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Le autonomie speciali e la riforma costituzionale: profili problematici
ed effetti di complicazione normativa
di Simone Pajno e Guido Rivosecchi
1. Introduzione
L’art. 39, comma 13, del d.d.l. costituzionale Renzi-Boschi (A.C. 2613-D) è una delle più
importanti norme di diritto transitorio contenute in quest’ultimo. Essa ha un contenuto articolato, che
si compone di 3 differenti proposizioni normative. La prima stabilisce che le disposizioni contenute
nel Capo IV del medesimo non si applichino «alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome
di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime
Regioni e Province autonome». La seconda che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della
presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma,
ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e
resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai
fini di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione». La terza, infine, dispone che «a seguito
della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si (applichino)
le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla
presente legge costituzionale».
Come si vede, da un lato si prevede un peculiare e articolato regime temporaneo di separatezza
per le autonomie speciali, le quali sono apparentemente estranee al rinnovato disegno costituzionale,
mentre dall’altro si fa dipendere da apposite «intese» tra lo Stato e queste ultime la modifica degli
statuti speciali, rimettendo ad un nuovo procedimento normativo imperniato su queste ultime le
definizione «a regime» della loro posizione costituzionale.
L’obiettivo di maggior rilievo della disposizione citata sembra essere duplice. Anzitutto, essa
esclude che, transitoriamente e sino all’approvazione dei nuovi statuti, siano applicabili agli enti
Contributo elaborato nell’ambito della ricerca Astrid - Cranec “Territori e autonomie: un’analisi economico-
giuridica”, dicembre 2015.
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territoriali dotati di autonomia particolare la quasi totalità disposizioni incluse nel disegno di legge
costituzionale che modificano il vigente Titolo V Cost.1. In secondo luogo, la norma in questione
prefigura un ulteriore procedimento di modificazione degli statuti speciali, con previsioni che
andranno coordinate sia con l’art. 138 Cost., sia con quelle contenute nella legge costituzionale n. 2
del 2001. È infatti appena il caso di ricordare che queste ultime, modificando i procedimenti di
revisione disciplinati dai singoli statuti speciali, hanno previsto che i progetti di modificazione degli
statuti stessi, di iniziativa governativa o parlamentare, siano comunicati dal Governo della Repubblica
ai consigli regionali che esprimono il loro parere entro due mesi.
La previsione normativa sopra richiamata solleva numerosi problemi2, su alcuni dei quali,
nelle pagine che seguono, si proverà a svolgere qualche considerazione. Si farà qualche riferimento,
innanzi tutto, sul problematico inserimento del «nuovo» procedimento di riforma degli statuti speciali
nell’ambito del sistema delle fonti, posto che, come si ricordava più sopra, quest’ultimo si affianca a
quello disciplinato dalla legge cost. n. 2 del 2001, che già aveva dato luogo a un certo dibattito circa
la sua collocazione sistematica. Ci si concentrerà poi sulle relazioni della disposizione in questione
con la clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e dalla
sua perdurante operatività anche in seguito all’eventuale entrata in vigore della riforma costituzionale
in itinere. Si tenterà inoltre di mostrare come – a prescindere dalla condivisibilità o meno del progetto
di politica istituzionale che punta a perpetuare il regime della specialità nel nostro ordinamento
costituzionale, ed anzi a irrobustirne i tratti di separatezza rispetto al regionalismo ordinario – la
disposizione qui presa in esame rischia di innalzare notevolmente il «tasso di complicazione
normativa» di un settore del diritto costituzionale già oggi caratterizzato da percorsi oscuri ed alta
incertezza dell’esito dei giudizi di costituzionalità che sul medesimo si svolgono.
1 Pare opportuno notare sin da subito che la «clausola di non applicazione» non riguarda tutte le norme di modifica del
Titolo V della Parte seconda della Costituzione. L’art. 38, comma 9, a seguito delle modifiche operate alla Camera
nell’esame conclusosi il 10 marzo 2015, prevede infatti l’introduzione, nell’art. 120, secondo comma, Cost., delle parole
«autonome di Trento e Bolzano» dopo le parole «delle Province» (em. 37.23). Il potere sostitutivo straordinario ivi
disciplinato, dunque, dovrebbe ritenersi utilizzabile, per effetto di questa modifica, indistintamente sia per le Regioni
ordinarie che per le autonomie speciali. Ebbene, il citato art. 38 è inserito nel Capo VI della legge di revisione
costituzionale, e risulta pertanto escluso dalla transitoria «clausola di non applicazione», che riguarda soltanto le norme
del precedente Capo IV. La sua operatività deve dunque ritenersi immediata, e non differita al termine dello scadere del
periodo transitorio disciplinato da tale disposizione, anche se necessita di essere coordinata con le previsioni in tema di
poteri sostitutivi contenute nell’art. 39, comma 13. Sul punto sia consentito rinviare a S. Pajno, Audizione sul disegno di
legge costituzionale A.C. 2613-B presso la I Commissione Affari costituzionali della Camera, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2/12/2015, par. 5. 2 In tema, per una disanima dei principali nodi, cfr. P. Scarlatti, Diritto costituzionale transitorio, in corso di pubblicazione
per Esi, Napoli, cap. VII, par. 7, nonché M. Salvago, L’incidenza della clausola di salvaguardia prevista dal disegno di
riforma costituzionale in itinere sui procedimenti di revisione degli statuti speciali, in corso di pubblicazione su
www.osservatoriosullefonti.it).
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2. Il problematico inserimento nel sistema delle fonti della legge di riforma degli Statuti speciali
Il primo nodo problematico sul quale si intende richiamare l’attenzione di chi legge è connesso
all’interazione delle previsioni dell’art. 39, comma 13, del d.d.l. di riforma costituzionale con la
procedura di revisione statutaria introdotta dalla legge cost. n. 2 del 2001, già più sopra richiamata3.
Ciò in quanto l’assetto delle fonti del diritto inerenti la posizione delle Regioni speciali derivante da
tale atto normativo è stato oggetto di diverse ricostruzioni.
La prima ricostruzione reperibile in dottrina è quella secondo la quale la legge cost. n. 2 del
2001 avrebbe determinato una «deroga permanente» al procedimento di revisione costituzionale,
qualificabile alla stregua di una vera e propria «rottura costituzionale»4 nel significato che a questa
espressione dava Costantino Mortati, in virtù della quale tra la «legge costituzionale e di revisione
costituzionale» consueta e la «legge di revisione statutaria» vi sarebbe un rapporto segnato dal
principio di competenza e sintetizzabile nella relazione tra fonte costituzionale tipica (la prima) e
fonte costituzionale atipica (la seconda), in modo non dissimile da quanto accade nel caso delle
numerose leggi (ordinarie) atipiche che il nostro ordinamento conosce5.
La seconda ipotesi prospettata è quella cui ci si riferiva nel paragrafo precedente: le richiamate
disposizioni della legge cost. n. 2 del 2001 avrebbero istituito una ulteriore fonte del diritto,
subordinata alle fonti di rango costituzionale ma sovraordinata rispetto al livello primario, e ciò in
virtù di un procedimento che – rispetto a quello della legge formale ordinaria – si presenta sì
aggravato, ma in misura inferiore a quella che caratterizza le leggi costituzionali, e per di più in
relazione ad un passaggio procedurale particolarmente qualificante quale il referendum nazionale.
Tale fonte sarebbe esplicitamente abilitata a disporre in contrasto con norme di rango costituzionale
– quelle contenute negli Statuti speciali – realizzando così un fenomeno di «decostituzionalizzazione»
delle medesime accostabile alla «delegificazione» di cui all’art. 17 della legge n. 400 del 19886.
