Approfondimenti - corsomagistratitributari.unimi.it E... · Abuso del diritto, buona fede ed...

17
1 Approfondimenti Abuso del diritto, buona fede ed elusione fiscale Seminario di aggiornamento professionale per i Magistrati delle Commissioni tributarie della Regione Lombardia, Milano 23-24 novembre 2007 autore Sara Armella - Avvocato in Genova e Milano SOMMARIO 1. Premessa 2. Nesso tra buona fede, elusione e abuso del diritto 3. Tutela del legittimo affidamento. Esimente dall’applicazione del tributo e delle sanzioni 4. La tutela della buona fede nell’ordinamento europeo 5. Recenti orientamenti della Corte di Giustizia 6. Rapporto tra abuso del diritto (nozione comunitaria) ed elusione fiscale (nozione interna) 7. Efficacia dei principi antiabuso nell’ordinamento interno Bibliografia

Transcript of Approfondimenti - corsomagistratitributari.unimi.it E... · Abuso del diritto, buona fede ed...

1

Approfondimenti

Abuso del diritto, buona fede ed elusione fiscale Seminario di aggiornamento professionale per i

Magistrati delle Commissioni tributarie della Regione Lombardia, Milano 23-24 novembre 2007

autore Sara Armella - Avvocato in Genova e Milano

SOMMARIO

1. Premessa 2. Nesso tra buona fede, elusione e abuso del diritto 3. Tutela del legittimo affidamento. Esimente dall’applicazione del tributo e

delle sanzioni 4. La tutela della buona fede nell’ordinamento europeo 5. Recenti orientamenti della Corte di Giustizia 6. Rapporto tra abuso del diritto (nozione comunitaria) ed elusione fiscale

(nozione interna) 7. Efficacia dei principi antiabuso nell’ordinamento interno

Bibliografia

2

Premessa

Il tema che mi è stato assegnato è particolarmente interessante, ancorché articolato

e complesso. Si tratta, com‟è noto, di un argomento di grande attualità e interesse, anche alla luce degli indirizzi espressi recentemente dalla Corte di Cassazione e dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee.

Il punto di partenza dell‟indagine è rappresentato dalla nozione di “buona fede” in

senso oggettivo. Essa, riferita all‟Amministrazione finanziaria, è derivazione dei principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione e si estrinseca in un obbligo di condotta coerente, non contraddittoria o discontinua. Ne sono corollario i principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

Riferita al contribuente, la buona fede può essere definita come dovere di

correttezza, di solidarietà sociale che si esprime attraverso la leale contribuzione alle spese pubbliche e si riflette nel divieto di comportamenti elusivi.

Correlato a tali istituti è l‟abuso del diritto. Secondo la definizione della migliore

dottrina, per abuso del diritto si intende un comportamento apparentemente conforme al contenuto di una posizione giuridica soggettiva attribuita dall‟ordinamento ma, in realtà, in contrasto con le ragioni sostanziali poste a fondamento di tale attribuzione. L‟abuso è integrato dall‟esercitare un diritto entro limiti soltanto formali, ma in sostanziale conflitto con le ragioni e gli interessi per cui il diritto è riconosciuto dall‟ordinamento giuridico.

Nesso tra buona fede, elusione e abuso del diritto

Il collegamento tra elusione, buona fede e abuso del diritto viene esplicitato con chiarezza, per la prima volta, dalla nota sentenza della Corte di Cassazione 10 dicembre 2002, n. 17576, con la quale la Corte afferma che i doveri di buona fede e collaborazione, dal lato del contribuente, implicano il divieto di condotte sostanzialmente connotate da abuso dei diritti o tesi a eludere una “giusta” pretesa tributaria.

Gli atti e i comportamenti tesi a eludere la giusta imposta, in quanto confliggenti con il

dovere generale di buona fede, vanno considerati affetti da abuso. Questa affermazione è raggiunta muovendo dal principio di buona fede codificato

dall‟art. 10 Statuto dei diritti del contribuente, il quale prevede – com‟è noto – che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

La sentenza 17576 del 2002, ancòra i principi di buona fede e affidamento ai precetti

costituzionali di imparzialità, buon andamento, capacità contributiva ed uguaglianza, per giungere alla conclusione che buona fede e affidamento sono principi immanenti all‟ordinamento tributario, che trovano applicazione anche per fattispecie realizzatesi anteriormente allo Statuto.

Il carattere immanente si desume, secondo la Corte di Cassazione, dai principi di

diritto enunciati dalla Corte Costituzionale, dalla Corte di Giustizia e dal giudice amministrativo. In particolare, la Consulta, nell‟affrontare il problema dell‟efficacia

3

retroattiva delle leggi interpretative, ha affermato che il principio dell‟affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica è essenziale nello Stato di diritto e non può essere leso da norme con effetto retroattivo che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti (Corte Cost., sentenza 22 novembre 2000, n. 525).

Nella ricostruzione delle fonti, la Corte di Cassazione ricorda che la Corte di Giustizia,

già a partire da alcune risalenti pronunce (3 maggio 1978 causa 112/77; 21 settembre 1983, causa 205-215/82, in www.curia.eu.int), ha affermato che tutela del legittimo affidamento e certezza nel diritto costituiscono principi generali dell‟ordinamento comunitario. Il giudice comunitario ha, di conseguenza, stabilito che la revoca di un atto amministrativo favorevole è soggetta a condizioni molto rigorose finalizzate a tutelare il contribuente.

Il Supremo Collegio richiama infine anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il

quale ha stabilito che nei procedimenti amministrativi i principi del legittimo affidamento e della buona fede sono i canoni regolatori dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini.

Sempre nella sentenza n. 17576/2002, la Corte di Cassazione osserva che l‟art. 10

dello Statuto svolge una funzione integrativa rispetto alle specifiche previsioni normative: si tratta, in altri termini, di una regola idonea a improntare il fondamento stesso del rapporto tributario, integrando le previsioni di diritti e obblighi previsti dalle singole norme.

Tutela del legittimo affidamento.

Esimente dall’applicazione del tributo e delle

sanzioni

Alcune recenti pronunce sono pervenute alla conclusione, innovativa nel nostro ordinamento, secondo la quale il principio di tutela del legittimo affidamento esclude l‟applicazione non solo delle sanzioni, ma anche del tributo.

