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LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE UNA INDAGINE MICROECONOMETRICA SULLE IMPRESE DELLA TOSCANA Firenze, giugno 2003

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LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE

UNA INDAGINE MICROECONOMETRICA SULLE IMPRESE DELLA TOSCANA

Firenze, giugno 2003

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IMPRESA TOSCANA

Periodico di informazionesulla dinamica regionale delle impreseedito dall’Unioncamere ToscanaN. 2/2003

Direttore Pierfrancesco PaciniDirettore responsabile Francesco BarbollaSegreteria di redazione Lauretta ErminiRedazione Unioncamere Toscana

Via della Scala, 85 – 50123 Firenze – Tel. 055/27721

Registrazione Tribunale di Firenze N. 3790 del 29/12/1988Realizzazione stampa Centro Stampa 2P – FirenzeSpedizione in abbonamento postale Comma 20, lettera C, art. 2 Legge 23/12/1996 n. 662 – Firenze

La riproduzione e/o diffusione parziale o totale delle tavole contenute nel presente volume è consentita esclusivamente con la citazione della fonte.

L’indagine è stata coordinata da un Comitato Scientifico costituito da Unioncamere Toscana e composto da:

Pier Angelo Mori (presidente) Dip. Scienze Economiche - Università di FirenzeMauro Lombardi Dip. Scienze Economiche - Università di FirenzeMichelangelo Vasta Dip. Economia Politica - Università di SienaMaria Carla Meini IRPETRita Gelli CCIAA PisaMaurizio Cecconi CCIAA FirenzeDanila Casanova INPS - Direzione Regionale ToscanaRiccardo Perugi Unioncamere ToscanaSimone Bertini Unioncamere Toscana

Ai lavori del Comitato Scientifico ha inoltre contribuito l'Osservatorio Regionale INPS Toscana sul lavoro nero, elusione ed evasione contributiva.

L’indagine è stata curata per conto del Ciriec-Ufficio di Firenze da un gruppo di lavoro composto da:

Alberto Baccini Dipartimento di Economia Politica - Università di SienaDirezione scientifica, coordinamento e redazione del rapporto

Michela Baccini Dipartimento di Statistica - Università di FirenzeAnalisi statistiche

Lucia Castellucci Università BocconiCollaborazione all’elaborazione del rapporto e alla predisposizione dei materiali

Martina Cioni Dipartimento di Scienze Economiche - Università di FirenzeCollaborazione all’elaborazione del rapporto e alla predisposizione dei materiali

Dimitri Stefanini Tutor per l’emersione del lavoro non regolare - Regione ToscanaCollaborazione alla redazione dell’Appendice 2

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Si ringraziano per la gentile collaborazione e per aver consentito l’utilizzo dei dati in loro possesso:

Ferdinando Balzano (Dirigente dell’Ufficio Entrate e Vigilanza dell’INAIL - Direzione Centrale Rischi), Stefano Pantalei (Direttore della Direzione Centrale Vigilanza sulle Entrate ed Economia Sommersa dell’INPS), Raffaello Marchi (Direttore della Direzione Centrale Organizzazione dell’INPS), Giampiero Bianchi (Direttore Regionale INPS Toscana), Danila Casanova (Dirigente del Coordinamento Regionale Vigilanza dell’INPS - Direzione Regionale Toscana), Lucia Tamburrino (Funzionario del Coordinamento Regionale Vigilanza dell’INPS - Direzione Regionale Toscana).

Il presente rapporto si inserisce all’interno di un programma di ricerche promosse da Unioncamere Toscana e riguardanti l’analisi del lavoro irregolare a livello locale. L’obiettivo di queste ricerche è quello di costituire un supporto alle decisioni delle commissioni provinciali e della commissione regionale per l’emersione del lavoro non regolare, con riferimento a quanto previsto all’interno dell’art. 78 della legge 448/98: “…A livello regionale e provinciale sono istituite, presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, commissioni con compiti di analisi del lavoro irregolare a livello territoriale …”.

Le iniziative in corso riguardano la sperimentazione, con la collaborazione del sistema universitario e di altri istituti di ricerca, di metodologie di indagine sul territorio che consentano di individuare le caratteristiche salienti e le dimensioni del fenomeno “lavoro irregolare” nella regione.

È stato pertanto istituito, presso Unioncamere Toscana, un comitato scientifico composto da rappresentanti dell’università, degli istituti di ricerca specializzati e del sistema camerale, con lo scopo di indirizzare, progettare ed impostare le attività finalizzate all’individuazione delle tipicità del fenomeno del sommerso in Toscana.

Il presente lavoro segue la precedente indagine "Lavoro sommerso e contratti atipici: un'analisi sul campo", pubblicata nel n° 1/2002 del periodico di informazione sulla dinamica regionale "Impresa Toscana", edito dall'Unioncamere Toscana e disponibile sul sito www.starnet.unioncamere.it all'interno dell'area territoriale toscana.

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INDICE

INTRODUZIONE 7

1.L'ANALISI ECONOMICA DEL LAVORO SOMMERSO:UNA RASSEGNA DELLA LETTERATURA 91.1 La definizione di economia sommersa 91.2 Verso una rassegna dei modelli di lavoro sommerso 121.3 La misurazione dell'economia sommersa da parte degli

organismi statistici ufficiali 141.4 I modelli macroeconomici di stima dell'economia

sommersa 151.5 Modelli microeconomici di equilibrio parziale dal lato

dell'offerta del lavoro 201.6 Modelli microeconomici di equilibrio parziale dal lato

della domanda di lavoro 251.7 Modelli microeconomici di equilibrio parziale con

portfolio theory 261.8 Modelli microeconomici di equilibrio economico generale 32

2.LE TIPOLOGIE DEL LAVORO SOMMERSO IN TOSCANA:EVIDENZE QUALITATIVE E RISULTATI DELL'ATTIVITÀ ISPETTIVA 432.1 La fenomenologia del sommerso 432.2 I macro-dati Inps 49Appendice 1: I dati sull'attività ispettiva dell'Inps 55Appendice 2: La normativa sull'attività ispettiva dell'Inps 67

3.UN MODELLO MICROECONOMETRICO 753.1 Uno schema teorico di riferimento 753.2 Il modello empirico 813.3 Modello econometrico e procedura di stima 873.4 Il modello per grandi settori 883.5 Il modello per i settori industriali 923.6 Il modello per il terziario 95

4.CONCLUSIONI 97

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 103

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INTRODUZIONE

Questo rapporto sintetizza e porta a compimento un percorso di analisi pluriennale sul lavoro sommerso in Toscana, che si è articolato intorno all’applicazione di strumenti di indagine diversificati, accomunati dalla scelta del livello di analisi microeconomica. L’idea che ci ha guidato è che solo ricostruendo le scelte delle imprese e dei lavoratori sia possibile spiegare il ricorso al lavoro sommerso e suggerire appropriati interventi di policy. Le stime finiscono per trascurare i meccanismi essenziali che spingono imprese e lavoratori a incontrarsi nel mercato del lavoro irregolare; sono utili per individuare le dimensioni complessive del fenomeno, ma rischiano di non essere particolarmente significative per la proposta di interventi correttivi. I detrattori di tali modalità di analisi parlano di misurazioni “senza teoria”, intendendo con ciò che le misurazioni non sono guidate da linee interpretative dei fenomeni e rischiano quindi di configurarsi semplicemente come artefatti statistici.

D’altra parte la ricerca di taglio microeconomico sul lavoro sommerso non è ancora riuscita ad integrare in modo soddisfacente l’analisi teorica con strumenti quantitativi di analisi. Come vedremo meglio nel primo capitolo, i lavori microeconomici non hanno mai utilizzato strumenti di analisi empirica e tantomeno strumenti quantitativi, limitandosi al più a interpretare le stime macro disponibili sulla base di teorie micro.

Anche il nostro percorso di indagine nelle prime fasi ha seguito le linee più diffuse di analisi microeconomica. E’ infatti iniziato nel 1999 con una ricerca svolta dal Dipartimento di scienze economiche dell’Università di Firenze per conto del Servizio Lavoro della Regione Toscana, nella quale sono state applicate estesamente al territorio regionale le tecniche di indagine messe a punto dal gruppo di Luca Meldolesi. Ciò ha permesso di descrivere dettagliatamente le tipologie di lavoro sommerso maggiormente diffuse in ambito regionale. La seconda tappa del percorso di ricerca è consistita in un approfondimento della relazione tra lavoro sommerso e diffusione dei lavori atipici, condotta con le stesse tecniche di analisi qualitativa, per conto di Unioncamere Toscana (Unioncamere Toscana, 2002). Con questo secondo lavoro riteniamo di avere esaurito le possibilità conoscitive connesse all’uso di tecniche di rilevazione qualitativa del fenomeno. Entrambi i lavori ci sono serviti per individuare alcuni dei meccanismi microeconomici alla base delle scelte di lavoratori ed imprese.

La terza tappa è quella che presentiamo in questo Rapporto ed ha un obiettivo più ambizioso: fornire una stima microeconometrica dell’uso di lavoro sommerso

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da parte delle imprese della Toscana, condotta sui dati delle attività ispettive dell’Inps. A questo fine abbiamo proceduto schematizzando il problema della scelta da parte dell’impresa del mix ottimale di lavoratori regolari e sommersi da utilizzare nel ciclo produttivo; ed abbiamo messo a punto uno strumento analitico in grado di stimare tale uso. I dati che abbiamo utilizzato sono in sé di difficile interpretazione, e tutti coloro che li hanno commentati non hanno potuto non rilevare le distorsioni indotte dall’attività amministrativa. Il nostro lavoro ha permesso di individuare sistematicamente tutte le distorsioni e produrre stime corrette dell’uso di lavoro sommerso in imprese appartenenti a settori diversi, in diverse localizzazioni, e con dimensione diversa.

Il lavoro è organizzato come segue. Il primo capitolo contiene una rassegna della letteratura internazionale sul tema del lavoro sommerso, che completa altri lavori già pubblicati perché considera in modo sistematico anche i pochi modelli microeconomici esistenti. Il capitolo 2 sintetizza lo stato delle conoscenze sulle tipologie del sommerso toscano (§ 2.1) e presenta i dati aggregati sul lavoro sommerso di fonte Inps per gli anni 2000-2002, al fine di contestualizzare la Toscana nel panorama nazionale. Il capitolo 3 contiene il modello microeconometrico; seguono alcune considerazioni conclusive e di policy.

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1.L’ANALISI ECONOMICA DEL LAVORO SOMMERSO: UNA RASSEGNA DELLA LETTERATURA

1.1La definizione di economia sommersa

Lo studio dell’economia sommersa e del lavoro sommerso risulta difficoltoso già in fase definitoria. La varietà dei nomi -economia irregolare, nascosta, sommersa, informale, ombra- e dei fenomeni ad essi sottesi fa sì che il primo problema per lo studio del sommerso sia quello di darne una definizione sufficientemente precisa.

Possiamo considerare l’economia sommersa come comprendente in sostanza due tipi di attività che danno luogo alla creazione di reddito: 1. Le attività economiche di produzione di beni e servizi legali, ma non registrate al fine di evadere od eludere le tasse; 2. Le attività economiche illegali. Per entrambi i tipi di sommerso è possibile distinguere tra attività che danno luogo a transazioni monetarie (ad esempio rispettivamente salari non dichiarati e commercio di droga) e non-monetarie (baratto di beni e servizi, produzione di droga per uso personale). Naturalmente le attività economiche sommerse legali e illegali danno luogo a lavoro sommerso, come tale illegale.

Questa classificazione, sintetizzata nello schema 1.1, è funzionale soprattutto ai fini dell’applicazione dei metodi di stima macroeconomica dell’economia sommersa, in primo luogo il cosiddetto metodo della domanda di moneta (si veda § 1.4).

Ai fini del nostro ragionamento questa classificazione appare utile, ma non del tutto soddisfacente. Il punto è questo: perché si possa parlare di attività sommerse è necessario che esista una normativa (civile, penale, fiscale, assicurativa e contributiva) rispetto alla quale sia possibile individuare attività che non risultino conformi, ovviamente secondo modalità diverse (Baldassarini-Sacco, 1998). È allora possibile chiamare sommerse tali attività. In questo senso la definizione comprende sostanzialmente attività svolte in condizioni di non rispetto di qualche ambito (civile, fiscale etc.) della legalità. L’economia sommersa abbraccia dunque un vasto intervallo di attività, da quelle criminali a quelle informali e nascoste (alle rilevazioni ufficiali), svolte, per esempio, all’interno del nucleo famigliare.

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Schema 1.1ECONOMIA SOMMERSA

Attività Transazioni monetarie Transazioni non monetarie

Illegali

Commercio di oggetti rubati; produzione e commercio di sostanze stupefacenti; prostituzione; scommesse clandestine, contrabbando e truffa

Baratto: stupefacenti, oggetti rubati, contrabbando, etc.Produzione o coltivazione di sostanze stupefacenti per uso personaleFurti per uso personale

Legali

Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscaleEntrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari e guadagni da lavori non dichiarati relativi a beni e servizi prodotti legalmente

Sconti per dipendenti e fringe benefits

Baratto di beni e servizi

Attività fai da te escambio di favori

Fonte: Schneider-Enste (2000, p. 79)

Una classificazione ricca di maggiori dettagli analitici deriva dalle indicazioni presenti nel Sistema dei Conti Nazionali delle Nazioni Unite (SNA, 1993) per l’identificazione dell’economia sommersa in relazione all’elaborazione dei conti nazionali, che come tali devono comprendere sia le attività osservate e registrate che quelle non direttamente osservate. Tali indicazioni stanno alla base delle elaborazioni dell’Istat e di tutti gli istituti nazionali di statistica sia in ambito europeo che mondiale, e in tal senso seguirle può essere utile anche in vista dell’esame del dibattito presente negli studi empirici.

Lo SNA prende come punto di riferimento una definizione di produzione che abbraccia tutte le attività di creazione di beni e servizi, che sono oggetto di scambio e per i quali è possibile accertare un valore monetario. In essa sono pertanto compresi beni e servizi forniti dalle amministrazioni pubbliche, mentre ne sono esclusi la produzione domestica, il volontariato svolto come prestazione di servizi e le attività illegali redistributive (furto, estorsione). Pertanto sono individuate tre classi di attività non osservate: 1. le attività illegali, definite sia come produzione di beni e servizi la cui vendita è

proibita, sia come attività legali svolte da soggetti non autorizzati;2. le attività informali, comprendenti la produzione di beni e servizi volta a fornire

reddito alle persone coinvolte, svolta in unità produttive caratterizzate da bassi livelli di organizzazione e di divisione dei fattori -capitale e lavoro-, da relazioni di lavoro fondate su rapporti personali di vario genere e da occupazione occasionale. Il settore informale può essere identificato considerando la dimensione delle unità e le caratteristiche della legislazione, che può non prevedere l’obbligo di registrazione delle attività (Baldassarini-Sacco, 1998);

3. le attività sommerse, indicanti l’insieme di produzione legale che viene occultata alla pubblica amministrazione, allo scopo sia di evadere i contributi sociali e/o le imposte, sia di eludere l’osservanza delle normative relative a vari

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aspetti della produzione (sicurezza, norme sull’orario e sulle retribuzioni minime, etc.). In questo senso il sommerso include sia il sommerso economico, il cui fine è evadere o eludere le norme vigenti in materia di lavoro allo scopo di ridurre i costi di produzione, sia il sommerso statistico, quale effetto della mancata rilevazione a causa di difficoltà di varia natura a carico o delle unità produttive o degli enti a ciò preposti.Nel lavoro sommerso, detto anche non regolare risulta compreso:

il lavoro irregolare, effettuato sia in violazione delle disposizioni legislative e contrattuali, sia con parziale registrazione, sia con evasione degli oneri contributivi e sociali;

il lavoro non registrato, ovvero quello che evadendo in modo completo le normative relative al lavoro, è potenzialmente del tutto escluso dalle rilevazioni ufficiali (Baldassarrini-Sacco, 1998).

Rispetto alla stringata tassonomia dello schema 1.1, le indicazioni dello SNA servono a mettere in evidenza un punto di importanza fondamentale per quanto riguarda le indagini empiriche: l’ambito e l’estensione del lavoro sommerso dipende dalla normativa che definisce l’economia legale. Si può considerare a titolo di esempio la riduzione forzata dell’orario di lavoro; nella misura in cui l’orario di lavoro sia ridotto forzosamente e ciò non corrisponda alle scelte ottime dei lavoratori esiste la possibilità che si verifichi un incremento dell’economia sommersa, come è accaduto con l’esperimento di work-sharing degli impianti Volkswagen (Hunt, 1999).

In questo senso può essere utile una osservazione del tutto banale: quanto più sono numerose le norme di riferimento tanto maggiore è la probabilità che un qualsiasi soggetto dell’economia (lavoratore e impresa) trovi una norma che sia per qualche ragione conveniente non rispettare. In modo più elegante si è sostenuto che un sistema regolativo caratterizzato da molte norme può determinare una riduzione delle possibilità di scelta degli individui nell’economia emersa. Ciò può determinare incentivi per imprese e lavoratori a ricorrere al sommerso. Alcuni studi hanno mostrato che al crescere dell’intensità di regolazione (misurata con il numero di leggi che regolano mercato delle attività e del lavoro), cresce il peso dell’economia sommersa (Johnson-Kaufmann-Zoido Lobaton, 1998; Friedman et al., 2000). Il risultato di una crescita della complessità del sistema regolativo non è però scontato. Si deve infatti tenere conto che ad una maggiore complessità può accompagnarsi una riduzione degli incentivi a svolgere attività sommerse. Questo risultato, a prima vista paradossale, deriva dal fatto che un sistema fiscale complesso facilita fortemente l’elusione fiscale. Ciò riduce la differenza tra l’utilità attesa derivante dallo svolgimento di attività emerse, per le quali si può eludere il fisco, e quella derivante dallo svolgimento delle stesse attività sommerse.

Dalle riflessioni svolte finora possiamo trarre una prima considerazione di ordine generale: la definizione di attività sommerse non può essere individuata

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senza avere definito un contesto legislativo di riferimento. Dal punto di vista delle statistiche di contabilità nazionale questo non rappresenta un punto critico, almeno quando si stimano economie sommerse di paesi che hanno livelli di sviluppo paragonabili. Rappresenta invece il punto critico fondamentale quando si voglia passare all’ambito microeconomico.

Consideriamo il problema di definire gli incentivi di lavoratori e imprese a svolgere attività sommerse piuttosto che agire nella legalità. Il sistema di incentivi e disincentivi dipende essenzialmente dalla normativa rispetto alla quale viene presa la decisione. L’esempio più noto è quello della crescita della pressione fiscale e dell’aumento del peso dei contributi sociali; l’idea di base è che quanto più alta è la differenza tra il costo totale del lavoro e la remunerazione netta del lavoratore, tanto maggiore è l’incentivo per il lavoratore ed il datore di lavoro ad entrare nel sommerso. La differenza tra il costo totale del lavoro e il netto in busta paga dipende dal sistema di tassazione che, quindi, agisce direttamente nel determinare gli incentivi alla sommersione.

1.2Verso una rassegna dei modelli di lavoro sommerso

Da quanto sostenuto finora emergono molti se non tutti gli spunti di riflessione che sono alla base dell’ampia letteratura sul sommerso. Essa può nella sostanza essere suddivisa in due grandi gruppi che al loro interno contengono lavori molto eterogenei tra loro. Nel primo gruppo troviamo lavori di taglio macroeconomico. Tra essi possiamo distinguere due filoni: 1. letteratura economico-statistica che ha per obiettivo la stima a livello macro del

peso dell’economia sommersa nelle economie nazionali. Consideriamo in questo filone essenzialmente i lavori svolti in relazione alle attività istituzionali di misurazione dagli organismi statistici nazionali ed internazionali;

2. modelli macroeconomici di stima dell’economia sommersa: in questo filone consideriamo tutti i modelli di stima dell’economia sommersa basati su dati di contabilità nazionale, ma che usano una modellistica economica di riferimento complessa, quali i modelli di domanda di moneta o i consumi elettrici (per una rassegna Schneider-Enste 2000). Nel secondo gruppo sono compresi invece lavori di impianto microeconomico.

Con questo gruppo intendiamo identificare modelli che partono da ipotesi di comportamento di agenti economici individuali (lavoratori e imprese) per spiegarne le scelte di operare in attività regolari o sommerse. Alcuni di questi lavori si pongono l’obiettivo di giungere a stime macroeconomiche del peso del sommerso; altri si limitano a spiegare le scelte dei soggetti. Certo è che l’eterogeneità di questo gruppo di lavori è molto elevata; ed è altresì vero che si

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tratta dei lavori per i quali manca una rassegna esauriente della letteratura, quella che ci accingiamo a fare nelle pagine che seguono. Questi lavori possono essere utilmente raggruppati secondo la seguente tassonomia:

1. modelli di equilibrio parziale dal lato dell’offerta di lavoro. Si tratta di modelli di equilibrio parziale, che considerano generalmente il solo mercato del lavoro, costruiti con ipotesi particolari per quanto riguarda l’offerta di lavoro. Essi si propongono di verificare che cosa accade nel mercato del lavoro se i lavoratori si comportano in modo tale da preferire il lavoro sommerso rispetto a quello regolare; si inseriscono in questo filone i lavori di Lamieux, Fortin e Fréchette (1994) e di Schneider e Neck (1993);

2. modelli di equilibrio parziale dal lato della domanda di lavoro. Un esempio può essere rappresentato dall’analisi di Brunetta e Ceci (1998), che per quanto fortemente condizionata dall’interpretazione del caso italiano, si sviluppa individuando le cause del fenomeno e i meccanismi essenziali del funzionamento dal lato della domanda di lavoro;

3. modelli di equilibrio parziale con portfolio theory. Si tratta del gruppo di modelli più numeroso. Essi considerano la scelta tra attività emerse ed attività sommerse alla stregua di una scelta di portafoglio, confortando quindi i rendimenti attesi delle due tipologie di attività. Probabilmente il primo lavoro di questo tipo è quello di Soldatos (1994), mentre uno studio più recente è quello di Friedman, Johnson, Kaufmann e Zoido Lobaton (2000).

4. modelli di equilibrio economico generale. Si tratta dei modelli più recenti. Sulla base di ipotesi relative al comportamento di lavoratori e imprese tali modelli permettono di studiarne gli effetti dal punto di vista del benessere sociale; in questa tipologia di modelli sono compresi i lavori di Pugno (2000), di Carillo e Pugno (2002) e di Carillo e Papagni (2002).

La tipologia di modelli secondo i diversi indirizzi di ricerca fin qui delineata rappresenta il filo conduttore per la rassegna della letteratura economica sul sommerso presentata nei paragrafi successivi. All’analisi dei modelli è associato uno scheda di sintesi, che cerca di fornire un quadro essenziale degli elementi costituitivi e del funzionamento dei principali modelli qui esaminati.

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1.3La misurazione dell’economia sommersa da parte degli organismi statistici ufficiali

In Italia gran parte delle ricerche empiriche fanno riferimento ai dati ottenuti dall’Istat per il calcolo dell’input di lavoro1. L’Istat utilizza il metodo della discrepanza tra fonti statistiche, che si fonda sull’integrazione di informazioni provenienti da fonti diverse e sul confronto tra le stime della domanda e dell’offerta di lavoro2. Il lavoro sommerso è pertanto considerato stimabile sulla base dell’assunto che le ricerche svolte dal lato dell’offerta -Indagini sulle Forze di Lavoro, Censimenti della Popolazione- permettano di cogliere il fenomeno, nella misura in cui vi è un inferiore incentivo a nascondere un’eventuale forma di irregolarità, a differenza che nelle indagini dal lato della domanda -Censimenti dell’Industria, del Commercio, dell’Artigianato, dell’Agricoltura, varie indagini annuali sulle imprese-. Possono pertanto emergere quote di lavoro offerte in eccesso a quelle dichiarate dalle imprese, così come, attraverso gli stessi dati, può emergere una differenza di segno opposto alla prima, come parziale indice della presenza di doppio lavoro.

L’integrazione tra questi dati e altri tipi di fonti informative costituisce il nucleo del complesso procedimento statistico utilizzato dall’Istat per la stima dell’input di lavoro all’interno delle stime della Contabilità nazionale3. Le elaborazioni statistiche sono realizzate sulla base della distinzione tra numero dei lavoratori, numero delle posizioni lavorative, posti di lavoro, e numero delle unità di lavoro, ottenendo quest’ultimo dato attraverso la riduzione delle posizioni lavorative a unità omogenee dal punto di vista dell’orario considerato standard.

L’input di lavoro comprende sia lavoro regolare che non regolare. La quota di lavoro non regolare risulta classificato sulla base della mancata formalizzazione del rapporto lavorativo -invisibilità fiscale e contributiva-, dell’invisibilità statistica e della difficoltà di rilevazione legata al suo svolgimento in luogo non identificabile. All’interno di questa definizione sono comprese quattro categorie di lavoratori non regolari, cui corrispondono analoghe posizioni lavorative -ad eccezione degli stranieri4:1Nel quadro della revisione delle metodologie di rilevazione e di stima adottate per la Contabilità nazionale, iniziata nel 1987, l’Istat ha approntato una tecnica che consente l’inclusione della quota attribuibile all’economia non osservata a partire dalla stima dell’input di lavoro. L’input di lavoro, definito come la quantità di lavoro impiegata dal sistema produttivo, costituisce il coefficiente moltiplicativo dei valori pro capite delle grandezze che determinano il PIL (valore aggiunto e produzione). 2 Per un ulteriore approfondimento delle tecniche utilizzate nella contabilità nazionale si veda Baldassarini-Sacco (1998) e le indicazioni bibliografiche ivi riportate.3 Come nota Rossi (1997), le stime della Contabilità nazionale “non stanno in stretta relazione algebrica con le rilevazioni dal lato della domanda e dell’offerta di lavoro (..). Ne può derivare una discordanza tra livelli assoluti dell’occupazione e delle sue componenti nei Conti nazionali e nelle singole indagini annuali”.4 Questa categoria in prevalenza rientra nel gruppo delle posizioni lavorative irregolari (in quanto lavoratori stranieri irregolari innanzitutto dal punto di vista della normativa sul soggiorno), anche se dal punto di vista della definizione

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a) i lavoratori irregolari, che emergono nelle dichiarazioni delle famiglie o dalle indagini sulle forze di lavoro ma non da quelle delle imprese;

b) i lavoratori che si dichiarano non occupati;c) gli stranieri non residenti;d) coloro che svolgono un doppio lavoro, la cui presenza è attestata solo nei

censimenti industriali e dei servizi.L’integrazione con le informazioni provenienti dalle Indagini sulle Forze di

Lavoro permette di distinguere tra occupati dichiarati e non dichiarati. Questi ultimi sono rappresentati da coloro che, grazie alle apposite domande di controllo e alla maggiore accuratezza della rilevazione effettuata da intervistatori, pur dichiarando direttamente di essere disoccupati, ammettono di svolgere alcune attività lavorative, presumibilmente di tipo occasionale e soprattutto non regolarizzate dal punto di vista contrattuale5.

1.4I modelli macroeconomici di stima dell’economia sommersa

Molte delle tecniche impiegate per la stima dell’economia sommersa consistono in metodi indiretti basati su modelli di impianto macroeconomico. Il presupposto di queste tecniche è che sia possibile misurare l’entità del sommerso attraverso indicatori che contengano informazioni indirette sul sommerso, oppure confrontando dati o stime che lo includono e dati o stime che lo escludono.

• L’analisi delle transazioni monetarieUna delle tecniche di stima del sommerso più diffuse è l’analisi delle transazioni monetarie. Generalmente le tecniche di stima che fanno uso di dati monetari si basano sull’idea che le transazioni di tipo sommerso facciano uso di mezzi di pagamento analoghi a quelli dell’economia ufficiale. Se si confrontano aggregati monetari che comprendono ed escludono le transazioni sommerse è possibile ricavare informazioni sull’estensione dell’economia sommersa. Il metodo delle transazioni monetarie è stato messo a punto da Feige (1979; 1989; 1996). Esso si basa sull’ipotesi che esista una relazione costante nel tempo tra prodotto nazionale lordo e volume delle transazioni. Utilizzando l’equazione degli scambi di Fisher, Feige suppone che lo scarto tra valore complessivo delle transazioni e Pil nominale sia un indicatore del sommerso. In particolare la tecnica consiste nello scegliere un anno di riferimento in cui non esista sommerso (per gli USA quello registrato

in essa rientrerebbero anche frontalieri, lavoratori con permessi temporanei validi e chi lavora su navi nazionali (Baldassarini-Sacco, 1998)5 Rossi (1997) evidenzia come i disoccupati non dichiaratisi, non essendo inclusi nel confronto con i dati rilevati presso le imprese, in virtù della sempre maggiore diffusione delle posizioni lavorative a tempo determinato e occasionali, possono condurre alla sovrastima delle posizioni lavorative irregolari.

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nell’anno 1939), e calcolare il rapporto tra volume delle transazioni e Pil nominale. Per stimare il sommerso, si procede confrontando il rapporto calcolato per l’anno base con quello dell’anno di riferimento. La discrepanza, generalmente positiva, tra i due rapporti è considerata una misura del sommerso.

Questo metodo presenta alcuni punti deboli, tra i quali l’assunzione che nell’anno base non esista sommerso; e soprattutto quello che il rapporto tra transazioni e Pil sia costante. Altri problemi non secondari riguardano la difficoltà a reperire dati attendibili sul volume complessivo delle transazioni, e ad eliminare possibili elementi di disturbo nei dati necessari all’analisi (Thomas, 1999).

• L’approccio della domanda di monetaUn tentativo ulteriore in direzione di una maggiore precisione nella definizione dei rapporti tra aggregati monetari e misurazione dell’economia sommersa è l’approccio della domanda di moneta sviluppato da Tanzi (1980; 1983).

Tanzi ha sviluppato il metodo utilizzato per la prima volta da Cagan (1958), per verificare il rapporto tra domanda di moneta e pressione fiscale negli USA tra 1919 e 1955, successivamente ripreso da Gutmann (1977). In esso si ipotizza che le transazioni sommerse siano effettuate, per motivi di sicurezza, esclusivamente con denaro contante, che nell’economia sommersa e in quella ufficiale la velocità di circolazione sia identica e che imposizione fiscale e restrizioni governative rappresentino le uniche cause del sommerso. Sulla base di tali assunzioni una crescita degli scambi nel settore sommerso può essere registrata attraverso la crescita del rapporto tra circolante e depositi bancari (currency ratio). Individuato un periodo rispetto al quale il peso dell’economia sommersa può considerarsi nullo (per gli Usa il periodo dal 1937 al 1941) e in cui si registra il rapporto minimo tra contante e depositi, è possibile interpretare ogni successivo scostamento da tale livello minimo del currency ratio come indicatore della presenza e della dimensione relativa dell’economia sommersa.

Il metodo di Tanzi è forse la tecnica più utilizzata per la stima dell’economia sommersa nei paesi Ocse. In questo caso non si ricorre alla stima quantitativa attraverso semplici indicatori indiretti, ma si costruisce un modello che collega il livello dell’imposizione fiscale e la domanda di contante, sulla base dell’ipotesi che nell’economia sommersa esso rappresenti il mezzo di pagamento quanto meno predominante. La domanda di contante nell’equazione di Tanzi risulta pertanto composta dagli effetti di due tipi di fattori, costituiti da un lato dalle determinanti normali, quali il livello dei prezzi, le abitudini di pagamento, il tasso di crescita del reddito i tassi di interesse, e dall’altro le variazioni nel livello dell’imposizione fiscale, e della complessità del sistema di tassazione ipotizzate come le cause della crescita del sommerso Su questa base è possibile misurare gli effetti di quest’ultima calcolando la differenza tra la domanda normale di moneta, stimata sulla base dell’ipotesi di un livello di tasse neutrale, e la domanda di moneta in eccesso per

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l’effetto sommergente, derivato dal maggiore livello di imposizione fiscale. Il calcolo del livello normale di domanda di moneta richiede che si individui un momento in cui l’economia sommersa sia in linea ipotetica inesistente, in modo da identificare quel livello di imposizione fiscale che, sulla base di tale assunzione, si può considerare neutrale rispetto all’effetto di sommersione. A livello empirico è stata dimostrata la validità del procedimento, suggerito da Tanzi, per stimare la quantità di contante usato nell’economia sommersa sulla base delle variazioni del carico fiscale (Baldassarini-Sacco, 1998).

Anche questo metodo indiretto non è stato risparmiato dalle critiche (Thomas, 1999; Schneider-Enste, 2000), che si sono appuntate sia sulle assunzioni del modello che sulle tecniche econometriche utilizzate. Se limitiamo l’attenzione alle prime, esse possono essere riassunte schematicamente come segue:1. non tutte le transazioni nell’economia sommersa sono pagate in contanti; il metodo tende perciò a sovrastimarne l’entità;2. l’ipotesi che sia la sola pressione fiscale a determinare la sommersione delle attività economiche è eccessivamente semplicistica;3. l’ipotesi della stessa velocità di circolazione della moneta nell’economia sommersa ed ufficiale non è realistica;4. l’assunzione di un anno base senza economia sommersa è difficile da sostenere.

