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Liceo Cantonale di Lugano 1 Viale Carlo Cattaneo 4 6900 Lugano Anno scolastico 2014/2015 Lavoro di Maturità (Storia) La parola al testimone L’uso di fonti orali per approfondire la conoscenza della storia «L'ULTIMO DEI PARTIGIANI» La testimonianza di Enzo Folezzani sull'esperienza partigiana nell'Appennino parmense. Docente responsabile Massimo Chiaruttini Simone Boraschi – IV°F Via Muraccio 6987 Caslano

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Liceo Cantonale di Lugano 1 Viale Carlo Cattaneo 4 6900 Lugano

Anno scolastico 2014/2015 Lavoro di Maturità (Storia)

La parola al testimone L’uso di fonti orali per approfondire la conoscenza della storia

«L'ULTIMO DEI PARTIGIANI»

La testimonianza di Enzo Folezzani sull'esperienza partigiana nell'Appennino parmense.

Docente responsabile Massimo Chiaruttini

Simone Boraschi – IV°F Via Muraccio 6987 Caslano

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Caro Enzo, in questi mesi ho avuto modo di ascoltare e di analizzare la tua storia. Sono molto contento di avere avuto questo onore, soprattutto perché, per me che ho i nonni di Palanzano, questo lavoro di maturità rappresentava qualcosa di più di un semplice lavoro scolastico. Ti ringrazio ancora per esserti messo a disposizione e spero che il lavoro possa piacerti. Buona lettura!

Simone Boraschi

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ABSTRACT Nell’Italia della seconda guerra mondiale, occupata dai nazisti, un giovane ragazzo emiliano viene costretto a scappare e a unirsi ai partigiani sui monti sopra a Parma, per sfuggire alla chiamata nell’esercito della Repubblica sociale italiana. La vicenda ha inizio nel paese di Langhirano, in provincia di Parma, e si concluderà il giorno della Liberazione a Parma. L’avventura in montagna lo mette in contatto con tutto il movimento resistenziale che si sta formando nell'estate del 1944 sugli Appennini emiliani. Oggetto del mio lavoro di ricerca è la raccolta di questa preziosa testimonianza in un’intervista audio-filmata. Questa intervista, analizzata mediante l’utilizzo di fonti orali e della ricerca storiografica, ha permesso di approfondire il periodo storico della Seconda guerra mondiale sul fronte italiano, con particolare attenzione alla zone della provincia di Parma.

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INDICE 1. Introduzione p. 9 2. Il testimone e la sua vicenda p. 11

2.1. Scheda biografica del testimone p. 11 2.2. Informazioni sulle circostanze della scelta della persona p. 12 2.3. Breve descrizione di quanto narrato dal testimone p. 13

3. Le fonti orali e il loro ruolo nello studio della storia p. 15

3.1. I vari tipi di fonte p. 15

I. Le fonti orali II. L'uso delle fonti orali nella ricerca storica

III. Interpretazione delle fonti orali 3.2. Breve resoconto sulla propria esperienza personale nell’uso della p. 19 testimonianza orale

4. Il contesto storico nel quale si svolgono le vicende narrate dal testimone p. 21 4.1. La II guerra mondiale p. 21

I. L'asse Roma - Berlino II. L’entrata in guerra dell'Italia

4.3. La svolta della guerra (1942-1943) p. 23

I. La caduta del fascismo in Italia II. Il governo Badoglio e l'armistizio con gli Alleati

III. L'invasione tedesca IV. L'inizio della "Resistenza all' invasore"

4.4. L'Emilia nella Resistenza P. 28

I. Dall'estate all'inverno 1944 II. La fine della guerra sul fronte italiano

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5. La testimonianza p. 31

5.4. Il Distaccamento "Marco Pontirol Battisti" p. 31 I. Storia

II. Il ruolo della staffetta 5.5. I rapporti della Resistenza p. 47

I. Introduzione II. Rapporto con gli Alleati

III. Rapporto con i Tedeschi IV. Rapporto con la popolazione civile V. Rapporto con i fascisti

5.6. Le giornate cardini della guerra italiana p. 87

I. 25 Luglio II. 8 Settembre

III. 25 Aprile 6. Conclusioni p.103 Bibliografia e Sitografia p.105 Allegati p.109 Ringraziamenti p.115

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1. INTRODUZIONE

Con questo lavoro di ricerca ho voluto indagare sugli avvenimenti principali avvenuti nella provincia di Parma tra l' 8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, prestando particolare attenzione alla brigata partigiana nella quale ha militato il mio testimone, il signor Enzo Folezzani. Prima di incominciare il lavoro concreto sulla testimonianza di Enzo, ho dovuto documentarmi sul contesto storico dentro il quale il testimone è vissuto. Per fare ciò, ho utilizzato diversi libri e testi, provenienti da diverse biblioteche, anche della vicina Penisola. Dopo questa prima fase di documentazione, ho potuto iniziare a svolgere il lavoro. Esso è incentrato sull’analisi di una testimonianza orale, nella quale ho potuto individuare alcuni temi interessanti, che sono stati poi l’oggetto della mia indagine. Questi dati sono stati messi a confronto con la storiografia sull’argomento. Ciò mi ha consentito, da una parte, di appurare la veridicità degli episodi narrati dal testimone; e dall’altra di completare le informazioni ricavate dall’intervista fatta Enzo con quelle fornite dagli storici che si sono occupati dell’argomento. Il lavoro mi ha consentito pure di completare eventuali lacune presenti nella storiografia su singoli episodi raccontati da Enzo, anche se per alcuni episodi, di natura propriamente privata, non è stato possibile fare un confronto storiografico approfondito. Lavorare con una testimonianza orale ha dei vantaggi che le altre tipologie di fonti non possiedono. Oltre a sopperire, come già scritto nelle righe precedenti, a eventuali lacune delle fonti scritte, le fonti orali permettono di andare a esplorare la dimensione della soggettività e della memoria, permettendo di evidenziare come il testimone si è relazionato rispetto all'evento o al contesto storico dentro al quale è vissuto. Inoltre, questa indagine mi ha permesso di conoscere la guerra non solo da un punto di vista generale, ma anche in rapporto ai luoghi in cui i miei nonni sono nati e cresciuti: una prospettiva per me molto interessante e dal grande valore, ma che viene descritta genericamente da ogni manuale di storia. Questa esperienza mi ha arricchito molto, poiché mi ha permesso di rivisitare con uno spirito rinnovato queste terre, con la consapevolezza che anche in zone molto vicine alle nostre latitudini elvetiche,vi sono luoghi dove si è respirata appieno l'esperienza della

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guerra; dove la popolazione ha subito le angherie degli invasori e dove i resistenti hanno combattuto per la cosa più importante: la riconquista della libertà, persa con il fascismo e riconquistata dai partigiani.

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2. IL TESTIMONE E LA SUA VICENDA

Scheda biografica del testimone: Il mio testimone si chiama Enzo Folezzani. È nato a Langhirano (in provincia di Parma) l' 11 marzo 1926 in una povera famiglia contadina. All'inizio degli anni Quaranta ha incominciato a lavorare in fabbrica presso la ditta Carletto Ferrari di Torrechiara, specializzata nella trasformazione dei pomodori. Di solida fede socialista, si è unito ai partigiani all'età di diciotto anni, all'inizio dell' estate del 1944, dopo essere scappato in modo rocambolesco da casa a causa della chiamata alle armi per i giovani di classe '26 da parte della Repubblica sociale italiana. Assieme a lui, altri ragazzi si nascosero nello stabilimento dove lavorava e, grazie alla collaborazione del padrone, non furono trovati dai Tedeschi. Dopo esser scampato al pericolo, si diede alla macchia, finendo per entrare, assieme a tutti gli altri ragazzi fuggiti con lui, in un distaccamento partigiano. Da lì in seguito ha combattuto per conto del distaccamento “Marco Pontirol Battisti”1 della 47°Brigata Garibaldi nella zona tra Palanzano, Corniglio e Parma sino alla Liberazione con il nome di battaglia di "Sandokan". Durante la sua militanza nel distaccamento, è stato utilizzato come staffetta per trasportare viveri, armi e messaggi tra la pianura e le montagne in quanto, vista la sua giovane età, nessuno poteva sospettare che potesse collaborare con la Resistenza. Malgrado ciò, era uno degli uomini più esposti, in particolare durante le tappe in pianura. Appena scendeva dalla montagna e s’incamminava verso Parma, le famiglie si chiudevano in casa e non gli aprivano la porta, pur di non attirare l'attenzione delle truppe tedesche. Anche non possedendo un'arma, è stato artefice di diverse azioni rischiose. Una volta, sulla strada per Langhirano, aveva il compito di portare in montagna alcune armi (per l'esattezza si trattava di un mitra e una decina di bombe a mano) nascoste sotto i vestiti. Lungo il tragitto incontrò per caso un automezzo delle SS tedesche che si stava dirigendo verso Parma. Appena li avvistò, si sedette sui gradini di una casa vicina e rimase lì quieto fino a quando i Tedeschi non furono passati oltre, senza neanche degnarlo di uno sguardo.

1 Il distaccamento "Marco Pontirol Battisti" faceva parte del secondo battaglione della 47° Brigata d'Assalto Garibaldi, che operava prima nella zona compresa tra Langhirano e Palanzano e, in seguito, sul versante parmense della valle dell'Enza. Il distaccamento è nato dopo l’uccisione in combattimento del giovane Marco Pontirol Battisti nel paese di San Michele Tiorre, tra Pilastro e Felino (Istituto tecnico statale Carlo Emilio Gadda, "Le bande partigiane nelle valli del Parma e del Baganza", pp. 41-42)

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Nel corso delle commemorazioni del 70° anniversario della Resistenza (1943-2013) gli è stata conferita un'onorificenza come membro del Comitato d'onore ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Provinciale di Parma) per il generoso impegno nella lotta di Liberazione.

Informazioni sulle circostanze della scelta della persona: La Resistenza italiana è uno dei capitoli più importanti dell'Italia durante la sua breve e travagliata esistenza ed è un tema che sin dalle medie ha riscosso in me parecchio interesse. Le azioni della Resistenza risultavano attrattive, soprattutto perché chi le compiva erano i partigiani: figure patriottiche e misteriose che mettevano davanti agli interessi personali quello dell'intera popolazione italiana, stremata dalla guerra, dalla dittatura e dall'invasione tedesca. Ho conosciuto Enzo tramite una mia zia. Lei vive nel paese di Torrechiara, frazione di Langhirano (in provincia di Parma) da diversi anni. Nel suo tempo libero, collabora con l'associazione "Donne di Torrechiara", che organizza diversi eventi culturali sul territorio comunale. Quando, tramite lei, i componenti del gruppo hanno saputo il mio interesse ad organizzare un lavoro di maturità incentrato sulla Resistenza, hanno individuato Enzo come uno dei possibili testimoni. Le figlie, Paola e Morena, mi hanno messo in contatto con il padre, che ha accettato volentieri di mettersi a disposizione per il lavoro. Nel mese di febbario2014, ho incontrato Enzo di persona a Langhirano e in questa occasione ci siamo accordati e abbiamo pianificato le modalità dell'intervista. Sono stato fortunato a poter fare un lavoro di maturità incentrato sulla figura di un partigiano e lo sono stato ancora di più quando sono riuscito a trovarne uno, ancora uno vivo e vegeto, nei dintorni di Langhirano, ai tempi uno dei centri della guerra di Resistenza nel Parmense: un testimone capace di riesumare le vicende della vita partigiana nelle valli del Parma e dell’Enza a oltre settant’ anni dalla fine del conflitto. Ai giorni nostri di questi testimoni non ne rimangono più molti in vita e spesso le condizioni di salute sono tali da non permettere più un dialogo. Da loro è stata raccolta una preziosa memoria di quegli anni difficili e spero che il mio testimone possa aiutare a fare altrettanto per contribuire con la sua testimonianza a chiarire ancora meglio quello che è successo nel Parmense durante gli anni della Resistenza all'invasore.

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Breve descrizione di quanto narrato dal testimone: Nella sua intervista, il testimone parla dapprima della sua infanzia sotto il regime fascista, e descrive le difficoltà per le famiglie di Torrechiara a sfamarsi. In seguito della sua formazione e del suo lavoro, presso la ditta del signor Carletto Ferrari a Langhirano, nonché di due giorni particolari durante la guerra: il 25 luglio e l' 8 settembre del '43. Ma la parte principale dell'intervista il testimone la riserva a raccontare il suo trascorso nelle file della Resistenza. Enzo non viene sollecitato a inizio guerra per entrare nell’esercito italiano, sino alla primavera del ’44, quando riceve la cartolina di chiamata nell’esercito della Repubblica sociale. Enzo non voleva partire e grazie alla complicità del datore di lavoro riesce a sfuggire ai reparti tedeschi e a rifugiarsi assieme ad altri compagni della classe ’26 su per i colli, verso Tizzano, in località Lalatta. La permanenza a Lalatta è breve ed Enzo decide di prendere la via per i monti con gli altri coetanei, con la speranza di unirsi a una delle formazioni partigiane della zona. Con i compagni si unisce al neonato distaccamento "Marco Pontirol Battisti", che verrà inquadrato nell’estate del 1944 nella 47esima Brigata Garibaldi. Il compito assegnatoli all’interno del distaccamento gli permette di girare tutta la regione, da Bibbiano a Palanzano, da Corniglio a Basilicanova e in molti altri luoghi. Durante i suoi spostamenti gli capita di incrociare lungo le strade parmensi i reparti dell’esercito tedesco: un grande rischio, malgrado non disponesse di alcuna arma. Questa scelta era legata alla morte di un suo compagno di Scurano, ucciso in un agguato a Torrechiara. Un alto graduato dell’esercito inglese, incontrato sulle montagne, lo utilizzerà come suo aiutante fino alla vigilia della Liberazione. Enzo, durante il periodo in cui il militare è in collina, lo segue in particolare durante i lanci di munizioni e cibarie tra Monchio, Palanzano e Corniglio. Il giorno della Liberazione, Enzo, assieme a parte del distaccamento, scende a Parma, dove festeggia la fine della guerra e dell'invasione. La testimonianza si conclude con un aneddoto legato alla sua passione per i motori e alle persecuzioni subite dai fascisti nel periodo post-guerra a Langhirano e dintorni.

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3. LE FONTI ORALI E IL LORO RUOLO NELLO STUDIO DELLA STORIA

I vari tipi di fonte: Per poter raccontare la storia, lo storico deve fare affidamento su tutto ciò che gli permette di conoscere il passato. Per questo, le fonti storiche rappresentano un appiglio sicuro al quale il ricercatore può fare affidamento. Esse si possono suddividere in quattro categorie: le fonti scritte, le fonti mute, le fonti iconografiche e le fonti orali. Le fonti scritte rappresentano tutte le prove che consistono in materiali riguardanti la scrittura. Esse si dividono sostanzialmente in fonti narrative e fonti documentarie; nonché rappresentano la fonte principale sulla quale fa affidamento uno storico per le ricerche. Le fonti mute sono costituite da tutti quegli oggetti e/o opere create dall'uomo, che permettono di avere un quadro migliore sull'epoca nella quale sono state create, come edifici, utensili, monete, ecc. Le fonti iconografiche rappresentano tutte le fonti visive come graffiti, affreschi, dipinti ed oggetti sui quali compaiono delle immagini create dall'uomo. Da ultimo, le fonti orali rappresentano tutto ciò che ci è stato trasmesso oralmente ed è arrivato sino ai giorni nostri. Ad esempio: racconti, leggende, canti, ecc2. Inoltre si può ancora fare distinzioni tra le fonti storiche volontarie, quindi redatte o create con lo scopo di lasciare una testimonianza ai posteri, e le fonti storiche involontarie, che invece non sono state create con questo scopo. Da ultimo, si può differenziare ancora tra fonti storiche primarie, ovvero tutte quelle fonti che arrivano a noi senza mediazione alcuna (come ad esempio le monete e i monumenti d'epoca), e le fonti secondarie, dove è possibile osservare la presenza di un intermediario, in genere uno storico (ad esempio i manuali di storia).

Le fonti orali: Ma facciamo un passo a ritroso e torniamo alle fonti orali. Queste fonti possiedono significativi elementi di specificità e per analizzarne nel dettaglio le caratteristiche bisogna fare una accurata separazione. Bisogna infatti distinguere tra le fonti orali in senso lato e in senso stretto. Tra queste ultime possiamo trovare unicamente le interviste

2 Cesare Bermani , Introduzione alla storia orale I, p. 1.

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registrate da storici e studiosi con persone alle quali si chiede di parlare della propria vita o di raccontare specifici eventi del passato. In senso lato invece, possiamo trovare tre tipologie di fonti orali: i racconti e i testi formalizzati trasmessi di bocca in bocca da una generazione all'altra; qualsiasi conversazione attraverso la quale gli storici acquisiscano da terzi elementi di conoscenza su temi che riguardano la loro ricerca e ogni forma di comunicazione orale risalente al passato e in grado di essere ascoltata. Le fonti orali si caratterizzano comunque sulla base di quattro specificità: la forma orale, l'evento-intervista, la soggettività e il carattere narrativo3. La forma orale è una specificità in quanto le fonti orali sono il risultato di un dialogo tra due o più soggetti orali, che si rapportano l'un l'altro attraverso il parlato. Assieme al parlato, la comunicazione può seguire anche altri canali come il ritmo dell'enunciazione, l'intonazione della voce, la mimica facciale e la gestualità4. Le fonti orali non potrebbero esistere se non vi fosse un evento comunicativo. Questo evento, chiamato generalmente intervista o colloquio, è diverso dalle forme di narrazione classiche come fiabe ed esposizioni orali. Infatti, l'intervista ha al suo interno un carattere d'interazione codificata e performativa. Questo significa che non c'è il tempo per pianificare nella nostra mente il discorso che si vuole raccontare all'altro, ma bensì c'è una presa diretta con il pensiero. Rispetto alle altre fonti, le fonti orali si dotano di una spiccata soggettività5. In queste, come anche nelle fonti del privato (intese come scritture personali: diari, lettere, memorie, autobiografie), la soggettività degli individui trova espressione in maniera particolarmente forte e diretta e le informazioni che veicolano riguardano la vita dei soggetti coinvolti, nonché il significato che gli eventi prendono ai loro occhi. Da ultimo, le fonti orali posseggono la caratteristica di avere un carattere narrativo6, poiché consistono in un racconto che il testimone fa della propria vita o di un avvenimento storico a lui vicino. Questo lavoro viene preceduto da una fase di ricerca delle parti e in seguito di assemblaggio delle stesse, che verranno poi intessute alla trama narrativa7.

3 Bruno Bonomo, Voci della memoria, pp. 22-25. 4 Cesare Bermani, Op. cit. , pp. 151-152. 5 Va indicato che, in verità, nessuna fonte si può ritenere oggettiva, in quanto prodotta dall'uomo e quindi creata in base alla soggettività dei produttori, nella quale si rispecchiano atteggiamenti, pensieri, valori e sentimenti che possono essere differenti da persona a persona. (Bruno Bonomo, Op. cit., p. 24) 6 Cesare Bermani, Op. cit., pp. 152-153. 7 Cesare Bermani, Ivi, p. 154.

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L'uso delle fonti orali nella ricerca storica: L'utilizzo delle fonti orali all'interno di una ricerca storica può essere dettato da due motivi: il primo riguarda una carenza di fonti di altro genere (come le fonti scritte) o di vincoli che ne impediscono la consultazione8; il secondo è un motivo di possibilità. Infatti, vi è la possibilità di poter sfruttare le potenzialità specifiche che le fonti orali mettono a disposizione. Grazie a ciò, le fonti orali possono fornire informazioni a più piani: sul piano degli avvenimenti e delle esperienze personali e sul piano della soggettività e della memoria. Per quanto riguarda il primo livello, le fonti orali sono in grado di mettere in luce aspetti importanti del passato, la cui ricostruzione non potrebbe avvenire con la consultazione di altre fonti. Le fonti orali possono anche sopperire a lacune di altre fonti o permettere l'integrazione delle altre tipologie di fonti riguardo a eventi privati. Nel secondo livello, le fonti orali sono di grande utilità per esplorare la dimensione della soggettività e forme della memoria. Così facendo si va a indagare la psicologia, la mentalità, la visione del mondo, l'auto-rappresentazione e il rapporto con il passato di individui e gruppi sociali9. L'analisi di queste testimonianze permette di andare a cogliere il significato che i testimoni attribuiscono alle proprie esperienze personali e alla vicende passate, ma anche come l'hanno elaborato nel corso del tempo e come lo interpretano nel momento in cui sono stati chiamati a raccontarlo. A entrambi i livelli, le fonti orali presentano un vantaggio rispetto alle altre fonti. Esse infatti sono espressione diretta della soggettività e hanno una natura retrospettiva, ovvero vengono prodotte unicamente quando l'evento ha già avuto luogo da diverso tempo. Oltre a ciò, se si va a studiare periodi storici non remoti, la gamma di persone intervistabili è molto più ampia rispetto alle epoche remote, di cui si possono analizzare unicamente le fonti scritte10. Per rendere al massimo con il lavoro, lo storico deve effettuare un "intreccio di fonti", così da poter fare affidamento su una maggiore quantità di testimonianze, cercando di non affidarsi ad un’unica fonte orale o a un'unica documentazione.

Interpretazione delle fonti orali: Prima di tutto va ricordato che le fonti orali devono passare un attento esame critico. Infatti nessuna fonte può essere considerata completamente fedele o neutrale rispetto agli eventi, in quanto ognuna di esse è influenzata dalla visione del mondo, dal contesto 8 Cesare Bermani, Ivi, pp. 149-150. 9 Bruno Bonomo, Op. cit., p. 84. 10 Vedi nota 7.

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socio-culturale e dalle circostanze nelle quali è vissuto chi l'ha prodotta11. Per questo le fonti vanno considerate come tali e non come la "storia più vera" in quanto espressione diretta dei protagonisti. Il ricercatore deve quindi cercare di non farsi sopraffare dal "fascino del testimone". Ma, naturalmente bisogna dimostrarsi il più possibile comprensivi ed empatici, cercando al tempo stesso di capire la loro mentalità e di immedesimarsi in loro stessi. Allo stesso tempo bisogna mantenere una distanza critica e cercare di avere una “sana diffidenza” in modo da poter cogliere, nel racconto dei fatti, le contraddizioni e i punti dove il racconto esula dalla realtà dei fatti stessi12. Risulterà chiaro che per i due piani le operazioni di analisi saranno differenti e avranno obbiettivi diversi. Per quanto riguarda il primo piano, quello dei fatti e dell'esperienza personale, risulterà fondamentale verificare la veridicità e l'accuratezza fattuale dei racconti, attraverso una comparazione tra varie fonti. In questo modo sarà possibile scindere il contenuto di verità da eventuali passaggi problematici13. Sul secondo piano, quello della ricostruzione degli eventi e degli atteggiamenti e comportamenti del passato, è chiaramente indicato che i fatti non coerenti siano da rigettare. Ma su questo piano assumono una notevole importanza, in quanto risultano preziosi al fine di esplorare la memoria e la soggettività dei narratori14. Il processo di alterazione e di distorsione dei ricordi è un fenomeno ricco di significato, in quanto può mettere in luce la mentalità, le motivazioni e la condotta non solo di chi le ha prodotte, ma anche di chi nel tempo vi ha prestato fede15. Vi possono essere infatti degli “agenti perturbatori” che possono andare a influire sulla ricostruzione coerente e veritiera dei fatti16. Uno dei fattori principali di disturbo può essere il rapporto tra il tempo delle vicende ricordate e il tempo del ricordo.

11 "Le fonti non sono dunque finestre spalancate sulla realtà su cui ci informano, ma semmai vetri deformati (Ginzburg, 2000, p. 49) ." (Bruno Bonomo, Op. cit., p. 98) 12 Cesare Bermani, Op. cit., pp. 154-158. 13 Passaggi dove la sequenza cronologica è confusa o gli avvenimenti sono ricostruiti in maniera fantasiosa. (Bruno Bonomo, Op. cit., p. 99) 14 Bruno Bonomo, Ivi, p. 100. 15 Bruno Bonomo, Ivi, p. 101. 16 In primis le ricostruzioni proposte dai mass media, dai libri e dagli altri prodotti dell'industria culturale. In più, il racconto potrebbe essere influenzato dalle condizioni di vita, dal sistema di valori e dallo stato d'animo attuale del testimone, che andrebbero determinare una ricostruzione incoerente e forviante con i fatti storici documentati. (Bruno Bonomo, Ivi, p. 105 e 107)

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Breve resoconto sulla propria esperienza personale nell’uso della

testimonianza orale: Nel corso di questi mesi ho avuto a che fare, per la prima volta, con un lavoro nel quale la testimonianza orale rappresentava il mezzo principale della ricerca. Malgrado fosse per me la prima volta, non ho incontrato difficoltà nello svolgere il lavoro di raccolta dati e penso che sia dovuto all'accurata preparazione sull'argomento fatta nei mesi precedenti in classe per merito del docente. Ritengo importante aggiungere che la preparazione fatta sugli strumenti per riprendere oralmente e visivamente il testimone sia stata ripagante ai fini del lavoro. Per quanto riguarda la lingua non ci sono stati problemi, in quanto il testimone si è espresso per quasi tutta l'intervista in italiano, con qualche passaggio in dialetto parmense, che sono riuscito a comprendere. Va aggiunto, a onor del vero, che il testimone ha arricchito la testimonianza con una mimica facciale e una gestualità che si sono rivelate molto utili ai fini dell'interpretazione della testimonianza. Dal punto di vista del rapporto umano tra l'intervistato e l'intervistatore non ci sono state grandi reticenze, se non all'inizio dell'intervista.

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4. IL CONTESTO STORICO NEL QUALE SI SVOLGONO LE VICENDE NARRATE DAL TESTIMONE

La II guerra mondiale

L'asse Roma - Berlino: Nel corso del maggio del 1939, l'Italia, guidata dal dittatore fascista Benito Mussolini, stipula con la Germania nazista di Adolf Hitler un accordo di sostegno reciproco tra i due paesi, che prenderà il nome di Patto di Acciaio17. Dall'altra parte dell'Europa, i paesi democratici si rifiutano di ricevere la protezione dell’Unione Sovietica18 contro le mire espansionistiche del regime nazista19. In seguito i sovietici incominciano a intavolare negoziati con il regime tedesco, che si concludono il 23 agosto del 1939 con la firma di un patto di non-aggressione20, conosciuto come il patto Molotov - Ribbentrop. Il 1° settembre del 1939, la Germania invade la Polonia. Pochi giorni dopo, il 3 settembre, Francia e Gran Bretagna le dichiararono guerra, mentre l'Italia aveva già dichiarato il 1° settembre la sua non-belligeranza. La seconda guerra mondiale sembrava correre sugli stessi binari della prima, dove la Germania voleva accrescere la propria egemonia sull'Europa e la Francia e l'Inghilterra vi si opponevano21. L'attacco della Germania si sposta nei mesi successivi verso la Danimarca e la Norvegia, mentre a est, l'URSS, che aveva già preso il controllo delle tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, invade la Finlandia. Nel corso di poche settimane la Germania entra 17 Ad accomunare i due paesi era la voglia di ampliare la propria sfera di influenza sull'Europa. Prima del patto di alleanza, l'Italia aveva firmato con la Germania un patto di amicizia (denominato poi "Asse Roma - Berlino"), ma Mussolini fu colto di sorpresa dal dinamismo della Germania e fu costretto ad accettare passivamente tutte le iniziative di Hitler. Il tutto si concluse nel maggio del '39 con la firma del Patto d'Acciaio (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, I mondi della storia, pp. 184-185 e pp. 214-215; Christopher Duggan, "La forza del destino", p. 584 e Armando Saita, Dal fascismo alla Resistenza, pp. 150-152). 18 Ciò fu dovuto a una serie di reciproche e non infondate diffidenze. (Andrea Giardina, Ivi, p. 216) 19 Nel 1936 la Germania aveva militarizzato la Renania (regione tedesca confinante con il Belgio) senza che l'Inghilterra o la Francia intervenissero. In più, la Germania era riuscita ad annettere l'Austria al Reich nel corso del 1938 con l'appoggio di Benito Mussolini e senza il disturbo di nessuna delle due potenze. Per contro, sia la Francia che l'Inghilterra cercavano di portare avanti una politica di "pacificazione" nel tentativo di ammansire Hitler e di evitare il dilagare in Europa del Reich. (Marc Ferro, La seconda guerra mondiale, pp. 13-14) 20 Fallite le trattative con i paesi occidentali, l'URSS incomincia a prestare attenzione alle offerte provenienti dalla Germania. Il 23 agosto 1939 a Mosca viene stipulato tra i due ministri degli esteri un patto di non-aggressione. Questo gesto, così spregiudicato e insolito per due regimi ideologicamente diversi, portò ad ambo le parti numerosi vantaggi. (Marc Ferreo, Ivi, pp. 38-39) Il patto prese il nome dei due ministri degli esteri che parteciparono ai colloqui: il ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop e il suo omologo sovietico Vjaceslav Molotov. (Alessandro Aruffo, Geografie della storia, p. 246) 21 Hitler, mirando all'espansione della Germania, aveva già annesso nel 1938 l'Austria e nel 1939 aveva conquistato anche la Boemia e la Moravia (attuale Repubblica Ceca). (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Op. cit., pp. 166-167 e 214-215)

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in possesso anche del Belgio, dell'Olanda, del Lussemburgo e infine della Francia, che fu costretta a firmare l'armistizio con i Tedeschi il 22 giugno del 1940.

L'entrata in guerra dell'Italia: L'Italia rimase sorpresa delle mosse tedesche, in quanto nel maggio del '39 Hitler aveva promesso a Mussolini di non incominciare un'ipotetica guerra prima di un paio di anni22. Dichiarando la sua non-belligeranza, l’Italia disattese i patti stretti con il regime di Hitler. Ma la scelta era saggia ed era anche dettata dallo scarso e antiquato armamento delle truppe italiane, che non avrebbe permesso al paese di combattere una guerra di lunga durata23. Ma il crollo repentino della Francia spazza via le ultime esitazioni di Mussolini e, vincendo le resistenze delle sua classe dirigente e del re, nonché degli industriali, decise di entrare in guerra al fianco dell’alleato tedesco. Così il 10 giugno del 1940, il duce annuncia alla nazione dal balcone di Palazzo Venezia a Roma24 l'entrata in guerra dell'Italia al fianco della Germania contro le "democrazie plutocratiche dell'Occidente25." Mussolini voleva combattere una guerra parallela a quella della Germania, ma non subalterna26. L'attacco alla Francia, già sconfitta e in condizione di netta inferiorità numerica sul fronte italiano, si concluse con pochi vantaggi e molte perdite fra i reparti italiani27. Come mossa successiva, Mussolini tenta di sfondare anche in Grecia nell'ottobre del 1940. Ma l'esercito italiano, privo di un'adeguata preparazione, si scontra con una resistenza molto più dura del previsto. Già alla fine di novembre gli Italiani sono costretti a ripiegare nel territorio albanese. In Africa le cose non andarono meglio. Nel dicembre dello stesso anno, gli Inglesi passano al contrattacco e 22 Christopher Duggan, Op. cit., pp. 592-593 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Op cit., p. 351. 23 L'esercito rispecchiava perfettamente l'immagine di un'Italia arretrata rispetto agli altri paesi europei, Francia e Germania in primis. Mussolini si rese conto che temporeggiare con l'alleato tedesco sarebbe stata la scelta migliore, e lo fece sino al maggio del '40. Quando si rese conto che la situazione stava pendendo dalla parte di Hitler, decise di cavalcare l’onda. Cosi dichiarò guerra alla Francia, già sottomessa al giogo del Führer, sperando di trarne profitto per le sue mire espansionistiche. (Aurelio Lepre e Claudia Petraccone, Storia d'Italia dall'unità ad oggi, p. 239 e Christopher Duggan, Op. cit., pp. 590-591 e 593) 24 Secondo la propaganda fascista, l'Italia, conquistatasi il rango di grande potenza dopo l'uscita vincente dalla I° guerra mondiale, era legittimata ad annettere a sé nuovi territori in quanto potenza dominante mediterranea. (Emilio Gentile, La Grande Italia, pp. 208-212 e Armando Saita, Op. cit., p. 148) 25 Già a partire dal 1936, la frattura tra la Società delle Nazioni e Mussolini divenne insanabile a causa della conquista dell'Etiopia. Questo permise al Duce di dare al popolo italiano un' immagine grottesca dei suoi antagonisti e di legittimare la conquista africana. In quest'ottica, Mussolini ebbe vita facile a far passare la guerra al fianco della Germania come una guerra legittima e meritevole di essere combattuta dal popolo italiano. (Emilio Gentile, Ivi, p. 594-596) 26 Lo si nota negli obbiettivi. L'idea hitleriana, che poneva come obbiettivo la conquista dello "spazio vitale", era l’espansione verso i paesi dell'est, mentre Mussolini era propenso a invadere i Balcani, la Grecia, la Turchia e altri paesi mediterranei (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Op cit., pp. 222-224) 27 Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Profili storici, dal 1900 ad oggi, p.495.