Infine, secondo una ulteriore tesi suggerita in dottrina, la disciplina introdotta negli statuti
dalla legge cost. n. 2 del 2001 circa il procedimento di revisione dei medesimi «è norma costituzionale
sulla produzione pienamente vincolante e non già semplicemente facoltizzante», di talché una legge
3 Per una approfondita analisi della questione cfr. M. Salvago, L’incidenza della clausola di salvaguardia prevista dal
disegno di riforma costituzionale in itinere sui procedimenti di revisione degli statuti speciali, cit. 4 L. Cappuccio, Il procedimento di revisione degli statuti speciali introdotto dalla legge costituzionale n. 2 del 2001. Una
nuova ipotesi di rottura costituzionale?, in Le Regioni, 2003, 399 ss., spec. 408 ss. 5 P. Pinna, Il diritto costituzionale della Sardegna, I ed., Torino, Giappichelli, 2003, 47 ss., nonché, con differenti
modulazioni, Id., Il diritto costituzionale della Sardegna, II ed., Torino, Giappichelli, 2007, 127 ss.; Id. Gli statuti speciali
dopo la revisione del Titolo V: aspettative di riforma e vincoli costituzionali, in www.federalismi.it, n. 12/2004. 6 M. Cecchetti, Attualità e prospettive della “specialità” regionale alla luce del “regionalismo differenziato” come
principio di sistema, in S. Pajno, G. Verde (a cura di), Studi sulle fonti del diritto. II. Le fonti delle autonomie territoriali,
Milano, Giuffré, 2010, Le fonti della “differenziazione regionale” ed i loro limiti a presidio dell’unità e indivisibilità
della Repubblica, 69 ss., spec. 92-93, nonché, se si vuole, S. Pajno, G. Verde, Gli Statuti-leggi costituzionali delle Regioni
speciali, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005, Torino, Giappichelli, 2006, 299 ss., e S. Pajno, La revisione
degli Statuti specialinel sistema delle fonti, in Le Regioni, 2007, 747 ss.
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costituzionale che revisionasse gli statuti speciali in assenza del prescritto parere consiliare sarebbe
costituzionalmente viziata. Tale vizio, tuttavia, sarebbe da ritenere «sanabile» per effetto
dell’«eventuale riapprovazione referendaria della delibera parlamentare» ove quest’ultima, in
contrasto con quanto previsto dalla legge cost. n. 2 del 2001, purtuttavia intervenga effettivamente7.
Secondo tale ipotesi, dunque, «la legge costituzionale tipica è (sovraordinata) alla legge di revisione
statutaria non perché potenzialmente può sfociare nella fase referendaria, ma solo in quanto sia stata
effettivamente ratificata dal voto popolare»8.
Questa, evidentemente, non è la sede per approfondire il tema come meriterebbe. Si intende
piuttosto segnalare come la interazione della disposizione qui presa in esame con la complessità del
quadro appena richiamato rischia di determinare effetti di confusione del sistema delle fonti che
regolano la posizione costituzionale delle autonomie speciali che non dovrebbero essere trascurati nel
momento in cui vi si mette (nuovamente) mano.
Un punto sul quale conviene soffermarsi in via preliminare riguarda l’alternativa se l’art. 39,
comma 13, intenda istituire un nuovo procedimento normativo «a regime», ovvero sia volto a
disciplinare esclusivamente la modifica degli statuti speciali conseguente alla presente revisione
costituzionale, a seguito della quale dovrà ritenersi esaurito il periodo transitorio. In tale ultima ottica,
dunque, il vincolo all’intesa non sussisterebbe per qualunque futura modifica degli statuti, ma solo ai
fini dell’operatività della disposizione qui in commento.
Il ulteriore nodo da sciogliere è quello già più sopra segnalato. L’intesa che sarebbe prevista
dalla norma in corso di approvazione è destinata a precedere una legge costituzionale «classica», o la
«legge di revisione statutaria» disciplinata dalla legge cost. n. 2 del 2001? La seconda possibilità pare
quella maggiormente condivisibile. In tale quadro, come già accennato più sopra, si potrebbe ritenere
che l’effetto dell’entrata in vigore dell’art. 39, comma 13, del d.d.l. costituzionale sarebbe quello di
modificare il procedimento normativo previsto da quest’ultima, sostituendo (a regime, o soltanto per
l’applicazione di tale disposizione, secondo l’alternativa più sopra delineata) il parere ivi previsto con
la più esigente prescrizione collaborativa dell’intesa9.
La combinazione delle possibili risposte a tali due quesiti con le diverse ricostruzioni teoriche
sopra richiamate apre ad un caleidoscopio di ipotesi, delle quali in questa sede, senza pregiudizio
7 O. Chessa, La specialità regionale tra leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, in S. Pajno, G.
Verde (a cura di), Studi sulle fonti del diritto. II. Le fonti delle autonomie territoriali, in S. Pajno, G. Verde (a cura di),
Studi sulle fonti del diritto. II. Le fonti delle autonomie territoriali, cit., 97 ss., part. 128-130. 8 O. Chessa, La specialità regionale tra leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, cit., 129. 9 Al riguardo deve essere evidenziato che ovviamente tale soluzione si basa sull’idea secondo la quale l’intesa in questione
debba essere stipulata con il Consiglio regionale, e non con l’esecutivo, secondo quanto si diceva poc’anzi: poiché in tale
ultima eventualità si dovrebbe invece ritenere l’intesa in questione un ulteriore passaggio procedimentale destinato a
sommarsi, e non a sostituirsi a quello del parere consiliare (cfr., sul punto, M. Salvago, L’incidenza della clausola di
salvaguardia prevista dal disegno di riforma costituzionale in itinere sui procedimenti di revisione statutaria, cit.).
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sulla individuazione dell’opzione preferibile all thing considered, è possibile soltanto un
esemplificazione. Una volta entrato in vigore l’art. 39, comma 13, si potrebbe infatti ritenere: a) che
la legge costituzionale tipica istituita nel 2001 sia stata «trasformata», tramite la sostituzione «a
regime” del parere con l’intesa; b) che esistano ormai due diverse leggi costituzionali atipiche,
entrambe caratterizzate dalla impossibilità di richiedere il referendum nazionale: l’una imperniata sul
più forte strumento collaborativo dell’intesa con la Regione, utilizzabile per operare la revisione
conseguente all’entrata in vigore della presente modifica costituzionale, e in conseguenza della cui
adozione è destinato a cessare il regime transitorio dell’art. 39, comma 13, e l’altra, invece, connotata
dal più debole strumento collaborativo del parere consiliare, comunque utilizzabile a seguire di tale
prima revisione; c) che la disposizione in commento non incida sulla possibilità di intervenire sugli
statuti con un duplice strumento, ossia con la legge costituzionale «classica» o con la legge di
revisione statutaria di cui alla legge cost. n. 2 del 2001, limitandosi a prevedere che, ai limitati fini
della applicazione di tale disposizione e dunque per la cessazione del regime transitorio dalla
medesima delineato, debba procedersi, nell’uno o nell’altro caso, previa intesa con la Regione, e
ferma restando la diversa collocazione sistematica delle modifiche così effettuate a seconda del
procedimento in concreto prescelto; d) che la disposizione in parola abbia inciso soltanto sul
procedimento di revisione statutaria di cui alla legge cost. n. 2 del 2001, con una modifica circoscritta
alla necessità di procedere alla modifica degli statuti conseguente alla presente riforma costituzionale,
ovvero con una modifica a regime, e che, in ogni caso, la legge costituzionale «tradizionale» deve
ritenersi comunque sovraordinata, e in quanto tale sempre in grado di intervenire sul tema; e) infine
che, nonostante la messa a punto di un nuovo procedimento normativo necessario per modificare gli
statuti speciali perfettamente vincolante, magari anche solo ai fini della loro modifica conseguente
alla presente riforma costituzionale, il vizio derivante a carico di una legge costituzionale non
preceduta dalla necessaria intesa con la Regione possa essere in concreto sanato dallo svolgimento,
con esito positivo, del referendum nazionale.
Come si vede, il gioco combinatorio cui l’entrata in vigore della disposizione qui in commento
costringerebbe gli interpreti è davvero complesso, e caratterizzato da esiti decisamente incerti. Anche
da questo punto di vista, dunque, pare senz’altro auspicabile una riflessione più approfondita, al fine
di muoversi con maggiore accortezza.