Un caso in cui la Suprema Corte ha esplicitato tale principio riguarda l‟accordo tra un

privato e il Comune in materia di Tarsu (Cass., 6 ottobre 2006, n. 21513, in bancadati Fisconline). In questa sentenza il Supremo Collegio, pur affermando che esula dall‟ambito del giudizio la legittimità o meno del patteggiamento tra ente impositore e contribuente, sottolinea “l‟idoneità di un comportamento storicamente assunto dal Comune a fondare un affidamento, ritenuto dal giudice ragionevole e, quindi, meritevole di tutela”.

La pronuncia, in linea con due precedenti del 2002 e 2004, afferma che “il principio di

tutela del legittimo affidamento, reso esplicito in materia tributaria dell‟art. 10, l. 212/2000, trovando origine nella Costituzione, e precisamente negli artt. 3, 23, 53 e 97 è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello stato di diritto nelle diverse articolazioni, limitandone l‟attività legislativa e amministrativa”.

Per questa ragione - prosegue Cass. 21513/2006 – l‟esimente del legittimo

affidamento “si applica sia a rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore (Cass. 7080/2004, 1757/6/2002), sia ai rapporti tra contribuente ed ente impositore diverso dall‟amministrazione finanziaria dello Stato sia ad elementi dell‟imposizione diversi da sanzioni e interessi”.

4

Questo passaggio è estremamente significativo, giacchè la Suprema Corte afferma

che i casi di tutela espressamente enunciati dal comma secondo dell‟art. 10 (non applicabilità di sanzioni e interessi) riguardano situazioni meramente esemplificative, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. 17576/2002). Da questa premessa (elencazione esemplificativa e non esaustiva), il Supremo Collegio fa discendere il potere di annullamento dell‟accertamento tributario anche per la parte relativa al tributo.

Quanto ai presupposti in presenza dei quali può affermarsi il ricorrere di un‟ipotesi di

legittimo affidamento, secondo l‟orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (in linea con la giurisprudenza comunitaria), chiarisce che l‟affidamento non è una situazione soggettiva di cieca e supina fiducia (buona fede soggettiva), ma implica una ragionevole valutazione delle circostanze che generano lo stato soggettivo (buona fede oggettiva).

La ricostruzione svolta dal Supremo Collegio si avvicina all‟elaborazione della

giurisprudenza comunitaria nell‟applicazione dell‟art. 220, paragrafo secondo del codice doganale comunitario (Reg. CE 12 ottobre 1992, n. 2913, in prosieguo c.d.c.). Il collegamento tra ragionevolezza dell‟affidamento e meritevolezza della tutela è infatti espressamente richiesto dalla Corte di Giustizia, la quale ha affermato che l‟errore esimente (dal pagamento dei dazi doganali e dalle sanzioni) è quello che non può essere ragionevolmente scoperto dal debitore, il quale ha operato con diligenza nel rispetto di tutte le condizioni relative alla dichiarazione in dogana.

La ragionevolezza dell‟affidamento implica un comportamento diligente del

contribuente nel momento in cui valuta l‟altrui comportamento e ripone in esso assegnamento.

Il fondamentale precedente con cui la Cassazione ha stabilito la non applicazione

delle imposte in caso di legittimo affidamento è rappresentato dalla sentenza 12 febbraio 2002, n. 17576. Nella fattispecie concreta l‟Amministrazione, con un processo verbale di constatazione, aveva contestato al contribuente il superamento del plafond Iva; tale atto, tuttavia, era stato oggetto di archiviazione, disposta dal direttore dell‟Ufficio per intervenuta sanatoria. Nonostante tale archiviazione, l‟Amministrazione ha successivamente mutato il proprio orientamento, notificando al contribuente un avviso di rettifica Iva.

La Corte di Cassazione ha annullato tale atto, sia per la parte sanzioni che per la parte accertamento del tributo.

Attenta dottrina (1) ha sottolineato che in entrambe le sentenze (la n. 17576 relativa

alla rettifica Iva e la n. 21513 in materia di Tarsu) l‟annullamento dell‟atto amministrativo è motivato dal contrasto con uno specifico precedente, indirizzato a quel determinato contribuente e riferentesi a una ben individuata fattispecie.

In altri termini, perché sia integrato il presupposto del legittimo affidamento del

contribuente, è necessario che vi sia una evidente contraddizione tra un provvedimento favorevole al contribuente e uno successivo a egli sfavorevole.

Anche per questo aspetto, la pronuncia è in linea con alcune norme dell‟ordinamento comunitario e con la relativa giurisprudenza della Corte di Giustizia. Si segnalano, in particolare, il già citato art. 220 c.d.c, il quale esclude il recupero dei dazi doganali in caso di “errore” dell‟autorità doganale e di buona fede dell‟importatore, che ha rispettato le norme dettate in materia di dichiarazione doganale.

5

In questo caso, affinché sia applicabile l‟esimente è necessario che sia configurabile

un errore delle autorità competenti, il quale si realizza in presenza di uno specifico atto relativo a una particolare importazione (es. certificato di origine che attribuisce trattamento preferenziale), il quale poi si riveli carente dei relativi presupposti o comunque invalido. Tale atto, però, è idoneo a ingenerare il legittimo affidamento del contribuente nella correttezza dell‟operato dell‟Amministrazione e il successivo provvedimento di recupero dei dazi, ponendosi in violazione della norma di cui all‟art. 220 c.d.c., avrà per sorte l‟integrale annullamento.

Altre ipotesi in cui l‟ordinamento comunitario riconnette valore scriminante al principio

di tutela del legittimo affidamento è quello delle informazioni doganali vincolanti, in materia di origine e tariffaria, disciplinate dagli artt. 12 ss. c.d.c. Si tratta di provvedimenti ad hoc, che presentano forti analogie con le risposte alle istanze di interpello. Essi sono emessi dalle autorità doganali su specifica richiesta dell‟importatore, quando questi intende conoscere preventivamente l‟origine doganale di un prodotto o la sua classificazione tariffaria; la risposta fornita dall‟autorità doganale abilita l‟importatore a un determinato trattamento tariffario, che non può essere smentito da un atto di accertamento in contrasto con la precedente pronuncia.