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riconquistano tutta la Cirenaica, infliggendo gravi perdite ai contingenti italiani. Per evitare la disfatta e la definitiva cacciata dalla Libia, Mussolini accetta l'aiuto della Germania, che in pochi mesi riporta il territorio sotto il dominio dell'Asse. Da lì a poco, l'Italia avrebbe perso anche gli ultimi territori nell'Africa orientale a favore degli Inglesi, compresa l'Etiopia. Fu un altro duro colpo per l'Italia, oramai costretta ad abbandonare i sogni di una guerra parallela e ad accettare il compito di alleato subalterno28.

La svolta della guerra (1942-1943)

La caduta del fascismo in Italia: Nel corso del 1942, gli Alleati imprimono una svolta decisiva alla guerra. In particolare a farne le spese dell'avanzata delle truppe anglo-americane fu l'Italia. Gli insuccessi al fronte29, uniti agli scioperi scoppiati nelle varie città industriali del Nord Italia nel corso della primavera del 1943 e allo sbarco degli Alleati in Sicilia, alimentarono le preoccupazioni fasciste e le speranze degli oppositori. Ma questi ultimi non disponevano ancora dei mezzi per rovesciare il fascismo con un’insurrezione30. Mentre gli antifascisti stavano meditando una possibile ribellione, all'interno delle mura di palazzo si stava cercando di trovare una via di fuga a una sconfitta annunciata, a tal punto di sacrificare lo stesso Mussolini per salvare il salvabile. Infatti, il Gran Consiglio del Fascismo, riunito nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, approva l'ordine del giorno che invitava il sovrano a riassumere le sue funzioni di comandante supremo delle forze armate31. Questa decisione suonava come una implicita sfiducia al Duce32. Al posto del dittatore, il Re Vittorio Emanuele III nomina alla testa dello Stato il generale Pietro

28 Il sogno del Duce di portare avanti una guerra separata da quella del regime nazista si infrange. Un chiaro esempio di ciò è la Grecia, dove le truppe italiane sono incorporate in quelle tedesche. (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Ivi, p. 225) 29 Il disastro con la Francia; la mancata conquista della Grecia, avvenuta solo grazie all'aiuto di Hitler; gli insuccessi in Nord Africa ottenuti solo con sostegno del Führer. (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, I mondi della storia, pp. 224-225) 30 Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Ivi, p. 239. 31 Dino Grandi (membro del Gran Consiglio del Fascismo), nel presentare l'ordine del giorno del 25 luglio disse: "Un regime ed un partito altro non sono e non furono per noi che un mezzo e uno strumento per la fortuna e la grandezza del nostro paese. I partiti e i regimi sono effimeri, o quanto meno transitori: solo la Patria è eterna! È soltanto ed esclusivamente all'Italia cui si rivolge in questo momento la nostra preoccupazione e la nostra ansia. E se per salvare la Patria noi dovessimo sacrificare e regime e partito e noi stessi, non avremmo per certo un solo attimo di esitazione." (Emilio Gentile, Op.cit., p.232 e Christopher Duggan, Op. cit., p. 600-602) 32 A determinare la caduta del Duce non furono tanto le pretese popolari. Fu invece una sorta di congiura che faceva capo alla corona e vedeva tutte le componenti del regime (industriali, militari, gerarchi dell'ala monarchico-conservatrice) nel tentativo di portare fuori il paese da una guerra ormai perduta. (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Profili storici, dal 1900 ad oggi, p. 508)

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Badoglio, ex fedelissimo di Mussolini ed ex generale dell'esercito33. La decisione viene annunciata dallo stesso sovrano alla nazione, assieme alla notizia della continuazione dell'impegno italiano nella guerra al fianco della Germania. Ma la gente scende nelle strade per gioire comunque all'annuncio34. L'euforia per la caduta del fascismo dura poco. Infatti, il governo italiano decide, nel settembre dello stesso anno, di firmare l'Armistizio proposto dal generale anglo-americano Eisenhower. Hitler, che aveva intuito il possibile tradimento, aveva già mobilitato le truppe a partire dagli ultimi giorni di luglio e le aveva indirizzate verso il confine italiano. Alcune di esse erano già presenti sul suolo italiano al momento dell’annuncio35. Le truppe, smobilitate per eseguire il piano Achse presero ben presto il controllo delle vie di comunicazione e delle zone industriali del centro-nord, nonché si occuparono di assorbire le truppe italiane all'interno di quelle tedesche e al loro disarmo36. Parallelamente, i Tedeschi stavano progettando anche il piano Eiche, che prevedeva la liberazione di Mussolini, premessa necessaria per la creazione della Repubblica sociale italiana37, come Stato parallelo in grado di controllare e amministrare il territorio al posto del re e del governo Badoglio. Ma la principale funzione del governo di Salò era quella di combattere il movimento di resistenza contro i Tedeschi che stava nascendo nell'Italia occupata del centro-nord.

La reazione del governo Badoglio: Come già accennato, alla guida della nazione vi era ora il governo presieduto dall'ex generale Pietro Badoglio. Le contromisure del governo Badoglio all'avanzata tedesca furono incerte e approssimative. Visto il rapido aggravarsi della situazione, il re,

33 Pietro Badoglio, maresciallo d'Italia e capo di Stato Maggiore sotto il regime fascista fino al 1941. Viene incaricato di guidare il governo dal 25 luglio 1943 al maggio del 1944). (Armando Saita, Op.cit., p. 272) 34 Pietro Calamanderei (professore universitario che si era opposto a Mussolini) annoterà nel suo diario: "Veramente la sensazione che si è provata in questi giorni si può riassumere, senza retorica, in questa frase: si è ritrovata l'Italia [...]. Ci siamo ritrovati." Dopo 20 anni di regime, gli italiani si sentivano liberi e con questo sentimento speravano anche in una fine prossima del conflitto. (Emilio Gentile, Op.cit., p.249 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Il Mosaico e gli Specchi, p. 365). 35 In Italia erano già presenti le 8 divisioni della X Armata comandate dal feldmaresciallo Albert Kesserling contro le 29 dell'esercito italiano. Durante i due mesi di trattative tra gli Alleati e il governo italiano, la Germania riesce a capovolgere la situazione. Infatti, a fine agosto, le forze tedesche sono salite a 17 divisioni, meglio equipaggiate di quelle italiane, e con altre 4 in arrivo. (Gianni Oliva, La Resistenza, pp. 13-14) 36 Il piano Achse (Asse) era suddiviso in due parti: la prima prevedeva che le truppe tedesche prendessero il controllo del territorio e dei punti nevralgici di collegamento, disarmando al contempo le truppe italiane presenti; la seconda parte riguardava le truppe italiane fuori dall'Italia. Per loro era previsto un inglobamento all'interno delle divisioni tedesche, seguite da un ordine di disarmo che poteva venir intimato anche con la forza. (Gianni Oliva, Ivi,, pp. 18-19) 37 Hitler aveva bisogno dell'insediamento di un’autorità statale a sovranità limitata, in grado di amministrare il territorio pur mantenendo una parvenza di legalità, pur di evitare il dilagare del movimento resistenziale. (Gianni Oliva, Op. cit., p.31 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Storia, dal 1900 ad oggi, pp. 305-307)

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Badoglio e gli altri comandi militari abbandonarono Roma, attraversando con una “fuga indecorosa” la Penisola per imbarcarsi a Pescara e raggiungere Brindisi, territorio non ancora occupato dai Tedeschi e sotto la protezione degli Alleati. Nella fuga non diedero ordini alle truppe. Questo generò il caos. Alcuni comandi abbandonarono le truppe per cercare la salvezza personale; altri consegnarono direttamente i reparti ai Tedeschi38 e altri ancora opposero una debole resistenza, prima di venire uccisi dai reparti tedeschi o mandati nei campi di concentramento in Germania39. Nel giro di una settimana, i Tedeschi avevano catturato nelle regioni del centro-sud quasi 510.000 militari40. In questo quadro desolante, alcuni comandi tentarono di resistere ad oltranza, generalmente guidati da ufficiali inferiori, destinati in seguito a entrare nelle file della guerriglia partigiana41. Nel frattempo, il 12 settembre, i Tedeschi avevano liberato Mussolini dalla prigione del Gran Sasso e Hitler gli aveva proposto di allestire un governo parallelo nel nord Italia (chiamato Repubblica sociale italiana) con l'illusione di risollevare il fascismo42. Mentre i Tedeschi progettavano di riportare il fascismo al potere, gli Anglo-Americani si erano ricompattati in Lucania (Sud Italia) con le truppe provenienti dalla Calabria e stavano risalendo la penisola. Questo causò diversi tumulti. Il 28 settembre del 1943 i Tedeschi avevano lasciato la città di Napoli dopo quattro giorni di feroci scontri con la popolazione43. Nel risalire l'Italia, i reparti anglo-americani rimangono bloccati all'altezza della zona di Monte Cassino, poco sotto a Roma, sino al maggio del 1944, su quella che verrà definita come la linea Gustav44.

38 Nessuno, dal re e ai vertici militari, voleva assumersi in quella circostanza la responsabilità del destino del paese. Questo determinò l'inerzia generale, la sfiducia nelle forze armate e la paura vero i Tedeschi. Cosi facendo, senza ordini, l'esercito italiano si sfalda: i soldati incominciano a buttare via le divise e le armi; altri si consegnano ai tedeschi e altri ancora decidono di darsi alla macchia o tentano di ritornare a casa. (Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Storia contemporanea Il novecento, pp.196-197) 39 “Decideste di non cedere le armi, preferiste combattere e morire per la patria. Dimostraste che la patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste l’esistenza […]. (Dichiarazione di Carlo Azeglio Ciampi, 10° presidente della Repubblica italiana, pubblicata in Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzuca, La Resistenza tricolore, pp. 41-45). 40 Gianni Oliva, Op. cit., p.19; Emilio Gentile, Op. cit., p. 601 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto , Il Mosaico e gli Specchi, p. 366. 41 Essa viene fatta dalle bande partigiane, che si vanno progressivamente a formare a partire dall’ 8 settembre del 1943. I primi attori della Resistenza sono i soldati del regio esercito che, pur non ricevendo alcun ordine dall'alto, si opposero ai Tedeschi nel nome della patria. (Gianni Oliva, Op. cit., pp. 13-14 e 27-29e Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzuca, Op. cit., pp. 3-41 e 65-67) 42 Si tratta di una pura illusione di Mussolini, in quanto ai Tedeschi occorre unicamente uno "stato fantoccio" in grado di amministrare il territorio italiano e che sia allo stesso tempo in grado di reprimere le varie forme di resistenza intestine che stavano portando il paese in una guerra civile. (Gianni Oliva, Ivi, p.31) 43 Tra il 28 settembre e il 1° ottobre del 1943. (Gianni Oliva, Ivi, p. 36) 44 Linea di 170 km, dal Mar Adriatico al Mar Tirreno, composta da fortificazioni militari e difese naturali per ostacolare l'avanzata alleata lungo la Penisola. La linea si concretizza a partire dall'ottobre del 1943 e resiste alle offensive alleate sino al 18 maggio del 1944. (Gianni Oliva,Ivi, p. 31 e 49)

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L'inizio della "Resistenza all'invasore": Nel frattempo, al Nord, i primi nuclei di resistenza partigiana45 si stavano trasformando in una struttura organizzata. Infatti, dopo una prima fase di aggregazione spontanea, le bande partigiane si andarono formando in base all'orientamento politico prevalente tra i loro membri. Fin dall'inizio le svolte della Resistenza si andarono ad intrecciare con quelle dei partiti antifascisti, ricostruiti in clandestinità o riemersi dopo la caduta del fascismo. Tra il 9 e il 10 settembre, i rappresentanti dei 6 partiti antifascisti (PCI, PSIUP, DC, PLI, PdA46 oltre alla Democrazia del lavoro) si riunirono a Roma e si costituirono in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN47) incitando la popolazione "alla lotta e alla resistenza [...] per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni"48. I partiti si proponevano come guida e rappresentanza dell'Italia, in contrapposizione non solo ai Tedeschi, ma anche a Badoglio, al re e al governo, ritenuti corresponsabili della guerra e della dittatura. Ma a causa della mancanza di una base di massa popolare nell'Italia liberata, i partiti del CLN non avevano la forza di imporsi contro un governo49, che godeva ancora della fiducia degli anglo-americani, in quanto garante degli impegni presi con l'Armistizio50. Il contrasto tra il CLN e il governo fu sbloccato solo nel marzo del 1944 dall'iniziativa del leader comunista Palmiro Togliatti. Appena giunto a Napoli, Togliatti scavalcò la posizione ufficiale del CLN (ovvero formare un governo senza Badoglio e senza il re) e propose di accantonare ogni pregiudiziale contro lo stesso re e Badoglio così da formare un governo di unità nazionale, capace di concentrare tutte le sue energie nella lotta contro il nazi-fascismo51. La proposta viene accettata e nasce il primo governo di unità nazionale. Qualche mese dopo, nell'aprile del 1944, Badoglio verrà esautorato dalle sue funzioni e il suo posto verrà preso da Ivanoe Bonomi.

45 Le prime bande si andarono formando a partire dal 25 luglio '43. Le primissime bande erano composte di uomini di ogni età e condizione) uniti dalla fuga come dal desiderio di liberare la patria dallo straniero. (Domenico Boraschi, Vita partigiana, pp. 29-31 e Gianni Oliva, Ivi, pp. 26-27) 46 Partito Comunista Italiano; Partito Socialista Italiano di Unità proletaria; Democrazia Italiana; Partito Liberale Italiano e Partito d'Azione. 47 "Il motivo nazional-patriottico, strettamente connesso con il motivo della libertà, fu certamente il principale fattore di unione fra le varie forze politiche della Resistenza". (Emilio Gentile, Op. cit., p. 253 e Gianni Oliva, Ivi, pp. 47-48) 48 Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto , Profili storici, dal 1900 ad oggi, p. 510. 49 I comitati dei vari partiti non avevano gli strumenti per intervenire: le richieste di armi per la Resistenza antitedesca si scontrava con le diffidenze degli ambienti militari. (Gianni Oliva, Ivi, p. 29) 50 Infatti, era stato il generale Castellano a firmare l'armistizio il 3 settembre del 1943 a Cassabile. in quanto rappresentate del governo italiano. (Christopher Duggan, Op. cit., p. 600 e Armando Saita, Op. cit., pp. 170-171) 51 Questo evento verrà poi riconosciuto come la “Svolta di Salerno”. (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto , I mondi della storia, p. 242 e Gianni Oliva, Op. cit., pp. 48-50)

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Nel frattempo, le regioni del centro-nord erano diventate il teatro di una guerra civile tra Italiani, che si sovrapponeva a quella combattuta dagli eserciti stranieri52. Le prime formazioni armate si raccolsero nelle zone montane dell'Italia centro-settentrionale subito dopo l' 8 settembre e nacquero dall'incontro tra piccoli gruppi di militanti anti-fascisti e gruppi di militari sbandati che non volevano consegnarsi ai Tedeschi53. Accanto a loro, giovani e giovanissimi che rifiutavano l'arruolamento nelle file del nuovo fascismo repubblicano e che, di fronte alla durezza dell'occupazione tedesca, sceglievano la via dell'opposizione e della lotta partigiana. Le motivazione che univano i primi gruppi partigiani erano complesse e legate in particolare all'odio verso i Tedeschi, nonché verso la monarchia. Ma il collante fra tutti questi giovani e vecchi fu l'antifascismo, il rifiuto totale a continuare una lotta di fianco ai Tedeschi che si stava rivelando disastrosa e di continuare ad essere sottomessi alla volontà del Duce54. Le formazioni partigiane di inizio Resistenza erano composte, secondo le statistiche, a fine settembre del 1943 da circa 1500 uomini55. Grazie all'azione di Pietro Secchia e Luigi Longo, esponenti del Partito Comunista, le forze della Resistenza aumentano di numero. Infatti, i due vengono incaricati la notte del 9 settembre 1943 di organizzare a Milano un Comitato di Liberazione per il Nord Italia (CLNAI), capace di garantire una migliore coordinazione delle diverse brigate all'interno dell'Italia governata dal Duce. A novembre dello stesso anno, le forze partigiane sono già salite a quasi 3'600 unità su tutto il territorio occupato56, la maggioranza delle quali era ancora riunita sotto formazioni autonome, mentre i gruppi politici erano pochi, ma in continua crescita. Ora, il problema fondamentale era l'impostazione della lotta. C'era la piena concordia sul fatto di opporsi ai Tedeschi, ma sui modi le idee divergevano tra attendismo e azione. Le posizioni delle forze politiche si intrecciavano con quelle del governo Badoglio e degli alleati, che premevano per avere dei semplici nuclei di disturbo, piuttosto che un esercito popolare57.

52 Da una parte gli antifascisti, che si rispecchiavano nel CLN nazionale e nel movimento partigiano, mentre dall'altra la Repubblica sociale italiana guidata dal Duce. 53 Aurelio Lepre e Claudia Petraccone, Op. cit., p. 262 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto , Storia, dal 1900 ad oggi, p. 307. 54 "La dura lezione della guerra aveva convinto gli Italiani, non solo che l'ideologia guerriera di Mussolini, doveva essere rifiutata, ma anche che la pace, per poter essere sicura e duratura, doveva essere garantita dalla libertà". (Aurelio Lepre e Claudia Petraccone , Op. cit., p.267) 55 Gianni Oliva, Op. cit., p. 34. 56 Gianni Oliva, Op. cit., pp. 61-64. 57 Gianni Oliva, Op. cit., pp. 37 e 39-40.

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All'avvio della guerra partigiana nell'inverno del 1943-44, mentre le bande si andavano a definire politicamente e militarmente, la chiamata alle armi per i giovani delle classi 1924-1926 sortiva un effetto diverso da quello atteso dalla Repubblica Sociale: su 180'000 ragazzi in età di leva, si presentarono nelle caserme solo 87'000 (il 48%)58. Questi giovani andavano a ingrossare bande già penalizzate da un armamento inadeguato e con un certo numero di reclute disarmare, ma, malgrado ciò, riuscivano a tenere in allarme le forze nazifasciste. La reazione nazi-fascista all'azione partigiana fu feroce. Oltre alle condanne a morte, alle esecuzioni e alle impiccagioni eseguite, le truppe nazifasciste si macchiarono di numerosi eccidi compiuti sulla popolazione e i prigionieri per ripicca nei confronti dei partigiani (tra tutti quello delle Fosse Ardeatine compiuto il 23 marzo 1944, il massacro di Monte Sole eseguito tra il 29 settembre e il 5 ottobre dello stesso anno e tanti altri59).

L'Emilia nella Resistenza

Dall'estate all'inverno 1944: Nell’estate del ’44, l’Emilia diventa un avamposto della Resistenza. Si combatte per il controllo della montagna (per evitare di fare cadere i valichi e le vie di comunicazione nelle mani dei Tedeschi) e in pianura (dove si cercava di arrecare disturbo alle truppe tedesche). I Tedeschi premono per avere uno stretto controllo del territorio, in virtù del fatto che la nuova linea del fronte (la linea Gotica) si è costituita a pochi chilometri da Bologna. Durante l’estate, grazie all’avanzata degli Alleati, all’ingrossamento delle bande e all’estensione del raggio d’azione dei partigiani, inizia a diffondersi l’idea che la guerra possa finire presto60. Così, i comandi partigiani intensificano gli sforzi e durante l’estate riescono a conquistare alcune zone libere sugli Appennini, che prenderanno il nome di Repubbliche partigiane, nelle quali si cerca di ritornare alla normalità istituendo un sistema di autogoverno, in vista della creazione delle giunte democratiche. Ma tra settembre e ottobre, l’offensiva alleata si ferma sulla linea Gotica61 e ci rimarrà sino alla

58 Aurelio Lepre e Claudia Petraccone, Op. cit., p. 270. 59 Gianni Oliva, Op. cit., p. 38 e 40-41. 60 Luca Baldissarra, Atlante storico della Resistenza, pp. 69-71 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Profili storici, dal 1900 ad oggi, p. 511. 61 Il fronte si fermerà sulla Gotica dall'autunno del 1944 sino all'aprile del 1945. (Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto Storia, dal 1900 a oggi, p. 305)

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primavera del ’45. Il generale Kesserling62 coglie l'occasione al volo e ordina alle truppe tedesche di eseguire rastrellamenti sulle montagne per mettere pressione alle bande e per catturare i partigiani63. Questa mossa aumenta in concreto la pressione sulle spalle dei partigiani, già demoralizzati dopo l’annuncio del generale alleato Harold Alexander, che li invitava a sospendere gli attacchi contro i Nazifascisti e ad attestarsi in difesa64. Il Corpo volontari della Libertà (struttura di coordinamento della Resistenza65) invita le bande nell’autunno del ’44 a passare a una diversa strategica, sulla base del fatto che gli Alleati hanno ridotto drasticamente e rifornimenti di armi a tutto il fronte italiano. Ma le difficoltà non mancano (dalle notizie pessime dal fronte italiano alla cattura di distruzione di numerosi distaccamenti); malgrado ciò le formazioni dovevano evitare in tutti i modi la loro disgregazione. Si ricorre all’estrema mobilitazione degli effetti per evitare che le formazioni vengano accerchiati e neutralizzati dai Tedeschi; e di sovente ci si sottrae allo scontro con il nemico.

La fine della guerra: La difesa ad oltranza si protrae sino all'inizio di aprile, quando il CLNAI decide di mettere in atto i piani preparati sino dall'estate del '44. Ma invece di stare di guardia agli impianti industriali e ai principali installazioni strategiche come gli Alleati avevano ipotizzato66, le formazioni decidono di combattere e di spostarsi dalle montagne verso

62 Il generale Kesserling comanda le truppe tedesche in Italia, dopo che Hitler aveva ordinato al maresciallo Erwin Rommel di spostarsi sul fronte francese. (Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzuca, Op. cit., pp. 12-14) 63 I rastrellamenti sono una manovra militare che permettono a un esercito di poter accerchiarne un altro. In seguito, si procede a battere la zona e a individuare i nemici. Questi rastrellamenti vengono eseguiti anche in Emilia nei mesi precedenti, portando anche alla morte di diverse decine di partigiani. (Domenico Boraschi, Op. cit., p. 40-42) 64 Infatti, gli Alleati sono bloccati sulla linea Gotica, ma al contempo osservano come i partigiani jugoslavi guidati dal generale Tito stiano ricacciando indietro i Tedeschi. Gli aiuti, limitati, degli Alleati si concentrano così su di loro, lasciando i partigiani italiani senza più alcun sostegno concreto. (Gianni Oliva, Op. cit., pp. 94-97, Luca Baldissarra, Op. cit., pp. 86-87 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, Profili storici, dal 1900 ad oggi, pp. 511-512) 65 Il Corpo volontari della Libertà, costituito il 19 giugno 1944 da tutte le forze politiche dell'Italia, aveva il compito di coordinare la lotta partigiana e di rappresentare il movimento partigiano di fronte agli Alleati e al governo. (Gianni Oliva, Op. cit., p. 75) 66 Gli Alleati sono preoccupati dall'ipotesi insurrezionale, in virtù del fatto che i legami della Resistenza con i centri industriali del Nord potevano far sfuggire di mano la situazione. Infatti, nel mese di marzo del 1945 venne paracadutato in Italia il sottosegretario delle terre occupate Medici-Tornaquinci, che si faceva portavoce della volontà degli Alleati di limitare l'attività partigiana in difesa dei principali impianti industriali e idroelettrici contro i possibili attacchi tedeschi. La volontà italiana era quella di evitare una completa liquidazione politica dell'esperienza resistenziale. Occorreva quindi liberare i grandi centri urbani prima dell'arrivo degli anglo-americani non era solo una prova di maturità , ma anche un modo per insediare le nuove amministrazioni, per dimostrare la capacità di autogoverno e per avviare i processi di epurazione. (Gianni Oliva, Op. cit., pp. 99-100)

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città per unirsi ai GAP e alle SAP67. Riprendono gli attacchi contro i presidi tedeschi e fascisti per liberare paesi e vallate, nelle città le azioni dei gappisti si fanno sempre più frequenti68. Nella zona di Parma, a metà aprile la val di Taro è già ritornata sotto il controllo dei partigiani. Gli scioperi guidati dai partigiani si fanno sempre più frequenti e danno il via alla fase insurrezionale vera e propria. I paesi e le città vengono liberati uno a uno. Il 23 aprile, la 3°Brigata Julia entra a Parma e il 25 arriveranno i primi reparti alleati che rastrellano la città per catturare gli ultimi combattenti e cecchini69. Nel giro di poche settimane tutta l'Emilia Romagna sarà liberata ed entro l'inizio maggio anche il Nord Italia. Mussolini e la sua amante Claretta Petacci verranno catturati dai partigiani della 52° Brigata Garibaldi a Dongo (Como). Saranno in seguito condannati da un tribunale speciale alla pena capitale e verranno fucilati il 28 aprile del 194570. I loro corpi, assieme a quelli di altri gerarchi fascisti71, saranno portati a Milano e appesi per i piedi in Piazza Loreto72. Con la morte del dittatore italiano si chiude la guerra sul fronte italiano.

67 I GAP erano i Gruppi di Azione Patriottica, mentre le SAP erano le Squadre di Azione Patriottica. Entrambi avevano il compito di sabotaggio e di compiere azioni armate contro i Tedeschi all'interno delle città. (Gianni Oliva, Ibidem) 68 Nel giro di un mese, l'Emilia Romagna viene liberata. (Luca Baldissarra, Op. cit., p. 92) 69 Nella ritirata verso la pianura Padana, l'esercito tedesco lascia a Parma e nelle altre città gruppi di cecchini con lo scopo di infliggere ulteriori danni alla popolazione, ai partigiani e agli Alleati. (Luca Baldissarra, Op. cit., pp. 94-95) 70 Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, I mondi della storia, p. 245. 71 Marcello Petacci (fratello di Claretta, l'amante del Duce), Ferdinando Mezzasoma, Paolo Zerbino, Nicola Bombacci (fedelissimo di Mussolini), Francesco Barracu (segretario della Rsi) e Alessandro Pavolini (segretario del Partito fascista ricostruito a Salò). (Christopher Duggan, Op. cit., pp. 610-611 e Gianni Oliva, Op. cit., pp. 104-105) 72 Vengono appesi nello stesso luogo dove, nell'agosto del 1944, erano stati esposti i corpi di quindici ostaggi fucilati dai fascisti per ordine dei Tedeschi. (Gianni Oliva, Ibidem)

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5. LA TESTIMONIANZA

Il distaccamento "Marco Pontirol Battisti"

Storia

Premessa: Rispetto al movimento di Resistenza che si sviluppa in Lombardia e in Piemonte, quello emiliano non avrà la sua origine nei giorni subito successivi all' 8 settembre 1943, ma bensì quasi sei mesi dopo a causa di alcune particolari dinamiche locali.

Dai primi nuclei alla banda: I primi corpi della Resistenza parmense iniziarono a prendere forma all'inizio del '44 nelle vallate del Parma e del Baganza. Nei principali centri delle vallate si era fatta più attiva la presenza di gruppi dell'antifascismo e le notizie dalle montagne facevano presagire già alla presenza di alcune bande di "ribelli". Questi primi tentativi erano parte di una piccola minoranza che, viste le difficoltà riscontrate, ebbero la tendenza a disperdersi nel giro di pochi giorni o settimane a causa delle difficoltà nel gestire la lotta contro l'invasore. Ma tra le tante, vi furono bande capaci di far fronte a queste difficoltà. Una di queste si creò nella valle del Baganza e fu costituita da Afro Schiaretti (Afro) e fu chiamata i "Lupi rossi". Malgrado la carenza di armi e munizioni, la banda di Afro copriva un territorio che va dalle colline langhiranesi alle pendici nord-occidentali del monte Sprono. Nel mentre, visto il proliferarsi di altre bande, si stavano ottenendo i presupposti necessari alla creazione di un'unica grande brigata che, vista l'ideologia prevalente tra i suoi membri, prese il nome di Brigata Garibaldi. Questa Brigata, denominata Brigata Garibaldi Nord Emilia, era la dodicesima brigata costituita in Italia e la prima nel Parmense, destinata così a diventare la madre di tutte le formazioni garibaldine e non, non solo del Parmense, ma anche del Piacentino e del Reggiano73. Tornando alla banda di Afro, essa stentava comunque a prendere consistenza a causa della mancanza cronica di armi e munizioni da distribuire ai membri del gruppo o da assegnare ai nuovi arrivati74. Oltre a questo si aggiunse anche la mancanza di coordinamento tra le singole bande, che portava le stesse a mostrasi più vulnerabili, e la

73 "I comunisti parmensi nella cospirazione", in "Eco del Lavori", n.23, 7 dicembre 1945. 74 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p.18.

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psicosi della presenza di spie in ogni paese75. Questo impone alla banda continui spostamenti tra Pozzuolo, Bergadella e Predarezzo e numerose notti all'addiaccio76. La presenza a Predarezzo della formazione partigiana del Cato costituisce un ottimo spunto per attaccare assieme la caserma dei Carabinieri di Calestano, dove sono presenti numerosi uomini e armi. I due gruppi riescono a disarmare i militi e ad impossessarsi di tutto il materiale utile. Da sola la banda di Afro compie tra marzo e giugno altri colpi, mirati a sottrarre ai fascisti armi e cibo.

San Michele Tiorre, la sera del cambiamento: Nel mese di giugno del ’44, nel paese di San Michele Tiorre, si stabilisce presso la scuola media una compagnia dei Cacciatori degli Appennini77. Per la banda di Afro, composta prevalentemente da persone provenienti da quella vallata, si tratta di un obbiettivo prioritario in quanto permetterebbe di recuperare numerose armi; di allontanare il pericolo di rappresaglie e gli stessi fascisti. A San Michele era presente una staffetta della banda, il diciassettenne Marco Pontirol Battisti78, che aveva informato la banda sullo stato d'armamento della Compagnia79. Una volta consultatosi con i suoi più stretti collaboratori, Afro lanciò la proposta che venne accolta con grande entusiasmo dalla banda: il 23 giugno si sarebbe attaccata la Compagnia a San Michele80. Venne inviata una staffetta in paese per avvisare lo stesso Pontirol Battisti e i compagni antifascisti dell'imminente attacco e di tenersi pronti in caso di bisogno.