Un interessante esempio di impiego di dati ufficiali (stime Istat) e di stime basate sul metodo di Tanzi per il caso italiano è l’analisi di Castellucci e Bovi (2001). In controtendenza con gli studi comparati di cui sopra e con alcune valutazioni che sono state offerte sulla base dei dati Istat, tutte volte a sottolineare l’aumentato peso dell’economia sommersa livello europeo e il primato dell’Italia in questo campo, questo studio tende a valutare la situazione italiana in modo meno allarmistico, sottolineando fortemente gli elementi di permanenza per quanto riguarda le cause e le manifestazioni del sommerso a livello italiano.

Il metodo utilizzato per le stime econometriche è l’equazione di Tanzi, in cui compare solo la variabile relativa all’imposizione fiscale diretta come fattore esplicativo specifico della crescita della domanda di moneta riconducibile alle transazioni nell’economia sommersa. Il risultato ottenuto per il periodo 1970-1997 è in contrasto con quello di Schneider (1997, 1998), cui la gran parte del dibattito sul sommerso ha fatto finora riferimento. Secondo Castellucci e Bovi, la stima dell’economia sommersa basata sul metodo dell’equazione di domanda di moneta non mostra per il periodo tra 1970 e 1997 un trend in netta crescita, così come viene diffusamente sostenuto, ed anzi appare fluttuare intorno a valori stazionari. Gli autori procedono inoltre all’analisi dei dati Istat sul lavoro non regolare, calcolato in percentuale sul totale delle unità di lavoro6. Anche sulla base di questi

6 Pur specificando di voler esaminare il problema della domanda di lavoro non regolare da parte di imprese regolari, i due autori sottolineano comunque a tal riguardo un aspetto qui già evidenziato, ovvero il problema del metodo adottato dall’Istat per quanto riguarda la rilevazione del sommerso d’azienda.

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dati il trend non risulta chiaro, tanto meno mostra una crescita. Prendendo in esame l’andamento di due delle quattro categorie individuate dalla definizione Istat di lavoro non regolare, si può notare come la crescita del doppio lavoro sia stata controbilanciata dalla riduzione del lavoro irregolare, mentre la percentuale complessiva dei due gruppi appare tra 1980 e 1997 stazionaria, variando dal 17,2% al 17,97%, con una punta massima nel 1990 del 18,29%, quasi confermata con il 18,13% del 1995. Come già in precedenza evidenziato, a parte l’indubbia crescita della categoria degli stranieri, che rappresentano la componente meno importante delle quattro, anche l’andamento della grandezza aggregata mostra un trend non molto diverso. Allo stesso modo, dopo aver costruito una misura dell’evasione dell’imposte indirette a livello nazionale e regionale come indicatore indiretto del sommerso, tale grandezza di nuovo non mostra alcuna crescita tra 1980 e 1997, e presenta addirittura una contrazione dopo il 1990. Ma allora dov’è l’esplosione del sommerso?

Due sono le conclusioni che Castellucci e Bovi traggono dall’esame dei dati: se da un lato è evidente che, a metodi di misurazione diversi possono corrispondere stime assai diverse tra loro, dall’altro non è tanto interessante soffermarsi sul livello assoluto dell’incidenza del sommerso sul Pil, quanto considerarne la dinamica nel periodo sotto osservazione, la quale risulta chiaramente, da tutte le stime considerate, non in crescita, ma sostanzialmente stabile, fluttuante intorno ad una media. La spiegazione è che la presenza di sommerso può considerarsi un elemento strutturale. Innanzitutto il fatto che nessun governo sia riuscito, nel corso di quasi 30 anni, a ridurre la presenza del sommerso nell’economia italiana si spiega con i guadagni, e non con le perdite, che a livello fiscale sarebbero derivati da tale fenomeno7. Quando le perdite vere sono iniziate, durante gli anni Ottanta, lo Stato italiano ha aperto la stagione dei condoni fiscali, ma ad un certo punto la crescita della disoccupazione oltre il 10% ha chiuso ogni spazio di iniziativa, e da quel momento in poi il sommerso è diventato, secondo un meccanismo naturale, e con il consenso di tutti, dai sindacati al governo ai lavoratori, la valvola di sfogo per controllare il disagio economico e sociale. La successiva crescita dopo il 1993, registrata in tutte le stime, rappresenta l’effetto Maastricht, che ha chiuso il rubinetto della spesa pubblica, attribuendo nuova forza e significato al ruolo ammortizzante del sommerso.

In questo quadro, affermare che le cause del sommerso sono strutturali significa richiamare l’attenzione, oltre che sulle scelte politiche che ne hanno permesso il permanere, sul funzionamento dell’economia, in particolare sul rapporto tra settore pubblico e privato. Castellucci e Bovi sottolineano due fattori principali: da un lato il basso livello di credibilità dello Stato, che spiega molto della massiccia presenza di sommerso al Sud, dall’altro la marcata inefficienza della pubblica

7 L’affermazione è empiricamente sostenuta da una stima del PIL necessario per evitare che vi siano perdite dall’evasione fiscale (Castellucci-Bovi, 2001).

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amministrazione, e l’interazione tra questa e il settore privato. Uno Stato inefficiente non solo non è capace di controllo, ma le sue carenze diventano occasione di sviluppo di servizi, anche e soprattutto come sommerso.

Di fronte a questa interpretazione generale, è necessario però distinguere tra la situazione del Centro-Nord e quella del Sud. L’economia italiana è dualistica, e questo significa, secondo Castellucci e Bovi, che il problema del sommerso deve essere affrontato tenendo presenti le differenze tra le due aree del paese, in particolare i differenziali relativi alla produttività del lavoro e all’efficienza della pubblica amministrazione, la diversa dotazione di infrastrutture, la continua presenza dal 1968 di incentivi fiscali e contributivi di varia natura a favore delle attività produttive del Sud. I due autori applicano a livello regionale una funzione di domanda per lavoratori non regolari, in cui hanno particolare peso la rigidità del mercato e la penalità attesa (pari al prodotto della probabilità di essere scoperti e del livello della sanzione), considerato una proxy della credibilità dello Stato. I dati regionali non solo confermano sia le fluttuazioni dei rispettivi livelli relativi intorno a valori quasi stabili, sia la maggiore concentrazione del lavoro sommerso al Sud rispetto al Centro-Nord, ma mostrano per il Sud più alti livelli di rigidità e più bassi livelli di penalità attesa. Tutto questo in presenza di una differenza marcata nel livello di evasione fiscale tra le due aree, ma con un andamento che ancora una volta non è crescente, mentre una parte del divario sembrerebbe riconducibile ad una distorsione statistica dovuta alla costante presenza di esenzioni fiscali al Sud.

• L’analisi degli input fisici della produzioneTra i metodi indiretti hanno notevole fascino, per la loro semplicità, quelli che considerano la domanda di input come indicatore dell’estensione dell’economia sommersa. Una prima tecnica ideata da studiosi italiani (Lizzeri, 1979; Del Boca-Forte, 1982) e perfezionata in anni recenti da Kaufmann e Kaliberda (1996) si basa sull’idea che il consumo di energia elettrica sia il migliore indicatore delle attività produttive di un paese. Poiché esiste un rapporto stabile -elasticità pari ad 1- tra consumo di elettricità e Pil, la differenza tra il tasso di crescita del Pil e dei consumi elettrici deve essere attribuita alla crescita dell’economia sommersa.

I critici del metodo hanno messo in luce che non tutte la attività sommerse richiedono l’uso di elettricità; che il progresso tecnico tende a modificare i valori dell’elasticità del rapporto tra Pil e consumo di energia, e che in differenti paesi e periodi l’elasticità è molto diversa. Lackó (1997), partendo da una intuizione simile, ha messo a punto un percorso di indagine che considera l’uso domestico di elettricità come indicatore indiretto dell’estensione di lavoro sommerso, nell’ipotesi che le attività sommerse siano svolte prevalentemente a domicilio. I critici hanno messo in luce la debolezza di questa ipotesi.

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• Modelli con variabili non-osservateAlcuni metodi indiretti di stima del sommerso sono caratterizzati dall’uso di modelli di regressione con variabili non osservate (Weck, 1983; Frey-Weck-Hanneman, 1984). Si tratta dell’approccio forse più innovativo. Essi sono caratterizzati dall’idea che il sommerso abbia una molteplicità di cause e debba essere stimato utilizzando una pluralità di indicatori. La tecnica delle variabili non osservate permette di costruire veri e propri modelli del sommerso caratterizzati dall’introduzione di specifici fattori causali che determinano i valori degli indicatori della presenza sommerso. Gli studiosi hanno messo a punto modelli differenziati (Schneider-Enste 2000), caratterizzati da una struttura pluricausale, con indicatori plurali della presenza di sommerso -monetari, relativi al mercato del lavoro e delle attività- (Giles, 1999a; 1999b).

1.5Modelli microeconomici di equilibrio parziale dal lato dell’offerta di lavoro

Appartenente alla tipologia di modelli che privilegiano l’analisi dell’offerta di lavoro è lo studio di Lamieux, Fortin e Fréchette (1994). In esso gli autori svolgono un’analisi su dati di tipo microeconomico riferiti ad un campione estratto in base alla metodologia adottata dal Labor Force Survey del Canada e sviluppano un modello per spiegare le dinamiche rilevate a livello empirico. La definizione di economia sommersa adottata è legata principalmente alla dichiarazione a fini fiscali dell’attività lavorativa svolta, ed esclude di fatto anche se non in via preliminare le attività illegali.

I risultati dell’indagine empirica, che costituiscono il punto di partenza del modello micro, mostrano che: 1) il reddito irregolare è concentrato tra lavoratori che hanno redditi regolari bassi,

mentre gli acquisti di beni e servizi sommersi sono concentrati tra persone con alti redditi regolari; in particolare la partecipazione all’economia sommersa interessa ben il 32,4% tra i beneficiari di misure di welfare (welfare recipients), il cui saggio marginale implicito di tassazione spesso raggiunge il 97%;

2) il saggio salariale del settore regolare e del settore irregolare sono positivamente correlati con le ore di lavoro nel settore regolare mentre sono negativamente correlati con le ore lavorate nel settore irregolare; in particolare esiste un rapporto inverso tra saggio di partecipazione e numero di ore lavorate nell’economia sommersa da un lato e reddito da lavoro nell’economia regolare, mentre lo stesso rapporto inverso emerge in forma tendenziale anche tra saggio di partecipazione e numero di ore lavorate nell’economia sommersa e ore lavorate nell’economia regolare, suggerendo un elevato grado di sostituibilità tra le attività nei due settori;

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3) i redditi del settore regolare sono una funzione lineare (o leggermente convessa) delle ore lavorate in esso, mentre i redditi del settore irregolare sono una funzione concava delle ore in esso lavorate. I due elementi posti al centro del modello sviluppato da Lamieux, Fortin e

Fréchette sono la concavità della funzione del reddito irregolare e la quasi linearità di quella del settore regolare. Il fatto che i redditi del settore irregolare siano funzione concava delle ore in esso lavorate si spiega in base alla natura informale delle attività in esso svolte, come applicazione del teorema di Smith. L’informalità delle attività irregolari ne limita l’estensione a livello di mercato, in particolare per la maggiore visibilità rispetto alle autorità di controllo. Il problema della visibilità limita quindi l’orizzonte delle attività sommerse a mercati piccoli e informali, dove rapporti diretti e personali sostituiscono le garanzie formali del mercato ufficiale, ed ostacola la specializzazione del lavoro8.

Il modello è costruito sulla base di due funzioni di reddito per i due settori, una Cobb-Douglas concava per il lavoro irregolare e una funzione lineare per quello regolare. La funzione di utilità determina l’allocazione del tempo di lavoro tra settore regolare e irregolare -e del tempo libero- sulla base di un dato vincolo di bilancio, fissato sulla base delle entrate regolari, irregolari e di altra origine. Nel caso in cui il lavoratore operi in entrambi i settori -regolare e irregolare-, la determinazione delle ore lavorate nel settore sommerso implica che il rendimento marginale nel sommerso sia uguale al saggio di reddito regolare. Le ore di lavoro nel settore irregolare risultano quindi determinate indipendentemente dalle preferenze e in dipendenza dal salario percepito nel settore regolare9.

Gli autori analizzano l’impatto delle tasse sull’allocazione del tempo come rappresentata dal modello introducendo un sistema di tassazione proporzionale (flat tax rate) e il costo atteso dell’infrazione nel vincolo di bilancio. Il costo atteso dell’infrazione è composto dalla probabilità di essere scoperti e dal livello della sanzione, proporzionale all’ammontare di tasse evase10. Posto che la probabilità di essere scoperti è inferiore a 1, allora un incremento del livello della tassazione ha un effetto positivo sulle ore di lavoro nel settore irregolare, mentre ha un effetto negativo sulle ore lavorate nel settore regolare. Il risultato ancora una volta non dipende dalle preferenze rispetto al salario regolare e al livello di tassazione, né dipende dalla avversione al rischio del lavoratore, mentre emerge in modo chiaro la

8 I limiti all’estensione del mercato per la produzione sommersa fanno si che la crescita della produzione e delle ore di lavoro sommerse, caratterizzate da una ridotta specializzazione del lavoro, inducano una riduzione dei prezzi dei beni -con associata la tendenza alla riduzione del valore del prodotto marginale del lavoro- così da determinare per il lavoratore irregolare una curva di domanda del proprio lavoro (e del proprio prodotto) negativamente inclinata rispetto alle ore lavorate nel settore irregolare stesso.9 Questa previsione del modello è empiricamente confermata dall’analisi svolta dagli autori sui dati della Survey, dove il salario regolare, misurato come saggio salariale al netto delle tasse contributi e altri oneri, in positivo e in negativo, che gravano sul reddito da lavoro, risulta inferiore a quello del settore irregolare. 10 Perché un lavoratore neutrale al rischio decida di non dichiarare il lavoro prestato, il tasso che determina il costo atteso dell’evasione deve essere inferiore al saggio di tassazione.

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determinazione dell’effetto delle tasse sulle ore lavorate nei due settori. Il modello descrive, coerentemente con i risultati empirici in precedenza descritti, il comportamento di lavoratori che operando nel settore irregolare affrontano un basso livello di rischio di essere scoperti nelle loro attività da parte delle autorità preposte, mentre sembra adattarsi meno al caso in cui la probabilità di essere scoperti è elevata.

Dall’applicazione del modello ai dati che gli autori hanno a disposizione risulta che un incremento della tassazione induce uno spostamento di ore di lavoro dal settore regolare a quello irregolare, provocando un appesantimento delle attività produttive. Tale effetto negativo sull’allocazione delle ore di lavoro tra i due settori (excess burden) corrisponde al mancato reddito regolare prodotto per un dato livello di tassazione e per un dato livello di ore lavorate nel settore irregolare: Tale effetto negativo può essere messo in rapporto a variazioni del carico fiscale calcolandone la variazione in rapporto ad un aumento del livello di tassazione (marginal excess burden). Il calcolo di questi indicatori per i dati disponibili mostra che l’effetto negativo di un aumento delle tasse risulta non troppo intenso per il mercato del lavoro e per l’economia presi nel loro complesso, mentre è molto accentuato per alcune particolari tipologie di lavoratori. In particolare sono sensibili all’incremento del livello della tassazione i gruppi di cittadini che sono beneficiari di interventi di welfare, e nei casi in cui la probabilità di essere scoperti sia molto bassa. Infatti l’attività di controllo da parte dello Stato può controbilanciare una parte dell’effetto di sommersione legato a sistema di imposizione fiscale e dei trasferimenti come le misure di welfare.

Sul piano teorico l’analisi di Lamieux, Fortin e Fréchette (1994) si richiama a quella linea di indagine che cerca di determinare la scelta di operare nel sommerso in base agli effetti del sistema fiscale sulle scelte dei lavoratori. In realtà questo modello sembra discostarsi dai lavori realizzati su questa linea, come il modello di Cowell (1990) su due aspetti importanti, svincolando la scelta di operare nel sommerso dalle preferenze e dall’avversione al rischio dei lavoratori, ed affermando attraverso la sua verifica empirica un effetto complessivo abbastanza limitato della crescita delle tasse sulla distribuzione delle ore lavorate tra settore regolare e irregolare.

Una lettura più attenta agli aspetti teorici e in particolare alle caratteristiche del sistema fiscale rispetto al fenomeno dell’economia sommersa è contenuta in Schneider e Neck (1993). Il rapporto tra imposizione fiscale e dimensione dell’economia sommersa viene analizzato sviluppando un modello teorico e proponendo una stima dell’economia sommersa -basata sul metodo della domanda di moneta- e degli effetti dei cambiamenti del sistema di tassazione sulla dimensione dell’economia irregolare in Austria tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta11. Dal punto di via empirico il caso austriaco sembra indicare che, in 11 Durante questo periodo in Austria vi sono state tre importanti riforme fiscali, nel 1973, nel 1984 e nel 1989.

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conformità con le ipotesi degli autori, la riduzione del carico fiscale non è un fattore sufficiente per ridurre il sommerso, nella misura in cui tale misura non interviene su altre cause quali la complessità del sistema fiscale e il carico di regolamentazione e burocrazia.

Sul piano teorico, il modello microeconomico di Schneider e Neck individua nella complessità del sistema di tassazione la variabile esplicativa della crescita dell’economia irregolare. Il filone di studi che ha concentrato l’attenzione sulle determinanti dell’evasione fiscale e della partecipazione al sommerso in genere ha esaminato schemi di tassazione piuttosto semplici, concentrandosi sul livello di imposizione fiscale senza effettuare un’analisi degli effetti prodotti dalle diverse caratteristiche dei sistemi fiscali. Su quest’ultimo aspetto si concentra invece l’attenzione di Schneider e Neck, che per questo motivo introducono il concetto di complessità. La complessità viene identificata da Schneider e Neck come corrispondente a quell’insieme di norme che allargano il campo dell’esenzione fiscale, e quindi della riduzione legale del livello di imposizione fiscale sul reddito: in questo senso la complessità è inversamente proporzionale all’ampiezza della base fiscale e direttamente proporzionale al livello dei diversi saggi marginali di tassazione del reddito.

Il livello della complessità influisce quindi sulle scelte delle famiglie di partecipare all’economia sommersa (allocazione del tempo disponibile tra lavoro sommerso, lavoro legale e tempo libero) attraverso il comportamento fiscale, in particolare rispetto alla scelta tra la riduzione delle tasse perseguita illegalmente (evasione) o legalmente (esenzione). Il modello incorpora esplicitamente la distinzione tra il mercato del lavoro sommerso e quello ufficiale con la determinazione endogena del reddito da parte delle famiglie, la cui unica fonte di reddito è rappresentata dal lavoro. Quindi l’economia prevede due tipi di lavoro, quello legale e quello sommerso, con saggi salariali dati; il lavoro è omogeneo eccetto che per il differente livello di rischio associato, che è maggiore per quello sommerso. Si prevede inoltre un sistema di tassazione del reddito progressivo e la possibilità di esenzione legale delle tasse da parte dei contribuenti.

Le famiglie dedicano un certo sforzo ad attività volte alla riduzione del livello dell’imposizione fiscale, sia come quota del proprio tempo libero dedicata all’acquisizione di informazioni sulle leggi (con effetti sulle preferenze ma non sul totale del tempo disponibile), sia come spese per consulenze presso professionisti, etc. Questo sforzo si concretizzerà in un certo effetto sul livello di tasse erogato dalla famiglia in termini di maggiore o minore riduzione. Questo effetto dipende in primo luogo da un parametro che incorpora le scelte governative e la legislazione in materia fiscale, e che rappresenta quindi una misura della complessità del sistema fiscale come precedentemente definita. Infatti l’effetto delle attività delle famiglie per ridurre le tasse è nullo quando non esiste -o è assai limitata- la possibilità di esenzione legale -anche se lo sforzo della famiglia è alto- (tassazione

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lineare semplice), mentre l’effetto cresce con il numero di opportunità di esenzione fiscale offerte dalla legislazione. In questo ultimo caso le famiglie possono realizzare una riduzione positiva delle tasse da erogare allo Stato dedicando un certo sforzo a questo scopo.

Le famiglie possono inoltre ottenere reddito dal lavoro sommerso, che implica un certo livello di rischio (possibilità di essere scoperti) e un certo livello di sanzione, dipendenti dalle scelte governative. In questo modo il reddito si può comporre da una quota legale, sottoposta al sistema di tassazione ed esenzione secondo le regole stabilite (in cui confluiscono gli eventuali recuperi di reddito dovuti al reddito minimo garantito e alle esenzioni), ed una quota illegale, totalmente esente da tasse, ma suscettibile di un costo legato al rischio e al livello delle sanzioni imposte sul lavoro sommerso dal governo (costo che è positivo se si viene scoperti, e nullo in caso contrario). La funzione di utilità della famiglia dipende positivamente dal reddito e negativamente dal lavoro offerto nei due mercati, e negativamente anche dallo sforzo necessario per ottenere esenzione fiscale. Quindi la famiglia massimizza l’utilità attesa scegliendo il livello di offerta di lavoro sui due diversi mercati, quello regolare e quello sommerso.

A livello di indicazioni di policy, l’analisi degli effetti di cambiamenti dei parametri (probabilità di essere scoperti, livello di sanzione, saggio marginale di tassazione, reddito minimo esente, complessità del sistema di tassazione) mostra che, a parità delle altre condizioni, un sistema di tassazione più complesso riduce l’offerta di lavoro sommerso nella misura in cui gli sforzi delle famiglie per ridurre il livello delle tasse da pagare raccolgono maggiori frutti. Allo stesso tempo un sistema di tassazione complesso, riducendo il carico fiscale, rende l’evasione meno attraente. Quindi una modifica del sistema fiscale, che per esempio allarghi la base del reddito imponibile e riduca o elimini le esenzioni fiscali, può far crescere l’offerta di lavoro sommerso.

L’ipotesi teorica formulata nel modello presentato ha trovato conferma nell’analisi empirica svolta da Schneider e Neck sull’andamento dell’economia sommersa in Austria, in cui il metodo di stima adottato, quello della domanda di moneta, incorpora anche la complessità del sistema fiscale tra le cause della dimensione dell’economia sommersa, insieme al carico fiscale diretto, a quello indiretto e all’intensità della regolazione. La conclusione di Schneider e Neck è che non è soltanto il carico fiscale -diretto e indiretto- a influenzare l’estensione delle attività economiche sommerse, ma anche le caratteristiche specifiche -e quindi la complessità- del sistema fiscale e il carico burocratico definito come insieme di regolamentazione imposta a vario livello sulle attività. Il ruolo di questi due ultimi fattori può infatti controbilanciare l’effetto positivo di una riduzione del carico fiscale sulla diminuzione delle attività sommerse: le misure di policy per l’emersione devono tenere adeguato conto di questo aspetto, per lo più trascurato.

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1.6Modelli microeconomici di equilibrio parziale dal lato della domanda di lavoro

L’analisi delle cause del sommerso dal lato della domanda di lavoro sembra caratterizzare alcune delle più note interpretazioni del caso italiano, dove è ampiamente enfatizzato il ruolo di fattori quali l’elevato costo del lavoro e la “rigida” normativa giuslavorista del nostro paese che, insieme all’opportunità di evadere le tasse, spingono le imprese verso il sommerso. Da questo punto di vista esemplare è l’analisi di Brunetta e Ceci (1998), che enfatizza le dinamiche dal lato della domanda di lavoro nei termini di una ricerca da parte delle imprese di riduzione dei costi e di flessibilità che trova espressione nel sommerso. Questa duplice esigenza delle imprese italiane risulta particolarmente forte nelle aree del Meridione, dove è concentrato il sommerso italiano e dove il contesto economico e sociale in cui le imprese operano richiede in misura ancora maggiore l’attivazione di meccanismi di compensazione impliciti come il sommerso.

Dal punto di vista della formulazione, l’analisi di Brunetta e Ceci (1998) prende spunto dai dati dell’Istat per il 1996, per giungere a fornire un quadro interpretativo sostanzialmente privo di una originale formalizzazione esplicita12, anche se lo schema interpretativo emerge chiaramente e risulta rappresentativo di una delle posizioni presenti nel dibattuto italiano sull’argomento. Brunetta e Ceci affermano che il lavoro sommerso “rappresenta la via italiana all’omologazione agli standard europei in termini di flessibilità del mercato del lavoro e di tipologie contrattuali”. I due studiosi sottolineano il peso del settore sommerso in Italia rispetto a gran parte dei paesi europei, configurandosi come “elemento strutturale del modello Italia”, dove il mercato del lavoro non ha sviluppato in misura adeguata un segmento secondario con prevalenza di prestazioni flessibili, che vengono quindi ricercate attraverso i noti meccanismi di elusione dei vincoli normativi.

Lo schema interpretativo di Brunetta-Ceci cerca di fornire un quadro in prospettiva storica delle cause del sommerso, cercando di individuare quegli elementi di lungo periodo che nella storia d’Italia hanno generato le condizioni per l’emergere di questo fenomeno. In questo senso essi indicano come cause del sommerso il dualismo a base territoriale della struttura economica italiana, una cattiva spesa pubblica e la rigidità del mercato del lavoro. Accanto a queste cause di carattere generale, vi sono anche fattori più specifici che ne spiegano lo sviluppo a livello settoriale e la maggiore estensione a partire dagli anni Settanta, quali la diffusione delle tecnologie leggere -soprattutto nel campo dei servizi-, la ristrutturazione dell’industria, con i noti effetti di frammentazione dei processi

12 Dal punto di vista dell’analisi formale del sommerso, Brunetta e Ceci forniscono soltanto una sintetica presentazione dei modelli à la Cowell.

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lavorativi in filiere costituite da unità produttive piccole, fino alle unità di lavoro autonomo e di lavoratori-imprenditori, e infine la crescita della domanda di servizi alle famiglie e alle persone, caratterizzati da produzione a basso livello di qualifica e ad alta intensità di lavoro.

Al di là del quadro complessivo, secondo Brunetta e Ceci resta comunque la riduzione dei costi in presenza di eccesso e/o di inadeguatezza della regolamentazione la potente spinta al sommerso. È attraverso questi meccanismi che le imprese attuano non trascurabili risparmi, grazie sia all’evasione contributiva e fiscale sia al più basso livello della retribuzione corrisposta nel settore sommerso. Secondo le stime dell’Istat la retribuzione lorda dei lavoratori regolari risulta superiore del 38% rispetto a quella dei non regolari, che però risparmiano circa un 27% tra obblighi contributivi e fiscali, riducendo di molto il divario tra le due retribuzioni, soprattutto se non consideriamo la perdita a lungo termine derivante dal mancato pagamento dei contributi a fini pensionistici, da eventuali costi di malattia e di infortuni non coperti e il rischio delle sanzioni.

Al di là dello specifico articolarsi delle proposte di riemersione in riferimento al caso specifico dell’Italia, l’idea di fondo che sembra predominare è che la soluzione risieda nell’alleggerimento del carico di costi che le imprese devono sostenere. Se infatti sono la forbice tra retribuzioni di fatto e costo del lavoro e le connesse rigidità del mercato del lavoro a spiegare il ricorso al lavoro sommerso da parte dei datori di lavoro -e, in qualche misura, anche da parte dei lavoratori-, dal punto di vista della policy per l’emersione le indicazioni riguardano ovviamente la maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione degli oneri a carico delle imprese, sia in materia fiscale che contributiva.

1.7Modelli microeconomici di equilibrio parziale con portfolio theory

Tra i modelli di equilibrio parziale con portfolio theory troviamo due importanti contributi, quello di Soldatos (1994), di tipo esclusivamente teorico, e quello, più recente, di Friedman, Johnson, Kaufmann e Zoido Lobaton (2000), che dedica ampio spazio alla verifica empirica delle ipotesi teoriche. In entrambi i casi, pur con rilevanti differenze dal punto di vista analitico, la presenza di sommerso è in rapporto negativo con il prelievo fiscale e positivo con il sistema burocratico e di regolamentazione.

Il modello di Soldatos cerca di superare l’analisi strettamente quantitativa del sommerso per condurre una chiarificazione a livello teorico del rapporto tra l’evasione fiscale ed economia sommersa, che in gran parte della letteratura tendono a coincidere, con risultati che l’autore definisce “ambigui”. Secondo la sua definizione, il sommerso come insieme di attività che non compaiono nel calcolo

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del reddito nazionale può emergere dall’evasione fiscale e/o dai tentativi di superare gli eccessi di regolamentazione e burocrazia, ed in questo senso risultano fenomeni distinti per quanto interrelati: esiste infatti un trade-off tra evasione e sommerso così che un’economia non può simultaneamente registrare assenza di evasione e di sommerso ovvero c’è sempre almeno o l’una o l’altra. Il funzionamento di questo modello incorpora in un secondo momento il carico fiscale sulle attività produttive, mostrando che l’attività sommersa può essere profittevole anche in assenza di imposizione fiscale: le attività nel sommerso possono risultare convenienti a causa dei costi imposti dalla burocrazia e dalla x-inefficiency. In questo senso, nella misura in cui l’evasione fiscale diventa più facile, si riduce la spinta al sommerso.

Il modello esamina la scelta di un investitore di fronte all’opportunità di poter investire sia nell’economia ufficiale che in quella sommersa. La spinta verso il sommerso nasce dai maggiori costi che l’economia ufficiale impone a causa dell’imposizione fiscale e della cosiddetta x-inefficiency, e dagli extra-costi derivanti da burocrazia e regolamentazione statale sulle attività produttive. L’investimento nell’economia ufficiale ha un rendimento certo, mentre il livello del rendimento nel caso dell’economia sommersa dipende dalla efficacia con cui si occultano le attività sommerse. Si prevedono quindi per l’investimento nell’economia sommersa due stati del mondo, con differenti saggi di rendimento, la cui grandezza dipende dal riuscire o meno a sfuggire ai controlli e alle sanzioni13. In questo contesto, l’investitore sceglierà la quota della ricchezza da investire nei due “settori” tenendo conto dei differenti rendimenti. Perché l’investitore scelga le attività sommerse, i guadagni attesi da queste ultime come somma dei rendimenti nei due stati del mondo devono essere positivi e almeno uguali a quelli ottenibili nell’economia regolare. Nel caso in cui i guadagni attesi dal sommerso fossero nulli, l’investitore opterebbe per investire unicamente nell’economia ufficiale. Ma nella misura in cui i guadagni attesi dal sommerso sono positivi, a prescindere dalla loro entità, significa che è comunque vantaggioso investire nel sommerso anche in assenza di tassazione. Infatti, perché non sia conveniente investire nel sommerso è necessario che tutti i rendimenti, nell’economia ufficiale e in quella sommersa, siano uguali.

L’introduzione della tassazione nel modello fa sì che la spinta al sommerso sia da un lato rafforzata a prescindere dallo specifico sistema di tassazione applicato, poiché questo risultato dipende dal fatto che le perdite attese nel caso in cui si venga scoperti in attività sommerse si riducono in presenza di tassazione. In ogni caso si deve notare che nel modello l’effetto complessivo della tassazione sulla dimensione dell’investimento nel sommerso è ambiguo, perché in realtà la presenza di tassazione influisce anche sulla dimensione dei rendimenti attesi nel

13 In particolare il saggio di rendimento del sommerso sarà superiore a quello dell’economia ufficiale nel caso in cui vi si operi con successo, mentre nel caso opposto, esso risulterà inferiore.

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caso in cui non si venga scoperti, potendoli anche ridurre rispetto alla condizione in assenza di tassazione prima esaminata.

Secondo il modello la presenza di extra-costi sulle attività produttive in assenza di tassazione è causa sufficiente del sommerso. Le politiche per l’emersione devono tenere adeguata considerazione di questo risultato, orientandosi verso l’eliminazione di regolamentazione e burocrazia costosa. Quindi il quadro che emerge è che mentre la letteratura generalmente considera che la tassazione tenda invariabilmente ad espandere il settore sommerso rispetto a quello regolare, in realtà la presenza di tassazione può produrre risultati molto diversi sulla base del diverso contesto in cui opera, come la differenza nei rendimenti tra economia sommersa e ufficiale o la maggiore capacità di operare irregolarmente. In questo senso c’è spazio per la policy: in primo luogo un sistema di tassazione progressivo rispetto a quello proporzionale tende a ridurre i vantaggi del sommerso limitando i vantaggi attesi. Altre indicazioni sono quelle di aumentare la probabilità di scoprire attività sommerse, ridurre il saggio marginale di tassazione, migliorare l’amministrazione nella raccolta e gestione delle tasse, accrescere l’area della deducibilità.

