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86 T ra le personae di Europa (le sue maschere più rivelatrici) vi è senza dubbio quella di Amleto. Come Amleto essa è innanzitutto indecisa sulle proprie radici. Il padre sembra fermo e certissimo; ma la madre? Il padre allu- de forse a una sua colpa, a un suo tradimento? Al figlio viene proibito di agire da Oreste redi- vivo; e tuttavia come potrà non volersi distac- care da quel grembo? Fuor di metafora: come può Europa decidersi per una delle correnti spi- rituali che ne alimentano le origini senza tradi- re le altre? Come può definirsi in base a uno dei suoi “possibili” senza farsi “colpevole” nei confronti di tutti gli altri? Europa è l’Indeciso chiamato sempre a decidersi. Come Amleto non può sfuggire al destino che lo costringe all’azione, al dramma dell’azione che de-cide. Ma nessuna decisione ne elimina l’insecuritas, nessuna è mai approdata a un porto ben sicuro. L’Europa è “sospesa” nella sua stessa configu- razione geografica. È un luogo che di epoca in epoca appare necessario ridefinire. Già nel greco topos non indica, infatti, un contenitore, dove accumulare diversi elementi da esso comunque ben distinti, ma il limite estremo, l’eschaton, cui questi stessi elementi nel loro movimento pervengono. Il luogo si riconosce perciò soltanto giunti alla sua soglia, al suo confine, là dove, cioè, esso si fa cum-finis, vici- no, prossimo, contiguo all’altro da sé. Dove rivela qualcosa di communis con l’altro. Europa è là dove essa “tocca” l’estraneo, lo straniero. Europa può cercare di conoscere se stessa sol- tanto là dove si imbatte in tutti i sensi, con il meraviglioso-tremendo dello straniero. La sua idea di luogo, potremmo dire, è centrifuga. Finché non perviene al suo “stremo”, che di epoca in epoca può mutare, Europa non è (lo “stremo d’Europa” chiama Bisanzio Dante). Perciò è possibile dire che Europa è il luogo dove si inventa la storia, dove il divenire stori- co si fa il tratto essenziale dell’ente: perché un processo, un divenire è lo stesso luogo di Europa. E perciò, ancora, Europa rimane un nome inadeguato alla cosa: perché Europa non si lascia ridurre a uno stato dell’ente, sfugge a univoche denotazioni. Europa è sempre un nome che fa segno a ciò che Europa sarà o vuole essere o deve essere. Come essa non ha radice determinata, così la sua figura si presen- ta storicamente come compito, imperativo, in- definibile (che non significa affatto sine fine!) Per intendere Europa occorre quindi anzitutto individuarne la direzione. Verso dove volge il suo sguardo? Dove intende pervenire? Rovesciando la via che la fenicia Europa aveva percorso, rapita da Zeus, è a Oriente che per due millenni l’Europa ha mirato. O per distin- I lavori per la Costituzione europea costituiscono banchi di prova formi- dabili “alla ricerca di Europa”. Essi hanno posto l’indecisa comunità di fronte alla necessità di decidersi. E di misurarsi con la sua storia e i suoi valori. Ma se non saprà tollerare valori in conflitto, se accetterà il dogma che essi devono ridursi a Uno, l’Europa eliminerà ogni espres- sione di libertà. Decretando la sua definitiva scomparsa L’Europa va presa con un po’ di filosofia di Massimo Cacciari CULTURA

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T ra le personae di Europa (le sue mascherepiù rivelatrici) vi è senza dubbio quella diAmleto. Come Amleto essa è innanzitutto

indecisa sulle proprie radici. Il padre sembrafermo e certissimo; ma la madre? Il padre allu-de forse a una sua colpa, a un suo tradimento?Al figlio viene proibito di agire da Oreste redi-vivo; e tuttavia come potrà non volersi distac-care da quel grembo? Fuor di metafora: comepuò Europa decidersi per una delle correnti spi-rituali che ne alimentano le origini senza tradi-re le altre? Come può definirsi in base a unodei suoi “possibili” senza farsi “colpevole” neiconfronti di tutti gli altri? Europa è l’Indecisochiamato sempre a decidersi. Come Amletonon può sfuggire al destino che lo costringeall’azione, al dramma dell’azione che de-cide.Ma nessuna decisione ne elimina l’insecuritas,nessuna è mai approdata a un porto ben sicuro.L’Europa è “sospesa” nella sua stessa configu-razione geografica. È un luogo che di epoca inepoca appare necessario ridefinire. Già nelgreco topos non indica, infatti, un contenitore,dove accumulare diversi elementi da essocomunque ben distinti, ma il limite estremo,l’eschaton, cui questi stessi elementi nel loromovimento pervengono. Il luogo si riconosceperciò soltanto giunti alla sua soglia, al suoconfine, là dove, cioè, esso si fa cum-finis, vici-

