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Lezioni di Giustizia Amministrativa
Cap. I – Lezioni introduttive
Nel diritto amministrativo sostanziale, la garanzia del cittadino nei confrontidella P.A. ha un rilievo primario: infatti c’è la necessità di trovare un equilibrio
fra la P.A., che deve disporre di strumenti adeguati per attuare le finalità
assegnatele, e il cittadino, che deve essere garantito da comportamenti
arbitrari o da sacrifici indebiti.
Nello Stato di diritto questo equilibrio viene ricercato applicando innanzitutto il
principio di legalità
Il cittadino va tutelato anche sotto altri profili: a fronte della discrezionalità
della P.A. e dell’eccesso di potere, nonché a fronte della resp. civile
dell’amministrazione e dei suoi agenti.
L’amministrazione deve agire nel rispetto del diritto e senza ledere gli interessi
del cittadino giuridicamente riconosciuti.
Il diritto amministrativo regola l’attività amministrativa e contemporaneamente
tutela il cittadino. Infatti, la violazione di una norma di diritto amm. determina
l’illegittimità o anche l’inefficacia degli atti amm., andando a tutelare il
cittadino interessato da quegli atti.
L’osservanza della legalità dell’attività amm. non è demandata ad un giudice
ma costituisce un dovere preciso dell’amministrazione. Gli istituti di “giustizia
amministrativa” intervengono laddove il diritto sostanziale non sia stato
osservato.
Cosa ≠ è l’intervento del cittadino nel corso del procedimento amministrativo;
ad es. le osservazioni del proprietario in una procedura espropriativa.
subordina il potere dell’amministrazione a regole predeterminate.
comprende alcuni istituti diretti ad assicurare la tutela dei cittadini nei
confronti dell’amministrazione. Sono strumenti di tutela successiva
perché disciplinano la reazione del cittadino di fronte ad un’attività
amm. già svolta.
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Questi non sono istituti di giustizia amministrativa; sono strumenti di
partecipazione al procedimento amministrativo, diretti ad assicurare uno
svolgimento corretto ed equilibrato della funzione amministrativa (non si
contesta alcun vizio nell’operato dell’amm.). Una parte della dottrina, come Guicciardi e Capaccioli, ha messo in evidenza
anche la differenza tra istituti di giustizia amm. e controlli sull’attività amm.
La giustizia amm. si contrappone alla giustizia comune che comprende tutti gli
istituti di tutela dei privati rispetto ad altri privati.
I rapporti tra cittadini, amministrazione e autorità giurisdizionale ordinaria
sono stati condizionati storicamente dalle vicende dei singoli Paesi.
Ad es. in Francia troviamo un sistema di contenzioso amm. nel quale le
controversie fra cittadino e P.A. sono devolute al giudice speciale (Consiglio di
Stato a cui si sono aggiunti in seguito i Tribunali amm. e le Corti amm.
d’appello): un giudice inquadrato nel potere esecutivo e non gode di tutte le
garanzie previste per il magistrato ordinario; la sua giurisdizione è
completamente separata da quella ordinaria, con la conseguenza che non si
sono previsti per assicurare la regolarità e la correttezza dell’azione amm. e riguardano
un’attività già conclusa. In genere, con questi controlli si verifica la legittimità dell’atto
amm. e, + raramente, l’opportunità (in questo caso si parla di controlli di merito). Tali
controlli possono portare all’annullamento dell’atto amm. illegittimo.
La differenza con gli istituti di giustizia amm. sta nel fatto che i controlli attuano un
interesse oggettivo alla conformità dell’attività amm. al diritto o a regole tecniche o a
regole di efficienza. Mentre, gli istituti di giustizia amm. attuano l’interesse del cittadino
che, non solo determina l’avvio del procedimento, ma ne condiziona anche lo
svolgimento e il risultato.
Questa conclusione non cambia neanche se consideriamo il fatto che alcuni istituti di
giustizia amm. non hanno carattere giurisdizionale. Infatti, tra gli istituti troviamo i
ricorsi amministrativi con cui il cittadino propone una contestazione ad un organo
amm. il quale deciderà con un atto amm. senza esercitare funzione giurisdizionale.
Resta il fatto che, anche in questo caso, tutto parte dall’iniziativa di un cittadino per la
tutela di un suo interesse.
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può ricorrere al giudice ordinario contro la decisione di un giudice speciale e
viceversa.
Un modello completamente ≠ era quello Belga dove, in un primo momento la
Cost. aveva riservato al giudice ordinario il sindacato giurisdizionale neiconfronti dell’amm. Nel secondo dopoguerra, invece, è stato introdotto un
giudice speciale.
In Germania, i giudici amm. sono autonomi dal potere amm. e vengono
collocati nell’ordine giudiziario esercitando la propria giurisdizione nelle
vertenze relative al diritto pubblico.
Anche in Spagna la giustizia amm. è affidata a giudici con competenza e
organizzazione particolari ma appartenenti allo stesso ordine giudiziario di
quelli ordinari.
In Italia si è passati da un sistema analogo a quello francese ad un sistema di
giurisdizione unica, passando poi ad un sistema articolato tra giudice ordinario
e giudice amm. Di recente, si è affermata una tendenza ad omogeneizzare i 2
giudici.
Ogni sistema di giustizia amm. deve affrontare sostanzialmente 2 problemi.
1. la specificità dell’amministrazione nell’ordinamento giuridico indirizza
verso strumenti di tutela non ordinari;
2. l’esigenza di tutela effettiva del cittadino anche nei confronti dell’autorità
amm. che spinge verso la giustizia comune.
Per quanto riguarda il 1° problema, dobbiamo tenere presente che la specificità
viene individuata secondo criteri diversi nei vari ordinamenti:
alcuni ritengono che la specificità dipenda dall’assoggettamento dell’attività
amm. ad una disciplina speciale;
altri ritengono che la specialità dipenda dal collegamento al diritto pubblico
piuttosto che a quello privato;
altri ordinamenti ancora ricercano la specialità nei rapporti tra amministrazione
e cittadino si parla di specialità per la rilevanza assegnata all’interesse
pubblico o per la configurazione dell’amm. come autorità. Per quest’ultimo
aspetto dobbiamo considerare che non sempre l’amm. si presenta come
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autorità: infatti, a volte, opera come soggetto di diritto privato equiordinato a
tutti gli altri cittadini.
Cmq, al di là di qualunque distinzione di competenza tra giudice ordinario e
giudice speciale, ciò che fa la differenza rispetto alla tutela del cittadino neiconfronti dell’amministrazione è il grado di indipendenza riconosciuto
all’autorità giurisdizionale rispetto all’Esecutivo (ecco perché suscita perplessità
il giudice speciale!).
Origini della giustizia amministrativa
Il concetto di Amministrazione come soggetto ≠ diverso dagli altri si affermò
nella Francia della Rivoluzione nel contesto del principio della separazione dei
poteri: l’Esecutivo non poteva arrogarsi poteri del giudice ordinario ma i suoi
atti non dovevano neppure essere soggetti al sindacato dei giudici. Questa
scelta dipendeva da ragioni ideologiche e politiche: infatti rifletteva il contrasto
tra Governo e Parlamenti. I Parlamenti erano i giudici superiori d’appello e
reclamavano la competenza anche nelle vertenze contro gli atti
dell’amministrazione entrando in conflitto con le autorità amm.
Già prima della rivoluzione, nel XVII sec. era stato sancito in decreti del re che
i Parlamenti non dovevano interferire sull’attività dell’amm.
La rivoluzione travolse anche i Parlamenti ma le forze rivoluzione si mostrarono
diffidenti nei confronti della magistratura in quanto formata da persone vicine
alle classi aristocratiche. Così l’Assemblea nazionale e poi l’Assemblea
Costituente nel 1789-90 affermarono solennemente che gli organi
giurisdizionali non potevano intervenire sull’amm.
A tal proposito sono significativi 2 decreti:
1. 22 dicembre 1789: “le amm. di dipartimento e di distretto non potranno
subire interferenze nell’esercizio delle loro funzioni amm. da alcun atto
del potere giudiziario”
2. 16 agosto 1790: “le funzioni giurisdizionali sono distinte e rimangono
sempre separate dalle funzioni amm. I giudici non potranno interferire in
qualunque modo sulle operazioni dei corpi amm. né citare avanti a sé gli
amministratori a motivo dell’esercizio delle loro funzioni”.
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Ciò non vuol dire che il cittadino fosse privo di tutele. Infatti, con la rivoluzione
si affermò anche il principio della resp. dell’amministrazione nei confronti
dell’assemblea legislativa
A favore del cittadino era previsto il ricorso gerarchico.
Quindi in Francia le controversie con la P.A. sono sottratte al giudice ordinario.
Fanno eccezione le controversie relative a rapporti in cui l’amm. compare come
soggetto di diritto comune e le controversie che coinvolgono posizioni di libertà
o particolari diritti del cittadino. Per queste eccezioni, nel 1848 venne istituito
il Ministro, che sta al vertice dell’apparato amm., poteva essere chiamato
a rendere conto dell’operato dell’amm. e delle illegalità da essa commesse
e ne rispondeva politicamente di fronte ai rappresentanti dei cittadini.
con questo ricorso il cittadino si rivolgeva all’organo gerarchicamente
superiore a quello che aveva emanato l’atto lesivo e richiedeva la verifica
della legalità dell’atto.
Il ricorso veniva deciso da autorità competenti dopo aver acquisito il parere
di alcuni organi consultivi, il più importanti dei quali era il Consiglio di Stato
istituito nel 1799, operava come organo consultivo del governo e, nell’epoca napoleonica,
come organo preposto all’intero apparato amministrativo con competenze proprie.
