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Qual è il momento giusto per prevenire l’obesità? E come intervenire? Gillman MW, Ludwig DS. How Early Should Obesity Prevention Start? N Engl J Med 2013;369(23):2173-5 L'obesità è una delle principali cause di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati mondo, e l'essere sovrappeso e obeso durante l'infanzia è conosciuto essere un importante fattore di rischio a breve e a lungo termine sulla salute fisica e psicosociale. L'obesità nei bambini è un complesso problema multifattoriale di cui si conosce bene l’epidemiologia e le patologie correlate come la malattia metabolica e il diabete tipo II. Non solo fattori genetici ma ambientali (“toxic obesity-inducing environment”) sono coinvolti nell’espressione di questa malattia che dovrebbe essere contrastata attraverso interventi sulla comunità, la famiglia e la scuola. Vi è un consenso generale che il danno e il costo dei rimedi incrementi con l’età, e che gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla prevenzione dell'obesità nella prima infanzia. Il dibattito scientifico sempre vivace su questo tema, si è arricchito attraverso una “Perspective” pubblicata sul NEJM del 5 dicembre 2013, di cui riportiamo i contenuti più salienti. La maggior parte delle donne americane in età fertile è obesa o soprappeso. In un scenario molto probabile, l’eccessivo peso accumulato durante la gravidanza difficilmente sarà perso sussistendo di conseguenza all’inizio di una successiva gravidanza. L’eccessivo peso in gravidanza può influenzare la crescita e il metabolismo fetale favorendo un eccessivo accumulo di grasso così da favorire un ciclo intergenerazionale dell’obesità trasmesso da madre a figlia. Tuttavia, il periodo prenatale e il primo anno di vita sono momenti critici dello sviluppo; azioni svolte in questo momento della vita agiscono direttamente sull’espressione del potenziale genetico e possono portare a un miglioramento o a un peggioramento permanente della salute dell’organismo. Ed è in questo primo periodo della vita che viene riconosciuta la possibilità di un intervento efficace rispetto a sforzi necessari per indurre delle modifiche in tutto il resto della vita. Studi epidemiologici hanno riconosciuto alcuni fattori di rischio prenatale come l’abitudine al fumo di sigaretta della madre, la depressione materna, il diabete gestazionale, elevati livelli di stress materno (che causano di conseguenza il feto ad una esposizione di elevati livelli di cortisolo). Fattori di rischio postatale sono un rapido aumento di peso nei primi sei mesi di vita e un precoce inizio del divezzamento. È presente un’associazione tra parto cesareo e futura obesità: nei roditori questo potrebbe essere spiegato da una differente flora batterica intestinale, un campo sperimentale che deve essere ancora confermato sulla nostra specie. Marcatori conosciuti di questi iniziali e cruciali eventi della vita sono livelli misurabili di metilazione del DNA nel cordone ombelicale e la leptina, ormone coinvolto nella percezione della sazietà: livelli di leptina nel cordone ombelicale elevati sono predittori di bassa adiposità all’età di tre anni mentre livelli di leptina elevati a tre anni predicono un futuro aumento del BMI. La presenza di diversi fattori modificabili favorenti l’obesità rende il tipo di intervento da effettuare più complesso rispetto all’azione verso un solo fattore: la presenza di due fattori di rischio tra un allattamento per meno di dodici mesi, un eccessivo aumento di peso durante la gravidanza, il fumare in gravidanza o un ridotto numero di ore di sonno nella

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Gillman MW, Ludwig DS. How Early Should Obesity Prevention Start? N Engl J Med 2013;369(23):2173-5

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Qual è il momento giusto per prevenire l’obesità? E come intervenire?

Gillman MW, Ludwig DS. How Early Should Obesity Prevention Start? N Engl J Med 2013;369(23):2173-5

L'obesità è una delle principali cause di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati mondo, e l'essere sovrappeso e obeso durante l'infanzia è conosciuto essere un importante fattore di rischio a breve e a lungo termine sulla salute fisica e psicosociale. L'obesità nei bambini è un complesso problema multifattoriale di cui si conosce bene l’epidemiologia e le patologie correlate come la malattia metabolica e il diabete tipo II. Non solo fattori genetici ma ambientali (“toxic obesity-inducing environment”) sono coinvolti nell’espressione di questa malattia che dovrebbe essere contrastata attraverso interventi sulla comunità, la famiglia e la scuola. Vi è un consenso generale che il danno e il costo dei rimedi incrementi con l’età, e che gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla prevenzione dell'obesità nella prima infanzia. Il dibattito scientifico sempre vivace su questo tema, si è arricchito attraverso una “Perspective” pubblicata sul NEJM del 5 dicembre 2013, di cui riportiamo i contenuti più salienti.