no, prossimo, contiguo all’altro da sé. Doverivela qualcosa di communis con l’altro. Europaè là dove essa “tocca” l’estraneo, lo straniero.Europa può cercare di conoscere se stessa sol-tanto là dove si imbatte in tutti i sensi, con ilmeraviglioso-tremendo dello straniero. La suaidea di luogo, potremmo dire, è centrifuga.Finché non perviene al suo “stremo”, che diepoca in epoca può mutare, Europa non è (lo“stremo d’Europa” chiama Bisanzio Dante).Perciò è possibile dire che Europa è il luogodove si inventa la storia, dove il divenire stori-co si fa il tratto essenziale dell’ente: perché unprocesso, un divenire è lo stesso luogo diEuropa. E perciò, ancora, Europa rimane unnome inadeguato alla cosa: perché Europa nonsi lascia ridurre a uno stato dell’ente, sfugge aunivoche denotazioni. Europa è sempre unnome che fa segno a ciò che Europa sarà ovuole essere o deve essere. Come essa non haradice determinata, così la sua figura si presen-ta storicamente come compito, imperativo, in-definibile (che non significa affatto sine fine!)Per intendere Europa occorre quindi anzituttoindividuarne la direzione. Verso dove volge ilsuo sguardo? Dove intende pervenire?Rovesciando la via che la fenicia Europa avevapercorso, rapita da Zeus, è a Oriente che perdue millenni l’Europa ha mirato. O per distin-

I lavori per la Costituzione europea costituiscono banchi di prova formi-

dabili “alla ricerca di Europa”. Essi hanno posto l’indecisa comunità di

fronte alla necessità di decidersi. E di misurarsi con la sua storia e i

suoi valori. Ma se non saprà tollerare valori in conflitto, se accetterà il

dogma che essi devono ridursi a Uno, l’Europa eliminerà ogni espres-

sione di libertà. Decretando la sua definitiva scomparsa

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di Massimo CacciariCULTURA

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guervisi, o con nostalgia, o con spirito di con-quista. Il Mediterraneo doveva essere il maretra le sue terre.

È la stessa direzione assunta dalla translatioimperii: dalla prima Roma alla seconda,Bisanzio, alla terza, Mosca. La relazione-pole-mos con la sterminata Terra di Asia era al centrodel problema dell’identità europea. L’età dellescoperte, l’età in cui si afferma la logica dellascoperta, muta la direzione e il senso di Europa.È vero: si va a Occidente, si trasgredisce quel-l’antico confine (“dov’Ercole segnò li suoiriguardi”, pur sempre per attingere Oriente. Masi vuole attingere Oriente proprio annullandonequella dimensione terranea che sgomentava epareva insuperabile. Per mare, su quella sua casache è la nave, fin dai tempi dell’effimero imperodi Atene, l’europeo raggiunge l’Oriente. Loriscopre, attraverso un mezzo che è estraneo, perlui, all’essenza dell’Asia; e proprio per questopuò pensare di farla sua. La sterminata distesadel mare è sentita come ricca di promesse; il suodominio soltanto garantisce la conquista.Dominare terre soltanto significa essere prigio-nieri del mare. Ultima, decisiva translatio impe-rii: dal Mediterraneo (già in crisi, già non piùmare nostro) alla grande isola atlantica, signoradei due oceani e ponte tra essi.Soltanto allorché opera questa translatio del suocentro, l’Europa diviene compiutamente civitasfutura: comunità in itinere, poiché si attende nelfuturo la vera soluzione di problemi e contrad-dizioni. A-oikos, estraneo a ogni fissa dimora,figlio della povertà che spinge sempre a cercare edi quella via, di quel mezzo che permettono diattingere il fine, era già apparso l’eros filosofico-scientifico. Roma, a sua volta, pur conservandosempre la propria radice nell’urbs, manifestavacome mobilis la propria essenza: la civitas roma-na non esiste se non come accrescentesi sempre,se non come augescens. E tuttavia soltanto ora(e sotto il grande segno della teologia della sto-ria agostiniana) l’Europa si manifesta come spi-rito non contenibile, come volontà di potenzaterritorialmente non determinabile, progetto diuna volontà di conquista planetaria, per cuiparafrasando le parole della Logica hegeliana,ogni determinazione è tolta, superata nelmomento stesso che viene posta.Vi possono essere dèi laddove non sussista piùalcuna frontiera? Junger si poneva questadomanda. Può esservi sacro laddove l’idea stessadi frontiera (Hegel ancora) non è che unmomento, superato nell’atto stesso di pensarlo?