Nel modello di Soldatos (1994) la capacità di operare una chiara distinzione tra sommerso ed evasione fiscale si traduce nell’individuazione di strumenti di policy differenti per i due fenomeni: se per il sommerso la riduzione di regolamentazioni e burocrazia può ottenere effetti positivi, l’evasione fiscale può venire efficacemente combattuta con una migliore amministrazione, che è cosa ben diversa dall’aumento di regolamentazione e burocrazia. Tutta l’attività burocratica che mira alla lotta dell’evasione fiscale può far aumentare il sommerso, che invece può essere efficacemente combattuto migliorando la “production technology” dell’ammini-strazione fiscale. Rispetto al trade-off che emerge tra sommerso e evasione fiscale, tra gli aspetti più rilevanti troviamo che più facile è l’evasione fiscale, minore è la spinta al sommerso, e quindi l’imposizione fiscale sul reddito agisce riducendo l’evasione e spingendo verso il sommerso, mentre viceversa tassare la ricchezza favorisce l’evasione riducendo la spinta al sommerso. La tassazione sul reddito progressivo è in questo senso preferibile rispetto a quella proporzionale, ma in generale, non potendo eliminare entrambi i fenomeni, è preferibile applicare un mix delle due politiche fiscali.

In un articolo successivo, Soldatos (1995) affronta il tema dell’economia sommersa chiedendosi in particolare perché cittadini rispettosi della legge -e lo Stato con loro- sembrino tollerare l’evasione fiscale e l’economia sommersa. La discussione è affrontata ricorrendo agli strumenti analitici propri della teoria dei giochi, applicati all’interazione tra agenti economici (i cittadini) e tra questi con lo Stato nel perseguimento del proprio interesse, e tra i cittadini-elettori e il partito politico al governo che combatte l’economia sommersa per massimizzare le entrate fiscali e minimizzare le perdite elettorali, ceteribus paribus.

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Partendo dallo schema del dilemma del prigioniero, Soldatos discute la scelta da parte di due cittadini se contribuire o meno con una certa somma di denaro alla realizzazione di un bene pubblico, di cui beneficeranno qualunque sia la scelta effettuata. Secondo lo schema, la scelta migliore per entrambi è non cooperare (non contribuire e beneficiare comunque del bene), che risulta superiore per ciascuno alla possibilità di cooperazione non corrisposta (contribuire quando l’altro non contribuisce). Se questa situazione corrisponde facilmente al pagamento delle tasse allo Stato, è interessante chiedersi come mai i cittadini che pagano le tasse non denuncino gli evasori, a fronte della perdita relativa che subiscono (chi coopera con chi defeziona ricava un’utilità inferiore), e la risposta sta forse nel fatto che la perdita è minore a quanto previsto dallo schema, come per esempio se teniamo conto del risparmio che può ottenersi dall’acquisto di beni prodotti nell’economia sommersa.

Considerando come agenti lo Stato che cerca e punisce gli evasori, un cittadino produttore-venditore e uno consumatore-acquirente, lo schema del gioco mostra che la strategia dominante per lo Stato dovrebbe essere il perseguimento delle infrazioni e quella del venditore di pagare le tasse, ma che in un contesto di strategia mista, dove sia lo Stato che il venditore optano per quote di ciascuna delle due opzioni, il cittadino consumatore può trovarsi nella situazione di scegliere o meno se “colludere” con l’evasore beneficiando dei vantaggi sopra accennati. Di fatto l’opzione di pagare le tasse e di perseguire gli evasori ha senso solo se ciascuno degli agenti scegliesse sempre lo stesso comportamento (pure strategy context).

Secondo lo schema analitico proposto da Soldatos, il cittadino-consumatore, pur rimanendo osservante delle leggi, può collaborare con il venditore-evasore attraverso comportamenti che non implicano il suo diretto coinvolgimento nell’infrazione della legge, ma che richiedono soltanto che egli accetti consapevolmente di acquistare beni provenienti dall’economia sommersa (questo vale anche nel caso in cui acquisti forza-lavoro, perché l’imprenditore che la compra può rispettare la legge sotto altri aspetti, oppure per una quota di forza-lavoro), in tal modo collaborando con l’evasore. Il motivo per cui, dato che l’altro cittadino infrange la legge, egli dovrebbe giocare questa strategia mista risiede nella maggiore convenienza a collaborare con l’evasore nella misura in cui il governo non può imporre l’osservanza delle leggi, il che rende incerto il beneficio proveniente dall’osservanza della legge stessa, per definizione maggiore rispetto a quello derivante dalla non osservanza. Inoltre, considerando un gioco teoricamente ripetibile infinite volte, così come è lecito rappresentare il rapporto economico tra i due cittadini, il cittadino-consumatore ha motivo di credere che il venditore non offrirà beni di qualità inferiore, perché suscettibile di una strategia di ritorsione del tipo “occhio-per-occhio” e quindi soggetto ad un equilibrio di reputazione che richiede una qualità dei beni forniti nell’ambito dell’economia sommersa quanto

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meno accettabile se confrontata a quella dell’economia ufficiale.Il quadro che ne emerge indica come soluzione vantaggiosa per tutti la

tolleranza dell’evasione e quindi l’esistenza di una certa quota di economia sommersa. In questo senso un po’ tutti sono coinvolti nella mancata osservanza delle leggi, e non si può neppure esser certi che questo sia davvero un problema per lo Stato. Infatti secondo l’analisi di Soldatos può risultare conveniente allo Stato lasciare che qualcuno violi la legge e poi punirlo, poiché in questo modo può facilmente recuperare le perdite a livello di gettito fiscale (e ciò spiega l’efficacia discontinua delle campagne contro l’evasione fiscale), senza essere troppo duro con chi evade, facendo egli parte comunque del potenziale elettorato.

La conclusione di Soldatos è quindi che l’economia sommersa e l’evasione fiscale, di cui ha fornito la giustificazione teorica dal punto di vista delle scelte degli agenti coinvolti (Stato e cittadini), possono costituire un male necessario nella misura in cui stabilizzano l’economia e favoriscono lo sviluppo economico, facendo parte di quelle pratiche “illegali” che sono diffuse nella Storia e che hanno sostenuto lo sviluppo fino ad essere legalizzate.

Diverso soprattutto per le implicazioni di policy è lo studio di Friedman, Johnson, Kaufmann e Zoido Lobaton (2000). In cui viene presentata un’analisi dell’economia sommersa in 69 paesi negli anni Novanta. Lo studio si propone di saggiare la validità di due tra le principali ipotesi esplicative sulla presenza dell’economia sommersa, ovvero quelle che individuano come causa alternativamente il prelievo fiscale elevato o le istituzioni politiche e sociali -burocrazia, corruzione e sistema legale debole-. Il quadro che emerge dalle verifiche econometriche di Friedman, Johnson, Kaufmann e Zoido Lobaton non evidenzia alcun legame tra massiccia presenza di economia sommersa ed elevato prelievo fiscale (diretto o indiretto), pur non riuscendo a sostenere in modo robusto che un elevato prelievo è associato a bassa presenza di sommerso, mentre sembra inequivocabile il nesso tra economia sommersa da un lato e la massiccia presenza di burocrazia, corruzione e una marcata debolezza del sistema legale dall’altro. L’idea di fondo è proprio contrapporre la spiegazione basata sul carico fiscale a quella basata sull’inefficienza del sistema legale e istituzionale come cause del sommerso, e, in una certa misura, le verifiche empiriche confermano la relazione tra debolezza delle istituzioni ed economia sommersa.

Il modello impiegato considera la scelta allocativa di un imprenditore di impiegare o meno una parte delle proprie risorse nell’economia sommersa. Le risorse possono essere investite in attività ufficiali, che sono tassate ad un dato saggio e che subiscono dei costi legati alla burocrazia, riconducibili sia all’iper-regolamentazione che alla corruzione, in quanto costi imposti dalla burocrazia che non generano entrate per lo Stato e che non hanno effetti benefici sulla società. Viceversa le attività non ufficiali o sommerse, pur non essendo tassate, implicano un costo legato al rischio di essere scoperti e perseguiti dallo Stato, e tale costo

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cresce con le risorse assegnate al sommerso -per esempio con la crescita delle attività aumenta la visibilità e quindi la perseguibilità-.

La produttività nell’economia ufficiale dipende positivamente dalle entrate fiscali nel senso che il loro impiego può favorire la produttività migliorando l’istruzione, le infrastrutture o il sistema legale, che a sua volta persegue le attività non ufficiali e favorisce le entrate fiscali e quindi la fornitura di beni pubblici.

Accanto a questo ruolo positivo dello Stato, vi sono effetti sommergenti da parte della burocrazia, la cui presenza a tassi elevati aumenta gli incentivi a dirottare risorse nelle attività non ufficiali -sempre presenti per ipotesi semplificatrice-, quindi con un effetto deprimente sulle attività economiche e soprattutto riducendo le entrate fiscali e quindi la disponibilità di beni pubblici (tra cui il sistema legale). Da questo punto di vista, a differenza della burocrazia, l’effetto di una crescita del livello di tassazione non solo aumenta gli incentivi alla sommersione, ma può anche aumentare la disponibilità di beni pubblici, che invece riduce gli incentivi al sommerso.

Il modello mostra effetti opposti da parte della burocrazia (nella definizione estesa di cui sopra) da un lato e della tassazione dall’altro. L’iper regolamentazione e la corruzione disincentivano in modo inequivocabile alle attività regolari e sono molto probabilmente legate a saggi elevati di economia sommersa e a bassi livelli di entrate fiscali. Al contrario, la tassazione ha effetti che si controbilanciano, incentivando in modo diretto le attività non ufficiali a causa dell’alto prelievo, ma anche sostenendo la produzione regolare attraverso l’assetto istituzionale e legale. La discrezionalità del sistema legale e la corruzione risultano più fortemente correlati con attività produttive sommerse, quasi a costituire una forma ancora più gravosa di tassazione rispetto al prelievo dello Stato, capace di spingere parti crescenti dell’economia verso l’irregolarità e di indebolire lo Stato innescando un circolo vizioso tra sommerso, istituzioni deboli e scarsità di beni pubblici. Le tasse possono costituire un primo incentivo verso l’entrata nell’economia irregolare, ma costituiscono anche il presupposto di un ambiente istituzionale “efficiente” e quindi con bassi livelli di attività irregolare. Il punto critico è come viene gestito il sistema della tassazione.

La verifica empirica realizzata sulla base del modello proposto da Friedman, Johnson, Kaufmann e Zoido Lobaton trova evidenza empirica nei test effettuati su 69 paesi. L’uso di variabili strumentali per misurare aspetti istituzionali, attraverso le quali è possibile evidenziare una componente esogena delle istituzioni correlata in modo significativo con l’economia sommersa, permette inoltre di stabilire che la direzione assunta da tale relazione va dalle prime alla seconda. Il meccanismo con cui il sommerso emerge e prolifera è quindi il seguente: in presenza di un’onerosa burocrazia, di elevati livelli di corruzione e di un sistema legale debole, le imprese preferiscono occultare le proprie attività, inducendo una riduzione degli introiti fiscali, e quindi la qualità della pubblica amministrazione, secondo un circolo

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vizioso in cui l’incentivo al sommerso si rafforza. Questa ricostruzione viene avvalorata anche dal fatto che istituzioni deboli sono associate anche a tassi ridotti di prelievo fiscale sul Pil.

1.8Modelli microeconomici di equilibrio economico generale

Tra i modelli di equilibrio economico generale che studiano il sommerso segnaliamo quello di Carillo-Pugno (2002). Il lavoro è interessante perché sposta l’attenzione su fenomeni di norma non considerati nelle analisi standard sul sommerso. In particolare mette in relazione la presenza di economia sommersa con il grado di sviluppo industriale dell’area di riferimento, evidenziando i risultati che danno luogo a originali suggerimenti di policy.

La struttura del modello è la seguente. Le imprese possono scegliere di assumere lavoratori regolarmente o irregolarmente. I lavoratori regolari hanno modo di avere learning by doing e training on the job. Non così gli irregolari. Regolari e irregolari sono però complementari. La funzione di produzione dell’impresa infatti specifica due diverse produttività marginali per i due tipi di lavoratori (non è tuttavia necessario assumere che la produttività dei lavori sommersi sia inferiore a quella dei lavoratori emersi).

Le imprese non sono omogenee, ma differiscono tra loro per l’abilità dell’imprenditore. Ciò dà luogo a entrate e uscite dal mercato in relazione al saggio di salario ufficiale e non ufficiale (unico input). Esistono esternalità localizzative di tipo marshalliano; ciò serve a catturare l’effetto del distretto industriale. Nella funzione di costo delle imprese entra sia il lavoro ufficiale su cui grava l’imposizione fiscale; sia il lavoro sommerso sul quale grava la probabilità di essere scoperto e di pagare la relativa sanzione.

Il mercato del lavoro è perfettamente concorrenziale; i lavoratori offrono i flussi di lavoro di cui sono dotati (l’offerta di lavoro individuale è perfettamente rigida rispetto al salario). Essi decidono di offrire lavoro legale o sommerso confrontando il salario al netto dell’imposizione fiscale (certa nel caso del lavoro regolare o incerta nel caso di lavoro sommerso) nelle due condizioni.

Sulla base di questa rappresentazione stilizzata Carillo e Pugno mostrano che esiste un legame tra dimensione d’impresa e quota di lavoro regolare su lavoro totale. In particolare mostrano che le imprese con migliore dotazione imprenditoriale sono più grandi ed in esse c’è una quota più bassa di lavoro sommerso.

L’economia è in equilibrio se si verificano tre condizioni: (i) non esistono flussi in entrata ed in uscita di imprese, ciò equivale all’affermazione che l’impresa marginale paga un saggio di salario che annulla i suoi profitti-; (ii) non esistono flussi di lavoratori tra posti di lavoro diversi; ciò significa che i lavoratori non

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hanno alcun incentivo a spostarsi dal loro posto di lavoro sommerso o ufficiale; ciò avviene quando il saggio di salario per i lavoratori ufficiali e per i sommersi è lo stesso; (iii) il mercato del lavoro è in equilibrio, ovvero la domanda aggregata di lavoro è pari all’offerta aggregata di lavoro.

La condizione (i) è rappresentata nella linea ondulata della figura 1 che rappresenta differenti combinazioni di salario e numero di imprese attive, in modo tale che l’impresa marginale abbia profitti pari a zero.

Nella figura 1.2, W indica il saggio di salario di equilibrio; E è la capacità imprenditoriale dell’i-esimo imprenditore. Da essa, è necessario ribadirlo, dipende sia la dimensione dell’impresa (tanto più elevata è la capacità dell’imprenditore, tanto maggiore la sua dimensione d’impresa poiché a parità di salario può acquisire flussi più elevati di lavoro), sia la quota di lavoro sommerso sul totale del lavoro (tanto più elevata la dimensione tanto minore la quota di lavoro sommerso).

Spostandosi da sinistra verso destra nel grafico accade che entrano nel mercato nuove imprese con capacità imprenditoriale via via inferiore. Le imprese entrano nel mercato solo se il saggio di salario scende. Ogni punto della curva mostra il numero di imprese che in equilibrio si trovano sul mercato; ogni punto individua l’impresa marginale in corrispondenza di diversi saggi di salario. La gobba centrale è dovuta all’operare delle esternalità marshalliane: raggiunta una certa numerosità le imprese godono delle esternalità proprie del distretto.

Carillo e Pugno dimostrano che anche la condizione di equilibrio del mercato è funzione del numero di imprese che vi sono presenti, oltre che del salario. È perciò possibile riportare nello stesso grafico la condizione di equilibrio del mercato del lavoro opportunamente linearizzata. Nel grafico sono riportate tre condizioni di equilibrio del mercato del lavoro. Nei casi (a) e (c) ci troviamo di fronte a equilibri unici con una quota di economia sommersa derivante dalle attività miste delle imprese: le più grandi hanno quote inferiore delle più piccole. Per quanto riguarda invece nel caso (b) ci troviamo di fronte a tre equilibri: un equilibrio caratterizzato da basso salario, numero di imprese ridotto, dimensione d’impresa ridotta ed elevata proporzione di lavoro sommerso; un secondo equilibrio caratterizzato da salario elevato, numero elevato di imprese, dimensione di impresa elevata e quota di lavoro sommerso ridotta; un equilibrio intermedio instabile compreso tra i due equilibri stabili.

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Figura 1.2EQUILIBRI SUL MERCATO DEL LAVORO

Fonte: Carillo-Pugno, 2002

Il terzo equilibrio è Pareto superiore al secondo ed al primo. Il primo equilibrio rappresenta quello che Carillo e Pugno chiamano la trappola del sottosviluppo.

Le variabili di interesse per la politica economica sono tre:1. il carico fiscale sul lavoro sommerso, che può essere reso più elevato attraverso

controllo più efficaci o penalità più elevate. Gli effetti sono però ambigui: aumentare il carico fiscale sul sommerso ha infatti effetti non univoci: nel caso di trappola del sottosviluppo può sia aiutare a uscire dalla situazione, ma troppi controlli e penalità possono avere anche effetti negativi;

2. la presenza di esternalità positive per la produzione che possono essere incrementate attraverso la fornitura di servizi pubblici per le attività legali; questo fa sì che soprattutto le imprese con imprenditori “mediamente abili” godano dei vantaggi dell’aumento di produttività. Ciò favorisce l’incremento della domanda di lavoro, la crescita della dimensione d’impresa e dunque la contrazione del numero dei lavoratori sommersi;

3. l’abilità imprenditoriale che può essere incrementata da politiche educative. L’abilità imprenditoriale spinge le imprese a aumentare la loro dimensione ed a ridurre la quota di lavoro sommerso impiegata. Nel caso di un equilibrio del tipo trappola del sottosviluppo politiche in grado di accrescere l’abilità imprenditoriale sono in grado di spingere l’economia verso un equilibrio Pareto superiore.

Tutte e tre le varabili hanno infatti effetto nel determinare il grado di regolarizzazione dell’impresa e riducono la dimensione complessiva dell’economia sommersa.

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Le migliori politiche suggerite dal modello sono quelli dirette a migliorare l’imprenditorialità, specialmente attraverso politiche educative. Le politiche dirette a combattere l’economia sommersa appaiono effettive solo quando l’imprenditorialità è sufficientemente sviluppata e ben distribuita tra le imprese. Più che penalizzare il sommerso il problema è quello di rendere più conveniente il lavoro emerso.

Il lavoro di Carillo e Pugno prende l’avvio da un precedente lavoro di Pugno (2000) costruito con un quadro teorico del tutto simile, ma con alcune caratteristiche diverse. Le imprese sono di due tipi: legali e sommerse. Le imprese legali offrono salari più elevati di quelle sommerse; le imprese sommerse offrono a loro volta salari più elevati di un salario minimo vicino a quello market clearing. La modalità di determinazione del salario usa un modello del tipo salario di efficienza. Le imprese legali occuperanno i lavoratori più abili; i disoccupati sono i lavoratori meno abili. Nel modello è già presente una esternalità di tipo marshalliano: tanto più elevato il numero di imprese emerse, tanto maggiore l’esternalità. Nel modello precedente l’esternalità era connessa al numero complessivo di imprese e serviva solo a spiegare la gobba del grafico. Gli imprenditori più abili dirigono le imprese più grandi. Imprese grandi e piccole convivono nello stesso mercato. La dimensione delle imprese legali è sempre maggiore della dimensione delle imprese sommerse. Il sommerso assorbe parzialmente la disoccupazione, ma influenza negativamente la crescita economica. Le politiche di emersione riducono la quota di occupazione sommersa e aumentano quella emersa e grazie all’esternalità ci può essere aumento complessivo dell’occupazione.

Carillo e Papagni (2002) si muovono nello stesso ambito analitico (equilibrio economico generale e crescita) introducendo nel modello due elementi rilevanti per la teoria della crescita: innovazione e capitale umano. L’ipotesi che intendono testare i due autori è che il settore sommerso può avere effetti negativi sull’economia regolare e sulla crescita economica in quanto l’attività sommersa riduce il grado di innovazione e il tasso di accumulazione di capitale umano. L’idea è che agire nel sommerso è costoso in termini di risorse per l’impresa; tali risorse sono sottratte all’attività innovativa. Nell’economia esiste una relazione positiva tra numero di imprese che innovano e disponibilità dei lavoratori ad investire in capitale umano: i lavoratori investono di più in capitale umano se la probabilità di trovare lavoro in imprese innovative è più elevata. Se si riduce il numero di imprese che innovano si riduce anche l’investimento in capitale umano. Nel modello emergono due equilibri. Un primo equilibrio con l’economia caratterizzata da un sistema produttivo duale con la contemporanea presenza di imprese tecnologicamente avanzate e imprese che adottano tecnologie arretrate, un grado di sommerso elevato, forza lavoro scarsamente qualificata. Un altro equilibrio con imprese che adottano sempre le innovazioni, forza lavoro altamente qualificata e

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minore grado di sommerso. In questo secondo caso l’attività illegale è un modo per aumentare i profitti e non, come nel primo caso, per compensare svantaggi competitivi delle imprese. In questo caso un maggiore livello di accumulazione di capitale umano consente di aumentare l’attività sommersa perché ne riduce lo sforzo organizzativo. Il tasso di crescita del primo stato è inferiore a quello del secondo.

Le politiche volte a ridurre l’attività sommersa sono diverse a seconda di quale dei due equilibri prevale. Nell’equilibrio basso la politica formativa è altamente efficace poiché tramite essa si può aumentare il grado di innovazione del sistema e per questa via ridurre il sommerso. Se invece si è in equilibrio alto allora risultano efficaci gli strumenti di intensificazione dei controlli e della penalità.

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Schema 1.3SCHEDA DI SINTESI DEI MODELLI

Articolo Schema teorico Modello impiegato per la stima del sommerso

Caratteristiche delle imprese

Caratteristiche dei lavoratori Effetti di welfare Politiche di emersione

Carillo-Papagni (2002)

Modello di equilibrio economico generale con imprenditori eterogenei. Complementarità strategica tra tecnologia e capitale umano.

NO Le imprese scelgono la tecnologiaTrade off tra sviluppo tecnologico e sviluppo di attività sommerse comunque costose da organizzare.

I lavoratori scelgono se investire in capitale umano.L’investimento in capitale umano è funzione del numero di imprese che adottano tecnologie innovative.

Esistono due equilibri: equilibrio alto: tutte le imprese usano tecnologie innovative; i lavoratori investono in capitale umano; il livello di sommerso è ridotto. Equilibrio basso duale: imprese con tecnologia alta e lavoratori migliori, con poco sommerso.Imprese con tecnologia bassa e attività sommerso con forza lavoro poco qualificata.

Nell’equilibrio alto: penalità e controlli.Nell’equilibrio basso: formazione per i lavoratori, ciò rende meno costosa l’innovazione.

Pugno (2000)

Modello di equilibrio economico generale con esternalità marshalliane e imprenditori eterogenei.

NO Imprese legali e imprese sommerse;massimizzazione dei profitti al netto della sanzione attesa;imprese legali più grandi delle imprese sommerse.

Lavoratori eterogenei; determinazione del salario a livello di efficienza.

Imprese più grandi sono quelle degli imprenditori migliori; il sommerso assorbe parzialmente la disoccupazione; influenza negativamente la crescita economica.Politiche di emersione riducono la quota di occupazione sommersa, ma aumentano quella emersa e grazie all’esternalità ci può essere aumento complessivo dell’occupazione.

Effetti positivi di una politica volta a ridurre i costi di emersione accompagnata da un aumento dei controlli. Sono però maggiori gli effetti positivi di una politica volta ad aumentare l’efficienza delle imprese.

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Schema 1.3 segue

Articolo Schema teoricoModello impiegato per la stima del sommerso

Caratteristiche delle imprese

Caratteristiche dei lavoratori Effetti di welfare Politiche di emersione

Carillo-Pugno (2002)

Modello di equilibrio economico generale con esternalità marshalliane e imprenditori eterogenei

NO Le imprese differiscono per l’abilità dell’imprenditore e decidono se assumere lavoratori in modo regolare o irregolare.

I lavoratori regolari e irregolari sono complementari, con diverse produttività marginali; l’offerta di lavoro individuale è perfettamente rigida rispetto al salario.

Legame tra sommerso e dimensione d’impresa: le imprese con migliore dotazione imprenditoriale sono quelle più grandi e tra esse è minore la quota di sommerso.

Le politiche per l’emersione devono mirare a migliorare l’imprenditorialità, soprattutto attraverso politiche educative, e incrementando le esternalità positive con la fornitura di servizi pubblici per le attività regolari.

Brunetta-Ceci (1998)

Modello di equilibrio parziale dal lato della domanda di lavoro. Dualismo Nord-Sud dell’economia italiana.

NO Riduzione del costo del lavoro è motivazione del sommerso da parte delle imprese. Distinzione tra sommerso di lavoro e sommerso d’azienda in corrispondenza al dualismo territoriale della struttura economica.

I lavoratori beneficiano dei vantaggi dell’evasione fiscale ottenendo ingresso/accesso a mercato del lavoro in aree depresse.

Il sommerso è equilibrio legato alla ricerca di flessibilità del mercato del lavoro e di compensazione del dualismo in assenza di adeguata spesa pubblica e di mercato del lavoro rigido e con oneri fiscali e contributivi elevati.

Effetti positivi di riduzione del sommerso dalla riforma strutturale del mercato del lavoro e del mercato dei beni per accrescere flessibilità, trasparenza, concorrenza.Necessità di riforme fiscali e contributive per la riduzione del costo del lavoro.

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1.1.1.1Schema 1.3 segue

Articolo Schema teoricoModello impiegato per la stima del sommerso

Caratteristiche delle imprese

Caratteristiche dei lavoratori Effetti di welfare Politiche di emersione

Friedman, Johnson, Kaufman, Zoido Lobaton (2000)

Modello di equilibrio parziale con portfolio theory.

SI L’imprenditore sceglie se investire nell’economia sommersa in base al livello di tassazione, ai costi della burocrazia (inclusa la corruzione), all’efficacia del sistema legale, al costo atteso di operare nel sommerso.

Effetti opposti da parte della burocrazia da un lato e della tassazione dall’altro. La regolamentazione e la corruzione sono associate a saggi elevati di economia sommersa e a bassi livelli di entrate fiscali. Al contrario, la tassazione ha effetti che si controbilanciano, incentivando in modo diretto alle attività non ufficiali a causa dell’alto prelievo, e sostenendo il settore regolare attraverso l’assetto istituzionale e legale.

Se le tasse possono costituire un primo incentivo verso l’economia irregolare, costituiscono anche il presupposto di un contesto istituzionale funzionante di bassi livelli di attività irregolare. Quindi è in primo luogo in direzione del miglioramento dell’efficienza delle istituzioni che gli interventi di policy devono orientarsi.

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1.1.1.2Schema 1.3 segue

Articolo Schema teoricoModello impiegato per la stima del sommerso

Caratteristiche delle imprese

Caratteristiche dei lavoratori

Effetti di welfare Politiche di emersione

Lamieux, Fortin, Frechette (1994)

Modello di equilibrio parziale dal lato dell’offerta di lavoro.

SI Nell’economia sono presenti sia imprese legali che imprese sommerse. La natura informale delle attività sommerse ne limita l’estensione a livello di mercato.

Il lavoratore determina l’allocazione del tempo tra settore regolare e irregolare sulla base di un dato vincolo di bilancio, dove compaiono entrate regolari, irregolari e di altra origine, il costo atteso dell’infrazione.

L’incremento della tassazione accresce il settore irregolare. Tale effetto risulta attenuato per il mercato del lavoro in generale, mentre è accentuato per alcune tipologie di lavoratori, in particolare per i cittadini beneficiari di interventi di welfare.

Una maggiore attività di controllo da parte dello Stato può controbilanciare una parte dell’effetto di sommersione legato alla tassazione e al sistema di trasferimenti.

Soldatos (1995) Modello di equilibrio parziale con portfolio theory basato su game theory

NO Le imprese sono rappresentate nei termini dell’interazione tra agenti economici (i cittadini) e di questo con lo Stato nel perseguimento del proprio interesse, secondo l’alternativa obbedire-non obbedire alla legge (pagare le tasse) secondo lo schema del dilemma del prigioniero. Scelta tra contribuire o meno alla realizzazione di un bene pubblico.

I lavoratori sono rappresentati nei termini dell’interazione tra agenti economici (i cittadini) e di questo con lo Stato nel perseguimento del proprio interesse, secondo l’alternativa obbedire-non obbedire alla legge (pagare le tasse) secondo lo schema del dilemma del prigioniero. Scelta tra contribuire o meno alla realizzazione di un bene pubblico.

L’equilibrio si raggiunge con la strategia mista, consistente nell’osservare parzialmente la legge, e quindi con l’esistenza di una quota di sommerso, nella misura in cui il governo non può imporre l’osservanza delle leggi.

Può convenire allo Stato tollerare il sommerso, perseguendolo solo parzialmente. L’economia sommersa è un male necessario nella misura in cui stabilizza l’economia e favorisce lo sviluppo economico.

Schema 1.3 segue

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Articolo Schema teoricoModello impiegato per la stima del sommerso

Caratteristiche delle imprese

Caratteristiche dei lavoratori

Effetti di welfare Politiche di emersione

Soldatos (1994) Modello di equilibrio parziale con portfolio theory. Distinzione tra economia sommersa e evasione fiscale.

NO Investitore sceglie se impiegare risorse nell’economia sommersa e/o in quella ufficiale. Costi delle attività legati a burocrazia, x-inefficiency, livello di tassazione.

Economia sommersa risulta conveniente anche in condizione di un livello nullo di tassazione, causata da costi di burocrazia e x-inefficiency.

La distinzione tra sommerso ed evasione fiscale si riflette in strumenti di policy differenti: si attendono effetti positivi dalla riduzione di regolamentazioni e burocrazia nel caso del sommerso, mentre l’evasione fiscale richiede il miglioramento dell’amministrazione, riducendo regolamentazione e burocrazia.

Schneider–Neck (1993)

Modello di equilibrio parziale dal lato dell’offerta di lavoro. Analisi della complessità del sistema fiscale.

SI Le famiglie scelgono l’allocazione del tempo tra lavoro regolare e sommerso e realizzano attività volte alla riduzione dell’imposizione fiscale legale.

Maggiore è la complessità del sistema fiscale, che dipende dalle caratteristiche del regime di imposizione e in particolare dal livello dell’esenzione stabilita per legge, minore è la presenza di sommerso.

Gli interventi di policy devono incidere sulla complessità più che sull’entità del carico fiscale per ridurre il sommerso.

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2.LE TIPOLOGIE DEL LAVORO SOMMERSO IN TOSCANA: EVIDENZE QUALITATIVE E RISULTATI DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA

2.1La fenomenologia del sommerso

Scopo di questo capitolo è sintetizzare i principali risultati delle analisi qualitative sul sommerso in Toscana svolte nel corso degli ultimi anni. Queste sono concordi nel notare che in Toscano il sommerso si manifesta in modo sostanzialmente diverso rispetto a quanto rilevato nel Sud dell’Italia (Meldolesi, 1998), con una netta predominanza delle forme di grigio rispetto al nero vero e proprio. Ed è utile anticipare anche che la gran parte delle forme di sommerso che saranno qui di seguito descritte può essere spiegata in riferimento alla ricerca da parte delle imprese di flessibilità nella gestione della forza lavoro. Il ricorso al lavoro sommerso trova cioè spiegazione nella ricerca da parte delle imprese di condizioni che facilitino (i) l’entrata e l’uscita dei lavoratori, (ii) la loro utilizzazione all’interno dell’impresa in mansioni e con orari non rigidamente predeterminati (flessibilità funzionale), (iii) la riduzione del costo del lavoro connessa all’evasione fiscale e contributiva e alla deroga alle condizioni contrattuali che determinano le retribuzioni. È quindi possibile riconoscere come ciascuna tipologia di sommerso permetta alle imprese di accedere ad un mix di questi vantaggi, e come la scelta della tipologia di sommerso dipenda proprio dalle caratteristiche del mix di vantaggi che l’impresa intende perseguire.

Iniziamo la ricognizione delle tipologie di sommerso considerando i casi di lavoro nero, per poi passare alle diverse tonalità del grigio.

• Il lavoro neroLa presenza di sommerso vero e proprio ha in Toscana una diffusione relativamente limitata. Il lavoro totalmente sommerso risulta circoscritto in aree e per gruppi di imprese e lavoratori di estensione relativamente limitati, e non è quindi la forma prevalente di lavoro sommerso.

Vi sono prove di presenza di lavoro totalmente sommerso per le squadre di lavoratori delle imprese di pulizia, che svolgono lavori periodici come la lucidatura di pavimenti o il lavaggio dei vetri, per i lavoratori dei pubblici esercizi, dove il lavoro sommerso viene considerato assolutamente normale per alcuni impieghi, come per il cameriere, gli aiuti in cucina, o i servizi negli alberghi. Qui sono in

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particolare la relativa facilità dell’evasione fiscale -che rende ancora più vantaggioso il nero e ne semplifica il finanziamento- e le caratteristiche degli impieghi -basse competenze e scarsi effetti negativi da turnover- a facilitare il ricorso al sommerso.

