LE TUMEFAZIONI DEL COLLO IN ETA’ PEDIATRICA · neoplastiche, quali la tiroidite di Hashimoto,...

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LE TUMEFAZIONI DEL COLLO IN ETA’ PEDIATRICA A CURA DI FRANCESCO ASPREA

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LE TUMEFAZIONI DEL COLLO IN ETA’

PEDIATRICAA CURA DI

FRANCESCO ASPREA

tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

PRESENTAZIONE

La presentazione di questo volume in prima istanza mi porta a fare una breve quanto necessaria premessa sulla personalità dell'autore, nonché coordinatore, nella persona di Francesco Asprea, medico specialista in otorinolaringoiatria, cultore di scienze umanistiche, ma, in particolar modo, calabrese d.o.c. un po' naturalizzato siciliano. Subito dopo la specializzazione ha scelto di esercitare la libera professione con serietà, distinguendosi sempre per le sue capacità cliniche, diagnostiche, nonché terapeutiche sia mediche che chirurgiche. Si è fatto apprezzare per il suo intuito clinico grazie alla preparazione di base ma anche grazie ai sacrifici affrontati con aggiornamenti teorico-pratici presso centri altamente qualificati. Per natura generoso ed estroverso, facilmente pronto a socializzare, ha coinvolto chiunque ruotasse nella sua orbita. Le vittime consenzienti sono state spesso i familiari ma anche i numerosi amici che può annoverare e in particolare i tanti colleghi con cui collabora; a proposito di questi ultimi, ha sempre saputo sintonizzarsi e dialogare in maniera propositiva. La sua mente in continuo fermento lo ha portato ad affrontare e approfondire argomenti con la conseguente realizzazione di momenti di aggregazione nel suo specifico medico e non solo. Nell'ultimo decennio ha organizzato, spesso da solo, incontri scientifici concentrandosi sul campo delle neoplasie della testa e del collo. I risultati sono stati certamente validi, considerato il numero dei partecipanti. A conclusione dell'ultimo convegno ha ipotizzato l'attuale fatica. Partendo dal presupposto che l'otorinolaringoiatra rappresenta per i pediatri un collaboratore insostituibile e che spesso sono portati a lavorare in stretta collaborazione, coinvolgendo la collega pediatra Isabella Mondello, ha lanciato l'idea del compendio che riguarda il complesso capitolo delle tumefazioni del collo in età pediatrica. In letteratura il suddetto argomento è stato affrontato solo in poche occasioni e spesso separatamente o dai pediatri o dagli otorinolaringoiatri; l'idea di concertare insieme un compendio sull'argomento è sembrata vincente e quindi si è dato inizio alla suddetta fatica. Il lavoro è stato suddiviso in diverse parti, fra le quali le più significative sono la seconda, che tratta delle tumefazioni disembriogenetiche, vedi in particolare le anomalie branchiali o i teratomi del collo, la terza, che tratta il fondamentale campo delle tumefazioni di origine infettiva, e la quarta, che riguarda invece la complessità sempre più attuale delle tumefazioni neoplastiche; il testo, oltre la parte prima che comprende gli aspetti generali, è stato arricchito dalla patologia tiroidea e paratiroidea e da una parte che potremmo definire speciale a supporto, che descrive alcune tecniche pratiche come la tracheotomia pediatrica o il nursing infermieristico nella chirurgia del collo in età pediatrica.

Concludo con l'augurio che questo lavoro possa rappresentare una valida guida nello studio di alcune patologie e che possa dimostrarsi utile a tutti i cultori dell'otorinolaringoiatria pediatrica e della pediatria otorinolaringoiatrica.

Francesco Carfi

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INDICE

PARTE V - PATOLOGIA TIROIDEA E PARATIROIDEA

Cap. 46 - Diagnostica differenziale del nodulo tiroideo 329

Francesco Asprea, Giovanni Condemi

Cap. 47 - Ipotiroidismo e iodoprofilassi 339

Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Cap. 48 - Tiroiditi 344

Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Cap. 50 - Gozzo tiroideo 348

Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Cap. 51 - Tireotossicosi 352

Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Cap. 52 - I tumori tiroidei 356

Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Cap. 53 - Il carcinoma midollare 363

Francesco Asprea, Giovanni Condemi

Cap. 54 - La patologia paratiroidea 370

Francesco Asprea, Giovanni Condemi

tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Capitolo 46

DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE NELLA PATOLOGIA TIROIDEA Francesco Asprea, Giovanni Condemi

La patologia tiroidea si impone quale importante capitolo nell'ambito della diagnostica differenziale in età pediatrica. Nella valutazione clinica vanno sempre tenute presenti le patologie tiroidee non neoplastiche, quali la tiroidite di Hashimoto, frequente in età pediatrica e adolescenziale, e il morbo di Flajani-Basedow-Graves, mentre a livello di lesioni neoplastiche andrà fatta una corretta diagnosi differenziale fra lesioni benigne che possono essere normofunzionanti (adenoma follicolare) o iperfunzionanti (adenoma tossico di Plummer) e lesioni maligne che possono essere più frequentemente carcinomi papillari o, meno frequentemente, follicolari nonché è più rara la possibilità di incorrere nel carcinoma midollare, derivante dalle cellule parafollicolari tiroidee, che può presentarsi in forma sporadica o essere inserito nel quadro della MEN2a, MEN2b, FMTC. Inesistente in età pediatrica il carcinoma tiroideo anaplastico, tipico dell'età avanzata. L'attenzione sulle dinamiche ormonali tiroidee, spesso transitorie in questo periodo della vita, può scongiurare l'instaurarsi di una patologia consolidata in età adulta. L' utilizzo di Iodio a scopo alimentare in aggiunta a quello presente nella dieta mediterranea, anche sotto forma di sale iodato in continuità, "sale poco ma iodato" risulta già di per sé sufficiente nella maggior parte degli ambiti abitativi, collina, mare, montagna nei paesi del mediterraneo. L'utilizzo della loduria nelle urine delle 24 ore unitamente ai parametri di Iodio nel sangue con TSH, Tireoglobulina e le quote libere Ft3, Ft4 sono elemento di base per rintracciare carenze o eccedenze di attività, le prime correlate e spesso conseguenziali a influenze stagionali tipiche corredate da una forma astenica persistente; la seconda da eventi post-tossici e in qualche occasione post-tossicità da farmaci, ambientali o post-diagnostici (ad es., mezzo di contrasto iodati per indagini diagnostiche).

L'incidenza di lesioni nodulari tiroidee entro i 21 anni di età è, secondo l'American Cancer Society, dello 0,5-1,8% contro il 5% dell'adulto, mentre circa il 10% del totale dei tumori tiroidei insorge al di sotto dei 21 anni di età, prediligendo la fascia di età fra i 15 e i 19 anni, e insorgendo al di sotto dei 10 anni solo nel 5% dei casi. Complessivamente, quindi, la patologia nodulare tiroidea è molto meno frequente in età pediatrica che in età giovane-adulta. Tuttavia, le probabilità che un nodulo tiroideo in età pediatrica sia maligno sono molto maggiori che in età adulta, arrivando sino al 25%.

Da ciò si evince la particolare importanza di una corretta diagnosi differenziale in tale fascia di età. La storia clinica del paziente può dare elementi di fondamentale importanza. Il principale fattore di

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rischio per neoplasia tiroidea in giovane età è costituito da pregressa irradiazione del collo; in passato l'irradiazione veniva utilizzata come terapia per l'iperplasia adeno-tonsillare o timica e per altre patologie benigne, pratica ormai per fortuna scomparsa, mentre è in progressivo aumento il numero di pazienti che subiscono irradiazione al collo per la terapia di leucemie, linfomi o neuroblastomi e che, sopravvissuti alla neoplasia, sviluppano un secondo tumore a livello tiroideo. In questi casi è d'obbligo inserire la valutazione della tiroide tra gli elementi di controllo stretto (follow-up) dopo i primi 3/5 anni dall'erogazione di radioterapia. Un notevole aumento della patologia tumorale tiroidea è stato riscontrato poi dopo incidenti nucleari in determinate zone del pianeta, vedasi Chernobyl nel 1986 o il Giappone nel 2011. Anamnesticamente andranno ricercati segni clinici di ipotiroidismo o di ipertiroidismo (variazioni di peso corporeo, modificazioni del ritmo sonno-veglia, alterazioni della temperatura corporea, stanchezza, irritabilità, comparsa di disturbi cardiaci o di segni oculari, ecc.); si interrogherà il paziente sulla presenza di dolore in sede tiroidea (segno spesso di tiroidite di De Quervain), sull'epoca di comparsa della tumefazione nodulare e sulle sue modificazioni di volume, sulla presenza di sintomi da compressione, quali dispnea, disfagia, disfonia. Le ricorrenti infezioni virali, batteriche e fungine frutto di un indebolimento immunologico devono essere attentamente trattate e risolte poiché divengono esse stesse causa di immunodeficenza anche solo distrettuale e creano un circolo vizioso negativo che può sostenere la patologia tiroidea sia in ipo- che in iper-tiroidismo. Resta importante l'accurata ricerca anamnestica di fatto; notizie di familiarità per patologie immunologiche, neoplasie tiroidee, feocromocitoma, problematiche paratiroidee inquadrabili nelle forme di MEN2a, MEN2b o FMTC devono ricevere la giusta attenzione da parte del clinico. Tali condizioni verranno trattate dettagliatamente nel capitolo dedicato al carcinoma midollare al quale si rimanda per l'approfondimento.

Esistono poi una serie di sindromi genetiche, quindi a carattere familiare, in cui la predisposizione ad adenomi follicolari tiroidei ed eventualmente a neoplasie tiroidee papillari o follicolari è collegata a un quadro sindromico ben più complesso, che solo se conosciuto possono essere diagnosticate.

Secondo Corrias e Mussa tali sindromi, peraltro rare, sono:

• La sindrome di Codwen, nella quale accanto a tumori benigni dell'utero e della mammella esiste la possibilità di avere anche un gozzo multinodulare nel 50-67% dei casi e carcinomi tiroidei nel 5-10% dei casi;

• La sindrome di Bannayan-Riley-Ruvacalba, caratterizzata da macrocrania, lipomatosi multipla, ritardo psicomotorio, scoliosi, miopatia, malformazioni vascolari, lassità articolare e manifestazioni tiroidee con le stesse caratteristiche e percentuali della precedente, essendo entrambe una conseguenza di mutazioni genetiche che inattivano il gene oncosoppressore PTEN;

• La poliposi adenomatosa familiare, caratterizzata dalla formazione di polipi intestinali multipli, inizialmente benigni, ma con spiccata tendenza alla trasformazione maligna, si associa anche a un aumentato rischio di tumore tiroideo; essa deriva da una mutazione del gene APC così come

• La sindrome di Gardner che ha le stesse caratteristiche con in più la presenza di osteomi mandibolari, fibromi e cisti sebacee;

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• La sindrome di Peutz-Jeghers, che si associa pure ad aumentato rischio di turnori tiroidei, è caratterizzata da poliposi intestinale multipla amartomatosa con aumentato rischio dì trasformazione neoplastica e macchie melanotiche sulle labbra e sulla mucosa del cavo orale;

• La sindrome di Carney caratterizzata da mixomi cutanei, mammari e cardiaci, lentiginosi cutanea, neoplasie delle ghiandole endocrine fra cui quelle a carico della tiroide;

• La sindrome di McCune-Albright nella quale alla displasia fibrosa poliostotica, si associano macchie cutanee colore caffè latte, pubertà precoce, iperfunzione della tiroide, del surrene e dell'ipofisi;

• La MEN2A, MEN2B e la FMTC, caratterizzate da mutazioni del protooncogene RET in vari punti dello stesso e associate ad alto rischio di carcinoma midollare tiroideo e di feocromocitoma.

L'esame obiettivo comprenderà una valutazione completa del distretto testa-collo con curata palpazione della loggia tiroidea e delle catene linfonodali del collo. A livello tiroideo la presenza di tumefazione dura e poco mobile sui piani superficiali e profondi è suggestiva di etiologia neoplastica, mentre una tumefazione soffice e mobile fa pensare a un fatto flogistico o nodulare benigno, anche se queste considerazioni non vanno prese come regola generale. L'esame obiettivo generale servirà per valutare i segni clinici di disfunzione tiroidea e, per quanto riguarda i rari pazienti con storia familiare di MEN2, per la ricerca delle stimmate della malattia quali habitus marfanoide, pectus escavatum, neuromi mucosi.

Gli esami di laboratorio indispensabili sono fT3, TSH, calcitonina e, in casi selezionati, Tireoglobulina, PRL, Paratormone. Il riscontro di un aumento della calcemia indirizzerà verso un iperparatiroidismo e sarà seguito da un dosaggio del paratormone. In caso di positività dì quest'ultimo test si impone una scintigrafia paratiroidea con Sesta-MIBI e, individuata la lesione paratiroidea, che sia essa iperplasia, adenoma o carcinoma, si avvierà il paziente alla chirurgia paratiroidea. Il riscontro di un aumento della calcitonina è pressoché patognomonico di un carcinoma midollare tiroideo. Questo impone, una volta effettuati gli accertamenti complessivi del caso, anche a livello genetico, una tiroidectomia totale con trattamento radioterapico a livello linfonodale. Il riscontro di un calo del TSH, a maggior ragione se associato a elevazione dei tassi di ormone tiroideo circolante libero, rende opportuna una scintigrafia tiroidea con Iodio 131 e curva di captazione che potrà evidenziare un singolo nodulo ipercaptante (adenoma di Plummer) nel qual caso la terapia può essere chirurgica o con trattamento radio-metabolico oppure una ipercaptazione diffusa, rendendo così opportuno il dosaggio degli anticorpi anti-recettore per il TSH il cui incremento porta alla diagnosi di morbo di Basedow, suscettibile di terapia medica di stabilizzazione e mantenimento ed eventuale successiva terapia chirurgica.

