogo interculturale”, Milano, QuaderniIsmu, 2008

Colombo M., Relazioni interetniche fuorie dentro la scuola. I progetti per l’integra-zione degli alunni stranieri e nomadi delComune di Brescia, Milano, FrancoAngeli,2004

Colombo M., Guida ai progetti di educa-zione interculturale. Come costruire buonepratiche, Milano, Osservatorio regionaleper l’integrazione e la multietnicità,fondazione Ismu, regione Lombardia, 2007

Colussi E., Buone pratiche di educa-zione interculturale in Lombardia.Repertorio 2009, Milano, Osservatorioregionale per l’integrazione e la multiet-nicità, fondazione Ismu, regione Lombardia,2009

Gilardoni G., Somiglianze e differenze.L’integrazione delle nuove generazioninel la società mult ietnica , Milano,FrancoAngeli, 2008

Giovannini G., La condizione dei minoristranieri in Italia, Milano, fondazioneIsmu, 2004, in www.ismu.org

Giovannini G., Queirolo Palmas L. (a curadi), Una scuola in comune. Esperienzescolastiche in contesti multietnica italiani,Torino, fondazione Giovanni Agnelli, 2002

Glenn C. (a cura di), Alunni immigratinelle scuole europee. Dall’accoglienzaal successo scolastico, Trento, Erickson,2000

Santerini M., La qualità della scuolainterculturale. Nuovi modelli per l’inte-grazione, Trento, Erickson, 2010

Zanfrini L., “Seconde generazioni emercato del lavoro”, in Valtolina G. G.,Marazzi A. (a cura di), Appartenenzemultiple. L’esperienza dell’immigrazionenelle nuove generazioni, FrancoAngeli,Milano, 2006, pp. 169 -198

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Le trasformazioni politiche nel Nord-Africa:il parere del Comitatoper l’islam italiano

Parere del Comitato per l’Islam italiano costituito pressoil ministero dell’Interno(elaborato a seguito della seduta del 3 marzo 2011, con lapresidenza del Sottosegretario On. Alfredo Mantovano)

È stato chiesto al Comitato di esprimere valutazioni in meritoalle vicende che nelle ultime settimane investono alcuni Paesidel Nord-Africa, al fine di valutarne eventuali aspetti collegatialla presenza musulmana in Italia. L’analisi ha riguardato lasituazione dell’Egitto e della Tunisia; non si è spinta a quelladella Libia, in considerazione della sua oggettiva complessitàe della attuale scarsa decifrabilità. Il dibattito, che si è sviluppatofra i componenti del Comitato, ha posto in evidenza come le crisiche hanno interessato i territori del Maghreb e del Nord-Africa,pure tra loro assai diversi, condividono elementi di rilievo: lasostanziale fragilità strutturale dei precedenti regimi autoritari,solo apparentemente stabili, e la spontaneità della rivoltapopolare, animata da gruppi privi di coordinamento e nonnecessariamente uniti dalla medesima ideologia. Il tutto in unquadro che vede movimento nell’intera area mediorientale,inclusi il Kuwait, il Bahrein, lo Yemen, la Giordania, l’Oman.

La ribellione, sia in Egitto che in Tunisia, non ha avuto basireligiose né di estremismo (non sono state bruciate bandiere Usao di Israele), ma ha trovato fondamento nel profondo disagioeconomico, aggravato dalla diffusa corruzione e dall’autoritarismo,che hanno impedito la crescita sociale. Si è trattato, e si tratta,di una mobilitazione con una forte componente generazionale,riflesso dell’assenza di una vera middle class. In particolare,

1 Del comitato fanno parte esponenti di organizzazioni e comunità islamiche inItalia, docenti di diritto musulmano e dei paesi islamici, di diritto ecclesiastico,giornalisti e scrittori esperti della materia,

Rispetto alle crisi che stanno interessando Maghreb e Nord-Africa – salvo la Libia – è comune il rilievo della fragilità strutturale dei regimi in questione e il dato della spontaneità di rivolte prive di una iniziale matrice ideologica