La laicità di Europa, del politico europeo, deveessere considerata anche sotto questo profilo: iltermine tra sacro e profano è scosso dalle fonda-menta. E la religione cristiana poteva apparire alromanticismo come all’idealismo, in tutte le lorovarianti, religione ultima o assoluta proprio per-ché, in fondo, non religione, liberazione dall’a-stratta separatezza tra laico e religioso, fides etratio, progresso della civitas terrena (e marina!)e l’”infuturarsi” dantesco al paolino politeumaen ouranois. Ancora in Erasmo risuona lanostalgia per l’antico dio-termine; ma l’erma èun Giano bifronte, unisce gli opposti, pace-e-guerra, piuttosto che distinguerli. Europa eradivenuta quasi sinonimo di un’irenica speranzadi conciliazione, al fine di poter contrattaccare ladilagante offensiva ottomana, nel corso del XVsecolo. Ma nel seno stesso di tale speranza cova-vano contraddizioni ancora più micidiali (e nelloro segno, tragicamente, andrebbe finalmenteletto l’umanesimo italiano), che fu Machiavelli amettere spietatamente a nudo. L’identità euro-pea era e rimane un’identità in conflitto.L’agonia di Europa, di cui parlerà MariaZambrano, significa l’essere agonico di Europa.E come potrebbe “lasciare in pace” chi non hapace in sé? Gli appelli pacifistici alla pace comese far-pace significasse appunto “lasciare inpace”, mostrano di ignorare l’essenza dell’iden-tità europea. Essa è un’esistenza ek-statica, intutti i sensi; è per comunicarsi, per aprirsi, percon-vincere. Volere che si esprima altrimentisignifica inventare legni di acciaio. Il difficileconsiste nel far-pace attraverso la sua essenzaagonica, scoprire un senso della pace che non siaantinomico alla volontà di comunicare e con-vincere, che è sempre necessariamente ancheferirsi-ferire.Potere è sapere (avere di tutto l’“idea”, esserecollocati in un punto che consenta una visionepanoptica) e sapere è potere. Aver cura dell’ani-ma significa, anzitutto, e mille leghe oltre ogniaura spiritualistica, aver cura di quell’organo checonsente di vedere e prevedere, di progettare escoprire. Ed è la scoperta, la capacità di scoprire,che legittima, alla fine, la stessa conquista.Tuttavia, io non conosco me stesso semplice-mente allorché rendo chiaro e acuto il miosguardo. Io mi conosco soltanto nell’occhio del-l’altro. Quando mi vedo dall’altro riconosciuto.Sapere, conoscere è potere, ma nel senso delriconoscimento reciproco. Raggiungo la miaidentità soltanto allorché l’altro nella sua libertàriconosce il mio valore. Se non fosse libero, anulla varrebbe per me il suo riconoscimento. Al