Un’attività diffusa e caratterizzata dalla presenza massiccia di lavoro nero è quella dei servizi alle famiglie -colf e badanti, servizi domestici- svolti con residenza presso la famiglia o ad ore. Questi ultimi sono svolti pressoché nella loro totalità a nero -il lavoratore riceve di norma una retribuzione oraria superiore al corrispondente contrattuale che lo compensa in parte del mancato versamento di contributi. I servizi con residenza possono essere svolti sia a nero che in grigio, e sono sempre più spesso svolti da stranieri, tra i quali spiccano per presenza i lavoratori provenienti dalle Filippine.

Tutti questi casi di lavoro nero hanno in comune alcune caratteristiche della forza lavoro e della sua gestione da parte delle imprese che è utile sottolineare. La forza lavoro è assai instabile, costituita per lo più da donne, immigrati e giovani, che fanno registrare altissimi livelli di turnover. In alcuni casi siamo di fronte ad individui espulsi dal mercato del lavoro per l’età, per mancanza di qualifica adeguata all’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, o per caratteristiche emarginanti quali taluni comportamenti devianti14. Questi lavoratori svolgono nella quasi totalità dei casi prestazioni a bassa qualifica, con una capacità di contrattazione pressoché nulla, sia per il livello delle loro competenze -scarse o obsolete-, sia perché spesso sono portatori di caratteristiche discriminanti, come gli immigrati15 e le donne, e che per questi motivi accettano condizioni lavorative assolutamente instabili e retribuzioni molto basse. Le imprese sfruttano queste condizioni per perseguire l’obiettivo di ridurre il costo del lavoro e di massimizzare la flessibilità in uscita dei lavoratori.

Il fenomeno più macroscopico di lavoro sommerso in Toscana è legato alle attività di produzione di articoli in pelle delle imprese appartenenti a membri della comunità cinese, presenti soprattutto nell’area fiorentina e pratese. Si tratta di una realtà estremamente complessa: il contatto con la comunità cinese presenta difficoltà specifiche anche per le istituzioni preposte al controllo (Bortolotti, 1992; Provincia di Firenze, 1991). Le imprese appartenenti a cinesi attualmente occupano le fasce di prodotti di bassa qualità e basso prezzo, destinati prevalentemente ai mercati ambulanti, con una produzione che in parte è sommersa, in parte regolare16.

14 Tra i lavoratori dei servizi di pulizia, ad esempio, il 70% sono donne, quasi tutte con contratto part-time, mentre tra gli uomini, quasi tutti con contratto full-time, c’è una massiccia presenza di individui con problemi di inserimento sociale ed economico -tossicodipendenti, ex-carcerati, etilisti, etc.-. 15 Non è sempre corretto associare i lavoratori extracomunitari con l’assenza o la scarsità di competenze formalizzate. In generale, comunque, anche quando si è in presenza di lavoratori con elevato titolo di studio questo risulta difficilmente spendibile sul mercato del lavoro italiano. 16 La parziale regolarità si intende soprattutto in relazione ad una stessa impresa, che presumibilmente effettua dichiarazioni di fatturato inferiori al reale: la proliferazione delle richieste di iscrizione all’Albo degli Artigiani fa ipotizzare che le ditte cinesi del tutto sommerse si siano ridotte di numero, almeno relativamente. Ciò pare dovuto

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L’organizzazione produttiva delle imprese, per così dire, cinesi presenta un grande frazionamento, con ampio ricorso al lavoro familiare e a manodopera occasionale, per lo più irregolare, e spesso anche al lavoro minorile. In questo modo esse sfruttano al massimo e oltre il consentito le possibilità offerte dalla legislazione italiana in materia di piccola impresa e di trattamento del lavoro familiare, nelle cui maglie si nasconde spesso lo sfruttamento altrui attraverso la mancata dichiarazione di familiari coadiuvanti e il prolungamento esasperato dell’orario di lavoro. Oltre a presentare un’enorme dilatazione dell’orario lavorativo, che può estendersi dalle 12 ore fino a 16 o 18 ore al giorno, anche le retribuzioni risultano molto basse, soprattutto nelle fasi di inserimento: nei casi in cui si hanno buste paga regolari, le retribuzioni possono scendere fino ai 150 euro mensili.

In questo caso le norme sociali e la coesione interna della comunità di appartenenza svolgono un’importante funzione di controllo e di mantenimento delle condizioni di irregolarità dei lavoratori. Infatti è difficile che i lavoratori non solo reclamino i propri diritti, denunciando la propria condizione presso le istituzioni territoriali preposte ai controlli, ma che fuoriescano anche individualmente dal meccanismo dello sfruttamento. Del resto vale in generale l’osservazione che, soprattutto nel caso di lavoratori stranieri, la clandestinità o comunque la propria condizione di estraneità verso le istituzioni possa favorire la diffusione del sommerso.

• Il lavoro grigioA fronte di una limitata varietà e diffusione di lavoro nero, notevole è la varietà e la diffusione, rispetto alla tipologia precedentemente illustrata, delle forme di lavoro grigio.

Una forma di grigio molto diffusa, tanto frequente da essere ritenuto normale nel settore privato dell’economia, con l’eccezione delle grandi imprese, consiste nel pagamento fuori busta del lavoro straordinario, che non risulta differenziata in base alle specifiche caratteristiche contrattuali dei lavoratori. In linea generale il maggiore costo del lavoro straordinario fa sì che le imprese, in tutti i settori, dal manifatturiero ai diversi rami del terziario17, cerchino di limitare al massimo il pagamento del sovra-orario come straordinario in busta. Quelle imprese per cui è disponibile un fondo finanziario nero adeguato -soprattutto le piccole e medie aziende-, effettuano il pagamento del sovra-orario -e talora anche di eventuali premi di produzione- direttamente a nero. Quando poi non fosse possibile o vantaggioso pagare a nero, si cerca di far figurare lo straordinario sotto altre voci della busta paga che non sono gravate, o lo sono in misura minore, da oneri fiscali e contributivi, come nel caso degli autotrasportatori, le cui ore di straordinario

alle recenti norme sulla regolarizzazione degli immigrati clandestini. 17 Tra gli spedizionieri, ad esempio, si hanno buste paga fittizie con retribuzioni reali che sono per il 35% a nero. Sempre nei trasporti, anche il lavoro impiegatizio è frequentemente interessato al pagamento a nero di almeno metà

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vengono accreditate come trasferte18. Metodi analoghi di riscossione degli straordinari in busta come diarie, premi o indennità varie possono essere osservati con frequenza nel settore dei servizi, tra i lavoratori delle mense e nelle imprese di pulizie.

Il pagamento non regolare dello straordinario implica una corrispondente evasione dei previsti oneri contributivi e fiscali. Dal punto di vista del lavoratore ciò rappresenta una perdita netta sul calcolo pensionistico e sul Trattamento di Fine Rapporto (TFR) a fronte di un risparmio minimo a livello fiscale. In alcuni casi -per lavoratori dotati di un certo potere contrattuale, come spiegheremo meglio più avanti- queste perdite sono compensate con una maggiorazione -di entità variabile- sulla retribuzione oraria, spesso secondo la formula del fare a mezzo, tra impresa e lavoratore, del risparmio derivante dai mancati versamenti.

Una seconda forma di grigio diffusa nel territorio regionale della Toscana consiste nell’uso improprio del part-time, che permette all’impresa simulta-neamente di ridurre il costo del lavoro e avvalersi di forza lavoro funzionalmente flessibile. I meccanismi di sommersione parziale del lavoro sono in questo caso molteplici. Un primo meccanismo dà luogo al solo abuso relativo all’utilizzo improprio dello strumento contrattuale da parte delle imprese, al fine di accrescere la flessibilità funzionale (oraria) dei lavoratori impiegati. Il contratto part-time consente all’azienda una certa flessibilità oraria; per accentuare questa caratteristica del contratto di lavoro è diventata pratica diffusa il superamento dell’orario supplementare consentito. In pratica il part-time così gestito permette di avere un lavoratore a tempo pieno potenziale, che lavora quanto di volta in volta necessario senza vincoli per l’azienda19. In alcuni casi, per esempio come nella grande distribuzione, il lavoro supplementare viene retribuito in busta, pur eccedendo il limite consentito; abbiamo avuto notizia di altri casi in cui vengono raggiunti orari mensili in regime di part-time che superano i limiti complessivi di orario -normale e straordinario- consentiti per il full-time.

È possibile osservare l’esistenza di un secondo meccanismo di sommersione parziale, che aggiunge all’abuso orario il pagamento del tempo supplementare fuori busta, o sotto forma di voci in busta paga non gravate da contributi. In questo modo alla flessibilità oraria si accompagna una riduzione impropria del costo del lavoro secondo lo schema già ricordato in precedenza. Questo fenomeno è diffuso nella piccola distribuzione, nei servizi di pulizia e di mense, nei trasporti -specialmente nel comparto degli autonoleggi-, nei pubblici esercizi.

Un esempio emblematico, per certi aspetti addirittura paradossale, di uso improprio del part-time e di sconfinamento con il sommerso è quello dell’edilizia.

degli straordinari, che possono giungere fino a massimi di 70 ore mensili.18 Questo metodo viene usato, nei casi in cui sia possibile, anche nel settore manifatturiero (metalmeccanico ed altri).19 Un danno accessorio subito dal lavoratore consiste nell’essere impossibilito a trovare un ulteriore impiego ad integrazione del primo proprio a causa dell’incertezza connessa agli orari di lavoro.

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Il meccanismo è il seguente: il lavoratore ha un contratto part-time e riceve in busta paga retribuzioni per un orario mensile di 90-100 ore -poco più di 4 ore giorna-liere-. Di fatto nessun cantiere effettua la turnazione dei lavoratori durante la giornata-che solitamente dura dall’alba al tramonto-. Le restanti ore lavorate vengono pagate direttamente fuori busta20. L’aspetto paradossale risiede nel fatto che in molti casi hanno contratti part-time proprio i lavoratori che si spostano in Toscana dalle regioni meridionali per periodi limitati di tempi e che, ovviamente, non hanno nessun interesse ad avere un lavoro part-time21.

Un’ampia varietà di forme di sommersione grigia si è creata in connessione alle forme contrattuali atipiche introdotte dalla legge 196/1997 (pacchetto Treu). Un primo punto critico è rappresentato dai contratti di collaborazione coordinata e continuata. Il tema è delicato poiché è molto difficile distinguere l’uso lecito della collaborazione dall’abuso. Si segnalano a questo riguardo violazioni di fatto delle norme relative alla mancanza del vincolo di subordinazione e alle caratteristiche della prestazione lavorativa (orari rigidi, etc.). Questo sconfinamento permette alle imprese di ampliare la sfera della flessibilità funzionale connessa al contratto, usufruendo al contempo di tutti i vantaggi che esso comporta in termini di riduzione del costo del lavoro, di flessibilità in entrata ed in uscita dei lavoratori. Si potrebbe ipotizzare che proprio la precarietà del rapporto di lavoro -necessità di rinnovo periodico del contratto- permetta al datore di lavoro di richiedere che la prestazione sia effettuata secondo modalità che non corrispondono alle caratteristiche del rapporto di collaborazione stesso, compreso l’eventuale accordo sulla remunerazione, che finisce per non essere vincolata ai minimi di categoria. In Toscana l’utilizzo dei rapporti di collaborazione è ampio e crescente (SL, 2001; Tonarelli 2001; Unioncamere Toscana, 2002), in particolare nella grande e nella piccola distribuzione, nel terziario (laboratori di analisi mediche, gli studi professionali etc.).

Più in generale molte delle forme contrattuali atipiche si prestano ad abusi che determinano lo sconfinamento del rapporto di lavoro nel grigio. Sia nel caso dei contratti a tempo determinato che di quelli di formazione-lavoro si effettuano ripetizioni quantomeno improprie, con false variazioni di compiti e di mansioni, mascherando le reali condizioni di lavoro con la relativa evasione contributiva e fiscale. Qualche volta, particolarmente con i contratti a tempo determinato, il sommerso rappresenta il necessario complemento del ciclo di ripetizione e rinnovo del contratto a termine stesso: la legge stabilisce l’intervallo minimo tra due contratti a tempo determinato per uno stesso lavoratore e una stessa impresa. In quell’intervallo il lavoratore continua a lavorare sommerso nell’impresa.

20 Per i lavoratori edili, in media sull’intero anno, l’orario consta di 50 ore settimanali, con oscillazioni fino alle 60 ore estive.21 Nella realtà si verifica esattamente il contrario, poiché sono proprio i lavoratori non stanziali a dimostrare la massima disponibilità alla flessibilità di orario.

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Nella piccola distribuzione, caratterizzata dalla presenza di giovani e donne, i contratti di collaborazione coordinata e continuata e l’associazione in partecipazione servono talora come tappa verso rapporti di lavoro più stabili22. Nel terziario, soprattutto nel commercio, si fa ampio ricorso alle associazioni in partecipazione, che rappresentano un modo per far figurare il lavoratore come socio con retribuzione nella forma di partecipazione mensile agli utili, senza copertura previdenziale, con basse retribuzioni -tenendo conto che vengono stipulate spesso per qualifiche basse come interni di cucina, aiuti cuoco e commessi- e nessuna limitazione formale nell’orario di lavoro.

Nell’intervallo di situazioni di irregolarità che conduce dall'uso improprio del lavoro atipico al nero, un caso interessante (e diffuso) è quello dell’impiego degli ex-dipendenti, la cui presenza è stata testimoniata in particolare per i settori del sistema moda -tessile, abbigliamento, calzaturiero-. Una parte di queste collaborazioni riguarda situazioni in cui l’azienda ha necessità o di coprire picchi stagionali di produzione o di reperire elevate competenze specialistiche o semplicemente firm specific, cercando di ovviare ai costi di addestramento di nuovo personale attraverso l’impiego, formalmente occasionale, di ex-dipendenti in pensione.

Una situazione di particolare interesse e rilevanza, probabilmente anche quantitativa, riguarda il sommerso connesso alla produzione parallela nel comparto della pelletteria. La produzione parallela non è produzione di falsi o imitazioni di oggetti firmati, ma è produzione clandestina di prodotti identici agli originali che vengono commercializzati attraverso canali distributivi illegali. Come è emerso da episodi di cronaca giudiziaria, sono le imprese subfornitrici della grandi firme della moda che danno luogo a questa produzione parallela. Queste imprese ovviamente non possono dichiarare tutto il lavoro impiegato in tale produzione. Anche in questo caso siamo di fronte ad una tipologia di sommerso essenzialmente grigia poiché lavoratori regolarmente assunti sono remunerati parzialmente fuori busta; è però da notare che in questo caso il grigio è originato dallo svolgimento di attività illegali -la produzione parallela- da parte di imprese che svolgono anche attività produttive del tutto lecite.

22 In alcune situazioni, è stato osservato l’utilizzo massiccio del lavoro nero durante un primo periodo di prova del lavoratore (a modo di salario d'ingresso), con retribuzioni molto basse -intorno ai 250 euro mensili con orari settimanali di 40 ore e più-, a seguito del quale vengono proposte forme meno irregolari di grigio per giungere sino alle collaborazioni e alle partecipazioni, con retribuzioni che sono quasi sempre al di sotto dei livelli contrattuali di categoria.

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2.2I macro-dati Inps

In questa parte del rapporto presentiamo un’analisi del fenomeno del lavoro nero in Toscana comparativamente alle altre regioni. I dati esaminati fanno riferimento all’attività di vigilanza svolta dall’Inps negli anni 2000-2002 e in particolare all’individuazione da parte dell’Inps delle irregolarità che rientrano nella definizione di “lavoro nero” e in primo luogo della mancata registrazione di aziende e lavoratori.

L’attività di vigilanza nel 2000 ha implicato a livello nazionale 82.847 ispezioni nei confronti di aziende dell’area DM, di aziende agricole e di lavoratori autonomi23. Tra queste sono state individuate 57.220 aziende irregolari (pari al 69,1%), di cui 9.668 in nero (pari al 16,9%). Negli anni successivi l’attività ispettiva dell’Inps è cambiata con l’introduzione del mandato limitato per gli ispettori (cfr. appendice 2 a questo capitolo) ed il numero di aziende ispezionate è aumentato passando nel 2001 a 127.122 e nel 2002 a 148.707. Anche le irregolarità accertate sono aumentate (78.254 nel 2001 e 81.763 nel 2002), sebbene il loro peso sulle ispezioni si sia progressivamente ridotto (61,6% nel 2001 e 55,0% nel 2002), mentre parallelamente tra queste è aumentata consistentemente la quota delle aziende in nero (25,7% nel 2001 e 27,3% nel 2002).

Tabella 2.1DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IRREGOLARI E IN NERO

Regioni

2001 2002% aziende

irregolari su visitate

% aziende nere su irregolari

% aziende irregolari su visitate

% aziende nere su

irregolari

Piemonte 64,4 25,2 54,3 32,2Valle D'Aosta 53,5 9,4 35,4 7,4Lombardia 61,0 25,2 53,2 21,6Liguria 43,9 19,7 33,5 15,0Trentino-Alto Adige 56,9 13,5 46,7 11,1Veneto 45,7 23,9 41,0 24,9Friuli-Venezia Giulia 53,6 15,4 46,9 21,1Emilia-Romagna 61,1 33,9 59,3 25,8Toscana 71,8 27,7 62,5 25,7Umbria 66,1 26,4 63,9 34,9Marche 72,7 13,5 66,3 21,6Lazio 53,6 31,1 49,7 30,5Abruzzo 68,1 24,1 55,4 29,2

23 Le tre suddivisioni (Area DM, Area agricola e Autonomi non iscritti) corrispondono alle modalità di archiviazione dei contribuenti da parte dell’ente. Di seguito con il termine azienda senza alcuna ulteriore specificazione si intendono tutte e tre le tipologie ricordate.

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Tabella 2.1 segue

Regioni

2001 2002% aziende

irregolari su visitate

% aziende nere su irregolari

% aziende irregolari su visitate

% aziende nere su

irregolari

Molise 44,6 15,1 42,4 16,7Campania 69,9 31,8 62,0 36,3Puglia 56,5 15,2 53,6 25,9Basilicata 79,5 5,9 83,4 3,7Calabria 70,2 19,7 59,7 37,1Sicilia 70,0 33,0 63,1 36,2Sardegna 76,9 27,8 69,0 24,4TOTALE 61,6 25,7 55,0 27,3Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001 e 2002

Per quanto riguarda la Toscana (Tab. 2.1), nei due anni considerati la quota delle imprese irregolari su quelle ispezionate risulta in diminuzione (71,8% nel 2001 e 62,5% nel 2002) sebbene sia sempre superiore al dato nazionale. Anche la quota delle aziende nere si riduce, passando dal 27,7% al 25,7%, attestandosi al di sotto del dato nazionale.

Tabella 2.2DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO (% DI COLONNA)

Regione 2000 2001 2002

Piemonte 5,4 5,7 7,4 Valle D'Aosta 0,1 0,1 0,1 Lombardia 9,2 16,5 13,1 Liguria 2,5 1,9 1,2 Trentino-Alto Adige 1,0 0,9 0,6 Veneto 8,2 6,8 6,2 Friuli-Venezia Giulia 1,1 1,1 1,1 Emilia-Romagna 9,3 11,3 7,7 Toscana 7,6 8,9 7,1 Umbria 1,7 1,3 1,5 Marche 2,6 1,7 2,6 Lazio 11,2 7,9 7,8 Abruzzo 4,0 2,5 2,9 Molise 0,3 0,2 0,2 Campania 12,3 12,8 13,3 Puglia 3,1 3,6 6,6 Basilicata 0,2 0,4 0,2 Calabria 4,6 3,0 6,4 Sicilia 12,3 10,1 11,3 Sardegna 3,2 3,1 2,8 TOTALE 100,0 100,0 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

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Le aziende in nero rilevate in Toscana nel corso dell’attività ispettiva rappresentano il 7,6% del totale nazionale nel 2000, l’8,9% nel 2001 e il 7,1% nel 2002 (Tab. 2.2). La Toscana si colloca al settimo posto nel 2000, dopo Sicilia, Campania, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, al quinto nel 2001 e nuovamente al settimo nel 2002. A fronte del cambiamento dell’attività ispettiva tra il 2000 e il 2001 si è verificato un aumento delle aziende in nero pari a circa il 60% annuo a livello nazionale e a circa il 66% in Toscana. La crescita maggiore è stata registrata tra il 2000 e il 2001 con +107,5% di aziende in nero in Italia e +144,5% in Toscana. Nel 2002 le aziende in nero rilevate a livello nazionale sono ancora cresciute rispetto al 2001 (+11,3%) mentre in Toscana sono diminuite (-12,2%) rimanendo comunque superiori al dato del 2000.

Il cambiamento dell’attività ispettiva si riflette anche nelle tipologie di aziende in nero rilevate, come evidenziato dalla tabella 2.3 e dalle tabelle A6-A8 in appendice.

Tabella 2.3DISTRIBUZIONE REGIONALE E NAZIONALE AZIENDE IN NERO PER TIPOLOGIA (% DI RIGA)

Area DM Area agricola Autonomi non iscritti Totale

Toscana 2000 56,3 4,1 39,6 100,0 2001 34,4 2,9 62,7 100,0 2002 51,2 3,2 45,6 100,0

Italia 2000 49,2 3,8 47,0 100,0 2001 35,5 3,0 61,5 100,0 2002 40,5 3,2 56,3 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

Infatti nel 2000, le imprese toscane in nero appartengono prevalentemente alla “area DM” (relativa al lavoro dipendente), con una quota tra le più elevate, nettamente superiore al dato nazionale (56,3% rispetto a 49,2%), notevolmente inferiore risulta invece la quota degli “autonomi non iscritti” (39,6% rispetto a 47%), mentre la quota regionale della “area agricola” risulta in linea con il dato nazionale (4,1% rispetto a 3,8). Nel 2001 le aziende nere regionali risultano allineate con quelle italiane, concentrandosi prevalentemente tra gli “autonomi non iscritti” (62,7% per la Toscana e 61,5% dell’Italia), mentre si contrae notevolmente la quota delle aziende dell’“area DM” (34,4% per la Toscana e 35,5% per l’Italia), rimane invece stabile l’“area agricola”.

Nel 2002 i risultati delle ispezioni a livello regionale e nazionale divergono nuovamente meno che per l’“area agricola”. In particolare le aziende toscane nere si distribuiscono tra le due aree principali “area DM” e “autonomi non iscritti” con

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una prevalenza della prima (rispettivamente 51,2% e 45,6%), mentre a livello nazionale si verifica la situazione opposta, con le aziende nere del tipo “autonomi non iscritti” che prevalgono (56,3%) rispetto a quelle dell’“area DM” (40,5%).

Per quanto riguarda i lavoratori, la Toscana risulta tra le regioni con la quota più elevata di lavoratori irregolari (9% del totale nazionale nel 2000 e 8% nel 2001 e 2002) a breve distanza da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Campania e Piemonte (Tab. 2.4). Come si evince dalla tabella 2.5 e dalle tabelle A13-A15 in appendice, tra le varie tipologie di irregolarità, la quota più consistente riguarda gli “altri lavoratori non registrati a libro paga”, che in Toscana in media nei tre anni rappresenta il 76,8% del totale contro l’84,2% nazionale. Questa categoria di irregolarità risulta in diminuzione nel periodo considerato sia a livello regionale che nazionale. Tra le altre tipologie, particolarmente rilevante a livello regionale risulta l’irregolarità dei lavoratori stranieri (20,1% in media nel triennio), la cui quota è circa doppia di quella nazionale (12,3% in media nel triennio).

Tabella 2.4DISTRIBUZIONE PERCENTUALE REGIONALE LAVORATORI IN NERO (% DI COLONNA)

Regione 2000 2001 2002

Piemonte 7,6 9,8 9,8Valle D'Aosta 0,1 0,2 0,1Lombardia 10,1 11,8 13,8Liguria 3,3 2,6 2,1Trentino-Alto Adige 2,4 2,0 2,0Veneto 10,4 9,0 9,1Friuli-Venezia Giulia 2,8 2,8 2,1Emilia-Romagna 9,6 8,3 9,1Toscana 9,0 8,0 8,0Umbria 2,5 1,9 1,1Marche 6,6 6,3 6,1Lazio 3,4 3,7 4,1Abruzzi 4,5 3,9 3,6Molise 0,6 0,5 0,4Campania 9,3 9,0 10,3Puglia 4,8 5,7 5,6Basilicata 0,6 1,2 0,8Calabria 2,2 3,0 2,7Sicilia 7,4 7,5 7,2Sardegna 2,8 2,7 2,1TOTALE 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002.

Relativamente all’età dei lavoratori, come mostra la tabella 2.6, la quota delle irregolarità rilevate a livello regionale risulta superiore al dato nazionale per le fasce di età più elevate (tra 31 e 40 e oltre 40), e inferiore per i lavoratori delle fasce più giovani (classi di età fino a 20 anni e tra 21 e 30 anni).

Tabella 2.5

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DISTRIBUZIONE REGIONALE E NAZIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA (% DI RIGA)

In c

assa

in

tegr

azio

ne

Mal

attia

e

info

rtun

i

Tra

ttam

ento

di

diso

ccup

azio

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Min

ori

Str

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Stu

dent

i

Pen

sion

ati

Non

reg

istr

ati a

lib

ro p

aga

Tot

ale

Toscana2000 0,0 0,0 0,3 0,2 0,1 19,8 0,3 1,4 78,0 100,02001 0,2 0,0 0,5 0,2 0,5 19,4 0,3 2,1 76,8 100,02002 0,0 0,0 0,4 0,3 0,5 21,0 0,4 1,6 75,8 100,0

Italia2000 0,3 0,0 2,0 0,2 0,2 10,1 0,3 1,1 85,8 100,02001 0,2 0,1 1,0 0,2 0,3 11,7 0,3 1,0 85,2 100,02002 0,4 0,0 0,5 0,4 0,4 15,0 0,3 1,2 81,6 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

Tabella 2.6DISTRIBUZIONE REGIONALE E NAZIONALE LAVORATORI IN NERO PER FASCE DI ETÀ (% DI RIGA)

Fino a 20 anni Da 21 a 30 anni Da 31 a 40 anni Oltre 40 anni Totale

Toscana 2000 10,9 36,0 32,1 21,0 100,0 2001 7,8 47,0 24,9 20,3 100,0 2002 7,7 41,1 29,5 21,7 100,0

Italia 2000 11,6 42,8 26,8 18,8 100,0 2001 11,0 43,1 26,8 19,1 100,0 2002 10,9 42,1 26,4 20,6 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

La maggior parte delle irregolarità rilevate si riferisce a periodi di tempo estremamente ridotti sia a livello nazionale che regionale (Tab. 2.7) e risulta in crescita tra il 2000 e il 2002. In particolare la quota di lavoratori irregolari per periodi inferiori al mese è superiore in Toscana (43,6% in media nel triennio) rispetto all’Italia (39,3%), mentre per i successivi periodi le differenze si riducono e la quota dei lavoratori irregolari nazionali risulta sempre superiore rispetto a quelli regionali.

L’attività ispettiva effettuata ha inoltre permesso di evidenziare i contributi evasi a livello regionale e nazionale. L’incidenza dei contributi evasi in Toscana passa dall’8,2% del 2000 al 6,8 del 2002. Nel 2000, come mostra la tabella 2.8, la maggior parte dei contributi evasi riguarda il lavoro nero (80,8% in Toscana e 73,8% in Italia), mentre negli anni successivi l’evasione risulta distribuita piuttosto uniformemente tra lavoro nero e altre omissioni contributive.Tabella 2.7

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DISTRIBUZIONE REGIONALE E NAZIONALE LAVORATORI IN NERO PER PERIODI DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA)

<1 mese <12 mesi Da 12 a 24 mesi

Da 25 a36 mesi

Da 37 a48 mesi

Da 49 a60 mesi

Oltre 60mesi

Totale

Toscana 2000 41,2 42,1 11,4 3,8 0,6 0,6 0,3 100,02001 43,4 47,3 6,0 1,7 0,9 0,3 0,4 100,02002 46,2 46,1 5,2 1,3 0,5 0,4 0,4 100,0

Italia2000 34,2 48,8 9,6 3,4 2,1 1,2 0,7 100,02001 39,4 46,3 8,2 2,9 1,0 1,1 1,1 100,02002 44,3 44,2 7,0 2,2 1,0 0,6 0,8 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

Tabella 2.8DISTRIBUZIONE REGIONALE E NAZIONALE CONTRIBUTI EVASI ACCERTATI

Contributi evasi lavoro nero

(% su totale)

Contributi evasi altre omissioni

(% su totale)

Quota % contributi evasi in Toscana su

Italia

Toscana 2000 80,8 19,2 8,22001 53,9 46,1 6,12002 47,5 52,5 6,8

Italia 2000 73,8 26,2 2001 45,7 54,3 2002 53,6 46,4 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000, 2001 e 2002

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Appendice 1I DATI SULL’ATTIVITÀ ISPETTIVA DELL’INPS

Tabella A1AZIENDE ISPEZIONATE, IRREGOLARI E NERE - 2001

Regioni Aziende visitate Aziende irregolari

% irregolari su visitate

Aziendenere

% nere su irregolari

Piemonte 7.060 4.548 64,4 1.148 25,2Valle D'Aosta 456 244 53,5 23 9,4Lombardia 21.592 13.177 61,0 3.318 25,2Liguria 4.468 1.961 43,9 386 19,7Trentino-Alto Adige 2.351 1.337 56,9 181 13,5Veneto 12.558 5.743 45,7 1.371 23,9Friuli-Venezia Giulia 2.758 1.478 53,6 228 15,4Emilia-Romagna 10.939 6.684 61,1 2.269 33,9Toscana 9.047 6.492 71,8 1.797 27,7Umbria 1.551 1.025 66,1 271 26,4Marche 3.513 2.554 72,7 344 13,5Lazio 9.485 5.084 53,6 1.580 31,1Abruzzo 3.024 2.058 68,1 496 24,1Molise 623 278 44,6 42 15,1Campania 11.539 8.062 69,9 2.563 31,8Puglia 8.469 4.784 56,5 727 15,2Basilicata 1.565 1.244 79,5 74 5,9Calabria 4.395 3.086 70,2 607 19,7Sicilia 8.794 6.157 70,0 2.032 33,0Sardegna 2.935 2.258 76,9 628 27,8TOTALE 127.122 78.254 61,6 20.085 25,7Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A2AZIENDE ISPEZIONATE, IRREGOLARI E NERE - 2002

Regioni Aziende visitate

Aziende irregolari

% irregolari su visitate

Aziendenere

% nere su irregolari

Piemonte 9.507 5.158 54,3 1.663 32,2Valle D'Aosta 494 175 35,4 13 7,4Lombardia 25.514 13.578 53,2 2.930 21,6Liguria 5.412 1.811 33,5 272 15,0Trentino-Alto Adige 2.314 1.081 46,7 120 11,1Veneto 13.459 5.523 41,0 1.375 24,9Friuli-Venezia Giulia 2.934 1.377 46,9 290 21,1Emilia-Romagna 11.278 6.683 59,3 1.727 25,8Toscana 9.821 6.143 62,5 1.578 25,7Umbria 1.491 953 63,9 333 34,9Marche 3.991 2.648 66,3 573 21,6Lazio 11.465 5.698 49,7 1.736 30,5Abruzzo 4.038 2.238 55,4 654 29,2Molise 564 239 42,4 40 16,7Campania 13.200 8.182 62,0 2.971 36,3Puglia 10.545 5.651 53,6 1.463 25,9Tabella A2 segue

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Regioni Aziende visitate

Aziende irregolari

% irregolari su visitate

Aziendenere

% nere su irregolari

Basilicata 1.516 1.264 83,4 47 3,7Calabria 6.396 3.818 59,7 1.416 37,1Sicilia 11.021 6.958 63,1 2.516 36,2Sardegna 3.747 2.585 69,0 630 24,4TOTALE 148.707 81.763 55,0 22.347 27,3Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

Tabella A3DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO PER TIPOLOGIA (% DI COLONNA) - 2000

Regione Area DM Areaagricola

Autonominon iscritti

Totale

Piemonte 7,6 4,9 3,1 5,4Valle D'Aosta 0,1 - 0,2 0,1Lombardia 6,6 0,8 12,5 9,2Liguria 3,6 - 1,5 2,5Trentino-Alto Adige 0,7 1,9 1,3 1,0Veneto 9,3 10,6 6,9 8,2Friuli- Venezia Giulia 1,4 1,4 0,8 1,1Emilia-Romagna 7,9 22,3 9,6 9,3Toscana 8,7 8,2 6,4 7,6Umbria 1,4 1,4 2,2 1,7Marche 3,5 5,7 1,5 2,6Lazio 6,8 4,6 16,4 11,2Abruzzo 7,3 1,1 0,7 4,0Molise 0,5 0,3 0,1 0,3Campania 13,3 7,6 11,5 12,3Puglia 4,3 3,5 1,8 3,1Basilicata 0,1 0,5 0,3 0,2Calabria 2,9 3,8 6,4 4,6Sicilia 10,9 20,4 13,2 12,3Sardegna 3,0 0,8 3,6 3,2TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000

