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Lexalia Newsletter n. 5/2016

Novità ed approfondimenti di luglio 2016

Milano, 29 luglio 2016

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Indice

Novità ................................................................................................................................................ 3

FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B: NUOVO SERVIZIO GRATUITO DELL’AGENZIA DELLE

ENTRATE .......................................................................................................................................... 3

START-UP INNOVATIVE: COSTITUZIONE ONLINE SENZA NOTAIO ........................................... 6

VIDEO SORVEGLIANZA SUI LUOGHI DI LAVORO ........................................................................ 8

Approfondimenti ............................................................................................................................ 10

PRO-RATA IVA AD ALTO RISCHIO: REGOLE NAZIONALI INCOMPATIBILI CON QUELLE

COMUNITARIE?.............................................................................................................................. 10

IL WELFARE AZIENDALE .............................................................................................................. 13

LA CIRCOLAZIONE DEI DATI NEL NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO SULLA PRIVACY..... 16

Dal mondo ...................................................................................................................................... 20

BREXIT: QUALI CONSEGUENZE FISCALI È POSSIBILE PREVEDERE? ................................... 20

SECONDA MISSIONE DI LEXALIA IN IRAN. 10 - 17 GIUGNO 2016. ........................................... 24

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Novità

FATTURAZIONE ELETTRONICA B2B: NUOVO SERVIZIO GRATUITO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Comunicato Stampa del 01/07/2016 n. 129

Con il comunicato 1.7.2016 n. 129, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto che, a partire

dalla medesima data, è disponibile sul proprio sito la nuova applicazione web gratuita utilizzabile da tutti i soggetti passivi IVA per la generazione, la trasmissione e la conser-vazione delle fatture elettroniche.

Il servizio è utilizzabile sia per la fatturazione nei confronti degli enti della Pubblica am-

ministrazione, sia per la fatturazione nei confronti di altri soggetti passivi IVA.

QUADRO NORMATIVO

La nuova applicazione per la generazione, la trasmissione e la conservazione delle fat-ture è stata realizzata in attuazione dell’art. 1 co. 1 del DLgs. 127/2015, che ha previsto:

la messa a disposizione di servizi gratuiti per la generazione, trasmissione e con-servazione delle fatture elettroniche per tutti i soggetti passivi IVA, a partire dall’1.7.2016;

l’utilizzo del Sistema di Interscambio per la veicolazione delle fatture elettroniche anche nei confronti di soggetti diversi dalla Pubblica amministrazione, a partire dall’1.1.2017.

Inoltre, ai sensi del medesimo DLgs. 127/2015, ogni soggetto passivo IVA potrà optare, a partire dall’1.1.2017, per la trasmissione dei dati di tutte le fatture attive e passive, nonché delle relative variazioni, all’Agenzia delle Entrate, beneficiando in tal modo di una serie di agevolazioni, principalmente in termini di riduzione degli adempimenti comuni-cativi (“spesometro”, “black list”, Intrastat acquisti, ecc.).

Analogo regime è stato previsto per i soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e che potranno accedere a ulteriori agevolazioni optando per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi e delle fatture.

Le misure in oggetto sono finalizzate ad incentivare la diffusione della fatturazione elet-tronica, nonché la trasmissione telematica dei dati delle operazioni all’Agenzia delle Entrate, in modo da facilitare il controllo dell’Amministrazione finanziaria e ridurre, di con-seguenza, gli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti.

Tali obiettivi sono stati individuati dall’art. 9 co. 1 lett. d) della L. 23/2014 (Delega fiscale).

FUNZIONALITÀ DEL SERVIZIO

La nuova applicazione web prevista dall’art. 1 co. 1 del DLgs. 127/2015 è stata resa disponibile entro i termini prestabiliti (1.7.2016).

Gli operatori possono accedervi direttamente, dalla home-page del sito dell’Agenzia

delle Entrate, utilizzando le credenziali:

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dei servizi telematici dell’Agenzia (Entratel; Fisconline);

del Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid);

della Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

Generazione delle fatture

Accedendo alla sezione “Fatture” del nuovo servizio, è possibile generare i documenti

elettronici nei tre formati:

“fattura PA”;

fattura ordinaria;

fattura semplificata.

Inoltre, è possibile importare le fatture da un file “xml”; salvare i documenti prodotti per completarli e/o inviarli in seguito; nonché personalizzare l’aspetto grafico della fattura.

Nella fase di compilazione vengono effettuati controlli immediati circa la validità ed esi-stenza degli identificativi fiscali inseriti.

Trasmissione delle fatture

Per quanto attiene alla trasmissione dei documenti elettronici, è stata prevista una fase

transitoria di applicazione (dall’1.7.2016 all’1.1.2017). Infatti, attualmente, il Sistema di Interscambio è utilizzabile per la sola veicolazione delle “fatture PA” e soltanto a partire dall’1.1.2017 sarà abilitato per la veicolazione delle fatture in formati diversi, nei confronti di soggetti passivi IVA diversi dalla Pubblica amministrazione.

Pertanto, nel corso del periodo transitorio, il servizio dell’Agenzia consente di:

inviare le “fatture PA” mediante il Sistema di Interscambio;

inviare le fatture generate negli altri formati (ordinario e semplificato) mediante il canale di posta elettronica preconfigurato sul computer dell’operatore.

Dal punto di vista operativo, il servizio consente di effettuare sia l’invio del file-fattura”

singolo, contenente un unico documento, sia l’invio di un “archivio zip”, contenente

un massimo di 10 fatture. Ai fini della trasmissione, il file dovrà presentare l’estensione “xml”, “p7m” o “zip”, e non potrà superare la dimensione massima di 5 megabyte.

Conservazione

Oltre alle funzionalità già descritte (generazione e trasmissione delle fatture), l’applicazio-

ne dell’Agenzia delle Entrate offre altresì un servizio gratuito di conservazione dei do-

cumenti elettronici trasmessi e ricevuti, fermo restando il rispetto del formato strutturato (“xml”).

Al fine di usufruirne, con indubbi vantaggi economici, gli operatori devono aderire a un

accordo di servizio specifico.

A seguito dell’adesione, gli stessi potranno richiedere:

la conservazione dei documenti, che avverrà entro 10 giorni dall’accettazione della richiesta di presa in carico;

l’esibizione degli stessi.

Inoltre, anche una volta revocato l’accordo, l’operatore potrà richiedere l’esibizione delle fatture già conservate, effettuare il “download” dei file archiviati e visualizzare gli esiti delle richieste.

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NUOVI SERVIZI

Con il comunicato dell’1.7.2016, l’Agenzia delle Entrate ha annunciato che, nei prossimi mesi, sarà rilasciata l’applicazione per utilizzare lo stesso servizio di fatturazione me-diante smartphone e tablet.

Inoltre, a breve, sarà reso disponibile anche il servizio web per la memorizzazione

elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri destinato:

ai gestori di distributori automatici (art. 2 co. 2 del DLgs. 127/2015);

ai soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e assimilate, qualora de-cidano di optare, a partire dall’1.1.2017, per il regime previsto dall’art. 2 co. 1 del DLgs. 127/2015.

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Novità

START-UP INNOVATIVE: COSTITUZIONE ONLINE SENZA NOTAIO

Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 17 febbraio 2016, G.U. n. 56 dell’8 marzo 2016, entrato in vigore il 20 luglio 2016

Lo scorso 8 marzo 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale

17 febbraio 2016, sulle “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative” (il “Decreto”), in attuazione dell’art. 4, comma 10-bis, Decreto Legge n. 3 del 24 gennaio 2015, detto anche “Decreto Investment Compact”.