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fondo della sua anima e della intenzionalità cheessa esprime, l’Europa non vuole conoscere-potere soltanto, né potere su chi è costretto ariconoscerne la potenza. L’Europa ardentementedesidera che sia il valore della libertà dell’altro atestimoniare del valore della sua. È l’impossibilequesto? È l’impossibile che questo ardente desi-derio non finisca con l’attuarsi come liberazione,sradicamento dell’altro da ogni suo luogo, impo-sizione della nostra idea di libertà e della nostraforma di razionalità e di sapere, intolleranzaliberatrice?Lasciamo per il momento aperta questa doman-da e chiediamoci invece: l’idea di questo nessocosì forte sapere-potere (Kennen-Koennen!)non si attarda ancora sulle spalle dell’”eroicoidealismo” (Zambrano) della tradizione filosofi-ca europea, delle sue pretese di attingere incon-trovertibili verità? Ma la nostra filosofia (che èsenza dubbio il “fenomeno originariodell’Europa”, come Husserl ha detto) elaborauna concezione della scienza che, pur poggiandosu principi ritenuti indubitabili in quanto di persé evidenti, la interpreta e vive essenzialmentecome interminabile ricerca. Se la verità dei prin-cipi è incondizionata, la scienza si sviluppa e siconcepisce come orizzonte infinito di compiti;

Come Amleto, l’Europa è

innanzitutto indecisa

sulle proprie radici. Il

padre sembra fermo e

certissimo, ma la madre?

Il padre allude

forse a una sua colpa,

a un suo tradimento?

Al figlio viene proibito

di agire da Oreste redivivo

e tuttavia come potrà

non volersi distaccare

da quel grembo?

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essa attribuisce a qualsiasi verità “fattuale” divolta in volta raggiunta, il carattere di meraapprossimazione. Questa è dunque la sua voca-zione (il Beruf della scienza europea): impedireche si imponga un confine come non trasgredi-bile. Ciò che muta nel corso della sua afferma-zione come paradigma di razionalità non èaffatto questo carattere aperto e sperimentale,ma la presenza epistemica pura (da Platone aHusserl) che sussista una radicale differenzatra la Haltung teoretica, l’amore per la ricercain cui si attua quello per la sophia, e la dimen-sione tecnico-pratica. Ancora in Kant la tecnicaè concepita come mera applicazione delle leggistabilite dalla scienza della natura, scienzamossa esclusivamente dal puro dover-conosce-re-scoprire. Ma la “dissacrazione” (Entwertungo Entzauberung che sia!) di tale pretesa purez-za non avviene soltanto attraverso la lineaNietzsche-Heidegger, bensì anche, e forsesoprattutto, attraverso gli sviluppi attualisticidell’idealismo stesso (più ancora che attraversoMarx, in cui domina l’idea di un primato dellaprassi, e proprio di quella prassi che ha per finela scholé). La fede nella tecnica contraddicetanto poco l’eroico idealismo da rappresentar-ne, invece, l’inveramento: l’idea di scienzacome ricerca e compito guida il “sempre oltre”dell’impresa tecnica. L’impeto con cui quest’ul-tima vuole la trasformazione permanente delmondo è già tutto immanente nel caratterenient’affatto astrattamente contemplativo, maprassistico della stessa filosofia.Nos interrogantes, l’Europa: una pluralità disoggetti in interrogante ricerca. Stili assoluta-mente distinti di interrogazione – e tuttavia,anche a distanze abissali, gli interrogantihanno finito con il riconoscersi. Hegel vedel’Anselmo del quiddam maius come il piùgrande dei medievali; l’oltre-uomo diNietzsche ricorda per infiniti tratti “l’uomonobile” eckhartiano; e Gentile la “dotta igno-ranza” del Cusano quando spiega il nondumche assilla dall’interno ogni scoperta scientifica.Nessuno può sopportare che vi sia unTermine, né il mistico che si innalza a ciò chenessun pensiero può attingere, né l’idealista ilcui Ego non è tanto il punto al centro di uncerchio a raggio infinito, ma è l’irradiarsi stessoall’infinito della potenza del pensiero, che inogni istante si attua. Certo, è la fede che è donoa sorreggere il mistico nella sua ek-stasi, chenon potrà fermarsi a nessun ente, neppure alSommo, mentre l’interrogare del filosofo sifonda in se stesso e avanza la pretesa di non

avere presupposto; e tuttavia entrambi si pre-sentano nella forma della ricerca inesauribile.Ricerca di ciò che manca, nel segno della apou-sia, piuttosto che in quello dell’evento giàstato, del consumatum est.Questo spirito europeo è stato detronizzato?Aggiungeremo anche questo capitolo al longseller sulla Entkronung Europas? Non lo credo.Il suicidio politico europeo del XX secolo èstato il prodotto della volontà di potenza ege-monica di Stati territorialmente determinati e“confinati”. Essi volevano, certo, esplodereimperialisticamente dai loro confini, ma peraffermare la propria chiusa identità.L’imperialismo è la proiezione delle sovranitàstatuali tradizionali, non il loro superamen-to. Esse miravano all’assoggettamento del-l’altro, non al riconoscimento da parte dellasua libertà.Il progetto di dominio era chiamato a risolvere

