Le politiche del lavoro in Europa

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Rapporti di lavoro, politiche attive,sistemi di apprendimento continuo e di protezione sociale Un confronto tra i Paesi della UE (a cura di Matteo Degasperi – Osservatorio del Trentino OPES)

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una comparazione tra i diversi Paesi della Ue riguardo le norme sui rapporti di lavoro, le politiche attive, l'apprendimento continuo e i sistemi di protezione sociale. A cura di Matteo Degasperi (Osservatorio del Trentino)

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Rapporti di lavoro, politiche attive, sistemi di apprendimento continuo e di protezione sociale

Un confronto tra i Paesi della UE

(a cura di Matteo Degasperi – Osservatorio del Trentino OPES)

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Disciplina dei rapporti di lavoro e tipologie contrattuali

AustriaNel mercato del lavoro austriaco esiste una flessibilità numerica sostanziale: le imprese private possono assumere con grande facilità, grazie alle ridotte limitazioni nelle relazioni contrattuali (dal punto di vista del datore di lavoro). L’elemento più rigido riguarda le procedure di licenziamento che prevedono un periodo obbligatorio di preavviso di 3 mesi. La mobilità occupazionale è elevata (circa 1/3 di tutti i lavoratori che interrompono il loro rapporto professionale nell’arco di 12 mesi). Nel Paese non ci sono disposizioni che proibiscono l’organizzazione funzionale del luogo di lavoro; vi è l’unico obbligo da parte del datore di lavoro di informare le organizzazioni sindacali sui progetti organizzativi. In tema di flessibilità numerica interna, le imprese hanno la facoltà di modificare secondo le loro esigenze l’orario di lavoro; vi è poi l’assenza di limitazioni quantitative nel rapporto tra tipologie contrattuali a tempo indeterminato/determinato e quelle a tempo parziale. La flessibilità retributiva è trattata asimmetricamente nel contesto del diritto del lavoro nazionale: un datore di lavoro è libero di offrire un aumento salariale fino a che lo ritenga adatto. Una sua riduzione è consentita previo l’accordo delle parti sociali.

BelgioGli indicatori più recenti (Eurobarometro 2006) denotano una mobilità lavorativa e geografica estremamente ridotta rispetto alla media europea. In Belgio un elevato numero di soggetti non ha mai cambiato il proprio lavoro, la durata media della medesima prestazione professionale è pari a 10 anni. Il diritto del lavoro nazionale considera il rapporto a tempo indeterminato come lo standard applicabile, mentre il contratto a tempo determinato è rigidamente disciplinato in rapporto alla durata minima ed al suo rinnovo. In questo contesto esistono alcune deroghe, riferite al sistema dei voucher (che ha permesso l’inserimento lavorativo di circa 30.000 persone), un sistema di lavoro dipendente che non gode di limitazioni, né per la durata minima, né per eventuali proroghe. Per quanto riguarda la flessibilità salariale, non esistono dati empirici, sebbene alcune ricerche nazionali mostrino come 1/4 delle imprese (con più di 10 dipendenti) nelle regioni fiamminghe applichino un regime retributivo variabile, in funzioni delle performances individuali del singolo lavoratore.

CroaziaIl Paese ha avuto fino al 2003 una legislazione sul lavoro molto rigida, specialmente nella disciplina dei rapporti a tempo determinato e nei licenziamenti collettivi. Con la riforma del codice del lavoro nel 2003 si è assistito ad una semplificazione delle procedure, alla riduzione del periodo di preavviso e al pagamento della liquidazione (che non può eccedere di sei volte la retribuzione media percepita dal lavoratore nei tre mesi antecedenti la cessazione del rapporto di lavoro). Per i licenziamenti collettivi è stata prevista la redazione di un piano di ridondanza 90 giorni prima dell’avvio del processo di ristrutturazione, da concordarsi con le associazioni di categoria ed il centro per l’impiego. Nel Paese non tutte le tipologie contrattuali vengono definite come rapporto di lavoro e così non vengono disciplinate dal Codice del lavoro. Questo non considera coloro che sono inquadrati con

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contratti a termine (di breve durata) come lavoratori, pur avendo la necessaria contribuzione obbligatoria regolare.

DanimarcaI ridotti vincoli nella contrattazione collettiva risalgono al 1899, con la stipula dell’Accordo generale tra le parti sociali, che da allora definisce i diritti del datore di lavoro nella gestione dell’impresa (compresi i diritti di assunzione e di licenziamento della manodopera) assieme ai diritti delle parti sociali riconosciute come interlocutori di riferimento nelle negoziazioni sui salari e sulle condizioni di lavoro. Agli stessi partner sociali è consentita la negoziazione sulla tutela occupazionale e sulle norme concernenti i congedi: quest’ultimo aspetto risulta variare secondo i settori e i gruppi di lavoro (i manovali possono beneficiare di un solo giorno, mentre gli operai invece sono assimilati agli impiegati).In tema di licenziamento, la disciplina del preavviso stabilisce un termine che oscilla da tre mesi (se il rapporto di lavoro si è protratto fino a tre anni), a sei mesi (se il rapporto di lavoro si è protratto oltre i nove anni). La Danimarca ha messo assieme la libertà di licenziare con forti indennizzi economici e con un fortissimo stato sociale: in breve, nel Paese si può licenziare con grande facilità, ma non può mai capitare che un lavoratore che perde il posto di lavoro cada in povertà. Non esistono dispositivi specifici riguardanti il pubblico impiego, poiché questo è disciplinato come il settore privato.

EstoniaNel Paese il dialogo sociale è poco sviluppato, la partecipazione sindacale è pari al 16% di tutta la forza lavoro e la copertura della contrattazione collettiva è del 21% rispetto a tutta la contrattazione realizzata. La legge per la contrattazione occupazionale del 1992 disciplina le norme inerenti assunzioni e ai licenziamenti, assieme alle limitazioni per la stipulazione di contratti a termine, periodo di preavviso, pagamento della liquidazione. Il costo sostenuto per le procedure di licenziamento collettivo, per la bancarotta e lo stato di insolvenza, viene sostenuto dai contributi pagati dai datori di lavoro al sistema di assicurazione generale contro la disoccupazione. Poiché non esistono regole contrattuali ben definite, il mercato del lavoro è frammentato, con una larga percentuale della manodopera inquadrata con rapporti a tempo determinato. A partire dal 2005 la percentuale di tale tipologia contrattuale si è ridotta al 16,5% sul totale, anche perché il lavoro a tempo determinato non è stabilito su base volontaria. Attualmente è in fase di definizione il nuovo dispositivo legislativo sulla contrattazione collettiva, contenendo una disciplina più flessibile dei rapporti di lavoro.

FinlandiaA seguito della depressione economica degli anni Novanta, la diffusione del rapporto di lavoro basato sulla stipula di tipologie contrattuali ordinarie si è ridotta in favore dell’adozione di nuove forme di lavoro atipico, tra le quali il contratto a tempo determinato, lo staff leasing ed il part time. Secondo le statistiche retributive relative al 2006, nel Paese il 75% dei lavoratori che percepiscono un reddito è a tempo indeterminato (con una riduzione del 10% rispetto al 1995), con una percentuale di contratti a termine e a tempo parziale che, nel settore privato, ha raggiunto il 28%, mentre l’utilizzo di lavoratori interinali ha raggiunto nel 2006 il valore pari all’1%.

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Recentemente è stata implementata la tutela occupazionale dei lavoratori atipici, attraverso l’obbligo di pagamento della retribuzione durante il periodo di malattia e di studio, durante rapporti di lavoro di brevissima durata. La legge sulle ferie annuali è stata modificata per permettere ai lavoratori part time di avere diritto alla compensazione sulle ferie. Per incrementare l’occupabilità è stata ridotta l’imposizione fiscale nel 2005, semplificando la tassazione sul reddito conseguito e riducendo i margini di idoneità legata al reddito per i benefici e l’assistenza sociale. Le procedure di licenziamento non sono cambiate significativamente nel corso degli anni, il periodo di preavviso varia da 14 a 6 mesi, in base all’anzianità di servizio prestata.

FranciaLa Francia è caratterizzata da una regolamentazione del mercato del lavoro (norme contrattuali, regole di licenziamento, durata dell’orario di lavoro) relativamente rigida. Se il contratto a tempo indeterminato resta la tipologia d’impiego più diffusa sul territorio, per affrontare la crisi occupazionale che si è verificata negli anni Novanta, il Governo ha introdotto molteplici tipologie contrattuali derogatorie alla normale consuetudine, che hanno reso il contesto tanto più complesso per via dell’aumento delle cause di ricorso. Il rinnovo del contratto a tempo determinato è stato reso possibile per la durata massima stabilita in 36 mesi, con la possibilità di stipularlo in funzione della particolare natura dell’incarico professionale, ma anche in base alle esigenze del datore di lavoro. Questo tipo di contratto è ormai diventato uno strumento standard per l’assunzione (disciplina infatti il 70% dei primi impieghi), accompagnato da una semplificazione delle politiche per l’occupazione, contribuendo all’aumento delle possibilità offerte dal mercato del lavoro. Inoltre costituisce un trampolino sistematico verso il rapporto a tempo indeterminato: il 29% dei contratti a tempo determinato viene trasformato in un contratto a tempo indeterminato dopo un anno, il 22% dopo due anni. La realizzazione del Contratto di Nuovo Impiego (CNE), rivolto alle imprese con meno di 20 dipendenti, può essere considerata come una prima traduzione concreta di contratto unico; presentato dal Governo come uno strumento emblematico della flexicurity alla francese, il CNE si basa infatti sul principio di un periodo di prova lungo (due anni). In materia di lavoro a tempo parziale, le disuguaglianze sono evidenti: dal 1982 al 2002, si è constatato un aumento del numero di lavoratori dipendenti a tempo parziale da 2 a 3,9 milioni, di cui l’80% costituito da donne. Non soltanto le persone che lavorano ad orario ridotto sono in media vittime di un differenziale di reddito orario del 17%, rispetto ai lavoratori dipendenti a tempo pieno, ma i diritti sociali sono più deboli. Un importante processo di riforma è stato realizzato attraverso l’accordo sulla modernizzazione del mercato del lavoro (siglato nel mese di gennaio 2008), incentrato su tre punti:• allungamento del periodo di prova;• creazione di una nuova tipologia di contratto di lavoro a tempo indeterminato ma collegato al completamento di un particolare progetto;• adattamento dei contratti standard a tempo indeterminato.

GermaniaUn approccio alla flexicurity simile al sistema olandese o danese non esiste nel Paese. Il diritto del lavoro riguarda principalmente le normali tipologie contrattuali (“Normalarbeitsverhaltnis”), che includono il contratto a tempo indeterminato come elemento di normalità.

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La legge di Promozione dell’Occupazione ha permesso la stipulazione (a partire dal 1985) di contratti a tempo determinato, senza le restrizioni precedentemente esistenti. A partire dal 1996 la durata media di tale prestazione è stata estesa a 24 mesi; ciò nonostante la crescita di tale disciplina contrattuale è stata limitata. A seguito delle riforme “Hartz” introdotte nel Paese, la Germania ha assistito ad una rapida espansione del lavoro temporaneo, grazie anche alla costituzione delle PSA, agenzie per la ricollocazione di disoccupati di lunga durata. Di fronte al logoramento del sistema della contrattazione collettiva, molti sindacati di categoria si sono confrontati con la forte domanda per una maggiore flessibilità. In generale, tale esigenza è stata giustificata con l’esigenza di una competitività crescente del sistema economico e le conseguenti ricadute occupazionali negative. Di conseguenza una maggiore flessibilità lavorativa e salariale è stata compensata da patti per l’occupazione, siglati a livello aziendale. Nel 2007, il 25% delle imprese con più di 20 dipendenti ha costituito tali patti, il 55% ha realizzato performances negative, contro il 20% che ha ottenuto buoni risultati. I patti sono validi per un periodo compreso tra 19 mesi e 3 anni. Le clausole aperte in tali accordi consentono in generale la non osservanza di alcuni principi della contrattazione collettiva, per un periodo limitato di tempo e previo parere favorevole delle parti sociali. Poiché in Germania a seguito dell’unificazione si è assistito a massicci fenomeni di licenziamenti collettivi da parte delle imprese dell’Est, sono state costituite imprese per la creazione di occupazione (Beschaftingungsgesellschaften), che hanno consentito il raggiungimento di sufficienti livelli di protezione occupazionale e la realizzazione di percorsi formativi di riqualificazione professionale. Contestualmente lo strumento dell’“impiego strutturale a breve termine” ha permesso la transizione verso un mercato del lavoro più flessibile, riducendo i rischi ad esso associati.

GreciaLa legislazione di Protezione per l’Occupazione (EPL) è su livelli sostanzialmente elevati in Grecia. In base alle stime più recenti, la percentuale di lavoratori a tempo determinato sul totale occupazionale non si discosta dalla media degli altri Paesi dell’Unione europea. La durata media della prestazione lavorativa presso lo stesso datore di lavoro risulta essere superiore alla media UE di 13 anni, a causa di una ridotta mobilità professionale, scoraggiata dalla segmentazione del sistema di protezione sociale nazionale. Il pacchetto di riforme presentato nel 2000 ha introdotto una nuova legislazione (2874/2000) volta a stimolare l’offerta e gli incentivi all’occupazione formale. Gli incentivi possono individuarsi in misure di sostegno al part time, nella limitazione del lavoro straordinario, nello schema per l’annualizzazione delle ore di lavoro, nella riduzione del lavoro settimanale da 40 a 38 ore, nel contributo governativo al pagamento della contribuzione sociale erogata dai datori di lavoro nei confronti dei percettori del salario minimo garantito. La legge 3227 del 2004 ha introdotto nuove misure di promozione dell’occupazione volte a diminuire i contributi datoriali per l’assunzione di giovani donne con figli, la riduzione della contribuzione per l’assunzione di giovani disoccupati (fino a 25 anni). Inoltre, sempre questa legge sancisce il finanziamento di una somma equivalente al sussidio di disoccupazione, per quelle imprese che assumono soggetti titolari di tale beneficio. La legge 3385 del 2005 stabilisce nuove regole per lo svolgimento del lavoro straordinario e per l’orario normale di lavoro. Entrata in vigore il primo ottobre del 2005, consente l’esecuzione fino ad otto ore supplementari con una maggiorazione del 25%. In tale contesto, anche le ore settimanali superiori alla 48ma vengono considerate straordinarie.

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IrlandaIl Paese si caratterizza inoltre per una ridotta tassazione, un limitato approccio interventista da parte del Governo e misure proattive per l’identificazione dei bisogni e delle necessità. Attraverso un percorso negoziale con le parti sociali coinvolte, nel 2006 è stato siglato l’Accordo “Towards 2016” per la definizione delle principali politiche sociali, fiscali, reddituali ed economiche, per il decennio che intercorre tra il 2006 ed il 2016. Sebbene il termine flexicurity non appaia in tale accordo, i suoi elementi di base sono in esso presenti. L’attenzione si è incentrata principalmente sulla riforma e la modernizzazione del pubblico impiego, l’adozione di un approccio più moderno al lavoro e la promozione di metodi innovativi per venire incontro alla domanda di servizi, assieme alla ricerca di una maggiore efficienza ed efficacia nell’erogazione degli stessi. Il Governo ha inoltre concordato di costituire un Fondo triennale per l’innovazione sul luogo di lavoro per consentire ai partner istituzionali e sociali coinvolti di realizzare e perseguire un forte impegno nell’innovazione dei processi di lavoro, incoraggiando lo sviluppo di nuove metodologie basate sui partenariati e mirate all’incremento della flessibilità e dei risultati conseguiti.

ItaliaFin dalla fine degli anni Novanta il mercato del lavoro italiano ha sperimentato profondi cambiamenti. I due principali elementi di questo processo sono il “Pacchetto Treu” del 1997 e la “Legge Biagi” del 2003; entrambe le misure mirano ad incrementare la flessibilità del contesto lavorativo nazionale, a scapito – pur con delle differenze - di una ridotta attenzione verso il principio della sicurezza. Sul sentiero della regolamentazione del lavoro, molte tipologie contrattuali sono state introdotte o modificate, tra cui i contratti a tempo determinato, l’apprendistato, gli stage, i contratti d’opera, il lavoro a chiamata, il lavoro ripartito, assieme a differenti tipologie di collaborazione coordinata (continuativa, a progetto, occasionale). Il Libro Bianco del 2001 è sembrato essere improntato sui principi della flexicurity, con l’obiettivo principale di trasferire il sistema di tutele dalla garanzia occupazionale alla piena occupazione durante tutta la vita attiva. Tali sviluppi del mercato del lavoro italiano hanno condotto alla realizzazione di due aree nella forza lavoro stessa: la prima, caratterizzata dai titolari di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con un elevato livello di protezione sociale e un’alta contribuzione previdenziale; la seconda costituita da contratti a termine, carriere intermittenti, salari comparativamente più bassi e scarso livello di partecipazione sindacale. I lavoratori atipici rappresentano la categoria più giovane e quella meglio istruita (il 30% di essi sono laureati), con una percentuale di donne superiore a quella degli uomini. sebbene il diffuso utilizzo dei contratti flessibili è principalmente servito come strumento per migliorare la competitività dei prezzi a breve termine e non come incentivo per convertire i principali settori verso contesti più innovativi e di qualità. Sebbene il processo di riforma del mercato del lavoro, proposto a luglio del 2007, non sia stato ancora tradotto operativamente, l’armonizzazione del sistema di welfare nazionale dovrebbe ridurre l’eccessiva spinta ad assumere su base temporanea per la riduzione del costo del lavoro, piuttosto che su principi di pura flessibilità.

LettoniaLa Lettonia possiede una legislazione del lavoro moderna. L’attuale codice del lavoro è entrato in vigore nel giugno del 2002, incorporando molti principi sanciti a livello europeo in materia di occupazione, assieme ad altre disposizioni provenienti dalla Carta Sociale Europea e dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro.

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L’elemento centrale che disciplina il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore è rappresentato dal contratto, sebbene il Paese detenga ancora un’elevata percentuale di lavoro sommerso, sia per la preferenza da parte dei datori di lavoro di erogare salari “ufficiali” più bassi e di integrare la differenza in contanti, sia per la rigidità che ancora permea tutto il sistema e che contraddistingue in particolare le forme non tipizzate del lavoro. I contratti a tempo parziale e quelli a tempo determinato vengono raramente utilizzati; ciò fa della Lettonia uno dei Paesi UE con la più bassa percentuale di soggetti inquadrati in tali tipologie (21,8%, rispetto alla media UE del 41%). Il Paese non dispone di adeguate agenzie private per l’intermediazione e per il lavoro temporaneo.

