Landolfi-Arato e Il Mito Delle Eta (QUCC 34.1 [1990])

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    1/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il

    mito

    delle

    et?

    Luciano

    Landolfi

    Nee converti

    ut

    interpres,

    sed

    ut orator.

    Cic. De

    opt.

    gen.

    or

    at.

    14.

    Ciceronem

    eloquentia

    sua

    in

    carminibus destituit.

    Sen. Contr.

    3,

    Praef.

    8

    Della

    digressione

    sul

    catasterismo della

    Vergine

    presente

    negli

    Ara

    tea

    ciceroniani,

    la tradizione indiretta

    l

    ci

    ha

    restituito

    quattro

    'frustuli'

    per

    un

    totale di

    sette

    esametri. Meno di

    un

    sesto

    delTestensione delPana

    logo episodio

    contenuto

    in

    Arat.

    Phaen.

    96-136

    2,

    ma

    tale da

    permettere

    un

    tentativo

    di

    ricostruzione

    delTintero brano

    presumibilmente

    corne

    Pautore

    pot?

    idearlo.

    Ecco

    i

    frammenti secondo Pedizione del Buescu

    3:

    XV: Sub

    pedibus profertur...4

    finita

    Booti

    Spicum

    inlustre

    tenens,

    splendenti

    corpore,

    Virgo.

    1Ne discutono

    ripettivamente

    V. Buescu, Cicer?n. Les Aratea, Hildesheim 1966 2,

    s. v.

    'testimonia'

    e

    J.

    Soubiran,

    Cicer?n.

    Aratea.

    Fragments

    po?tiques,

    Paris

    1972,

    in

    calce

    all'edizione

    critica

    dei frammenti

    stessi.

    Per

    quanto

    io

    sappia,

    manca

    un

    saggio

    specifico

    sulla

    questione.

    2

    La

    filologia

    di

    stampo

    positivista

    si

    ?

    occupata

    a

    pi?

    riprese

    dei

    rapporti

    ira

    Aratea

    e

    Phaenomena

    compilando

    un

    sistem?tico

    regesto

    dei loci

    similes-,

    cfr.

    G.

    Sieg,

    De

    Cice

    rone

    Germ?nico Avieno

    Arati

    interpretihus,

    Diss.

    Halle

    1866;

    J.

    Maybaum,

    De

    Cicerone

    et

    Germ?nico

    Arati

    interpretihus,

    Diss.

    Rostock

    1889;

    C.

    Atzert,

    De Cicerone

    interprete

    Graecorum,

    Diss.

    G?ttingen

    1908. Pi?

    di

    recente

    ?

    tornato

    sul

    problema

    W.

    Leuthold,

    Die

    Uehersetzung

    der Phaenomena

    durch

    Cicero und

    Germanicus,

    Z?rich 1942.

    3

    Ancor

    oggi insuperata

    per

    acribia

    filologia

    e

    dovizia di corredo

    dossografico.

    4

    A.

    Traglia,

    M.

    Tullio

    Cicerone.

    I

    frammenti poetici,

    Milano

    19713, p.

    69

    integra

    la

    lacuna

    con

    l'awerbio

    turn

    in

    corrispondenza

    al ??

    del

    testo

    greco

    (Phaen.

    96).

    Soubiran,

    op.

    cit.

    p.

    162

    pone

    invece il

    profertur

    fra

    due

    cruces

    riportando

    in

    nota

    (p.

    200

    n.

    6)

    la

    serie

    di

    congetture

    av?nzate

    per

    sanare

    il

    testo

    e

    completando

    le

    testimonianze allineate

    da

    Buescu,

    op.

    cit.

    p.

    284.

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    88

    L.

    Landolfi

    XVI:

    Malebant

    tenui contenti vivere

    cultu

    XVII:

    F?rrea

    turn

    vero

    proles

    exorta

    repentest,

    ausaque

    funestum

    primast

    fabricarier

    ensem

    et

    gustare

    manu

    iunctum

    domitumque

    iuvencum.

    XVIII:

    et

    Jovis

    in

    regno

    caelique

    in

    parte

    resedit.

    In

    rapporto

    al

    testo

    ellenistico

    tradotto,

    i

    due

    esametri

    facenti

    parte

    del

    fr.

    XV

    non

    sembrerebbero

    distinguersi

    per

    originalit?,

    se

    conside

    riamo

    che Tunica

    aggiunta

    di

    qualche

    rilievo

    ?

    costituita

    dall'immagine

    del

    fulgore

    sid?rale

    capace

    di

    reduplicare

    lo

    splendore

    della

    spiga

    stretta

    dalla

    Vergine5.

    A

    ben

    guardare,

    per?,

    non

    pu?

    sfuggire

    il

    silenzio del

    l'interprete

    latino

    circa

    l'iconografia

    della dea

    proposta

    dal

    modello

    {Phaen.

    97):

    ..

    .IlaQd?vov,

    r\

    q'

    ?v

    %?Qoi cp??oi

    Hxayyv

    aiy'kr\?VTa...

    verso

    tormentato

    gi?

    a

    par?re

    dei

    commentatori

    antichi,

    al

    cui

    awiso

    il

    sintagma

    ?v

    %sqo?

    dipendeva

    da difficolt? di

    ordine

    m?trico

    6,

    risolte

    5

    Si noti

    la

    disposizione

    chiastica del

    costrutto,

    del

    tipo

    abba:

    spicum

    inlustre

    ...splendenti

    corpore

    che

    potenzia

    l'effetto

    visivo

    del brillio della

    Vergine.

    Arato

    ricor

    dava

    al lettore che avrebbe

    potuto

    osservare

    (imoox?jrcoi,

    a

    detta di

    E.

    Maass,

    Aratea,

    Berlin

    1892,

    pp.

    75-76,

    morfol?gicamente

    sarebbe confermato

    dal

    commento

    ipparcheo

    al

    testo

    di Arato

    ma,

    a

    causa

    de??usus scrihendi di

    quest'ultimo,

    lo

    studioso

    propone

    l'e

    mendamento

    in

    imo ox?jtxoio il

    che,

    peraltro,

    sarebbe

    in

    linea

    con

    il

    formulare

    ox?jrxeo

    di Phaen. 75, 778, 789, 832, 880, 892, 894 studiato da E. Romano s. v.

    'aspice'

    per Enci

    clopedia Virgiliana

    I,

    Roma

    1984,

    p.

    372)

    la

    naod?vo?

    sotto

    ambo

    i

    piedi

    di

    Boote. Cice

    rone

    vede invece

    nei

    suddetto

    astro

    il limite

    esplicito

    (finita)

    della

    costellazione

    della Ver

    gine

    (sul

    tema

    vd. A.

    Traglia,

    La

    lingua

    di

    Cicerone

    poeta,

    Bari

    1950,

    p.

