Le qualità di Coluccio Salutati scrittore

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Alessandro Cesareo Titubabat enim ingenium. Le qualità di Coluccio Salutati scrittore Morlacchi Editore U.P.

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Alessandro Cesareo

Titubabat enim ingenium.Le qualità di Coluccio Salutati scrittore

Morlacchi Editore U.P.

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Redazione, impaginazione e copertina: Jessica Cardaioli

ISBN/EAN: 978-88-6074-790-7

copyright © 2016 by Morlacchi Editore, Perugia. Tutti i diritti riservati. è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica, non autorizzata. Finito di stampare nel mese di luglio 2016, per conto dell’Editore Morlacchi, presso la tipografia “Digital Print-Service”, Segrate, Milano. Mail to: redazione@morlacchilibri. com | www. morlacchilibri. com

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Indice

IntroduzIone 7

I. Le cInque Lettere dI SaLutatI aL Petrarca

1.1 PrIma lettera 191.2 Seconda lettera 211.3 terza lettera 451.4 Quarta lettera 631.4 QuInta lettera 73

II. La rISPoSta deL Petrarca e Le cInque Lettere a LuI dedIcate

da coLuccIo

2.1 lettera del Petrarca a coluccIo 892.2 lettera a roberto GuIdI 952.3 lettera a benvenuto da Imola 972.4 lettera a lombardo della Seta 992.5 lettera a GIovannI bartolomeI 1032.6 lettera a PoGGIo braccIolInI 105

III. IL LatIno dI coLuccIo come LatIno deLL’umaneSImo

3.1 Il latIno dI coluccIo 111

bIblIoGrafIa 153

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Introduzione

Un’apis matina palesemente infaticabile e zelante al di sopra di ogni possibile, ragionevole stima: questo il primo e più

evidente tratto che caratterizza l’ininterrotta e prorompente fa-cundia dello stile adottato e la policromica varietas che emerge dalle più importanti scelte espressive poste in essere dallo stima-to cancelliere1 Lino Coluccio di Pietro Salutati2, ovvero prero-

1 Coluccio svolse quest’importantissimo incarico dal 1375 al 1406. Ecco come la De Rosa ne ricostruisce la fase iniziale della vita: «Lino Coluccio Salutati nacque a Stignano in Valdinievole, piccolo insediamento rurale al confine tra i territori di Lucca e di Pistoia, il 16 febbraio 1331 o, secondo una recente ipotesi di Mario Martelli, del 1332, da una famiglia di tradizio-ne guelfa. Suo padre, Piero di Coluccio di Salutato, era un noto capo locale della Parte ed allorchè i ghibellini di Lucca tornarono al potere, dovette però fuggire, seguito, poco dopo, dalla madre, dalla moglie Puccina e dal figlio, neonato di appena due mesi, stabilendosi così a Bologna, dove il signore della città, Taddeo dei Pepoli, lo accolse benevolmente. Il generoso trattamento ri-cevuto indusse Piero a restare presso i Pepoli, anche quando, nel 1339, grazie al trattato di Venezia, concluso il 20 gennaio di quell’anno dai Fiorentini con Mastino della Scala, la Valdinievole divenne parte della repubblica di Firenze ed egli potè recuperare i beni che gli erano stati confiscati».Daniela De Rosa, Coluccio Salutati notaio e cancelliere, in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’U-manesimo, a cura di Teresa De Robertis, Giuliano Tanturli, Stefano Zamponi, Firenze 2008,p.33. 2 Dottore in legge a trentasei anni, nell’agosto del 1367 Salutati entra a far parte degli ufficiali del Comune di Todi insignito dell’importante onorificen-za di cancelliere e notaio delle Riformagioni; nel 1369 sarà invece a Viterbo, con prestigiosi incarichi presso la Curia di Urbano V, cui apparteneva, giova

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gative tali da fargli guadagnare a pieno merito tanto la qualifica di scriptor che quella, in realtà anche più significativa, stante anche il contesto nel quale operò, di prolifico ed ingegnoso rerum inventor, in evidente sintonia con l’intento primario di dare avvio ad una fase decisiva per l’Umanesimo latino e per le sue varie modalità di affermazione e di radicamento.