LituaniaIl sistema recente di legislazione del lavoro è stato introdotto nel 2003 con il nuovo Codice del Lavoro (LC) e con l’adozione di risoluzioni collegate, che hanno consentito di liberalizzare molteplici aspetti del rapporto di lavoro. Attualmente, nonostante le nuove opportunità individuate, non si sono poste le condizioni per la loro realizzazione, a causa della ridotta organizzazione del lavoro, della scarsa efficacia delle politiche del lavoro, e di un sistema fiscale sfavorevole alla creazione di posti di lavoro. Le attuali disposizioni legali, così come le circostanze economiche e sociali, stanno influenzando il ridotto livello di utilizzo di tipologie occupazionali flessibili: la ridotta consistenza della forza lavoro, la relativa legislazione liberale in termini di licenziamenti, la rigidità nella disciplina del rapporto di lavoro a termine hanno come conseguenze ridotte possibilità occupazionali a tempo determinato nel Paese. Inoltre, dal 2003 la percentuale dei lavoratori part time è progressivamente diminuita, sia per ragioni oggettive (bassi salari), sia per motivi soggettivi (scarse capacità organizzative ed amministrative). Infine, nel mese di ottobre del 2004 è stata emanata la legge sui Consigli di Lavoro che mira a rafforzare l’istituto della rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale.

Paesi BassiI Paesi Bassi possono essere considerati come uno dei primi utilizzatori del termine relativo alla flessibilità del mercato del lavoro, con un primo modello identificabile nell’Accordo di Wassenaar nel 1982, che ha introdotto un moderato incremento salariale, maggiore spazio per i contratti part time al fine di consentire una certa redistribuzione del lavoro. A partire dal gennaio del 1999 è stata introdotta la legge sulla Flessibilità e sulla Sicurezza, che intende creare un effettivo bilanciamento tra la capacità dei datori di lavoro di amministrare con elasticità le loro imprese, fornendo al contempo la sicurezza del reddito e del lavoro. Tale norma consente da una parte la regolarizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, con l’automatica trasformazione in tempo indeterminato dopo tre proroghe consecutive; dall’altra parte rafforza la posizione del lavoratore atipico, garantendo una tutela particolare per coloro che sono impegnati in attività sindacali. Contemporaneamente sono state date maggiori opportunità alle agenzie di somministrazione nel fornire un gruppo di lavoratori esterno alle imprese, in grado di rispondere alle temporanee esigenze che il contesto economico è in grado di richiedere. In tema di durata della prestazione professionale, la norma sancisce l’obbligatorietà di notifica anticipata (28 giorni) in caso di modifica dell’orario di lavoro. Nel 2006 il Parlamento ha raggiunto un accordo sulla semplificazione della legge sull’orario di lavoro, concedendo maggiore

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autonomia negoziale in tal senso e incrementando la durata massima di ore lavorative giornaliere a 12 ore.

PoloniaTra il 2002 ed il 2003 sono state introdotte una serie di modifiche al Codice del Lavoro ed alla disciplina delle relazioni contrattuali, da cui si evince che non sussistono barriere giuridiche nell’incremento della flessibilità organizzativa del lavoro; tali modifiche consentono addirittura la realizzazione di prestazioni professionali su basi differenti da quelle stabilite nel contratto vero e proprio. Non esistono limiti all’utilizzo di forme non standardizzate di rapporti di lavoro. Tali barriere si riferiscono principalmente alle consuete tipologie contrattuali (specialmente a quelle a tempo determinato) e, nell’opinione dei datori di lavoro, la più grossa limitazione è riscontrabile nella tutela contro i licenziamenti. Il Paese possiede un equo e flessibile meccanismo di negoziazione delle retribuzioni, particolarmente decentralizzate nel settore privato. Gli accordi collettivi di lavoro sono raramente conclusi, spesso nella forma di accordi aziendali, mentre al di fuori delle imprese risultano essere infrequenti. Nelle società con rappresentanze sindacali, le vertenze relative alla negoziazione salariale sono svolte al di fuori di queste, con le principali modifiche limitate da indici incrementali stabiliti a livello centrale.

PortogalloIl Portogallo ha assistito alla pubblicazione del nuovo Codice del Lavoro nel 2003, che ha consentito la possibilità di concludere la contrattazione collettiva quando prima ciò non era possibile, prevenendo la natura transitoria di tali accordi e garantendo la realizzazione dei suoi effetti, anche senza la presenza di un eventuale arbitrato. Nel corso del 2006 sono inoltre stati siglati tre accordi nell’ambito del Comitato Permanente del Dialogo Sociale: l’accordo sull’implementazione della formazione professionale, l’accordo tripartito sulla protezione contro la disoccupazione, l’accordo di riforma dello stato sociale. Il mercato del lavoro del Paese appare abbastanza frammentato, con un utilizzo spesso illegale dei contratti a tempo indeterminato, ed è caratterizzato dalla riluttanza mostrata dalle imprese private nazionali nell’utilizzare tale tipologia contrattuale a compensazione dell’elevata protezione al lavoro nel PortogalloRepubblica CecaGli indicatori sulla legislazione di protezione al lavoro (EPL) denotano come la Repubblica Ceca risulti essere uno dei Paesi con le condizioni più rigide in termini di licenziamento di singoli lavoratori con contratti a tempo indeterminato; solo la Slovacchia ed il Portogallo hanno sistemi ancor meno flessibili. La discrepanza tutt’ora esistente tra tipologie contrattuali a termine e a tempo indeterminato è uno degli elementi per cui le organizzazioni sindacali osteggiano la disciplina dei contratti a tempo determinato; in altre parole, ciò avviene per via di tale segmentazione del mercato del lavoro, in cui le possibilità di stabilizzazione sono estremamente ridotte. Una delle novità recentemente introdotte riguarda il tetto massimo di durata di un rapporto di lavoro a termine: 24 mesi; altra novità concerne la durata massima di un rapporto di lavoro ottenuto mediante le agenzie di intermediazione (12 mesi). Il nuovo codice del lavoro, entrato in vigore nel mese di gennaio 2007, non è stato in grado di rimediare alla debolezza delle condizioni contrattuali dei lavoratori, dovute alla flessibilità

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contrattuale, mantenendo così inalterate le condizioni per il licenziamento del personale dipendente.

Repubblica SlovaccaLa Slovacchia è uno dei Paesi che recentemente hanno semplificato la legislazione sulla protezione del lavoro, con l’obiettivo di sviluppare l’occupazione. Il principale obiettivo del nuovo codice del lavoro, entrato in vigore il 1° luglio del 2003, è stato quello di assicurare una maggiore flessibilità nelle relazioni occupazionali, limitando il carattere coercitivo del diritto del lavoro. La durata dell’orario di lavoro è stata deregolamentata, ed è stata stipulata una durata massima pari a 48 ore settimanali per lavoratore. Precedentemente risultava essere di 58 ore, comprese quelle straordinarie. Il nuovo dispositivo ha consentito ai datori di lavoro di disegnare l’orario di lavoro uniformemente o meno tra le settimane, stabilendo inoltre un limite massimo di ore straordinarie da svolgere (150 all’anno), assieme ad una deroga di 250 ore aggiuntive da svolgere complessivamente tra tutti i dipendenti. La legge ha fornito un quadro maggiormente dettagliato sulla cessazione del rapporto di lavoro, consentendo ai datori di lavoro l’interruzione contrattuale in caso di palese violazione disciplinare o reato penale. Il nuovo codice del Lavoro stabilisce il periodo di preavviso in due mesi (da ambo le parti), se non concordato diversamente in accordi collettivi. Qualora un datore di lavoro receda da un contratto durato oltre cinque anni, il periodo di preavviso sale a tre mesi. La legge prescrive il pagamento di una liquidazione pari a due mesi di retribuzione se un contratto di lavoro è stato interrotto per motivi organizzativi o per cause di malattia del lavoratore, qualora quest’ultimo sia favorevole al recesso senza preavviso. La legge ha ridefinito le tipologie contrattuali del part time e del lavoro a tempo determinato. I datori di lavoro possono adesso liberamente concludere, prolungare o rinnovare contratti di lavoro che ricadono sotto queste tipologie. Sono stati aboliti alcuni tipi di contratti a termine, e sostituiti con una nuova tipologia basata sul ridotto orario settimanale (fino a 40 ore per settimana). Allo stesso tempo, la nuova legislazione ha ridotto la protezione per i lavoratori in caso di cessazione del rapporto di lavoro stipulato con un orario inferiore alle 20 ore settimanali.

Regno UnitoAllo stato attuale, il Paese è secondo solo agli Stati Uniti nel detenere la legislazione più ridotta in termini di protezione occupazionale e questo aspetto è la principale caratteristica del modello liberale anglosassone. Con il passare del tempo e con la legislazione introdotta, è stato costituito un mercato del lavoro estremamente flessibile, sia dal punto di vista dei datori che dei lavoratori. Per i primi sussistono poche regole da osservare, rendendo la contrattazione ed il potere di assunzione e di licenziamento facili da gestire. In relazione a ciò, nel Paese il costo del lavoro è relativamente ridotto e vi è una bassa imposizione fiscale. La protezione occupazionale nel Paese risulta essere ridotta, misurata come un aggregato di tre differenti misure: la protezione dei lavoratori a tempo indeterminato contro i licenziamenti individuali, specifiche richieste per i licenziamenti collettivi e disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato. Ciò è basato sul principio che un mercato del lavoro semplificato è in grado di sviluppare la competitività, concedendo ai datori di lavoro la libertà di espandere o ridurre il proprio personale in base alle esigenze della domanda e dell’offerta. Mentre i rapporti individuali sono di breve durata, maggiori opportunità occupazionali sono create a livello aggregato. Per i lavoratori, l’ultimo decennio è stato caratterizzato dall’adozione di numerose misure per la promozione della flessibilità della contrattazione individuale, al fine di ridurre la segmentazione

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del mercato del lavoro, così come di adottare nuove misure per la lotta a varie forme discriminatorie. A partire dal mese di aprile del 2003, i genitori con figli al di sotto dei 6 anni di età, o 18 in caso di disabilità, hanno il diritto di richiedere un impiego maggiormente flessibile. Ciò ha permesso la modifica dell’orario di lavoro, sia su base temporanea che permanente, garantendo una tutela maggiore e più tempo a disposizione per i figli. Il 2006 ha visto anche l’introduzione della legge sul Lavoro e sulle Famiglie, che migliora i diritti dei genitori e garantisce un maggiore tempo libero, qualora necessario. Questo diritto può essere fruito in occasione della maternità e dei periodi per l’adozione, consente ai padri lavoratori il beneficio dei congedi parentali (alcuni dei quali retribuiti) e introduce misure per la gestione dei permessi e delle retribuzioni. Recentemente (ottobre 2006) il Governo ha introdotto la legislazione che rende illegale la discriminazione sulla base dell’età. Il precedente limite di licenziamento è stato rimosso in modo da consentire ai lavoratori anziani il beneficio degli stessi diritti di quelli più giovani.

RomaniaDopo un periodo di transizione durato un decennio, che ha visto la Romania trasformare il proprio sistema economico da un modello rigido e pianificato ad uno basato sul libero mercato, l’approccio verso un sistema basato sulla flexicurity è scaturito con l’adozione nel 2003 del nuovo codice del Lavoro, che ha costituito nuovi sistemi, tra i quali la disciplina del rapporto a tempo determinato, la regolamentazione di condizioni di lavoro flessibili, la possibilità di beneficiare di differenti tipologie di combinazioni che rendono possibili per il singolo individuo e per le imprese la scelta delle opzioni migliori, in grado di adattarsi alle esigenze economiche correnti. La tipologia contrattuale ancora maggiormente diffusa risulta essere ancora quella a tempo indeterminato; si realizza l’automatica trasformazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato, trascorso il termine di due anni dal loro inizio. Altro elemento di flessibilità introdotto e che ha avuto il supporto dei datori di lavoro, ha riguardato la riduzione dell’imposizione fiscale sul costo del lavoro, con un’aliquota del 16%, a partire dal mese di gennaio del 2005.

SpagnaA scapito del crescente trend del tasso di occupazione generale, il mercato del lavoro spagnolo sta mostrando alcuni elementi preoccupanti in termini di segmentazione: le donne continuano ad essere una delle categorie svantaggiate (specialmente in termini retributivi), anche dal punto di vista del ricorso ai contratti a termine. L’elevata incidenza dei contratti a termine (33,3% nel 2005) risulta essere doppia rispetto alla media europea e tende a concentrarsi nelle categorie svantaggiate, quali i lavoratori a basso profilo formativo, i giovani e le donne. In merito alle nuove misure introdotte per la flexicurity, nel mese di maggio 2006 è stato firmato l’accordo per la Crescita e l’Occupazione, siglato dal Governo, dalle parti sociali e dalle organizzazioni dei lavoratori; esso costituisce uno sforzo rimarchevole nell’affrontare i problemi strutturali del mercato del lavoro spagnolo. I principali obiettivi sono quelli di ridurre gli elevati tassi del lavoro temporaneo, attraverso l’istituzione di incentivi per i contratti a tempo indeterminato, specialmente verso i gruppi di lavoratori più svantaggiati, quali le donne, i giovani, i diversamente abili e i disoccupati di lunga durata.

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Strumenti inerenti la riduzione dei costi di licenziamento (attraverso la conversione dei contratti a termine in tipologie speciali tese a promuovere rapporti di lavoro duraturi) sono entrati in vigore a partire da dicembre 2007. Alcuni risultati degni di nota si sono verificati in breve tempo, e si è assistito ad un incremento delle tipologie contrattuali a tempo indeterminato, comunque tali risultati non sono stati in grado di portare ad un’inversione di tendenza del sistema.

SveziaIl modello svedese è caratterizzato dal ruolo centrale rivestito dai partner sociali nei meccanismi di regolamentazione del mercato del lavoro. Il diritto del lavoro è assai ridotto (in termini di principi e di disposizioni) se comparato con analoghi sistemi europei e la legislazione afferente è, per la maggior parte dei casi, “opzionale”, ossia molti provvedimenti e clausole della legislazione del mondo del lavoro sono, totalmente o parzialmente, emendate dagli accordi collettivi. Questa caratteristica, assieme ad un’elevata partecipazione sindacale, consente un notevole margine d’azione per la nascita a livello locale di rapporti “ad elevata flessibilità negoziata”, rendendo possibile una migliore adattabilità al contesto regolatorio delle esigenze produttive delle imprese ed ai bisogni dei lavoratori: in altri termini, qualsiasi valutazione sull’impatto della disciplina del mercato del lavoro in Svezia deve considerare il rapporto che intercorre tra la norma e gli accordi collettivi ed il loro contenuto sia a livello di grandi aziende che di piccole imprese, oltre a considerare la lettera e lo spirito del diritto del lavoro. A differenza degli altri Paesi dove il diritto del lavoro è un terreno di principi inalienabili e saldi, su cui gli accordi collettivi possono solo integrare alcuni dispositivi, in Svezia alcune norme (quali la legge sull’orario di lavoro e numerosi paragrafi della legge di protezione sociale) consentono la realizzazione di accordi che possono modificare su diversi livelli di importanza la protezione dei lavoratori, realizzando così un sistema estremamente liberale. In caso di licenziamenti collettivi dovuti a processi di ristrutturazione industriale, i partner sociali hanno negoziato un accordo per assistere i lavoratori in esubero a trovare rapidamente nuove opportunità professionali, assieme al supporto finanziario. Tali accordi, riguardanti circa la metà della popolazione attiva, contribuiscono a migliorare la sicurezza dei dipendenti, ad aumentare l’efficienza dell’incontro domanda/offerta e la mobilità geografica ed occupazionale del mercato del lavoro. Altro esempio di accordo flessibile in Svezia riguarda la regolamentazione dell’orario di lavoro. La norma in proposito, risalente al 1982, appare particolarmente elastica e consente ai partner sociali la libertà di negoziare e di redigere diffusi accordi collettivi sulla durata della prestazione lavorativa. Naturalmente anche questa norma può essere parzialmente o totalmente sostituita da negoziazioni individuali a livello di imprese.

UngheriaLa legislazione disciplinante il regime delle assunzioni è positivamente influenzata dall’adozione di politiche attive verso i soggetti più svantaggiati del mercato del lavoro, fondamentalmente i soggetti con meno di trenta anni di età e le loro famiglie. Se un disoccupato di lunga durata è assunto in una piccola o media impresa, questa beneficia di un consistente sgravio fiscale, pari ad una retribuzione superiore al 130% del reddito minimo garantito, qualora però il lavoro venga svolto per almeno un anno.

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Ciascuna impresa che assume un soggetto di età superiore a cinquanta anni può beneficiare di una riduzione del 50% della contribuzione fiscale, se il posto di lavoro rimane attivo per più di nove mesi. In Ungheria, i licenziamenti collettivi sono stabiliti per le imprese con più di venti dipendenti. Per quelle con personale compreso tra 20 e 100 unità, i licenziamenti sono considerati collettivi se almeno 10 lavoratori risultano essere in eccesso per un periodo di 30 giornate. Per le aziende con più di 100 dipendenti, la soglia è pari al 10% del totale; infine per quelle con più di 300 dipendenti, il limite minimo è di 30 persone. Se viene pianificato un licenziamento collettivo, il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori (e le organizzazioni sindacali di riferimento) almeno 22 giorni prima dell’avvio delle procedure, pena l’annullamento del provvedimento. Il preavviso deve contenere le motivazioni di tale misura, il numero di lavoratori interessati e le loro mansioni all’interno dell’azienda.

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Politiche attive per l’occupazione

AustriaLe politiche attive per l’occupazione rappresentano la vetrina del sistema di flexicurity del Paese. Le misure attive promosse dai servizi per l’impiego sono generalmente rivolte a tutti i beneficiari del sussidio di disoccupazione. A partire dal 2005 è stato istituito un quadro per la stipula di una sorta di patti di servizio tra disoccupati e servizi per l’impiego, finalizzati al reinserimento lavorativo. In questo contesto, viene limitato il diritto del soggetto di rifiutare un’offerta di lavoro che esuli dal suo campo di specializzazione, unico vincolo è quello dell’adeguatezza. Uno dei principali strumenti rivolti ai soggetti in cerca di occupazione in situazione di svantaggio, ovvero disoccupati di lunga durata, disabili e portatori di sindromi di malessere sociale, sono le imprese sociali (SOB) o i progetti occupazionali no profit (GBP). Entrambi ricevono dai servizi per l’impiego un sostegno finalizzato alla creazione di posti di lavoro a tempo determinato, con i servizi che si fanno carico dei costi del lavoro, dell’iter formativo, dell’assistenza sociale e delle misure di accompagnamento. Inoltre, il sistema di incentivi e di disincentivi del Paese (bonus-malus) prevede sgravi per le aziende che assumano lavoratori ultracinquantenni e oneri per quelle che li licenzino. Lo sgravio contributivo è pari al 15% per trimestre, fino ad un massimo dell’80% della retribuzione di base. Verso i disabili il Governo ha previsto l’erogazione di sussidi e prestiti a imprese che creino nuovi posti di lavoro destinati a tale categoria di soggetti, con un’invalidità di almeno il 50%.