Il 20 luglio 2016 il Decreto è entrato in vigore su tutto il territorio nazionale e, a partire da

tale data, è possibile procedere alla costituzione di una start-up innovativa sotto forma

di società a responsabilità limitata tramite una procedura telematica semplificata,

senza la necessità di dover ricorrere a un notaio. Sono grandi, perciò, i vantaggi che ne deriveranno in termini di risparmio economico, stimati approssimativamente tra i 1.600,00 ed i 2.000,00 Euro.

Le start-up innovative, disciplinate dall’art. 25 del Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012, sono società a responsabilità limitata aventi all’interno del proprio oggetto sociale, in misura esclusiva o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, per i quali viene richiesta l’iscrizione nella sezione speciale delle start-up di cui all’art. 25, comma 8, del D.L. 179/2012.

Con l’introduzione di tale novità, volta a favorire e facilitare la nascita di start-up

innovative, l’atto costitutivo e lo statuto sociale possono essere sottoscritti digitalmente

dai soci, e redatti in formato elettronico inserendo tutti i dati necessari all’interno di un modello predefinito, disponibile gratuitamente online, tramite una piattaforma informatica predisposta dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Infocamere (gestore della rete Web del Registro delle Imprese - startup.registroimprese.it).

Si segnala che questa modalità di costituzione può essere adottata esclusivamente se in totale conformità rispetto al modello ministeriale fornito, che è ben differente dallo schema standard (di poche righe) disponibile per le s.r.l. semplificate. Infatti, pur non essendoci alcuna possibilità di variazione del modello, lo stesso è però articolato e complesso e ad ogni riquadro compilabile dall’utente corrisponde una diversa clausola statutaria che presuppone delle scelte specifiche che potrebbero avere importanti ripercussioni nella vita della costituenda società. Ragion per cui sarebbe, in ogni caso, opportuno farsi assistere da un professionista anche nella costituzione di tale tipologia di società.

Il decreto contiene un modello uniforme sia per l’atto costitutivo, sia per lo statuto. Sono contemplate varie scelte alternative: in materia di amministrazione, di conferimenti, di circolazione delle quote, anche per successione.

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Il procedimento di sottoscrizione deve concludersi entro dieci giorni dall’apposizione

della prima firma ed entro venti giorni dall’ultima sottoscrizione, l’atto costitutivo deve essere trasmesso, ai fini dell’iscrizione, al competente Registro delle Imprese tramite Comunicazione Unica.

L’atto è sottoposto ad analisi di conformità al modello standard e di validità delle

sottoscrizioni apposte. Qualora le verifiche abbiano esito positivo, l’atto costitutivo è provvisoriamente iscritto nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese e, successivamente, presso quella speciale delle start-up innovative.

Qualora non fosse possibile adattare i contenuti dell’atto costitutivo e dello statuto al modello standard ministeriale e in tutti i casi in cui siano previste condizioni particolari

che prevedano l’obbligatorietà della forma di atto pubblico, è comunque possibile

costituire la società con atto pubblico tramite l’assistenza di un notaio.

Gli operatori del settore ed in primis gli imprenditori più giovani che vedono abbattersi i costi di costituzione di una start-up innovativa, hanno accolto con grande favore la novità normativa introdotta con il Decreto che conferma le intenzioni del Legislatore di proseguire la messa in atto di incentivi a sostegno di nuove iniziative imprenditoriali in Italia.

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Novità

VIDEO SORVEGLIANZA SUI LUOGHI DI LAVORO

Nota del Ministero del Lavoro n. 11241 del 01/06/2016

La Direzione Generale dell'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con nota n. 11241 del 1° giugno 2016, fornisce chiarimenti in merito agli aspetti sanzionatori applicabili in caso di assenza dell’accordo/autorizzazione obbligatoria per l’installazione di impianti audiovisivi ex art. 4, Legge n. 300/1970.

Come è noto, l’art. 4, co. 1, della Legge n. 300/1970, modificato dall’art. 23, co. 1, del D. Lgs. n. 151/2015, prevede che, tra l’altro, “gli impianti di audiovisione e gli altri strumenti

da quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori

possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per

la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere

installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali […]. In mancanza di accordo gli impianti e gli

strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali”.

Anche nella sua nuova formulazione, l’articolo 4 della Legge citata prevede che l’installazione di un impianto di videosorveglianza non possa avvenire antecedentemente a (e quindi in assenza di) uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza di esso, alla intervenuta autorizzazione rilasciata da parte della Direzione del Lavoro territorialmente competente.

La violazione della previsione dell’art. 4 non è esclusa dalla circostanza che tali apparecchiature siano solo installate ma non ancora funzionanti, né dall’eventuale preavviso dato ai lavoratori, né infine dal fatto che il controllo sia discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente (Cass. 6 marzo 1986, n. 1490, in Not. Giur. Lav., 1986, 155; Cass. 921/97).

In tal senso, nel corso degli ultimi anni, si registrano diverse sentenze che confermano il divieto di installazione di tali impianti in difetto dei presupposti previsti dall’art. 4 della Legge n. 300/1970, anche nel caso di telecamere “finte” montate a scopo esclusivamente di “dissuasivo”.

La condotta criminosa è rappresentata dalla mera installazione non autorizzata dell’impianto, a prescindere dal suo effettivo utilizzo (Cass. Penale n. 4331/2014; “l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, necessaria affinché il reato sussista […] è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno”).

La stessa Autorità Garante della Privacy ha ribadito più volte che non è legittimo provvedere all’installazione di un impianto di video-sorveglianza senza che sia intervenuto il relativo accordo con le rappresentanze sindacali o, in subordine, senza l’autorizzazione rilasciata dalla Direzione Territoriale del Lavoro.

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Il Legislatore ha previsto in maniera chiara che il mancato rispetto della norma in

materia di video-sorveglianza è punito con ammenda da € 154 a € 1.549 o con

l’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 della legge n. 300/1970), salvo che il fatto

non costituisca reato più grave.

Pertanto, qualora nel corso dell’attività ispettiva, l’ispettore riscontri l’installazione di impianti audiovisivi in assenza di uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali ovvero in assenza dell’autorizzazione rilasciata da parte della Direzione del Lavoro territorialmente competente, deve impartire una prescrizione, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs. n. 758/1994, al fine di porre rimedio all’irregolarità riscontrata mediante l’immediata cessazione della condotta libera illecita e la rimozione materiale degli impianti audiovisivi, essendo tale adempimento l’unico idoneo ad “eliminare la contravvenzione accertata”.

Per eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nel verbale di prescrizione, deve fissare per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Trattandosi di apparecchiature per la cui rimozione è necessario l’intervenuto di personale specializzato, si evidenzia che il tempo da assegnare dovrà essere congruo.

Qualora nel periodo di tempo fissato dall’organo di vigilanza venga siglato l’accordo sindacale ovvero venga rilasciata l’autorizzazione della competente Direzione Territoriale del Lavoro, venendo meno i presupposti oggettivi dell’illecito, l’ispettore può ammettere il contravventore al pagamento in sede amministrativa e nel termine di trenta giorni, di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (art. 21 D. Lgs. n. 758/1994).

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Approfondimenti

PRO-RATA IVA AD ALTO RISCHIO: REGOLE NAZIONALI INCOMPATIBILI CON QUELLE COMUNITARIE?

Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte

di Giustizia UE nella Causa C-378/15

Le regole nazionali per la determinazione del pro-rata di detrazione IVA sono in

contrasto con quelle dettate dalla direttiva n. 2006/112/CE: a sostenere tale affermazione è stato l’Avvocato generale della Corte di Giustizia UE nelle conclusioni relative alla causa C-378/15, depositate il 29 giugno 2016. La questione principale trae origine dalla domanda pregiudiziale - sulla quale la Corte dovrà emettere sentenza - proposta dalla CTR di Roma, relativa alla sfera di applicazione della deroga contenuta nella Sesta direttiva IVA, che autorizza gli Stati membri a derogare alla regola generale del calcolo del pro-rata di detrazione.