3. Norma transitoria, clausola di maggior favore e ultrattività del Titolo V
3.1. Premessa
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È possibile a questo punto concentrarsi sul secondo aspetto problematico più sopra richiamato,
concernente la perdurante applicazione alle Regioni speciali, anche dopo l’eventuale entrata in vigore
della riforma costituzionale in progress, delle norme del vigente Titolo V che, ad oggi, dispiegano i
propri effetti nei confronti di queste ultime per effetto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Si
tratta dunque di interrogarsi su quale potrebbe essere l’impatto della disposizione transitoria in parola
sull’assetto delle competenze delle autonomie speciali, nel presupposto condiviso che la disciplina di
rango costituzionale degli enti ad autonomia differenziata non si esaurisca nelle norme statutarie, ma
sia integrata dalle norme del Titolo V che costituiscono principi generali comuni del diritto
regionale10, o, quantomeno, che il parametro costituzionale possa integrare quello statutario speciale,
salvo che quest’ultimo non vi deroghi espressamente11. A tale conclusione si giunge sia ricostruendo
il rapporto tra fonte costituzionale e fonte statutaria in termini di deroga, come accadeva vigente
l’originario Titolo V12, sia per effetto della «clausola di maggior favore», costituita dall’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001, quantomeno stando all’ormai consolidata interpretazione fornitane dalla
giurisprudenza costituzionale13.
Anche nel caso in esame, stando ai richiamati principi di diritto affermati dalla giurisprudenza
costituzionale, una volta esclusa dalla norma transitoria del progetto di revisione l’applicabilità alle
autonomie speciali delle disposizioni contenute del disegno di legge costituzionale relative al Titolo
V e contenute nel Capo IV del medesimo, si dovrebbe determinare la perdurante applicazione delle
norme costituzionali oggi vigenti, per effetto della richiamata clausola di maggior favore, nella parte
in cui esse garantiscono «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite»14. Ciò peraltro
10 In questo senso, per tutti, T. Martines, Diritto costituzionale, VIII Ed., Milano, Giuffrè, 1994, 783, nonché C. Lavagna,
Istituzioni di diritto pubblico, IV Ed., Torino, Utet, 1979, 925. 11 Al riguardo, quanto agli statuti speciali qualificati come «leggi costituzionali territorialmente differenziate», derogatorie
rispetto alle norme costituzionali, cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale. II. 1. L’ordinamento costituzionale
italiano (Le fonti normative), VI ed., a cura di F. Crisafulli, Padova, Cedam, 1993, 88; F. Modugno, Appunti dalle lezioni
sulle fonti del diritto, II Ed., Torino, Giappichelli, 2002, 15; nonché, in prospettiva non dissimile, L. Paladin, Diritto
costituzionale, Padova, Cedam, 1991, 161. 12 In questo senso, per tutti, T. Martines, Diritto costituzionale, cit., 783. 13 La Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che la richiamata “clausola di maggior favore” impone di svolgere un
confronto fra gli istituti previsti dagli statuti speciali e le analoghe previsioni contenute nel Titolo V, al fine di compiere
un giudizio di preferenza, nel momento della loro applicazione, privilegiando le norme costituzionali che prevedono
forme di autonomia “più ampie” di quelle risultanti dalle disposizioni statutarie, con ciò ben consentendo l’integrazione
del parametro statutario speciale da parte di quello costituzionale. In questo senso, tra le tante, si vedano l’ord. n. 377 del
2002 e le sentt. n. 408 del 2002, n. 48, n. 103, n. 274 e n. 314 del 2003; n. 236 del 2004; n. 145 del 2005; n. 175 del 2006
e n. 303 del 2007; n. 255 del 2014. 14 In questo senso, secondo un’opinione condivisa nei primi commenti alla norma transitoria contenuta nel disegno di
legge costituzionale, come si è visto supra al paragrafo 3, cfr. G. Silvestri, Le autonomie regionali speciali: una risorsa
costituzionale da valorizzare, reperibile al sito www.cortecostituzionale.it, 7 (con riguardo tanto al Titolo V del 2001,
quanto alle sue «successive novellazioni»); A. Ruggeri, Una riforma che non dà ristoro a Regioni assetate di autonomia,
in Le Regioni, 2015, 243 ss.,, 255 (il quale peraltro propone un’interpretazione «adeguatrice» della norma transitoria del
disegno di legge costituzionale idonea a «far “rivivere”» la clausola di maggior favore; A. D’Atena, Passato, presente…
e futuro delle autonomie regionali speciali, in Rivista AIC, 4/2014, cit., 15; G. Verde, Audizione presso la Commissione
bicamerale per gli affari regionali, 16 giugno 2015 e P. Giangaspero, Le autonomie speciali e la riforma del regionalismo,
in Le Regioni, 2015, 177 ss., 182 (i tre autori da ultimo richiamati, limitatamente alle norme costituzionali del 2001); F.S.
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– come si metterà in meglio in evidenza qui di seguito – anche in relazione a quelle norme che, per
effetto della riforma, fossero abrogate con riferimento alle Regioni ordinarie.
3.2. Abrogazione della clausola di adeguamento automatico?
Tale ricostruzione, tuttavia, potrebbe essere messa in discussione in base ai seguenti
argomenti.
Stando al tenore letterale dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la «clausola di
maggior favore» individua nell’«adeguamento dei rispettivi statuti» la condizione risolutiva a
decorrere dalla quale cesserebbe la perdurante applicabilità della legge costituzionale n. 3 del 2001
alle autonomie speciali, limitatamente alle disposizioni in essa contenute che garantiscono più ampie
condizioni di autonomia rispetto agli statuti speciali stessi15. Sicché l’allineamento presupposto dalla
norma in parola non può che intendersi quale adeguamento degli statuti speciali alle disposizioni
contenute nella legge costituzionale n. 3 del 2001. Quest’ultima, però, in caso di approvazione
definitiva dell’A.C. 2613-D, sarebbe abrogata dal parametro costituzionale sopravvenuto. Ciò
potrebbe indurre l’impressione che l’oggetto di disciplina della più volte richiamata norma transitoria
della riforma costituzionale del 2001 e quello della norma transitoria della riforma in itinere tendano
a coincidere, nel senso che ambedue, regolerebbero l’adeguamento degli statuti speciali al quadro
costituzionale sulle autonomie territoriali vigente al momento della modificazione degli statuti. Da
questo punto di vista, potrebbe dunque concludersi che l’entrata in vigore dell’art. 39, comma 13, del
disegno di legge costituzionale in itinere determinerebbe l’abrogazione implicita (o tacita) dell’art.
10 della legge cost. n. 3 del 201116, non solo novando la procedura dell’adeguamento formale degli
statuti speciali al quadro costituzionale vigente, secondo quanto più sopra evidenziato, ma incidendo
anche sul meccanismo del loro adeguamento automatico, escludendolo sino alla revisione formale17.
Marini, Audizione nell’ambito dell’Indagine conoscitiva presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei
deputati, seduta di giovedì 16 ottobre 2014, 54; A. Ambrosi, Riforma del Titolo V Cost. e autonomie differenziate: il
difficile tentativo di separare la strada delle Regioni ordinarie da quella delle Regioni speciali e delle Province di Trento
e di Bolzano, in Le Regioni, 2015, 24; P. Scarlatti, Diritto costituzionale transitorio, cit., cap. IV, par. 7.1. 15 Cfr, tra le tante, le sentenze n. 408 del 2002, n. 48, n. 103, n. 274 e n. 314 del 2003; n. 236 del 2004; n. 145 del 2005;
n. 175 del 2006 e n. 303 del 2007; n. 255 del 2014. 16 In questo senso, in favore, cioè, della tesi dell’abrogazione implicita o tacita, sul rilievo che la nuova legge
costituzionale verrebbe a ridisciplinare l’intera materia prima regolata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, o della tesi
dell’abrogazione tacita della clausola di maggior favore, per incompatibilità fra le norme costituzionali sopravvenute e
quelle precedenti, cfr., ad esempio, S. Baroncelli, Il disegno di riforma costituzionale Renzi-Boschi e i suoi riflessi sulle
autonomie speciali fra tendenze centralistiche, clausola di maggior favore e principio dell’intesa, in
www.osservatoriosullefonti.it, n. 1/2015, 7. 17 Prende in esame la tesi in parola, sia pure senza condividerla, anche A. Ambrosi, Riforma del Titolo V Cost. e autonomie
differenziate, cit., 23.
