Lexalia Newsletter n. 10/2019 Novità ed approfondimenti di ......del rischio di evasione fiscale...

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  • Piazza San Sepolcro n.1 20123 Milano

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    Lexalia Newsletter n. 10/2019

    Novità ed approfondimenti di settembre 2019

    Milano, 30 settembre 2019

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    Indice Novità ................................................................................................................................................ 3

    INDICI SINTETICI DI AFFIDABILITA’ FISCALE (ISA) – RISPOSTE AI QUESITI ...................... 3

    NUOVA PROCEDURA DI RICHIESTA DEL MODELLO A1 ........................................................ 5

    INTERESSI PERCEPITI DA SOCIETA’ NON RESIDENTE – SOSTITUZIONE DI IMPOSTA .... 9

    PATENT BOX – DETERMINAZIONE DIRETTA – SOGGETTI “NON SOLARI” ........................ 10

    IFRS: LE CRIPTOMONETE NON SONO UNA VALUTA ........................................................... 11

    EMISSIONE NOTA DI VARIAZIONE IN CASO DI SUCCESSIVO FALLIMENTO DEL DEBITORE

    ESECUTATO ............................................................................................................................... 13

    PROROGA DEI VERSAMENTI DELLE IMPOSTE AL 30/10: EFFETTI SULLA RATEIZZAZIONE

    ..................................................................................................................................................... 14

    CONDIZIONI DI NON IMPONIBILITA’ DELLE PRESTAZIONI DI TRASPORTO DI BENI IN

    IMPORTAZIONE ......................................................................................................................... 15

    Approfondimenti ............................................................................................................................ 17

    TRANSFER PRICE: LA PERDITA NON NASCONDE SERVIZI INTRAGRUPPO ..................... 17

    INPS: COMPATIBILITA’ DELL’AMMINISTRATORE-DIPENDENTE .......................................... 19

    CREDITO DI IMPOSTA PER INVESTIMENTI PUBBLICITARI 2019 ......................................... 21

    RESI MERCE CON DOCUMENTO COMMERCIALE: VALIDE LE VECCHIE PROCEDURE ... 25

    LE NUOVE REGOLE DEL TEMPO DETERMINATO ALLA LUCE DEL REINSERIMENTO DELLE

    CLAUSOLE GIUSTIFICATRICI ................................................................................................... 27

    SPESE LEGALI PER PROCESSI PENALI DELL’AMMINISTRATORE: IVA NON DETRAIBILE

    ..................................................................................................................................................... 30

    OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE: E’ REATO SE C’E’ LA CERTIFICAZIONE .............. 32

    TERMINI DI EMISSIONE DELLA FATTURA ELETTRONICA E SANZIONI .............................. 33

    PREMI DI RISULTATO AI DIPENDENTI: IL PARERE DI COVIP .............................................. 36

    Dal Mondo ...................................................................................................................................... 37

    UE: TAX GAP IVA IN DISCESA .................................................................................................. 37

    OCSE: UN NUOVO PROGRAMMA PER INTERPRETARE IL CBC REPORTING .................... 38

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    Novità

    INDICI SINTETICI DI AFFIDABILITA’ FISCALE (ISA) – RISPOSTE AI QUESITI

    Circ. AE 09/09/2019 n. 20

    La circ. Agenzia delle Entrate 9.9.2019 n. 20 ha fornito ulteriori chiarimenti in merito all’applicazione degli ISA per il periodo d’imposta 2018 rispetto a quelli resi con la precedente circ. 2.8.2019 n. 17, dando risposta a quesiti pervenuti nel corso degli incontri con la stampa specializzata e le associazioni di categoria. Tra gli argomenti trattati, si segnalano i seguenti:

    • l’utilizzo degli ISA ai fini delle attività di analisi del rischio e selezione;

    • le segnalazioni relative agli indicatori e al funzionamento del software;

    • la compilazione dei modelli ISA 2019 e i dati delle precompilate;

    • l’utilizzo dei benefici del regime premiale;

    • la dichiarazione di ulteriori componenti positivi.

    DATI DELLE PRECALCOLATE ISA

    Non sussiste alcun obbligo specifico per contribuenti ed intermediari di modificare i dati precalcolati forniti dall’Agenzia ai fini del calcolo degli ISA. È, invece, possibile modificare tali dati per disattivare eventuali criticità evidenziate dagli indicatori elementari di anomalia.

    Quindi, laddove emergano criticità evidenziate dagli indicatori elementari di anomalia, dopo aver effettuato la verifica di tali dati precalcolati, il contribuente può modificarli e calcolare nuovamente il proprio ISA con i dati modificati.

    Viene inoltre precisato che la predisposizione dei dati precalcolati sulla base dei dati comunicati negli anni precedenti mediante i modelli degli studi di settore e dei parametri è stata effettuata in relazione ai soggetti per i quali:

    • non è stata rilevata una causa di esclusione o di non applicabilità;

    • il relativo file telematico inviato è risultato conforme alla specifica tecnica ed è risultato calcolabile senza errori bloccanti;

    • il contribuente ha dichiarato ricavi/compensi da applicabilità non superiori a 5.164.569,00 euro;

    • non è stata riscontrata una situazione di “inizio/cessazione attività” o di “mera prosecuzione dell’attività”;

    • con riferimento ai soggetti economici esercenti attività di impresa, il numero di giorni durante i quali si è svolta l’attività è superiore o uguale a 15 giorni.

    COMPILAZIONE DEI MODELLI ISA

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    Secondo le istruzioni alla compilazione dei modelli ISA, sono esclusi dagli indici i contribuenti con categoria reddituale diversa da quella per la quale è stato approvato l’ISA e, quindi, prevista nel quadro dei dati contabili contenuto nel modello ISA approvato per l’attività esercitata (codice di esclusione 6 nel modello REDDITI).

    La circ. 9.9.2019 n. 20 (§ 5.1) precisa che tale causa di esclusione ricorre rispetto ad una società di geometri che esercita l’attività utilizzando il codice attività relativo alle attività tecniche svolte da geometri (modello ISA AK03U).

    SEGNALAZIONI RELATIVE AGLI INDICATORI

    Nell’esaminare alcuni indicatori di anomalia (es. “Incidenza dei costi residuali di gestione”, “Analisi dell’apporto di lavoro delle figure non dipendenti”, “Copertura delle spese per dipendente”), la circolare sottolinea l’opportunità di compilare il campo riservato alle “Note aggiuntive” del software applicativo in tutti i casi in cui l’anomalia non possa essere sanata ai fini degli ISA e la stessa sia determinata da condizioni specifiche dell’attività economica.

    Ad esempio, è stata segnalata l’anomalia dell’indicatore “Copertura delle spese per dipendente” rispetto a realtà imprenditoriali in cui la ridotta dimensione della struttura aziendale impedisce all’imprenditore di ridurre il proprio personale dipendente a sacrificio dei margini di reddito; tali situazioni, sintomatiche di condizioni di marginalità economica, devono essere segnalate nell’apposito campo.

    REGIME PREMIALE

    In merito al regime premiale, viene precisato che il riconoscimento dei benefici in base al punteggio di affidabilità è vincolato all’esito dell’applicazione degli ISA al momento della presentazione della dichiarazione entro i termini ordinari. Ciò starebbe a significare che, in caso di correzione della dichiarazione a suo tempo tempestivamente presentata, da cui derivi un più alto punteggio ai fini ISA, il contribuente non potrebbe avvalersi ex post dei benefici del regime premiale.

    In ogni caso, il raggiungimento di un livello di affidabilità idoneo all’ottenimento di benefici premiali deve ritenersi subordinato alla circostanza che i dati dichiarati dal contribuente ai fini dell’applicazione degli ISA siano corretti e completi.

    Invece, laddove il raggiungimento di una premialità sia l’effetto della dichiarazione di dati incompleti o inesatti, non può ritenersi legittimo il godimento di un beneficio.

    Conseguentemente, i benefici del premiale sono disconosciuti se, a seguito del ricalcolo dell’ISA con i dati corretti, il punteggio ISA scende al di sotto delle soglie minime richieste per i singoli benefici.

    UTILIZZO DEGLI ISA AI FINI DELLE ATTIVITÀ DI ANALISI DEL RISCHIO E SELEZIONE

    Il livello di affidabilità fiscale derivante dall’applicazione degli indici, nonché le informazioni presenti nell’Archivio dei rapporti finanziari dell’Anagrafe tributaria (art. 7 co. 6 del DPR 605/73) sono considerati per definire specifiche strategie di controllo basate su analisi del rischio di evasione fiscale (art. 9-bis co. 14 del DL 50/2017). Ai fini della definizione di tali strategie di controllo, l’Agenzia delle Entrate tiene conto di un livello di affidabilità fiscale minore o uguale a 6 (provv. 126200/2019).

    La circolare precisa che l’attribuzione di un punteggio compreso tra 6 e 7,99 non comporta, di per sé (ossia sulla base degli elementi di rischio “insiti” nella valutazione di affidabilità fiscale operata dall’ISA), l’automatica attivazione di attività di controllo.

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    Novità

    NUOVA PROCEDURA DI RICHIESTA DEL MODELLO A1

    Circ. INPS 11/06/2019 n. 86

    Con la circ. 11.6.2019 n. 86, l’INPS ha reso noto che, a decorrere dall’1.9.2019, le domande per il rilascio della certificazione A1, da richiedersi in occasione di distacco transnazionale del lavoratore, potranno essere presentate dai datori di lavoro (o loro intermediari) esclusivamente on line, utilizzando una nuova procedura telematica.

    PROCEDURA PREGRESSA

    Il datore di lavoro italiano che intende inviare in distacco transnazionale un proprio lavoratore in un Paese membro dell’Unione europea o in uno degli Stati SEE (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), oppure in Svizzera, è tenuto a richiedere all’INPS l’emissione della certificazione A1, la quale attesta l’assoggettamento previdenziale del lavoratore al Paese di origine e deve essere consegnata al medesimo lavoratore in distacco.