L’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia, ha affermato che le disposizioni

nazionali che disciplinano il pro-rata matematico di detrazione sono illegittime laddove prevedono che l’imposta detraibile è determinata forfetariamente per tutti gli acquisti di beni/servizi e non solo per quelli ad utilizzo promiscuo, cioè destinati ad

operazioni a valle in parte imponibili e in parte esenti. Se dovesse prevalere questa

interpretazione i soggetti passivi che svolgono sia attività imponibile che attività

esente dovrebbero applicare il calcolo del pro-rata solo in relazione ai beni aventi

“destinazione mista” e non con riferimento a tutti i beni e servizi acquistati.

Il pro-rata nazionale

La normativa italiana prevede che, nel caso in cui si svolgano sia attività imponibili sia attività esenti, la detrazione IVA avvenga in base al pro-rata, che deve essere determinato, in ossequio a quanto previsto dall’art. 19-bis del D.P.R. n. 633/1972, quale rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno.

La percentuale derivante da tale rapporto deve essere applicata alla totalità degli acquisti effettuati nell’anno, sia che siano utilizzati nell’ambito dell’attività esente, sia che siano usati con riferimento all’attività imponibile e sia che siano promiscui.

Il successivo articolo 19 bis prevede che, qualora le operazioni effettuate non formino oggetto dell’attività propria dell’impresa, non si applica il pro-rata, ma la indetraibilità specifica dell’Iva afferente i beni e servizi relativi a operazioni esenti.

Oggetto della causa

Con la domanda pregiudiziale posta alla Corte viene chiesta quale sia la corretta interpretazione da dare all’art. 17, comma 5, comma 3, lettera d), della direttiva n. 77/388/CE, la quale autorizza gli Stati membri a derogare alla regola generale del calcolo del pro-rata di detrazione.

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In altre parole, ci si interroga se il metodo del pro-rata, così come previsto dalla normative nazionale, sia compatibile o meno con l’art. 17, paragrafo 5, comma 1, che dispone che “per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a deduzione […], sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la deduzione è ammessa soltanto per il pro-rata dell'imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni”.

La direttiva fa quindi riferimento ai soli beni e servizi usati promiscuamente. Il successivo comma 3 individua delle deroghe a tale modalità di calcolo, prevedendo la facoltà per gli Stati membri di autorizzare la deduzione in base al pro-rata relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni effettuate.

La posizione dell’Avvocato – la bocciatura del “pro-rata” nazionale

Nelle conclusioni relative alla causa C-378/15, l’Avvocato generale UE rileva come la direttiva Iva consenta la detrazione Iva in base al pro-rata solo sugli acquisti di beni e

servizi usati promiscuamente; in altri termini, la direttiva IVA consente la detrazione

IVA in base al pro-rata soltanto sugli acquisti di beni e servizi aventi una

destinazione mista, ovvero destinati contemporaneamente sia ad operazioni

imponibili che esenti.

La deroga deve, invece, essere interpretata come una possibilità di applicare un meccanismo di pro-rata alternativo a quello “standard”.

Per questa ragione, l’Avvocato generale UE propone alla Corte di Giustizia, nelle

sue conclusioni, di dichiarare il metodo di calcolo del pro-rata italiano

incompatibile.

Secondo l’Avvocato generale, il regime del pro-rata di detrazione opera una distinzione in base all’utilizzazione dei beni e dei servizi e non in funzione della natura del soggetto passivo. Infatti, è evidente che la regola del pro-rata interessa unicamente i soggetti misti, dal momento che essi sono gli unici ad aver effettuato acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamente.

Pertanto, secondo le conclusioni dell’Avvocato generale UE, l’art. 17, paragrafo 5, comma 3, lettera d) della Sesta direttiva IVA osta ad una normativa nazionale che impone ai soggetti passivi misti di determinare l’importo dell’IVA detraibile mediante l’applicazione di un pro-rata nei confronti della totalità dei beni e dei servizi acquistati dal soggetto passivo, indipendentemente da loro utilizzo.

Possibili effetti sull’applicazione separata dell’Iva (ex art. 36, comma 3, del D.P.R.

n. 633/1972)

Secondo l’Avvocato generale, l’incompatibilità con la normativa comunitaria non

può considerarsi superata dalla previsione che consente di applicare

separatamente l’imposta in caso di esercizio di più attività.

Il riferimento è all’art. 36, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, che permette ai soggetti passivi di evitare gli effetti penalizzanti e distorsivi del pro-rata generale. In effetti, l’opzione per l’applicazione separata dell’imposta garantisce un risultato maggiormente aderente alla normativa comunitaria. Con la separazione delle attività, infatti, la detrazione è ammessa in misura integrale per i beni/servizi utilizzati in via esclusiva per effettuare operazioni imponibili, mentre per i beni/servizi ad utilizzo promiscuo è detraibile la quota-parte di imposta relativa alle operazioni imponibili, restando indetraibile la restante quota-parte di imposta riferita alle operazioni esenti.

L’Avvocato generale, nel valutare la compatibilità sul piano comunitario del pro-rata generale, ha ritenuto ininfluente la disposizione che, consentendo di applicare

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separatamente l’imposta in caso di esercizio di più attività, permette di individuare l’imposta detraibile in funzione del principio dettato dall’art. 17, par. 2, della VI Direttiva, vale a dire sulla base del rapporto diretto tra i beni/servizi acquistati a monte e il loro utilizzo ai fini delle operazioni effettuate a valle.

L’opzione è stata, infatti, giudicata incompatibile con lo scopo della disciplina unionale di garantire l’armonizzazione delle regole in materia di IVA, in quanto fa dipendere l’esercizio della detrazione da una scelta del soggetto passivo.

Pertanto, se i giudici europei dichiareranno che il “pro-rata italiano” è illegittimo,

risulterà automaticamente travolto anche l’art. 36, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

In pratica, passando dall’attuale metodo del pro-rata, applicabile in via generalizzata per tutti gli acquisti di beni/servizi ad un pro-rata limitato ai beni/servizi ad utilizzo promiscuo, con detraibilità piena per i beni/servizi utilizzati esclusivamente per compiere operazioni

imponibili, verrà meno la funzione della separazione delle attività, quale facoltà

concessa ai soggetti passivi “misti” per evitare gli effetti penalizzanti e distorsivi

del pro-rata “generale”.

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Approfondimenti

IL WELFARE AZIENDALE

Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 15 giugno 2016

Con Circolare n. 28/E del 15 giugno 2016 l’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha fornito i primi ed attesi chiarimenti in

materia di detassazione dei premi di risultato e welfare aziendale.

La citata Circolare illustra l’agevolazione prevista per i premi di produttività, richiamando la prassi emanata negli anni scorsi e ancora applicabile, ed esamina inoltre le nuove disposizioni in materia di benefit, anche al fine di delineare il quadro delle erogazioni detassate che possono essere corrisposte in sostituzione delle retribuzioni premiali e chiarisce l’ambito entro il quale è consentita la sostituzione tra le due componenti.

Nella seguente disamina vengono analizzati i chiarimenti forniti sul nuovo quadro normativo in materia di welfare aziendale.

Ambito soggettivo di applicazione

L’ambito soggettivo di applicazione, di cui all’art. 51, comma 2, lettere f), f-bis), f-ter) del TUIR, si riferisce alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti o ai loro familiari così come definiti dall’art. 12 del TUIR.