ricordarlo, la città stessa di Todi. Tale esperienza, però, provocò una delusione profonda nell’animo di Coluccio, almeno in base alle lettere che egli scrisse in quel periodo a Leonardo Bruni, il quale era diventato segretario papale già dal 1363, per chiedergli di aprirgli una strada per arrivare a Roma, ove arriverà nell’aprile del 1368. Nel 1371, invece, sarà a Lucca, ma quattro anni dopo si stabilisce definitivamente a Firenze. In merito alla permanenza ed all’operato del Salutati in Umbria, cfr.: Enrico Menestò, Coluccio Salutati. Editi e ine-diti latini dal Ms.53 della Biblioteca Comunale di Todi, Todi 1971. A titolo informativo, gioverà forse essere al corrente del fatto che «Il manoscritto 53 (sec.XV) della Comunale di Todi, raccolta miscellanea, consta di 112 fogli cartacei, redatti da più mani. Anche i fogli 49, 50, 51, in cui sono riportate le Declamationes di Coluccio Salutati, sono stati scritti da due mani diverse, o, forse, dalla stessa mano in tempi diversi, agli inizi del sec.XV, in scrittura minuscola cancelleresca italiana. Sotto il titolo di Declamationes sono ripor-tate due esercitazioni retoriche, due lettere del Salutati, e una terza lettera di ignoto, forse diretta a Coluccio: a) Declamatio Lucretiae, b) Lettera a Donato degli Albanzani, c) Lettera ad un ministro di Malatesta da Pesaro, edite, d) Esercitazione retorica su una altercatio tra Diomede, Priamo ed un eroe dei Troiani (Glauco?) e) Lettera senza destinatario, inedito.I fogli 49, 50 e 51, del Tuderte 53, sono preziosi, in quanto hanno sottratto alla distruzione l’importante lettera di Coluccio, indirizzata ad un ministro di Malatesta da Pesaro, della quale nessuna altra copia è stata conservata. Esisto-no, come si apprende da Francesco Novati, altri manoscritti simili al Tuderte, e sono, come questo, miscellanee di scritti umanistici e cancellereschi in cui, tra l’altro, si trovano opere, gruppi di lettere o lettere isolate del Salutati, ricercate dall’amanuense o capitate per caso tra le sue mani, e da lui con cura ricopiate». Enrico Menestò, Coluccio Salutati. Editi e inediti latini dal Ms.53 della Biblioteca Comunale di Todi, Todi 1971, p. 11.

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Svariate ed originali le motivazioni che concorrono, e da più parti, all’attribuzione di questi due titoli, soprattutto in merito alle evidenti capacità inventive grazie alle quali Coluc-cio riuscì, innestandosi sapientemente nel solco della tradi-zione, a realizzare alcuni modelli espressivi che avrebbero in seguito influenzato, e non poco, lo sviluppo della prosa latina dell’Umanesimo e, nella fattispecie, lo stile epistolare, grazie all’analisi del quale è possibile rintracciare e identificare i tratti che più di altri cooperano a far comprendere il perchè delle qualità connesse alla definizione dell’identiità di un inventor e di uno scriptor, ovvero quanto si è scelto di evidenziare all’in-terno della presente monografia.

Si è dunque pensato di non riproporre, in questa sede, il te-sto latino dell’intero carteggio Salutati-Petrarca, già pubblicato altrove3, bensì solo le cinque lettere di Coluccio a Petrarca, munite di note e traduzione e, per rendere il lavoro più leggero e per far sì che più agevole ne fosse la consultazione, si è cre-duto utile presentare, delle rimanenti cinque lettere indirizzate dal Salutati a suoi illustri contemporanei ed aventi come tema la grandezza del Petrarca in merito ad ambiti come la sapientia, la doctrina, l’humanitas, e l’importante rapporto sussistente tra la cultura del mondo pagano e la rinnovata visione offerta dal mondo cristiano frutto di un già secolare consolidamento, sol-tanto una sintesi essenziale. La stessa è stata tuttavia resa più sostanziosa dalla presenza e dall’impiego di puntuali richiami al testo latino, ovvero le formule più consone a trasmettere un’idea adeguata tanto dell’ispirazione che ha guidato Coluc-cio che delle scelte da lui specificamente operate in seno ad una

3 Nel volume Diu herentem calamum. Il carteggio tra Salutati e Petrarca, Perugia 2015.

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definizione delle prerogative della latinitas dell’incipiente età dell’Umanesimo.