    139),

    staticamente

    presentata

    da Arato

    quale

    oggetto

    della

    contemplazione

    sid?rale.

    Inoltre,

    ilmotivo dello

    splendore

    della

    Vergine

    torna

    al

    v.

    322

    degli

    Aratea:

    ...

    rutilo... conlucens

    corpore

    Virgo...

    con

    id?ntica clausola

    m?trica

    finale.

    6

    Cfr.

    Schol. ad

    Phaen.

    97,

    p.

    357

    Maass:

    x? ?'?v

    x^Qoi (p?gei

    x?xuv

    aiyMjevxa:

    o?>

    6i8o?(pr]OE,

    Jto?ai

    %eiq?,

    ?aoo?

    ?i? x?

    (??xoov

    ?ujto?i?ojievo?;.

    decooeCxai

    ??

    ?v

    xrji

    aoioxEQOti.

    Si

    ricordi che

    gi?

    per

    Ipparco

    la

    spiga

    stava

    nella

    mano

    sinistra

    della dea

    (cfr.

    G.

    Thiele,

    Antike

    Himmelshilder,

    Berlin

    1899,

    p.

    40

    e

    W. H.

    Roscher,

    Ausfuehrliches

    Lexicon

    der

    griechischen

    und roemischen

    Mythologie

    III1,

    Hildesheim

    1965,

    s. v.

    'Parthe

    nos\

    col.

    1658),

    stesso

    vale

    per

    Eratosth.

    Cat.

    9,

    14

    il

    quale

    sosteneva

    ehe la

    Stella

    trovan

    tesi

    nella

    sinistra

    della

    vergine

    si

    chiama

    Sxdx'u?

    e

    per

    Ptolem.

    Synt.

    1,5.

    Altra la versione

    seguita

    da

    Hyg.

    De

    astr.

    3,

    24:

    ...Praeterea

    hahet

    (seil.

    Virgo)

    in

    utrisque

    manihus

    singulas

    Stellas;

    quarum

    una,

    quae

    est

    in

    dextra

    manu,

    maior

    et

    clarior,

    ea

    cum

    spicis

    esse

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    3/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il

    mito

    delle

    et? 89

    sostituendo

    il

    locativo

    plurale

    al

    pi?

    owio

    singolare.

    Apriamo

    una

    pic

    cola

    parentesi.

    La

    spiegazione

    del

    nesso

    arateo

    dall'ottica

    pros?dica

    si

    configura

    tanto

    semplicistica

    quanto

    err?nea,

    poich?

    1'alternativo

    ?v

    X?iQi,

    attestato

    dal codex Marcianus

    476,

    primario

    per

    la

    trasmissione

    dei

    Phaenomena

    7,

    ?

    is?crono

    con

    la

    formula

    predetta

    e

    quindi

    combacia

    perfettamente

    con

    le

    esigenze quantitative

    del

    'tempo

    forte' al

    terzo

    piede

    del

    v.

    97

    8.

    Se

    ritorniamo

    all'espressione

    prescelta

    da

    Cicerone

    9,

    sembra

    che

    l'atteggiamento da lui esibito sia segno di perplessit? esegetica, scaturita

    dalla contraddittoriet? fra la dicitura del modello

    e

    la

    chiosa

    degli

    scolia

    sti.

    Dando

    per

    fermo

    che,

    nella

    propria

    versione,

    PArpinate

    si

    awaleva

    dell'ausilio

    ermeneutico

    degli

    scoli al

    poema

    arateo

    10,

    ?

    lecito

    supporre

    che la

    prowisoriet?

    dei loro risultati

    a

    proposito

    del

    contestato

    nesso

    ?v

    %eqg?

    dovesse indurlo ad

    una

    sospensione

    di

    giudizio.

    Conseguente

    mente,

    aggirare

    il

    terreno

    sdrucciolevole delle

    congetture

    con

    il

    cenno

    sbrigativo

    alia simb?lica

    presenza

    della

    spiga,

    doveva

    apparire

    al

    giovane

    poeta

    la

    migliore

    soluzione

    possibile

    dell'aporia.

    Tra

    l'altro,

    in

    questa

    maniera, Cicerone

    sgombrava

    la strada ai commentatori di Germ?nico, i

    quali

    avrebbero chiarito l'identit?

    Vergine

    =

    Cerere

    n

    cos?:

    ...quod

    spi

    dicitur...

    In

    ogni

    caso,

    la Stella

    principale

    della costellazione

    della

    Vergine

    era

    la

    Spica,

    a,

    vicinissima

    all'eclittica,

    cfr.

    Arat.

    Phaen.

    97;

    Hipp.

    3,3,5.

    Sulle vicende di

    quest'ultima

    documentazione

    esauriente in

    A.

    Le

    Boeuffle,

    Les

    noms

    latins d'astres

    et

    de

    constella

    tions,

    Paris

    1977,

    pp.

    165-166.

    7

    Della tradizione

    manoscritta

    dei

    Phaen.omena,

    oltre

    al

    Maass

    si

    ?

    occupato

    J.

    Mar

    tin,

    Histoire

    du

    texte

    des

    Ph?nom?nes

    d'Aratos,

    Paris 1956

    che

    completa

    lo

    scarno

    rendi

    conto

    codicologico

    del

    testo

    dato nell'edizione

    degli

    Arati

    Phaenomena,

    Firenze

    1956,

    pp.

    XII-XX.

    8

    La

    iunctura

    ?v

    XEQ?i

    ?

    inoltre confermata da Maneth. 134 che

    per?

    parla

    di

    ox?

    Xucx?

    come

    Hyg.

    3,

    24. Discussione

    delle

    concordanze

    fra

    Manetone

    e

    Arato,

    in

    Maass,

    op.

    cit.

    p.

    251

    n.

    3.

    9

    N? dirime la

    questione

    il

    fatto

    che

    sia

    Germ?nico,

    Arati

    Phaen.

    96-97

    (plena

    sini

    stra/...spica

    manu)

    sia

    Avieno

    289

    (protentata

    manu)

    abbiano alluso

    ad

    una

    sola

    mano,

    la

    sinistra

    (almeno

    nel

    primo

    dei due

    casi):

    pertanto

    non

    si

    puo

    semplicisticamente

    resti

    tuir?

    come

    integra

    la

    lezione

    ?v

    yeiQ?

    che

    ora

    Martin,

    op.

    cit.

    presenta

    al

    v.

    97 dei

    Phaeno

    mena.

    Soprattutto

    Germ?nico

    sembra

    seguir?

    il

    filone

    Ipparco-Scoli

    ad

    Arato-Erato

    stene,

    il

    che

    mostra

    solo

    corne

    esistesse

    anticamente

    una

    linea

    di

    studi

    catasteristici

    volta

    a

    concepire

    la

    Spica

    quale

    sorretta

    dalla

    sinistra

    della

    dea,

    ma

    non

    che

    il

    testo

    arateo

    vi

    si

    uniformasse

    doverosamente.