75 Un esempio su tutti nella zona è la collaborazione tra la banda del Cato e quella di Afro. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, pp. 23-25) 76 A causa di queste notti all'addiaccio, Afro si ammala verso la fine di aprile del 1944 di broncopolmonite e viene trasferito a Calicella, dove però viene arrestato dai militi della GNR (Guardia nazionale repubblicana). In seguito è trasportato a Parma e viene torturato al fine di estorcerli informazioni utili per la cattura dei compagni. Ma Afro non cede e fortunatamente riesce a sfuggire dalla caserma dove era rinchiuso. Pochi giorni dopo, si riunirà alla banda a Predarezzo. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 19) 77 Un reparto della RSI con il compito di dare la caccia ai renitenti alla leva e ai partigiani sugli Appennini. (Renato Lori, C'era un ragazzo, un partigiano, p. 51) 78 Renato Lori, Op. cit., pp. 30-33. 79 Era facile per lui, passando come comune ragazzino, intrufolarsi fra i militi e raccogliere informazioni sullo stato d'armamento del reparto fascista. Secondo le stime vi erano oltre sessanta fucili, alcuni mitra, due mitragliatrici e decine di munizioni e bombe a mano. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 51) 80 L'attacco doveva essere molto semplice: si doveva prelevare gli ufficiali alloggiati in alcune case private e, utilizzandoli come ostaggi, presentarsi alle scuole elementari di San Michele (dove la Compagnia aveva momentaneamente sede) e costringere le truppe alla resa. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 53)

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Prima di scendere in paese la banda fece tappa a casa di tale Oreste Del Sante, dove Pontirol Battisti li raggiunse verso mezzanotte. Era preoccupato, in quanto aveva notato un via vai di pattuglie insolito per quell'ora del giorno81. Ma questo non fece desistere la banda dall'attacco. Come prima mossa bisognava bloccare tutti i fascisti, che secondo le fonti, dormivano a casa di alcuni paesani. Ma oltre al tenente medico, nessun altro fascista era presente a casa dei privati in paese. Temendo l'attacco della banda si erano infatti chiusi dentro le scuole con tutti i militi,ed erano pronti alla difesa. Il piano preparato in precedenza non era più valido e bisognava decidere: attaccare ugualmente il presidio o ritirarsi aspettando tempi migliori per l'attacco82? Prevalse la prima soluzione, forse anche grazie allo stato di euforia che era seguito ai colpi di Torrechiara e di Sala Baganza83. Vennero formate due squadre di una quindicina di uomini ciascuna. Una avrebbe attaccato frontalmente la scuola, mentre la seconda avrebbe attaccato sul retro della medesima. Le squadre riuscirono a portarsi sino a poche decine di metri dall'edificio, quando una delle sentinelle fasciste diede l'allarme ed iniziò lo scontro a fuoco. I partigiani concentrarono il fuoco sulle finestre, cercando di rendere difficile una replica da parte dei fascisti, che in difficoltà rispondevano al fuoco partigiano con il lancio di bombe a mano. Dopo circa mezz'ora di fuoco, ai partigiani iniziavano a scarseggiare le munizioni e i fascisti non sembravano voler cedere. Pontirol Battisti, che si era aggregato alla banda per il colpo, venne ferito mortalmente alla gola, mentre stava ricaricando il suo moschetto. Negli ultimi istanti di vita, ebbe la forza di porgere il caricatore ai suoi compagni, incitandoli a continuare la lotta. In seguito, Carlo Battioni (Ras) e Alide De Caroli (Picelli) lo presero fra le braccia e lo portarono via dallo scontro, nella speranza di salvargli la vita, ma fu tutto vano. Intanto la sparatoria andava lentamente a spegnersi. I partigiani avevano quasi esaurito le munizioni; era quasi l'alba e i rinforzi tedeschi stavano per arrivare. I partigiani iniziarono a ritirarsi a piccoli gruppi. La mattina, quando i partigiani erano spariti, i fascisti poterono finalmente uscire e iniziarono a battere la zona. Trovarono solamente il cadavere di Pontirol Battisti, sul quale il capitano della Compagnia sfogò tutta la sua rabbia. Il cadavere del giovane venne lasciato sulla piazza, come monito ai paesani. Accanto al cadavere rimase tutto il giorno la madre di Pontirol Battisti e alla sera, con il

81 Renato Lori, Op. cit., pp. 51-52. 82 Renato Lori, Ibidem. 83 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 29.

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consenso delle autorità fasciste, le fu permesso di trasportarlo a casa e di dargli una sepoltura84. I compagni, che si erano ritrovati tutti all'altezza di Strognano, iniziarono, abbattuti per l'insuccesso e per la perdita di Pontirol Battisti, la risalita verso Predarezzo85. Ma appena arrivati, notarono che la casa della famiglia Ferrari, presso la quale la banda alloggiava da tempo, era stata data alle fiamme e la famiglia Ferrari uccisa86. Privi della base, senza munizioni, senza riferimento e con un ragazzo morto, la banda ebbe come unica soddisfazione la notizia che i fascisti, dopo l'attacco il presidio di San Michele, avevano lasciato il paese. Come riconoscimento per l'azione svolta, il Comitato di Liberazione Nazionale di Parma volle incontrare Afro e la sua banda a Cozzano, dove alla presenza della popolazione vennero ringraziati pubblicamente per il lavoro svolto87. La gratificazione aveva riacceso la tristezza per coloro che non c'erano più dopo l'attacco a San Michele, ma aveva riacceso anche la voglia di libertà degli stessi compagni. Per onorare il nome del caduto, la banda cambiò nome in distaccamento "Marco Pontirol Battisti"88. Allo stesso tempo, venne deciso di spostarsi provvisoriamente alla Bergadella. L'esperienza di Predarezzo aveva insegnato che non era consigliabile rimanere troppo a lungo preso la stessa famiglia o nella stessa zona e che quindi occorrevano delle soste più brevi e meglio distribuite sul territorio. Malgrado la difficoltà, il distaccamento era in una posizione fortunata: la popolazione sosteneva i partigiani; venivano sfamati e i raccolti di quell'anno erano buoni, tanto da garantire cibo per tutti.

Il rastrellamento di luglio e l'unione alla 47° Brigata Garibaldi: Malgrado ciò, il distaccamento fu costretto a subire, all'inizio del mese di luglio del 1944, un rastrellamento da parte dell'esercito tedesco. Infatti, dall'inizio di giugno, la crescita delle formazioni partigiane operanti nella zona era combaciata con la crescita delle azioni contro i presidi e contro gli stessi Tedeschi. Per questo era inevitabile attendersi una risposta nazi-fascista. Già verso la fine di giugno, le vedette sul monte Sprono incominciarono a segnalare l'arrivo di automezzi carichi di soldati nei dintorni di Langhirano, armati di mitragliatrici, armi pesanti, 84 Mario Rinaldi, Achtung Banditen! , p. 147. 85 Renato Lori, Op. cit., pp. 54-55. 86 Renato Lori, Ibidem. 87 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op, cit., p. 31. 88 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 33.

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mortai e cannoni. Il 1° luglio, di buona mattina, i Tedeschi iniziano a salire in direzione di Pastorello, per dirigersi poi verso Lagrimone e arrivando a Palanzano in prima serata. Allo stesso tempo, nella valle adiacente, i mezzi tedeschi salivano da Fornovo puntando su Berceto e Calestano, minacciando seriamente le formazioni partigiane a ridosso delle due valli89. Il distaccamento rimase per un paio di giorni alla Bergadella, zona in cui i Tedeschi non erano ancora arrivati. Ma temendo un imminente attacco, Afro decise di sciogliere il gruppo, in modo da passare attraverso le file del nemico, e di ricompattarsi in seguito a ridosso della pianura. Dopo qualche giorno, il distaccamento si ricompose alla Bergadella e registrava al contempo un afflusso di nuovi elementi, tutti di Langhirano, che erano riuscito a sfuggire al rastrellamento90. Assieme a loro si aggregò anche un disertore tedesco91 sfuggito dai Boschi di Carregga in seguito al bombardamento operato dagli Alleati contro il deposito di munizioni, occultato dagli stessi Tedeschi nel bosco. Dopo l'arrivo del Tedesco92, nel giro di pochi giorni arrivò anche una decina di Sovietici, i quali affermavano di essere stati catturati dai Tedeschi in Russia e di essere stati costretti all'arruolamento93. Così facendo erano finiti in Italia e più precisamente a Parma, dove avevano deciso di disertare e di unirsi alla Resistenza94. Intanto, l'odio verso gli invasori tedeschi cresceva sempre di più dopo l'uccisione di due civili a Marzolara e dopo le devastazione che scossero la val Parma dopo il rastrellamento di luglio95. 89 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 80. 90 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 37. 91 Il suo nome era Walter ed era addetto ai servizi di guardia del deposito. (Renato Lori, Op. cit., pp. 63-68). Ma una notte di fine agosto (per la precisione la notte del 23), mentre era di pattuglia venne ucciso dall'aviazione tedesca. (Renato Lori, Ivi, p. 70 e Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 137-138) 92 Walter non sarà l'unico Tedesco a passare al distaccamento, come traspare dalla testimonianza di Nello Mezzi (Cristo), futuro commissario politico del distaccamento. "Walter ci lasciò un insegnamento su cui tutti dovrebbero riflettere: non si può fare di ogni erba un fascio, anche tra il popolo tedesco c'era chi subiva e cercava di contrastare la dittatura hitleriana. Questo ci venne in seguito confermato quando a noi si unirono Fritz, maresciallo dell'aeronautica tedesca, e Rudy, due ottimi elementi leali e coraggiosi." (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 38) 93 La comunicazione fu possibile unicamente grazie ad Annunzio Del Bono (Barbaro) e Mario Coruzzi (Lionello), reduci della campagna di Russia. (Renato Lori, Op. cit., p. 72) 94 Una volta arrivati in località Palara, nei pressi di Tordenaso, avevano incontrato un certo Ferretti che aveva in seguito segnalato la loro presenza ad Afro. Dopo scene di autentica commozione, i Sovietici (per la precisione Georgiani) decisero di unirsi al distaccamento, in quanto lo stesso era di matrice garibaldina, quindi vicina alla loro ideologia sovietica. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 38) 95 Infatti, il 13 luglio, una colonna di autovetture tedesche si diresse sul paese di Vallerano per ottenere il rilascio di un noto fascista di Felino catturato giorni prima. Non trovandovi nessuno decisero di ripiegare a Marzolara sparando all'impazzata. Questo causò la fuga degli abitanti del paese, tra cui due renitenti alla leva della RSI, tali Francesco Amoretti e Giovanni Battilocchi. Purtroppo, sul letto del torrente divennero facili bersagli e Amoretti rimase ferito in modo grave. Nel tentativo di soccorrerlo, Battilocchi venne ferito e catturato assieme al compagno. Dopo ore di torture e di interrogatori venne freddato e appesi a un piede alla linea elettrica del paese, in modo che potesse essere di esempio agli altri compaesani. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, pp. 38-39)

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Struttura della 47° Brigata Garibaldi La 47° Brigata Garibaldi aveva una formazione classica come tutte le formazioni garibaldine della Resistenza. I distaccamenti, che sono l'unità più piccola, vengono raccolti in battaglione (ogni battaglione può contenere fino a tre distaccamenti). A capo di ogni battaglione c'è un Comando di battaglione, formato dai capi di ogni distaccamento. I battaglioni erano subordinati alle direttive del Comando Unico della Brigata, che gestiva ogni azione partigiana nella zona di Parma96 di ogni formazione.

Battaglia di Langhirano: Per tutto il mese di agosto, le azioni contro i fascisti e i Tedeschi aumentarono di numero97, mettendo così maggiore pressione sui presidi e spingendo i nemici ad abbandonarli per rifugiarsi in pianura98. Questo faceva in modo che la popolazione manifestasse sempre più simpatia per il movimento partigiano, ma metteva anche le basi per un atto di rivalsa dei Tedeschi99. Questo avvenne il 25 agosto, quando una colonna di mezzi blindati fu vista muoversi verso Langhirano. Una pattuglia del distaccamento Cosacco100, posto all'entrata del paese, tentò invano di rallentarne la marcia101. Una volta raggiunte le prime case del paese, le truppe nazi-fasciste si divisero e una parte di diresse verso le colline a sud-ovest, dove erano presenti i distaccamenti "Leporati" e Cosacco102. Questi ultimi, per rallentarne l'avanzata verso Castrignano, iniziarono ad attaccare a piccoli gruppi la colonna, obbligandola a ripiegare su Langhirano. Un altro scontro a fuoco avvenne nelle vicinanze della vecchia stazione tranviaria, dove una squadra del distaccamento Buraldi riuscì ad infliggere numerose perdite al nemico. Il rinato distaccamento Griffith e il distaccamento "Marco Pontirol Battisti" vennero allarmati dagli spari quando si trovavano ancora in località Coste di Urzano e decisero

96 Massimiliano Villa, Op. cit., p. 176. 97 Vanno segnalate il 18 agosto l'uccisione di un fascista e il ferimento di un altro in località Mulino a Cascinapiano e il 22 dello stesso mese vennero danneggiate il faro per l'orientamento notturno degli aerei e la stazione radio ricetrasmittente di Arola, sopra Langhirano (Ad Arola infatti c'erano installati tutti i macchinari per permettere agli aerei tedeschi di atterrare a Vigatto). Nell'azione vennero messe fuori combattimento due guardie fasciste e due Tedeschi. (Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 52) 98 Luca Baldissarra, Op. cit., pp. 72-73. 99 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 45. 100 In forza alla 4° Brigata Giustizia e Libertà. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 46) 101 Renato Lori, Op. cit, p. 77. 102 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 140-141.

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di intervenire a supporto dei compagni103. Una volta giunti in paese i due distaccamenti si divisero: il "Pontirol Battisti" andava verso il centro del paese, mentre il Griffith si dirigeva verso le colline a sud. Ma i Tedeschi erano troppo numerosi e costrinsero il distaccamento a ripiegare e a dividersi in piccoli gruppi. Nel corso dello scontro a fuoco furono feriti per il distaccamento Nello Mezzi (Cristo) e Enzo Rossi (Killer)104. Verso il primo pomeriggio, le truppe nazi-fasciste ripiegano in periferia, ma le perdite maggiori erano nelle file dei partigiani105. Nel corso del pomeriggio ci furono gli ultimi scontri a fuoco all'entrata di Castrigano, fin quando i Tedeschi non si ritirarono verso Parma con parecchi morti e feriti e senza aver raggiunto il loro obbiettivo: la distruzione dell'accampamento del distaccamento Cosacco e del distaccamento "Leporati" a Castrigano106.

L'inverno: Dopo il trasferimento del distaccamento "Marco Pontirol Battisti" nella valle dell'Enza, la pressione dei fascisti e in particolare dei Tedeschi si fa sempre più intensa, con puntate in valle anche giornaliere, tanto da sfociare il 10 ottobre in un tentativo degli stessi Tedeschi di passare il fiume Enza transitando dalla passerella di Bazzano107. I partigiani del secondo battaglione della 47° rispondono aprendo il fuoco sui soldati tedeschi, pur sapendo di essere inferiori in armi e in uomini. Ma dopo alcune raffiche, il distaccamento "Zinelli" si ritira, lasciando solo il "Pontirol Battisti" e il Don Pasquino a fronteggiare il nemico, rischiando al tempo stesso di venir accerchiati108. Solamente sparando all'impazzata, i partigiani riescono a coprire la ritirata. Dopo questo scontro il distaccamento "Marco Pontirol Battisti", oramai privo di munizioni, viene mandato a Palanzano con compiti di sorveglianza alla centrale elettrica di Selvanizza109.

103 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., pp. 45-47. 104 Renato Lori, Op. cit., p. 78. 105 Sei caduti (Nello Mattioli, Gino e Marcello Zaccarini, Giuseppe Mazzini, Enzo Canali e Ermino Vezzoni), tre feriti gravi (Nello Mezzi, Ferruccio Nardi, e Renzo Ferrari) e due feriti leggieri (Enzo Rossi e "Garibaldi"). (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 47) 106 Due settimane dopo, in data 8 settembre, i Tedeschi ritorneranno a Castringano e distruggeranno la base del distaccamento. (Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 143-144 e Renato Lori, Op. cit., pp. 79 e 92-93) 107 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 50. 108 Per questo e per altri capi di accusa (tra cui l'abbandono di posto di fronte al nemico; la diserzione di fronte al nemico e la sobillazione di dipendenti contro l'autorità costituita) il capo del distaccamento Zinelli (tale Juan) venne processato e condannato alla pena capitale. (Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 215-217; Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 51 e Renato Lori, Op. cit., p. 100) 109 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 51)

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A partire dal 24 ottobre, le incursioni tedesche si fecero ancora più frequenti, tanto da sfociare il 20 novembre in un rastrellamento su larga scala che interessò tutte le valli del Parmense, del Piacentino e del Reggiano110. I distaccamenti decisero di non impegnarsi in scontri frontali con il nemico e di scendere dalle valli, passando attraverso le linee tedesche. Dopo il rastrellamento di fine novembre, le perdite erano pesanti: erano morti ben cinque persone del Comando di brigata della 47° in un' imboscata al ponte di Lugagnano111, nonché sei partigiani del Comando Unico112. Questo incise sul morale di tutti i distaccamenti, unitamente al rigido inverno, alle ritirate strategiche e al proclama Alexander113. Ai primi di gennaio del 1945, i distaccamenti dovettero assistere alla salita di alcune colonne tedesche da Langhirano fino a Capoponte. Ma una volta operate alcune perquisizioni, i Tedeschi ritornarono sui loro passi e ridiscesero verso la pianura. Per evitare che il nemico potesse, di nuovo, penetrare a fondo in montagna, venne dato ordine dal Comando della 143esima (ex 47esima Brigata Garibaldi) di far saltare tutti i ponti e ponticelli sugli assi stradali che salivano in pianura114.

La primavera e l'insurrezione: Dopo tutte queste difficoltà, la primavera sembrava arrivata e con essa la fine della guerra115. Infatti, sempre più spesso, le incursioni tedesche erano limitate nel tempo e nello spazio, operate unicamente per mantenere lontani i partigiani dalle vie di comunicazione116. La maggioranza di queste azioni partivano dal presidio tedesco di Ciano d'Enza. Il presidio rappresentava, a grandi linee, l'ultimo ostacolo verso la discesa a Parma e l'ultima possibilità per saldare il conto di sangue con i Tedeschi117. L'attacco venne scagliato il 10 aprile e vi presero parte i reparti della 44° e della 143° Brigata Garibaldi118. Dopo quasi un'intera giornata di scontri, Ciano d'Enza venne

110 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 271-272. 111 Si trattava di Aldo Zucchellini (Ivan, comandante), Bruno Ferrari (Franci, vice comandante) e altri 3 compagni del Comando. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 53 e Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 260-267) 112 L'attacco, avvenuto il 17 ottobre in località Bosco di Corniglio, fece sei morti, tra cui il comandante Pablo. (Massimiliano Villa, Ivi, pp. 226-228) 113 Massimiliano Villa, Ivi, p. 270 e 313. 114 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., pp. 55-57. 115 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 346-347. 116 Massimiliano Villa, Ivi, pp. 356-357. 117 Massimiliano Villa, Ivi, pp. 392-394. 118 Massimiliano Villa, Ivi, pp. 394-395.

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liberata, ma i Tedeschi riuscirono a ripiegare su Sant'Ilario d'Enza e a uccidere due partigiani: Bruno Bocconi (Fulmine)119 e Nando Mattioli (Stalin)120. Negli stessi giorni, Afro aveva avuto contatti, in nome del Comando di brigata, con un gruppo di bersaglieri della Divisione Italia, di stanza a Sala Baganza. La stessa chiedeva espressamente di disertare e di unirsi ai partigiani. Il Comando aveva chiesto, per precauzione, al distaccamento "Marco Pontirol Battisti" di seguire da vicino l'evento. Una squadra del distaccamento, capitanata dal comandante Alide De Caroli (Picelli) e da Afro, partì dalla base e raggiunse Sala Baganza e iniziò a sondare le reali intenzioni dei militari. Questi consegnarono le armi della divisione ad Afro e tutto si svolse con molta correttezza. Una volta eseguito il tutto, il gruppo si accingeva a percorrere la strada del ritorno, quando vennero fermati a Neviano da un distaccamento della Brigata "Pablo". La brigata rivendicava la proprietà del bottino, in quanto la divisione fascista era di stanza su un territorio di loro competenza. Ma né Afro né Picelli intendevano assecondare la pretesa e alla fine la spuntarono121. Oramai l'attesa cresceva sempre di più, quando venne impartito ai distaccamenti della 143° Brigata Garibaldi di concentrarsi a Traversetolo per compiere la discesa finale su Parma122. La 143° rimase tutto il giorno in attesa di ordini dal Comando. Intanto due divisioni dell'esercito tedesco tentavano disperatamente di risalire verso il Po. Il giorno seguente, una volta scampato il pericolo, il distaccamento "Marco Pontirol Battisti" e il distaccamento "Leporati"123 si misero in marcia alla testa della brigata verso Parma124. Lungo la strada la brigata ebbe un incontro con un mezzo corazzato americano, che li informò della presenza di alcune formazioni tedesche nei paraggi. Infatti, pochi chilometri più a valle, i due distaccamenti incrociarono una formazione, composta da una quarantina di uomini. I Tedeschi tennero impegnati i partigiani per poco, prima che i comandanti dei distaccamenti si avvicinassero ai Tedeschi intimandogli la resa125. Questi si rifiutarono di arrendersi ai partigiani e manifestarono la volontà di arrendersi

119 Massimiliano Villa, Ivi., p. 393. 120 Massimiliano Villa, Ivi., pp. 399-401. 121 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 58. 122 Il distaccamento "Marco Pontirol Battisti" si trovava in quel momento a Monchio di Sasso. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ibidem ) 123 All'inizio erano designate alla testa del corteo le formazioni del primo battaglione. Ma dopo un incontro ravvicinato con alcune unità tedesche nella mattinata del 23 aprile, preferirono cedere il testimone a quelle del secondo battaglione. (Renato Lori, Op. cit,, p. 130 e Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ibidem) 124 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Ivi, pp. 58-59. 125 Renato Lori, Ivi, pp.131-132.

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unicamente agli Alleati, ma quando si accorsero che i partigiani avevano circondato il gruppo consegnarono le armi126. Dopo circa un'ora, arrivarono i soldati americani che presero in consegna i Tedeschi. I distaccamenti si rimisero in marcia, ma era ormai sera inoltrata e il Comando aveva dato l'ordine di non entrare prima della mattina a Parma e quindi decisero di sostare lungo la strada. All'alba erano già tutti in piedi per percorrere l'ultima tappa. Si addentrarono in una Parma deserta127, con la popolazione (chi non era ancora scappato in campagna) rintanata in casa per paura delle bombe, mentre dai tetti i cecchini tedeschi cercavano di ritardare l'entrata partigiana nel capoluogo emiliano128. Poco dopo mezzogiorno, i partigiani avevano ormai assunto il controllo della situazione quando giunse la notizia dell'arrivo delle truppe alleate in città. A sera, i partigiani si sistemarono esausti nei locali della biglietteria e negli spogliatoi. La guerra si poteva considerare finalmente finita.

Il ruolo della staffetta: Il bisogno di avere una staffetta nasce dalle necessità della guerra civile. L'origine del nome è data probabilmente dalla pratica sportiva. Infatti, nelle città i partigiani si passavano i messaggi come avviene oggi col testimone nelle gare di atletica leggera. Generalmente si trattava di una ragazza o una donna129 che riusciva a camminare indisturbata lungo tutto il territorio, permettendo di tenere i collegamenti tra le bande, mantenerne l'organizzazione, nonché il funzionamento delle stesse e di trasportare all'occorrenza viveri, munizioni, medicine e giornali130. Ogni distaccamento aveva in media 3-4 staffette. Le staffette percorrevano a piedi, in bicicletta o in treno, svariati chilometri di strada passando attraverso i villaggi, scalando le montagne e discendendo valli pur di consegnare quanto dovuto a una formazione. 126 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 59. 127 Renato Lori, Op. cit., p. 134. 128 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 60. 129 O al limite anche da ragazzini. L'utilizzo delle donne può essere spiegato in due motivi: il primo era di logica: in una situazione di guerra le donne, i vecchi e i bambini dovrebbero rimanere incolumi e fuori da ogni conflitto o rappresaglia. Quindi rappresentano soggetti sicuri a cui affidare messaggi e dispacci senza che il nemico ne entri in possesso. Il secondo è un motivo di organizzazione: fare la staffetta è un lavoro che toglie risorse umane al distaccamento in termini di scontro a fuoco con il nemico. Quindi servono persone che non siano troppo legate all'arma e che siano disposte ad accettare questo ruolo secondario, ma comunque importante. Malgrado il ruolo importante che rivestivano, le donne non hanno potuto realizzare a pieno il desiderio di un impegno totale in favore della Resistenza, in quanto dovevano fare i conti con la loro condizione di donna in una società ancora molto maschilista. (Marina Addis, Partigiane: le donne della Resistenza, pp. 90-91) 130 In questo caso, il rischio che corrono diventa molto più espliciti in quanto i bandi della Repubblica sociale proibiscono categoricamente il loro possesso e minacciano i trasgressori di morte. (Marina Addis, Ivi, p. 85)

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Un lavoro non privo di coraggio, vista la paura che potevano provare durante la loro azione: paura degli aerei, pronti a mitragliare le strade; paura dei posti di blocco o paura, semplicemente, di incontrare una pattuglia nemica. Malgrado ciò, continuarono a eseguire il compito a loro assegnato e il Partito comunista ne riconosce l'impegno e l'importanza in una lettera indirizzata alle stesse staffette131.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul distaccamento "Marco Pontirol Battisti" e il suo ruolo all'interno della Resistenza:

Nel seguente discorso, Enzo si sofferma sul il suo ruolo all'interno del distaccamento e, da ultimo, sui rapporti con i suoi compagni del distaccamento.

Folezzani: "Ma per l'amor di Dio! Io sono rimasto lì cosi.[Parla il vaccano] "Io non la tengo qua questa roba." [Riprende Folezzani e risponde] "Ma dove gliela porto?" Io posso prendere su 3/4 bombe a mano (fa il gesto) e me le butto a tracolla. Posso prendere su...ma tanta merce che... Ah, 4fucili che li chiamavano 91, no? (mima l'altezza) Non ne potevo prendere su neanche uno, come faccio ad andare su in montagna con tutta quella carica li? Ma pensa che le SS sono li a Mamiano, ma se mi incontrano mi bruciano Dio bono [...]"

Folezzani: "E li tira avanti, tira avanti, poi ci siamo portati alla Bassa. Poi dopo, quando c'era da andare giù per prendere della roba o cosi, mi mandavano sempre io... a Basilicanova, pensi lei che roba!" Boraschi: "Eh,.. bello distante soprattutto. Folezzani: "Eh?" Boraschi: "Bello distante soprattutto considerando da dove la facevano partire." Folezzani: "Eh!" Boraschi: "Eh!" Folezzani: "Ah, io partivo, o la sera o la mattina, io partivo e

andavo." Boraschi: "Ma quanto ci impiegava a fare avanti e indietro?"

131 "Tu sei l'ingranaggio importante, indispensabile. Senza i collegamenti, senza il tuo lavoro, le direttive rimarrebbero lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le informazioni non potrebbero giungere. [...] Alle azioni seppur indirettamente partecipi anche tu." (Marina Addis, Ivi, p. 91)

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Folezzani: "Eh, delle ore, eh... delle ore. Però, io ero molto pratico di Basilicanova, li...Panocchia e tutta quella zona

li...Mamiano, Traversetolo."

Folezzani: "Eh, si passava di li, e li c'erano le SS (da un pugno sul tavolo)... E io dovevo andare a Basilicanova, che se viene fuori, avevano le macchine avevano loro, le SS quelle ti uccidono, gli altri forse no (riferito alla Wehrmacht), e allora io andavo giù da Mamiano sino a Basilicanova in strada e dicevano (I compagni) :"Sei un bambino, stai tranquillo." [Riprende Folezzani] No, quando andavo giù per la strada chiudevano tutte le imposte e spegnevano le luci e tutto."

Folezzani: " [...] Arrivo a Basilicanova, quando sono in centro a Basilicanova c'è la strada che viene su dal fiume cosi, no (mima il corso del fiume). E allora io sono seduto li davanti alla gelateria cosi (si tira assieme e mostra come stava seduto). E passa tutto,... con le armi, che si spostavano..." Boraschi: "Un convoglio di..." Folezzani: "Si, porca miseria e dopo io, finito tutto il traffico, dovevo andare giù diritto e la prima azienda grossa dovevo andare la che c'era della roba, che io non capivo mica che roba era."

Boraschi: "Per caso, vabbè, si ricorda qualche nome di qualche suo compagno o comunque di qualche suo compagno che sono venuti su con lei da Langhirano e poi i sono aggregati assieme a lei?" Folezzani: "Eh beh si, mi ricordo bene, sì. C'era uno che si chiamava Sole, l'altro Savina. [...]"

Folezzani: "Le dico che uno dei partigiani, che si chiama, uno è morto e l'altro ci è rimasto, Alfieri. Era in Russia!" Boraschi: "Addirittura?" Folezzani: "E ha avuto la fortuna di venire a casa, e come è venuto a casa è venuto nei partigiani. Alfieri, che uno è morto, poveretto[...]."