BelgioLe politiche attive del lavoro sono organizzate per target group, per ognuno di questi gruppi sono stati definiti dei programmi che rispondono a problematiche specifiche. I programmi sono classificati nelle seguenti tipologie: • misure destinate a migliorare la qualità della mano d’opera, attraverso gli aiuti in favore dell’inserimento lavorativo dei giovani o dei gruppi a rischio, e la formazione: convenzione di primo impiego, convenzione formazione-lavoro, apprendistato, congedo-educazione remunerato, sostegno in favore dei gruppi a rischio, piano di accompagnamento per i disoccupati;• misure destinate a facilitare l’uscita dal mercato del lavoro di alcune categorie di lavoratori attraverso meccanismi di sostituzione: prepensionamento convenzionale a tempo pieno o part time, interruzione di carriera e “credito – tempo”; • misure specifiche riguardanti la regolamentazione della disoccupazione attraverso gli incentivi fiscali e sociali; creazione delle Agenzie Locali per l’Impiego (A.L.E.); un programma del Governo Federale, con lo scopo dicreare 25.000 posti di lavoro entro il 2007 e di combattere il sommerso; prestito ai disoccupati per l’avvio di attività imprenditoriali; • misure per categorie particolari di lavoratori: riduzione dei costi sociali; “Piano per la promozione dell’assunzione di persone in cerca di occupazione”; riduzione dei contributi per i salari minimi, piano “Maribel sociale” e riduzione strutturale dei costi sociali; riduzione dei contributi per l’assunzione di un lavoratore domestico;• misure destinate a favorire la redistribuzione del lavoro: aumento della flessibilità (contratto a durata determinata, lavoro a domicilio, lavoro di notte, lavoro a tempo parziale), riduzione collettiva dei tempi di lavoro a 32 ore. A tale scopo uno strumento rilevante è rappresentato dal “National Labour Council”, i cui principali ambiti di attività e di responsabilità sono di fornire consulenza al Ministero ed al Parlamento su loro richiesta e su tematiche sociali riguardanti i lavoratori e le imprese, e di

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garantire assistenza tecnica al Ministero del lavoro nella contrattazione collettiva, nella gestione delle principali questioni inerenti il mercato del lavoro e le sue regole.

CroaziaDurante gli anni Novanta, la strategia nazionale per l’occupazione ha sviluppato una serie di politiche attive, comprendenti il cofinanziamento dell’occupazione giovanile, la promozione dell’occupabilità verso coloro che avevano speciali necessità ed il finanziamento per le piccole e medie imprese. Considerando i positivi risultati di tale strategia, nel 2004 il Paese ha adottato il Piano nazionale per l’occupazione 2005-2008 (NAEP). Questo, basato sulla Strategia europea per l’occupazione e sulle linee guida che annualmente vengono promosse, mira alla crescita del contesto economico e sociale nazionale, facilitando l’armonizzazione della Croazia nel processo di adesione all’Unione europea.Le principali strategie adottate sono da evidenziarsi nella promozione dell’autoimpiego attraverso il cofinanziamento dello Stato, nell’erogazione di prestiti per l’avvio di imprese nel settore turistico, nella realizzazione di percorsi di educazione e di formazione verso coloro che sono in possesso di ridotte qualifiche professionali. Altre misure sono il supporto economico per i costi di inserimento nel mondo del lavoro sia per i giovani fino a 29 anni di età, senza nessuna esperienza professionale alle spalle, sia per i disoccupati di lunga durata in età avanzata (45 anni per le donne, 50 per gli uomini).

DanimarcaA partire dal 2006 sono state avviate una serie di riforme strutturali, implicanti diversi cambiamenti nell’organizzazione del mercato del lavoro della Danimarca. I 14 distretti del mercato del lavoro (ognuno amministrato da un direttore e da un consiglio tripartito) hanno iniziato ad essere sostituiti da cinque regioni di dimensioni più vaste, amministrate con lestesse modalità, sebbene queste risultino essere ridotte. La riforma quindi ha implicato che il ruolo del governo locale nell’implementazione delle politiche occupazionali debba aumentare, con una simmetrica riduzione del ruolo svolto dalle parti sociali. A livello delle municipalità, la riforma ha realizzato nuovi centri per l’impiego, uno per ciascuna di esse, con la responsabilità sia verso i soggetti assicurati che verso i disoccupati privi di tutela, combinando le responsabilità attualmente in carico alle municipalità (settore dell’assistenza sociale) e ai servizi pubblici per l’impiego. Il modello è di conseguenza un ibrido tra un sistema singolo e uno a due serie. Un altro elemento positivo è dato dalla maggiore semplicità nella catena di comando dal livello nazionale a quello locale. La riforma dovrebbe inoltre favorire un sistema amministrativo più trasparente e ridurre il bisogno di “smistare” sia i disoccupati che le imprese da un ufficio pubblico all’altro, dato che inizialmente i centri per l’impiego hanno il compito di trattare tutte le tematiche connesse al mercato del lavoro. Tale ripartizione di ruoli è affiancata da un pacchetto di misure pensate per i soggetti disoccupati e occupati, siano essi in cerca di un’occupazione o interessati ad un inserimento in un percorso di istruzione e formazione. Sono così state previste misure per disoccupati con età inferiore ai 25 anni, che prevedono l’obbligo di accedere a corsi di qualificazione o ri-qualificazione professionale, qualora siano stati disoccupati per sei mesi durante gli ultimi 18 mesi. Per gli adulti, invece, si prevede un periodo di 12 mesi di disoccupazione su 24 mesi per l’accesso ai corsi suddetti.

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EstoniaLo sviluppo di politiche attive per l’occupazione è stato enfatizzato sin dall’adozione del primo Programma Nazionale di Riforma nel 2005. Comunque, la spesa per tali misure come percentuale del prodotto interno lordo risulta essere più bassa in Estonia rispetto alla media degli altri Paesi dell’Unione europea: le spese per le politiche attive risultano essere pari allo 0,12% del PIL. Il più importante strumento realizzato in tal senso è la legge sui Servizi per il Sostegno del Mercato del Lavoro, emanata nel 2006. Tale dispositivo lancia un approccio individuale e un sistema di gestione personalizzata dei casi: per ciascun disoccupato viene realizzato un piano specifico di ricerca di opportunità professionali (denominato “profiling”), con particolare attenzione rivolta alle categorie svantaggiate ed ai disoccupati di lunga durata. I beneficiari devono quindi impegnarsi nel seguire il percorso loro indicato dai servizi per l’impiego, pena la perdita dei sussidi di disoccupazione erogati. Ciò nonostante, non esiste attualmente un sistema di monitoraggio e valutazione delle politiche attive condotte in Estonia; il principale motivo risiede nella mancanza di interesse da parte delle autorità pubbliche per questo tipo di indagini, assieme alla rigida normativa vigente sulla privacy.

FinlandiaIn Finlandia il ruolo delle politiche attive per l’occupazione è stato modesto, se comparato con i restanti Paesi dell’Unione europea. Tra i principali strumenti c’è quello di sostegno al reddito del soggetto in cerca di nuova occupazione: al lavoratore in procinto di essere licenziato spetta il pagamento delle ferie godute per la ricerca di un nuovo lavoro (Programma “Change Security”). Per i soggetti al primo impiego è stato sviluppato dal 2005 un programma di corsi di formazione di approfondimento delle conoscenze precedentemente possedute e di aggiornamento. I piani formativi sono flessibili e possono durare da pochi giorni fino ad oltre un anno. I percorsi ulteriori intendono allargare le capacità e le competenze del lavoratore, soprattutto nel caso l’utente si trovi nella condizione di cambiare lavoro e abbia a che fare con nuove mansioni. Gli uffici regionali per l’impiego comprano i servizi direttamente dagli enti che organizzano corsi di formazione. Il progetto è rivolto agli adulti di età superiore ai 20 anni e si accede al percorso di riqualificazione dopo un colloquio con un consulente degli uffici locali del Sistema per l’Occupazione. I corsi sono per lo più orientati verso il settore delle nuove tecnologie e quelli dove maggiore è la richiesta di personale. Essi vengono organizzati su misura per i disoccupati e per le aziende, in modo da favorire l’incrocio della domanda con l’offerta. Per quanto riguarda le imprese, vengono organizzati diversi moduli formativi, sempre con lo scopo di promuovere la disponibilità di lavoratori specializzati e di incoraggiare i lavoratori a mantenere il proprio posto di lavoro, oltre a ridurre i rischi di esclusione dal mercato del lavoro per le fasce più deboli: ultra 50enni, disabili, immigrati, disoccupati di lunga durata e persone con scarsa istruzione. Su questi target group si concentrano gli sforzi formativi delle amministrazioni locali, al fine di prevenire ogni difficoltà di reperimento delle risorse umane.

FranciaIn Francia quasi tutte le politiche per l’impiego garantiscono assistenza ai cittadini indipendentemente dalla regione in cui vivono. Sebbene non esista una specifica politica regionale per l’impiego, alcune leggi si riferiscono solo a determinate aree, soprattutto quelle che presentano maggiori problemi di natura sociale ed economica. Assai valide risultano le politiche strutturali intraprese in Francia in ambito occupazionale; alcune sono rivolte, indistintamente, a tutti i lavoratori, altre - cosiddette “mirate” – si rivolgono a determinate categorie di individui/lavoratori.

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Le prime si concretizzano in due specifiche iniziative: riduzione dei contributi di previdenza sociale e riduzione dell’orario di lavoro settimanale. Nel corso del 2005 sono stati introdotti due nuovi dispositivi, uno a titolo definitivo, la “convention de reclassement personnalisé”, redatta con l’apporto delle parti sociali, l’altro (a titolo ancora sperimentale) proposto dal Governo e denominato “Contratto di transizione professionale”. Entrambi gli strumenti partecipano al rafforzamento dei percorsi professionali, sebbene non si possa ancora esprimere un giudizio sulla validità dei risultati conseguiti. Il primo strumento (CRP) è stato adottato come argine alle procedure concorsuali condotte all’interno delle imprese nazionali, garantendo ai soggetti a rischio un percorso di reinserimento professionale della durata di sei mesi. Il contratto di transizione professionale (CTP), rivolto alle imprese con meno di 1000 dipendenti, prevede l’erogazione di un indennizzo pari all’80% della retribuzione del lavoratore che partecipa a corsi di aggiornamento professionale per la ricerca di nuovi percorsi di lavoro. La riforma del mercato del lavoro del 2008 ha previsto la realizzazione in via sperimentale del contratto ad oggetto definito, la cui scadenza è legata alla realizzazione delle attività in esso previste o del progetto stesso su cui esso si basa. Il lavoratore ha diritto a tutte le tutele proprie del contratto a tempo indeterminato, ma questo conterrebbe la clausola di termine del rapporto al verificarsi di un “evento definito con precisione”, ad esempio la realizzazione di un certo risultato posto a base del contratto. In ogni caso, alle parti viene consentito di proseguire il rapporto anche dopo che il risultato predetto sia stato raggiunto, al pari di un normale contratto a tempo indeterminato.

GermaniaIn Germania le politiche attive del mercato del lavoro sono in continua evoluzione anche se, negli ultimi anni, la spesa pubblica ad esse destinata è diminuita rispetto al PIL e le performance in tale ambito non vengono considerate un modello per gli altri Paesi Ue. I sostegni alla promozione attiva del lavoro sono misure discrezionali che si aggiungono al diritto di usufruire dei servizi di un’istituzione specifica dopo 6 mesi di disoccupazione, all’assegno per la formazione professionale, alle misure d’integrazione del reddito per i disabili, al sussidio di disoccupazione durante un corso di formazione professionale, al compenso per un lavoro a tempo determinato di breve durata, ai tre assegni invernali e allamobilità. Gli strumenti più comuni contenuti nel Terzo Libro del Codice Civile, SGB III, per la promozione della formazione finalizzata alla prima qualifica occupazionale, sono l’orientamento alla formazione professionale, i sussidi durante il periodo in cui si svolge tale percorso formativo, e la formazione professionale in centri di formazione extra aziendale. Il Governo federale ha lanciato il “Programma speciale per l’istituzione di corsi di formazione primaria per i giovani”; il fondo complessivo è di 279 milioni di euro. È stato introdotto il cosiddetto “training voucher”, con l’obiettivo di sostenere la formazione professionale dei disoccupati. Le cosiddette “opportunità di lavoro” (Arbeitsgelegenheiten) vengono offerte a coloro che beneficiano dell’indennità di disoccupazione e non riescono a trovare un lavoro. Non sono rapporti di lavoro convenzionali e devono essere addizionali e di pubblica utilità. Alle persone che accettano un’opportunità di lavoro viene concessa una retribuzione da 1 a 2 euro per ora lavorativa. I servizi esterni per l’impiego vengono sempre più integrati nel processo di assunzione. Le cosiddette agenzie di lavoro interinale (Personal-Service-Agenturen – PSA) sono agenzie che sottoscrivono un contratto con un’agenzia per l’impiego. Dalla metà del 2003 è stata creata almeno una PSA in ogni agenzia per l’impiego. Queste propongono gli aspiranti lavoratori alle PSA che li “prestano” a aziende terze con una richiesta provvisoria di lavoro Il programma “Capitale per

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lavoro” intende procurare fondi per quei datori di lavoro che vogliono assumere disoccupati o creare posti di apprendistato, ma non hanno le disponibilità economiche necessarie. Per i giovani è stato costituito un programma “Jump”, con lo scopo di integrare 100mila persone nel mondo del lavoro e della formazione. Le politiche attive del mercato del lavoro forniscono speciali strumenti per l’integrazione dei lavoratori anziani. Alcune norme speciali per questa categoria sono già state menzionate: i contributi d’integrazione e la promozione di ulteriore formazione professionale. Inoltre, una grossa percentuale dei partecipanti alle misure delle politiche attive del mercato del lavoro sono, infatti, lavoratori anziani.

GreciaLa spesa per le politiche attive per l’occupazione risulta essere ridotta rispetto agli standard europei. Nel corso degli ultimi anni, i principali interventi sono stati diretti alla realizzazione di un sistema adeguato di servizi per l’impiego che, dopo una lenta partenza, sono stati distribuiti su tutto il territorio nazionale, con circa 119 uffici. Ciò ha portato alla realizzazione di una nuova metodologia, basata sulla conduzione di interviste personalizzate agli utenti da parte degli operatori, che ha coinvolto circa 76.000 soggetti che ha portato alla realizzazione di piani di reinserimento per l’8,2% degli uomini e per il 13,48% delle donne. Considerando i risultati conseguiti, c’è da sottolineare come la maggior parte dei clienti (circa il 60%) coinvolti in tali misure continui a rimanere disoccupata; la principale motivazione è da individuare nella recessione economica e nella generale mancanza di opportunità professionali. Comunque, nel più ampio contesto delle politiche economiche e sociali, si rileva l’adozione di misure per la lotta al lavoro irregolare. Il pacchetto di modifiche contro il sommerso ingloba azioni in materia di politiche fiscali e previdenziali, l’intensificazione delle attività di controllo, assieme ad un maggiore scambio di informazioni tra gli enti di vigilanza. Per quanto riguarda i disabili, vanno ricordati gli incentivi all’assunzione mediante rimborso al datore di lavoro dei costi sostenuti per le misure tecniche necessarie per adattare il posto di lavoro alle esigenze del disabile, nonché i programmi di orientamento, formazione e preparazione all’apprendistato, che tendono ad eliminare lo svantaggio iniziale del portatore di handicap rispetto agli altri disoccupati. Nei confronti dei giovani le misure si sostanziano in primo luogo nella concessione di aiuti finanziari alle imprese che assumano disoccupati giovani o di lunga durata, nonché, specie con riferimento a questi ultimi, in progetti di formazione professionale per facilitare l’entrata (o spesso il rientro) nel mercato del lavoro. Sempre in qualche modo diretti principalmente ai giovani, vanno ricordati anche i programmi che si sostanziano nell’erogazione dei sussidi volti a favorire il mantenimento delle dimensioni occupazionali delle attività alberghiere e delle attività stagionali, nonché le sovvenzioni alle imprese private che assumano studenti delle facoltà universitarie scientifiche.

IrlandaIl dibattito che si è prodotto nel Paese riconosce come il rapido cambiamento del contesto economico richieda una continua adattabilità, nonché il coinvolgimento di tutti i partner sociali nelle politiche tese a mantenere il livello di competitività raggiunto, ad aumentare la produttività e a migliorare le condizioni del mercato del lavoro.

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La firma dell’accordo “Verso il 2016” a livello imprenditoriale e industriale ha tenuto in considerazione le implicazioni della competitività e dell’occupabilità, nonché il bisogno di flessibilità e di cambiamento, mirando a realizzare un contesto lavorativo di prim’ordine nel quale aumenti il grado di sicurezza occupazionale e siano promosse le pari opportunità e la formazione. La legge sulle disabilità del 2005 è la più significativa disciplina recente riguardo all’accesso all’occupazione per le persone con disabilità e oggi costituisce uno degli elementi centrali del sistema legislativo irlandese su tali diritti di accesso. Essa è suddivisa in sette parti, due delle quali sono più marcatamente rivolte al tema dell’accesso all’occupazione. Significative misure del Governo per il collocamento delle persone sono contenute nel Programma settoriale pubblicato dal Ministero dell’impresa, del commercio e del lavoro ai sensi della legge sulle disabilità del 2005 e nel Piano settoriale sulle disabilità 2006 del Ministero della famiglia e degli affari sociali. Gli istituti più rilevanti del sistema di welfare irlandese includono: indennità di disabilità, sussidio di disabilità, pensione per i non vedenti, indennità di invalidità, indennità di infortunio sul lavoro, contributo di reinserimento lavorativo, contributo di reinserimento scolastico, piano per le opportunità di formazione professionale, piano per l’esonero dei datori di lavoro dai contributi previdenziali, piano per la disoccupazione di lunga durata. Tra gli altri strumenti non gestiti dal Ministero della famiglia e degli affari sociali si riportano: il piano Job Assist dell’Ufficio delle imposte, i programmi amministrati dall’autorità nazionale per la formazione e l’occupazione (Foras Áiseanna Saothair, FÁS) e il piano per le opportunità di formazione professionale.