L'indagine ecografica, soprattutto con i nuovi apparecchi, è diventato negli anni esame imprescindibile nella diagnostica della patologia tiroidea; fornisce informazioni dettagliate sul volume della ghiandola e su eventuali alterazioni strutturali della stessa. Nel caso di patologie nodulari permette di specificare il numero, le dimensioni e le caratteristiche dei noduli; consente inoltre di studiare contemporaneamente le catene linfonodali del collo e di individuare precocemente eventuali linfoadenopatie associate alla patologia tiroidea e di studiare la rete vascolare intraghiandolare. Nella valutazione ecografica del nodulo tiroideo ha una notevole importanza stabilire la natura solida o cistica dello stesso, essendo in genere di natura benigna i noduli di tipo cistico con caratteristiche di iperecogenicità e margini regolari e quantomeno sospetti

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i noduli solidi ipoecogeni; altro carattere di sospetto di malignità è dato dall'irregolarità dei margini con assenza dell'alone ipoecogeno periferico: la presenza di microcalcificazioni e di aspetti pseudo-papillari in zone di colliquazione sono in genere elementi sospetti; all'esame color-power-doppler sarà possibile valutare il pattern di vascolarizzazione del nodulo che in condizioni normali dovrebbe essere perinodulare, mentre una spiccata vascolarizzazione intranodulare depone per possibile malignità; esami ecografici ripetuti a distanza di tempo consentono di valutare la crescita del nodulo che, se rapida e associata a variazioni morfologiche, è un segno di sospetto. Nessuno dei caratteri sopra elencati ha delle caratteristiche che orientano sicuramente verso la benignità o malignità del nodulo, ma l'associazione di più segni ecografici può orientare o verso una diagnosi di benignità con il consiglio di un follow-up o verso un sospetto di malignità con la prosecuzione delle indagini, tra cui spicca la biopsia ecoguidata per l'eventuale accesso verso la chirurgia.

Jabiev nel 2009 ha dimostrato come un nodulo ipoecogeno con margini irregolari e presenza di microcalcificazioni ha un rischio di essere maligno aumentato di 30 volte. Moon nel 2011 ha ottenuto risultati simili, prendendo in considerazione anche la vascolarizzazione intranodulare, le dimensioni aumentate e l'irregolarità dell'alone ipoecogeno periferico. Una revisione completa dell'argomento viene fornita da Corrias e Mussa nel 2013. Goldafrb, nel 2011, afferma, viceversa, che noduli tiroidei con margini regolari, aspetto cistico iperecogeno e assenza di microcalcificazioni possono essere considerati benigni in pazienti che non abbiano una storia di pregresse irradiazioni o di neoplasia tiroidea pregressa. Analoghe considerazioni possono valere per la valutazione ecografica delle logge linfonodali sia del compartimento centrale che laterocervicali. L'ecografia fornisce dunque l'input decisionale sulla prosecuzione delle indagini mediante citologia per agoaspirazione (Fine Needle Aspiration Citology — FNAC), la cui esecuzione risulta sicura e valida qualora eseguita sotto guida ecografica.

La scintigrafia ha perso buona parte delle sue indicazioni nella diagnostica differenziale dopo l'avvento dell'ecografia, soprattutto considerando la fragilità da radionuclide in età pediatrica. In passato l'algoritmo diagnostico prevedeva l'esecuzione della scintigrafia per individuare zone di iperfunzionalità, i cosiddetti noduli caldi, o l'iperattività diffusa nella malattia di Basedow e tali reperti venivano interpretati come benigni, mentre i noduli freddi venivano considerati sospetti per malignità; pur essendo tale atteggiamento sostanzialmente corretto, l'esposizione a radiazioni e la disponibilità della diagnostica ecografica, ne hanno al giorno d'oggi limitato l'uso, specie in età pediatrica, solo allo studio dell'ipertiroidismo per distinguere fra morbo di Basedow e adenoma di Plummer e ad altre poche indicazioni diagnostiche differenziali.

L'agoaspirato con ago sottile (FNAC) è un esame ormai standardizzato nell'indagine preoperatoria dei noduli tiroidei; da esso può derivare l'informazione della natura benigna di un nodulo tiroideo con esclusione dal trattamento chirurgico oppure un'informazione dettagliata di natura maligna orientando così i successivi trattamenti. Esistono lati negativi collegati a campionamento inadeguato, all'incapacità dell'esame citologico di distinguere fra lesioni follicolari benigne e maligne e alla difficoltà di individuare la variante follicolare del carcinoma papillifero.

È importante che il prelievo sia eseguito da personale esperto, ed esaminato da patologi specializzati nel settore, eventualmente con la possibilità di una second opinion in caso di dubbio. Utilissimo, per evitare i campionamenti inadeguati, che il patologo esamini il materiale

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immediatamente nella sede del prelievo, indicandone o meno l'adeguatezza; qualora possibile, l'analisi molecolare sul prelievo citologico aumenta sicuramente la sua sensibilità. In caso di formazioni cistiche, è bene svuotare il più possibile la lesione dal suo contenuto liquido che va mandato per intero senza fissazione al laboratorio. In caso di referto di benignità di una lesione con caratteristiche sospette di malignità, è opportuno ripetere il prelievo e comunque instaurare un continuo confronto fra clinico, chirurgo e patologo al fine di migliorare e ottimizzare la resa diagnostica della metodica. La classificazione in categorie diagnostiche della FNAC universalmente accettata è quella proposta dalla British Thyroid Association e dal Royal College of Pathologist, che corrisponde esattamente a quella di Bethesda usata negli Stati Uniti d'America, il che facilita la comparazione fra i due sistemi. Le categorie sono le seguenti:

• Thy1, non diagnostico, in genere per insufficienza del materiale cellulare, essendo necessari almeno 6 gruppi di almeno 10 cellule follicolari ben visualizzate per una corretta diagnosi, oppure per cattiva conservazione del materiale cellulare; il suffisso Thy1c si usa per i prelievi di materiale colloidale ottenuti da lesioni cistiche con insufficiente colloide o cellule epiteliali

• Thy2, non neoplastico, cioè un prelievo soddisfacente dal punto di vista qualitativo che non rivela cellularità neoplastica, come nel caso di fatti flogistici cronici, gozzi multinodulari o lesioni cistiche benigne per le quali si usa il suffisso Thy2c

• Thy3, indeterminato, a sua volta distinguibile in Thy3a, quando sono presenti caratteristiche atipiche ma non in quantità sufficiente a inquadrare il prelievo nelle categorie successive, spesso per una qualità subottimale del prelievo stesso, che in questo caso può essere utilmente ripetuto e Thy3f, quando viene individuata una neoplasia follicolare, che può rientrare nel nodulo iperplastico, nell'adenoma follicolare e nel carcinoma follicolare, reperto indistinguibile al solo esame citologico e che necessita conferma con esame istologico, mediante emitiroidectomia diagnostica; in genere viene fatta rientrare in tale categoria anche la variante follicolare del carcinoma papillifero, proprio per la difficoltà a diagnosticarlo con la sola citologia; i vetrini classificati come Thy3 sono seguiti da un'istologia di malignità in una percentuale che varia dal 9,5 al 43% dei casi, essendo la percentuale superiore quando esistono caratteri ecografici di sospetto, come evidenziato da Maia nel 2011

• Thy4, quando esiste un concreto sospetto di malignità ma non è possibile una diagnosi definita; i vetrini inquadrati in tale categoria diagnostica sono associati a una istologia di malignità nel 68-70% dei casi

• Thy5, diagnostico per malignità; in questo caso deve essere specificato l'istotipo papillare, midollare, anaplastico linfoma, metastasi intratiroidea eccetera. La concordanza fra citologia e istologia dovrebbe essere in questo caso del 100% anche se sono state riportate casistiche al 98-99% (Wang).

Sulla base di tale classificazione il comportamento da seguire è indicato nella tabella seguente:

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Tab. 16 - Comportamenti da tenere nelle varie categorie diagnostiche dopo FNAC.

Fig. 82 - Flow-chart diagnostico-terapeutica delle lesioni tiroidee e paratiroidee.

Concetti generali di management delle lesioni nodulari tiroidee in età pediatrica sono stati sintetizzati nel lavoro di revisione proposto da Melanie Goldfarb e John Lew.

CATEGORIA COMPORTAMENTO

Thy1 RIPETERE FNAC

Thy2 FOLLOW-UP

Thy3a ULTERIORI INDAGINI, RIPETERE FNAC

Thy3f EMITIROIDECTOMIA DIAGNOSTICA

Thy4 EMITIROIDECTOMIA DIAGNOSTICA, TIROIDECTOMIA TOTALE

Thy5 TIROIDECTOMIA TOTALE, TRATTAMENTO LINFONODALE

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I concetti più importanti sono i seguenti:

• I noduli cistici in età pediatrica hanno una maggiore probabilità di essere maligni rispetto all'età adulta per cui un attento monitoraggio ecografico e ripetuti agoaspirati possono essere necessari e, se la cisti tende sempre a riformarsi dopo agoaspirazione, può essere indicata una loboistmectomia diagnostica

• L'adenoma tossico di Plummer viene solitamente trattato con loboistmectomia

• Il morbo di Flajani-Basedow-Graves viene trattato in genere con tiroidectomia totale; possibile alternativa la radio-iodio-terapia

• Il nodulo tiroideo solitario pone i problemi maggiori come diagnosi differenziale e come management, specialmente in età pediatrica e quando esistono fattori di rischio, come pregressa irradiazione al collo o familiarità per sindromi con aumentato rischio di neoplasia tiroidea. La valutazione ecografica dà un primo aiuto; se i caratteri ecografici sono di benignità si predispone un follow-up ecografico a 6 mesi e successivamente annuale, cambiando strategia in caso di cambiamenti qualitativi o dimensionali del nodulo. In caso di caratteri ecografici di malignità o anche incerti, vista l'alta incidenza di malignità nei noduli solitari in età pediatrica, si impone una FNAC; se questa dà risultato di benignità, necessita comunque un follow-up ecografico a distanza poiché l'incidenza dei falsi negativi è del 17% e quindi in alcuni casi con pregressa irradiazione al collo o sintomi ostruttivi si decide comunque di procedere alla loboistmectomia diagnostica; nei casi di FNAC indeterminata (Thy3) si impone quantomeno la loboistmectomia o la tiroidectomia totale; nei casi di FNAC di sospetta o certa malignità si esegue tiroidectomia totale associata o meno a trattamento lifonodale.

• Il gozzo multinodulare va studiato ecograficamente valutando le caratteristiche dei singoli noduli che lo costituiscono e applicando i concetti suesposti, fermo restando che, in ogni caso, trattandosi di una patologia estesa a tutta la ghiandola, qualora per vari motivi, anche di tipo compressivo si decida per il trattamento chirurgico, questo deve essere sempre la tiroidectomia totale. Qualora invece si tratti di piccoli noduli multipli senza caratteri di sospetta malignità o fenomeni compressivi, in genere si decide per un monitoraggio ecografico.

Le altre metodiche di imaging hanno scarso significato in fase di diagnosi differenziale; tuttavia, una volta ottenuta la diagnosi di neoplasia maligna tiroidea, TC e RMN possono servire a valutare meglio l'estensione della neoplasia primitiva e la situazione linfonodale. Per quanto riguarda la TC bisogna ricordare che l'assunzione di un mezzo di contrasto iodato può interferire con una scintigrafia total-body post-operatoria e con una eventuale radio-iodio-terapia, per cui, anche in considerazione dell'opportunità di limitare l'esposizione a radiazioni ionizzanti in età pediatrica, la risonanza magnetica ha un migliore rapporto costi-benefici. Un rx torace preoperatorio servirà a escludere eventuali metastasi polmonari.