    10

    Vd.

    soprattutto

    Atzert, op.

    cit.

    p.

    3

    ss.;

    Leuthold, op.

    cit.

    p.

    12

    ss.

    11

    L'identificazione

    Dike

    =

    Demetra realizzata

    in

    suolo

    greco

    da Arato fu studiata

    da

    G.

    Kaibel, 'Aratea',

    Hermes

    29,

    1894, p.

    85.

    Da

    li

    diparte

    certo

    l'assimilazione Ver

    gine

    =

    Cerere

    presentata

    da Cicerone

    negli

    Aratea.

    Sul

    tema

    vd.

    peraltro

    Le

    Boeuffle,

    op.

    cit.

    pp.

    212-213.

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    4/12

    90

    L.

    Landolfi

    cas

    tenet...

    (p.

    65,

    19

    Breysig),

    parafrasando

    lo

    stilema da

    lui

    stesso

    coniato

    spicum

    u

    ...tenens.

    A

    questo punto,

    la

    prima

    slegatura,

    dovuta

    alla lacunosit?

    del

    testo

    po?tico

    latino che lascia

    aperte

    le

    porte

    a

    qualun

    que

    genere

    di

    supposizione.

    Restando

    aderenti

    a

    quanto

    soprawissuto

    al

    naufragio

    della

    parte

    iniziale

    degli

    Aratea,

    la

    narrazione

    riprende

    con

    il

    fr.

    XVII,

    dove

    Cicerone

    celebra la

    semplicit?

    del vitto

    nelle

    fasi aurorali

    della

    vita

    umana.

    A

    proposito

    dello

    stato

    autarchico della

    razza

    ?urea,

    Arato,

    Phaen.

    110,

    aveva

    dichiarato:

    auxco?

    ?'

    ?^coov,

    passando

    imme

    diatamente al censimento in

    negativo

    dei mali subentrati nelle ere suc

    cessive.

    Nella

    riscrittura

    del brano

    ellenistico,

    vengono

    per

    la

    seconda

    volta

    sfruttati

    i

    supporti

    del relativo

    patrimonio

    scoliastico, per

    il

    quale

    Pawerbio

    aux

    ?

    equivale

    ad

    ?jtXcb?

    {Schol.

    adArat.

    10,

    p.

    358

    Maass

    =

    p.

    132

    Martin),

    dato che

    l'agricoltura

    avrebbe

    procurato

    da

    sola

    il

    neces

    sario

    alia

    soprawivenza

    della

    pi?

    antica

    stirpe

    mortale

    13.

    Tuttavia Yhe

    miepes:

    malehant

    tenui

    {seil,

    vivere),

    collegato

    al termine

    cultus

    posto

    in

    ablativo

    in

    sesta

    sede,

    segnala

    al

    lettore la

    scollatura dal

    prototipo, poi

    ch?

    la

    generazione

    ?urea

    presceglie

    un

    proprio

    sistema di

    vita,

    non

    acquetandosi

    alla volont? celeste.

    In

    piena

    coerenza con

    la

    decantata

    coabitazione

    di Dike

    e

    degli

    uomini

    della

    razza

    d'oro, Arato,

    Phaen.

    113,

    assegna

    alia

    dea

    il

    compito

    di

    spartire ogni

    dono della

    terra

    H:

    la

    Vergine

    opera

    in

    uno

    spazio

    tecnicizzato,

    quello agricolo

    (afck?

    ?oec

    xai

    cxqot

    ?kx,

    v.

    112),

    dove

    il

    suolo

    nutre

    il

    consorzio

    mortale

    (ecpeQ?ev,

    v.

    114)

    15

    come

    mercede

    per

    la

    fatica

    lavorativa,

    senza

    che

    ancora

    sia

    stata

    attuata

    un'intenzionale

    contrapposizione

    fra

    frugalit?

    e

    superfluo

    nei

    tenore

    di

    vita.

    Ci?

    d'altronde

    ?

    impossibile

    finch?

    la divinit?

    resta

    datrice di

    quei

    b?ni (?(i)T?iQa ?ixai v,

    v.

    113) che divide equanimemente fra gli

    uomini.

    Nei

    momento

    in

    cui

    Cicerone

    trama

    al

    suo

    dettato

    po?tico

    il

    verbo

    malo,

    Pautarchia

    su

    cui

    il

    nume

    interviene

    suddividendo

    i

    prodotti

    12

    Per

    l'equipollenza spicum

    =

    spica

    vd. Serv. ad

    Georg.

    I 1.

    13

    Utili le

    puntualizzazioni

    di A.

    Barchiesi,

    'Letture

    e

    trasformazioni

    di

    un

    mito

    ara

    teo.

    (Cic.

    Arat.

    XVII

    Tr;

    Verg.

    georg.

    2,473

    sg.)',

    Materialie

    discussioni6,1981,

    pp.

    181

    187, p. 186 n. 16.

    14

    ...\xvQ?a

    Jt?vxa

    Jtagei/e

    A?xr],

    ?

    xeioa

    ?txauov.

    Analizzo

    il

    verso

    nelT?mbito

    di

    una

    completa

    rilettura

    del

    passo

    arateo

    in

    un

    lavoro

    dal

    titolo

    TI

    vol?

    di

    Dike',

    di

    pros

    sima

    pubblicazione.

    15

    Per

    il

    significato

    del

    verbo

    (peg??)

    vd.

    Landolfi,

    art.

    cit.

    n.

    39.

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    5/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il mito

    delle

    et? 91

    dell'automatismo naturale

    non

    ?

    pi?

    il 'sistema

    diet?tico'

    predisposto

    dall'alto,

    bens?

    la

    scelta deliberata del

    nostro

    raziocinio.

    E

    quest'opzione

    viene

    addirittura abbracciata

    con

    gioia,

    se

    l'attributo

    peculiare

    dell'ori

    ginaria

    condizione

    di

    parsimonia

    ?

    contentus,

    proprio

    quello

    che,

    in

    altro

    contesto,

    Tibullo

    16

    riserva

    a

    se

    stesso

    formulando

    un

    augurio

    di

    serena

    esistenza

    rurale.

    L'assunzione di

    un

    soggetto

    moralistico

    quale quello

    della sobriet?

    del

    vitto

    denota

    come

    Cicerone

    stia

    calando lo

    spunto

    arateo

    dell'et?

    del

    l'oro nel vivo di un

    pi?

    vario dibattito filos?fico. In suolo greco, ad esem

    pio,

    Dicearco,

    fr. 49

    Wehrli,

    aveva sostenuto

    che,

    nello

    scenario

    di

    una

    fruttificazione

    spontanea

    (49,

    11-12)

    ignara

    dell'agricoltura

    {ibid.