Il risultato di tale scelta, evidente fin dalle prime battute, consente infatti al lettore di concentrare meglio l’attenzione sui documenti più importanti del carteggio, dato che le lettere in questione presentano almeno una triplice chiave di analisi e di lettura, che potrebbe essere così esplicitata:

• Un primo, essenziale approccio, concepito e matura-to in stretta ed efficace relazione al testo latino ed alle sue peculiarità, ai suoi tratti distintivi ed agli aspetti maggiormente incisivi in termini di originalità delle formulazioni linguistiche adottate dall’autore, il quale può così venire ad essere identificato come scriptor di un certo tenore, di un determinata consistenza e di un consistente profilo, oltre che come rerum inventor.

• In secondo luogo, in riferimento al valore per così dire “politico” dei documenti in questione, visto che essi, vuoi per il contesto, vuoi per i destinatari, oppure per le tematiche ivi trattate, contengono più di uno spun-to relativo alla teoria dello Stato ed all’importanza del ruolo che sapientia et doctrina svolgono all’interno dello stesso.

• Una terza, possibile chiave di lettura, direttamente ed esplicitamente riconducibile alla consistenza, al valore ed all’efficacia del ruolo che il Salutati attribuisce legit-timamente al Petrarca, individuando così nel facundissi-me vir e nel potentissime senex, cui si rivolge con evidente entusiasmo e con un fervore anche fin troppo contenu-to, un più che potenziale punto di riferimento per un tentativo di soluzione del problema Italia; si trattereb-be, in questo specifico caso, dell’evidente addentellato

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di una possibile, tempestiva conclusione del fin troppo lungo e sofferto periodo avignonese, lamentevolmente connotato per una poco gloriosa attenuazione e per un inevitabile, drastico ridimensionamento del ruolo uni-versale del Papato, costretto a permanere oltremisura tra le mura spesse e dorate del Palazzo di Avignone e messo a rischio di una pericolosa riduzione a “satellite” della monarchia di Francia. Degni di nota, in questo caso, anche tutti i limiti e le angustie che un tal caso avreb-be sicuramente posto in evidenza, vista anche l’effettiva difficoltà di riuscire a trasporre su di un piano oggetti-vamente letterario quanto si era invece puntualmente ritenuto, e da più parti, un semplice vezzo letterario, legato più alla pur legittima pratica letteraria del lusus che non ad una chiara ed oggettiva cosscienza ideolo-gico-espressiva, che pare invece essere una delle molle portanti dell’esperienza scrittoria via via maturata e po-sta in divenire dal Salutati.

Soffermarsi con maggiore attenzione, in questa, specifica sede, sul primo dei tre nuclei concettuali appena proposti si-gnifica, di fatto, avviare una riflessione, concreta e specifica, su quelle che Coluccio dimostra essere, con evidente chiarezza e senza ombra alcuna di dubbio, le potenzialità comunicative e scrittorie della lingua di Roma, da lui rivisitata, arricchita, potenziata e fatta entrare a pieno titolo nella nuova ed artico-lata sensibilità, letteraria e filosofica, dell’Umanesimo in fase di esordio.

Questo, in sintesi, l’aspetto che pare emergere con mag-giore chiarezza, almeno in base ad un’ottica di carattere pret-tamente linguistico e letterario e soprattutto in base ai dati ed

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alle peculiarità che caratterizzano, in tal senso, le lettere prese in esame all’interno del presente contributo, ovvero le cinque epistole che Coluccio ebbe modo d’indirizzare a Petrarca tra l’11 settembre 1368 ed il 14 agosto 1369.