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Prima di tutto, va detto che il dato più importante, ovvero la presenza di Enzo all'interno del distaccamento partigiano è ampiamente confermata132. Enzo riporta correttamente la notizia della creazione del suo distaccamento e la narrazione della sua entrata può ritenersi veritiera. Considerando che l'ultima possibilità per i renitenti alle leva di potersi presentare ai distretti e di uscirne incolumi era posta alla mezzanotte del 25 maggio 1944133, è possibile che l'arrivo dei Tedeschi nella fabbrica sia da collocare intorno ai primi di giugno e di conseguenza l'arrivo in montagna all'incirca per la metà del mese. Aggiungendo inoltre i quindici giorni trascorsi da Enzo e i suoi compagni a Tizzano, più la fuga in direzione dei Lagoni, è verosimile che i ragazzi si fossero messi in contatto con la formazione partigiana sul finire di giugno del ‘44 o al più tardi all'inizio di luglio. Questa ipotesi verrebbe sostenuta per due motivi: il primo è che quel periodo rappresenta la "stagione dei renitenti", dove a migliaia scappano di casa per sfuggire alla Repubblica sociale e dove si può presupporre che vi fosse anche Enzo; la seconda è una notizia del distaccamento, che segnala in arrivo verso i primi di luglio e dopo il rastrellamento dei Tedeschi di un gruppo di langhiranesi. Enzo abita a Torrechiara, una frazione di Langhirano, e il gruppo con cui è salito era composto da 6 persone (che messe in proporzione con un distaccamento medio partigiano fanno quasi un quinto del totale). Il tutto rende ancora più verosimile la versione fornita dal testimone. Va aggiunto anche che Enzo afferma di aver quasi incrociato una pattuglia di Tedeschi134 e di averli visti ritornare in pianura assieme al resto della colonna, mentre stavano sfogando la loro rabbia sui paeselli della stessa. I soldati tedeschi avevano infatti partecipato al rastrellamento di inizio mese contro i partigiani e, ancora secondo la notizia, il gruppo dei langhiranesi si sarebbe aggiunto al distaccamento riuscendo a eludere il controllo degli stessi soldati135. Nella sua testimonianza, Enzo racconta dell'arrivo di un battaglione di Russi nel distaccamento. La notizia è di per sé veritiera, ma alcuni particolari non collimano con la storiografia e deve perciò essere ridimensionata. Prima di tutto il gruppo di Russi, entrato in contatto con il distaccamento, era composto da una ventina di persone e non da cinquanta, come riportato136. Il gruppo era scappato dall'esercito tedesco (dentro il

132 Infatti, Enzo compare più volte nei vari elenchi del distaccamento. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Adda", Op. cit., pp. 57 e 61 e Massimiliano Villa, Op. cit., p. 428) 133 Il termine fissato per la fine di aprile viene posticipato al 25 maggio 1944. (Massimiliano Villa, Ivi, p. 23) 134 Quando ancora lui e il gruppo stavano soggiornando ai Lagoni. 135 Enzo infatti afferma: " E, circondati, c'è un vecchietto che ci dice: "Se andate giù, siamo circondati. Vi conviene andare sul monte [...]" indicando quindi che i Tedeschi dovevano già essere in zona per un qualche motivo. Enzo presuppone per via di una soffiata di alcune spie fasciste di Tizzano o, più generalmente secondo la storiografia, per via della preparazione in vista del rastrellamento di inizio luglio nella val Parma. 136 Va aggiunto che si trattava di un piccolo gruppo che si era staccato da resto del battaglione per riuscire a passare inosservato sino in montagna. È però presumibile che la compagnia di Russi, fuggita da Parma,

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quale erano inquadrati) con l'intenzione di disertare e di entrare in contatto con i partigiani, per questo è presumibile, ma non provato, che i Tedeschi cercassero in una qualche maniera di evitare il loro ingresso nelle file della Resistenza. Inoltre, i Russi sono entrati in contatto con il distaccamento in prossimità di Strognano, nella valle del Baganza, dopo che questi erano usciti da Parma e si erano incamminati lungo la valle137. Enzo afferma di averli visti passare l'Enza, fiume che si trova più a sud. È presumibile una svista da parte di Enzo, che probabilmente ha confuso i due fiumi. Per quanto riguarda il ruolo di Enzo all'interno del distaccamento, può essere considerato sicuramente corretto. Infatti, la sua testimonianza riguardo ai suoi incarichi collima con i compiti che venivano assegnati a una classica staffetta partigiana. Nel suo lavoro anche Enzo è stato a diretto contatto con il rischio, come era d'altra parte logico per le staffette partigiane e per chi doveva muoversi in pianura nelle vicinanze di un centro abitato138. Inoltre, la conoscenza del territorio giocava un ruolo molto importante nel lavoro della staffetta e Enzo risultava avvantaggiata poiché conosceva bene la zona.139. Assieme a Enzo erano presenti, secondo la testimonianza, anche alcuni giovani di Langhirano, nello specifico tale "Savina" e tale "Sole". Il primo è, all'anagrafe, Renzo Savina (Renzo)140 e ha fatto parte della 143° Brigata "Franci", la stessa brigata nella quale ha militato Enzo. Il secondo non è rintracciabile né tra i partigiani provenienti di Langhirano né tra i caduti della 143° Brigata "Franci". Nel suo racconto, Enzo ipotizza che tale "Bojanosky" (all'anagrafe Ivo Musi) fosse un suo concittadino. Ivo Musi era però cittadino di Vigatto, un paesino a pochi chilometri da Langhirano lungo la strada per Parma. Questa affermazione, della quale anche Enzo non risulta essere molto certo , potrebbe essere spiegata nel seguente modo: Enzo in qualità di staffetta trascorreva poco tempo a stretto contatto con il distaccamento e quindi teoricamente non avrebbe potuto conoscere così a fondo tutti i partigiani, esclusi chiaramente i suoi compaesani. All'incirca da quando Enzo è entrato nel distaccamento, il comando del distaccamento era passato dalla mani di Afro Schiaretti (Afro) a quelle di Ivo Musi (Bojanosky). Quindi il nome Bojanosky, visto che era il comandante, circolava molto tra i partigiani e deve essere arrivato anche alle orecchie di Enzo, conservandosi nella sua memoria sino ai giorni nostri.

potesse contare, in totale, su quasi una cinquantina di persone. Emerge anche da un rapporto del Comandante del distaccamento di Enzo che i Russi presenti erano 18. (Massimiliano Villa, Op. cit., p. 204) 137 Renato Lori, Op. cit., pp. 71-72. 138 Renato Lori, Ivi, pp. 90-93. 139 Enzo Collotti, Dizionario della Resistenza, pp. 289-290. 140 Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 107.

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Per quanto riguarda i suoi compagni di fuga da Torrechiara, il fatto di non ricordarsi tutti i nomi potrebbe essere dovuto a un ricordo non più così lucido, dovuto in particolare all'età. Inoltre, Enzo cita anche i fratelli Alfieri, uno dei quali era morto, mentre l'altro era tornato indietro dalla campagna di Russia. Il primo si può supporre che fosse tale Mario Alfieri141. Il secondo risulta più difficile da individuare, in quanto il cognome Alfieri compare parecchie volte nelle liste dei partigiani, ma se interpretassimo l'espressione di Enzo come espresso in precedenza, si potrebbe restringere il campo a Severino Alfieri, morto l'8 settembre 1944 in seguito a una rappresaglia nel paese di Langhirano142. Qual ora Enzo volesse intendere altro, i possibili candidati sarebbero almeno tre143. Per quanto riguarda la sua zona operativa, Enzo ha affermato che era la valle dell'Enza. La conferma di ciò la possiamo riscontrare in diversi documenti, in quanto la valle dell'Enza era diventata, dalla fine dell'estate, una zona di competenza del distaccamento "Marco Pontirol Battisti"144.

141 Amministrazione comunale di Langhirano, Ivi, p. 101. 142 Amministrazione comunale di Langhirano, Ivi, p. 103. 143 Ubaldo (Gramis), Massimino (Vento) e Sergio (Felice) Alfieri. (Amministrazione comunale di Langhirano, Ivi, p. 104) 144 Istituto tecnico "Carlo Emilio Adda", Op. cit., pp. 41-42 e 56 e Renato Lori, Op. cit., pp. 72-74.

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I rapporti della Resistenza

Introduzione: La guerra di liberazione ha visto l'interazione sul suolo italiano di diversi soggetti, appartenenti a entrambe le parti belligeranti. La loro interazione ha dato origine a diversi rapporti di forza, che si sono protratti sino al 25 aprile 1945 e classificabili, dal punto di vista partigiano, in 4 categorie: i rapporti con gli Alleati; i rapporti con i Tedeschi; i rapporti con la popolazione e i rapporti con i fascisti. L'analisi di questi rapporti è stata, per semplificazione, scomposta, ma vanno comunque considerati i rapporti come interconessi gli uni agli altri nella visione globale della Resistenza italiana.

Rapporto con gli Alleati145

Premessa: Nell'estate del 1940, la Francia era stata sconfitta e sottomessa al potere di Berlino, così da far restare la sola Inghilterra a difendere gli interessi alleati in Europa. Fin da subito, gli Inglesi cercarono di aprire una breccia all'interno del blocco dell'Asse, organizzando delle azioni di resistenza interni ai paesi occupati. Nacque per questo motivo, il 22 luglio del 1940, il SOE, un organismo con il compito di organizzare le varie operazioni di sabotaggio e resistenza nei paesi sottomessi al potere dell'Asse146. L'organizzazione agiva con la speranza che, in questo modo, la guerra si sarebbe risolta in breve tempo, ma, a causa di condizioni quadro sfavorevoli147 e a causa anche del poco controllo che il SOE aveva su queste bande armate148, la situazione bellica non stava comunque volgendo in suo favore.

145 Con il termine "Alleati" si vanno ad indicare tutte le nazioni che durante la seconda guerra mondiale facevano fronte comune contro l'asse Roma - Berlino e il Giappone. Nel testo, va inteso prevalentemente come Gran Bretagna e Stati Uniti, in quanto vi parteciparono ben si altre nazioni, ma non ebbero un influenza decisiva ne sul fronte italiano ne nei rapporti con la Resistenza. (Enrico Stumpo, Scenari della storia, pp. 176-182) 146 Special Operation Executive. (Tommaso Piffer, Gli Alleati e la Resistenza italiana, p. 249) 147 Come i pochi mezzi economici e disposizione; l'assenza di reti strutturate per la comunicazione all'interno dei paesi e non da ultimo la ferocia nazista che puniva severamente chiunque tentasse di complottare contro la Germania. Va anche sottolineato come le decisioni di intervento dovevano essere prese in accordo con il FO (Foreign Office, ufficio che si occupava di tutelare gli interessi inglesi all'estero) in quanto ogni mossa aveva delle conseguenze politiche nei paesi interessati di cui bisognava tenere conto e questo rendeva ogni azione difficile da realizzare in tempi brevi.(Tommaso Piffer, Ivi, pp. 20-23) 148 Solo a partire dal novembre del 1940, il SOE punterà sulla creazione di queste bande armate. Prima, ci si limitava unicamente ad azioni di sabotaggio e non di azioni di guerriglia vera e propria.(Tommaso Pfiffer, Ibidem)

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L'ingresso degli Stati Uniti in guerra non migliorò la situazione , in quanto gli stessi americani erano scettici verso l'assetto di bande armate che si stava profilando in Europa, in quanto le stesse erano sia difficilmente controllabili e sia, nella maggioranza dei casi, su posizioni vicine a quelle sovietiche e quindi poco condivise149. Lo scetticismo di fondo legato alla strategia da adottare per sconfiggere la Germania è una costante che caratterizzerà sino alla fine la collaborazione tra gli Inglesi (i quali interessi venivano rappresentati dal SOE) e gli Americani (che agivano invece per mezzo dell' OSS150). Tra le misure adottate, la scelta d'invadere l'Italia faceva parte della strategia alleata di aprire un secondo fronte sul continente europeo, parallelo a quello francese, in modo da costringere la Germania a distribuire le forze e ad allentare, di conseguenza, la resistenza su uno dei due151. Questa misura venne approvata durante un incontro tra le tre potenze Alleate, tenutosi a Casa Blanca (Marocco) nel gennaio 1943.

Dai primi contatti ai rifornimenti aerei: Gli Alleati sbarcarono in Sicilia all'inizio dell'estate del 1943 e risalirono la Penisola italiana, incontrando le resistenze tedesche prima sulla linea Gotica, all'altezza di Roma, e in seguito sulla linea Gustav, sugli Appennini tosco-emiliani152. Durante quella che verrà definita come la campagna d'Italia, gli Alleati avevano la necessità di disporre di uomini in grado di preparare il terreno, dietro la linea del fronte, in modo da facilitare l'arrivo dei reparti anglo-americani. Questi uomini potevano essere reclutati unicamente tra i combattenti antifascisti. Ma vista l'assenza di rapporti strutturati con l'opposizione antifascista sul territorio occupato, nessuno tra i servizi militari inglesi e americani riuscì in modo concreto a portare avanti operazioni militari in tal senso nei primi mesi di campagna. Quando finalmente furono gettate le basi, gli Alleati iniziarono ad inviare ufficiali di collegamento in tutte le regioni d'Italia occupate dai Tedeschi, concretizzando la collaborazione tra bande e Anglo-americani153. A causa delle poche informazioni che si avevano, era difficile stabilire la posizione esatta delle formazioni partigiane e di conseguenza molti ufficiali venivano paracadutati "al buio"154. Un' operazione rischiosa, in quanto c'era la concreta possibilità di finire direttamente nelle

149 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 33 150 Office of strategic service, organo della CIA ( e quindi dei servizi segreti americani) simile al SOE (Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 10). 151 Il piano trovava l'opposizione del primo ministro inglese Churchill, che riteneva come la creazione di un secondo fronte fosse solo d'intralcio alla preparazione dello sbarco in Normandia. (Tommaso Pfiffer, Ibidem) 152 Alessandro Aruffo, Geografie della Storia, pp. 268-269. 153 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 91. 154 Margherita Visalli, Momenti salienti della Resistenza nel Parmense, p. 75.

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mani del nemico o di arrivare in una zona in cui la popolazione era ostile agli Alleati e pronta a denunciare il paracadutista alle forze tedesche155. La collaborazione con le forze angloamericane ha permesso un importante sviluppo della Resistenza in Italia156. Centrale fu il ruolo che assunsero i lanci di materiale alle formazioni. In un contesto come quello italiano, dove rifornirsi di cibo, armi e vestiti presso la popolazione locale era diventato molto difficile, i lanci assunsero una grande importanza157. I servizi segreti, malgrado la poca fiducia, erano d’accordo a fornire armi per ogni missione, con lo scopo comune di combattere il nemico tedesco. I lanci venivano eseguiti nella maniera seguente: veniva stabilita la zona dove effettuare il lancio; in seguito veniva chiesto a un reparto di organizzare campi di ricezione adatti e di preparare segnali visibili di notte dagli aerei; dopo di che avveniva il lancio158. Gli ufficiali alleati, che arrivarono sul suolo italiano tra il giugno e il settembre del 1943, permisero anche alle formazioni di avere i collegamenti radio necessari affinché le operazioni partigiane potessero essere coordinate con quelle delle truppe regolari o con gli altri distaccamenti159. Inoltre, la presenza degli Alleati tra le formazioni partigiane ebbe un enorme impatto psicologico, come si può leggere in una relazione di una missione americana in Liguria: "Al di là delle considerazioni di carattere militare, la presenza di una missione americana servì come un costante richiamo all'impegno alleato di aiutare la causa dei partigiani e anche del significato della unificazione degli sforzi contro il comune nemico 160." Non da ultimo gli Alleati spinsero affinché i partigiani fossero addestrati in azioni di sabotaggio e messi in grado di utilizzare esplosivi e tecniche di demolizione, anche se diversi di loro erano già istruiti in materia, in quanto avevano alle spalle una carriera nell'esercito italiano161.

155 Tommaso Pfiffer, Op. cit., pp. 91-95. 156 Tommaso Pfiffer, Ibidem. 157 In un paese appena uscito da una dittatura, con un esercito che si stava sciogliendo e quasi immediatamente invasi dalla Germania, diventava impossibile per i partigiani cercare rifornimenti presso la popolazione, impaurita dai moniti tedeschi contro qualsiasi aiuto di sorta ai "Banditi". Inoltre, dopo l'arrivo dei Tedeschi, i negozi erano vuoti e i prezzi dei prodotti continuava a salire. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Le bande partigiane nelle valli del Parma e del Baganza, p. 17 e Margherita Visalli, Op. cit., pp. 78-79) 158 Di regola i lanci erano per i singoli reparti. Ma era sovente che due bande si contendessero il materiale, soprattutto se queste erano di due fazioni diverse . (Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 96) 159 Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 56-59. 160 Rapporto sulla missione "Walla Walla", in "Americani dell'OSS e partigiani nella sesta zona operativa ligure", cit. pp.47s. L'originale in Nara, RG 226, Entry 99, box 44, folder 1. (Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 97 e p. 288) 161 Alla nascita del movimento partigiano ci stavano i soldati del disciolto esercito regio. (Enzo Collotto e Renato Sandri, Dizionario della Resistenza, p. 217)

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Rapporti di forza tra ufficiali alleati e partigiani: In questo contesto iniziano ad emergere nei rapporti tra partigiani e Alleati le prime divergenze su come andasse organizzata la guerriglia anti-tedesca. Gli Anglo-americani riconoscevano che le formazioni partigiane erano in grado di svolgere azioni di sabotaggio e attività di guerriglia, ma erano anche convinti dell'impossibilità delle formazioni di gestire con successo azioni offensive contro il nemico162. Questo comportò il fatto che le formazioni erano armate con armi spesso leggere, non potendo così tenere testa ad un esercito moderno e sufficientemente armato come quello dell'invasore. La mancanza di mezzi di trasporto non permetteva di concentrare in una zona specifica le forze e i rifornimenti necessari e, non da ultimo, gli Alleati erano scettici riguardo ai capi partigiani, spesso dei civili che non avevano alcuna esperienza e l'addestramento necessario a condurre una battaglia o addirittura una guerra163. Difficoltà si riscontravano anche sul campo ideologico. I vertici della Resistenza avevano spesso tutt'altre ambizioni rispetto a quelle dei generali alleati e consideravano la Resistenza non solo per il suo valore militare, ma anche per quello politico. Un ulteriore elemento di difficoltà nelle relazioni era dato dall' introduzione all'interno della gestione delle informazioni dei criteri che avevano a che fare quasi esclusivamente con la competizione con i partiti che le animavano e che andavano spesso a discapito dell'efficacia militare delle stesse164. In poche parole, gli Alleati distribuivano gli aiuti a seconda del colore politico. Oltre a ciò, un aumento eccessivo degli effettivi era considerato inutile e dannoso da parte degli stessi Alleati, anche se agli occhi dei capi partigiani rappresentava un obbiettivo importante dal punto di vista politico. Non stupisce quindi che nascessero in diverse occasioni contrasti tra i capi partigiani e gli ufficiali di collegamento, i quali volevano evitare che il materiale inviato alle formazioni venisse utilizzato per altri scopi, che non fossero bellici. Generalmente, quasi tutti gli attriti vennero sanati con una buona dose di pazienza e diplomazia da entrambe le parti. Ma quello più difficile da sanare era rappresentato dalle rivalità interne alla Resistenza tra le formazioni partigiane di diverso colore politico, le quali sfociavano spesso in scontri anche mortali. A preoccupare gli Alleati era in particolare, sull'Appennino, l'uso fatto dai vertici del Partito comunista del potere ottenuto grazie all'espansione incontrollata delle formazioni garibaldine in Emilia. 162 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 100. 163 "Tuttavia, le modalità classiche della guerriglia partigiana (mobilità, rapidità d'attacchi e ritirate, rinuncia a difese rigide e frontali, tecniche di dispersione di fronte alle reazioni nemiche, opzioni offensive commisurate alle esigenze di "durare nel tempo per colpire") non furono subito patrimonio di tutte le bande. [...]" (Enzo Collotto e Renato Sandri, Op. cit., p. 220) 164 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 101.

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Va comunque evidenziato che, a prescindere dalla generalizzazione fatta, era diffuso tra diverse formazioni garibaldine165 un sentimento anti-alleato. In mezzo a tutte queste incognite, l'unica certezza risiedeva nel fatto che la maggior parte di questi problemi erano intrinseci alla politica portata avanti al Partito comunista166. In caso di accordo avrebbe potuto seguire la linea di collaborazione con gli altri partiti antifascisti come in Francia. In caso di disaccordo con gli Alleati si sarebbe potuto arrivare a una situazione di crisi come era già successo nei mesi precedenti in Jugoslavia, Grecia e Albania che avrebbe rischiato di compromettere un’opposizione efficace al nemico167. Però, la situazione italiana era ben diversa da quella balcanica. Infatti, in Italia, le formazioni operavano all'interno di un quadro resistenziale definito che aveva il suo vertice nel CLN, all'interno del quali tutti i partiti antifascisti erano rappresentati. Questo, unito alla presenza sul territorio di un governo di cui facevano parte gli stessi partiti, sembrava diminuire il rischio di una rottura tra i partiti stessi. Questa constatazione faceva ben sperare le forze alleate sulla possibilità che un conflitto tra fazioni non degenerasse in scontri armati, pregiudicando l'unità del movimento e la stabilità nelle diverse zone168. È innegabile che la situazione nella quale gli ufficiali di collegamento si trovarono a lavorare era molto diversa da quella greca o jugoslava. Questo era dovuto in larga misura alla scelta del Partito comunista italiano di non fare "muro contro muro", ma bensì di collaborare con le altre forze antifasciste in seno alla Resistenza169. Il momento decisivo per questa scelta fu quasi sicuramente il ritorno in patria del leader del Partito stesso, Palmiro Togliatti170.

165 Brigate Garibaldi legate al Partito comunista; le brigate Giustizia e Libertà erano legate invece al Partito d'azione patriottica che aveva un ispirazione socialdemocratica; i socialisti avevano poi le Brigate "Matteotti". (Margherita Visalli, Op. cit., pp. 40-45) 166 Tommaso Pfiffer, Op. cit., pp. 103-104. 167 Enzo Collotto e Renato Sandri, Op. cit., pp. 100-104 e 242. 168 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 106. 169 Nei Balcani invece il Partito comunista aveva messo in atto una contrapposizione diretta con le altre forze politiche. (Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 107) 170 Palmiro Togliatti, alla testa del Partito comunista italiano dal 1927, si era auto-esiliato a Mosca per evitare gli arresti imposti dallo stato fascista. Quando arriva a Napoli, nel marzo del 1944, aveva trovato una soluzione per sbloccare lo stallo tra i partiti antifascisti e il governo Badoglio. Il Partito comunista, che fino a quel punto era contrario ad avere alla testa dello Stato, l'ex fedelissimo di Mussolini, Pietro Badoglio, si piegò. Così facendo determinò la futura collaborazione tra i vari partiti e i vari movimenti partigiani. Questa svolta è passata alla storia come la "Svolta di Salerno". (Tommaso Pfiffer, Ibidem; Franco Gaeta, Pasquale Viviani e Claudia Petraccone, Op.cit., p. 494 e Andrea Giardina, Giovanni Sabatucci e Vittorio Vidotto, I mondi della storia, p. 242)

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Difficoltà logistiche e percezione dei lanci dalla parte italiana: A partire dalla metà del 1944, le difficoltà riscontrate nel lancio dei materiali richiesti dalle missione divennero costanti171. Queste difficoltà erano da imputare a due fattori: in primo luogo a causa delle lunghe distanze che gli aerei dovevano coprire e alle condizioni meteo non ottimali172. In secondo luogo, anche di una scarsa disponibilità di aerei per il fronte italiano173 che stava influenzando la situazione. Per ovviare a questo ultimo problema, il generale William Donovan chiese al presidente americano Wilson l'invio del 885° squadrone americano di stanza ad Algeri per supportare i lanci nei territori italiani174. Una considerevole parte degli insuccessi (quasi il 40%) venivano imputati a "errori", situazioni nelle quali l'aereo in avvicinamento non ricevesse dalla missione il segnale convenuto, in quanto i reparti non erano ancora arrivati in zona o perché questi non vi potessero essere in quanto erano in fuga dai rastrellamenti tedeschi. Questi problemi venivano vissuti con una filosofia diversa a seconda reparti partigiani. Secondo alcuni di loro, il danno maggiore era dovuto non tanto alla scarsità del materiale, ma allo scarto tra le promesse fatte dagli ufficiali di collegamento e quello che si riceveva. Questo implicava un danneggiamento del prestigio e un abbassamento della stima che le formazioni avevano nei confronti degli Alleati. A ciò si andò sommando il fatto che la disponibilità di mezzi e di materiali per i partigiani era influenzata dalle esigenze degli altri fronti, prioritari nella strategia degli Alleati rispetto a quello italiano175. Tutto ciò poteva incoraggiare una mentalità critica dei partigiani, aperta a idee rivoluzionarie e conseguentemente aperta anche a teorie anti-alleate. Oltretutto, i partigiani erano portati a credere che gli Alleati disponessero di mezzi e di risorse illimitate e che quindi, se avessero avuto la possibilità di fornirli lo avrebbero ben fatto. Ma dietro alla linea del fronte si sapeva nulla o pochissimo delle difficoltà tecniche-tattiche nelle quali erano bloccati gli Alleati. Nel caso in cui un rifornimento non avvenisse, i partigiani interpretavano in maniera radicalmente differente la mancanza di lanci e l'operato dell'ufficiale di collegamento. In diversi casi, in particolare tra alcuni reparti garibaldini, serpeggiava la teoria che erano

171 Secondo quanto riportato in un verbale dello Special Operation Meeting, durante il mese di agosto del'44 erano state lanciate in Italia solamente 69 tonnellate di materiale sulle 300 stabilite. (Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 135) 172 In particolare, in quell'anno, l'inverno è uno dei più rigidi e le nevicate sono copiose. (Massimiliano Villa, Dal Ventasso al Fuso, p. 295) 173 In quel momento, l'attenzione degli Alleati si concentrava maggiormente in Francia e in Polonia, soprattutto in quest'ultima dove dovettero soccorrere la Resistenza polacca lasciata allo sbando da Stalin. (Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 97 e 288) 174 Durante la guerra a capo dell'OSS. (Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 35-36) 175 Gianni Oliva, La Resistenza, pp.9 4-95.

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gli stessi Alleati a non volere mandare i rifornimenti176. La difficile conoscenza delle difficoltà alleate ha potuto generale una tale incolpevole ignoranza, che sommata a un forte pregiudizio anti-alleato abbia dato adito alle teorie della propaganda anti-alleata tra le quali la discriminazione delle bande di orientamento politico di filo-comunista177. Ma è comprensibile che tali accuse abbiano trovato ampio credito nelle bande, costrette a resistere da sole durante il rigido inverno del '44 davanti alle offensive tedesche e senza un affidato supporto alleato.

L'estate del 1944: Nel corso del biennio 1943-1944, i rapporti tra i partigiani e gli Alleati erano profondamente cambiati. Nell'Italia occupata, l'afflusso di reclute, a causa del rifiuti ai bandi fascisti, assieme a un miglioramento della situazione meteorologica; e l’avanzata delle truppe alleate davano l'illusione che il conflitto si sarebbe esaurito presto178, aumentò considerevolmente il numero dei militi nei ranghi della Resistenza. Nello stesso periodo, il CLN e il CVL estesero la loro autorità nei territori occupati. Malgrado una prima fase di perplessità, gli Alleati iniziarono ad apprezzare il contributo che le formazioni partigiane stavano dando all'avanzata alleata, a tal punto da aumentare le risorse messe a loro disposizione e da garantire alla bande un’ organizzazione militare migliore179. Ma nel frattempo, gli Alleati si stavano muovendo per evitare che il movimento partigiano assumesse troppo potere, in vista soprattutto della fine imminente della guerra180. Malgrado ciò, i CLN di Piemonte, Lombardia e il CLNAI181 vennero dotati, nella riunione del 31 agosto 1944 tenuta dalla Commissione di controllo alleato, della delega per la gestione dell'ordine nella fase successiva alla resa tedesca, assumendo cosi un potere temporaneo che avrebbe in seguito rimesso nelle mani degli stessi Alleati una volta terminato il

176 In questo caso, come scrisse Claudio Pavone in "Saggio storico sulla moralità della Resistenza" : "I forti sentimenti anti-alleati presenti in alcune formazioni rafforzavano cosi il sospetto che dietro la scarsità di aiuti vi fosse un pregiudizio di tipo politico". (Claudio Pavone, Saggio storico sulla moralità della Resistenza, p. 138) 177 Oltre a sfavorire le formazioni di stampo politico marxista - leninista, gli Alleati pretendevano di trattare i vari movimenti di Resistenza europei come dei semplici collaboratori dipendenti. La cosa, chiaramente, non era gradita a nessuno nei paesi occupati e neanche in Italia. (Margherita Visali, Op. cit., pp. 92-93) 178 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 184-186. 179 Rispetto ai mesi prima, i servizi segreti aumentarono la quota dei rifornimenti alle bande, sino a raggiungere le 600 tonnellate consegnate (rispetto alle 300 programmate per i mesi prima). ("Tommaso Pfiffer, op. cit., pp. 141-142) 180 Vista l'avanzata alleata e le difficoltà tedesche, si intravvedeva una fine della guerra anche prima dell'inverno. (Margherita Visalli, Op. cit., pp. 74-75) 181 Nel dicembre del 1944, i rappresentanti del CLNAI e gli Alleati trovarono un accordo, e quest'ultimi diedero al CLNAI i mezzi e l'autorità necessaria a svolgere i compiti che gli erano stati affidati. Lo stesso CLNAI trovò un accordo con il governo dell'Italia liberata. (Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 190)

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conflitto182. Si stabilì anche che le missioni avrebbero svolto il ruolo di governo militare sino all'arrivo delle truppe alleate. Ma i continui mutamenti sullo scacchiere militare europeo fecero modificare ancora una volta il quadro strategico. Alla fine del settembre 1944, il fronte francese e il fronte nei Balcani iniziarono a risentire delle perdite e di conseguenza gli sforzi alleati non vennero più concentrati intensamente sul fronte italiano. Cosi facendo la liberazione dell'Italia non sarebbe giunta prima della primavera, obbligando i partigiani a passare un altro rigido inverno sulle montagne.

L'(ultimo) inverno: Malgrado i combattimenti proseguissero senza sosta tra l' ottobre e novembre del '44, gli Alleati dovettero prendere atto dell'impossibilità di concludere la campagna prima della fine dell'anno. Tutto questo era dovuto da una parte all'appoggio limitato che gli Alleati stavano fornendo alle missioni, e dall'altra all'intenzione del nemico di contendere ogni metro di territorio183. Oramai tutte le missioni soffrivano per le condizioni sempre più difficili della vita in montagna, della mancanza di armi, cibo e vestiti e sovente dei numerosi rastrellamenti messi in atto dai Tedeschi184. In questo scenario, già infelice di conto suo solo, arrivò anche la decisione del Comando supremo alleato di togliere risorse alla Resistenza italiana in favore di quella jugoslava185. Questa azione, sommata al precedente proclama del generale Harold Alexander186, gettarono ancora di più i distaccamenti nello sconforto187. 182 Prima di restituire il territorio al governo italiano, gli Alleati esercitarono una breve amministrazione militare. (Margherita Visalli, Op. cit., pp. 136-138) 183 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p. 163. 184 Nel tentativo di rifornire maggiormente le missioni, gli Alleati decisero di procedere con dei lanci diurni concentrati in poche zone. Ma i risultati si rivelarono inferiori alle aspettative (con solo il 30% di lanci avvenuti con successo) e generarono ancora più agitazione tra i reparti tedeschi che aumentarono la frequenza dei rastrellamenti. (Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 180-181) 185 Anche i cambiamenti di strategia contribuirono a danneggiare questi rapporti. I danni maggiori ai rapporti con la Resistenza non derivano tanto dalla subordinazione del teatro italiano a quello jugoslavo, ma piuttosto dalla discontinuità del supporto causata dai continui mutamenti della politica alleata. Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 182) 186 Conosciuto come "Proclama Alexander" venne trasmesso il 13 novembre 1944 tramite la radio e lo stesso generale invitava i partigiani a smobilitarsi, terminando cosi le azioni offensive contro i Tedeschi e ad appostarsi su posizioni difensive, fino alla primavera successiva. Nel corso degli anni settanta, gli storici hanno potuto accertare che dietro l'emanazione del proclama non ci fu nessun tentativo di danneggiare la Resistenza italiana. Secondo gli stessi storici, il proclama può essere letto come l'espressione della "totale mancanza di comprensione della situazione in cui si svolgeva la lotta partigiana e delle conseguenze che una tale iniziativa avrebbe determinato." Questo è rafforzato anche dal fatto che il generale Harold Alexander era un fermo sostenitore della necessità di rafforzare le formazioni partigiane nel Nord Italia. (Tommaso Pfiffer, Op. cit., pp. 182-183) 187 Oltre a non fornire indicazioni sostanziali ai partigiani e a causare un enorme impatto psicologico, il proclama si dimostrò un boomerang. Infatti, non rifornendo più in modo costante le formazioni partigiane, queste non riuscirono a tenere in allerta i Tedeschi sia all'interno del territorio sia sulla linea del fronte. Cosi facendo il fronte si stabilizza sulla linea Gotica (per rimanervi sino alla primavera) e i reparti tedeschi possono essere utilizzati nell'entroterra in azioni contro i distaccamenti, poco armati, consentendo cosi agli stessi Tedeschi di mantenere il controllo del territorio. (Gianni Oliva, Op. cit., pp. 96-97)

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In questo contesto, il flusso dei rifornimenti alleate subì un parziale rallentamento. Nel frattempo, alcune missioni furono sostituite e altre mandate nelle zone fino a quel momento scoperte. Ma nel suo insieme tutto il fronte partigiano era soggetto a profondi mutamenti, determinati oltre che dalle decisioni alleate, anche dai forti rastrellamenti tedeschi e da alcune situazioni di conflitto all'interno della Resistenza. Questi problemi si acutizzarono particolarmente in Emilia, in particolare a causa di una crisi del comando unificato della Resistenza188. Inoltre, a causa di alcune previsioni sbagliate, diversi distaccamenti sotto pressione dei Tedeschi finirono con l'oltrepassare il fronte finendo nella zona liberata dagli Alleati. Cosi facendo solo pochi distaccamenti rimasero in montagna a fronteggiare il nemico e a questo si sommarono alcuni contrasti tra democristiani e comunisti che alimentarono ancora di più la crisi nella regione. La crisi venne sedata in parte dagli Inglesi, ma non mancò di riesplodere nei mesi successivi.