Formalmente il Consiglio di Stato esprimeva un parere al Capo dello Stato il quale poi
emanava la decisione. In pratica, il Capo di Stato uniformava sempre la decisione al parere.
Un decreto di Napoleone del 1806 istituì, all’interno del Consiglio di Stato, un’apposita
Commissione del contenzioso col compito di istruire i ricorsi proposti contro gli atti delle
Amm. centrali e locali. Per garantire l’imparzialità, la Commissione era costituita di consiglieri
cui non potevano essere affidati compiti di amministrazione attiva.
Con la Restaurazione fu mantenuto e anzi si accentuò il rilievo del suo parere sui ricorsi
(infatti la decisione del Capo dello Stato veniva considerata, ormai una sanzione che rendevaesecutivo il parere del Consiglio di Stato).
Con la Costituzione del 1848 e con la legge del 1872 si eliminò anche il passaggio attraverso
il Capo dello Stato affidando al Consiglio di Stato la competenza a decidere i ricorsi.
alla funzione consultiva si affiancò quella giurisdizionale.
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un organo che potesse decidere se la vertenza spettasse al giudice ordinario o
al giudice speciale: il Tribunale dei conflitti
L’Italia è stata notevolmente influenzata dal modello francese ma nella
seconda metà dell’800 si affermarono tendenze diverse: infatti dopo che nel
1889 era stata istituita la Sezione Quarta del Consiglio di Stato, i rapporti tra
giudice ordinario e giudice amm. si basarono sulla distinzone tra diritti
soggettivi e interessi legittimi.
Fanno eccezione alcune materie che, a prescindere dalla configurazione di una
posizione soggettiva piuttosto che di un’altra, sono affidate alla giurisdizione
esclusiva del giudice amm.
Il conflitto di giurisdizione, a partire dal 1877, è deciso dalla Cassazione.
composto da giudici della Cassazione e da consiglieri di Stato in pari numero.
GIUDICE AMM. giudica gli interessi legittimi
GIUDICE ORDINARIO giudica i diritti soggettivi anche nei confronti di un’Amm.
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Cap. II – Le origini del nostro sistema di giustizia amministrativa
L’Italia unita seguì il percorso di giustizia amm. intrapreso nel Regno di
Sardegna.
Una serie di decreti reali del 1859 confermarono il sistema del contenzioso
amm. articolato però in Consigli di governo, come organi di 1° grado (designati
anche come giudici ordinari del contenzioso amm.), e Consiglio di Stato, comeorgano di 2° grado.
con l’editto del 1831 Carlo Alberto costituì un Consiglio di Stato con funzioni
consultive e articolato in 3 sezioni:
1. Sezione dell’Interno
2. Sezione di Giustizia, Grazie e affari ecclesiastici
3. Sezione di Finanza
Con lo stesso editto si stabilì che il parere del Cons. di Stato dovesse essere
acquisito obbligatoriamente prima dell’adozione di certi atti (come ad es. gli
atti con forza di legge, regolamenti, conflitti tra giurisdizione ordinaria eamm., bilancio generale dello Stato, liquidazioni del debito pubblico).
Inoltre, l’editto assegnò al Cons di Stato particolari competenze contenziose.
Con le regie patenti (atti ufficiali del re) del 1842, modificate con editto del
1847, fu istituito un vero e proprio sistema di contenzioso amministrativo.
si fondava sulla distinzione tra
controversie riservate all’amm., perle quali era ammesso solo un ricorso
ad un’autorità amm. (l’Intendente)
controversie di amministrazione contenziosa,
per le quali era previsto un ricorso di 1°
grado al Consiglio di intendenza* e un
ricorso di 2° grado alla Camera dei conti*.
L’editto conteneva un elenco delle materie
riservate all’amm. contenziosa ma vi era il
dubbio sul carattere tassativo o
esemplificativo di questo elenco.
* erano considerati organi giurisdizionali
(chiamati anche Tribunali amministrativi).
Ma il ruolo di questi giudici speciali fu
oggetto di critiche soprattutto dopo che lo
Statuto albertino riservò la funzione
giurisdizionale al giudice ordinario.
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Il quadro era questo:
- alcune attività amm. erano sottratte al sindacato giurisdizionale: come
l’amministrazione economica, cioè quell’attività amm. non regolata da
norme ma rimessa a valutazioni dell’amm. In questi casi , siccome ilcittadino non poteva invocare una norma che lo tutelasse, non c’era
neanche lo spazio per la tutela giurisdizionale il cittadino poteva
utilizzare solo il ricorso gerarchico.
- alcune materie elencate dalla legge erano affidate ai giudici ordinari del
contenzioso amm., quindi il binomio Consigli di governo – Consiglio di
Stato. Queste materie riguardavano: i contratti di appalto dell’amm.,
imposte dirette e tasse, trattamento economico dei dipendenti degli enti
locali, confini tra comuni, demanio stradale.
- altre materie, individuate da leggi speciali, erano affidate a giudici
speciali del contenzioso amministrativo: ad es. la contabilità pubblica
affidata alla Corte dei conti.
- in tutti gli altri casi la competenza spettava al giudice civile ordinario.
Di fronte a questo sistema erano inevitabili dei conflitti positivi o negativi tra
giudici e amministrazione e tra giudici del contenzioso e giudici ordinari.
Conflitti positivi 2 autorità rivendicano la stessa competenza;
Conflitti negativi 2 autorità escludono a propria competenza.
La soluzione a questi conflitti fu definita con la legge del 20 nov. 1859:
la questione poteva essere sollevata anche dal prefetto; la decisione dei
conflitti era assunta con decreto reale, previo parere del Consiglio di Stato, su
proposta del Ministro dell’interno e sentito il Consiglio dei ministri.
Formalmente la decisione spettava al re come titolare delle 2 funzioni,
giudiziaria e amm.; ma di fatto la decisione veniva formulata dal Ministro
dell’interno.
Dobbiamo aggiungere che ai giudici ordinari del contenzioso amm. non erano
affidati poteri di annullamento degli atti amm. Infatti la controversia verteva
non sull’impugnazione di un atto ma sui rapporti tra Amm. e cittadini.
In ogni caso, il giudice del contenzioso, se per la decisione della controversia
rilevava un atto, poteva interpretarlo, poteva rilevarne la nullità o l’inefficacia;
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e se l’atto risultava in contrato con la legge, non veniva preso in
considerazione ai fini della decisione.
A sostegno del sistema del contenzioso amministrativo risultavano invocati treordini di considerazioni:
a) La tutela dell’interesse pubblico non doveva essere ostacolata da un
intervento del giudice; il sistema di contenzioso Amm sembrava
garantire maggiormente questa esigenza, considerando anche che i
giudici del contenzioso provenivano dalla burocrazia amm.;
b) L’esclusione delle garanzie di inamovibilità e imparzialità previste per i
giudici ordinari. Ciò era ritenuto un fattore positivo, perché consentiva di
far valere in modo più efficace la responsabilità dei giudici del
contenzioso amministrativo;
c) La specialità del diritto dell’amministrazione. Le controversie
riguardavano istituti diversi da quelli di diritto comune era opportuno
che fossero demandate ad un giudice diverso da quello ordinario, che
avesse una conoscenza maggiore su questioni del genere.
Questi argomenti erano criticati dagli oppositori al sistema del contenzioso
amm. i quali sostenevano l’esigenza che le controversie fra P.A. e cittadino
fossero assegnate al giudice ordinario: infatti solo un giudice estraneo
all’amministrazione e dotato di tutte le garanzie previste per i giudici ordinari,
avrebbe potuto assicurare l’imparzialità della decisione, soprattutto perché una
parte in causa era la P.A. per evitare il pericolo di collusioni e prevaricazioni.
Da un lato, si afferma l’esigenza di un giudice speciale, che abbia una
esperienza specifica; dall’altro si teme che l’introduzione di esso si risolva in un
regime processuale privilegiato per l’amministrazione, incompatibile con l’idea
di Stato liberale. Infatti, i giudici provenivano dall’amministrazione e si
dubitava fortemente della loro imparzialità. Il dibattito raggiunse il suo culmine
nelle discussioni alla Camera sull’assetto della Giustizia amministrativa subito
dopo l’unità. A conclusione del dibattito venne approvata una legge che aboliva
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i giudici ordinari del contenzioso amministrativo, la l. 2248/1865, costituita da
6 testi normativi (allegati):
- A legge sull’amm. comunale e provinciale
-
B
legge sulla sicurezza pubblica- C legge sulla sanità pubblica
- D legge sul Consiglio di Stato
- E legge sul contenzioso amm.
- F legge sui lavori pubblici
L’allegato D disciplinava l’assetto del Consiglio di Stato.
Non erano previste particolari garanzie di indipendenza né per quanto riguarda
la nomina dei componenti, né per quanto riguarda la loro inamovibilità. Inoltre,
i Ministri potevano intervenire alle sedute.
Fu confermata l’articolazione in 3 sezioni, che in alcuni casi operavano
collegialmente in adunanza generale (cosa obbligatorio per i pareri sulle
proposte di legge e regolamenti). Inoltre, il presidente del Cons. di Stato
poteva formare Commissioni speciali, composte da alcuni consiglieri, per
l’esame di questioni particolari.
Il Cons. di Stato aveva competenze consultive: in alcuni casi il parere era
obbligatorio come per tutte le proposte di regolamenti della P.A. e per i ricorsi
fatti al Re contro la legittimità di provvedimenti amm. per i quali non possono
più proporsi o sono già esauriti i ricorsi gerarchici (proprio per questo motivo si
definivano “ricorsi straordinari”) .
In alcune ipotesi tassative, il Cons. di Stato esercitava funzioni giurisdizionali,
come giudice speciale; ad es. in materia di debito pubblico o di sequestro di
beni ecclesiastici; in questi casi, la decisione poteva comportare l’annullamento
erano un residuo dello Stato assoluto coerente con un sistema che affidavaal re il complesso dell’amm.