Carteggio, quello qui riproposto, di cui c’è già stato modo di occuparsi in due precedenti contributi4, ma che in questa specifica sede verrà posto al centro di una più generale rifles-sione relativa alla fama di Coluccio come scrittore e come in-terprete originale e consapevole dell’importanza dell’impiego di una latinitas personalizzata e frutto di un tirocinio costante ed assai metodico, in buona parte legato all’attività di raffinato ed abile burocrate di stato svolta dallo stesso negli anni decisivi tanto per la sua formazione personale che per il congiunto svi-luppo della sua carriera5, di cui le cinque epistole indirizzate a

4 Ovvero, e rispettivamente, Facundissime vir, potentissime senex. Coluccio Salutati a Petrarca, Morlacchi Editore, Perugia 2014, monografia di caratte-re introduttivo alla corrispondenza epistolare tra il Cancelliere e l’autore del Secretum, e Diu herentem calamum. Il carteggio Salutati-Petrarca, Morlacchi Editore, Perugia 2015, opera avente come oggetto il testo delle undici lettere che compongono il carteggio in questione, ovvero le cinque scritte dal Saluta-ti a Petrarca, le cinque indirizzate da Coluccio a suoi contemporanei ed aventi come tema il Petrarca, nonché l’unica epistola di risposta di quest’ultimo. Il volume comprende, tuttavia, anche un’appendice dedicata ad un’analisi dei numerosi passi dell’Epistolario nei quali sono presenti riferimenti (diretti e non) al Petrarca.5 Alle circa novanta lettere che, suddivise in quattro libri, compongono il primo volume dell’edizione del Novati, infatti, vanno aggiunte le altre ot-tantacinque che, suddivise nei libri quinto, sesto ed ottavo, compongono il secondo volume dell’Epistolario, ma non vanno dimenticate le rimanenti cen-toventiquattro contenute nel terzo volume e suddivise tra i libri nono-tredi-cesimo. Restano dunque da considerare le ultime lettere della serie, ovvero le ventiquattro che compongono il libro quattordicesimo e che compongono, unitamente alle dieci Epistole aggiunte, il primo tomo del vol. IV dell’edizione del Novati, mentre il secondo tomo dello stesso contiene per lo più lettere scritte a Coluccio da altri autori, ed è proprio all’interno di quest’ultimo che

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Francesco Petrarca e qui di seguito riportate costituiscono un esempio significativo.

Considerazione valida, quest’ultima, tanto dal punto di vi-sta del comune asse concettuale che le connota e le identifica, che da quello, in realtà maggiormente rarefatto e complesso, dell’impiego di più stili e di più formule espressive, in alcu-ni casi connesse anche a delle scelte prettamente innovative, fondate sul progressivo e variopinto dispiegarsi di un usus scri-bendi tipico dell’umanista Salutati e della sua spiccata abilità espressiva, ovvero, ed in sintesi, le doti che forse più di altre concorrono ad ispirare – e via via a diffondere – la chiara fama di Coluccio come scriptor e come uomo capace d’interagire, sempre e comunque, nell’ottica di un progressivo e dinamico arricchimento tanto delle indiscusse potenzialità del latino che dell’efficacia di quest’ultimo in vista del suo utilizzo continua-tivo e consapevole, progressivamente maturato all’interno di dinamiche e di contesti sempre maggiormente individuabili come settori di riferimento in base alle prospettiva future che di lì a poco si sarebbero letteralmente spalancate.

Punto di riferimento ed ambito privilegiato di ricerca, tam-to per il presente, che per i due precedenti contributi, il No-vati, che ci fornisce delle importanti considerazioni in merito alla struttura, alla natura ed anche alla tipologia dell’opera da lui stesso curata, ovvero un niente affatto trascurabile sforzo editoriale interamente teso a rendere leggibili e consultabili quegli importanti documenti redatti da Coluccio fra il 1367 ed il 13746, ovvero quando, dopo essersi allontanato dai luo-ghi natii, nei quali aveva egregiamente svolto la professione di notaio, (1353-1366), egli iniziò la propria, importante attività

si trova la lettera di risposta del Petrarca.6 Inclusi nel primo volume dell’Epistolario.

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di cancellierato presso il comune di Todi (1367), per poi di-venire, in quanto amico del Bruni, anche segretario pontificio (1368-1371)7, bruciando così le tappe di una carriera, lettera-ria e diplomatica, destinata ad imprimere delle orime indele-bili nel terreno del nascente Umanesimo italiano, fino a creare un vero e proprio ambito specifico di ricerca e, con il passare del tempo, anche d’imitazione, stanti le regole generali poste in essere dal Salutati spesso ed in seguito scelte ed accettate dagli altri umanisti come punto di riferimento.