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la ricerca, ricerca intesa come assoggettantescoperta, non a rinnovarla. La ragione più pro-fonda per cui i grandi filosofi del Novecentohanno potuto così radicalmente errare sullanatura dei totalitarismi sta nel fatto che essi vividero proprio la “liberazione” della personadai chiusi orizzonti dell’individualismo liberalee la sua consegna alla voce della propria solaresponsabilità; immaginarono lo Stato totalita-rio come fondato sulla libertà positiva dellapersona, che è per sé nella misura in cui sia adalium; immaginarono la relazione tra Stato epersona come fondata sulla dialettica del rico-noscimento. Cercavano l’inverarsi della lorofilosofia – e dovevano cercarla così ostinata-

mente per la sua essenza stessa, che volevaessere sintesi, suprema conciliazione di teoria eprassi –, ma la cercavano in una politica che nerappresentava l’imitazione rovesciata: conclu-sione della sua scepsi infinita; atto che si facevastato, condizione stabile permanente; rivoluzio-ne che si faceva regime rivoluzionario; univer-salismo proclamato da nazionalismi; riconosci-mento responsabile che si rovesciava in aliena-zione a poteri “presupposti”. Possiamo davveroaffermare che la detronizzazione di Europacorrisponda a quella della sua filosofia? O ladetronizzazione dell’Europa degli Stati, dellaguerra civile novecentesca, può aprire a unanuova comprensione di Europa? Il suo tramon-to come potenza politica nell’antico senso deltermine potrebbe rappresentare l’inizio di unasua diversa direzione? Hegel diceva: “La piùalta maturità che qualcosa può raggiungere è làdove comincia il suo tramonto”. Questa acce-

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_Tre filosofi tra i più importanti dell’età moderna: a sini-

stra Friedrich Hegel, al centro Friedrich Nietzsche e, a

destra, Immanuel Kant

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zione del tramonto ritorna in Nietzsche. Lafilosofia ha accompagnato tutta la storia diEuropa; potrebbe segnarne il contraccolpo?Ma proprio quello del philosophein deve essereinnanzitutto uno sguardo realistico. Non appare“necessaria” oggi l’Europa proprio perché ilcrollo dei suoi Stati e staterelli, così come delleloro mire imperialistiche, non lascia aperto che ilcompimento della profezia nietzschiana? “I pic-coli stati europei sono destinati a divenire inbreve tempo, sotto l’irresistibile spinta del gran-de traffico e commercio mondiale, economica-mente insostenibili. Già il solo denaro costringe-rà l’Europa a stringersi insieme, quando che sia,in un’unica potenza”, egli scrive nel 1885. Eaggiungeva: le forme della democrazia e del par-lamentarismo saranno le meno adatte ad affron-tare tale sfida.Se valutiamo oggi gli sforzi “costituenti” dellaComunità europea possiamo affermare che que-sta profezia è stata smentita? Possiamo dire chel’Europa si va unendo sotto altre spinte chequelle del traffico e commercio mondiale? Che ildenaro non è la sua ragione di essere? Che laforma del suo governo è democratico-parlamen-

tare in quel senso del termine che si era andatoaffermando nella storia degli Stati nazionali? Lerisposte correnti hanno tutte più o meno ilcarattere dell’apologia o della delusione.Ideologia in entrambi i casi; realismo da stente-relli o malinconia da anime belle. In realtà ilavori per la costituzione europea e le vicendeche ne seguiranno costituiscono banchi di provaformidabili “alla ricerca di Europa”. Essi hannoposto di nuovo l’indecisa Europa di fronte allanecessità di decidersi e hanno evidenziato conchiarezza i termini della decisione. Propriofacendo leva sulla sua debolezza political’Europa aveva avviato il processo di integrazio-ne. Sulle questioni geo-politiche non potevaaver voce; e i suoi padri fondatori hanno sfrutta-to genialmente proprio questo stato di inferiori-tà. La rimozione del problema dell’identità cul-turale-politica, o la sua declinazione in terminivuotamente tradizionali, anestetizzati, retorici, èstata fattore-chiave nel permettere la rapiditàcon cui l’integrazione economico-commerciale èpervenuta a quella monetario-finanziaria. È bennoto che neppure questo capitolo può dirsi neifatti concluso; la sua logica tuttavia è del tutto