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Capitolo 47

IPOTIROIDISMO E IODOPROFILASSI Giovanni Condemi, Francesco Asprea

La Tiroide è una ghiandola piccola presente nella porzione anteriore del collo, porsi l'un di fronte all'altro ci consente di identificarla. Costituita da due lobi, destro e sinistro, uniti da una parte centrale detta istmo. ll suo peso alla nascita è di circa 2 grammi e diviene nell'adulto di circa 20 grammi e risulta costituita da follicoli che contengono gli ormoni tiroidei, che vengono funzionalmente rilasciati nel sangue dove svolgono la loro specifica funzione. All'interno del follicolo l'ormone tiroideo viene immagazzinato per tramite una proteina: la tireoglobulina. Dunque la ghiandola tiroidea è costituita da cellule che guardano formando una filiera, un'area interna detta lume dove si trova una sostanza proteica, la colloide, in cui è contenuta la tireoglobulina, che è la riserva complessa dell'ormone tiroideo. I principali prodotti presenti in colloide sono: la Tiroxina (T4), secreta a livello tiroideo, e la Triiodiotironina (T3), prodotta a livello tiroideo ma in maggior misura dall'attività enzimatica periferica che converte il T4 in T3 tramite delle Tiriolasi rilasciate in circolo. Il T4 di fatto è la forma di pro-ormone, la T3 è la forma metabolicamente attiva. L'ormone tiroideo attivo viene trasportato all'interno delle cellule periferiche a opera di trasportatori attivi degli ormoni tiroidei e raggiunge il nucleo dove direttamente va a stimolare l'attività trascrizionale. Gli ormoni tiroidei dunque sono presenti in circolo nella forma libera, metabolicamente attiva oppure legata a proteine di trasporto. La TBG è la proteina di trasporto che lega maggiormente gli ormoni tiroidei, mentre in minor misura si legano anche con la tranpiletina e l'albumina. L'attivazione fisiologica avviene tramite i recettori nucleari mediante la trascrizione genica. Il ruolo degli ormoni tiroidei è fondamentale per lo sviluppo del S.N.C. e per la crescita somatica dell'uomo, per la termogenesi, per il sistema cardiovascolare, il metabolismo del colesterolo e la lipolisi. In assenza o insufficiente presenza di ormoni tiroidei, il sistema nervoso si sviluppa in modo deficitario provocando una delle patologie più gravi mai descritte: il cretinismo. Questo ha indotto, nei paesi occidentali prima e nel mondo poi, a introdurre un sistema di screening per individuare sin dalla nascita i bambini che nascono senza ormoni tiroidei o con carenza in percentuale degli stessi. L'osservazione preventiva di tale carenza/assenza nel primo mese di vita consente di salvare il bambino dal cretinismo con somministrazione esogena di ormoni tiroidei.

Ipotiroidismo: sindrome clinica caratterizzata da rallentamento generale delle funzioni metaboliche attribuibili a insufficiente azione degli ormoni tiroidei sui tessuti. L'epidemiologia vede una prevalenza riferita al sesso femminile 3/1000 e 0,6/1000 relativo al sesso maschile, riferito su tutta la popolazione. Questa è pari a una incidenza dell'1%, con forme lievi che coprono aree numericamente più ampie della popolazione. L'ipotiroidismo può essere:

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

1 — primitivo, per difetto a livello della ghiandola tiroide e a sua volta diviso in congenito, se presente sin dalla nascita, oppure acquisito, se incorre nel corso della vita e risulta assai raro in età pediatrica;

2 — secondario, in presenza di patologie a livello ipotalamico o ipofisario, detto anche "ipotiroidismo centrale".

3 — dovuto a resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei, in presenza di adeguato apporto ormonale ma per un difetto recettoriale non sono in grado di svolgere la loro funzione in modo adeguato.

Ipotiroidismo congenito: presenta un'incidenza annua di 1/3500 nuovi nati nel mondo. La causa di riferimento è data dalla Disgenesia Tiroidea dovuta anche a fenomeni ectopici. La disgenesia più frequente (80-85%) è data dall'ectopia in genere alla base della lingua, altre forme rilevabili durante l'infanzia è costituita dalla emiagenesia, presenza di un solo lobo della ghiandola tiroidea. Le ectopie tiroidee sono in genere mal funzionanti. Un caso può essere dato dall'ectopia con ghiandola tiroidea tra il faringeo e la base del collo ipo/inattiva. Anche l'Agenesia, per totale assenza di tessuto tiroideo e l'Ipoplasia, con ghiandola più piccola del normale, si presentano sotto-forma di Ipotiroidismo congenito tipico. Studi genetici e di biologia molecolare hanno definitivamente classificato tra le mutazioni genetiche in gran parte di questi casi e in particolare trattasi di geni implicati nell'embriogenesi della tiroide tipo il Pax-8 e il TTF2. Altre forme sono dovute ad alterazioni del recettore del TSH con Ipoplasia della ghiandola. Pertanto il 10-15% dipendono da alterazioni genetiche di una delle proteine deputate alla sintesi e al rilascio degli ormoni tiroidei.

Ci sono ancora i casi iatrogeni a seguito di trattamento materno con uso di iodio radioattivo in donne in gravidanza, oggi assai raro poiché preventivabile e gestibile diversamente, e ancora in donne in gravidanza affette da ipertiroidismo e che utilizzano antitiroidei che provocano un ipotiroidismo sia al feto che al neonato, in presenza di dosaggi non opportuni; anche queste forme risultano transitorie se diagnosticate per tempo.

Altra forma importante è rappresentata nelle forme autoimmuni, tipo tiroidite autoimmune, della gestante, con passaggio di anticorpi anti-tiroidei che bloccano il TSH del nascituro e consequenziale ipotiroidismo transitorio alla nascita in quanto gli Anticorpi verranno eliminati circa un mese dopo la nascita.

Fisiopatologia dell'Ipotiroidismo

Lo Iodio entra nella cellula tiroidea per tramite una proteina che si chiama NIS (Sodium lodide Symporter), questa capta lo ioduro circolante tramite un processo attivo che richiede energia. Trattasi di un processo di captazione che utilizza l'energia elettrochimica del sodio intracellulare. La proteina NIS trasporta all'interno della cellula ioni sodio (Na+) e iodio (I-) in proporzione 2:1. L'attività della Na+/K+ ATPasi garantisce l'energia elettrochimica necessaria all'ingresso dello ioduro, tramite trasporto attivo di sodio fuori dalla cellula contro il suo gradiente elettrochimico,

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

richiedendo una spesa di ATP. Questo trasporto di ioduro è inibito da ioni come il perclorato, il tiocianato e il pertecnetato, in loro presenza il NIS è deficitario o inattivo, quindi si ha ipotiroidismo; una volta dentro la cellula, lo ioduro si diffonde verso il lato apicale fino al lume del follicolo tiroideo, trasportato attraverso la membrana apicale tramite la proteina pendrina (PDS).

Lo ioduro è infine ossidato dalla ioduro perossidasi (TPO), enzima situato sulla membrana apicale, che ha il sito catalitico all'interno del lume follicolare. Il processo di ossidazione ha come donatore di elettroni il perossido di idrogeno (H2O2), generato dall'enzima della membrana apicale DUOX.

Dopo l'ossidazione lo ioduro sarà incorporato ai residui di tirosina della molecola tireoglobulina. Quando un radicale iodio è incorporato alla tirosina, si produce una monoiodotirosina (MIT). Quando due radicali iodio, invece, sono incorporati alla tirosina, si produce una diiodotirosina (DIT). Successivamente si lega con la tireoglobulina, se questa è carente per motivi genetici, si avrà ipotiroidismo.

In casi con difetto della Perossidasi (TPO), enzima che permette il processo chimico di accoppiamento dello iodio alla tireoglobulina, si provoca ipotiroidismo.

La Sindrome di Pendred, attribuita a proteina identificata di recente: la Pendrina che partecipa al processo di organificazione degli ormoni tiroidei, qualora carente determina ipotiroidismo ed essendo stata identificata anche a livello dell'orecchio interno si associa ipoacusia.

Altro sistema interessato nella organificazione dello iodio caratterizzato dal sistema di generazione dell'acqua ossigenata viene codificata da una proteina Tox-2 che ha mostrato possibili mutazioni, e dal Sistema Degli, altro enzima che si trova dentro la cellula tiroidea, utilizzato specificatamente per il recupero dello iodio.

Tutti i meccanismi che portano ad alterato ingresso di iodio dentro la ghiandola o alterazioni del meccanismo di organificazione portano a ipotiroidismo da alterato feed-back che risulta negativo, con aumento di produzione TSH e ingrossamento consequenziale della ghiandola tiroidea; il nostro organismo recupera lo iodio che non viene rilasciato dai prodotti della degradazione tipo MIT, DIT, più piccoli che contengono iodio; fare diagnosi riconoscendo a quale forma di ipotiroidismo appartiene il nostro paziente è importante poiché ci sono forme con difetti di organificazione iodica totale o parziale. Ci sono ancora forme di ipotiroidismi temporanei con durata di 3/5 anni, in qualche caso presente come disordine familiare, quindi rintracciabile nei consanguinei. Qualora un bambino che nasce compensato, seppur in presenza di una delle forme suddette, si scompenserà con l'andare del tempo e se non monitorato, poiché misconosciuto allo screening, avrà gravissimi disturbi di crescita e di sviluppo psico-somatico, presentando:

a) Nanismo, bimbo basso con arti tozzi; b) Ritardo mentale con deficit del quoziente intellettivo, con danni sia psicologici che neurologici,

in alcuni casi si associa sordità e rigidità muscolare, sino al c) Cretinismo.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Questi sono i motivi per essere attenti e considerare la possibilità, nella diagnostica differenziale di tali forme, ciò in base al quadro che si va delineando clinicamente.

lodo-Profilassi in Italia

Nel nostro Paese la Legge 55, G.U. 91, 20 Aprile 2005 "Disposizioni finalizzate alla prevenzione del Gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica" ha reso obbligatoria la disponibilità del Sale lodato in tutti i punti vendita. Infatti il sale non iodato può essere concesso dal venditore solo se esplicitamente richiesto. L'inserimento in catena alimentare del sale iodato ha così nel tempo ottimizzato l'apporto iodico della popolazione.

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Capitolo 48

TIROIDITI Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Patologie infiammatorie della tiroide che possono avere andamento acuto, sub-acuto o cronico con eziologia che può essere infettiva, autoimmune o fisica.

Tiroidite acuta: patogenesi prevalentemente infettiva, rara anche in età adulta poiché lo Iodio contenuto nella tiroide ha dì per sé un'azione anti-batterica. Vi sono condizioni che favoriscono la loro insorgenza e tra queste le più significative sono: neoplasie maligne, traumi diretti, tracheotomia in essere, fistola del seno piriforme, faringiti, tonsilliti, otiti, fistole esofagee, specie in soggetti particolarmente immunodepressi. La diffusione avviene principalmente tramite il torrente circolatorio e per contiguità, rara la diffusione tramite il torrente linfatico. Il processo sostenuto nel 70% dei casi da: Streptococcus Pyogenes, Streptococcus Pneumonie, Staphylococcus Aureus, per completezza anche Meningococco, Salmonella e Brucella possono essere coinvolti. Tubercolosi e Funghì appaiono in casi rarissimi. Generalmente il processo si presenta localizzato a un solo lobo, rari casi si presentano con più focolai intra-ghiandolari. I segni clinici sono quelli tipici di tutte le infezioni: febbre elevata con brivido, dolore al collo prevalentemente unilaterale irradiato all'orecchio e/o alla mandibola, non infrequente disfagia se dimensioni ghiandolari molto aumentate, disfonia se vengono pressati i nervi periferici distrettuali. Stato generale compromesso con i segni dell'infiammazione evidenti alla palpazione: ghiandola tiroidea teso-elastica con fluttuazione dovuta all'ascesso, linfonodi loco-regionali rilevabili se quadro imponente, in questi casi gli indici ematologici dell'infiammazione (VES, PCR, leucocitosi, ecc.) si presenteranno in aumento. Sotto il profilo funzionale ormonale non ci sono elementi degni di nota e vi è normo-funzione tiroidea. Alla ecografia si rileva area ipo-ecogena e alla scintigrafia si rileva area fredda per mancato accumulo di iodio. L'esame clinico è indicativo per l'esecuzione dell'agoaspirato al fine di valutare con "esame culturale" e antibiogramma, la terapia antibiotica idonea. Il rilievo di esofago variegato soprattutto dopo la guarigione deve porre il sospetto di fistola nel seno piriforme. La diagnosi differenziale si pone con: faringite, tiroidite sub-acuta granulomatosa virale, emorragia granulare (in presenza di noduli vascolarizzati si può avere una emorragia che provoca dolori, ingrossamenti ghiandolari che mimano il quadro clinico di tiroidite acuta, trattasi solo di rottura di un vaso), non può escludersi evento di necrosi tumorale, difficile per crescita degli stessi solitamente assai lenti. Anche cisti del collo suppurate e processi infiammatori linfonodali meritano valutazioni in diagnosi differenziale. La terapia si avvale dell'uso di antibiotici possibilmente mirati e analgesici. Ove necessario, il drenaggio ascessuale o in casi assai avanzati una resezione

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parziale tiroidea è indicata. La correzione e/o risoluzione chirurgica in presenza di fistole del seno piriforme tracheo-esofagee è d'obbligo.

