La Voce dell’Isola · La Voce dell’Isola di SALVO BARBAGALLO L ’anno trascorso si è concluso...

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La Voce dell’Isola Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo, diretto da Salvo Barbagallo - Anno VI n. 01 - Gennaio 2011 - € 1,50 Nel caos i trasporti in Sicilia: le proteste non cambiano nulla Inspiegabili ritardi nell’apertura dell’Area di libero scambio nel Mediterraneo Le mani dei Texani sull’oro nero della Sicilia I mari della Sicilia depredati dai vecchi e nuovi petrolieri

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La Voce dell’IsolaGiornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo, diretto da Salvo Barbagallo - Anno VI n. 01 - Gennaio 2011 - € 1,50

Nel caos i trasportiin Sicilia: le protestenon cambiano nulla

Inspiegabiliritardi nell’aperturadell’Areadi libero scambionel Mediterraneo

Le mani dei Texanisull’oro nero della SiciliaI mari della Sicilia depredati dai vecchi e nuovi petrolieri

La Voce dell’Isola

di SALVO BARBAGALLO

L’anno trascorso si è concluso con diatribe tra chi detiene un certo potere e chise lo vuole accaparrare nella perfetta logica gattopardiana. L’anno appena en-trato presenta già uno scenario ancora più cupo, con la differenza che si intravede

la possibilità del crollo di qualche “mito”, vero o presunto poca importanza ha.Si è detto, da sempre, che la Sicilia è un “laboratorio” politico: una mistificazione,

un alibi in quanto di “laboratorio” c’è ben poco. Le “formule” di commistione chei politici adottano vengono segnate dagli opportunismi delle parti che sono in gioco,e non da “esperimenti” sulle reali intenzioni di formare governi stabili (regionali olocali che siano) che possano dare al cittadino quantomeno la sensazione di una stabilitàche produca benessere e sviluppo per il territorio e per quanti lo abitano. Non è que-stione, dunque, di alchimie: per questo tipo di esercizio mancano gli uomini(ricordiamo Milazzo o Nicolosi) che siano in grado di gestirlo. Cosa prospetta il futuro,pertanto, non avrà nulla di particolare o di eccezionale, ma seguirà i termini dell’in-teresse di parte.

Riflettiamo un po’ su cosa è accaduto e accade. L’ex ministro degli Interni ed ex sindaco di Catania, Enzo Bianco (ex repubblicano,

a tutt’oggi PD) fa comunella con il senatore Pdl (ex democristiano) Pino Firarello.Una strana accoppiata, ma con quali affinità e finalità?

Il potente presidente della Camera di commercio di Catania, Piero Agen, si diceche stia preparando alle prossime elezioni il figlio, nella compagine di Nello Musumeci.Di sicuro, se così è, l’appoggio elettorale al giovane rampollo non mancherà.

In tema di legittime aspirazioni, ci sarebbero quelle dell’attuale presidente di Con-findustria Sicilia, Ivanhoe Lo Bello, che gradirebbe adire al ruolo di presidente dellaRegione. A Lo bello, di certo, le carte giuste in mano non mancano: è un personaggionoto in tutta Italia, i mass media lo inseguono per i contenuti delle sue pungenti interviste,conosce la realtà siciliana piuttosto bene, è preparato e ben voluto ai livelli che contano.Dovrà vedersela, però, con lo stesso Raffaele Lombardo, con Alfano e con quanti altriintendono occupare la prestigiosa poltrona di Palazzo d’Orleans. Soprattutto Lo Bellodovrà sciogliere il nodo di “appartenenza”, cioè scegliere la bandiera sotto la qualeschierarsi.

In tema di guai il 2010 è stato caratterizzato dall’assalto ai personaggi mitici, inquanto la magistratura dice la sua in materia di leciti e illeciti.

Così (ma questo è normalmente ciclico) la figura di Raffaele Lombardo è stata messain discussione.

Così in discussione è stato messo l’imprenditore-editore Mario Ciancio.Così nel mirino è caduta la senatrice Anna Finocchiaro a causa di presunti irregolari

appalti del marito.Così il bellicoso (negli atteggiamenti) finiano doc Fabio Granata è nell’occhio del

ciclone per la costruzione di capannoni nell’area archeologica del Teatro greco diSiracusa.

Solo alcuni esempi, le bordate non mancano a nessuno, neppure al sindaco di Catania,Stancanelli, per via di presunti concorsi truccati.

Lo scenario di malefatte (presunto o vero lo stabilirà la magistratura) non è edificante,e il cittadino, che cerca disperatamente punti di riferimento certi, ormai non sa piùa che Santo votarsi…

Sicilia in forte chiaroscuro:politica in caduta liberatra avventurismi e potere

SOMMARIO• Il governo della Destra storica fu un male assoluto per la Sicilia? 4

• Cacciari si chiede “Che cos’è l’uomo?” 5

• Le mani dei Texani sull’oro nero della Sicilia 6

• L'incubo marea nera si sposta dal Messico ai mari siciliani 8

• Le denunce della Federazione 9

• Nel caos i trasporti in Sicilia: le proteste non cambiano nulla 10

• Aeroporto di Comiso, firmato il decreto interministeriale 12

• Politica iblea: attorno al potere silenzi e spartizioni 14

• L’unica novità della politica è la fine del bipolarismo mai nato 16

• Nel dolore visioni diverse di una vita riflessa 18

• Farsi viandante in un lungo viaggio in Terrasanta 18

• È vero che chi lascia la Sicilia incontra altrove tanta fortuna? 19

• Macaluso: “Ecco come Sciascia parlerebbe ai giovani d’oggi” 20

• Graziella Campagna uccisa dalla mafia 21

• I bottoni del barone 21

• Catania, la città che dorme come su un vulcano spento 22

• La spia reale dei disagi inconfessabili 23

• I ricordi d’infanzia, i loro insegnamenti e le aspettative 24

• Solo chi conosce la vita può raccontare la morte 25

• La Sicilia cartina di tornasole del malessere del Paese Italia 26-27

• Le rivolte della fame segnali di una crisi forse irreversibile 28

• Alla corte di Gheddafi politici, imprese banche e affini 29

• La dissociazione molecolare: la risposta al problema rifiuti? 30

• Anno mondiale della Biodiversità salvare l’Uomo 32

• L’Importante ruolo del medico di famiglia nello scenario quotidiano 34

• Le nuove frontiere della chirurgia della parete addominale 35

• La teoria dei complotti serve solo a chi complotta veramente 36

• Il Monastero dei Benedettini riscopre la sua dimensione 39

• Un gioiello del barocco siciliano 40

• Corretta fruizione di un bene inestimabile 41

• Entra in scena il “Grande Fratello” sulle spese superiori a 3.600 euro 42

• Lo “spesometro” misurerà il reddito non in fase produzione

ma in fase di capacità di spesa 43

• DOSSIER - Inspiegabili ritardi nell’apertura

dell’Area di libero scambio nel Mediterraneo 45

• Le barriere dovevano cadere già nel 2010, ora si ipotizza nel 2012 46

• Se ne parla da oltre vent’anni: è… il fallimento delle buone intenzioni 48

• La Dichiarazione di Barcellona e il partenariato Euro Mediterraneo 50

n. 01 Gennaio 2011 3editoriale

Anno VI, nº 01 - Gennaio 2011

Iscritto al n° 15/2006 dell’appositoRegistro presso il Tribunale di Catania

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La Voce dell’Isola

Gli articoli rispecchiano l’esclusivo pensiero dei loro autori

La Voce dell’Isola

di LUCA PLATANIA*

Si torna a parlare oggi della drammatica lotta chevide i fratelli d’Italia contrapposti nel 1861 – ’65nel Mezzogiorno: da una parte l’esercito del neo-nato Regno e dall’altra renitenti alla leva, contadini,miserabili e delinquenti, a volte organizzati e con-dotti da ex soldati borbonici o agenti pontifici.

Com’è noto, le cause della insurrezione sono im-putabili in parte alla centenaria storia di arretra-tezza, miseria ed ingiustizia cui furono soggettele masse contadine e il popolo minuto dell’Italiameridionale.

Le aspettative destate dal passaggio di Garibaldi,legittimate dai suoi provvedimenti rivoluzionariin favore della divisione delle terre, furonodisilluse dal governo del nuovo Regno d’Italia eulteriori disagi e difficoltà provennero dalla pro-mulgazione delle leggi piemontesi a tutto il terri-torio.

Queste leggi infrangevano secolari e difficiliequilibri: la leva era del tutto sconosciuta ai sici-liani, con l’introduzione del libero mercato ricchee fiorenti attività economiche non ressero alla lungala competizione con le altre concorrenti del Norde l’abolizione del patrimonio ecclesiastico nellasola Palermo tolse il lavoro a decine di migliaia

di lavoratori stagionali legato alla gestione di chie-se, conventi, ospedali, contribuendo ad innescarela celebre rivolta del 1866.

Queste e molte altre cause portarono alla dispe-razione ed alla rivolta parte della popolazione del-l’ex Regno delle Due Sicilie.

Di questa lotta armata qualcuno ha volutoparlare come guerra civile, altri come vera e propriarivoluzione con obiettivi precisi: la lotta ad uno sta-

to invasore e la conquista di terre e condizioni divita migliori.

Queste interpretazioni superano certamente lamiope e riduttiva definizione di “brigantaggio”:grandissime colpe ebbero i vertici dell’esercito, chenella loro azione di repressione indiscriminata, ac-

compagnata dall’incapacità di comprendere e ri-spettare la mentalità e l’identità dei meridionali,spinsero ulteriori forze popolari ad appoggiare larivolta.

Pure, se questi studi ed interpretazioni hanno resodignità e giustizia a quei tanti disperati cui la storianon aveva dato un volto, esse a volte rischiano diignorare un preciso contesto storico, a discapitodi una ricostruzione attendibile.

In particolare, la condanna della repressione in-clude a volte la stessa scelta dell’unità italiana, chesarebbe stata attuata sulla violenza e sulla rapinadelle popolazioni meridionali: un’azione priva diqualsiasi diritto e priva di appoggio o sostegno dagliItaliani, ingannati da regie occulte e cricche di bor-ghesi e industriali bramosi di ricchezza.

La condanna dunque investe tutto il Risorgimen-to italiano, inteso come lungo e difficile camminodi un popolo alla sua libertà ed indipendenza; di-sconosce anche l’obiettivo comune di un progressocivile, economico, scientifico che avrebbe portatoin seguito l’Italia al livello delle più progredite na-zioni europee.

Ma, a ben considerare, alla unità italianaseguiva una immensa mole di lavoro per fare gliitaliani ed aumentare le possibilità di commercio

Molte le causeche portarono

alla disperazioneed alla rivolta parte

della popolazione dell’exRegno delle Due Sicilie

4 n. 01 Gennaio 2011PoliticaLa drammatica lotta che vide i fratelli d’Italia contrapposti nel 1861 – ’65

Il governo della Destra storica fu un male assoluto per la Sicilia?

Le aspettative destatedal passaggio di Garibaldi,legittimate dai suoi provvedimentirivoluzionari in favore della divisionedelle terre, furono disilluse dal governodel nuovo Regno d’Italia

La Voce dell’Isola

e dunque di benessere economico: i numerirelativi alla costruzione di strade, ponti, ferrovienella sola Sicilia del 1861 – 1876 parlano di unosforzo finanziario ed organizzativo considerevole.Si consideri che la Sicilia dell’interno fino all’unitàd’Italia era pressoché priva di vie di comunicazio-ne, e la piena di un fiume poteva isolare intere co-munità per mesi.

La costruzione di uno stato comportava ancheun apparato amministrativo, fatto di uffici che do-vevano comunicare tramite telegrafo e diligenzepostali; queste però venivano spesso assaltate daibriganti. Urgenti provvedimenti negli stessi annisono la fondazione di camere di commercio, la co-struzione o le migliorie di porti e di fari nelle prin-cipali città costiere del meridione; l’istituzione discuole e di istituti di assistenza, di ospedali, di unapparato fiscale capillare capace di far attingereallo Stato il necessario per far fronte a tuttequeste spese.

Spese che si sommano ai costi delle guerre so-stenute dal Piemonte negli anni precedenti e chedovranno servire alla lunga e logorante repressione

del 1861 – ’65, per non parlare dell’imminente con-flitto del 1866 con l’Austria.

La stessa renitenza alla coscrizione militare eraincomprensibile da parte di chi aveva versato san-gue sinora per fare l’Italia: nel parlamento di To-rino, e poi di Firenze, dove pure sedevano demo-cratici, mazziniani e garibaldini, non si tentennòmai in merito a quest’obbligo, giudicato undovere morale da parte di tutti gli italiani. Il mal-contento e le azioni degli stessi garibaldini e maz-ziniani tra il 1862 e il 1870, insoddisfatti dalla in-completa unificazione, contribuivano infine ad ele-vare la insicurezza del nuovo Stato ed a spingerei prefetti a chiedere misure di controllo straordi-narie.

Queste spese, questa perpetua condizione di fra-gilità e di emergenza nel primo decennio di vitadel Regno d’Italia portarono all’urgenza dirisolvere una situazione di anarchia e di insicurezzaper le stesse popolazioni meridionali, spessovittime di sequestri, ritorsioni e vendette private.

