LESIGENZA DELLA FEDE: LA RADICALIT Á CRISTIANA PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA...
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L’ESIGENZA DELLA FEDE:LA RADICALITÁ
CRISTIANA
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA
OPERA DON GUANELLA – BARI
Anno Pastorale 2013/2014
L’impatto della Parola di Dio sulla persona umana si traduce in
ciò che noi chiamiamo «vocazione», «chiamata»:
l’Evangelo rac chiude esigenze, domanda
sequela di Gesù, chiama il credente a dare carne e vita alle istanze evangeliche, a fare della storia di Ge
sù la sua propria storia.
La fede presenta dunque delle esigenze. È quella che chiamiamo «radicalità cristiana»,
dove radicalità non rinvia tanto al carattere eclatante o spettacolare di gesti «eroici» di
abbandono del mondo quanto all’andare alla radice, all’essenziale dell’Evangelo per vivere la
«forma» di Gesù Cristo nella pro pria storia, nella propria vita, nella propria umanità.
A proposito di «vocazione»
Essere chiamati
«Vocazione» indica l’azione di chiamare. Dunque si riferisce in modo prioritario a colui che chiama.
Eppure l’accezione comune e diffusa della «vocazione» fa riferimento immediato non alla chia
mata ma alla risposta: la vita religiosa,
il matrimonio cristiano, il presbiterato ...
Così l’aspetto antropologico è più
sottolineato di quello teologico e la
vocazione, distaccandosi dalla
simplicitas del l’appello evangelico
a seguire Cristo, rischia di smarrirsi
in com plicate differenziazioni
interne che rasentano la
casistica.
Inter no a questo equivoco è quello per cui ancora oggi gran parte del popolo
cristiano, con la parola vocazione, intende solo le cosid dette «vocazioni di speciale consacrazione»: preti e suore, monaci e
religiosi.
La retorica popolare poi ama parlare di vocazione in riferimento ad attività
professionali che vengono svolte con grande generosità e totalità di dedizione. Ma la
vocazione non si colloca sul piano del «fare», bensì su quello dell’«essere».
La stessa voca zione cristiana dunque non
sarebbe adeguatamente
compresa se fosse intesa semplicemente
come risposta ai bisogni emergenti nella società o alle
necessità della chiesa: sarebbe una
sua ridu zione sociologica o ecclesiastica.
La vocazione riguarda il senso
della vita, ha a che fare con il mistero
della persona, concerne ciò che dà
fondamento e stabilità alla vita di un uomo e di una donna, coinvolge
un’esistenza personale
nell’insieme di tutte le sue relazioni: con Dio, con sé, con gli altri e con la realtà
tutta.
Fede e Battesimo
La vocazione cristiana trova la sua forma nel Battesimo, che la costituisce quale appello a una vita in relazione con Dio, il Padre, per
mezzo del Figlio, Gesù Cristo, nella forza dello Spirito santo. È questa l’uni ca vocazione
cristiana: la sua unicità si radica nell’unico Cristo, che «è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8) e nell’unico «Evangelo eterno» (Ap
14,6).
Nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente Giovanni Pao lo II ha sottolineato l’importanza della «riscoperta del Battesimo come Fondamento dell’esistenza cristiana,
secondo la parola del l’apostolo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di
Cristo»
(Gal 3,27)» (n° 41).
Il Battesimo, infatti, contiene in nuce l’identità
del cristiano: esso è - come recita l’iscrizione apposta all’ingresso di alcuni battisteri - janua vitae spiritualis, «porta
d’ingres so nella vita spirituale», quella vita
che è la vita cristiana tout court, cioè la vita come
esistenza nella fede, nella speranza e nella carità
retta dall’alleanza stipulata con noi da Dio nel Signore Gesù Cristo.
Ai cristiani che vivono una
situazione di minoranza, una condizione di
diaspora in contesti non cristiani o non più cristiani, una dimensione in cui più che mai sono «stranieri» anche nella loro patria, occorre pertanto
riscoprire l’essenzialità della
fede, che è contenuta appunto
nel Battesimo.
«Il Battesimo è una figur
a decisiva,
oggettiva ed
ecclesiale della fede. Se
essere
battezzati è per principio credere, si
può dire inversamente che credere è,
sempre
per principio, esser
e battezzati. È nel Battesim
o che la
fede prende la sua
forma
fondamentale
» (Hen
ri Bourgeois
).
