L’Intervista modello di business efficace: con una battuta si potrebbe dire che se un CEO punta su...

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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY DAL 27 FEBBRAIO AL 12 MARZO PAG.3 I FORNITORI DELL’INFORMATION TECHNOLOGY /1 L’Intervista Abbonati al Corriere delle Comunicazioni [email protected] Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma CLAUDIO SORDI. Presidente di Tsf, Telesistemi Ferroviari, l’outsourcer informatico di Ferrovie dello Stato. [email protected] Nel prossimo numero: l’intervista a Marco Comastri, ad di Microsoft Italia Questi sono i nostri nuovi numeri tel. 06-68.41.221 fax 06-68.80.41.32 Dopo aver ascoltato il punto di vista di alcuni importanti leader delle aziende che cercano di estrarre il massimo del poten- ziale dellʼIT a vantaggio delle loro imprese, abbiamo intervistato i vertici delle principali aziende che lʼIT la producono allo scopo di sfruttare il loro osservatorio privilegiato: i ver- tici di Accenture, Eds, IBM, Microsoft, Sap e altri, hanno il privilegio di poter osservare gli stili dei capi delle principali aziende ital- iane loro clienti alle prese con lʼIT e hanno quindi accumulato una esperienza importante sullʼimpiego efficace dellʼIT. Il risultato della nostra inchiesta è un repertorio di raccoman- dazioni davvero preziose,che verranno pub- blicate nelle prossime settimane sul Corriere delle Comunicazioni. La serie inizia con lʼintervista ad Andrea Pontremoli, presidente e amministratore delegato di IBM. dollari l’anno. C’è però un altro modo di innovare, che è altrettanto importante e consiste nell’usare innovazioni prodotte da altri per creare un modello di business diverso e vincente. È per questo che la percentuale di investimenti in R&D non è di per se un indice della capacità di innovazione: vi sono società IT che hanno una percentuale di investimenti in R&D relativamente bassa rispetto al fatturato, perché comprano da altri le soluzioni tecnologiche: la loro capacità di innovazione è soprattutto nei processi dove l’IT, di nuovo, è la risorsa chiave. Da questo punto di vista, è utile anche un’altra distinzione, quella tra eccellenza e innovazione: eccellenza è fare meglio quello che fanno tutti, innovazione è fare quello che gli altri non fanno. Entrambi gli aspetti sono importanti. Ma i consu- lenti IBM, per esempio, quando parlano con un cliente, non si limitano a portare loro le best practices internazionali (l’ec- cellenza); usano anche una metodologia denominata component business model per analizzare i suoi processi e indivi- duare gli aspetti che lo differenziano nell’ambito del suo settore: quelli su cui investire per crescere. Ed è questa l’innovazione. Quali sono le sue raccomandazioni per ottenere il massimo vantaggio dall’IT? Sintetizzando, al CIO raccomanderei di essere un Chief Innovation Officer, cioè di porsi come primo obiettivo quel- lo di portare innovazione nella propria azienda. Ricordandosi che l’innova- zione, per come l’abbiamo definita, è un fenomeno non soltanto tecnologico, ma anche sociale, sia all’interno che all’esterno dell’azienda. I progetti IT devono “avere un’anima”, e quindi vanno sempre accompagnati da progetti di “change management” affinché dipen- denti, fornitori e clienti assimilino nuove modalità di interagire con l’azienda e di lavorare insieme. Al leader d’impresa direi per prima cosa di operare ai tre li- velli - dipendenti, fornitori, clienti – per costruire un’azienda globale, flessibile ai cambiamenti che avvengono sul merca- to, veloce e che ponga il cliente davanti a tutto: il cliente deve essere il driver di tutta l’azienda. La seconda raccomandazione è di avere un board in cui i responsabili di business discutano in modo concreto di innovazione insieme al CIO e ai respon- sabili delle altre funzioni aziendali. Tra questi, è importante vi sia il responsa- bile delle risorse umane. Questo board si deve concentrare su quegli elementi differenzianti del business su cui occorre investire