Non rappresentavano uno strumento di tutela giurisdizionale e non
comportavano l’esercizio da parte del sovrano di poteri tipici del giudice
speciale: si trattava di un rimedio amministrativo.
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dell’atto amm. Al Cons. di Stato fu conferita anche la competenza relativa alla
risoluzione dei conflitti fra amministrazione e autorità giurisdizionale. In tal
modo sembrava realizzato un certo equilibrio fra l’ esigenza di evitare una
prevalenza dell’ordine giudiziario rispetto alla P.A. e l’esigenza di assicurareuna decisione giurisdizionale e non politica del conflitto.
L’allegato E disponeva la soppressione dei giudici ordinari del contenzioso
amministrativo, invece nessuna innovazione era apportata alla giurisdizione dei
giudici speciali del contenzioso amministrativo. Ne derivava questo quadro:
Tutte le cause per contravvenzioni (quindi questioni penali) e in materia
di diritti civili e politici, furono assegnate al giudice ordinario, la cui
competenza permaneva anche quando parte del giudizio fosse stata una
P.A. o si discutesse di provvedimenti amministrativi.
Gli affari non compresi nell’ipotesi precedente furono riservati alle
autorità amm. ma con alcune garanzie per i cittadini. In primo luogo, era
previsto che le autorità amm. avrebbero provveduto con decreti motivati,
con l’osservanza del contraddittorio con le parti interessate e previa
acquisizione del parere di organi consultivi. La norma rimase senza
attuazione pratica. In secondo luogo, nei confronti dei decreti assunti
dalla P.A. fu consentito il ricorso gerarchico.
In questo modo si delineavano i limiti esterni della giurisdizione civile nei
confronti della P.A., ossia l’ambito delle controversie demandate alla
competenza del giudice ordinario, ambito ristretto a questioni penali e
alle controversie su diritti civili e politici.
In ogni caso, la legittimità di provvedimenti ammin. poteva essere
contestata dai cittadini con il ricorso al Re.
nello Statuto
- diritti politici designavano le condizioni di accesso alle cariche elettive;
- diritti civili erano quelli relativi a persone, proprietà e contratti.
Successivamente questa espressione fu equiparata alla nozione dei diritti soggettivi,
ma si capiva che vi erano posizioni soggettive di altro genere (interessi legittimi) che
risultavano non protette dalla giurisdizione ordinaria.
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Nelle controversie di competenza del giudice ordinario la specialità della
P.A. non spariva del tutto ma si mostrava nei c.d. limiti interni della
giurisdizione civile. L’equilibrio tra garanzia della tutela giurisd e
separazione dei poteri era ricercato ammettendo un sindacato del giudiceordinario solo sulla legittimità dell’atto amministrativo, e non sulla
opportunità o convenienza che potevano essere valutate solo dalla P.a
stessa. Tra l’altro il giudice ordinario poteva sindacare la legittimità ma
non poteva annullare l’atto amministrativo o revocarlo o modificarlo:
un intervento del genere era riservato alla P.A., perché sembrava
comportare l’esercizio dei suoi poteri. A ciò bisogna aggiungere il fatto
che la valutazione del giudice ordinario circa la legittimità di un atto
amministrativo poteva rilevare solo ai fini del giudizio in corso e non
poteva produrre effetti generali.
In questo contesto dobbiamo richiamare l’art. 5 che introduceva l’ istituto
della disapplicazione dell’atto amm. il giudice ordinario doveva
prescindere, per la sua decisione, da quanto disposto nell’atto stesso,
qualora tale atto fosse risultato illegittimo. Infatti, il giudice poteva
applicare gli atti amm. e i regolamenti generali e locali solo se conformi
alle leggi.
La P.A. non era sottratta agli effetti della sentenza: anzi doveva
conformarsi al provvedimento del giudice. In questo modo si sanciva la
prevalenza del potere giurisdizionale sul potere amm. Si trattava di
prevalenza fra atti e non di prevalenza tra organi. Il problema fu che non
venne introdotto alcuno strumento che rendesse coercibile l’obbligo
dell’amm.
La riforma del 1865, molto probabilmente non intendeva incidere sulla tutela
giurisdizionale del cittadino: l’obiettivo era quello di segnare il passaggio da un
sistema di tutela nei confronti della P.A. imperniato sul modello del contenzioso
amm. ad un sistema imperniato sul giudice ordinario; ma cmq un sistema che
avrebbe potuto assicurare un’efficace tutela del cittadino nei confronti della
P.A. Bastava attuare in modo adeguato l’art. 3 sulla tutela del cittadino nel
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procedimento amm. e incentivare i ricorsi gerarchici. Invece tale norma non fu
attuata, e l’istituto dei ricorsi gerarchici risultò screditato dalla tendenza della
P.A. a non assumere decisioni imparziali e a lasciarsi condizionare dai suoi
interessi.Inoltre, era necessaria un’interpretazione della legge in grado di assicurare al
giudice ordinario tutti gli spazi di tutela che prima erano stati riconosciuti ai
tribunali del contenzioso amm. Invece prevalse una linea restrittiva. Infatti, il
Cons. di Stato, al quale spettava decidere, come giudice dei conflitti, se una
vertenza fosse di competenza dell’autorità giurisdizionale o della P.A., propose
una lettura molto restrittiva dei limiti esterni della giurisdizione del giudice
ordinario.
La situazione fu percepita con chiarezza da Mantellini, che era consigliere di
stato e avvocato generale dello Stato: invece dell’eguaglianza dei cittadini e
della P.A. davanti alla legge, si realizzava piuttosto un sistema che limitava la
tutela giurisdizionale del cittadino; per Mantellini la causa del fallimento della
riforma del 1865 era proprio la giurisprudenza del Cons. di Stato sui conflitti. Il
Cons. di Stato escludeva la competenza del giudice ordinario, quando in
questione fosse un provvedimento emesso a tutela di un interesse generale; o
quando il pregiudizio lamentato fosse stato provocato da un atto amm.
discrezionale. Insomma, sulle valutazioni discrezionali dell’amm. o nell’ambito
dell’esercizio dei poteri conferiti dalla legge a garanzia di interessi della
collettività, il giudice ordinario non poteva intervenire. Addirittura il Cons. di
Stato arrivò ad affermare che prima di affrontare la questione di giurisdizione
si doveva valutare la legittimità dell’atto amm.: infatti se l’atto era legittimo
non c’era alcuno spazio per un’azione civile. Ma, siccome spesso la valutazione
della legittimità spettava alla stessa amm., se la controversia verteva su un
provvedimento, finché il provvedimento amm. era efficace non poteva esserci
competenza del giudice civile.
la competenza del giudice civile era ammessa solo in presenza di atti
dell’amministrazione emanati non a tutela di un interesse pubblico generale ma atutela di un interesse proprio e patrimoniale dell’amm.
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Tutto questo contrastava con gli artt. 2 e 4 della l. 1865.
Queste considerazioni furono all’origine di un nuovo intervento legislativo sullamateria dei conflitti: l. 3761/1877.
Nonostante la sua imparzialità, la Cass., con le sue decisioni, conformava
l’orientamento già intrapreso dal Cons. di Stato sui limiti esterni della
giurisdizione ordinaria. Questo perché si era ormai radicat un’ ideologia in
questo senso.
la soppressione dei giudici del contenzioso aveva ridotto enormemente lo spazio di
tutela giurisdizionale del cittadino perché la competenza del giudice ordinario non si
estendeva a quegli spazi prima riservati ai giudici del contenzioso.
L’insuccesso della riforma era addebitato al Cons. di Stato a causa delle sue decisioni
sui conflitti di attribuzione. Era necessario che i conflitti venissero decisi da un organo
indipendente e imparziale e solo il giudice ordinario poteva dare tali garanzie.
attribuì alla Corte di Cassazione di Roma la decisione sui conflitti,
positivi e negativi, insorti fra P.A. e autorità giudiziaria (conflitti di
attribuzione), o fra giudici ordinari e speciali (conflitti di
giurisdizione). Alla Cassazione fu attribuito il potere di decidere i
ricorsi proposti contro le sentenze dei giudici speciali, impugnate
per incompetenza (difetto di giurisdizione) o eccesso di potere
(decisione esorbitante dall’ambito delle attribuzioni del giudice –
detto anche “straripamento di potere” ). In questi casi la Cass.
decideva a Sez. Un.
Nella stessa legge fu disciplinato anche il ricorso della P.A. alla
Cass., per denunciare il difetto di attribuzione del giudice ordinario
in vertenze riservate alla P.A. Si inquadrarono 2 ipotesi:
- P.A. parte in causa avrebbe potuto proporre tale ricorso
solo nel giudizio di primo grado;
- P.A. non parte in causa, avrebbe potuto proporre il ricorso
non oltre la formazione del giudicato.
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Cap. III – L’affermazione di una giustizia amministrativa
A seguito della riforma del 1865 la tutela del cittadino nei confronti della P.A
era insufficiente e l’abolizione del sistema del contenzioso amministrativoaveva comportato un indebolimento delle garanzie offerte al cittadino.
era necessaria revisione. Gli obiettivi erano 2:
a) l’attuazione di una tutela più incisiva del cittadino nei confronti della P.A.,
b) l’individuazione dell’organo cui affidare tale tutela.
La giurisprudenza affermava una tendenziale incompatibilità fra diritto
soggettivo e provvedimento amministrativo; dove interveniva un provv.amm.
di regola, vi erano solo interessi. Si delineava una contrapposizione fra i
diritti, passibili di tutela giurisdizionale, e gli interessi, privi di tutela
giurisdizionale. sorgeva l’esigenza di introdurre uno strumento di tutela per
questi interessi, configurabili quando la P.A. opera in base ad un potere
assegnatole dal diritto pubblico.