La ripresa del 1945: Con l'avvento del nuovo anno, la capacità di rifornimento degli Alleati aumentò a dismisura. Questo cambiamento era il frutto dell'utilizzo delle basi di Cecina e Rosignano (Toscana, Italia), molto più vicine rispetto a quella di Brindisi (Puglia, Italia), che permisero di effettuare voli con finestre temporali molto più ristrette. Con questa soluzione e altri accorgimenti, i lanci non diventarono più un problema, a tal punto da permettere agli Alleati di consegnare ai reparti 550 tonnellate nel mese di gennaio, mentre a febbraio si arrivo addirittura a 900189. Oltre a risolvere i problemi tecnici, gli Alleati tentarono di instaurare dei rapporti più strutturati con le autorità del CLNAI, cosa che avvenne con successo190. Parallelamente a questi due aspetti, ci fu un’ evoluzione delle situazioni locali. In Emilia, vennero sostituiti diversi agenti, presenti già da parecchi mesi sul campo. I nuovi arrivati furono particolarmente sollecitati dalla nuova crisi in seno Comando unico che aveva già avuto degli strascichi nei mesi passati. La contesa contrapponeva ancora una volta comunisti e democristiani che si scontravano sul tema di ristrutturazione del Comando. Gli Alleati, vista la situazione e la linea del fronte a pochi chilometri, preferirono evitare una riorganizzazione, che in quel momento sarebbe stata

188 Margherita Visalli, Op. cit., pp. 74-92. 189 La distanza tra le zone di lancio e le nuove basi era stimata intorno ai 150-300 chilometri, mentre da Brindisi si toccavano anche gli 800. (Tommaso Pfiffer, Op. cit., pp. 193-195) 190 Questo successo permise al CLNAI di avere più credito verso gli Alleati, ma questo si verificò solamente dopo che le parti furono uscite da una profonda incertezza. (Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 195-198)

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la scelta più deleteria. Ma non in tutte le regioni dell'Italia occupata i rapporti tra gli ufficiali alleati e i partigiani si svilupparono in modo tranquillo191. Se sul campo le operazioni stavano procedendo nel senso auspicato, dietro le quinte gli Alleati si dovettero chinare su un importante problema: quanto era desiderabile accrescere la Resistenza al Nord, in relazione anche ai problemi di sicurezza che si sarebbero potuti verificare al momento della Liberazione? Una parte dei servizi segreti era favorevole a una riduzione del sostegno, in quanto se i partigiani si fossero limitati a compiere azioni di sabotaggio nelle retrovie occupate dai Tedeschi, sarebbero venute a costare molto di meno rispetto alla strategia corrente. Un'altra parte dei servizi sosteneva invece che, in vista di una liberazione prossima del paese, nel giro di circa sei mesi, il movimento partigiano non si sarebbe potuto espandere così tanto da costituire un problema. Le possibilità che si presentavano agli Alleati erano le seguenti. aumentare i lanci e rafforzare di conseguenza il movimento partigiano; abbandonare le formazioni a loro stesse e perdere un alleato importante sul fronte italiano per l'ultimo attacco o mantenere il livello attuale di lanci, aumentandolo unicamente per casi specifici. In questo ultimo caso, anche con una riduzione parziale dei rifornimenti si sarebbe potuto conservare il "nucleo" della Resistenza. Gli Alleati, dopo aver esaminato tutte le possibilità, scelsero l'ultima e assieme a questa emanarono una nuova direttiva che ridefiniva gli scopi e i limiti del supporto alleato alla Resistenza. Lo scopo di questa nuova politica sarebbe stato quello di evitare un espansione incontrollata delle formazioni, ma incoraggiando al tempo stesso gli atti di sabotaggio organizzato; le demolizioni controllate delle strutture tedesche e la conservazione delle strutture necessarie al futuro Stato italiano. Inoltre, gli Alleati promisero che avrebbero dato la massima percentuale di rifornimenti non-militari e preparato, assieme alla Commissione alleate il periodo post-Liberazione, in modo tale da mantenere alto il morale delle formazioni partigiane192.

Insurrezione: Come già detto, nel corso del mese di febbraio del 1945, i rifornimenti in favore dei reparti partigiani raggiunsero livelli superiori anche a quelli necessari per il mantenimento delle formazioni stesse, malgrado gli accordi presi in seno ai servizi segreti alleati a febbraio. Messi da parte i richiami da parte degli organi competenti, le

191 Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 199-204. 192 Su queste scelte rimaneva costante l'influenza dell'anticomunismo e il timore del ripetersi di una situazione come quella greca, ma esse influirono in maniera più sfumata rispetto a quello che si riteneva comunemente. Inoltre, la principale paura non era tanto quella di una possibile insurrezione comunista, ma piuttosto che il governo del CLNAI entrasse in rotta di collisione con il governo di Roma. (Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 210-212)

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missioni continuarono a ricevere sino alla fine di aprile dei quantitativi di merce superiori a quelli stabiliti e le direttive del 4 febbraio vennero riviste ed approvate il 17 aprile, una settimana prima dell'insurrezione generale193. Nel frattempo, si stavano facendo i preparativi in vista della fine della campagna italiana ritenuta oramai imminente. In quasi tutte le missioni venne inserito del personale con esperienza di amministrazione militare in modo da fare direttamente da tramite tra i partigiani e il futuro governo d'amministrazione alleato; e le missioni di sabotaggio vennero intensificate. A livello amministrativo, le missioni si assunsero il compito di rappresentare gli Alleati nel periodo tra la ritirata delle truppe tedesche e l'arrivo di quelle alleate, garantendo cosi il raggiungimento degli obbiettivi militari e assicurandosi che i vari CLN locali seguissero le istruzioni dei comandi militari. Dal punto di vista operativo, fu lasciato ampio margine alle missioni nei limiti concessi dalle direttive generali degli Alleati. In questa maniera fu possibile formulare preparativi ad hoc per le diverse aree in accordo con i distaccamenti locali194. All'inizio di aprile, vennero paracadutati in Italia anche alcune squadre di comando britannico, che avevano il compito di colpire alcuni obbiettivi specifici appoggiandosi ai partigiani e alle missioni già sul campo. Nel mentre, la sera del 9 aprile, l' 8° armata britannica attaccò la linea del fronte, sfondandola rapidamente a avanzando verso il nord. Il 14 aprile fu la volta della 5°armata americana che, dopo un duro bombardamento, si mosse in direzione di Bologna. Il 20 aprile le truppe alleate superarono la linea montuosa degli Appennini e si riversarono sulla pianura Padana. Il giorno seguente Bologna era libera, Parma lo fu il 25 aprile195. A causa della rapidità dell'offensiva alleata, i reparti partigiani si ritrovarono nella situazione di non più combattere corpo a corpo con il nemico, ma piuttosto di ostacolarne la fuga verso il Nord. Unicamente nelle zone a contatto con il fronte si poté assiste a una stretta collaborazione tra reparti partigiani e reparti alleati durante gli attacchi alle formazioni tedesche, che registrarono parecchio successo. Secondo gli Alleati, il contributo più grande dato dai partigiani fu quello di permettere una rapida pacificazione nelle città, cosi da non costringere i reparti alleati a lasciare i propri uomini a presidiarle. Apprezzate furono anche la preservazione dei numerosi impianti industriali, scampati alle barbarie tedesche.

193 Tommaso Pfiffer, Ivi, pp. 218-219. 194 Tommaso Pfiffer, Ivi, p. 222. 195 Ma già dal 23, il comando militare tedesco (MK 1008) aveva abbandonato la città. (Guido Pisi, Parma e la sua provincia sotto l'occupazione tedesca, p. 16)

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Ad accettare la resa delle formazioni tedesche dovettero essere gli agenti dei servizi segreti presenti all'interno delle missioni, in quanto i comandanti tedeschi si rifiutarono generalmente di arrendersi ai "Banditen"196. Nel rapido volgersi di 20 giorni, tutta l'Italia era stata liberata e a Torino, il 1° di maggio, si concluse la campagna d ‘Italia. Il giorno successivo il cessate il fuoco entrava in vigore su tutto il territorio nazionale e faceva iniziare una delle fasi più delicate: il passaggio dalla smobilitazione alla transizione dalla guerra alla pace197.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul rapporto tra i resistenti e gli Alleati: Nel seguente dialogo, Enzo racconta dell'arrivo in zona di un graduato inglese con il quale passerà diversi mesi sui monti. Viene fato anche un riferimento abbastanza dettagliato sui lanci e infine viene posto l'accento sull'odio che il graduato inglese aveva nei confronti dei comunisti.

Folezzani: "Ci siamo stati un mese o due, si...Poi siamo venuti giù...Ah, poi dopo arriva giù un grande capo inglese con l'apparecchio."

Folezzani: "[...] Allora, siamo andati a cos...ai lanci, sia chiama, aspetti...sa...allora....Che poi ai lanci sono stato su li (indica dietro di sé, verso Capoponte) , il primo lancio fu quello li, e poi siamo venuti a Corniglio." Boraschi: "Ma non si ricorda il nome e il cognome di questo inglese?" Folezzani: "No, lui aveva dei gradi [...]"

Folezzani: " [...] E allora, lui cosa ha visto? Venendo giù di li, io ero già la ai lanci perché è arrivato l'apparecchio (e indica con l'indice il soffitto). Uhuhuhuh (si mette a imitare il suono dell'aereo). Io lo guardavo cosi, avevo la parola d'ordine. C'avevo un po' di fieno e una scritta, che possono buttare giù." Boraschi: "Si." Folezzani: "Loro (i piloti) aspettavano l'ordine da lui e lui, niente, mi ha detto: "Fai te! Fai quello che vuoi!" E allora io vado giù per accendere. Come sono andato giù per accendere, qui, eh. (indica la lente che era

196 Tommaso Pfiffer, Op. cit., p.227. 197 Tommaso Pfiffer, Ivi, p.228.

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ancora sul tavolo), loro hanno aperto..." Boraschi: "Lo sportello?" Folezzani: "Seh, e giù tutta la roba (allarga le braccia per far vedere la quantità): fucili, mangiare, di tutto. Uno (dei cassoni) è stato scaricato sul tetto ed è andato a finire in casa della gente, un disastro. Erano carichi. E allora io gamba sono andato nel bosco."

Folezzani: "Allora a Palanzano, da li siamo andati ancora, un altro trasloco, siamo andati a.. era giù... a Selvanizza!" Boraschi: "Si." Folezzani: "Selvanizza, sempre ai lanci e dovevo poi distribuire tutta la merce anche, del mangiare... " Folezzani: "[...]Eh, Monchio! Ai lanci anche lì. C'era un bel posto anche li, perché si spostavano molto e volevano magari avere tutto in un posto la discarica di cibo. E loro facevano Corniglio, Monchio, Palanzano..." Boraschi: "Ah, distribuivano un po' i lanci." Folezzani: "Sì, perché loro ne sapevano di queste cose." Boraschi: "Si, domanda: ma i lanci sono continuati fino alla liberazione di Parma o a un certo punto sono finiti?" Folezzani. "Beh, quando abbiamo potuto siamo andati giù..." Boraschi: "No, ma nel senso. Gli aerei facevano i lanci e buttavano giù le scatole..." Folezzani: "Ah, si. Armi, tutto..." Boraschi: "Però fino a quando gli alleati hanno continuato a buttare giù la roba?" Folezzani: "Nono, sempre, fino alla fine." Boraschi: "Ma non c'è stato un momento dove buttavano giù di più o di meno?" Folezzani: "No, anche li cambiavano sempre. A Corniglio, a Palazano, poi sempre da questa parte, Monchio, andare su da Monchio...eh, ci sono tanti paesi che ricordo. La memoria non ce l'ho mica più come una volta..."

Folezzani: " [...] Eravamo su al Comune, andavamo giù per la strada, passano 4 o 5 partigiani. [Lui dice:] "Ma sono tutti comunisti qua???" [Riprende Folezzani] Lui gli odiava, hai capito?"

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Nella testimonianza di Enzo Folezzani, gli eventi narrati coincidono con quelli descritti dalla storiografia. La presenza di un graduato inglese nella zona tra Langhirano e Palanzano è senz'altro vera198, ma deve essere in parte ridimensionata. Infatti, dietro la linea del fronte, operavano 59 ufficiali inglesi, 66 militari di rango inferiore e 92 agenti di altre nazionalità addestrati dal SOE199, senza contare gli uomini dell'esercito americano. In questo contesto, risulta particolarmente difficile stabilire il grado e l’identità del milite. Emerge però da alcune pagine del libro "Dal Ventasso al Fuso" e da alcune testimonianze, la presenza del maggior Charles Holland, del sergente Frank Hayhurst200 e di un certo Dr. Agostini, in quella zona del Parmense e avevano la loro base operativa a Palanzano201. Enzo ha affermato di essere stato per un paio di mesi a Palanzano e potrebbe essere entrato in contatto con Holland o con uno dei suoi colleghi. È più probabile che sia entrato in contatto con il sergente Hayhurst, in quanto lo stesso era formato militarmente per gestire i lanci e quindi poteva provvedere di persona alla loro esecuzione202. In questo contesto, Enzo non si ricorda il nome del graduato e non fornisce elementi utili per poterlo identificare. Considerando però che il sergente Hayhurst era il responsabile dei lanci, vista la sua formazione, è plausibile che Enzo sia entrato in contatto con lui. Per quanto riguarda i lanci, la testimonianza di Enzo combacia con le modalità di lancio e le zone di lancio descritte dalla storiografia.. Nella zona indicata, sia avevano più postazioni per ricevere i lanci, fuori dalla portata dei tedeschi e i lanci erano gestiti dalla

198 "La zona tra le statali 62 e 63 era affidata al maggiore Charles Holland [...]." (Luciano Bergonzini, La lotta armata, l'Emilia Romagna nella lotta di liberazione, p. 550) 199 Tommaso Pfiffer, Op. cit., pp. 175-177. 200 " [...] In July 1944 he was dropped behind enemy lines in Northern Italy. He remained there until the Allied line advanced over the area in April 1945. Together with his two companions, his mission was to set up communication links with Base and organise parachute drops of weapons for the local partisans." (Traduzione: "Nel luglio del 1944 fu lanciato dietro alle linee nemiche nel Nord Italia. Egli rimase li fino a quando gli Alleati avanzarono sull'area nell'aprile del 1945. Assieme ai suoi due compagni, la sua missione era quella di regolare le comunicazioni con la base e organizzare i lanci di armi ai locali partigiani.) Vedi articolo di BBC History: (http://www.bbc.co.uk/history/ww2peopleswar/stories/60/a8967360.shtml) L'articolo risulta essere una testimonianza indiretta degli avvenimenti. Per questo, bisogna considerarlo con attenzione e ponderare attentamente la sua validità. 201 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 270-272. 202 Secondo una biografia, edita dalla BBC, il sergente era specializzato in "Signal" (letteralmente segnali). (" [...]He learned to drive tanks but soon specialised in Signals and was recruited by the Special Operations Executive [...]". Tradotto significa: Lui imparò a guidare i tank, ma presto si specializzò in segnali e fu reclutato dal SOE) Articolo (Versione parziale) tratto da http://www.bbc.co.uk/history/ww2peopleswar/stories/60/a8967360.shtml . L'articolo risulta essere una testimonianza indiretta degli avvenimenti. Per questo, bisogna considerarlo con attenzione e ponderare attentamente la sua validità).

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stessa missione alleati203. Infatti, a questo servizio erano addette delle squadre partigiane specializzate che erano alle dipendenze della missione alleata. Il rappresentante della missione provvedeva anche a comunicare con gli Alleati in vista dei lanci e lo faceva tramite una radio. Da ultimo, l'odio del graduato verso il comunismo risulta vero, ma non solo da parte americana. Anche il maggiore Holland e i suoi colleghi, secondo le fonti, erano particolarmente avverso ai comunisti. Questo era un sentimento diffuso, in quanto l'Unione sovietica veniva già vista, ancor prima della fine del conflitto, come la futura avversaria degli Stati Uniti, capace di contendere agli stessi Americani le sfere di influenza a livello mondiale.

203Vedi articolo BBC History su Charles Holland da http://www.bbc.co.uk/history/ww2peopleswar/stories/14/a9000514.shtml. L'articolo risulta essere una testimonianza indiretta degli avvenimenti. Per questo, bisogna considerarlo con attenzione e ponderare attentamente la sua validità.

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Rapporti con i Tedeschi

25 luglio e 8 Settembre: Come già accennato nei capitoli precedenti, l'Italia era legata politicamente e militarmente alla Germania in virtù del Patto d'acciaio. Questo patto aveva comportato l'entrata in guerra dello Stato italiano al fianco dell'alleato tedesco nel 1940, ma nel volgere di pochi anni il buon rapporto tra le due potenze dell'Asse si sarebbe rotto. Lo spartiacque nei rapporti tra l'Italia e la Germania è riconducibile all'8 settembre del 1943. Prima ancora che il generale Pietro Badoglio annunciasse per radio all'Italia l'armistizio con gli Alleati, Hitler aveva già avuto sentore che l'Italia avrebbe potuto voltargli la schiena. Per questo motivo, tra il 25 luglio e l' 8 settembre la Germania cercò di aumentare la propria presenza nella Penisola italiana, portando da 8 a 17 le sue divisioni. Una volta annunciato l'armistizio, i Tedeschi incominciarono a prendere il controllo delle città e delle zone circostanti. Indicativo è l'esempio di Parma, attaccata nella notte tra l' 8 e il 9 settembre dai Tedeschi204. Durante l'attacco, fu necessario anche sparare, in quanto diverse caserme della città emiliana si rifiutarono categoricamente di arrendersi in modo spontaneo agli invasori205. Il giorno seguente, la città e la provincia erano sotto l'occupazione tedesca e coloro che si erano opposti ai Tedeschi erano stati uccisi o deportati206.

Controllo del territorio parmense da parte dei Tedeschi Nella cittadina parmense si instaurò in seguito l'autorità del Militärkommandantur 1008 (MK 1008)207, con compiti sia di natura militare (come il controllo del territorio invaso) sia di natura amministrativa (come il funzionamento dell'amministrazione civile). Nel frattempo, i Tedeschi avevano preso il controllo delle campagne circostanti, instaurando diverse postazioni strategiche208. Ma la popolazione non gradiva la presenza degli invasori in città209, soprattutto a causa della requisizione di alloggi e della consegna forzata dei prodotti agricoli, che fecero sprofondare, tra l’altro, i bilanci comunali nel

204 I Tedeschi non si limiteranno a controllare l'Emilia, ma scenderanno sin sotto Roma e costituiranno all'altezza del paese di Cassino la linea Gustav, una linea di postazioni fortificate e di difese naturali lunga 170 chilometri che correva dal mare Adriatico sino al mar Tirreno. (Gianni Oliva La Resistenza, p.31) 205 Guido Pisi, Parma e la sua provincia sotto l'occupazione tedesca, pp.3-5. 206 Si presume che i deportati, prima a Mantova e poi in Germania, ammontino a circa 700 militari dell'esercito (Guido Pisi, Ibidem) 207 Una struttura di comando militare che controllava le province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. (Guido Pisi, Ivi, pp. 5-6) 208 Come ad Arola, paese confinante con Langhirano. (Amministrazione comunale di Langhirano, Langhirano dal Risorgimento alla Resistenza, p. 52 ) 209 Secondo una relazione della stessa MK 1008: "Lo stato d'animo della popolazione deve essere caratterizzato per il 90% avverso alla Germania." (Guido Pisi, Op. cit., p. 6)

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deficit. Nel corso del mese di ottobre, la nascita della Repubblica sociale italiana segna il ritorno degli apparati fascisti a Parma, una città che nel ventennio prima aveva, supinamente, accettato il fascismo, in quanto lo stesso non aveva mai allignato. Con il ritorno del fascismo, Mussolini aveva reimposto l'obbligo della leva, chiamando a sé nel novembre del 1943 le classi di età '24 e '25. I risultati ottenuti furono scoraggianti: meno di un giovane su due si era presentato al distretto abbracciando la causa della Repubblica sociale. La chiamata del 4 febbraio 1944 per le classi del '22 e del '23 non produsse esiti molto diversi, a tal punto da costringere Mussolini ad inasprire le pene per i renitenti alla leva, ma neanche questo porterà miglioramenti concreti. I Tedeschi, ai quali i fascisti erano forzatamente subordinati, decisero subito di utilizzare il pugno di ferro contro coloro che si rifiutavano di servire nell'esercito del Duce e i loro famigliari; e già nel mese di novembre del 1943 si registrano i primi eccidi di massa210.

Da renitenti e disertori a partigiani: La Resistenza parmense, attiva a partire dall'inverno 1943-1944211, raccolse tra le sue file numerosi giovani che avevano rifiutato la leva212 e diversi militari dell'esercito, saliti in montagna per evitare di essere catturati dai Tedeschi213. Malgrado ciò, solamente 350 combattenti risultavano inquadrati nei vari distaccamenti, che si erano creati nelle valli a Ovest della strada statale della Cisa214. Questi piccoli gruppi erano accumunati da diverse motivazioni: l'odio nei confronti dei Tedeschi e nei confronti dello Stato italiano (personificato nelle figure del generale Pietro Badoglio e del Re Vittorio Emanuele III), nonché dall'antifascismo e il rifiuto totale di continuare una guerra disastrosa per la nazione. Per riuscire a fornire un minimo di organizzazione a queste prime bande, venne creato, dalle ceneri del Comitato antifascista di Parma215, il Comitato di Liberazione Nazionale di Parma216 il 15 ottobre del 1944 al quale aderirono tutti i partiti dell'antifascismo217 parmense.

210 Il più conosciuto è quello compiuto ai danni della famiglia Cervi di Reggio Emilia, i quali sette figli vennero catturati il 25 novembre 1943 e fucilati barbaramente in seguito al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre dello stesso anno. (Luciano Bergonzini, Op. cit., pp. 69-70) 211 Il primo scontro a fuoco degno di nota venne compiuto la notte di Natale nei dintorni di Osacca, quando un reparto fascista apri il fuoco contro un reparto partigiano del distaccamento Picelli, ma venne respinto. (Guido Pisi, Op. cit., pp. 9-11) 212 Domenico Boraschi, Vita partigiana, pp. 33-37. 213 Come il caso di Renato Lori. (Renato Lori, C'era un ragazzo, un partigiano, pp. 43-48) 214 Nei paesi di Albareto, Bedonia, Varsi e nelle valli Noveglia e Ceno. (Guido Pisi, Op. cit., p. 9) 215 Organo della resistenza antifascista, scioltosi a seguito dell' 8 settembre. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 31) 216 Al CNL si devono i primi aiuti finanziari e lo stabilimento dei primi collegamenti delle bande, ma la loro stessa costituzione è opera unicamente dei singoli o degli organi di partito. (Margherita Visalli, Ivi, p. 36)

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Ma è solamente dall'inizio dell'anno che la presenza dei "ribelli" sul territorio inizia ad essere più marcata. Nei primi mesi si trattava di gruppi di poca consistenza, senza coordinamento e guida, formati da al massimo cinque elementi che si davano alla macchia. La costituzione di grandi formazioni partigiane arriverà solo in seguito, quando verranno costituite per iniziative di gruppi o partiti politici che avevano sempre sostenuto la necessità di un opposizione attiva al regime e, in questo caso, anche contro l'invasore tedesco. Le numerose difficoltà legate all'illegalità portano spesso queste fragili e inesperte bande a dividersi e a disperdersi nel volgere di poche settimane218. Inoltre, la popolazione contadina non vedeva di buon occhio queste bande, in quanto potevano mettere a repentaglio la vita già grama della popolazione dei villaggi di montagna. Di fronte a questo rifiuto a collaborare, alcune bande preferirono utilizzare la pistola, piuttosto che le parole per convincere la popolazione locale, danneggiando ancora di più le già precarie relazioni. Tra i gruppi che avranno più consistenza nella zona appenninica del parmense, si poteva trovare quello capitanato da Afro Schiaretti (Afro), creatosi nei primi mesi del 1944 e chiamato i "Lupi Rossi".219 Ma i gruppi fanno, di regola, fatica a crescere, soprattutto a causa della mancanza di coordinazione e delle poche armi e munizioni disponibili. A questo si aggiunse anche al psicosi della presenza di spie in ogni dove e di possibili infiltrazioni nemiche all'interno delle bande, che minano la fiducia nei compagni. A causa della cronica mancanza di armi, le bande si dovevano limitare ad azioni di sabotaggio e non potevano sostenere quasi nessuno scontro a fuoco con i reparti tedeschi. Ma grazie al sostegno degli Alleati, le bande poterono finalmente disporre di un certo livello di armamento, sufficiente a permettere delle azioni offensive contro i Tedeschi220. I Tedeschi reagirono di conseguenza e iniziarono a fomentare la caccia contro i partigiani, nel tentativo di bloccarli in montagna e di eliminarli221. Nel mese di marzo cadde il distaccamento "Picelli" e il mese successivo fu la volta del distaccamento Griffith. Malgrado le perdite, il movimento partigiano era ancora in crescita e sempre 217 La Democrazia cristiana (DC), il Partito repubblicano italiano (PRI), il Partito d'azione (PdA), il Partito liberale italiano (PLI), il Partito socialista italiano (PSI) e il Partito comunista italiano (PCI). (Margherita Visalli, Ivi, pp. 31-32) 218 La scarsità di armi e di munizioni; la difficoltà a procurarsi mezzi di sussistenza; i collegamenti quasi inesistenti; le avversità del clima e l'inesperienza tattica. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Le bande partigiane nelle valli del Parma e del Baganza, p.17) 219 Dalla banda dei Lupi Rossi, diventerà in seguito il distaccamento Marco Pontitrol Battisti, attivo nella 143° Brigata Garibaldi (ex 47°). (Massimiliano Villa, Dal Ventasso al Fuso, p. 128) 220Assieme alle armi, arrivò di conseguenza anche lo sviluppo del movimento partigiano (Margherita Visalli, Op. cit., p. 54) 221 Il 12 settembre del 1943, il generale Albert Kesserling emanò dei bandi appositi, dove si dichiaravano le zone occupate come "territorio di guerra" e quindi soggette alle leggi di guerra, permettendo cosi ai reparti di utilizzare i pugno di ferro con resistenti e renitenti. (Alessandro Arrufo, Geografie della storia, pp. 284-285)

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più giovani, scappati alle sirene della RSI, vi si aggregarono, ma non nelle valli del Parma e del Baganza, dove il vuoto lasciato dal distaccamento Griffith non venne subito riempito da nessun’altra formazione222. Oltretutto, malgrado la grande affluenza, la scarsità dei rifornimenti non permise a tutti i reparti di disporre di abbastanza armi per i suoi militi.

L'estate del '44: L'estate del '44 si apre con grandi prospettive per le bande partigiane. Oltre allo stallo delle truppe tedesche223, si aggiungeva anche un ingrossamento delle stesse formazioni partigiane. Spinti così da rinnovata speranza, le formazioni partigiane intensificano la loro lotta e riescono a ricacciare i Tedeschi in pianura, riprendendosi il pieno controllo delle montagne224. Grazie a ciò, nascono sugli Appennini, delle "zone libere" che prendono il nome di Repubbliche partigiane225. Ma i Tedeschi non demordono e decidono di passare dalle semplici puntate in pianura al rastrellamento organico delle vallate. I reparti tedeschi si dovettero scontrare in val Parma con la neonata 47° Brigata Garibaldi e la 4° Brigata Giustizia e Liberta. Ma i Tedeschi salgono ugualmente nella valle e puntano su Palanzano226, decisi a mettere in atto l'operazione "Wallenstein 1"227. Nell'arco di una settimana, la violenza tedesca fece, “solo”, 70 morti tra i partigiani e 156 tra i civili, nonché comportò diversi atti di devastazione sul territorio a est della Cisa228. I partigiani non disponevano di abbastanza armi e munizioni e quindi ricorsero spesso alla strategia dello "sganciamento" per uscire dalla morsa dei Tedeschi229. A causa dell'insuccesso ottenuto, l'ira dei Tedeschi si scagliò sulla popolazione inerme

222 La formazione più grossa, la banda del Cato, si era trasferita dall'inizio di maggio a Predarezzo, nel triangolo tra Felino, Sala Baganza e Langhirano, posto all'inizio delle due valli. Il suo ritorno in zona, coinciso con quello del gruppo di Afro porterà ad un aspro dissidio tra i due gruppi. (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda”, Ivi, p. 23) 223 Va fatto notare che, in prossimità dell'estate (il 18 maggio '44), i Tedeschi sono costretti ad abbandonare le postazioni sulla linea Gustav e a ripiegare di un centinaio di chilometri, sino ai margini della pianura padana. Qui, le truppe tedesche predisposero una nuova linea, denominata linea Gotica, che distava poche decine di chilometri da Bologna e da Parma. (Guido Pisi, Op. cit., p. 11) 224 Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 32. 225 Luca Baldidssarra, Atlante storico della Resistenza, p.69 e Margherita Visalli, Op. cit., pp. 68-70. 226 Testimonianza di Giuseppe Ferruccio Bodria ( dattiloscritta dello stesso autore) 227 "Il primo luglio 1944 ero a Ranzano, avevo 14 anni, fui testimone del sanguinoso rastrellamento avvenuto nella Valle dei Cavalieri (alta val d’Enza e val Cedra nella provincia di Parma)." (Testimonianza di Giuseppe Ferruccio Bodria, dattiloscritta dallo stesso autore) 228 Le formazioni tedesche compirono razzie e rappresaglie contro la popolazione locale, considerata come complice dei partigiani ( Margherita Visalli, Op. cit., pp. 70-71) 229 Con il termine tecnico "sganciamento", si intende un azione militare che comportava il frazionamento in piccolo gruppi, in grado di eludere meglio i controlli, che si sarebbe ricomposti tutti assieme in un secondo momento con lo scopo di attaccare alle spalle i reparti. (Margherita Visalli, Ibidem )

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della valle e di quelle circostanti230. Vennero distrutti villaggi; le case e i fienili vennero incendiati; il bestiame razziato e diversi abitanti uccisi. L'intera valle rimase presidiata sino alla fine di luglio, ma i Tedeschi non ottennero i risultati sperati, se non una perdita di quasi 500 uomini231. Diversi distaccamenti, dopo essersi sganciati per sfuggire all'attacco tedesco, si ricomposero entro la fine del mese. Purtroppo la carenza di munizioni e di armi si stava facendo insostenibile, ma grazie alla ripresa dei lanci da parte degli Alleati il problema venne risolto. Durante l'estate si mantenne la stessa strategia di combattimento, che consisteva nell'impegnare in pianura i Tedeschi, mantenendo così un controllo pressoché totale in montagna. A questo, contribuì anche una migliore organizzazione dei distaccamenti e la creazione di un Comando Unico, un’entità in grado di dirigere le varie brigate, che permise alla 47° Brigata Garibaldi di combattere in modo più organizzato.

Il rigido inverno: I Tedeschi decisero di intensificare gli sforzi e tra l'ottobre e il novembre del 1944 effettuano ripetute puntate in montagna, assieme ai militi fascisti, contro i partigiani al fine di limitarne l'attività di guerriglia. Il colpo più grosso lo ottengono il 17 ottobre, quando uccidono a Bosco di Corniglio cinque membri della direzione del Comando Unico della 47°. Gli eventi sembravamo essere tutti avversi alla Resistenza. Il 13 novembre infatti, il generale Alexander annunciò via radio un proclama, nel quale chiese ai partigiani di desistere dal compiere azioni di guerriglia su vasta scala e di smobilitarsi temporaneamente, mettendosi in una posizione di difesa. Dopo il proclama, le azioni tedesche si fecero più intense costringendo i partigiani a passare attraverso le linee nemiche e a ricompattarsi in piccoli gruppi in pianura a ridosso dei centri abitati o nelle zone collinose232.