la maggior parte delle risorse. Sono questi gli elementi su cui costruire, mentre per altre attività si possono valu- tare soluzioni in outsourcing, un modo per guadagnare efficienza facendo fare ad altri quello che sanno fare meglio di noi. Ma alla base ci deve essere sempre un modello di business efficace: con una battuta si potrebbe dire che se un CEO punta su un modello di business che por- ta al fallimento, usando bene l’informati- ca non fa altro che accelerare. Il risultato è che l’azienda fallisce prima. «Dall’informatica l’impresa on demand» Claudio Sordi Per Pontremoli (IBM) solo chi sa usare l’ICT può aver successo nel nuovo mercato globale Dottor Pontremoli, in base a quello che lei ha potuto osservare tra i suoi clienti di maggior successo, cosa do- vrebbe pretendere un CEO dal pro- prio CIO e dall’ICT? Innanzitutto vorrei fare una premessa: una costante che registriamo dal nostro osservatorio è che le aziende di successo hanno in comune tre caratteristiche. La prima è che mettono il cliente al centro di tutto. Un tempo si pensava che fare un buon prodotto fosse sufficiente perchè il cliente lo acquistasse. Oggi non è più co- sì, vince chi riesce a capire prima le esi- genze del cliente o, meglio ancora, riesce a creare linee di tendenza. La seconda caratteristica delle aziende di successo è la capacità di creare un’organizzazio- ne aziendale flessibile e adattabile alle variazioni delle esigenze del cliente fi- nale. La terza caratteristica è la velocità. Tutto questo in un contesto che è ormai globale, e che quindi impone di guardare in modo diverso alle componenti essen- ziali di un’azienda - clienti, dipendenti, fornitori e partner. L’azienda davvero globale è quella che colloca i suoi clien- ti, i suoi dipendenti, i suoi fornitori e partner non più solo in una dimensione nazionale, ma nel mondo. Si impone quindi un grande cambiamento all’in- terno delle aziende, che porti a un nuovo modello d’impresa. Noi lo chiamiamo “ on demand”: significa appunto flessibi- lità, focalizzazione, capacità non solo di rispondere rapidamente ai cambiamenti, ma anche di indurli nel mercato. L’infor- matica è il collante che consente di fare tutto questo. Chi sa usare l’informatica in maniera efficace ed estesa riesce, per esempio, a collegare i propri clienti direttamente con la propria produzione, a far lavorare in modo diverso i propri dipendenti, a fare rete con i propri part- ner, a offrire servizi innovativi. E questo permette di operare in un modo globale valorizzando gli elementi distintivi del proprio modello di business. Può citare qualche esempio di mo- delli di successo? Gli esempi sono tanti, posso ricordare alcuni marchi italiani come Technogym, Diesel, Geox. Sono tutte aziende che lavorano su scala globale, che hanno integrato l’azienda in funzione delle esigenze del cliente finale, che riesco- no a influenzarne i comportamenti. Ed è questo il compito del CEO: creare il modello di business che porti l’azienda al successo. L’ICT è la “condizio sine qua non” perchè il modello funzioni. E qui è fondamentale il ruolo del CIO. Ma la prima cosa che un CEO deve chiedere ad un CIO è condividere la strategia, cioè capire come l’azienda sosterrà la propria crescita. “Qual è il modello di business della nostra azienda?” “Dove faremo profitti nei prossimi anni?” Il CIO deve saper rispondere a queste domande e identificare le soluzioni informatiche più adatte perchè il disegno si realizzi più velocemente, in mondo globale, con la massima flessibilità. E qui sta la vera cliente. Chi fa prodotto vede l’informati- ca semplicemente come strumento di ef- ficienza: “prima facevo le fatture a mano, adesso le faccio con l’informatica”. Ma così sto solo sostituendo il processo che avevo con un sistema informatico. Certo, ottengo minori costi e maggiore velocità, ma il vero salto avviene quando comin- cio a pensare a come l’informatica possa abilitare a modelli di business che prima non erano possibili. Modelli centrati sul cliente e su nuovi tipi di servizi. E