ItaliaNel corso degli ultimi anni sono state introdotte significative novità nel campo delle politiche attive per l’occupazione: miglioramento del contenuto formativo dei contratti di lavoro, incentivi per l’assunzione a tempo indeterminato, misure per accrescere l’occupabilità del Mezzogiorno, liberalizzazione dei servizi per l’impiego con l’abolizione a partire dal 1997 del monopolio pubblico. Allo stesso tempo, le politiche attive per l’occupazione sono state trasferite alle Regioni che detengono funzioni di pianificazione e di gestione, laddove il management dei servizi è nelle mani delle Province. I risultati scaturiti sono stati eterogenei, in alcuni casi addirittura di successo, mentre al Sud del Paese non si sono riscontrati significativi miglioramenti. In linea con queste riforme, la distribuzione tra misure passive ed attive a partire dal 1997 si è orientata verso queste ultime. La riduzione del tasso di disoccupazione ha infatti permesso la spesa in misure di assunzione e di formazione, sebbene in termini assoluti, tale spesa sia ancora limitata.

LettoniaL’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (SEA) è l’istituto responsabile per l’implementazione misure di sostegno al disoccupato nella ricerca di una nuova collocazione professionale. Con l’ingresso nell’Unione europea e con il sostegno dei fondi strutturali, le politiche attive per l’occupazione sono cresciute sensibilmente, con l’adozione a partire dal 2004 di un nuovo modello per la riqualificazione e la formazione professionale che ha consentito il ritorno al mercato del lavoro della metà dei partecipanti a tale iniziativa. I servizi per l’impiego cercano di sopperire alle carenze strutturali e formative delle università, istituendo tirocini specifici per i laureati disoccupati. Vengono promosse inoltre una serie di misure per la riqualificazione territoriale delle aree maggiormente depresse del Paese, sviluppano l’autoimpiego e l’imprenditorialità in settori innovativi.

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LituaniaLa spesa complessiva per le politiche attive in Lituania risulta essere molto ridotta, tra le più basse di tutte le nazioni in fase di transizione. Malgrado questo, si assiste al fenomeno dell’attivazione delle politiche nel Paese e, sin dal 1991, si è accresciuta la partecipazione nelle PAL da parte dei soggetti interessati. Considerato ciò, il Paese necessita ancora di una serie di misure per i giovani neolaureati alla loro prima esperienza professionale, così come dell’implementazione della mobilità territoriale. Si riscontra un maggiore bisogno di rendere efficaci le politiche di formazione professionale, in termini di strumenti e di luoghi di svolgimento. Grazie al ruolo svolto dalle parti sociali, è stato possibile adottare una nuova legge per la promozione dell’occupazione, che promuove incentivi per la realizzazione delle condizioni per l’utilizzazione dei servizi erogati dai centri per l’impiego, e prevede la proroga della durata del finanziamento per la formazione professionale dei disoccupati. Nell’ambito delle politiche attive per l’occupazione devono essere intensificati gli sforzi nella promozione della mobilità territoriale, dalle zone più depresse alle aree con un contesto più avanzato.

Paesi BassiNel momento in cui sono aumentate le opportunità occupazionali per determinate categorie di cittadini, il Governo dei Paesi Bassi ha investito gran parte delle proprie risorse sul lato dell’offerta, specialmente nel rafforzamento degli incentivi per la sicurezza sociale, nella politica fiscale e nella tutela della salute. Solo nel campo della conciliazione della vita lavorativa con quella familiare sono state adottate misure di modesta entità per facilitare la partecipazione al mercato del lavoro. Il Governo non intende esplicitamente interessarsi di particolari politiche per gruppi sociali definiti. Una costante riduzione di soggetti percettori di sussidi per la disoccupazione, per la disabilità e per l’assistenza sociale, viene considerata come una misura di successo di tali politiche. Comunque, gli ultimi dati statistici denotano come solo una ridotta minoranza di coloro che beneficiano di tali sussidi decida di rientrare nel mondo del lavoro. Anche se una serie di misure sono state adottate per riorganizzare il processo di reintegrazione di coloro che sono fuoriusciti dal mondo del lavoro, le principali organizzazioni responsabili lamentano la scarsità di risorse finanziarie e la rigidità delle regole esistenti, che spesso impediscono l’assunzione delle misure necessarie. Molti di quelli che hanno abbandonato la vita lavorativa perdono i loro benefici, assistono ad un crollo del loro reddito e rimangono intrappolati nella povertà. In linea con l’approccio sul versante dell’offerta, la politica deve offrire le opportunità ai cittadini di partecipare al mercato del lavoro, lasciando a questi ultimi la responsabilità di cogliere tali opportunità. Conseguentemente, i Paesi Bassi non intraprendono molte politiche attive per l’occupazione, con il Governo che risulta riluttante a sviluppare misure per particolari categorie di soggetti e con rari interventi di reintegrazione attraverso gli incentivi. Malgrado questa ridotta capacità di azione, sono state invece sviluppate alcune misure verso i giovani, a supporto del completamento del loro percorso educativo o combinando l’istruzione con l’apprendistato. L’intervento denominato “Operazione Giovani” mira a prevenire l’abbandono scolastico, stimolando l’integrazione nel mondo del lavoro malgrado il successo conseguito, molti decisori politici locali hanno asserito l’insufficienza di tali misure che siano in grado di indirizzarsi verso un numero limitato di persone. Il Rapporto sulle pari opportunità del 2005 sottolinea infatti come le pratiche per l’integrazione sembrino essere progettate esclusivamente per i maschi di origine europea: le donne di colore spesso non riescono a soddisfare i requisiti per una partecipazione di successo nei percorsi di reinserimento.

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PoloniaDurante gli ultimi 13 anni le riforme economiche hanno determinato profondi cambiamenti nella mentalità dei lavoratori polacchi. Con la fine dell’economia pianificata nel 1989 si è assistito ad un graduale mutamento di mentalità rispetto alla concezione del lavoro che non viene più considerato come qualcosa che si ottiene facilmente e prescinde dalla produttività. Coloro che hanno un impiego oggi tendono a lavorare meglio perché i frutti del loro impegno si riflettono principalmente su loro stessi. La Polonia considera la tematica del lavoro come una priorità e successivamente all’adesione all’Unione europea il Governo sta adottando alcuni programmi per la lotta alla disoccupazione. Tra i principali possono citarsi il Programma “Work First”, è stato ideato per coloro che abbandonano le scuole secondarie. Circa 900mila soggetti hanno abbandonato le scuole per entrare nel mondo del lavoro ed è previsto che circa 500mila di essi chiederanno aiuto per partecipare al progetto di inserimento. Questo programma è parte integrante del programma socio economico di Governo per il 2003-2005. Vi sono state forme di finanziamento, attorno ai 5.000 euro, per avviare alcuni tipi di attività in proprio (non agricole) in zone rurali e per offrire l’opportunità di seguire tirocini, come ad esempio quelli nel campo della tutela dell’ambiente.

PortogalloLe istituzioni che governano l’incontro fra domanda e offerta di lavoro dipendono in gran parte dal MSST - Ministero del lavoro e della previdenza sociale - ed operano in sinergia con il Ministero dell’educazione e, talvolta, con il Ministero dell’economia e dell’innovazione. Il’MSST è responsabile della definizione e dell’esecuzione delle politiche relative ai sistemi di protezione e previdenza sociale, all’impiego e alla formazione professionale. Il 27 agosto del 2003 è stata varata la legge n. 199 (successivamente modificata con la legge n. 35/04), che ha riunito tutte le precedenti leggi in ambito giuslavoristico in un unico codice, denominato “Codigo do Trabalho”. L’elemento innovativo, in materia di incontro fra l’offerta e la domanda di lavoro, è dato da una modifica in senso ampliativo dei contratti a termine e interinali, detti in portoghese rispettivamente “contratos de termo fixo” e “trabalho temporario”.Il ricorso alle forme contrattuali flessibili, come è avvenuto negli altri Paesi europei, ha fatto in modo di ampliare le possibilità di assunzione e di primo ingresso nel mercato del lavoro, oltre a contribuire a formalizzare i rapporti di lavoro informali, che nel 1999 ammontavano quasi al 18% sul totale degli occupati. Il nuovo codice ha regolarizzato le forme di lavoro flessibile, ampliando le casistiche ammissibili per il contratto a termine e il contratto di lavoro per somministrazione. Il contratto a tempo determinato può essere rinnovato dallo stesso datore di lavoro per tre volte per una durata complessiva non superiore ai 6 anni. L’attività di collocamento non è appannaggio esclusivo del servizio pubblico per l’impiego. Con il decreto legge n. 124/89 è stato regolamentato l’esercizio dell’attività di collocamento privato e sono state introdotte le agenzie per il collocamento privato, le quali possono lavorare su espressa autorizzazione dello IEFP, principale attore coinvolto nell’esecuzione dei programmi che intervengono sull’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Le attività dello IEFP si suddividono in tre macro categorie: servizi per il collocamento, formazione professionale e riabilitazione professionale. Queste ultime sono dirette ai disabili e a coloro che abbiano subito infortuni invalidanti sul posto di lavoro.

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Repubblica CecaGli interventi e gli strumenti che rientrano nell’ambito delle politiche attive per l’occupazione nella Repubblica Ceca sono sostanzialmente deboli; di conseguenza, non esistono strategie integrate per la ricerca attiva di nuova occupazione. Nel 2006 la spesa pubblica per le politiche attive si è incrementata del 6,2% rispetto all’anno precedente. Gli interventi in politiche passive sono ugualmente ridotti, ma bisogna sottolineare come i disoccupati siano titolari di differenti tipologie di sostegno al reddito che non rientrano in tale contesto. Gli unici nuovi strumenti, parzialmente collegabili a politiche attive per l’occupazione, sono i programmi sponsorizzati dai fondi strutturali, sebbene ancora non siano stati pubblicati risultati in termini di impatto e di partecipanti.

Repubblica SlovaccaLa legge sui servizi per l’impiego, risalente al febbraio del 2004, ha introdotto nuovi criteri per adottare misure di politica attiva, motivando i soggetti in cerca di occupazione ad attivarsi in modo proattivo. Inoltre, la maggior parte degli strumenti individuati include il principio della discriminazione positiva delle categorie svantaggiate (disoccupati di lunga durata, giovani, soggetti ultracinquantenni, immigrati), garantendo un calo di 5 punti percentuali nel tasso di disoccupazione. Malgrado gli sforzi compiuti per attrarre i soggetti in cerca di occupazione più deboli nel mondo del lavoro, la disoccupazione di lunga durata rimane elevata, aspetto che denota come gli interventi realizzati abbiano interessato in particolare le categorie con meno difficoltà di reinserimento, in possesso di quelle capacità in grado di cogliere l’assistenza offerta. L’attuale schema delle PAL è anche lacunoso in merito alle specifiche esigenze mostrate dai giovani e dai soggetti maggiormente anziani, in quanto le disposizioni si disinteressano spesso delle loro esigenze: i giovani hanno bisogno di strumenti di supporto alla transizione scuola-lavoro, gli anziani necessitano di interventi che promuovano la loro adattabilità al cambiamento. La spesa per le misure di politica attiva è stata relativamente ridotta in Slovacchia, con l’incidenza dell’investimento pubblico pari allo 0,07% del PIL nazionale, rispetto allo 0,32% investito in misure passive. Nel corso del biennio 2005-2006 si è assistito ad un incremento di risorse rivolte alle PAL, sebbene la spesa sia ancora inferiore alla media dei Paesi dell’Unione europea; importante è però il supporto del Fondo sociale europeo.

Regno UnitoSebbene siano state condotte una serie di attività di notevole importanza per lo stato sociale e la lotta alla povertà, con l’introduzione nel 1998 del programma New Deal, il Regno Unito ha posto le basi per la realizzazione di un programma di politiche attive per l’innalzamento dei livelli occupazionali.Alla base di tutto sussiste un insieme di diritti e di responsabilità per i soggetti in cerca di lavoro. Ciascun individuo, nell’ambito di tale programma, riceve un percorso di assistenza personalizzata, in grado di supportarlo nell’accesso al mondo del lavoro o, in alternativa, nell’implementazione delle proprie capacità professionali. Qualora il beneficiario dimostri scarso interesse alle misure adottate nei suoi confronti o non si attivi per la ricerca di un lavoro, si trova nelle condizioni di perdere il proprio sussidio di disoccupazione. Esistono sei tipologie di New Deal, ciascuna delle quali diretta a specifiche categorie disoggetti in particolari condizioni, con le principali differenze trasversali che riguardano il periodo necessario per entrare a far parte del programma, nonché la sua obbligatorietà o meno.

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Il Governo ha esplicitato l’obiettivo di raggiungere un tasso di occupazione pari all’80% e, in questa prospettiva, sta introducendo una serie di riforme specifiche dirette ai soggetti percettori del sussidio di incapacità (Incapacity Benefit – IB) ed alle famiglie monoparentali, al fine di indirizzarle verso il mercato del lavoro. L’Agenda di riforma dello stato sociale è stata introdotta negli ultimi anni con la pubblicazione del Libro Verde nel gennaio del 2006, assieme alla realizzazione del disegno di riforma del sistema di welfare (luglio 2006). Questo documento sottolinea la necessità di intraprendere politiche rivolte a coloro che dipendono esclusivamente dal sussidio per incapacità. Nel 2008 è stato introdotto un nuovo strumento di supporto, denominato ESA, costituito da due strumenti rivolti a coloro che sono giudicati in grado di lavorare e a quelli considerati inabili. Il Governo ha inoltre stabilito di includere entro il 2010 la percentuale del 70% di famiglie monoparentali nel mondo del lavoro. Attualmente sono stati conseguiti risultati lusinghieri, grazie al successo del programma New Deal specifico per questa categoria di persone, che raddoppia le possibilità di ricollocazione professionale per coloro che vi partecipano.

RomaniaLo strumento legislativo di riferimento è la legge 76/2002, modificata dalla legge 107/2004. Il principale soggetto per la realizzazione delle politiche e dei programmi in materia di lavoro è l’Agenzia Nazionale per l’impiego (ANOFM). Le politiche del lavoro sono attuate mediante lo strumento dei programmi nazionali e sostenute dal budget assegnato all’Agenzia dal Ministero del lavoro. L’Agenzia presenta al Ministero del lavoro, della solidarietà sociale e della famiglia (MoLSSF) una propria proposta che definisce il mix delle misure da mettere in campo nelle 40 contee e nell’area metropolitana di Bucarest; il consiglio di amministrazione dell’Agenzia Nazionale per l’impiego, organo tripartito, sulla base del budget a valere sul “Fondo di Assicurazione per la Disoccupazione” approvato dal MoLSSF, autorizza il direttore generale esecutivo a procedere con le attività ed a stipulare convenzioni con le 40 agenzie di contea. I principali programmi e servizi connessi a misure attive, offerti dalle agenzie di contea, dalle agenzie locali e dagli sportelli decentrati, sono gratuiti per gli utenti disoccupati. Tra le principali azioni di politica attiva per l’occupazione, si possono segnalare la formazione all’autoimprenditorialità, rivolta a tutti i disoccupati per l’avvio di microimprese o di iniziative di autoimpiego; il premio di occupazione ai disoccupati che, pur avendo diritto al sussidio di disoccupazione, accettano un posto di lavoro prima del termine del periodo di sussidio; il premio di mobilità: ai disoccupati che accettano un posto di lavoro situato oltre 50 km dal luogo di residenza è riconosciuto un premio pari a due mensilità del salario di riferimento dovuto alla posizione lavorativa accettata; infine, la formazione professionale rivolta ai disoccupati, con l’offerta di corsi di qualificazione e di riqualificazione. I corsi sono gratuiti (è previsto il rimborso dei trasporti per chi proviene da aree limitrofe e la residenzialità, se disponibile nel Centro di F.P. che eroga il corso) ed organizzati sia nei Centri di F.P. direttamente gestiti dall’Agenzia Nazionale, che attraverso fornitori esterni accreditati per la formazione di specifici profili professionali. La programmazione delle tipologie corsuali viene svolta dalle agenzie di contea e riguarda profili per cui le previsioni di domanda da parte del mercato del lavoro locale sono ritenute alte (in questo caso l’agenzia ha l’obiettivo di occupare almeno il 60% dei partecipanti) oppure medie (in tal caso l’impegno a collocare i partecipanti è del 30%).

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SpagnaLa struttura decentralizzata dell’amministrazione nazionale è una delle principali caratteristiche nell’organizzazione di tali politiche, nell’ambito delle quali le comunità autonome sono responsabili per la gestione delle principali azioni attraverso i loro servizi per l’impiego, con lo Stato che detiene il ruolo di coordinamento, pianificazione e gestione finanziaria. Uno dei principali obiettivi di tali centri per l’impiego è quello di incrementare il loro rateo di partecipazione nell’intermediazione al lavoro, che nel corso del 2005 ha registrato un’evoluzione negativa (dal 15,6% del 2004 al 13,5% del 2005). Inoltre la riduzione temporale della ricerca di un nuovo impiego rappresenta un altro elemento di azione e, in tale ambito, il mercato del lavoro spagnolo sembra avere conseguito importanti risultati. In ogni caso, tali risultati non possono essere totalmente attribuibili all’efficacia delle politiche attive. In primo luogo, secondo i dati forniti dal Piano Nazionale Spagnolo per l’Occupazione, circa 1/3 dei soggetti divenuti disoccupati ha beneficiato di alcune misure erogate dai servizi per l’impiego. Non solo la copertura di tali misure risulta essere ridotta, ma anche la loro efficacia in quanto, sempre dalla stessa fonte, la metà dei disoccupati (50,5%) partecipanti alle politiche attive non ha trovato una ricollocazione professionale nei sei mesi successivi. In aggiunta, le informazioni provenienti da Eurostat denotano investimenti ridotti in tali politiche, se comparati con il resto dei Paesi dell’Unione europea. Tra le più recenti misure nell’ambito di tale contesto, è stato siglato nel 2006 un accordo tra Governo ed interlocutori sociali sulla formazione professionale. Uno degli elementi chiave di tale accordo è la confluenza dei due sottosistemi della formazione professionale e della formazione continua in un unico e più vasto contesto. Di conseguenza, sono stati stabiliti i principi cardine di tale nuova organizzazione, attraverso un maggiore coordinamento tra l’Amministrazione centrale e le comunità autonome, gli strumenti finanziari adeguati a garantire la gratuità delle prestazioni erogate con ricerca della convergenza ai livelli europei nella partecipazione dei lavoratori ai programmi formativi. Un’altra importante iniziativa riguarda il Piano globale per la modernizzazione dei Servizi per l’impiego, con uno stanziamento di 110 milioni di Euro.