L’art. 51, comma 2, lettere f), f) bis ed f) ter, condiziona la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente dei benefit, al fatto che i destinatari degli

stessi siano individuati nella generalità dei dipendenti o in categorie omogenee di

dipendenti.

La Circolare in esame chiarisce che la categoria di assegnazione ben possa comprendere gruppi omogenei di lavoratori e ciò a prescindere dalla circostanza che, in concreto, soltanto alcuni di essi ne usufruiscano.

Di conseguenza, le medesime erogazioni messe a disposizione ad esclusivo vantaggio di taluni lavoratori concorrono, anche in base alle nuove previsioni, alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

In riferimento ai familiari, la disciplina normativa, come sottolineato dall’intervento dell’Agenzia delle Entrate, si riferisce a quelli indicati all’art. 12 del TUIR, indipendentemente dal fatto che risultino fiscalmente a carico.

Opere e Servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione,

assistenza sociale e sanitaria o culto – art. 51 co. 2 lettera f)

Ferma restando la precedente disciplina dell’art. 51 del TUIR, la nuova formulazione della medesima disposizione introduce un’importante novità.

Nello specifico viene esplicitamente estesa la possibilità di escludere dal reddito di lavoro dipendente non solo quei benefit offerti unilateralmente e volontariamente da parte dell’azienda, ma anche nel caso di erogazione derivante dalla stipula di contratti, accordi

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o regolamenti aziendali - tale possibilità è stata introdotta anche nelle successive lettere f) bis ed f) ter.

In aggiunta, la lettera f) prevede che, in presenza di accordi negoziali, il datore di

lavoro possa dedurre interamente i costi sostenuti ex art. 95 TUIR, e non in ragione del cinque per mille come previsto dall’art. 100 del TUIR.

Si precisa che tale limite di deducibilità continua ad operare in relazione alle ipotesi in cui tali opere ed i servizi siano offerti volontariamente dal datore di lavoro1.

In tema di servizi offerti ai soggetti riconosciuti come “beneficiari”, secondo quanto già chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 34/E del 2004, gli stessi risulteranno fiscalmente agevolati secondo la disciplina in esame, a patto che il lavoratore risulti estraneo dal rapporto economico con il soggetto erogatore del servizio.

In aggiunta, come già previsto nella vecchia formulazione, tali servizi devono essere pagati direttamente dal datore di lavoro e non è possibile far rientrare in tale agevolazione le somme di denaro erogate ai dipendenti a titolo di rimborso spese, anche se documentate.

Alcuni esempi dei servizi ricompresi nella disciplina di cui all’art. 51 lettera f) sono:

l’iscrizione gratuita ai circoli sportivi e ricreativi;

l’acquisto da parte del datore di lavoro di biglietti di viaggio con esclusivo fine culturale o ricreativo;

l’iscrizione a corsi di lingua all’estero o in Italia con scopo extraprofessionale;

l’acquisto da parte del datore di lavoro di biglietti per eventi sportivi ovvero abbonamenti a spettacoli teatrali.

Somme, prestazioni e servizi di educazione ed istruzione, nonché per la

frequenza di ludoteche e centri estivi e per borse di studio di cui all’art. 51,

co. 2, lettera f-bis)

In relazione al contenuto della lettera f bis) il legislatore meglio definisce ed attualizza la tipologia dei servizi ricompresi in tale agevolazione. Viene superata la categoria delle “colonie climatiche”, ormai desueta, ed è stata introdotta quella dei:

i centri estivi e invernali;

le ludoteche;

le scuole materne.

Si sottolinea che l’estesa formulazione del disposto di cui alla lettera f) bis, racchiude al suo interno tutte le erogazioni corrisposte a titolo di premi di merito e sussidi per studio a favore dei familiari sopra indicati, ivi ricomprese le spese per:

le rette scolastiche;

le tasse universitarie;

i libri di testo;

1 Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente

sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono

deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro

dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.

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gli incentivi per studenti che raggiungano livelli di eccellenza;

il trasporto scolastico;

le iniziative incluse all’interno del piano formativo scolastico (gite, visite guidate, ecc.);

il rimborso spese per i servizi di baby-sitting.

Per quanto concerne le modalità di erogazione delle prestazioni, l’attuale formulazione della lettera f-bis) conferma la possibilità che il datore di lavoro eroghi i servizi di educazione ed istruzione direttamente o tramite terzi, nonché attraverso la corresponsione ai dipendenti di somme di denaro da destinare alle finalità indicate, anche a titolo di rimborso di spese già sostenute, sempreché acquisisca e conservi la documentazione comprovante l’utilizzo delle somme da parte del dipendente coerentemente con le finalità per le quali sono state corrisposte.

Somme e prestazioni per servizi di assistenza ai familiari anziani o non

autosufficienti – art. 51, co. 2, lettera f-ter)

Tale norma è stata introdotta per effetto del comma 190 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità n. 208/2015 con l’intento di conciliare l’esigenze della vita familiare del dipendente con quelle lavorative, detassando le prestazioni di assistenza per i familiari anziani o non autosufficienti, così come definiti nell’art. 12 del TUIR; tali somme possono essere erogate anche sotto forma di somme a titolo di rimborso spese.

La categoria dei soggetti non autosufficienti va ricondotta a tutti coloro che non possono autonomamente espletare le funzioni di vita quotidiana in ragione di una certificazione medica e non anche in ragione dell’età. I bambini, benché non autosufficienti, non possono essere ricompresi in tale lettera, salvo i casi in cui la non autosufficienza si ricolleghi alla presenza di patologie.

Per quanto concerne l’individuazione dei familiari anziani, in assenza di richiami normativi, si può ritenere, in via generale, di poter far riferimento ai soggetti che abbiano compiuto i 75 anni d’età: tale limite d’età è di norma considerato ai fini del riconoscimento di una maggiore detrazione d’imposta (articolo 13, comma 4, del TUIR).

Voucher

Il comma 3 bis dell’art. 51 del TUIR, dispone che ai fini dell’applicazione dei commi 2 e 3 del medesimo articolo, l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale. Tali titoli di legittimazione:

non possono essere monetizzati;

non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare;

non possono essere ceduti;

l’intero valore deve dare diritto ad un solo bene, servizio, prestazione, opera, senza integrazioni a carico del titolare.

L’uso del voucher agevola l’utilizzo di strutture di soggetti terzi per erogare ai dipendenti le prestazioni e i servizi rappresentati, alle quali, come già detto, il datore di lavoro può fare ricorso a condizione che il dipendente non intervenga nel rapporto economico con la struttura che eroga la prestazione. Anche nel caso dei voucher il dipendente assume la veste di mero destinatario della prestazione, estraneo al contratto in virtù del quale acquista il relativo diritto.

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Approfondimenti

LA CIRCOLAZIONE DEI DATI NEL NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO SULLA PRIVACY

Diritto alla portabilità dei dati, trasmissione dei dati all’interno dell’UE e loro trasferimento verso Paesi Extra-Ue, alla luce del nuovo Regolamento Europeo in tema di Privacy, n. 679/2016

Continua il ciclo di approfondimenti sulle più rilevanti novità in tema di Privacy introdotte

dal Regolamento Europeo n. 679 del 27 aprile 2016 (il “Regolamento”), che a partire dal 25 maggio 2018 sostituirà a tutti gli effetti il Codice della Privacy.

Il secondo focus offre una panoramica sulle novità in tema di circolazione dei dati personali e analizza sia le norme che garantiscono tutele in capo ai soggetti interessati (diritto alla portabilità dei dati), sia quelle che consentono al titolare del trattamento la trasmissione ed il trasferimento dei dati.