Tabella A4DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO PER TIPOLOGIA (% DI COLONNA) – 2001

Regione Area DM Areaagricola

Autonominon iscritti Totale

Piemonte 8,9 4,2 3,9 5,7 Valle D'Aosta 0,1 0,2 0,1 0,1 Lombardia 9,6 1,3 21,2 16,5 Liguria 3,0 0,5 1,4 1,9 Trentino-Alto Adige 0,9 1,0 0,9 0,9 Veneto 7,4 10,6 6,3 6,8 Friuli-Venezia Giulia 1,2 1,7 1,0 1,1 Emilia-Romagna 6,7 13,4 13,9 11,3 Toscana 8,6 8,9 9,1 8,9 Umbria 1,1 1,7 1,5 1,3 Tabella A4 segue

Regione Area DM Area Autonomi Totale

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agricola non iscritti

Marche 2,8 2,3 1,0 1,7 Lazio 5,5 2,3 9,5 7,9 Abruzzi 3,7 1,3 1,8 2,5 Molise 0,3 0,7 0,1 0,2 Campania 19,2 14,8 9,0 12,8 Puglia 4,9 3,5 2,9 3,6 Basilicata 0,7 0,2 0,2 0,4 Calabria 2,1 4,7 3,5 3,0 Sicilia 10,0 24,0 9,5 10,1 Sardegna 3,2 2,7 3,1 3,1 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A5DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO PER TIPOLOGIA (% DI COLONNA) - 2002

Regione Area DM Area agricola Autonominon iscritti Totale

Piemonte 10,6 6,1 5,2 7,4Valle D'Aosta 0,1 - 0,1 0,1Lombardia 11,6 2,8 14,8 13,1Liguria 1,5 1,3 1,1 1,2Trentino-Alto Adige 0,9 0,7 0,3 0,6Veneto 7,1 7,5 5,4 6,2Friuli-Venezia Giulia 1,3 2,0 0,9 1,1Emilia-Romagna 7,1 16,4 7,7 7,7Toscana 8,9 7,1 5,7 7,1Umbria 1,3 3,0 1,5 1,5Marche 2,8 15,7 1,7 2,6Lazio 4,6 3,1 10,3 7,8Abruzzo 3,4 3,8 2,5 2,9Molise 0,2 1,7 0,1 0,2Campania 14,2 5,8 13,1 13,3Puglia 7,4 3,0 6,1 6,6Basilicata 0,3 0,1 0,2 0,2Calabria 4,5 4,8 7,8 6,4Sicilia 9,4 13,7 12,5 11,3Sardegna 2,8 1,7 2,9 2,8TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

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Tabella A6DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO (% DI RIGA) - 2000

Regione Area DM Area agricola Autonomi non iscritti

Totale

Piemonte 69,1 3,5 27,4 100,0Valle D'Aosta 33,3 - 66,7 100,0Lombardia 35,6 0,3 64,1 100,0Liguria 71,7 - 28,3 100,0Trentino-Alto Adige 33,7 7,1 59,2 100,0Veneto 55,3 4,9 39,7 100,0Friuli- Venezia Giulia 62,4 4,6 33,0 100,0Emilia-Romagna 42,0 9,1 48,8 100,0Toscana 56,3 4,1 39,6 100,0Umbria 39,1 3,0 58,0 100,0Marche 65,0 8,3 26,8 100,0Lazio 29,9 1,6 68,5 100,0Abruzzo 91,1 1,0 7,9 100,0Molise 85,2 3,7 11,1 100,0Campania 53,3 2,4 44,3 100,0Puglia 68,4 4,3 27,2 100,0Basilicata 33,3 9,5 57,1 100,0Calabria 31,1 3,2 65,8 100,0Sicilia 43,3 6,3 50,5 100,0Sardegna 46,5 1,0 52,6 100,0TOTALE 49,2 3,8 47,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000

Tabella A7DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO (% DI RIGA) - 2001

Regione Area DM Area agricola Autonomi non iscritti Totale

Piemonte 55,6 2,2 42,2 100,0 Valle D'Aosta 26,1 4,3 69,6 100,0 Lombardia 20,7 0,2 79,0 100,0 Liguria 54,7 0,8 44,6 100,0 Trentino-Alto Adige 37,0 3,3 59,7 100,0 Veneto 38,6 4,6 56,8 100,0 Friuli-Venezia Giulia 39,0 4,4 56,6 100,0 Emilia-Romagna 20,9 3,5 75,5 100,0 Toscana 34,4 2,9 62,7 100,0 Umbria 28,4 3,7 67,9 100,0 Marche 58,7 4,1 37,2 100,0 Lazio 24,9 0,9 74,2 100,0 Abruzzi 52,8 1,6 45,6 100,0 Molise 50,0 9,5 40,5 100,0 Campania 53,4 3,4 43,2 100,0 Puglia 48,1 2,9 49,0 100,0 Basilicata 64,9 1,4 33,8 100,0 Calabria 24,2 4,6 71,2 100,0 Sicilia 35,1 7,0 57,8 100,0 Sardegna 36,6 2,5 60,8 100,0 TOTALE 35,5 3,0 61,5 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A8DISTRIBUZIONE REGIONALE AZIENDE IN NERO (% DI RIGA) - 2002

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Regione Area DM Area agricola Autonomi non iscritti Totale

Piemonte 57,8 2,6 39,6 100,0 Valle D'Aosta 61,5 - 38,5 100,0 Lombardia 35,9 0,7 63,4 100,0 Liguria 48,9 3,3 47,8 100,0 Trentino-Alto Adige 67,5 4,2 28,3 100,0 Veneto 46,5 3,9 49,7 100,0 Friuli-Venezia Giulia 49,6 5,8 44,6 100,0 Emilia-Romagna 37,1 6,7 56,2 100,0 Toscana 51,2 3,2 45,6 100,0 Umbria 35,1 6,3 58,6 100,0 Marche 43,6 19,4 37,0 100,0 Lazio 24,2 1,3 74,5 100,0 Abruzzo 46,8 4,1 49,1 100,0 Molise 47,5 30,0 22,5 100,0 Campania 43,2 1,4 55,4 100,0 Puglia 45,9 1,4 52,6 100,0 Basilicata 61,7 2,1 36,2 100,0 Calabria 28,8 2,4 68,8 100,0 Sicilia 33,8 3,9 62,4 100,0 Sardegna 39,5 1,9 58,6 100,0 TOTALE 40,5 3,2 56,3 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A9DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI COLONNA) - 2000

Regione

In c

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tegr

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Tot

ale

Piemonte 1,8 6,1 41,9 6,4 12,8 15,6 6,4 5,4 5,9 7,6Valle D'Aosta 7,4 - - - - 0,1 0,4 - 0,1 0,1Lombardia 5,6 26,5 3,3 8,7 15,7 6,7 38,5 10,1 10,6 10,1Liguria - - 0,4 0,6 2,3 6,9 1,5 3,0 2,9 3,3Trentino-Alto Adige 8,8 4,1 0,3 2,3 1,7 1,0 4,5 1,6 2,6 2,4Veneto 7,0 4,1 5,9 9,3 4,1 20,3 12,1 17,6 9,3 10,4Friuli-Venezia-Giulia 1,8 8,2 0,4 0,6 - 7,1 0,4 2,3 2,3 2,8Emilia-Romagna 0,4 8,2 15,3 32,6 32,0 7,1 14,0 26,0 9,5 9,6Toscana 1,1 4,1 1,5 8,1 3,5 17,6 8,7 11,0 8,2 9,0Umbria 0,4 2,0 0,9 1,2 1,7 1,2 0,4 2,4 2,8 2,5Marche 6,0 12,2 1,9 7,6 3,5 4,9 6,4 13,3 6,8 6,6Lazio 2,1 2,0 1,2 3,5 - 3,3 0,4 0,7 3,5 3,4Abruzzo - 10,2 0,9 4,7 8,1 2,9 3,4 2,8 4,8 4,5Molise - - 0,4 - - - - - 0,7 0,6Campania - 2,0 1,2 13,4 5,8 2,6 0,8 0,2 10,4 9,3Puglia 40,1 2,0 1,2 - 2,9 1,3 0,4 2,6 5,3 4,8Basilicata 0,4 - - - - - - 0,1 0,8 0,6Calabria - 2,0 0,4 - 2,3 0,2 0,4 0,1 2,5 2,2Sicilia 17,3 4,1 16,4 0,6 2,3 1,1 1,1 0,9 8,1 7,4Sardegna - 2,0 6,4 0,6 1,2 0,1 0,4 - 3,1 2,8TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000Tabella A10DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2001

58

Page 59: LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE - Legali …...Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscale Entrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari

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Piemonte 0,7 2,8 14,0 16,7 11,1 17,2 2,9 8,6 8,8 9,8Valle D'Aosta - 1,4 0,1 0,4 - 0,1 - - 0,2 0,2Lombardia 4,9 5,6 9,3 17,4 21,1 15,6 13,7 15,4 11,2 11,8Liguria 4,2 11,1 0,9 1,2 1,8 4,2 1,0 1,4 2,4 2,6Trentino-Alto Adige 7,7 2,8 0,3 1,9 0,9 5,2 0,6 1,2 1,6 2,0Veneto 5,9 6,9 11,0 12,4 5,7 15,9 17,2 19,3 7,9 9,0Friuli-Venezia Giulia 7,0 4,2 0,9 2,7 0,6 3,7 1,6 3,4 2,7 2,8Emilia-Romagna 0,3 9,7 17,4 22,9 14,8 8,3 17,2 20,0 8,0 8,3Toscana 8,0 5,6 4,0 7,8 13,9 13,3 8,0 17,3 7,2 8,0Umbria - - 1,4 3,5 1,5 1,0 1,3 2,6 2,1 1,9Marche 1,0 18,1 2,4 1,6 6,0 5,8 28,0 8,4 6,4 6,3Lazio 2,1 4,2 1,7 1,9 0,6 1,6 0,6 0,5 4,0 3,7Abruzzo - - 0,5 - 0,9 0,5 - 0,5 4,5 3,9Molise - - - - 3,9 0,2 - - 0,5 0,5Campania 46,9 13,9 3,3 6,6 4,8 2,6 3,5 0,1 10,0 9,0Puglia 3,8 8,3 2,9 1,2 5,7 2,0 - 0,1 6,3 5,7Basilicata - 2,8 0,9 - 0,9 0,1 0,6 - 1,4 1,2Calabria 5,9 - 5,3 0,8 1,8 0,5 2,5 0,3 3,4 3,0Sicilia 1,0 1,4 22,2 - 3,9 1,9 1,3 0,5 8,2 7,5Sardegna 0,3 1,4 1,5 1,2 - 0,1 - 0,4 3,1 2,7TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A11DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI COLONNA) - 2002

Regione

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Piemonte 3,0 - 2,4 7,7 9,7 12,6 5,9 5,8 9,5 9,8Valle D'Aosta - - 0,2 - 0,5 0,2 0,6 0,2 0,1 0,1Lombardia 1,6 8,9 9,7 13,8 23,9 20,8 11,7 10,9 12,5 13,8Liguria - - 1,1 - 1,2 3,3 0,9 1,3 1,9 2,1Trentino-Alto Adige 82,2 4,4 5,5 1,7 2,6 1,2 1,2 1,5 1,7 2,0Veneto 0,5 2,2 8,6 10,7 8,3 20,2 25,9 14,3 6,9 9,1Friuli-Venezia Giulia - 4,4 0,7 2,2 1,4 3,3 4,3 3,5 1,9 2,1Emilia-Romagna 0,2 15,6 4,2 19,9 15,9 11,1 19,1 22,4 8,5 9,1Toscana 0,9 2,2 5,7 6,5 10,2 11,1 9,0 10,5 7,4 8,0Umbria 0,2 - 2,2 0,2 0,5 0,6 1,9 1,9 1,2 1,1Marche 2,5 31,1 0,2 12,3 8,3 5,0 10,2 23,7 6,1 6,1Lazio - - 0,5 1,0 - 2,3 1,9 0,9 4,6 4,1Tabella A11 segue

59

Page 60: LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE - Legali …...Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscale Entrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari

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Abruzzo - 2,2 0,2 0,2 - 1,3 1,9 0,2 4,2 3,6Molise - - - - - 0,1 - - 0,5 0,4Campania 6,2 11,1 6,4 19,1 6,9 3,4 1,9 0,3 11,7 10,3Puglia 0,5 2,2 7,5 0,2 3,8 1,7 1,2 1,8 6,4 5,6Basilicata 2,1 2,2 0,7 0,7 0,2 - - 0,1 1,0 0,8Calabria - - 7,7 0,5 0,5 0,7 2,5 0,6 3,0 2,7Sicilia - 8,9 33,2 2,9 4,3 1,1 - - 8,3 7,2Sardegna - 4,4 3,5 0,2 1,9 0,2 - 0,2 2,5 2,1TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

Tabella A12DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2000

Regione

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Piemonte 0,1 0,0 11,2 0,2 0,3 20,6 0,2 0,8 66,6 100,0Valle D'Aosta 21,6 0,0 0,0 0,0 0,0 13,4 1,0 0,0 63,9 100,0Lombardia 0,2 0,1 0,7 0,1 0,3 6,7 1,0 1,1 89,8 100,0Liguria 0,0 0,0 0,2 0,0 0,1 21,1 0,1 1,1 77,3 100,0Trentino-Alto Adige 1,0 0,1 0,2 0,2 0,1 4,4 0,5 0,7 92,7 100,0Veneto 0,2 0,0 1,0 0,2 0,1 19,7 0,3 1,9 76,6 100,0Friuli-Venezia Giulia 0,2 0,1 0,3 0,0 0,0 25,8 0,0 1,0 72,5 100,0Emilia-Romagna 0,0 0,0 3,2 0,6 0,6 7,5 0,4 3,1 84,7 100,0Toscana 0,0 0,0 0,3 0,2 0,1 19,8 0,3 1,4 78,0 100,0Umbria 0,0 0,0 0,7 0,1 0,1 4,9 0,0 1,1 92,9 100,0Marche 0,3 0,1 0,6 0,2 0,1 7,6 0,3 2,3 88,7 100,0Lazio 0,2 0,0 0,7 0,1 0,0 9,8 0,0 0,3 88,8 100,0Abruzzo 0,0 0,1 0,4 0,1 0,3 6,6 0,2 0,7 91,5 100,0Molise 0,0 0,0 1,2 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 98,8 100,0Campania 0,0 0,0 0,3 0,2 0,1 2,8 0,0 0,0 96,5 100,0Puglia 2,3 0,0 0,5 0,0 0,1 2,7 0,0 0,6 93,7 100,0Basilicata 0,2 0,0 0,2 0,0 0,0 0,5 0,0 0,2 99,1 100,0Calabria 0,0 0,0 0,4 0,0 0,2 0,7 0,0 0,0 98,6 100,0Sicilia 0,6 0,0 4,4 0,0 0,1 1,5 0,0 0,1 93,2 100,0Sardegna 0,0 0,0 4,5 0,0 0,1 0,3 0,0 0,0 95,0 100,0TOTALE 0,3 0,0 2,0 0,2 0,2 10,1 0,3 1,1 85,8 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000

60

Page 61: LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE - Legali …...Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscale Entrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari

Tabella A13DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2001

Regione

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Piemonte 0,0 0,0 1,5 0,4 0,3 20,6 0,1 0,9 76,3 100,0Valle D'Aosta - 0,5 0,5 0,5 - 4,9 - - 93,6 100,0Lombardia 0,1 0,0 0,8 0,3 0,5 15,6 0,3 1,3 81,1 100,0Liguria 0,4 0,3 0,3 0,1 0,2 19,0 0,1 0,5 79,1 100,0Trentino-Alto Adige 0,9 0,1 0,2 0,2 0,1 30,5 0,1 0,6 67,3 100,0Veneto 0,2 0,0 1,3 0,3 0,2 20,7 0,5 2,1 74,8 100,0Friuli-Venezia Giulia 0,6 0,1 0,3 0,2 0,1 15,2 0,1 1,2 82,3 100,0Emilia-Romagna 0,0 0,1 2,2 0,6 0,5 11,8 0,5 2,3 82,0 100,0Toscana 0,2 0,0 0,5 0,2 0,5 19,4 0,3 2,1 76,8 100,0Umbria - - 0,8 0,4 0,2 6,0 0,2 1,3 91,1 100,0Marche 0,0 0,2 0,4 0,1 0,3 10,8 1,1 1,3 85,9 100,0Lazio 0,1 0,1 0,5 0,1 0,0 5,2 0,0 0,1 93,7 100,0Abruzzo - - 0,1 - 0,1 1,6 - 0,1 98,1 100,0Molise - - - - 2,3 5,9 - - 91,8 100,0Campania 1,2 0,1 0,4 0,2 0,1 3,4 0,1 0,0 94,5 100,0Puglia 0,2 0,1 0,5 0,0 0,3 4,2 - 0,0 94,7 100,0Basilicata - 0,1 0,8 - 0,2 1,1 0,1 - 97,6 100,0Calabria 0,5 - 1,8 0,1 0,2 2,0 0,2 0,1 95,2 100,0Sicilia 0,0 0,0 3,1 - 0,1 3,0 0,0 0,1 93,6 100,0Sardegna 0,0 0,0 0,6 0,1 - 0,5 - 0,2 98,7 100,0TOTALE 0,2 0,1 1,0 0,2 0,3 11,7 0,3 1,0 85,2 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A14DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER TIPOLOGIA DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2002

Regione

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Piemonte 0,1 - 0,1 0,3 0,4 19,3 0,2 0,7 78,8 100,0Valle D'Aosta - - 0,7 - 1,3 16,0 1,3 1,3 79,3 100,0Lombardia 0,0 0,0 0,4 0,4 0,7 22,7 0,3 1,0 74,5 100,0Liguria - - 0,3 - 0,2 23,6 0,1 0,7 75,0 100,0Trentino-Alto Adige 17,4 0,1 1,5 0,3 0,5 8,9 0,2 0,9 70,1 100,0Veneto 0,0 0,0 0,5 0,5 0,4 33,4 0,9 1,9 62,4 100,0Friuli-Venezia Giulia - 0,1 0,2 0,4 0,3 23,3 0,6 2,0 73,1 100,0Emilia-Romagna 0,0 0,1 0,2 0,9 0,7 18,4 0,7 3,0 76,1 100,0Toscana 0,0 0,0 0,4 0,3 0,5 21,0 0,4 1,6 75,8 100,0Umbria 0,1 - 1,0 0,1 0,2 8,5 0,5 2,0 87,6 100,0Marche 0,2 0,2 0,0 0,8 0,6 12,2 0,5 4,7 80,8 100,0Lazio - - 0,1 0,1 - 8,5 0,1 0,3 91,0 100,0Tabella A14 segue

61

Page 62: LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE - Legali …...Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscale Entrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari

Regione

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Abruzzi - 0,0 0,0 0,0 - 5,5 0,2 0,1 94,2 100,0Molise - - - - - 2,4 - - 97,6 100,0Campania 0,3 0,0 0,3 0,7 0,3 4,9 0,1 0,0 93,4 100,0Puglia 0,0 0,0 0,7 0,0 0,3 4,5 0,1 0,4 94,0 100,0Basilicata 1,0 0,1 0,5 0,3 0,1 - - 0,1 97,8 100,0Calabria - - 1,5 0,1 0,1 4,1 0,3 0,3 93,7 100,0Sicilia - 0,1 2,4 0,2 0,2 2,3 - - 94,8 100,0Sardegna - 0,1 0,9 0,0 0,4 1,1 - 0,1 97,3 100,0TOTALE 0,4 0,0 0,5 0,4 0,4 15,0 0,3 1,2 81,6 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

Tabella A15DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER FASCE DI ETÀ (% DI RIGA) - 2000

Regione Fino a 20 anni Da 21 a 30 anni

Da 31 a 40 anni

Oltre 40 anni Totale

Piemonte 18,0 45,2 22,4 14,4 100,0 Valle D'Aosta 11,3 28,9 41,2 18,6 100,0 Lombardia 5,2 49,3 29,3 16,2 100,0 Liguria 4,4 44,4 34,3 16,8 100,0 Trentino-Alto Adige 7,7 46,1 28,8 17,4 100,0 Veneto 10,5 49,3 26,5 13,7 100,0 Friuli-Venezia Giulia 3,7 27,0 25,8 43,5 100,0 Emilia-Romagna 10,4 45,6 21,7 22,3 100,0 Toscana 10,9 36,0 32,1 21,0 100,0 Umbria 4,5 35,0 25,6 34,9 100,0 Marche 15,8 36,7 25,0 22,6 100,0 Lazio 10,0 53,2 23,3 13,5 100,0 Abruzzo 19,4 36,0 23,1 21,4 100,0 Molise 10,0 42,2 27,9 19,9 100,0 Campania 17,3 41,7 25,1 15,8 100,0 Puglia 11,2 46,5 26,8 15,5 100,0 Basilicata 6,4 46,7 31,7 15,3 100,0 Calabria 11,0 43,3 28,6 17,1 100,0 Sicilia 15,2 36,2 29,0 19,6 100,0 Sardegna 8,8 45,4 32,7 13,2 100,0 TOTALE 11,6 42,8 26,8 18,8 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000

62

Page 63: LAVORO SOMMERSO E LAVORO REGOLARE - Legali …...Evasione fiscale Elusione fiscale Evasione fiscale Elusione fiscale Entrate non dichiarate da lavoro autonomo; retribuzioni, salari

Tabella A16DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER FASCE DI ETÀ (% DI RIGA) - 2001

Regione Fino a 20 anni Da 21 a 30 anni Da 31 a 40 anni Oltre 40 anni Totale

Piemonte 14,6 48,2 21,6 15,5 100,0 Valle D'Aosta 7,9 32,5 34,0 25,6 100,0 Lombardia 8,5 46,8 29,0 15,8 100,0 Liguria 5,7 40,5 36,2 17,6 100,0 Trentino-Alto Adige 6,9 50,3 26,9 15,9 100,0 Veneto 11,0 47,5 23,8 17,6 100,0 Friuli-Venezia Giulia 5,0 27,8 28,4 38,8 100,0 Emilia-Romagna 9,3 41,3 28,4 21,0 100,0 Toscana 7,8 47,0 24,9 20,3 100,0 Umbria 7,5 44,8 26,4 21,3 100,0 Marche 13,8 34,1 24,2 27,9 100,0 Lazio 8,0 50,3 29,6 12,1 100,0 Abruzzo 15,0 40,2 28,6 16,3 100,0 Molise 17,7 39,9 28,5 14,0 100,0 Campania 17,5 40,8 23,6 18,1 100,0 Puglia 12,2 45,9 25,0 16,9 100,0 Basilicata 5,0 47,8 35,7 11,6 100,0 Calabria 7,8 45,7 29,6 17,0 100,0 Sicilia 14,2 37,3 27,4 21,1 100,0 Sardegna 4,1 30,1 40,3 25,5 100,0 TOTALE 11,0 43,1 26,8 19,1 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001

Tabella A17DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER FASCE DI ETÀ (% DI RIGA) - 2002

Regione Fino a 20 anni Da 21 a 30 anni Da 31 a 40 anni Oltre 40 anni Totale

Piemonte 15,0 40,6 23,2 21,2 100,0 Valle D'Aosta 20,0 33,3 17,3 29,3 100,0 Lombardia 10,8 46,8 27,0 15,5 100,0 Liguria 7,6 39,0 30,9 22,5 100,0 Trentino-Alto Adige 7,0 41,8 27,0 24,1 100,0 Veneto 11,7 42,2 29,7 16,4 100,0 Friuli-Venezia Giulia 7,4 30,1 22,0 40,6 100,0 Emilia-Romagna 9,2 42,7 22,4 25,7 100,0 Toscana 7,7 41,1 29,5 21,7 100,0 Umbria 5,2 37,4 31,6 25,8 100,0 Marche 6,5 39,3 24,4 29,8 100,0 Lazio 7,9 51,7 24,5 15,9 100,0 Abruzzo 14,9 33,7 27,1 24,3 100,0 Molise 12,8 34,1 26,0 27,1 100,0 Campania 11,7 42,1 27,2 19,1 100,0 Puglia 13,7 49,0 23,2 14,1 100,0 Basilicata 7,7 39,7 29,8 22,8 100,0 Calabria 13,6 41,0 24,4 21,1 100,0 Sicilia 12,6 40,2 27,9 19,3 100,0 Sardegna 12,7 32,7 36,6 17,9 100,0 TOTALE 10,9 42,1 26,4 20,6 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

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Tabella A18DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER PERIODI DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2000

Regione <1 mese <12 mesi

Da 12 a 24 mesi

Da 25 a36 mesi

Da 37 a48 mesi

Da 49 a60 mesi

Oltre 60mesi Totale

Piemonte 32,4 47,9 10,5 4,8 2,6 1,3 0,5 100,0Valle D'Aosta 47,4 51,5 1,0 - - - - 100,0Lombardia 17,2 65,7 12,1 3,2 1,1 0,6 0,2 100,0Liguria 21,2 64,4 8,2 3,8 0,7 1,0 0,6 100,0Trentino-Alto Adige 37,6 59,4 1,7 0,7 0,2 0,2 0,2 100,0Veneto 23,5 61,0 9,8 2,9 1,7 0,6 0,7 100,0Friuli-Venezia Giulia 7,8 53,2 13,8 11,1 4,8 8,1 1,1 100,0Emilia-Romagna 51,2 42,0 4,6 1,4 0,4 0,2 0,2 100,0Toscana 41,2 42,1 11,4 3,8 0,6 0,6 0,3 100,0Umbria 18,2 75,9 3,4 1,7 0,5 0,2 - 100,0Marche 43,2 41,8 5,9 4,4 1,8 1,0 1,9 100,0Lazio 31,8 46,2 11,0 4,6 3,7 2,0 0,7 100,0Abruzzo 58,6 31,5 6,3 1,8 1,1 0,5 0,2 100,0Molise 25,3 58,0 10,0 3,3 1,7 1,2 0,5 100,0Campania 40,9 41,8 9,2 2,7 2,4 2,2 0,7 100,0Puglia 38,0 37,6 9,5 2,6 10,5 1,0 0,7 100,0Basilicata 14,5 60,8 10,6 11,7 1,4 0,6 0,5 100,0Calabria 25,1 45,0 17,2 5,0 3,3 2,3 2,1 100,0Sicilia 43,8 36,0 12,9 2,4 1,9 1,1 1,9 100,0Sardegna 13,4 55,3 17,5 7,1 3,4 2,9 0,4 100,0TOTALE 34,2 48,8 9,6 3,4 2,1 1,2 0,7 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2000

Tabella A19DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER PERIODI DI IRREGOLARITÀ (% DI RIGA) - 2001

Regione <1 mese <12 mesi

Da 12 a 24 mesi

Da 25 a36 mesi

Da 37 a48 mesi

Da 49 a60 mesi

Oltre 60mesi Totale

Piemonte 54,4 35,4 7,1 1,6 0,9 0,2 0,3 100,0Valle D'Aosta 47,8 49,3 1,5 - 0,5 1,0 - 100,0Lombardia 25,6 54,6 10,9 3,6 1,4 1,8 2,1 100,0Liguria 20,0 60,8 12,0 5,0 1,1 0,6 0,4 100,0Trentino-Alto Adige 56,3 38,5 3,9 0,9 0,2 0,1 0,0 100,0Veneto 35,1 53,0 7,9 2,0 0,5 1,3 0,2 100,0Friuli-Venezia Giulia 21,1 69,0 6,5 1,9 0,3 0,9 0,3 100,0Emilia-Romagna 48,0 44,8 4,2 1,6 0,7 0,7 0,2 100,0Toscana 43,4 47,3 6,0 1,7 0,9 0,3 0,4 100,0Umbria 28,2 64,2 5,7 1,1 0,5 0,1 0,1 100,0Marche 50,1 34,5 12,3 2,7 0,1 0,1 0,1 100,0Lazio 20,6 58,6 11,1 5,1 1,7 2,4 0,5 100,0Abruzzo 40,7 47,0 7,3 1,7 0,5 2,3 0,6 100,0Molise 43,5 43,9 6,3 2,8 1,2 1,0 1,2 100,0Campania 43,9 41,6 7,7 3,4 1,4 1,0 1,0 100,0Puglia 41,5 41,1 8,2 3,6 2,1 2,4 1,1 100,0Basilicata 22,1 65,1 8,9 2,2 0,7 0,9 0,1 100,0Calabria 30,7 55,8 7,6 2,4 1,6 1,5 0,4 100,0Sicilia 51,6 30,6 10,2 4,6 0,8 1,3 0,8 100,0Sardegna 16,8 45,6 10,1 8,3 2,8 0,2 16,3 100,0TOTALE 39,4 46,3 8,2 2,9 1,0 1,1 1,1 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2001Tabella A20DISTRIBUZIONE REGIONALE LAVORATORI IN NERO PER PERIODI DI IRREGOLARITÀ

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(% DI RIGA) - 2002

Regione <1 mese <12 mesi

da 12 a 24 mesi

da 25 a36 mesi

da 37 a48 mesi

da 49 a60 mesi

oltre 60mesi Totale

Piemonte 59,0 33,0 5,1 1,7 0,4 0,4 0,3 100,0Valle D'Aosta 47,3 45,3 4,0 3,3 - - - 100,0Lombardia 25,6 64,0 7,6 1,7 0,6 0,4 0,2 100,0Liguria 38,4 51,5 5,1 3,6 0,6 0,6 0,3 100,0Trentino-Alto Adige 57,7 38,9 2,2 0,6 0,3 - 0,1 100,0Veneto 32,9 59,4 4,9 1,6 0,4 0,4 0,4 100,0Friuli Venezia Giulia 45,2 44,0 5,7 2,7 1,6 0,2 0,5 100,0Emilia-Romagna 47,4 46,2 4,3 1,3 0,4 0,3 0,1 100,0Toscana 46,2 46,1 5,2 1,3 0,5 0,4 0,4 100,0Umbria 22,4 57,3 17,8 1,3 0,8 0,2 0,3 100,0Marche 58,9 29,1 3,9 2,0 0,6 0,2 5,4 100,0Lazio 20,4 59,9 10,2 3,8 1,7 1,3 2,7 100,0Abruzzo 55,3 34,3 5,0 1,4 2,7 0,7 0,7 100,0Molise 70,0 22,7 3,5 2,2 0,4 0,2 0,9 100,0Campania 54,9 28,4 12,0 3,3 0,7 0,6 0,2 100,0Puglia 44,9 37,5 12,6 2,2 0,9 1,6 0,2 100,0Basilicata 17,8 70,9 6,3 3,1 1,2 0,1 0,6 100,0Calabria 56,7 31,3 5,9 3,5 1,3 0,5 0,8 100,0Sicilia 46,9 36,3 8,4 2,5 3,8 1,0 1,1 100,0Sardegna 41,6 39,1 6,5 9,6 1,1 1,5 0,6 100,0TOTALE 44,3 44,2 7,0 2,2 1,0 0,6 0,8 100,0Fonte: elaborazioni su dati Inps, 2002

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Appendice 2LA NORMATIVA SULL’ATTIVITÀ ISPETTIVA DELL’INPS

L’intento di questa appendice è di delineare un quadro sulle attività di vigilanza e la lotta al lavoro irregolare svolte dell’INPS. A tal fine considereremo sia gli interventi legislativi sia, e soprattutto per la loro importanza a livello operativo, quei provvedimenti interni (circolari e deliberazioni) che hanno interessato la materia negli ultimi anni. A livello legislativo, il provvedimento di maggior rilievo è la Legge 8 agosto 1995, n. 335 che ha riformato il sistema pensionistico obbligatorio e complementare ed ha modificato in parte la disciplina delle ispezioni. Da tale provvedimento, assieme alle circolari n. 21 del 1991, n. 168 del 1992 e n. 314 del 1995, è opportuno partire al fine di ricostruire la “struttura” di un’ispezione.

1. La struttura delle ispezioniGli adempimenti ispettivi sono regolati dalle circolari n. 21 del 28.1.1991 e n.168 del 7 luglio 1992 e vengono riassunti nella circ. 314/95. Tali provvedimenti prevedono che l’ispezione si realizzi attraverso il procedimento di seguito delineato:

Fase preliminareIn via preliminare, l’ispezione deve essere preceduta dalla preparazione del fascicolo aziendale, all'interno del quale dovranno essere indicati:- eventuali debiti dell’azienda- note di rettifica esistenti- lista delle scoperture- posizione contributiva del titolare dell'azienda se iscritto alle gestioni artigiani o

commercianti- confronto fra i monti retributivi risultanti dai modd. DM e dai modd. O1M.

Tale fase è volta a consentire un esame preliminare della situazione contributiva dell’azienda, in modo di poter ottenere dei primi elementi su cui verificare la corrispondenza della documentazione con la realtà organizzativa dell’impresa24.

