Sándor Márai: uno scrittore narratore dell’appassimento ...

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Sándor Márai: uno scrittore narratore dell’appassimento del mondo Sándor Márai: uno scrittore narratore dell’appassimento del mondodi Giuseppe Baiocchi del 12-10-2020 Sándor Károly Henrik Groschenschmied de Mára, noto al pubblico italiano semplicemente come Sándor Márai, non viene considerato propriamente un autore della finis Austriae, ma se si vuole parlare di Mitteleuropa, non si può ignorare colui che fu uno dei più grandi autori magiari, anche lui – nonostante un nazionalismo mal celato – nostalgico dell’Impero dell’Austria-Ungheria. In questo scrittore vi è infatti tutta l’atmosfera mitteleuropea in un pulviscolo di attesa, dove tempo e psiche si intrecciano in un abbraccio meraviglioso. La sua residenza in via Mikó a Buda era protetta da dodici castagni, di cui solo uno rimane oggi. Un’agenzia di viaggi ora opera nello stesso posto in cui nessuno dei venditori ha letto Márai, nonostante ci sia un busto solitario con il suo nome accanto. Nessuno dà informazioni su di lui negli uffici turistici, il suo nome non compare nelle guide di viaggio e i suoi libri scarseggiano negli antiquari. È come se Budapest insistesse per ignorarlo. Dai commenti sussurrati dei librai si scopre che Sándor Márai è ancora indesiderabile per i nostalgici del vecchio regime,

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Sándor Márai: uno scrittorenarratore dell’appassimento delmondoSándor Márai: uno scrittore narratore dell’appassimento del mondodi GiuseppeBaiocchi del 12-10-2020

Sándor Károly Henrik Groschenschmied de Mára, noto al pubblico italianosemplicemente come Sándor Márai, non viene considerato propriamente unautore della finis Austriae, ma se si vuole parlare di Mitteleuropa, non si puòignorare colui che fu uno dei più grandi autori magiari, anche lui – nonostante unnazionalismo mal celato – nostalgico dell’Impero dell’Austria-Ungheria. In questoscrittore vi è infatti tutta l’atmosfera mitteleuropea in un pulviscolo di attesa,dove tempo e psiche si intrecciano in un abbraccio meraviglioso.

La sua residenza in via Mikó a Buda era protetta da dodici castagni, di cui solouno rimane oggi. Un’agenzia di viaggi ora opera nello stesso posto in cui nessunodei venditori ha letto Márai, nonostante ci sia un busto solitario con il suo nomeaccanto. Nessuno dà informazioni su di lui negli uffici turistici, il suo nome noncompare nelle guide di viaggio e i suoi libri scarseggiano negli antiquari. È comese Budapest insistesse per ignorarlo. Dai commenti sussurrati dei librai si scopreche Sándor Márai è ancora indesiderabile per i nostalgici del vecchio regime,

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anche se l’Ungheria si è sbarazzata del Cremlino più di due decenni fa. Tuttavia,in mezzo a tanta indifferenza, c’è un uomo che ha dedicato metà della sua vita arecuperare la memoria di Sándor Márai. Si chiama Tibor Mészaros, lavora alMuseo di Letteratura Petöfi.

Nato a Kassa nel 1900 – oggi Košice nell’attuale Slovacchia – Márai appartenevaad un’antica famiglia sassone della piccola nobiltà ungherese (ricevente daLeopoldo II, il feudo di Mára nel 1790) anche se si considerò per tutta la vita econ orgoglio un borghese ungherese. Ma un piccolo-grande inganno che spesso sitravisa del magiaro è la sua considerazione di borghesia, spesso confusa ad artedallo stesso autore: Márai quando si riferisce alla sua “grande famiglia”, intendepropriamente la piccola nobiltà terriera dalla quale proveniva. Anche lui, cometutti gli autori dell’Europa danubiana, possiede una cultura a trazione austro-tedesca, indice di come l’Impero possedeva sì molte etnie e lingue al suo interno,ma la formazione della classe dominante era tedesca – non a caso prima linguaufficiale dell’Impero –, nonostante l’Ungheria esercitò un importante ruolo diimplosione politica con il processo della magiarizzazione: un fenomeno pari alsionismo di matrice ebraica, l’irredentismo italiano e altri piccoli focolainazionalistici disgregatori.