    Sul punto, va ricordato che, per la gestione del rilascio del documento portatile A1, erano già stati predisposti specifici modelli di richiesta pubblicati sul sito dell’Istituto previdenziale con il messaggio 20.1.2016 n. 218 e che, a seconda della tipologia di lavoratore, potevano essere inoltrati attraverso:

    • la funzione bidirezionale del Cassetto previdenziale;

    • la Posta elettronica certificata (PEC);

    • la raccomandata A/R;

    • la presentazione diretta allo sportello presso la Sede INPS competente per territorio.

    NUOVA PROCEDURA ON LINE

    Con la circ. 86/2019, l’INPS annuncia dunque la predisposizione di una nuova modalità di presentazione tramite il canale telematico, utilizzabile dai datori di lavoro o dagli intermediari abilitati di cui all’art. 1 della L. 12/79 (consulenti del lavoro, commercialisti, avvocati, ecc.), per le seguenti tipologie di richiesta:

    • lavoratore marittimo (art. 11 co. 4 del regolamento (CE) 883/2004);

    • lavoratore subordinato distaccato (art. 12 co. 1 del regolamento (CE) 883/2004);

    • accordo in deroga per distacco lavoratore dipendente (art. 16 del regolamento (CE) 883/2004).

    Sempre in occasione della circolare in commento, l’INPS ha reso noto che, in attesa del completamento della procedura telematica, rimangono ancora escluse specifiche tipologie di richieste, per lo più relative ai:

    • lavoratori autonomi distaccati;

    • lavoratori autonomi e subordinati che esercitano attività in più Stati;

    • dipendenti pubblici;

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    • personale di volo e di cabina;

    • lavoratori autonomi o subordinati assoggettati alla legislazione dello Stato in cui lavorano.

    Al fine di garantire la più ampia informazione e divulgazione delle novità afferenti la presentazione di tali domande mediante modalità telematica, fino al 31.8.2019 era previsto un periodo transitorio durante il quale era possibile inviare le domande sia con le consuete modalità sia utilizzando il canale telematico.

    ASPETTI OPERATIVI

    A decorrere dall’1.9.2019, pertanto, le domande di rilascio del documento portatile A1 devono essere presentate all’INPS dal datore di lavoro (o il suo intermediario) esclusivamente in via telematica tramite il seguente percorso:

    • accedendo al sito www.inps.it, selezionando “Tutti i servizi”;

    • digitando nel campo Testo libero “Servizi per le aziende e consulenti”;

    • accedendo al “Portale delle Agevolazioni (ex DiResCo)” e “Distacchi” e selezionando la “Procedura per la richiesta della certificazione A1 in applicazione della normativa UE”.

    Nel dettaglio, dopo l’accesso al servizio attraverso il “Portale delle Agevolazioni (ex DiResCo)” e, una volta effettuata l’autenticazione, l’applicativo proporrà l’elenco dei moduli di tutte le Dichiarazioni di Responsabilità.

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    In seguito, selezionando il modulo “Distacchi” verrà richiesto l’inserimento della matricola INPS del datore di lavoro e, una volta indicata, il sistema verificherà la corrispondenza della stessa con i dati presenti negli archivi informatici dell’Istituto, proponendo quindi la home

    page del modulo “Distacchi”, dove l’utente potrà visualizzare l’elenco dei lavoratori per i quali sono state effettuate richieste della certificazione A1.

    Selezionando l’opzione “Inserimento domanda” sarà poi possibile procedere all’inserimen-to di una nuova richiesta, scegliendo tra le tipologie proposte.

    Con specifico riferimento al distacco del personale dipendente, anche al fine di una verifica del distacco “genuino”, il datore di lavoro dovrà dichiarare, tra l’altro:

    • che il lavoratore/la lavoratrice non viene inviato/a in sostituzione di altro lavoratore distaccato, per il quale sia scaduto il periodo di distacco;

    • che esiste tra il datore di lavoro ed il lavoratore/la lavoratrice un legame organico, in virtù del contratto di lavoro, nel quale espressamente si stabilisce il vincolo di subordinazione del lavoratore/della lavoratrice, con i conseguenti obblighi in capo al datore di lavoro per l’assunzione, gli adempimenti retributivi, fiscali, contributivi e previdenziali e i relativi poteri di direzione e disciplinari, nonché di licenziamento;

    • la data di sottoscrizione del contratto;

    • che il legame organico verrà mantenuto per tutta la durata del periodo di distacco;

    • che il lavoratore/la lavoratrice distaccato è assunto/a in Italia, con contratto di lavoro a tempo indeterminato e con orario di lavoro a tempo pieno;

    • che per tutta la durata del distacco sarà rispettato l’orario di lavoro previsto nel contratto;

    • che il datore di lavoro dichiarante svolge le sue attività sostanziali abitualmente in Italia;

    • che ha sede amministrativa in …;

    • che attualmente ha alle proprie dipendenze n. … lavoratori di cui … occupati in Italia e … distaccati all’estero;

    • che la maggior parte dei contratti con i propri clienti sono conclusi in Italia;

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    • che il fatturato realizzato nel periodo dal … al … è pari a … euro di cui …. realizzato in Italia;

    • che l’impresa è stata costituita in Italia il …

    RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE

    Nella circ. 86/2019 si precisa infine che, per tutte le domande approvate che si trovano nello stato “Accolta”, verrà prodotta la certificazione A1 in formato PDF da rilasciare al lavoratore.

    Il richiedente, oltre a poter visualizzare l’esito nel cruscotto web a lui dedicato, sarà avvisato dell’avvenuta definizione della domanda via e-mail e/o via sms rispettivamente all’indirizzo e al numero di telefono mobile eventualmente indicati nella domanda.

    In ogni caso, qualora su richiesta dell’istituzione estera si renda necessario acquisire il documento portatile A1 in formato originale, la certificazione sarà disponibile per il ritiro presso la sede INPS competente per territorio.

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    Novità

    INTERESSI PERCEPITI DA SOCIETA’ NON RESIDENTE – SOSTITUZIONE DI IMPOSTA

    Risposta AE Interpello n. 379/2019

    L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito:

    • al trattamento fiscale degli interessi percepiti da un istituto di credito estero privo di stabile organizzazione in Italia e corrisposti da privati sprovvisti della qualifica di sostituti d’imposta;

    • agli obblighi di sostituzione d’imposta a carico delle società estere in assenza di stabile organizzazione in Italia.

    INTERESSI PERCEPITI DA UN ISTITUTO FINANZIARIO ESTERO

    Il caso esaminato riguarda un istituto di credito residente in Svizzera, privo di una stabile organizzazione in Italia, che eroga finanziamenti in favore di persone fisiche residenti in Italia; questi ultimi intrattengono con la banca sia rapporti diretti, sia rapporti indiretti, avvalendosi di società fiduciarie di diritto italiano.

    Secondo l’Agenzia l’istituto finanziario svizzero può beneficiare del trattamento convenzionale previsto dall’art. 11 della Convenzione Italia-Svizzera anche in relazione agli interessi corrisposti dai privati sprovvisti della qualifica di sostituto d’imposta, presentando il modello REDDITI SC (e indicando nel rigo RN7 colonna 2, dedicato ai redditi assoggettati ad aliquote IRES diverse da quella ordinaria del 24%, l’aliquota convenzionale del 12,50%).

    Nei casi in cui la controparte di un contratto di finanziamento erogato da una banca svizzera sia una società fiduciaria residente in Italia, che agisce per conto dei propri fiducianti, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nei confronti del percettore non residente. In tal caso, la società fiduciaria può applicare direttamente, sotto la propria responsabilità, l’aliquota ridotta.

    QUALIFICA DI SOSTITUTO DI IMPOSTA

    Anche se, sotto il profilo soggettivo, le società non residenti nel territorio dello Stato rientrano tra i soggetti di cui all’art. 23 co. 1 del DPR 600/73 (norma che attribuisce la qualifica di sostituto d’imposta), gli enti e le società non residenti assumono tale qualifica limitatamente ai redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione o base fissa in Italia.

    Pertanto, le società prive di stabile organizzazione in Italia sono “oggettivamente” escluse dalla qualifica di sostituto d’imposta.

    La risposta si pone in continuità con la C.M. 23.12.97 n. 326 (§ 3.1), espressamente richiamata, e con la precedente risposta a interpello 312/2019, superando il principio di diritto 12.2.2019 n. 8, in base al quale doveva, invece, considerarsi sostituto d’imposta la società non residente senza stabile organizzazione, proprietaria di immobili in Italia e conseguentemente obbligata alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

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    Novità

    PATENT BOX – DETERMINAZIONE DIRETTA – SOGGETTI “NON SOLARI”

    Ris. AE 09/09/2019 n. 81

    L’Agenzia delle Entrate, con la ris. 9.9.2019 n. 81, ha fornito indicazioni in merito alla modalità di compilazione del modello REDDITI 2019 per i soggetti “non solari” che intendono optare per l’autodeterminazione del reddito agevolabile ai fini del Patent box, in alternativa al ruling ex art. 4 del DL 34/2019, conv.

    SOGGETTI “NON SOLARI” OBBLIGATI AL RULING CON PERIODO D’IMPOSTA IN CORSO ALL’1.5.2019

    I soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare in corso all’1.5.2019 (scadente anteriormente al 31.12.2019) che utilizzano per tale periodo il modello REDDITI SC 2019 (o il modello REDDITI ENC 2019), esercitano l’opzione per l’autodeterminazione – e, al contempo, comunicano il possesso della documentazione – indicando il codice “1” nel campo “Situazioni particolari” posto nel frontespizio della dichiarazione, in corrispondenza del riquadro “Altri dati”.