quali sono, secondo la sua espe- rienza, i meccanismi di dialogo effi- cace tra CEO e CIO e tra questo e i responsabili dei business? La prima cosa è avere nel team che disegna le strategie tutti i componenti, quindi il numero uno dell’azienda, il CIO e i responsabili di business. Come ho det- to, il CIO deve vivere il business in presa diretta, deve confrontarsi con nuove sfide. Chiediamogli come la tecnologia possa abilitare modelli di business che sembrano impossibili da realizzare. È così che nascono le soluzioni vincenti. Il passo successivo è stabilire la misura del successo. Non bastano più parame- tri come il tempo di risposta o il costo, che sono indici di pura efficienza. Nel momento in cui l’informatica diventa strumento abilitante della strategia aziendale, dobbiamo misurarne l’effica- Il ruolo «Il CIO deve rendere la tecnologia comprensibile agli uomini di business» innovazione. Un CIO che si accontenti di spiegarmi che ho un calcolatore due volte più veloce e che mi costa la metà, oppure che è uscita la “release 7” di una certa applicazione software che ha un certo numero di funzionalità in più, è un CIO poco utile. Quindi quali sono le raccomandazioni per i CEO? I CEO devono esse- re capaci di tradurre i modelli di business in elementi operativi comprensibili, il CIO deve rendere la tecno- logia comprensibile al business. Di tecnologia ne abbiamo fin troppa: è la capacità di usarla che fa la differenza, e questa capacità non dipende solo dal CIO, e nemmeno solo dal CEO, ma dipende da entram- be queste due figure insieme a tutta la direzione aziendale. Personalmente, ritengo che il CIO debba collocarsi il più possibile vicino al board, perché se ho una catena di comando troppo lunga allora l’informatica diventa solo uno strumento di efficienza e non una leva di business. Questo tipo di evoluzione la si vede chiaramente nelle aziende che sono passate dal puro prodotto ai servizi e al cia, e possiamo farlo solo mettendola in relazione con il ritorno di business atteso dall’azienda. Prendiamo un’azienda come eBay, che usa l’informatica co- me strumento core della sua attività: quest’azienda non esisterebbe se non ci fosse l’informatica e se il capo azienda e il responsabile dei sistemi informativi non avessero costruito insieme il nuovo modello di business che ha portato eBay al successo. Ma allora, come misura eBay l’efficacia della propria informa- tica? La misura come rapporto tra il costo dell’informatica e il suo ritorno di business. Generalizzando si può dire che le misure del successo vanno definite nel disegno del piano strategico. Occorre fissare le assunzioni iniziali, verificarne periodicamente la correttezza e, in que- sto modo, costruire progressivamente il nuovo modello. Abbiamo parlato di innovazione: al- cuni ritengono che provenga dai labo- ratori delle grandi aziende produttrici delle soluzioni IT, altri pensano che derivi soltanto dal miglioramento dei processi che semmai usano l’IT come strumento: lei cosa ne pensa? Occorre innanzitutto distinguere tra ri- cerca e innovazione: la ricerca produce inven- zioni, che inizialmente riguardano gruppi ristretti di ricercatori e tecnici. Un’invenzione diventa innovazione quando viene usata da tutti: il cellulare è diventato una inno- vazione nel modo di comunicare e di fare business nel momento in cui ha avuto una lar- ga diffusione, mentre 30 anni fa, quando era usato solo dai militari, era ancora un’invenzione. Aziende come IBM hanno come pro- pria missione qualla di creare continua- mente invenzioni, portarle sul mercato e farne delle innovazioni. Nel momento in cui un’innovazione diventa “commodi- ty”, queste aziende si concentrano sullo sviluppo di nuove invenzioni da portare sul mercato, alimentando in questo modo il ciclo dell’innovazione. Tutto questo richiede un forte investimento in R&D: noi spendiamo oltre 5 miliardi di ANDREA PONTREMOLI è presidente e amministratore delegato di IBM Italia Orizzonti «L’innovazione non è solo un fenomeno tecnologico ma anche sociale»