Larga parte della sua produzione di successo arrivò alcuni decenni dopo la finedel secolare Impero della Monarchia Duale, dove i suoi scritti si presentano conatmosfere assorte e contenute. I protagonisti vengono coinvolti in un flussoemotivo che si dipana con gradualità. Nel famoso romanzo A gyertyák csonkigégnek (Le Braci del 1942) i due uomini che rimettono in gioco la propriapersonale esistenza e amicizia – dopo 41 anni –, verranno sapientemente divisiproprio dall’elemento temporale, il quale trascorre inesorabile e fa sì cheentrambi abbiano amato in quel lontano passato la stessa donna, fra tradimenti,desiderio di vendetta e separazioni impossibili da rimarginare.Nel celebreromanzo Eszter hagyatéka (L’eredità di Eszter del 1939) stilato anch’esso alleporte della seconda guerra mondiale, continua la psicologia dell’attesa. Ogniparola viene «pesata» e il segreto della narrazione si espande, dilatandosinell’attesa del ritorno dell’uomo follemente amato dalla donna che lo aspetta davent’anni, ma dal quale non ha avuto che delusioni e opportunismi. È la psicheche accende il racconto, con accesi pensieri passionali da parte della protagonista– tutta femminile – e retropensieri, verso la vita passata. L’interlocutore, moltospesso, non è necessario; a Sándor Márai non interessa. In Az igazi (La donna

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giusta del 1941) i tre apparenti dialoghi sono in realtà riflessioni solitariesull’amore inseguito e su quello vissuto, ma si percepisce l’instabilità dei rapportiche parallelamente viene unita alla fermezza della Vienna imperiale e regia in cuiil romanzo è ambientato. Il magiaro penetra nei sentimenti di un’epoca ormaisull’orlo della conclusione, lo splendore della Mitteleuropa e la sua Austria felix.Particolari le descrizioni di austerità dell’alta borghesia austriaca, la qualeparallelamente annuncia la sua imponenza nelle vibrazioni di una società cheseguiva cadenze più private, più intimistiche rispetto agli stravolgimenti e allenuove modalità di comunicazione che si sarebbero imposti di lì a poco. LeggereMárai, significa comprendere l’orgoglio ferito di tutta una classe sociale: quelladella piccola nobiltà terriera mitteleuropea.

La dignità viene costantemente inserita in una situazione di pericolo e ancora unavolta «il tempo» non funge da elemento positivo, ma da contraltare negativo dellevicende, poiché crea una presa di contatto con una sofferenza meditata a lungo,ma sopita spesso nel passato. Non assistiamo a romanzi d’azione, ma d’emozionee d’atmosfera. Il sentimento umano è al primo posto rendendo le opere letterarie«lontane» apparentemente, dalla sensibilità contemporanea di concepirel’esistenza e le relazioni, le quali mostrano nitidamente le trasformazioni che lasoggettività dell’esperienza ha subito nell’ultimo secolo. Ne sono un esempio leopere che narrano la sua vita: Egy polgár vallomásai (Le confessioni di unborghese del 1934-35), Föld, föld…! (Terra, terra…! del 1972) e Csöndbenakartam lenni (Volevo Tacere del 1943). Con tali autobiografie Sándor Márai si èrivelato poeta delle intermittenze del cuore e sismografo della catastrofenovecentesca, guadagnandosi un posto di prima fila nella psico-storiografia dellaMitteleuropa, accanto ad altri grandi ungheresi, anch’essi esiliati, come ArthurKoestler (1905 – 83) e François Fejtö (1909 – 2008). Difatti per uno scherzo deldestino, la sua vita sarà divisa in due «esistenze» di pari durata, ma vissutediversamente, quasi in opposizione. Abbiamo un «primo periodo» pieno disuccesso nazionale, viaggi alla scoperta del continente – di quell’Europa cosìdiversa dalla sua Mitteleuropa –, di una vita spirituale piena e colma di socialità;di contro il «secondo periodo» – comprendente tutto il post 1939 – ècaratterizzato dalla crisi del soggetto, dalla solitudine crescente, che porteràl’autore alla fuga in povertà, fino al suicidio americano di San Diego del 1989.