E dunque alla repressione violenta del brigantaggio.La seguente questione nasce allora dalle stesse cri-tiche mosse al governo della Destra storica: se iborbonici ed i pontifici avessero vinto questa guerrae raccolto i frutti della vittoria, avrebbero quei con-tadini diventati briganti, ottenuto le terre e quellemigliori condizioni di vita a cui aspiravano?

Forse avrebbero ricevuto lo stesso premio cheebbe l’armata sanfedista a ricompensa per lalotta alla Repubblica Napoletana del 1799: il potertornare all’ignoranza ed al sonno della ragione.

Non si nega, infine, che con il brigantaggio simanifesti ai contemporanei la stessa Questione Me-ridionale, ma occorre comprendere la situazionedi straordinaria contingenza nella quale si trovò adoperare il parlamento italiano nel primo quindicen-nio della sua storia per giudicare il suo operato ele sue intenzioni.

*Giovane membrodell’Associazione Mazziniana Italiana,

sezione di Catania

Della lotta armataqualcuno ha voluto parlare

come guerra civile,altri come vera e propriarivoluzione con obiettivi

precisi: la lotta ad uno statoinvasore e la conquista

di terre e condizionidi vita migliori

Riflessione su “L’umanesimo italiano”

Cacciari si chiede “Che cos’è l’uomo?”“Che cos’è l’uomo?” si interroga Massimo

Cacciari, avviando la lectio magistralis sul-l’Umanesimo italiano, davanti ad un foltissimopubblico convenuto presso il Chiostro del Con-vitto Cutelli, a Catania. La conferenza, intro-dotta dalla dott.ssa Domenica Pagliaro, diri-gente del Dipartimento Socio-Economico-Culturale della Provincia Regionale di Catania,è stata moderata dal prof. Roberto Fai, presi-dente del Collegio siciliano di Filosofia.

Una riflessione che parte dall’uomo, che siinterroga sulle radici etimologiche dellesingole parole, che rimanda continuamente nonal “passato”, ma all’origine.

“Quid est homo?” provoca Cacciari. Un ani-male che corrisponde ad alcune caratteristiche,si può rispondere, caratteristiche che possonoessere analizzate in termini biologici, medicie così via. E si può affermare che il linguaggiosia la peculiarità principale dell’uomo. Ma questo non è di certo l’unicoapproccio possibile, è necessario andare “al di là” dei confini,“trasgredire”: «Quando la scienza stabilisce il suo limite, la filosofia deveandare oltre – riflette lo studioso –. Questo è il ruolo e lo sforzo dellafilosofia: dissodare, mostrare, indicare e tracciare i percorsi oltre il limite

della scienza». Ed ecco che la domanda inizialedeve necessariamente modificarsi: non più“Che cos’è l’uomo?” ma “Chi sei tu, uomo?”.L’uomo è tempo, è linguaggio che si fa tempo:«La natura non ha tempo, non parla il propriotempo, l’uomo sì. Grazie al linguaggio l’uomosi fa tempo e le opere hanno valore perché si tra-sformano e mutano costantemente, proprio per-ché sono mortali».

Sono queste le premesse che consentono al fi-losofo veneziano di far luce sull’umanesimo ita-liano, troppo a lungo considerato pura erudizioneo prologo al razionalismo e all’idealismo.

«Ritornare all’umanesimo significa com-prenderne il valore e l’importanza, e quindi ancherivendicare la tradizione filosofica italiana». Si-gnifica riscoprire Petrarca, Valla, Alberti, ma an-che Botticelli e Giorgione. Significa fare luce sulconcetto di “virtus” che è tutt’uno con l’imma-

gine «dell’uomo mai integro, che sempre trasgredisce e che nessuna formapuò contenere». Significa essere consapevoli del fatto che non al passatol’umanesimo si rivolgeva, ma all’origine: riandare alla classicità ha sensoin quanto fonte perpetua della contemporaneità.

D.C.

n. 01 Gennaio 2011 5Politica

Massimo Cacciari

La fucilazione dei Fratelli Bandiera in una incisione d’epoca

La Voce dell’Isola

di ERNESTO GIRLANDO

Il cammino sociale ed economico di un pae-se, di un’area, di una regione non è mai segnato.È sempre una scelta. Che parecchi dilemmi sulmodello di sviluppo futuro (e presente) delle no-stre terre non facciano più parte del dibattito po-litico è una grave diserzione, una delle tante chesono motivo di discredito e rivelano la pochezzadella politica, diventata pura e semplice ammi-nistrazione dell’ordinario. Ciò non è nemmenotriste. È pura follia, nel senso proprio deltermine. Una follia accecante che ha condottoil nostro personale politico a costruirsi unmondo fatto di beghe interne, di vanità personali,di un cursus honorum castale e avulso da quellarealtà sociale che dovrebbe essere la solamateria prima della politica. Ogni goccia di su-dore versata per regolamenti di conti interni, perdispute correntizie, è una goccia che la gente per-cepisce come sottratta alla politica e rubata aglielettori.

Nemmeno la stampa internazionale, il pre-stigioso quotidiano britannico “The Indepen-dent”, che appena un paio di mesi fa parlava diun “paradiso colpito dalla maledizione dell’oronero”, è riuscita a smuovere la politica locale dalsuo torpore e, meno che mai, a suscitare in essaquell’effetto di ripensamento culturale e politicosufficiente a capire che il problema esiste ed èpure strutturale.

Il lavoro di chi fa politica è parlare diqueste cose. E se non ora, quando?

La nuova ondata di trivellazioni che siabbatte sul territorio del sud-est siciliano e sulmare prospiciente le coste ragusane (e nonsolo), contrariamente a quanto avvenuto inaltre province siciliane, o nella stessa area ibleain un recente passato, passa tra le maglie laschedell’indifferenza della politica e degli enti ter-ritoriali ragusani. Che, a volte, non sono solo in-differenti, ma cercano pure di trarre illusorie ren-dite dalla corsa all’oro nero.

All’inizio della scorsa estate, diverse com-pagnie petrolifere hanno ottenuto le autorizza-

zioni da parte della Regione per trivellare nel sot-tosuolo in territorio di Scicli. A Cammarana, adue passi dalla zona archeologia dell’antica cittàdi Kamarina, la terra ha tremato, per diverse set-timane, 24 ore al giorno sotto i colpi dell’impian-to di trivellazione. Poco più in là, in mare aperto,il campo Vega, la più grande piattaforma petro-lifera offshore del mare di Sicilia, torna in fun-zione. Contestualmente, altre autorizzazioni

vengono rilasciate dal Ministero dello SviluppoEconomico alla Peal per la ricerca di idrocarburiin un tratto di mare compreso tra Pozzallo e Ma-rina di Ragusa.

Fanno parte delle oltre 40 richieste presentateal Ministero in un periodo di tempo che va dal2002 al 2010 e che riguardano un tratto di costache va da Trapani a Siracusa, per un totale diun’area che si aggira sui 20 mila chilometri qua-drati. Delle 40 richieste, la metà hanno fino adoggi ottenuto le autorizzazioni necessarie dai mi-nisteri competenti. Siti dell’Unesco inseriti

nella prestigiosa World Heritage List, città a fortevocazione turistica, riserve naturalistiche, areemarine protette, financo i Templi di Agrigentoe Selinunte, sono minacciati dal rischio, dal de-pauperamento, dall’inquinamento, consideratoche la gran parte dei permessi riguarda siti di ri-cerca situati a un tiro di schioppo dalla terraferma,sui quali convergono gli appetiti di diverse com-

I mari della Sicilia depredati dai vecchi e nuovi petrolieri

Le mani dei Texanisull’oro nerodella Sicilia

L’area più a rischio èquella che va da Gela versole coste ragusane: lo stessobraccio di mare che nel corsodello scorso anno ha prodotto172.000 tonnellate di greggio

6 n. 01 Gennaio 2011

La nuova ondata di trivellazioni che si abbatte sul territoriodel sud-est siciliano e sul mare prospiciente le coste ragusane

(e non solo), contrariamente a quanto avvenuto in altre provincesiciliane, o nella stessa area iblea in un recente passato,passa tra le maglie lasche dell’indifferenza della politica

e degli enti territoriali ragusani

Politica

pagnie petrolifere. Che rischiano di mandare al-l’aria le attività di resort di lusso e di strutturericettive che dall’Europa hanno ottenuto sostan-ziosi capitali per incentivare lo sviluppo del tu-rismo e la promozione delle risorse territoriali.Insomma la solita ambiguità che pervade la vitae il destino di una terra che non sa dove andare.Un sistema di sviluppo legato alle vocazioni piùintrinseche dell’isola, e l’incoerenza che lasciaspazio alle ricerche petrolifere o alla cementi-ficazione selvaggia e indiscriminata del territo-rio.

Ma se da più parti arrivano segnali di resi-stenza alla minaccia dei petrolieri e alla cacciaall’oro nero siciliano, a Ragusa vige il silenziopiù angosciante. Se i sindaci delle città costieresiciliane si mobilitano per organizzare iniziativedi protesta - incredibilmente d’accordo a prescin-dere dalle appartenenze partitiche - a Ragusa ilsindaco del capoluogo sigla un’intesa con trecompagnie petrolifere in base alla quale questesi impegnano a riqualificare Piazza della Libertà,nel centro cittadino ibleo, in cambio del rilasciodelle autorizzazioni necessarie a trivellare in zonaCammarana. Persino l’allora assessore al Terri-torio e Ambiente, l’autonomista Roberto Di Mau-ro, chiamava, non più di tre mesi fa, alla“rivolta” i rappresentanti dei Comuni minacciatidalle trivelle. Da Ragusa, ovviamente, non si maiè visto nessuno.

Purtroppo la Regione non ha nessun poteresulle trivellazioni offshore. Ce l’ha invece suquelle che riguardano il sottosuolo in terraferma,per le quali diverse società hanno ottenuto le au-torizzazioni (vedi Scicli e Cammarana). Salvovedersele bloccare (in zona Cammarana e in con-trada Tresauro, sempre nel ragusano) a causa del-le incompatibilità con i vincoli dettati dal Pianopaesaggistico.

Le incongruenze proprie della politica chenon pone mai mano alla soluzione definitiva,quella legislativa. Finché infatti rimarrà in

vigore la Legge 14 del 2000 e i suoi disciplinaridel 2003, i petrolieri avranno sempre buon gioco.

A tutti è nota l’altra incredibile vicenda deipozzi di contrada Sciannacaporale, bloccati nel2008 da una sentenza del Tar su ricorso del Co-mune di Vittoria e recentemente liberati da quelladel CGA che, non entrando nel merito della que-stione (il pericolo acclarato dell’inquinamentodelle falde acquifere), dichiara inammissibile ilricorso del Comune ipparino perché presentatocon oltre due mesi di ritardo rispetto ai tempi pre-visti dalla legge, dando la possibilità alla PantherOil di riprendere le attività di ricerca petrolifera(e la facoltà di chiedere al Comune di Vittoriaun congruo risarcimento dei danni subiti).

Nel passato a nulla sono valsi i tentativi diriformare la materia. Ci provò nel 2005 l’alloraassessore al Turismo, Fabio Granata, la cui pro-posta di legge venne bocciata da una maggioran-za trasversale composta da una parte del centro-destra cuffariano e della sinistra diessina.Materia che scotta, sulla quale ruotano corposiinteressi. Ahinoi, non nostri, ma di compagnieprivate, intente a subordinare gli interessi dei tantiai propri.

Secondo dati la cui fonte è attendibile (il Mi-nistero dello Sviluppo Economico) al 31 marzodi quest’anno sono stati 12 i permessi concessiin favore di società petrolifere interessate a ope-rare nel Mar Mediterraneo. Oltre a Eni edEdison, diverse compagnie estere hanno fiutatol’affare. Negli ultimi due anni la metà delle istan-

ze di ricerca è stata presentata da due compagniebritanniche: l’irlandese Petroceltic Elsa e l’in-glese Northem Petroleum Uk.

L’area più a rischio è quella che va da Gelaverso le coste ragusane: lo stesso braccio di mareche nel corso dello scorso anno ha prodotto172.000 tonnellate di greggio, estratte dalle in-stallazioni “Gela1”, “Perla” e “Vega A”, di Enied Edison. Una quantità risibile, visto che si trattadel 12% del petrolio estratto in Italia, e solo lo0,6% della quantità complessivamente consuma-ta nel nostro Paese. Ma evidentemente remune-rativa per le compagnie petrolifere (con ilgreggio intorno ai 90 dollari al barile) chetentano di dare l’ultima strizzata ai giacimentisiciliani. Compresi quelli dell’area delle Egadi,che contribuiranno, sotto l’egida della Shell, con150.000 tonnellate a questa nuova folle corsaall’oro nero siciliano.