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manifesta. Ed è la logica per cui la potenza dellastruttura economico-sociale oggi dominante sul-l’intero pianeta ridefinisce radicalmente, più cheannullare, ogni sovranità determinata, trasfor-mandola in null’altro che ganglio o momento ditrasmissione del proprio lavoro.Non vi è dubbio che il principio basilare cheinforma la cosiddetta Costituzione europeaesprime perfetta adesione al senso di tale impe-ro. Un unico fine la Costituzione afferma comenon negoziabile, oltre quei principi che ne costi-tuiscono preambolo e retorica (uso il termine insenso nient’affatto dispregiativo): libera concor-renza, “liberare” lo spazio economico-sociale daogni barriera protezionistica. Naturalmente,anche questo fine va perseguito con gradualità epuò incontrare dure resistenze. E tuttavia costi-tuisce il pilastro innegabile, il fundamentuminconcussum della costruzione comunitaria. I

vecchi soggetti, gli Stati, potranno esercitare un“diritto di contenimento” nei suoi confronti,frenare o ammorbidire, ma la linea è tracciata; el’intero edificio senza dubbio crollerebbe sevenisse messa, in quanto tale, in discussione.Questo pilastro afferma che atto dell’idea dilibertà e fonte di ogni sua effettuale espressioneè la libertà di mercato; libertà politica, diritti dicittadinanza ecc. sono considerati effettualmentecome generati da essa e senza di essa non risul-tano più neppure concepibili.L’Europa potrà così eseguire il proprio “pro-gramma”. Il programma risulta estrapolabiledalla sua storia fino a oggi; si fonda sul disincan-tato riconoscimento della sua insuperabile mise-ria politica e, anzi, sul presupposto della neutra-lizzazione irreversibile di ogni autonomia dell’a-zione politica. Ciò non significa che il program-ma sia di facile esecuzione e tantomeno che nesia garantito l’esito; significa soltanto che esso sifonda su dati sicuri e su un calcolo assolutamen-te realistico. La logica del programma esclude diprendere in esame fattori per loro natura irridu-cibili al calcolemus. In altri termini, essa sarebbedel tutto incapace di render conto al suo interno

CULTURA

_Cristianesimo e pacifismo. A sinistra Papa Ratzinger,

Benedetto XVI, mentre benedice la folla dei fedeli in

piazza S. Pietro. Qui sotto, una manifestazione di giovani

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di qualsiasi rimando a compiti ulteriori rispettoa quella libertà di cui si è parlato. Il programmafunziona nella misura in cui sia wertfrei .Non interessa qui ora criticare l’idea dell’a-valutatività del programma. Interessa porre ladomanda: può l’Europa essere responsabile?Responsabilità significa capacità di rispondere. Esi risponde a un compito, che non può esseresemplicemente dedotto dallo stato di cose pre-sente. La responsabilità per un compito non èestrapolabile dal calcolo dei fattori dati e dallaprevisione sull’esito delle loro dinamiche.Responsabilità significa ascolto e “obbedienza”nei confronti di un compito che trascende o cheè ulteriore rispetto all’immanenza del sistema.Può darsi un tale compito per l’Europa? Uncompito che sia contraccolpo, appunto, e nonastratta, irrealistica, velleitaria negazione delsuo programma?Il compito europeo si è sempre filosoficamenteconcepito come quello stesso dell’interrogazio-ne e della ricerca. Ma esso è sempre stato anchemosso da una incoercibile volontà di sussumerein sé e comprendere la totalità dell’ente, da unacoazione all’Ordine. Concepire in questa dire-zione il compito europeo non vorrebbe direaltro che farne il fondamento del suo stesso“programma”. In esso, infatti, si afferma lostesso imperativo dell’annullamento di ognidistanza, della riduzione delle differenze a divi-sioni operativo-funzionali del lavoro del siste-ma complessivo, dell’assimiliazione della libertàa uguaglianza giuridica formale di fronte alleleggi immanenti in quest’ultimo. Da questopunto di vista il programma europeo incarnaperfettamente il compito o la missione cheall’Europa sembrava affidare la sua filosofia.Compimento della filosofia, dunque, o suasopravvivenza come pura ermeneutica, com-prensio-imitazione del fatto?Ma non vi è per la filosofia interpretazionesenza critica. E la critica si esercita prima ditutto proprio su quella immagine del mondoche pretenderebbe di trasfigurarlo in sistema.Questa immagine è insuperabilmente antino-mica; sistema di un tutto non è costruibile, cosìcome non appare formulabile una legge dellaNatura. Un sistema è efficace (e le leggi che inesso si formulano avranno valore predittivo)soltanto se si auto-limita, proteggendosi dalrumore esterno. Ma ciò che è disturbanterumore per un sistema è il linguaggio di unaltro. La logica del sistema correttamente intesapresuppone l’esistenza di insuperabili differen-ze; non omologa, non uguaglia, ma distingue e