    12-13)

    gli

    uomini

    ebbero

    a

    contener?

    il

    loro

    vitto

    (

    oute

    xf|V

    JtXe?o

    xfj?

    jxexQ?ac

    ?i?

    tf)v 8Toi|i?TTiTa,

    bXk'

    cb?

    x?

    jtoXA?

    xf|v

    eX?xxoo

    xfj?

    ixavf]?

    ?i?

    xfiv

    ojt?vtv

    [seil.

    xf)V

    XQO(pf)v JTQOoecp??ovxo]

    ibid.

    19-20).

    La

    ojr?vic

    dicearchea,

    la

    pochezza

    di

    cibo,

    ?

    pero

    una

    condizione

    oggettiva,

    sepa

    rata

    dall'?xoi^oxrj?,

    la facile

    crescita

    dei frutti.

    La

    notazione

    del

    filosofo

    peripat?tico

    ?

    secca

    e

    cursoria,

    quasi

    un

    dato

    scontato

    agli

    albori della

    storia che non ha nulla a che vedere con il

    problema

    della scelta esisten

    ziale.

    Per Cicerone

    17

    invece,

    l'adozione

    di

    un

    sistema

    di

    vita

    parco

    ha

    un

    rilievo del

    tutto

    particolare,

    confermato

    dal

    verbo

    malo, pregno

    di

    una

    programmaticit?

    inesistente

    nell'inclinazione alia

    ojt?vic

    dell'aborigeno

    dicearcheo.

    Approfondendo

    il

    soleo

    tracciato

    da

    Arato,

    l'interpr?te

    latino

    apriva

    la via

    alla combinazione

    fra

    prototipo

    letterario del

    mito

    delle

    ere

    e

    modello filos?fico della

    Kulturentstehung inaugurando

    un

    procedimento

    che

    avrebbe

    goduto

    particolare

    fortuna

    nella

    poesia

    latina

    posteriore,

    da

    Virgilio

    a

    Germ?nico.

    ?

    opportuno

    dire che Cicerone ha

    'approfondito'

    il dettato arateo

    perch?

    se

    questo

    resta

    legato,

    pi?

    o

    meno

    sommariamente,

    agli

    schemi

    storici

    della

    teor?a

    delPincivilimento

    umano

    18,

    quello

    dell'Arpinate

    con

    tempera

    echi di

    varie scuole filosofiche

    nel

    disegno

    di

    un

    pi?

    coerente

    16

    ...lam

    modo

    iam

    possim

    contentus

    vivereparvo

    (I

    1

    25).

    Contentus

    ?

    epiteto

    spe

    cialistico nelle rubriche

    letterarie afferenti

    alla

    sobriet?:

    vd.

    gli

    esempi

    riportati

    alia

    n.

    17

    dal

    saggio

    di

    Barchiesi,

    cit.

    17

    L'unico

    elemento

    di

    contatto

    fra

    lo

    schema

    dicearcheo

    e

    quello

    ciceroniano

    del

    Yaurea

    aetas

    consiste

    proprio

    nella moderazione

    della

    ?iaixa,

    per

    il

    resto,

    ?

    chiaro che

    non

    vi

    sono

    attinenze

    fra l'idea che

    l'agricoltura

    costituisca

    lo

    stadio conclusivo delTinci

    vilimento

    umano

    propugnata

    dall'autore

    greco

    (fr.

    48

    Wehrli)

    e

    il

    principio

    arateo-cice

    roniano

    del

    %qvoov

    y?vo?

    tecnicizzato.

    18

    Me

    ne

    occupo

    nei

    gi?

    citato

    studio,

    sottolineando l'infedelt?

    di

    Arato

    a

    pi?

    di

    un

    elemento

    della

    teoria

    stoica

    della

    Kulturentstehung.

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    6/12

    92

    L.

    Landolfi

    modello

    di

    vita

    originaria. Consegnando

    all'uomo

    primitivo

    la facolt?

    deliberativa

    del

    proprio

    regime

    esistenziale,

    il

    poeta

    latino ridimensiona

    la

    presenza

    divina

    nelTeconomia della

    preistoria

    e,

    nello

    stesso

    tempo,

    tende ad idealizzare

    la

    remota

    condizione della

    comunit?

    concependola

    corne

    saggia

    e

    temperante.

    Peraltro

    pare

    possibile

    avanzare

    ancora

    qual

    che

    notazione

    di

    natura

    ling??stico-sem?ntica

    circa il fr. XVI Buescu

    che

    meglio

    chiarisca la

    globalit?

    del

    messaggio

    didascalico del

    testo.

    Cice

    rone

    parla

    di

    tenuis

    cultus

    e,

    nei

    mondo

    latino,

    tale

    modulo

    sar?

    un

    Wer

    tbegriff

    che

    proprio

    tramite la sua

    opera

    di

    divulgazione

    filos?fica

    acqui

    ster?

    consistenza

    ideol?gica.

    Dibattuta dalle scuole ellenistiche

    19,

    la

    questione

    del

    cultus,

    indissolubilmente

    legata

    a

    quella

    del

    victus,

    viene

    mediata

    al

    pubblico

    romano

    in

    parecchi luoghi

    della

    silloge

    ciceroniana

    di

    scritti

    teorici:

    oltre

    che

    in

    Tuse.

    V

    26

    e

    89

    ed

    in

    Lael.

    86

    20,

    l'endiadi

    ritorna

    in

    De

    off

    I

    12;

    158

    e

    in

    De div.

    I

    61

    e,

    in

    tutti

    i

    contesti

    in

    cui

    si

    discute

    della

    semplicit?

    del

    tenore

    di

    vita,

    id?ntica

    ?

    la

    scelta lessicale

    compiuta

    nei

    breve

    fr.

    XVI

    degli

    Aratea21

    {contentus, cultus,

    tenuis).

    Ora,

    se

    per

    Cicerone

    maturo

    l'ideale

    stato

    di

    natura

    ?

    il

    vivere

    con

    poco

    (vd.

    De

    fin.

    II91:

    quodparvo

    esset natura

    contenta),

    ?

    ipot?zzabile

    che

    sin

    dai

    tempi

    della traduzione del

    poema

    di

    Arato

    22

    cominciasse

    a

    farsi

    strada

    in

    lui

    la convinzione

    che la

    temperanz,a

    nella dieta

    potesse

    con

    trassegnare

    Tantichissima beatitudine

    umana.

    Nei

    particolare

    assetto

    primitivistico

    dato alia

    narrazione

    dell'epoca

    ?urea,

    l'ascetica condi

    zione

    del

    saggio,

    verso

    cui

    convergevano

    tanto

    gli

    epicurei,

    quanto

    i

    cinici

    e

    gli

    stoici23,

    viene fatta

    aderire

    alio

    stato

    primevo

    degli

    aggregati

    umani,

    dando

    a

    questo

    la

    matura

    e

    consapevole

    autonom?a

    di

    pensiero

    e

    scelta delTaltro.