Raffaele Lombardo dal suo blog tempo fa cifaceva sapere che “abbiamo detto basta anchealle trivellazioni nei nostri mari. Un tema nel qua-le occorre cura, attenzione e un rigore estremo.Ci sono grandi gruppi che richiedono le autoriz-zazioni, certo, hanno referenti, dipendenti,uomini politici ben disposti ad ascoltarli. Ma ven-gono a prendere il petrolio da noi, e cosa ci dan-no? Due lire. Lo raffinano e a noi la benzina costapiù cara che non nella Valle d’Aosta, dove costala metà, ma anche nel Lazio o quant’altro. E noiper quattro posti di lavoro dobbiamo inghiottireveleno? Ma quello che mi preoccupa peròancora di più è che non si diano autorizzazionia perforare il mare.”

E le trivellazioni nel sottosuolo in terrafermaautorizzate dalla Regione siciliana?

Intanto qualcuno provi a spiegare a sindacie deputati dell’area iblea, impegnati a contrastare,insofferenti ai giusti vincoli e alle regole, alla pia-nificazione e alla razionalizzazione dello svilup-po, l’istituzione di Parchi e l’adozione delPiano paesaggistico, cosa sta succedendo.

La Voce dell’Isolan. 01 Gennaio 2011 7Politica

Uno scenario di un'isolacircondata dai pozzi petroliferi:questo è quello che potrebbe

accadere di qui a qualche anno:politica inerte e contraddittoriamentre Vittorio Sgarbi propone

di autorizzare la ricerca dipetrolio in provincia di Trapani.La politica, in realtà, non pone

mai mano alla soluzionedefinitiva, quella legislativa.

Finché infatti rimarrà in vigorela Legge 14 del 2000 e i suoi

disciplinari del 2003, i petrolieriavranno sempre buon gioco

La Voce dell’Isola8 n. 01 Gennaio 2011PoliticaMolti occhi sono puntati sulla nostra isola, complice anche l'inerzia del governo

L'incubo marea nera si spostadal Messico ai mari siciliani

di MARCO DI SALVO

Si è appena alleviata (almeno mediaticamente)la grande paura per il disastro ambientale che hacolpito il Golfo del Messico in conseguenza dellamarea nera fuoriuscita da un pozzo della BritishPetroleum, ma in fin dei conti pare non sia suc-cesso nulla di grave. Almeno per le compagnie pe-trolifere che vanno a caccia di nuove opportunità.E molti occhi sono puntati sulla nostra isola, com-plice anche l’inerzia (interessata?) da parte del go-verno nazionale.

I numeriL’isola è già un territorio dove si raffina il 30%

del petrolio consumato in Italia e con una riservadi greggio che alcuni hanno stimato intorno ai 2,3milioni di tonnellate (per informazioni rivolgersia chi abita ad Augusta, Priolo, Milazzo e Gela qua-lificate ad alto rischio ambientale, con inchiestegiudiziarie per inquinamento e disastro ambientaletutt’ora in corso). In più c’è un altro aspetto chefa riflettere: quello delle royalties, ovvero i dirittiche le compagnie pagano alla Sicilia. Bene, da al-cune ricerche risulta che quelli siciliani sono trai più bassi d’Italia. Ricerche non particolarmentedifficili visto che questa è un’informazione che for-niscono anche i produttori di petrolio nei loro siti:«La struttura delle royalties in Italia è una dellemigliori del mondo. Per i permessi offshore le tassesono solo del 4%, ma nulla è dovuto fino a 300milabarili l’anno». Un bell’affare per tutti insomma,tranne che per i siciliani, naturalmente.

E spuntano i NotrivInutile dire che, almeno a livello locale e di tam

tam internettiano, questa situazione a fatto nasceresubito molte aggregazioni che contestano questaipotesi di sviluppo per l’isola. E questi gruppi (ri-battezzati dalla stampa, con poca fantasia, Notriv)si sono messe in moto ed hanno scoperto alcunealtre notiziole sfiziose. Secondo alcune associa-zioni locali sono già 30 le autorizzazioni concessein gran segreto. Secondo altri sono invece 40 lecompagnie interessate a trovar posto alle loro piat-taforme nel Mediterraneo, e che hanno fatto giàrichiesta al ministero per lo sviluppo economico

di indagini e ricerche per scoprire nuovi pozzi dipetrolio.

Chi vuole “bucare” la SiciliaSono soprattutto americani, ma anche yemeniti

e irlandesi che coltivano l’idea di affondare le pro-prie trivelle davanti la costa siciliana. Sei sono lepiattaforme attive collocate lungo la costa Iblea,a Ragusa e nel Golfo di Gela, di Eni ed Edison.Venti i permessi di ricerca già concessi. Alle isoleEgadi, ancora nel Golfo di Gela, a Siculiana PortoEmpedocle, Capo Rossello Palma di Montechiaro,Sciacca Agrigento, Sciacca Siculiana, Isole Pela-gie, due a Punta Bianca Licata, a Stagnone CapoFeto, a Selinunte fiume Verdura, a Scoglitti Poz-zallo, a Fiume Drillo Punta D’Aliga a Mazzara delVallo Menfi. Luoghi dove sono già in corso ricer-che. Venti sono le compagnie in attesa di una ri-sposta dal governo italiano.

Di queste, cinque fanno testa al colosso londi-nese Nothern Petroleum, che con la Shell ha giàiniziato le ricerche in tutto il mediterraneo. La so-cietà inglese chiede di poter installare tre piatta-forme nel mare delle Isole Egadi per avviare ri-cerche in una superficie complessiva di 1.600 chi-lometri quadrati. La Northern Petroleum chiededi poter avviare ricerche anche nel golfo di Gela,nella zona di Capo Rossello ad Agrigento e, in-sieme agli irlandesi della Petrolceltic Elsa, nel maretra Siculiana e Porto Empedocle. La Petrolceltic

è controllata al 100% dall’omonima società irlan-dese, e in Italia ha stretto collaborazioni con VegaOil ed Eni, con la quale chiede di trivellare anchenel golfo di Gela. I canadesi della Hunt oil com-pany, invece, hanno adocchiato tre possibili sor-genti di greggio: tra Sciacca e Agrigento, a Sicu-liana Marina, e un terzo sito tra Mazara del Valloe Menfi. E se la Puma petroleum da Londra vuolestanziarsi a Lampedusa e Linosa, un consorziocomposto dalla British gas e della italiane Eni edEdison è interessata ad avviare ricerche a Licatae Punta Bianca. Anche i texani, dopo il tentativodella Panther Oil nel Val di Noto, vogliono pom-pare petrolio nel mar siciliano. Precisamentenella zona di Scoglitti e Pozzallo, attraverso la Svi-luppo risorse naturali (Srn), società controllata dal-la Mediterranean Resources con sede ad Austinin Texas. Ultima istanza presentata al ministeroè quella dei canadesi della Nautical petroleum, chechiedono di avviare ricerche tra la foce del fiumeDirillo e punta D’Aliga.

Un’isola circondata dai pozzi di petrolioUno scenario di un’isola circondata dai pozzi

petroliferi: questo è quello che potrebbe accaderedi qui a qualche anno insomma. Anche se, pare,la politica locale non sembra essere d’accordo. Dalpresidente della regione Raffaele Lombardo,chesi oppone a nuove trivellazioni, all’Ars che nel

Nel nostro territoriosi raffina il 30% del petrolio

consumato in Italiae con una riserva di greggio

che alcuni hanno stimatointorno ai 2,3 milioni

di tonnellate

Le perforazioni nel canale di Sicilia minacciano l’istituzione di un Santuario marino previsto dal 2007

Le denunce della Federazione

mese di agosto ha votato a favore di una mozionecontro gli insediamenti estrattivi della San LeonEnergy. La società è una piccola srl con 10 milaeuro di capitale sociale e una sede in provincia diLecce.

Obiettivo è quello di farsi autorizzare dalle am-ministrazioni italiane tre esplorazioni petrolifereal largo della costa siciliana, neppure troppo lon-tano. Tutte con un’estensione compresa tra i 200e i 500 chilometri quadrati, situate fra Marsala,Sciacca e le isole Egadi. Ferma l’opposizione delleamministrazioni locali ma anche delle organizza-zioni che dicono no alle trivelle nei paradisi isolani.«Il parlamento e il governo siciliani - ha detto Ro-berto Di Mauro, assessore al territorio che ha pre-parato un documento di 40 pagine sul rischio am-bientale in Sicilia - hanno mostrato all’unisono illoro parere sfavorevole alla trivellazione».

Ma Sgarbi vuole i pozziBasterà? Anche perché, dopo un no forte ago-

stano, sono cominciati i primi distinguo. A comin-ciare da quello del sindaco di Salemi Vittorio Sgar-bi che, propone di autorizzare la ricerca di

petrolio in provincia di Trapani. “Ho invitato loscienziato russo Vladimir Kutcherov – ha dettoSgarbi ai margini di un convegno organizzato perl’occasione - con entusiasmo a Salemi per chie-dergli di illustrare la sua teoria e offrire, in areedefinite, concessioni per l’estrazione del petrolio,discutibili nel Val di Noto e certamente realizzabilinel Val di Mazara con un impatto ambientale tec-nicamente piu’ modesto di quello dei parchi eo-lici”.

Provocazioni, certo, tipiche dell’estroso espo-nente politico. Ma sotto sotto anche un tentativodi agganciare un business miliardario. Come sela devastazione della costa sud orientale della Si-cilia non fosse stata sufficiente a dare una lezionea chi, per il denaro, passa sopra alla salute di tutti.

La nuova ondata di trivellazioni che si abbattesul territorio del sud-est siciliano e sul mare pro-spiciente le coste ragusane (e non solo), contra-riamente a quanto avvenuto in altre province si-ciliane, o nella stessa area iblea in un recente pas-sato, passa tra le maglie lasche del silenzio dellapolitica e delle istituzioni ragusane.

Con una interpellanza l’on. Dino Fiorenza, vice pre-sidente della Commissione antimafia e presidente delGruppo misto, in tema di trivellazioni petrolifere al largodelle coste siciliane ha chiesto al governo Regionale diintervenire in sede di Consiglio dei Ministri, ai sensidell’art. 21 dello Statuto della Regione Siciliana, al finedi tutelare ed evitare che possano verificarsi disastri eco-logici, simili a quelli accaduti nel golfo del Messico, lun-go le coste del mar Mediterraneo.

In particolare, alle 6 piattaforme già attive, l’on. Fio-renza ha fatto rilevare come il Governo nazionale ha con-cesso ben 20 permessi di ricerca a varie società offshore(tra cui una società con appena 10.000,00 euro di capitalesociale) lungo le coste meridionali della regione dalleEgadi a Pozzallo e al largo dell’isola di Lampedusa.

Fiorenza ha affermato che “Tutto il mondo è a cacciadi petrolio nel canale di Sicilia in barba alle più elemen-tari misure di sicurezza, quali interessi si voglioagevolare con tali interessi? È interessante notare chepotrebbero nascondersi dei legami tra le società desti-natarie di tali permessi e personaggi influenti che si af-facciano nel mercato finanziario italiano ed europeo”.La Libia ad esempio, fino a poco tempo fa era fuori daquesto sistema, in soli due anni, ha acquistato quote so-ciali pari al 7% di UNICREDIT (che ha assorbito il BDS)e il 7,5% della Juventus FC, e che oggi guarda con in-teresse a società quali Telecom Italia, Finmeccanica edEni (e di qualche settimana fa la notizia che il governodi Tripoli ha concesso alla Eni un concessione per l’uti-lizzo delle risorse energetiche per un periodo pari a 25anni.)”

L’on. Fiorenza ha sostenuto che tale situazione rap-presenta un rilevante pericolo per l’ecosistema dell’Isola,dato dal fatto che il mar Mediterraneo rappresenta unbacino marino chiuso, con un ricambio lentissimo di ac-que e con un rilevante traffico interno riguardo al tra-sporto marittimo e commerciale.

La Federazione Nazionale Pro Natura, intanto, si chie-de che fine ha fatto l’accordo firmato il 20 novembre2007 a Tunisi, dall’allora Ministro all’Ambiente, che pre-vedeva l’istituzione di un Santuario marino nel Canale

di Sicilia e che avrebbe posto finalmente sotto tutela unadelle aree marine più importanti del Mediterraneo?

Questo accordo seguiva quello firmato tra l’Italia eMalta; il passo successivo sarebbe dovuto essere la firmadell’accordo trilaterale tra Malta, l’Italia e la Tunisia.

Da quanto si può vedere, le cose non hanno seguitol’iter programmato e l’accordo trilaterale per istituire inquesto lembo di Mediterraneo un’area marina protettaè rimasta solo una speranza di tutti coloro che hanno acuore il futuro di una preziosa zona di Mediterraneo.

Eppure la legge 222 del 29 novembre 2007 concedevaal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorioe del Mare un contributo straordinario di 20 milioni dieuro per l'attuazione di programmi di intervento per learee protette e per la difesa del mare nonché per la tuteladella biodiversità nel Canale di Sicilia.

La Federazione Nazionale Pro Natura sostiene che èinaccettabile che a tre anni di distanza da quando queifondi vennero destinati con il preciso obiettivo diistituire tre aree marine protette nel Canale di Sicilia, fi-nalizzate alla tutela della biodiversità, tra queste anchequella di Pantelleria, non sia ancora stato chiuso l’iter.Non solo, per quanto attiene il protocollo internazionalecon Malta e la Tunisia, non si conoscono neppure gli ele-menti conclusivi che definiscono detto trattato interna-zionale.