Infatti, è dal Battesimo che discende il primato della fede nella vita spirituale come tensione a rimanere nell’adesione a Cristo di cui ci si è rivestiti nel Battesimo; è dal Battesimo che la vita cristiana rice ve la sua costitutiva dimensione pasquale che la configura quale quo tidiana partecipazione alla morte di Cristo per vivere da cori risorti con lui in novità di vita; è dal Battesimo, impartito «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo», che l’esistenza cristiana rice ve il suo orientamento trinitario: ad Patrem, per Christum, in Spiritu sancto; e questa è la stessa dinamica che regge la preghiera cristiana nella quale il credente, in unione con il Figlio Gesù Cristo, si rivolge a Dio chiamandolo «Padre» (Mt 6,9; Lc 11,2), «Abbà» (Rm 8,15; Gal 4,6); è il Battesimo, in cui è inscritta la vocazione del cristiano, che delinea la vita cristiana come vita in stato di conversione e che impe gna il credente nella quotidiana lotta contro gli idoli e la mondanità.
È il Battesimo che, incorporando a Cristo, innesta il battezzato nel Cor po di Cristo che è
la chiesa (cfr. Ef 1,22-23; Col 1,18; 1Cor 12,13) e strut tura comunitariamente ed
ecclesialmente la sua esistenza. La fede ha dun que un’identità battesimale: essa fa dell’intera
vita del credente una vita in Cristo.
La liturgia battesimale bizantina sottolinea questa re lazione personale col Cristo e la esprime con un significativo dialo go fra celebrante e candidato al Battesimo:
«Ti unisci a Cristo?».
«Sì, mi unisco a lui».
«Ti sei unito a Cristo?».
«Sì, mi sono unito a lui».
«Credi in lui?».
«Sì, credo in lui come Re e come Dio».
Il battezzato trova la sua identità in Cristo: egli
dev’essere anzi tutto un credente. Questa è l’opera richiesta a lui da Cristo: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di
Dio?» Gesù rispose:« questa è l’opera di Dio:
credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,28 29).
Ecco il passaggio da compiere: dal «che fare?» al «credere», dal le «molte
opere» all’«unica opera». E paradossalmente, l’unica ope ra, l’opera veramente indispensabile, è la fede.
Per il cristiano, dun que, la relazione personale con
Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, è cri terio decisivo di
appartenenza alla chiesa di Dio.
Riscoprire il Battesimo porta pertanto il cristiano
a riscoprire la propria identità e a rispondere con essenzialità alla domanda:
«Chi è il cristiano?». Il cristiano è «colui che ama il Signore Gesù pur senza
averlo visto e, senza vederlo, crede in lui» (cfr. 1 Pt 1,8). Questo il nome
del battezzato: christianus, appartenente
a Cristo.
I martiri dei primi secoli cristiani avevano molto forte questa chia rezza. Nella Passione di
Perpetua e Felicita (III,1) la donna che sta per essere martirizzata risponde a chi le chiede di rinnegare la fede per aver salva la vita: «Come questo vaso non può chiamarsi con al tro nome, allo stesso modo io non posso chiamarmi con un
nome diverso da ciò che sono: cristiana».
Se poi il Battesimo, come ri corda il Catechismo della chiesa cattolica, è il «sacramento della rige
nerazione cristiana mediante l’acqua e la Parola», questo implica che l’identità battesimale richiede al cristiano l’assunzione della centralità della Parola di Dio nella propria vita spirituale
facendo di lui un uomo di ascolto che nella Scrittura cerca il nutrimento quotidiano della
propria fede e vi trova la fonte del discernimen to e del giudizio delle realtà storiche ed ecclesiali,
personali e co munitarie.
La Bibbia, sacramento che contiene e trasmette la Pa rola di Dio a chi la accosta nella fede e sotto la guida
dello Spirito santo, immette il credente nella
conoscenza non meramente intellettuale,
ma coinvolgente e dinamica di «Gesù, il
Cristo, il Figlio di Dio» (Gv 20,31). È questa
conoscenza di fede che può liberare la spiritualità cristiana dalle pastoie del soggettivismo e del devo
zionalismo, del sentimentalismo e del
moralismo in cui la si fa spesso cadere, e che la
può tenere oggettivamente ancorata a Gesù Cristo
«iniziatore e realizzatore della fede» (Eb 12,2).