230 Lo si capisce molto bene da un rapporto partigiano del 13 luglio. "I Tedeschi hanno saccheggiato e incendiato tutti i paesi della zona, fra Rusino e Maragnano. L'operazione fu svolta con atroce precisione scientifica: una prima squadra deportava tutti gli uomini validi che potevano essere presi, una seconda toglieva i mobili, le suppellettili, la biancheria e quanto poteva far comodo portar via. Un altra asportava il bestiame. Infine una squadra vuotava le case di quanto era rimasto. L'ultima squadra dava fuoco alle case. [...]" (Archivio storico della Resistenza italiana - Milano, relazione sul rastrellamento compiuto da truppe tedesche nella zona dell'Appennino parmense, 13 luglio 1944) 231 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 33-35. 232 Nello specifico, i Tedeschi misero in atto il seguente piano d'attacco: nella prima fase (che andava dall'ultima decade di novembre all'inizio di dicembre) le truppe avrebbero attaccato il settore Est del Parmense ed il Piacentino; nella seconda invece (che andava da fine dicembre a fine gennaio) comprendeva l'attacco al settore Est del Piacentino, al settore Ovest del Parmense e al Reggiano. Questa tattica era frutto di una carenza di uomini, che costringeva i Tedeschi ad attaccare il crinale appenino a pezzi e non per esteso. Il 20 novembre avvenne l'offensiva più grossa contro la 47° Brigata Garibaldi, che

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Il proclama Alexander non venne accettato da tutti, in particolare dal CLN di Parma che decise di combattere la tendenza alla smobilitazione, che aveva già preso diversi distaccamenti. Con un voto unanime, il 28 novembre venne approvato un documento denominato "Contro ogni smobilitazione e ogni compromesso nella lotta contro i nazifascisti" con relative linee guida. Le formazioni decisero di adottare azioni di disturbo e di sabotaggio verso i Tedeschi, ma limitando al tempo stesso le azioni di guerriglia e gli attacchi.

Arriva la primavera, arriva l'insurrezione: All'inizio della primavera, la Resistenza si presentava compatta e motivata, mentre nei reparti tedeschi serpeggiava la paura e l'insicurezza233. Il 9 aprile ebbero inizio le offensive degli Alleati per lo sfondamento finale del fronte a sud-ovest di Bologna e i reparti partigiani incominciarono ad insorgere secondo uno specifico piano di attacco elaborato nei mesi precedenti234. Dopo aver liberato i presidi di montagna dai Tedeschi, i reparti si ricompattano e scendono verso la pianura con il compito di liberare la stessa e Parma dagli invasori. Anche per questa azione i piani erano già stati preparati per tempo e comunicati pochi giorni prima ai reparti. Il 23 aprile era rimasto solamente il MK 1008 in città con l'unico scopo di patteggiare la resa della città ai reparti angloamericani235. Oltre al MK 1008, i Tedeschi avevano lasciato alcuni cecchini sui tetti degli edifici, ma nel giro di qualche giorno vennero tutti catturati e giustiziati. Ma i Tedeschi non erano disposti a cadere nelle mani alleate, così fecero defluire dalla val Taro la 124° Divisione di fanteria e i resti della 90° Divisione granatieri corazzati e alcune unità della Divisione Italia. Quando giunsero a Fornovo, il 25 aprile, furono intercettati dai reparti partigiani della val Taro e della val Ceno. Questi impegnarono i Tedeschi per quasi quattro giorni, ottenendo la resa dei Tedeschi, che per voce del generale Fretter Pico si arresero ai reparti brasiliani inquadrati nella 5°Armata

aveva la propria base a Palanzano. La zona venne stretta nella morsa di circa 12'000 uomini accompagnati da diversi mezzi blindati e con diversa artiglieria. Nell'attacco, più precisamente in un imboscata al ponte di Lugagnano (in prossimità di Palanzano) perse la vita Ivan, il capo del comando di brigata, e altri partigiani. Alcuni reparti della brigata, che non riuscirono a filtrare attraverso la linea tedesca cercarono riparo sul monte Caio. (Margherita Visalli, Op. cit., pp. 94-96 e Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., pp. 52-55) 233 Oramai, i Tedeschi sono alle strette. Gli Alleati hanno già oltrepassato il Reno sul fronte occidentale e sono quasi arrivati in Germania, mentre su quello italiano gli attacchi si fanno sempre più frequenti. (Gianni Oliva, Op. cit., pp. 97-98) 234 In questo quadro si va a collocare la battaglia per il controllo del paese di Ciano d'Enza (10 aprile 1944) da parte delle formazioni reggiane e parmensi e la presa, a Sala Baganza, di un gruppo di bersaglieri della Divisione Italia (che faceva parte dell'esercito della RSI). (Istituto tecnico statale "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., pp. 55-56) 235 Margherita Visalli, Op. cit., p. 20.

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americana, appena giunta sul posto. I partigiani continuarono ad ostacolare la fuga nel nemico e tra il 20 e il 22 aprile riuscirono ad uccidere 1'300 soldati nella zona tra Reggio Emilia e Bologna. Fino agli ultimi giorni della ritirata tedesca, i reparti tedeschi si resero colpevoli di gravi atti di violenza contro la popolazione civile della regione236.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul rapporto tra i resistenti e i tedeschi:

Nel dialogo seguente, il testimone racconterà la sua esperienza con il nemico tedesco durante il suo anno nella Resistenza parmense. Nel corso del dialogo, ha preso la parola anche il fratello di Enzo, Gianni Folezzani (all'epoca della guerra ancora bambino).

Folezzani: "Si, l'ha fatta a me e anche a tutti gli altri. Erano in 6 del '26 lì a Torrechiara, in 6 eravamo. E allora, alla sera alle 22.30 arrivano le SS… Allora suona il campanello, c'è il capo-fabbrica e dice: "Ci sono 4 delle SS! Enzo, te sai dove c'è la caldaia vuota, andate dentro, vi mettete dentro, state stretti!" Va bene, allora io, che conoscevo tutta la macchina com'era, era vuota di acqua, se c'era l'acqua non potevamo mica entrare. Allora, era vuota, andiamo su di sopra, andiamo dentro e poi...(prende una lente d'ingrandimento e la usa come modello) era rotonda così, curvati tutti in fila dentro, e quando loro sono venuti giù lì dentro in fabbrica, sentivo: (adesso imita sia con la voce che con i movimenti i passi delle SS) "Tack, tack, tack, tack". E sa dove hanno guardato? Io ero pratico, la caldaia dove mettono dentro il carbone. Aprono e cigolavano le porte e hanno aperto le porte hanno guardato dentro lì. C'era il buco lì ma noi eravamo tutti all'esterno. Ha capito?"

Folezzani: "E, circondati, c'è un vecchietto che ci dice: "Se andate giù, siamo circondati. Vi conviene andare sul monte, tenete quella costa lì, andate dritto ai Lagoni lassù, che là non ci vengono." [Riprende Folezzani] Però, abbiamo fatto 5 giorni dentro l'acqua con un mattone sotto la testa, però non c'era da mangiare. E allora andiamo sulla brusca e tocca sempre a me, che sono il più piccolo, ero un ragazzo. E allora dai Lagoni ad andare giù sono 10 chilometri. Vado giù e mi dico al primo accendino che trovi bussa alla porta e chiedi se sono andati via (i Tedeschi). Allora io vado giù. Viene fuori una vecchietta [e le domanda] "I Tedeschi sono

236 Tra il 24 e il 25 aprile, i Tedeschi compirono due eccidi a Casaltone e Ravanese, con 21 vittime in tutte e due le località. (Margherita Visalli, Ivi, p. 150)

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andati via?" [e la vecchietta risponde] "Ma sono appena usciti di casa! Scappa via! Scappa via! [Riprende Folezzani] "Mi è andata bene, torno in dietro. Poi loro, visto che a Rigoso non hanno visto nessuno, sono andati giù alla Bassa e hanno incominciato a incendiare il fieno nelle stalle, a prendere le bestie, un fuggi fuggi, roba da non credere. Però poi loro vanno in dietro... (in pianura) [...]"

Folezzani: "[...] Però le SS erano lì a Mamiano (indica in direzione di Mamiano). Sa quel gran... Lei, quando è a Panocchia..." Boraschi: "Sì." Folezzani: "Va in là per andare a Traversetolo, eh [...]."

Folezzani: "Ah, sì, rastrellamenti. Continuavano sempre, sì sì, sono sempre continuati [...]"

Boraschi: "All'interno del distaccamento, com'era l'atmosfera e com'era la vita che si faceva?" Folezzani: "Eh, la vita di stare sempre attenti ai Tedeschi, perché loro venivano su spesso."

Folezzani: "[...] Loro, ah sì, io che ero a Torrechiara, che ero un bambino, un giorno arriva su un camion, pieno di loro tutti armati, no. Allora io dicevo al mio babbo: "Ma cosa cercano?" [Parla il padre] "Scappa in casa! Scappa in casa!" [Riprende Folezzani] Cercavano Monica, uno che faceva il carrettiere lì alla casetta, che adesso è morto anche lui. C'aveva un figlio che era nei partigiani ed è morto anche lui. Poi cercavano il custode del castello (di Torrechiara), una persona educata che non diceva mai niente...Io sono sempre stato in piazza a Torrechiara e loro parlavano di una cosa o dell'altra. E una volta sono venuti su che lo volevano picchiare. Ma che non ha mai detto niente di strano, per dire e quando arrivava su quella gente lì fuggivano tutti le genti [...]. Che io guardavo il camion che era bello. [Parlano i fascisti] "Via, via!" [Riprende Folezzani] a noi ragazzi. Il mio babbo è sparito anche lui e poi loro hanno ucciso uno che faceva il barbiere lì a Torrechiara, come sono arrivati lui è scappato, sa dove c'è l'asilo a Torrechiara?" Boraschi: "Sì."

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Folezzani: "Eh, dalla parte di là c'è il canale. Stava saltando il canale, loro erano di qua dalla strada,un colpo e l'hanno ammazzato. Anche loro hanno sparato forte."

Folezzani: "Eravamo lì in una trentina, no, il nostro distaccamento Pontirol Battista Marco. Allora, un partigiano qui della Bassa ha preso due Tedeschi e li ha portati su, stia a sentire. Allora c'è la discussione, domande, non domande .Quei due che erano con noi (i Tedeschi) erano di fianco a lui, e il nostro capo interrogava quei due lì, una cosa e l'altra, uno ha avuto il coraggio di prendere il fucile al nostro comandante..." Boraschi: "Uno dei Tedeschi?" Folezzani: "Sì, il Tedesco TA-TAC (mima la raffica) e ha ucciso (tutti e due) lì era la fine del mondo. [...]"

Boraschi: "Ma erano ricorrenti queste notizie o erano solamente sporadiche, una ogni tanto?" G.Folezzani: "Da queste parti, sporadiche molto, c'è stato rispetto nonostante quello... Basti dire che hanno tagliato i capelli a una..." Boraschi: "Ah, questo me lo deve ancora raccontare quella dei capelli." Folezzani: "Quella dei?" Boraschi: "Quella dei capelli. Lei prima mi ha raccontato, a videocamera spenta, di quella ragazza, a cui hanno tagliato i capelli quasi a zero, perché era fascista." Folezzani: "La Cesira, gli ho parlato della Cesira." G.Folezzani: "Chi gli ha tagliato i capelli?" Folezzani: "Io non ricordo, e gli ho detto che sono molto amico della figli. Di una gentilezza fuori dal normale. A mia sorella, che è morta poveretta, le hanno tagliati tutti i capelli." G.Folezzani: "È successo. Perché lei, quando sono venuti a prenderlo, ma non l'hanno trovato, hanno preso su lei."

La testimonianza di Enzo si dimostra corretta in diversi punti. La Repubblica sociale aveva la necessità di chiamare nell'esercito quanti più giovani potesse in modo da contrastare meglio gli Alleati e il movimento della Resistenza, che si stava costruendo nell'Italia settentrionale e centrale. Ma i bandi del 25 novembre '44 per le classi di età '24 e '25 non danno gli esisti sperati, come pure quelli emanati il 4

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febbraio per le classi '22 e '23. L'ultimo bando è emanato per la classe '26 con l'ultimo termine il 25 maggio 1944. Considerando la testimonianza, Enzo ha raccontato il vero, in quanto la cartolina gli è stata recapitata di lì a poco, in quanto aveva da pochi mesi compiuto i 18 anni; e quasi un mese dopo si ritrova sui monti nelle file della Resistenza parmense237. È verosimile anche l'arrivo dei Tedeschi in fabbrica e per quanto riguarda il nascondersi dai Tedeschi all'interno della cisterna risulta impossibile verificare con la storiografia la veridicità o meno dell'atto, ma viene ritenuta personalmente vera sulla parola, soprattutto perché Enzo ha arricchito la testimonianza con alcuni elementi interessanti (come l'imitare il passo della SS nella fabbrica o la descrizione della cisterna all'interno della quale si è nascosto) che rendono molto credibile la testimonianza legata all’episodio. Per quanto riguarda l'arrivo dei Tedeschi nella zona di Tizzano, Enzo ha riportato correttamente il fatto. La presenza dei Tedeschi nell'area si potrebbe spiegare sulla base della preparazione al rastrellamento di inizio luglio238, che ha investito, oltre alla zona del Monte Sprono, anche la zona tra Rigoso e Langhirano239. Passando nella zona della Bassa, la presenza di unità tedesche nelle zona è nota e la presenza di un presidio tedesco a Mamiano, come pure la presenza di un presidio tedesco in località Arola240, vicino a Langhirano lo è altrettanto241. Quindi la possibilità che Enzo abbia incrociato una pattuglia di Tedeschi a Mamiano può esserci. Enzo descrive il presidio come fascista, mentre in realtà, secondo la storiografia, si trattava di un presidio tedesco. Enzo dice il vero anche riguardo ai rastrellamenti. L'unico errore che commette riguarda la lingua. Infatti, nell'intendere la manovra dei rastrellamenti, Enzo fa riferimento a ogni azioni militare dei Tedeschi. Ma le azioni tedesche intraprese contro i partigiani sono diverse e spaziano dalla semplice puntata in pianura fino al rastrellamento su vasta scala in montagna. I rastrellamenti si verificano meno frequentemente rispetto alle puntate (infatti, nella zona interessata ne possiamo contare 2-3 sull’arco di 18 mesi di conflitto, mentre le puntate sono parecchie al mese). Per questo motivo e in considerazione anche del momento temporale al quale fa riferimento

237 Lo si può intuire anche dalla notizia riportata nel libro "Le bande partigiane nelle valli del Parma e del Baganza" (alla pagina 37), dove si fa riferimento a un gruppo di langhiranesi entrato nel distaccamento. 238Margherita Visalli, Op. cit., p. 70. 239 "Domenico Boraschi, Op. cit., pp. 40-41. 240 Per quanto riguarda il presidio di Arola, abbiamo la conferma di una sua presenza da una testimonianza di Riccardo Fontana (nome di battaglia Dante Spada), assieme ai compagni Carlo Battioni (Ras), Aldo Pizzarotti (Fulmine), Pietro Verti (Negro), Bruno Tarasconi (Cartuccia), Renato Bardani (Blick), Walter Ferretti (Giommi), Luigi Bertoli (Masacristan). (Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 52) 241 Luca Baldissarra, Op. cit., pp.70-71.

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Enzo, è più probabile che Enzo sia stato interessato da una puntata che da un rastrellamento vero e proprio. Restando sul tema degli attacchi, Enzo ha affermato che la popolazione di Torrechiara era stata vittima di una incursione da parte dei fascisti, che aveva lo scopo di catturare diversi uomini civili ancora presenti nel paese. Secondo Enzo, tra le persone ricercate figurava un certo Monica, all'anagrafe Ezio Monica (che verrà trovato morto nei campi di concentramento tedeschi242), oltre al custode del castello di Torrechiara e a un barbiere, che secondo Enzo sarebbe stato ucciso dai fascisti durante un tentativo di fuga. Di quest'ultimo è sconosciuta l'identità. Per i dettagli forniti, ovvero la presenza di un grande numero di fascisti, si potrebbe pensare che l'evento possa trovarsi i concomitanza con un'azione di rastrellamento e questo permetterebbe di restringere la ricerca a tre periodi: il luglio 1944, i giorni tra l' 8 e l' 11 settembre 1944 e il dicembre 1944 - gennaio 1945. Incrociando questi dati con le persone civili morte a causa di un rastrellamento a Langhirano243 (di cui Torrechiara è una frazione) si ottengono il nome di tre civili: Severino Alfieri (morto l'8 settembre), Enrico Tondelli (morto anch'egli l'8 settembre) ed Ettore Mattioli (morto il 9 settembre). Per quanto riguarda il barbiere, potrebbe trattarsi di Luigi Leoni, che secondo uno storico della zona244, faceva sia il falegname che il barbiere. Leoni sarebbe stato ferito il 10 settembre durante l'incursione e morto in seguito per le ferite riportate il 12 dello stesso mese245. In relazione ai Tedeschi, nel corso del mese di luglio, la banda cattura a Lesignano Bagni due Tedeschi. Nella testimonianza di Renato Lori (Crick) viene raccontato che :"Fu proprio in seguito alla cattura di due militari della Wehrmacht che, superata ogni riserva, potemmo dare un fucile anche a lui. [...]"246 Il soggetto della farse potrebbe essere tale Walter, un militare tedesco che si era dato alla macchia per sfuggire all'esercito. Enzo nel suo racconto conferma la presenza sia dei militari catturati che del nuovo partigiano. Per quanto riguarda l'evento narrato da parte di Enzo, non si può stabilire con precisione la dinamica, ma si possono fare delle ipotesi in merito. Il fatto che Walter sia stato dichiarato non pericoloso per il gruppo potrebbe essere dovuto al fatto che avrebbe dimostrato la sua lealtà alla Resistenza invece che ai Tedeschi, contribuendo al successo di alcune azioni. Questo discorso avrebbe credibilità considerando anche che Walter poteva avere con sé la propria pistola d'ordinanza247. Un’altra versione si baserebbe sul fatto che Walter non possedeva un’ arma quando è

242 Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 110. 243 Amministrazione comunale di Langhirano, Ivi, p. 103. 244 Gianluca Bottazzi, storico della regione. 245 Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit, p. 99. 246 Renato Lori, Op. cit., pp. 68-69. 247 Walter faceva infatti parte del servizio di guardia al deposito di munizioni in località Boschi di Carrega, vicino al paese di Collecchio. (Renato Lori, Ivi, p. 70)

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arrivato tra i partigiani e che quindi non avrebbe potuto sparare248. Resterebbe comunque da sciogliere il nodo relativo ai meriti che doveva avere Walter per potersi guadagnare la fiducia dei compagni e l'arma249. In aggiunta va anche detto che Walter non era l'unico militare tedesco disertore presente nel distaccamento. Infatti è segnalata anche la presenza di un certo Fritz250. Verso fine intervista, Gianni, il fratello di Enzo, gli ricorda che per punizione erano stati tagliati a zero i capelli di una giovane fascista. Un trattamento che, secondo Enzo, venne poi riservato anche a sua sorella, in quanto durante una puntata fascista, non trovando Enzo a casa e visto che il fratello era ancora un bambino, i fascisti avevano preso su la sorella per convincere Enzo a consegnarsi all’autorità. Per questo motivo, l'avevano portata nel carcere di San Francesco a Parma. La sorella venne in seguito liberata grazie alla mediazione del prete di Torrechiara. Per quanto riguarda il rasare a zero la testa dei fascisti, si può affermare che fosse un'usanza ricorrente, in particolare per ridicolizzare i fascisti e renderli riconoscibili tra la popolazione251. Il fatto che la stessa sorte sia toccata alla sorella può far pensare a un atto di rivalsa nei confronti degli antifascisti e delle loro famiglie Poi, era ricorrente imprigionare i parenti dei renitenti o dei partigiani. In questo modo li si obbligava a consegnarsi, in cambio dell'incolumità dei loro cari. Un esempio lo può portare Renato Lori (Crick) quando, nel momento di salire in montagna, viene informato dell'arresto dei suoi genitori e, per risparmiare loro inutili sofferenze, raggiunge il presidio fascista di Sala Baganza252. Oltre alla testimonianza di Renato Lori (Crick) possiamo osservare anche quella di Nello Mezzi (Cristo), al quale rapiscono i genitori nel mese di agosto del 1944, chiedendo in cambio il rilascio di un noto fascista253.

248 Renato Lori, Ivi, p. 67. 249 Magari il processo d'integrazione nel gruppo era avanzato molto bene o durante la permanenza dei due Tedeschi presso la banda non ha permesso a loro la fuga. 250 Istituto tecnico superiore "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 54. 251 Nel caso della spia Boceda di Castrignano emerge quanto segue: " [...] Ho anche provveduto a fare tagliare a zero i capelli alla figlia del Boceda in quanto risulta questa aiutasse il padre nel suo sporco lavoro. " (Massimiliano Villa, Op. cit., p. 131) 252 Renato Lori, Op. cit., p. 31. 253 "Mio padre venne catturato presso la nostra abitazione; avrebbe potuto fuggire, ma non volle esporre la famiglia. La cosa che più lascia l'amaro in bocca ? Che fu catturato per precise indicazioni di una signora nostra vicina di casa. [...] Mio padre, come altri, fu condotto nella sede dell'80° Legione (ora sede della Prefettura) e rimase lì in attesa della sua sorte. [...] Giunse il fatidico venerdì, giorno dell'esecuzione, ma di primo mattino arrivò presso i detenuti il prete di Langhirano, Don Corchia, confortandoli per il buon esito delle trattative; lo scambio tra il Silva e loro sarebbe venuto ad Arola. Così fu e si pose fine all'incubo. Langhirano accolse tutti i suoi cittadini liberati con gran festa; io potei vedere mio padre solo il giorno dopo e lo abbracciai forte." (Istituto tecnico "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., pp. 43-44 e Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., pp. 50-52. Una copia del testo è conservata presso l'Archivio Storico della Resistenza di Parma)

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Da ultimo, la presenza di un prete durante le trattative sui prigionieri è un fatto assodato. La figura del parroco era quella di riferimento nelle situazioni più disperate, grazie anche alla forza della fede. Ci sono svariati esempi secondo i quali diverse contese tra partigiani, Tedeschi e fascisti si sono risolte grazie all'intermediazione di un uomo di Chiesa254. Lo si può osservare nel caso del padre di Nello Mezzi (Cristo), già raccontato in precedenza255.

254Come pure, vi furono anche numerosi casi di assistenza, fornita dalle stesse autorità religiose prima delle esecuzioni. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 106 e Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 157-161) 255 "[...] Intanto i partigiani agivano per via diplomatica: incaricarono Don Giuseppe Corchia e il podestà Italo Lanzi di fare da intermediari per uno scambio: la restituzione di Silva per la liberazione dei "dieci". "(Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 51)

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Rapporto con la popolazione

Premessa: Il rapporto con la popolazione è il rapporto più intimo che possiamo trovare all'interno del fronte italiano. La popolazione, infatti, ha un legame sanguineo molto forte con i ribelli. Malgrado ciò, i rapporti tra le formazioni partigiane e le popolazioni locali furono, anche, caratterizzati da momenti bui e di diffidenza, che rischiarono di compromettere quella "unione" venutasi a creare dopo l'invasione tedesca.

La popolazione dalla parte dei "Banditen": Fin dalle origini della Resistenza all'invasore, la popolazione italiana ha tentato di aiutare i partigiani in svariati modi. I motivi che spingevano verso questa scelta erano in sostanza due: l'odio verso l'invasore tedesco e verso il fascismo (e la conseguente simpatia verso il movimento resistenziale) e il fatto che, molte famiglie avevano i propri figli lontani da casa, impegnati in qualche zona dell’Europa e senza alcun sostegno dopo l' 8 settembre, e quindi aiutare un membro della Resistenza equivaleva ad aiutare il proprio figlio256. Ma questa simpatia non c'è da subito e in tutti. Infatti, anche tra la gente senza simpatie verso il fascismo c'è ancora incertezza verso i primi piccoli nuclei di ribelli257. Non era d'aiuto il comportamento di alcuni di loro che, di fronte alla reticenza delle famiglie, cercando di superarla, le minacciano con la forza. In più, fin dall'inizio, la Resistenza ha dovuto fare i conti con diverse persone, auto proclamatesi partigiani, ma che invece di combattere l'invasore si davano ad azioni di brigantaggio e a piccoli furti ai danni della popolazione258. Di riflesso i furti non facevano altro che screditare l'immagine dei partigiani agli occhi della popolazione259. Con il passare dei mesi le ruberie contro la popolazione continuavano e aumentavano in particolare nei

256 Nella speranza che, in un altro angolo d'Europa, un’altra famiglia stesse facendo altrettanto con il proprio figlio. (Renato Lori, Op. cit., p. 104) 257 Istituto tecnico superiore "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 17. 258 Molti di loro erano rinchiusi nelle prigioni sino all'autunno del 1943, ma grazie alla dissoluzione dell'esercito regio, nonché ai bombardamenti che colpivano le carceri, poterono evadere in tranquillità e darsi alla macchia. (Istituto tecnico "Carlo Emilio Gadda", Op. cit., p. 26 e Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 123-124) 259 Lo si evince anche dalla testimonianza di Nello Mezzi (Cristo) riguardo a un caso di furto nel paese di Manzano. " [...] Incontrai anche il figlio del proprietario di un fondo, con il quale sino a non molti giorni prima avevo avuto rapporti di amicizia, anche lui si trovava lì sfollato , come altri, dopo i fatti di luglio. Queste premesse, che a me parevano garanzie, nessuno voleva parlare con noi. Insistetti anche con modi abbastanza bruschi, non vedo il motivo di tanta reticenza. Forse rinfrancato dalle mie parole, o forse per maggior timore, si decisero a parlare. Raccontarono di persone che, di notte, con maschere che coprivano i volti, spacciandosi per partigiani, terrorizzavano e razziavano tutte le abitazioni: case Zurli, Quinzano, Manzano, Molino di Armano e altre ancora [...]. Rinfrancati dalle nostre parole sia il casaro che la moglie presero a raccontare dei soprusi subiti lasciando intuire fondati sospetti su una persona che nel paese io conoscevo bene. [...] "Per un po’ si difese, poi vista l'inutilità, confessò le sue colpe."(Istituto tecnico "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 36)

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momenti di forte pressione tedesca260. Per fortuna, era un fenomeno che toccava una minima parte degli aderenti alle formazioni, ma chi veniva colto sul fatto veniva processato dal tribunale partigiano con la quasi certezza di venir fucilato. Verso gli altri, la popolazione cercò, malgrado le minacce ricorrenti dei Tedeschi e dei fascisti, di dare un minimo di supporto261: si metteva a disposizione la casa; si fornivano viveri ai partigiani262 (malgrado si patisse molto la fame263); si segnalava la presenza dei fascisti o dei Tedeschi durante le puntate o i rastrellamenti, ecc264. In questo modo, il legame tra i partigiani e la popolazione diventò con il passare del tempo sempre più forte265.

Rappresaglie e stragi: La popolazione era sempre a contatto con il rischio. Si rischiava di essere colti sul fatto, mentre si aiutavano i partigiani, o si rischiava di venir segnalati dalle diverse spie fasciste che vivevano nei villaggi266. Non da ultimo c'era la possibilità di subire, in

260 Venne toccata anche la banda di Afro. Infatti, erano state segnalate dalla popolazione, a ridosso del rastrellamento di luglio, diversi furti. Si aveva il sospetto che l'autore e i complici fossero gente nota alla banda, il capo forse un ex-partigiano. Un gruppo di tre partigiani fu incaricato di portarlo di fronte alla banda e agendo d'astuzia il sospetto cadde nella trappola. Venne processato in seguito e condannato per i furti e per la complicità nell'uccisione di un altro partigiano. (Istituto tecnico "Carlo Emilio Gadda", Ivi, p. 35) 261 Come si evince da un rapporto del partigiano Colombo e del partigiano Lamberti. "I rapporti tra i patrioti della 27°Bgt. Ass .Garibaldi e la popolazione dei settori controllati nel complesso sono migliorati nel senso che i prelevamenti di generi necessari sono ordinati e sono rilasciati regolari buoni e il Comando interviene sempre tempestivamente nei casi di abuso di autorità. Un segno di attaccamento della popolazione verso i garibaldini è dato dal contributo di tutte le famiglie nell'aiutare i distaccamenti in ogni bisogno minuto della vita dei partigiani. [...]" (Massimiliano Villa, Ivi , p. 152) 262 Renato Lori, Op. cit., p. 92 e Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 17-19. 263 Prima ancora del 25 luglio 1943 la fame rappresentava un problema. "Ecco cosa è stato distribuito con la tessera, nel corso del gennaio 1943, a un operaio di Biella: 8 chili di pane; 1200 grammi di pasta; 500 grammi di zucchero; 100 grammi di lardo; 120 grammi di burro; 160 grammi di carne di maiale; 310 grammi tra salame e mortadella; 140 grammi di formaggio; 1 chilo di patate; 2 uova; 500 grammi di legumi e 500 grammi di fichi secchi. Non si arriva alle 1000 calorie al giorno: dunque, si pativa la fame. [...]" (Miriam Mafai, Pane nero, pp. 150-151) 264 La popolazione versava ai partigiani quanto poteva, come si evince dal rapporto del comandante del 3° Battaglione della 47° tale Max. (Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 153-154) Lo si può osservare anche da una relazione del Distaccamento "Marco Pontirol Battisti" del 16 agosto 1944. "Il compagno TURCO in missione in località San Michele Cavanna-Mulazzano è stato fermato dal colonnello in pensione..., il quale gli ha offerto spontaneamente in segno di solidarietà con noi Lit. 1000 (mille) e una trentina di pacchetti di sigarette." (Massimiliano Villa, Ivi, p. 132) 265 Lo si può osservare nella testimonianza di Renato Lori (Crick) quando parla del trasferimento del suo distaccamento nella valle dell'Enza. "La notizia del trasferimento era trapelata inevitabilmente e, quando la colonna prese il via, una folla consistente ci attendeva lungo la strada per salutare ed applaudire. Soprattutto le donne, tante donne! Ci venivano incontro per un saluto, un abbraccio al figlio, al fratello, all'amico. Per la prima volta avevamo intorno tanta gente festante che condivideva con noi le ansie e le speranze. Era la dimostrazione concreta di un rapporto che aveva messo radici solide, profonde con le popolazioni dei borghi e dei villaggi nella vallata." (Renato Lori, Op. cit., p. 93) Un altro esempio di come i partigiani erano molto legati al territorio lo si può ritrovare in quanto segue. Spesso i partigiani cercavano di ricompensare la popolazione dei grandi sacrifici fatti. Un esempio è quello del distaccamento "Marco Pontirol Battisti" che, durante una sagra in località Faviano, ha fatto macellare un piccolo manzo per la popolazione. (Massimiliano Villa, Op. cit., p. 131) 266 Massimiliano Villa, Ibidem.

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particolare dopo l'insuccesso delle azioni di rastrellamento, le barbarie tedesche. Questo avvenne all'indomani del mese di luglio '44, quando i Tedeschi, dopo essere giunti fino a Rusino senza alcun risultato di spessore, decisero di scatenare la propria ira contro la popolazione267. La popolazione era oggetto anche di minacce da parte degli stessi Tedeschi, in quanto era l'unico modo per colpire indirettamente le formazioni partigiane268. Ancora, i Tedeschi si rendevano colpevoli di retate continue, per smascherare partigiani o ebrei da spedire in Germania, o da utilizzare come possibile merce di scambio con i partigiani269.