All’interno di questa cornice – come nei suoi racconti – vi è il sentimento umanoche torna sempre verso l’ultimo bastione che non crolla: l’Impero Duale di Franz

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Joseph. Il grande letterato registra impassibile la fine della civiltà aristocratica –la quale segue quella borghese, entrambe anime della Mitteleuropa scomparsa,umiliata e ferita –, pur consapevole che quella tragica conclusione comporteràanche la sua dipartita. Un atteggiamento di sdegnosa fierezza, perfettamenteripreso nella statua che gli è dedicata nella sua città natale, ad opera dalloscultore (slovacco) Márian Gladis.

Statua dello scrittore magiaro Sandor Marai, presso Kosice in Slovacchia.

Tale consapevolezza è presente nel già citato romanzo La Donna giusta, dove sidescrive – con grande potenza – la fine del mondo mitteleuropeo: «Il vecchiosistema cominciava a barcollare… […] quella che mi raccontava era anche unafavola, una storia dell’altro mondo. Di un mondo al quale sarebbe piaciuto anche ame dare una sbirciata, il paradiso dei ricchi… Ma io non ero mai riuscito adandare oltre le camere da letto. Le gran dame non mi avevano mai invitato né insalotto né in sala da pranzo. […] oramai la lotta di classe è arrivata alla fine, e chestiamo vincendo noi proletari. I signori stanno solo cercando di prendere tempo,di tirare le cose per le lunghe. […] Davvero ho vinto io, il proletario? […] Ho unamacchina, una bella vedova irlandese, la tivvù, il frigorifero… Ho perfino unacarta di credito, insomma, sono un vero signore, un gentleman. Mi sono fattoappioppare tutta questa roba, a credito. E se un bel giorno mi venisse losghiribizzo della cultura, mi comprerei anche dei libri. Ma mi trattengo, perchénei tempi duri della mia vita ho imparato che è meglio non avere troppe pretese.Anche senza bisogno di libri ho l’impressione che ormai, al giorno d’oggi, la lottadi classe non infuria più per le strade. Il proletario è ancora proletario, e ilsignore continua ad essere signore. Ma adesso si affrontano in maniera diversa.Sa il diavolo com’è che siamo arrivati a questo punto, ma una volta succedeva che

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il proletario sgobbava fino a che riusciva a mettere insieme tutto quello cheserviva al signore. Adesso è invece il signore che si scervella per trovare il mododi convincere me, il proletario, a consumare tutto quello che produce lui, ilborghese. Mi vuole imbottire di ogni genere di roba, come l’oca per la festa diS.Martino, mi vuole fare ingrassare per bene, perché lui riesce a rimanereborghese solo se io il proletario, mi metto a comprare tutto quello che lui cerca disbolognarmi. Che mondo pazzo chi ci si raccapezza più?… Perché qua mi si vuoleappioppare ogni sorta di carabattole, a credito. To’, una macchina!… la tengoparcheggiata qui all’angolo, la mia macchina nuova. Quando ci salgo e la accendo,mi torna in mente che cosa voleva dire una macchina per me quando eropischello!… Ero un ragazzetto scalzo e restavo come fulminato già soltanto se perla strada mi passava accanto un tiro a due, a cassetta ci stava il cocchiere, con ilgilè con i bottoni dorati e una berretta con la frangia, che faceva schioccare lafrusta come gli sbirri i ceffoni. La carrozza era tirata da due cavalli, era così cheviaggiavano i signori! Ma adesso nel mio carro di cavalli ce ne stannocentocinquanta. […] Di sabato ogni tanto mi faccio un giro con la vedova, andiamoin riva al mare, lì ci mangiamo un hamburger, ma non scendiamo nemmeno, e perandare dove?… Poi di nuovo a casa. Però la macchina ci vuole, per lo status. […]Perché ormai è tutto mio, del proletariato […]. Quando sono arrivato in questopaese, in questa enorme America, non avevo il becco di un quattrino. E adessoinvece? Guardami bene, dalla testa ai piedi, che tu ci creda o no, la sacrosantaverità è che oggi ho la bellezza di ottomila dollari di debiti! Provaci tu, bello mio![…] Perché io ho fatto carriera nel mio campo, sono un vincente, un verosignore!… E se aspetti ancora un po’ anche tu avrai un tosaerba, e pure uno diquei forni elettrici che cuociono il polpettone con una luce rossa, in manierascientifica. E tutto quanto a credito, perché il borghese ha la lingua penzolonidalla smania di farti diventare un vero signore, proprio te, il proletario. Te labeccherai pure tu la febbre del consumismo, come me la sono beccata io, come lepecore la rogna». Il lettore assaporerà così sprazzi di Impero, alcune frasi, undialogo – senza un nitido contesto – a cui ci si possa aggrappare, per avere unrilievo narrativo: una scoperta individuale che non chiude mai a nuoveinterpretazioni.