    A

    questo punto

    un

    nuovo

    salto tem?tico. La

    comparsa

    della razza f?rrea

    pone

    in luce il

    repentino

    trapasso

    dalla

    stirpe

    prece

    19

    Vd.

    B.

    Gatz,

    Weltalter,

    goldene

    Zeit und

    sinnverwandte

    Vorstellungen,

    Hildes

    heim

    1968, p.

    157

    ss.;

    R.

    Vischer,

    Das

    einfache

    Leben,

    G?ttingen

    1965,

    p.

    88

    ss.

    Null'al

    tro

    che

    una

    rassegna

    di

    xojioi

    in

    W.

    Meyer,

    Laudes

    inopiae,

    Gottingae

    1915

    ehe,

    tra

    l'al

    tro,

    non

    sembra

    oecuparsi

    particolarmente

    di Cicerone.

    20

    Citati dal Barchiesi

    a

    p.

    187 del

    suo

    lavoro.

    21

    Cfr.

    Tuse.

    Ill

    49

    (a

    proposito

    della moderazione

    di

    Epicuro),

    V 97

    (a

    riguardo

    del

    contentarsi

    la

    natura

    di

    poco);

    De

    fin.

    11

    91;

    De

    off

    1

    70.

    22

    Sulla

    cronologia degli

    A

    ratea

    discussione

    in

    Buescu,

    op.

    cit.

    p.

    28

    ss.;

    Traglia,

    op.

    cit.

    p.

    9

    ss.;

    Soubiran,

    op.

    cit.

    p.

    8

    ss.

    A

    parte

    sta

    E.

    Castorina,

    'Le

    tre

    fasi

    poetiche

    di

    Cicerone',

    Sic.

    Gymn.

    6,

    1953,

    pp.

    137-165,

    p.

    142

    n.

    3

    per

    il

    quale

    Topera

    sarebbe

    data

    bile all'incirca

    all'80

    a.

    C.

    contro

    Popinione

    corrente

    che

    la

    pone

    prima

    dell'89

    a.C.

    23

    Resta

    basilare la

    messa

    a

    punto

    di A.

    Oltramare,

    Les

    origines

    de

    la

    diatribe

    romaine,

    Lausanne

    1926,

    passim.

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  • 8/17/2019 Landolfi-Arato e Il Mito Delle Eta (QUCC 34.1 [1990])

    7/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il

    mito

    delle

    et?

    93

    dente,

    forse

    l'argentea,

    all'ultima del

    quadro

    delle

    et?

    (fr.

    XVII

    Buescu).

    Distanziatosi

    dall'esempio

    arateo,

    per

    cui

    a

    chiudere

    la

    rassegna

    del

    degrado

    morale

    delle

    generazioni

    era

    la

    %OLkm?r\

    yevzv] {Phaen. 130),

    Cicerone

    dischiude

    in

    ?mbito latino

    il

    filone

    che

    sostituisce

    la

    razza

    bronzea

    con

    quella

    f?rrea

    24

    lungo

    il

    mito

    delle

    epoche,

    e

    durante

    il

    suo

    svolgimento

    pone

    la

    fuga

    della

    Giustizia

    verso

    il

    cielo 25.

    Sembra

    peraltro

    che

    il

    traduttore

    non

    osservi

    la ciclicit? della

    genitura

    umana

    caratteri

    stica

    della

    descrizione

    aratea

    (cfr.

    Phaen.

    123

    ss.),

    presentando

    la

    sing?la

    generazione

    corne scissa dalla

    precedente

    sul

    piano

    delle relazioni

    paren

    tali

    forse

    per

    rafforzare

    il

    principio

    della

    corruzione

    come

    itinerario

    a

    tappe

    disgiunte.

    Nel

    resoconto

    ciceroniano,

    il

    sintagma

    tum...exorta

    repentest

    lascia intrawedere

    un

    presumibile

    cenno

    ad

    un

    fatto

    in

    qual

    che

    misura concomitante

    o

    contestuale

    alla

    nascita

    della

    generazione

    del

    ferro,

    scevro

    da

    allusioni

    al

    prima.

    ?

    comunque

    il

    distico:

    ...ausaque

    funestum

    primast

    fabricarier

    ensem,

    et

    gustare

    manu

    iunctum

    domitumque

    iuvencum

    a

    rivelare

    in

    modo

    congruo

    all'entit?

    dell'operazione

    la

    divergenza

    fra

    Cicerone

    e

    la

    fonte.

    All'interno

    di

    un comune

    abominio

    per

    l'arma

    sacrilega

    (xaxoeQ

    Y?c...^i?xcaea,

    Phaen.

    131;

    funestus...ensis,

    fr.

    XVII2),

    l'Arpinate

    crea

    un'immagine

    ridondante

    dove

    l'empiet?

    del misfatto

    ?

    riverberata

    dagli

    estremi

    dell'esametro

    {ausaque

    funestum...ensem)

    al

    suo

    stesso

    centro,

    rappresentato

    dal

    Primus-Motiv

    dell'euristica

    (prima

    est

    fabricarier).

    Non

    si

    tratta

    n?

    di

    gratuita

    variazione

    stilistica

    del

    modello,

    dove

    ?

    demarcata la novit? dell'evento a mezzo dell'iniziale o?

    JtQCOXOi

    {Phaen.

    131),

    n?

    di

    gerarchizzazione

    di

    piani

    del

    racconto,

    per

    cui

    l'atto

    orroroso

    m?rita

    una

    posizione

    di

    privilegio

    rispetto

    alla

    deprecazione

    dell'inven

    zione,

    la

    spada

    funesta. Cicerone

    d?

    piuttosto

    risalto

    all'immagine

    ara

    tea,

    limitata alla

    semplice

    denuncia

    del

    fatto,

    dalla visuale

    moralistico

    religiosa:

    dire che

    la

    stirpe

    f?rrea

    os?

    per

    la

    prima

    volta fabbricare

    un'arma

    mort?fera

    per

    abbattere

    i

    giovenchi

    awezzi

    al lavoro dei

    campi

    e

    farsene

    cibo,

    significa

    espandere

    sem?nticamente l'inauditezza

    del

    24

    Ovid.

    Met.

    I

    125

    ss.

    distingue

    invece la

    terza

    et?

    (quella

    del

    bronzo)

    dalla

    quarta

    (quella

    del

    ferro);

    Germ.

    Arat.

    Phaen.

    13,

    restaura

    l'ordine

    arateo:

    oro-argento-bronzo.

    25

    Lo

    stesso

    fa Ovid.

    Met.

    I

    149-150;

    non

    cos?

    Germ.

    Arat. Phaen. 137

    per

    il

    quale

    ci? awiene Aerea

    sed

    postquam

    proles

    terris

    data

    (v.

    13);

    n?

    in

    Juv.