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Il parere del Comitato per l’Islam italiano sulle vicende in Nord-Africa

in Egitto i movimenti di protesta popolare hanno tratto originedal diffuso e grave stato di povertà e dal basso tasso di sviluppoeconomico. Anche le cospicue entrate derivanti dal turismo,primaria voce attiva del bilancio, non sono state reinvestiteper favorire la crescita interna ma, in larga parte, hanno presola via dell’estero. La maggioranza dei giovani che fanno icamerieri a Sharm-el-Sheik non hanno “studiato” da camerieri,ma sono allievi in varie scuole di specializzazione tecnica(anche quelle dei Salesiani), rispetto alle quali oggi lo sboccooccupazionale “naturale” non consente di porre le basi per unfuturo dignitoso. Nel prossimo futuro è confermata una forteespansione demografica, che in pochi anni – in assenza di unmiglioramento della qualità della vita, sostenuto da un riordinoistituzionale – determinerà una ancora più forte spinta migratoriaverso l’Europa: se mantiene l’attuale tasso di crescita, l’Egittoè destinato a passare in 25 anni dagli attuali 82 milioni di abitantia 150 milioni, costituendo così una autentica bomba demografica.Non può inoltre escludersi che, profittando del caos organizzativonel quale versa il Paese, gruppi fondamentalisti particolarmentestrutturati trasformino l’odierna rivoluzione politica in rivoluzionereligiosa. Tutto ciò avrebbe riflessi anche nelle realtà che, al difuori dell’Egitto, mantengono stretti collegamenti con i Fratellimusulmani; se costoro consolidassero la loro presenza nel nuovo

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Il parere del Comitato per l’Islam italiano sulle vicende in Nord-Africa

Parlamento egiziano e esprimessero dei rappresentanti in unnuovo Governo, potrebbe aumentare l’ipotizzato sostegno(anche nelle forme di legittimi finanziamenti) a gruppi analoghioperanti in Europa (per esempio l’Ucoii in Italia) che spingerebberoper qualificarsi come interlocutori politici. Si pensi all’influenzache potrebbe avere anche fuori dai confini egiziani un esponentedei Fratelli che rivestisse nel nuovo Esecutivo l’incarico diministro dell’Educazione.

Anche in Tunisia il motore della rivolta è stato il malesseredelle più giovani generazioni, schiacciate dal peso di una gravedepressione economica e di un regime fortemente repressivoe poliziesco. Privati di ogni prospettiva di vita, giovani maschihanno lottato per ottenere il riconoscimento di fondamentalidiritti umani; la parola chiave in questi giorni, più che “pane”,è stata “dignità”. L’obiettivo è stato soprattutto quello di superareuna fase in cui ogni dichiarazione faceva correre il rischio didoverla giustificare davanti alla polizia; “non voglio più uncoperchio sopra la testa”, sembrano aver detto tanti giovanitunisini. E se da noi qualcuno ha evocato l’analogia con imoti europei del 1848, va detto che il quadro è del tuttodiverso: l’obiettivo della rivolta non è la costituzione di unoStato nazionale, che già c’è, ma la possibilità di costruireuna vita libera e dignitosa al suo interno. Probabilmente nonè un caso se, in concomitanza con i moti di piazza tunisini,giovani connazionali emigrati in Francia – generalmenteistruiti, professionalmente qualificati, desiderosi di tornarenella loro terra – abbiano dato vita a un’associazione denominata“Il Cittadino”. Dal punto di vista religioso, i tunisini nella fasciafra i 18 e i 27 anni vivono un Islam non politicizzato e sonotendenzialmente “laici”, a testimonianza di una tendenza alla“deislamizzazione” (da intendere nel senso di normalizzazionedei partiti religiosi), di cui si colgono segnali plurimi; docentidell’Università tunisina della Manouba segnalano, tuttavia, unaumentare del pericolo islamista e denunciano il fatto chemoschee tunisine, un tempo controllate dal governo di Ben Ali,ora sono già in mano ai Fratelli musulmani. A fronte del con-divisibile auspicio, manifestato anche in un recente documentodei ministri dell’Interno delle Nazioni europee che affaccianonel Mediterraneo, che in Egitto e in Tunisia prevalgano forzedemocratiche, pur radicate in una cultura nazionale connotatadalla religione islamica, il Comitato ha osservato che la difficoltàa condividere il concetto stesso di democrazia, e la mancanzadi una classe dirigente capace di delineare strategie per la

Il ruolo delle giovani generazioni,insofferenti a regimi di tipo poliziesco in Paesi nei quali la depressione economica non genera attese e speranze di vita

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174 2 011 marzo - apr i le

Il parere del Comitato per l’Islam italiano sulle vicende in Nord-Africa

ristabilizzazione, fanno reputare una simile prospettiva tutt’altroche facile da raggiungere.