Gli adempimenti ispettiviRiguardo all’ispezione vera e propria, la circcolare 413/95 ribadisce che l’accertamento ispettivo deve articolarsi nei seguenti momenti:a) accesso al posto di lavoro;b) identificazione delle persone presenti;c) acquisizione delle dichiarazioni;d) rilevazione delle presenze;e) riscontro di quanto sopra con i documenti di rito;f) esame circa l'esatta applicazione dei contratti di lavoro;

24 A quest’ultimo riguardo la circolare 314/95 richiama “le disposizioni di cui al messaggio n. 07174 del 7.6.1994 circa la necessità, qualora le aziende esibiscano denunce contributive a dimostrazione dell’avvenuta regolarizzazione dei periodi scoperti, di immediati riscontri con la documentazione di Sede e, nei casi dubbi sulla regolarità delle quietanze, di tempestivi contatti, da parte degli Uffici di Sede, con gli Istituti bancari. Dei riscontri effettuati e dei risultati delle verifiche sulla situazione debitoria dell’azienda dovrà essere fatta menzione nel verbale ispettivo, rinviando eventualmente agli uffici amministrativi gli ulteriori adempimenti”.

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g) esame della documentazione contabile e fiscale dell’azienda.La circolare 314/95 precisa inoltre che “L’acquisizione delle dichiarazioni, qualora se

ne ravvisi la necessità, deve riguardare tutto il personale presente in azienda. L'avvenuta escussione dei lavoratori e/o delle rappresentanze sindacali dovrà risultare nel verbale ispettivo”. Tale precisazione assume importanza alla luce del principio introdotto dalla Legge 335/95 la quale, all'art. 3 comma 20, prevede che “gli accertamenti ispettivi in materia previdenziale e assicurativa esperiti nei confronti dei datori di lavoro debbano risultare da appositi verbali, da notificare anche nei casi di constatata regolarità”. La novità introdotta da tale norma riguarda il caso specifico in cui il controllo abbia dato esito negativo. Precedentemente al 1995, infatti, i verbali dovevano essere redatti esclusivamente nel caso in cui l’ispettore avesse riscontrato delle irregolarità. Tale norma ha avuto uno scopo specifico: evitare il reiterarsi dei controlli sui medesimi periodi nel caso in cui l’operato dell’impresa sia risultato regolare. Di fronte ad un verbale che accerti la regolarità contributiva, l’Inps non potrà quindi effettuare altri controlli sui periodi precedenti all’ispezione in un secondo momento. Tale importante principio ha spinto l’Istituto a definire sistemi operativi nei controlli che evitassero il rischio di tralasciare parti di attività che non potrebbero essere reiterate in momenti successivi: proprio a questo fine la circ. 314/95 ha riaffermato con precisione gli adempimenti ispettivi da espletare nel corso di ogni controllo.

Il valore dei rilievi ispettiviA riguardo del valore probatorio dei verbali e delle altre attività svolte dall’ispettore, occorre menzionare due importanti sentenze della Corte di Cassazione che hanno elaborato altrettanti principi.1) Quanto al valore probatorio delle risultanze dell’ispezione la Cassazione ha riaffermato

nel 199525 il principio, ormai consolidato, secondo cui “I verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali ed assistenziali o dell’ispettorato del lavoro fanno piena prova, ai sensi dell'art.2700 cod. civ., dei fatti che il funzionario attesta avvenuti in sua presenza mentre, per le altre circostanze di fatto che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese “de relato” o in seguito ad ispezione di documenti, il materiale raccolto è liberamente apprezzabile dal giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente delle circostanze riferite dal pubblico ufficiale qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di altri mezzi istruttori”.Il precetto introdotto dalla L. 335/95 non ha inciso su tale principio, essendosi limitato ad imporre l'obbligo di verbalizzazione ogni qual volta il datore di lavoro sia sottoposto a visita ispettiva con conseguente diritto (dello stesso datore di lavoro) di ricevere copia del verbale. È necessario pertanto che il verbale ispettivo rispecchi con precisione gli atti compiuti nel corso dell’ispezione e indichi analiticamente la documentazione esaminata.

2) Circa il valore delle dichiarazioni rese agli ispettori di vigilanza, la Cassazione26 ha riconosciuto all’Istituto, per la “sua natura di Ente autarchico”, la legittimità di “svolgere le indagini ritenute opportune per accertare circostanze e presupposti del diritto del privato alla prestazione invocata, fermo restando che i risultati degli

25 Cass. Lav. n. 3853/1995.26 Cassazione n. 3746 del 29.3.95.

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accertamenti svolti, avendo questi natura amministrativa e non giurisdizionale (per cui non sussiste alcuno obbligo, a carico dell’Inps, di rendere possibile nel corso del loro espletamento, l'intervento del difensore della parte privata) sono liberamente apprezzabili dal giudice”. Ne deriva che ai fini “dell’accertamento del diritto alle prestazioni previdenziali, non

sussiste alcuna preclusione rispetto all’utilizzazione, a fini probatori, delle dichiarazioni rese dall’interessato al funzionario dell’Inps incaricato di svolgere indagini attinenti agli scopi istituzionali dell’Ente”.

Per completezza si ricorda, inoltre che, l’impossibilità da parte della ditta di esibire parte della documentazione richiesta dovrà risultare nel verbale di accertamento, ove verranno evidenziati gli atti eventualmente posti in essere dall’ispettore e le motivazioni addotte dall’azienda.

Ampiezza del mandatoRiguardo alle modalità di svolgimento dell’ispezione assume rilievo l’istituto del mandato limitato. Tale strumento, che limita l’ampiezza dell’indagine, viene previsto solo eccezionalmente e rimesso peraltro alla competenza della Direzione Generale o delle Direzioni Regionali, salva la necessità, qualora dai primi esami degli atti emergessero comportamenti irregolari, di estendere i controlli a tutto il periodo prescrizionale.

Da segnalare che, come si avrà modo di precisare meglio in seguito, in tema di ispezioni finalizzate all’individuazione di lavoro nero, lo strumento del mandato limitato è stato fortemente utilizzato dal 2000-2001.Per completare il quadroSuccessivamente alla circ. 314/ 95, la legge 29 luglio 1996 n.402 di conversione del D.L. n. 318/1996, all’art.3, 3° comma, ha previsto che all’art.3, comma 20, della legge 335/1995 (obbligatorietà di notificare i verbali ispettivi anche nei casi di constatata regolarità) siano aggiunti i seguenti periodi, al fine di precisare il principio introdotto dalla stessa 335/95: “Nei casi di attestata regolarità ovvero di regolarizzazione conseguente all’accertamento ispettivo eseguito, gli adempimenti amministrativi e contributivi relativi ai periodi di paga anteriori alla data dell’accertamento ispettivo stesso non possono essere oggetto di contestazioni in successive verifiche ispettive, salvo quelle determinate da comportamenti omissivi o irregolari del datore di lavoro o conseguenti a denunce del lavoratore”.

Di tale circostanza ne dà atto la circolare 226 del 1996, la quale precisa che la norma “stabilisce che l’attività ispettiva non può essere estesa, salvo le eccezioni previste dalla stessa norma, a periodi antecedenti una verifica già definita” e che “tale preclusione, peraltro, è soggetta al verificarsi di alcune condizioni ed è esclusa in presenza di determinate fattispecie” 27.

La norma, infatti, è applicabile solo in presenza di:1) Un verbale negativo o, qualora si sia proceduto all’elevazione di addebiti, quando gli

stessi siano stati regolarizzati dall’azienda. 2) L’assenza di riscontrati comportamenti omissivi o irregolari del datore di lavoro.3) L’ispezione non deve essere scaturita da una denuncia del lavoratore: in tal caso cade la

preclusione dell’irripetibilità del controllo28.

27 La disposizione legislativa, inoltre, delinea il campo di applicabilità, estendendolo anche ai verbali redatti dall’Ispettorato del Lavoro, e, per ultimo, limita la responsabilità patrimoniale dei funzionari preposti all’accertamento ai soli casi di dolo o colpa grave.28 Per quanto riguarda le dichiarazioni da parte dei lavoratori, la circolare 226/96 precisa che “relativamente ai dipendenti non più in forza all’azienda, la necessità della loro acquisizione andrà valutata in relazione all’incidenza

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Relativamente alle formule di rito che concludono il verbale (e quindi al suo valore “certificativo”), risulta superata la previsione della sopra citata circ. 314/95, che sostituita con la seguente: “Il presente verbale non costituisce atto certificativo di situazioni di correntezza e/o regolarità contributiva per la partecipazione a gare o per la liquidazione di conti finali. Richieste di tali certificazioni dovranno essere inoltrate alle competenti Sedi dell’Inps. Le stesse verranno rilasciate secondo le lettere tipo predisposte dall’Istituto”. Questo al fine di chiarire che il verbale di accertamento non può in alcun caso sostituire le certificazioni richieste dalla legge.

2. Il Codice di comportamento ad uso degli Ispettori del LavoroIl codice di comportamento degli ispettori del lavoro, adottato con circolare del Ministero del Welfare n. 70 del 16 luglio 2001, va ad integrare quelle disposizioni già contenute nel codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni (DPCM 28.11.00), specificandone i contenuti rispetto a questa particolare categoria di pubblici dipendenti.

La sua struttura è bipartita: ad una prima parte avente contenuto istituzionale ne segue una seconda di carattere deontologico.

Principalmente il Codice ha trovato la sua ragion d’essere nell’esigenza dimostrata dal Ministero del Welfare di garantire la trasparenza dell’operato degli ispettori e di fornire uno strumento all’Inps per supportare l’operato del proprio personale. A livello ministeriale, infatti, è stata avvertita la necessità di puntualizzare il significato del ruolo ispettivo per la nuova leva costituita dalle assunzioni effettuate dal 1998 ad oggi, da quelle ulteriori previste dalla finanziaria 2001, nonché dalle unità ispettive formate tramite i percorsi di riqualificazione e di aggiornamento.

L’aumento dell’organico, pertanto, ma anche l’idea che l’Inps non sia chiamata solo al ruolo di difesa dei lavoratori, bensì anche a tutelare la correttezza delle dinamiche di mercato29, hanno imposto la necessità di dettare regole trasparenti sull’operare degli ispettori.

Un primo dato rilevante è costituito dalla norma introdotta dall’art. 1 del Codice, secondo cui il personale ispettivo addetto alla ricezione delle richieste di intervento deve fare in modo che le stesse siano circostanziate con una dettagliata descrizione degli elementi che ne costituiscono il fondamento attraverso testimonianze e documentazione cartacea. Tale disposizione è stata accolta con soddisfazione dai datori di lavoro che possono oggi contare su denunce maggiormente circostanziate rispetto a quanto avveniva

determinante che le stesse, sulla base degli elementi a disposizione, possono avere sui risultati dell’indagine”.29 A tal proposito la premessa alla disposizione normativa in oggetto recita: “RITENUTA la necessità di procedere alla redazione di un codice di comportamento specifico per gli Ispettori del Lavoro in quanto l’Amministrazione del Lavoro, sempre più attivamente coinvolta nei processi di trasformazione sociale innescati anche dalle emergenti esigenze di interscambio ed interazione con realtà di dimensioni sovra nazionali, sta progressivamente adeguando la struttura organizzativa, le risorse e gli strumenti operativi al nuovo quadro funzionale che l’autorità politica va delineando in direzione di una più moderna identità istituzionale; CONSIDERATO che, in tale prospettiva, l’attività di vigilanza assume sempre maggiore importanza soprattutto in relazione alla contingente fase evolutiva delle politiche attive del lavoro e che l’ispezione del lavoro viene ad acquisire un ruolo essenziale per rendere effettive le misure legislative introdotte a garanzia di condizioni di lavoro ottimali e della corretta applicazione delle norme di tutela; RITENUTO che in relazione al conseguimento degli obiettivi sociali illustrati tutto il sistema dell’ispezione del lavoro deve adeguatamente calibrarsi, attraverso una linea operativa idonea a contemperare le diverse esigenze delle due categorie sociali, lavoratori e datori di lavoro, chiamate a partecipare attivamente ai processi di sviluppo nei vari settori economici; CONSIDERATO che nel quadro degli attuali incrementi di risorse umane e strumentali, ed in occasione della formazione di una nuova leva ispettiva, si rivela di fondamentale importanza la redazione di un “codice comportamentale” che individui le linee guida, funzionali alle peculiarità di cui si connota l’attività di vigilanza, cui devono attenersi, nel loro essere dipendenti pubblici, gli Ispettori del lavoro”.

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nel passato.Sempre al fine di garantire l’obiettività dell’ispezione, viene prevista l’incompatibilità

(art. 2) dell’ispettore rispetto a quelle situazioni in cui esso può presentare interessi personali nello svolgimento della propria attività e la segretezza (art. 6) della fonte denunciante ex legge 675/96.

Le norme che, comunque, vanno maggiormente a modificare l’idea stessa del ruolo ispettivo nell’ottica di un’attività di vigilanza che tuteli entrambi le parti del rapporto lavorativo sono riassunte negli artt. 7, 9 e 14.

Il primo prevede che prima dell’accesso in azienda, gli ispettori debbano sì procedere ad un’attività ricognitiva relativa all’azienda da ispezionare (autorizzazioni, precedenti verbali, denunce, ecc.), ma anche aver cura di visionare il c.c.n.l. applicabile ed ogni altra norma attinente ai controlli da effettuare, onde evitare la possibilità di redigere verbali “insufficienti” dal punto di vista dell’inquadramento e delle mansioni dei lavoratori.

L’articolo 9, poi, cambia completamente l’ottica dell’ispezione. L’ispettore, infatti, compatibilmente con le finalità dell’accertamento, deve avere “l’accortezza” di conferire preliminarmente con il datore di lavoro e renderlo edotto che ha facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato ancorché l’assenza di tale professionista non sia ostativa della prosecuzione dell’accertamento e della sua validità. Tale norma dimostra il cambiamento di filosofia dell’attività di vigilanza:l’ottica repressiva viene integrata da principi quali la collaborazione e l’informazione30.

Lo stesso vale per l’art. 14, il quale prevede che l’ispettore, all’atto dell'interrogatorio del personale che avviene separatamente, debba instaurare con questo un clima di fiducia, ingenerando nel lavoratore interrogato il convincimento che si sta tutelando un suo diritto. Questo contribuisce ad inquadrare l’ispezione, anche agli occhi del lavoratore, sotto una luce diversa: non più solo come il presupposto per l’applicazione di una sanzione, ma come uno strumento diretto alla tutela dei diritti nel rapporto di lavoro all’interno di un generale clima di legalità.

30 A tal proposito resta però il dubbio che non tutto il possibile sia stato fatto. L’art. 10, infatti, prevede che, nel corso dell'accertamento, e specialmente nella fase di controllo della documentazione, il datore di lavoro possa farsi assistere sia da propri dipendenti che da professionisti di cui alla legge 12/79 (la presenza del datore di lavoro e dei suoi “consulenti” è però esclusa nella fase di audizione dei lavoratori). Niente prevede, invece, a riguardo della costituzione di un contradditori tra l'azienda e l'ispettore.

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3. La “svolta” nella lotta al sommersoAll’inizio del 2001 sono state emanate direttive dell’Inps a livello nazionale che hanno modificato le modalità di svolgimento delle ispezioni. Ciò ha comportato che le scelte operate a livello di budget per orientare le attività dell’Ente abbiano privilegiato gli interventi in materia di lavoro sommerso e condizionato le modalità di svolgimento e verifica delle attività di vigilanza. Di fronte alla scarsità di risorse disponibili, che si traduce in una bassa incidenza di ispezioni sul totale delle imprese attive, l’indirizzo che è emerso dalla formulazione del budget è stato quello di aumentare l’effetto deterrente rispetto al recupero dell’evasione contributiva, concentrando le attività ispettive sul sommerso in senso stretto e operando attraverso il controllo con mandato limitato (Cfr. Supra). Ciò significa che l’ispezione è stata circoscritta all’individuazione delle irregolarità che rientrano nella definizione di lavoro nero31, e in primo luogo della mancata registrazione di aziende e lavoratori.

In precedenza l’ispettore, anche nel caso in cui il primo obiettivo fosse stato l’individuazione di lavoro sommerso, operava controllando la documentazione in rapporto a tutte le competenze dovute all’Ente in materia contributiva. L’ispettore verificava, quindi, non solo la regolare registrazione del lavoro impiegato nelle aziende visitate, ma anche l’eventuale correttezza delle dichiarazioni e delle contribuzioni del lavoro per tutte le voci della normativa previdenziale (prestazioni a sostegno del reddito, prestazioni a carattere agevolativo), anche attraverso il confronto tra le scritture aziendali e le denunce fatte all’Ente32. Dal 2001 invece, con il mandato limitato, l’ispettore è delegato alla ricerca di una tipologia ben definita e circoscritta di irregolarità, ovvero di quelle afferenti alla definizione di lavoro nero. Nel caso, poi, che siano riscontate irregolarità di altra natura, questo non deve comprenderle automaticamente nell’indagine, ma sarà solo tenuto ad informare il dirigente, che potrà a sua discrezione autorizzare l’eventuale estensione dell’indagine33. Pertanto, a partire dal 2001-2002, un verbale negativo non implica più la regolarità dell’azienda a tutto campo, ma significa solo che l’azienda è in regola per quanto concerne la verifica della presenza di lavoro sommerso, diventato l’obiettivo principale delle attività ispettive.

In questo senso è necessario puntualizzare, a proposito della lettura dei dati contenuti nel data base Inps, che, mentre nei dati del 1999 e del 2000 il sommerso e il grigio sono due tra le varie voci di irregolarità perseguite, dal 2001 i dati riguardano il lavoro nero e solo marginalmente quello grigio (lavoro non denunciato all’Inps ma rintracciabile), con il fuori busta compreso nella definizione di lavoro nero.

Dalla Direzione centrale, inoltre, vengono fissati gli obiettivi in termini di numero di ispezioni da svolgere, numero di lavoratori e di aziende in nero da individuare. A tal proposito un aspetto rilevante consiste nel fatto che sia prevista l’effettuazione di controlli successivi sulle aziende trovate irregolari. Purtroppo tale previsione si applica ai soli anni 2001-2002, non permettendo di trarre conclusioni in proposito per l’esiguità delle verifiche effettuate e per l’arco temporale troppo ristretto, che impedisce di valutare i comportamenti successivi alle ispezioni e alle eventuali conseguenti sanzioni. Comunque sia, alcuni dei responsabili dell’attività hanno prospettato fin d’ora la possibilità che dalla nuova attività

31 Nella definizione di “lavoro nero” dell’Inps è ricompresso anche il c.d. “fuori busta”, anche se nella letteratura tale fenomeno viene invece solitamente associato al “lavoro grigio”.32 I contributi dovuti all’Inps dipendono dal settore di attività, dall’inquadramento (operaio-impiegato-dirigente) e dai contratti di categoria. 33 Tale previsione si propone l’obiettivo di non disperdere le risorse umane disponibili, al fine di intensificare l’attività ispettiva (seppur limitata) su un maggior numero di imprese.

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ispettiva emerga un primo risultato: apparirebbe, infatti, che si presentano imprese a nero che qualche tempo dopo i controlli scompaiono, chiudendo l’attività o trasferendola altrove cambiando denominazione sociale.

Inoltre, quanto alle modalità con cui gli ispettori scelgono le aree, i settori e le aziende da controllare, è da rilevare il fatto che questi non si basano tanto sull’analisi dei dati in possesso dell’Inps, quanto sulla conoscenza del territorio da parte degli stessi ispettori e su soffiate da parte di informatori.

Riguardo, infine, alle modalità di svolgimento dell’ispezione, vale la pena precisare che, durante il controllo, l’ispettore ha accesso a tutte le scritture aziendali, ma non può sequestrare documenti, mentre per accedere a locali chiusi è necessaria un’ispezione congiunta con altre forze di vigilanza a ciò autorizzate. Tale eventualità può limitare l’efficacia dell’ispezione, specie considerando che un allungamento dei tempi spesso può tradursi in un inquinamento dello stato di fatto.

4. La circolare 24 del febbraio 2001: Progetto vigilanza sulle entrate ed economia sommersa

Nella circolare 24 del febbraio 2001 (Oggetto: attività di vigilanza, programmazione e monitoraggio dei risultati, modalità di indagine e Budget 2001) sono presenti gli indirizzi che costituiscono la base per la formulazione del budget. Nella parte dedicata alla Programmazione delle attività, si dichiara che l’obiettivo strategico è la lotta alle attività sommerse, che richiede “un’attenta analisi del territorio” per l’individuazione delle zone, dei settori merceologici, delle tipologie di aziende su cui intervenire e delle metodologie da impiegare. In particolare si specifica che la “presenza continua delle forze ispettive” dovrà essere impiegata “al fine di perseguire l’obiettivo primario di individuare soggetti, sino essi datori di lavoro che lavoratori, per i quali l’assolvimento degli obblighi contributivi sia completamente sconosciuto all’Istituto, prescindendo da verifiche maggiormente finalizzate al controllo dei comportamenti contributivi già assolti”34.

Nella parte successiva (Monitoraggio dei risultati), insieme alle indicazioni per la predisposizione di sistemi di monitoraggio delle attività ispettive, si specifica che risulta necessaria anche “una verifica amministrativa dei comportamenti contributivi successivi all’ispezione, specie per le aziende che sono risultate completamente sconosciute. È necessario pertanto che attraverso la stampa delle scoperture, sia costantemente verificata la situazione dei versamenti effettuati da tali aziende. La mancanza totale o parziale di denunce mensili formerà oggetto di interventi amministrativi da parte delle Sedi nei confronti delle aziende per avere spiegazione del loro comportamento”.

Nella parte 4 (Verifica dei comportamenti) si sottolinea, poi, la necessità di monitorare le attività ispettive controllando i carichi di lavoro, i tempi di ispezione e di conclusione delle indagini, l’incremento della professionalità degli ispettori stessi ai fini del miglioramento delle attività ispettive per il conseguimento degli obiettivi di budget. Più interessante per quanto riguarda il rapporto tra le attività ispettive e i nuovi obiettivi di budget fissati dall’Ente è la parte 5, dedicata alle Modalità di espletamento delle indagini. Qui, infatti, si definiscono le “nuove modalità di conduzione dell’attività di vigilanza fino ad oggi maggiormente finalizzata al controllo dell’esistente”. L’obiettivo di “individuare le varie forme di lavoro sommerso nell’ottica di una sua emersione e di una sua stabilità nel

34 Di seguito si specifica anche che le modalità di impiego delle risorse dovranno rendere possibile l’effettuazione dei controlli anche in orari non coincidenti con l’orario di lavoro degli ispettori, qualora si renda necessario per la maggiore efficacia degli interventi. Una quota delle risorse (ispettori) dovrà inoltre riservarsi ad attività di vigilanza integrata o in settori ad alto rischio segnalati a livello centrale.

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tempo” è affidato alla vigilanza, che pertanto deve essere maggiormente presente sul territorio, ridurre i tempi di indagine e incrementare il numero di ispezioni “anche come deterrente a forme evasive”.

Nell’assegnazione degli incarichi è previsto l’affidamento di “mandati limitati finalizzati all’accertamento di lavoratori in nero”. Nel caso in cui durante l’ispezione emergano altre forme di irregolarità, l’ispettore ne riferisce al dirigente responsabile che deciderà se allargare l’indagine. Per quanto riguarda le modalità di ispezione, si cerca di ridurre l’impiego congiunto di due o più ispettori al solo avvio dell’indagine (primo accesso e interrogatorio dei dipendenti), in modo da aumentare la disponibilità di ispettori e accrescere il numero delle indagini in corso. Si precisa inoltre che l’indagine dovrà il più possibile essere “condotta e portata a termine prevalentemente presso l’azienda senza soluzioni di continuità”, limitando al massimo i rinvii di indagine e gli incontri con il consulente fuori dall’azienda. Infine il verbale ispettivo risultante dall’indagine dovrà avere tempi di realizzazione ristretti ed un contenuto che “riporti esclusivamente i fatti accertati in sede di verifica”: a tal proposito “particolare rilevanza assumono la documentazione relativa ai singoli rapporti di lavoro, le modalità di erogazione dei compensi nonché le dichiarazioni rilasciate «liberamente» dai lavoratori”. Su quest’ultimo elemento si raccomanda che le dichiarazioni “siano rilasciate di pugno del lavoratore proponendo domande chiare e comprensibili”.

Il documento si chiude con la formulazione del budget 2001. Le attività dell’Ente dovranno indirizzarsi verso un aumento del numero delle ispezioni “per un maggiore impulso alla lotta al lavoro sommerso”. In questo senso i cambiamenti si avranno in particolare per quanto riguarda la verifica dei comportamenti, le modalità di espletamento delle indagini e la verifica dei risultati. Gli obiettivi fissati prevedono quindi:1.fissazione a 8 del numero di ispezioni mensili pro capite (10% dedicato all’area agricola), con tempo medio di durata non superiore ai 15 giorni, e parallelamente fissazione al 30% dell’incremento del numero di aziende e di lavoratori in nero come obbiettivo da raggiungere da ogni sede regionale;2.“l’obiettivo finanziario sarà limitato ai soli addebiti per lavoro nero o irregolare” (importi accertati per personale non registrato e per retribuzioni fuori busta);3.la verifica dei risultati terrà conto del numero di aziende ispezionate rispetto alle previsioni, della produttività a livello regionale, della percentuale delle aziende irregolari riscontrate, del numero di lavoratori e aziende in nero individuati rispetto ai previsti, dei tempi medi, dell’importo dei contributi accertati per lavoro nero, dell’esito dei ricorsi amministrativi e giudiziari e del trend delle riscossioni rispetto agli addebiti effettuati.

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3.UN MODELLO MICROECONOMETRICO

3.1Uno schema teorico di riferimento

Per fissare le idee è utile preliminarmente illustrare lo schema teorico che ci servirà a interpretare i risultati del modello econometrico. Per questo può essere utile ragionare nei termini canonici di una impresa che deve minimizzare i propri costi scegliendo una combinazione ottimale di due fattori di produzione: il lavoro sommerso ed il lavoro regolare. Indicheremo con S la quantità di lavoro sommerso e con E la quantità del lavoro regolare o emerso.

Il problema per l’impresa è decidere se impiegare lavoratori regolari o sommersi, ed in quale combinazione. Possiamo ipotizzare che per ciascun lavoratore l’impresa possa scegliere se offrire un contratto regolare o stabilire un rapporto di lavoro irregolare. Più in generale il problema può essere formulato come segue: per l’impresa è possibile scambiare S con E (e viceversa) secondo un rapporto fisso, che dipende dalle produttività marginali di S ed E.

Non possiamo ipotizzare che le produttività di lavoratori emersi e sommersi siano uguali. Ci sono diverse ragioni che possono differenziare la produttività del lavoratore sommerso rispetto a quella di un lavoratore regolare: si può pensare alla maggiore difficoltà di integrazione del lavoratore sommerso all’interno della struttura organizzativa dell’impresa che deriva, genericamente, dalla necessità di sfuggire i controlli ispettivi; ma possiamo anche pensare che i lavoratori regolari abbiano maggiore possibilità di accesso a programmi di formazione, come in Carillo-Papagni (2002) rispetto ai lavoratori sommersi, e che questo determini un premio di produttività dei primi sui secondi; o ancora che lavoratori regolari e sommersi abbiano risposte diverse a retribuzioni incentivanti, come previsto in Pugno (1999).

Il punto centrale del nostro ragionamento non è se la produttività del lavoratore regolare sia superiore o inferiore a quella del lavoratore sommerso, ma che sia possibile scambiare lavoro regolare con sommerso e viceversa secondo un rapporto fisso. Questo equivale a disegnare un isoquanto lineare, la cui inclinazione dipende dal rapporto tra le produttività marginali. Non c’è nessuna ragione di credere che l’isoquanto sia strettamente convesso: ciò significherebbe che è più difficile, per ragioni tecnologiche sostituire lavoro sommerso (regolare) con lavoro regolare (sommerso) quando l’impresa ha una elevata intensità di lavoro regolare

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(sommerso). Tale ipotesi non ci sembra particolarmente realistica35.La sostituibilità del lavoro sommerso con il lavoro regolare è incondizionata:

con questa espressione vogliamo indicare che l’impresa può scegliere di sostituire completamente lavoro sommerso con lavoro regolare, può cioè decidere di impiegare solo lavoro regolare.

Più complessa la questione della sostituibilità completa del lavoro regolare con lavoro sommerso. L’ipotesi di sostituibilità completa di lavoro regolare con lavoro sommerso pone qualche problema interpretativo: una impresa che lavora utilizzando solo lavoro sommerso è una impresa che normalmente trova difficoltà di accesso al mercato legale dei beni che produce. Possiamo perciò pensare ad un limite oltre il quale l’impresa, se vuole operare nel mercato legale dei beni (e non nel mercato criminale), non può più sostituire lavoro sommerso a lavoro regolare. Indicheremo tale limite con le espressioni “limite di legalità” o “soglia di legalità”. Dal punto di vista geometrico ciò significa che l’isoquanto lineare è limitato, come rappresentato nella figura 3.1.

Il posizionamento del limite di legalità dipende essenzialmente dall’assetto istituzionale dei mercati. Tale assetto è il risultato dell’operare di tre fattori diversi: (i) la cornice istituzionale che determina le modalità dello scambio nel mercato

legale dei beni. Essa ha a che fare con la regolazione contrattuale degli scambi nel mercato legale. Si pensi per esempio ad un contratto di vendita bilaterale. La condizione minima dello scambio è i due contraenti esistano: se una impresa esiste e produce un certo ammontare di prodotto deve avere al minimo un lavoratore (o almeno il titolare dell’impresa). L’impresa che decide di stare sul mercato legale e stipulare contratti deve dunque operare con un livello minimo di legalità di uso del fattore lavoro. Si pensi al caso di una piccola impresa che opera come subfornitrice di altre imprese: le transazioni con i committenti richiedono di norma contratti e fatturazione; l’impresa subfornitrice deve dunque esistere dal punto di vista legale, e si può ritenere debba utilizzare un numero congruo di lavoratori emersi. Ciò non significa che essa non possa avvalersi di lavoro sommerso, ma solo che deve rispettare una regola di minima regolarità di uso del fattore lavoro. Possono d’altra parte esistere regole che determinano, dato l’ammontare delle transazioni, la dimensione minima d’impresa compatibile con quel volume di affari. Si pensi per l’Italia agli studi di settore che definiscono le dimensioni minime di impresa compatibili con il proprio status giuridico;

(ii) regole convenzionali che determinano una quota socialmente accettabile di “sommersione”. Esse sono il risultato di condizioni nazionali, definite per esempio dal grado complessivo di accettazione sociale dell’uso di lavoro sommerso in un certo contesto nazionale, ma anche e soprattutto di condizioni locali. L’idea è che la possibilità di scambiare lavoratori regolari con

35 Carillo e Pugno (2002: 9) operano la stessa assunzione.

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lavoratori sommersi sia limitata dalla condivisione, in particolari contesti, di regole di comportamento per le imprese tali da definire un livello di sommersione del fattore lavoro socialmente accettato. Introdurre l’ipotesi di una regola convenzionale che limiti l’uso di lavoro sommerso può sembrare una facile via d’uscita ad un problema molto serio: se il lavoro sommerso è meno costoso del lavoro emerso perché l’impresa non sostituisce tutti i propri lavoratori? L’ipotesi di una regola convenzionale potrebbe sembrare una soluzione ad hoc per conciliare la teoria (l’impresa sceglie il fattore meno costoso) con la realtà (di norma le imprese di avvalgono in modo limitato di lavoro sommerso). Per dimostrare il contrario si dovrebbe provare che seguire la regola è razionale, anche se può determinare svantaggi nel breve periodo. Una possibile via per ragionare intorno a questa questione è quella indicata da Robert Solow (1990) nella sua discussione sul mercato del lavoro some istituzione sociale, dove mostra che “un comportamento allettante sul piano individuale, ma socialmente distruttivo, viene considerato socialmente inaccettabile” (Solow, 1990: 50);

(iii) poiché si tratta di una regola sociale, il limite di utilizzo del lavoro sommerso cambia nel corso del tempo. Una via per raffinare la nostra analisi potrebbe consistere nella determinazione dei fattori che possono modificare nel corso del tempo l’accettabilità sociale del sommerso. Sarebbe per esempio interessante indagare se e come influiscano sull’accettabilità sociale del sommerso una intensa attività ispettiva, la modificazione nel corso del tempo delle attività ispettive o provvedimenti legislativi di sanatoria dei comportamenti illeciti pregressi.

Sulla base delle considerazioni svolte fino ad ora possiamo rappresentare il problema di minimizzazione come in figura 3.1 dove Emin è la soglia minima di lavoratori emersi necessaria perché l’impresa rispetti la regola di legalità (e possa restare nel mercato legale dei beni); S* la quantità di lavoratori sommersi corrispondenti ad Emin; Emax la quantità di lavoro regolare necessaria produrre la quantità y utilizzando soltanto lavoratori regolari. E ed S sono perfetti sostituti solo nell’intervallo Emax-Emin. Una impresa che decide di lasciare il mercato legale, o una impresa che opera in assenza di vincoli istituzionali e sociali all’uso del lavoro sommerso, ha a disposizione anche il tratto di isoquanto indicato con la linea tratteggiata.