    In tal caso, la quota annuale, pari a un terzo, della variazione in diminuzione riferibile alla quota di reddito escluso va riportata:

    • nel quadro RF del modello REDDITI SC o ENC 2019, nel rigo RF50, colonna 1;

    • nel quadro RG del modello REDDITI 2019 ENC, nel rigo RG23, colonna 13 (in caso di enti non commerciali in contabilità semplificata), o nel quadro RC del medesimo modello, nel rigo RC6 con il codice 14 (in caso di enti soggetti alle disposizioni in materia di contabilità pubblica che sono esonerati dall’obbligo di tenuta della contabilità separata qualora siano osservate le modalità previste per la contabilità pubblica obbligatoria tenuta, a norma di legge, dagli stessi enti).

    Ai fini IRAP, i predetti soggetti indicano la quota annuale della variazione in diminuzione nel modello IRAP 2019, quadro IS, rigo IS89, colonna 1.

    SOGGETTI “NON SOLARI” NON OBBLIGATI AL RULING CON PERIODO D’IMPOSTA IN CORSO ALL’1.5.2019

    I soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare in corso all’1.5.2019 (scadente anteriormente al 31.12.2019) non obbligati all’attivazione della procedura di ruling, al fine di beneficiare della disapplicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione secondo il disposto dell’art. 4 co. 2 del DL 34/2019, possono comunicare il possesso della documentazione indicando il codice “2” nel campo “Situazioni particolari” posto nel frontespizio della dichiarazione, in corrispondenza del riquadro “Altri dati”.

  • 11

    Novità

    IFRS: LE CRIPTOMONETE NON SONO UNA VALUTA

    Lo scorso giugno, l’Ifrs Interpretations Committee (Ic), che interpreta i principi contabili internazionali – su richiesta dello Iasb (International Accounting Standards Board) – si è espressa in merito al trattamento contabile da riservare a questi diffusi asset digitali.

    CRIPTOVALUTE COME INTANGIBLES

    Nel paper 12, l’Ic ha concluso a favore della qualificazione delle criptovalute come rimanenze, da contabilizzare secondo lo Ias 2, se detenute per la vendita nell’ambito dell’attività ordinaria, oppure – in caso contrario – come attività immateriali da contabilizzare secondo lo Ias 38.

    Il comitato è arrivato a questa conclusione partendo dal principio per cui lo Ias 38 si applica a tutti gli asset intangibili che non rientrano già nell’ambito di altri principi e in particolare dei financial asset di cui allo Ias 32.

    Interrogatosi su questo ultimo aspetto, l’Ic esclude che i crypto-asset possano avere natura monetaria e che possano dunque essere contabilizzati tra le disponibilità liquide o tra gli strumenti finanziari. Ciò in quanto le valute virtuali non assolvono la funzione tradizionale della moneta, non essendo utilizzate universalmente come mezzo di pagamento, e peraltro alle stesse non si aggancia alcun diritto o obbligo contrattuale, requisito necessario per la classificazione come strumenti finanziari.

    Appurata dunque la natura non monetaria delle criptovalute, l’Ic osserva che – qualora detenute per finalità di trading nell’ambito della propria attività – le criptovalute possono ricadere nell’ambito dello Ias 2 ed essere contabilizzate come rimanenze di magazzino. Tale inquadramento potrebbe valere ad esempio per gli operatori specializzati in criptovalute, come exchanges o wallet providers, potenzialmente interessati a mantenere scorte di queste attività, oppure quelli che lo Ias 2 definisce commodity broker-traders.

    In caso di impieghi differenti, secondo l’Ic le criptovalute rientrano nell’ambito proprio dello Ias 38, dunque come beni immateriali (attività non monetaria priva di consistenza fisica), poiché soddisfano tutte le condizioni richieste: sono attività identificabili e generatrici di benefici economici futuri, non liberamente accessibili da terzi.

    LE RICADUTE SUL BILANCIO

    La diversità di scelta nella classificazione contabile ha riflessi sul criterio di valutazione e, conseguentemente, sulla rappresentazione in bilancio.

    Infatti, lo Ias 38 consente la scelta tra la valutazione al costo (al netto di ammortamenti e eventuali perdite di valore accumulate), oppure al fair value (solo per attività con mercato attivo, con variazioni di valore rilevate in una riserva di patrimonio netto e non a conto economico).

    Secondo lo Ias 2, le rimanenze vanno inizialmente iscritte in bilancio al costo e successivamente valutate al minore tra il costo e il valore netto di realizzo, fatta

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    eccezione per i broker-traders, per i quali è ammessa la valutazione al fair value al netto dei costi di vendita, con rilevazione delle variazioni di valore a conto economico.

    CONCLUSIONI

    Dal nuovo paper Iasb-Ic emerge che gli attuali principi Ias/Ifrs non consentono di qualificare i crypto-asset come valuta o strumento finanziario.

    Conclusione condivisibile ma in contrasto con le posizioni assunte, ai fini fiscali, dalle autorità domestiche ed europee: nelle poche pronunce ufficiali dell’agenzia delle Entrate (risoluzione 72/E/2016 e risposta n. 14/2018), le criptovalute sono state infatti assimilate dal punto di vi sta fiscale a valute estere, sulla scia della sentenza 22 ottobre 2015, Causa C-264/14 della Corte di giustizia Ue.

  • 13

    Novità

    EMISSIONE NOTA DI VARIAZIONE IN CASO DI SUCCESSIVO FALLIMENTO DEL DEBITORE ESECUTATO

    Risposta Interpello AE n. 328 del 02/08/2019

    Con la risposta a interpello, Agenzia delle Entrate 2 agosto 2019 n. 328, sono stati forniti nuovi chiarimenti circa l’emissione della nota di variazione IVA in diminuzione nei confronti di un soggetto sottoposto a procedura esecutiva individuale e poi dichiarato fallito.

    Al riguardo, è stato preliminarmente precisato che, affinché il cedente o prestatore possa emettere una nota di variazione IVA in diminuzione nei confronti di un soggetto sottoposto a procedura concorsuale o esecutiva individuale, è necessario che la stessa abbia avuto inizio e si sia conclusa infruttuosamente, ossia:

    1) per il fallimento, che sia scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto stabilito con decreto dal giudice delegato (art. 110 della legge fallimentare), ovvero, in assenza del piano di riparto, sia scaduto quello per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso (art. 119 della legge fallimentare);

    2) per le procedure esecutive non concorsuali, che il credito non trovi soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell’esecutato. La chiusura della procedura esecutiva individuale consente, in linea generale, l’emissione di una nota di variazione IVA in diminuzione per la parte del credito rimasta insoddisfatta. La citata previsione deve essere coordinata, tuttavia, con l’eventuale fallimento del creditore esecutato, sicché: i) se il fallimento avviene dopo la chiusura della procedura esecutiva individuale e l’emissione delle relative note di variazione IVA in diminuzione, queste ultime risultano corrette e l’insinuazione nel passivo fallimentare rileva per successive variazioni in aumento, nei limiti di quanto eventualmente percepito; ii) se il fallimento avviene prima dell’emissione delle note di variazione IVA in diminuzione, occorre attendere l’esito della procedura concorsuale prima di operare la variazione.

  • 14

    Novità

    PROROGA DEI VERSAMENTI DELLE IMPOSTE AL 30/10: EFFETTI SULLA RATEIZZAZIONE

    Ris. AE 01/08/19 n. 71

    L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 1 agosto 2019 n. 71, ha fornito ulteriori chiarimenti in relazione alla proroga al 30 settembre 2019 dei versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA, che scadono dal 30 giugno al 30 settembre, a favore dei soggetti che:

    a) esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore a 5.164.569,00 euro;

    b) partecipano a società, associazioni e imprese che presentano i suddetti requisiti e che devono dichiarare redditi "per trasparenza" ai sensi degli artt. 5, 115 e 116 del TUIR.

    I soggetti che beneficiano della proroga possono effettuare i versamenti anche entro il 30 ottobre 2019, applicando la maggiorazione dello 0,4%.

    In caso di rateizzazione dal 30 settembre, le rate scadono:

    1) per i contribuenti titolari di partita IVA, il 30 settembre, il 16 ottobre e il 18 novembre, con applicazione degli interessi sulla seconda e terza rata;

    2) per i contribuenti non titolari di partita IVA, il 30 settembre, il 31 ottobre e il 2 dicembre, con applicazione degli interessi sulla seconda e terza rata.

    Se ci si avvale del versamento differito al 30 ottobre con la maggiorazione dello 0,4%:

    1) per i contribuenti titolari di partita IVA, le rate si riducono a due, scadenti il 30 ottobre e il 18 novembre, con applicazione degli interessi da rateizzazione solo sulla seconda e ultima rata;

    2) per i contribuenti non titolari di partita IVA, le rate rimangono tre, scadenti il 30 ottobre, il 31 ottobre e il 2 dicembre, ma gli interessi da rateizzazione si applicano solo sulla terza e ultima rata.

    È comunque possibile non avvalersi della proroga mantenendo il precedente piano di rateazione, ma versando le prime quattro o tre rate (in caso di differimento con lo 0,4%) entro il 30.9.2019, senza interessi.

  • 15

    Novità

    CONDIZIONI DI NON IMPONIBILITA’ DELLE PRESTAZIONI DI TRASPORTO DI BENI IN IMPORTAZIONE

    L. 3/05/19 N. 37 (c.d. “Legge Europea

    2018”)

    L’art. 11 della Legge n. 37/2019 interviene sulla disciplina IVA applicabile ai servizi di trasporto e di spedizione connessi agli scambi internazionali, novellando le condizioni richieste per l’applicazione del regime di non imponibilità di tali prestazioni.

    La disposizione in commento, infatti, apporta modifiche all’art. 9, comma 1, n. 2) e 4), del D.P.R. n. 633/1972.

    La novità introdotta è che dette prestazioni, se relative a beni in importazione, beneficiano del trattamento di non imponibilità a condizione che il loro valore, all’atto dell’importazione, sia stato compreso nella base imponibile ai fini IVA.