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Gli affetti personali di Sándor Márai in esilio: il cappello di feltro verde, la pipainseparabile, il portafoglio di pelle, il coltellino svizzero e la penna che ha tradottoin parole il flusso immaginifico dei suoi romanzi.

Sándor Márai fu anche un conservatore del “Bel Mondo”, dal quale proveniva:una realtà a tinte nere-oro. Difatti l’aristocrazia e l’alta borghesia, primadell’avvento dei totalitarismi, erano eredi dell’umanesimo occidentale, sospeso tral’arroganza feudale, tipica della nobiltà, e le tendenze rivoluzionarie delproletariato. Si definirà «borghese» sempre con atteggiamento di sfidacoraggiosa, verso una nuova terribile realtà, la quale fu portatrice di morte edisperazioni non solo al piccolo mondo agiato dello scrittore, ma – nel 1939 – siestese ben oltre ogni limite immaginabile. Pur rimpiangendo l’Impero, vissutodurante la placida infanzia, l’ungherese fu un patriota, dimostrando il suoattaccamento – nonostante le origini sassoni, con nome originario Grosschmid,mutato legalmente in Márai nel 1939 – nei duri anni quaranta. Fu con questospirito che Márai, si impegnò nel rimanere fedele sempre alla sua linguaungherese, la quale – durante le occupazioni tedesche e russe – lo condannò aquell’emarginazione che non conobbero i Nabokov e i Koestler, passati all’inglese,i Cioran, gli Ionesco, i Fejtö e i Kundera, divenuti scrittori francesi, il Canettibulgaro-tedesco, l’italo-polacco Gustaw Herling e molti altri ancora. Lo scrittoreiniziò a peregrinare attraverso l’Europa: prima in Germania, dove soggiornò aLipsia, Francoforte, Weimar e Berlino, successivamente Parigi e Londra. Non siriscontrano lunghe permanenze a Vienna ed è forse per tale motivo che vienedefinito, da alcuni, uno «scrittore europeo». Di contro definirei taleinterpretazione discutibile, proprio perché l’atmosfera della finis Austriae si

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ritrova in moltissimi dei suoi scritti, i quali hanno come ambientazione le duecapitali imperiali, Vienna e Budapest. Lo stesso Márai, legato alla sua lingua e allasua cultura propriamente mitteleuropea, si definirà sempre uno straniero in casad’altri, anticipando lo stesso Albert Camus con il suo romanzo Lo straniero, doveappare il dramma del sentirsi sempre “fuori posto” e non far parte maipienamente di una comunità e di un popolo. L’ambientazione dei Cafe, degliappartamenti, delle piazze, dei costumi non rivestono solo il ruolo di una meracomparsa sterile finalizzata ai personaggi, ma acquisiscono, all’internodell’autore, una consapevolezza interiore del suo mondo scomparso per sempre:in tale veste Sándor Márai è da considerarsi, a livello letterario, pienamentemitteleuropeo.