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L’esito di una simile ricostruzione dovrebbe essere non solo quello di un «ritorno agli statuti»,
come argomentato da chi ha proposto tale tesi18, ma anche quello di conferire per il periodo transitorio
al Titolo V attualmente vigente il ruolo di normativa generale delle autonomie territoriali, ovviamente
ove non derogato dai singoli Statuti, così come accadeva prima del 2001. Questa, infatti, è la
vocazione naturale di una disciplina come quella oggi in vigore. E l’abrogazione della clausola di
adeguamento automatico, che attualmente limita tale vocazione generale alle sole norme di maggior
favore, determinerebbe il «riespandersi» di quest’ultima.
L’ipotesi appena menzionata, tuttavia, è poco convincente, innanzi tutto ove osservata dal
punto di vista dei suoi esiti. Il testo degli statuti speciali, infatti, è tutt’ora ispirato ai «principi di
sistema» del Titolo V approvato nel 1947, come è noto profondamente diversi da quelli che animano
le disposizioni del 2001 che, dunque, con estrema difficoltà riuscirebbero a rappresentare un efficace
«diritto generale» delle autonomie territoriali in assenza di una clausola di adeguamento automatico.
A voler trarre conseguenze coerenti dalla tesi in parola, peraltro, l’implicita abrogazione della
«clausola di maggior favore» dovrebbe produrre il seguente effetto: nel caso della coesistenza di una
norma statutaria speciale di minor favore e una norma costituzionale di maggior favore, introdotta
nel 2001 o tramite la riforma in itinere, alle autonomie speciali andrebbe senz’altro applicata la prima,
in mancanza di qualunque meccanismo di adeguamento automatico.
Non sembra, ad ogni modo, che la tesi della abrogazione possa essere condivisa19. Pur con
tutti i limiti di una riflessione condotta de iure condendo, è infatti evidente che i due enunciati sopra
raffrontati non sono accomunati dall’oggetto. Anzi: mentre l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001
contiene, appunto, una «clausola di maggior favore», l’art. 39, comma 13, del disegno di legge di
revisione costituzionale ora all’esame del Senato, si limita ad escludere che la riforma in itinere sia
applicabile alle autonomie speciali, senza aggiungere altro20. Non a caso la dottrina proprio in virtù
delle summenzionate differenze ha già stigmatizzato l’«inopinata rimozione della clausola di maggior
favore»21. Ciò priverebbe infatti l’interprete del parametro di raffronto ai fini della valutazione della
condizione di maggior favore di cui godono le autonomie speciali in taluni ambiti materiali, per
18 S. Baroncelli, Il disegno di riforma costituzionale Renzi-Boschi, cit., 7. 19 Paiono convincenti le considerazioni di chi ha notato che la clausola di adeguamento automatico «non viene dal progetto
di riforma costituzionale in questione espressamente abrogata, né la sua sopravvivenza, per quanto complicata, pare in
realtà incompatibile con la disposizione transitoria di cui al citato articolo 39, comma 13, né, infine, il Capo IV dello
stesso disegno di legge costituzionale, recante «Modifiche al Titolo V Parte II della Costituzione», pare ridefinire l’intera
materia dei rapporti con le autonomie territoriali» (così P. Scarlatti, Diritto costituzionale transitorio, cit., par. 7.1). 20 Al punto che alcuni hanno paventato che la richiamata esclusione possa tradursi in un livellamento dell’assetto delle
autonomie speciali a quello delle ordinarie: così, ad esempio, S. Bartole, Cosa intende fare lo Stato delle Regioni? (con
un post scriptum di aggiornamento), in Le Regioni, 2015, 64. 21 Così, A. Ruggeri, Quali insegnamenti per la riforma costituzionale dagli sviluppi della vicenda regionale?, in Rivista
AIC, n. 4/2014, 26; Id., Una riforma che non dà ristoro, cit., 254 s., il quale definisce la “clausola di non applicazione”
«un enunciato costituzionale complessivamente carente».
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effetto di quanto previsto dal peculiare statuto di autonomia o delle competenze «acquisite» ex art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001, nella più volte richiamata interpretazione fornitane dalla
giurisprudenza costituzionale.
3.3. La delimitazione territoriale degli effetti abrogativi sulle vigenti norme costituzionali
L’effetto giuridico della «clausola di non applicazione» contenuta nell’art. 39, comma 13, del
disegno di legge costituzionale pare, a ben guardare, significativamente diverso da quello di abrogare
la vigente clausola di adeguamento automatico. Essa, infatti, finisce piuttosto per circoscrivere
l’ambito spaziale dell’effetto abrogativo delle norme costituzionali oggi vigenti contenute nel Titolo
V, escludendone il territorio delle Regioni speciali e delle Province autonome.
Ebbene, ove si consideri che – in base ad un rilievo sostanzialmente unanime in dottrina22 –
la riforma costituzionale in corso di approvazione determina un vistoso arretramento dell’autonomia,
soprattutto legislativa, delle Regioni, risulta evidente che la limitazione territoriale dell’effetto
abrogativo di cui si discute opera senz’altro a tutto vantaggio delle autonomie speciali, le quali, ancora
una volta, potranno fruire del parametro più favorevole. E ciò a fronte del tenore letterale della norma
transitoria che non afferma affatto che il riconoscimento della specialità implica la garanzia di una
posizione comunque non deteriore per gli enti ad autonomia differenziata rispetto a quello riservato
dai parametri costituzionali alle Regioni a statuto ordinario23. Non si stabilisce, dunque,
l’applicazione alle autonomie speciali delle norme che, di volta in volta, verranno ritenute
(dall’interprete) più favorevoli. Si stabilisce la perdurante (e rigida) applicazione integrale del
parametro che, secondo il comune riconoscimento degli interpreti, è ritenuto più favorevole.
La «clausola di maggior favore» del 2001 e l’odierna «clausola di non applicazione», dunque,
piuttosto che dall’oggetto parrebbero accomunate dal fine, ravvisabile nell’intento di salvaguardare,
22 Cfr., ad esempio, P. Caretti, La riforma del Titolo V Cost., in RivistaAIC n. 2/2014, 3; S. Mangiameli, Prime
considerazioni sul disegno di legge costituzionale AS/1429 sulla modifica della seconda parte della Costituzione,
15/10/2014, in www.issirfa.cnr.it/7492,908.htlm; G. Scaccia Prime note sull’assetto delle competenze legislative statali
e regionali nella proposta di revisione costituzionale del Governo Renzi, in Astrid Rassegna n. 8/2014, 16; A. Ruggeri,
Quali insegnamenti, cit., 15; M. Cecchetti, I veri obiettivi della riforma costituzionale dei Rapporti Stato-Regioni e una
proposta per realizzarli in modo semplice e coerente, in www.gruppodipisa.it, 2014; Id., La difficile coerenza tra obiettivi
e strumenti nella riforma costituzionale della forma di stato regionale e un “mito” da abbandonare, in
www.federalismi.it, n. 3/2015. 23 Sottolinea, infatti, nella norma transitoria del disegno di legge costituzionale, l’assenza di meccanismo di adeguamento
automatico a quello previsto dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 A. D’Atena, Passato, presente… e futuro,
cit., 14 ss. Peraltro anche quella stessa dottrina – in parte richiamata anche supra, al paragrafo 3 – che ragiona attorno alle
perduranti garanzie costituzionali per le autonomie speciali desumibili dalla «clausola di maggior favore», riconosce che
«l’art. 10 è stato pensato nel presupposto della vigenza delle norme della stessa legge del 2001 che lo contiene» e che
pertanto «fa […] tutt’uno con queste», sicché venendo meno le norme stesse, verrebbe meno anche quello (così, A.