    NORMATIVA DI RIFERIMENTO

    L’art. 86, par. 1, lett. b), della Direttiva 2006/112/CE stabilisce che “devono essere compresi nella base imponibile, ove non vi siano già compresi, (...) le spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione, che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato membro d’importazione, nonché quelle risultanti dal trasporto verso un altro luogo di destinazione situato nella Comunità, qualora quest’ultimo sia noto nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta”; il par. 2 del citato art. 86 precisa che, “si considera primo luogo di destinazione, il luogo che figura sulla lettera di vettura o su qualsiasi altro documento sotto la cui scorta i beni sono introdotti nello Stato membro d’importazione. In mancanza di tale indicazione, si considera primo luogo di destinazione il luogo della prima rottura di carico in detto Stato membro”.

    In collegamento con tali previsioni, l’art. 144 della Direttiva 2006/112/CE dispone che “gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile, conformemente all’art. 86, paragrafo 1, lettera b)”.

    Prima dell’intervento ad opera della Legge europea 2018, l’art. 9, comma 1, n. 2) e 4), del D.P.R. n. 633/1972 includeva nel novero dei servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili, rispettivamente:

    • i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma del comma 1 dell’art. 69;

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    • i trasporti di beni in esportazione, in transito o in temporanea importazione, nonché i trasporti di beni in importazione sempreché i corrispettivi dei servizi di spedizione siano assoggettati all’imposta a norma del comma 1 dell’art. 69.

    DISCIPLINA RISULTANTE DALLE MODIFICHE NORMATIVE

    Dalle disposizioni nazionali sopra richiamate si desume agevolmente che, ai fini dell’applicazione della non imponibilità IVA alle prestazioni di trasporto di beni in importazione, nella sua previgente formulazione, l’art. 9 del D.P.R. n. 633/1972 richiedeva l’inclusione dei corrispettivi nella base imponibile e l’assoggettamento a IVA in dogana all’atto dell’importazione.

    La Commissione UE ha ravvisato un contrasto della disciplina nazionale con quella unionale, rappresentata dal combinato disposto degli artt. 86 e 144 della Direttiva 2006/112/CE, nella misura in cui la legislazione italiana, ai fini della non imponibilità dei servizi accessori, richiedeva non solo l’inclusione del relativo valore nella base imponibile, ma anche l’assoggettamento all’IVA in dogana all’atto dell’importazione.

    Per il superamento della predetta censura, all’art. 9, comma 1, n. 2) e 4), del D.P.R. n. 633/1972, il riferimento “all’assoggettamento ad imposta” è stato sostituito con quello “all’inclusione nella base imponibile”.

    In tal modo, conformemente a quanto previsto dalle disposizioni unionali, le spese di trasporto relative all’importazione di beni sono non imponibili a condizione che il relativo corrispettivo sia compreso nella base imponibile anche se non sono state assoggettate a IVA in dogana all’atto dell’importazione.

    La modificata disciplina qualifica, infatti, come servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, non imponibili IVA, da un lato, “i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono inclusi nella base imponibile ai sensi del comma 1 dell’art. 69” (n. 2 del comma 1 dell’art. 9) e, dall’altro, “i servizi di spedizione relativi ai trasporti di cui al precedente n. 1), ai trasporti di beni in esportazione, in transito o in temporanea importazione nonché ai trasporti di beni in importazione sempreché i corrispettivi dei servizi di spedizione siano inclusi nella base imponibile ai sensi del comma 1 dell’art. 69” (n. 4 del comma 1 dell’art. 9).

    SERVIZI ACCESSORI ALLE SPEDIZIONI

    Ad opera della lett. c) del comma1 dell’art. 11 della Legge n. 37/2019, è stato oggetto di modifica anche il n. 4-bis del citato art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, dal quale è stato eliminato il riferimento alle “piccole spedizioni di carattere non commerciale ed alle spedizioni di valore trascurabile”.

    Secondo la sua previgente formulazione, stabiliva la non imponibilità IVA per i servizi accessori relativi “alle piccole spedizioni di carattere non commerciale ed alle spedizioni di valore trascurabile [..]”, sempreché i relativi corrispettivi avessero concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 del citato D.P.R. n. 633/1972 ed ancorché la medesima base imponibile non fosse stata assoggettata all’imposta.

    La disposizione in esame adesso considera non imponibili “i servizi accessori relativi alle spedizioni, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 del presente Decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta”.

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    Approfondimenti

    TRANSFER PRICE: LA PERDITA NON NASCONDE SERVIZI INTRAGRUPPO

    CTR Lombardia sentenza n. 928/20/2019

    Secondo i giudici della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza 928/20/2019) le perdite per periodi prolungati conseguite da una società che appartiene a un gruppo multinazionale possono essere genuine.

    È stata quindi rigettata la tesi dell’ufficio che individua genericamente un servizio intercompany “nascosto”, anche perché il contribuente ha dimostrato le ragioni economiche dei risultati negativi.

    IL CASO

    La controversia nasce da una contestazione per violazione della normativa relativa ai prezzi di trasferimento in capo a una società operante nel settore farmaceutico per gli anni 2010, 2011 e 2012. La contribuente era stata in perdita operativa per un periodo di tempo prolungato (dal 1997 al 2013), mentre il bilancio consolidato di gruppo era in utile.

    A parere dei verificatori la presenza della società in Italia era giustificata dalla volontà del gruppo di mantenere il profilo internazionale per cui la contribuente svolgeva una funzione di marketing a favore della holding per consentire al gruppo stesso di avere visibilità e presenza nel mercato italiano. Da qui nasceva la contestazione per la mancata remunerazione del servizio di marketing intercompany.

    LA SENTENZA

    I giudici di merito hanno rigettato il ricorso dell’ufficio, confermando la sentenza di primo grado, favorevole al contribuente.

    A parere dei giudici l’agenzia delle Entrate aveva costruito su base presuntiva una prestazione di servizi infragruppo senza nulla provare, mentre al contrario la società aveva fornito già in sede di verifica ampie evidenze documentali con riferimento all’evoluzione gestionale e alla peculiarità del mercato farmaceutico che presentava una stazionarietà collegata alla riduzione forzosa dei prezzi dei farmaci, difficoltà di competere con i gruppi di maggiori dimensioni, nonché politiche governative sui prezzi dei farmaci contribuivano a spiegare le perdite.

    La sentenza sembra essere coerente con le Linee guida Ocse.

    Le stesse anche se prevedono che «l’impresa in perdita potrebbe non ricevere una remunerazione adeguata dal gruppo multinazionale del quale fa parte in relazione ai benefici derivanti dalle sue attività» non introducono alcun automatismo che implichi lo svolgimento di un servizio intercompany in caso di risultati negativi.

    Anzi, l’Ocse riconosce espressamente al capitolo 1 che l’analisi sui prezzi di trasferimento deve in primis «identificare le relazioni commerciali e finanziarie tra le imprese associate e le condizioni e le circostanze economicamente rilevanti che caratterizzano dette relazioni

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    in modo da delineare in maniera accurata la transazione». Anche al capitolo 7 si conferma che è fondamentale l’effettiva individuazione dei servizi prestati. Tali analisi non erano state svolte dall’ufficio, mentre il contribuente aveva ampiamente dimostrato le ragioni della perdita.

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    Approfondimenti

    INPS: COMPATIBILITA’ DELL’AMMINISTRATORE-DIPENDENTE

    INPS Messaggio n. 3359 del 18/09/2019

    L’INPS - con il Messaggio del 17 settembre 2019, n. 3359 - ha fornito, alla luce delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità. alcuni chiarimenti in merito alla compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e l’instaurazione, tra la società e la persona fisica che l’amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato; ciò, chiaramente, in ragione del fatto che il riconoscimento di tale rapporto esplica effetto ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali ed assistenziali.

    La Suprema Corte di Cassazione ha infatti più volte affermato che “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente”.

    COMPATIBILITÀ DELLE CARICHE SOCIETARIE

    La carica di membro o anche presidente del consiglio di amministrazione di una società, poiché sottoposta alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale non è incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente presso la medesima persona giuridica.

    L’amministratore unico della società, invece, è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina.

    Nel caso dell’amministratore delegato, la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione a tale organo è rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza della carica con quella di lavoratore dipendente.

    La configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è, inoltre, da escludere con riferimento all’unico socio, giacché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.

    CARATTERI TIPICI DELLA SUBORDINAZIONE

    Una volta stabilita l’astratta possibilità di instaurazione, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, di un autonomo e parallelo diverso rapporto che può assumere le caratteristiche del lavoro subordinato, dovrà accertarsi in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione.

    Ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro dipendente si terrà conto della sussistenza anche di altri elementi sintomatici della subordinazione quali:

    - la periodicità e la predeterminazione della retribuzione;

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    - l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro;

    - l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale;

    - l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale;

    - l’assenza di rischio in capo al lavoratore;

    - la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari, etc.

    COMPATIBILITÀ TRA CARICHE E LAVORO DIPENDENTE

    La valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:

    - che il potere deliberativo sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;

    - che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione, cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;

    - che il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.

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    Approfondimenti

    CREDITO DI IMPOSTA PER INVESTIMENTI PUBBLICITARI 2019

    Art. 57/bis DL 50/2017

    L’art. 57-bis del DL 24.4.2017 n. 50 (conv. L. 21.6.2017 n. 96), come modificato dall’art. 4 del DL 16.10.2017 n. 148 (conv. L. 4.12.2017 n. 172), ha previsto il riconoscimento di un credito d’imposta per gli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie su stampa, radio e televisioni.

    Con il DPCM 16.5.2018 n. 90, pubblicato sulla G.U. 24.7.2018 n. 170, sono state emanate le disposizioni attuative di tale agevolazione.