Lo scrittore magiaro ci segnala anche la crisi della famiglia e dell’educazione chela nuova società impartiva. Nel suo piccolo capolavoro, Divorzio a Buda (1935), ciricorda l’importanza dell’organicità che la Chiesa Cattolica riusciva a dare neiconfronti dell’educazione dei ragazzi: «Padre Nobert gli aveva dato quello che ilpiù delle volte nemmeno una madre è capace di dare, nemmeno la famiglia,nemmeno i fratelli: con tatto e oculatezza, il genio pedagogico di padre Norbert loaveva posto sotto la protezione di una comunità umana. Lì ogni individuo sentivadi appartenere a qualcosa, a un luogo, ecco il semplice obiettivo da raggiungere.[…] A quei tempi era in voga l’educazione di matrice psicoanalitica, e i figli dellefamiglie borghesi erano tenuti sotto costante controllo psicologico, protetti,avvezzati a nutrimenti spirituali – la pedagogia moderna proibiva ai genitori icastighi, i burberi divieti, la parola d’ordine era spiegare, permettere e informare.Kristóf Kőmíves era convinto di essere un padre buono e coscienzioso pur nontenendo conto di quei nuovi precetti educativi. Aveva compreso che era “tuttol’insieme” a risultare decisivo, il clima familiare, il fatto stesso di essereinteriormente, profondamente, una vera famiglia nella quale il padre, madre efiglio si stringono l’uno all’altro. E se era questa concordia interna a tenere unitala famiglia, i genitori avrebbero anche potuto litigare, i bambini avrebbero anchepotuto ricevere qualche castigo, la mamma distribuire qualche ceffone, il padreessere di cattivo umore, burbero o taccagno, la famiglia nel suo insieme sarebbeugualmente rimasta unita, nessuno avrebbe tremato, e i bambini non avrebberosubito alcun trauma dagli scappellotti paterni».

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Il passaporto dello scrittore.

Ed ancora sul divorzio: «Dopo alcuni anni di pratica con le cause di divorziosentiva che, fra tutti i compiti di un giudice, il suo era il più ingrato; con maniprofane si doveva unire e sciogliere là dove in precedenza solo Dio univa esoltanto Egli poteva dividere. […] anche lui chinava il capo quando pronunciava lasentenza, poiché sapeva che le sue parole rispecchiavano soltanto una leggeumana, e quel che dichiarava era contrario allo spirito della legge divina. […] Edopo, tanti anni, a volte gli pareva di aver già visto tutti i malanni di questa terra:dalle pratiche di divorzio, come da una goccia di sangue infetto, si rivelavanomorbi segreti che affliggevano l’intero organismo, emergeva la sindrome delladecomposizione della famiglia […] dubitava che l’uomo potesse ancora esserecapace di risanare: esistevano forse una speranza, una guarigione diverse daquelle che Dio manda agli uomini»?

Ma ben presto, come documentano con scansione degna di un thriller le pagine diTerra, terra…! fu chiaro che non restava altra via che l’esilio. Così ci descriveminuziosamente il regime comunista che si era installato con la forza in Ungheria:«Gli stalinisti volevano contrabbandare il comunismo nell’Occidente europeo perpoi – quando e come fosse stato possibile – controllarne le risorse industriali etecniche. […] I russi, inoltre, erano spinti dall’ossessione messianica di portare ilcomunismo al di là dei confini dell’Unione Sovietica. […] Stalin e gli stalinisti, checon l’imperialismo comunista avevano provocato dapprima la resistenzaspirituale, morale e poi – in Polonia, nella Germania dell’Est, in Ungheria – quella

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fisica, si comportarono in modo incomprensibile per i contemporanei. Con unastrategia non aggressiva, con la maschera del socialismo, avrebberoprobabilmente ottenuto risultati migliori che col terrore attuato dalla costrizionecomunista, sia nei paesi “satelliti” sia in Occidente e altrove. […] In quel periodoin Occidente era già comparso qualche libro che faceva luce sulle purghestaliniane. I testimoni oculari sfuggiti ai finti processi, alle “autoaccuse”morbosamente pubblicate – tra cui c’erano anche molti comunisti che davanonotizie di comportamenti disumani basandosi su esperienze personali dirette –scrivevano libri la cui pubblicazione aveva un’eco in Occidente. La propagandaufficiale comunista, com’è ovvio, denigrava aspramente queste testimonianze,definendo gli autori dei fedifraghi patentati, rinnegati, prezzolati, scribacchini alsoldo delle potenze imperialiste. Ma con il passare del tempo emerse il dubbio chegli stalinisti, si rallegrassero in segreto per quelle denunce, che non provocavanosoltanto l’indignazione dei “compagni di strada” occidentali, ma anche la pauradelle masse. E a parlare erano i testimoni oculari, con dimostrazioni convincenti,uomini turbati che una volta avevano creduto nel comunismo e poi si erano dovutirendere conto di cosa fosse in realtà questo sistema. E sostenevano che ilcomunismo non tollera critiche, tentennamenti, revisionismi liberali. Non habisogno di adepti “idealisti ed entusiasti” che poi restano delusi perché la realtà lidisinganna, ma colpisce spietatamente e sistematicamente tutti coloro checoncepiscono il bolscevismo in maniera diversa da come esige l’ortodossia. Per icomunisti, che erano buoni strateghi e facevano progetti a lunga scadenza, simililibri erano utili, perché dimostravano all’uomo comune che opporsi era inutile,che non ci si poteva difendere dai metodi e dagli strumenti di sistema. I comunistisapevano che tale sistema poteva funzionare solo in un clima di paurapermanente e perciò disapprovavano a voce alta quei libri che segretamenteapprovavano, fregandosi le mani, poiché attestavano l’irresistibile forza delterrore. Non volevano e neanche potevano sperare nell’esistenza di un uomopensante il quale, pur avendo conosciuto concretamente il comunismo, ne fosseancora entusiasta: a loro bastava la paura che quelle testimonianze generavanonelle vittime.Non temevano di non essere amati. Temevano solo di non essere temuti.L’ossessione messianica slava era solo in parte all’origine della strategia diaggregazione bolscevica, fulminea e senza riguardi, che aveva provocato laguerra fredda. In realtà i comunisti non temevano l’Occidente, che ritenevanocorrotto, fiacco e maniacalmente bisognoso di sicurezza (e in questo spessoavevano ragione), né paventavano i fascisti con i quali, al cambiar del vento, ci si