Dal Battesimo discende la
chiamata alla santità rivolta a
tutti i cristiani, una santità che non va
intesa in senso prevalentemente
morale, come spesso ancora oggi
avviene, ma che rappresenta il frutto
della fede nell’intera vita del credente, corpo e
spirito. Il ri to battesimale
conservatoci in un sacramentario del
VI secolo d. C. sottolinea la fisicità del coinvolgimento
con Cristo del battezza to.
Dice il celebrante: «Io ti segno nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
santo perché tu sia cristiano; gli occhi, perché tu ve da la luce di Dio; le
orecchie, perché tu ascolti la Parola del Signo re; le narici, perché tu senta il
soave odore di Cristo; le labbra, per ché, una volta convertito, tu confessi il Padre
e il Figlio e lo Spirito santo; il cuore, perché tu creda la Trinità indissolubile. E la pace sia con te». «Fisicità» dell’atto
battesimale che già allude al coin volgimento totale del credente nella vita
di fede.
Chiamati alla santità
La vocazione alla santità, proprio perché insita nel Battesimo, è destinata à tutti i cristiani ed
è una chiamata alla perfezione del l’amore. Origene ricorda che, cristianamente, non
esiste altra per fezione all’infuori dell’obbedienza al comandamento dell’amore.
Secondo il Nuovo Testamento la santità è destinata a risplendere in modo ecclesiale,
comunitario.
Non ap pare tanto virtù individualistica o morale che tende alla perfezio ne individuale, ma è relazione. Relazione con Cristo, appartenen za liberamente decisa e perseguita a Cristo, e relazione comunita ria, ecclesiale: sottomissione liberamente scelta ai fratelli seguen do Colui che ci ha dato l’esempio. Più che a diversi modelli di san tità, il cristiano è chiamato a guardare a Cristo, «il Santo di Dio» (Gv 6,69), la santità di Dio fatta persona.
Per il Nuovo Testamento, i
cristiani sono i santi, sono cioè coloro che vivono una separazio
ne rispetto alla mondanità perché
impegnati in un’esigente ap
partenenza a Cristo. Potremmo dire che la santità è un evento: un evento suscitato dallo Spirito santo
che guida le persone alla san tificazione inserendole nella
dialettica di appartenenza e separa zione che
connota appunto la vocazione cristiana.
Ed è l’evento per cui lo Spirito di Dio e lo spirito
dell’uomo collaborano in
sinergia (cfr. Rm 8,16) perché il
credente diventi ciò che è: un alter Christus, un uomo, una donna, la cui umanità è resa
simile al l’umanità di Gesù di Nazaret.
In questo dinamismo spirituale il credente esperimenta la santità come
dono, ovvero, come vita fi liale in rapporto a Dio, il Padre. La vocazione cristiana dischiusa dal Battesimo può
dunque essere così sintetizzata: Diventa umana mente santo! Diventa santo nella
tua concreta umanità seguendo l’umanità di Gesù di Nazaret. Fai del
quotidiano il luogo della san tificazione. E ricordati che il santo non è colui che non
commette peccati, ma colui che crede più alla misericordia di Dio che
all’evidenza della propria debolezza.
Il santo, ricorda il Concilio Va ticano II, è un compagno di umanità, un uomo come tutti noi
lo siamo, che fa risplendere con più trasparenza e luminosità il volto di Cristo nella propria carne, nelle proprie azioni, nel proprio
vi vere.
Dice la Lumen Gentium al n° 50
parlando dei santi:
«Nel la vita dei nostri compagni di umanità (humanitatis nostrae consortes), più perfettamente
trasformati a immagine di Cristo, Dio ma nifesta in una viva luce la
sua presenza e il suo volto. In essi Dio stesso ci parla, ci dà un
segno del suo Regno»1.1. CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, n. 50.
Le forme della vocazioneCiò che è dunque
primario nella risposta alla
vocazione è que sto contenuto di santità-carità, non tanto la
forma in cui lo si vive. In altri termini: non
ha senso l’affermazione, continuamente ripetuta, della
superiorità della vita celibataria-religiosa
rispetto a quella matrimoniale.