Ruggeri, La riforma Renzi e la specialità regionale: problemi aperti e soluzioni sbagliate, ovverosia ciò che non c’è e
che dovrebbe esserci e ciò che invece c’è e non dovrebbe esserci, in Rivista AIC, n. 3/2015, 5 s.).
ASTRID RASSEGNA
10
in via transitoria, il maggior grado di autonomia possibile per gli enti ad autonomia differenziata. La
tecnica è differente, ma l’obiettivo è il medesimo. Da quanto detto, segue che l’effettiva ratio dell’art.
39, comma 13, del disegno di legge costituzionale in esame meglio si coglie spostando l’analisi dal
sistema delle fonti alla prospettiva teleologica che esso esprime: la salvaguardia, ancora una volta in
via transitoria, dall’assetto delle competenze e del grado di autonomia conseguito dalle autonomie
speciali, a prescindere dalla fonte che lo determina (statuti speciali o norme contenute nel Titolo V
Cost. o «acquisizione» di competenze mediante la clausola di maggior favore)24.
In sintesi, l’art. 39, comma 13, del disegno di legge costituzionale in itinere, al fine di
salvaguardare il grado di autonomia conseguito dalle autonomie speciali, sembra combinare, sia pure
in successione diacronica, i due criteri regolatori del rapporto tra fonte costituzionale e fonte statutaria
speciale, vigenti, rispettivamente, al tempo dell’originario e dell’attuale Titolo V della Parte II della
Costituzione. In primo luogo, fino all’adeguamento degli statuti, sembra essere compresente il
secondo criterio summenzionato, che orienta il richiamato rapporto di tra fonte statutaria speciale da
fonte costituzionale nel senso di garantire «forme di autonomia più ampie», pur in assenza di una
apposita clausola in tal senso, stante il maggior favore che, in generale, caratterizza il diritto
costituzionale vigente nei confronti delle autonomie, e stante la perdurante operatività dell’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001. Viceversa, per il periodo successivo all’adeguamento, sembra essere
presupposta dalla norma in parola la ricostruzione in termini di deroga del rapporto intercorrente tra
statuti speciali e Costituzione, nel senso che i primi, una volta adeguati, sono destinati a fondare una
disciplina (solo) derogatoria rispetto a quella posta dalle norme costituzionali a vocazione generale,
le quali integreranno gli statuti speciali nelle parti in cui essi non apportino eccezioni alla disciplina
di rango costituzionale applicabile alle Regioni di diritto comune25.
3.4. La vita oltre la morte del vigente Titolo V della Costituzione
Accedendo a questa interpretazione, la norma in esame, presupponendo la perdurante vigenza
dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, segnerebbe l’ultrattività delle norme del vigente Titolo V
Cost., anche dopo la loro abrogazione con riguardo alle Regioni ordinarie26. Infatti dette norme
concorrerebbero, assieme agli statuti speciali, a fornire il quadro di riferimento delle competenze
degli enti ad autonomia differenziata in base al quale misurare il grado di autonomia da preservare in
virtù del mantenimento – frutto, è bene ricordarlo, dell’ennesima scelta del legislatore costituzionale
24 Così, A. Ambrosi, Riforma del Titolo V Cost. e autonomie differenziate, cit., 24. 25 … così come accadeva prima della riforma del 2001: in questo senso, per tutti, T. Martines, Diritto costituzionale, cit.,
783. 26 In questo senso, anche P. Giangaspero, Le autonomie speciali e la riforma del regionalismo, cit., 182.
S.PAJNO E G. RIVOSECCHI - LE AUTONOMIE SPECIALI E LA RIFORMA COSTITUZIONALE
11
– delle autonomie speciali nel disegno di legge costituzionale esitato dalla Camera e ora all’esame
del Senato. In sintesi, per effetto della clausola di «non applicazione», le autonomie speciali
manterrebbero intatte le competenze che hanno acquisito a seguito della riforma costituzionale del
2001 e della clausola di adeguamento automatico, nel medesimo regime giuridico che oggi le
contraddistingue, quand’anche le Regioni ordinarie perdessero o diminuissero le competenze in tali
materie, e comunque a fronte di un complessivo mutamento del regime giuridico di tali competenze,
derivante da alcune importanti «norme di sistema» che sembrano destinate ad essere introdotte dalla
riforma costituzionale.
Più nel dettaglio, è possibile osservare quanto segue.
In relazione agli ambiti materiali che sarebbero interessati da questo fenomeno, a titolo di
esempio occorre ricordare che la giurisprudenza costituzionale, ormai consolidatasi in riferimento
all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, si è tradotta in un consistente acquisto di materie «non
statutarie» di potestà talora concorrente, talaltra regionale residuale, rispettivamente riconducibili ai
commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost., ormai pacificamente ascritte al patrimonio delle competenze
delle autonomie speciali per effetto dell’applicazione della «clausola di maggior favore».
Quanto alle materie di potestà concorrente, basti pensare agli ambiti relativi alle
«professioni»27, alla «protezione civile»28, alla «tutela della salute»29 e alla «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia»30 pacificamente ricondotte alle competenze delle autonomie
speciali mediante l’applicazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Quanto alle materie di potestà regionale residuale, basti pensare, invece, ai titoli di
competenza residuali regionali quali il «commercio»31, il «trasporto pubblico locale»32 o la
«formazione professionale»33, parimenti ricondotti agli enti ad autonomia differenziata in virtù della
clausola di maggior favore.
27 Cfr., ex plurimis, sentt. n. 311 e n. 315 del 2013, con riguardo alla materia «professioni», circa l’alternatività del
parametro costituzionale e di quello statutario speciale, ai fini della tutela del grado di maggiore autonomia. 28 In materia di «protezione civile», con riguardo alle Regione Friuli-Venezia Giulia, cfr., ad esempio, sent. n. 300 del
2013. 29 Sulla competenza, ad esempio, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di «tutela della salute»,
poiché il richiamato titolo di competenza concorrente, contemplato dall’art. 117, terzo comma, Cost., è più ampio rispetto
a quello «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera» contemplata dallo specifico parametro
statutario speciale, cfr., tra le tante, sentt. n. 134 del 2006, n. 125 del 2015. 30 In riferimento alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», cfr., ex plurimis, sentt. n. 383
del 2005 (in relazione alla competenza «acquisita» della Provincia autonoma di Trento), n. 224 del 2012 e n. 199 del 2014
(in relazione alla competenza della Regione Sardegna). 31 Con riguardo alla materia «commercio», cfr., tra le tante, sent. n. 299 del 2012 (con riguardo ad autonomie anche
speciali). 32 Cfr., ad esempio, con riguardo alla materia «trasporto pubblico locale», le sentt. n. 29 e n. 80 del 2006; n. 452 del 2007;
n. 142 del 2008. 33 Cfr., ad esempio, la sent. n. 287 del 2012, in cui la Corte dichiara fondato, tra l’altro, il ricorso della Regione Sardegna
avverso norme statali lesive della richiamata competenza regionale residuale in materia di istruzione e formazione
ASTRID RASSEGNA
12
In secondo luogo, a fianco della diminuzione «quantitativa» degli ambiti materiali a
disposizione della legislazione delle Regioni, non deve essere sottovalutato l’aspetto «qualitativo»
della loro competenza. La riforma costituzionale in progress, infatti, tramite la «riedizione»
dell’interesse nazionale nella c.d. clausola di supremazia, nonché nella definizione di alcune materie
di competenza statale, in quello che dovrebbe essere il nuovo art. 117 Cost., muta significativamente
il segno delle relazioni tra la legge dello Stato e quella delle Regioni, riproponendo in sostanza
qualcosa di molto vicino al rapporto di preminenza dell’indirizzo politico centrale su quello regionale
che innervava l’originario Titolo V della Costituzione34.