SveziaLe politiche per il mercato del lavoro in Svezia fanno riferimento a una serie di sistemi di protezione contro la disoccupazione che supportano gli individui durante il loro periodo di inattività, e a un vasto ambito di programmi di politiche attive per l’occupazione. Una delle caratteristiche salienti del modello svedese ha riguardato proprio l’enfasi verso tali tipologie di politiche, in un sistema in cui la preferenza verso misure di incentivazione al lavoro ha da sempre prevalso sull’erogazione di sussidi verso i disoccupati. In altri termini, i due elementi salienti caratterizzanti delle politiche occupazionali possono essere identificati, da una parte, nella promozione di misure volte all’integrazione dei disoccupati a scapito di misure passive; dall’altra parte, nel ruolo di riferimento individuato nelle imprese nazionali nell’implementazione delle politiche attive per il lavoro come legittimazione sociale. I primi anni Novanta hanno mostrato un rapido deterioramento del contesto occupazionale svedese, con tassi di disoccupazione che hanno raggiunto punte estremamente elevate (8,2% nel 1993); a fronte di questo, il Governo ha deciso di coinvolgere il maggior numero possibile di persone in programmi di promozione dell’occupazione, raggiungendo il 7% della popolazione attiva, orientando le PAL verso lo sviluppo della mobilità geografica ed occupazionale.

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UngheriaNel corso del 2005 il Governo ha iniziato a realizzare un sistema più trasparente di politiche attive per l’occupazione. Le imprese che assumono persone appartenenti alle categorie svantaggiate pagano solo il 15% dei contributi sociali per il primo anno di lavoro, percentuale che raggiunge il 25% durante il secondo anno. In aggiunta, sono esentate dal pagamento della somma forfettaria per la contribuzione sociale. In materia di politiche attive per l’occupazione, è necessario menzionare l’insieme di misure volte a incrementare gli sbocchi professionali per i soggetti con ridotta o scarsa esperienza lavorativa. In particolare, una di esse si applica ai soggetti con meno di 25 anni, con un anno di lavoro alle spalle, titolari di qualsiasi tipologia di percorso educativo. Al fine di ricevere la riduzione fiscale, il dipendente deve restare nel proprio posto di lavoro per almeno tre mesi successivi al periodo di erogazione dei sussidi. Il secondo programma è rivolto ai soggetti provenienti dalle università, con un’età non superiore a 30 anni, che sono stati occupati per un periodo non superiore a due anni successivi al completamento degli studi. In tal caso, il periodo di esigibilità aumenta fino a dodici mesi, senza il requisito di mantenere il rapporto di lavoro dopo il termine dell’erogazione dei sussidi. Altre misure sono in procinto di essere intraprese, una riguardante i disoccupati di lunga durata, per i dipendenti in congedo parentale e per coloro che svolgono assistenza a parenti disabili o malati: in questo caso le caratteristiche sono similari in termini di disciplina fiscale. Il secondo programma mira a supportare i soggetti più anziani e quelli con limitate competenze professionali. In questo caso il supporto risulta essere pari al 15% del salario medio lordo, con un periodo di esigibilità pari a due anni. Tali programmi, comunque, si applicano fino al raggiungimento di un importo lordo pari al doppio della retribuzione minima garantita. In definitiva si può osservare come il governo ungherese utilizzi le politiche attive per l’occupazione al fine di incrementare le opportunità lavorative dei soggetti con maggiori difficoltà di inserimento, anche alla luce dei dati statistici che denotano l’estrema difficoltà di individuare, da parte di questi soggetti, uno sbocco professionale. Bisogna inoltre notare che sebbene tali misure possano supportare l’occupabilità di queste persone, esse possono anche avere effetti straripanti. Se il lavoro non ha elevati costi fissi (quali, ad esempio, quelli per la formazione e per il licenziamento), risulta chiaro che il datore di lavoro può avere vantaggi nel licenziare alcuni elementi della propria manodopera e sostituirli con coloro che beneficiano della riduzione fiscale. Questo risulta essere particolarmente vero per i soggetti con ridotte qualifiche professionali, quando le mansioni da svolgere sono tali da risultare facile sostituire un lavoratore con un altro.

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I sistemi di lifelong learning

AustriaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,45% della spesa pubblica totale (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 13,1% (dato 2006). In Austria il sistema di formazione permanente viene erogato da una serie di enti, principalmente società senza scopo di lucro, e da scuole pubbliche specifiche. L’elevata percentuale di abbandono scolastico rilevata nel Paese comporta una scarsa partecipazione a percorsi di educazione professionale e superiore e una ridotta partecipazione numerica nelle università. La capacità del Paese di innovare il proprio sistema educativo può realizzarsi soltanto nel caso di un approccio condiviso e responsabile ai temi dell’istruzione e della formazione (professionale e permanente), nell’ottica dello sviluppo della società basata sulla conoscenza, come prevede la rinnovata Strategia di Lisbona. Nei confronti dei soggetti al primo impiego lavorativo, sono state promosse in tal senso alcune iniziative da parte dei servizi per l’impiego, con l’obiettivo di accrescere la formazione individuale per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro. Alcuni lander hanno sviluppato alcuni programmi che finanziano azioni rivolte all’educazione degli adulti, con un positivo impatto in termini di occupabilità. Nel corso del 2006 il Governo federale ha incrementato del 28% la spesa pubblica per interventi nella formazione permanente.

BelgioLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,99% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 7,1% (dato 2006). Le politiche di lifelong learning sono principalmente concentrate su investimenti nel settore dell’educazione formale; tra queste si evidenzia “l’Agenda Formativa 2010”, che mira ad estendere l’offerta formativa ad almeno un lavoratore su due ogni anno, e di obbligare i datori di lavoro a devolvere almeno l’1,9% di quanto stabilito dalla legge sulle Retribuzioni in attività di aggiornamento professionale. Al contempo sono stati adottati nuovi strumenti di monitoraggio dei percorsi riguardanti la formazione formale e quella informale, è stato adeguato il sistema di riconoscimento delle competenze e sono state implementate strutture di consulenza a supporto dello sviluppo professionale dei lavoratori.

CroaziaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,50% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 2,1% (dato 2005). Il sistema che disciplina la formazione degli adulti durante tutto l’arco della vita è quasi totalmente trascurato, poco sviluppato (per quanto riguarda le istituzioni dedicate ed il personale impiegato) e scarsamente disciplinato dalla legge. Sebbene siano state promosse alcune misure nell’ambito del sistema di educazione nazionale del Ministero della scienza, così come della strategia nazionale per il lifelong learning (dell’osservatorio nazionale della Croazia), nessuna azione di sistema è stata portata avanti per diffondere l’importanza del concetto di apprendimento permanente tra la popolazione.

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Tale mancanza di attenzione è uno dei principali ostacoli allo sviluppo di un mercato del lavoro flessibile e dinamico e, nell’ottica di un miglioramento del contesto, è stata definita (2007) una legge sull’apprendimento permanente da includere nel piano nazionale per l’occupazione (NAEP). Nella linea guida numero 4 del suddetto piano, si insiste sull’importanza dell’educazione degli adulti, sulla riforma del sistema di formazione e di educazione, sulla modernizzazione, valutazione, certificazione e riconoscimento dei bisogni formativi sia all’interno che all’esterno del sistema educativo formale. Il Memorandum congiunto sull’inclusione sociale del 2006 propone inoltre di diffondere l’ambito di intervento dei sistemi nazionali di istruzione, riducendo da una parte il fenomeno dell’abbandono scolastico ed enfatizzando, dall’altra, l’apprendimento permanente come strumento di coesione e di sviluppo sociale.

DanimarcaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 8,47% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 29,2% (dato 2006). Le politiche formative svolgono un ruolo di riferimento nel funzionamento del modello danese di flexicurity. Anche in questo contesto i partners sociali sono direttamente coinvolti nella pianificazione e implementazione del sistema, in particolare per quel che riguarda le politiche per la formazione professionale continua (CVT). Una caratteristica peculiare del sistema adottato nel Paese è che fornisce servizi e formazione sia agli occupati che ai disoccupati, secondo un sistema gestito dal Ministero del lavoro, costituito a partire dal 1960. A partire dagli anni Ottanta, la contrattazione collettiva ha conseguito risultati anche nella formazione; i lavoratori possono fruire di due settimane all’anno retribuite per partecipare a percorsi di aggiornamento professionale. Malgrado il sistema appena evidenziato sia principalmente finanziato da denaro pubblico, le attività trasmettono generalmente competenze generiche, piuttosto che di indirizzo specifico, trasferibili così nel mondo del lavoro per migliorarne la flessibilità funzionale. Lo sviluppo più importante raggiunto in quest’area è stato raggiunto con gli accordi stipulati tra le parti sociali nella primavera del 2007, nei quali la formazione professionale e l’apprendimento permanente sono stati uno dei temi principali di negoziazione. Il Governo ha proposto il supporto alla riforma del sistema di formazione (con un finanziamento di 1 milione di corone) se i partners sociali concordano sull’incremento del suo finanziamento, sia da parte dei lavoratori che da parte dei datori di lavoro.

EstoniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,09% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 6,5% (dato 2006). Come da corollario alle politiche attive per l’occupazione, l’apprendimento durante tutto l’arco della vita attiva costituisce una politica di rilievo per lo sviluppo delle competenze e delle professionalità di ciascun individuo. Rispetto alla media Ue, la spesa pubblica per l’educazione risulta essere superiore al resto dei Paesi. Ciononostante la partecipazione nell’apprendimento permanente in Estonia è sotto la media: le statistiche nazionali (2005) dimostrano come questo non riguardi i gruppi più vulnerabili della società, quali le donne, i soggetti con basso profilo educativo, gli anziani. Uno dei motivi principali dei bassi tassi di partecipazione risiede nell’assenza di finanziamento della formazione degli

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adulti, lacuna sopperita dallo sviluppo di diversi progetti in tal senso, promossi nell’ambito degli interventi del Fondo sociale europeo. Nel novembre del 2005 è stata approvata la strategia per l’apprendimento permanente per il periodo 2005-2008, che prevede l’allargamento delle opportunità di apprendimento per gli adulti nel periodo di riferimento. Inoltre, vengono garantiti sbocchi formativi per i soggetti con disabilità e le minoranze etniche. Obiettivo di tale strategia è il raggiungimento del 10% di partecipazione a percorsi di formazione da parte di soggetti di età compresa tra i 25 e i 64 anni.

FinlandiaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 6,43% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 23,1% (dato 2006). Il sistema formativo finlandese risulta essere superiore alla media degli altri Paesi europei, raggiungendo (anche nel settore dell’apprendimento permanente) gli obiettivi stabiliti dall’Unione in materia di istruzione e di formazione.Al fine di promuovere la mobilità occupazionale di una forza lavoro in costante invecchiamento attivo, sono state adottate alcune misure, sia di riconoscimento delle qualifiche e delle competenze, per ulteriori percorsi formativi, sia concernenti specifici programmi di apprendimento sul luogo di lavoro. Il Paese ha da sempre investito sulla pianificazione individuale dei percorsi di studio, anche dopo la realizzazione del decentramento amministrativo avviatosi negli anni Novanta, sebbene l’educazione degli adulti non abbia ancora raggiunto tutta la popolazione, essendo spesso rivolta a coloro che sono già in possesso di un buon curriculum educativo, che non appartengono necessariamente ad una categoria professionale definita.

FranciaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,81% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 7,5% (dato 2006). In materia di flexicurity, due grandi riforme sono state recentemente messe in pratica: la legge del 4 maggio 2004 e la legge sulla modernizzazione sociale del 2002. La prima ha sviluppato l’accordo interprofessionale sulla formazione lungo tutto l’arco della vita, garantendo la messa a regime del diritto individuale alla formazione (DIF), ossia almeno 20 ore all’anno, cumulabili in 6 anni. La seconda permette un riconoscimento delle competenze acquisite durante la vita attiva, sotto forma di una certificazione, sebbene tale processo stia incontrando alcune difficoltà nella sua messa in opera. La riforma del mercato del lavoro del 2008 ha stabilito come lo sviluppo delle competenze dei lavoratori costituisca inoltre un elemento determinante per lo sviluppo delle carriere: è stato quindi promosso il bilancio di prossimità, per la valutazione dei bisogni e per la promozione di percorsi di formazione professionale volti al miglioramento delle condizioni di lavoro, dell’occupabilità e della trasferibilità delle competenze individuali.

GermaniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,60% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 7,5% (dato 2006). La Germania ha completato nel 2005 il Programma per l’apprendimento permanente. Finanziato dalla Commissione federale per la pianificazione dell’educazione, tale programma ha visto la

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partecipazione di 15 Lander con circa 22 progetti (cofinanziati dal Governo al 50%), con l’obiettivo di collegare i differenti settori dell’educazione mediante reti e partenariati. Nell’ottica dell’apprendimento permanente, è stata promossa di una maggiore responsabilità individuale, attraverso la realizzazione di percorsi educativi individuali. Il Ministero Federale per l’educazione ha inoltre costituito una commissione per una radicale riforma dei sistemi di formazione in Germania, raccomandando l’adozione di un apposito provvedimento per la promozione dell’apprendimento permanente, e misure di sostegno ai percettori di redditi minimi, per fornire incentivi e supporto nello sviluppo delle proprie abilità professionali.

GreciaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,22% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 1,9% (dato 2006). La partecipazione a programmi di apprendimento permanente ha riguardato circa il 2% di tutta la popolazione attiva, una delle performances più deboli di tutti i Paesi dell’Unione europea. Un altro anello debole della catena del lifelong learning è rappresentato dalle attività di formazione continua, specialmente verso i soggetti occupati: circa il 49% di essi necessita di tale percorso di aggiornamento. In tale contesto è stato promosso uno strumento specifico (LAEK) per utilizzare parte della contribuzione del datore di lavoro esclusivamente per scopi formativi. Le tematiche specifiche dell’apprendimento permanente sono state oggetto di una specifica legge, numero 3369 del 2005, sul lifelong learning. Questo dispositivo contiene un numero rilevante di norme volte a promuovere lo sviluppo del capitale umano: costituzione di un comitato di alto profilo con il compito di fornire le strutture e promuovere le iniziative necessarie sul tema; costituzione di un’unità di assistenza tecnica; realizzazione di Istituti per l’Apprendimento Permanente nell’ambito delle università e degli istituti tecnici superiori (TEIs). Tale legge mira anche allo sviluppo dei profili professionali individuali, realizzati da speciali comitati costituiti dai principali partner sociali, da includere obbligatoriamente nei singoli programmi formativi.

IrlandaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,75% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 7,5% (dato 2006). In un contesto occupazionale in crescita, il raggiungimento di un bilanciamento tra flessibilità e sicurezza è importante: implica una rapida transizione tra diverse opportunità professionali, la capacità di sviluppare competenze attraverso l’apprendimento permanente, una migliore organizzazione gestionale del lavoro. La facilitazione di percorsi di apprendimento permanente nel settore privato è stata nel corso degli anni debole; pertanto tale tematica ha riscontrato ampio risalto nell’ambito del dibattito politico corrente, scaturito nella realizzazione dell’accordo congiunto denominato “Towards 2016”. Sono così state identificate una serie di priorità per la costituzione di un sistema di lifelong learning affidabile e duraturo che vedono nell’aumentata partecipazione dei soggetti più deboli (attraverso politiche che garantiscano maggiori opportunità di accesso ai sistemi educativi), nell’offerta di supporto alla partecipazione a percorsi di educazione superiore per chi non è autonomamente in grado di intraprenderli e nella formulazione di una Strategia Nazionale sulle Competenze per la realizzazione di un quadro strategico a medio termine, gli strumenti più importanti per lo sviluppo e la crescita delle risorse umane.

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ItaliaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,59% (dato Eurostat 2004) mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 6,1% (dato 2006). Pertanto, in termini di prodotto interno lordo, le attività finanziate dal settore pubblico in Italia risultano essere significativamente inferiori alla media europea, con un’offerta formativa eterogenea, anche per via del decentramento delle responsabilità organizzative confluite nelle Regioni, senza un rigido controllo a livello centrale.

LettoniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,08% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 6,9% (dato 2006). Lo sviluppo di sistemi di lifelong learning si è avviato nel 1993 con la costituzione dell’Associazione lettone per l’educazione degli adulti. Ad oggi, una rete di centri deputati a tale scopo, assieme ad enti di coordinamento, è stata costituita a livello delle municipalità, grazie alla costituzione del Consiglio tripartito per la formazione professionale.Il lento sviluppo in tema di riforma amministrativa e territoriale della Lettonia, con il relativo ritardo nella pianificazione delle principali iniziative a livello regionale, ha inizialmente costituito un ostacolo nello sviluppo del programma per la crescita delle risorse umane. I datori di lavoro sono stati coinvolti nello sviluppo e nella valutazione degli standard occupazionali, nell’elaborazione di aiuti e linee guida metodologiche per i programmi educativi, nella realizzazione di programmi per l’aggiornamento professionale dei formatori. Il programma nazionale per l’apprendimento permanente è stato adottato nel mese di dicembre 2004, a seguito del manifestarsi dell’esigenza di adattare le capacità e le competenze di fronte al mutato contesto economico e sociale del Paese. Per costituire tale sistema il Governo ha adottato la decisione di ristrutturare tutti gli schemi per il decentramento degli istituti d formazione professionale, ponendoli comunque sotto il controllo del Ministero dell’educazione e della scienza. Tale programma è stato elaborato sotto forma di 6 progetti simultanei, uno per ciascuna regione. Nel mese di settembre 2006 il Ministero della scienze e dell’educazione ha approvato le “Linee Guida sull’Educazione per il periodo 2007-2013”, uno dei documenti più importanti nella pianificazione di medio termine del Paese. Il principale obiettivo è quello di offrire a ciascun cittadino la possibilità di seguire percorsi di apprendimento permanente, secondo le esigenze individuali, le abilità, i bisogni, nel contesto di sviluppo economico nazionale.

LituaniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,20% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 4,9% (dato 2006). Attualmente, quindi, il livello di partecipazione alla formazione permanente in Lituania è considerevolmente inferiore alla media dei Paesi europei; ciononostante, la partecipazione dei partner sociali alla costituzione e all’implementazione di tale sistema risulta essere in costante aumento a partire dal 2001, sebbene tali soggetti non abbiano abbastanza capacità nel rappresentare i loro interessi presso gli enti formativi. Nel 2004 è stata approvata la Strategia per l’implementazione della formazione permanente e dei relativi piani di sviluppo. La formazione continua è stata definita come una delle principali priorità, nell’ambito della quale è stato dato particolare risalto alla formazione degli adulti.