analizza. La filosofia, in quanto esercizio dellacritica contro ogni devastazione dei limiti del-l’intelletto e del suo linguaggio, potrebbe dun-que, oggi, affidare all’Europa il compito di dis-solvere gli idola dominanti (idolatrati o apolitti-camente respinti che siano), tutti compresi nelpensiero della destinata affermazione di unaforma di relazioni economiche, sociali, culturali,in grado di ridurre il mondo a sistema.Nessun compito, tuttavia, e nessuna responsa-bilità possono esprimersi nel puro eserciziodella critica. Una loro idea può cominciare afarsi luce allorché si comprenda come quel fine,il mondo-sistema, contraddica la causa finale (lacausa “principe” per San Tommaso!) di quell’a-gòn, di quel conflitto-dialogo, relazione-pole-mos, che costituisce il proprio della storia euro-pea.La sua causa finale è il riconoscimento che lapersona libera ricerca e riceve da una soggetti-vità che riconosce nel suo valore, la cui libertànon sia in nulla negoziabile. Non può esservisoddisfazione che in questo: riconoscere il mioessere-libero attraverso e nella libertà dell’altro.Se io mi ritengo l’artefice della libertà dell’altro,la sua libertà dipende da me e per ciò stessocessa di essere tale. Ma per ciò stesso vienmeno anche la mia soddisfazione, poiché l’esse-re riconosciuto da chi “dipende” non potrà maiattestare il mio valore. Non posso esser certo dime se non sono certo del valore dell’altro, nédella mia libertà se il suo riconoscimento mi èdovuto. La soddisfazione è pensabile soltanto sel’altro permane di fronte a me in tutto il suovalore, e dunque se nessuna uguaglianza con-clude il nostro polemos. Altrettanto inconcepi-bile diviene la “causa finale” di ogni mio agire(e di quella forma del fare che è il pensare stes-so) se un’astratta separatezza spezza la relazio-ne, o se la relazione è stabilita da norme, proce-dure, autorità trascendenti le soggettività ingioco.La relazione è un’avvicinanza che non si con-clude mai, un essere-insieme nella distanza, main una distanza agita, percorsa, sofferta, maimisurata-contemplata semplicemente. Là doveessa “soddisfa” è proprio allorché l’identità del-l’altro mi appare più definita e insuperabile nelsuo valore, poiché è da parte di una tale identi-tà che perseguivo il riconoscimento. Là dove larelazione con l’altro più profondamente misoddisfa è dove massima appare la disugua-glianza con lui. La relazione avvicina alla com-prensione della distanza. La distanza non èmuta separatezza, ma il ritmo della relazione.