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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGYDAL 27 FEBBRAIO AL 12 MARZOPAG.3

I F O R N I T O R I D E L L ’ I N F O R M A T I O N T E C H N O L O G Y / 1L’Intervista

Abbonati al Corriere delle Comunicazioni [email protected] Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma

CLAUDIO SORDI. Presidente di Tsf, Telesistemi Ferroviari, l’outsourcer informatico di Ferrovie dello Stato. [email protected]

Nel prossimo numero: l’intervista a Marco Comastri, ad di Microsoft Italia

Questi sono i nostri nuovi numeri tel. 06-68.41.221 fax 06-68.80.41.32

Dopo aver ascoltato il punto di vista di alcuni importanti leader delle aziende che cercano di estrarre il massimo del poten-ziale dellʼIT a vantaggio delle loro imprese, abbiamo intervistato i vertici delle principali aziende che lʼIT la producono allo scopo di sfruttare il loro osservatorio privilegiato: i ver-tici di Accenture, Eds, IBM, Microsoft, Sap e altri, hanno il privilegio di poter osservare gli stili dei capi delle principali aziende ital-iane loro clienti alle prese con lʼIT e hanno quindi accumulato una esperienza importante sullʼimpiego efficace dellʼIT. Il risultato della nostra inchiesta è un repertorio di raccoman-dazioni davvero preziose,che verranno pub-blicate nelle prossime settimane sul Corriere delle Comunicazioni. La serie inizia con lʼintervista ad Andrea Pontremoli, presidente e amministratore delegato di IBM.

dollari l’anno. C’è però un altro modo di innovare, che è altrettanto importante e consiste nell’usare innovazioni prodotte da altri per creare un modello di business diverso e vincente. È per questo che la percentuale di investimenti in R&D non è di per se un indice della capacità di innovazione: vi sono società IT che hanno una percentuale di investimenti in R&D relativamente bassa rispetto al fatturato, perché comprano da altri le soluzioni tecnologiche: la loro capacità di innovazione è soprattutto nei processi dove l’IT, di nuovo, è la risorsa chiave. Da questo punto di vista, è utile anche un’altra distinzione, quella tra eccellenza e innovazione: eccellenza è fare meglio quello che fanno tutti, innovazione è fare quello che gli altri non fanno. Entrambi gli aspetti sono importanti. Ma i consu-lenti IBM, per esempio, quando parlano con un cliente, non si limitano a portare loro le best practices internazionali (l’ec-cellenza); usano anche una metodologia denominata component business model per analizzare i suoi processi e indivi-duare gli aspetti che lo differenziano nell’ambito del suo settore: quelli su cui investire per crescere. Ed è questa l’innovazione.

Quali sono le sue raccomandazioni per ottenere il massimo vantaggio dall’IT?

Sintetizzando, al CIO raccomanderei di essere un Chief Innovation Officer, cioè di porsi come primo obiettivo quel-lo di portare innovazione nella propria azienda. Ricordandosi che l’innova-zione, per come l’abbiamo definita, è un fenomeno non soltanto tecnologico, ma anche sociale, sia all’interno che all’esterno dell’azienda. I progetti IT devono “avere un’anima”, e quindi vanno sempre accompagnati da progetti di “change management” affinché dipen-denti, fornitori e clienti assimilino nuove modalità di interagire con l’azienda e di lavorare insieme. Al leader d’impresa direi per prima cosa di operare ai tre li-velli - dipendenti, fornitori, clienti – per costruire un’azienda globale, flessibile ai cambiamenti che avvengono sul merca-to, veloce e che ponga il cliente davanti a tutto: il cliente deve essere il driver di tutta l’azienda.