Si tratta di due forme diverse di risposta all’unica vocazione cristiana: dove la
diversità è in sintonia alla parti colare
umanità del chiamato. Ma
entrambe queste forme prendo no il loro significato dal comune riferimento al Regno di Dio, di
cui, sotto forme diverse, sono segno.
E sono segno non automati camente, ma nella misura in cui sono vissute veramente in modo evangelico. Il fatto che Gesù abbia vissuto il
celibato non significa che questa forma di vita sia più perfetta, consenta una piú intima
conoscenza del Signore, ecc. Il problema serio è il reale contenuto di santità e di carità che
ciascuno arriva a vivere, quale che sia lo stato in cui si trova.
Se vogliamo avere un criterio di maggiore o minore vicinanza con Dio è in tale contenuto
che lo troviamo, ed è Gesù stesso che l’ha indicato: «Chi compie la volontà di Dio, que sti è
mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,35). Le differenti forme di vita in cui l’unica vocazione cristiana trova inveramento non van no poste
sul piano del paragone e del confronto (del più e, dun que, anche se questo non è mai
esplicitato, del meno), ma dell’alterità e della complementarità.
Della sinfonia dunque, non della concorrenza. La
vocazione cristiana non è una
sottocategoria del la particolare
vocazione alla vita religiosa! Scrive Thaddée Matura:
«La vita religiosa è solo un certo modo di realizzare la vita cristiana e non vi è nulla di più grande
e di più alto di quest’ultima».
Il Battesimo contiene in sé tutte le radicali esigenze della voca zione cristiana. Gesù infatti ha rivolto a tutti, non a una cerchia di eletti, le parole: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).
«Tutti i fedeli di qualsiasi stato sono stati chiamati alla pienezza della vita cristiana e
alla perfetta carità»2.
2. Idem, n. 40.
Ogni cristiano - sposato o no, pre sbitero o
religioso - è chiamato a vivere la sequela fino alla croce, a vivere l’obbedienza e lo
spossesso di sé, la condivisione dei beni, la
castità e il rispetto radicale dell’altro, così come tutte le altre vir tù
evangeliche. Ciò che veramente è
diversificante all’interno dell’unica vocazione è la scelta tra vita coniugata
e vita celibataria. Perché questa differenza investe direttamente la
struttura uma na, creaturale, di ciascun
chiamato.
Il primo discernimento da fare è quello: se è presente il carisma del celibato allora si dovrà di scernere tra vita presbiterale e vita religiosa e, all’interno di quest’ultima, tra vita monastica
cenobitica, vita itinerante apostolica e missionaria, vita diaconale, vita eremitica.
Definirei allora la vocazione cristiana
come un evento pneumatico che,
dischiuso dal Batte simo, «accade»
nell’incontro tra la radicalità delle
esigenze evangeliche e un essere umano nella
sua libertà e verità personali, tra la Parola sovrana di Dio e una
precisa creatura, segnata da determinati
limiti e doni.
L’uni cità e la differenziazione della vocazione si giocano all’interno di quell’incontro. Ma
come non esiste che una e una sola spiritualità cristiana, che trova differenti applicazioni e
attuazioni, così non esiste che un’unica vocazione cristiana, e le diverse forme per
realizzarla sono, tutto sommato, secondarie rispetto all’unum a cui rendono testimonianza.
Chiamati a vivere nello Spirito santoLa vocazione cristiana
chiama a vivere la sequela di Gesù, il Si
gnore, nella forza dello Spirito santo.
L’espressione dinamica «vita secondo lo Spirito santo» o «nello Spirito
santo» è eco fedele dalla Scrittura
(«Poiché viviamo grazie allo Spirito, camminiamo anche nello Spirito»: Gal
5,25) e certamente è preferibile a quella di «spi ritualità» che pure è invalsa e che tuttavia non è esente da ambi
guità.
Testimoniata per la prima volta in un testo di ambiente pelagiano del V secolo, la parola
spiritualitas, «spiritualità», è quasi sco nosciuta agli scrittori cristiani del I millennio e solo a
partire dai secoli XII e XIII viene utilizzata più di frequente, pur restando completamente assente da autori come Bernardo, Ugo e
Riccardo di S. Vittore e altri. È col francese del XVIII sec. che il vocabolo (spiritualité) entra
maggiormente nell’uso e dal francese passa ad altre lin gue.