Creazione delle zone libere e delle repubbliche partigiane: A causa del ripiegamento delle truppe tedesche in pianura, causato dalla grande offensiva del maggio-giugno 1944, si vengono a creare all'interno del territorio dell'Italia occupata delle zone che sono fuori dal controllo delle stesse autorità tedesche. Queste zone si svilupparono su tutto l'arco alpino e su quello appenninico270. In queste zone i partigiani tentarono di portare le prime esperienze di amministrazione

267 Renato Lori, Op. cit., p. 62. 268 Lo si può notare nel caso del sergente delle SS scomparso a Langhirano. Secondo i Tedeschi, visto il passato pulito del maggiore era impossibile che avesse disertato, era piuttosto probabile invece il rapimento o l'uccisione. L'ultimatum venne annunciato dal parroco Giuseppe Corchia la sera del 3 novembre durante la messa nella chiesa della Beata Vergine di Langhirano, lasciando i presenti sbigottiti. Se entro le 8.00 del giorno dopo il maggiore non sarebbe riapparso, i Tedeschi avrebbero messo a ferro e fuoco il paese. A testimoniare la tensione percepita, la sera del 3 il parroco decise di scrivere il suo testamento. Il giorno dopo si presentò alle 8.05 al comando tedesco, ma per sua fortuna, su richiesta del podestà Italo Lanzi, il comando tedesco prolungò il termine sino alle 15.00 del 5 novembre. Subito dopo partirono alcune lettere indirizzate ai sacerdoti della zona, con il compito di consegnare uno scritto a Paolo il Danese, vice comandante della brigata Giustizia e Libertà. La risposta di Paolo il Danese al colonnello tedesco fu perentoria: "So che hai intenzione di far scorrere il sangue e di mettere a ferro e fuoco Langhirano. Qualora tu ponessi in esecuzione questo tuo disegno, ti denuncerò al Tribunale Interalleato di guerra come criminale. Saluti cordiali." Una volta recapitata la risposta, il podestà di Langhirano non trovò il coraggio di recapitare il messaggio ai Tedeschi, ma con un interprete e il parroco fece sapere al comando tedesco che il sergente era volontariamente andato a consegnarsi alle formazioni partigiane e il comando della 47° inviò una lettera di conferma. Per fortuna, il colonnello credette a quanto detto e tolse lo stato d'assedio al paese. Domenica 5 novembre, venne comunicato al podestà che un corpo, con i connotati del sergente delle SS, era stato rinvenuto sotto un'arcata del ponte del torrente Parma. Immediatamente il podestà fece togliere dal torrente la salma e la fece tumulare nel cimitero di Mattaello.(Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., pp. 61-62) 269 Come nel caso del 16 ottobre 1944. Una colonna di Tedeschi arrivò sino a Quinzano e obbligò diversi uomini a recarsi a Langhirano, dove pernottarono. Il mattino seguente, alzati di buon ora, si incamminarono verso Parma e arrivarono al vecchio ospedale di Parma. Da qui un gruppo di 20 persone venne portato nella sede della SD (Standkommandantur), gli altri vennero disposti a semicerchio nel piazzale e i Tedeschi controllarono i loro documenti. Una parte di loro verrà imprigionata nel carcere di San Francesco e liberata dieci giorni dopo; i preti verranno rilasciati all'istante, mentre i più sfortunati finirono in Germania. Secondo le fonti, almeno 10'000 civili morirono tra il 1943 e il 1945 a causa delle rappresaglie su tutto il territorio parmense. (Amministrazione comunale di Langhirano, Ivi, pp. 59-60) 270 Per zona libera si intende una porzione di territorio delimitata, in que4sto caso, da un'occupazione partigiana stabile, nella quale si giunge all'insediamento di organi di potere e si attuano le prime esperienze di autogoverno dopo il ventennio fascista. (Luciano Bergonzini, Op. cit., p. 271)

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democratica e popolare dopo l'esperienza del ventennio fascista271. Sugli Appennini272 ve ne furono tre: la repubblica di Montefiorino (sopra a Modena), la zona libera tra Palanzano e Neviano e la zona libera della val di Taro273. Ma le zone libere ebbero vita breve. Infatti, a partire dal rastrellamento del luglio dello stesso anni, i Tedeschi aumenteranno le puntate in valle, costringendo i partigiani a non riuscire più a difendere per intero il territorio. La repubblica di Montefiorino cessò di esistere il 1° di agosto 1944 (dopo appena 43 giorni di vita), mentre le zone libere di Palanzano-Neviano e della val Taro finirono di esistere rispettivamente alla metà di luglio e il 24 luglio 1944. Queste zone, malgrado la breve durata, costituivano in ogni modo un elemento di ulteriore coesione e coinvolgimento tra la popolazione e i partigiani274. Ma questo non era l'obbiettivo primario delle zone libere, in quanto le stesse dovevano avere come compito principale quello di garantire una zona d'appoggio sicuro alle formazioni.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul rapporto tra i resistenti e la popolazione: Nel seguente dialogo, Enzo si sofferma sul rapporto avuto con la popolazione di Langhirano e della val Parma durante il suo anno di militanza nelle file della Resistenza.

Folezzani: [...] "E dopo invece, vado da cos, da Carletto Ferrari in fabbrica, lui mi teneva come un figlio, gli tenevo pulita la macchina e tutta quella roba li e tutte le cose...lui era...e allora quando è arrivata la cartolina, vado da lui e gli dico: "Signor Carletto, mi è arrivata la cartolina e io domani mattina devo andare in distretto..." [Il Sig. Carletto risponde] "Nono." [Folezzani aggiunge che lui è di Parma e continua a parlare il Sig, Carletto] "Ti vengo a prendere e andiamo giù, io so il tedesco, so se parti o se ti lasciano qua." Boraschi: "Si." Folezzani: " E sa dove mi hanno messo? Da un suo amico, che era l'amico del Duce,... Mosconi, quello che aveva tutti i terreni intorno alla città di Parma: Sorbolo,... E allora mi mette là in ufficio. C'era la ragazza, l'impiegata, arriva lui dopo un ora [e chiede] "Chi è quel ragazzo li? [all'impiegata, che gli risponde che l'ha portato giù Carletto Ferrari.]. Lui è

271 I sindaci eletti sostituirono i podestà e i commissari prefettizi. Le giunte comunali furono elette dal popolo. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 69) 272 Nel resto d'Italia le più conosciute erano la repubblica della Carnia dell'Ossola (sul confine con il Canton Ticino e il Canton Vallese); la repubblica delle Langhe (nel Piemonte) e la repubblica dell'Alto Monferrato (anch'esso in Piemonte). (Gianni Oliva, Op. cit., p. 79) 273 Luca Baldissarra, Op. cit., pp. 20-21. 274 Enzo Collotti, Op. cit., pp. 481-482.

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andato nel suo ufficio e stop. Dopo 2 ore, arriva [Carletto Ferrari, che gli dice] "Vieni, sali sulla macchina subito, perché se no... c'è il treno per la Germania!"

Folezzani: "Nessuno ha fiatato. Bastava un colpo di tosse o un piccolo cosi (da un colpetto alla scrivania) e avrebbero fatto saltare la fabbrica. E allora di li, viene subito su il principale Carletto Ferrari. [Parlando a Folezzani gli dice] "Allora Enzo, fai una cosa, su a Lesignano c'è mia figlia, (si corregge) mia sorella, con la nipote che hanno una paura, te stai là e fai il signore, dormi, mangi, fai tutto quello che vuoi. [...]"

Folezzani: [...] "Noi ci siamo riuniti e ci siamo detti: andiamo in montagna." Boraschi: "Si." Folezzani: "Infatti, noi siamo andati a Tizzano, a Lalatta, e andiamo là e incominciamo subito a lavorare. Quella gente la ci ha accolto bene, ci davano da mangiare. Io andavo fuori con le mucche, l'altro faceva il fieno, c'era il frumento, c'era tutta la cosa. E abbiamo fatto 15 giorni."

Folezzani " [...] No, quando andavo giù per la strada chiudevano tutte le imposte e spegnevano le luci e tutto." Boraschi: "Per quale motivo?" Folezzani: "Eh, il motivo è che loro dicevano "Quello li è un partigiano che va giù." Boraschi: "Ah, quindi non volevano attirare l'attenzione delle truppe tedesche?" Folezzani: "Naturale, naturale [...]"

Boraschi: "Nel frattempo, un altra domanda che mi è venuta in mente, durante la Resistenza bisognava passare per dei campi o per delle città e quindi bisognava entrare in contatto con la popolazione civile..." Folezzani: "Noi con la popolazione non abbiamo avuto nessun contrasto. Tutta brava gente." Boraschi: "Mai avuto problemi?" Folezzani: "No, mai. Se c'era qualcuno che, ad esempio quando sono andato li che portavo fuori le bestie (a Lalatta), non ho saputo chi era quello che ha fatto venire fuori i Tedeschi, capito? Invece..." Boraschi: "Però, il rapporto era buono ed era ben disposta ad aiutarvi." Folezzani: "Eh, beh, perbacco, sì. Noi eravamo molto contenti."

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Folezzani: "Io, guardi, quando ero pieno, sai cosa si dicono, di piöch? (i pidocchi) " Boraschi: "Si." Folezzani: "Non ne potevo più e venivo a Torrechiara. Guardi cosa succede: partivo da Palanzano di corsa, venivo giù, non per la strada, sempre giù di traverso per i campi (mima la via per i campi), quanta gente ho fatto scappare, quella gente del paese che erano li nella strada vicino al bosco. Quando mi vedevano passare di corsa, si buttavano tutti nel bosco, poveretti. Mi dispiaceva."

Nel corso dell'intervista, Enzo è riuscito a descrivere in maniera buona il rapporto tra le bande partigiane e la popolazione parmense. In primo luogo, ha affermato che, grazie al suo datore di lavoro, era riuscito a evitare il treno per la Germania. In seguito, lo stesso Carletto Ferrari aveva proposto a Enzo di salire a Lesignano e di nascondersi a casa della sorella. Su quanto si siano detti Enzo e Carletto Ferrari a nessun altro è dato saperlo, ma in considerazione di una sorta di "campanilismo" (quindi di un attaccamento profondo al territorio comunale e ai suoi concittadini, che determinerebbe una profonda collaborazione e coesione tra i compaesani qual ora ci fosse la necessità contrastare l'azione di un corpo estraneo, come in questo caso, l'invasore tedesco) ritengo non ci sia ragione di credere in una bugia da parte di Enzo. Enzo ha raccontato di aver deciso di salire in montagna e poi di essere giunto a Lalatta di Tizzano e di averci trascorso più di due settimane con i compagni di fuga. Sulla decisione presa ci sono pochi dubbi. Infatti, in quel periodo, i bandi fascisti che minacciano i renitenti alle leva (ed Enzo lo era) erano sempre più frequenti. Questo ha senz'altro influito sulla decisione di Enzo e del gruppo di salire in montagna. Per quanto riguarda le attività del gruppo a Tizzano è verosimile che Enzo e gli altri ragazzi abbiano lavorato per due motivi: il primo è che, in qualche modo, ripagavano il soggiorno ai contadini; il secondo invece era per passare inosservati, come semplici civili. Per quanto riguarda la fuga da Tizzano, è confermata la presenza dei Tedeschi nella zona e di conseguenza anche la fuga acquista credibilità. L'unica imprecisione è che la località Lalatta non si trova nel territorio del comune di Tizzano, ma bensì in quello del comune di Palanzano. Anche la presenza delle spie nel paese può essere plausibile, in

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quanto era ricorrente che i nostalgici fascisti volessero mettere in bastoni tra le ruote ai partigiani e ai nemici275. Durante l'intervista, Enzo ha testimoniato di come la popolazione cercasse di non mostrare alle autorità tedesche o fasciste i suoi legami con i partigiani. Un atteggiamento comprensibile, visto che era sotto gli occhi di tutti la pena che toccava a chi dava aiuto ai partigiani276. Quindi la versione di Enzo ha senz'altro senso. Ma d'altro canto, Enzo ripete con insistenza che la popolazione è stata più volte amica dei partigiani e di questo possiamo trovare conferme da più fonti277. Da ultimo, Enzo ha affermato di aver fatto più volte ritorno a casa. Si trattava di una possibilità ricorrente, per i partigiani che abitavano nelle vicinanze della base del distaccamento278 o per le staffette, che correvano avanti e in dietro per la zona, e riuscivano a trovare qualche ora da passare in casa. La vita di montagna comportava anche spiacevoli inconvenienti come i pidocchi, dovuti al dormire tutti assieme e alla poca pulizia e igiene ed Enzo da conferma di ciò, quando dice che scendeva a casa perchè aveva i "pioch" (i dialetto, i pidocchi)279.

275 "L'unico a non partecipare era l'oste preoccupato di tanto clamore. Rivolto ai suoi compaesani ricordava che spioni fascisti erano numerosi in paese [...] (a Chiusi)" (Renato Lori, Op. cit., p. 34) 276 Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 30-31. 277 Renato Lori, Op. cit., pp. 89-99 e Margherita Visalli, Ivi , pp. 70-72. 278 Renato Lori, Ivi, pp. 55-58. 279 Renato Lori, Ivi, pp. 121-122.

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Rapporto con i fascisti

La convivenza tra fascisti e antifascisti: Come il rapporto con la popolazione, quello con i fascisti è un rapporto molto forte. Le persone nei paesi, in particolare quelli più piccoli, si conoscono quasi tutti e si riconoscono all'interno di una medesima comunità. Ma con l'avvento del fascismo e in seguito della dittatura assiste a una crescente polarizzazione: quelli che accettavano il fascismo e quelli che invece lo rinnegavano, ma era costretti supinamente a subirlo pur di evitare guai peggiori280.

Il cambiamento del 25 luglio e del 8 settembre: Questa forzata convivenza subisce un mutamento improvviso la mattina del 25 luglio 1943. Per le strade o nei negozi non c'è più neanche un fascista. Tutti si erano nascosti, pur di evitare il linciaggio da parte della folla festante per la caduta del Duce281. Essi ricomparivano solamente in seguito, quando Mussolini annuncerà nell’ ottobre dello stesso anno la creazione della Repubblica sociale e conseguentemente il ritorno dei vecchi apparati fascisti in tutte le città del nord-centro Italia282. Appare quindi chiaro come gli aderenti al nuovo governo del Duce saranno tenuti a difendere la patria, non solo dagli Angloamericani, ma anche da quella parte della popolazione ritenuta traditrice verso Mussolini e il fascio283. In quest'ottica, rivestono un ruolo molto importante le spie, spesso semplici civili che segnalano la presenza o le azioni dei partigiani nella zona. È presumibile che in ogni posto dove vi fosse un fascista, vi fosse anche una spia. Ma i partigiani intervenivano su queste spie con azioni di rappresaglia, che avevano come fine il distogliere la spia dal fare ulteriori segnalazioni o, come ultima istanza, la morte della stessa spia284.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul rapporto tra i resistenti e i fascisti: Nel seguente dialogo, il testimone racconta riguardo al rapporto che aveva con la popolazione civile durante gli anni della Resistenza. 280 Come il confino o il carcere. (Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 99) 281 Lo si diceva anche in una canzone popolare, "Festa d'aprile": "[...] Si sa, le mode cambiano quasi ogni mese. Ora per i fascisti si addice il borghese [...]." 282 Mimmo Franzinelli, RSI, la repubblica del Duce, p. 55. 283 Lo si può vedere molto bene nei manifesti della RSI. (Mimmo Franzinelli, Ivi, pp. 196-197) 284 Lo si può vedere molto bene nel caso della spia Boceda di Castrignano. (Massimiliano Villa, Op. cit., pp. 130-131)

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Folezzani: "Allora si comincia cosi. Mi porta su [e mi dice] "Stai in fabbrica, mangi, lavori e sei a posto". Io lo ringrazio... 4 sere... dopo 4 sere arrivano i Tedeschi in fabbrica, perché ci sono le spie." [Sembra che parli un Tedesco] "Del 26 c'è Folezzani, Chiarasole, c'è..." [Riprende Folezzani] "Avevano tutti i nomi."

Folezzani: (sbattendo il palmo della mano sulla scrivania) "Circondati dai Tedeschi! È che nei paesi c'è la spia, si è incominciato a dire, partigiani che non eravamo niente, cosi come adesso(indica i suoi vestiti)..."

Folezzani: "Eh, è cosi. Torrechiara è un paese piccolino, 35 famiglie. I fascisti, uno...due..tre..sette od otto c'erano. E adesso è rimasta la figlia che è una brava ragazza, abita vicino a me. Sua madre era bestiale, proprio bestiale. Infatti, lei sapeva dove io ero a lavorare (a Lalatta), capito?" Boraschi: "Era lei che faceva un po' la spiona?" Folezzani: "Eh, sta li il fatto. Di fatto, eravamo in 6 (in fuga) e sono venuti da tutti e 6 (a casa di ogni ragazzo). Casa per casa." Boraschi: "Ma quindi sono venuti i fascisti e i Tedeschi a casa per vedere che non fosse rimasto nessuno di voi?"

Folezzani: "Quella donna di prima diceva: "Enzo è là, l'altro è là, l'altro è..." [Riprende Folezzani] Chiaramente non ha sbagliato, che loro erano già fuori che sapevano di queste cose. Lei è morta, amen."

Folezzani:"Ah, si arrendono gli Italiani. che erano nell'esercito." Boraschi: "Si." Folezzani: "Saranno stati 100-150, in fila con i camion di roba, materiali, tutto. Allora sono venuti su e volevano comandare, perché gli avevano portato tutto..." Boraschi: "Ma quindi, era gente che veniva su..." Folezzani: "Era gente militare che era giù a Parma ed è venuta su con i cavalli...con le macchine..." Boraschi: "Quindi tutta gente che è uscita dall'esercito, che si stava disintegrando dopo l'8 di settembre?" Folezzani: "Si, sono venuti nei partigiani. Alla fine, quando oramai..." (scrolla le spalle) Boraschi: "Ah..."

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Folezzani: "Venivano su...con i cavalli, un po' di tutto. E io stavo li e mi dicevo : "Mah, cosa farà quella gente li..." " Boraschi: "Diciamo che, come possiamo dire, si sentiva che era gente un po' particolare questi militari che venivano su in montagna." Folezzani: "Ah, beh si, oramai si vedeva che la faccenda era finita, si pensava cosi insomma. Venivano su con tanta merce, tanta roba, di tutto." Folezzani: "[...] Arrivo a casa, stia a sentire: allora, un fascista di Torrechiara, che lo conosco bene, è già morto adesso, [mi dice]: "Ma dove vai Enzo?" [Folezzani risponde] "Vado a cambiarmi che sono tutto pieno di roba e devo fare il bagno." [Riprende il fascista] "Aspetta, che ci sono le SS in piazza a Torrechiara!" [Riprende Folezzani] Sono crollato. Erano li, con le moto sidecar e allora loro erano fissi a Torrechiara, ad Arola, sa dove c'è Arola?"

Nel corso della sua intervista, Enzo racconta di aver avuto a che fare con le spie in tre momenti: quando erano nascosti in fabbrica; quando stavano soggiornando a Tizzano e quando lo stavano cercando a Torrechiara. Come già ripetuto in precedenza, la probabilità che tra la popolazione di ogni paese ci fosse almeno una spia era alta e non escludeva possibili soffiate ai reparti della GNR (Guardia nazionale repubblicana) o ai Tedeschi. Per quanto riguarda invece i controlli casa per casa, di cui Enzo ha accennato nelle righe precedenti, era un pratica ricorrente. Infatti, in tutte le azioni che i reparti tedeschi o fascisti compivano verso i partigiani era implicato anche un controllo delle abitazioni, sperando di trovarvi partigiani, armi o renitenti. Enzo parla anche in modo molto diffuso della salita, verso la fine della guerra, di molti militari in montagna. Va evidenziato che Enzo all'inizio si confonde un po' affermando che venivano su dopo l' 8 settembre, per poi in seguito dire che salivano nelle vicinanze della fine della guerra. È corretta la seconda, in quanto nel settembre del 1943 Enzo non era ancora in montagna e le prime bande si stavano formando in quelle settimane. Malgrado l'avversità che c'era tra le due parti, non mancavano, in un contesto strettamente ristretto come quello comunale, atti di gentilezza nei confronti dell'altra parte belligerante. In questo contesto, l'evento narrato da Enzo può avere senz'altro un carattere di veridicità.

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Le giornate della guerra italiana

25 Luglio

L'ordine del giorno e l'arresto di Mussolini: Nel pieno della guerra, l'Italia si trova ai margini dello scacchiere militare - politico europeo, subordinata alle scelte di Hitler e impossibilitata a portare avanti la "guerra parallela" voluta da Mussolini. Malgrado gli insuccessi, il Duce vuole rimanere alla testa del paese, ma non tutti i suoi fedelissimi condividono la sua posizione285. La maggioranza del Gran consiglio del fascismo (organo costituzionale dell'Italia fascista) approvò quindi la sera del 24 luglio 1943 l'ordine del giorno presentato da Dino Grandi, nel quale si chiedeva la re di riprendere il comando supremo delle forze armate286. Questa decisione risuonava come una implicita sfiducia nei confronti del Duce. Il presidente del Gran Consiglio, lo stesso Grandi, presentò in seguito al re una nota, nella quale chiedeva la formazione di un nuovo governo, alla cui testa ci sarebbe stato il generale Caviglia287. Mentre il re operava le sue scelte, i fascisti più intransigenti288 presero contatto con Berlino e con il comandante delle SS a Roma. Il giorno seguente Mussolini si recò dal re, presentandogli un nuovo programma di governo da lui presieduto e con tre membri militari. Ma il re fu intransigente. Una volta date le dimissioni, Mussolini fu arrestato e condotto nell'isola di Ponza, luogo di confino degli antifascisti, mentre la milizia e il partito fascista non diedero più alcun segno di vita289.

L'annuncio del re e le reazioni del paese: La sera stessa il re annunciò via radio l'accettazione delle dimissioni di Mussolini290. Alla notizia dell'avvenimento, esplose l'entusiasmo popolare e la gente si riversò nelle

285 In primis, Dino Grandi, Galeazzo Ciano, Luigi Federzoni e altri 16. (Christoppher Duggan, La forza del destino, p.600) Lo stesso Grandi rinfacciò la Duce:"Tu, duce, hai messo in rilievo che anche questa guerra è impopolare come tutte le guerre. Devi permettermi di dirti che colpa è nostra, del regime in generale e del ministero della cultura popolare in particolare; perché è stata solamente la nostra propaganda a ridurla a una guerra di partito e racchiudendola,e in certo qual modo soffocandola, sotto l'etichetta fascista." (Mimmo Franzolli, La RSI, la repubblica del Duce, p. 7) 286 Alessandro Arrufo, Geografie della storia, p. 274. 287 Composto da Pirelli, De Gasperi, Milani e Coppa per i cattolici; Soleri, Paratore e Gasparotto per i liberali; Rossini, Paolucci e Decroix per i fiancheggiatori del vecchio regime. (Alessandro Arruffo, Ivi, p. 275) 288 Roberto Farinacci, Guido Buffarini Guidi e Alessandro Pavolini. 289 Franco Gaeta, Pasquale Villani e Claudia Petraccione, Storia contemporanea, p. 491. 290 Nel suo comunicato il re disse: "Assumo da oggi il comando di tutte le forze armate. Nell'ora solenne che incombe sul destino della Patria, ognuno riprenda il suo posto di dovere, di fede e di combattimento. Nessuna deviazione deve essere tollerata, nessuna recriminazione può essere consentita. Ogni italiano si chini davanti alle gravi ferite che hanno lacerato il sacro suolo della Patria". (Margherita Visallii, Momenti salienti della Resistenza nel Parmense, p. 13)

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strade per gioire all'annuncio291. Ma il successivo comunicato radio del maresciallo Badoglio mise un freno agli entusiasmi: "La guerra continua". Ma la gioia generata dalla caduta del regime era tale da fare trascurare la frase del maresciallo. In tutta Italia furono distrutti gli emblemi della tirannide e furono invase le sedi dei fasci, senza alcun spargimento di sangue292. "Il dono della libertà fu così gradito che si visse nelle prime ore succedute al 25 luglio come in un sogno293".

Il governo Badoglio: Finiti i festeggiamenti, la dittatura continuava, cambiando unicamente dittatore. Il nuovo governo, militare e tecnico, non risolse i problemi con le strutture ereditate dal fascismo, anche se nei primi giorni di governo furono neutralizzate la milizia, il partito fascista; furono sciolti il Gran consiglio del fascismo e la Camera dei fasci e delle Corporazioni e numerosi prefetti di stampo fascista vennero sostituiti294. Ma la caduta del regime non significava in automatico un ritorno della libertà e della pace295. Infatti il neonato governo Badoglio vietò la ricostituzione dei partiti, in quanto il ritorno alla situazione prefascista si sarebbe dovuta svolgere, secondo loro, in tempi molto lunghi e successivi alla guerra. La guerra continuava e le speranze del popolo si tramutano ben presto in delusione296.

291 Anche a Parma, dove il fascismo era stato supinamente accettato, la popolazione si lasciò andare a incontenibili manifestazioni di gioia. È indicativo di ciò parte di un articolo trovato sulla Gazzetta di Parma del 28/07/1943 dove si diceva: "Il tricolore è apparso in molte finestre e fra il palpitare dei vessilli nazionali cortei e cortei hanno percorso le vecchie e le nuove vie di Parma risvegliate dai canti della Patria e dagli evvai dell'Italia. Nel corso della giornata sono state rimosse quasi tutte le insegne del decaduto regime e qualche targa stradale è stata sostituita". (Dimostrazioni di popolo per il cambiamento di governo, in "Gazzetta di Parma", n.179, 28 luglio 1943). 292 Margherita Visalli, Op. cit., pp. 13-14. 293 Margherita Visalli, Ibidem. 294 Renzo Oliva, La Resistenza, p. 9. 295 Come si dice anche nella canzone popolare "La badoglieide": "L'occasione è arrivata, è arrivata alla fine di luglio. Ed allor, per domare il subbuglio, ti mettevi a fare il dittator. Gli squadristi (fascisti) gli hai richiamati, gli antifascisti gli hai messi in galera. La camicia non era più nera, ma il fascismo restava il padron." 296 Dopo una settimana dalla caduta di Mussolini, la Gazzetta di Parma scriveva:"Se dovessimo fare un bilancio di valutazione morale in relazione agli avvenimenti parmensi potremmo trarne conclusioni di alto significato a tutto vantaggio della "maturità" sociale del nostro popolo, il quale continua a mantenersi senza lasciarsi prendere da nervosismi inutili, dignitosamente sul piano della fiduciosa attesa." (La 1° settimana, in "Gazzetta di Parma", n.183, 1° agosto 1943).

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Le reazioni degli antifascisti e di Berlino: A Parma, in mezzo alla delusione della popolazione, i partiti uscirono dalla clandestinità, nella quale erano stati segregati da quasi un ventennio297. Gli stessi partiti decisero di formare un Comitato d'Azione Antifascista permanente, che riesce ad ottenere discreti risultati come la sostituzione del prefetto Passerini, apertamente ostile allo stesso Comitato, e la sostituzione nei comuni della provincia e nel capoluogo dei vecchi podestà fascisti in favore di commissari di gradimento dello stesso Comitato. Mentre i partiti si stavano rimpadronendo del territorio, i Tedeschi, fiutando odore di tradimento, decisero di rafforzare la loro presenza in Italia. Alle 7 divisioni già presenti tra la penisola, la Sicilia e la Sardegna, se ne aggiunsero 11 in provenienza dai valichi alpini, arrivando cosi a un totale di 18 divisioni contro le 9 divisioni italiane presenti298. Infatti, il governo Badoglio aveva avviato, già dalla fine di luglio del 1943, i primi contatti con gli Alleati con lo scopo di firmare un armistizio in grado di garantire la salvezza della monarchia e, più in generale e in modo indiretto, quella del paese.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul 25 luglio: Nel seguente dialogo, il testimone parla riguardo alla caduta di Mussolini nel luglio 1943.

Boraschi: "Ci sono due date molto importanti, soprattutto per l'Italia, all'interno della seconda guerra mondiale. Il primo è il 25 luglio, non so se lo ricorda cosa è successo il 25 di luglio del '43?" Folezzani: "Eh." Boraschi: "Ha in mente cosa è successo? Mussolini viene messo da parte e viene nominato quale capo del governo l'ex generale Pietro Badoglio. Lei si ricorda quel giorno, magari?" Folezzani: "Mai parlato." Boraschi: "Mai parlato di quando Mussolini viene preso? Mussolini viene preso il 25 luglio. O se no, a settembre, nei primi giorni di settembre, il generale Pietro Badoglio annuncia all'Italia la firma dell'armistizio." (Folezzani annuisce)

297 Va detto che Parma era una delle poche città in cui esisteva, già dal 1942, un Comitato d'Azione Antifascista clandestino. Nel resto dell'Emilia, questi Comitati iniziano a spuntare solo all'indomani del 25 luglio. (Luciano Bergonzini, La lotta armata, p. 17) 298 Alla fine di luglio, la situazione era nettamente in favore degli Italiani. A contrastare i 60'000 Tedeschi presenti nella penisola vi erano, almeno, 290'000 uomini fedeli al re. A onor del vero almeno 20'000 erano in fase di riorganizzazione, ma il risultato non sarebbe cambiato. Inoltre, l'esercito italiano era privo della maggioranza delle truppe che si trovava oltre confine a causa della strategia di guerra del fascismo, in particolare in Nord Africa. (Renzo Oliva, Op. cit., p. 13)

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Folezzani: "Si, adesso me le ricordo quelle cose li che mi ha detto lei." Enzo non ha avuto memoria di quel momento e ha confermato unicamente la versione fornitagli dall'intervistatore. Per questo motivo, non si può stabilire se la sua visione dei fatti coincida con i fatti storici. La presenza in Italia ( e rispettivamente a Parma e provincia) non viene sicuramente messa in discussione, soprattutto alla luce del fatto che Enzo darà prove tangibili della sua presenza in zona tra il 1944 e il 1945. Per questo motivo, ipotizzerei semplicemente una dimenticanza di Enzo sull'evento, dovuta anche alla difficoltà nel ricordare un evento avvenuto parecchio tempo addietro.

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8 Settembre "L'8 settembre fece toccare al nostro paese il fondo dell'abisso, rivelò l'aperto tradimento delle vecchie cricche dirigenti, segnò però l'inizio della riscossa del popolo italiano299."

Premessa: Per potere raccontare in modo preciso i fatti accaduti l’ 8 settembre 1943, occorre fare un passo in dietro di alcune settimane, per la precisione, fino alla fine di luglio. Alla fine di luglio, il governo Badoglio cerca i primi contatti con gli Alleati al fine di patteggiare un armistizio che garantisse la continuità dello Stato italiano, rifiutando fin da subito la resa incondizionata proposta dagli stessi Alleati. Le prime trattative si rivelarono infruttuose. Più fortunate si rivelarono in seguito quelle portate avanti dal generale Giuseppe Castellano. Ma le posizioni italiane erano chiare: si accettavano i termini dell'armistizio solo se gli Alleati avessero provveduto a sbarcare con 15 divisioni tra La Spezia e Civitavecchia, onde evitare rappresaglie tedesche e garantendo un ritorno al pieno potere della monarchia. Questa proposta venne presentata agli Alleati a Lisbona a metà mese di agosto. Le posizioni americane erano di tutt'altro avviso: l'Italia doveva accettare il trasferimento della sua intera flotta navale ed aerea nelle basi alleate e dove preparasi ad accogliere sul suo suolo la guerra degli Alleati contro la Germania. Malgrado ciò, gli Alleati si dimostrarono molto aperti, riconoscendo il governo Badoglio e la monarchia sabauda come governo legittimo dell'Italia e come controparte durante la futura campagna d'Italia. Dopo giorni di incertezza, il re e il generale Badoglio accettarono le condizioni degli Alleati. Il 3 settembre, nell'accampamento di Cassabile300, i generali Castellano e Bedel Smith firmarono l'armistizio "corto" che conteneva unicamente clausole militari301. Sul versante opposto, la Germania stava preparando i suoi piani per l'invasione dell'Italia. Il piano Achse prevedeva di inglobare le divisioni dell'esercito italiano, presenti all'estero e che stavano combattendo al fianco dei Tedeschi, e di disarmarle in seguito302. Dal'altra parte, lo stesso piano prevedeva l'afflusso in Italia di nuovi reparti della Wehrmacht, guidati dal generale Erwin Rommel. Questi sarebbero andati a

299 "Ricordi di lotta clandestina, in "Vento del Nord" di P.Savani, n.13, 28 luglio 1945. 300 Vicino al paese di Siracusa (Sicilia). 301 Le clausole politiche, economiche e finanziare saranno contenute in seguito nel documento denominato "armistizio lungo" che sarebbe stato firmato a Malta il 29 dello stesso mese. (Christopher Duggan, Op. cit., p. 600) 302 Gianni Oliva, Op. cit., p. 14.