Per questi pronunciamenti dell‟autorità amministrativa, il legislatore comunitario ha

previsto che, anche in caso di revoca o di annullamento, il revirement non abbia effetti retroattivi, e ciò anche in caso di errore dell‟autorità doganale che le ha rilasciate e di modifica normativa.

A ben vedere, anche nell‟ordinamento italiano la tutela del legittimo affidamento si

riconnette all‟adozione di un provvedimento specifico, in relazione al quale matura il convincimento del contribuente circa la validità del principio là affermato. Tale ricostruzione è chiaramente espressa nella regola che prevede la nullità dell‟avviso di accertamento reso in violazione della risposta fornita a un‟istanza di interpello.

Nello stesso senso, ossia nel riconoscimento del legittimo affidamento solo in

presenza di un provvedimento specifico e rivolto al contribuente, si è espressa anche la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 23021 (2). In essa chiaramente si afferma che “la circolare non vincola la stessa Autorità che l‟ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l‟interpretazione adottata”.

Le conclusioni raggiunte dalle Agenzie fiscali in relazione all‟interpretazione di una

norma non rappresentano, pertanto, un‟attività idonea a determinare la formazione di un legittimo affidamento del contribuente, trattandosi di atti a contenuto generale, i quali difettano di valore vincolante anche nei confronti degli stessi uffici fiscali.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno pertanto escluso che, in caso di

mutamento di un indirizzo interpretativo espresso con un circolare, si possa configurare un legittimo affidamento del contribuente: ciò colliderebbe con il principio di indisponibilità dell‟obbligazione tributaria.

“Tutt‟al più”, afferma il Supremo Collegio, il mutamento di indirizzo in cui il

contribuente possa aver fatto affidamento può essere valutato ai fini della disapplicazione delle sanzioni.

6

Questa recente pronuncia conferma la linea interpretativa già espressa dalla Corte di

Cassazione e rinvenibile anche nella legislazione comunitaria citata, secondo la quale perché possa integrarsi un‟ipotesi di legittimo affidamento del contribuente – eventualmente idoneo a escludere l‟applicazione di sanzioni e (secondo un indirizzo ricostruttivo) delle imposte – è necessario che l‟Amministrazione abbia espresso, nei confronti di quello specifico contribuente e in relazione a una particolare fattispecie, un provvedimento in seguito contraddetto da un atto di accertamento.

La tutela della buona fede nell’ordinamento

europeo

Informazioni doganali vincolanti

Nell‟ordinamento europeo la necessità di regole normative in grado di assicurare la tutela della buona fede oggettiva del contribuente è stata avvertita già a partire dagli anni ‟80. Ne rappresentano un chiaro esempio la disciplina delle informazioni vincolanti in materia doganale, uno strumento che consente di conoscere preventivamente l‟interpretazione dell‟Amministrazione con riferimento a uno specifico caso concreto; la risposta fornita vincola l‟Amministrazione in relazione alle operazioni doganali in seguito compiute dal medesimo contribuente. Questo istituto è stato introdotto dal reg. Cee n. 1697/79, in seguito modificato dal reg. Cee n. 1854/89 ed è attualmente disciplinato dagli art. 12 ss. codice doganale comunitario. Rispetto all‟interpello ordinario, le informazioni doganali vincolanti si caratterizzano per avere un oggetto predefinito: esse, infatti, possono essere pronunziate solo per la classificazione tariffaria e per la determinazione dell‟origine della merce, elementi essenziali per la liquidazione dei dazi doganali. Le informazioni doganali, emanate su motivata richiesta scritta dell‟importatore anteriormente al compimento dell‟operazione doganale, hanno efficacia in tutta l‟Unione europea, con la conseguenza che la risposta fornita da un‟Amministrazione nazionale vincola anche tutte le altre. Altro elemento caratterizzante l‟istituto è la durata delle informazioni doganali vincolanti: dalla loro emanazione, esse hanno efficacia per sei anni, se rese in relazione alla classificazione tariffaria e per tre anni, se hanno a oggetto l‟origine della merce. Tutela del legittimo affidamento del titolare dell‟informazione risulta evidente nell‟ipotesi in cui il provvedimento emesso dall‟Amministrazione risulti, a un successivo riesame della fattispecie, non spettante, come avviene in caso di errore dell‟Amministrazione oppure a seguito di una modifica normativa o di sentenze della Corte di Giustizia. In generale, per effetto di tali atti a efficacia normativa dovrebbe venir meno l‟informazione doganale: tuttavia, a tutela dell‟affidamento del contribuente, la legislazione comunitaria prevede che se il titolare è obbigato da un contratto

7

giuridicamente vincolante di vendita o di acquisto della merce, l‟informazione può ancora essere usata per altri sei mesi. Art. 220, paragrafo 2, lett. b) codice doganale comunitario. Anche in questo caso, si tratta di una norma risalente agli anni „80 (reg. Cee 1697/79, in vigore dal 1° gennaio 1980), in forza della quale non si applicano i dazi doganali quando l‟importo non è dovuto per un errore dell‟Autorità che non poteva essere ragionevolmente scoperto dall‟importatore, avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le condizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana (1). Più precisamente, la disciplina comunitaria impedisce che si proceda all‟accertamento doganale in rettifica della dichiarazione presentata all‟atto dell‟importazione, quando «l‟importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell‟Autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in Dogana» (art. 220, comma 2, lett. b, c.d.c.). E‟ importante sottolineare, in proposito, che è la stessa norma comunitaria ad attribuire alla buona fede dell‟importatore efficacia esimente rispetto al pagamento dei dazi doganali e delle sanzioni. Si tratta di un aspetto di particolare rilevanza: mentre nell‟ordinamento nazionale l‟assenza di colpevolezza tradizionalmente rileva quale esimente dal pagamento delle sanzioni (mentre solo recentemente un orientamento giurisprudenziale, ancora incerto nei suoi sviluppi, ritiene applicabile l‟esimente anche nei riguardi dell‟imposta), l‟ordinamento comunitario riconosce esplicitamente, all‟art. 220 del codice doganale comunitario, l‟esonero anche dal pagamento del tributo. La giurisprudenza comunitaria ha costantemente affermato che, ai sensi dell‟art. 220, n. 2, lett. b, c.d.c., il mancato recupero a posteriori dei dazi è subordinato a tre condizioni cumulative (2), in presenza delle quali l‟importatore ha diritto a che non si proceda al recupero a posteriori dei dazi, con il conseguente obbligo delle Autorità doganali di astenersi dall‟azione di accertamento. La prima condizione è rappresentata dal fatto che i dazi non siano stati riscossi al momento dell‟importazione a causa di un errore delle Autorità competenti. Tale errore, inoltre, non deve poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e la diligenza di cui è tenuto a dar prova (seconda condizione). La terza e ultima condizione è rappresentata dal rispetto, da parte del debitore, di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in Dogana, secondo la normativa vigente. Il primo presupposto cui è subordinata l‟applicazione dell‟esimente è l‟errore delle Autorità competenti, vero e proprio nucleo essenziale della norma e ratio dell‟istituto in esame. Con la sentenza Mecanarte (3), la Corte di giustizia europea ha chiarito che l‟art. 220 c.d.c. «ha l‟obiettivo di tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza dell‟insieme degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali». La norma di esonero, pertanto, rappresenta una previsione in