DIRITTO ALLA PORTABILITÀ DEI DATI

Una delle principali novità introdotte dal Regolamento rispetto alla previgente normativa

(Direttiva n. 46 del 1995, la “Direttiva”) consiste nel diritto alla portabilità dei dati: l’interessato potrà ricevere da qualsiasi titolare del trattamento tutti i dati personali che lo riguardano, in un formato strutturato, di uso comune, leggibile da dispositivo automatico e interoperabile (per esempio, in formato .CSV o Excel), in modo tale da poterli all’occorrenza trasmettere agevolmente ad un altro fornitore di servizi, o comunque ad un qualsiasi altro titolare del trattamento.

Qualora tecnicamente possibile, l’interessato ha anche il diritto a che i propri dati personali siano trasmessi direttamente da un titolare del trattamento ad un altro, senza la necessità che questi transitino presso di lui.

In particolare, il diritto alla portabilità dei dati, disciplinato nel Capo III, Sezione 3, all’art.

20 del Regolamento, prevede che l’interessato abbia diritto di ricevere i propri dati e di trasmetterli ad un altro titolare del trattamento senza alcun impedimento da parte del titolare a cui li ha originariamente forniti, quando:

il trattamento sia basato sul consenso espresso prestato per una o più

specifiche finalità, o sulla base di un contratto, ai fini della sua esecuzione; e

il trattamento sia effettuato con mezzi automatizzati.

Rispetto alla precedente Direttiva, che all’art. 12 (diritto di accesso) prevedeva il diritto dell’interessato a richiedere al titolare del trattamento la mera comunicazione dei dati a lui riferiti/riferibili “in forma intelligibile”, il Regolamento disciplina ora puntualmente i casi in cui il diritto è esercitabile e le relative modalità, oltre che qualificare i formati standard

da utilizzare al fine della trasmissione: le informazioni devono essere trasmesse “in

forma concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con linguaggio

semplice e chiaro” e devono essere rese senza ritardo.

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Il successivo art. 13 del Regolamento, in tema di obblighi informativi in capo al titolare del trattamento, prevede ora che, tra i vari diritti di cui l’interessato deve essere informato, sia ricompreso anche quello alla portabilità dei dati.

Pertanto, le informative sul trattamento dei dati, per essere conformi a quanto

prescritto dal Regolamento, dovranno contenere anche il diritto alla portabilità dei

dati in tutti i casi in cui il trattamento sia basato sul consenso espresso per specifiche finalità o sulla base di un contratto, e sia effettuato con mezzi automatizzati.

Resta vietato, tuttavia, il trasferimento di dati personali in Paesi situati al di fuori dell’Unione Europea o ad Organizzazioni internazionali che non siano in grado di attuare gli standard di adeguatezza prescritti dal Regolamento in tema di tutela dei dati personali, e verso i quali la nuova normativa ha introdotto criteri di valutazione più stringenti. Il Regolamento in proposito prevede che la Commissione Europea, al fine di garantire l’uniforme esecuzione dello stesso, possa adottare misure esecutive per definire l’adeguatezza del livello di protezione offerto da un Paese extra-europeo.

Di seguito, analizziamo i diversi casi in cui i dati siano trasmessi in altro Stato membro, o trasferiti verso Paesi extra-UE.

TRASMISSIONE DEI DATI IN ALTRO STATO MEMBRO

Come già previsto nella previgente Direttiva, la trasmissione di dati verso Paesi

membri dell’Unione Europea, diversi rispetto a quello di origine, non è sottoposta ad

una disciplina speciale, in quanto, all’interno degli Stati membri, il Regolamento sarà direttamente applicabile, senza dover essere, per esempio, preventivamente trasposto in una legge nazionale. Saranno garantiti, così, standard uniformi di protezione dell’interessato.

TRASFERIMENTO DEI DATI PRESSO STATO EXTRA-UE

Uno degli obiettivi principali del nuovo Regolamento è l’incentivazione della libera circolazione di dati, a condizione che sia garantita parità di trattamento e garanzie per

l’interessato. Tale criterio si applica anche nel caso di trasferimento di dati verso Paesi

Terzi, ovvero paesi non appartenenti all’Unione Europea o allo Spazio Economico Europeo (es. Norvegia, Islanda e Liechtenstein e, a breve, Regno Unito), verso i quali il trasferimento dei dati è ammissibile, solo qualora siano garantiti determinati standard di sicurezza o ricorrano particolari condizioni.

Le disposizioni introdotte in tema dal Regolamento si caratterizzano per un forte spirito di continuità con quanto precedentemente previsto dalla Direttiva, che dedicava l’art. 25 ai principi relativi al trasferimento dei dati personali verso i Paesi Terzi. Il fondamento del sistema di trasferimento dei dati presso Paesi Extra-UE è sempre rappresentato dal principio di adeguatezza, per cui il Paese in cui si intendono trasferire i dati deve assicurare norme e misure di protezione adeguate di trattamento, pari al livello di quelle europee.

Pur non discostandosi sostanzialmente da quanto previsto all’interno della Direttiva, il Regolamento introduce alcune novità: i requisiti richiesti al fine del trasferimento dei dati sono assai più dettagliati, come analizzati più avanti, e la disciplina prevista dal Regolamento si applicherà anche qualora il trasferimento dati sia effettuato verso Organizzazioni internazionali o in territori/settori specifici all’interno di un Paese Terzo, allargando così il campo di applicazione della normativa.

Limiti alla circolazione dei dati sussistono, perciò, solo nel caso in cui alcuni Paesi non offrano una protezione equivalente rispetto a quella esistente nello stato europeo esportatore (che comunica i dati), e siano tali da imporre l’interruzione del trasferimento.

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Il Regolamento dedica a questo tema gli artt. da 44 a 49 (Capo V) e stabilisce che il titolare del trattamento è legittimato al trasferimento dei dati personali in Paesi terzi solo in cinque ipotesi, di seguito sinteticamente descritte:

(i) a seguito di una decisione di adeguatezza della Commissione Europea, che si sia pronunciata accertandosi che nel Paese venga garantito un livello di protezione dei dati appropriato, fondando il proprio parere sulla base di vari fattori, tra cui lo stato della legislazione, l’esistenza di una o più autorità di controllo indipendente nel Paese e gli impegni internazionali presi dallo stesso. Se esiste una decisione di adeguatezza della Commissione, il trasferimento non necessita di autorizzazioni specifiche. Le principali decisioni adottate dalla Commissione Europea hanno riguardato Paesi come la Svizzera, gli Stati Uniti ed il Canada;

(ii) qualora siano fornite garanzie adeguate, ovvero, in mancanza di una decisione della Commissione, quando il Paese terzo abbia fornito congrue garanzie, ed a condizione che gli interessati dispongano di diritti azionabili e mezzi di ricorso effettivi, come per esempio nel caso in cui si sia in presenza di clausole tipiche di protezione dei dati adottate dalla Commissione o da un’altra autorità di controllo approvata, oppure di codici di condotta vincolanti;

(iii) se il trasferimento è effettuato sulla base di norme vincolanti d’impresa (BCR -

Binding Corporate Rules), consistenti in regolamenti in materia di privacy all’interno di un gruppo multinazionale, adottati dalla capogruppo stabilita all’interno dell’Unione Europea, attraverso una sua dichiarazione unilaterale e che risultino obbligatorie per le società collegate. Le BCR contengono una serie di clausole che fissano i principi a cui tutte le società del gruppo sono legate, e permettono di semplificare i flussi transfrontalieri di dati personali infragruppo. Tali norme vincolanti d’impresa devono essere approvate dalle Autorità garanti per la protezione dei dati personali presenti negli Stati membri in cui hanno origine i trasferimenti;

(iv) qualora, nonostante non ci si trovi nelle situazioni di cui ai punti (i), (ii) e (iii) che

precedono, l’interessato abbia prestato il proprio consenso informato, ovvero il trasferimento sia necessario per eseguire adempimenti pre-contrattuali e contrattuali; esistano importanti motivi di interesse pubblico; il trasferimento sia necessario al fine dell’esercizio del diritto di difesa giudiziale o per tutelare interessi vitali dell’interessato; i dati siano tratti da un registro pubblico;

(v) qualora vi sia un legittimo interesse del titolare del trattamento, su cui non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà dell’interessato e qualora il titolare del trattamento abbia fornito garanzie adeguate relativamente alla protezione dei dati personali. Il trasferimento, in questo caso, non deve essere però reiterato nel tempo e deve riguardare un numero limitato di interessati.