    VI

    19,

    per

    il

    quale

    il

    vol? della

    Vergine

    si

    accompagna

    al

    mutare

    lento dei

    costumi

    degli

    uomini.

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  • 8/17/2019 Landolfi-Arato e Il Mito Delle Eta (QUCC 34.1 [1990])

    8/12

    94

    L.

    Landolfi

    gesto.

    Dali'ethos

    al

    pathos

    26,

    il

    poeta

    latino

    iscrive

    in

    un'ottica

    fideistica

    la

    bouctonia

    perpetrata

    attraverso

    uno

    strumento

    di

    guerra.

    NelPorigi

    nale,

    il

    coltello

    eivo?io?

    (v. 132)27

    ?

    uno

    strumento

    da

    briganti:

    una

    glossa

    al

    codex

    Marcianus 476

    ne

    precisa

    Pequivalenza

    con

    Pepiteto

    X?]otqix?c,

    denotando

    un mezzo

    di

    sopraffazione

    privata,

    di

    violenza

    individ?ale.

    La

    ricca

    aggettivazione

    aratea

    ?

    semplificata

    da

    Cicerone

    nella

    formula

    funes

    tus...

    ensis

    in

    cui

    l'attributo

    recupera,

    drammatizzan

    dole,

    le valenze

    di

    riprova present?

    nelTep?teto

    greco

    xaxoeQyo?,

    men

    tre il sostantivo

    potenzia

    l'effetto visivo delTassassinio, sostituendo la

    spada

    alla

    rudimentale

    lama

    degli

    assalitori.

    L'attacco

    ciceroniano

    non

    ?

    dunque

    inteso

    a

    colpire

    un

    gen?rico prototipo

    d'arma,

    ma una

    specie

    ben

    distinta,

    quella

    bellica, che,

    per consuetudine,

    diverr?

    bersaglio

    delle

    t?rate

    dei

    poeti seguenti, impegnati

    a

    cantare

    il

    mito

    delTet?

    ?urea

    2S.

    ?

    inoltre

    probabile

    che

    Cicerone

    abbia

    voluto

    far

    tesoro

    di

    un

    suggerimento

    degli

    scoli

    al

    corrispettivo

    verso

    arateo

    29,

    al cui dire il

    tab?

    infranto

    concerne

    solo

    i

    giovenchi

    utilizzati

    per

    le

    opere

    agricole

    (Schol.

    ad Arat.

    132,

    p.

    360

    Maass).

    Diversamente

    non

    si

    spiegherebbe

    Tendiadi

    manu iunctum

    domitumque

    {seil,

    iuvencum)

    con la

    quale

    il

    poeta

    latino ci

    informa

    della

    pratica

    arcaica

    di

    ammansire

    ed

    aggiogare

    i

    buoi.

    Se il

    nostro

    discorso

    quadra, Tipotesi

    di fondo di

    una

    tragicizzazione

    del

    passo

    ellenistico

    in

    chiave moralistico-sacrale riceverebbe

    un

    supporto

    consistente.

    Al

    di l? delle

    osservazioni

    via

    via

    sollevate,

    occorre

    ancora

    aggiungere

    un

    rilievo che

    decodifichi

    meglio

    la

    globale

    riscrittura

    latina

    di Arat.

    Phaen.

    96-136:

    nei

    testo

    greco

    leggiamo

    che

    per

    prima30

    la

    stirpe

    di ferro

    si

    ribo

    (ejr?oavxo)

    dei buoi da

    lavoro

    31,

    in

    quello

    cicero

    26

    Su tale caratteristica del verter? ciceroniano si vedano P. Serra Zanetti, 'Sul crite

    rio

    e

    il

    valore

    della

    traduzione

    per

    Cicerone

    e

    S.

    Girolamo',

    in Atti I

    Congr.

    St.

    Cicer.

    II,

    Roma

    1961,

    pp.

    355-405,

    alle

    pp.

    363-367

    e n.

    41;

    I.

    Trencsenyi-Waldapfel,

    'De

    Cice

    rone

    poetarum

    graecorum

    interprete',

    ibid.

    pp.

    161-174,

    a

    p.

    174;

    A.

    Traina,

    'Commento

    alle traduzioni

    poetiche

    di

    Cicerone',

    in

    Vortit

    barbare,

    Roma 1974

    2,

    pp.

    55-89,

    alla

    p.

    67

    ss.

    27

    U.

    von

    Wilamowitz-Moellendorff,

    Hellenistische

    Dichtung

    in

    der Zeit

    des Calli

    machos

    II,

    Berlin

    1924,

    p.

    270 vide nella

    [l?xcmoa

    eivo??T]

    il

    simbolo

    dell'uccisione

    ?v

    ??a>

    che

    restava

    impunita.

    28

    Cfr.

    Verg. Georg.

    II409

    (precisato

    da

    1508);

    504;

    Tib.

    13,

    47-48;

    10

    1

    (qui

    addi

    rittura ?

    ?etto

    ferreus

    l'inventore

    delle

    spade

    con

    sottile

    anfibolog?a);

    Ov.

    Met.

    I

    99;

    Germ.

    Arat.

    Phaen.

    12.

    29

    Opinione

    di

    Barchiesi,

    art.

    cit.

    p.

    185,

    tuttavia

    si

    veda

    quanto

    ora

    sostengo

    in

    TI

    vol?

    di

    Dike',

    cit.

    passim.

    30

    Anaf?ricamente Arato

    usa

    jtqwxoi

    al

    v.

    131

    sg.

    31

    'Aqoxtjq

    riferimento

    ai

    buoi,

    pu?

    specularmente

    avallare

    la tesi

    di

    una

    chiosa

    ciceroniana

    al

    passo

    arateo

    in

    direzione scoliastica.

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    9/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il mito

    delle

    et?

    95

    niano Pinfinito

    gustare

    ?

    retto,

    ?jt?

    xoivo?,

    alausa

    est

    del

    verso

    prece

    dente.

    L'abominio

    tecnol?gico

    ? allora

    connesso

    alTabominio

    gastron?

    mico,

    purtuttavia

    perch?

    utilizzare

    proprio

    il verbo

    gustare,

    tipico

    del

    linguaggio

    raff?nato

    dei commensali

    schizzinosi32?

    In

    forma

    antit?tica,

    la scelta

    espressiva

    si

    rifrange

    si

    sul

    tenuis...cultus del

    fr.

    XVII,

    la dieta

    cerealicola

    rimpiazzata

    dalla

    consumazione

    delle

    carni,

    s?mbolo di lusso

    vacuo

    33,

    ma

    potrebbe

    anche

    poggiare

    su

    un'allusione

    pol?mica

    alie

    con

    suetudini

    raffinate delle

    mense romane.