8

cui si concretizza, nel settore doganale, il generale principio di tutela del legittimo affidamento del privato nei confronti di un atto promanante da una pubblica Autorità. L‟affermazione è importante perché chiarisce che la previsione non ha natura eccezionale, ciò che ne avrebbe limitato l‟applicazione entro i rigorosi limiti di un‟interpretazione strettamente letterale. L‟avere affermato che l‟esonero rappresenta esplicitazione del principio di tutela del legittimo affidamento significa considerare la norma come espressiva di un principio fondamentale dell‟ordinamento comunitario, assoggettandola agli ordinari canoni ermeneutici. Muovendo da tale assunto, la Corte ha concluso che «la nozione di errore non può essere limitata ai semplici errori di calcolo o di trascrizione, ma comprende qualsiasi tipo di errore che vizi la decisione adottata, come avviene, in particolare, nel caso di una scorretta interpretazione o applicazione delle disposizioni applicabili» (4). Non il solo errore di fatto, dunque, ma anche l‟errore di diritto, concernente i presupposti dell‟obbligazione doganale, può legittimare l‟esonero dal pagamento dei dazi, come nel caso Seafood import (5), in cui è stato escluso il pagamento dei dazi e delle sanzioni a fronte di un‟erronea classificazione tariffaria della merce importata, commessa dall‟importatore e avallata dalle Autorità doganali. Quanto al secondo presupposto, ossia la buona fede dell‟importatore, la giurisprudenza comunitaria è costante nell‟affermare che «è compito del giudice nazionale accertare se il debitore non abbia potuto scoprire l‟errore commesso dalle Autorità doganali competenti, tenendo conto della natura dell‟errore, dell‟esperienza professionale dell‟operatore interessato e della diligenza di cui quest‟ultimo ha dato prova» (6). Per quanto attiene alla natura dell‟errore, la giurisprudenza della Corte ha precisato che occorre accertare se la regolamentazione di cui trattasi sia complessa ovvero sufficientemente semplice perchè l‟esame dei fatti consenta di scoprire agevolmente l‟errore. Così, nel caso in cui si ritenga necessario adottare una disciplina ad hoc per precisare la corretta classificazione doganale di alcune merci, vi è un importante indizio diretto a provare la complessità del problema da risolvere e, conseguentemente, la diligenza dell‟operatore interessato (7). Per quanto riguarda l‟esperienza professionale dell‟operatore, il giudice nazionale deve, in particolare, verificare se si tratti o meno di un operatore economico di professione, la cui attività consista essenzialmente in operazioni di importazione e di esportazione, e se egli avesse già una certa esperienza del commercio delle merci considerate, in particolare se avesse effettuato in passato operazioni analoghe per le quali i dazi doganali erano stati calcolati correttamente (8). Assumono così rilievo, nella valutazione della diligenza dell‟importatore, eventuali precedenti informazioni doganali di cui il soggetto ha avuto conoscenza, seppur non vincolanti nei suoi confronti perché rilasciate su richiesta di altri soggetti (ad esempio, su istanza proposta da una controllata comunitaria) nonché il fatto che la classificazione doganale indicata nella dichiarazione non sia stata contestata per un periodo di tempo relativamente lungo da parte delle Autorità competenti al recupero (9). Per contro, la Corte di giustizia ha escluso la buona fede del debitore e la scusabilità dell‟errore quando esse è determinato dall‟ignoranza della legge comunitaria. Nella fattispecie oggetto della sentenza Covita (10), la Corte ha affermato che le norme comunitarie che istituiscono una tassa di compensazione devono obbligatoriamente essere pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee; a far data da

9

questa pubblicazione, si presume che nessuno possa ignorare l‟esistenza di tale tassa. «Tale ipotesi ricorre in ogni caso, allorché un operatore di professione che proceda ad importazioni di merci ha conoscenza del rischio imminente dell‟istituzione di una tassa di compensazione su tali merci. Un operatore del genere non può aspettarsi che ogni Ufficio doganale sia immediatamente informato dell‟istituzione della tassa, ma deve sincerarsi, dalla lettura delle relative Gazzette Ufficiali, delle norme comunitarie applicabili alle operazioni che effettua» (11). In tali circostanze, pertanto, la mancata applicazione della tassa di compensazione, da parte delle competenti Autorità doganali, non rappresenta un‟esimente dal recupero a posteriori del dazio, potendo imputarsi all‟importatore una condotta negligente. La terza e ultima condizione richiesta per escludere il recupero a posteriori dei dazi consiste nell‟osservanza di tutte le disposizioni previste dalla regolamentazione in vigore per quanto attiene alle dichiarazioni in Dogana. Secondo quanto precisato dal giudice comunitario, tale condizione implica che il dichiarante debba fornire tutte le informazioni necessarie previste dalle norme comunitarie alle competenti Autorità doganali che, se del caso, le completano e le traspongono in relazione al trattamento doganale chiesto per la merce di cui trattasi (12).