La violazione delle disposizioni previste agli artt. da 44 a 49 del Regolamento comporta

severe sanzioni pecuniarie fino ad Euro 20.000.000,00 o, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente.

CONCLUSIONI

Con l’introduzione del diritto alla portabilità dei dati ed il rafforzamento della disciplina in tema di trasferimento di dati, il Regolamento intende consolidare ulteriormente il controllo dell’interessato sui propri dati personali, armonizzando la normativa in tutti gli Stati membri, nonché semplificando gli oneri in capo ai titolari del trattamento.

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È ora compito delle imprese dare avvio al processo di adeguamento alla nuova normativa, così da conformarsi a tutte le novità in tempo per la data ufficiale di applicazione del Regolamento, 25 maggio 2018.

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Dal mondo

BREXIT: QUALI CONSEGUENZE FISCALI È POSSIBILE PREVEDERE?

ll referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea, noto anche

come referendum sulla "Brexit" si è svolto il 23 giugno 2016 nel Regno Unito ed a

Gibilterra; si è trattato di un referendum consultivo e non vincolante per verificare il sostegno alla continuazione della permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea.

Come a tutti ormai noto, il referendum si è concluso con un voto favorevole all'uscita

dalla UE con il 51,9%, contro il 48,1% che ha votato per rimanere nella UE.

L’esito del voto referendario – che come sopra detto aveva solo natura consultiva - non comporta automaticamente l’uscita del Regno Unito dell’Unione Europea. La procedura

di uscita dalla UE è infatti stabilita all’art. 50 del Trattato di Lisbona che prevede che lo Stato Membro debba inviare una notifica al Consiglio europeo manifestando la propria

volontà di recedere, a decorrere dalla quale scatta un termine di due anni per i

negoziati finalizzati all’uscita. E’ interessante ricordare che una volta inviata la notifica, non è prevista la possibilità di ritirarla.

Ad oggi è sostanzialmente arduo poter prevedere con certezza le conseguenze di carattere

fiscale connesse all’uscita del Regno Unito dalla UE, in quanto gli effetti fiscali della

Brexit dipenderanno dai negoziati che interverranno tra Regno Unito e Unione

Europea per regolamentare il processo di uscita e, quindi, anche dal contenuto degli

eventuali accordi stipulati per permettere al Regno Unito di continuare a beneficiare del regime di libero scambio nel mercato comunitario, sull’esempio di quanto già ora avviene con Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

Ciò premesso, di seguito un breve excursus delle principali aree fiscali su cui Brexit potrà avere un impatto di rilievo.

LEGISLAZIONE UE

Alla base del funzionamento del mercato unico dell’Unione Europea vi sono le quattro

libertà fondamentali della libera circolazione delle merci, delle persone e dei

capitali e la libera prestazione dei servizi, per cui i Paesi UE, a livello domestico, non possono prevedere trattamenti discriminatori che, penalizzando taluni soggetti, pregiudicano l’attuazione delle predette libertà. In tale ambito, un ruolo attivo

nell’indirizzare la legislazione domestica dei singoli Stati - anche nell’ambito delle

imposte dirette, nonostante la materia sia comunque di competenza esclusiva degli Stati membri - è stato (ed è) svolto sia dalla Commissione Europea che dalla Corte di Giustizia Europea.

Con la Brexit, salvo l’esistenza di particolari accordi stipulati con i singoli Stati esteri,

il Regno Unito non sarebbe più vincolato dalle decisioni della Corte di Giustizia

Europea; sarebbe quindi ad esempio libero di prevedere “aiuti di Stato”, quali

regimi fiscali particolarmente agevolativi, a favore delle proprie imprese, a scapito delle imprese straniere, senza doverne dare conto.

Lo stesso, però, potrebbe essere fatto dagli altri Paesi UE a danno delle imprese

inglesi, senza subire alcuna procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.

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DIRETTIVE UE IN TEMA DI IMPOSTE DIRETTE

Sebbene in tema di imposizione diretta non vi sia, come già accennato, alcuna armonizzazione a livello europeo, gli Stati membri sono comunque tenuti a definire la

propria legislazione domestica in conformità con le disposizioni europee. Come noto, l’Unione Europea ha nel tempo introdotto numerose direttive in tema fiscale, anche finalizzate a facilitare la libera circolazione dei beni, dei capitali, dei servizi e delle persone.

Il Regno Unito, successivamente all’uscita dall’Unione Europea, se da un lato non sarà

più vincolato al rispetto delle direttive UE, dall’altro non potrà più peraltro nemmeno

godere dei relativi benefici.

Direttiva madre-figlia2

Attraverso la Direttiva Madre-Figlia l’Unione Europea ha inteso eliminare, al sussistere di

determinate condizioni, la doppia imposizione e la ritenuta sui dividendi distribuiti tra le

società madri (controllanti) e le figlie (controllate) ubicate in diversi Paesi dell’Unione Europea.

Con la Brexit i dividendi, distribuiti alle società madri inglesi dalle società figlie localizzate in

altri Stati dell’Unione Europea, potrebbero essere ivi assoggettati a ritenuta, nei limiti stabiliti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore con il Regno Unito, con i

conseguenti possibili fenomeni di doppia imposizione che, chiaramente, non possono che rappresentare un significativo ostacolo per gli investitori transfrontalieri.

Per completezza, si ricorda che i dividendi provenienti da società inglesi non verrebbero assoggettati a ritenuta, non essendo prevista allo stato attuale nel Regno Unito.

Direttiva Interessi e Royalties3

Anche rispetto ai pagamenti di interessi e royalties tra il Regno Unito ed i Paesi UE, la

Brexit comporterebbe l’applicazione di una ritenuta in uscita, il cui importo cambierebbe a seconda delle Convenzioni contro le doppie imposizioni vigenti con i singoli Stati UE, anziché l’esenzione prevista dalla direttiva in esame (al sussistere, evidentemente, delle condizioni a tal fine richieste).

Direttiva Fusioni4

La Direttiva Fusioni, eliminando gli ostacoli alle libere riorganizzazioni

aziendali nell’ambito dell’Unione Europea, prevede un unico regime fiscale delle operazioni straordinarie transfrontaliere (fusioni, scissioni, conferimenti, ecc.), disponendo, al sussistere di determinate condizioni, la loro neutralità ai fini dell’imposizione diretta e il differimento della

tassazione al momento del realizzo delle plusvalenze.

La Brexit escluderebbe l’applicazione della Direttiva alle imprese inglesi, con l’effetto che

queste non potrebbero beneficiare del regime di neutralità fiscale nelle operazioni transnazionali che le coinvolgono.