Negli ultimi tempi, al contrario, le cose hanno presouna piega diametralmente opposta e l’area anziché di-ventare un santuario a difesa della biodiversità mediter-ranea sta diventando una nuova eldorado nelle speranzedi discusse società di perforazione e di estrazione pe-trolifera.

Dopo la drammatica esperienza di quanto accadutonel Golfo del Messico cosa accadrebbe di intere econo-mie qualora si verificassero incidenti anche di più lieveentità? Economie che potrebbero basare il propriovolano di sviluppo proprio sulle straordinarie ricchezzeambientali storiche e paesaggistiche di cui dispongonosarebbero completamente spazzate via.

Non si dimentichi, inoltre, che l’intera area ha una suafragilità intrinseca che le deriva dalla sua natura

geologica vulcanica e dalla attività sismica e ciò aumen-terebbe l’ineludibile rischio di incidenti che l’attività diestrazione e trasporto petrolifero comportano.

La Federazione Nazionale Pro Natura si è rivolta agliorgani competenti, in primo luogo al Ministro dell’Am-biente, on. Stefania Prestigiacomo, alla Regione Sicilianaaffinché verifichino la rispondenza alle normativevigenti da parte delle imprese di perforazione che stannooperando nell’area e che, per un principio di precauzione,sospendano le tutte attività al momento in corso.

Auspichiamo altresì che venga istituita l’Area MarinaProtetta a Pantelleria, quindi riavviato quel grande pro-getto tendente a rendere l’intera area del Canale di Siciliaun Santuario di protezione e di conservazione della bio-diversità.

La Voce dell’Isolan. 01 Gennaio 2011 9Politica

Uno scenario di un'isolacircondata dai pozzi petroliferi:questo è quello che potrebbe

accadere di qui a qualche anno:politica inerte e contraddittoriamentre Vittorio Sgarbi propone

di autorizzare la ricerca di petrolio in provincia

di Trapani. La politica, in realtà,non pone mai mano

alla soluzione definitiva,quella legislativa. Finché infattirimarrà in vigore la Legge 14del 2000 e i suoi disciplinaridel 2003, i petrolieri avranno

sempre buon gioco

La Voce dell’Isola

di MARCO DI SALVO

Passano gli anni ma la situazione dei trasportisiciliani (e di quelli pubblici in particolare) èsempre più nel caos. Che si tratti di autostrade,treni, autobus, aeroporti o traghetti, per chi nonvuole (o non può, come nel caso dei tantissimituristi che per più di mezzo anno affollano la no-stra isola) usare l’auto, il trasferimento tra le varizone dell’isola è un vero tour de force. Se tor-nasse oggi a scrivere il suo “Viaggio in Sicilia”anche Goethe forse si renderebbe conto che pocoè cambiato rispetto alla sua prima opera,almeno dal punto di vista dei trasporti.

Le bombe estive: autostrade e Tirrenia, laguerra Lombardo-Matteoli

La prima notizia è arrivata all’inizio di luglio,improvvisa ma non inattesa: il ministro delle In-frastrutture e dei Trasporti Matteoli e il ministrodell’Economia Tremonti hanno adottato unprovvedimento che stabilisce la decadenzadella concessione al Consorzio autostrade sici-liane (Cas), da parte dell’Anas, per la gestionedelle autostrade Palermo-Messina, Messina-Ca-tania e Catania-Siracusa.

Secondo Matteoli e Ciucci, presidente del-l’Anas, si tratta di un atto dovuto, scaturito dopogli accertamenti compiuti dall’Anas, che hannoevidenziato gravissime irregolarità di gestionee reiterate inadempienze contrattuali. Le con-testazioni riguardano in particolare la stato dellamanutenzione, che rende le autostrade sicilianeparticolarmente pericolose, e la scarsa chiarezzadei bilanci.

Ma il presidente della Regione non ci sta. PerLombardo si tratta di “un vero e proprio scippofatto con grande destrezza ai danni della Siciliae dei siciliani”, tanto più che egli rivendica il me-rito di aver assunto, fin dal suo insediamento,iniziative volte alla riqualificazione del patri-monio autostradale siciliano, denunciando la pre-

cedente gestione spesso rivolta all’occupazionedi poltrone e allo sperpero di risorse pubbliche.Sia quel che sia, chiunque porti a compimentoil risanamento del Cas 8si tratti del governo na-zionale o di quello regionale, la prospettiva sem-bra essere la sua privatizzazione, cioè la costi-tuzione di una società per azioni che dovrebbeavere la Regione come socio pubblico con lavendita di una percentuale di minoranza ad ungestore privato.

Certo se si mette in parallelo questa vicendacon quella della cessione di Tirrenia più d’unopotrebbe dare ragione al “presidentissimo” si-ciliano, nelle sue sindromi di accerchiamento.

A fine giugno sembrava fatta. Mediterraneaholding era ad un passo dall’acquisizione.Ma la situazione è precipitata in pochi giornibloccando il passaggio di proprietà. Risultato:riparte solo ora la vendita di Tirrenia dopo chela società è finita in amministrazione straordi-naria. Il commissario Giancarlo D’Andrea,con un annuncio a pagamento sui giornali, ri-volge un invito a “chiunque sia in grado di ga-rantire la continuità del servizio pubblico di tra-sporto marittimo” a presentare manifestazionidi interesse per l’acquisto del ramo di aziendadi Tirrenia di Navigazione Spa. Le manifesta-zioni dovevano pervenire presso l’adivisor Ro-thschild entro il 29 settembre. E a tutt’oggi l’uni-ca offerta sul tavolo resta quella di MediterraniaHolding presentata nelle scorse settimane. Laprocedura, veniva precisato nell’annuncio, pre-vede una vendita separata fra Tirrenia e Siremar,la controllata siciliana. “Separatamente - si legge- si disporrà sia per i cespiti non direttamentericonducibili al ramo d’azienda di Tirrenia di Na-vigazione preposto all’erogazione del serviziodi collegamento di cui anche al regime conven-zionale, sia per la partecipazione azionaria in Si-remar”. Esattamente quello che Lombardo nonvoleva, uno spezzatino... E le questioni dei tra-sporti non finiscono qui.

Rimasto nella palude il piano riorganizzativo ferroviaro

Nel caos i trasporti in Sicilia:le proteste non cambiano nulla

10 n. 01 Gennaio 2011Politica

La generale condizionedi arretratezza

in cui versail sistema produttivo isolano

è riconducibilead una molteplicità

di fattori.Fra questi, uno è

tradizionalmente indicatodalla pubblicistica come

una delle principaliconcause del “ritardo”di sviluppo della Sicilia:carenza e insufficienza

delle infrastrutture

Raffaele Lombardo

e il ministro Matteoli

La Voce dell’Isola

I treni “stazionano”Oltre un anno fa, nel mese di luglio, veniva

presentato da Trenitalia alla Regione Sicilianaun piano di riorganizzazione delle tratte ferro-viarie siciliane.

In quel piano riorganizzativo del trasporto fer-roviario siciliano, erano previsti nuovi collega-menti, la riduzione dei tempi di percorrenza trale principali stazioni ferroviarie dell’Isola,treni lenti intervallati da treni veloci e la rior-ganizzazione di tutti i servizi in una nuova otticadi sistema integrato, chiamato “Memorario”.

Nello specifico tale riorganizzazione preve-deva:

* Nella dorsale tirrenica “Messina-Palermo”,di ridurre il tempo di percorrenza tra le due cittàpassando dalle attuali 3 ore e mezza alle due 2ore e 40 con un risparmio di percorrenza di unora e dieci muniti.

* Tra Palermo e Termini Imerese un trenoogni trenta minuti, con fermate in tutte le sta-zioni.

* Un servizio di collegamento tra Messinae Milazzo ogni ora, con fermate in tutte le sta-zioni.

* Collegamenti tra Palermo e Agrigento, conun treno in partenza ogni ora e un tempo di per-correnza di 2 ore e 10 minuti.

* Novità anche sulla linea Palermo-Catania,accorciando i tempi di percorrenza di una tren-tina di minuti.

* Sulla dorsale ionica Messina-Catania-Siracusa, era prevista l’applicazione dellostesso progetto orario applicato sulla Messina-Palermo.

Il costo complessivo del progetto ammontavaa circa 130 milioni. Altri 10 milioni di euro eranoa carico del bilancio regionale per una supple-mentare ottimizzazione del servizio.

Dal punto di vista finanziario, questo nuovopiano presentato da Trenitalia era coperto da fon-di nazionali quindi i soldi ci sono (o meglio,c’erano, al momento del presentazione delprogetto).

In merito a questo piano riorganizzativol’assessore regionale Titti Bufardeci, prima dipassare le consegne del Dipartimento dei Tra-sporti al suo successore Nino Strano, dichiaravala sua soddisfazione per l’accordo firmato conle Ferrovie dello Stato: – “Lo considero utile perfacilitare la mobilità dei siciliani, sono piccolemodifiche, ma che oggettivamente consentonoun’accelerazione”, e di seguito l’assessoreNino Strano dichiarava: – “Si avvia un miglio-ramento graduale del sistema, con la certezzache gli utenti potranno fin da subito percepirerisultati concreti”.

In oltre un anno nulla di fattoTutto bene, quindi? Considerato che è trascor-

so oltre un anno, a sentire chi usa i treni nullaè cambiato: i pendolari, non si sono accorti ditutti questi benefici e/o vantaggi che il piano rior-ganizzativo doveva portare al miglioramento deltrasporto ferroviario dell’Isola, ma, anzi, hannoad esempio riscontrato, a onor del vero, un ef-fettivo peggioramento della situazione ferroviariain special modo sulla dorsale tirrenica Messi-na-Palermo, oltre al taglio operato a diversi trenia lunga percorrenza da e per il nord.

Ma c’è dell’altro Oltre un anno fa, ed esatta-mente il 7 settembre 2009 a Roma, venivano sot-toscritti i contratti di servizio tra le Regioni ita-liane e Trenitalia, per il trasporto ferroviario.Quel giorno, l’assessore regionale ai trasporti,pro tempore, Nino Strano presente a Roma, nonsottoscrisse il contratto di servizio per laRegione Sicilia, prendendo qualche altro giornodi tempo. Dall’incontro romano è trascorso tanto,tanto tempo e del contratto di servizio inSicilia non se ne è più parlato. Cosa è successodi così grave per non averlo sottoscritto?Perché è rimasto top secret? Di chi è la colpa?Quali problematiche nasconde? Nessuna rispo-sta. E questo in un quadro nazionale in cui lealtre Regioni (quelle che il contratto di serviziohanno firmato), sono già sul piede di guerra pergli ulteriori tagli ai finanziamenti statali per iltrasporto pubblico ferroviario del 2011. Intantodi certo costano di più i servizi ferroviari, a fron-te di un servizio sempre peggiore. Un esempio:

un abbonamento mensile di 40 chilometri, nelgiugno 2007 costava circa 44,00 euro oggi lostesso abbonamento costa 56,00 euro (circa iltrenta per cento in più in tre anni, altro che in-flazione).

Un solo spiraglio negli ultimi mesi dello scor-so anno: sono state sottoscritte al ministero delleInfrastrutture e dei Trasporti due convenzioni tralo stesso ministero e l’assessorato regionale dellaSicilia alle Infrastrutture per l’acquisto di nuoviveicoli, sia treni che bus, a favore del sistemasiciliano dei trasporti. Complessivamente,spiega una nota di Regione Sicilia, le disponi-bilità finanziarie per avviare un processo di am-modernamento dei mezzi ammontano ad un to-tale di 48milioni e 346 mila euro, così suddivisi:36 milioni e 260 mila euro a carico delloStato, 12 milioni ed 86 mila euro a carico delbilancio regionale a copertura del 25 per centodel costo di acquisto dei nuovi mezzi. Nel det-taglio, saranno acquistati 69 bus delle diversetipologie, urbano, extraurbano e sub urbano, e3 composizioni ferroviarie bi-piano, da 800 posticiascuna.

“Si realizza in tal modo - affermava in unanota l’assessore regionale alle Infrastrutture, Lui-gi Gentile - una ulteriore fase del processo di ri-qualificazione e ammodernamento dell’offertadi trasporto regionale, che rappresenta unodegli obiettivi strategici dell’azione del governoregionale, contro disservizi e soppressione di cor-se”.

“Si tratta - concludeva Gentile - di unconcreto e fondamentale passo in avanti versoil progetto di riequilibrio della domanda di tra-sporto, a favore del mezzo pubblico, che costi-tuisce uno degli elementi fondanti della program-mazione di settore”. Ma, si sa, gli assessori pas-sano (mentre scriviamo è tempo di Lombardoquater e non si sa a ci andrà la delega trasporti)e i problemi restano.

La generale condizione di arretratezza in cuiversa il sistema produttivo isolano è riconduci-bile ad una molteplicità di fattori. Fra questi, unoè tradizionalmente indicato dalla pubblicisticacome una delle principali con-cause del “ritardo”di sviluppo della Sicilia. Il riferimento è chia-ramente al fattore dell’infrastrutturazione di basedeputata al trasporto ed alla mobilità.