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Figura 3.1UN ISOQUANTO DI PRODUZIONE, CON VINCOLO DI LEGALITÀ

S

E

Emax

Emin

S*

Nel nostro ragionamento è implicito che la soglia di legalità si modifichi in corrispondenza di diversi volumi di produzione. Ciò equivale a sostenere che la quantità Emin varia convenzionalmente in relazione al volume di produzione e alla dimensione d’impresa. A seguito di ciò imprese di diversa dimensione hanno limiti di legalità diversi tra loro.

Consideriamo un isoquanto di produzione36:Y = sS+ eE ;

se introduciamo il vincolo di legalità E ᄈ E min si ha

S ᆪ Ys

-es

E min ᄎ S*

Introduciamo adesso il vincolo di costo. Indichiamo con wE il costo del lavoro regolare e con ws il costo del lavoro sommerso. L’equazione di costo è data da:

C = w SS + w EEIl problema di minimizzazione del costo da parte dell’impresa diventa

C = w sS+ w EYe

-se

S � � �

� � �= w s- wE

se

� � �

� � �S+ w e

Ye

da cuidCdS

= wS - wE

se

><

0.

Secondo se wS

wE

><

se

si ha dCdS

><

0, e quindi il minor costo è rispettato in

36 Se s ed e sono costanti Y = sS+ eE è la funzione di produzione.

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S = 0,E = E maxS = S*,E = E min

� � �

oppure è indifferente per qualsiasi combinazione di S ed E.

Figura 3.2SOLUZIONE GRAFICA DEL PROBLEMA DI MINIMIZZAZIONE

S

E

Emax

Emin

S*

Dobbiamo ritornare adesso sui fattori che possono influenzare le produttività ed i costi di lavoro sommerso e regolare. Per la produttività abbiamo già accennato che lo stesso lavoratore può avere produttività diverse se lavora in condizioni regolari o sommerse. Abbiamo già notato che l’attività ispettiva può avere effetti negativi sulla produttività dei lavoratori sommersi: si pensi per esempio a ispezioni continue che non permettono che il lavoratore sommerso possa lavorare all’interno dello stabilimento, o che vi possa lavorare con vincoli stringenti di orario (per esempio fuori dall’orario di lavoro degli ispettori). Questo determina una peggiore integrazione del lavoratore sommerso nel processo produttivo abbassandone la produttività rispetto ad un lavoratore regolare. Una variazione dell’intensità dell’attività ispettiva può dunque determinare variazioni del rapporto tra le produttività di lavoro emerso e lavoro sommerso (e dunque nell’inclinazione dell’isoquanto). In particolare una maggiore (minore) attività ispettiva si riflette in una riduzione (aumento) dell’inclinazione dell’isoquanto. Nel seguito ci riferiremo a questo fenomeno come agli effetti tecnologici dell’attività ispettiva.

Passiamo adesso ai costi del lavoro. La scelta di indicarli in modo generico come wE e wS ha permesso di semplificare il ragionamento, di cui adesso è però necessario precisare il significato. Con wE e wS indichiamo il costo complessivo medio in cui l’impresa incorre assumendo una unità di lavoro rispettivamente regolare e sommerso. In questo senso wE comprende anche il carico fiscale

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connesso all’utilizzazione di lavoro regolare, per cui:wE = w E

m (1 + t)dove wE

m è il salario netto corrisposto al lavoratore regolare, definito dalle

condizioni del mercato regolare del lavoro, e t il carico fiscale e contributivo (il cuneo fiscale).

Analogamente wS comprende la sanzione attesa relativa all’uso di lavoro sommerso, per cui:

wS = w Sm (1 + p ipe m )

dove wSm

è il salario netto corrisposto al lavoratore sommerso, definito dalle condizioni del mercato del lavoro sommerso; m l’entità della sanzione

(proporzionale a wSm

), pipe la probabilità (composta) che ha l’impresa di essere sottoposta a ispezione (pi) e, nel caso, che venga individuato l’uso di lavoro sommerso (pe). L’idea è cioè che il saggio di salario del lavoro sommerso dipenda anche dall’intensità e dall’efficacia dell’attività ispettiva. Maggiori ispezioni aumentano la probabilità di essere ispezionati; ispezioni più accurate aumentano la probabilità di essere scoperti inadempienti una volta ispezionati. Ciò determina un costo del lavoro sommerso ws più elevato a parità di saggio di salario nel mercato del lavoro sommerso. Dunque l’attività ispettiva modifica il rapporto tra i costi del lavoro e quindi l’inclinazione dell’isocosto.

È utile sottolineare fino da ora una importante implicazione di policy di questa rappresentazione. Se lavoro sommerso e lavoro regolare sono sostituti accadono alcune cose interessanti:1. il rapporto tra costo del lavoro regolare e sommerso ha effetti rilevanti solo se

interviene una modificazione sostanziale del suo valore, tale da cambiare il segno delle disequazioni viste in precedenza. Variazioni contenute del rapporto non modificano la condizione di equilibrio. L’effetto di una variazione sostanziale del rapporto tra i costi modifica invece radicalmente l’equilibrio portando l’impresa da Emin a Emax (o viceversa);

2. l’intensificazione dell’attività ispettiva aumenta ws. Se tale modificazione non è rilevante come indicato al punto 1, l’attività ispettiva riduce gli extraprofitti dell’impresa, ma non ha alcun effetto sulla configurazione di equilibrio. Da questo punto di vista l’attività ispettiva non ha nessun effetto deterrente legato alla componente di costo del lavoro; tuttavia ciò non significa che non sia socialmente utile, sia dal punto di vista equitativo che da quello di una possibile influenza sulla modificazione nel lungo periodo della soglia di legalità;

3. se consideriamo una impresa che produce una certa quantità di prodotto utilizzando un mix di lavoro sommerso e regolare, l’intensificazione dell’attività ispettiva riduce la produttività del lavoro sommerso; come abbiamo detto questo comporta una riduzione del saggio marginale di

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sostituzione tecnica (ci vogliono più lavoratori sommersi per sostituire lo stesso lavoratore regolare) e dunque a parità di lavoro regolare (sommerso), per produrre la stessa quantità di prodotto, sarà necessario utilizzare un numero più elevato di lavoratori sommersi (regolari). Poiché possiamo pensare che nel breve periodo Emin non si modifichi, un incremento dell’attività ispettiva può determinare un aumento del valore assoluto dei lavoratori sommersi utilizzati dall’impresa. D’altra parte l’aumentata attività ispettiva comporta anche l’aumento del costo del lavoro sommerso ed il relativo spostamento dell’isocosto. Nel caso in cui l’aumento di costo non sia sostanziale (nel senso di spostare il punto ottimo da Emin ad Emax) l’effetto di una intensificazione dell’attività ispettiva è comunque l’aumento dei costi dell’impresa, e quindi la riduzione degli (extra) profitti illeciti. Quanto appena detto è illustrato in figura 3.2.

Per tutte queste ragioni diventa assai difficile prevedere gli effetti aggregati di una intensificazione dell’attività ispettiva. Si può sostenere che l’intensificazione dell’attività ispettiva tende a ridurre la produttività del lavoro sommerso (e ad abbassare quindi il saggio marginale di sostituzione tecnica), ed a far innalzare i costi dell’impresa. A livello aggregato si può verificare in concomitanza con l’aumentata attività ispettiva: (i) un aumento del numero totale di lavoratori sommersi (nella misura in cui sia prevalente lo schema della figura 3.3); (ii) una riduzione del numero totale di lavoratori sommersi (nella misura in cui sia prevalente l’effetto di mutamento sostanziale del rapporto tra i costi); (iii) una sostanziale stabilità del numero dei lavoratori sommersi (i fenomeni precedenti finiscono per bilanciarsi).

Figura 3.3GLI EFFETTI MICROECONOMICI (DI BREVE PERIODO) DELL’INTENSIFICAZIONE DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA

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E

S

Emax

Emin

S* S**

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3.2Il modello empirico

Scopo dell’analisi statistica illustrata nelle pagine che seguono è analizzare attraverso il ricorso ai dati amministrativi dell’Inps il modo in cui le imprese della Toscana utilizzano il lavoro sommerso. In particolare intendiamo stimare in quali proporzioni le imprese toscane utilizzino lavoro sommerso e lavoro regolare. Nel modello utilizzeremo quali proxy dell’uso di lavoro regolare e sommerso rispettivamente il numero di lavoratori regolarmente impiegati nell’impresa, ed il numero di lavoratori in condizioni di irregolarità parziale o totale, così come rilevati nel corso delle ispezioni da parte dell’Inps37.

L’ipotesi interpretativa che ci ha guidato è la seguente: si consideri una impresa che si comporta nel modo descritto nel paragrafo precedente. Se riusciamo ad osservare il modo in cui essa utilizza lavoro sommerso ed emerso possiamo indurre da questo risultato una serie di informazioni rilevanti relative alla produttività ed ai costi di lavoro sommerso ed emerso, oltre che alla dimensione del vincolo di legalità. Il rapporto tra lavoratori sommersi ed emersi, per una impresa che minimizza i costi, è pari al rapporto tra le produttività. Non solo: una impresa che minimizza i costi sceglie sempre una soluzione di angolo corrispondente ad Emax o ad Emin, e questo ci dà una indicazione di massima sul rapporto tra i costi dei due tipi di lavoro.

Tutto questo ragionamento sarebbe agevole se avessimo a disposizione dati non distorti sulla diffusione del lavoro sommerso. Purtroppo tali dati non esistono:

37 I lavoratori sommersi considerati coincidono con l’aggregato che l’INPS chiama “lavoratori neri”. Essi comprendono le seguenti tipologie di lavoratori sommersi: CIG lavoratori che, pur fruendo del regime di Cassa Integrazione guadagni, intervento ordinario e straordinario, sono risultati impiegati; Malattia: lavoratori formalmente “in malattia” che, durante il sopralluogo, sono risultati impiegati attivamente nell’azienda di appartenenza o, comunque, in un’altra attività lavorativa; Maternità: lavoratrici impiegate durante il periodo di astensione per gravidanza previsto dal D.lgs. 151/2001 -Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità a norma dell’art. 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53-; INAIL: lavoratori “formalmente” infortunati, risultanti attivi nell’azienda di appartenenza o in un’altra; Disoccupati: lavoratori iscritti alle liste di disoccupazione che, pur formalmente privi di un’occupazione, sono risultati svolgere attività di lavoro retribuita; Pensionati: ex lavoratori in pensione che, pur risultando inattivi e godendo di assegno Inps, hanno svolto attività lavorativa full time; Studenti: tale classificazione individua i lavoratori a nero risultati studenti. In tale caso l’illegittimità dell’attività lavorativa non trova una concausa nella condizione soggettiva del lavoratore (studio e lavoro sono compatibili) ma solo nella mancata registrazione dello stesso; Minori: minori di 15 anni (14 in casi particolari) che, in violazione della Legge 977/1967, sono risultati svolgere un’attività lavorativa; Stranieri: tale classificazione individua i lavoratori stranieri a nero. In tale caso l’illegittimità dell’attività lavorativa non trova una concausa nella condizione soggettiva del lavoratore, ma solo nella mancata registrazione dello stesso; Extra comunitari: tale classificazione individua i lavoratori extra comunitari a nero. In tale caso l’illegittimità dell’attività lavorativa non trova una concausa nella condizione soggettiva del lavoratore, ma solo nella mancata registrazione dello stesso; Doppio lavoro: lavoratori già impiegati regolarmente in un’attività lavorativa che sono risultati svolgere un secondo impiego irregolare; Altri non registrati: Categoria residuale comprendente altre tipologie di lavoratori a nero non indicate sopra.È necessario precisare che l’INPS ha reso disponibili non i dati individuali di impresa, ma dati di cella, relativi per ciascun anno alle imprese di uno stesso settore (codice CSC 3 cifre) in una data provincia. La dimensione di impresa è stata così calcolata come dimensione media di cella dividendo il totale lavoratori dei regolari e sommersi per il totale delle imprese ispezionate.

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quelli che abbiamo a disposizione sono il risultato dell’attività ispettiva condotta dall’Inps a livello provinciale. Essi sono perciò distorti dalle modalità di ispezione e dall’efficacia dell’attività ispettiva, secondo le modalità che illustreremo tra breve. La stima del modello richiede pertanto di depurare il dato amministrativo dalle distorsioni indotte dall’attività ispettiva, e di ricostruire per questa via l’utilizzazione del lavoro sommerso da parte delle imprese.

Inoltre, la quota di utilizzazione del lavoro sommerso risente dei seguenti fattori: (i) dimensione dell’impresa, nella misura in cui le imprese più grandi utilizzano quote minori di lavoro sommerso rispetto alle più piccole -Carillo-Pugno (2002: 13) ad esempio mostrano una relazione diretta tra abilità dell’imprenditore, dimensione d’impresa e grado di regolarizzazione-; (ii) la specializzazione produttiva dell’impresa, nella misura in cui alcuni settori utilizzano in modo più intenso di altri lavoro sommerso.

Per tenere conto di questi problemi abbiamo costruito perciò un modello complesso in cui la quota p di lavoratori sommersi sul totale dei lavoratori (sommersi e regolari) nelle imprese ispezionate può essere espressa in prima approssimazione nel modo seguente:

p = f Loc,Dim ,Set,Tip( )dove Loc è la provincia di localizzazione. L’idea è quella di verificare l’esistenza di specificità locali del sommerso. Si tratta probabilmente di una disaggregazione troppo poco raffinata per essere significativa, ma si tratta del maggior livello di disaggregazione cui sono disponibili i dati;- Dim è la dimensione di impresa. Come abbiamo visto nella rassegna ci sono

buone ragioni per pensare che le piccole imprese abbiano una maggiore incidenza di lavoro sommerso; l’evidenza qualitativa va nella stessa direzione. Si tratta di verificare precisamente questa relazione;

- Set è il settore di appartenenza. Il settore di appartenenza è definito sulla base dei Codici Statistici Contributivi (CSC) utilizzati dall’Inps e riflette la logica adottata dall’Istituto nella conduzione dell’attività ispettiva. La scelta di utilizzare tale classificazione settoriale anziché quella delle attività economiche dell’Istat (1991) deriva dalla difficoltà di conversione tra le due classificazioni, in quanto la prima risulta meno dettagliata della seconda e il passaggio dall’una all’altra sarebbe stato impossibile a meno di effettuare scelte arbitrarie che avrebbero potuto distorcere i risultati dell’analisi38;

- Tip è la tipologia di impresa. Con questa variabile intendiamo cogliere gli effetti dell’appartenenza dell’impresa all’artigianato o all’industria. L’introduzione di questa variabile serve a cogliere le differenze istituzionali esistenti tra le imprese artigiane e le altre. Come è noto, le imprese artigiane hanno dei vantaggi di tipo fiscale e contributivo rispetto alle imprese non artigiane; tali

38 In due casi si è inoltre provveduto a raggruppare i codici CSC simili in un nuovo codice anche in considerazione dell’esiguo numero delle relative infrazioni rilevate (cfr. note alla tabella 3.7).

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vantaggi concorrono a ridurre ceteris paribus (soprattutto a parità di dimensione!) l’impiego di lavoro sommerso? Il modello ha lo scopo di investigare l’influenza di ciascuna delle variabili nel

determinare l’utilizzazione del lavoro sommerso e, come obiettivo più specifico, si propone di verificare se l’utilizzazione di lavoro sommerso da parte di imprese omogenee (per settore, tipologia e dimensione) sia modificata da condizioni connesse all’area di localizzazione.

Come abbiamo già accennato il problema sarebbe più semplice se avessimo una misura non distorta di p in ciascuna impresa. Purtroppo non è così: la quota di lavoratori sommersi che conosciamo è il risultato dell’attività ispettiva.

Per semplicità ed in prima approssimazione assumeremo che il numero di lavoratori sommersi (la variabile dipendente del nostro modello) sia misurata senza errore, ovvero che se in una impresa ci sono lavoratori sommersi essi siano individuati nel corso dell’ispezione. Questa ipotesi approssima ragionevolmente quanto accade in realtà nel corso dell’attività ispettiva; l’inefficacia dell’attività ispettiva, da questo punto di vista, riguarda l’impossibilità per gli ispettori di comminare una sanzione commisurata al periodo di effettiva utilizzazione dei lavoratori sommersi -di norma accade che le imprese dichiarino di avere assunto i lavoratori sommersi nel giorno stesso dell’ispezione39-.

Resta il problema delle possibili distorsioni dovute alle modalità con cui sono state selezionate le imprese sottoposte a ispezione. Il fatto che una impresa entri nel dominio della indagine dipende infatti dalle modalità con cui viene deciso il processo di campionamento iniziale, e dunque dalle direttive ispettive dell’Inps.

Le direttive ispettive o le attività ispettive decise a livello provinciale possono per diverse ragioni distorcere la composizione settoriale delle imprese ispezionate40. Per illustrare il punto può essere utile utilizzare l’esempio dell’edilizia: tra le credenze più diffuse sulla distribuzione del lavoro sommerso vi è quella che esso si concentra in modo particolare tra le imprese edili. Questa considerazione può determinare una spinta a concentrare l’attività ispettiva nell’edilizia41. Una concentrazione relativa di ispezioni nell’edilizia (o in un qualsiasi altro settore) ha tre effetti diversi: (i) aumenta la probabilità di individuare imprese edili che utilizzano lavoro

sommerso; ciò determina una loro sovra-rappresentazione nel dominio della nostra indagine, ma non una distorsione della stima della quota di sommerso usata nel settore (si potrebbe addirittura pensare che tanto più elevata è la

39 Per questa ragione si può ritenere che l’uso dei dati relativi alle sanzioni siano fortemente distorti dalle procedure di accertamento dell’evasione contributiva; perciò abbiamo ritenuto di non utilizzare tali dati nella nostra analisi.40 Questa è la ragione per cui la classificazione settoriale adottata è quella utilizzata dall’autorità ispettiva.41 Il meccanismo per cui ciò avviene è duplice: (i) le direttive nazionali impongono agli uffici di concentrare nell’edilizia un certo numero (o una quota fissa sul totale) di ispezioni; (ii) l’ispettore, che deve raggiungere un certo budget (vedi appendice 2 al punto 3), si concentra sull’edilizia perché sa che sarà per lui più facile raggiungere il budget assegnatogli.

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concentrazione settoriale delle ispezioni, tanto maggiore è l’affidabilità della stima di S/E);

(ii) differenzia settorialmente i costi attesi del ricorso al lavoro sommerso (nei termini del modello pipe è specifico di settore); questo effetto potrebbe essere visibile, nei termini del modello teorico, solo nel caso in cui, per differenti settori, imprese della stessa dimensione abbiano valori positivi o nulli nell’impiego di lavoro sommerso;

(iii) gli effetti tecnologici dell’attività ispettiva sono differenziati settorialmente, nella misura in cui una attività ispettiva più intensa condotta su particolari settori rende più difficile relativamente agli altri settori (e ceteris paribus) l’integrazione di lavoro sommerso all’interno dell’impresa.

Di questi tre effetti dell’attività ispettiva interessa principalmente l’ultimo perché tende a modificare direttamente S/E. Per tenere conto di ciò nel modello è stato introdotto un indicatore di concentrazione relativa settoriale delle ispezioni, calcolato come rapporto tra la percentuale di imprese ispezionate nel settore ed il peso relativo del settore:

isp _ set = Concentrazione_ settoriale_ ispezioni=

n _ ispezioni_ settoren _ totale_ ispezionin_ imprese_ settoren_ totale_ imprese

L’indicatore assume sempre valori superiori a zero; per 0<isp_set<1 il settore considerato è interessato da una bassa concentrazione di ispezioni; per isp_set>1 il settore è interessato da una elevata concentrazione di ispezioni crescente al crescere di isp_set. Come abbiamo già argomentato, una maggiore concentrazione settoriale delle ispezioni può determinare una riduzione della produttività del lavoro sommerso rispetto a quello regolare e determinare una riduzione della proporzione p di lavoratori irregolari. Nella stima potremmo dunque attenderci un segno negativo del coefficiente relativo alla concentrazione settoriale delle ispezioni.

Un ragionamento altrettanto articolato riguarda la variabile di localizzazione (provincia). Come abbiamo accennato l’obiettivo del lavoro è individuare specificità dei mercati locali che differenzino, ceteris paribus, localmente l’utilizzazione di lavoro sommerso. L’effetto provinciale potrebbe riflettersi sul valore di Emin: ciò equivale all’esistenza di una variabilità locale del limite socialmente accettato di legalità (si pensi alla differente percezione di legalità tra una provincia emiliana e le zone a infiltrazione mafiosa della Sicilia); ma potrebbe essere causato anche da informazioni diffuse localmente che permettono una migliore (o peggiore) organizzazione del lavoro sommerso all’interno dell’impresa (ciò che potrebbe accadere per esempio in province marcatamente segnate dalla

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presenza di distretti industriali come Prato o Arezzo).Il problema è misurare l’effetto genuinamente locale su dati distorti dall’attività

ispettiva condotta a livello provinciale. Qui il ragionamento diviene complicato perché si tratta di tenere conto sia della laboriosità che della capacità degli uffici ispettivi provinciali dell’Inps. Analogamente a quanto abbiamo visto per l’interazione tra attività ispettiva e appartenenza settoriale, si può pensare alla laboriosità degli uffici provinciali nei termini di concentrazione relativa di ispezioni nella provincia. Questa ha tre effetti diversi, dei quali solo l’ultimo interessa le stime del modello econometrico: (i) aumenta la probabilità di individuare lavoro sommerso nella provincia; ciò determina una sovra-rappresentazione della provincia nel dominio della nostra indagine, ma non una distorsione della stima della quota di sommerso usata nella provincia (si potrebbe addirittura pensare che tanto più elevata è la concentrazione provinciale delle ispezioni, tanto maggiore è l’affidabilità della stima del rapporto S/E); (ii) differenzia a livello provinciale l’effetto deterrente, causando quindi una specificità provinciale nella determinazione dei costi del lavoro sommerso; (iii) determina infine una specificità provinciale nelle modalità di integrazione organizzativa del lavoro sommerso all’interno dell’impresa, differenziando a livello provinciale ceteris paribus la produttività del lavoro sommerso. Per tenere conto di questo si può calcolare, analogamente a quanto abbiamo fatto per i settori, un indicatore di concentrazione relativa provinciale delle ispezioni calcolato come rapporto tra la percentuale di imprese ispezionate nella provincia ed il peso relativo della provincia sulla struttura produttiva regionale:

isp _ pr = Intensitネ_ provinciale_ ispezioni=

n_ ispezioni_ provincian_ totale_ imprese_ provincia

n _ ispezioni_ toscanan_ totale_ imprese_ toscana

L’indicatore assume sempre valori superiori a zero; per 0<isp_pr<1 la provincia considerata è interessata da una bassa concentrazione di ispezioni; per isp_pr>1 la provincia è interessata da una elevata concentrazione di ispezioni, crescente al crescere di isp_pr. Come abbiamo già argomentato, una maggiore concentrazione provinciale delle ispezioni può determinare una riduzione della produttività del lavoro sommerso rispetto a quello regolare e, a parità di produzione, determinare valori più bassi della proporzione p. Nella stima potremmo dunque attenderci un segno negativo del coefficiente relativo alla concentrazione provinciale delle ispezioni.

Resta ancora da considerare la capacità ispettiva degli uffici provinciali dell’Inps, cioè la capacità degli ispettori di trovare il lavoro sommerso nell’impresa oggetto di ispezione: non possiamo assumere che tutti gli uffici periferici abbiano

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la stessa capacità di stanare lavoratori sommersi. La capacità ispettiva si riflette sui nostri dati in tre modi diversi: (1) migliora la qualità dei dati; (2) nella misura in cui le imprese percepiscono la capacità ispettiva dell’ufficio preposto, aumenta l’effetto deterrente dell’attività ispettiva, e dunque i costi del lavoro sommerso; (3) una capacità ispettiva migliore peggiora le possibilità di integrazione del sommerso all’interno dell’impresa. Dato che non è possibile misurare, neanche indirettamente, la capacità ispettiva degli uffici provinciali, abbiamo specificato un modello marginale che tenesse conto di un’eterogeneità di fondo tra i livelli di sommerso nelle varie province, non attribuibile all’effetto delle altre variabili esplicative, ovvero di una correlazione tra le quote di sommerso tra le imprese di una stessa provincia (Liang-Zeger, 1986).

I dati che abbiamo a disposizione riguardano l’attività ispettiva condotta dall’Inps nel 2000 e nel 2001. Come è illustrato ampiamente nell’appendice 2 al capitolo 3, tra i due anni sono cambiate completamente le direttive nazionali che guidano l’attività ispettiva. In analogia a quanto abbiamo visto in precedenza la modificazione dell’attività ispettiva può: (i) modificare la probabilità che l’ispettore individui lavoro sommerso una volta avviata l’ispezione (ii) avere ridotto od aumentato l’effetto deterrente, e quindi modificato il costo del lavoro sommerso; (iii) avere modificato la produttività del lavoro sommerso variandone l’integrabilità all’interno delle imprese. Per cogliere in particolare quest’ultimo effetto abbiamo ritenuto di introdurre nel modello una variabile qualitativa dicotomica in grado di cogliere la modificazione dell’attività ispettiva tra i due anni considerati. Un segno negativo del coefficiente può essere interpretato come indizio di una intensificazione dell’attività ispettiva; viceversa per un segno positivo.

3.3Modello econometrico e procedura di stima

Assumendo che il numero di lavoratori sommersi segua una distribuzione binomiale Bi p,n( ) , dove n è il numero totale di lavoratori nell’impresa, abbiamo specificato come base per le analisi un modello logistico del tipo:

logp

1 - p

� �

� �= a + b1X1 + ... + bk Xk

dove a,b1, ...,b k( ) è un vettore di coefficienti incogniti e X1,..., X k( ) è un vettore di regressori che include sia variabili quantitative che opportune variabili indicatrici di livello di variabili qualitative (McCullagh e Nelder, 1989). E’ utile osservare che il rapporto p/(1-p) può essere interpretato come il rapporto tra il valore atteso del numero di lavoratori sommersi (S) e il valore atteso del numero di

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lavoratori regolari nell’azienda (E). Per il calcolo della matrice di varianze-covarianze dei coefficienti è stato

utilizzato lo stimatore robusto Huber/White, dopo aver specificato una struttura di correlazione scambiabile entro provincia.

L’analisi è stata eseguita con il software Stata/SE 7.0 (Stata Corporation 2002). Le variabili esplicative che abbiamo considerato nell’analisi sono state le seguenti:- Loc, una variabile indicatrice della provincia di appartenenza42; come provincia

di riferimento per la stima del modello è stata utilizzata Firenze; - Isp_pr, il valore di concentrazione relativa delle ispezioni nelle varie province;

l’indicatore è calcolato separatamente per le ispezioni condotte nei due anni considerati;

- Dim, la dimensione media di impresa (calcolata dentro ciascuna cella); la dimensione d’impresa è calcolata considerando il numero totale dei lavoratori, sommando cioè lavoratori regolari e sommersi; le imprese sono divise in 4 classi dimensionali (0-9 lavoratori; 10-49; 50-250; oltre 250); si tratta perciò di una variabile qualitativa;

- Set, una variabile qualitativa che indica i settori produttivi secondo la codifica CSC;

- Anno, l’indicatore dell’anno (2000; 2001).- Art, indica le imprese iscritte all’albo degli artigiani43.

Al fine di rendere più semplice la lettura dei risultati, è stata effettuata una analisi a più stadi. Prima è stato specificato un modello generale per grandi settori e successivamente due modelli specifici per industria e settore terziario.

3.4Il modello per grandi settori

Il primo passo è consistito nella costruzione di un modello macro-settoriale, in cui non si è tenuto conto del settore di appartenenza come specificato dalla variabile Set, ma solo di una distinzione settoriale-istituzionale tra imprese di servizi, artigiane ed industriali (variabile Tip). Le altre variabili esplicative incluse nel modello sono state: Dim, Anno, Isp_set, Isp_prov, Prov.

Abbiamo considerato come termine di riferimento le imprese della classe 0-9 addetti, della provincia di Firenze, dell’industria, nell’anno 2000 (tabella 3.4).

42 Più precisamente si tratta degli uffici decentrati dell’INPS che hanno competenza provinciale, con l’eccezione di Piombino (LI), che viene trattata come provincia autonoma. 43 Non è inutile ricordare che calcolando l’esponenziale della costante si ottiene il valore medio stimato della variabile dipendente nella classe riferimento; l’esponenziale degli altri parametri indica invece il rapporto tra il valore medio assunto dalla variabile dipendente nel caso specifico (per esempio nella provincia di Arezzo) e nella classe di riferimento (Firenze).

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Tabella 3.4LA STIMA DEL MODELLO PER GRANDI SETTORI

Coefficiente Std. Err. z p

AR -0,685 0,107 -6,42 0,000GR 0,146 0,081 1,81 0,071LI -0,132 0,121 -1,09 0,276LU -0,123 0,087 -1,41 0,158MS 0,131 0,086 1,52 0,128PB 0,191 0,064 2,98 0,003PI 0,025 0,087 0,28 0,778PO 0,695 0,041 17,12 0,000PT 0,130 0,063 2,07 0,039SI -0,508 0,091 -5,56 0,0002001 -0,069 0,070 -0,99 0,322Artigianato 0,215 0,170 1,27 0,205Terziario 0,416 0,157 2,64 0,00810-49 -0,380 0,124 -3,06 0,00250-250 -1,868 0,415 -4,5 0,000>250 -19,715 1,047 -18,83 0,000isp_sett 0,076 0,038 2,01 0,045isp_pr -0,512 0,207 -2,47 0,014costante -0,931 0,228 -4,09 0,000Riferimento: FI, industria, 0-9 addetti; anno 2000

Prima di valutare i risultati relativi al grado di utilizzazione del lavoro sommerso è utile verificare quello che abbiamo chiamato effetto distorsivo dell’attività ispettiva. La concentrazione settoriale delle ispezioni non è risultata significativa; ciò indica che tale attività non ha influito negli anni considerati nella produttività relativa di lavoro sommerso e regolare. È invece significativa la concentrazione provinciale delle ispezioni: al crescere dell’attività ispettiva diminuisce l’utilizzazione relativa del lavoro sommerso. Il segno è dunque quello atteso: uffici provinciali dell’Inps che svolgono attività ispettiva più intensa (come illustrato nella tabella 3.5) abbassano la produttività dei lavoratori sommersi e per questa via favoriscono la sostituzione di lavoro sommerso con lavoro regolare. Come abbiamo argomentato in precedenza, se non varia il limite di legalità, questo meccanismo è compatibile con una crescita complessiva del valore assoluto dei lavoratori sommersi, e non va dunque letto come significativo di una riduzione dell’estensione del lavoro sommerso regionale. Da quanto visto in precedenza si può indurre banalmente la seguente considerazione: l’effetto deterrente delle ispezioni provinciali sulla struttura dei costi non è tale da modificare il rapporto tra i prezzi di lavoro regolare ed emerso in modo tale da far emergere una generalizzata sostituzione di lavoro sommerso con lavoro regolare.

Tabella 3.5LA CONCENTRAZIONE PROVINCIALE DELLE ISPEZIONI PER ANNO

Provincia 2000 2001

Arezzo 1,15 1,29Firenze 0,68 0,79

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Grosseto 0,98 1,10Livorno 1,29 1,23Lucca 1,29 1,01Massa-Carrara 1,02 1,25Piombino 0,98 1,02Pisa 1,33 0,92Pistoia 1,11 0,90Prato 0,95 1,02Siena 1,00 1,27

Detto questo possono essere considerati i risultati emersi dall’analisi di regressione che sono essenzialmente tre: (i) la produttività del lavoro sommerso è mediamente inferiore a quella del lavoro regolare; non siamo in grado, in questa fase della ricerca, di valutare le cause di ciò. Si possono però fare alcune ipotesi che andrebbero vagliate con indagini specifiche: si può pensare ad un generalizzato problema di integrabilità organizzativa del lavoro sommerso all’interno dell’impresa; si può pensare anche ad una maggiore difficoltà da parte delle imprese ad utilizzare nei confronti dei lavoratori sommersi strumenti efficaci di incentivazione della produttività; infine si può pensare ad una minore produttività dei lavoratori disponibili nel mercato del lavoro sommerso perché dotati di minore capitale umano generale o specifico, e ad una minore integrabilità di questi nei programmi di formazione delle imprese, secondo uno schema teorico à la Carillo-Pugno (2002); (ii) le imprese artigiane e soprattutto quelle dei servizi utilizzano mediamente lavoro sommerso in misura maggiore rispetto alla generalità delle imprese dell’industria; (iii) al crescere della dimensione media d’impresa l’utilizzazione relativa del sommerso decresce in modo molto netto, fino ad azzerarsi nelle imprese con più di 250 addetti.