Recenti orientamenti della Corte di Giustizia

Com‟è noto, il diritto nazionale non prevede una disciplina di contrasto dell‟elusione in materia di Iva, mentre si va delineando un orientamento giurisprudenziale europeo che eleva l‟abuso del diritto a principio generale del diritto comunitario.

L‟attualità del divieto di abuso del diritto europeo è da ricondurre a tre recenti sentenze

della Corte di Giustizia, tutte del 21 febbraio 2006, con le quali il giudice comunitario è stato chiamato a pronunciarsi proprio sugli strumenti per contrastare l‟elusione in materia di Iva.

Il caso più noto è quello deciso con la sentenza Halifax (1). Halifax è una banca che esercita attività finanziaria, esente ai fini Iva, che intende

costruire quattro call center per la propria attività d‟impresa, da realizzare su terreni presi in locazione o di sua proprietà.

L‟operazione che si realizza per ottenere tale risultato è così articolata: la banca

finanzia una propria società interamente controllata, affinchè questa possa acquisire dalla stessa banca i diritti sugli immobili; la società controllata affida i lavori, tramite altra controllata, a costruttori indipendenti; i lavori sono pagati da Halifax in via anticipata alla prima società e poi da questa alla seconda. I contatti con i costruttori indipendenti sono tenuti direttamente dalla banca.

Secondo la Corte di Giustizia, l‟insieme delle operazioni è strumentale a consentire la

detrazione dell‟Iva da parte delle due società costituite dalla banca. In tale sentenza, il contribuente ha sostenuto la tesi dell‟inesistenza, nell‟ambito del

sistema Iva, di una teoria giuscomunitaria dell‟abuso del diritto che le autorità fiscali di uno Stato membro possano invocare contro i cittadini, per respingere le loro domande di recupero o di detrazione dell‟imposta assolta a monte.

10

Il Governo del Regno Unito, pur rilevando la mancanza di una regolamentazione

nazionale di contrasto all‟elusione nel settore Iva, ha affermato che l‟abuso del diritto è un principio generale del diritto comunitario.

La Corte di Giustizia, in questa importante sentenza, muove dall‟assunto secondo il

quale “l‟applicazione della normativa comunitaria non può estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell‟ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”.

Si afferma così il principio, di fonte giurisprudenziale, di divieto di abuso: con la

sentenza Halifax, esso è per la prima volta esteso al settore dell‟Iva, con ciò ribadendosi la natura generale del principio.

Secondo la Corte, “perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni

controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all‟obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni”.

Tenuto conto dell‟indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia, ribadito in altre due

sentenze di pari data, si può dunque rilevare come, affinché un‟operazione sia rispettosa del diritto comunitario, e dunque legittima, non è sufficiente il rispetto del mero dato letterale delle norme e la loro applicazione in presenza dei presupposti di fatto previsti. Diventa necessario, invece, soffermarsi anche sulle finalità e sugli obiettivi delle norme per verificarne il rispetto nel caso concreto.

La nozione di “abuso del diritto” è delineata dalla Corte di Giustizia sulla base di

elementi oggettivi e soggettivi. Il primo requisito (di natura oggettiva) è il conseguimento di un vantaggio fiscale

contrario alle finalità della norma, nel caso di specie, l‟obiettivo perseguito era la neutralità, la non incidenza dell‟Iva sulle forniture effettuate nei confronti di soggetto esente.

Quanto al secondo requisito, la finalità di conseguire un risparmio, la Corte afferma

che “deve risultare da una serie di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l‟ottenimento di un vantaggio fiscale”.

Il requisito dello scopo di ottenere un vantaggio fiscale è quello destinato a creare il

maggiore contrasto interpretativo, data la difficoltà di scindere gli obiettivi economico-aziendali da quelli meramente tributari e operare una valutazione di prevalenza tra i due.

Sarà foriero di dubbi interpretativi, inoltre, il criterio di “prevalenza” espresso dal

giudice comunitario: ci si chiede, in altri termini, se - come afferma la sentenza Halifax - il vantaggio fiscale debba essere la finalità “prevalente” dell‟operazione o, invece, se debba configurarsi come obiettivo “esclusivo” per potersi parlare di abuso. E‟ una questione di estremo rilievo, come comprovato dalla circostanza che per dirimere tale dubbio la Corte di Cassazione, con l‟ordinanza di rinvio 4 ottobre 2006, n. 21371, ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia europea.

11

Le finalità perseguite dal contribuente devono rappresentare oggetto di una scrupolosa e attenta valutazione da parte del Fisco, il quale ha l‟onere di provare – con dati oggettivi – l‟esistenza di uno schema preordinato, la volontà di compiere l‟abuso. Si rende dunque necessaria una disamina delle azioni del contribuente per cogliere gli elementi di contraddizione rispetto alle ordinarie finalità imprenditoriali, da cui desumere la mancanza di ogni altra motivazione economica per l‟attività, se non quella di ottenere un beneficio fiscale.

Problemi interpretativi suscita anche l‟ulteriore requisito della contrarietà dei vantaggi

conseguiti rispetto agli obiettivi delineati dal diritto comunitario. E‟ ravvisabile un notevole grado di indeterminatezza nei presupposti delineati dalla Corte di Giustizia, con il rischio di una incertezza nell‟applicazione del diritto e di una eccessiva discrezionalità riconosciuta all‟Amministrazione.

Rapporto tra abuso del diritto (nozione

comunitaria) ed elusione fiscale (nozione interna)

In dottrina si è osservato come, pur non riferendosi la Corte di Giustizia in via

esplicita a fattispecie “elusive”, sia comunque possibile delineare una convergenza tra la nozione di abuso del diritto comunitario e quella di elusione nella disciplina domestica.

In comune, anzitutto, vi è la descrizione della fattispecie elusiva, intesa quale

operazione produttiva di un vantaggio fiscale, ma priva di valide ragioni economiche. Come si è rilevato e come si tornerà a ricordare in seguito, la sentenza Halifax adotta

un‟interpretazione più ampia di elusione, nella misura in cui ritiene elusive le operazioni in cui la finalità del vantaggio fiscale è soltanto prevalente e non esclusiva, come invece richiesto dalla norma nazionale.