La seconda raccomandazione è di avere un board in cui i responsabili di business discutano in modo concreto di innovazione insieme al CIO e ai respon-sabili delle altre funzioni aziendali. Tra questi, è importante vi sia il responsa-bile delle risorse umane. Questo board si deve concentrare su quegli elementi

differenzianti del business su cui occorre investire la maggior parte delle risorse. Sono questi gli elementi su cui costruire, mentre per altre attività si possono valu-tare soluzioni in outsourcing, un modo per guadagnare efficienza facendo fare ad altri quello che sanno fare meglio di noi. Ma alla base ci deve essere sempre un modello di business efficace: con una battuta si potrebbe dire che se un CEO punta su un modello di business che por-ta al fallimento, usando bene l’informati-ca non fa altro che accelerare. Il risultato è che l’azienda fallisce prima.

«Dall’informatica l’impresa on demand»Claudio Sordi

Per Pontremoli (IBM) solo chi sa usare l’ICT può aver successo nel nuovo mercato globale

Dottor Pontremoli, in base a quello che lei ha potuto osservare tra i suoi clienti di maggior successo, cosa do-vrebbe pretendere un CEO dal pro-prio CIO e dall’ICT?

Innanzitutto vorrei fare una premessa: una costante che registriamo dal nostro osservatorio è che le aziende di successo hanno in comune tre caratteristiche. La prima è che mettono il cliente al centro di tutto. Un tempo si pensava che fare un buon prodotto fosse sufficiente perchè il cliente lo acquistasse. Oggi non è più co-sì, vince chi riesce a capire prima le esi-genze del cliente o, meglio ancora, riesce a creare linee di tendenza. La seconda caratteristica delle aziende di successo è la capacità di creare un’organizzazio-ne aziendale flessibile e adattabile alle variazioni delle esigenze del cliente fi-nale. La terza caratteristica è la velocità. Tutto questo in un contesto che è ormai globale, e che quindi impone di guardare in modo diverso alle componenti essen-ziali di un’azienda - clienti, dipendenti, fornitori e partner. L’azienda davvero globale è quella che colloca i suoi clien-ti, i suoi dipendenti, i suoi fornitori e partner non più solo in una dimensione nazionale, ma nel mondo. Si impone quindi un grande cambiamento all’in-terno delle aziende, che porti a un nuovo modello d’impresa. Noi lo chiamiamo “ on demand”: significa appunto flessibi-lità, focalizzazione, capacità non solo di rispondere rapidamente ai cambiamenti, ma anche di indurli nel mercato. L’infor-matica è il collante che consente di fare tutto questo. Chi sa usare l’informatica in maniera efficace ed estesa riesce, per esempio, a collegare i propri clienti direttamente con la propria produzione, a far lavorare in modo diverso i propri dipendenti, a fare rete con i propri part-ner, a offrire servizi innovativi. E questo permette di operare in un modo globale valorizzando gli elementi distintivi del proprio modello di business.

Può citare qualche esempio di mo-delli di successo?

Gli esempi sono tanti, posso ricordare alcuni marchi italiani come Technogym,

Diesel, Geox. Sono tutte aziende che lavorano su scala globale, che hanno integrato l’azienda in funzione delle esigenze del cliente finale, che riesco-no a influenzarne i comportamenti. Ed è questo il compito del CEO: creare il modello di business che porti l’azienda al successo.

L’ICT è la “condizio sine qua non” perchè il modello funzioni. E qui è fondamentale il ruolo del CIO. Ma la prima cosa che un CEO deve chiedere ad un CIO è condividere la strategia, cioè capire come l’azienda sosterrà la propria crescita. “Qual è il modello di business della nostra azienda?” “Dove faremo profitti nei prossimi anni?” Il CIO deve saper rispondere a queste domande e identificare le soluzioni informatiche più adatte perchè il disegno si realizzi più velocemente, in mondo globale, con la massima flessibilità. E qui sta la vera

cliente. Chi fa prodotto vede l’informati-ca semplicemente come strumento di ef-ficienza: “prima facevo le fatture a mano, adesso le faccio con l’informatica”. Ma così sto solo sostituendo il processo che avevo con un sistema informatico. Certo, ottengo minori costi e maggiore velocità, ma il vero salto avviene quando comin-cio a pensare a come l’informatica possa abilitare a modelli di business che prima non erano possibili. Modelli centrati sul cliente e su nuovi tipi di servizi.