Per sintetizzare queste considerazioni nella tabella 3.6 abbiamo calcolato le stime relative all’utilizzazione media del lavoro sommerso per macro-settore e dimensione di impresa in riferimento ai due anni considerati.

Tabella 3.6STIME DELL’INCIDENZA RELATIVA DEL SOMMERSO PER MACRO-SETTORE E DIMENSIONE

Classi di addetti

2000 2001Industria Artigianato Servizi Industria Artigianato Servizi

0-9 0,394 0,489 0,598 0,368 0,457 0,55810-49 0,270 0,335 0,409 0,252 0,312 0,38250-250 0,061 0,076 0,092 0,057 0,070 0,086Oltre 250 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000 0,000

Nota: I dati si riferiscono alle provincia di riferimento (Firenze)

Prima di vedere con qualche maggiore dettaglio le stime, è necessario precisare che le differenze stimate tra 2000 e 2001 non sono statisticamente significative. Ciò non toglie che esse indichino una linea di tendenza che andrà verificata con i dati del 2002.

Consideriamo i risultati calcolati per ciascun anno. Se questi risultati vengono

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interpretati con l’ausilio dello schema teorico visto in precedenza possiamo affermare che la sostituzione di lavoro sommerso con lavoro regolare diventa molto più difficile da operare al crescere della dimensione d’impresa; ciò può essere dovuto, in termini molto semplificati, alla più difficile integrabilità organizzativa dei lavoratori sommersi all’interno di strutture più complesse. Non è inutile ricordare il significato implicito nelle stime riportate in tabella: nel 2000 nelle imprese industriali con 0-9 addetti per sostituire un lavoratore regolare erano necessari almeno 2,5 lavoratori sommersi; in quelle con 10-49 addetti la stessa sostituzione richiedeva almeno di 3,7 lavoratori irregolari e così via. La sostituzione avviene comunque fino a quando le imprese percepiscono un vantaggio di costo utilizzando lavoro sommerso al posto di quello regolare. Per le imprese oltre i 250 addetti il vantaggio di costo scompare (siamo invariabilmente nella soluzione d’angolo Emax). Questo risultato è coerente con tutte le osservazioni qualitative sulla diffusione del lavoro sommerso in Toscana (Orml-DSE,2000; Unioncamere Toscana, 2002) ed ovviamente non esclude che la grande impresa non benefici dei vantaggi di costo derivanti dall’uso del lavoro sommerso da parte delle imprese che fanno parte del suo sistema di subfornitura, come testimoniato da diversi studi di caso (Baccini, 1995; Orml-Ciriec 1998).

Nelle imprese artigiane, a parità di dimensione con le imprese industriali, si verifica un uso più intenso di lavoro sommerso; ciò è la conseguenza del fatto che nelle imprese artigiane la produttività del lavoratore sommerso è più elevata che nelle imprese industriali: nelle imprese con meno di 10 addetti un lavoratore regolare può essere sostituito da almeno 2 lavoratori sommersi.

L’integrabilità del lavoro sommerso è ancora più elevata nei servizi, dove il lavoro sommerso rappresenta quasi il 60% dell’intera forza lavoro grazie ad una produttività del lavoro sommerso prossima a quella dei lavoratori regolari: una lavoratore regolare può essere sostituito da 1,6 lavoratori sommersi.

È da notare che la diversità dell’incidenza del sommerso tra imprese industriali e artigiane non può essere interpretata semplicemente come effetto di specificità di tipo istituzionale. A questo livello di aggregazione infatti la distinzione tra imprese artigiane e industriali non permette di distinguere l’operare di fattori istituzionali dalla diversa composizione settoriale di artigianato e industria. La maggiore incidenza del sommerso nell’artigianato rispetto all’industria deve perciò essere verificata per imprese appartenenti allo stesso settore produttivo, come faremo nel modello per settori illustrato più avanti.

Consideriamo adesso le variabili provinciali. Come abbiamo detto, nel modello abbiamo considerato come area di riferimento la provincia di Firenze. Ebbene, il modello individua un gruppo di province (Grosseto, Livorno, Lucca, Massa e Pisa) che non si discostano in maniera (statisticamente) significativa dall’area di riferimento. Siena e soprattutto Arezzo hanno invece una quota più bassa di utilizzazione del lavoro sommerso: in media Siena ha un valore di S/E che è circa il

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60% di quello all’area fiorentina; per Arezzo tale valore scende a circa il 50% di quello dell’area di riferimento. È utile ripetere che questo risultato indica una più difficile integrabilità (a parità di attività ispettiva) del lavoro sommerso all’interno delle imprese dell’area.

Una maggiore utilizzazione del sommerso, e dunque una più semplice sostituibilità di sommerso ed emerso, caratterizza invece Pistoia (con un rapporto S/E mediamente superiore del 13% rispetto a quello dell’area di riferimento), l’area di Piombino (+20%), e soprattutto la provincia di Prato, dove la quota di utilizzazione del lavoro sommerso è poco superiore al doppio di quella dell’area fiorentina.

Questi risultati non possono essere interpretati semplicemente come effetto di specificità localizzative, o di fattori sociali ed istituzionali che agiscono a livello provinciale e modificano in modo sostanziale la produttività dei lavoratori sommersi rispetto a quelli emersi. A questo livello di aggregazione infatti non è possibile discernere l’effetto genuinamente localizzativo dalla diversa composizione della struttura produttiva delle province. Per spiegare il punto può essere utile riflettere sul caso di Prato: la maggiore incidenza del sommerso può essere attribuita semplicemente ad una maggiore facilità di uso del sommerso in un contesto di tipo distrettuale spiegabile in riferimento alla peculiarità sociale e istituzionale di questo sistema produttivo, ma può anche essere semplicemente il risultato di una maggiore integrabilità del lavoro sommerso all’interno delle imprese tessili che caratterizzano la provincia. Nel modello econometrico questo livello di risoluzione non permette di distinguere l’effetto genuinamente localizzativi da peculiarità della struttura produttiva provinciale, e dunque da peculiarità relative all’integrabilità tecnologica del lavoro sommerso all’interno delle imprese.

3.5Il modello per i settori industriali

Sono già state introdotte le ragioni per cui è necessario procedere a stimare il modello che tenga conto della variabile settore ad un più elevato livello di disaggregazione (Set); ciò permetterà di verificare, per così dire, la tenuta dell’effetto artigianato e di quello localizzativo. Abbiamo specificato due modelli separati: il primo per le sole imprese dei settori industriali, il secondo per le sole imprese del terziario.

Oltre alle variabili Set, Dim, Prov, Isp_prov, Isp_set e Anno, nel primo dei due modelli, qui illustrato, è stata introdotta la variabile indicatrice delle aziende artigiane (artigianato). Abbiamo considerato come termine di riferimento le imprese della classe 0-9 addetti, della provincia di Firenze, del settore alimentari,

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bevande e tabacco (Tab. 3.7).

Tabella 3.7MODELLO PER I SETTORI INDUSTRIALI

Coef, Std, Err, z P>|z| Coef, Std, Err, z P>|z|

AR -0,842 0,209 -4,02 0,000 CSC06 -0,058 0,329 -0,18 0,860GR 0,153 0,138 1,11 0,268 CSC07 -0,657 0,210 -3,14 0,002LI -0,144 0,208 -0,69 0,488 CSC08 0,580 0,599 0,97 0,333LU -0,263 0,169 -1,55 0,121 CSC09 -0,132 0,563 -0,23 0,815MS -0,008 0,162 -0,05 0,959 CSC10 -0,315 0,314 -1,00 0,317PB 0,008 0,081 0,10 0,924 CSC11 0,143 0,594 0,24 0,810PI 0,076 0,204 0,37 0,708 CSC12 0,312 0,433 0,72 0,471PO 0,376 0,220 1,71 0,088 CSC13 0,068 0,347 0,20 0,844PT 0,045 0,165 0,28 0,783 CSC14 -12,190 0,939 -12,98 0,000SI -0,375 0,151 -2,49 0,013 CSC15 0,408 0,502 0,81 0,4162000 -0,100 0,128 -0,78 0,433 CSC16 0,180 0,363 0,50 0,62010-49 -0,487 0,097 -5,04 0,000 CSC18 0,430 0,368 1,17 0,24250-250 -1,945 0,399 -4,88 0,000 CSC22 1,393 0,647 2,15 0,031>250 -19,156 1,088 -17,60 0,000 isp_sett -0,114 0,212 -0,54 0,590CSC02 -1,740 0,919 -1,89 0,058 isp_pr -0,350 0,358 -0,98 0,328CSC03 -0,860 0,357 -2,41 0,016 Artigianato 0,101 0,251 0,40 0,687CSC05 -1,372 0,567 -2,42 0,016 costante -0,682 0,653 -1,04 0,296Riferimento: Firenze, 0-9, CSC00; anno 2000.Note: i settori sono: CSC00=industrie alimentari, bevande e tabacco; CSC 02=estrazione minerali metalliferi; CSC 03=legno e carpenteria navale; CSC 05=produzione e prima trasformazione metalli; CSC 06=meccanica di precisione; CSC 07=tessile; CSC 08=abbigliamento e accessori anche in pelle; CSC 09=chimica, petrolchimica, gomma e materie plastiche; CSC 10=pelli, cuoio e calzature; CSC 11=lavorazione minerali non metalliferi; CSC 12=carta, cartotecnica, editoria, fotografia e cinematografia; CSC 13=edilizia e installazione di impianti per edilizia; CSC 14=produzione e distribuzione energia, gas, acqua; CSC 15=trasporti e comunicazioni; CSC 16=varie; CSC 18=servizi e spettacolo; CSC 22=pesca.

Iniziamo dalla considerazione dell’attività ispettiva provinciale e settoriale: le stime dei parametri, pur se non statisticamente significative, hanno una indicazione di segno corretta. Analogamente la variazione dell’attività ispettiva tra i due anni considerati non è significativa.

Per quanto riguarda gli elementi strutturali del modello emerge quanto segue:1. esce confermato l’effetto dimensionale; all’interno di ciascun settore, in media,

fatta 100 l’incidenza del sommerso nella classe dimensionale 0-9, il sommerso si riduce a 61,5 nella classe 10-50, a 14,3 nella classe 50-250, e scompare nelle imprese superiori a 250 addetti;

2. esistono differenze significative tra settori, ciò significa che in settori diversi ceteris paribus l’integrabilità del lavoro sommerso cambia in modo statisticamente significativo. Nel gruppo di imprese di riferimento (Firenze; alimentari, bevande e tabacco; 0-9 addetti) abbiamo stimato un rapporto tra le produttività di lavoratori sommersi e regolari di 0,51; ciò indica che un lavoratore regolare può essere sostituito con (poco meno di) due lavoratori sommersi (e quindi se si verifica sommerso il costo di un lavoratore sommerso è inferiore alla metà di quello di un lavoratore regolare). Per la gran parte dei

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settori non esistono differenze statisticamente significative rispetto a questo valore di riferimento; nessun settore ha una incidenza superiore di lavoro sommerso; hanno invece quote inferiori di lavoro sommerso alcuni settori ad economie di scala come le imprese estrattive (CSC 2; il rapporto tra le produttività per la dimensione più piccola è 0,08; che indica un rapporto di sostituibilità di 1 regolare per 12 sommersi), le imprese metallurgiche (CSC 5; S/E=0,128; 1/7,8), e l’industria cartaria (CSC 12; dove non esiste lavoro sommerso), dove evidentemente esistono difficoltà rilevanti di integrazione tecnologica del lavoro sommerso all’interno dell’impresa. A questi settori si aggiungono il tessile (CSC 7; S/E=0,26; 1/3,8) ed il legno, carpenteria navale e arredamenti in legno (CSC 3; S/E=0,21; 1/4,7). Per quanto riguarda il tessile non è difficile immaginare le ragioni tecnologiche della difficoltà di utilizzare lavoro sommerso in fasi del ciclo produttivo caratterizzate da elevata intensità tecnologica (Provincia di Prato-Ciriec, 2000). Più difficile spiegare il risultato relativo al legno, da attribuire o alla relativa pericolosità delle lavorazioni, o, in alternativa, ad una disomogenea composizione del settore che maschera microsettori con caratteristiche diverse.

3. Quando si sia tenuto conto delle specificità settoriali l’effetto artigianato scompare. Ciò significa che quando si compara l’utilizzazione di lavoro sommerso tra imprese appartenenti allo stesso settore e della stessa dimensione l’appartenenza o meno all’artigianato non modifica il modo in cui l’impresa utilizza lavoro sommerso (anche se il segno positivo della stima potrebbe essere letto come una indicazione tendenziale delle imprese artigiane ad utilizzare più intensamente lavoro sommerso). La significatività dell’appartenenza all’artigia-nato nel modello per macro-settori deve pertanto essere interpretata come una differenza nella composizione settoriale di industria e artigianato.

4. Veniamo infine alle specificità localizzative. Per quanto riguarda l’industria, in presenza di una migliore specificazione settoriale, si rafforza l’immagine di una utilizzazione omogenea del sommerso in gran parte della regione, indipendente da effetti localizzativi. Hanno valori di utilizzazione del sommerso non significativamente diversi tra loro le province di Firenze, Grosseto, Livorno (compresa l’area di Piombino), Lucca, Massa, Pisa e Pistoia. Siena e soprattutto Arezzo hanno valori di uso del lavoro sommerso significativamente inferiori a quelli del gruppo appena considerato: le imprese senesi hanno valori di incidenza del sommerso pari al 68% di quelli registrati mediamente nel gruppo di riferimento; tale riduzione sale al 43% per le imprese della provincia di Arezzo. Prato si conferma la provincia con la più elevata quota di utilizzazione del lavoro sommerso, pari al 46% in più rispetto al dato medio regionale. A questo punto non è fuori luogo pensare che i valori anomali di Arezzo, Siena e Prato siano da attribuire a specificità socio-

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istituzionali operanti a livello locale. Se sono tali esse dovrebbero però essere confermate anche nel modello per il terziario.

3.6Il modello per il terziario

Nel modello per le aziende del terziario, abbiamo considerato come termine di riferimento le imprese della classe 0-9 addetti, della provincia di Firenze, del commercio all’ingrosso (Tab. 3.8).

Tabella 3.8IL MODELLO PER I SETTORI DEL TERZIARIO

Coef, Std, Err, z P>|z| Coef, Std, Err, z P>|z|

AR -0,404 0,390 -1,04 0,301 CSC301 -1,585 1,163 -1,36 0,173GR -0,210 0,228 -0,92 0,356 CSC501 -0,716 1,943 -0,37 0,712LI 0,043 0,408 0,1 0,917 CSC602 2,769 1,872 1,48 0,139LU 0,223 0,314 0,71 0,477 CSC603 -0,625 1,314 -0,48 0,635MS 0,642 0,338 1,9 0,058 CSC702 -0,786 1,201 -0,65 0,513PB 0,215 0,193 1,11 0,266 CSC703 0,558 1,302 0,43 0,669PI 0,283 0,240 1,18 0,238 CSC704 -0,813 1,473 -0,55 0,581PO 1,140 0,273 4,18 0,000 CSC705 1,732 1,955 0,89 0,376PT 0,322 0,207 1,56 0,119 CSC706 0,043 1,459 0,03 0,977SI -0,712 0,287 -2,48 0,013 CSC707 0,414 1,165 0,35 0,7232000 0,069 0,200 0,35 0,73 isp_sett -0,962 0,879 -1,09 0,27410-49 -1,092 0,791 -1,38 0,167 isp_pr -0,671 0,862 -0,78 0,43650-250 -14,441 1,683 -8,58 0,000 costante 0,172 1,260 0,14 0,891CSC201 0,067 1,931 0,03 0,972Riferimento: Firenze, 0-9, CSC 701; anno 2000.Note: i settori sono: CSC 201=enti pubblici, ricerca, assistenza, etc.; CSC 301=amministrazioni statali centrali e periferiche, etc.; CSC 501=coltivazioni, zootecnia e forestazione; CSC 602=assicurazioni; CSC 603=servizi tributari; CSC 701=commercio all'ingrosso; CSC 702=commercio al minuto; CSC 703=commercio ambulante; CSC 704=intermediari; CSC 705=alberghi, pubblici esercizi e simili; CSC 706=proprietari di fabbricati; CSC 707=professionisti e artisti, attività varie.

Come al solito consideriamo gli effetti dell’attività ispettiva provinciale e settoriale: analogamente a quanto abbiamo visto per il modello per i settori industriali le stime dei parametri, pur se non statisticamente significative, hanno una indicazione di segno corretta. La variazione dell’attività ispettiva tra i due anni considerati non è significativa (e potrebbe far pensare ad una riduzione dell’attività ispettiva diretta complessivamente alle imprese del terziario).

Per quanto riguarda gli elementi, per così dire strutturali, emerge quanto segue:1. il risultato maggiormente degno di nota riguarda la stima del valore medio

del rapporto tra S/E: nel terziario lavoro regolare e lavoro sommerso sono perfetti sostituti, il rapporto tra le loro produttività è pari ad 1 (come si può notare la stima della costante non è significativamente diversa da zero). Ciò significa che le imprese sono disposte a sostituire lavoro

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regolare con lavoro sommerso solo se il costo del lavoro regolare è inferiore a quello del lavoro sommerso.

2. l’effetto dimensionale è molto meno accentuato che nei settori industriali: non esiste una differenza significativa tra le imprese delle prime due classi dimensionali, ma già per le imprese sopra 50 addetti l’utilizzazione di lavoro sommerso si riduce a 0. Ciò significa che le imprese del terziario godono della perfetta sostituibilità tra lavoratori sommersi ed emersi fino ad una dimensione media di 50 addetti. Solo oltre tale soglia cominciano a verificarsi problemi di integrazione del lavoro sommerso che ne abbassano la produttività;

3. non esistono specificità settoriali statisticamente significative; 4. dal punto di vista localizzativo troviamo un ampio gruppo di province che

hanno valori non significativamente diversi da quello di riferimento. Di questo gruppo fanno parte le province di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Piombino, Pisa, Pistoia. Siena si conferma come una provincia con una minore incidenza relativa di sommerso anche nel settore terziario (S/E=0,58; 1/1,7). Tra le province con una più elevata incidenza di sommerso troviamo ancora Prato (S/E=3,71; con un rapporto di sostituzione tra emersi e sommersi di 1 a 0,26!), che vede quindi confermata una situazione socio-istituzionale che favorisce l’integrazione del sommerso nel sistema produttivo. Infine Massa-Carrara che, se per l’industria non si discostava molto dal panorama regionale, qui emerge con una forte caratterizzazione di provincia ad elevata intensità di sommerso nel terziario (S/E=2,26; 0,44/1).

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4.CONCLUSIONI

Questo rapporto sintetizza un percorso di analisi pluriennale sul lavoro sommerso in Toscana che si è articolato in modo complesso con l’applicazione di strumenti di analisi diversificati, centrati comunque sul livello di analisi microeconomica. La scelta di tale livello di analisi è avvenuta perché si è ritenuto che solo in questo modo fosse possibile spiegare l’estensione del lavoro sommerso sulla base della considerazione delle scelte delle imprese e dei lavoratori. L’idea di fondo è che l’applicazioni di metodologie statistiche di stima macroeconomica dell’estensione del lavoro sommerso finiscono per trascurare i meccanismi essenziali che spingono imprese e lavoratori a incontrarsi nel mercato del lavoro irregolare. Tali stime sono certo indispensabili per individuare le dimensioni complessive del fenomeno, ma rischiano di essere inutili per la proposta di interventi correttivi.

D’altra parte, come abbiamo visto nel capitolo 2, la ricerca micro non è ancora riuscita ad integrare pienamente l’analisi teorica con strumenti quantitativi di analisi. Il percorso di ricerca iniziato nel 1999 si è articolato in tre tappe. La prima è consistita nell’applicazione estesa alla Toscana della metodologia di indagine qualitativa proposta dal gruppo Meldolesi. Essa ha permesso di individuare e descrivere le tipologie di lavoro sommerso maggiormente diffuse in ambito regionale, così come descritto in Orml-DSE (2000; ed ora in Baccini-Castellucci-Vasta, 2003) e sintetizzato nel paragrafo 3.1 di questo rapporto. La seconda tappa è consistita in un approfondimento della relazione tra lavoro sommerso e diffusione dei lavori atipici (Unioncamere Toscana, 2002). Con questa seconda tappa abbiamo esaurito le possibilità conoscitive connesse all’uso di tecniche di rilevazione qualitativa del fenomeno. D’altra parte essa ci è servita ad individuare alcuni dei meccanismi microeconomici alla base delle scelte di lavoratori ed imprese. In questo rapporto abbiamo focalizzato l’attenzione su quelli che spingono le imprese alla scelta di impiegare lavoratori irregolari, ed abbiamo tentato di verificarli con il ricorso ad un modello microeconometrico basato sui dati ispettivi dell’Inps.

Non possiamo in queste conclusioni ripercorrere dettagliatamente i risultati dell’analisi, ma riteniamo però utile soffermarsi su quelli di maggiore interesse. Lo schema teorico adottato suggerisce di interpretare le scelte delle imprese di impiegare lavoratori sommersi e regolari in termini di sostituibilità: le imprese scelgono di sostituire lavoratori sommersi a lavoratori regolari (e viceversa) fino a quando è per loro conveniente operare tale sostituzione. La sostituibilità dipende dalla produttività dei due tipi di lavoratori. Il modello econometrico ci dà

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indicazioni precise sulla sostituibilità: generalmente la produttività dei lavoratori sommersi è inferiore a quella dei regolari; in particolare la sostituibilità tra lavoro sommerso e lavoro regolare è differenziata settorialmente: ci sono alcuni settori, come quelli caratterizzati da economie di scala, in cui è tecnicamente assai difficile sostituire lavoro regolare con lavoro sommerso, ed altri in cui la sostituzione avviene in modo molto più semplice: in molti comparti del terziario, ad esempio, lavoro sommerso e regolare sono perfetti sostituti.

La seconda idea che anima il lavoro è che la sostituzione di lavoro regolare con lavoro sommerso non sia incondizionata; si può pensare cioè che esista una soglia di sommerso socialmente accettata, oltre la quale l’impresa diviene del tutto illegale, ed è pertanto costretta ad uscire dal mercato legale dei beni. Il modello econometrico ha mostrato l’esistenza all’interno della Toscana di diverse soglie locali di accettazione sociale del sommerso.

Il terzo risultato degno di nota è la relazione negativa tra dimensione d’impresa e grado di utilizzazione del lavoro sommerso: al crescere della dimensione d’impresa diminuisce l’impiego di lavoratori sommersi; oltre una certa soglia dimensionale (oltre 50 addetti) il sommerso tende a scomparire -anche se questo risultato non esclude che le imprese più grandi beneficino del sommerso che si annida nelle maglie dei loro sistemi di subfornitura-.

Questi risultati, e più in generale lo schema interpretativo che abbiamo adottato nel lavoro, suggeriscono alcune considerazioni di policy a nostro avviso non banali. Come abbiamo visto, in letteratura gli interventi per l’emersione si articolano sostanzialmente intorno a due tipologie variamente declinate: interventi volti alla repressione del fenomeno o alla sua progressiva emersione, ed interventi volti a ridurre i lacci e lacciuoli che gravano il mercato del lavoro regolare. Soltanto nel filone di ricerca teorica più recente, quella che abbiamo chiamato di equilibrio economico generale, cominciano ad emergere strumenti non convenzionali di policy. Il nostro schema interpretativo permette di individuare tre diverse modalità di intervento: (i) interventi in grado di differenziare la produttività dei lavoratori regolari e dei lavoratori sommersi; (ii) interventi che differenziano i costi di lavoro sommerso e regolare; (iii) interventi in grado di modificare la soglia di legalità socialmente accettata.

Gli strumenti per differenziare la produttività consistono essenzialmente in interventi volti ad innalzare quella dei lavoratori regolari, ed in interventi mirati a rendere difficoltosa l’integrazione del lavoro sommerso all’interno delle imprese. Per innalzare la produttività dei lavoratori regolari si può pensare all’utilità di interventi di formazione sia generale che specifica svolti sul posto di lavoro (on the job training). Tali modalità formative pongono problemi non irrilevanti poiché si tratta di conciliare le esigenze divergenti di imprese e lavoratori: per quanto riguarda la formazione generale si tratta di accompagnarla con la predisposizione di strumenti che favoriscano l’instaurarsi di rapporti di lavoro di lungo periodo, per

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evitare la fuoriuscita dall’impresa dei lavoratori appena formati; per la formazione specifica è necessario evitare che siano le sole imprese a trarre beneficio dalla maggiore produttività dei lavoratori, predisponendo strumenti di incentivazione in grado di premiare questi ultimi.

Per quanto riguarda gli interventi per aumentare le difficoltà di integrazione del lavoro sommerso nell’impresa lo strumento principale è l’attività ispettiva. Da questo punto di vista essa deve essere mirata non tanto all’obiettivo di recuperare tasse e contributi evasi, quanto a rendere tecnologicamente difficoltosa l’interazione tra lavoratori regolari e sommersi. Il risultato può essere raggiunto attraverso l’intensificazione di tale attività. Per ragioni di costo, può accadere che l’intensificazione delle ispezioni si accompagni ad una loro minore efficacia. Si deve tenere conto del fatto che aumentare il numero di ispezioni, ed aumentare al contempo il numero di ispezioni fallite (ovvero quelle in cui non sono individuati lavoratori sommersi) può comportare una sostanziale inefficacia dell’estensione dell’attività ispettiva nel determinare un peggioramento della sostituibilità tra lavoro sommerso e regolare. È da notare ancora una volta che interventi volti a peggiore l’integrabilità del lavoro sommerso, possono dare luogo, nel breve periodo -ovvero se non cambia il limite di legalità-, ad un aumento del numero di lavoratori sommersi, poiché la sostituzione di lavoratori regolari con lavoratori sommersi richiede un maggior numero di questi ultimi (che hanno una produttività più bassa).

Vediamo adesso gli interventi possibili dal lato dei costi. A questo proposito è necessario ricordare quanto emergeva nel nostro schema interpretativo: se il rapporto tra costi del lavoro regolare e sommerso è tale da rendere possibile la sostituzione di lavoratori regolari con lavoratori sommersi, le imprese utilizzeranno la quantità massima di lavoratori sommersi compatibile con il vincolo di legalità. Nella nostra rappresentazione infatti le imprese scelgono invariabilmente una delle due soluzioni seguenti: (i) impiegare solo lavoratori regolari; (ii) impiegare il numero massimo di lavoratori sommersi compatibile con il vincolo di legalità. Da questo punto di vista, perché la componente di costo abbia effetti sulla scelta della singola impresa, deve avvenire una modificazione del rapporto tra costi del lavoro regolare ed irregolare tale da spingere l’impresa che utilizza lavoro sommerso a scegliere di regolarizzarsi completamente. Il modello esclude che, a livello di singola impresa, l’intervento sui costi del lavoro determini una emersione graduale del lavoro sommerso. Si consideri un intervento correttivo che dia luogo a livello macro ad una riduzione di lavoro sommerso; tale contrazione è determinata non da una generalizzata riduzione dell’uso di lavoro sommerso da parte di tutte le imprese, ma dalla scelta di alcune imprese di lavorare solo con lavoratori regolari poiché le nuove condizioni di costo non permettono una sostituzione profittevole di quelli con lavoratori sommersi. Le imprese che decideranno di emergere alle nuove condizioni di costo saranno pertanto quelle per cui era relativamente poco

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profittevole utilizzare lavoro sommerso già nella situazione precedente l’intervento modificativo dei costi. Sulla base dei risultati del nostro modello, si tratta verosimilmente delle imprese più grandi che operano nei settori in cui l’integrabilità dei lavoratori sommersi nel ciclo produttivo è particolarmente difficoltosa. I risultati del modello econometrico hanno mostrato che per le imprese è profittevole la sostituzione di lavoro regolare con lavoro sommerso anche in condizioni tecnologiche in cui la sostituzione è assai difficoltosa; ciò significa che la differenza di costo tra lavoro regolare e sommerso è in molti casi assai elevata. Nel terziario, per esempio, abbiamo incontrato una situazione di perfetta sostituibilità di lavoro sommerso ed emerso: ciò significa che un intervento dal lato dei costi che favorisca l’emersione deve essere tale da rendere il costo del lavoro sommerso superiore o uguale al costo del lavoro regolare. Fino ad ora tutti gli interventi di policy si sono centrati sulle componenti di costo -riduzione del cuneo fiscale; programmi di emersione; proposte di liberalizzazione completa del mercato del lavoro-; la schematizzazione presentata in questo lavoro suggerisce una spiegazione per lo scarso successo ottenuto da questo tipo di misure.

Ciò non significa che interventi dal lato dei costi siano inutili: nella misura in cui tendono ad avvicinare i costi del lavoro regolare a quelli del lavoro sommerso essi spingono le imprese verso situazioni in cui diventa sempre meno profittevole l’uso di lavoro sommerso. È però necessario tenere conto del diverso costo sociale di interventi volti a incrementare il costo del lavoro sommerso, ed a ridurre il costo di quello regolare. Aumentare i costi del lavoro sommerso significa essenzialmente rendere più efficace l’attività ispettiva ed aumentare le pene per le imprese che utilizzano lavoro sommerso. Il costo sociale di tali interventi non è drammatico. Diminuire il costo del lavoro regolare -almeno nella forma in cui si propone che ciò avvenga nel nostro Paese- significa ridurre componenti di costo che probabilmente, nel lungo periodo, avranno effetti sul sistema di welfare. I dubbi che abbiamo espresso sull’efficacia di interventi mirati solo alla componente di costo consigliano una attenta valutazione costi-benefici degli interventi volti a ridurre il costo del lavoro regolare e che siano giustificati soltanto con l’etichetta di “lotta al lavoro nero”.

Resta un ultimo ambito di intervento, relativo alla modificazione della soglia di legalità socialmente accettata. È utile ricordare che con questa espressione abbiamo indicato il fatto che le imprese possono avvalersi di lavoro sommerso rispettando però una soglia minima -variabile in contesti locali diversi- di regolarità. Abbiamo ipotizzato che tale soglia minima dipenda: (i) dalla necessita da parte dell’impresa di avere accesso a qualche mercato legale, il che le impedisce di svolgere attività completamente sommersa; (ii) dall’esistenza di regole convenzionali che determinano una quota socialmente accettabile di “sommersione”: la possibilità di scambiare lavoratori regolari con lavoratori sommersi è limitata dalla condivisione di regole di comportamento tra le imprese.

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Gli interventi di policy possono porsi l’obiettivo di innalzare la soglia di legalità. Il problema dipende dalla individuazione dei fattori che concorrono a determinarla. In riferimento al punto sub (i) è facile immaginare che tutti gli interventi che favoriscano lo scambio dei beni su mercati legali tendano ad innalzare la soglia di legalità. Il fatto che una impresa scambi beni sul mercato legale non significa però che essa non possa avvalersi di lavoro sommerso nascosto nel suo albero di subfornitura. Da questo punto di vista sarebbe necessario individuare strumenti in grado di trasmettere dall’impresa ai subfornitori i requisiti di legalità. Un sistema potrebbe essere quello della certificazione di qualità per le componenti del prodotto finito: si può supporre che la certificazione di processo renda più difficoltosa l’integrazione di lavoro sommerso nel ciclo produttivo; l’estensione di tale certificazione dall’impresa leader a quelle del suo albero di subfornitura potrebbe determinare la riduzione nell’impiego di lavoratori sommersi. Per quanto riguarda il punto sub (ii) la questione è più complessa perché allo stato attuale non abbiamo nessuna idea sulle modalità in cui si formano e si modificano le regole convenzionali determinanti la soglia di accettazione sociale del sommerso. Per esempio: una estesa e prolungata campagna di ispezioni ha il potere di modificare la soglia di legalità? E ancora, provvedimenti legislativi di sanatoria dei comportamenti illeciti pregressi tendono ad abbassare la soglia di legalità?

Quest’ultima notazione ci suggerisce di concludere il nostro ragionamento indicando alcuni percorsi di ricerca in grado di arricchire l’indagine svolta finora. Partiamo proprio dalla soglia di legalità: allo stato attuale essa non è altro che una ipotesi ragionevole che serve a spiegare il fatto che le imprese non procedano -almeno in Toscana- alla sostituzione completa di lavoro regolare con lavoro sommerso; indagini in grado di studiare se tale soglia esiste, come si determina e come cambia, darebbero un contributo notevole alle nostre conoscenze, anche in vista degli interventi di policy volti all’innalzamento della soglia di legalità.

Altre linee di indagine potrebbero rafforzare i risultati raggiunti in questo lavoro. La direzione principale, condizionata alla disponibilità dei dati Inps, consiste nella stima di un modello econometrico nazionale. Prima di avventurarsi in questa difficile direzione è però necessario verificare la robustezza dei risultati raggiunti in Toscana, costruendo un modello basato su dati d’impresa e non aggregati per cella, come in questo lavoro; e verificare la possibilità di migliorare la specificazione econometrica attraverso l’utilizzazione del metodo delle variabili latenti.

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