In comune, inoltre, vi è il requisito della contrarietà del risultato conseguito rispetto

allo spirito della legge. Secondo la normativa nazionale (art. 37 bis, secondo comma, d.p.r. 600 del 1973) il

ricorrere di una fattispecie elusiva determina il disconoscimento dei vantaggi fiscali realizzati, con l‟applicazione delle imposte dovute in base alle disposizioni eluse. Anche l‟abuso del diritto, quale precisato dalla giurisprudenza comunitaria, comporta che “ove si constati un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato” (sentenza Halifax).

E‟ noto, tuttavia, che l‟applicazione della clausola antiabuso nel sistema Iva non può

essere ancorata all‟art. 37 bis: la norma, infatti, è collocata in un testo normativo denominato “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”. La norma è estesa oggi anche ai trasferimenti liberali, ma in forza di un‟espressa previsione normativa (art. 16, comma, 3, legge 18 ottobre 2001, n. 383).

La clausola antielusiva nazionale, inoltre, individua un‟elencazione tassativa di

operazioni “sospette” che possono rappresentare oggetto di contestazione, mentre la

12

portata della previsione antielusiva comunitaria è generale. La norma nazionale, inoltre, individua una specifica modalità di contestazione della condotta elusiva, assente invece nell‟elaborazione comunitaria, secondo la quale i meccanismi di contestazione dell‟abuso del diritto sono quelli ordinari.

Diverso è, inoltre, il percorso argomentativo: nella giurisprudenza della Corte di

Giustizia, la fonte del potere di accertamento è la mera interpretazione della legge, giacchè l‟indetraibilità dell‟Iva discende direttamente dall‟applicazione teleologica delle norme sostanziali; nell‟ottica dell‟ordinamento interno, l‟inopponibilità discende invece dall‟applicazione della specifica norma antielusiva.

Le difficoltà che emergono dall‟indirizzo comunitario sono principalmente collegate

all‟emersione di un‟alea di incertezza delle conseguenze giuridiche derivanti dalle scelte imprenditoriali, giacchè la clausola antielusiva generale in materia di Iva rimette alla sensibilità dei soggetti accertatori l‟individuazione del confine tra lecita pianificazione fiscale e risparmio indebito.

Efficacia dei principi antiabuso nell’ordinamento

interno

La dottrina è divisa in merito all‟applicabilità dei principi antiabuso Iva espressi dalla Corte di Giustizia nel diritto interno.

Muovendo dagli autori più attenti ai temi del diritto comunitario (Tesauro), si è rilevato

che il diritto comunitario primario, collocato in posizione sovraordinata rispetto al diritto comunitario derivato, è formato dalle norme del Trattato e dai principi generali del diritto. I principi generali del diritto, individuati dalla Corte di Giustizia, appartengono alle norme comunitarie primarie e sono dunque prevalenti sia sul diritto comunitario derivato che sul diritto nazionale.

Secondo tale condivisibile ricostruzione, sostenuta anche da Attardi (1), la matrice

comunitaria della previsione antielusiva, espressione di un principio generale del diritto europeo, fa sì che tale principio possa trovare applicazione anche nell‟ordinamento interno, ma soltanto nelle materie disciplinate dalla normativa comunitaria (Iva, accise, dogane).

Nei casi in cui la materia sia lasciata alla determinazione del legislatore interno, non

troverebbe spazio la clausola antiabuso europea, ma la disciplina italiana. Tale indirizzo interpretativo trova conferma in una nota sentenza della Corte di

Cassazione in materia di Iva. Il Supremo Collegio, pur riconoscendo l‟assenza di una clausola generale antielusiva, ha tuttavia rilevato l‟emergenza di un principio tendenziale del diritto comunitario, “secondo il quale non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un vantaggio fiscale” (2). La stessa sentenza ha precisato che la valutazione del carattere abusivo ed elusivo è giudizio che spetta al giudice di merito.

13

La fattispecie esaminata riguarda una neocostitutiva società che aveva acquistato un immobile sostenendo le spese di ristrutturazione; l‟Iva era stata detratta e l‟immobile, una volta ristrutturato, era stato ceduto al socio. La società non aveva compiuto altre attività.

Questa operazione è stata ritenuta elusiva. Vi è da ricordare che la portata del principio antielusivo comunitario sarà chiarita da

una pronuncia di rinvio della Corte di Cassazione. Secondo la Cassazione, infatti, non è chiaro se il fine di eludere le imposte debba essere perseguito “essenzialmente” o se debba essere il “solo scopo dell‟operazione”; in altri termini, se la presenza di ragioni economiche marginali possa escludere l‟appicazione del principio antielusivo (ordinanza 4 ottobre 2006, n. 21371).

Vi è anche da rilevare che, secondo altro orientamento dottrinale, le pronunce della

Corte di Giustizia in materia regolata da direttive comunitarie non sarebbero applicabili, se sfavorevoli al contribuente, direttamente nell‟ordinamento interno.

L‟efficacia diretta e verticale delle direttive self executing, infatti, dovrebbe operare

esclusivamente in bonam partem per il contribuente: il singolo potrebbe invocare tali previsioni solo se a lui favorevoli.

Secondo Perrone (3), l‟effetto di penetrazione verticale non dovrebbe prodursi in

malam partem, perché ove si ammettesse la diretta applicabilità delle norme comunitarie anche quando il singolo ha rispettato la norma interna contraria alla normativa comunitaria, si consentirebbe allo Stato inadempiente di trarre vantaggio dalla sua violazione del diritto comunitario. Nello stesso senso anche Lupi e Giorgi (4).

Contro questa opinione autorevole ma minoritaria, però, altri rilevano che si verrebbe

a produrre una frammentazione in sede di applicazione del diritto comunitario negli ordinamenti nazionali.

La Suprema Corte, nella sentenza citata e nell‟ordinanza di rinvio, sembra avere

disatteso questa ricostruzione interpretativa, ritenendo direttamente applicabile nell‟ordinamento interno la clausola generale antielusiva elaborata dalla giurisprudenza comunitaria in materia di Iva.