Tiroidite sub-acuta granulomatosa di De Quervain, caratterizzata da sintomatologia dolorosa intensissima a livello del collo. Si presenta anche nel periodo adolescenziale. In questi casi si riscontra un concreto danno ghiandolare e pertanto vengono rilasciati ormoni dal tessuto tiroideo, con una fase transitoria di ipertiroidismo che dura classicamente 6 settimane a cui segue una fase transitoria di ipotiroidismo di circa 12 settimane. Il quadro si autolimita e presenta prevalenza stagionale con picco in agosto-settembre. Nel 95% dei casi dopo una tiroidite sub-acuta la tiroide riprende la sua regolare funzione, solo in casi di grave interessamento ghiandolare può residuare ipotiroidismo. Gli agenti coinvolti sono: virus coxsackie, adenovirus, EBV e virus dell'influenza. Il fatto che risulta rarissimo l'impatto infettivo a livello tiroideo, anche in presenza degli agenti citati, sembra avvalorare la tesi, non ancora accertata, ma assai suggestiva ed in corso di indagine, di "una predisposizione genetica" necessaria. Sintomatologia con esordio brusco, improvviso, con dolori muscolari diffusi e astenia spiccata, tipica dello stato influenzale. Tipica e caratterizzante a livello della regione anteriore del collo l'algia spiccata con febbre, faringodinia e spesso tachicardia, disfagia con inappetenza e perdita peso. All'esame obiettivo la tiroide appare aumentata di volume, asimmetrica, di consistenza aumentata. Può avere andamento migrante tipico con trasferimento dal lobo dx a sx o viceversa. Viene chiamata "granulomatosa" poiché all'agoaspirato sono presenti cellule giganti tipo quelle rilevabili nell'ambito di quadri con presenza di corpo estraneo, peraltro in questo caso non rilevabile. L'incremento della leucocitosi e della VES solitamente è immediato con rilascio successivo di Ft4 e Ft3, con quadro di ipertiroidismo transitorio da distruzione cellulare. All'ecografia la ghiandola appare aumentata di volume e la scintigrafia risulta tipicamente non captante il tracciante radioattivo, questo elemento è tipico e ci permette di fare diagnosi differenziale, in corso di ipertiroidismo, infatti, la ghiandola è avida di Iodio radioattivo. La terapia di queste forme si basa su Acido Acetisalicilico e Cortisone. Quest'ultimo dà pieno e immediato sollievo, ma seppur con modulazioni di dose va continuato per 2/3 mesi poiché c'è una elevata possibilità di ricaduta. Per seguire l'andamento ci si basa sulla VES e sulla scintigrafia, se la ghiandola torna a captare il tracciante radioattivo, ciò indica un ritorno alla sua normale attività funzionale.

Tiroidite Silente: forma di tiroidite che presenta caratteristiche alterazioni delle funzioni che possono generare una tireotossicosi della durata di 2-9 settimane, seguita da eutiroidismo, oppure seguita da ipotiroidismo transitorio; nel 95% dei casi vi è uno spontaneo ritorno all'eutiroidismo e solo pochissimi casi esitano in un quadro meritevole di trattamento sostitutivo tiroideo. Spesso asintomatica nelle varie fasi o con segni iniziali di ipertiroidismo; non dolore-silente, appunto con tiroide a volte lievemente aumentata di volume e di consistenza, seppur per breve periodo. La VES è normale e in fase di ipertiroidismo si osservano lievi incrementi di Ft3 e Ft4, altrimenti ormoni addirittura in diminuzione. Se vi è presenza di positività agli Anticorpi anti-hTG oppure anti-TPO, può rappresentare occasionalmente l'inizio di una tiroidite autoimmune. All'ecografia è tipico l'aspetto anecogeno diffuso con possibili bassi valori di captazione alla scintigrafia, l'assenza di dolore è tipica delle forme virali.

Tiroidite post-partum, quadro tipico del periodo post-partum con una frequenza nel 4-7% delle donne nelle quali preesistevano alla gravidanza anticorpi anti-tiroide. Si rappresenta come forma a

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sé stante e interviene entro un anno dal parto massimo. Fattori di rischio sono: familiarità per autoimmunità, diabete tipo 1° oppure in donne che l'avevano già avuto nelle precedenti gravidanze. La ricaduta sul feto o sul neonato è indiretta, ma non trascurabile, infatti tali pazienti incorrono di prassi in depressione post-partum o alterazioni del tono dell'umore. Il danno ormonale esacerba la sintomatologia complessiva. Sotto il profilo funzionale il quadro si presenta come:

1. ipotiroidismo di tipo isolato, presente nel 36% dei casi; 2. ipertiroidismo, nel 38%; 3. ipotiroidismo alternato a quadri di ipertiroidismo, nel 26% dei casi.

Per il benessere psico-fisico della donna e per le ricadute sull'allattamento e la gestione del feto/neonato, queste forme devono essere trattate, anche se transitorie. Astenia, perdita di memoria e facile stanchezza sono i sintomi più comuni. In qualche caso i fenomeni di tireotossicosi, seppur transitori, prendono il sopravvento. Gli esami ormonali raramente sono significativi e l'ecografia presenta un tipico aspetto ipoecogeno diffuso, rara la presenza di tiroide aumentata. La diagnosi è prevalentemente clinica ed è importante l'esperienza del medico di medicina generale nella valutazione di primo impatto. L'endocrinologo può confermare la diagnosi e necessariamente seguire i pazienti, poiché sono presenti troppi risvolti negativi sul piano pratico, nel quotidiano e che riguardano la qualità della vita della paziente stesso, inclusi i suoi rapporti affettivi. L'evoluzione del quadro, se riconosciuto e prontamente gestito si risolve in 3-6 mesi e solo nel 15-25% circa delle pazienti si ha come reliquato un'ipotiroidismo stabile, gestibile. La tiroidite post-partum si può ripresentare con maggior frequenza anche nelle gravidanze successive, di questo va informata la paziente.

Tiroidite cronica (Tiroidite di Hashimoto, trattata in un capitolo a sé): costituisce un'entità nosologica di tipo autoimmune, con presenza di un infiltrato linfocitario diffuso e tipico. Si presentano con una proporzione 8/1 donne/uomini e con un'incidenza complessiva del 6% per anno. Spesso si presenta in corso di endocrinopatie autoimmuni del tipo: vitiligine, gastrite atrofica e diabete tipo 1°. Circa il 30% di soggetti con Sindrome di Down possono presentare tale quadro per costituzionale debolezza/difetto del sistema immunitario. La sintomatologia delle tiroiditi croniche varia e va da un'ipotiroidismo lieve a quello franco. Esistono forme con gozzo o aumento della consistenza ghiandolare aspecifica che si porta verso un'incremento dimensionale franco della stessa con fenomeni compressivi su esofago e trachea. Nei casi di diminuzione dimensionale tiroidea non si evidenziano segni compressivi. La strategia di diagnostica laboratoristica ha un atteggiamento misurato e a tappe. Si valuta prima il solo TSH e solo se alterato l'fT4, quindi nei più giovani l'fT3. Tipicamente gli anticorpi risultano in incremento, solitamente: nel 95% dei casi gli Ab anti-TPO e nell'80% gli Ab anti-hTG, spesso sono presenti incrementi combinati. Va richiamata l'ipoecogenicità alla ecografia ghiandolare poiché caratterizzante il quadro di tiroidite cronica, sia con ghiandola regolare per dimensioni che aumentata di volume. L'uso dell'agoaspirato, presente solo quando non si è ottenuto un opportuno inquadramento nosologico clinico-laboratoristico, è inutile e se possibile da evitare, questo infatti rivela presenza di linfociti che dovrebbe essere desumibile da una puntuale diagnostica clinico-laboratoristica. La Tiroidite cronica dura per tutta la vita e l'intervento terapeutico necessita solo per correggere lo stato di ipotiroidismo associato. II dosaggio degli ormoni consente di seguire i pazienti anche come indagine isolata, difatti non esistono terapie immunologiche ne vi è la necessità di abbassare il livello degli anticorpi (sono

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infatti sconsigliati trattamenti a base di cortisone). Il decorso della malattia è cronico, si possono associare altre patologie autoimmuni quali: anemia perniciosa, morbo di Addison, diabete mellito tipo l°, miastenia gravis, cirrosi biliare primitiva, porpora trombocitopenica, menopausa precoce (solitamente intorno ai 25 anni), celiachia, ipofisite linfocitaria, artrite reumatoide. Nel caso di tiroidite fibrosa sclerosante, elemento nosologico a sé stante si accompagna, nel 30% dei casi, a un quadro di fibrosi anche di altri organi. La tiroide è durissima, tipo Riedel. Solo in questi ultimi pazienti è indicato un trattamento cortisonico che solitamente da sollievo clinico complessivo al paziente. Tuttavia se non vi è un miglioramento tangibile, anche solo sul piano sintomatico, allora necessita optare per l'intervento chirurgico di exeresi ghiandolare, con tiroidectomia totale.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Capitolo 50

GOZZO TIROIDEO Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Gozzo non tossico; si definisce come una patologia tiroidea caratterizzata da ingrandimenti del tessuto tiroideo in assenza di eccesso o difetto di sintesi di ormone tiroideo, con funzione tiroidea normale, non legato a fenomeni infiammatori né a patologie neoplastiche. L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il gozzo:

Grado 0: tiroide normale all'esame obiettivo; Grado 1: tiroide palpabile, non visibile con collo in posizione normale; Grado 2: tiroide palpabile ma visibile con collo in posizione normale; Grado 3: tiroide visibile a distanza perché decisamente ingrandita.

Ne risulta una valida classificazione anche ai tempi delle valutazioni ecografiche che consentono, utilizzando un algoritmo particolare, di calcolare anche il volume della ghiandola con maggiore precisione complessiva. Quest'ultimo di norma è intorno a 18 ml nell'uomo e a 16 ml nella donna.

Patogenesi del gozzo: Trattasi di patologia multifattoriale dove entrano in gioco:

1) fattori ambientali; 2) carenza iodica;3) fattori genetici, legati a difetti enzimatici che intervengono nel processo di sintesi degli ormoni

tiroidei (captazione, organificazione dello iodio per formare MIT e DIT, accoppiamento delle molecole di monoiodiotirosina - MIT - e diiodiotirosina - DIT - per formare T3 e T4). Entrano in gioco anche fattori di crescita locali e in alcuni casi anche una mutazione del recettore del TSH che viene attivato.

Gozzo sporadico: è riscontrabile nel 10% della popolazione di una specifica area geografica per ridotta concentrazione iodica, legata vari meccanismi e che innesca il processo di iperplasia tiroidea.

Gozzo familiare: tipico e su base genetica, legato a una alterazione enzimatica che coinvolge i processi di ormono-sintesi tiroidea.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Gozzo endemico: legato a iperplasia della tiroide presente nel 5% della popolazione giovanile e in oltre il 10% di una determinata area geografica. Causa principale resta la carenza nutrizionale dello Iodio ambientale (suolo, acqua, alimenti). Esistono poi aree dove entrano in gioco gozzigeni naturali, come erbe, tipo le brassicacee oppure alcuni tiocianati che interferiscono con la funzione tiroidea. Nel gozzo endemico, dunque, prevalgono fattori esogeni, mentre nel gozzo sporadico possono influire anche fattori genetici, che risultano determinanti nel gozzo familiare. La frequenza di queste patologie è a vantaggio del gozzo endemico. Solo in presenza di fenomeni compressivi chiari vi è evidenza di sintomatologia, altrimenti il gozzo è asintomatico e frutto di occasionale rilevazione. L'evoluzione del gozzo è abbastanza semplice e procede per tappe: si instaura inizialmente una proliferazione con iperplasia semplice e ingrandimento ghiandolare che può durare molti anni e così rimanere, senza significative modificazioni. Tuttavia col trascorrere del tempo, in una buona percentuale di casi, si passa a una fase di iperplasia nodulare con possibilità di autonomizzazione di uno o più noduli che si sganciano dal TSH, tanto da poter divenire unica fonte di ormone tiroideo e addirittura creare quadri di ipertiroidismo, divenendo gozzo tossico oppure gozzo nodulare iperfunzionante. Si passa da un ipotiroidismo con gozzo non tossico al gozzo nodulare non tossico verso il gozzo nodulare con autonomia sino al gozzo nodulare tossico e viraggio verso il carcinoma. La sintomatologia è assai variabile e dipende dal grado di evoluzione della fase gozzigena e si dividono in "sintomi da compressione": 1-costrizione; 2-dispnea; 3-disfagia; 4-disfonia, e "sintomi funzionali": 1-cardiopalmo; 2-aritmie. Importante e determinante in questi casi è "il monitoraggio del TSH": una sua appropriata gestione del soggetto può ridurre l'evoluzione di gozzo semplice in nodulare. Fondamentale risulta certamente una accurata anamnesi a cui far seguire un esame obiettivo. Il laboratorio è fondamentale per valutare la funzionalità tiroidea mentre gli esami strumentali ci consentono una valutazione strutturale della ghiandola e di meglio inquadrarne i rapporti con gli organi vicini (vedi ecografia). Se c'è predisposizione familiare, si tratta di gozzi legati a difetti enzimatici, sempre su base genetica.