    Alia

    remota

    scelta

    di

    frugalit?,

    Teta f?rrea ha opposto lo sperpero

    e

    gli agi anche

    a

    costo

    del sacrilegio:

    questo

    sembra dire

    Cicerone,

    per

    il

    quale Tempio

    assassinio

    dei

    buoi

    awezzi alTaratro

    preconizza

    Pang?lo-visuale

    di

    Verg.

    Georg.

    II537:

    ...

    ante

    inpia

    quam

    caesis

    gens

    est

    epulata

    iuvencis...

    ediOv.M?>.XV122ss.:

    ...

    inmemor

    est

    demum

    nec

    frugum

    mu?ere

    dignus,

    qui

    potuit

    curvi

    dempto

    modo

    pondere

    aratri

    ruricolam

    mactare

    suum,

    qui

    trita

    labore

    illa,

    quibus

    totiens

    durum

    renovaverat

    arvum,

    tot

    dederat

    messes,

    percussit

    colla

    securi.

    Nec

    satis

    est,

    quod

    tale

    nefas

    committitur...

    L'assaporare

    carni

    ?

    frutto

    di

    un

    nefas-,

    non

    ?

    un caso

    che

    il fr.

    XVII

    Buescu

    sia

    estrapolato

    da

    un

    noto

    passo

    del

    De

    nat.

    deor.

    (II

    63,

    159)

    dedicato

    alia

    discussione

    delPimpiego

    dei

    buoi,

    la

    cui

    utilit?

    per

    la

    razza

    ?urea era tale ut eorum viscerihus vesci scelus haheretur.

    Per il

    traduttore

    di

    Arato

    la bouctonia

    rappresenta

    il

    v?rtice

    della

    scelleratezza

    sul

    piano

    religioso,

    e

    il

    segnale

    delPawento

    del lusso

    sul

    piano

    pragm?tico:

    di

    contro

    al

    fisiol?gico

    ejr?oavxo,

    Pedonistico

    gustare

    accresce

    Porrore

    per

    Puccisione

    dei

    giovenchi

    in

    una

    din?mica

    32

    Secondo

    Varr. De

    lingua

    tat.

    6,84:

    quod

    Graece

    yetJexai,

    Latine

    gustat.

    Nell'acce

    zione

    scelta da

    Cicerone,

    gustare

    vale

    come

    piacere

    f?sico del cibarsi

    e

    si

    ritrova

    in

    Lucr.

    De

    rer.

    nat.

    VI

    1219;

    Ov. Fast.

    VI

    169;

    Sen.

    Nat.

    quaest.

    Ill

    18

    3.

    Inoltre,

    negli

    scritti

    filosofici,

    PArp??ate

    lo

    adopera

    sempre

    in

    senso

    traslato

    (cfr.

    Merguet,

    Lexicon

    zu

    den

    philosophischen Schriften Cicero's II,Hildesheim 19612, s.v.), dunque negli Aratea esso ?

    un

    hapax

    anche

    dal

    versante

    sem?ntico.

    33

    II

    trapasso

    dalle

    consuetudini

    alimentari

    cerealicole

    a

    quelle

    carnivore

    ?

    conside

    rate

    in

    antico indizio

    di

    decadenza

    morale: vd.

    l'indice

    dei

    luoghi

    specifici

    redatto

    dal

    Gatz,

    op.

    cit.

    s.v.

    'abstinentia'.

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    10/12

    96

    L.

    Landolfi

    narrativa

    che

    parrebbe polemizzare, t?picamente,

    con

    gli sprechi

    del

    vitto

    caratteristici

    del

    I

    sec.

    a.C.

    34.

    Ancora

    una

    lacuna

    diegetica.

    II

    fr. XVIII

    presenta

    la

    Vergine

    collo

    cata

    in

    cielo,

    nei

    regno

    di

    Giove,

    lasciandoci

    intuir?

    la

    descrizione del

    suo

    volo

    sulle

    orme

    di Arat.

    Phaen.

    133-136. Perduta la

    probabile

    men

    zione

    anulare della

    sua

    posizione

    accanto

    a

    Boote

    come

    in

    Phaen.

    136,

    resta

    solo

    Pampliamento

    delPaggettivo

    greco

    ?JtouQavi?]

    nei

    disegno

    del

    dominio celeste

    35.

    La

    presenza

    di Zeus

    nell'economia

    del

    poema

    ara

    teo ? costante, dalPattacco 'Ex Ai?? ?Q%(b\ieo$a (v. 1) sino al v. 964

    36

    nelPottica di

    un

    pante?smo

    noto

    ai critici37:

    a

    Cicerone

    non

    poteva

    sfug

    gire

    Pimportanza

    rivestita

    dal

    nume

    nell'interpretazione

    dei

    rapporti

    fra

    astri,

    ordine del mondo

    e

    leggi

    siderali,

    per

    quanto,

    nei

    testo

    latino

    per

    venutoci

    per

    intero

    (480

    esametri),

    la

    menzione di

    Giove sia

    considere

    volmente ridotta

    a

    due

    casi

    (w.

    188;

    294).

    Ciononostante,

    proprio

    il

    v.

    188

    presenta

    una

    struttura

    simile

    a

    quella

    del fr. XVIII

    Buescu:

    Juppiter,

    huic

    parvum

    inferiore

    in

    parte

    locavit

    et Jovis in regno caelique in parte resedit

    appaiando

    i

    due

    catasterismi,

    quello

    delPAltare

    e

    quello

    della

    Vergine.

    La

    differenza di

    fondo

    ?

    data dal

    comportamento

    dei

    rispettivi

    protago

    nisti

    delle

    metamorfosi

    astrali.

    La

    costellazione delP

    Altare

    riceve

    da

    Giove

    Pubicazione

    designata,

    quella

    della

    Giustizia

    sembra

    agire

    'indi

    pendentemente'

    nella

    scelta

    dello

    spazio

    celeste

    in

    cui

    fissarsi.

    Igno

    riamo

    se

    la

    variet?

    fra

    i

    due

    paradigmi

    fosse

    giustificata

    da

    qualche

    cenno

    di

    Cicerone

    alle

    mitiche

    origini

    della

    Vergine,

    riferite

    da

    Arat. Phaen.

    98

    100, o addirittura dalPaccoglimento della leggenda esiodea che voleva

    Dike

    nata

    dal

    padre degli

    dei38. Fatto

    sta

    che

    il

    sintagma

    Jovis

    in

    regno

    34

    Mi

    occupo

    di

    tale

    problema

    nel

    cap.

    III

    del

    volume

    Banchetto

    e

    societ?

    romana

    (Dalle

    originiall

    sec.

    a.C),

    di

    imminente

    pubblicazione.

    35

    Vd.

    Landolfi,

    art.

    cit.

    n.

    19.

    36

    Cfr.

    w.

    1;

    2;

    4;

    31; 163; 164;

    181;

    224;

    253;

    259;

    265;

    275;

    293;

    426; 523;

    743;

    756;

    769; 771; 886;

    899;

    936;

    964.