* * *

Transfer Pricing

Il Regno Unito ha aderito alla Convenzione n. 90/436/EEC del 23 luglio 1990 che prevede, nei casi di contenziosi aventi ad oggetto la determinazione del valore normale di transazioni

2 Direttiva n. 2011/96/EU

3 Direttiva n. 2003/49/EC

4 Direttiva n. 2009/133/EC

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finanziare e/o commerciali tra imprese associate basate nell’Unione Europea, la possibilità di

rimettere la decisione sulla materia ad una commissione arbitrale, previa rinuncia da parte delle imprese interessate a continuare il procedimento di contenzioso a livello domestico.

Con la Brexit, la suddetta procedura non sarebbe più percorribile nei casi di transfer pricing che coinvolgono una società basata nel Regno Unito, con l’inevitabile conseguenza dell’incremento dei possibili fenomeni di doppia imposizione.

* * *

E’ sicuramente infine interessante ricordare come la legislazione domestica di molti Stati

membri preveda l’applicazione di una ritenuta d’imposta ridotta su interessi e/o

dividendi, a condizione che il percipiente sia un soggetto UE. L’Italia, ad esempio, prevede sui dividendi in uscita pagabili ad un soggetto residente del Regno Unito l’applicazione di una ritenuta del 1,375% (anziché le ritenute convenzionali – 5%/15% - ovvero quella domestica del 26%). Chiaramente con la Brexit, la suddetta agevolazione verrebbe meno.

IMPOSIZIONE INDIRETTA

Il sistema IVA è stato oggetto di armonizzazione a livello europeo fin dal 1977, considerato che la presenza in tale ambito di differenze tra le legislazioni domestiche rappresentava uno dei principali ostacoli alla creazione ed al funzionamento di un mercato unico.

Con la Brexit, il sistema IVA della Gran Bretagna potrebbe essere integralmente

riscritto ovvero addirittura abolito (sebbene tale opzione è ragionevolmente poco probabile, anche perché l’IVA rappresenta oggi in UK circa il 17% delle entrate fiscali complessive).

Non si può tuttavia escludere che la Gran Bretagna apporti modifiche alle aliquote Iva su determinate categorie di beni e servizi, non essendo più la stessa vincolata ai livelli stabiliti dalle direttive UE.

Non si può inoltre ignorare il fatto che, con il trascorrere del tempo, le differenze tra il sistema IVA europeo e quello inglese possano via via moltiplicarsi, anche solo per il fatto che la Gran Bretagna non avrà più alcun vincolo di modificare la propria legislazione per tenere in considerazione le decisioni in tale ambito della Corte di Giustizia Europea.

Per quanto concerne il commercio di beni, il principale cambiamento che si avrà con la

Brexit attiene alla riclassificazione delle operazioni intracomunitarie in vere e proprie

importazioni ed esportazioni, con conseguente perdita del regime proprio delle operazioni intra-UE, che permette la libera circolazione di beni con aliquota zero nei rapporti B2B.

Non ci dovrebbero invece essere sostanziali cambiamenti per le prestazioni di servizio. Infatti, le prestazioni rese da un soggetto passivo IVA stabilito in Italia verso un operatore economico non residente comportano l’emissione di una fattura fuori campo IVA, poiché in questo caso l’operazione è tassata in capo al committente. Lo stesso vale per gli operatori italiani che ricevono prestazioni di servizi da quelli britannici; infatti per tali

operazioni - assoggettate al reverse charge – vi dovrebbero essere solo delle implicazioni di carattere formale e la scomparsa dell’obbligo di compilazione degli elenchi Intrastat.

* * *

Sul fronte dei dazi doganali, la Brexit potrebbe determinare il ripristino delle dogane tra il Regno Unito e l’Unione Europea, considerato che i dazi doganali sono disciplinati dai

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Regolamenti UE, con la relativa possibile imposizione di dazi alle esportazioni effettuate dal Regno Unito verso gli altri Stati UE (sebbene sia ragionevole attendersi un livello dei possibili dazi comunque basso, anche in considerazione del fatto che le tariffe sono regolamentate a livello internazionale dalla World Trade Organization - WTO).

Resta ovviamente salva la possibilità per il Regno Unito di contrattare l’adesione ad accordi per il libero scambio come quelli ad oggi già in vigore tra Unione europea e Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

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Dal Mondo

SECONDA MISSIONE DI LEXALIA IN IRAN. 10 - 17 GIUGNO 2016.

Il paese visto da vicino.

Dal 10 al 17 giugno 2016 si è tenuta la seconda missione a Tehran di Lexalia, incentrata sulla partecipazione diretta ad alcune negoziazioni ed intese preliminari tra investitori italiani e potenziali clienti iraniani nel settore metallurgico / siderurgico.

Le discussioni risultano, peraltro, rallentate e complicate dalle preoccupazioni di entrambe le parti in merito allo stato delle transazioni e relazioni bancarie, alla luce dell’incompiutezza della disciplina dei sistemi di pagamento. Ad oggi cinque banche italiane - Banca Popolare di Verona, Banca Popolare di Novara, Banca Popolare di Bergamo, Banca Popolare di Sondrio e Cassa di Risparmio di Bologna - hanno attivato relazioni interbancarie in modo stabile con banche private iraniane, dimostrando che sussiste innegabilmente un interesse generalizzato e diffuso dell’Iran e dell’Italia a consentire il rapido rientro dell’economia iraniana nella rete delle operazioni bancarie, ed ottenere il trasferimento diretto di fondi da e verso l’Iran5.

Ad oltre 6 mesi dall’Implementation Day, si stanno facendo passi da gigante, ma ancora sussistono diversi ostacoli di natura legale e molteplici difficoltà.

Ciononostante, l’operatività commerciale e finanziaria in Iran è “possibile e funzionante”.

Secondo quanto riportato da SACE (osservatorio privilegiato del sistema - paese6), “il superamento delle incertezze e il progressivo avanzamento di una maggiore offerta di

5 E’, altresì, della settimana scorsa la notizia che la Borsa di Tehran (TSE) è stata riammessa al WFE -

World Federation of Exchanges (WFE): “Hassan Qalibaf Asl, chair of the TSE, has told Iranian media that

the WFE has in a letter approved TSE’s membership, noting that the Iranian market will join the world body

after the Securities and Exchange Organization of Iran (SEO), gains its rightful place within the International

Organization of Securities Commissions (IOSCO). SEO is Iran’s regulatory body that supervises and

develops the domestic capital market while IOSCO is an association of organizations that regulates the

world's securities and futures markets. The WFE, aka the International Federation of Stock Exchanges, is

the trade association of 64 publicly regulated stock, futures, and options exchanges. Qalibaf Asl said the

move allows for the Iranian capital market entry into the global network of stock exchanges and access to

information of those markets. This way, noted the official, international investors can observe and match

other market indices with the Iranian ones and would see the Iranian counterpart as a competitor. The official

added that TSE’s integration into the WFE will provide an opportunity for the Iranian market to develop and

promote its global status through participation in international capital market conventions and work groups.

The Tehran Stock Exchange was established in 1967. Currently, more than 700 companies with a combined

market capitalization of over 170 billion dollars are reportedly listed on the TSE. TSE, which is among the

five biggest markets in the Middle East, is considered as one of the world's best performing stock

exchanges. The market has surged over 20% since the implementation of a nuclear deal on January 17

when TSE ended the day at about 65,000 points, even as global stock markets have tumbled. Despite a

decline in the past two years, its overall index has been steadily going up recently”

(http://www.presstv.com/Detail/2016/07/03/473426/Tehran-capital-market-joins-WFE).