Ora, è noto che – come ha chiarito inequivocabilmente la sent. n. 303 del 2003 – nel vigente
testo costituzionale «l’equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella
prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele
funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse
nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa
regionale»35. Da qui l’importante e altrettanto nota conseguenza secondo la quale, nelle materie
diverse dalla quelle affidate competenza esclusiva dello Stato, ove la legge di quest’ultimo voglia
avocare al centro una determinata funzione amministrativa e disciplinarne l’esercizio, deve rispettare
quello che è possibile definire il «paradigma della sussidiarietà legislativa», imperniato sulla
necessaria acquisizione, ai fini dell’esercizio della funzione, dell’intesa con la singola Regione
interessata da quest’ultima. Ebbene, la «clausola di non applicazione» in parola comporta,
evidentemente, il perpetuarsi di tale regime giuridico per le materie che le Regioni speciali hanno
acquistato per effetto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, con la conseguente impossibilità di
poter far uso, nei loro confronti, della c.d. clausola di supremazia di cui all’art. 117, quarto comma,
Cost., nel testo derivante dalla riforma36.
professionale sulla base dell’assunto che detto titolo di competenza «si applica anche alla Regione Sardegna, in virtù della
clausola di maggior favore» (sent. n. 287 del 2012, par. 3 del Considerato in diritto). 34 …anche se al riguardo andrà valutato l’impatto del principio di sussidiarietà, che, come è noto, pare destinato a
permanere nell’art. 118 Cost., quale criterio di allocazione delle funzioni amministrative. 35 Sent. n. 303 del 2003, par. 2.2 del Considerato in diritto. Si veda anche l’importante sent. n. 278 del 2010, par.
12 del Considerato in diritto. 36 In questo senso, ad esempio, A. D’Atena, Passato, presente… e futuro, cit., 15. L’unica ragione per concludere in senso
diverso potrebbe derivare dalla valorizzazione del noto passaggio della sent. n. 6 del 2004 – una delle due «sentenze
fondative» del paradigma della sussidiarietà – nel quale si afferma che la legge statale che avoca funzioni in sussidiarietà
in materie diverse da quelle di competenza esclusiva debba prevedere una intesa sull’esercizio di tale funzione soltanto
«nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti
legislativi». Ebbene, ove andasse in porto la riforma costituzionale de qua, la auspicata «trasformazione delle istituzioni
parlamentari e dei procedimenti legislativi» finalmente vi sarebbe. Anche restando nell’ambito del paradigma della
sussidiarietà legislativa, dunque, stando alla giurisprudenza costituzionale, verrebbe meno la necessità di prevedere quelle
forme collaborative, anche particolarmente intense, che ad oggi la legge statale deve contenere per superare il vaglio di
legittimità costituzionale. Che poi la «trasformazione» di istituzioni parlamentari e procedimento legislativo sia
effettivamente idonea a veicolare meccanismi collaborativi adeguati, è ovviamente tutt’altro discorso, che evidentemente
non può essere sviluppato in questa sede.
S.PAJNO E G. RIVOSECCHI - LE AUTONOMIE SPECIALI E LA RIFORMA COSTITUZIONALE
13
Interpretata nella richiamata prospettiva, dunque, l’art. 39, comma 13, del disegno di legge
costituzionale, garantirebbe alle autonomie speciali la capacità di resistenza del grado di «maggiore»
autonomia ormai conseguita, con riguardo alle richiamate materie di potestà concorrente o
residuale/regionale, pur senza modificazioni formali degli statuti speciali, rendendo loro inapplicabili
i sopravvenuti parametri costituzionali; parametri che invece determineranno, per le Regioni a statuto
ordinario, una presumibile compressione delle competenze regionali nelle stesse materie37. Anche
alla luce dei richiamati indirizzi della giurisprudenza costituzionale, ormai ampiamente consolidati,
sembrerebbe dunque trovare conferma la tesi dell’ultrattività delle norme Titolo V, anche dopo la
loro abrogazione, che sarebbe determinata dalla definitiva approvazione dell’A.C. 2613-D.
Al riguardo, due osservazioni conclusive.
Anzitutto, occorre osservare che la richiamata ultrattività del Titolo V del 2001 potrebbe
determinare considerevoli complicazioni e difficoltà nell’individuazione del parametro conferente in
ogni giudizio di costituzionalità avente quali parti le autonomie speciali, in ragione del farraginoso
incrocio di competenze che verrebbe a determinarsi, con effetti tutt’altro che rassicuranti sul
contenimento del contezioso costituzionale38.
In secondo luogo, non sembra che detta ultrattività possa essere circoscritta ad una dimensione
eminentemente «difensiva»39 delle autonomie speciali, finalizzata, cioè, a cristallizzare le
competenze che, ad oggi, si considerano acquisite in virtù dell’applicazione delle norme costituzionali
del 2001, quando ritenute «di maggior favore» rispetto ai parametri statutari speciali. Non può infatti
escludersi che, per eterogenesi dei fini, in base ad un’evoluzione del richiamato orientamento della
giurisprudenza costituzionale, l’art. 39, comma 13, del disegno di legge costituzionale, determinando
la richiamata ultrattività, finisca per consentire alla Corte di attrarre in favore degli enti ad autonomia
differenziata ulteriori sfere di competenza in ragione della perdurante applicazione del Titolo V del
2001, acuendo ulteriormente il divario tra Regioni a statuto ordinario e autonomie speciali.
37 Per un’analisi circa la sovrapposizione tra le materie sopra citate di potestà concorrente e quelle attribuite alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato (pur limitata da clausole di «co-legislazione») nel disegno di legge costituzionale A.C.
2613-D, sia consentito rinviare a S. Pajno, Considerazioni sulla riforma costituzionale in progress, tra Governo, Senato
e Camera dei deputati, in www.federalismi.it, n. 24/2014, 26 ss.; nonché G. Rivosecchi, Introduzione al tema: Riparto
legislativo tra Stato e Regioni: le c.d. “disposizione generali e comuni”, Introduzione al Seminario del «Gruppo di Pisa»
sul tema La riforma della Costituzione: aspetti e problemi specifici, Roma, 24 novembre 2014, reperibile al sito
www.gruppodipisa.it. 38 Su cui, v. infra, paragrafo 5. 39 In questo senso, invece, P. Giangaspero, Le autonomie speciali e la riforma del regionalismo, cit., 182 ss.
ASTRID RASSEGNA
14
4. Gli effetti di complicazione della disciplina costituzionale della specialità e l’incremento del
divario tra autonomie speciali e Regioni a statuto ordinario
Stante la richiamata ultrattività del Titolo V vigente, occorre inoltre rilevare che, in caso di
definitiva approvazione del disegno di legge costituzionale in itinere, la disciplina di rango
costituzionale delle autonomie assumerebbe paradossalmente le forme di un micro-sistema di fonti
costituzionali, frammentato in ben cinque categorie di norme, ciascuna delle quali assistita da un
peculiare regime giuridico circa l’applicabilità agli enti ad autonomia differenziata40.
Tra queste, occorre anzitutto richiamare il Titolo V della Costituzione del 1948, contenente
alcune norme ancora applicabili alle autonomie speciali. Basti pensare all’art. 132 Cost., in tema di
mutamenti territoriali delle Regioni, che delinea il procedimento mediante il quale è consentito il
distacco di Province e Comuni. Del parametro in parola, già incluso nell’originario Titolo V, la
sentenza n. 66 del 2007 della Corte costituzionale, ad esempio, afferma l’applicazione agli enti dotati
di autonomia differenziata41.
In secondo luogo, come è già stato argomentato, l’art. 39, comma 13, del disegno di legge
costituzionale, se si presuppone l’operatività della clausola di maggior favore, determinerebbe la
perdurante applicabilità alle autonomie speciali del Titolo V vigente per tutte le disposizioni che
garantiscono «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Una consolidata
giurisprudenza costituzionale, come si è detto, ha infatti interpretato il parametro in parola
consentendo di estendere le condizioni più favorevoli di autonomia alle Regioni a statuto speciale e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ne consegue che si determinerebbe l’ultrattività del
Titolo V vigente, secondo il regime giuridico di applicabilità definito dall’art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001 (e dalla consolidata interpretazione che ne ha fornito la Corte)42.