Anamnesi: indagare sulla familiarità per gozzo, da quanto tempo è stato rilevato e quale evoluzione volumetrica ha avuto la ghiandola nel tempo: sono queste le prime tappe di inquadramento. Le pregresse terapie radianti sul collo devono essere ben valutate, anche sotto il profilo della dose. In tempi odierni, con le diagnostiche affinate, molte patologie vengono scoperte e trattate per tempo, precocemente, come nel caso di linfomi o leucemie, ma anche altre patologie come l'acne o la tubercolosi linfonodale sono state nel tempo trattate con radiazioni. In questi ultimi casi si tratta di radiazioni relativamente basse, ma pur sempre tossiche, una schermatura dì piombo della ghiandola tiroidea può evitare o ridurre notevolmente gli effetti tossici che in passato ha dato esiti anche di patologie oncologiche a carico della tiroide. La sintomatologia del gozzo, quando presente, può essere data da impatto locale con fenomeni dispnoici, disfagia, disfonia e dolore diffuso al collo oppure di tipo generale come tireotossicosì e disturbi psicosomatici. In questi casi necessita chiedersi se il paziente assume farmaci che in qualche modo entrino in gioco sia nella patogenesi del gozzo sia nella valutazione funzionale. Anche un eccesso di assunzione dell'ormone tiroideo, usato per la terapia e il controllo del gozzo, può creare uno stato di lieve ipertiroidismo sintomatico, quindi farmaco-indotto. Cì possono poi essere forme di inibizione della funzione tiroidea come accade con l'uso del Metimazolo, utilizzato per la terapia del morbo dì Basedow, se assunto in eccesso crea un ipotiroidismo con gozzo per incremento della secrezione di TSH per meccanismo di feedback, trattasi di gozzo non tossico ma legato all'eccesso di terapia anti-ipertiroidismo. Altro farmaco che interferisce nella patogenesi del gozzo sono i Sali di Litio,

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usati per il trattamento della patologia depressiva e bipolare, anche in questo caso si crea una induzione all'incremento del TSH che induce nel tempo a un ipotiroidismo con gozzo.

Esame Obiettivo di soggetto con gozzo: l'ispezione dà contezza di una tumefazione del collo con ectasia dei vasi più frequente quando il gozzo cresce e si va a impegnare in basso verso il mediastino, con vasi compressi dalla parte scheletrica, clavicole comprese, ben visibili in soggetti magri e in posizione del collo iperestesia attraverso una manovra specifica chiamata "segno di Permberton". In questo caso si fanno sollevare le braccia riducendo l'impegno mediastinico e disincentivando quella compressione che in posizione normale era sufficiente a produrre un'ectasia ma che diventa meno evidente quando si sollevano le braccia. La palpazione ci consente di rilevare le dimensioni, la consistenza, la superficie e quindi la presenza di noduli, il fremito o i linfonodi. Tipico dell'ascoltazione è il soffio vascolare da iperfunzione tiroidea per Basedow o iperplasia diffusa della tiroide. I parametri di laboratorio essenziali restano il TSH ed fT4. Le altre indagini sono opzionali e dipendono dell'evoluzione del gozzo. L'ecografia e, solo in casi particolari, l'eco-color-doppler per la valutazione dei vasi intra-tiroidei risultano importanti in presenza di noduli singoli o multipli. Vi è da dire che oggi non è infrequente l'over-diagnosis in una buona percentuale di soggetti con gozzo, dove spesso viene richiesta una scintigrafia per valutare le varie aree ghiandolari sotto il profilo funzionale. In questi casi vi è una tipica alternanza di aree rosse, per maggior funzione dove il radio-tracciante più spiccato note come "aree calde" e zone dove il tracciante è assente denominate "aree fredde", solitamente di un solo nodulo singolo, sia esso caldo o freddo. In ogni caso è logico, sotto il profilo clinico, valutare altri approfondimenti diagnostici, per meglio inquadrarlo.

Nodulo Freddo: criteri anamnestici e clinici di sospetto, nodulo singolo, a rapido accrescimento, spesso crescita anche sotto terapia soppressiva con Lt4, fissità e consistenza dura, dolore e sintomi di compressione. La presenza di linfoadenopatia latero-cervicale omolaterale può rappresentare una semplice ripercussione infiammatoria linfatica o una espressione di malattia metastatica alle linfoghiandole satelliti. In soggetti di sesso maschile, giovani con età inferiore ai 20 anni o adulti con età superiore ai 60 anni con storia di irradiazione del collo, il sospetto di neoplasia resta d'obbligo. L'agoaspirato in questi casi ci consente, con una affidabilità diagnostica del 90% e una ripetibilità e riproducibilità elevata, di fare diagnosi cito-istologica rapida. L'agoaspirato è indagine semplice ed economica assai utile fosse anche per l'inquadramento corretto della forma a livello tissutale.

Ciò posto, l'introito ottimale di iodio è di 150 microngrammi negli adulti e di 200 mgr. nelle donne in gravidanza, mentre durante la fase di allattamento il dosaggio necessario passa a 220 mgr., con una mediana di escrezione urinaria di circa 100 mgr. Ecco che la conduzione oculata della gravidanza, sotto il profilo dell'assunzione alimentare e se necessario della sua integrazione, blocca sul nascere i disturbi tiroidei nel nascituro divenendo il cardine della prevenzione ottimale della patologia del gozzo in età infantile e della donna in post-partum. Spesso c'è la necessità di eseguire una indagine epidemiologica, su una determinata popolazione, in una specifica area geografica, tenendo conto anche dell'escrezione urinaria di iodio, ecco che la carenza iodica può essere così definita:

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1 — grado di endemia gozzigena lieve, con quantità di iodio sufficiente a mantenere una funzione tiroidea normale è di UIE: 50-100 microngrammi/I;

2 — grado medio di endemia gozzigena, con aumentata frequenza gozzigena e casi isolati di insufficenza funzionale tiroidea, rarissimo il disturbo intellettivo : UIE 20-50 microgrammi/l;

3 — grado severo di endemia gozzigena, con gozzo manifesto, ipotiroidismo clinico e danno intellettivo: UIE inferiore a 20 microngrammi/l.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Capitolo 51

TIREOTOSSICOSI Giovanni Condemi, Francesco Asprea

Per Ipertiroidismo si intende l'aumentata sintesi degli ormoni da parte della tiroide. La tireotossicosi è una sindrome causata da eccesso di ormoni tiroidei circolanti.

Principali cause di Tireotossicosi con Ipertiroidismo:

1) morbo di Basedow, malattia autoimmune con anticorpi che stimolano la funzione tiroidea; 2) adenoma tossico e gozzo nodulare tossico, due forme frequenti in aree con carenza iodica; 3) autonomia funzionale tiroidea con presenza di eccesso di iodio, presenti in soggetti portatori di

un gozzo con aree scintigraficamente calde;

Forme di tireotossicosi con ipertiroidismo più rare:

1) ipertiroidismo non autoimmune familiare; 2) adenoma ipofisario TSH secernente; 3) sindrome da resistenza parziale agli ormoni tiroidei, il difetto completo dà ipotiroidismo, se vi

sono organi che presentano normale responsività agli ormoni tiroidei, si possono presentare disturbi da ipertiroidismo;

4) tumori del trofoblasto, secernono enorme quantità di gonadotropina corionica; 5) carcinomi tiroidei atipici, noduli non producenti ormoni ma che presentando una irrorazione

sanguigna in eccesso provocano aumento di ormoni tiroidei.

Quadri di tireotossicosi senza ipertiroidismo:

1) forme da liberazione degli ormoni tiroidei, in presenza di fenomeni infiammatori con ampia componente distruttiva tissutale, con liberazione in circolo di ormoni tiroidei;

2) tiroidite subacuta, da tireotossicosi per distruzione tissutale;3) tiroidite autoimmune in alcune sue fasi; 4) tiroidite da radiazioni;5) tiroidite da farmaci, la più nota da amiodarone;6) da assunzione impropria di ormoni tiroidei, iatrogena;7) uso ormoni tiroidei per dimagrire, forma non iatrogena ma factitia;

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8) hamburger tossici, per frode alimentare, animali trattati con ormoni tiroidei la cui carne viene usata a fini commerciali;

9) struma ovarico, per produzione ectopica, da difetto di migrazione tiroideo durante l'embriogenesi. La scintigrafia total-body con 1-131, fa diagnosi.

Anamnesi al paziente con tireotossicosi: sesso, età, professione, patologie in corso, uso o abuso farmaci, familiarità per tireopatie o diabete tipo 1°, se vitiligine, gastrite atrofica, celiachia, queste depongono per patologia autoimmune. Utile approfondire come la malattia esordisce: lenta, subdola o aggressiva.

Epidemiologia: prevalenza di impatto per il sesso femminile (19 donne su 1000), per il maschio impatto circa 19 volte inferiore. Nelle aree a carenza iodica (almeno sino a pochi anni or sono) come l'Europa, compresa l'Italia, prevale la forma del gozzo nodulare tossico, in aree normo-iodiche, come USA, Giappone e Irlanda, prevale il morbo di Basedow. Solitamente il gozzo nodulare tossico deriva da una lunga storia in cui si ha prima una carenza iodica che innesca una proliferazione per cui si formano i noduli con evoluzione successiva verso l'autonomia di funzione fino all'ipertiroidismo, tempistica che in alcuni casi può durare sino ai 50-60 anni.

Sintomi generici di tireotossicosi:

1) nervosismo per stimolazione dell'attività cerebrale da parte dell'ormone tiroideo;2) palpitazioni sia a riposo che dopo sforzo;3) dispnea da sforzo;4) perdita peso "nobile" a scapito tessuto muscolare;5) intolleranza al caldo;6) astenia per catabolismo proteico;7) disturbi mestruali, per alterazioni ritmicità;8) tremori fini;9) aumento dell’appetito;10) sudorazione eccessiva;11) diarrea nel 30% dei soggetti per aumentata motilità intestinale;12) disturbi oculari, specifici del Basedow e comprendono *fastidio alla luce, foto-fobia, *irritazione

congiuntivale ,*diplopia per sdoppiamento dell'immagine visiva.

Segni generici della tireotossicosi sono:

il gozzo, la tachicardia, fini tremori distali, pelle calda e sudata, ipercinesia, aritmie con possibile fibrillazione atriale, aumento della pressione differenziale. Immagine di paziente che arriva al pronto soccorso sudato, agitato, non sta fermo, tachicardico 120-130 pressione sistolica alta e se anziano fibrillazione atriale.

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Segni specifici da morbo di Basedow sono:

segni oculari nel 30-40% dei casi, fremito tiroideo auscultabile mettendo il fonendoscopio sopra la tiroide in cui c'è un'iperattività, con onicolisi per alterazione ungueale, mixedema pretibiale nel 3% dei pazienti circa, con danni alle estremità delle dita.

L'azione diretta dell'ormone tiroideo sul sistema cardiovascolare, la T3 in particolare, ormone metabolicamente attivo, aumenta la termogenesi tissutale e diminuisce le resistenze vascolari, con diminuzione del riempimento effettivo arterioso e un riassorbimento di sodio, che porta a un aumento del volume plasmatico. La T3 sul cuore ha una azione inotropa e cronotropa positiva. Il tutto porta a un aumento della gittata sistolica. Di fatto immettendo una eccessiva quantità di ormone tiroideo in circolo a un paziente cardiopatico si può provocare uno "scompenso che è ad alta gittata", perché comunque il cuore funziona in maniera eccessiva. Pertanto manifestazioni cardio-vascolari nell'ipertiroidismo sono: il cardiopalmo, la dispnea, la tachicardia sinusale o tachiaritmie più importanti, aumento dei volumi e del polso, ipertensione sistolica soffio sistolico, edemi declivi da scompenso.

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Capitolo 52

I TUMORI TIROIDEI Giovanni Condemi, Francesco Asprea

La patologia tumorale della tiroide rappresenta l’1% di tutti i tumori umani, quindi fa parte dei cosiddetti tumori rari. Se restringiamo il campo all'impatto soli tumori endocrini, invece, è un tumore frequente. Difatti dal 1992 al 2012, in 20 anni, il carcinoma della tiroide risulta essere al primo posto come incremento per incidenza tra tutti i tumori umani, come se si assistesse a una epidemia da patologia oncologica tiroidea, di cui si ricercano concretamente la reali cause. Sicuramente l'affinamento della diagnostica, sia laboratoristica che di imaging, ha dato una accelerazione che, oltre a evidenziare la progressione d'impatto, ha anche messo in luce lesioni di minute dimensioni e con andamento non necessariamente invasivo rappresentando a volte un'anticipazione delle diagnosi, non sempre positiva e con fenomeni di overtreatment divenuti frequenti e proprio per questo in corso di revisione più accorta. Per consentire una disamina completa è necessario comprendere quali sono le cellule tiroidee di cui si parla e da dove questi tumori posso avere origine. Siamo in presenza di due tipi cellulari di maggior rilievo:

• Cellule follicolari, vere cellule tiroidee che si occupano della formazione degli ormoni tiroidei e hanno origine epiteliale;

• Cellule parafollicolari, che rappresentano solo I'1 % del parenchima tiroideo, non rispondono al TSH e non captano lo iodio;

• e inoltre le cellule stromali, indispensabili e necessarie a sostenere il parenchima.

Una classificazione in base alle cellule d’origine:

carcinomi differenziati, dovuti a cellule follicolari e in questo gruppo individuiamo:

• carcinoma papillare;• carcinoma follicolare;• carcinoma misto — follicolare e papillare; • forme scarsamente differenziate; • forme insulari; • carcinoma indifferenziato o anaplastico; carcinoma midollare, a partenza dalle cellule para-

follicolari; • carcinoma dello stroma tiroideo, ma non tipico della ghiandola tiroide, ma in essa sopraggiunto.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

La cellula follicolare presenta tre caratteristiche peculiari:

• capacità di sintesi e produzione della tireoglobulina;• dipendenza per crescita dal TSH ipofisario;• capacità di captare lo iodio.