A tale esigenza rispose la l. 5992/1889
Competenze della Quarta Sez. (art. 3):
decidere i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione dilegge contro atti e provvedimenti di un’autorità amm. o di un corpo
amministrativo deliberante, che abbiano ad oggetto un interesse di individui o
di enti morali giuridici, quando i ricorsi non siano di competenza dell’autorità
giudiziaria, né si tratti di materia spettante alla giurisdizione o alle attribuzioni
contenziose di corpi o collegi speciali.
Il ricorso non è ammesso se si tratta di atti o provvedimenti emanati dal
Governo nell’esercizio di un potere politico (cioè gli atti politici).
con questa legge la tutela degli interessi fu demandata al Cons. di
Stato, ma questa funzione contenziosa non fu assegnata alle 3
sezioni già esistenti (che svolgevano una funzione consultiva per il
governo), ma a una nuova sezione, la QUARTA SEZIONE, alla
quale i cittadini dovevano presentare i loro ricorsi qualora si
fossero ritenuti lesi nei loro interessi (non diritti) da atti dell’amm.
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Alla quarta sezione era demandata la tutela di interessi nelle forme
dell’impugnazione del provvedimento amministrativo.
Mentre la legge del 1865 privilegiava la relazione intersoggettiva tra amm. e
cittadino, la legge del 1889 poneva al centro il provvedimento amministrativo.I ricorsi alla quarta sezione erano mezzi di impugnazione del provvedimento e
producevano, per il ricorrente, l’annullamento del provvedimento impugnato.
La tutela era ammessa solo contro un atto già produttivo di effetti era una
tutela successiva e non preventiva. In base all’art. 12, la presentazione del
ricorso non aveva effetto sospensivo ma, per gravi ragioni, il ricorrente poteva
chiedere ed ottenere dalla stessa quarta sezione la sospensione dell’esecuzione
del provvedimento.
Il ricorso poteva essere proposto per impugnare un provvedimento affetto da
vizi tassativamente indicati dalla legge: incompetenza, eccesso di potere e
violazione di legge.
INCOMPETENZA significava che l’organo che aveva emanato l’atto
impugnato non era dotato di competenza a provvedere.
ECCESSO DI POTERE si intendeva un uso scorretto del potere discrezionale
da parte della P.A.; l’illegittimità consisteva nel contrasto con alcuni principi
generali, come il dovere di imparzialità, ragionevolezza, ecc.;
VIOLAZIONE DI LEGGE consisteva nel contrasto fra un elemento del
provvedimento o del suo procedimento e una disposizione contenuta nella
legge (o in altra fonte del diritto).
Ricapitolando
La tutela dei diritti soggettivi era demandata al giudice ordinario;
la tutela degli interessi spettava alla quarta sezione;
infine permaneva un ambito dell’attività amministrativa riservata alla P.A. (cioè
il merito dell’atto amministrativo). In questo quadro risultava poco chiara la
collocazione del ricorso gerarchico: la L. del 1889 introduceva però un rapporto
preciso fra il ricorso alla quarta sezione e il ricorso gerarchico:
ricorso alla quarta sezione ammesso solo contro un provvedimento definitivo
per il quale fossero stati esperiti tutti i gradi della tutela gerarchica.
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ricorso gerarchico la legge introduceva la regola della sua alternatività con il
ricorso della quarta sezione, così da garantire l’equiordinazione fra sezioni
consultive e la quarta sezione del Cons. di Stato.
Della l. del 1889 fu data anche un’altra interpretazione: è vero che la Quarta Sez. aveva competenza con riferimento agli interessi ma
al termine “interesse” fu dato un significato molto + ampio: interesse è
qualunque pretesa compatibile con l’ordinamento giuridico.
Per quanto riguarda gli atti politici, la loro sottrazione alla competenza della
quarta sezione non deve sembrare grave sia perché tale esclusione era già
stata affermata a livello giurisprudenziale prima della l. 1889, sia perché anche
per altre materie era prevista una tutela ristretta: ad es. per la leva militare e
le controversie doganali era ammesso solo il ricorso per incompetenza e per
eccesso di potere.La quarta sezione sindacava la legittimità dell’atto amministrativo. In alcuni
casi, la legge attribuiva anche un sindacato in merito. In questi casi, se veniva
accolto il ricorso, la quarta sezione non doveva solo annullare l’atto impugnato,
ma poteva anche assumere una decisione in sostituzione di quella nel
provvedimento annullato. Fra le ipotesi di sindacato anche in merito, la legge
prevedeva quello dei ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo
dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato del tribunale che abbia
riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico (giudizio di ottemperanza).
In questo modo veniva reso effettivo l’obbligo dell’amministrazione di
ottemperare al giudicato dei giudici ordinari.
Infine, la l. 6837/1890 attribuì alla Giunta provinciale amministrativa una
competenza analoga a quella della quarta sezione ma limitata alla tutela nei
confronti degli atti amm. locali. Contro i provvedimenti della giunta era
ammesso il ricorso alla Quarta Sez.
gli interessi trovavano una loro prima tutela; mentre i diritti
trovavano una tutela aggiuntiva: quella impugnatoria che
mancava davanti al giudice ordinario.
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La Quarta Sez. aveva natura amm. o giurisdizionale?
Accanto ad alcuni autori che sostennero la tesi del carattere amministrativo, ve
ne erano molti altri di opinione contraria. La tesi del carattere giurisdizionale
della quarta sezione fu accolta anche dalla Cassazione, la quale riconobbe allaQuarta Sez. il carattere di giudice speciale e alle sue decisioni il valore di
“sentenze”.
Ogni discussione fu superata dalla l. 62/1907
In attuazione della l. del 1907 fu emanato il r.d. 642/1907 con il regolamento
per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Cons. di Stato,
contenente numerosi istituti del processo amm. e che rimase in vigore fino alcodice del 2010.
La l. del 1907 ha determinato una distinzione, nel nostro sistema di Giustizia
Amministrativa, fondata su posizioni soggettive. Al Cons. di Stato era
riconosciuta la competenza per la tutela degli interessi legittimi.
era necessario identificare i caratteri delle diverse posizioni soggettive,
cosa non facile; inoltre, un sistema del genere, aveva l’inconveniente che, se le2 posizioni erano correlate, diventava necessario esperire 2 distinti giudizi: uno
riconobbe il carattere giurisdizionale della quarta sezione, introducendo la distinzione tra
sezioni consultive (cioè le prime 3) e sezioni giurisdizionali: cioè la quarta e la quinta.
Infatti, venne introdotta una Quinta Sez. con sindacato anche sul merito dei ricorsi, mentre
alla quarta sez. erano riservati i ricorsi in cui il sindacato era limitato alla legittimità.
Il coordinamento fra le 2 sezioni era affidato alle sezioni unite (oggi adunanza plenaria),
composte dai componenti di entrambe le sezioni.
Venne introdotta espressamente la possibilità del ricorso alla Cass. contro le decisioni delle
sez. giurisdizionali.
Altre innovazioni riguardarono:
- la disciplina dell’istruttoria nel processo amm. (differenziata a seconda della
competenza circoscritta alla legittimità o estesa al merito);
- la disciplina del procedimento davanti alle Giunte provinciali amm. (anch’esse con
carattere giurisdizionale);
- la disciplina dei ricorsi gerarchici (infatti fu introdotto un termine perentorio per la
sua presentazione).
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avanti al giudice amm. a tutela degli interessi legittimi e l’altro avanti al giudice
ordinario a tutela dei diritti soggettivi.
La l. 2840/1923, cui fece seguito il Testo Unico delle leggi sul Cons. di Stato,
cercò di porre rimedio a questi inconvenienti attraverso 2 innovazioni:A. al giudice amministrativo, nei giudizi di sua competenza, fu riconosciuta
la capacità di conoscere in via incidentale le posizioni di diritto soggettivo
(fatta eccezione per le questioni relative allo stato e alla capacità delle
persone e alla querela del falso, riservate al giudice ordinario).
ESEMPIO: richiesta di autorizzazione che, per legge, può essere
presentata solo dal proprietario di un bene. Supponiamo che la richiesta
venga respinta perché il richiedente non sarebbe il proprietario. Nel caso
di impugnazione del diniego, grazie alla riforma del 1923, il giudice amm.
poteva conoscere, in via incidentale, se il richiedente era proprietario o
meno, ai fini della valutazione della legittimità del diniego di
autorizzazione.
B. in alcune materie elencate dalla legge, fra le quali il pubblico impiego, al
giudice amministrativo fu attribuita la possibilità di conoscere e giudicare
in via principale anche in tema di diritti soggettivi. In queste
materie, la tutela giurisdizionale era devoluta interamente al giudice
amministrativo (giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).
consentiva di evitare che la necessità di esaminare una questione
inerente a diritti soggettivi comportasse la sospensione del giudizio e la
rimessione della parti avanti al giudice civile.
nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, il riparto fra giurisdizione amm. e
ordinaria seguiva il criterio della distinzione per materie, individuate
tassativamente dalla legge (in particolare la materia del “pubblico impiego”).
la giurisdizione esclusiva aveva carattere di specialità
Inoltre, nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva su questioni relative a diritti
soggettivi, il giudice amm. disponeva degli stessi poteri che gli spettavano
nel caso di giurisdizione su interessi legittimi. Alla tutela dei diritti si
applicavano le regole del giudizio amministrativo.
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Le azioni per il risarcimento del danno dovevano essere proposte sempre
davanti al giudice ordinario, anche se era stato arrecato un danno a un diritto
devoluto alla giurisdizione esclusiva; questa riserva al giudice ordinario è stata
superata solo nel 1998.