Il terzo gruppo di norme di rango costituzionale di cui occorre far menzione è costituito da
quelle introdotte dalla legge cost. n. 1 del 2012. Esse, come ha evidenziato con chiarezza la
giurisprudenza costituzionale, si applicano senz’altro, e soprattutto senza alcuna forma di garanzia
40 Riprendendo e sviluppando S. Pajno, Considerazioni sulla riforma costituzionale in progress, cit., 46. Si sofferma
sull’«intricato sistema di fonti costituzionali» che disciplinerebbero la posizione delle autonomie speciali anche P.
Scarlatti, Diritto costitituzionale transitorio, cit., cap. IV, par. 7.1. 41 Cfr. sentenza n. 66 del 2007, punto n. 3 del Considerato in diritto. 42 Si noti peraltro che alcune disposizioni della stessa legge costituzionale n. 3 del 2001 si rivolgono «esplicitamente»
anche alle autonomie speciali. È possibile citare, ad esempio, l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, ai sensi del
quale «le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle
decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che
disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». In tali circostanze, evidentemente,
l’applicazione del nuovo Titolo V alle autonomie particolari non è veicolata dalla clausola di maggior favore.
S.PAJNO E G. RIVOSECCHI - LE AUTONOMIE SPECIALI E LA RIFORMA COSTITUZIONALE
15
per i margini di autonomia già attribuiti, anche alle Regioni speciali ed alle Province autonome43. Si
tratta, come è noto, di norme volte a tutela dell’equilibrio dei bilanci pubblici e della sostenibilità
della spesa delle pubbliche amministrazioni. La sent. n. 88 del 2014, al riguardo, ha chiarito che «il
comma premesso all’art. 97 Cost.» dall’art. 2, comma 1, della legge cost. n. 1 del 2012 «richiama il
complesso delle pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, ad
assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico»44, di talché non può non
applicarsi a tutte le autonomie territoriali, comprese quelle ad ordinamento particolare. Proseguendo
nella stessa prospettiva, la medesima sentenza ha affermato che l’art. 5, comma 2, lett. b), della legge
cost. n. 1 del 2012, concernente il contenuto della legge rinforzata di cui all’art. 81, sesto comma,
Cost., nonché delle modifiche introdotte agli artt. 97 e 119 Cost., implica «esigenze di uniformità»
nell’applicare i «vincoli di finanza pubblica», che «non possono non coinvolgere tutti i soggetti
istituzionali che concorrono alla formazione» del «bilancio consolidato delle amministrazioni
pubbliche»45.
La sentenza da ultimo menzionata, paradigmatica circa l’applicazione della legge cost. n. 1
del 2012 alle autonomie speciali, si inscrive peraltro nel quadro dei più recenti orientamenti della
giurisprudenza costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica. Quest’ultima, infatti,
nell’intento di assicurare il rispetto del parametro dell’unità economica della Repubblica46 e di
prevenire squilibri di bilancio47, tende a estendere l’applicazione dei principi fondamentali di
«coordinamento della finanza pubblica» anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome48. Sicché la giurisprudenza costituzionale ha ormai prevalentemente ancorato la potestà
statale di coordinamento della finanza pubblica ai rinnovati parametri costituzionali (artt. 81, 97, 117,
secondo comma 2, e 119, Cost.) piuttosto che all’art. 117, terzo comma, Cost., pur nei limiti degli
specifici oggetti espressamente riservati alla legge rinforzata dall’art. 81, sesto comma, Cost. e
dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 201249. In tal modo, viene avvalorata una duplice potestà statale
43 Sul punto si noti che l’art. 5, comma 2, della legge costituzionale citata si rivolge esplicitamente anche alle autonomie
speciali, mentre l’art. 9, comma 6, della legge n. 243 del 2012, di attuazione della ricordata riforma costituzionale,
contiene una clausola di salvaguardia per le medesime rispetto alla possibilità di imporre alle autonomie territoriali
«ulteriori obblighi» in vista del concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. 44 Sentenza n. 60 del 2013, par. 5.2 del Considerato in diritto. 45 Sentenza n. 88 del 2014, par. 7.2 del Considerato in diritto. Evidenzia l’applicabilità della legge cost. n. 1 del 2012 alle
autonomie speciali anche la sent. n. 39 del 2014 (par. 2 del Considerato in diritto), con particolare riguardo all’art. 2,
comma 1. Nello stesso senso, peraltro, si esprimevano già la sent. n. 63 del 2013, al par. 5.2. del Considerato in diritto, e
la sent. n. 39 del 2014, al par. 2 del Considerato in diritto. 46 Cfr. sentt. n. 78 del 2011 e n. 28, n. 51, n. 79 e n. 104 del 2013; n. 39 del 2014, par. 2 del Considerato in diritto. 47 Cfr., tra le tante, sentt. n. 60 del 2013 e n. 39 del 2014, par. 2 del Considerato in diritto. 48 Cfr., ex plurimis, sentt. n. 169 del 2007, n. 120 del 2008, n. 229 del 2011; n. 60 e n. 63 del 2013; n. 39 del 2014, par. 2
del Considerato in diritto. 49 Nel giudizio definito dalla sent. n. 88 del 2014 tale oggetto era costituito dall’indebitamento degli enti territoriali.
ASTRID RASSEGNA
16
di coordinamento della finanza pubblica opponibile alle autonomie territoriali50: l’una fondata
sull’art. 117, terzo comma, Cost. e operante secondo lo schema ascrivibile alla potestà concorrente;
l’altra fondata sui richiamati titoli competenziali, come modificati dalla legge cost. n. 1 del 2012, e
operante nell’ambito materiale espressamente riservato alla legge rinforzata, anche nei confronti delle
autonomie speciali.
La richiamata giurisprudenza costituzionale – con specifico riguardo alle questioni attinenti
alla finanza pubblica – sembra pertanto fornire un’interpretazione degli statuti speciali e delle norme
di attuazione orientata a bilanciare i parametri che sorreggono la specialità con i vincoli di sistema
desumibili dagli artt. 81 e 119 Cost., in larga parte derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione
europea51.
In quarto luogo, occorre ribadire che, stando al tenore letterale dell’art. 39, comma 13, del
disegno di legge costituzionale in itinere, in virtù della «clausola di non applicazione», non sarebbero
applicabile in nessun caso alle autonomie speciali le nuove norme contenute nel disegno di legge
costituzionale, una volta che questo venisse definitivamente approvato52.
In quinto ed ultimo luogo vanno richiamate le disposizioni, parimenti di rango costituzionale,
contenute negli statuti speciali. Esse restano ovviamente applicabili agli enti territoriali ad autonomia
differenziata con riguardo alle specifiche competenze, di volta in volta, previste dai singoli statuti
speciali, nelle parti in cui non siano «superate» da norme dell’attuale Titolo V che conferiscono una
maggiore autonomia.
Come già si è avuto modo di porre in evidenza in relazione alle relazioni sistemiche tra le
fonti di rango costituzionale, anche in relazione alla individuazione della disciplina applicabile
l’entrata in vigore della «clausola di non applicazione» determinerebbe un significativo effetto di
complicazione normativa. La Corte dovrà, di volta in volta, scegliere il parametro mediante il quale
inquadrare i molteplici titoli di competenza delle autonomie speciali in un complicato e farraginoso
incrocio di competenze e di regimi giuridici diversi, compresenti nel medesimo tessuto costituzionale.
Stante le richiamate incertezze circa il reperimento della disciplina da applicare in relazione ai diversi
titoli di competenza riconducibili agli enti ad autonomia differenziata, non è certo peregrina l’ipotesi
50 In questo senso, A. Brancasi, La Corte costituzionale al bivio tra il tradizionale paradigma del coordinamento
finanziario e la riforma costituzionale “introduttiva del pareggio di bilancio”, in Giur. cost., 2014, 1633 ss. 51 Rispetto alla giurisprudenza costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica meno “svalutativa” delle norme
di attuazione: cfr., ad esempio, sentt. n. 267 del 2006 e n. 179 del 2007. In tema, per una rivalutazione della prospettiva
fornita dalle norme di attuazione, cfr. M. Sias, Le norme di attuazione degli statuti speciali. Dall’autonomia differenziata
all’autonomia speciale, Napoli, Jovene, 2012. 52 Contra, A. Ambrosi, Riforma del Titolo V Cost. e autonomie differenziate, cit., 26 ss.; P. Giangaspero, Le autonomie
speciali e la riforma del regionalismo, cit., 185, con particolare riguardo all’applicazione della “clausola di supremazia”.