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poteva sempre accordare, ma temevano il proprio sistema, il comunismo.Sapevano che un sistema fondato sull’inganno e la prepotenza poteva esseremantenuto solo perpetuando inganno e prepotenza – e che il solo mezzo perottenere ciò era la minaccia perenne del terrore. Temevano la situazionenazionale interna, che dopo la seconda guerra mondiale si era radicalmentemodificata: dopo l’isolamento e l’ignoranza totali dei primi tre decenni eraarrivata l’ora in cui frotte di soldati rientrati dall’Occidente riferivano che altrisistemi e altri metodi potevano produrre – velocemente e con risultati migliori –benessere per le masse e condizioni più degne per l’uomo. […] Una simile spinta èirresistibile, al pari di una catastrofe naturale, un terremoto. E perciò siaffrettarono dappertutto, anche in Ungheria, a realizzare il comunismo: sapevanoche il tempo sarebbe rimasto loro alleato solo finché potevano incutere paura allemasse. Temevano che a un certo momento la gente potesse smettere di averepaura della paura (nella tabella oraria del terrore questo momento ha un tempopreciso) e cominciasse a protestare.Erano spietati e avevano fretta anche perché nella storia, fra tante altre cose, eracomparsa la radio a batteria. Non avevano ancora valutato il ruolo della radio apile – che invia informazioni nelle regioni più lontane di un impero su quello chesta succedendo nel mondo in quell’istante – nei processi storici. La radio è ingrado di svelare in pochi secondi menzogne ben radicate: ad esempio quellasecondo cui un’utopia concepita cento anni prima e completamente ammuffita esorpassata possa ancora essere realizzata concretamente nell’interesse dellemasse lavoratrici.I nazisti furono tradotti davanti ai tribunali speciali, detti popolari, e coloro che sidifesero dichiarando di aver solo “eseguito degli ordini” vennero giustiziati. Incasi particolari, quando c’era bisogno di uomini senza scrupoli, li si graziò e li siinquadrò nelle file del potere comunista. […] Vissi un anno e mezzo inquest’atmosfera, che conobbi non per sentito dire o dai libri, ma attraversol’esperienza quotidiana. […] In quel periodo appariva ancora qualche giornaledell’opposizione. Le case editrici e i teatri non erano ancora stati nazionalizzati. Icomunisti – muniti di cronometro – lavoravano con prudenza: facevano a pezzi ilcorpo della nazione articolazione dopo articolazione, come un sapiente professorequando seziona le membra del corpo umano nel corso di un esame di anatomiapubblico. Cercavano di risparmiare gli organi più nobili, i nervi più importanti, matagliuzzavano e sezionavano le viscere con pinze e forbici. Nessuno sapeva fino aquali profondità sarebbero arrivati, talvolta sembrava che nemmeno i comunistisapessero fino a che punto avrebbero potuto affondare il bisturi nel corpo vivo.