Giova ricordare che ci sono nel nostro organismo altre cellule dove lo iodio può entrare, come le ghiandole salivari. Ciò avviene per ingresso passivo, per diffusione, ben diversamente da come avviene, per trasporto attivo contro gradiente tipico, a livello delle cellule tiroidee. Quando si parla di "carcinoma ben differenziato" si intende che le cellule, pur avendo acquisito un carattere biologico di malignità (cioè crescita eccessiva e senza controllo, capacità di infiltrare le strutture vicine e di raggiungere il sistema linfatico e/o quello ematico creando metastasi a distanza), captano lo iodio, secernono tireoglobulina e, almeno in parte, rispondono alle sollecitazioni del TSH. Questo comportamento biologico bordeline è alla base della terapia e dei follow-up in questi pazienti. Nelle forme anaplastiche o indifferenziate vi è una totale perdita di caratteristiche biologiche rispetto al tessuto di origine e il patologo, se non ben indirizzato, può confonderlo con un tumore anaplastico (assenza di forma specifica) di altra provenienza, tipo polmonare, quello più frequente. Il carcinoma papillare si presenta circa nel 70% dei casi divenendo la forma più frequente, per impatto. La forma follicolare si colloca con una frequenza di circa il 15% e la forma midollare nel 10% dei casi, altri con percentuali decisamente inferiori. Si parla di tumore papillare quando le cellule si dispongono a formare papille, aspetto diverso della ghiandola tiroide, caratterizzata da aspetto "a follicoli"; si parla di Follicolare quando i follicoli, unità fondamentali della tiroide, vengono mantenuti come aspetto cito-strutturale e istologico. Dal punto di vista morfologico il tumore Papillare presenta alcune significative varianti: 1— classica; 2 — follicolare; 3 — solida; 4 — trabecolare; 5 — colonnare; 6 — a cellule alte; 7 — Whartin-like. Non tutti i tumori Papillari si comportano allo stesso modo, sotto il profilo biologico e conseguentemente di aggressività: le varianti classica e follicolare, sono a più lenta crescita e a prognosi migliore, mentre le varianti solida, trabecolare e a cellule alte presentano biologia e prognosi meno positiva, diremmo con impatto da subito più aggressivo. Il tumore Follicolare presenta due varianti morfologiche: 1 — "minimamente invasiva" con scarso comportamento di aggressività; 2 — "ampiamente aggressiva" presenta atteggiamento di progressione locale importante. La prognosi per le due tipologie è conseguentemente diversa. Il classico aspetto con pseudo inclusi nucleari come anche la presenza di cellule con il nucleo a chicco di avena, altre che il classico e noto aspetto a papilla, sono elementi che consentono la tipizzazione e la diagnosi del carcinoma papillare. Invece, nel caso di forma follicolare, solo l'istologia nella sua interezza dà diagnosi chiara, qui la citologia non è dirimente e questo è importante da tenere presente nel corso di un adeguato percorso diagnostico clinico del nostro paziente poiché l'agoaspirato è ininfluente ai fini diagnostici. La valutazione per riconoscere le differenze tra Carcinoma o Adenoma follicolare è di pertinenza tissutale e istologica, che valuta la presenza o meno di infiltrazione della capsula del nodulo esaminato. Dunque una capsula non infiltrata depone per adenoma follicolare, la sua infiltrazione depone per carcinoma.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Nelle tabelle seguenti viene riportata la classificazione TNM dei tumori tiroidei, secondo i più recenti aggiornamenti.

Tab. 21 - Descrizione dell’estensione del tumore primitivo.

Tab. 22 - Classificazione delle metastasi linfonodali.

Tab. 23 - Classificazione metastasi a distanza.

Si noti come nelle recenti revisioni siano stati introdotti i sottotipi T1a e T1b e che il carcinoma anaplastico venga sempre classificato T4, rispettivamente T4a se intratiroideo e chirurgicamente resecabile e T4b se extratiroideo e chirurgicamente non resecabile. La classificazione delle

Stadio T DESCRIZIONE

T1a Tumore limitato alla tiroide, fino a 1 cm di diametro massimo

T1b Tumore limitato alla tiroide > 1 cm e < 2 cm

T2 Tumore limitato alla tiroide > 2 cm e < 4 cm

T3 Tumore > 4 cm nel diametro massimo e ogni tumore con minima invasione extratiroidea

T4a Tumore di qualsivoglia dimensione che si estende oltre la capsula tiroidea invadendo i tessuti sottocutanei, laringe, trachea, esofago o nervo ricorrente

T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale oppure interessa l’arteria carotide o i vasi mediastinici

T4a Ogni carcinoma anaplastico intratiroideo chirurgicamente resecabile

T4b Ogni carcinoma anaplastico con estensione extratiroidea chirurgicamente non resecabile

Stadio N DESCRIZIONE

N0 Non metastasi linfonodali

N1a Metastasi linfonodali ai linfonodi del compartimento centrale(pretracheali, paratracheali, prelaringei, delfico)

N1b Metastasi unilaterali, bilaterali, o controlaterali ai linfonodi cervicali o mediastinici superiori.

Stadio M DESCRIZIONE

M0 Assenza di metastasi a distanza

M1 Presenza di metastasi a distanza

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

metastasi linfonodali tiene conto del diverso impatto di una estensione al compartimento centrale (N1a) o agli altri linfonodi loco-regionali.

Per quanto riguarda la patogenesi dei tumori tiroidei, le odierne conoscenze ci dicono che i carcinomi in genere sono dovuti ad alterazioni genetiche che riguardano dati su loci e tratti di DNA importanti per la proliferazione cellulare. Gli oncogeni più importanti coinvolti sono: BRAF, RET/PTC, ecc., diversi a seconda del tipo di carcinoma. Gli ATC (anaplastic thyroid cancer) sono esito di alterazioni genetiche che si sovrappongono ad alterazioni genetiche preesistenti. Nelle forme follicolari si evidenziano le mutazioni di RAS e dell'oncogene PPRAy, nelle forme papillari sono frequenti le mutazioni di PTC e BRAF. La conoscenza approfondita delle mutazione è direttamente collegata con la prognosi e le possibili terapie. Un esempio: un carcinoma papillare con BRAF mutato ha prognosi peggiore rispetto a un tumore senza la mutazione. La mutazione BRAF è assai frequente nella variante a cellule alte, meno frequente nella forma classica e diviene rara nella forma follicolare. I fattori di rischio tipici del carcinoma tiroideo sono: 1 - fattori ionizzanti; 2 - apporto di iodio; 3 - fattori geografici (nelle aree vulcaniche frequenza maggiore rispetto ad altre aree); 4 - la familiarità, quale predisposizione genetica, del tipo fragilità genetica; 5 - fattori etnici; 6- preesistente patologia tiroidea; 7 - fattori di disequilibrio ormonale. L'"evento Chernobyl", interessante sotto il profilo medico-epidemiologico, del 1986, che ha portato alla liberazione, in aree adiacenti al reattore, di enormi quantità di isotopi radioattivi, tra cui lo iodio radioattivo, è diventato un banco di prova circa l'impatto e la sequenzialità clinica per il tumore tiroideo, anche sotto il profilo di indagine conoscitiva poiché ha sancito eventi patogenetici certi. Nel giro di qualche anno si è assistito a un incremento di casi di carcinoma papillare nella popolazione colpita. Tra il 1971 e il 1985 si contavano 8 casi di carcinoma papillare in ragazzi tra i 0 e i 14 anni (tipica popolazione a rischio cancro tiroideo). Tra il 1986 e il 2000 si poterono contare 703 nuovi casi, con un incremento del 90% circa. L'impatto avveniva soprattutto a carico dei bambini, poiché la ghiandola tiroidea è ancora in evoluzione, presentando una proliferazione attiva e risentendo maggiormente dell'esposizione alle radiazioni, divenendo col tempo quiescente nell'adulto. Anche lo iodio ha un ruolo fondamentale visto che le zone colpite presentavano un'elevata entità di carenza iodica. Pertanto si riuscì a stabilire, documentalmente che maggiore era la carenza iodica e maggiore risultava, di ben tre volte superiore rispetto ad aree senza carenza iodica, l'impatto oncologico tiroideo. Da qui una spinta verso l'utilizzo della profilassi iodica quale fondamentale per la prevenzione del cancro tiroideo. L'Austria è area ad alto impatto per carenza iodica e qui la profilassi è iniziata con sistematicità negli anni Sessanta. Ed eccoci a un nuovo spunto, frutto delle esperienza di questi ultimi anni. L'utilizzo della iodoprofilassi e il sempre maggiore uso del sale iodato mutava non solo la prevalenza ma anche il tipo di carcinoma tiroideo, con la diminuzione in maniera significativa dei tumori follicolari mentre rimanevano costanti le forme papillari.

Epidemiologia: le donne sono le più colpite con un rapporto di 3 a 1, con un'incidenza stimata dello 0,3-10 per 100.000 abitanti. Oggi, senza stimoli esasperati del tipo Chernobyl, è più frequente negli adulti tra i 30 e i 50 anni, rara nei bambini. Che esista una base genetico-razziale è un dato acclarato relativo alla incidenza negli abitanti delle isole Hawaii: i Filippini che vivono in quei luoghi hanno una prevalenza di carcinoma tiroideo molto elevata rispetto ai Cinesi che vivono alle Hawaii. Questo significa che il background genetico razziale influenza la suscettibilità di sviluppare o meno un tumore. A partire dagli anni Novanta il carcinoma papillare è andato aumentando soprattutto a carico della forma papillare soprattutto con lesioni di piccole dimensioni-microcarcinomi-tra 0 e 2

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

cm di diametro, mentre la forma follicolare e i carcinomi scarsamente differenziati non presentano variazioni di incidenza rilevabili statisticamente. I rilievi autoptici su una ampia popolazione deceduta per varie cause, magari non per problemi tiroidei, fanno rilevare fino al 20-25% dei casi di piccoli tumori papillari, evidenziabili anche all'ultrasuonografia presente sin dal 1980 e oggi con i nuovi apparecchi con risoluzione migliore, portando così anche in evidenza tumori che mai si sarebbero evidenziati clinicamente. Per quel che riguarda la terapia del carcinoma tiroideo differenziato, si tratta di una patologia curabile nel 95% dei casi, difatti pazienti con un carcinoma follicolare hanno sopravvivenze di oltre 35 anni. La terapia di base per i carcinomi si basa su una tiroidectomia totale, essendo il carcinoma tiroideo in genere e quello papillare in particolare, nel 50-60% dei casi, multifocale. A seguire risulta indispensabile programmare una terapia ablativa del residuo chirurgico con trattamento radio-ablativo con Iodio 131 che emette particelle Beta, captate dalle cellule del residuo tiroideo che così verranno distrutte. Utile ricordare che la tiroide è adiacente a strutture "nobili" del collo, come il nervo ricorrente e le paratiroidi, pertanto anche l'atto chirurgico pur tecnicamente perfetto, precauzionalmente lascia qualche residuo ghiandolare. Anche pazienti con metastasi a distanza, presenti nella forma follicolare, si giovano dei trattamenti radio-metabolici, magari di II° istanza. Quindi chirurgia e terapia radio-metabolica sono il cardine del trattamento per il carcinoma tiroideo nell'80-85% dei casi. Si interviene inoltre con la terapia sostitutiva con Tiroxina per os, a dosaggi personalizzati per azzerare il TSH. Ciò serve per inibire il messaggio che potrebbe stimolare la produzione ormonale sia a livello tiroide residua che a livello delle metastasi. Un vero marker tumorale è rappresentato dalla tireoglobulina, se è indosabile dopo terapia chirurgica, radiometabolica e in presenza di Terapia con T4, il nostro paziente è guarito. Questa valutazione va ripetuta in corso di follow-up. Quindi l'azzeramento del TSH e della tireoglobulina è l'indice di controllo e di risposta alla sequenzialità dei trattamenti. Oggi l'utilizzo del TSH-ricombinante viene usato per migliorare l'approccio dei follow-up e per garantire che la guarigione con TSH e tireoglobulina azzerati sia certa, altrimenti si deve ricorrere a trattamenti chirurgici o radiometabolici suppletivi. L'ecografia del collo e la scintigrafia total body completano il follow-up dei tumori tiroidei.