Come già ricordato, le particolari condizionigeo-morfologiche interne di un’isola di quasi 26mila km2 in cui poche, e poco estese, pianuresi aprono tra impervi rilievi, si sono frapposteallo sviluppo di una rete infrastrutturale (stradalee ferrata) capace di mettere in connessione fisicaed economico-funzionale le diverse realtà ter-ritoriali, amministrativamente ricadenti in 390comprensori comunali.

n. 01 Gennaio 2011 11Politica

Che si tratti di autostrade,treni, autobus, aeroporti

o traghetti, per chi non vuoleo non può (come nel casodei tantissimi turisti cheper più di mezzo anno

affollano la nostra isola)usare l'auto, il trasferimento

tra le vari zone dell'isolaè un vero tour de force

La Voce dell’Isola

di ERNESTO GIRLANDO

Sappiamo che la risposta è difficile. Ma la do-manda è: ci voleva tanto? La firma sul decretointerministeriale per il trasferimento delle areedemaniali dell’ex aeroporto militare di Comisoalla Regione (e poi in uso gratuito al Comunedi Comiso) chiude un lunghissimo iter burocra-tico, nonché (forse) una delle vicende più sug-gestive e vibranti che le cronache politiche ri-cordino. Uno sprofondare per mesi nelle viscereirrazionali di quel pericoloso armamentarioautolesionista del politicantismo nostrano, ne-anche troppo divertente, che pervade con disin-voltura quella tracotante pratica quotidiana, queldedalo di interessi partitici e personali, dettaglitattici, calcoli di alleanze, che è diventata la po-litica o quella parodia della politica che ci toccamandar giù giorno per giorno.

La firma dei tre ministri Matteoli, La Russae Tremonti segue di qualche mese quella “con-dizionata” di Raffaele Lombardo in calce a quelprotocollo d’intesa che è stato l’atto propedeuticoal decreto. Un’altra vicenda esilarante, segnatada innumerevoli tentativi andati a vuoto, mesidi rinvii, e chiusa con un bel colpo di teatro del

presidente della Regione, con una trovatadegna dell’indimenticabile avvocato Pettole, ilpersonaggio che incarna la figura bislacca deldottor Azzeccagarbugli nel celebre romanzomanzoniano.

L’episodio ha fatto storia a sé. Dopo aver fattosaltare più volte la sigla del protocollo (facendosolo perdere tempo), il governatore siciliano tro-vava il modo di rubare la scena mediatica a tuttiimponendo una rettifica al testo che pretendevasignificare qualcosa in merito alla classificazionedell’aeroporto, ove si trattava solo del trasferi-mento delle aree. Ottenuta per sfinimento deglialtri attori, la modifica voluta da Lombardo nonproduce nessun effetto in relazione alla paventata“declassazione” dello scalo che con la firma suldecreto sembra assumere lo status di aeroportodi interesse nazionale, ancorché a gestionediretta del Comune di Comiso e non a gestioneEnac. Una questione particolarmente cavillosa,quest’ultima, che rischiava di compromettere ilfuturo dell’importante opera infrastrutturale.

Questo problema ha radici profonde e originilontane. È stato per anni il peccato originale,l’improvvido errore commesso da chi ha esple-

tato le procedure di realizzazione dell’aeroporto.Responsabilità da ascrivere all’operato del-l’allora sindaco del Comune di Comiso (ente de-signato stazione appaltante e beneficiario fina-le dell’opera, secondo quanto previsto dell’ac-cordo di programma quadro, firmato da Stato,Regione e Comune nel 2001).

La materia sembra complessa, ma in realtà epiù semplice e lineare di ciò che appare.

Per comprendere meglio giova ricordareche, a suo tempo, l’aeroporto fu costruito su unterreno che il Demanio riteneva non più utiliz-zabile per scopi militari, ma, chissà perché, nonvenne seguita la procedura prevista, quella deltrasferimento del bene al demanio regionale.L’Enac pose a tempo debito il problema,tuttavia si decise di procedere comunque con larealizzazione dell’opera e di trasferire succes-sivamente, durante il periodo della costruzione,il sedime alla Regione. Il trasferimento però nonavvenne mai. Il Comune andò avanti forte di unparere dell’Avvocatura dello Stato, secondo ilquale un ente territoriale può essere proprietarioe gestore in concessione (senza l’espletazionedi una gara) di un aeroporto equiparandolo giu-ridicamente a un aeroporto privato. Ovviamentei servizi aeroportuali avrebbero dovuto esserea carico della società di gestione che il Comunecostituì la So.A.Co e ne cedette il pacchetto dimaggioranza, attraverso l’adempimento di unagara ad evidenza europea, vinta poi dalla SAC

Per il trasferimento delle aree demaniali dell’ex base militare alla Regione

Aeroporto di Comiso, firmato il decreto interministeriale

12 n. 01 Gennaio 2011Politica

L’aeroporto fu costruitosu un terreno

che il Demanio ritenevanon più utilizzabile per scopimilitari, ma, chissà perché,

non venne seguitala procedura prevista,

quella del trasferimentodel bene al demanio regionale

La Voce dell’Isola

di Catania. Rimase (come sempre) il problemadegli oneri relativi ai servizi aeroportuali. Perrisolvere il quale si tentò di inserire lo scalo inuna rete di aeroporti nazionali, ma senza suc-cesso. Poteva, questa, essere una concessione- e non un diritto - e il governo nazionale nonla elargì. Perché? È semplice: parola di Vito Rig-gio, presidente dell’Enac. Delle due l’una: o l’ae-roporto è un aeroporto comunale, e quindi pri-vato, e si paga da sé tutti i servizi, oppure l’ae-roporto è statale e quindi il trasferimento va fattodirettamente all’Enac (nemmeno al demanio re-gionale) che dovrebbe poi procedere a una garaper assegnare la gestione. Questo, per Comiso,avrebbe comportato fatalmente l'annullamentodi tutto ciò che era stato fatto, con le ovvie graviconseguenze del caso, visto che gli investitori

privati avevano già acquisito, previo esborso didanaro, quote della società di gestione (esatta-mente il 65%).

Per evitare ciò, si è arrivati al protocollo d’in-tesa tra Ministero della Difesa, dei Trasporti edell’Economia, l’Enac, la Regione e il Comunee alla conseguente firma del decreto intermini-steriale. Secondo quest’ultimo, l’aeroportoviene inserito nella rete degli aeroporti di inte-resse nazionale e lo Stato si assume per i primitre anni gli oneri per l’assistenza al volo. Dun-que, il cavillo imposto da Raffaele Lombardoe la sua “resistenza ai diktat e ai voleri dei pa-droni di Roma”, al di là di qualche effimera at-tenzione mediatica, sono valsi meno di nulla.

Ma altre novità sostanziali si affacciano nelpanorama della gestione complessiva degli ae-roporti italiani. L’Enac ha recentemente com-missionato a “One Works - Kpmg - Nomisma”uno studio per la pianifi-cazione, da qui al 2030,dello “Sviluppo della reteaeroportuale italiana”. Lelinee guida di questo stu-dio, sottoposto al Ministro

dei Trasporti Matteoli, sono improntate proprioall’aggiramento dei costi, a carico dello Stato,degli oneri relativi all’assistenza al volo e al ser-vizio dei vigili del fuoco: un costo che siaggira per le casse dell’erario a circa duemilioni di euro per ciascun aeroporto. A tal finelo studio individua 14 scali nazionali “strategici”,in crescita e per i quali prevede un futuro roseo,che continueranno ad essere sostenuti dallo Sta-to; 10 “primarie riserve di capacità del sistema”,operativi solo per soddisfare esigenze locali par-ticolari e circoscritte, o isole e zone marginalidel Paese non facilmente raggiungibili; 24 chenon sono considerati strategici, limitati nel ba-cino di utenza e nello sviluppo delle infrastrut-ture, che devono essere chiusi o drasticamenteridimensionati. Per questi ultimi (la metà degliaeroporti italiani oggi in funzione), lo Stato nonpotrà più farsi carico degli oneri dei servizi, per

cui è pronto a cederli aglienti locali, i quali devonofarsi bene i conti e sceglie-re se mantenerli, finan-ziandoli, o chiuderli. Il ri-schio per Comiso è che siritorni al punto di parten-za.

Tuttavia, al di là di pro-blemi che sono di là da ve-nire, e delle occasionalifiammate d’entusiasmo

della classe politica locale, la questione rimanecomplessa più di quanto sembri. Lo Stato pa-gherà gli oneri per la navigazione solo per i primitre anni, ma a partire dal quarto graveranno sullasocietà di gestione. Diverse compagnie aereehanno mostrato curiosità per Comiso, ma i ritardihanno sempre smorzato ogni interesse e ognitentativo. Il “territorio” sarà chiamato a svolgereun ruolo primario, a superare le difficoltà e lediffidenze e a ingaggiare una sfida che sireggerà sulla sua stessa capacità di determinareil futuro dell’aeroscalo. Sarà all’altezza del com-pito?

Non siamo degli inguaribili pessimisti, ma almomento i segni che ci è dato cogliere non cientusiasmano.

n. 01 Gennaio 2011 13PoliticaAl di là di problemi

che verrannoe delle occasionali

fiammate d’entusiasmodella classe politica locale,

la questione rimanecomplessa

più di quanto sembri:Il “territorio”, infatti,

sarà chiamato a svolgereun ruolo primario,

a superare le difficoltàe le diffidenze

e a ingaggiare una sfidache si reggerà

sulla sua stessa capacitàdi determinare

il futuro dell’aeroscalo

Massimo D’Alema durante l’inaugurazione dello scalo

La Voce dell’Isola

Fosche o sorridenti che siano le prospettive (leprime sembrano essere di molto in vantaggio sulleseconde), l’unica certezza è che il senso di pe-renne casino (difficile trovare sfumature lingui-stiche che rendano meglio) è in costante aumento.Nondimeno, a giudicare dalle polemiche e dai li-tigi attorno a ogni nomina, a ogni poltrona, a ogniincarico, piccolo o sostanzioso che sia, non si di-rebbe che la politica sia in “crisi”. Lasciamo per-dere il posto da onorevole, ma perfino il più pe-riferico e marginale posizionamento nella giungladel sottogoverno italico, ha ancora il suo pur mi-nimo prestigio sociale: conferisce, prima diogni altra cosa, uno status di appartenenza a pienodiritto a una casta. Qualsiasi vicepresidenza diqualcosa, qualsivoglia posto in un consiglio diamministrazione di una qualunque controllata,partecipata, municipalizzata, consente a colui chene usufruisce di ergersi dal pantano dell’ordinario,di elevarsi dalla dimensione frustrante di cittadino“comune”. In genere, i nomi che si avvicendanoda questa a quella poltrona sono più o meno glistessi: un ristretto club di ferini, per quanto precarie parassitari, predatori di cariche e predoni di no-mine, spassosa parte di uno show maldestro e sof-focante che confligge con il disperato crescentebisogno di sostanza che i cittadini chiedono allapolitica.

A Ragusa, finito il tempo delle nomine estivedel sottobosco del potere, è ora di rimpasti e ri-strutturazioni di giunte. Il tutto sullo sfondo diuno scenario sempre uguale, sempre identico ase stesso. Al contrario di Eraclito e del suo pantarei per Leontini e compagni niente scorre.

Correva l’anno 1967, al Congresso di Milanodella gloriosa Democrazia Cristiana, nasceva lacorrente dei “pontieri”, con il proposito di fare

da ponte (e per questo così detta) tra la maggio-ranza e la sinistra del partito. Raccolse il 12% esubito si pose il problema della sua rappresen-tanza in seno alla direzione del partito. AdolfoSarti chiese un parere a un funzionario della DC,tale Massimiliano Cencelli, che propose di adot-tare il metodo in uso nei consigli di amministra-zione delle società: tante azioni possedute, tantirappresentanti in percentuale. Sarti volle che Cen-celli lavorasse all’ideazione di un vero e propriosistema da usare per tutte le nomine. Fu da quel-l’idea che nacque il famoso “manuale Cencelli”:da lì a poco diverrà lo strumento di riferimento,adottato anche per la nomina di ministri e sotto-segretari del secondo governo Leone (e di tuttigli altri che seguirono) e via via esteso a ogni in-vestitura di organismi e consigli di ogni ente. Sitratta di un calcolo complesso e flessibile per cuiogni posto ha un “valore”: per esempio il mini-stero degli Interni ha un valore maggiore di quellodei Beni culturali. E così per i sottosegretari (pareche un posto da ministro valesse due sottosegre-tari e mezzo). Insomma un calcolo che tiene contodel valore aritmetico, ma anche del peso politicodell’incarico, della rappresentanza geografica evia dicendo. Il “manuale Cencelli” funse durantela Prima Repubblica da norma regolatrice che ve-niva adottata in tutti i casi in cui c’erano posti dipotere da spartire.