S.PAJNO E G. RIVOSECCHI - LE AUTONOMIE SPECIALI E LA RIFORMA COSTITUZIONALE
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secondo la quale l’art. 39, comma 13, del progetto potrebbe contribuire a alimentare il contenzioso
costituzionale che, nei giudizi in via principale, vede spesso parti le autonomie speciali53.
5. Alcune riflessioni conclusive
Al termine di questo percorso è possibile provare a mettere a fuoco in modo sintetico i nodi
evidenziati, nonché alcune riflessioni essi suggeriscono.
Il primo e più evidente problema connesso al trattamento che la riforma costituzionale in
discussione riserva alle Regioni speciali e alle Provincie autonome riguarda il forte effetto di
complicazione normativa che si rischia seriamente di determinare. Come è noto, la diversità dei
cataloghi di materie presenti negli statuti speciali e nel vigente Titolo V della Costituzione, sommata
ai tortuosi percorsi della clausola di adeguamento automatico, determinano già oggi una notevole
confusione del parametro costituzionale applicabile alle autonomie particolari, tale per cui la
domanda secondo la quale una determinata norma che, in tesi, sia stata legittimamente posta dallo
Stato per le Regioni ordinarie, si applichi alle Regioni speciali, molto spesso ammette più di una
risposta plausibile, più di quanto solitamente avviene nei percorsi dell’interpretazione giuridica. La
riforma in itinere aggrava tale situazione di incertezza, rendendo più complicato di quanto già non
sia il composito quadro normativo che delinea la posizione costituzionale delle autonomie speciali.
Certamente una volta che – finalmente – si sia provveduto all’adeguamento degli Statuti una
parte consistente della menzionata incertezza dovrebbe cessare. E tuttavia pare ragionevole ritenere
che la disposizione in esame avrà quale suo effetto non trascurabile quello di perpetuare per un tempo
molto probabilmente lungo, e certo non preventivabile, lo stato di incertezza e ulteriore
disarticolazione del sistema delle autonomie cui prelude54. Infatti, non essendovi alcun termine certo
circa l’avvio (né, tantomeno, la conclusione) dei procedimenti di revisione degli statuti speciali, il
rischio è quello di prefigurare un inedito procedimento pattizio che, di fatto, potrebbe attribuire alle
autonomie speciali una sorta di potere di veto su modifiche statutarie e finanziarie ad esse sfavorevoli,
con ciò aumentando il divario tra Regioni a statuto ordinario e autonomie speciali. Per di più, alla
luce di quanto si è provato a mettere in luce più sopra, non va trascurato che l’adeguamento degli
statuti speciali potrebbe far venir meno una ragione di complicazione, ma generarne un’altra,
53 Al riguardo, cfr., ad esempio, F.S. Marini, Audizione, cit., 54, il quale sottolinea che la norma transitoria del progetto
produrrà un «disallineamento […] ancor più marcato» delle autonomie speciali rispetto alle regioni a statuto ordinario,
atteso che alle prime «continueranno ad applicarsi […] non solo gli statuti speciali ma anche (per effetto del rinvio ex art.
10 l. cost. n. 3/2001) il vigente art. 117 Cost. nella parte in cui garantisce maggiore autonomia», sicché, tra l’altro, «non
si può escludere che l’effetto deflattivo sperato [sul contenzioso costituzionale] non si realizzi affatto». 54 Cfr. P. Scarlatti, Diritto costituzionale transitorio, cit., cap. IV, par. 7.1
ASTRID RASSEGNA
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derivante dall’incerto statuto giuridico delle fonti destinate a disciplinare la posizione costituzionale
delle Regioni speciali.
Risulta da quanto fin qui esposto che la riforma costituzionale attualmente in discussione
perpetua come un dogma indiscutibile la perdurante diversità del trattamento costituzionale di alcuni
enti55. Anzi, l’accoglimento dell’idea secondo la quale sui medesimi si potrà intervenire solo ed
esclusivamente con il loro consenso, approfondisce tale diversità, rischiando di consegnare veri e
propri poteri di blocco ad un gruppo di enti territoriali, tali per cui questi ultimi potranno non solo
tenersi fuori dalle dinamiche che interesseranno tutti gli altri, ma anche rappresentare un significativo
ostacolo – stante la loro importanza – al raggiungimento degli obiettivi che i percorsi
dell’ordinamento generale punteranno a realizzare56. Per di più, come è stato notato57, nell’immediato
la presenza dei rappresentanti delle Regioni speciali nel Senato delle autonomie produrrà l’esito
paradossale secondo il quale costoro potranno deliberare anche in merito a vicende che interessano
le Regioni ordinarie, mentre i rappresentanti di queste ultime in nulla potranno influire – salvo
ovviamente che nel momento della approvazione degli Statuti speciali – nelle vicende delle Regioni
speciali, la cui disciplina rimane tutt’ora affidate allo strumento delle norme di attuazione.
Bisognerebbe invece, giunti a questo punto dell’esperienza repubblicana – ovviamente
garantendo il rispetto degli obblighi internazionali sul punto – ribaltare l’approccio, e attribuire a chi
rivendica un trattamento costituzionale «speciale» l’onere di fornire argomenti a sostengo di tale
specialità. Va in questa direzione, ad esempio, la provocatoria proposta avanzata da Giuseppe Verde,
secondo cui bisognerebbe «imporre» alle Regioni speciali «un ripensamento dei propri statuti», e, a
questo fine, bisognerebbe «abrogare gli statuti differendo però l’effetto dell’abrogazione nel tempo
così da poter disporre di un arco temporale sufficiente perché le cinque regioni procedano al
ripensamento delle proprie competenze ed elaborino una riscrittura dei rispettivi statuti»58.
55 Per un approfondimento critico di questo nodo ci si permette di rinviare a S. Pajno, G. Rivosecchi, La problematica
riforma costituzionale delle Regioni speciali, in corso di pubblicazione su Le Regioni, part. par. 3. 56 Sulla questione dei «poteri di blocco» delle autonomie speciali ha peraltro un peso significativo la questione della
collocazione nel sistema delle fonti della legge di revisione statutaria più sopra segnalata. Ove, infatti, si ritenesse di
accogliere la tesi secondo la quale la legge cost. n. 2 del 2001 avrebbe introdotto una fonte del diritto a carattere
subcostituzionale ma comunque superlegislativa, e ove si ritenesse che l’art. 39, comma 13, fosse in grado di incidere su
questo procedimento normativo e non sull’ordinario procedimento di adozione delle leggi costituzionali e di revisione
costituzionale di cui all’art. 138 Cost., bisognerebbe concludere che le Camere, non trovando un’intesa con la Regione
speciale o Provincia autonoma interessata ai sensi di tale disposizione, potrebbero comunque procedere unilateralmente
a revisionare lo Statuto mediante la «classica» legge costituzionale, in relazione alla quale sarebbe anche possibile
richiedere il referendum nazionale.
Da ultimo, va evidenziato che in caso di insanabile dissenso rispetto alla Regione o Provincia autonoma interessata, le
Camere potrebbero comunque procedere alla adozione di uno statuto speciale contro la volontà di quest’ultima tramite
un doppio intervento ex art. 138 Cost.: il primo sull’art. 39, comma 13, qui in discussione, eliminando la previsione
dell’intesa; il secondo direttamente sullo statuto speciale. 57 Da A. Ambrosi, Riforma del Titolo V Cost. e autonomie differenziate, cit., 33. 58 G. Verde, Uniformità e specialità delle Regioni, in N. Antonetti, U. De Siervo (a cura di), Che fare delle Regioni?,
Roma, Rodorigo, 2014, 265 ss., spec. 295.