Fattori prognostici: essere di sesso maschile si è rivelato fattore prognostico sfavorevole, come l'età avanzata, i giovani hanno più probabilità di guarire, e la tipologia follicolare. Lo stadio di malattia alla diagnosi fa gioco a sé, più avanzata è la malattia alla diagnosi, più è probabile che il paziente abbia problemi con la malattia in corso. La presenza o l'assenza di metastasi a distanza sono un parametro che può determinare una inferiore sopravvivenza rispetto a chi non le presenta ma in questo caso muta anche il percorso diagnostico terapeutico e la vigilanza attiva, consentendo, sempre più spesso che la patologia sia curata, cronicizzandola e generando "un approccio di mutuo interesse tra paziente e tumore mediato dai trattamenti". Un esempio utile può essere dato dal fatto che il carcinoma follicolare può dare metastasi ossee, oggi trattabili con difosfonati di ultima generazione unitamente a calcio e vitamina D attiva, a dosaggi congrui. Il tutto genera una stabilizzazione delle lesioni con blocco anche per lunghi periodi dell'attività di crescita tumorale. Vi sono poi anche tumori scarsamente differenziati che perdono la capacità di captare iodio, non consentendone l'uso a scopo diagnostico-terapeutico. Quindi ancora abbiamo la forma midollare, che non risponde allo iodio radioattivo, che differisce dalla forma follicolare anche per il marcatore utilizzato, che in questo caso è la Calcitonina, fondamentale anche per la diagnosi iniziale. I progressi scientifici riguardanti la valutazione bio-molecolare oltre che istopatologica delle

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

cellule tumorali, ci portano oggi verso le terapie "Target" o mirate. Una molecola appartenente a questa categoria è Caprelsa, usato per la forma midollare e selettivo poiché specifico per le mutazioni RET. Un altro farmaco in uso per il carcinoma del fegato e in passato per quello del rene, il Sorafenib, viene oggi indicato per migliorare la qualità della vita del paziente affetto da carcinoma anaplastico. La rarità di impatto di quest'ultimo tumore fa sì che il suo quadro bio-molecolare lo consideri di volta in volta in modo anche assai diverso, assimilandolo spesso a patologie di organi solidi e con esperienze curative di cui si può giovare, poiché non assimilabile al tipico carcinoma tiroideo nelle sue forme papillari e/o follicolari. Frequentemente tali pazienti si giovano prima di trattamenti già assunti in altre tipologie oncologiche per tumori solidi e in un secondo momento di protocolli sperimentali tesi a valutarne le indicazioni di massima e sempre in sintonia con i risvolti “bio-molecolari", oggi sempre più studiati.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Capitolo 53

IL CARCINOMA MIDOLLARE Francesco Asprea, Giovanni Condemi

Nel contesto della ghiandola tiroide sono presenti, oltre ai tireociti, responsabili della produzione dell'ormone tiroideo, anche le cellule parafollicolari o cellule C, localizzate prevalentemente nel terzo medio e superiore della porzione laterale dei lobi tiroidei; tali cellule derivano embriologicamente dalla cresta neurale e quindi sono cellule neuroectodermiche che entrano a far parte del corpo ultimo-branchiale che si forma dalla quinta tasca branchiale per essere incorporato nella tiroide solo dopo il secondo mese di gestazione; tale processo avviene solo nei mammiferi, mentre negli altri vertebrati il corpo ultimo-branchiale rimane un organo autonomo. Le cellule C sono dunque delle cellule neuroendocrine facenti parte del sistema neuroendocrino diffuso e del sistema APUD (Amine Precursors Uptake and Decarboxylation), la cui funzione principale è la produzione di calcitonina, oltre che di ACTH, CEA e altri peptidi con funzione regolatoria sull'azione delle cellule follicolari.

La calcitonina è un ormone polipeptidico la cui funzione principale è quella di abbassare i livelli di calcio nel sangue agendo a livello del tessuto osseo dove inibisce l'attività osteoclastica e riduce il rilascio di ioni calcio nel sangue; la calcitonina contribuisce, assieme al paratormone ed all'ormone D, alla complessa regolazione del metabolismo del calcio.

Il carcinoma midollare tiroideo deriva dalla trasformazione neoplastica delle cellule C della tiroide ed è quindi considerabile un tumore del sistema neuroendocrino diffuso giustificando la definizione di tumore "nella tiroide" e non di tumore "della tiroide”.

La prima descrizione si deve a Hazard nel 1959 che riportò 21 casi di tumore solido tiroideo non follicolare con presenza di sostanza amiloide stromale e alta incidenza di metastasi linfonodali.

Nel 1961 Sipple descrisse un caso di associazione fra carcinoma midollare tiroideo, feocromocitoma e tumore paratiroideo che rientra in quella che oggi viene denominata MEN2a o sindrome di Sipple.

II termine MEN fu introdotto da Steiner nel 1968.

Il carcinoma midollare tiroideo rappresenta circa il 5% dei tumori tiroidei; ne esiste una forma sporadica che incide circa per il 75% e una forma familiare che incide circa per il 25%. La forma

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

sporadica è tipica dell'età adulta, mentre la forma familiare si può riscontrare in età pediatrica e giovanile. Nella forma sporadica è più frequente la localizzazione monolaterale, mentre in quella familiare è di regola la multifocalità. Il tumore metastatizza sia per via linfatica ai linfonodi loco-regionali sia per via ematica a fegato, polmone ed ossa. Macroscopicamente si presenta come uno o più noduli ipoecogeni all'ecografia e freddi alla scintigrafia, in genere non dolente. La sintomatologia può comprendere disfagia, tosse e disfonia ma anche diarrea e rossore facciale legati all'attività ormonale del tumore. Le metastasi linfatiche sono frequenti, tanto da essere spesso il primo segno di malattia; nel 20% dei casi sono presenti al momento della diagnosi anche metastasi a distanza.

La diagnosi si basa principalmente sugli alti livelli di calcitonina in circolo, esame che ha un'altissima specificità anche nel monitoraggio delle recidive dopo chirurgia; la sensibilità però è meno elevata, essendo possibile che pazienti con piccoli tumori midollari o con iperplasia delle cellule C (che nelle forme familiari costituisce in pratica una lesione precancerosa) presentino valori normali di calcitonina basale; in questo caso risulta molto utile il test di stimolazione con pentagastrina e calcio che viene considerato positivo quando i valori raggiungono due volte quelli basali. L'ecografia del collo, l'agoaspirato ecoguidato, la TC e I'RMN completano l'iter diagnostico.

Le forme familiari sì riscontrano nei casi di MEN2a, MEN2b ed FMTC.

Queste sindromi sono collegate a mutazioni geniche a livello di vari punti del proto-oncogene RET nella regione centromerica del cromosoma 10. Il proto-oncogene RET codifica per una proteina recettore della tirosinchinasi.

La MEN2a o sindrome di Sipple si caratterizza per l'associazione fra carcinoma midollare, feocromocitoma e iperparatiroidismo.

La MEN2b o sindrome dei neuromi mucosi si caratterizza per la presenza di carcinoma midollare tiroideo, feocromocitoma, neuromi multipli delle mucose, soprattutto della lingua, delle labbra e delle palpebre, ganglioneuromatosi intestinale; i neuromi mucosi sono presenti nel 100% dei casi e in genere si manifestano sin dalla nascita; nella MEN2b la comparsa del carcinoma midollare è molto più precoce e aggressiva che nella MEN2a o nell'FMTC; spesso il tumore si presenta già in forma aggressiva nel primo anno di vita, per cui, una volta identificati i soggetti con la mutazione germinale tipica della malattia nel corso di screening nei nuovi nati in famiglie notoriamente affette, viene consigliata la tiroidectomia totale entro il primo anno di vita.

La forma familiare di carcinoma midollare non-MEN (FMTC) ha un'aggressività inferiore alla MEN2b e comparabile alla MEN2a e non presenta associazione con altre endocrinopatie.

Per completezza di trattazione si ricorda l'esistenza della MEN1 o sindrome di Wermer, legata a mutazione del gene MEN1. sul cromosoma 11, che si caratterizza per la presenza di adenomi paratiroidei associati ad altre endocrinopatie e in genere non associato alla presenza di carcinoma tiroideo midollare.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Le caratteristiche delle sindromi da neoplasie endocrine multiple sono riassunti nelle seguenti tabelle:

Tab. 24 - Manifestazioni della MEN1.

Tab. 25 - Manifestazioni della MEN2a.

Tab. 26 - Manifestazioni della MEN2b.

Il trattamento principale del carcinoma midollare tiroideo è chirurgico, ma, vista l'elevata incidenza di metastasi linfonodali, la sola tiroidectomia totale non costituisce sempre un trattamento sufficiente. Nello studio dì Moley e De Benedetti su 73 pazienti trattati per carcinoma midollare sono risultate metastasi linfonodali al compartimento centrale nell'80% dei casi, alle logge linfonodali latero-cervicall omolaterali nel 75% dei casi e alle logge linfonodali latero-cervicali

MANIFESTAZIONI MEN1 PREVALENZA

ADENOMI PARATIROIDEI 90%

GASTRINOMA 40%

PROLATTINOMA 20%

INSULINOMA 10%

PROLATTINOMA 10%

GH-OMA con ACROMEGALIA 10%

ACTH-OMA con morbo di CUSHING 2%

FORME NON FUNZIONANTI 20%

MANIFESTAZIONI MEN2a PREVALENZA

CARCINOMA MIDOLLARE 99%

FEOCROMOCITOMA 50%

ADENOMA PARATIROIDEO 20%

MANIFESTAZIONI MEN2b PREVALENZA

NEUROMI MUCOSI 100%

FEOCROMOCITOMA 50-70%

CARCINOMA MIDOLLARE 100%

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

controlaterali nel 47% del casi; gli Autori suggeriscono come trattamento elettivo la tiroidectomia totale con linfoadenectomia del compartimento centrale e latero-cervicale omolaterale alla neoplasia. Le linee guida della NCCN (National Comprehensive Cancer Network) indicano come cut-off il centimetro di diametro della neoplasia indicando sotto tale diametro la tiroidectomia totale con dissezione del compartimento centrale e al di sopra di tale diametro la tiroidectomia totale con dissezione del compartimento centrale e linfoadenectomia latero-cervicale omolaterale alla lesione, bilaterale in caso di multifocalità. Scollo riporta su 101 carcinomi midollari operati la presenza di metastasi linfonodali nel 55% dei casi suggerendo quindi di effettuare sempre e comunque la linfoadenectomia cervicale bilaterale; tale atteggiamento, seppure più aggressivo, sembra essere il pìù prudente in un'ottica quoad vitam, vista la notevole frequenza delle recidive, l'inefficacia della radio-iodio-terapia, in quanto il carcinoma midollare non capta, e la scarsa efficacia di tutti i tipi di chemioterapia che sono stati sperimentati; qualche spiraglio terapeutico pare aprirsi con l'utilizzo degli inibitori della tirosinchinasi che vanno ad agire selettivamente sopprimendo l'azione del protooncogene RET.

Per quanto riguarda le forme familiari, le linee guida sono state tracciate da Brandi nel 2001, distinguendo tre livelli di rischio:

• Il primo livello comprende i carcinomi midollari familiari non MEN in cui sono presenti mutazioni dei codoni 609, 768, 790, 791, 804, 891 considerate a basso rischio, per cui è indicata la tiroidectomia totale tra i cinque e i dieci anni di età.

• II secondo livello comprende mutazioni dei codoni 634, 620, 618, 611, considerate ad alto rischio e corrispondenti alla MEN2a, per i quali è consigliabile la tiroidectomia totale entro il quinto anno di età.

• Il terzo livello corrisponde in pratica alla MEN2b, con mutazioni dei codoni 883, 918, 922 considerate a rischio altissimo e per le quali viene indicata la tiroidectomia totale con dissezione del compartimento centrale entro il sesto mese di vita.

Da quanto detto si evince l'importanza fondamentale degli screening sui neonati appartenenti a famiglie dove sono presenti casi di carcinoma midollare tiroideo e di feocromocitoma o dove sia già nota la familiarità genetica per MEN2 o per FMTC.

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

Capitolo 54

LA PATOLOGIA PARATIROIDEA Francesco Asprea, Giovanni Condemi

La prima descrizione delle ghiandole paratiroidi nell'animale fu fatta nel 1852 da Owen, sovrintendente di storia naturale del British Museum, dopo un'autopsia su un rinoceronte; fu Ivan Victor Sandstrom, giovane studente in medicina svedese a identificare le paratiroidi nell'uomo nel 1880 descrivendone l'anatomia. Fu Felix Mandi a Vienna nel 1925 a effettuare il primo intervento di paratiroidectomia.

Le ghiandole paratiroidi si formano dalla terza e quarta tasca branchiale: la paratiroide inferiore origina dalla porzione dorsale della terza tasca branchiale, mentre dalla porzione ventrale della stessa tasca si origina l'abbozzo del timo; tale origine comune spiega la stretta connessione fra le due strutture, tanto che la paratiroide inferiore viene detta anche paratiroide timica. La paratiroide superiore deriva invece dalla porzione dorsale della quarta tasca, mentre dalla porzione ventrale si forma il corpo ultimo-branchiale, il quale si va a ricollegare alla ghiandola tiroide in prossimità dell'ingresso dell'arteria tiroidea inferiore, determinando un rigonfiamento detto tubercolo di Zuckerkandl; l'origine comune della paratiroide superiore e del corpo ultimo-branchiale, nel quale sono contenute le cellule C produttrici di calcitonina, rende ragione della possibilità che la paratiroide superiore possa restare inclusa dentro la tiroide e del fatto che venga denominata anche paratiroide tiroidea. Per convenzione la paratiroide inferiore viene denominata P3 e quella superiore P4. P3 scende verso il mediastino insieme al timo, trascinata dalla discesa dell'abbozzo cardiaco e dei grossi vasi e si separa dal timo verso la fine della settima settimana di vita embrionale; se tale separazione non avviene o avviene in modo incompleto, è possibile ritrovare una paratiroide inferiore ectopica a livello del timo o del legamento tiro-timico e ritrovare inclusi di tessuto timico all'interno della paratiroide. La migrazione di P4 è molto più breve poiché viene limitata dalla fissazione del corpo ultimo-branchiale alla tiroide, per cui la paratiroide superiore in genere non presenta quasi mai vere ectopie; è possibile che, in caso di patologia adenomatosa o carcinomatosa, la ghiandola aumentata di peso, venga trascinata verso il basso dagli atti deglutitori e dalla pressione negativa intratoracica, determinando ectopie secondarie che si possono collocare lateralmente alla trachea o nella doccia tracheoesofagea. Le ectopie di P3 invece sono molto più frequenti e si possono reperire nella zona che va dall'angolo della mandibola al pericardio, con predilezione per la sede intratimica, seguita da quella intratiroidea, nel legamento tiro-tracheale o in quello tiro-timico, nel mediastino al di fuori del timo, nella finestra aorto-polmonare o nella doccia tracheo-esofagea. Di queste possibili ectopie deve tener conto il chirurgo che si accinge a operare un paziente per iperparatiroidismo, poiché non sempre la

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

localizzazione preoperatoria della ghiandola può essere esaustiva. L'incrocio che si verifica per la discesa in basso di P3, che quindi scavalca P4, può far sì che le due paratiroidi superiore e inferiore si trovino anche totalmente adiacenti, tanto da essere impossibile distinguere P3 da P4.