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Soltanto un pensiero così articolato, metafori-co-analogico, sarà allora in grado di salvare insé quella idea di soddisfazione-gioia(Befriedigung) che è causa finale di ognipathos e di ogni logos: l’idea del conoscere sestessi nel valore del proprio essere-liberi attra-verso il riconoscimento che a noi dona unapersona uguale a noi soltanto per il proprioessere-libera. Un simile pensiero affermeràl’intollerabilità di ogni negazione di tale idea, ecioè di ogni sofferenza, non per sentimentalebuon cuore, ma perché essa renderebbe impos-sibile la mia gioia: lo sguardo di chi soffre, dichi è costretto a dipendere non sarà mai infattiquello sguardo libero in cui posso ritrovare ilmio proprio valore. Neppure il più banalebenessere potrebbe per me ormai reggersi sul-l’esistenza di dannati (Adorno).Questa idea sostiene una ricerca, una interroga-zione, che non sarà quella che domina nellalogica della scoperta. Ricerca sempre: avvicinan-za, appunto, che si esprime per congettura,metafora, analogia – ma che non disvelerà mai ilproprio, l’eschaton dell’altro, né di quell’altroche sono a me stesso. Una ricerca che mostrarealisticamente la distinzione, che non si conclu-de in alcuna Pax profunda (cirene kai asphaleiaè lo slogan dell’Anticristo! Ma che nella stessadistanza vede la compatibilità, nel logos delladistanza ciò che accoglie e collega i distinti.Può l’Europa ricordare tale pensiero? Soloattraverso la critica di quell’idea di libertà cheha retto ogni sua scoperta e ogni sua volontà dipotenza: libertà come ciò che possediamo e checiò che possediamo misura, libertà come ciòche siamo chiamati a imporre, con cui voglia-mo “battezzare” il mondo. Nel gioco di vici-nanza-distanza che rende possibile quella rela-zione cui abbiamo fatto segno, libertà è appun-

to, invece, ciò che nessuno possiede, ciò cherende possibile quell’aperto dove la relazioneaccade e che la relazione esprime, che nellarelazione ek-siste, senza in essa mai potersiesaurire. Il più europeo dei beni, come lo chia-mava Benjamin, l’ironia, va spietatamenteesercitato contro l’idolo della libertà, comegeloso possesso del singolo, proprietà dell’indi-viduo, che egli si ritiene perfino capace didimostrare e provare. La libertà si esprime pro-prio nel tramonto di ogni pretesa di possederla,pretesa che è il fondamento di ogni philopsi-chia. La libertà si esprime nella ricerca delXynon, del Communis, che, appunto perchétale, a nessuno appartiene, bene non “matema-tizzabile”, (non mathema) comunicabile informa definita, e tuttavia presupposto di ognicomunicazione: ogni comunicazione si sporgesull’abisso del Cum che, come tale, non è a suavolta dicibile; il Cum mostra sé, diremmo,come la possibilità dell’accadere della comuni-cazione. Questa è la Libertà cui corrispondiamoesprimendola nell’essere responsabili, ovveronel corrispondere alla radicale domanda delriconoscimento e alla insopprimibile esigenzadi Befriedigung.L’Europa può rappresentarsi nel programmadestinato dalla potenza dell’”impianto”, ilGestell heideggeriano tecnico-economico,oppure nell’idea di un foedus tra chi salva lapropria libertà nel riconoscimento da parte diquella dell’altro, e dunque tra chi ironizza sullapretesa di possederla da sé, tra chi la concepisceanalogicamente come il Bene im-possibile.L’Europa è chiamata a decidersi tra la “barbariemonista” (Berlin) e l’amore per questo impos-sibile, che custodisce la distanza nella più insu-perabile delle relazioni (quella, appunto, checongiunge gli assolutamente distinti). Volerconoscere l’unità del mondo come mondo-sistema sul presupposto della verità assolutadella propria identità appare oggi, invece, comela via maestra per scardinare ogni possibileavvicinanza. Per citare Berlin ancora: se nonsapremo tollerare – ma nel senso primo deltollere: portare in alto, mostrare nella loroaltezza – valori in conflitto (polemos), se accet-teremo il dogma che essi devono ridursi a Uno,che il mondo ha un grande Disegno e si trattadi metterne insieme i pezzi, ciascuno al suoposto destinato, elimineremo ogni espressionedi libertà. La ridurremo a misura della propriapotenza. Certo, l’Europa si sarà allora per sem-pre decisa – ma perché avrà deciso la propriadefinitiva scomparsa.

CULTURA

La relazione avvicina

alla comprensione

della distanza.

La distanza non è

muta separatezza,

ma il ritmo stesso

della relazione