Sia per l’Egitto che per la Tunisia (e in qualche misuraanche per la Libia) gli scenari prevedibili potrebbero essere: a) il“modello Gattopardo”; si cambia tutto (qualcosa) per noncambiare nulla se non la guida (un autocrate, o un gruppo diautocrati) al posto di chi c’era prima, con la riproposizione dimodelli autocratici sostanzialmente analoghi ai vecchi regimi;b) la difficile affermazione di un Islam politico, sul modellodella Turchia, oppure sul modello dei Fratelli musulmani, lacui evoluzione è peraltro tutta da decifrare; c) l’insediamentodi tecnocrati, come Mohammed El - Baradei, che si qualificanocapaci di gestire l’assetto economico, e soprattutto finanziario,ma non è detto che siano così agganciati alla realtà di quellenazioni; d) la crescita di forze democratiche, sulla spintadell’amministrazione Usa, tutte da individuare. Al momento viè solo una situazione di confusione e di incertezza, chedetermina una forte spinta all’emigrazione; ed è fuori di dubbioche quando c’è immigrazione senza controllo c’è spazio perle infiltrazioni da parte di criminali e di terroristi. Da questo puntodi vista, sarebbe interessante confrontarsi con le valutazionidei nostri Servizi relative alla consistenza e alla qualità di unacerta presenza, che viene segnalata, di Al-Qaeda nel Maghreb.È interessante, in quest’ottica, osservare la trasformazioneiconografica della madre del giovane tunisino, dal cui suicidioè partita la rivolta: man mano che trascorrevano i giorni, è statamediaticamente configurata sempre di più come la figuradella mamma di uno shahid, mentre originariamente non era così.

A completamento del quadro, è stata sottolinea la mancanzadi adeguata e tempestiva reazione da parte delle organizzazioniinternazionali e comunitarie. Ciò tuttavia, a parere del Comitato,apre all’Italia spazi d’intervento per iniziative lungimiranti,rese possibili e favorite dalle buone relazioni che storicamentel’Italia intrattiene con tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo.L’Italia potrebbe esercitare un ruolo di vicinanza e di sostegno,promuovendo iniziative in loco capaci di contenere il fenomenomigratorio, favorire il riassetto politico e la ripresa economicamediante la creazione di opportunità di sviluppo. In questa pro-spettiva, il Comitato ha rilevato l’insufficienza e l’inadeguatezzadi far coincidere tale auspicata vicinanza con iniziative daicontenuti prettamente umanitari; esse appaiono d’indubbiaefficacia nell’immediato ma inutili a lungo termine, se non

Del tutto aperte le prospettive del dopo rivolta: l’ipotesidi governi democratici soltanto unadelle molte possibilità,tra cui quella di nuovi regimi autoritari o controllati dal fondamen-talismoreligioso

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Il parere del Comitato per l’Islam italiano sulle vicende in Nord-Africa

accompagnate da interventi strutturati di institutional buildingfinalizzati. La rinascita delle aree del Nord Africa passa attraversol’affermazione di un Islam moderato e l’adozione di iniziativecapaci d’impedire ai movimenti islamici estremisti di profittaredella “destatalizzazione delle Moschee” per conferire all’Islamun’impronta ultrafondamentalista.

In tale ottica, le iniziative che l’Italia potrebbe adottaredovrebbero consistere:

nel fornire un supporto tecnico nella elaborazione delleCarte fondamentali delle quali questi Paesi andranno a dotarsi.Il contributo dei giuristi italiani andrebbe in continuità con unasecolare tradizione di studi, che ha guadagnato alla culturagiuridica italiana sincero apprezzamento da parte degli studiosiegiziani e tunisini. La prossimità di elezioni dalle quali dovrebberovenir fuori i Parlamenti che scrivono le nuove Costituzioni facercare dei modelli di riferimento soprattutto per quantoriguarda i rapporti tra Stato e religioni. Il modello di “laicità”italiana, che concilia l’autonomia dello Stato con la visibilitàpubblica delle esperienze religiose può, infatti, meglio di altretradizioni (si pensi ad esempio alla laïcité francese) costituireun importante punto di riflessione e di riferimento. Né vannotrascurati i legami culturali che l’Italia ha avuto, certamentefino agli anni Sessanta del XX secolo, sia con l’Egitto (bastipensare all’interscambio tra le nostre Università e un centrocome Alessandria) sia con la Tunisia (per gli aspetti legatialla codificazione) sia con la Libia. A questo fine, anche inconnessione con ricerche già condotte da istituzioni universitariedella nostra Nazione, si suggerisce l’istituzione di un Centrodiritto e religione nello spazio mediterraneo, quale luogo didibattito e riflessione per le politiche in materia religiosa delbacino mediterraneo. Il Centro potrebbe favorire la riflessionegià in atto in tutti i paesi dell’area, offrendo occasione di scambioe di dialogo, consentendo all’Italia un ruolo leader in materia