Le paratiroidi secernono il paratormone, il quale ha come organi bersaglio l'osso, dove aumenta il riassorbimento del calcio, il rene, dove provoca un aumento del riassorbimento tubulare del calcio e un aumento dell'escrezione del fosforo, e l'intestino, dove aumenta l'assorbimento del calcio mediato dalla vitamina D.

Risultato di tali azioni è l'aumento della calcemia, cioè un effetto di segno opposto a quello della calcitonina prodotta dalle cellule C tiroidee.

I quadri clinici di disfunzione paratiroidea possono consistere nell'ipoparatiroidismo e nell'iperparatiroidismo.

L'ipoparatiroidismo può essere ereditario ma molto più spesso è acquisito su base iatrogena, conseguenza di interventi sulla loggia tiroidea; all'ipoparatiroidismo consegue ipocalcemia e iperfosforemia alle quali conseguono una serie di sintomi quali parestesie soprattutto agli arti e ipereccitabilità muscolare fino ad arrivare alla crisi tetanica generalizzata con spasmo carpo-pedalico, mano da scrivano o da ostetrico o mano di Trousseau, trisma. Esistono però delle forme ancora subcliniche (criptotetania) che possono essere individuate ricercando i segni precoci dell'ipocalcemia che sono il segno di Trousseau, il segno di Chwostek e la prova dell'iperpnea. Il segno di Trousseau consiste nella comparsa del classico spasmo carpale con mano da ostetrico in seguito a ischemia dell'arto superiore provocata dalla pressione del bracciale dello sfigmomanometro. Il segno di Chwostek consiste nella comparsa di contrazioni muscolari a scatto dell'emifaccia in seguito a percussione del nervo facciale eseguita sotto l'arcata zigomatica. Nella prova dell'iperpnea si sottopone il paziente ad atti respiratori forzati per 5 minuti, scatenando la crisi tetanica.

L'iperparatiroidismo può essere primitivo, secondario o terziario.

L'iperparatiroidismo primitivo è legato alla presenza di adenoma, iperplasia o carcinoma tiroideo, l'iperparatiroidismo secondario deriva da una stimolazione cronica delle paratiroidi da ipocalcemia persistente, come nell'insufficienza renale cronica o in alcune sindromi da malassorbimento, l'iperparatiroidismo terziario è invece causato da una iperplasia secondaria che nel tempo va incontro ad adenoma diventando così indipendente dalla calcemia.

I sintomi dell'iperparatiroidismo sono legati all'ipercalcemia collegata all'aumento dei tassi ematici di paratormone e sono, in ordine di frequenza, la calcolosi renale, l'osteoporosi, l'iperacidità gastrica con sviluppo di ulcera peptica, ipertensione arteriosa per irrigidimento dei vasi, calcinosi del pancreas e litiasi della colecisti; può essere presente anche uno stato confusionale associato a instabilità emotiva e psicosi. L'rx delle ossa rivela l'osteoporosi con il caratteristico aspetto "a sale e pepe" della teca cranica. Una volta posta la diagnosi di sospetto in base all'ipercalcemia, il dosaggio del paratormone confermerà la diagnosi di iperparatiroidismo; a questo punto sarà necessario localizzare la sede e individuare la natura della lesione che, come spiegato in

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

precedenza, può essere multipla o ectopica e può consistere in uno o più adenomi (evenienza più comune) oppure in un'iperplasia tiroidea diffusa o raramente in un carcinoma paratiroideo. Esso ricorre in circa l'1% del casi di iperparatiroidismo, mentre l’adenoma costituisce circa il 90% dei casi di iperparatiroidismo e l’iperplasia tiroidea circa il 10%.

Gli adenomi sono più frequenti nel sesso femminile e nella sesta decade di vita, mentre per i carcinomi non sembra esservi differenza fra i due sessi.

L'adenoma paratiroideo è una lesione capsulata, ovalare, bruno-giallastra, spesso di dimensioni modeste per cui difficilmente viene apprezzato come tumefazione latero-cervicale. È spesso a carico della paratiroide inferiore e può essere localizzato in sedi abnormi (mediastino) in caso origini da ghiandole paratiroidi ectopiche. Si riscontra spesso nel quadro di una MEN (Multiple Endocrine Neoplasia).

Gli elementi cellulari spesso hanno una disposizione cordonale o trabecolare, a volte si riscontra struttura acinosa o follicolare; esiste in genere uno stroma connettivale riccamente vascolarizzato che può essere sede di fenomeni emorragico-degenerativi. Si possono riscontrare adenomi a cellule principali scure, a cellule intermedie, a cellule chiare piccole o grandi e a cellule ossifile.

Il carcinoma paratiroideo può raggiungere dimensioni tali da potere essere apprezzato clinicamente con la palpazione della loggia tiroidea; presenta tendenza invasiva nel confronti della capsula e fenomeni di angio-invasività. La diagnosi differenziale rispetto all'adenoma non sempre è agevole; i criteri più utilizzati sono il numero di mitosi, le anomalie nucleari, oltre ai suddetti fenomeni di angio-invasività e di invasione capsulare.

L'iperplasia paratiroidea si caratterizza per una marcata omogeneità del quadro citologico dove predominano in genere le grandi cellule chiare.

Le forme familiari correlate alla sindrome MEN1 e MEN2A hanno una causa genetica dovuta alla mutazione germinale dell'oncogene RET che determina le neoplasie endocrine multiple.

L'eziologia delle forme non familiari è ancora sconosciuta.

In alcuni di questi pazienti esiste un'anamnesi positiva per pregressa irradiazione del collo.

Circa nel 5% degli adenomi è stata riscontrata l'aumentata espressione del gene PRAD1, codificante per la ciclina D1 che controlla la transizione G1-S durante il ciclo cellulare.

Nei carcinomi paratiroidei è stata recentemente riconosciuta l'importanza del gene HRPT2 che codifica per la proteina parafibromina. L'inattivazione di questo gene è responsabile della sindrome autosomlca dominante iperparatiroidismo-tumore mascellare.

L'ecografia consente di dimostrare morfologicamente gli adenomi e i carcinomi paratiroidei che appaiono come formazioni ovalari con asse maggiore cranio-caudale non sempre distinguibili con certezza dal circostante parenchima tiroideo. Non esistono inoltre criteri ecografici In grado dl

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

fornire informazioni circa la caratterizzazione istologica dl una neoformazione paratiroidea. Le anomalie di sede delle paratiroidi, la presenza di patologia paratiroidea multighiandolare, la presenza di aspetti ecografici atipici degli adenomi paratiroidei possono rappresentare possibili cause di errore diagnostico. L'aspetto dell'adenoma tiroideo è pressoché indistinguibile ecograficamente da quello di linfonodi peritiroidei reattivi, tipici, ad esempio, delle tiroiditi, o da quello di alcuni noduli tiroidei situati postero-lateralmente. Un ulteriore apporto può essere dato dall'agoaspirato ecoguidato della lesione sospetta paratiroidea, completato col dosaggio del paratormone sul liquido di lavaggio dell'ago.

La TC e l'RMN possono essere di aiuto nel reperire la neoplasia specie se in sede ectopica o in caso di negatività dell'imaging di primo livello.

La scintigrafia con 99mTc-sesta MIBI possiede una specificità diagnostica molto elevata. L'indagine ha lo scopo di facilitare il chirurgo nel reperimento delle ghiandole al tavolo operatorio, riducendo i tempi e l'invasività dell'intervento. La scintigrafia si può eseguire con tecnica double-tracer single-phase, che prevede l'uso di due traccianti e l'ottenimento di un'immagine finale di sottrazione o con la tecnica single-tracer double-phase che utilizza come tracciante il solo MIBI registrando l'immagine precoce e quella tardiva.

Per quel che riguarda specificamente l'età pediatrica e adolescenziale, l'iperparatiroidismo è principalmente collegato alle sindromi MEN1, MEN2, oltre a una forma familiare non MEN. Un'analisi dell'iperparatiroidismo in pazienti pediatrici è stata condotta da Kollars e collaboratori nel 2005 presso la Mayo Clinic, raccogliendo 52 pazienti al di sotto dei 19 anni operati di paratiroidectomia dal 1970 al 2000; la maggior parte dei casi (36 su 52) presentava un singolo adenoma, 10 una MEN1, 3 una MEN2a ed era molto spesso asintomatica all'esordio, causa questa del ritardo diagnostico quasi sempre riscontrato. Il 44% presentava un danno d'organo con nefrolitiasi, nefrocalcinosi e coinvolgimento osseo a volte con fratture patologiche; una volta individuata l'ipercalcemia e dosato il paratormone, l'individuazione della lesione venne fatta con l'ecografia, che mostrò una sensibilità dell'86%. Lo studio di Kollars suggerisce l'utilità di una diagnosi precoce, specie in età pediatrica nella quale il danno d'organo a livello renale e osseo incide in misura maggiore; viene quindi suggerito di indagare, dosando la calcemia e il paratormone, in tutti i pazienti con cefalea, affaticamento, nausea, vomito, diarrea, polidipsia, depressione, dolori articolari.

Secondo l'American Association of Clinical Endocrinologist e L'American Association of Endocrine Surgeons, il trattamento dell'iperparatiroidismo primario deve essere esclusivamente chirurgico, avendo poco significato qualsiasi trattamento medico.

Lo scopo del trattamento chirurgico è la normalizzazione del tasso di paratormone sierico e della calcemia. Le metodiche di imaging ecografica, scintigrafica e tomografica computerizzata consentono al giorno d'oggi una localizzazione preoperatoria corretta delle lesioni nella maggior parte dei casi rendendo superflua nel 60-80% dei casi l'esplorazione di tutte e quattro le paratiroidi che viene eseguita solo in caso di immagini preoperatorie negative o equivoche. In caso di adenoma, si esegue una meticolosa dissezione dello stesso in campo il più possibile esangue e, se il dosaggio rapido intraoperatorio del paratormone, divenuto ormai imprescindibile, dà risultati

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tratto da “Le tumefazioni del collo in età pediatrica” di Francesco Asprea

positivi, si evitano le manovre di esplorazione, biopsia e rimozione monolaterali o bilaterali classiche. In caso di iperplasia paratiroidea vanno esplorate tutte e quattro le paratiroidi e, sulla base dell'obiettività chirurgica e dell'esame istologico estemporaneo, vengono asportate solo le giandole patologiche; nel caso fossero tutte patologiche si esegue la paratiroidectomia 7/8 o 8/8 eseguendo un reimpianto di 40 mm cubici di tessuto paratiroideo nell'avambraccio non dominante all'interno del muscolo bicipite o nel contesto del muscolo sternocleidomastoideo associando la criopreservazione del restante materiale al fine di un eventuale reimpianto in caso di ipoparatiroidismo post-operatorio. Nei rari casi di carcinoma la resezione deve essere in blocco comprendendo la loboistmectomia tiroidea omolaterale, la dissezione linfonodale del compartimento centrale e la rimozione di eventuali altre strutture infiltrate.

L'introduzione di tecniche chirurgiche mini-invasive video-assistite (MIVAP), della chirurgia radio-guidata e del dosaggio rapido intraoperatorio del paratormone ha consentito negli ultimi anni l'esecuzione di una chirurgia sempre più mirata. Esistono ancora delle controversie sull'opportunità del trattamento chirurgico dei pazienti asintomatici, tuttavia il frequente sviluppo di complicazioni a distanza e le difficoltà del follow-up medico stretto a cui deve essere sottoposto il paziente non avviato al trattamento chirurgico, fanno si che l'intervento venga ritenuto opportuno per tutti i pazienti sintomatici, per quelli asintomatici al di sotto dei 50 anni di età e per tutti coloro che avrebbero difficoltà a partecipare a un adeguato follow-up se non operati; l'indicazione chirurgica va inoltre presa in seria considerazione per tutti gli altri pazienti asintomatici con rischio chirurgico accettabile e con ragionevole aspettativa di vita; ne consegue dunque l'indicazione pressoché assoluta al trattamento chirurgico dell'iperparatiroidismo primitivo in età pediatrica e adolescenziale sia nei casi sintomatici che asintomatici.

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