    37

    Basti ricordare

    G.

    Pasquali,

    'Das

    Pro?mium des

    Arat',

    Chantes

    f?r

    Leo,

    Berlin

    1911,

    pp.

    113-122

    (?Scritti

    filolog?a

    1,

    Firenze

    1986,

    pp.

    130-138)

    e

    gi? prima

    Kaibel,

    art.

    cit.

    pp.

    84-85.

    In

    tempi

    a

    noi

    pi?

    vicini,

    F.

    Solmsen,

    'Aratus

    on

    the

    Maiden

    and the

    Golden Age', Hermes 94, 1966, pp. 125-128 (= Kleine Schriften I,Hildesheim 1968, pp.

    198-202);

    M.

    Erren,

    Die

    Phainomena

    des

    Aratos

    von

    Soloi.

    Untersuchungen

    zum

    Sach

    und

    Sinnverstaendnis,

    Wiesbaden

    1967,

    p.

    14

    sg;

    M.

    Fantuzzi,

    Ex

    Ai??

    oiQXC?^eafta.

    Arat.

    Phaen.

    1

    e

    Theocr.

    XVII, 1',

    Materiali

    e

    discussioni5, 1980,

    pp.

    163-172.

    38

    Op.

    256;

    Theog.

    901,

    sui

    quali

    cfr.

    ora

    Landolfi,

    art.

    cit.

    n.

    4.

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    11/12

    Cicerone,

    Arato

    e

    il mito

    delle

    et?

    97

    suona

    sospetto

    alla

    luce della dibattuta

    genealog?a

    della

    dea medesima.

    Potremmo definir? il

    nesso

    contaminazione

    a

    distanza

    39,

    causata

    dal

    duplice

    riferimento

    a

    Zeus

    in

    forma locativa

    nell'opera

    di

    Arato

    40,

    ma

    sempre

    tenendo

    presente

    che

    l'ampliamento

    dell'immagine archetipica

    ?

    basato

    su

    un

    anaf?rico

    impiego

    del

    complemento

    di

    stato

    in

    luogo

    che

    in

    endiadi vede

    la

    Vergine

    ferma

    nel

    regno

    di

    Giove

    e

    in

    una

    parte

    del

    cielo,

    cio?

    in

    uno

    spazio

    definito del

    reame

    del

    Cronide.

    Per

    altro

    verso,

    essendo

    il

    modulo

    in

    parte...caeli

    sclerotico nel lessico di Cicerone

    poeta41, la sua combinazione con la formula Jovis in regno nel fr. XVTII

    mostra

    che l'autore doveva far riferimento ad

    una

    situazione

    eccezionale

    riguardante

    l'astro metamorfizzato. Altrimenti

    egli

    avrebbe

    impiegato

    con

    ogni

    probabilit?

    la s?lita

    iunctura,

    come

    si

    nota

    nel

    catasterismo

    del

    l'Eridano.

    Pi?

    che

    di

    una

    'traduzione

    art?stica',

    l'esame

    sin

    qui

    condotto sull'e

    pisodio

    ciceroniano

    delle

    et?

    del mondo

    consente

    di

    parlare

    di

    una

    'rico

    difica' filos?fica di

    Arat.

    Phaen. 96-136

    in

    rapporto

    ai

    dibattiti

    culturali

    dei primi decenni del I sec. a.C.

    La

    prima

    versione

    latina di

    questo

    brano

    ellenistico,

    destinato

    a

    una

    continua

    rivisitazione

    da

    parte

    della

    poesia

    augustea

    e

    post-augustea,

    sembra infatti

    iscriversi

    in

    un'opera

    di

    divulgazione

    speculativa

    eclettica,

    dove

    la contaminazione di

    spunti poetici

    disparati

    si

    affianca

    e

    facilita

    la

    combinazione

    di

    teorie

    etiche

    non

    f?cilmente identificabili

    in

    ogni

    loro

    parte.

    II

    compito

    che

    Cicerone

    si ?

    prefisso

    non

    consiste

    nel

    verter?

    in

    modo

    esornativo

    il

    dotto

    catasterismo

    di Dike

    o,

    quanto

    meno,

    questo

    non ? che un procedimento accessorio rispetto al pi? rilevante intento di

    rendere

    fruibile

    ad

    un

    pubblico

    di

    lettori

    impegnati

    culturalmente

    un

    trapianto

    di

    Kulturentstehungen

    ad

    essi

    estranee.

    Tradurre

    ?

    per

    lui

    innanzitutto

    'ideologizzare'

    la lettera

    del

    modello

    perch?

    la

    propria

    riscrittura

    non

    sia

    accademico

    gioco

    di

    eruditi,

    disancorato dal fervore

    teor?tico

    contempor?neo.

    Connotando

    in

    modo

    profondamente

    diverso

    dall'originale

    il mito

    delle

    et?,

    Cicerone

    prendeva

    posizione

    all'interno

    di

    una

    nascente

    disputa

    tra

    primitivismo

    e

    progressismo

    che divider?

    su

    fronti

    opposti gli

    intellettuali della

    Repubblica

    ormai

    awiata al

    tra

    39

    Sic

    Barchiesi,

    art.

    cit.

    p.

    185.

    40

    Phaen.

    224;

    253.

    41

    Cfr.

    Arat.

    145-146,

    o

    la

    variatio

    in

    Arat. 360:

    caeli de

    parte.

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    12/12

    98 L.

    Landolfi

    monto.

    La

    sua

    traduzione

    della metamorfosi

    aratea

    della

    Vergine

    ?

    una

    risposta precisa

    alle

    dispute

    in

    questione

    che, pur

    se

    inserita

    nei

    contesto

    di

    una

    raff?nata

    versione

    delPintero

    poemetto

    alessandrino,

    trasmette

    chiaramente

    Palterit?

    del

    pensiero

    ciceroniano

    rispetto

    alla fonte

    al di

    l?

    degli

    abbellimenti

    formali

    richiesti dalP?tto transfrastico.

    Cos?

    impl?citamente

    si

    consacra

    nella

    poes?a

    latina

    quel

    processo

    di

    riappropriazione

    di

    teorie

    filosofiche

    greche

    sulPincivilimento

    umano

    che diversi anni

    dopo

    Cicerone introdurr?

    in

    una

    corposa

    letteratura

    specialistica

    in prosa.

    In

    campo

    po?tico

    non

    poco

    gli

    dovranno

    Virgilio

    e

    Ovidio, parte

    cipi

    come son?

    alie riletture dei

    miti

    aratei

    e

    al

    problema

    delPincivili

    mento

    (o decadimento)

    delle

    stirpi

    mortali,

    disponendosi,

    dietro

    il

    suo

    esempio,

    a

    meta

    strada fra

    Dichtung

    e

    Philosophie.

    Universit?

    di

    Palermo