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Durante il periodo 2005-2006 è stato ulteriormente sviluppato il sistema di educazione continua accessibile a tutti, con lo scopo di realizzare un contesto caratterizzato da tipologie formative in grado di adattarsi alle esigenze di ciascun individuo, al fine di migliorarne l’occupabilità. In questo contesto e nell’ottica di investire nel capitale umano, il Ministero dell’educazione e della scienza ha avviato la realizzazione di 118 progetti sulla formazione permanente, sviluppati da enti promotori specifici e finanziati con il contributo del Fondo sociale europeo.

Paesi BassiLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,18% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 15,6% (dato 2006). I Paesi Bassi hanno adottato una serie di misure per incoraggiare i lavoratori ad intraprendere percorsi di formazione permanente durante tutto l’arco della loro vita attiva. All’inizio del 2006, con l’introduzione dell’Accordo sui cicli di vita, è stato consentito ai lavoratori di investire parte del loro stipendio nel finanziamento di congedi formativi in periodi definiti, con un indubbio vantaggio in termini di deduzioni fiscali nel momento in cui i lavoratori si trovano nella condizione di prelevare il denaro precedentemente depositato, per finanziare tali tipologie formative. Per implementare gli obiettivi sanciti dalla Strategia di Lisbona e per rafforzare gli accordi precedentemente raggiunti, una nuova agenzia temporanea è stata costituita nel 2006, come iniziativa congiunta tra il Ministero dell’educazione ed il Dipartimento degli affari sociali e dell’occupazione, con gli obiettivi di incrementare la percentuale di soggetti con un livello di formazione professionale intermedio; stimolare l’iscrizione degli studenti a percorsi di istruzione superiore; di incoraggiare percorsi di educazione supplementare per gli occupati e i disoccupati. L’agenzia svilupperà un sistema di certificazione per la regolamentazione delle competenze e delle esperienze acquisite altrove, con l’obiettivo di migliorare la posizione dei lavoratori e di coloro che risultano essere attualmente disoccupati.

PoloniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,41% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 4,7% (dato 2006).La spesa pubblica per l’istruzione risulta essere relativamente alta nel Paese, superiore comunque alla media europea, sebbene lo sviluppo e la disponibilità di sistemi di apprendimento permanente sia inadeguata (solo il 5% della popolazione attiva partecipa regolarmente a corsi di aggiornamento professionale – fonte: Commissione europea 2006). La ridotta partecipazione della forza lavoro al lifelong learning è principalmente il risultato della mancanza di programmi nazionali educativi e formativi promossi dallo Stato, nonché dello scarso coinvolgimento dei datori di lavoro in tali processi. Conseguentemente, vi è la mancanza di un chiaro concetto di che cosa sia la visione di un sistema moderno di educazione e di che cosa lo determini, contestualmente alla mancanza di informazioni sulla reale domanda formativa per i lavoratori e i formatori. In tale contesto, il Ministero per l’educazione ha adottato nel 2003 un documento strategico sullo sviluppo della formazione continua e permanente fino al 2010, con l’obiettivo strategico di fornire un supporto e l’orientamento per lo sviluppo della competitività individuale e per stimolare l’innovazione. La strategia si basa sulle corrispondenti priorità stabilite a livello europeo e la sua implementazione viene svolta sia dall’amministrazione centrale,che da istituti educativi preposti e dai partner sociali, mediante il finanziamento nazionale

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e quello del Fondo sociale europeo. All’inizio del 2007, il Governo ha proposto un disegno di legge per lo sviluppo di una piattaforma di e-learning, che (sebbene sia diretto a particolari categorie di lavoratori, soggetti svantaggiati in primis) ha lo scopo di migliorare il contenuto qualitativo dei servizi erogati di formazione a distanza.

PortogalloLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,31% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 3,8% (dato 2006). I bassi livelli formativi del Paese continuano a limitare la produttività e la crescita economica: nel 2006 il 72,1% della popolazione occupata e il 73,7% di quella senza un lavoro risultavano aver beneficiato di non più di nove anni di educazione scolastica. Inoltre, l’erogazione di sistemi di apprendimento permanente è uno dei punti di maggiore debolezza nel Portogallo; per questo motivo, è stata promossa nel 2005 l’iniziativa “Nuove Opportunità” che ha l’obiettivo di riqualificare professionalmente 1 milione di adulti entro il 2010.

Repubblica CecaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,42% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 5,6% (dato 2006). La dimensione e le misure di politica attiva per l’occupazione nella Repubblica Ceca sono incredibilmente ridotte; basti pensare che nel lasso di tempo intercorrente tra il 1997 ed il 2004 sono state investite somme di denaro pari allo 0,1% del PIL nazionale. Recentemente sono stati adottati programmi orientati verso tale obiettivo, finanziati con il contributo dei fondi strutturali; ancora però non si è in possesso di informazioni sui risultati conseguiti e sulla partecipazione degli individui.

Repubblica SlovaccaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,21% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 4,3% (dato 2006). Il concetto di lifelong learning è stato adottato dalle autorità nazionali da parecchio tempo e numerosi documenti strategici e nuovi disegni di legge sono stati prodotti durante gli ultimi cinque anni in merito. Nonostante gli sforzi profusi e l’impegno politico, una strategia nazionale sull’apprendimento permanente risulta ancora latitare. Il lifelong learning nella Repubblica Slovacca comprende l’educazione formale (sviluppata nell’ambito del sistema scolastico: pre-scuola, istruzione primaria, secondaria e superiore) e l’educazione non formale (realizzata al di fuori dei percorsi ordinari e comprendente le associazioni civiche, i centri per il lavoro e altri enti). Il contesto legislativo per entrambi i sottosistemi è assai debole. Nell’educazione formale ciò riguarda principalmente l’assenza di una norma sulla scuola, che dovrebbe consentire la transizione da un sistema tradizionale ad uno più moderno, in grado di garantire l’acquisizione e l’applicazione delle informazioni, invece che la memorizzazione delle stesse. La Slovacchia presenta tradizionalmente una bassa percentuale di abbandono scolastico e detiene degli ottimi risultati nel completamento dell’istruzione giovanile (il 91,5% della popolazione in età compresa tra i 22 e i 24 anni, ha completato il ciclo di istruzione secondaria, mentre la media europea è del 76,9%). Comunque, la partecipazione della popolazione adulta nei percorsi educativi

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e formativi risulta essere solamente del 5%, mentre la media Ue è del 11%. Considerevole è il sorprendente ridotto tasso di partecipazione dei disoccupati e dei soggetti inoccupati: circa il 2,3% di essi prendono regolarmente parte a percorsi di sviluppo delle competenze e di maturazione professionale. Secondo i dati di Eurobarometro, il 60% dei lavoratori slovacchi non ha mai seguito alcun corso di aggiornamento negli ultimi 12 mesi.

Regno UnitoLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,29% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 26,6% (dato 2006). Ciò riflette l’interesse per queste problematiche e la maggiore considerazione del tema nel Regno Unito, ma anche gli investimenti ridotti, che si sono protratti nel tempo, adottati dai precedenti governi. Malgrado i progressi compiuti nel sistema educativo nazionale, almeno un terzo di tutta la popolazione risulta essere in possesso di un rilevante deficit culturale. Per questo motivo, la formazione permanente ha assunto un ruolo fondamentale. Il Libro Bianco sull’Educazione (marzo 2006) sottolinea il processo di riforma in atto delle strutture educative e formative del Regno Unito, evidenziando sei temi:• sistema specializzato centrato sull’occupabilità;• sistema in grado di venire incontro alle esigenze dei datori di lavoro;• strategia nazionale per l’insegnamento e l’apprendimento nell’istruzione superiore;• quadro logico in grado di diffondere le esperienze di successo e ridurre i fallimenti;• nuovi rapporti con le università e i college, con relativa riforma del meccanismo di finanziamento e di supporto.Particolarmente significativa nella riforma è la proposta di un nuovo Quadro delle Qualifiche e dei Curricula (QFC), che introduce un sistema unitario basato sull’acquisizione di crediti, per garantire a tutti i soggetti lo sviluppo di competenze tramite tutti gli elementi per l’apprendimento. Infine, il Regno Unito vanta un ottimo livello nei sistemi di istruzione superiore, specialmente per gli studenti più volenterosi e capaci. Comunque una rapida crescita nella partecipazione ai percorsi di educazione universitaria, avviatasi negli anni Ottanta, non è stata supportata dal necessario finanziamento, con il risultato di una bassa percentuale di soggetti in grado di terminare il ciclo di studi.

RomaniaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 3,29% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 1,3% (dato 2006). Alla luce di quanto è emerso anche dal monitoraggio del primo NAP Occupazione, e in linea con il Documento programmatico per il 2004-2006, il “National Development Plan”, sono state definite alcune priorità strategiche, tra le quali la costituzione di un sistema di formazione professionale per gli adulti. Attualmente esiste un piano di breve-medio periodo per la formazione permanente, che deve essere approvato dal Governo.

SpagnaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 4,25% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 10,4% (dato 2006).

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L’elemento più evidente in merito alle prestazioni conseguite nell’implementazione del lifelong learning non riguarda l’attuale contesto del mercato del lavoro spagnolo, ma il mutamento metodologico sugli indicatori, avvenuto nel 2005. Precedentemente tale variazione, che concerne l’inclusione della formazione informale nelle ricerche statistiche, la Spagna ha presentato delle ridotte performances in termini di LLL, una percentuale di soggetti coinvolti in misure per l’apprendimento permanente pari alla metà della media europea. Dopo tale modifica, il Paese ha raggiunto risultati simili al resto delle nazioni dell’Unione, cosa che certamente ha avuto importanti implicazioni nelle misure strutturali per l’approccio alla flexicurity. Ciononostante, sebbene tali dati siano migliori rispetto ai parametri precedenti, la qualità e l’appropriatezza della formazione in termini di adattabilità dei lavoratori dovrebbero rimanere elementi chiave per la promozione dei programmi formativi verso i destinatari. In base agli ultimi dati, il numero di occupati che hanno ricevuto un percorso di riqualificazione professionale è aumentato del 9% tra il 2004 ed il 2005.

SveziaLa spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 7,35% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 32,10% (dato 2006). Il ruolo crescente nelle politiche attive per l’occupazione della formazione permanente denota l’evidenza e l’importanza che il Governo ed i partner sociali danno ai sistemi di mobilità occupazionale ed allo sviluppo delle competenze lungo tutto l’arco della vita attiva. Secondo i principali standard internazionali, il percorso e il completamento formativo della popolazione svedese è chiaramente superiore alla maggioranza dei Paesi dell’Unione europea ed alle nazioni OECD. Alla fine del secolo scorso risultava che più del 50% della popolazione adulta aveva conseguito un’istruzione superiore, mentre il 30% di essi era in possesso di una laurea. Nel corso dell’anno scolastico 2003–2004, almeno il 45% degli studenti di età compresa tra i 19 ed i 26 anni ha deciso di proseguire il ciclo di istruzione, iscrivendosi all’Università. Per quanto riguarda i lavoratori, fin dal 1974 essi avevano il diritto di assentarsi per motivi di studio e di aggiornamento professionale. La legislazione sulle ferie per motivi formativi è estremamente flessibile e consente ampia discrezionalità agli individui nella scelta dei percorsi di studio. L’accesso alla formazione è inoltre garantito da un sistema di prestiti pubblici con tassi di interesse contenuti. La legge sulle ferie individuali per la formazione ha il duplice scopo di incoraggiare la mobilità occupazionale e sociale e di facilitare l’accesso ai sistemi di formazione per i lavoratori in possesso di bassi livelli di istruzione. La sua estrema liberalità permette a tutti i lavoratori con almeno sei mesi di servizio di scegliere il percorso formativo rispondente alle proprie necessità, senza vincoli sulla tipologia e sulla durata. Le stesse assenze dal lavoro possono essere di natura flessibile, variando da permessi orari giornalieri alle ferie vere e proprie. Un’altra caratteristica del sistema educativo svedese è data dalla opportunità di completare il proprio percorso professionale sia con i sistemi tradizionali di formazione, sia con percorsi mirati “on the job”. Sul luogo di lavoro, infatti, l’opportunità per il soggetto di sviluppare le proprie competenze viene vista come un elemento chiave nel processo di apprendimento permanente e per questo motivo nel 2005 è stato rilevato come il 33,5% della forza lavoro del Paese ha partecipato a diverse tipologie di formazione in azienda.

Ungheria

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La spesa pubblica per i sistemi di istruzione e di formazione è risultata essere pari al 5,43% (dato Eurostat 2004), mentre la percentuale della popolazione adulta che partecipa al lifelong learning è risultata essere pari al 3,80% (dato 2006). Durante l’ultimo decennio, il livello dei titoli di studio della popolazione ha mostrato grandi miglioramenti. A titolo dimostrativo, all’interno della popolazione compresa tra i 25-59 anni, che è il più significativo per il mercato del lavoro, la percentuale di coloro che hanno soltanto la formazione della scuola dell’obbligo è calata significativamente, mentre la proporzione della popolazione con la licenza di scuola secondaria e d’istruzione superiore è cresciuta considerevolmente. Di conseguenza, il livello medio di formazione della fascia d’età economicamente attiva si è avvicinato alla media dell’Unione europea. Nel 1990 quasi la metà di questo gruppo d’età aveva completato soltanto gli otto anni di formazione primaria mentre nel 1999 era poco più di un quarto (Ue: 36%). La percentuale di persone con formazione secondaria (professionale compresa) è aumentata dal 40% al 60% mentre il 41,9% (Ue: 43%) ha superato l’esame finale della scuola secondaria (equivalente a GCSE) che corrisponde ad un livello “superiore-secondario” internazionale. La formazione e i corsi di aggiornamento svolgono un ruolo importante nell’affrontare e nel limitare la disoccupazione. Fra un quarto ed un terzo della spesa per le misure attive viene dedicato a questo scopo. Nell’ultimo decennio, il 13-18% dei disoccupati ha partecipato a questo tipo di formazione. Circa un terzo di essi era rappresentato da giovani professionisti che iniziavano la loro carriera (ciò mostra la mancanza di corrispondenza fra la formazione all’interno del sistema di istruzione tradizionale ed i requisiti richiesti dal mercato del lavoro). Il numero di allievi è diminuito, la soglia della disoccupazione da allora ha cominciato a crescere di nuovo. Nel 2003 il numero degli addetti alla formazione sovvenzionata è ammontato a 97mila persone. Oltre alla creazione dei centri di formazione regionale, il sistema di formazione ha subito un processo importante di ristrutturazione, con un aumento delle prestazioni dei fornitori di formazione. Inoltre è emerso un certo numero di organizzazioni private per la formazione. Il numero di aziende che svolgono un ruolo nel mercato della formazione è valutato intorno a cinquecento o seicento. Attualmente le organizzazioni non governative forniscono servizi di formazione (fondazioni addette alla formazione delle persone disoccupate, rete delle istituzioni culturali, ecc.), svolgendo un ruolo importante. Allo stesso tempo, le reti istituzionali non includono l’auto formazione specifica o altre forme di apprendimento, la cui importanza sembra crescere continuamente.

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Sistemi di protezione sociale

AustriaLa percentuale dedicata agli interventi nel sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 29,1% del PIL (dati Eurostat). Questo denota che tale investimento è stato uno dei più elevati tra i Paesi europei. Per quanto riguarda il sussidio di disoccupazione, l’Austria rientra nella media europea (1,8%) per quanto riguarda questa voce di spesa. I trasferimenti di denaro (1,6%) sono erogati sotto forma di prepensionamenti e sussidi di disoccupazione nel caso di cessazione dell’attività lavorativa o di possibilità, temporanea o permanente, di prendere parte al processo produttivo, assolvendo alla funzione di assistenza o di previdenza nel periodo di inattività lavorativa. Ci sono anche interventi attivi, dal lato dei trasferimenti in denaro, finalizzati alla formazione professionale (0,2%).

BelgioLa percentuale dedicata agli interventi nel sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 29,3% del PIL (dati Eurostat). In materia di disoccupazione, la spesa per sussidi nello stesso anno è stata pari al 3,5%. Ci sono stati anche interventi attivi dal lato dei trasferimenti di denaro. Negli ultimi 25 anni il tetto per il calcolo dell’importo sostitutivo del reddito, eccetto quello della pensione, è rimasto molto indietro rispetto alla crescita salariale. Il “Patto per le Generazioni” include un meccanismo giuridico che collega l’andamento dei benefici sociali alla ricchezza nazionale. Tale principio verrà regolato con andamento biennale, in seguito alla consultazione con i partner sociali.

CroaziaIl Paese sta sviluppando un moderno sistema di protezione sociale che consiste nell’implementazione del regime pensionistico, di quello assicurativo e della tutela contro la disoccupazione. L’ammontare della spesa diretta verso tale sistema è pari al 24% del PIL nazionale, con una riduzione di due punti percentuali rispetto al 2001; il sistema pensionistico assorbe più della metà di tutte le spese per la protezione sociale. In materia di reddito minimo garantito, mentre non è stato stabilito un tetto massimo retributivo, quello minimo viene annualmente determinato dal Governo e a tutt’oggi risulta essere pari a 280 euro. Nel settore delle politiche occupazionali la Croazia sta percorrendo la stessa direzione adottata nel resto d’Europa, vale a dire la riduzione delle liquidazioni e del periodo di preavviso, con una maggiore enfasi sull’erogazione di sussidi di disoccupazione dipendenti dall’effettiva partecipazione a programmi formativi e di reinserimento professionale.