Inoltre è solo nel corso del Il millennio cristiano e solo in Oc
cidente (non nell’Oriente che ha mantenuto l’unità
della vita mo nastica e non ha conosciuto il proliferare di forme
diverse di vita religiosa) che questa
parola comincia a essere declinata al
plurale: «le spiritualità»
sottolineano elementi particolari della
spirituali tà cristiana in dipendenza da un certo santo o da una
specifica con gregazione religiosa,
ecc.
Oggi, chi sfogli un «manuale» o un «di zionario» di spiritualità potrà scoprire una varietà di declinazioni
della «spiritualità» da far impallidire la più vivida fantasia: spiri tualità nazionali (francese, italiana, russa...)
e di singole città (Lour des, Assisi, Roma...), spiritualità che sottolineano un aspetto del mistero della fede
(trinitaria, liturgica, escatologica, mariana, eucaristica...), che derivano da qualche santo
(giuseppina, antoniana, elisabettiana, cateriniana...), particolarmente da qualche fonda tore (ignaziana,
francescana, benedettina, domenicana, guanelliana…), che mettono in luce qualche elemento ascetico-pratico (del lavoro, della povertà, del servizio, missionaria, del
dialogo...) o si rifanno a un movimento (Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione...),
spiritualità, infine, delle diverse professioni e stati di vita ed età (laicale, presbiterale, della vita religiosa, dei
medici, delle casalinghe, dei giornalisti, degli insegnanti, dei sani e dei ma lati, dei giovani e dei vecchi...).
Di fronte a questa situazione mi paiono
inevitabili alcune considerazioni. Che senso ha questa differenziazione
di spiritualità oggi, nel l’attuale contesto storico
di fuoriuscita dalla cristianità (al cui in terno –
all’interno cioè di un «mondo cristiano» - era
concepibile una tale differenziazione), di
minoranza dei cristiani nella società, quando il
problema essenziale è la trasmissione della fede?
Ciò di cui c’è bisogno è il recupero dell’essenzialità della fede e della vo cazione
cristiana. E ciò che è preoccupante è il crescente analfa betismo di fede di molti
cristiani. Dalle spiritualità occorre pertanto passare all’unica spiritualità cristiana.
Infatti, «ciò che definisce la spi ritualità cristiana non è la distinzione di questo o quel gruppo di cristiani, ma «una sola fede, un solo
Battesimo, un solo Signore, un unico Spirito, un unico Dio salvatore di tutti» (Ef 4,5-6). Indubbia
mente lo stesso Spirito che agisce in tutti, chiede a ciascuno di compiere funzioni diverse nell’unico Corpo di Cristo, ma non per questo si potrebbe parlare di diverse spiritualità cristiane senza tener sempre presente che esse, se sono effettivamente cristiane, differiscono solo sul
piano relativamente esteriore e secondario delle applicazioni, mentre l’essenza della spiritualità
cristiana ri mane una é inalterabile» (Louis Bouyer).
Inoltre i grandi santi non volevano tanto dar vita a
una nuova spiritualità, ma hanno sempre e solo cercato di vivere la
totalità dell’Evangelo nel loro oggi: Fran cesco, p.
es., voleva «vivere secondo la forma del santo Evangelo». Rifarsi a questi
santi, che rinviano all’unico fondamento della
santità cristiana, Gesù Cristo, rivelatore del
Padre, significa immet tersi in un movimento
pneumatico e profetico di traduzione nel l’oggi
dell’«Evangelo eterno» (Ap 14,6), del «Cristo che
è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8).
Una chiamata autorevole e imperativa
Il Dio biblico tende a stabilire la sua signoria sull’uomo median te la Parola. Tanti e diversi sono i modi con cui Dio parla all’uo mo (cfr. Eb 1,1), ma la
sua Parola definitiva è Gesù Cristo, Parola fat ta carne. Se la Bibbia è il libro delle chiamate di Dio, Gesù
Cristo è colui che chiama alla relazione con Dio e la via di tale relazione.