Diversa è poi la ricostruzione operata dalla Corte di Cassazione con riferimento alle

note sentenze del 2005 in materia di dividend washing (5) e di dividend stripping (6). La soluzione prospettata in tali pronunce fa riferimento agli istituti di assenza di

causa e di nullità contrattuale propri del diritto interno. Pur riferendosi a fattispecie anteriori all‟entrata in vigore della clausola antielusiva di

cui all‟art. 37 bis, d.p.r. 600 del 1973, la Corte di Cassazione ha affermato che, anche prima dell‟introduzione della norma, sarebbe emerso “dall‟ordinamento un principio tendenziale che deve spingere l‟interprete alla ricerca di appropriati mezzi per contrastare la diffusione dell‟elusione”.

E‟ noto che in tali pronunce, oggetto di un vivace dibattito dottrinale, la Corte ha

affermato che le operazioni esaminate sarebbero prive di valide ragioni economiche

14

diverse dal mero risparmio fiscale e ha ritenuto i contratti privi di causa negoziale e dunque nulli. Tale nullità può essere riscontrata in via incidentale dal giudice tributario.

Molte le argomentazioni sostenute dalla dottrina avverso l‟impianto motivazionale

della sentenza. Si è così rilevato che la tradizionale nozione di causa come “funzione economica sociale tipica e astratta” è di natura oggettiva ed è da escludersi l‟assenza di causa in un contratto tipico (la tesi espressa dalla sentenza renderebbe di difficile individuazione il confine tra causa e motivi del contratto).

Altra conseguenza che potrebbe determinare la conferma dell‟indirizzo

giurisprudenziale in materia di dividend washing è l‟incertezza dei rapporti giuridici: se il contratto è nullo, anche i privati potrebbero utilizzare lo stesso schema, chiedendo al giudice civile la dichiarazione di nullità di contratti privi di valide ragioni economiche.

Infine, secondo la teoria maggioritaria, è ancora assente nel nostro ordinamento un

principio generale antielusivo che possa applicarsi a fattispecie diverse da quelle contemplate dalla normativa comunitaria nei settori da essa disciplinati o dallo specifico campo di applicazione delle norme antielusive interne.

15

TUTELA DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO__________________________________________

(1) TRIVELLIN M., Un’altra pronuncia della Cassazione esclude il recupero del tributo per violazione del

principio di tutela dell’affidamento: alcune note sulle ragioni della soluzione adottata, nota a sentenza

Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, sent. n. 21513, in Riv. dir. trib., 2007, II, p. 271.

(2) Cass., SS. UU., 2 novembre 2007, n. 23021, in bancadati Fiscovideo

LA TUTELA DELLA BUONA FEDE NELL’ORDINAMENTO

EUROPEO__________________________________________

(1) Sul punto mi permetto di rinviare ad Armella, L’errore delle autorità doganali preclude il recupero dei

dazi, in Dir.prat.trib.int., 2003, 339; Buona fede dell’importatore e responsabilità per invalidità dei

certificati, in GT, 2007, 1073.

(2) La giurisprudenza della Corte di giustizia, con orientamento univoco, afferma che qualora le tre

condizioni siano soddisfatte, il debitore ha diritto a che non si proceda al recupero. Corte di giustizia CE,

Sez. III, 1° aprile 1993, causa C-250/91, «Hewlett Packard France», in Racc., 1993, I-1819; Id., 27

giugno 1991, causa C-348/89, «Mecanarte-Metalurgica de Lagoa», ivi, 1991, pag. I-3277; Id., 22 ottobre

1987, causa 341/85, «Foto-Frost», ivi, 1987, pag. 4199; Id., 23 maggio 1989, causa 378/87, «Top Hit»,

ivi, 1989, pag. 1359; Id., 23 luglio 1989, causa 161/88, «Binder», ivi, 1989, pag. 2415.

(3) Corte di giustizia, Sez. III, 27 giugno 1991, causa C-348/89, «Mecanarte-Metalurgica de Lagoa», cit.

(4) Corte di giustizia CE, Sez. III, «Mecanarte», cit., punto 20.

(5) Corte di giustizia CE, Sez. I, 12 dicembre 1996, causa C-38/95, «Seafood import», in Racc., 1996, pag. I-

6543.

(6) Corte di giustizia, «Hewlett Packard France», cit., punto 22; Id., sentenze 16 luglio 1992, causa C-187/91,

«Società cooperativa Belavo», in Racc., 1992, pag. I-4963; Corte di giustizia CE, 8 aprile 1992, causa C-

371/90, «Beirafrio», in Racc., 1992, pag. I-2728; Id., 26 giugno 1990, causa C-64/89, «Deutche

Fernsprecher», ivi, 1990, pag. I-2535.

(7) Corte di giustizia CE, «Hewlett Packard France», cit., punto 23.

(8) Corte di giustizia CE, «Hewlett Packard France», cit., punto 26; Id., «Deutsche Fernsprecher», cit., punto

21.

(9) Corte di giustizia CE, «Hewlett Packard France», cit., punto 27.

(10) Corte di giustizia, Sez. II, 26 novembre 1998, causa C-370/96, «Covita Ave», in www.europa.eu.int.

(11) Corte di giustizia CE, «Covita Ave», cit., punto 26.

(12) Corte di giustizia CE, sentenza 23 maggio 1989, causa 378/86, «Top hit Holzvertrieb», in Racc., 1989,

pag. 1359, punto 26.

RECENTI ORIENTAMENTI DELLA CORTE DI

GIUSTIZIA__________________________________________

1) Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006 c. 255/02, in www.curia.eu.int.

EFFICACIA DEI PRINCIPI ANTIABUSO NELL’ORDINAMENTO

INTERNO__________________________________________

(1) ATTARDI C., L’elusione nell’iva. L’impatto del divieto comunitario di abuso del diritto, in Fisco, 2007,

p. 4572.

(2) Cass., 5 maggio 2006, n. 10352, in Fisconline.

(3) L’armonizzazione dell’Iva: il ruolo della Corte di Giustizia, gli effetti verticali delle direttive e

l’affidamento del contribuente, in Rass. Trib., 2006, 430

(4) In Dialoghi di diritto tributario, 2004, 254 e 261.