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Avevano ricevuto l’ordine da Mosca; probabilmente avevano anche ricevuto leistruzioni per la messa in pratica, ma al tempo stesso avevano paura di indugiarein inutili scrupoli di coscienza, poiché la responsabilità finale era loro, dei tecnicimandati da Mosca. Se qualcosa fosse andato storto, se il malato fosse mortodissanguato o avesse cacciato un urlo, avrebbero dovuto risponderne loro. Perquesto lavorarono un anno e mezzo con l’attenzione del ragno che tesse la tela.[…] Non lo si poteva percepire subito, ma tutti i giorni il Ragno produceva un filo.Ora i libri di testo, ora la scuola. Ora i lavori pubblici. […] Oggi scompariva unuomo, domani una vecchia, solida istituzione. Oppure un’idea. […] Quello cheancora ieri era la norma – partiti politici, libertà di stampa, vita senza paura,libertà di opinione – c’era anche il giorno dopo, era soltanto più esangue, comedurante certe notti di angoscia, quando gli elementi della realtà quotidianacontinuavano a vivere benché più pallidi. […] Eppure vi era qualcosa di piùimportante del posto di lavoro e del pane. Una cosa che, pur nell’estremo bisogno,per la maggior parte degli uomini è più importante di tutte quelle che puòperdere in una grave prova: la stima di sé.

La Rivoluzione ungherese del 1956 schiacciata dalle forze sovietiche.

Dopo tante menzogne e logore parodie, le persone avevano riconosciuto la realtà:quanto pericolo ci fosse nell’essere costretti ad accettare quello in cui non

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credevano. Si voleva che accettassero sinceramente ciò che disprezzavano. E sivoleva togliere loro l’unico bene rimasto, più importante del ruolo sociale, delbenessere, della carriera: il diritto di essere uomini degni di questo nome, uominiche costruiscono e migliorano la società nella quale intendono vivere.Ed era proprio questo quel che voleva il Ragno: succhiare dalla vittima tutto ciòche somigliava alla consapevolezza umana. Come avevano fatto i nazisti nei campidi concentramento, dove le vittime, ridotte a livelli subumani, non solo venivanouccise e soffocate dal lavoro ma, attraverso umiliazioni e torture, avrebberodovuto perdere il senso della coscienza e della dignità umana. I nazisti indefinitiva, si accontentarono, “modestamente”, di annientare fisicamente leproprie vittime. I comunisti volevano qualcosa di più e di diverso: esigevano che lavittima restasse in vita e che celebrasse il sistema che annientava in lei lacoscienza umana e la stima di sé».

Dopo il suo quarantottesimo compleanno, l’undici aprile del 1948, lo scrittoreungherese scelse la fuga dal suo Paese, ma per il periodo storico – degli annicinquanta – coloro che «sceglievano la libertà» erano spesso visti come rinnegatie reietti. Basti pensare che i tre principali attori della politica filo-tedescadell’Ungheria erano già usciti di scena: Bethlen, deportato a Mosca, vi morì incircostanze mai chiarite nell’ottobre 1945; Szalasi fu processato e impiccato aBudapest nel marzo 1946; Horthy, che era stato arrestato e deportato daitedeschi nel 1944, fu brevemente imprigionato poi rilasciato dagli americani allafine della guerra e si spense in esilio in Portogallo nel 1957. Molti loro seguaci sidistinguevano per lo zelo con cui militavano nei ranghi del nuovo regime. Undissidente come Márai diventava un testimone scomodo. Fu così che il giovanescrittore di successo, divenne un esule del destino. La sua trasformazione fisica lotestimonia ampiamente, e anticipando lo scacco amaro di un cancro, abbracciò ilsuo tragico destino, che portò l’autore ad un amaro suicidio oltreoceano il 21febbraio del 1989.

Per approfondimenti:_Márai S., (1935 – 1939), Divorzio a Buda, Adelphi, Milano, 2002;_Márai S., (1934 – 1935), Confessioni di un borghese, Adelphi, Milano, 2003;_Márai S., (1941), La Donna giusta, Adelphi, Milano, 2004;_Márai S., (1934 – 1935), Terra, terra!, Adelphi, Milano, 2005;_Márai S., (1942), Le braci, Adelphi, Milano, 2008;

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_Márai S., (1949 – 1950) Volevo tacere, Biblioteca Adelphi 666, Milano, 2017;_Zweig S., (1942), Il mondo di ieri, Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2016.

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