Attraverso il corposo Epistolario di Coluccio, che segna una tappa significativa nell’uso del latino come strumento veico-lare di comunicazione e di scambio di opinioni e di punti di vista tra gli intellettuali dell’epoca, è infatti possibile constatare come e quanto il disegno politico-istituzionale coltivato dal Cancelliere di Stignano passasse, in primis, attraverso un’im-portante filosofia interpretativa ben chiara e ben definita, in virtù della quale il ruolo di Coluccio come scriptor egregius e come dicti studiosus si esprime in tutta quanta la sua visibile e plastica efficacia, per cui l’attenzione per quanto svolto dall’au-tore in qualità di rerum inventor può arrivare a costituire, più in generale, la molla dell’interesse precipuo per le più impor-tanti soluzioni stilistiche, espressive e formali poste in essere all’interno di dinamiche ben definite e ben chiare non solo ai

7 Divenuto, dunque, secondo cancelliere, egli svolgerà egregiamente tale incarico all’interno della repubblica di Lucca (1370-1371), fino a tornare a Stignano (1371-1373?). Le lettere in oggetto – avverte dunque il Novati – sono complessivamente ottantanove e si riferiscono ad una fase senza dubbio assai importante della Storia d’Italia e delle implicazioni che la stessa ebbe con la Storia della Chiesa; esse si trovano ad essere comprese nel primo volume dell’Epistolario,che comprende i libri I-IV; il quarto, in particolare, riguarda le lettere che Salutati, oramai a Firenze in qualità di cancelliere redasse, come espressione del nuovo incarico, dal 1375 al 1380 (Cfr. F. Novati, Avvertenza all’Epistolario di Coluccio Salutati, cit., Roma 1891 vol. I, p.1).

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diretti interlocutori, ma anche a quanti, in qualità di fruitori immediati e non, si sono lasciati coinvolgere, e quindi affasci-nare, da un così importante sistema di equilibri e di scambi reciproci, posti alla base di una nascente forma di res publica, nonché di una particolare modalità d’intendere lo Stato e le sue modalità di affermazione.

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I.

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1.1 Prima lettera al PetrarcaMontefiascone, 11 settembre 13681

Un facundissime vir, ovvero un uomo che, vuoi per lo sconfinato prestigio personale che già da un lungo arco

di tempo lo contraddistingue, vuoi per l’immensità della sua sapientia, è sempre in grado di suscitare entusiasmi sopiti, nonchè di riaccendere desideri quasi dimenticati, visto che è ancora capace di far vibrare gli interlocutori di trepida ammi-razionee di ben motivato stupore.

È dunque egli il potentissime senex cui Coluccio guarda con grande speranza in primis da un punto di vista più stret-tamente e direttamente personale, salvo poi estendere la ri-flessione e il discorso su un piano più ampio, più esteso e persino più elevato, soprattutto in relazione a dei temi di va-lore più chiaramente oggettivo, con i quali il Salutati, anche per via del suo prestigioso incarico di cancelliere, era comun-que chiamato a confrontarsi e sui quali si sarebbe dovuto non solo pronunciare, ma sarebbe anche dovuto intervenire in senso politico e diplomatico, animato com’era da un pro-fondo e lodevole senso dello Stato e della sua organizzazione.

Petrarca è infatti riuscito laddove altri hanno fallito, ov-vero è stato così abile da suscitare di nuovo in lui un auten-

1. Coluccio Salutati, Epistolario, II, IV, ed. a cura di Francesco Novati, Roma 1891 vol. I, pp. 61-62.

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tico e significativo impulso allo scrivere, uno stimolo che, in base ad un’aspirazione più estesa, risvegliando la sua mano intorpidita ed avente come obiettivo essenziale la situazione, disdicevole e disastrosa, in cui sono venute a trovarsi Roma e l’Italia, anche a causa dell’illegittimo protrarsi della vacatio del Papato, da troppi anni oramai vittima dell’inganno avi-gnonese, va dunque a coincidere, anzi quasi a combaciare, con le più che doverose aspirazioni ed attese che chiamano in causa, attorno al problema Italia e delle possibili soluzioni dello stesso, gli spiriti più pensosi e le intelligenze più attente e sensibili del tempo, tra i quali tanto l’elaborazione teori-ca del problema che eventuali idee di composizione avevano trovato (e seguitavano ad incontrare) parecchia attenzione.