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collocarsi nelle regioni centro-settentrionali e avrebbero progressivamente preso il controllo delle vie di comunicazione e delle aree industrializzate303. Parallelamente al piano Achse, venne programmato anche il piano Eiche. Mentre il primo era un piano prettamente militare, il secondo era invece un piano politico. Esso infatti prevedeva la liberazione di Mussolini dalla prigionia del Gran Sasso a Campo Imperatore. La liberazione di Mussolini sarebbe stata la premessa per la costituzione nell'Italia controllata dalle forze tedesche, della Repubblica sociale italiana.

L'Armistizio: Alle 19:42 del 8 settembre, alla radio si interrompevano i programmi e la voce del maresciallo Badoglio annunciava la firma dell’armistizio. La notizia colse tutti di sorpresa. Anche a Parma, dove provocò grida di gioia e festeggiamenti, più contenuti e di diverso stato d'animo rispetto a quelli del 25 luglio. La sera stessa, il Comitato d'Azione Antifascista si riunì e decise di chiedere informazioni al generale Mori, comandante del presidio militare, in merito agli sviluppi militari304. Verso la mezzanotte, venne lanciato un manifesto curato dallo stesso Comitato, alla popolazione di Parma, ansiosa di notizie e di orientamento. Il manifesto diceva: "Popolo di Parma , il governo Badoglio ha firmato l'armistizio. La guerra che non era la vostra, la guerra che con il fascismo ha completato la sua opera di rovina, è terminata. La pace e la libertà che avete così ottenuto, l'avete conquistata a caro prezzo, perché tanti sono i morti, i martiri innocenti della criminalità fascista, ed è grande la distruzione delle nostre città. Ma questa pace e questa libertà possono ancora essere turbate e contrastate dai vostri veri nemici, dai veri nemici dell'Italia: dal fascismo e dai suoi alleati. Il governo ha dichiarato che si opporrà con tutte le sue forze a qualsiasi tentativo del genere. Il popolo deve essere unanime a fianco dei soldati d'Italia. Popolo di Parma , stringetevi tutti attorno al Fronte Nazionale Antifascista, non ponete ostacoli con movimenti inconsulti al compito del governo. Gravi compiti ci attendono ancora: li compiremo. Siate pronti ad uniformarvi alle direttive del Fronte Nazionale Antifascista!. Viva la pace, viva l'Italia, liberata dai suoi nemici! (firmato) Partito d'Azione - Partito Comunista - Partito Socialista -Democrazia Cristiana305

303 Una volta giunti sul posto, i reparti tedeschi procedettero con il disarmo della popolazione locale. Seguirono rastrellamenti nelle zone circostanti per catturare eventuali soldati italiani e da ultimi presero gradualmente il controllo della zona assumendo i poteri militari. (Gianni Oliva, Ivi, p. 18) 304 La risposta del generale Mori fu molto sintetica: per difendere Parma bastavano le forza militari attuali. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 20) 305 Testimonianza di Dante Gorreri e dell'avv. Savani, depositate presso l'I.S.R.P.

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La fuga del governo Badoglio e la distruzione dell'esercito: Dopo l'annuncio dell'armistizio, il governo Badoglio ed il re scappano da Roma; impauriti dall'avanzata tedesca e dalla minaccia popolare giungono a Pescara. Da Pescara si imbarcano alla volta di Brindisi. Non venne dato nessun ordine all'esercito riguardo all'avanzata tedesca, facendo sprofondare l'esercito nel caos e rendendo cosi più difficili le operazioni degli Alleati306. I soldati dovevano sfuggire alla cattura da parte dei Tedeschi: si nascondono; vestono abiti civili e buttano via le divise; viaggiano a piedi o con mezzi di fortuna nel tentativo di ritornare a casa. Per i più fortunati, coloro che vivono nell'Italia liberata dai Tedeschi, si tratta di trovare ospitalità in attesa di ricongiungersi con le famiglie. I più sfortunati subiscono la cattura; la raccolta nei campi di concentramento improvvisati e la deportazione in Germania. Altri ancora si consegnano spontaneamente ai Tedeschi senza combattere. Per loro si troverà un posto nella futura Repubblica sociale. Altri ancora, pur avendo ben chiaro l'impossibilità di vincere le truppe tedesche, resisterono. Ma questi tentativi vengono ferocemente repressi dai Tedeschi: l'eccidio di Cefalonia307; la difesa di Porta San Paolo a Roma; Piombino e altri episodi minori ne sono la prova308. La disfatta dell'esercito si conclude con l'affondamento parziale della flotta navale causato dall'aviazione tedesca e dalla distruzione quasi totale della flotta aerea. Nel giro di una settimana, i Tedeschi hanno catturato all'incirca un milione di soldati sparsi tra l'Italia, la Grecia e i Balcani309.

306 Pietro Nenni, noto leader del Partito socialista italiano, scriveva nel suo diario: "Le giornate di ieri e di oggi segnano il crollo di ciò che restava di organizzazione dello Stato dopo il 25 luglio. La mancato appello al popolo ha fatto si che tutto si regge sul vuoto. Ciò che crolla a pezzi adesso è la struttura militare della nazione. I soldati gettano il fucile. Gli ufficiali sono senza guida. I generali cercano di raggiungere il re in fuga. Nulla si salva dei pretesi valori di disciplina e di ordine che per un ventennio hanno caratterizzato la dittatura fascista e, per un secolo, la struttura monarchica dello Stato basata sul rapporto dinastia, esercito, monarchia." ("Diari di Pietro Nenni: 1943-1956", a cura di Giuliana Nesti e Domenico Zucaro, Milano, 1981, p. 38) 307 Gianni Oliva, Op. cit., p. 9. 308 L'8 settembre erano presenti a Langhirano alcune centinaia di soldati. Sono un gruppo ridotto della 7° Compagnia del 33° Reggimento reduce dalla campagna d'Africa e 300-400 reclute provenienti dai paesi della zona e non. Nel pomeriggio del 9 settembre si diffonde la notizia che un gruppo di Tedeschi stava venendo a Langhirano da Arola (distante qualche chilometro). Molti militari, soprattutto quelli più anziani, abbandonano i reparti, portandosi dietro le armi, di cui si liberano nelle campagne circostanti. Le reclute invece vengono trattenute nelle caserme dagli ufficiali e consegnate ai pochi Tedeschi presenti in zona. Vista la scorta esigua, molti di loro riuscirono a scappare durante il trasferimento verso la città, trovando l'aiuto e la protezione della popolazione delle borgate locali. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 17) 309 Italia settentrionale: 415'682; Italia centro-meridionale: 102'340; Francia meridionale: 58'722; Balcani: 164'986; Grecia: 265'000; per un totale di 1'006'730 (Gianni Oliva, Op. cit., p. 19)

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La situazione di Parma: A Parma, i Tedeschi arrivarono nella notte tra l8 e il 9 settembre310. Gli abitanti furono svegliati bruscamente dai numerosi colpi di artiglieria esplosi. Le unità del 1° Reggimento granatieri corazzati Leibstandarte S Adolf Hitler, che si trovavano già da diverse settimane di stanza a Reggio Emilia, avevano aperto il fuoco contro le installazioni dell'esercito italiano. La popolazione di Parma, che il giorno prima era scesa commossa in piazza all'annuncio del generale Badoglio, si ritrovò senza una difesa. L'esercito aveva già rifiutato il giorno prima di difendere la città emiliana311, lasciando così la strada libera all'arrivo dei Tedeschi. Malgrado il rifiuto, un tentavo di resistenza si ebbe nel Parco Ducale, dove aveva sede la Scuola d'Applicazione. Infatti, il colonnello Gaetano Ricci aveva deciso di non accettare la resa e incaricò il suo vicecomandante, il tenente colonnello Giuseppe Bruschi, di organizzare la difesa. Ma i Tedeschi, muniti di armi pesanti, sfondarono i cancelli della Scuola e iniziarono a fare fuoco sull'edificio. Quando la guerriglia finì e i Tedeschi fecero tutti i soldati prigionieri, li inviarono nei campi di concentramento tedeschi, in quanto si erano rifiutati di collaborare con l'invasore312. I militari rimasti liberi decisero con coraggio di salire in montagna e di resistere ad oltranza all'invasore tedesco313. La mattina seguente i Tedeschi avevano messo sotto il loro controllo anche la provincia di Parma grazie all'azione del 51° Corpo d'Armata di montagna, che aveva preso posizione a Fornovo e sui passi della Cisa, del Bocco e di Cento Croci314. Una volta eliminata ogni resistenza, i Tedeschi insediarono a Parma due organismi: il "Comando di zona", conosciuto come Militarkommandantur 1008, che aveva giurisdizione anche sulle città di Reggio Emilia, Parma e Piacenza; e il "Comando di piazza" o Standkommandantur315. Accanto ad essi, operava la Feldgendarmerie, ovvero la polizia tedesca, che provvedeva ai servizi di collegamento e di controllo. All'interno della Feldgendarmerie, operava anche la SD, la polizia politica tedesca316, che avrebbe presto preso il compito di caccia alle bande. Assieme ai Tedeschi, rispuntarono anche i fascisti con gli organismi del rinato Partito Nazionale Fascista (chiamato in seguito Partito fascista repubblicano), su tutti la Federazione dei fasci repubblicani. Accanto ad

310 Margherita Visalli, Op. cit., p. 19. 311 Margherita Visalli, Ivi, p. 24. 312 "L'eroica difesa della Scuola d'Applicazione", nel "Il Resto del Carlino", n.204, 9 settembre 1943 313 Per lo più militari dei ranghi più bassi, visto che i maggiori decisero di correre dal re o di consegnarsi ai Tedeschi. (Gianni Oliva, Op. cit., p. 21) 314 Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., p. 4. 315 "Parma anno zero", in "Gazzetta di Parma", n.25, 26 gennaio 1964, a cura di Aldo Curti 316 La SD, di cui facevano parte gli elementi più fanatici delle SS, aveva il duplice compito di eliminare tutti i nemici interni (antifascisti e partigiani) e di controllare da vicino le stesse unità tedesche. Alla stessa polizia politica sono imputate i rastrellamenti di giugno-luglio 1943 e del gennaio 1945 (Margherita Visalli, Op. cit., p. 152)

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esso ed al rinato partito collaborarono la Questura, il Comando provinciale e il Distretto militare. Con l'occupazione repentina della città, i partiti antifascisti dovettero passare dalla legalità all'illegalità più scrupolosa.

Dal Comitato d'Azione Antifascista al CLN di Parma: Dopo aver assistito alla fine della guerra fascista, il suolo italiano si fece teatro della lotta popolare. La sera stessa dell' 8 settembre, il Comitato d'Azione Antifascista si sciolse, per ricomporsi con "corpo e spirito nuovi" il 15 ottobre. Questa pausa di "riflessione" presentava in modo chiaro dei punti negativi, soprattutto nei confronti del periodo precedente che era così carico di speranza. Ma la pausa permise anche ai gruppi politici di rendersi effettivamente conto che era necessaria un' azione a più vasto raggio e meglio strutturata per combattere il nemico tedesco317. Malgrado l'isolamento nel quale si venivano a trovare i vari gruppi politici, il Partito comunista continuava, in nome del Comitato d'Azione Antifascista l'opera di preparazione alla resistenza ai Tedeschi. In questa fase di stasi, Dante Gorrei, noto militante antifascista, decise di assumersi tutte le responsabilità e, in attesa di una ricostituzione del Comitato diede le seguenti linee guida : 1) Poiché la città è occupata dai Tedeschi e parecchi fascisti sono posti al loro servizio, occorre che la nostra lotta continui su un altro piano. Tutti gli antifascisti conosciuti per essere iscritti negli elenchi della Questura debbono passare nella clandestinità, senza perdere i contatti con i compagni incaricati dei collegamenti; 2) I giovani debbono evitare di farsi rastrellare dai Tedeschi, perché conoscono il pericolo di essere inviati in Germania; 3) Facilitare ai soldati del disciolto esercito regio la via degli Appennini; 4) Impossessarsi delle armi per farne depositi in città; 5)Impedire che viveri e vettovagliamenti vengano recuperati dai Tedeschi, entrane in possesso e distribuirli alla popolazione; 6) Preparare i collegamenti con il centro della lotta contro i Tedeschi e i loro alleati fascisti318. Nella seconda decade di settembre, si inizia a intravvedere una prima organizzazione della guerriglia. Infatti, diverse vallate venivano indicate come zone di reclutamento/formazione, come zona operativa o come zona di avvicinamento ai militari319.

317 All'epoca solo il Partito comunista disponeva di una efficace organizzazione in grado di portare avanti la lotta armata. (Margherita Visalli, Op. cit., p. 27) 318 Queste direttive rivelano fin da subito i veri problemi della Resistenza: i giovani, gli sbandati dell'esercito regio e il cibo. "(Margherita Visalli, Ivi, p. 28) 319 La val Parma aveva il ruolo di zona di reclutamento/formazione, la val Taro era la zona operativa e la val Ceno era la zona di aggancio. (Margherita Visalli, Ibidem)

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Verso la fine di settembre, si tenne a Bardi, nella chiesa Bianca, un incontro tra Dante Gorreri, Giacomo Ferrari, alcuni alti ufficiali inglesi, alcuni ufficiali italiani e alcuni ufficiali jugoslavi, reduci dai campi di prigionia di Fiorenzuola d'Arda e di Fontanellato320. Lo stesso Gorreri proponeva di arrestare e contenere lo sbandamento degli ex appartenenti ai diversi eserciti e di organizzare al tempo stesso un' adeguata piattaforma direzionale e organica321. Ma l'incontro di Bardi non portò a nulla. Il tentativo rimase sterile in quanto, diversamente dal Nord Italia, non era possibile organizzare forme resistenziali con i nuclei del disciolto esercito regio, fino alla primavera. Un' altra difficoltà era legata al territorio. Malgrado la configurazione geografica dell'Emilia era favorevole alla guerriglia, i Tedeschi avevano preso il controllo delle due principali vie di comunicazione delle zona: la strada statale della Cisa, che da Parma porta sino a La Spezia, la ferrovia Parma-La Spezia e la Via Emilia322. Intanto, a Roma, il Comitato delle Opposizioni (presieduto dall'On. Ivanoe Bonomi) decise alla fine dei suoi lavori di costituirsi in Comitato di Liberazione Nazionale323. A Parma, dopo che il Comitato d'Azione Antifascista si era sciolto, si aveva solo una parvenza di CLN, all'interno della quale i rappresentanti del Partito comunista si servivano per prendere accordi in nome del CLN. Ma la liberazione di un paese non poteva essere opera di un gruppo, né di un partito e nemmeno di una sola classe, ma frutto e sacrificio della lotta di tutto il suo popolo324 e questa esigenza venne sempre meglio accettata da tutte le forze politiche, portando dopo diverse difficoltà alla creazione il 15 ottobre del 1943 del CLN di Parma325. I problemi che il neonato organismo dovette affrontare furono diversi: dalla imposizione del CLN come organismo dirigente della nuova lotta alla raccolta dei fondi. Tra queste mille difficoltà, la Resistenza all'invasore poteva iniziare a dare i suoi frutti.

320 Testimonianza di Dante Gorreri, depositate presso l'I.S.R.P di Parma. 321 Quasi tutti i partecipanti all'incontro furono favorevoli alla proposta, fatta eccezione per gli Inglesi, che non capivano quella forma di lotta irregolare e sostenevano che l'esercito doveva agire sotto la loro bandiera. Una volta ottenuto il rifiuto, decisero di raggiungere l'esercito inglese nel sud Italia. ("I comunisti parmensi nella cospirazione", in "Eco del Lavoro", n. 21 e 23, dicembre 1945) 322 Queste vie furono molto sorvegliate, in quanto costituivano un asse di rifornimento molto importante per le truppe schierate sul fronte. ("Efficienza morale e impiego tattico delle formazioni partigiane del C.U.O in provincia di Parma", in "Il contributo dei cattolici nella lotta di liberazione in Emilia Romagna", p.168) 323 "Per chiamare gli Italiani alla lotta e alla resistenza e per conquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni." ("Diario di un anno, 2 giugno 1943-10 giugno 1944", p. 100) 324 "Aspetti della lotta partigiana a Parma e sul nostro Appennino" (in "Eco del Lavoro", n. 18, 7 maggio 1948) 325 Alla riunione costitutiva erano presenti Giovanni Calzorali per il Partito Democratico Cristiano; Umberto Pagani per il Partito Repubblicano Italiano; Bruno Bianchi per il Partito d'Azione; Arturo Scotti per il Partito Liberale Italiano; Dante Gorreri e Luigi Porcari per il Partito Comunista Italiano e Biagio Riguzzi per il Partito Socialista Italiano. (Istituto storico della Resistenza della Provincia di Parma, "I caduti della Resistenza di Parma, 1921-1945", p. 147)

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La testimonianza di Enzo Folezzani sul 8 settembre: Nel seguente dialogo, il testimone parla a riguardo all'annuncio dell'armistizio con gli Alleati.

Folezzani: "Eravamo tutti in piazza a Parma quando c'è stata la gran vittoria. [...]"

Folezzani: "[...] Eravamo tutti in centro a Parma, che io sono scappato perché tutti sparavano in alto e io avevo paura, guardi."

Nella sua testimonianza, Enzo confonde tra di loro due eventi: l' 8 settembre e il 25 aprile. Magari tratto in inganno dalla domanda dell'intervistatore, Enzo ha iniziato a rispondere facendo un riferimento al 25 aprile, ma nel proseguito della frase ha aggiunto un altro particolare, riferito però all' 8 settembre. Ma nei momenti successivi, Enzo conferma di parlare dell' 8 settembre e porta nella sua testimonianza altri elementi che lo possono provare. In primo luogo, afferma che i Tedeschi erano già sbarcati in diversi punti sul Po e poi che i fascisti stavano lavorando alla riconquista di Parma, sparando sulla popolazione. Questa confusione può essere interpretata sulla base del fatto che Enzo non era a conoscenza, in linea di massima, di quello che stava succedendo l'8 settembre. L'unico ricordo che ha conservato con successo è quello legato agli spari dei fascisti.

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25 Aprile

La situazione di Parma e provincia: Dopo il rigido inverno, la primavera porta nuova linfa alle formazioni partigiane. I Tedeschi non riescono a mantenere le loro posizioni e gli Alleati riescono a sfondare la linea del fronte il 9 aprile326. Le bande partigiane sono in attesa e preparano la discesa i città. Il 22 aprile tutte le brigate erano dislocate sulla linea pedemontana, base di partenza per la discesa verso Parma. Nel pomeriggio del 23 aprile 1945, le squadre SAP327 e i GAP328 iniziano la guerriglia in città, attaccando Tedeschi e repubblichini. In poche ore sembrava di essere sprofondati in dietro di 23 anni329, come nel 1922, quando giovani e anziani collaborarono nella difesa di Parma innalzando barriere per le strade e armandosi contro il movimento fascista. In questa situazione venne creato un provvisorio Comitato di liberazione nella sede della Gazzetta di Parma, con lo scopo di aiutare la popolazione abbandonata a se stessa e di evitare i saccheggi avvenuti già l' 8 settembre. Il Comitato tentò di mettersi in comunicazione con il Comando tedesco, che si era asserragliato in viale Umberto I Le posizioni tedesche erano chiare: si trattava unicamente di sapere se il vescovato di Parma avrebbe fatto da mediatore. I Tedeschi volevano lasciare la cittadina parmense nelle mani di una persona di provata fiducia, in grado di garantire l'ordine e i servizi pubblici, ma si trattava di una soluzione impossibile agli occhi dei partigiani. Ma la mattina di mercoledì 25 aprile, un comandante dei GAP chiese al Mons. Marocchi di avviare trattative con i Tedeschi sulla nomina della persona che avrebbe retto la città330. I Tedeschi accettavano di affidare la reggenza della città sia a una persona che a un triumvirato, assicurando alla stesso tempo il ritiro delle Brigate nere. Ma alle 16.00 dello stesso giorno, fu avvisato lo stesso Monsignore di interrompere i

326 Nonostante una maggioranza schiacciante nella regione del Parmense (10 divisioni tedesche e 5 repubblicane si contrapponevano a 100'000 partigiani. N.B: Una divisione equivale all'incirca a 10'000 uomini). (Margherita Visalli, Op. cit., p. 116) 327 Squadre di azione patriottica, formazioni della Resistenza che operavano in pianura e che avevano il compito di compiere azioni di sabotaggio e attaccare il nemico direttamente nei presidi. Allo stesso tempo promuovevano l'arruolamento nelle file della Resistenza dei giovani renitenti alla leva. ("Guerra partigiana, operazioni nelle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia", p. 131) 328 Gruppi di azioni patriottica, formazioni della Resistenza alle quali venivano assegnati i compiti più rischiosi come il recupero e il trasporto delle armi o munizioni e la scorta a convogli. ("I comunisti parmensi nella cospirazione", in "Eco del lavoro", n.25, 21 dicembre 1945) 329 Quando Parma alzo le barricate contro l'avvento del fascismo alla testa dello Stato Italiano. (Amministrazione comunale di Langhirano, Op. cit., pp. 34-35) 330 Infatti, bisognava guadagnare tempo, come emerge dalle parole del comandante dei GAP. "Noi difettiamo di munizioni: se i Tedeschi, or che siamo esposti, ci dovessero assalire sarebbe un grave guaio." (Margherita Visalli, Op cit., p.160)

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negoziati con i Tedeschi. Una staffetta segnalava al Comitato provvisorio infatti la presenza alle porte della città delle prime colonne alleate. Nel mentre, numerosi contingenti nemici fluivano verso la Cisa nel tentativo di scappare dagli Alleati. Ma lungo la stessa strada, nella zona di Fornovo, i partigiani tesero un agguato e impegnarono le truppe tedesche fino al 29 di aprile, quando il generale Fretter Pico si arrese agli Alleati331. Negli stessi giorni, le SAP della bassa pianura parmense attaccarono in ogni paese le pattuglie nemiche, oramai allo sbando e prendeva possesso degli edifici pubblici, nonché difesero la popolazione dalle minacce del nemico, organizzando servizi di vigilanza a ponti e stabilimenti e recuperando armi e munizioni332. Appena fu completata l'occupazione di Parma da parte dei patrioti e degli Alleati e mentre era ancora in corso il rastrellamento di Tedeschi e fascisti, entravano in funzione anche gli organismi italiani333. La guerra era finita e la vita pacifica in città poteva finalmente riprendere.

La testimonianza di Enzo Folezzani sul 25 aprile: Nel seguente dialogo, il testimone parla riguardo alla liberazione di Parma e alla festa che si è svolta.

Folezzani: "Eravamo tutti in piazza a Parma, quando c'è stata la gran vittoria. Eravamo tutti in centro a Parma, che io sono scappato perché tutti sparavano in alto e io avevo paura, guardi." Boraschi: "Si, a venir giù, ti ricordi qualcosa di particolare?" Folezzani: "No, niente. Siamo andati giù in fila." Boraschi: "Non avete trovato resistenza?" Folezzani: "No no, niente. Beh, allora era finito tutto. Era finita [...]"

Anche per la narrazione frammentaria degli avvenimenti del 25 aprile, Enzo ha mischiato alcuni eventi. Se è ben vero che è sceso a Parma assieme al suo distaccamento il 25 aprile, Enzo confonde due avvenimenti: il giorno della liberazione e il giorno della riconsegna delle armi. Enzo non ricorda che quella cerimonia non avvenne il 25 aprile, ma bensì il 9 maggio del 1945, quando finalmente Parma era di nuovo nelle mani dei parmigiani. Per il resto, la testimonianza di Enzo, malgrado sia frammentata e di poche 331 Margherita Visalli, Ivi, pp. 133-135. 332 "Guerra partigiana, operazioni nelle provincie di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, a cura dell' ANPI provinciale di Parma e del C.R.N.E del CVL di Parma, p.163. 333 Margherita Visalli, Op. cit., p. 136 e "Relazione generale dell'attività svolta dal Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale di Parma", 11 luglio 1946.

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frasi, si dimostra corretta. Riguardo all'errore, penso che possa essere imputabile in primo luogo all'età, mentre, in un secondo frangente, all'euforia e alla confusione di quel momento che potrebbero aver annebbiato in parte la memoria di Enzo.

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6. CONCLUSIONI L’indagine che ho svolto ha costituito per me un’opportunità molto interessante, ma allo stesso tempo difficile. Interessante, perché mi è stata data la possibilità di “discutere” con la storia, o meglio, con un personaggio che la storia l'ha vissuta di prima persona e che ha contribuito al suo sviluppo. Un’esperienza unica, irripetibile e molto più stimolante rispetto a un semplice lavoro di analisi basato sui libri o su altre fonti scritte. Un lavoro che si è rivelato anche faticoso, vista la grande mole di preparazione necessaria. Infatti, per poter ottenere il massimo dal mio testimone, ho dovuto prima di tutto documentarmi sul contesto dentro il quale è vissuto. Un grande lavoro di preparazione, che ha occupato buona parte dell'ultimo semestre di terza e che è culminato con la registrazione dell'intervista al signor Enzo Folezzani, ma che ha dato molta soddisfazione al di là della valutazione ricevuta. Come in tutte le esperienze, anche in questa ci sono pregi e difetti. Pregi ve ne sono molti, soprattutto per una persona parecchio interessata alla materia. Devo dire che mi sono trovato molto bene sia con il testimone che con il docente responsabile del lavoro, nonché ho trovato molto interessante il lavoro proposto. Di difetti, ne ho trovato solo uno: il tempo. Un lavoro così strutturato è stato possibile solo con una programmazione puntuale di tutte le sue tappe e ciò ha comportato, a volte, che alcune scadenze si venissero a sovrapporre ad altri impegni scolastici. Alcune volte non è stato facile poter rispettare sia i termini del lavoro di maturità sia quelli imposti dalle altre materie, ma sono comunque consapevole che i margini di miglioramento in questo ambito sono quasi nulli. Sin dalle medie, ho avuto molto interesse per la storia e nel corso del liceo questo mio interesse è cresciuto molto. Ma devo dire che, pur conoscendo discretamente bene la materia, non la potevo comprendere appieno, se non dopo lo svolgimento di questo particolare lavoro di maturità. Infatti, prima di iniziare il mio lavoro di maturità, non potevo in alcun modo capire quanto fosse importante, nell’analisi degli avvenimenti storici, tenere in debito conto la componente umana. Le guerre e i conflitti vengono rappresentanti sui libri e sui manuali come semplici eventi, dentro ai quali si scontrano eserciti non di persone, ma di automi, ai quali i lettori non sono per nessuna maniera legati. Questo difetto fa sì che la storia acquisti importanza solo per i fatti avvenuti e non per i destini delle persone hanno vissuto sulla loro pelle questi eventi. Grazie a questo lavoro, ho acquisito la consapevolezza che dietro ai fatti storici vi sono sempre delle persone, con le proprie vite e con i propri vissuti.

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Sono stato molto colpito dalle capacità di Enzo Folezzani, di ricordare gli avvenimenti che l’hanno visto protagonista in maniera spesso nitida e precisa. Per quanto riguarda l'intervista in sé, Enzo l'ha affrontata tutto sommato bene, anche se all'inizio, come è normale che sia quando si è tenuti a parlare con una persona estranea, ha dimostrato un po' di titubanza ed appariva un po' contratto; ma con il protrarsi del colloquio, questo problema è andato scemando. Ritornando ai ricordi di Enzo, mi ha colpito molto, oltre alla mimica facciale molto espressiva che ha arricchito l'intervista, anche la gestualità con la quale ha tentato di ricostruire le scene. L'esempio più evidente l'ho notato quando il testimone ha raccontato del suo trascorso a Lalatta di Tizzano. Quando ebbe finito di raccontare cosa faceva su nel paese, s'incupisce in volto e picchia con una certa violenza la mano sul tavolo e poco dopo mi racconta che i Tedeschi avevano circondato il paese. Questa reazione, oltre che colpirmi molto, mi ha fatto notare come in Enzo sia ancora vivo il ricordo di quel giorno e di come lui ne tiene memoria, anche a oltre 70 anni dalla fine della guerra. Gli stessi ricordi si presentavano a volte in maniera non del tutto lineare e c'era, di frequente, un salto da un ricordo all'altro. Penso che la cosa non sia dovuta all'incapacità di Enzo di mettere in fila gli eventi, ma piuttosto al fatto che, trovatosi di fronte un giovane ragazzo interessato alla Resistenza, il testimone abbia cercato di ricordarsi ogni singolo momento rilevante del suo trascorso sugli Appennini per soddisfare la persona che gli stava di fronte. Così facendo, da ogni ricordo ne scaturivano altri dieci, determinando in questo modo il continuo salto da un avvenimento all'altro. La fonte orale presenta, oltre a diverse qualità, anche una difficoltà che di norma nelle fonti scritte o iconografiche non si riscontra: bisogna gestire il testimone e fare in modo che il colloquio si svolga secondo programma. Da questo punto di vista, la teoria fatta in classe e i consigli dati dal docente si sono rivelati preziosi.

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SITOGRAFIA

<http://www.bbc.co.uk/history/ww2peopleswar/stories/60/a8967360.shtml> (maggio 2015)

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ALLEGATI

25 Luglio 1943, la caduta di Mussolini (Corriere della Sera, 25 luglio 1943) (La Stampa, 25 luglio 1943) (Daily Express,334 25 luglio 1943)

334 Quotidiano britannico con sede a Londra, Inghilterra.

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8 Settembre, l'armistizio con gli Alleati (Il Corriere della Sera, 8 settembre 1943) (L'Unità, 8 settembre 1943)

La creazione della Repubblica sociale italiana, ottobre 1943 (Il Giornale d'Italia, 12 ottobre 1943) (Il Corriere della Sera, 12 ottobre 1943)

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25 Aprile 1945, la liberazione (La Gazzetta di Parma, 24 luglio 1945) 25 aprile, le formazioni entrano in città (collezione privata)

9 Maggio, la consegna delle armi Sfilata della 3°Brigata Julia per le strade di Parma (collezione privata)

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Il distaccamento "Marco Pontirol Battisti"

(Nel cerchio rosso, si può osservare il testimone, Enzo Folezzani, detto Sandokan)

Alide De Carola (detto Picelli), fu comandante del distaccamento tra il dicembre del '44 e l'aprile del '45). Afro Schiaretti (detto Afro) fu alla testa della banda dei "Lupi rossi" tra il marzo e l'agosto del '44.

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Marco Pontirol Battisti, staffetta della banda "Lupi Rossi", morto a San Michele Tiorre il 25 giugno 1944.

Vita partigiana Rastrellamento novembre ´44, proprietà del Comune di Corniglio (Pr) Renato Lori, La notte di san Giovanni a San Michele Tiorre (1994), olio su tela.

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Renato Lori, Partigiani alla Bergadella (2001), olio su tela

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RINGRAZIAMENTI Questo lavoro di maturità non si sarebbe potuto svolgere in maniera così accurata se non avessi avuto il sostegno da parte di diverse persone che, ognuna con il proprio aiuto, mi hanno messo nelle condizioni migliori per redigere un documento così completo e dettagliato. Vorrei ringraziare perciò,

• la professoressa di storia del Liceo Lugano 1, Lisa Fornara per il materiale fornito;

• il Sig. Emilio De Carola, figlio del comandante del Distaccamento Alide De

Carola per il materiale fornitomi e l'aiuto datomi a Langhirano;

• tutte le biblioteche e il loro personale per avermi messo a disposizione tutti i testi e i libri di cui necessitavo per la mia ricerca;

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