La riforma del 1923 determinò, anche un’altra innovazione: il superamento
della distinzione di competenze fra quarta e quinta sezione (che diveniva
questione di ordine interno, col vantaggio per le parti di non dover pià
individuare la sezione competente per il giudizio). L’adunanza plenaria divenne
solo la sede di risoluzione dei contrasti di giurisprudenza fra le 2 sezioni,
mentre prima era anche giudice dei conflitti di competenza fra le 2 sezioni.
L’entrata in vigore della Cost. comportò alcuni piccoli mutamenti.
Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, la tutela dei diritti era aggiuntiva
rispetto a quella degli interessi si potevano avere casi di giurisdizione
esclusiva nei quali il giudice amm. esercitava solo una giurisdizione di
legittimità (ipotesi normale), e ipotesi in cui il giudice si pronunciava anche in
merito (ipotesi eccezionali).
Anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudice amm. poteva
conoscere in via incidentale delle situazioni di diritto soggettivo, non inerenti
alla materia devoluta alla giurisdizione esclusiva, che fossero, però, rilevanti
per la decisione. Invece il giudice amm. non poteva conoscere delle questioni
inerenti allo stato e alla capacità delle persone, o di questioni di falso
(riservate al giudice ordinario).
Al giudice ordinario erano riservate le questioni attinenti a diritti patrimoniali
consequenziali alla pronuncia di legittimità dell’atto contro cui si ricorre,
anche quando si trattava di una materia riservata alla giurisdizione esclusiva
del giudice amm.
furono identificati con il diritto al risarcimento del danno, che assumeva
rilevanza in seguito all’annullamento di un provvedimento amministrativo che
avesse inciso su un diritto soggettivo.
ESEMPIO: Danno subito a seguito di un decreto di esproprio successivamenteannullato: l’annullamento ripristina la proprietà del cittadino, il quale potrà
richiedere il risarcimento del danno.
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La costituzione enunciava principi nuovi sulla funzione giurisdizionale e sulla
tutela nei confronti della P.A. Ma l’incidenza delle norme cost. rispetto alla
Giustizia ammin. fu colta solo in un secondo tempo, e nemmeno
completamente. Nei primi anni dell’ordinamento repubblicano, le innovazionipiù evidenti riguardarono l’assetto organizzativo della giurisdizione
amministrativa, ma non furono condizionate dalla costituzione:
- il d.l. 642/1948 istituì la Sesta sezione del Cons. di Stato, omologa alla
quarta e quinta.
- il d.lgs. 654/1948 istituì il Consiglio di giustizia amministrativa per la
regione siciliana, organo equiordinato al Cons. di Stato, con funzioni
consultive e giurisdizionali; in tal modo, però, divenne problematica la
stessa unitarietà della giurisdizione amministrativa.
Solo a partire dalla metà degli anni ’60, l’incidenza dei principi costituzionali fu
+ evidente, con riferimento alle norme sull’indipendenza del giudice (artt. 101
e 108 cost.). Infatti, fu dichiarata l’illegittimità cost. di alcune giurisdizioni
speciali la cui disciplina non garantiva l’indipendenza dei giudici (cioè la giunta
prov. amm., le cui vertenze divennero di competenza del Cons. di Stato; e le
Sez. dei Tribunali amm. per il contenzioso elettorale).
Gli interventi della Corte Cost. e l’avvio delle regioni a statuto ordinario resero
+ urgente l’attuazione dell’art. 125 Cost., sulla istituzione, in ogni Regione, di
un giudice amministrativo di 1° grado.
A tal fine, la l. 1034/1971 istituì, nei capoluoghi regionali, i Tar.
La stessa legge introdusse alcune disposizioni di procedura per il giudizio di 1°
e di 2° grado ed estese la giurisdizione esclusiva alle vertenze in materia di
concessioni di beni o di servizi pubblici.
Sempre nel 1971, il d.gs. 1199 dettò, per la prima volta, una disciplina
organica dei ricorsi amm.
Novità successive all’istituzione dei Tar:
Sono giudici amm. di 1° grado, dotati di competenza generale per le controversie su
interessi legittimi, e per quelle su diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva;nonché per le controversie sulle operazioni elettorali per le elezioni amm. L’appello contro le
sentenze del Tar va proposto al Cons. di Stato, quale giudice amm. di 2° grado.
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- estensione della giurisdizione esclusiva ad alcune controversie con l’amm. in
materia edilizia (ad es. permesso di costruire, contributo di costruzione e
sanzioni amm. per abusi edilizi);
a partire dagli anni ’90
- introduzione di discipline speciali per assicurare uno svolgimento più veloce del
processo amministrativo per talune vertenze;
- previsione di nuovi casi di giurisdizione esclusiva.
Per quanto riguarda l’ estensione della giurisdizione esclusiva, ciò nasceva
dall’esigenza di privilegiare il ruolo del giudice amministrativo nelle vertenze
con la P.A. che risultassero + importanti per gli interessi generali della
collettività (ad es. quelle controversie sugli atti delle autorità indipendenti per i
servizi di pubblica utilità).
La tendenza ad estendere la giurisdizione esclusiva, ricevette ulteriore impulso
con il d.lgs. 29/93 sul pubblico impiego che trasformò il rapporto con la P.A. da
pubblicistico in contrattuale, per quasi tutte le categorie dei dipendenti
pubblici. Nel ’97 f u poi conferita delega al governo per devolvere al giudice
ordinario tutte le nuove controversie dei dipendenti con un rapporto
contrattuale.
In attuazione della delega, fu emanato il d.lgs. 80/1998, che agli art 33 e 34
assegnava alla giurisdizione esclusiva le vertenze in materia di pubblici servizi,
edilizia e urbanistica, e all’art 35 stabiliva che nelle materie devolute alla
in alcuni casi nasceva dall’esigenza di smaltire i numerosi giudizi pendenti.
Il legislatore introdusse prima di tutto delle disposizioni speciali che avrebbero
dovuto assicurare decisioni più celeri. Questo rispecchiava l’importanza riconosciuta
dal legislatore a certi interessi del cittadino. Così la l. 241/’90, oltre a prevedere il
diritto di accesso ai documenti amm., a tutela di esso introdusse un giudizio
speciale, di competenza del giudice ammin. e caratterizzato da procedure accelerate.
In altri casi, invece, nasceva dall’esigenza di migliorare l’efficienza dell’attività amm.
in alcuni settori nodali in campo economico, sociale e finanziario. Vennero, così,
introdotte disposizioni per accelerare lo svolgimento del giudizio nelle vertenze su
procedure espropriative e sull’affidamento di appalti pubblici; nonché sulle
controversie relative agli atti delle autorità indipendenti.
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giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo sarebbe stato competente
anche per le domande di risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla P.A.
La corte Cost. dichiarò l’illegittimità dell’art 33 per eccesso di delega,
intervenne in termini analoghi per l’art 34; ma per salvare questi artt. illegislatore ne riprodusse il contenuto nella l. 205/2000. Il tentativo del
legislatore, però, fu vano perché la Corte Cost. dichiarò parzialmente illegittime
le disposizioni della legge che estendevano la giurisdizione esclusiva in materia
di pubblici servizi, di edilizia e di urbanistica, in quanto superavano i limiti della
giurisdizione amm. definiti dall’art. 103, 1° com. Cost. La Corte Cost., invece,
valutò in modo favorevole l’estensione della giurisdizione amministrativa alle
vertenze risarcitorie per lesione di interessi legittimi.
La l. 205/2000 conteneva anche disposizioni processuali:
- arricchì i poteri di cognizione del giudice
- perfezionò le misure cautelari
- istituì un rito specifico per le vertenze sul silenzio dell’amm.
- modificò il rito speciale per le vertenze sull’affidamento degli appalti pubblici.
La l. 205/2000 inoltre introdusse alcuni strumenti per accelerare la definizione
del giudizio: il collegio poteva anticipare la decisione del giudizio già nella fase cautelare;
il presidente dell’organo giurisdizionale aveva competenza a dichiarare
l’estinzione del giudizio.
La riduzione dell’arretrato fu, però, determinata soprattutto da altre
disposizioni che prevedevano l’estinzione dei giudizi meno recenti in assenza di
nuovi atti d’iniziativa del ricorrente.
L’attenzione del legislatore per i riti speciali riemerse per le controversie inmateria di opere pubbliche e di affidamento di appalti pubblici. Su queste
materie intervennero il d.lgs. 163/2006, il codice dei contratti pubblici, e il
d.lgs. 53/2010 sull’affidamento di contratti pubblici.
emanato in base ad una delega conferita al Governo in attuazione della
direttiva CE 66/2007.
accentuò i caratteri di specialità del processo in materia di appalti pubblici
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Di fronte a molteplici interventi legislativi, si affermò l’esigenza di riordinare la
disciplina del processo amministrativo. A tal fine, fu emanato il d.lgs.
104/2010, con il quale furono approvati 4 allegati:
1. codice del processo amm.
2. norme di attuazione al codice
3.
norme transitorie
4. norme di coordinamento e abrogazioni
Con l’entrata in vigore del codice sono state abrogate quasi tutte le disposizioni
precedenti sul processo amm.; sono rimaste in vigore solo alcune disposizioni
del d.lgs. 53/2010.
La legge delega 69/2009 prevedeva che il Governo, entro 2 anni dall’esercizio
della delega, potesse emanare altri d.lgs. con le correzioni e integrazioni rese
necessarie dall’applicazione pratica. E infatti, sono stati emanati il d.lgs.
195/2011 e il d.lgs. 160/2012.
Alcuni problemi:
il problema + grave è l’eccessiva durata media del processo amm. soprattutto
alla luce dell’art. 111 Cost. che sancisce il diritto alla ragionevole durata del
processo.