    L’art. 3-bis del DL 28.6.2019 n. 59 (conv. L. 8.8.2019 n. 81) ha modificato il citato art. 57-bis del DL 50/2017, riformulando, dal 2019, la misura agevolativa e individuando le necessarie coperture per l’applicazione dell’agevolazione “a regime”.

    Al fine di accedere all’agevolazione i soggetti interessati devono presentare una comunicazione mediante un apposito modello, approvato con provvedimento del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 31.7.2018.

    SOGGETTI BENEFICIARI

    Possono beneficiare del credito d’imposta in esame:

    • le imprese;

    • i lavoratori autonomi;

    • gli enti non commerciali.

    L’agevolazione si applica indipendentemente:

    • dalla natura giuridica assunta;

    • dalle dimensioni aziendali;

    • dal regime contabile adottato.

    OGGETTO DELL’AGEVOLAZIONE

    Sono oggetto dell’agevolazione gli investimenti in campagne pubblicitarie effettuati:

    • sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line;

    • sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.

    Investimenti agevolabili

    Sono agevolabili gli investimenti incrementali riferiti all’acquisto di spazi pubblicitari e inserzioni commerciali effettuati:

    • su giornali quotidiani e periodici (nazionali e locali), pubblicati in edizione cartacea o editi in formato digitale, iscritti presso il competente Tribunale ovvero presso il Registro

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    degli operatori di comunicazione e, in ogni caso, dotati della figura del direttore responsabile;

    • nell’ambito della programmazione su emittenti radiofoniche e televisive locali, analogiche o digitali, iscritte presso il Registro degli operatori di comunicazione.

    Investimenti incrementali

    Per beneficiare dell’agevolazione il valore complessivo degli investimenti deve superare almeno dell’1% l’ammontare degli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente sugli stessi mezzi di informazione.

    Per “stessi mezzi di informazione” si intendono le tipologie di canale informativo, quindi la stampa, da una parte, e le emittenti radio-televisive dall’altra (non le singole testate giornalistiche o radiotelevisive).

    Spese escluse

    Sono escluse dall’agevolazione le spese sostenute per:

    • l’acquisto di spazi nell’ambito della programmazione o dei palinsesti editoriali per pubblicizzare o promuovere televendite di beni e servizi di qualunque tipologia;

    • la trasmissione o l’acquisto di spot radio e televisivi di inserzioni o spazi promozionali relativi a servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro, di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovraprezzo.

    Inoltre, le spese per l’acquisto di pubblicità sono ammissibili al netto:

    • delle spese accessorie;

    • dei costi di intermediazione;

    • di ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad esso funzionale o connessa.

    PROFILI TEMPORALI

    Sono agevolabili i suddetti investimenti pubblicitari incrementali su stampa, radio e televisioni effettuati dall’1.1.2018 (oltre a quelli effettuati dal 24.6.2017 al 31.12.2017 esclusivamente sulla stampa).

    Sono quindi agevolabili anche gli investimenti effettuati nel 2019.

    Attestazione di effettivo sostenimento delle spese

    L’effettivo sostenimento delle spese, ai sensi dell’art. 109 del TUIR, deve risultare da apposita attestazione rilasciata:

    • dai soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali;

    • ovvero, dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti.

    MISURA DELL’AGEVOLAZIONE

    Il credito d’imposta per il 2017 e 2018 era pari:

    • al 75% del valore degli investimenti incrementali effettuati;

    • al 90% degli investimenti incrementali nel caso di PMI e start up innovative; fino all’ap-provazione della Commissione europea, anche per le PMI e le start up innovative il credito d’imposta spetta nella misura ordinaria del 75%.

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    Dal 2019, il credito d’imposta è invece previsto nella misura unica del 75% per tutti i soggetti.

    In ogni caso, l’agevolazione è riconosciuta:

    • nei limiti delle risorse disponibili;

    • nel rispetto dei limiti previsti dal regolamento UE sul regime de minimis (1407/2013).

    ACCESSO ALL’AGEVOLAZIONE

    Al fine di accedere al beneficio, i soggetti interessati devono presentare, mediante l’apposito modello:

    • la “comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”, contenente i dati degli investimenti effettuati o da effettuare nell’anno agevolato;

    • la “dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati”, resa per dichiarare che gli investimenti indicati nella comunicazione per l’accesso al credito d’imposta, presentata in precedenza, sono stati effettivamente realizzati nell’anno agevolato e che gli stessi soddisfano i requisiti richiesti.

    Fermi restando i previsti termini di presentazione, non rileva l’ordine temporale di invio dei modelli.

    Modalità di presentazione

    La comunicazione e la dichiarazione sostitutiva devono essere presentate:

    • al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

    • utilizzando i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate;

    • direttamente, da parte dei soggetti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, ovvero tramite una società del gruppo (se il richiedente fa parte di un gruppo societario), ovvero tramite gli intermediari abilitati (professionisti, associazioni di categoria, CAF, ecc.).

    Termini di presentazione

    Con riferimento agli investimenti effettuati nel 2019:

    • la “comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”, necessaria per l’accesso al beneficio per l’anno 2019, deve essere presentata dall’1.10.2019 al 31.10.2019;

    • la “dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati” per l’anno 2019 dovrebbe essere presentata, salvo diversa indicazione, dall’1.1.2020 al 31.1.2020.

    CONCESSIONE DELL’AGEVOLAZIONE

    Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri forma l’elenco dei soggetti richiedenti il credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari, con l’indicazione:

    • dell’eventuale percentuale provvisoria di riparto in caso di insufficienza delle risorse;

    • dell’importo teoricamente fruibile da ciascun soggetto dopo la realizzazione dell’investimento incrementale.

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    L’ammontare del credito effettivamente fruibile dopo l’accertamento in ordine agli investimenti effettuati è disposto con apposito provvedimento del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che sarà pubblicato sul sito istituzionale del Dipartimento stesso.

    UTILIZZO DEL CREDITO D’IMPOSTA

    Il credito d’imposta riconosciuto è utilizzabile:

    • esclusivamente in compensazione mediante il modello F24 (codice tributo “6900”, istituito dalla ris. Agenzia delle Entrate 8.4.2019 n. 41), ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97, da presentare tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate pena il relativo scarto;

    • a decorrere dal quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento che comunica l’ammontare spettante.

    DIVIETO DI CUMULO CON ALTRE AGEVOLAZIONI

    Il credito d’imposta è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione prevista dalla normativa statale, regionale o europea.

    INDICAZIONE NELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

    Il credito d’imposta è indicato:

    • nella dichiarazione dei redditi relativa ai periodi d’imposta di maturazione, a seguito degli investimenti effettuati;

    • nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi, fino a quello nel corso del quale se ne conclude l’utilizzo.

    IPOTESI DI REVOCA

    Il credito d’imposta è revocato nel caso in cui:

    • venga accertata l’insussistenza di uno dei requisiti previsti;

    • ovvero, la documentazione presentata contenga elementi non veritieri o risultino false le dichiarazioni rese.

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    Approfondimenti

    RESI MERCE CON DOCUMENTO COMMERCIALE: VALIDE LE VECCHIE PROCEDURE

    Principio di Diritto 02/08/2019 n. 21

    Le procedure di reso previste in caso di cessioni di beni documentate mediante scontrino fiscale sono applicabili anche in caso di operazioni certificate mediante il nuovo documento commerciale. È quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate con il principio di diritto n. 21 pubblicato lo scorso 2 agosto.

    IL DOCUMENTO COMMERCIALE

    Il documento commerciale, così come definito dal DM 7 dicembre 2016, è emesso dai soggetti passivi IVA tenuti alla memorizzazione elettronica e alla trasmissione telematica dei corrispettivi, ed è rilasciato, in luogo dello scontrino o della ricevuta fiscale (e salvo che sia emessa fattura), al fine di documentare le operazioni almeno ai fini commerciali. Per tali soggetti, infatti, l’obbligo di certificazione fiscale risulta assolto mediante i nuovi adempimenti telematici.

    LE PROCEDURE DI RESO

    L’Agenzia fornisce indicazioni circa le procedure da attuare nell’ipotesi in cui un soggetto obbligato alla trasmissione dei corrispettivi si trovi nella condizione di dover effettuare la sostituzione di un bene, ovvero di fornire all’acquirente il rimborso totale del prezzo pagato. Vengono richiamati, a tal proposito, i chiarimenti contenuti nelle risoluzioni n. 154/2001 e n. 219/2003, riguardanti i “resi merce” effettuati a fronte di operazioni certificate da scontrino fiscale.

    Con il primo dei documenti citati, l’Agenzia ha riconosciuto la possibilità di sostituire un bene acquistato presso un esercente della grande distribuzione con altro prodotto di uguale o maggior valore, ovvero con un “buono acquisto” da spendere in un momento successivo. In entrambi i casi, il recupero dell’imposta è ammesso solo al momento di effettuazione di una nuova operazione, sottraendo dal corrispettivo di quest’ultima il prezzo della merce sostituita, che viene evidenziato nel nuovo scontrino emesso alla voce “rimborsi per restituzione merce venduta”.

    Tuttavia, tale procedura è ammessa a condizione che l’aliquota IVA applicata ai beni resi sia la stessa applicabile ai beni ceduti in sostituzione (salvo che l’esercente applichi il metodo della ventilazione). L’esercente, inoltre, è tenuto ad acquisire lo scontrino originario, anche in copia fotostatica, e a conservare sia questo che l’eventuale “buono acquisto”.