DanimarcaLa percentuale dedicata agli interventi nel sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 30,7% del PIL. La caratteristica principale del sistema di protezione sociale della Danimarca è lo sviluppo e la realizzazione di un impianto a due rami, uno per gli occupati e i disoccupati, l’altro per quei gruppi senza alcun legame con il mondo del lavoro. Entrambi i sistemi hanno, sin dalla fine del 1800, la sicurezza sociale come obiettivo primario e da allora e durante gli ultimi cento anni tali sistemi si sono sviluppati fino ai giorni nostri. Il sistema danese di assicurazione contro la disoccupazione è basato sull’apparato denominato “Ghent”, consistente in 31 fondi assicurativi riconosciuti dallo Stato, dieci dei quali operanti in specifici settori del mondo del lavoro; la partecipazione a tali fondi è pertanto rivolta a soggetti

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impiegati in determinati ambiti lavorativi; tredici di tali fondi operano anch’essi in specifici settori, ma consentono l’iscrizione anche di imprenditori e di liberi professionisti impiegati in tale contesto; tre di essi sono fondi trasversali (possono parteciparvi tutte le categorie di lavoratori e i disoccupati); quattro sono fondi per la disoccupazione, mentre uno ammette soltanto l’autoimpiego. Quando un soggetto si muove da un fondo all’altro, vengono contestualmente trasferiti i sussidi di disoccupazione. C’è da sottolineare come la maggior parte di questi fondi siano collegati ad associazioni sindacali. L’attuale sistema per il supporto economico dei disoccupati risale alla vasta riforma dei sussidi contro la perdita del lavoro del 1970, con la quale lo Stato ha assunto la responsabilità del finanziamento dei costi aggiuntivi causati da incrementi disoccupazionali. I membri dei fondi correlati sono comunque obbligati a pagare un contributo determinato di adesione, indipendentemente dal loro stato professionale. Il meccanismo di finanziamento implica che la percentuale della partecipazione pubblica dipenda dal totale dei disoccupati. In periodi di crisi, come quello dei primi anni Novanta, la quota governativa ha raggiunto l’80%, diminuita poi al 50% a seguito della ripresa economica. Il rapporto che intercorre tra l’assicurazione contro la disoccupazione, la protezione occupazionale e le politiche attive del lavoro è spesso evidenziato come una delle principali caratteristiche del modello danese di flexicurity, secondo la seguente configurazione:• mercato del lavoro flessibile con un elevato livello di flessibilità numerica indicata dall’alta percentuale dei flussi di lavoratori che entrano e fuoriescono dalla disoccupazione;• basso livello di protezione occupazionale, che consente ai datori di lavoro di adattare la consistenza numerica della propria manodopera alle mutate condizioni economiche;• generoso sistema di supporto economico per i disoccupati;• politiche attive del lavoro mirate a incrementare le competenze degli individui che non risultano essere in grado di rientrare autonomamente nel mondo del lavoro dopo un periodo di disoccupazione.

EstoniaLa percentuale dedicata agli interventi nel sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 13,4% del PIL (dati Eurostat 2006). I sussidi di disoccupazione e la legislazione di protezione del lavoro sono in un certo senso le due alternative per la tutela dei lavoratori contro la disoccupazione. In Estonia una rigida legislazione del lavoro, combinata con un elevato livello di erogazione delle liquidazioni, vengono viste come complementari al basso tasso di sostituzione e alla relativamente breve durata del sussidio di disoccupazione. Nel 2002 è stato introdotto il sistema dell’assicurazione per la disoccupazione (UI), con l’avvio dell’erogazione dei primi pagamenti a partire dal 2003. Attualmente il sistema di compensazione è caratterizzato da due istituti: il primo, rappresentato dall’assicurazione contro la disoccupazione (UI), è basato sulla retribuzione maturata ed è finanziato dalla contribuzione obbligatoria; il secondo istituto, il sussidio per l’assistenza alla disoccupazione (UA), è finanziato con fondi pubblici. Tale sistema ha garantito una maggiore certezza del reddito tra i disoccupati ma, se comparato a livello internazionale, il livello dei sussidi risulta essere ancora ridotto, così come quello dei contributi erogati dai datori di lavoro e dai lavoratori per il fondo di disoccupazione. La durata del sussidio di assicurazione di disoccupazione è compresa tra 180 giorni ed un anno, in base al periodo del pagamento dei contributi. In Estonia vengono inoltre erogati sussidi ai disoccupati, finalizzati alla creazione di lavoro autonomo, ma solo il 54% di coloro che sono effettivamente disoccupati riceve questo tipo di beneficio.

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FinlandiaLa percentuale dedicata agli interventi che fanno riferimento al sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 26,7% del PIL (dati Eurostat 2006). Nel corso degli ultimi anni il tasso di crescita annua della spesa sociale totale è stato sempre inferiore di due punti percentuale alle medio europeo, collocandosi nel 2004 al 26,9%. Le rigidità strutturali generate dal sistema di protezione sociale nazionale hanno limitato l’aggiustamento e la modernizzazione del mercato del lavoro, specialmente durante la fase di recessione degli anni Novanta. L’impatto congiunto della tassazione sul lavoro e del sistema di sicurezza sociale, assieme ad un livello elevato di servizi e sussidi erogati, ha avuto come conseguenza un decremento motivazionale nella ricerca di nuova occupazione. Al fine di aumentare il tasso di partecipazione al mondo del lavoro, è stata ridotta la tassazione sul reddito e si è realizzata una politica di riduzione dei benefici (collegati al reddito) per l’assistenza sociale. Il potenziale occupazionale per i lavoratori anziani con reddito minimo è stato migliorato nel corso del 2005, attraverso alcuni sussidi ai datori di lavoro legati all’assunzione di manodopera con più di 54 anni di età. Inoltre, la riduzione dei costi indiretti del lavoro può rappresentare un incentivo all’occupabilità (specialmente nel settore dei servizi), se tale riduzione rientra nell’ottica di un processo di riforma fiscale e del mercato del lavoro. Su questo percorso la Finlandia sta indirizzando le proprie strategie.

FranciaLa percentuale dedicata agli interventi nel sistema di protezione sociale nazionale è risultata essere pari al 31,2% del PIL (dati Eurostat 2006), mentre nel 2003 la spesa totale annua per misure sociali si è assestata al 30,9% del PIL, una delle più elevate percentuali nell’Unione europea. Dal punto di vista della flexicurity, la sfida in materia di protezione sociale in Francia è l’evoluzione rispetto ad un regime che si è costruito intorno ad una relazione stretta con lo status di disoccupazione, evoluzione che è anche condizione necessaria per la mobilità professionale e per la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. L’indennità di disoccupazione non è affatto sistematica e non riguarda solo i disoccupati. Anche altre categorie hanno accesso al regime di solidarietà, e al reddito minimo di inserimento. I giovani risultano essere i soggetti meno tutelati dall’assicurazione contro la disoccupazione, specialmente coloro che hanno un impiego di tipo precario. Meno di un lavoratore atipico su quattro raggiunge i sei mesi di attività necessari per beneficiare del sussidio di disoccupazione. In Francia esistono sei diverse tipologie di ammortizzatori sociali: l’indennità di disoccupazione, il sussidio di disoccupazione, l’indennità di prepensionamento, il reddito minimo di inserimento, il reddito minimo di attività ed infine l’indennità equivalente alla pensione. Il sistema di protezione per la perdita involontaria dell’occupazione comprende due istituti: un sistema di assicurazione contro la disoccupazione, finanziato per mezzo dei contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori, ed uno schema misto finanziato dallo Stato, che costituisce il sussidio di disoccupazione. Un altro ammortizzatore sociale predisposto dallo Stato francese riguarda l’indennità corrisposta ai lavoratori che abbiano almeno 57 anni e che siano a rischio di un licenziamento economico. Per ottenerla, essi devono avere versato i contributi per almeno dieci anni ed avere lavorato almeno un anno nell’impresa alla data del licenziamento. Infine, nel 1988 è stato introdotto il reddito minimo di inserimento per garantire a ciascuno una soglia minima di reddito capace di assicurare la sussistenza.

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Versato inizialmente per tre mesi, può essere successivamente prorogato per un periodo compreso tra i tre mesi ed un anno. La riforma del mercato del lavoro introdotta nel gennaio del 2008 ha stabilito che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro (a tempo indeterminato o a termine), il lavoratore ha diritto alle prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione

GermaniaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 29,5% del PIL (dati Eurostat 2006), dato in calo rispetto al 2003 quando la spesa totale è stata del 30,2%, superando la media europea del 2,2%; nello stesso anno la spesa per la protezione sociale si è attestata al 29,1%. In materia di prestazioni sociali, i datori di lavoro possono ricevere indennizzi per le perdite subite in seguito all’assunzione di persone con difficoltà a trovare un impiego. L’importo del sussidio di integrazione dipende dalla mancanza di abilità tecnica. Si suppone che le capacità aumentino quando il lavoratore prende confidenza col suo lavoro. Di conseguenza, i sussidi di integrazione vengono ridotti dopo un determinato periodo di tempo. I datori di lavoro che assumono un lavoratore anziano disoccupato (almeno 55 anni) non devono pagare contributi; in questo modo è meno costoso assumere un lavoratore anziano rispetto ad uno giovane. La persona assunta, tuttavia, deve pagare i suoi normali contributi e rimanere coperta dall’assicurazione per la disoccupazione. Questa regolamentazione è valida solamente per i contratti che sono iniziati prima del 1° gennaio 2006. Ci sono due importanti sistemi per l’ottenimento dei sussidi per la disoccupazione: il sussidio parziale di disoccupazione e l’indennità di disoccupazione. Quest’ultima è stata creata il 1 gennaio 2005 dalla fusione dei sussidi relativi all’assistenza alla disoccupazione e all’assistenza sociale. Altri sussidi sostitutivi del salario sono l’indennità per dipendenti, l’indennità per l’orario ridotto di lavoro, l’indennità per il maltempo e l’indennità per bancarotta. La base per calcolare l’esatto ammontare dei sussidi di disoccupazione è la media dell’ammontare degli stipendi/salari guadagnati durante gli ultimi 12 mesi prima della disoccupazione. Se il richiedente non ha lavorato almeno 150 giorni durante gli ultimi 12 mesi, il periodo valido è prolungato di 2 anni.

GreciaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 26,0% del PIL (dati Eurostat 2006). Le trappole occupazionali, indicatori che si riferiscono alla situazione in cui i sussidi erogati al disoccupato e alla sua famiglia sono superiori rispetto ai guadagni derivati dalla prestazione di lavoro, risultano essere inferiori in Grecia rispetto alla media europea (77% contro il 78,4%). Ciò indica che la ricerca attiva di un nuovo lavoro non viene scoraggiata dal contesto vigente. Il sistema greco dei sussidi per la disoccupazione è stato spesso criticato per l’eccessiva ingenerosità e per la mancanza di equità, visto che vaste categorie della forza lavoro (tra le quali i liberi professionisti e i nuovi entrati nel mondo del lavoro) vengono praticamente lasciate senza alcuna copertura. Nella seconda metà del 2006 il Governo ha annunciato modifiche al sistema: i sussidi di disoccupazione vanno ad incrementarsi per un periodo di tre anni, con tassi del 12,29%, 5,15% e 9,93%. Al termine di tale processo, l’erogazione di tale misura sarà incrementata di 404 euro. Nel complesso, si cerca di valorizzare e aumentare l’occupabilità di chi usufruisce di indennità e sovvenzioni mediante divulgazione di informazioni o promozione e offerta di programmi di formazione professionale sul posto di lavoro.

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IrlandaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 17% del PIL (dati Eurostat 2006). Il Paese vanta un sistema sviluppato di sussidi e di stato sociale, in grado di fornire adeguato supporto a coloro che si trovano senza un impiego. L’ammontare più basso di sussidio sociale al disoccupato è stato incrementato del 30% del reddito medio lordo. L’Irlanda possiede inoltre un sistema evoluto di associazioni e di enti che, assieme agli uffici locali, sono in grado di fornire orientamento e supporto al disoccupato per individuare gli sbocchi occupazionali coerenti con un preciso percorso formativo. Per questo motivo, è prevista la divulgazione di informazioni su formazione, iniziative e progetti destinati a coloro che godono di un sussidio di disoccupazione. Verso categorie sociali definite, quali i disabili, la legislazione di welfare ha ancora una natura piuttosto “confusa”, ovvero sembra essere cresciuta più come risultato di un processo di stratificazione che come un progetto pianificato.

ItaliaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 26,1% del PIL (dati Eurostat 2006), con un aumento di un punto percentuale rispetto al 2004 (incidenza sul PIL del 26,4% nel 2004 e del 26,5% nel 2005). Per il 2005 i dati rivelano che le risorse dedicate agli strumenti di sostegno del reddito superano quelle rivolte alla promozione dell’occupazione. Il sistema italiano di sussidi di disoccupazione risulta essere complesso e frammentato: mentre il trasferimento generale di risorse per coloro che non hanno un lavoro è carente, esistono specifici sussidi per differenti categorie di lavoratori. La mobilità e i sussidi di cassa integrazione sono erogati nel caso di procedure concorsuali nelle imprese con più di 15 dipendenti. Per quanto riguarda i lavoratori temporanei, in caso di disoccupazione, coloro che rientrano nell’impiego a tempo determinato percepiscono un indennizzo ridotto, mentre i lavoratori atipici non beneficiano di alcun sussidio. In Italia, tutti i lavoratori dipendenti sono titolati a ricevere un trattamento di fine rapporto, ossia una quota parte di retribuzione totale allocata nel corso degli anni e distribuita al termine del rapporto di lavoro. Questo trattamento non viene erogato ai lavoratori atipici che pertanto risultano essere l’anello debole del sistema di protezione sociale del Paese: essi pagano un contributo sociale ridotto (18,5% nel 2006 e 23% nel 2007) in rapporto al 33% pagato dai lavoratori dipendenti. L’Italia spende poco nelle politiche del lavoro, solo l’1,3% del Pil; 0,6% in misure passive, di cui l’82,8% in sussidi di disoccupazione e il 17,2% in pensionamenti anticipati. Per le politiche attive la percentuale risulta essere pari allo 0,7% (dati 2005).

LettoniaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 12,6% del PIL (dati Eurostat 2006). L’aspetto più importante del mercato del lavoro lettone collegato ai sistemi di protezione sociale è quello relativo al sussidio di disoccupazione. I soggetti possono beneficiarne se ricevono lo status di disoccupato e hanno provveduto alla contribuzione sociale per i 12 mesi precedenti, inclusi almeno 9 mesi nei quali è stata richiesta l’iscrizione nelle liste di disoccupazione. Le persone che sono nella condizione temporanea di non lavorare o devono prestare le cure verso figli disabili di età non superiore ai 16 anni possono ricevere tale sussidio con un periodo di contribuzione inferiore ai nove mesi. Il calcolo dell’importo erogabile dipende dalla durata dell’iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria. Durante i primi tre mesi di disoccupazione viene erogato il 100% del salario, nei

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secondi tre mesi il 75%, mentre per i restanti tre mesi (il periodo complessivo di beneficio del sussidio di disoccupazione è infatti di 9 mesi), la somma totale erogata è pari al 50% del reddito conseguito. Significativi progressi in termini di sistema di protezione sociale sono stati fatti nel marzo del 2006 con l’introduzione del sussidio di maternità che permette al genitore in congedo parentale di continuare a lavorare e a percepire contestualmente allo stipendio, il 50% di tale sussidio.

LituaniaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 13,3% del PIL (dati Eurostat 2006). Fino al 2005, anno dell’introduzione della nuova legge sull’Assicurazione Sociale per i disoccupati, il livello medio di disoccupazione, così come la percentuale di soggetti che percepivano il relativo sussidio, risultava estremamente bassa. La situazione è radicalmente mutata dopo l’introduzione di tale norma, che ha incrementato la percentuale di beneficiari di tale sussidio, aumentando al contempo la trappola occupazionale. Il contenuto del nuovo dispositivo mira a stabilire un maggiore controllo sui sussidi di disoccupazione, motivando al contempo i soggetti nella ricerca attiva di una nuova collocazione professionale. Una delle principali debolezze del sistema di protezione sociale della Lituania è rappresentata dalla scarsa partecipazione delle parti sociali nel contesto relativo all’assicurazione di disoccupazione; infatti queste non hanno apportato alcun contributo significativo allo sviluppo ed al miglioramento del sistema. Recentemente è stato introdotto un nuovo strumento di riduzione dell’imposizione fiscale; è stato aumentato inoltre il reddito minimo garantito attraverso l’esenzione fiscale. Dal luglio 2006 è stata ridotta l’aliquota sul reddito dal 33% al 27%, con la prospettiva di un’ulteriore riduzione. In materia di assistenza alle categorie svantaggiate (famiglie, ragazze madri, soggetti a basso reddito) sono stati introdotti nuovi strumenti per il miglioramento del contesto sociale nazionale, contestualmente alla promozione di incentivi per lo sviluppo economico. In Lituania non esistono limitazioni alla mobilità della forza lavoro e ciò ha incrementato considerevolmente la sicurezza occupazionale del Paese, in termini di opportunità di ricollocazione professionale sia all’interno che all’esterno del territorio.

Paesi BassiLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 28,5% del PIL (dati Eurostat 2006). Il sistema di sicurezza sociale olandese contiene una serie di leggi di protezione, quali la norma sulla disoccupazione (“Werkoosheidswet”) e la legge sui sussidi di disabilità. Alle politiche del lavoro è destinato il 2,7% del PIL nazionale e lo 0,9% in misure attive concentrate sull’integrazione dei disabili per il 5%, mentre il restante 50% è diviso tra formazione professionale e creazione diretta di posti di lavoro. Tale sistema è stato riorganizzato nel corso del decennio precedente, in quanto diventato troppo oneroso e soggetto ad abusi. Da una parte è stato ampliato lo spettro di esigibilità di tali sussidi, riducendo al contempo i margini per la titolarità del beneficio di disabilità. A tal proposito, nei confronti dei diversamente abili si sono riscontrate le maggiori difficoltà, dato che il dispositivo ha stabilito una nuova valutazione della disabilità, che ha costretto numerose persone al forzato rientro nel mondo del lavoro. L’Olanda è uno dei Paesi che sta attuando il passaggio dalle politiche passive di sostegno al reddito a quelle attive mediante misure personalizzate di reinserimento o di ritorno al lavoro direttamente gestite dal settore privato,

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anche attraverso misure specifiche volte a modificare la normativa in materia di promozione delle forme atipiche di lavoro.

PoloniaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 20,0% del PIL (dati Eurostat 2006). L’attuale stato della protezione sociale è influenzato dalle decisioni prese durante gli anni Novanta in tema di misure di contrasto alla disoccupazione. Le misure adottate (tra cui l’adozione di criteri prettamente liberistici in tema di concessione del sussidio di disabilità) hanno però condotto ad una significativa riduzione della ricerca attiva di occupazione. I pensionamenti anticipati e le pensioni di invalidità hanno comunque avuto come effetto una riduzione della disoccupazione generale, ma anche un’elevata crescita numerica dei soggetti inattivi. La Polonia, in linea con gli altri Paesi europei in materia di politiche del lavoro, ha sviluppato una rete di collegamento tra misure di intervento attive e passive. Per favorire il costante contatto con il mercato del lavoro, è stato creato un servizio definito “prestito di attivazione” che incentiva l’assunzione part time dei lavoratori disoccupati. In materia di politiche sociali, due sono stati i principali provvedimenti adottati nel corso degli ultimi anni: la legge dell’aprile del 2006 sull’occupazione sociale, che mira alla realizzazione della possibilità di collocare nel mondo del lavoro soggetti a rischio di esclusione sociale; la legge dell’aprile 2006 sulle cooperative sociali mira a limitare il fenomeno di marginalizzazione dell’esclusione sociale, attraverso la realizzazione di specifiche imprese protette.

PortogalloLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 24,9% del PIL (dati Eurostat 2006). La modernizzazione del sistema di protezione sociale nazionale è stata sviluppata dal governo portoghese in due ambiti: rafforzamento dei livelli di protezione con un approccio verso la differenziazione dei sistemi, nonché la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale; risoluzione della sostenibilità finanziaria presente e futura. I beneficiari dell’indennità di disoccupazione e della prestazione sociale di disoccupazione residenti nel territorio nazionale sono: lavoratori coperti dal sistema generale di previdenza sociale; lavoratori in cooperative non coperti dal generale sistema di previdenza sociale previsto per i lavoratori autonomi, che hanno cessato la loro attività per cause esterne alla loro volontà; i titolari di una pensione di invalidità che sono stati considerati capaci di lavorare dopo una nuova valutazione della loro inabilità. Viene riconosciuta una quota aggiuntiva all’indennità di disoccupazione (oltre e in aggiunta alla prevista indennità di disoccupazione o alla prestazione sociale di disoccupazione o all’indennità provvisoria di disoccupazione) alle persone disoccupate con bambini e giovani a carico portatori di handicap. L’indennità di disoccupazione corrisponde al 65% del reddito di riferimento calcolato sulla base di 30 giorni lavorativi al mese. Limite massimo: tre volte retribuzione minima nazionale; limite minimo: pari retribuzione minima nazionale o guadagni medi se di entità minore dello stipendio minimo. Anche la prestazione sociale di disoccupazione è calcolata sulla retribuzione minima nazionale (NMS) e sulla base di 30 giorni in un mese e più esattamente è pari al:- 100% del NMS se il lavoratore ha una famiglia;- 80% del NMS se il lavoratore vive solo.

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Repubblica CecaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 19,6% del PIL (dati Eurostat 2006). Le novità introdotte a partire dal 2007 nel sistema di welfare vigente avevano inizialmente l’obiettivo di sviluppare gli incentivi ai disoccupati nella ricerca di nuova occupazione. Sfortunatamente, i parametri del nuovo sistema sono stati resi più ampi di quelli inizialmente proposti dal Ministero del lavoro durante il processo legislativo nel Parlamento. Ancora non si ha un riscontro oggettivo dei miglioramenti eventualmente conseguiti.

Repubblica SlovaccaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 17,2% del PIL (dati Eurostat 2006). La Slovacchia ha introdotto un nuovo modello nel 2003, che ha sostituito il sistema tradizionale di redistribuzione della ricchezza verso gruppi sociali definiti, promuovendo la solidarietà sociale. Gli obiettivi essenziali hanno incluso la diminuzione della disoccupazione e la crescita dell’efficacia del sistema stesso. La riforma è stata basata su tre principi chiave: assistenza sociale e politiche per la famiglia, sistema pensionistico e riforma del mercato del lavoro. Una nuova legge sull’assistenza è stata adottata, aggiustando il sistema dei benefici sociali per ridurre la dipendenza dall’assistenza pubblica. La riforma ha condotto ad un taglio sensibile dell’assistenza di base, introducendo però un nuovo set di sussidi la cui erogazione è strettamente legata all’attività del beneficiario. I servizi sociali sono di conseguenza non più intesi alla sostituzione del reddito; sono concepiti come uno strumento di supporto nei casi di necessità.L’erogazione di sostegni verso le famiglie è stata modificata per incrementare la motivazione al lavoro dei soggetti occupati. Un’indennità forfettaria è stata introdotta, indipendentemente dal reddito familiare, con il pagamento degli assegni familiari condizionato alla partecipazione alla scuola dell’obbligo. La riforma del sistema pensionistico ha costruito un sistema a tre basi, uno basato sul pagamento contributivo, un altro sulla capitalizzazione privata, il terzo sulla contribuzione complementare. La nuova legge sull’assistenza sociale ha introdotto una serie di principi nel sistema, riformando il settore pubblico, stipulando una nuova metodologia di calcolo pensionistico e stabilendo un’agenda per l’innalzamento dell’età pensionabile fino a 62 anni, sia per gli uomini che per le donne. È stato consentito ai pensionati di continuare l’attività lavorativa e di ricevere il sussidio di vecchiaia. A tal proposito, nel 2005 è stato lanciato un sistema di risparmio che prevede l’allocazione del 9% dei contributi sociali, pagati dai lavoratori e dai datori di lavoro, nella previdenza complementare privata. La legge ha anche rivisitato l’erogazione del beneficio di disoccupazione, unificandolo a 6 mesi e stabilendolo nella misura del 50% della retribuzione lorda annuale media percepita. La norma ha anche ridefinito l’assicurazione di malattia in caso di congedi per maternità, riducendo le relative concessioni per prevenire qualsiasi abuso. Queste modifiche sono state accompagnate da una generale riforma del sistema fiscale (con l’introduzione di una tassa sui redditi di impresa ed individuali del 19%), che ha determinato anche un abbassamento del prelievo fiscale sul costo del lavoro.

Regno Unito

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La percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 26,3% del PIL (dati Eurostat 2006). Attualmente esistono tre forme principali di sussidio erogate dallo Stato: il Jobseeker Allowance (JSA), l’Income Support (IS) e l’Incapacity Benefit (IB).• per avere diritto al JSA i soggetti (con età superiore a 18 anni) devono essere capaci e in grado di mettersi nelle condizioni per una ricerca attiva di occupazione. I beneficiari comunque possono lavorare per meno di 16 ore alla settimana e ricevere ugualmente tale sussidio;• l’Income Support è un sussidio per coloro che rientrano tra i 16 e i 59 anni di età e sono titolari di un reddito molto basso, sia che lavorino o meno per almeno 16 ore settimanali. Anche qui l’erogazione dipende dalla realizzazione di interviste motivazionali nei centri per l’impiego, a meno che il soggetto non appartenga ad una famiglia monoparentale, sia malato o disabile.• L’Incapacity Benefit può essere sia di breve che di lunga durata. Il primo viene erogato verso coloro che non sono in grado di ricevere l’indennità di malattia dal loro datore di lavoro, hanno pagato contributi al fondo diassicurazione nazionale e non sono in grado di esercitare un’attività professionale per quattro giorni alla settimana, a causa della loro disabilità. La riforma di tale sussidio mira alla riduzione dell’ammontare concesso ai beneficiari, per eliminare il circolo vizioso di assenza dalla vita lavorativa attiva.Per coloro che sono occupati il governo si serve di sussidi per garantire che il “lavoro paghi”. Questa espressione significa stimolare gli individui ad entrare nel mondo del lavoro, sebbene con retribuzioni molto ridotte. Il salario nazionale minimo garantito supporta i lavoratori, assicurando un livello minimo di retribuzione. In aggiunta, il Regno Unito supporta le persone a muoversi da un rapporto di lavoro a tempo parziale verso uno a tempo indeterminato. Le erogazioni di prestazioni sociali per coloro che non svolgono alcuna attività lavorativa sono disegnate per offrire le garanzie minime piuttosto che un sistema di mantenimento di un reddito che allontani i soggetti dal mondo del lavoro.

RomaniaAi disoccupati che, pur avendo diritto al sussidio di disoccupazione, accettano un posto di lavoro prima del termine del periodo di sussidio, viene riconosciuto un premio pari al 30 % delle mensilità residue. Inoltre, a chi avvia una forma di autoimpiego in qualsiasi settore (ad esclusione delle professioni liberali in medicina e in giurisprudenza e del settore del commercio al dettaglio) viene riconosciuto un contributo a fondo perduto di 100 milioni di Lei (sul quale, però, vanno prestate garanzie reali), se l’iniziativa è mantenuta per almeno 5 anni. Lo stesso sussidio spetta a chi assume un lavoratore al quale mancano tre anni alla pensione. Ai disoccupati che accettano un posto di lavoro situato oltre 50 chilometri dal luogo di residenza è riconosciuto un premio pari a due mensilità del salario di riferimento dovuto allaposizione lavorativa accettata. La legge di assicurazione contro la disoccupazione del 2002 ha introdotto un’aliquota fissa per l’erogazione di tale sussidio pari al 75% del salario medio lordo nazionale.

SpagnaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 20,0% del PIL (dati Eurostat 2006). I sostegni alla disoccupazione meritano in questo contesto particolare attenzione. Il principale obiettivo di tale misura di protezione è quello di garantire i lavoratori nei periodi di mancanza di

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lavoro attraverso un adeguato bilanciamento tra sistemi di sostegno al reddito e incentivi per la ricollocazione professionale. Quindi, il rateo di sostituzione del sussidio di disoccupazione tende a diminuire durante la mancanza di lavoro e dipende dall’implementazione dei meccanismi di monitoraggio della ricerca di nuove opportunità professionali. Il fatto che la Spagna abbia una spesa per disoccupato relativamente bassa nell’ambito dei sostegni alla disoccupazione, comparata alla maggior parte dei Paesi OECD, ed un relativamente basso livello negli indici di percezione della sicurezza, mostra che ci sono margini di azione per il miglioramento della tutela dei lavoratori, mediante una migliore gestione qualitativa e quantitativa dei sussidi per la disoccupazione. In merito alle recenti misure introdotte in quest’area, è importante menzionare un altro accordo originato dal dialogo intercorso tra governo e parti sociali: l’Accordo sulle misure in tema di sicurezza sociale siglato nel 2006. Sebbene i sussidi per la disoccupazione non siano stati mai l’obiettivo principale di tale riforma, sono state introdotte nuove modalità di semplificazione del sistema di sicurezza sociale, con la rivalutazione delle pensioni minime e l’estensione della vita lavorativa. L’assegno di disoccupazione è stato oggetto di una riforma introdotta dal decreto reale 200/2006, volto ad una maggiore semplificazione e trasparenza dei processi di calcolo e di erogazione.

SveziaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 32,9% del PIL (dati Eurostat 2006). Il modello svedese è basato sugli obiettivi del raggiungimento della piena occupazione, della stabilità economica e della realizzazione degli ideali di benessere e di uguaglianza sociale. Il Paese si caratterizza per avere un sistema sociale basato generalmente sul percepimento di un doppio stipendio familiare, su alti livelli occupazionali, ridotta discriminazione di genere, diffuse politiche per la famiglia, sistemi di protezione sociale a supporto della tutela dei figli, e che erogano congedi parentali. Nell’ampio spettro delle politiche sociali, l’individualizzazione è stata un elemento chiave di tutto il sistema attualmente vigente, incentrato sul principio della cittadinanza/residenza. Il singolo, non la famiglia, ha rappresentato per molti anni il centro dei doveri fiscali, ma anche dei benefici e dei diritti sociali. Al fine di comprendere il contenuto del sistema di flexicurity in Svezia e la specificità del mercato del lavoro, in particolare gli elevati tassi di occupazione distribuiti su tutte le categorie di età e l’uguaglianza di genere nei profili occupazionali, è necessario approfondire l’analisi del sistema di protezione sociale. Due caratteristiche appaiono essere determinanti in tema di flexicurity: il sistema flessibile dei congedi parentali e il sistema pensionistico. Il sistema svedese dei congedi parentali, introdotto nel 1974, ha sostenuto la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro e contribuito ai mutamenti del mondo occupazionale stesso. Le donne hanno da allora ridotto l’allontanamento dalla vita attiva ed il loro tasso di occupazione (con figli al di sotto dei sette anni) è tra i più elevati dei Paesi OECD. Inizialmente, la durata dei congedi parentali è stata stabilità in sei mesi, estesa poi a 16 a partire dagli anni Novanta, con la garanzia di rientro nel posto di lavoro e con una compensazione del reddito pari all’80% del salario. I congedi parentali rappresentano un elemento di flessibilità nella parte in cui le ferie possono, ad esempio, essere godute per un periodo superiore se si lavora meno giorni alla settimana, con relativa compensazione del reddito. È interessante notare come tale istituto sia uno dei pochi diritti sociali non individualizzati, che garantisce anche la possibilità di usufruire di ferie e permessi per la cura di un parente malato e di beneficiare della compensazione della riduzione del reddito

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mediante l’erogazione del sussidio di malattia (anch’esso pari all’80% della retribuzione totale). La riforma del sistema pensionistico nazionale è stata invece motivata dalla esigenza di incrementare la percentuale della popolazione attiva per garantire una sostenibilità del sistema a lungo termine. Nel giugno del 1994 il Parlamento ha approvato la legislazione che ha sostituito il vecchio sistema di benefici pensionistici (DB) con un nuovo approccio basato sul principio contributivo (DC). Pertanto il precedente sistema è stato trasformato in due definiti elementi contributivi (NDC – FD), entrambi basati sulla contribuzione conseguita nel corso della vita lavorativa ad un tasso pari al 18,5% di tutti i salari. I promotori della riforma erano consapevoli che tale principio potesse colpire differentemente, in base alla distribuzione dei rischi riguardanti la carriera professionale e le interruzioni di lavoro, tra i vari gruppi socio-economici. Per questo motivo la riforma del sistema ha dovuto considerare la diversità dei percorsi del mercato del lavoro e le eventuali distribuzioni dei rischi, limitando il costo delle assenze dal lavoro per malattia, congedi familiari, disabilità. Ne consegue che tutto il sistema pensionistico svedese tiene conto di tutti questi aspetti, oltre che della normale progressione salariale che ciascun individuo ha conseguito. Sebbene l’attuale contesto non preveda uno specifico limite di età, la pensione non può mai essere erogata prima del conseguimento di 61 anni, ed il divieto per i lavoratori di proseguire oltre i 67 anni di età. Tale sistema si dimostra flessibile, in quanto le annualità previdenziali possono essere ottenute, totalmente o parzialmente, conseguiti i 61 anni se si rimane al lavoro. Se il soggetto decide per la continuazione della propria attività professionale, i contributi vengono ricalcolati sul periodo supplementare.

UngheriaLa percentuale dedicata agli interventi nell’ambito del sistema di protezione sociale nazionale risulta essere pari al 20,7% del PIL (dati Eurostat 2006). Il governo ungherese ha modernizzato la propria legislazione in merito nel 2005, mediante un aggiornamento della precedente normativa, per almeno due motivi: innanzitutto, poiché il sistema corrente risulta essere efficace in quanto adatta il sussidio per la disoccupazione alla retribuzione maturata durante lo svolgimento del proprio lavoro; inoltre perché fornisce una serie di incentivi per la ricerca attiva di una nuova collocazione professionale e sancisce l’erogazione dell’assistenza da parte degli uffici del lavoro. Il valore del sussidio dipende dallo stipendio percepito negli ultimi tre mesi, con un’oscillazione pari ad almeno il 60% (con un massimo del 120%) del salario minimo. Nei sei mesi successivi all’ingresso in tale regime, viene erogato il 60% per tutti i soggetti. In aggiunta, coloro che trovano un’occupazione in un secondo momento, ricevono la metà del sussidio non corrisposto, come bonus. Risulta essere potenzialmente importante il fatto che solo coloro che si prodigano attivamente per ricollocarsi professionalmente, possono godere di tale sostegno. Inoltre, ulteriore requisito è quello che i beneficiari debbano avere lavorato almeno per un anno consecutivo mentre, per godere del periodo massimo di erogazione stabilito in nove mesi, il titolare deve essere stato impiegato per almeno quattro anni. Se non si riesce ad individuare una nuova opportunità di sbocco professionale, può ricevere un altro strumento di supporto, denominato “sussidio per la ricerca di lavoro”, che risulta ammontare al 40% del salario minimo. Mentre la legislazione ungherese che disciplina la tutela contro la disoccupazione è adeguata, due problemi risultano affiorare. Il primo, è che non risulta essere chiaro quanto efficiente sia il monitoraggio della ricerca di un nuovo lavoro e se coloro che non partecipino attivamente in questo percorso, siano realmente “puniti” al punto da non ottenere alcun supporto. Risulta essere anche poco chiara la modalità di assistenza da parte dei centri per l’impiego; ancora più rilevante è, comunque, la durata dello stato di disoccupazione. Nel 2005 soltanto il 5% dei disoccupati sono rimasti in tale condizione più di un mese, mentre il 16,5% ha avuto un periodo

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compreso tra uno e tre mesi. È impressionante notare come circa la metà dei disoccupati (il 46,2%) siano di lunga durata (più di un anno) e circa un quinto di essi lo siano da più di due anni. Recentemente il Governo ha lanciato un pacchetto di misure di stabilizzazione, che però porterà il deficit nazionale sopra il 10%, con una serie di misure che vedono l’incremento dell’imposizione fiscale sul lavoro e sulle imprese e la ristrutturazione del settore pubblico, per coprire i costi relativi all’educazione ed alla salute. Conseguenza di ciò sarà l’incremento dei licenziamenti collettivi la crescita del tasso di disoccupazione generale, e la conseguente riduzione delle possibilità di una rapida ricollocazione professionale nel mondo del lavoro.

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Conclusioni

La misura delle condizioni di flexicurity e il loro grado di interazione positiva variano notevolmente da un Paese europeo all’altro. Generalmente i Paesi dell’Europa settentrionale offrono condizioni adeguate per la flexicurity. I Paesi del Nord-ovest dell’Europa costituiscono mercati del lavoro dinamici, con buone prestazioni in materia di attivazione, ma devono forse investire maggiormente nei sistemi di prestazioni e nelle risorse umane. Nei paesi dell’Europa centro-occidentale, le politiche tendono a introdurre la flessibilità ai margini del mercato e ciò aggrava il rischio di segmentazione malgrado alcuni processi in materia di occupazione. Sono attuate politiche attive del mercato del lavoro, ma sarebbe opportuno migliorarne l’efficacia.I Paesi dell’Europa sud-occidentale costituiscono spesso mercati del lavoro fortemente segmentati a causa delle politiche applicate in precedenza per introdurre flessibilità ai margini del mercato senza agire sui mercati del lavoro tradizionali, estremamente statici e senza lottare contro il lavoro nero. Le politiche attive del mercato del lavoro e i sistemi di formazione e istruzione permanenti sono poco sviluppati.I Paesi dell’Europa centrale e orientale devono affrontare una segmentazione tra, da un lato, le rigide modalità di lavoro nei settori tradizionali dell’economia e dall’altro lato, i modelli contrattuali fortemente liberalizzati nella nuova economia, cui si aggiunge una presenza massiccia del lavoro non dichiarato. Anche in questo caso, i sistemi di istruzione e formazione permanenti e le politiche attive del mercato del lavoro sono scarsamente sviluppati.