Un atto senza dubbio coraggioso, dunque, quello di avere affidato alla carta, e nella forma dello stile epistolare, il de-siderio fondamentale che anima non soltanto questa prima lettera, ma anche le quattro successive, e che è poi possibile rintracciare anche qua e là all’interno di altri luoghi e passi dell’Epistolario, giungendo così ben presto a costituire una sorta di corpus d’ispirazione politica semisistematica e non scevro da alcuni elementi essenziali che ricordano il trattato politico, di cui già il primo Umanesimo stava inziando ad offrire, all’epoca del Salutati, alcuni, interessanti esempi.

Decisive e senza dubbio efficaci risultano, pertanto, anche le parole con le quali il Cancelliere intende narrare, ripro-porre, ma anche descrivere, e dopo averli più ripetutamente interpretati, i sentimenti che più degli altri egli avverte es-sersi venuti a collocare in posizione decisamente preminen-te, proprio nel momento in cui impugna la penna ed avvia una corrispondenza nella quale decide d’investire una buona parte del proprio ingegno ed una porzione considerevole del prestigio derivante dal ruolo istituzionale da lui rivestito in

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qualità di funzionario statale con incarichi di un certo peso e con un’identità pubblica da incrementare e da rendere sem-pre più stabile e visibile, in particolar modo all’interno di una fase tutt’altro che lineare e composita della vita politica della Signoria di Firenze e dell’Italia tutta.

Quanto fin qui detto può in effetti essere meglio argo-mentato e dimostrato proprio a partire dalla seguente affer-mazione, cui non sarebbe sbagliato attribuire tanto un valo-re programmatico, ivi compreso il ruolo assunto da alcuni connotati di carattere applicativo, soprattutto in relazione all’importante tema del pudore suscitato dalla considerazio-ne della grandezza del Petrarca e dell’indubbia inferiorità di Coluccio, quanto un valore interpretativo, in un certo senso più direttamente riconducibile all’efficacia ed all’incisività del motivo della fama, di cui è difficile poter fare a meno, in particolar modo se s’intende davvero poter arrivare ad attin-gere alla dimensione di un’azione politica intenzionalmente venutasi ad estendere su orizzonti ben più dilatati ed estesi.

Titubabat enim ingenium in tanti iudicis prodire con-spectum, eo magis quia et oculo et fama, que profecto de me nulla esse potest, tibi totaliter eram incognitus, scrive dunque Coluccio in questa lettera, legittimamente e significativa-mente preoccupato di rivolgersi ad un uomo della statura del Petrarca come ad un perfetto sconosciuto, ovvero come qualcuno che risulta totalmente e del tutto ignoto ad un sif-fatto interlocutore, e tutto questo nonostante la buona dose di benevolenza grazie alla quale l’aveva consalutato in una sua lettera al Bruni (vidi enim in fine litterarum tuarum, quas nuper a te recepit dominus meus, Franciscus Bruni, salutatio-nem, qua me consalutari optabas, in qua et me amicum appel-labas) avesse comunque fatto rinascere energicamente in lui la speranza e l’audacia di poter ancora osare in questo senso,

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a tal punto da ridare energia e vigore alla sua sopita vocazione allo scrivere, tanto da tornare così a muovere, e con rinnovata energia, la torpentem manum.

Assai intenso e vibrante risulta, inoltre, l’ardore animi di cui è intinto l’entusiasmo con cui Coluccio annuncia al Pe-trarca una dichiarata volontà di volerlo incontrare di perso-na prima o poi, anche sulla base dell’importanza del ruolo che egli presuppone possa essere svolto in tale ambito da un uomo del calibro del Boccaccio.

Innegabile risulta, inoltre, la visibile e tangibile comunan-za d’intenti e di vedute in base alla quale, afferma esplici-tamente Coluccio, rivolgendosi appunto al Petrarca con la solennità di un plurale frutto di un tono unanime e corale, omnes enim admiramur et diligimus tuam virtutem, come a voler indicare l’effettiva importanza dell’individuazione di un modello stabile di riferimento, su cui fondare l’inizio di un’importante intuizione di carattere programmatico, ovvero quanto di fatto reperibile dopo attento esame tanto delle po-sizioni assunte dal Petrarca stesso che dal ruolo per così dire semistituzionale conferitogli da più parti e consapevolmente legittimato da Coluccio.