Sulla scorta di questo epico strumento di lot-tizzazione, la nomina estiva, in quota Peppe Dra-go, di Rosario Alescio (presidente anche dellaCrias, e già presidente di tanti altri enti esottoenti) prelude a quella della presidenzadella Soaco (Società aeroporto di Comiso) che,secondo le logiche del Cencelli, sarà un appan-naggio di Leontini (Pdl già lealista), e a quelladel Consorzio universitario, attribuita alla com-

ponente politica facente capo a Nino Minardo (exPdl Sicilia che non ha seguito Miccichè nei suoitortuosi propositi). Per la Soaco, a sua volta, èprevalso il criterio geografico (andrà a un comi-sano, che vanta nel proprio curriculum, oltre al-l’esperienza nel settore alberghiero, il fatto di es-sere cognato del sindaco di Ragusa), mentre peril Consorzio universitario, c’è una disputainterna alla componente del giovane deputato mo-dicano. Più cruente le controversie per qualcheposto in più o in meno in varie giunte comunali.Spiccano le beghe interne al Pdl per la nominadegli assessori della giunta Alfano a Comiso, no-mina per la quale, dopo un rimpasto e degli im-provvisi cambi notturni di nominativi, si èsfiorata la sfiducia. Bega non di poco conto, so-prattutto perché tiene in sospeso la nomina deinuovi assessori alla Provincia regionale, dove siattende la risoluzione della crisi comisana e il rie-quilibrio delle componenti per poter procedereal riassetto di giunta, anche a fronte della nascitadi nuovi gruppi e dei numerosi transiti di consi-glieri da un partito a un altro, da uno schieramentoa un altro. Ora, non è che queste pratiche - discu-tibili, si capisce - ci scandalizzino più di tanto:ne abbiamo viste abbastanza per considerarci or-mai uomini di mondo, e di anni di militare a Cu-neo (come direbbe il principe De Curtis) ne ab-biamo fatti anche più di tre. Quel che invece ciappare sotto il limite di guardia della decenzasono le carenze e le omissioni, le diserzioni e laconseguente mancanza di rappresentatività chesegna la vita di un territorio che, ancorché in crisi,meriterebbe, per le sue comunque cospicue po-tenzialità, ben altra attenzione. A fronte di un so-lerte attivismo volto alle spartizioni e ai politi-cantismi, segni del basso impero in cui viviamo,ciò che colpisce sono i ritardi e i silenzi di sindaci

Tante beghe nel Pdl, della cosiddetta opposizione non si hanno notizie

Politica iblea: attorno al poteresilenzi e spartizioni

14 n. 01 Gennaio 2011Politica

A Ragusa, finito il tempodelle nomine estive

del sottobosco del potere,è ora di rimpasti

e ristrutturazioni di giunte.Il tutto sullo sfondo

di uno scenario sempreuguale, sempre identico

e negativo

Innocenzo Leontini Nino Minardo

La Voce dell’Isola

e deputati allorquando c’è da difendere un patri-monio di memoria e di ricchezze dai tentativi dichi vorrebbe subordinarlo ad altri interessi chenon siano quelli collettivi. Quando c’è da inter-venire affinché opere appena finanziate ed appal-tate necessitano già di integrazioni. Quando, an-che dopo averle completate, si impantanano trai nebbiosi meandri della burocrazia o affondanotra l’indifferenza e l’incapacità di andare oltrel’ostacolo. Quando i soldi pubblici vengono sper-perati o mal spesi o, peggio, vengono dirottati nel-le tasche dei più furbi. Trivellazioni petrolifere,vicende paradossali quali l’Aeroporto di Comiso,la Ragusa-Catania, la Siracusa-Gela, l’assegna-zione dei fondi ex Insicem, il Parco degli Ibleie il Piano paesistico rilevano con incredulità orala defezione, ora l’incapacità e il poco peso, ora

le sordide complicità, sempre l’inadeguatezza diuna classe politica via via meno in sintonia congli interessi di un intero territorio e dei propri elet-tori. Della cosiddetta opposizione non abbiamonotizia alcuna.

Talvolta intenta a tentar di ricucire gli strappidei pezzi che perde per strada, talaltra preda diatti di estremo e patetico narcisismo personaledi rilievo politico nullo. Di Giacomo che si in-catena prima, e dopo minaccia di reincatenarsi,per protestare contro i ritardi nell’apertura del-l’aeroporto, è uno dei più esilaranti repertori ap-partenenti alla logica stracciona del machiavellotattico-strategico propria degli urlatori di piazza,e buona solo a ottenere un rilievo mediatico afronte di un’inguaribile disperazione politica. Pro-testare (in fin dei conti) contro se stessi, le proprie

scelte sbagliate del passato, che hanno causatoanni di impasse, vuol dire far sprofondare la po-litica nel baratro del falso sistematico, delle van-terie ridicole. Le proteste di Di Giacomo hannosemmai messo in piazza l’ormai quasi nulla ca-pacità di mobilitazione di una parte politica che,fino a non più di qualche anno fa, rappresentavagran parte dei cittadini iblei. Vedere gli eredi diuna grande tradizione politica riuscire a portarein piazza a malapena trenta o quaranta persone(inclusi i cani e i gatti al seguito), nemmeno lostretto apparato del PD, provoca infinite malin-conie.

In ogni caso, chiunque sappia dove sia finitoil PD ragusano ci faccia il piacere di farcelo sa-pere.

Ern. Gir.

n. 01 Gennaio 2011 15PoliticaI nomi che si avvicendano

da questa a quella poltrona sono piùo meno gli stessi: un ristretto clubdi predatori di cariche e predonidi nomine, spassosa parte di uno

show maldestro e soffocanteche confligge con il disperatocrescente bisogno di sostanza

che i cittadini chiedono alla politica

In libreria o richiedendolo direttamenteIl romanzo di Marika Cannata

IL CORAGGIO DELLA LIBERTÀ

Un affresco vivace del periodo dei moti risorgimentali siciliani

che vide Catania come importante teatro di scontri fra rivoluzionari

e truppe borboniche

CATANIA - VIA DISTEFANO n° 25Email: [email protected]

Rosario AlescioRosario Di Bernardo

con Michela Vittoria Brambilla

La Voce dell’Isola

di ERNESTO GIRLANDO

Saltando decisamente le paginate di giornalededicate quotidianamente ai cosiddetti casidella politica, che casi poi non sono ma appenal’ossessiva reiterazione (in peggio) di un poli-ticantismo arcaico e consumato, rimane lostordimento del cosiddetto ceto politico, ormaicosì assente e ottenebrato al punto da non ren-dersi più conto che di ora in ora la sua reputa-zione si fa sempre più debole e precaria. Il climaè irreale, del tutto somigliante all’atmosfera sur-reale del concerto finale dell’orchestra delTitanic che, nel salone di prima classe, continua-va a suonare anche dopo la collisione nel ten-tativo di distrarre i passeggeri, ancorché ildestino della nave fosse segnato. Solo chedalle orchestre dei Palazzi arrivano note semprepiù stonate e dissonanti.

La fine di un bipolarismo mai nato è forsel’unica vera novità emergente dalla profonda cri-si politica che rischia di trascinare nel baratrol’intero Paese.

La storia italiana degli ultimi quindici anni èstata segnata da un’infinita serie di tentativi (fal-liti) di costruire forze maggioritarie o tenden-zialmente tali. Il crollo ultimo dei due cardinidel bipolarismo nazionale, Popolo della Libertàe Partito Democratico, impone a tutti di fare iconti con il fallimento.

L’uscita di Fini, da un lato, così come quelladi Rutelli e di Veltroni (anche se arrestatasi que-sta in ritirata tattica) dall’altro, sono rivelatoridi contrasti strategici di fondo che nessun con-tenitore improvvisato e fondato solo sul tentativodi sommare numeri, potrà ancora confondere alungo. Né l’idea del terzo polo sembrerebbe ade-guata alla qualità dell’iniziativa politica che ilmomento storico impone: non si tratta di

mettere insieme pezzi e cocci dei vecchi schie-ramenti, raccogliere fuoriusciti e rubarsi rappre-sentanze istituzionali.

Né si tratta di allargare la maggioranza par-lamentare con qualche altro acquisto: servirebbe

solo a vivacchiare ancora qualche mese, conge-lando gli attuali equilibri politici che da anni nonconsentono di realizzare le necessarie riformee frenano la nostra competitività a ogni livello,in ogni settore. Se Berlusconi riuscirà a sedurreCasini con l’arma di una buona iniziativapolitica (ma è difficile che il leader dell’Udc ri-nunci a giocare la carta che ha in mano: l’op-posizione di centro allo stesso Berlusconi nel ten-tativo di costruirne l’alternativa), bene, altrimentil’unica soluzione è il ricorso alle urne.

Altre scelte sembrano impraticabili anche seil Pd “dalemiano” fa le prove del suicidio pro-ponendo un governo tecnico per la legge elet-torale e la gestione della crisi economica. Cosache regalerebbe al Cavaliere l’arma micidialedel golpe subito da utilizzare in campagna elet-torale. Per il resto altre possibilità di continuarela legislatura non se ne vedono. Né, al momento,sembra pensabile che l’accoppiata Tremonti-Bossi possa compiere le sue idi di marzo, pen-sionare Berlusconi e ottenere da Napolitano l’in-carico di formare un governo che possa reim-barcare Fini e provarci anche con Casini. Ma quisiamo ai confini della fantapolitica.

Quel che è certo e innegabile, piuttosto, è cheil tramonto del Cavaliere è comunque iniziato;il rischio è che egli riesca a trasformarlo in un“lungo tramonto”. Molto dipenderà dalla Lega,dall’interno della quale qualche sofferenzasulla “fedeltà” a Berlusconi inizia a trasparire.Ma Bossi ha un obiettivo da raggiungere:andare alle elezioni con l’attuale legge elettoralee tanto dovrebbe bastare perché egli continui asostenere il Cavaliere. In fin dei conti la Legapuò infischiarsene di chiunque: possiede un’agi-lità tattica e una base fortemente fidelizzata chele permettono di allearsi con chi vuole senza per-dere un solo voto.

16 n. 01 Gennaio 2011Politica

L’unica novità della politicaè la fine del bipolarismo mai nato

L’attuale ceto politicoè ormai così assente

e ottenebrato al puntoda non rendersi più conto

che di ora in orala sua reputazione

si fa semprepiù debole e precaria

Gianfranco Fini Silvio Berlusconi Pier Ferdinando Casini

Raffaele Lombardo

La profonda crisi che rischia di trascinare nel baratro l’intero Paese

La Voce dell’Isola

Ma il vero fallimento, che paralizza il sistemapolitico e congela gli equilibri nel Paese, è quellodel Pd; un fallimento che blocca ogni possibilitàdi dinamica alternativa. Buona parte dell’elet-torato italiano non ha strade credibili e percor-ribili. La fiducia di cui continua a godere Ber-lusconi viene dalla mancanza di un vero partitodemocratico e liberale che possa competere conil centrodestra. È paradossale che mentre il Pdlcrolla, vive scissioni e sconquassi senza prece-denti, nemmeno lo 0,5 degli elettori si sposti ver-so il Pd. Che ha perso pure l’occasione (almenoper il momento) di agganciare l’area di centro.Un’impasse che sembra senza vie di uscite.

Altrettanto complessa la vicenda siciliana. Lalegislatura isolana sembra appesa allo stesso filodi quella romana. È il paradosso di sempre cheritorna: la Sicilia determina gli equilibri nazionalima le sue sorti dipendono da Roma. E anchequando sorgono “partiti” nuovi, per quanto pre-tendano di muoversi nell’ambito del consuntocopione del filone autonomista, nascono con latara dell’innata predisposizione ad avere un pa-drino politico “romano”. L’ultima creatura diGianfranco Miccichè, figlia del bizantinismo del-la casta siciliana, ne è il più recente degli esem-pi.

Ma la mobilità e la duttilità di RaffaeleLombardo che cambia governi e alleanze a ritmiforsennati confondono anche i più solerti osser-vatori della politica isolana. Un demone che am-

malia, un furore di perenne rimescolamento, unsenso di moto perpetuo, che hanno fatto sì cheperfino la santa alleanza con l’amico Miccichè,quella da cui dovevano scaturire le grandi rifor-me, il nuovo mondo, ma anche il nuovo partito,sia andata in frantumi. Prima i nemici disempre: i cuffariani, gli Alfano e gli Schifani,i Castiglione e i Firrarello, ma dopo? Chi hamandato all’aria la santa alleanza? Resta un pun-to oscuro. Ragioni politiche o mero calcolo dipotere?

In mancanza di una risposta da parte del go-vernatore, un elemento incontrovertibile risaltaagli occhi: più governi si sono formati, più al-leanze sono andate in frantumi, più Lombardoha acquisito forza e rappresentanza, ha occupatoposti ed elargito nomine. Tutto autorizza a pen-sare a un calcolo spiccio: se nel primo governoil dinamico governatore era costretto a dividereil potere in quattro con gli alleati, fatto fuori Cuf-faro ha potuto dividere in tre. Poi eliminati i lea-listi si è trovato a dividere in due con l’amicoGianfranco.