    Con riguardo all’ipotesi di restituzione dei beni con rimborso integrale del prezzo, occorre, invece, fare riferimento alla ris. n. 219/2003. Questa prevede la possibilità che l’esercente, all’atto della restituzione dei beni e della presentazione dello scontrino originario, apra una pratica di reso, attribuendo alla stessa un numero di identificazione, e indicandovi tutti i dati e i documenti relativi all’originaria operazione e alla sua risoluzione. Il numero di tale pratica deve essere poi riportato sia nella scrittura effettuata per registrare

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    la restituzione dei beni nella contabilità di magazzino, sia nel nuovo scontrino fiscale rilasciato al cliente (contenente l’indicazione “rimborso per restituzione vendita”). L’esercente deve poi registrare lo scontrino con segno negativo, in diminuzione dei corrispettivi del giorno soggetti alla medesima aliquota IVA del bene restituito e restituire al cliente il prezzo pagato, facendogli sottoscrivere apposita ricevuta. La pratica di reso, inoltre, deve essere conservata fino alla scadenza dei termini di accertamento.

    PRINCIPIO DI DIRITTO N. 21/2019

    Secondo quanto affermato dal principio di diritto n. 21, le procedure sopra descritte restano applicabili anche nell’ipotesi di operazioni certificate mediante documento commerciale, purché la procedura adottata consenta di correlare l’operazione di reso all’acquisto originario, garantendo, di fatto, l’acquisizione da parte dell’Amministrazione finanziaria, di tutte le informazioni che potrebbero ottenersi da analoga rettifica operata ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72, nel caso di operazioni documentate mediante fattura.

    Pertanto, la procedura di reso dovrà fornire almeno le seguenti informazioni: le generalità del soggetto acquirente, l’ammontare del prezzo rimborsato, il riferimento al documento originario e il numero di identificazione attribuito alla pratica di reso (che dovrà essere riportato su ogni documento emesso per certificare il rimborso). Le scritture ausiliarie di magazzino che attestano la movimentazione del bene, precisa l’Agenzia, sono di supporto agli elementi richiamati.

    Nessuna indicazione specifica viene fornita circa le modalità di utilizzo del documento commerciale di “reso” nell’ambito delle suddette procedure. Tale documento può essere generato mediante i registratori telematici o mediante la procedura web dell’Agenzia delle Entrate e riporta, fra l’altro, il numero e la data del documento di acquisto originario, nonché l’ammontare del prezzo rimborsato.

    Viene però precisato, in ultimo, che la procedura di reso adottata deve consentire all’Amministrazione finanziaria di ricostruire la vicenda di ogni singola operazione economica e che questa deve trovare perfetta rispondenza nell’ammontare dei corrispettivi trasmessi e nelle registrazioni effettuate.

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    Approfondimenti

    LE NUOVE REGOLE DEL TEMPO DETERMINATO ALLA LUCE DEL REINSERIMENTO DELLE CLAUSOLE GIUSTIFICATRICI

    Già nella newsletter relativa al mese di luglio 2019 abbiamo esaminato le caratteristiche fondamentali del contratto a tempo determinato alla luce del D.L. n. 87/2018 soffermandoci in particolare sulla nuova durata di tale tipologia contrattuale (24 mesi e non più 36) e sul numero massimo di proroghe possibili (ora quattro e non più cinque).

    Ora il tema da affrontare e che potrebbe essere oggetto di un ampio contenzioso, è rappresentato dalla reintroduzione delle “causali” giustificatrici di tale tipologia contrattuale e che erano già state introdotte, per poi essere soppresse, con il D.Lgs. n. 368/2001 (il quale aveva introdotto le causali legate a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo); il problema principale, in sostanza, è rappresentato dal fatto che la contrattazione collettiva non si è espressa in alcun modo sulla reale interpretazione di tali causali lasciando così ogni decisione in mano al Legislatore.

    Innanzitutto, occorre ricordare che l’apposizione delle causali diventa obbligatoria nel caso in cui il contratto a tempo determinato superi la durata dei 12 mesi; oltrepassando tale durata (sempre rimanendo, però, nell’arco temporale dei 24 mesi) è necessario introdurre all’interno del contratto a tempo determinato una delle seguenti causali:

    - esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’attività, ovvero per esigenze sostitutive di altri lavoratori;

    - esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria: a tal riguardo si è espresso “in extremis” il D.L. 87/2018, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, a tutela delle attività stagionali. L’introduzione di tali causali rischiava, infatti, di bloccare l’esercizio delle attività stagionali; alla fine, per non incorrere nel rischio di bloccare tali attività, il D.Lgs. n. 81/2015 ha deliberato che i contratti stagionali possano essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle ragioni giustificatrici sopracitate.

    Riteniamo che altra importante considerazione da fare sia rappresentata dal caso in cui si assista al rinnovo di un contratto a termine pur restando all’interno dell’arco temporale dei 12 mesi: in tal caso occorrerà apporre una ragione giustificatrice pur restando nell’ambito del periodo in cui non sia richiesta una ragione giustificatrice (i 12 mesi appunto) in quanto trattasi, in sostanza, di un secondo contratto e non di una mera proroga.

    Il fatto che la contrattazione collettiva non si sia espressa in alcun modo sull’apposizione delle causali giustificatrici, ha determinato come conseguenza che ci si dovesse rifare necessariamente alla contrattazione territoriale od aziendale “riservata alle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a condizione, naturalmente, che l’accordo raggiunto fosse valido nei confronti di tutti i lavoratori e fosse sottoscritto nel rispetto delle norme legali e degli accordi interconfederali secondo le previsioni della Legge 148”.

  • 28

    La peculiarità di tale Legge è rappresentata dal fatto che in essa sono contenute alcune norme derogatorie e tra le materie oggetto di possibile deroga è presente proprio anche il contratto a termine. Ovviamente si può intuire che non sia molto facile, mettendosi ovviamente sotto una prospettiva sindacale, derogare a quanto stabilito dalla Legge o dai contratti collettivi.

    Questo è possibile in presenza di due condizioni:

    - presenza di un obiettivo di scopo: ne sono un esempio la maggiore occupazione, il maggior incremento di competitività e di salario, investimenti in nuove attività;

    - Rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali: in questo caso potrebbe rientrare l’eventuale stipula di un accordo derogatorio della Legge, ma sempre nel rispetto della Direttiva Comunitaria, che potrebbe portare, ad esempio, all’eventuale stipula di un contratto della durata superiore a 12 mesi senza la necessità di apporre una causale; tale stipula, potrebbe, ad esempio, essere dettata dalla necessità di incrementare l’occupazione.

    Tornando all’analisi delle causali, possiamo soffermarci inizialmente su quelle legate a “situazioni temporanee ed oggettive la cui natura sia estranea all’attività produttiva e ad esigenze di sostituzione” : questo è il caso, ad esempio, di contratti stipulati per la sostituzione di ferie, malattia o maternità di altri soggetti presenti nella realtà aziendale. A questo punto può sorgere il dubbio se all’interno di tali contratti stipulati in sostituzione di altri lavoratori sia necessario elencare o meno il nome dei soggetti sostituiti; a tal riguardo occorre ricordare che non è assolutamente necessario elencare per iscritto i soggetti assenti, come del resto nella stipula di un contratto a termine per la sostituzione di un soggetto in maternità non è necessario specificare tutte le caratteristiche legate a tale assenza (fatto, questo, peraltro, confermato già dall’Inps con il messaggio n. 4152 del 17/04/2014).

    La cosa importante da tenere in considerazione è che, anche in questi casi, occorre non superare l’arco temporale dei 24 mesi: in tale circostanza, infatti, si avrebbe l’immediata trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, anche in sommatoria con precedenti contratti, seppure in somministrazione ma riferibili a mansioni eseguite nel medesimo livello di inquadramento.

    Per quanto concerne le altre causali, ossia “esigenze temporanee ed oggettive estranee all’attività ordinaria e quelle connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività lavorativa”, emergono già da ora tantissimi dubbi e numerose difficoltà in quanto è evidente che un determinato datore di lavoro ricorra, ad esempio, ad una nuova assunzione a termine in quanto necessita di una figura professionale che svolga un’attività non “estranea” all’ordinaria attività di impresa; da aggiungere, poi, che non sempre sono presenti incrementi temporanei di lavoro, dovuti, ad esempio, ad una particolare commessa di grande entità. Ovviamente il “vuoto” della contrattazione collettiva non apporta alcun aiuto, come sopracitato, in tal senso e si pensa che il Legislatore cerchi sempre di più il modo per incentivare il lavoro subordinato a tempo indeterminato, il contratto, cioè, per eccellenza di lavoro subordinato.

    La mancata apposizione della causale porterà alla trasformazione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, senza bisogno di ulteriori “passaggi.

    Nel caso in cui il datore di lavoro si accorgesse, in sede di contratto a termine, della non necessità di stipulare un contratto a tempo indeterminato, potrebbe valutare di interrompere il contratto a tempo determinato prima della scadenza (pagando le eventuali mensilità mancanti al lavoratore, ove il soggetto le rivendicasse) del termine piuttosto che vedersi trasformare il contratto del dipendente a tempo indeterminato con tutte le conseguenze correlate.

  • 29

    Ci sono casi in cui lo sforamento dell’arco temporale dei 12 mesi, ovvero il dipendente continui il proprio lavoro alle dipendenze del datore di lavoro, decorso il termine stabilito, determini la corresponsione di maggiorazioni su tali “sforamenti” ed in particolare:

    - una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione pari al 20% fino al decimo giorno successivo allo “sforamento”;

    - 40% per ciascun giorno ulteriore al decimo giorno di “sforamento”.

    Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore ai sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno nei casi di contratto superiore a sei mesi, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

    Tutto ciò, come sopracitato, si pone totalmente in contrasto con quanto abbiamo detto in precedenza in merito all’assenza di una “causale” nei contratti di durata superiore ai 12 mesi; purtroppo, l’assenza di qualsiasi intervento della contrattazione collettiva a tal riguardo lascia un grandissimo potere discrezionale al Legislatore il quale sarà proprio lui a stabilire, a seconda dei casi, da quando far decorrere la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.