E quali sono, secondo la sua espe-rienza, i meccanismi di dialogo effi-cace tra CEO e CIO e tra questo e i responsabili dei business?

La prima cosa è avere nel team che disegna le strategie tutti i componenti, quindi il numero uno dell’azienda, il CIO e i responsabili di business. Come ho det-to, il CIO deve vivere il business in presa diretta, deve confrontarsi con nuove sfide. Chiediamogli come la tecnologia possa abilitare modelli di business che sembrano impossibili da realizzare. È così che nascono le soluzioni vincenti.

Il passo successivo è stabilire la misura del successo. Non bastano più parame-tri come il tempo di risposta o il costo, che sono indici di pura efficienza. Nel momento in cui l’informatica diventa strumento abilitante della strategia aziendale, dobbiamo misurarne l’effica-

Il ruolo«Il CIO deve renderela tecnologia comprensibile agliuomini di business»

innovazione. Un CIO che si accontenti di spiegarmi che ho un calcolatore due volte più veloce e che mi costa la metà, oppure che è uscita la “release 7” di una certa applicazione software che ha un certo numero di funzionalità in più, è un

CIO poco utile.Quindi quali sono le

raccomandazioni per i CEO?

I CEO devono esse-re capaci di tradurre i modelli di business in elementi operativi comprensibili, il CIO deve rendere la tecno-logia comprensibile al business. Di tecnologia ne abbiamo fin troppa: è la capacità di usarla

che fa la differenza, e questa capacità non dipende solo dal CIO, e nemmeno solo dal CEO, ma dipende da entram-be queste due figure insieme a tutta la direzione aziendale. Personalmente, ritengo che il CIO debba collocarsi il più possibile vicino al board, perché se ho una catena di comando troppo lunga allora l’informatica diventa solo uno strumento di efficienza e non una leva di business. Questo tipo di evoluzione la si vede chiaramente nelle aziende che sono passate dal puro prodotto ai servizi e al

cia, e possiamo farlo solo mettendola in relazione con il ritorno di business atteso dall’azienda. Prendiamo un’azienda come eBay, che usa l’informatica co-me strumento core della sua attività: quest’azienda non esisterebbe se non ci fosse l’informatica e se il capo azienda e il responsabile dei sistemi informativi non avessero costruito insieme il nuovo modello di business che ha portato eBay al successo. Ma allora, come misura eBay l’efficacia della propria informa-tica? La misura come rapporto tra il costo dell’informatica e il suo ritorno di business. Generalizzando si può dire che le misure del successo vanno definite nel disegno del piano strategico. Occorre fissare le assunzioni iniziali, verificarne periodicamente la correttezza e, in que-sto modo, costruire progressivamente il nuovo modello.

Abbiamo parlato di innovazione: al-cuni ritengono che provenga dai labo-ratori delle grandi aziende produttrici delle soluzioni IT, altri pensano che derivi soltanto dal miglioramento dei processi che semmai usano l’IT come strumento: lei cosa ne pensa?

Occorre innanzitutto distinguere tra ri-cerca e innovazione: la ricerca produce inven-zioni, che inizialmente riguardano gruppi ristretti di ricercatori e tecnici. Un’invenzione diventa innovazione quando viene usata da tutti: il cellulare è diventato una inno-vazione nel modo di comunicare e di fare business nel momento in cui ha avuto una lar-ga diffusione, mentre 30 anni fa, quando era usato solo dai militari, era ancora un’invenzione.

Aziende come IBM hanno come pro-pria missione qualla di creare continua-mente invenzioni, portarle sul mercato e farne delle innovazioni. Nel momento in cui un’innovazione diventa “commodi-ty”, queste aziende si concentrano sullo sviluppo di nuove invenzioni da portare sul mercato, alimentando in questo modo il ciclo dell’innovazione. Tutto questo richiede un forte investimento in R&D: noi spendiamo oltre 5 miliardi di

ANDREAPONTREMOLIè presidentee amministratoredelegatodi IBM Italia

Orizzonti«L’innovazione nonè solo un fenomenotecnologico ma anche sociale»