Quest’ultimo, infatti, in quanto esperto cancelliere ed uomo politico animato da una chiara consapevolezza dell’im-portanza tanto delle responsabilità affidategli che delle deci-sioni ancora da assumere di volta in volta e caso per caso, alla luce delle necessità del singolo momento, ma anche in con-siderazione delle prospettive più innediate e maggiormente degne di attenzione, non teme i possibili effetti di un rischio forse anche troppo grande per lui e preferisce così intervenire in prima persona, scegliendo comunque di gettarsi coraggio-samente nella mischia piuttosto che restare in una condizio-ne di poco lodevole e, anzi, addirittura umiliante, isolamen-

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to, ovvero una situazione tutt’altro che consona e funzionale alla tempra del Salutati ed all’indiscussa molteplicità dei suoi polivalenti interesse di carattere erudito, letterario, linguisti-co e politico, in alcuni casi direttamente connessi all’incarico svolto in qualità di Cancelliere ed in altri, invece, frutto di una più marcata e spiccata volontà di affermazione personale negli ambiti della comunicazione letteraria e della filologia.

Ne consegue, pertanto, che, sicut enim inopinatus dolor, sic et insperata iocunditas validius mentem movet, il potersi rivolgere effettivamente al Petrarca costuisce per lui, in quel preciso momento ed in quella specifica condizione, una vera alternativa strategica, oltre che un’importante scelta di carat-tere operativo, cui va inoltre a collegarsi anche un’ulteriore, anche se più filosoficamente calibrata e ponderata, riflessione sull’importante tema del riposo, ovvero quanto Coluccio in-troduce e chiama in causa, citando esplicitamente un invito in precedenza rivoltogli dal Petrarca, e da lui visto come un chia-ro e spiccato segno di attenzione e persino di predilezione.

Tutto questo risulta inoltre direttamente connesso ad un insopprimibile, quanto prezioso, stimolo a riprendere a scri-vere, perchè è proprio in questa nobile attività che si po-tenziano e si sviluppano al meglio le energie mentali e gli interessi letterari, in particolar modo quelli più direttamente legati ad interessi e ad attività politiche contingenti, ovvero realtà e dimensioni con le quali il Cancelliere di Stignano è chiamato a confrontarsi, e Petrarca gli offre non pochi spunti per interpellare se stesso e gli altri in merito alla condizione particolarmente disastrata, contraddittoria e controversa, in cui versa l’Italia del sec. XIV.

Gli ultimi due spunti che contrassegnano l’epistola in oggetto, ovvero l’aver infine chiamato in causa l’accesso del Petrarca alla Curia Romana, così come l’aver definito in ma-

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niera assai lusinghiera Papa Urbano V come christicolarum sidus vanno infine a completare un’epistola che può essere a buon diritto presa in considerazione come documento effi-cace ed autorevole illustrazione di un’impostazione legata ad un indubbio taglio politico, nonchè sorretta da un palese in-tento civile, ovvero due degli aspetti maggiormente ricorrenti all’interno dell’Epistolario del Salutati e comunque destinati a tracciare un solco dominante non solo dal punto di vista del movimento e del confronto delle opinioni, ma anche in con-seguenza degli svariati meccanismi di riflessione, di dibattito e di variegato confronto che da tutto ciò può ampiamente derivare e da cui sarebbero scaturite, a tutti gli effetti, le linee generali dell’azione politica, imminente e futura che fosse.

La lunga, articolata e bene strutturata interrogativa con cui si conclude l’epistola in oggetto e qui di seguito riportata può infatti aiutare a comprendere meglio quanto detto, dopo aver fornito ulteriori elementi di riflessione e d’indagine tan-to della volontà che ha spinto il Salutati ad agire che dell’ef-fettiva consistenza del suo spessore istituzionale e politico:

quid aliud dicam vel optem, nisi sic tibi favere superos quod et illum videas et illo potiaris et nos te, ne hec lumina tui appetentissima, te non viso, claudantur?