    Appare utile ricordare, inoltre, che con il D.L. 87/2018 sono cambiati anche i termini di impugnazione del licenziamento: tale impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, pena la decadenza, entro 180 giorni, e non più 120 come prima, dalla comunicazione del licenziamento in forma scritta; da sottolineare, infine, che, come sempre, tale impugnazione non ha alcuna validità se non si verifica, come in passato, il deposito del ricorso presso la cancelleria del Tribunale di competenza.

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    Approfondimenti

    SPESE LEGALI PER PROCESSI PENALI DELL’AMMINISTRATORE: IVA NON DETRAIBILE

    Cass. Sentenza 06/08/2019 n. 20945

    La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20945 del 6 agosto 2019, ha stabilito che il costo relativo alle spese per la difesa penale del presidente e amministratore della società difetta del requisito dell’inerenza e, pertanto, non essendo qualificabile come costo di operazioni sociali legittime o rientranti nell’oggetto sociale, non può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA.

    IL CASO IN ESAME

    Dibattuta, nella vicenda in commento, la detraibilità dell’IVA connessa ai compensi per prestazioni legali rese per l’assistenza del Presidente e amministratore delegato pro tempore della società, coinvolto in alcuni procedimenti penali.

    Parte privata si difendeva sottolineando che l’attività professionale oggetto delle fatture contestate riguardasse procedimenti penali instaurati nei confronti del Presidente/amministratore per tentata estorsione e falso in bilancio o nei confronti di terzi per fatti rispetto ai quali lo stesso rivestiva la qualità di parte offesa.

    Le spese, pertanto, avevano avuto origine da fatti asseritamente commessi nell’espletamento della propria funzione istituzionale e, per tale motivo, doveva ritenersi dimostrato il requisito dell’inerenza del costo.

    Di diverso avviso i giudici di merito, i quali constatavano il carattere personale dei procedimenti penali in relazione ai quali erano state rese le prestazioni legali.

    LA SENTENZA

    I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso della società, richiamano il consolidato orientamento in base al quale affinché l’amministratore di una società di capitali ottenga il rimborso delle spese è necessario che abbia sostenuto tali spese a causa, e non semplicemente in occasione, del proprio incarico.

    Rientrano, infatti, nel novero delle attività occasionali, tutte quelle ipotesi in cui le spese siano state effettuate dall’amministratore allo scopo di difendersi in un processo penale per fatti connessi all’incarico, anche se questo si conclude col proscioglimento, poiché quel che rileva è l’assenza del nesso causale fra spese e adempimento del mandato.

    Chiarita l’occasionalità di tali spese, la Suprema Corte ricorda che “il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale», esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità «perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo” (cfr. Cass. 11 gennaio 2018 n. 450).

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    Indicazioni utili possono essere fornite, ai fini della detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, dalle previsioni statutarie, atteso che le stesse non presentano un valore vincolante, ma solo indiziario circa l’inerenza dei relativi costi all’effettivo esercizio dell’impresa, essendo, altresì, necessario che la prestazione non sia isolata e che sia inserita in una specifica attività imprenditoriale (Cass. 18 febbraio 2015 n. 3205).

    Il ricorso della società viene rigettato, inoltre, sulla base di un analogo precedente, in occasione del quale è stata esclusa la deducibilità delle spese legali sostenute da una società per la difesa di propri dipendenti in un procedimento penale originato dalla querela di altri dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro sulla base della circostanza che, ai fini dell’inerenza all’attività d’impresa, non è sufficiente che il costo sia conseguente in senso generico all’esercizio dell’impresa, ma è necessaria la sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. 10 marzo 2017 n. 6185).

    Il principio si pone in linea con la giurisprudenza comunitaria e, nello specifico, con la causa C-104/12 del 21 febbraio 2013, che ha escluso la detraibilità dell’IVA relativa alle spese legali sostenute dall’impresa per la difesa dell’amministratore sottoposto a procedimento penale per corruzione, sebbene il reato commesso avesse determinato un aumento del fatturato imponibile.

    Secondo i giudici comunitari, il nesso di inerenza delle spese legali con l’attività dell’impresa non deve essere determinato in modo oggettivo, in riferimento alla prestazione resa dall’avvocato, bensì tenendo conto dei motivi che l’hanno resa necessaria. In quest’ottica, le spese legali erano state sostenute dall’impresa per tutelare gli interessi privati dell’imputato, accusato di un illecito riconducibile al suo comportamento personale e, di conseguenza, le spese non potevano considerarsi sostenute per l’esercizio dell’attività d’impresa.

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    Approfondimenti

    OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE: E’ REATO SE C’E’ LA CERTIFICAZIONE

    Cass. Sentenza n. 36614 del 29/08/2019

    La Corte di Cassazione con la sentenza n. 36614 del 29/08/2019 è intervenuta a sottolineare una questione in merito al D.L.74/2000 art. 10 – bis relativo all’omesso versamento delle ritenute ed in particolare, in merito alla configurazione del “reato”; esso, infatti, occorre specificare, si realizza quando il sostituto d’imposta rilasci le certificazioni ma non provveda a versare le somme trattenute a titolo di ritenuta entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale.

    Ricordiamo, a tal proposito che il sopracitato D.L. 74/2000 prevede la pena della reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versi, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta.

    Erroneamente si è portati a ritenere che sia sufficiente la presentazione del modello 770 per avvalorare il corretto versamento delle ritenute; a tal proposito, invece la Suprema Corte ha stabilito che il quadro ST del modello 770 “non appare recare alcuna specifica indicazione in ordine al rilascio delle certificazioni, avendo, invece, ad oggetto unicamente i dati dell’importo versato e delle ritenute operate. Né alcun valore probatorio potrebbe, evidentemente, connettersi alle istruzioni per la compilazione del modello 770”.

    Si è arrivati, pertanto, alla conclusione stabilita appunto dalla sentenza sopracitata, che ai fini della condanna per mancato versamento delle ritenute previdenziali sia necessaria la prova del rilascio delle certificazioni da parte dell’imprenditore ai suoi dipendenti, non essendo sufficienti il pagamento degli stipendi e la presentazione del modello 770.

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    Approfondimenti

    TERMINI DI EMISSIONE DELLA FATTURA ELETTRONICA E SANZIONI

    Secondo quanto previsto dall’articolo 21 del D.P.R. 633/1972, per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura. La stessa è emessa entro dodici giorni dall'effettuazione dell'operazione (art. 6 D.P.R. 633/1972).

    La fattura differita (ad esempio, cessioni di beni con documento di trasporto) è emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione.

    La data di effettuazione dell’operazione deve essere riportata in fattura, se diversa dalla data fattura.

    LE SANZIONI

    In caso di fattura emessa con modalità diversa da quella elettronica, la fattura si intende non emessa, per cui si applicano le sanzioni previste dall’articolo 6 D. Lgs. 471/1997. In caso di ritardata emissione di fattura la sanzione ordinaria è applicata nella misura da 250 a 2.000 euro quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo, altrimenti la sanzione è dal 90 al 180% dell’imposta.

    Per le operazioni effettuate nel primo semestre del periodo d’imposta 2019 le sanzioni per ritardata emissione di fattura:

    1) non si applicano se la fattura è stata emessa, con le modalità elettroniche, entro il termine di effettuazione della liquidazione periodica dell’Iva (ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del D.P.R. 100/1998);

    2) si applicano con riduzione dell’80% a condizione che la fattura elettronica sia emessa entro il termine di effettuazione della liquidazione dell’Iva del periodo successivo.

    Per i contribuenti che effettuano la liquidazione periodica dell’imposta sul valore aggiunto con cadenza mensile le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano fino al 30 settembre 2019, in base all’articolo 1, comma 6, D.Lgs. 127/2015.

    L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 14/E/2019, ha chiarito che:

    a) sino al 30 giugno 2019 la disapplicazione/riduzione delle sanzioni era applicabile nei confronti di tutti i contribuenti, indipendentemente dalle modalità di liquidazione dell’imposta (su base mensile o trimestrale);

    b) l’estensione della riduzione sanzionatoria al 30 settembre 2019 per i soggetti che liquidano l’imposta su base mensile si intende riferita alle operazioni effettuate entro tale giorno.

    Pertanto, si applicheranno le sanzioni per ritardata emissione di fattura, ridotte dell’80%, ai contribuenti che entro il 16 novembre, fattureranno:

    - le operazioni del secondo trimestre 2019 (se trimestrali);

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    - le operazioni di settembre 2019 (se mensili).

    Si evidenzia, in riferimento alla data di sabato 16 novembre, che i versamenti e gli adempimenti, anche se telematici, previsti da norme riguardanti l’Amministrazione economico-finanziaria che scadono il sabato o in un giorno festivo sono sempre rinviati al primo giorno lavorativo successivo, così come previsto dall’articolo 7, comma 1, lettera h), D.L. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla Legge 106/2011. Tale precisazione ovviamente vale per tutte le date riferite a termini di scadenza dei vari adempimenti.

    Resta ferma la possibilità di sanare i ritardi di emissione ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso, versando le sanzioni previste ridotte a 1/9 nel caso di perfezionamento entro 90 giorni dall’errore commesso (articolo 13, comma 1, lettera a-bis), D.Lgs 472/1997).

    TERMINI DI EMISSIONE – CASI PARTICOLARI

    Al fine di calcolare la decorrenza del termine di 12 giorni per l’emissione della fattura “immediata” occorre sempre fare riferimento alla “data di effettuazione dell’operazione” (art. 21 comma 4, primo periodo del DPR 633/72).

    Si sottolinea come tale criterio generale non si debba ritenere applicabile alle particolari fattispecie di deroga elencate dall’art. 21 comma 4 ultimo periodo o da altre specifiche disposizioni di legge, che non sono state novellate dalle norme testé citate. L’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 14/E/2019) ha precisato infatti che restano fermi i più ampi termini di emissione della fattura previsti da disposizioni speciali.

    Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a quanto previsto dall’art. 3 del DM 31 ottobre 1974, secondo cui, in caso di somme ricevute in deposito, in ordine alle quali sia impossibile distinguere fra la parte riferita al corrispettivo e quella relativa all’anticipazione di spese in nome e per conto, notai, avvocati e commercialisti devono comunque emettere fattura entro 60 giorni dalla costituzione del deposito. Nell’ipotesi in esame, la lettera della norma si riferisce esplicitamente al termine di emissione, non prevedendo alcun “differimento” del momento di effettuazione dell’operazione. Esemplificando, il legale che abbia percepito in data 1° ottobre 2019 somme in deposito, dovrebbe necessariamente trasmettere la fattura entro il 30 novembre, non potendo procrastinare l’emissione di ulteriori 12 giorni.

    Sul punto si segnala tuttavia che il Consiglio nazionale del Notariato, nel suo Studio n. 178-2018/T, aveva ritenuto che l’incasso del “fondo spese indistinto” non fosse di per sé sufficiente a ritenere integrato il momento di effettuazione dell’operazione che, conseguentemente, avrebbe dovuto essere traslato al decorso del sessantesimo giorno.

    Differente il caso delle cessioni di beni inerenti a contratti estimatori, il cui momento di effettuazione è disciplinato dall’art. 6 comma 2 lett. d) del D.P.R. 633/1972. Tale tipologia contrattuale prevede che una parte consegni all’altra più cose mobili e quest’ultima si impegni a pagarne il prezzo, salvo che le restituisca entro un termine stabilito. Ai fini IVA, la consegna o spedizione dei beni non determina il sorgere del momento impositivo. L’operazione si intende, invece, effettuata alla data in cui il bene è rivenduto a terzi o, per i beni non restituiti, alla scadenza del termine previsto per la restituzione e, in ogni caso, dopo che sia decorso un anno dalla consegna o spedizione. Supponendo, ad esempio, che siano trascorsi 365 giorni dalla consegna del bene, si ritiene che la fattura che certifica la cessione possa essere trasmessa entro gli ulteriori 12 giorni, atteso che il decorso dell’anno coincide con il momento di effettuazione dell’operazione e l’art. 21 comma 4 del D.P.R. 633/1972 statuisce che il termine differito di emissione decorre “dall’effettuazione dell’operazione determinata ai sensi dell’art. 6”.

    TERMINI DI EMISSIONE – LE NOTE DI VARIAZIONE

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    Considerato che, sulla base di quanto stabilito dal provv. Agenzia delle Entrate n. 89757/2018, le regole tecniche stabilite per la fattura elettronica sono valide anche per le note di variazione, è opportuno valutare se possa ritenersi applicabile anche a queste ultime il differimento del termine di trasmissione.

    Nessun dubbio, in proposito, dovrebbe esserci per quanto concerne le cosiddette note di debito, considerato che l’art. 26 del D.P.R. 633/1972 ne impone l’emissione, secondo le regole stabilite per l’art. 21, tutte le volte in cui l’ammontare imponibile o dell’imposta venga ad aumentare. Si pensi al caso degli sconti preventivi concessi in fattura sulla base di pattuizioni contrattuali e, in particolare, all’ipotesi in cui un bene venga ceduto a un prezzo ribassato, a condizione che il pagamento avvenga entro una certa scadenza (cfr. R.M. n. 501171/1975). Decorsa infruttuosamente tale scadenza, il cedente sarà tenuto a emettere una nota di variazione per documentare l’aumento di imponibile e imposta. In tale circostanza si può ragionevolmente ritenere che per la trasmissione del documento si possa beneficiare del termine di 12 giorni dalla data in cui si è verificato il presupposto della variazione.

    Perplessità sorgono, invece, con riferimento alle note di credito. Si pensi, in particolare, ai documenti da emettere qualora l’operazione venga meno, integralmente o parzialmente, per effetto di sopravvenuto accordo fra le parti (art. 26 comma 3 del D.P.R. 633/72). L’Agenzia, con la Circolare n. 1/2018, ha precisato che nel caso di specie la nota di variazione in diminuzione non può essere “emessa dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione”. Stando al tenore letterale del documento di prassi, nell’ipotesi in cui un’operazione effettuata il 31 dicembre 2019 si annulli per effetto di un accordo intervenuto tra le parti il 30 dicembre 2020, non parrebbero sussistere ulteriori 12 giorni per la trasmissione del documento, atteso che nella circolare viene stabilito un limite ultimo per emettere il documento.

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    Approfondimenti

    PREMI DI RISULTATO AI DIPENDENTI: IL PARERE DI COVIP

    Covip messaggio del 20/09/2019

    In data 20/09/2019 la COVIP, (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), è intervenuta fornendo specifici chiarimenti in merito alla destinazione dei premi di risultato a particolari forme pensionistiche complementari.

    Come già ricordato dalla circolare n. 5/E dell’Agenzia delle Entrate del 29/03/2018, i premi di risultato corrisposti dalle aziende ai dipendenti possono essere erogati anche sotto forma di interventi in materia di “welfare”.

    La Covip, a tal riguardo, ricorda che per i premi di risultato del settore privato, spetta proprio al lavoratore decidere se convertire tali premi di risultato sotto forma di beni o servizi di welfare sopracitati.

    Un elemento importante da sottolineare è che il lavoratore non può autonomamente stabilire l’erogazione di tali premi solo sotto forma di denaro; la fungibilità, infatti, tra la componente monetaria e i beni/servizi deve essere rigorosamente stabilita dai contratti aziendali o territoriali, senza alcuna discrezione delle parti.

    Allo stesso modo, soltanto in presenza di un contratto collettivo che consenta la conversione di tali premi di risultato in contributi ad una forma pensionistica complementare, si potrà procedere in tal senso a meno che la contrattazione aziendale o territoriale non disponga diversamente.

    Quindi riassumendo, la Covip, proprio rispondendo ad un intervento recentissimo in materia di previdenza complementare, ha voluto sottolineare che non è lasciato nulla alla libera discrezionalità delle parti (datore di lavoro/lavoratore) in tema di erogazione dei premi di risultato; il lavoratore può solo decidere se tramutarli in strumenti di welfare ma la conversione di tali premi in denaro o in incrementi contributivi alla previdenza complementare devono essere necessariamente disciplinati dalla contrattazione collettiva, ove i contratti territoriali o aziendali non dispongano diversamente.

    Si ricorda che i lavoratori dipendenti che possono beneficiare di tale agevolazione sono coloro che possono beneficiare dell’imposta sostitutiva per i premi di risultato, di cui all’art. 1, comma 1861, della legge di Stabilità 2016 (Legge del 28/12/2015 n. 208 -pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015 – s.o.), così come modificata dall’art. 1, comma 160, lettera d), della legge di bilancio 2017, ovvero lavoratori che nell’anno precedente a quello di percezione del premio siano stati titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore ad euro 80.000 annui (e non più euro 50.000 annui, come in origine previsto dalla legge di Stabilità 2016).

    1 Le disposizioni di cui ai commi da 182 a 185 trovano applicazione per il settore privato e con riferimento ai titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore, nell'anno precedente quello di percezione delle somme di cui al comma 182, a euro 80.000. Se il sostituto d'imposta tenuto ad applicare l'imposta sostitutiva non è lo stesso che ha rilasciato la certificazione unica dei redditi per l'anno precedente, il beneficiario attesta per iscritto l'importo del reddito di lavoro dipendente conseguito nel medesimo anno.

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    Dal Mondo

    UE: TAX GAP IVA IN DISCESA

    Come noto, il tax gap Iva rappresenta la differenza tra il gettito atteso e l’importo effettivamente riscosso, relativamente all’Imposta sul valore aggiunto. Si tratta, in sostanza, del calcolo delle mancate entrate, causato in primo luogo da frodi, fenomeni elusivi ed evasivi, ma anche da errori di calcolo e mancati versamenti.

    Da uno studio pubblicato recentemente dalla Commissione europea emerge che nel 2017 il tax gap Iva registrato complessivamente nei Paesi dell’Unione europea si è attestato a 137,5 miliardi di euro (circa l’11,2% dell’intero gettito Iva affluito nelle casse erariali degli Stati membri), con una riduzione di 8 miliardi rispetto all’anno precedente.

    Lo studio in esame contiene anche una stima preliminare di quanto potrebbe essere stato il tax gap Iva nel 2018, per cui si calcola un’ulteriore riduzione fino a scendere sotto i 130 miliardi di euro.

    LA RADIOGRAFIA DEL TAX GAP IVA

    Per ciascuno Stato membro, lo studio riporta i dati del tax gap in termini percentuali e in termini assoluti.

    Dal primo punto di vista, nel 2017 la Romania ha registrato la maggior quota di tax gap (36%), seguita da Grecia (34 %) e Lituania (25%). I divari minori si riscontrano in Svezia, in Lussemburgo e a Cipro, dove l’Iva mancante stimata si attesta a solo l'1%.

    In termini assoluti, l’Italia ha registrato il maggior ammontare di Iva stimata mancante (circa 33,6 miliardi di euro), seguita da Germania (25 miliardi) e Regno Unito (19 miliardi).

    IL CONFRONTO CON L’ANNO PRECEDENTE È POSITIVO

    Complessivamente, l’ammanco di entrate Iva si è ridotto dal 2016 al 2017, passando da 145,4 miliardi di euro ai 137,5 miliardi del 2017, un miglioramento generale che riflette il trend discendente del tax gap di ben 25 Stati membri: la riduzione del tax gap più significativa l’ha realizzata Malta (-7 punti percentuali), seguita da Polonia (- 6 punti percentuali) e Cipro (- 4 punti percentuali), ma la Commissione ha sottolineato anche il miglioramento dell’Italia e di altri sei Stati, Slovenia, Lussemburgo, Slovacchia, Portoga