Il codice ha riproposto ed esteso gli strumenti di accelerazione già introdotti da
normative precedenti: la possibilità di anticipazione nella fase cautelare della
decisione sul merito; sentenze succintamente motivate; la perenzione
straordinaria dei ricorsi ultraquinquennali. Tuttavia queste misure si sono
rivelate insufficienti perché all’origine della crisi vi è una carenza di risorse che
si perpetua da tempo. La soluzione non può essere nemmeno l’aggravamento
degli oneri fiscali: infatti l’accesso alla giustizia non può essere scoraggiato dai
costi elevati.
assegnò al giudice nuovi poteri: decidere, in base agli interessi coinvolti e alle
situazioni concrete, se all’annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto debba
seguire l’inefficacia del contratto; il potere di applicare d’ufficio sanzioni pecuniarie
alla P.A. che abbia affidato contratti senza espletare procedure di evidenza
pubblica o senza rispettare i termini dilatori stabiliti dalla legge.
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In alcuni Paesi sono stati valorizzati gli ADR, cioè i mezzi alternativi di
soluzione delle controversie: questi mezzi prevedono l’intervento di un
soggetto qualificato e terzo rispetto alle parti, al quale possono essere
assegnate funzioni decisorie, di mediazione e conciliazione. I più recentiprogetti di riforma della giustizia civile hanno dato rilievo agli strumenti di
conciliazione e di mediazione, a volte previsti come condizione di procedibilità
dell’azione giurisdizionale. Procedure di conciliazione con gli utenti devono
essere previste anche nelle carte dei servizi dei gestori, pubblici o privati, di
interesse generale.
La legge istitutiva delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, per
le vertenze tra gestori e utenti o tra operatori, aveva previsto l’assegnazione
alle stesse Autorità di funzioni di conciliazione e di arbitrato, prevedendo anche
l’emanazione di un apposito regolamento governativo, che però non è stato
mai approvato questa previsione è stata attuata in modo molto limitato.
Solo nel settore delle telecomunicazioni, alle Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni sono state assegnate competenze specifiche per dirimere le
controversie tra operatori e utenti. E’ stato proposto di assegnare le stesse
competenze all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Ma oggi gli risulta
riconosciuto solo il potere di esprimere, su richiesta delle parti interessate,
pareri non vincolanti sulle questioni insorte nelle procedure di gara ed
eventualmente formulare ipotesi di soluzione.
L’introduzione di modelli del genere appare più problematica negli ambiti
devoluti alla giurisdizione amministrativa: un esempio di mezzo alternativo è
rappresentato dall’art. 25, 4° com. l. 241/90 modificato dalla l. 15/2005. Per il
caso di silenzio o diniego su istanze d’accesso a documenti amministrativi, è
prevista la possibilità di richiedere al difensore civico o alla commissione per
l’accesso un riesame dell’istanza, disciplinando puntualmente procedimento,
effetti della decisione e coordinamento con il ricorso giurisdizionale.
Il problema sta nel fatto che, in assenza di disposizioni positive, il termine per
il ricorso non è sospeso per la pendenza di una procedura alternativa il
cittadino ha l’onere di proporre contemporaneamente l’impugnazione davanti al
giudice amm.
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Cap. IV – L’interesse legittimo
Nel nostro diritto amministrativo le posizioni giuridicamente rilevanti del
cittadino nei confronti della P.A. vengono distinte in interessi legittimi e dirittisoggettivi.
Interesse legittimo
La distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi può sembrare facile in
alcuni casi, ad es.:
- il cittadino interessato a un potere discrezionale della P.A si ritiene che
possa essere identificato solo un interesse legittimo: al cittadino
l’ordinamento non garantisce neppure la pretesa ad un risultato utile,
perché l’esito del procedimento dipende da una scelta discrezionale della
P.A.; l’unica garanzia riguarda le modalità di esercizio del potere
amministrativo
- il cittadino creditore di un’ obbligazione pecuniaria nei confronti della P.A.
l’ordinamento riconosce e garantisce la pretesa a un risultato utilepredeterminato si configura un diritto soggettivo
Ma la distinzione appare molto complessa in altre ipotesi, ad es.:
un’attività vincolata della P.A. la giurisprudenza e la dottrina
ammettono la configurabilità di un interesse legittimo, ma se l’attività è
vincolata si deve riconoscere che la legge prevede e quindi garantisce
direttamente al cittadino un determinato risultato.
repressione amm. di attività abusive la giurisprudenza tende ad
ammettere che siano configurabili diritti sogg. rispetto a potere di
è una figura centrale nei rapporti fra cittadino e P.A. e
rappresenta l’elemento fondante per la giurisdizione amm.
non ha un fondamento di teoria generale: cioè è una nozione che non si è
imposta dai caratteri specifici del rapporto tra amm. e cittadino ma deriva
da specifiche scelte del legislatore.
è inteso come una posizione diversa e alternativa rispetto al diritto soggettivo
è fondamentale stabilire se, nei confronti dell’amm., il cittadino sia titolare di un
interesse legittimo o di un diritto soggettivo o di nessuna posizione giuridica
qualificata.
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applicare sanzioni pecuniarie e interessi legittimi rispetto al potere di
disporre misure di ripristino. Ma il contenuto pecuniario o meno di na
prestazione non dovrebbe mai costituire il criterio discriminante di
posizioni soggettive.Esempi nell’ambito del diritto privato:
la partecipazione a un concorso privato il diritto soggettivo del cittadino
non si risolve nella pretesa a un risultato utile (l’assunzione), ma si presenta
connesso allo svolgimento del potere privato: secondo la Cass., al cittadino
deve essere assicurata l’osservanza dei principi di buona fede e di
ragionevolezza ed esiste anche un obbligo di motivazione. La situazione non
appare molto diversa da quella del cittadino che partecipi a un concorso
pubblico, eppure, in quest’ultima ipotesi, non si dubita della configurabilità
di un interesse legittimo.
Alcune considerazioni critiche riguardano:
A. le ragioni di una distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi,
tenuto conto della varietà di configurazioni e caratteri assunta dai diritti;
B. l’utilità della nozione di interesse legittimo ai fini di una tutela adeguata
del cittadino, considerando che tale nozione, in passato, ha giustificato
una tutela minore di fronte alla presenza di un soggetto o interesse
pubblico.
C. L’ampiezza del ricorso alla categoria dell’interesse legittimo
Tuttavia la giustizia amm. del nostro paese non può essere compresa
prescindendo dal ruolo riconosciuto alla figura di interesse legittimo.
Sono in corso varie discussioni sul rapporto cittadino-amm., ad es. quello
sull’opportunità di conservare nel diritto amm. istituti molto diversi da quelli
del diritto comune: se è < la differenza dei 2 istituti, < sarà anche la ragione
per cui ricorrere al concetto di interesse legittimo.
In alcuni Paesi c’è la tendenza ad estendere la nozione di potere anche alle
situazioni di diritto privato caratterizzate dalla presenza di un soggetto in
posizione di supremazia: in questo modo la tutela giurisdizionale serve a
riequilibrare le posizioni dei soggetti coinvolti, a prescindere dalla natura
pubblica o privata. Il rischio di questa tendenza è di assegnare all’amm. un
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ruolo dominante, contrario al principio di legalità, e di indebolire la garanzia
individuale del cittadino, essenziale in uno Stato democratico.
La ragione di un’ attenzione particolare per la tutela nei confronti della P.A. è
data dall’esigenza di una > adeguatezza ed efficacia, proprio per il carattere
pubblico del soggetto e per il suo porsi, nei confronti del cittadino, come
autorità. Ma l’interesse legittimo determina una tutela meno intensa del
cittadino rispetto a quella offerta dal diritto comune. Invocare la nozione di
interesse legittimo sembrerebbe contraddittorio.
Di recente, però, la Cass. ha ammesso anche per la lesione di interessi
legittimi il risarcimento del danno.
Vi sono alcuni elementi che, secondo opinione diffusa, sono propri
dell’interesse legittimo: in particolare il
carattere relativo (o relazionale) dell’interesse legittimo l’interesse legittimo
non è una posizione soggettiva di tipo assoluto (come lo sono i diritti reali, il
cui esercizio non richiede l’esercizio di altri soggetti), ma è correlata
all’esercizio di un potere da parte della P.A. L’interesse legittimo è una
posizione speculare al potere amministrativo.
La P.A. può realizzare i suoi fini anche operando nell’ambito del diritto privato,e rispetto agli atti di diritto privato le posizioni soggettive non possono che
sono irrinunciabili, in uno stato democratico, la garanzia e l’ampiezza della tutela nei
confronti della P.A., e non le nozioni e le forme attraverso cui tale tutela è interpretata.
In passato, è stato considerato spesso come un valore che esprimeva la
supremazia dello Stato e dei suoi fini rispetto al cittadino.
Oggi sembra affermarsi una concezione opposta, che rifiuta l’argomento della
supremazia, e che dà rilievo ad elementi formali, come l’assoggettamento del
potere della P.A. ad una disciplina tipica. Ma, per stabilire se sia applicabile la
disciplina del potere amm. si deve verificare se in gioco sia un potere amm.
Ecco perché, anziché fare riferimento a definizioni astratte e generali, si analizzano
i casi nei quali è stata riconosciuta la presenza di un potere dell’amm.
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essere diritti soggettivi. Il potere amministrativo è considerato una situazione
esclusiva del diritto pubblico non è configurabile un interesse legittimo
neppure in presenza di atti unilaterali della P.A. che siano riconducibili al diritto
privato (ad es. la risoluzione unilaterale di un appalto pubblico).Non vale, però, la conclusione opposta: l’attività unilaterale della P.A.
riconducibile al diritto pubblico, non si configura necessariamente come potere
amm.: pensiamo a vicende come la determinazione dell’indennità di esproprio
o come l’iscrizione nei registri anagrafici. In tutte queste ipotesi il cittadino è
titolare di un diritto soggettivo e il relativo contenzioso si svolge avanti al
giudice ordinario.