Quasi che, in sostanza, il desiderio, anzi l’anelito, di po-ter una buona volta incontrare il Petrarca de visu costituisse, in sostanza, un reale motive per sopravvivere e, nel contem-po, un effettivo stimolo a tener duro, seppure all’interno di molteplici e svariate contraddizioni, ma sempre in vista del raggiungimento dell’obiettivo primario e fondante su cui poggiare l’intero edificio della comunicazione epistolare e letteraria, ovvero porre l’accento e, nel contempo, concorrere anche a richiamare l’attenzione su quanto di più importante

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costituisce l’essenza della politica, ovvero l’idea centrale della ricerca di una soluzione che risultasse davvero applicabile e funzionale alla particolare situazione del momento storico.

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26 AlessAndro CesAreo | Titubabat enim ingenium

Celebri Petrarce merito laureato domino suo

1 Facundissime vir, diu herentem calamum trepidumque ad te dirigi invito mentis calore detinui, ac aures tuas crocitanti strepitu infestare pudebat. 2 titubabat enim ingenium in tanti iudicis prodire conspectum, eo magis quia et oculo et fama, que profecto de me nulla esse potest, tibi totaliter eram incognitus. 3 quamquam iamdiu audaciter nimis atque pueriliter scripserim, nescio tamen si ad te littere pervenerunt; puto enim, et eo gavi-sus sum, te illas minime recepisse. 4 nunc autem, vir egregie, unico verbo prebuisti trepidanti audaciam et torpentem manum celeriter excitasti. 5 vidi enim in fine litterarum tuarum, quas nuper a te recepit dominus meus, Franciscus Bruni, salutatio-nem, qua me consalutari optabas, in qua et me amicum appel-labas2. 6 quod etsi mirum michi visum sit, quia tamen optanti prona solet esse fides3 et tantum virum adulari aut scribere quod non sentiat nefas foret, credidi et id arbitror mediante forsitan Boccacii tui opera <accidisse>, quem studiosissime colere, imo adorare consuevi;

2. Cfr. Petrarca, Sen. XI, 2 (in fine): Colutium, cuius me verbis salutasti, ut salvere iubeas precor, et talem tibi operum participem obtigisse gaudeo, utrique requiem obtigisse gavisurus magis, quamvis gloriosum laborem magnis delectatio-nibus abundare non dubitem. sed id amicis optare soleo quod mihi. vale. Patavi, .xii. cal. augusti.3. OV. ars 3, 673: Prona venit cupidis in sua vota fides. Cf. CAES. civ. 2, 27, 2: quae uolumus ea credimus libenter.

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27I. Le cInque Lettere dI coLuccIo aL Petrarca

All’illustre Petrarca, suo signore,meritatamente insignito dell’alloro poetico

1 Contro il vivo desiderio del mio spirito ho trattenuto a lungo la penna, esitante e trepidante, dall’essere diretta a te, o uomo dall’eccezionale eloquenza, ed avevo pudore di infastidi-re le tue orecchie con uno strepito gracchiante. 2 L’ingegno era infatti assai titubante davanti alla possibilità di apparire al cospetto di un così importante giudice, e ciò soprattutto per il fatto che io ti risultavo assolutamente sconosciuto sia di persona che per fama che certamente non esiste, almeno a mio riguardo. 3 Sebbene da lungo tempo io abbia scritto con l’eccessiva audacia di un fanciullo, non so, tuttavia, se la mia lettera ti sia giunta; ritengo infatti, e per questo mi sono pro-fondamente rallegrato, che tu nonl’abbia affatto ricevuta. 4 Ora, invece, uomo illustre, con un’unica tua parola hai infuso audacia a chi trepidava ed hai contribuito a svegliare con gran-de velocità la mano che dormiva. 5 Ho visto, infatti, nella conclusione d’una tua lettera che di recente ha ricevuto da te il mio signore, Francesco Bruni, l’atto di congedo nel quale tu chiedevi di risalutarmi e nel quale mi chiamavi amico. 6 E ciò, anche se mi è sembrato sorprendente, ma tuttavia l’ ho cre-duto, perché siamo predisposti a credere in ciò che speriamo, e perché sarebbe inconcepibile che un uomo della tua grandezza mi adulasse o avesse scritto ciò che non ha nell’animo; e credo che ciò sia accaduto con molta probabilità grazie alla media-zione del tuo Boccaccio, che io ho sempre avuto l’abitudine di venerare con grande rispetto, anzi addirittura adorare.