La maggior parte delle donne americane in età fertile è obesa o soprappeso. In un scenario molto probabile, l’eccessivo peso accumulato durante la gravidanza difficilmente sarà perso sussistendo di conseguenza all’inizio di una successiva gravidanza. L’eccessivo peso in gravidanza può influenzare la crescita e il metabolismo fetale favorendo un eccessivo accumulo di grasso così da favorire un ciclo intergenerazionale dell’obesità trasmesso da madre a figlia. Tuttavia, il periodo prenatale e il primo anno di vita sono momenti critici dello sviluppo; azioni svolte in questo momento della vita agiscono direttamente sull’espressione del potenziale genetico e possono portare a un miglioramento o a un peggioramento permanente della salute dell’organismo. Ed è in questo primo periodo della vita che viene riconosciuta la possibilità di un intervento efficace rispetto a sforzi necessari per indurre delle modifiche in tutto il resto della vita. Studi epidemiologici hanno riconosciuto alcuni fattori di rischio prenatale come l’abitudine al fumo di sigaretta della madre, la depressione materna, il diabete gestazionale, elevati livelli di stress materno (che causano di conseguenza il feto ad una esposizione di elevati livelli di cortisolo). Fattori di rischio postatale sono un rapido aumento di peso nei primi sei mesi di vita e un precoce inizio del divezzamento. È presente un’associazione tra parto cesareo e futura obesità: nei roditori questo potrebbe essere spiegato da una differente flora batterica intestinale, un campo sperimentale che deve essere ancora confermato sulla nostra specie. Marcatori conosciuti di questi iniziali e cruciali eventi della vita sono livelli misurabili di metilazione del DNA nel cordone ombelicale e la leptina, ormone coinvolto nella percezione della sazietà: livelli di leptina nel cordone ombelicale elevati sono predittori di bassa adiposità all’età di tre anni mentre livelli di leptina elevati a tre anni predicono un futuro aumento del BMI. La presenza di diversi fattori modificabili favorenti l’obesità rende il tipo di intervento da effettuare più complesso rispetto all’azione verso un solo fattore: la presenza di due fattori di rischio tra un allattamento per meno di dodici mesi, un eccessivo aumento di peso durante la gravidanza, il fumare in gravidanza o un ridotto numero di ore di sonno nella

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prima infanzia predice una prevalenza del 6% di obesità mentre la presenza di tutti e quattro i fattori predice il 29% (Tabella).

Il periodo della gravidanza come quello della prima infanzia è noto essere un periodo di intensi cambiamenti di comportamento per una famiglia. Questo è un fatto cruciale per diversi motivi: 1) in questo periodo le future mamme sono disponibili a un cambiamento per favorire la salute del loro bimbo; 2) durante la gravidanza vengono eseguiti diversi controlli medici; 3) gli interventi medici effettuati possono avere un forte impatto nel breve termine; 4) se l’intervento durante la gravidanza rimane efficace la madre, a basso rischio di obesità, potrà trarne beneficio anche per una seconda gravidanza. Attualmente sono in corso diversi trials con lo scopo di controllare l’aumento di peso materno in gravidanza valutando il rischio di obesità nella prole. Un intervento alternativo prevede un controllo qualitativo della dieta, indipendente dalla quantità di calorie assunte con lo scopo di migliorare il controllo insulinico materno e un eccessivo trasferimento di nutrienti attraverso la placenta, oppure modificando le abitudini nella prima infanzia migliorando i tempi di sonno e ritardando l’inizio dello svezzamento. Ridurre o contenere i parti cesarei, non fumare durante la gravidanza sono obiettivi di salute pubblica. Dal punto di vista allergologico, attualmente si pensa che il miglior momento di introduzione degli alimenti solidi sia tra il quarto e il sesto mese di vita. Ma questa età ideale è valida anche per la prevenzione dell'obesità? Commento L’obesità è una sfida alle capacità di intervento di una moderna medicina. Dal riconoscimento di diversi fattori tossici legati all’ambiente (“toxic obesity-inducing environment”) sui quali si può intervenire, e in questo articolo ben descritti, si deve passare alla fattibilità in efficacia in diversi tipi di intervento, pur ricnoscendo che sono

Tabella: probabilità di essere obeso all’età di 7-10aa per 16 combinazioni di 4 fattori prenatali e postnatali modificabili. Da: Gillman MW et al. Developmental origins of childhood overweight: potential public health impact. Obesity 2008;16:1651-6

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molteplici i possibili ambiti di intervento (legislativo, di comunità, individuale, gruppo familiare..) Si nota subito che l’intervento richiesto in ambito sanitario è interdisciplinare. Per contrastare l’epidemia di eccesso di peso nel bambino è richiesto un intervento non solo in ambito pediatrico ma anche durante la gravidanza, momento cruciale per la selezione dell’espressione dei geni in base all’ambiente che il feto riconosce e a cui si deve adattare. Non solo si deve “invadere” un territorio di competenza tradizionalmente lasciato alle scienze ostetriche o alla medicina dell’adulto, ma all’operatore sanitario viene richiesta un’abilità specifica e un po’ speciale: saper discutere sugli stili di vita con i genitori. È dimostrato che la “prescrizione” per un cambiamento delle abitudini si è dimostrato totalmente inefficace nel modificare quel comportamento (pensate semplicemente alle scritte sui pacchetti di sigarette o alla necessità di più leggi statali per obbligare ad allacciare le cinture di sicurezza in auto). Il medico deve quindi appropriarsi di quelle competenze necessarie per evitare di prescrivere o proscrivere, abbandonando azioni come la persuasione o la dissuasione come mezzi per ottenere un cambiamento, ma riconoscendo innanzitutto le resistenze e le risorse che la persona dimostra di avere a disposizione in un possibile percorso personale di cambiamento [per un esempio di questo approccio: Davoli AM et al. Pediatrician-led Motivational Interviewing to Treat Overweight Children: An RCT Pediatrics 2013;32(5):e1236-46]. Infine, questo bell’articolo di Matthew Gillman e David Ludwig esprime con chiarezza anche un altro concetto: le varie specialità mediche non possono proporre indicazioni specifiche senza riconoscere possibili e probabili effetti anche in ambiti non riconosciuti o non studiati nel loro specifico campo di interesse. Anche noi, insieme a Gillman e Ludwig chi chiediamo quanto sia giusto pensare a un epoca di inizio dell’alimentazione complementare solo in un ristretto ambito allergologico.