Ma su queste cose, si sa, non si può essere maisoddisfatti e scoperto, con le nomine alle soprin-tendenze, che si poteva dividere per uno (l’ope-razione ideale per Lombardo), ecco che ricomin-ciava a parlare di riforme tradite, di partiti chegli impedivano di attuarle, e a inventarsi nuovetrovate, tecnici e nuove obbedienze. Ha sapien-temente affondato la corazzata del Pdl che in Si-

cilia era solita arraffare quasi un voto su due, conl’alleato Fini che cercava di fare lo stessolavoro a Roma. Ha provato a fare la stessa cosacon il Pd, ma la tradizionale disciplina dipartito degli ex diessini e l’innata vocazione alcompromesso degli ex democristiani hanno pre-valso, consegnandogli nelle mani un partito ap-parentemente unito che rischia di venire dimez-zato alle prossime elezioni.

Il segretario Lupo ha finalmente capito che ilsuo partito è in caduta libera e adesso cerca dismarcarsi. L’epilogo sembrerebbe vicino. MaLombardo non è uomo da arrendersi così facil-mente. Si smarcherà dai nuovi alleati del terzopolo? Tornerà con Berlusconi, rioffrendogli linfaparlamentare per acquisire un posto accanto almanovratore? Rafforzerà la sua posizione in senoal terzo polo? O tutto si risolverà con l’ennesimorimpasto e l’entrata del Pd, insieme con ifiniani, nel governo della Regione? Il Pd ha unafronda interna (Enzo Bianco e Giovanni Barba-gallo), una esterna (da Claudio Fava a Rita Bor-sellino), degli scontenti (Cardinale, Genovesee Papania), tutti in fibrillazione a causa del go-vernatore.

Lupo ha paura della perdita di consensi.Non ha molte strade da percorrere: continuaresulla via intrapresa o far crollare tutto rischiandodi rimanere lui stesso e il suo partito sotto le ma-cerie. Lombardo no, per lui le vie sono sempreinfinite.

n. 01 Gennaio 2011 17Politica

Il vero fallimento,che paralizza il sistema

politico e congelagli equilibri nel Paese,

è quello del Pd; un fallimentoche blocca ogni possibilità

di dinamica alternativa.Buona parte dell’elettorato

italiano non ha stradecredibili e percorribili.

In Sicilia regna Lombardo

Ugo Bossi Antonio Di Pietro Pier Luigi Bersani

Massimo D’Alema Niki Vendola

I sentieri della storia in “Sequentia di palmiere” di Sebastiano Burgaretta

Farsi viandante in un lungo viaggio in Terrasanta

La Voce dell’Isola

Presentare questo libro di Cinzia Spadola “Nelsegno del cancro”, sulla storia di una donna cheracconta in prima persona del suo cancro al senonon è operazione semplice. Cosa c’entro io? michiedo. A me il cancro non interessa, Maiposto un simile problema. Fumo un pacchettodi sigarette al giorno, mangio tutto quello chemi capita a portata di ganasce: carne rossa, giallacon anabolizzanti importati dalla Cina, vino almetanolo, vita sregolata, aria della zona indu-striale insalubre. No, ripeto, il cancro non mi ri-guarda. Il seno non ce l’ho. Mal che vada po-trebbe spuntarmi un nodulo ai testicoli, ma tantoquelli sono già inutilizzabili e, nella peggiore del-le ipotesi, con un colpo secco, zac, si possonorecidere. Ho cominciato a leggere questo libroalle 8 di mattina e alle 9 avevo già finito. Mi hafatto riflettere molto. Le prospettive mi sono ap-parse differenti, la visione della vita anche. Ci

comportiamo come se la nostra esistenza doves-se durare all’infinito, litighiamo per un sorpasso,ci scanniamo per l’eredità dello zio buon’anima,ci affanniamo ad accumulare ricchezze e potere,ci crediamo invincibili (Lei non sa chi sono io!La mia famiglia discende direttamente dal re.Ed io allora? Sono parente di trentesimo gradodell’onorevole Truffarelli, specializzato negli ap-palti sui terremoti) e poi basta un nulla: un ictus,un infarto, un dardo avvelenato che malaugu-ratamente va a cadere sulla nostra testa, per ren-derci conto di quanto labile sia la nostra perma-nenza su questa terra. Non ci sono ricchezze chepreservino dalle malattie.

Non esiste potere in grado di regalarci l’im-mortalità. Siamo granelli di sabbia nel deserto.La nostra esistenza va salvaguardata, la nostracoscienza pure. La qualità della vita è un beneprezioso. Abbiamo dei doveri verso noi stessi.

La protagonista di questo libro con delicata iro-nia racconta la sua storia ed è come vedere unfilm dalle scene incalzanti. Mi proietta in unadimensione che ritenevo irreale, mi porta a co-noscenza di termini per me astrusi: esami di fol-low-up, linfonodi sentinella. E a mano a manoche proseguo nella lettura mi accorgo che la miasigaretta si spegne da sola. Quando arrivo allapostfazione del dott. Paolo Tralongo, primariodel reparto oncologico dell’ospedale di Avola(SR) mi rendo conto di averlo ingoiato, ilmozzicone della sigaretta. “…non va dimenti-cato che la diagnosi del cancro ferma il tempoche improvvisamente appare perduto e proiettatoa chiudere repentinamente l’esistenza dell’in-dividuo.

Nel segno del cancroEdizioni Sampognaro&Pupi

Pagg. 65 € 10.00

“Nel segno del cancro”, di Cinzia Spadola, la storia di una donna

Nel dolorevisioni diversedi una vitariflessa

18 n. 01 Gennaio 2011Cultura

“Non esiste poterein grado di regalarci

l’immortalità.Siamo granelli

di sabbia nel deserto.La nostra esistenza

va salvaguardata,la nostra coscienza

pure”

di SALVO ZAPPULLA

Mi è capitato, anni addietro, di percorrere un lungotragitto in auto assieme a Sebastiano Burgaretta, in quel-l’occasione parlammo a lungo o forse mi limitai adascoltarlo, affascinato dalla sua eloquenza. Mi raccontòdei suoi studi, del suo carattere schivo, della sua ostinatadeterminazione a rifiutare il presenzialismo e diquanto, quelle poche volte in cui era costretto aesporsi, fosse per lui una sofferenza. Ma soprattutto miraccontò della sua grande spiritualità, la sua fede in-crollabile che lo sosteneva anche nei peggiori momentidella vita. Lo invidiai in quel momento, io che non hoil coraggio di volgere lo sguardo al cielo, mi rendevoconto che da lì scaturiva la sua forza, l’umiltà, la ricercacontinua, la capacità di indagare oltre le capacità ra-zionali dell’uomo. Da allora ho sempre seguito con cu-riosità e interesse la sua vasta produzione letteraria, che spazia dagli studietnoantropologici, alla critica, alla poesia. Non mi ha sorpreso, quindi,leggendo questa sua ultima fatica, “Sequentia di palmiere”, il suo viaggioin Terrasanta, il suo farsi viandante, tastare con mano le ferite di questaterra martoriata, ripercorrere passo dopo passo i sentieri della storia del

cristianesimo; raccogliere con mano umile il sudore eil sangue versato da Gesù Cristo, le ferite e lo scempiocausati dalla scelleratezza umana …Nel buio e nel si-lenzio della sera,/ privilegio donato dentro l’orto,/ lamano mia carezza i tronchi/millenari,antichitestimoni/del tuo immane dramma./Avverto l’ombra tuasostare qui,/a darmi refrigerio siderale/fra le chiome el’argento degli ulivi… Sebastiano cita passi dellaBibbia, frammenti del suo vissuto, considerazioni per-sonalissime, un caleidoscopio di emozioni e sensazioniche coinvolgono il lettore. Orrore, ripete più volte nellesue poesie. La sua è sofferenza autentica, un urlo silen-zioso che si leva dall’anima. Attraverso le sue lirichesembra voler chiedere perdono per il male causato dagliuomini ai fratelli, alle creature indifese, al loro stessoCreatore. Consapevole però che la capacità di redenzionelava le colpe, induce alla speranza. È forte la tentazione

di rimanere in quei luoghi dilaniati, altrettanto forte la certezza che nullapotrà scalfire la forza racchiusa dentro di sé.

Sequentia di palmiere edizioni Archilibri

pagg.70, €. 6,00

Sebastiano Burgaretta

di SALVO ZAPPULLA

“Cu nesci arrinesci”. Chi se ne va, fa fortuna.È questo il titolo di un gustosissimo pocket, editoda Di Girolamo, in libreria da qualche mese. Unospaccato su una generazione di giovani che non tro-va spazi in Sicilia, che per lavorare e inseguire i so-gni deve lasciare la propria terra. Un fenomeno si-lenzioso che sta lentamente svuotando la Sicilia dirisorse umane, compromettendone il futuro. La Si-cilia, tra speranze tradite e nuova emigrazione, rac-contata attraverso le testimonianze di personaggidella cultura, dello spettacolo, della politica: Gio-vanni Puglisi, Enrico Lo Verso, Ficarra e Picone,Stefania Prestigiacomo, Nino Frassica, Marina LaRosa, Puccio Corona, Tony Sperandeo, SilviaSalemi, Anna Kanakis, il Mago Forest, Lando Buz-zanca, Rita Borsellino. L’autore è il giornalista Giu-seppe Matarazzo, redattore economico del quoti-diano Avvenire. Siracusano, 33 anni, dal 2004 vivea Milano. Dopo gli esordi nelle cronache siciliane,è approdato in Mondadori. Ha scritto per i settima-nali Tu, Sorrisi e Canzoni, Star Tv e il sito di Pa-norama. Nel 2008, con Orazio Mezzio, ha pubbli-cato il pamphlet Politica, le idee contano ancora?(Rubbettino). Ecco il colloquio che abbiamoavuto, nel corso di un recente incontro.

Giuseppe, in Sicilia abbiamo il sole, il mare,la buona cucina, eppure i giovani se ne vanno.Come tu stesso fai rilevare nel tuo libro, l’ultimorapporto dello Svimez parla chiaro: ogni annodal Sud vanno via centomila giovani lavoratori,dei quali oltre 28mila siciliani. Tu sei giornalista,come mai i grandi gruppi editoriali sono con-centrati al nord? E perché per affermarsi nelcampo giornalistico bisogna fare le valigie?

Non vale solo per il giornalismo. Al Nord nonci sono solo le più importanti realtà editoriali. Cisono anche le più importanti aziende, banche, as-sociazioni e una pubblica amministrazione che rea-lizza servizi e strutture per i cittadini. L’autostradaMilano-Venezia è un alternarsi continuo di inse-diamenti produttivi. Da Catania a Palermo c’è pra-ticamente il deserto. E in questo deserto noisiciliani impariamo a confrontarci, a scommetterci,a interrogarci. Così da una parte la Sicilia diventauna palestra straordinaria: lo è stata per me da cro-nista, ma lo è anche per un poliziotto, un medico,un insegnante o un commerciante. Dall’altra è untappo alle proprie aspirazioni. Perchè in Sicilia –

con qualche rara isola felice nell’isola – le oppor-tunità sono limitate e ho l’impressione che a moltiamministratori e cittadini, questo quasi quasiconvenga. Ci si adagia in questo torpore. Con unassistenzialismo e un clientelismo che permettonoa larghe fasce di popolazione di vivacchiare tran-quillamente. Con partiti e politici che hanno mo-nopolizzato il “mercato” del lavoro, trasformandosiin uffici di collocamento. La politica che sialimenta creando bisogni. Lo hanno denunciato an-che i vescovi italiani in un recente documento sulMezzogiorno: è la classe dirigente e l’abbracciopolitica-mafia il cancro del Sud. E chi vuoleinvece essere libero e camminare con le propriegambe? Sente il richiamo del vecchio Alfredo algiovane Totò in “Nuovo Cinema Paradiso” di Giu-seppe Tornatore: Vattinni. Vattene. “Lascia questaterra maligna. Non ti fare fottere dalla nostalgia”.È quasi un imperativo: se vuoi inseguire i sogni dal-la Sicilia devi andartene. Poi ci sono storie

diverse, fortunatamente, di chi ce l’ha fatta. Ma an-dare o restare dovrebbe essere una libera scelta.Invece oggi per 28mila giovani all’anno andare èuna necessità. Le valigie non sono più di cartone,sono trolley firmati. Ma c’è lo stesso desiderio direalizzarsi e di trovare fuori quello che l’Isola pur-troppo non ti dà.

Ci vuole più coraggio a partire o a rimanere?Ci vuole coraggio in ogni caso. Si parla impro-

priamente di “fuga” per quelli che se ne vanno.Come se il coraggio ce l’avesse solo chi rimane eresiste e combatte. Ci vuole coraggio a partire, per-ché oltre quella striscia di mare non si sa cosa sitrova. Ci vuole coraggio a restare, ma senza perquesto essere necessariamente eroi o martiri di cuiè tristemente segnata la storia dell’Isola. Io pensoche in assoluto ci vuole più coraggio a partire epoi tornare. A realizzarsi pienamente al Nord o al-l’estero e poi un giorno decidere di mettere a fruttola propria esperienza in Sicilia. Una scelta non fa-cile. Che può costare caro. Ci sono esempi positivi

meravigliosi, ma anche storie di chi si è scottato.E tu ti sei scottato?Dopo la mia esperienza in Mondadori, a Milano,

pensavo di poter investire nuovamente in Sicilia.Ma mi sono scontrato con forze titaniche a livelloamministrativo e politico che impedivano ogni for-ma di innovazione, almeno dal mio punto divista. Un progetto è valido o no a seconda di chilo presenta e a quale partito appartiene. Così comeper i concorsi pubblici: spesso banditi non per co-prire una reale necessità ma per sistemare qualcunoin particolare. Altro che merito! Insomma, mi sonoscottato, sì. Ho pagato il prezzo della “nostalgia”.Ho ripreso la valigia. E ho trovato l’Avvenire. Sem-pre a Milano. Certo, la Sicilia me la porto dietro.Cammina con me. Come cammina con tutti i per-sonaggi intervistati nel libro.