6 Newsletter SACE giugno 2016 in www.sace.it.

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capitali apriranno l’operatività su progetti di maggiori dimensioni”. Come emerso dai quotidiani specializzati degli ultimi mesi, SACE e Banca Centrale Iraniana hanno già raggiunto un accordo sul ripagamento degli importi relativi agli indennizzi pagati su progetti con garanzia sovrana e, progressivamente, da luglio 2015 ad oggi sono state raggiunte intese di ampio respiro con le principali banche private iraniane, per consentire alle PMI italiane l’accesso a finanziamenti di operazioni a medio-lungo termine. In concreto, SACE ha dichiarato che le operazioni di garanzie e finanziamento che prevedono il suo potenziale coinvolgimento sono pari a circa € 5 miliardi e riguardano principalmente i settori Oil&Gas, infrastrutture e metallurgico. Per alcuni di questi progetti sono state emesse manifestazioni d’interesse. Alcune operazioni di piccolo taglio riguardanti la copertura di L/C emesse da banche iraniane a favore di PMI italiane sono già state coperte da SACE. Anche su progetti di maggiori dimensioni, SACE ha messo a disposizione una capacità di € 4 miliardi per la copertura di finanziamenti sostenuti da garanzia sovrana, tra cui quelli riguardanti lo sviluppo infrastrutturale, dei trasporti e dello sfruttamento delle risorse energetiche.

In occasione del primo summit Italia-Iran svoltosi a Teheran lo scorso 16/17 maggio 2016, organizzato da The European House-Ambrosetti, è stato, inoltre, riportato che “l’Italia potrebbe incrementare di altri 2 miliardi di dollari le esportazioni in Iran fino al 2020” e che “la struttura economica dei due Paesi è simile per via della grande presenza di piccole e medie imprese”. "L'Italia ha qualcosa come 400 mila pmi che sono pari a quelle della Francia e della Germania messe insieme"; in questo momento storico, “l'economia iraniana corre al ritmo del 4% e che, secondo le stime, potrebbe raggiungere l'8%. Da qui al 2022 l'Iran dovrebbe riuscire a raggiungere la quota di 30-50 miliardi di dollari di investimenti stranieri annui"7.

Insomma, tutti pronti ai blocchi di partenza, purchè le banche diano finalmente il loro sostegno. I più ottimisti sperano che entro la fine del 2016, ci sarà una vera apertura anche sui canali bancari, i più cauti entro i primi mesi del 2017, affinchè gli strumenti finanziari siano presenti non solo sulla carta. E’ certo che le variabili internazionali dei rapporti con l’Arabia Saudita, da una parte e l’elezione del nuovo presidente USA, dall’altra, rendono ancora più incerto il panorama di riferimento.

Vale la pena dare, dunque, un’occhiata più da vicino al paese.

L'inflazione è oggi ai minimi storici negli ultimi 25 anni (al di sotto del 10%) e, come noto, tassi più bassi consentono maggiori investimenti e maggiori consumi, su cui contano i paesi esportatori, in primis l'Italia. Non vorremo sbagliarci, ma l’economia iraniana si trova ad un point of no return. Le banche hanno infatti ridotto il tasso sui depositi, ben sapendo che la questione degli interessi bancari è estremamente rilevante per i risparmi iraniani, accumulati in certificati di deposito; per gli investitori (anche iraniani), invece, l’abbassamento dei tassi è un fattore positivo, soprattutto sul mercato immobiliare e per finanziare a credito il consumo di beni durevoli, come auto ed elettrodomestici. Parallelamente, è aumentato il gettito fiscale, rendendo lo stato meno dipendente dalle entrate fiscali del settore petrolifero; attualmente, il contributo principale dalle imposte dirette proviene dall'imposta sulle società; per quanto riguarda le entrate fiscali indirette, quello delle imposte su beni e servizi è triplicato negli ultimi tre anni; l’IVA è stata introdotta nel 2008, con un tasso base dell’1,5%; nessun cambiamento invece sull'imposta sul patrimonio, né sui dazi doganali.

Dal mese di gennaio, quando le sanzioni sono state abolite, l'Iran è al 3° posto (dal 12° nel 2013) nel ranking delle destinazioni più attrattive nel Medio Oriente; dai tre IDE (investimento diretto all'estero o FDI, foreign direct investment) del 2013, l’Iran è passato

7 Lo ha ricordato Valerio De Molli, uno dei direttori di Think Thank European House-Ambrosetti.

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a otto nel 2014, nove nel 2015 e 22 nel corso del corrente trimestre 2016; è aumentata l’occupazione e la spesa degli investimenti in capitale. I paesi più attivi negli investimenti sono Corea del Sud e Germania; i settori principali sono l’automotive, i servizi alle imprese, l'elettronica di consumo e il tessile. Il maggiore investimento del 2016, da US$1,6 miliardi, è avvenuto nel settore siderurgico: la coreana Pohang Iron and Steel (Posco) ha annunciato che a marzo 2017 inizierà a costruire un’acciaieria integrata nella zona industriale franca di Chabahar. La filiale Posco Energy ha anche raggiunto un accordo con la PKP per la costruzione nelle vicinanze di una centrale elettrica off-gas da 500 megawatt (che utilizza il gas generato durante la produzione siderurgica)8. Fatto noto, naturalmente, che l’Iran, oltre ad essere il quarto produttore al mondo di petrolio (detiene il 10% delle riserve petrolifere mondiali), dopo la Russia è il secondo produttore mondiale di gas, che, quando liquefatto, può essere trasportato via nave verso impianti di ri-gassificazione costruiti in molti paesi. Peraltro, l’Iran non riesce a sfruttare adeguatamente il suo più grande giacimento (South Pars, insieme al Qatar), per mancanza di capitali e tecnologie, rimanendo, pertanto, importatore netto di gas dal Turkmenistan. A livello globale, peraltro, già nel 2030 è previsto il sorpasso dell’uso del gas naturale sul petrolio, e dunque l’Iran (e gli eventuali investitori stranieri) devono essere già in grado ad oggi di prepararsi strategicamente.

L’economia iraniana non è fatta di soli idrocarburi; i settori maggiormente in crescita, oltre alla metallurgia ed all’automotive, già ricordati, sono quelli della meccanica (fornitura di macchinari ed attrezzature destinate all’industria iraniana), dei prodotti chimici, metalli, apparecchiature elettriche, prodotti in gomma, plastica e materiali da costruzione; seguono i comparti dei prodotti farmaceutici e quello lapideo e di lavorazioni di marmi; l’agroalimentare italiano, il packaging ed il design italiano sono particolarmente richiesti.

Ricordiamo che, con la caduta delle sanzioni, in linea generale, da gennaio 2016 è possibile fare business con l’Iran nei seguenti comparti:

Oil&gas e petrolchimico;

Shipping, cantieristica navale e trasporti

Settore bancario, finanziario ed assicurativo;

Meccatronica;

Metalli, oro ed altri metalli preziosi;

Software ed IT.

Rimangono invece vietate le esportazioni verso l’Iran di:

Beni, software e tecnologie che rientrano nel settore “armi e tecnologia balistica”;

Beni e software destinati all’industria nucleare;

Alcuni beni a duplice uso (“dual use”);

Beni e tecnologie che potrebbero contribuire ad attività connesse con il ritrattamento o l’arricchimento o l’acqua pesante o ad altre attività non conformi al Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA);

Grafite e alcuni metalli grezzi o semilavorati.

8 Fonte: FDI Markets www.fdimarkets.com.

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Hanno partecipato alla redazione del presente numero:

Gianluca Ronzio - Dottore Commercialista e Revisore Legale

Giovanna Ianni - Avvocato e Patrocinante in Cassazione

Eduardo Galardi - Dottore Commercialista e Revisore Legale

Veronica Vitale - Dottore Commercialista e Revisore Legale

Antonio Virgallita - Avvocato

Alessandra Poggio

Andrea Musile - Dottore Commercialista e Revisore Legale

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