Collocare l’interesse legittimo nell’ambito del diritto pubblico non risolve
tutti i problemi connessi all’identificazione di questa figura.
In passato sono stati presi in considerazione vari profili dell’attività amm. nel
diritto pubblico, per definire il potere tipico della P.A. Se è vero che la nozione
di interesse legittimo si riconnette a quella di potere dell’amm., esaminare
questi profili servirà a cogliere meglio la figura dell’interesse legittimo:
in alcune interpretazioni viene presentato, come profilo caratteristico del
potere, l’ autoritarietà cioè di fronte al potere autoritativo dell’amm. il
cittadino non può opporre un diritto sogg. Infatti, l’amm., attraverso i
propri provvedimenti, può estinguere legittimamente i diritti dei terzi. Il
riferimento al carattere dell’autoritarietà ha una portata limitata: infatti
non spiega quando l’amm. sia titolare di un potere e in cosa consista tale
potere. Inoltre, è difficile configurare un’ autoritarietà della P.A., nei casi
in cui l’attività amm. non comporti la sottrazione di utilità al cittadino o
consegua a una richiesta dello stesso cittadino; in questi casi, il potere è
unilaterale, ma non autoritario, perché non si verifica alcuna sottrazione
di utilità spettanti al cittadino. E allora, l’autoritarietà designa la capacità
di modificare situazioni giuridiche senza il consenso del soggetto
destinatario. Ma, definita in questo modo, non è altro che una mera
unilateralità che si riscontra anche nel diritto comune.
in altre interpretazioni, l’ elemento caratteristico del potere è la sua
funzionalità alla realizzazione dell’interesse pubblico Non c’è
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potere quando l’attività è diretta a soddisfare un interesse privato: ad es.
nel caso della determinazione dell’indennità di esproprio. Invece, il
potere esiste nel caso di attività discrezionale: infatti questa attività
comporta la necessità di una scelta in considerazione dell’interessepubblico. Secondo alcuni, il potere potrebbe non esistere in alcuni casi di
attività vincolata (come ad es. l’ iscrizione in albi professionali).
Rimane dubbio sulla base di quali criteri giuridici possiamo dire che
l’attività vincolata è diretta a realizzare un interesse pubblico o privato.
Infatti, se l’attività è vincolata, ogni apprezzamento degli interessi è
precluso all’amm. la funzionalità a certi interessi dovrebbe ritenersi
giuridicamente irrilevante.
altre interpretazioni assumono come caratteristica del potere
amministrativo, la sua infungibilità. Mentre l’adempimento di
un’obbligazione è fungibile (quindi se il debitore è inadempiente, può
adempiere in modo equivalente un terzo), il potere della P.A. è riservato
ad uno specifico apparato; se l’atto della P.A. non può essere sostituito
dall’atto di un altro soggetto, il cittadino non ha alternative.
Il carattere dell’infungibilità non è esclusivo del potere amm.: ad es. si
configura anche rispetto a talune obbligazioni, nei cui confronti sono
configurabili posizioni di diritto soggettivo. L’infungibilità di una
prestazione è rilevante, non per una classificazione degli interessi, ma
piuttosto per definire le modalità e le possibilità di esecuzione nel caso in
cui si sia verificata una violazione di tali interessi.
alcune interpretazioni individuano come elemento tipico del potere la
produzione di effetti giuridici, in termini costitutivi il potere è la
capacità di assumere atti produttivi di effetti giuridici propri Viene
accolta la distinzione fra procedimenti dichiarativi e procedimenti
costitutivi;si limitano ad accertare
situazioni già identificate dalla
legge e nei confronti di essi
sarebbero identificabili dirittisoggettivi
hanno carattere dispositivo, perché sono idonei a
produrre effetti giuridici specifici che vengono
enunciati nel provvedimento finale, e nei confronti diessi sarebbero identificabili interessi legittimi.
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Si discute se possa considerarsi costitutiva anche l’attività amm. che si
limiti a verificare, per la produzione di effetti giuridici, condizioni già
definite dalla legge, o che si limiti a rendere determinati nei loro
contenuti effetti che erano già determinabili in base alla legge. Lanecessità di chiarire questi dubbi risulta fondamentale perché si tratta di
casi per i quali ad un attività che sembrerebbe avere effetti costitutivi
corrisponde un diritto soggettivo.
un orientamento dottrinale individua come elemento tipico del potere il
fatto che la legge riservi all’amm. una competenza esclusiva, intesa
come capacità di operare effettuando valutazioni che possono essere
compiute solo dall’amm. e non da altri soggetti.
La riserva al potere amm. non rileva tanto per gli effetti prodotti, quanto
per le modalità con cui opera l’amm.
I risultati dell’attività amm. non possono essere definiti preventivamente
sulla base di quanto previsto dalla legge: la valutazione della P.A. incide
sulla formazione del provvedimento, introducendo elementi nuovi
rispetto a quelli determinati dalle norme. Non c’è neppure la possibilità di
un sindacato pieno sull’attività amm.: infatti, il giudice non può sostituire
la propria valutazione a quella compiuta dalla P.A. In questi casi si parla
di attività amm. discrezionale la P.A. ha la possibilità di introdurre una
regola nuova, determinando l’assetto degli interessi nel caso concreto.
Quando, invece, l’attività è vincolata, la P.A. si deve limitare ad applicare
una regola già presente nell’ordinamento. Il cittadino è titolare di un
diritto soggettivo, perchè la legge definisce esattamente cosa gli spetti e
quale debba essere il risultato dell’attività amm. nei suoi confronti;
invece, se l’attività è discrezionale, il cittadino non ha una pretesa ad un
determinato risultato, perché ciò che gli spetta non è determinabile in
base alla legge, ma dipende da una scelta della P.a. In questo caso si
può solo ammettere un interesse legittimo.
Secondo questa tesi, la posizione di interesse legittimo è correlata a un
potere discrezionale della P.A. Questa tesi non è accolta dalla
giurisprudenza prevalente: essa riconosce la presenza di interessi
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legittimi di fronte a un attività discrezionale, ma esclude che quando
l’attività sia vincolata siano configurabili necessariamente diritti
soggettivi. In questo caso, la giurisprudenza ammette interessi legittimi
quando si possa riconoscere che l’attività amm. è indirizzata a uninteresse pubblico; altrimenti identifica diritti soggettivi.
Dobbiamo considerare l’influenza nel nostro ordinamento del diritto dell’U.E., il
quale impone una tutela efficace del cittadino nei confronti dell’amm. Il diritto
dell’U.E. non distingue fra diritti soggettivi e interessi legittimi la tutela del
cittadino non deve essere condizionata dalla qualificazione delle posizioni sogg.
Il legislatore italiano si è dovuto adeguare all’impostazione europea. Ad es.:
prima che la giurisprudenza ammettesse in via generale una responsabilità
della P.A. per lesione di interessi legittimi, per alcuni di essi fondati sulla
normativa Ue, il legislatore aveva dovuto introdurre una tutela risarcitoria,
delineando una netta distinzione rispetto agli interessi legittimi fondati sulla
normativa nazionale (che non godevano di tutela risarcitoria). Anche
l’insostenibilità di questa distinzione portò la Cassazione, nel ‘99, a riconoscere
in termini generali la risarcibilità delle lesioni a interessi legittimi.
Sicuramente il diritto dell’U.E. determinerà nel nostro Paese un’attenuazione
della contrapposizione tra diritti sogg. e interessi legittimi in termini di tutela.
Per distinguere gli interessi legittimi dai diritti soggettivi, la giurisprudenza
della Cass. ha accolto una serie di criteri:
1) tesi della distinzione fra norme d’azione e norme di relazione
A questa coppia di norme corrisponderebbe, in caso di violazione, la
qualificazione degli atti in termini di illegittimità-illiceità e, sul piano delle
posizioni soggettive, la coppia interesse legittimo-diritto soggettivo. In
questo modo l’interesse legittimo troverebbe un fondamento positivo
nella norma che assegna quel potere all’amm.
disciplinano un potere e il suo esercizio disciplinano un rapportointersoggettivo e i suoi effetti
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L’utilità della distinzione fra norme d’azione e di relazione è criticata:
secondo Amorth, anche le norme che disciplinano un potere, per il solo
fatto che ne determinano le condizioni per l’esercizio nei confronti di altri
soggetti, individuano relazioni giuridiche intersoggettive. E inoltre, lenorme che concernono un rapporto intersoggettivo finiscono con
l’individuare i poteri rispettivi delle parti riguardo un certo bene della
vita.
2) tesi della distinzione fra l’attività vincolata nell’interesse pubblico
e attività vincolata nell’interesse privato Secondo la
giurisprudenza, l’interesse legittimo si caratterizzerebbe per il suo
confronto con un interesse pubblico. Se il potere della P.A. è
discrezionale, sarebbe sempre configurabile un interesse legittimo; se
invece il potere è vincolato, allora si dovrebbe distinguere se il potere sia
attribuito nell’interesse del cittadino o della P.A., nel 1° caso vi sarebbe
un diritto soggettivo, nel 2° un interesse legittimo. Il problema è che è
impossibile capire in quali casi l’attribuzione di un potere vincolato sia
funzionale a un interesse pubblico o privato, perché la funzionalità di un
potere vincolato non si può ricavare dalla norma che lo prevede.