(5) Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, n. 20398, in Fisconline

(6) Cass., sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20816; Cass., sez.trib., 14 novembre 2005, n. 22932, in Fisconline.

16

BIBLIOGRAFIA

ALTIERI E., L’applicazione del diritto comuntiario nella giurisprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, in Fisconline.

ARMELLA S., Il diritto all'informazione in materia doganale, in Il diritto di interpello. Tax ruling-Informazione doganale comunitaria-Statuto dei diritti del contribuente, coordinato da G. Rebora, R. Ruffini e G. Terracciano, De Agostini professionale, Roma, 2001.

ARMELLA S., I dazi doganali in Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Cedam, Padova, III ed., 2005.

ATTARDI C., L’elusione nell’iva. L’impatto del divieto comunitario di abuso del diritto, in Fisco, 2007, p. 4572.

BASILAVECCHIA M., Norma antielusione e “relatività” delle operazioni imponibili iva, in Corr. trib., 2006, p. 1466.

BATISTONI FERRARA, Tutela dell’affidamento e indisponibilità dell’obbligazione tributaria, nota a sentenza Cass., sez. trib., 29 agosto 2007, sent. n. 18218, in Corr. trib., 2007, p. 3341.

BRESCIANI L., La normativa antielusiva tra nullità negoziale e assenza di valide ragioni economiche, in Fisco, 2007, p. 3719.

CENTORE P., Forma e sostanza nelle frodi iva, nota a sentenza Corte Giust. Ce, 27 settembre 2007, cause C-184/05, C-146/05, C-409/04, in Corr. trib., 2007, p. 3515.

CIPOLLINA S., Elusione fiscale, in Dig. disc. priv., Sez. Comm., Vol. V, 1990, p. 220. DE BELLIS G., L’applicazione del diritto comunitario nella giurisprudenza della Sezione

tributaria della Corte di Cassazione, in L’applicazione del diritto comunitario nella giurisprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, cap. I, in Fisconline.

DELLA VALLE E., Il principio di buona fede oggettiva e la marcia inarrestabile dello statuto, nota a sentenza Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, sent. n. 17576, in GT – Riv. giur. trib., 2003, p. 343.

FANTOZZI A., Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 159 ss. GALLO F., Brevi spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito d’impresa, in

Rass. trib., 1989, I, p. 11. GALLO F., L’applicazione d’ufficio del diritto comunitario da parte del giudice nazionale

nel processo tributario e nel giudizio di cassazione, in L’applicazione del diritto comunitario nella giurisprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, cap. II, in Fisconline.

PEIROLO M., La posizione della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulle frodi iva in ambito intracomunitario, in Fisco, 2007, p. 12538.

PICCOLO C., Abuso del diritto ed iva: tra interpretazione comunitaria ed applicazione nazionale, nota a sentenza Corte Giust Ce, Grande sez., 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Pres. Skouris-rel. Von Bahr e causa C-223/03, Pres. Skouris-rel. Von Bahr, in Rass. Trib., 2006, p. 1016.

PISTONE P., L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di Giustizia Europea in tema di iva., nota a sentenza Corte Giust. Ce, Grande sez., 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Pres. Skouris-rel. Von Bahr, in Riv. dir. trib., 2007, p. 3.

17

POGGIOLI M., La Corte di Giustizia elabora il concetto di “comportamento abusivo” in materia d’iva e ne tratteggia le conseguenze sul piano impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matrice comunitaria?, nota a sentenza Corte Giustizia Ce, Grande sez., 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Pres. Skouris-rel. Von Bahr, in Riv. dir. trib., 2006, III, p. 107.

POGGIOLI M., Il principio comunitario del divieto di abuso e la sua incidenza sull’ordinamento tributario nazionale. Spunti di riflessione, in Elusione fiscale: la nullità civilistica come strumento generale antielusivo. Riflessioni a margine dei recenti orientamenti della Cassazione civile., in Fisconline.

PRESILLA M., Elusione fiscale. Nuove ipotesi all’esame dell’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, in Fisco, 2007, 7044.

SACCO V., SALVATORE P., COMUZZI P., LUPI R., Prime osservazioni sulla nullità del “Dividend Washing” per mancanza di causa, nota a sentenza Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, sent. n. 20398, in Dialog. dir. trib., n. 12/2005, p. 1669.

SALVINI L., L’elusione iva nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. trib., 2006, p. 3097.

SCHIAVOLIN R., L’elusione ficale come abuso del diritto: allo stato dell’arte, più problemi che risoluzioni, in Elusione fiscale: la nullità civilistica come strumento generale antielusivo. Riflessioni a margine dei recenti orientamenti della Cassazione civile., in Fisconline.

STEVANATO D., Tutela dell’affidamento e limiti all’accertamento del tributo, nota a sentenza Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, sent. n. 17576, in Rass. trib., 2003, p. 795,

STEVANATO D., Le “ragioni economiche” nel dividend washing e l’indagine sulla “causa concreta” nel negozio: spunti per un approfondimento nota a sentenza Cass., sez. trib., 21 ottobre 2005, n. 20398, in Rass. trib., 2006, p. 295.

TRIVELLIN M., Brevi cenni sulle relazioni tra abuso del diritto e clausola di buona fede. Alla ricerca di una norma generale antielusiva, in Elusione fiscale: la nullità civilistica come strumento generale antielusivo. Riflessioni a margine dei recenti orientamenti della Cassazione civile. in Fisconline.

TRIVELLIN M., Un’altra pronuncia della Cassazione esclude il recupero del tributo per violazione del principio di tutela dell’affidamento: alcune note sulle ragioni della soluzione adottata, nota a sentenza Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, sent. n. 21513, in Riv. dir. trib., 2007, II, p. 271.

ZIZZO G., Nullità negoziali ed elusione tributaria, nota a sentenza Cass., sez. trib., 24 maggio 2006, ord. n. 12301, in Corr. trib., 2006, p. 2141.

ZIZZO G., Scambi di partecipazioni ed elusione tributaria, in Rass. trib., 2007, p. 693. ZOPPINI G., Abuso del diritto e dintorni (ricostruzione critica per lo studio sistematico

dell’elusione fiscale), in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 809.