nell’adozione di un complesso di iniziative culturali tese allaformazione di una nuova classe dirigente. A questo propositoil Comitato ha offerto la propria disponibilità a promuoverecollaborazioni con il ministero degli Esteri, che dispone deifondi per la cooperazione, e con il ministero dell’Università edella Ricerca; in ogni caso, auspica la presenza di conoscitoridella cultura araba e dei rapporti tra Stati e religioni all’internodelle nostre ambasciate e presso le stesse amministrazioni centrali

nella predisposizione/promozione di un piano di aiuti, sulmodello del “piano Marshall”, focalizzato sullo sviluppo del

Il ruolo delle organizzazioniinternazionali e quello dell’Italia nel fornire supporti tecnici e aiuti nella logica di nuovi “piani Marshall”

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176 2 011 marzo - apr i le

Il parere del Comitato per l’Islam italiano sulle vicende in Nord-Africa

turismo e sul migliore sfruttamento delle risorse idriche; si trattadi ipotizzare interventi di carattere non caritativo, bensì strutturale,tesi a far sì che alla ricostruzione materiale si accompagni quellapolitica.

Sul fronte interno, il Comitato raccomanda iniziative idoneea contrastare la diffusione di posizioni fondamentaliste, in unmomento in cui l’impatto migratorio ha determinato un sensibileaumento di presenze islamiche. In questo senso, è essenzialesostenere la formazione di imam qualificati, che abbiano, cioè,seguito un iter formativo che preveda corsi, anche civici,organizzati con il coordinamento del ministero dell’Interno edel ministero dell’Università e della Ricerca, con le Universitàe con le associazioni del mondo islamico che corrispondanoa requisiti minimi, primo fra tutti l’intangibilità della vita di ogniessere umano e la tutela delle libertà fondamentali. Ciò saràoggetto di un prossimo specifico approfondimento da parte delComitato: un appropriato percorso di qualificazione professionaledegli imam, oltre a elevare il livello di garanzia, varrebbe acontenere l’emergente fenomeno degli “imam fai da te”, dietroil quale spesso si celano elementi appartenenti a frange estremiste.

A conclusione del percorso di formazione sarebbe appropriatopoter procedere al riconoscimento dell’imam come Ministro diCulto. Ai fini dell’attribuzione di tale qualifica, sulla base dellavigente normativa, infatti, si renderebbe possibile l’eserciziodi un maggiore controllo sulle caratteristiche soggettive degliimam, al fine di favorire una formazione più rispondente allarealtà di insediamento. Infine, in considerazione dell’impattomigratorio che l’Italia sta vivendo in questi giorni, nell’ambitodel Comitato è stata prospettata la possibilità di accedere afinanziamenti di fondi europei, di privati e, pur con la necessariacautela, di “fondi sociali arabi” a sostegno delle iniziative perl’integrazione degli islamici cittadini provenienti da Paesi amaggioranza islamica che giungono in Italia.

Sul fronte interno è necessario favorire la formazione di imam qualificati attraverso il coordinamento tra i ministeri dell’Interno e dell’Università e Ricerca

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vili“L’immigrato ha un mondo del passato a cui appartiene

e un mondo del presente al quale sempre, più o meno, sarà estraneo; suo figlio invece sta

in tutti e due e molte volte in nessuno. Per questo c’èbisogno che il processo di integrazione abbia successo,

in modo che la seconda generazione non resti chiusanel ghetto. [...] Credo che lo sguardo del figlio

dell’immigrato sia molto ricco, perché è doppio:guarda dal mondo a cui appartengono i suoi genitori,quello delle radici, e dal mondo nuovo a cui lui giàappartiene. Nei due mondi si sente al tempo stesso a

casa e straniero. Sono le due esperienze fondamentaliper scrivere: conoscere molto bene qualcosa

e al tempo stesso vederla un po’ come da fuori”.

Antonio Muñoz Molina(Corriere della Sera, 2 agosto 2010)

NEL PROSSIMO NUMERO

Fratelli d’Italia

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi

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FrancoAngeli s.r.l., v.le Monza 106 - 20127 MilanoPoste Italiane Spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano - II bimestre 2011