3) tesi della distinzione fra cattivo esercizio del potere e carenza di
potere In base a questa tesi non è sufficiente valutare la titolarità del
potere da parte della P.A., per identificare la posizione di interesse
legittimo del cittadino: la valutazione deve coinvolgere anche il vizio
dell’ atto amm.
cattivo esercizio del potere (incompetenza,violazione legge,eccesso di
potere) l’illegittimità del provvedimento non incide sulla sua efficacia,
finché non viene annullato, ed è configurabile solo una posizione di
interesse legittimo.
carenza di potere (incompetenza assoluta, carenza di presupposti
necessari) il vizio si ripercuote sulla stessa efficacia giuridica dell’atto e
la posizione sogg. del cittadino rimane quella originaria: infatti, la P.A.
non esercita alcun potere e quindi non è identificabile neppure un
interesse legittimo.
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La Cassazione ha cercato di elaborare una casistica completa dei casi di
carenza di potere. Ad es.:
quando il provvedimento è previsto dall’ ordinamento, ma non come
esercizio di una funzione amministrativa, si pensi all’emanazione, daparte di un organo amm., di un atto di competenza di un organo
giurisdizionale (carenza di potere verificabile in astratto, straripamento);
quando il potere è attribuito a un’amm. di ordine diverso rispetto a quella
cui fa parte l’organo che ha emesso il provvedimento;
in passato, si riteneva che ci fosse carenza di potere anche quando il
provvedimento fosse stato emanato dalla P.A. titolare del potere, ma in
mancanza di un presupposto concreto prescritto dalla legge, si parlava di
carenza di potere in concreto, come nei casi di decreti di esproprio
emanati in assenza di dichiarazione di pubblica utilità. Le pronunce più
recenti configurano queste ipotesi come cattivo esercizio del potere.
La l.15/2005, modificando la l.241/90, ha distinto fra ipotesi di
annullabilità e ipotesi di nullità dell’atto amm.
La Cass. avrebbe dovuto coordinare la distinzione annullabilità/nullità con
quella cattivo esercizio/carenza di potere, cosa che, però, non è stata
fatta.4) teoria dei diritti costituzionalmente tutelati La giurisprudenza e
parte della dottrina hanno selezionato alcune posizioni giuridiche dotate
di una protezione giuridica > e quindi non modificabili per effetto
dell’esercizio del potere amm. Si tratterebbe dei diritti personalissimi
(integrità personale, nome, immagine) sui quali la P.A. non può incidere;
rientrano in questa categoria anche i diritti definiti personali dal
legislatore anche in relazioni giuridiche di diritto pubblico (indennità di
esproprio), che non possono essere compressi dall’amm. e per questo si
si configura nel caso del provvedimento amm. mancante degli elementi essenziali e
del provvedimento viziato da difetto assoluto di attribuzione (quindi l’ atto adottato
senza un suo presupposto rimane annullabile). L’atto nullo dovrebbe essere
inefficace non potrebbe costituire esercizio di un potere e quindi non potrebbe
modificare la posizione sogg. del cittadino.
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dicono “incomprimibili” o “perfetti”. Infine, troviamo i diritti
costituzionalmente tutelati (diritto alla salute e diritto alla salubrità
dell’ambiente). La Cass. affidava la tutela di tali diritti al giudice
ordinario. Senonché alcune materie cui inerivano tali diritti furonoaffidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amm. e la Corte Cost. non
rilevò alcuna illegittimità. Tuttavia resta ancora poco chiaro il
fondamento di questi diritti perché è vero che nascono dalla Cost. ma è
anche vero che la loro disciplina specifica non la troviamo nella Cost.
Inoltre, dobbiamo tener conto del fatto che la legge attribuisce in questi
casi alla P.A. poteri tipicamente amm., ammettendo anche il compimento
di valutazioni discrezionali. Non è chiaro quali siano i criteri in base ai
quali discriminare queste posizioni soggettive: ad es. il diritto di proprietà
(che è costituzionalmente tutelato) di fronte ad un atto di potere
dell’amm. diventa un interesse legittimo.
L’interesse legittimo è una posizione che identifica un interesse proprio del
cittadino, non può essere considerato come una posizione meramente riflessa
rispetto al potere della P.A. Non è neppure una posizione diffusa, di cui
possano essere titolari i cittadini in quanto tali, ma è una posizione soggettiva,
di cui sono titolari solo soggetti determinati. Si pensi al caso di un esproprio,
titolare dell’interesse è il proprietario espropriato, non qualsiasi cittadino,
sebbene ogni cittadino può avere interesse a che l’ente destini le proprie
risorse nel modo migliore.
La giurisprudenza ha rivendicato la capacità di individuare in quali situazioni sia
configurabile la titolarità di un interesse legittimo; sebbene, in uno Stato di
diritto, la titolarità di una posizione sogg. dovrebbe essere definita dalla legge.
A tal proposito vengono individuati 2 criteri cumulativi
quello della differenziazione: proprio
perché l’interesse legittimo è una
posizione sogg., consiste in una posizione
d’interesse diversa e + intensa rispetto aquella della generalità dei cittadini.
quello della qualificazione: un interesse,
per essere legittimo, non deve solo essere
differenziato, ma anche sancito e
riconosciuto dall’ordinamento.
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In realtà, solo in alcuni casi la titolarità dell’interesse legittimo può essere
ricavata dalla stessa norma che disciplina lo svolgimento dell’azione amm .: il
caso dei soggetti destinatari del provvedimento, o del proprietario rispetto al
procedimento espropriativo. Molto + spesso la qualificazione viene ricavata
dalla giurisprudenza in base alla rilevanza attribuita a quell’interesse
dell’ordinamento nel suo complesso e all’ incidenza concreta dell’azione amm.
su tale interesse, si pensi al negoziante rispetto al rilascio di un’ autorizzazioneper l’esercizio di un’attività affine nella medesima zona. Ovviamente tali
valutazioni sono incerte ed opinabili (ad es. capire l’estensione precisa della
“zona” è lasciata alla valutazione della giurisprudenza).
Modalità della tutela nel caso di lesione di un interesse legittimo.
L’ordinamento attribuiva al titolare dell’interesse il potere di impugnare il
provvedimento lesivo, contestando l’esercizio del potere dell’amm.
La tutela offerta all’interesse legittimo era tipicamente impugnatoria: a fronte
del carattere costitutivo del potere amministrativo e del provvedimento, anche
la tutela doveva avere un carattere costitutivo, perché doveva eliminare
l’effetto giuridico prodotto dall’esercizio del potere. Questo consentiva di
assicurare un’ incidenza diretta della tutela giurisdizionale degli interessi
legittimi rispetto all’attività amm.
La modalità della tutela veniva considerata un carattere fondamentale del
diritto sogg. e quindi come elemento distintivo rispetto all’interesse legittimo.
Ad es. di fronte ad un provvedimento con cui
viene autorizzato l’esercizio di un’attività in
una zona, la posizione del commerciante
esercente quella stessa attività in quella
stessa zona è diversa rispetto alla posizione
della generalità dei cittadini solo il
commerciante è titolare di un interesse
legittimo
Ad es. una decisione della P.A. di realizzare
una nuova strada. Essa coinvolge sia il
proprietario, il cui suolo deve essere
espropriato, sia gli imprenditori che saranno
svantaggiati per il fatto che il traffico si
indirizzerà sulla nuova strada. La
giurisprudenza ritiene che solo il proprietario
è titolare di un interesse qualificato perché è
la sua posizione che assume rilevanza nella
disciplina dell’attività amm. di progettazione
ed esecuzione della strada.
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Mentre la tutela del diritto sogg. soddisfa direttamente la pretesa al bene della
vita in cui si sostanzia il diritto, la tutela dell’interesse legittimo attua solo un
soddisfacimento indiretto, che si realizza attraverso l’eliminazione degli atti
amministrativi lesivi.Ad es.: diritto di credito la sua tutela si attua attraverso una pronuncia
giurisdizionale che impone l’adempimento del credito viene assicurato
direttamente l’interesse del cittadino.
Situazione ≠ si ha nel caso di diniego di un permesso di costruire la tutela
assicura solo l’eliminazione del provvedimento illegittimo e non soddisfa
l’interesse materiale del ricorrente: infatti la sentenza di accoglimento non
assegna al ricorrente il permesso richiesto.
Questa concezione assegnava valore fondamentale a un profilo della disciplina
processuale che era importante, ma non essenziale.
Con le modifiche all’art. 34 c.p.a. a seguito del d.lgs. 160/2012, è stato
chiarito che il cittadino che impugni il diniego può chiedere al giudice amm.
anche la condanna dell’amm. a rilasciare il provvedimento richiesto. Questa
possibilità era già da tempo attuata di fronte al silenzio dell’amm.: cioè il
giudice che accoglieva il ricorso poteva ordinare all’amm. di adottare un
provvedimento con contenuto specifico. Inoltre, da tempo a tutela degli
interessi legittimi si attua anche attraverso il giudizio di ottemperanza.
Di fronte a queste modalità di tutela emergeva l’idea che l’interesse legittimo
diventasse giuridicamente rilevante solo in caso di lesione.
Oggi, quest’idea è recessiva ma non ancora superata: lo dimostra il fatto che
fino a qualche anno fa si dubitava della risarcibilità del danno per lesione di
interessi legittimi. Se l’interesse legittimo avesse rilevato sul piano del diritto
sostanziale non si doveva nemmeno dubitare della risarcibilità in caso di
lesione.
le modalità della tutela non costituiscono l’elemento caratterizzante
dell’interesse legittimo. Anzi si deve ragionare al contrario: sono i caratteri
dell’interesse legittimo che condizionano le modalità della tutela! E siccome il
modo d’essere dell’interesse legittimo è il suo confrontarsi con un potere
dell’amm., la prima cosa da fare è verificare il potere esercitato dall’amm.
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Nel nostro ordinamento la tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo è
“successiva” cioè interviene dopo la lesione dell’interesse protetto. Se tale
lesione è stata determinata da un provvedimento amm., la tutela consiste nella
verifica della legittimità del provvedimento e nella verifica del