L’analisi che emerge dal tuo libro è impietosa,i numeri del “disastro” come li definisci tu, nonlasciano spazio alla speranza. Miliardi di fondidilapidati in corsi di formazione inutili e opereincompiute. Perché tutto questo? Colpa dellaclasse politica? Degli imprenditori? Della ma-fia?

Colpa dei siciliani. Popolo straordinario che, perusare un’espressione alla Camilleri, prende la for-ma dell’acqua. Si adatta a tutto. Accetta supina-mente quello che classe politica, imprenditori e ma-fiosi propongono. Senza ribellarsi. Tranne in casirari ed estremi. Come nel dopo-stragi del 1992.Guizzi di indignazione in un mare silenzioso di“tranquillità”. Se la Sicilia fosse quella che rac-contano i numeri, nudi e crudi, con la disoccupa-zione giovanile realmente al 30% e il reddito medioai limiti della povertà ci sarebbe la rivoluzione, laguerra civile. E invece niente. Tutto tace. Lavoronero diffuso, assistenzialismo dilagante, poche re-gole, infrastrutture fondamentali viste come unaconquista dopo 20 o 30 anni. La verità è che a moltisiciliani questo stato di cose sta bene. E sta beneanche alla classe dirigente perché gli permette dimantenere il potere sul bisogno della gente. Un cir-colo vizioso che “imprigiona” l’Isola. Il fiume dimiliardi arrivato con i fondi europei in questo de-cennio avrebbe potuto rimettere a nuovo la Sicilia.Come hanno fatto l’Irlanda o le regioni piùpovere della Spagna. E invece no. Noi li abbiamodispersi in mille rivoli per garantire l’esistente, fi-nanziare corsi di formazione inutili e ristrutturarecasolari di campagna per trasformarli in impro-babili agriturismi. Quanti posti di lavoro hanno pro-dotto? Boh, nessuno lo sa. Mentre il divario conil Nord, certificato da Bankitalia, aumenta.

Ma è davvero così complessa quest’isola? Certo. Ovviamente io estremizzo le situazioni per

andare al cuore dei problemi. Si può restare e riu-scire. Come hanno fatto anche molti miei amici. Cisono professioni per le quali non è necessario il sa-crificio della partenza.

A colloquio con Giuseppe Matarazzo, autore di “Cu nesci arrinesci”

È vero che chi lascia la Siciliaincontra altrove tanta fortuna?

La Voce dell’Isolan. 01 Gennaio 2011 19Cultura

“Si parla impropriamentedi “fuga” per quelli che

e ne vanno. Come se il coraggioce l'avesse solo chi rimane

e resiste e combatte…”

La Voce dell’Isola

È stato l’affermato scrittore e politico Ema-nuele Macaluso ad aprire il ciclo di “Incontri conl’autore” proposto dal Consorzio Universitariodel Mediterraneo Orientale (Cumo) di Noto, pre-sieduto da Egidio Ortisi, presentando a PalazzoGiavanti il suo ultimo libro, edito da Feltrinelli,“Leonardo Sciascia e i comunisti”.

Una forte citazione tratta dalla stessa opera haaperto l’incontro: «La storia ci insegna che ilMezzogiorno, se non c’è una forza che operacontrocorrente producendo cultura politica concomportamenti alternativi ai metodi parassitari,decade».

A introdurre il libro è stato Giovanni Teodoro,docente di Diritto Pubblico all’Università “LaSapienza” di Roma, che ha sottolineatocome il pensiero sciascianonon risulti essenziale solo perla formulazione della que-stione meridionale, ma perl’intero Stato nazionale: «So-litamente l’età non è indice es-senziale di competenza e capa-cità – ha affermato Teodoro -ma certamente gli 86 anni diMacaluso, portati e vissuti contanta vitalità, sono sintomatici diun modo di fare politica che oggisi sta perdendo».

«Ai giovani di oggi LeonardoSciascia può dire qualcosa?».Questo il quesito con cui haaperto il proprio intervento Emanuele Macaluso,fornendo poi la propria personale risposta:«Può dire molto ai giovani nel momento in cuiaffrontano il loro avvenire nella Sicilia, ma anchenell’Italia e nel mondo di oggi. Leonardo Scia-scia è ancora oggi urgentemente attuale – ha con-tinuato Macaluso - perché l’impianto di tutti isuoi scritti e del suo pensiero può essere rias-sunto nella battaglia strenua per la giustizia e perla verità. È di questo che hanno bisogno oggi igiovani».

Tra gli argomenti più intensi che sono stati af-frontati la «potenza terribile del potere»: «Scia-scia individua ovunque il potere si annida e loanalizza – continua Macaluso - il potere dellamafia, dello Stato, dei magistrati, ma anche del-l’antimafia e dell’antiterrorismo. O anche il po-tere della scienza, con l’analisi della scomparsadi Maiorana».

Lo sguardo lucido e impietoso di Macalusosi sposta poi sulla lettura e sul racconto delle vi-cende storiche attraverso la rievocazione dei ca-polavori sciasciani, da “Il giorno della civetta”a “Todo modo”: «In molti hanno accusatoSciascia di dipingere uno Stato impotentecontro la mafia. Ma lo Stato in quegli anni era

impotente, 36 sono stati i dirigenti sin-dacali uccisi e nessuno ancora oggi èstato condannato. La mafia non è unforuncolo che si taglia con l’azionedella polizia, che ci deve essere. Mail problema riguarda la cultura e la for-mazione dei cittadini. E Sciascia, giànel Sessanta, diceva: per combatterele mafie andate nelle banche».

Il rigore effettivo e quello presuntodelle leggi italiane sono poi al vagliodell’ex direttore dell’Unità, che si èscagliato contro «la debolezza delleleggi, che quando non sono adegua-te sono “forzate”, in modo cheanche i cittadini pensino che si può

fare, creandosi ciascuno delle leggi per sé». Ilracconto si colora poi di ricordi personali, par-lando a ruota libera dei rapporti complicati traSciascia e il partito comunista, della sua vervee della sua estrema autonomia di pensiero, le suedimissioni da parlamentare dopo gli accordi trail partito comunista e la Democrazia Cristiana.

Una carrellata che investe in pieno passato,presente e futuro, accompagnata da sprazzi disaggia e lucida esperienza di un uomo che tantoha vissuto e tanto ha da trasmettere ai giovani.

Do. Co.

La stagione invernale porta in Sicilia una magnifica fioritura di libri

Macaluso: “Ecco come Sciasciaparlerebbe ai giovani d’oggi”

20 n. 01 Gennaio 2011Cultura

Negli “Incontricon l’autore”, del ConsorzioUniversitario Mediterraneo

Orientale di Noto,l’intellettuale nisseno

esprime la sua opinione:«Il Sud, senza una forza

controcorrente che scardinii metodi clientelari,

è destinato a decadere».

Emanuele Macaluso Leonardo Sciascia

La Voce dell’Isola

In occasione del 25° anniversario della morte,avvenuta il 12 dicembre 1985, le Edizioni LaZisa e il movimento “Un’altra Storia”, pressoil salone della Chiesa valdese a Palermo, hannopresentano il volume della giornalista RosariaBrancato “Con i tuoi occhi. Storia di GraziellaCampagna uccisa dalla mafia” (La Zisa), giàalla seconda ristampa in un mese. Sono inter-venuti Daniele Billitteri, presidente AssostampaSicilia; Rita Borsellino, eurode-putato; Piero Campagna, fratellodi Graziella; Vittorio Corradino,presidente Ordine dei giornalistidi Sicilia. Modera: Roberto Pugli-si, giornalista.

La straordinaria vicenda di Gra-ziella Campagna raccontata anchedallo sceneggiato della Rai “La vitarubata” con Beppe FiorelloNonsuccede mai nulla di terribile a Sa-ponara. Cosa può accadere in unpaesino arroccato sulle montagne,in provincia di Messina, la provinciababba? Qui non esiste la Mafia enessuno può fare del male a una ra-gazzina. Ma il 14 dicembre 1985,due giorni dopo la scomparsa, ilcorpo della 17enne Graziella Campa-gna è ritrovato nello spiazzale di uno dei fortiniche sovrastano la città. Su quel cadavere stra-ziato, i chiari segni di un’esecuzione mafiosa.

In questo libro, la giornalista Rosaria Brancatoricostruisce, con il piglio della cronista, i 24 in-terminabili anni di ricerca della verità giudiziaria,svelando insabbiamenti e – con essi – le collu-sioni di un mondo parallelo a quello ufficiale,in cui criminali si mescolano alla gente perbenee alle istituzioni. Ma soprattutto, con la sensi-bilità della scrittrice, Brancato restituisce voce

alle vittime di questa vi-cenda: a Graziella, al fra-tello Piero – l’instancabi-le carabiniere che non hamai smesso di cercare laverità agli altri membridi una famiglia “nor-male” travolta dal dolo-re, schiacciata da unmeccanismo più grandedelle loro vite di cuinon avrebbero mai so-spettato neppure l’esi-stenza.

Rosaria Brancatolaureata in ScienzePolitiche, giornalistaprofessionista, ha la-vorato presso La Re-

pubblica, Il Giornale di Si-cilia, L’Ora di Palermo, La Sicilia e presso leemittenti televisive Telecolor, Antenna Sicilia,Tgs, Televip.

È stata portavoce del sindaco di Messina nel2006 ed ha curato uffici stampa in occasione del-le campagne elettorali per diverse formazioni po-litiche. È responsabile provinciale della commis-sione Pari opportunità della Fnsi e vice delegatanazionale. Le Edizioni La Zisa aderiscono ad“Addiopizzo” e a “Libera” di don Ciotti e tuttii volumi pubblicati sono certificati “pizzofree”.

Seconda ristampa del libro di Rosaria Brancato

Graziella Campagna uccisa dalla mafia

n. 01 Gennaio 2011 21Cultura

L’opera prima del calatino Biagio Pace Gravina

I bottoni del baroneUn folto pubblico ha assistito, nella libreria Mondadori di corso Sicilia

a Catania, alla presentazione de "I bottoni del barone", opera prima delbarone calatino Biagio Pace Gravina.

Un romanzo corale, ricco di personaggi, sui quali troneggia la figuradi don Paolo Guttadauro, barone della Ganzaria che, come sottolineatodall'autore, amministra il suo enorme patrimonio senza colpi di testa, inmaniera oculata, conscio che il suo compito è quello di conservare ciò chedi buono Gli hanno tramandato gli antenati e con la consapevolezza didover garantire una vita dignitosa a chi lavora per Lui. Quella in cui compieil suo percorso umano il barone Guttadauro, è una società - ha sottolineatoil giornalista Daniele Lo Porto - sì divisa in classi sociali, con regole ecomportamenti ben precisi, ma la cui diversità è solo di facciata perchétutti, dal barone al venditore ambulante, sono accomunati dallo sforzo diaffrontare le difficoltà del vivere quotidiano. Il romanzo, attraverso le vi-cende di don Paolo, ha proseguito il relatore, ci permette tutta una seriedi osservazioni sulla politica, sugli usi e sui costumi della società sicilianadella fine dell'Ottocento. A Silvia Ventimiglia, conduttrice radiofonica diStudio 90 Italia, il compito di tratteggiare le caratteristiche dei tanti per-sonaggi che completano il canovaccio del romanzo. Personaggi che, se-condo la relatrice, vengono descritti con tale dovizia di particolari dall'autoreche, anche, al lettore più distratto suggerisce si tratti di un romanzo au-tobiografico. Ed infatti sollecitato, l'autore ammette di aver fermato sulle

pagine del libro i racconti e lememorie di chi quei perso-naggi, quelle atmosfere, avevavissuto o ne aveva sentito par-lare.

Questo qualcuno, ha dettocommosso Biagio Pace, "...èstata mia nonna Rosa, la donnapiù importante della mia vita".Da lì il riferimento a personagginoti e realmente esistiti ha fattosì che venisse fuori che la maggiorparte di essi appartenne alla nobilefamiglia dei Cultrera di Montesanoo alla potente famiglia, militellesed'origine ma trapiantata a Catania,dei Majorana. Famiglia, quest'ul-tima, nota per aver dato all'Italiaben due ministri, tre rettori all'Università di Catania ed aver consacratonella leggenda il fisico teorico Ettore, scomparso misteriosamente nel 1938.

Al dibattito, che è seguito, è intervenuto, tra gli altri, il giornalista-scrittorePiero Isgrò.

Graziella Campagna

La Voce dell’Isola

di DARIO STAZZONE

L’ultimo romanzo di Piero Isgrò, Il vulcanospento, ha per sottotitolo Una delicata storiad’amore nella Catania del dopoguerra. Fin dalleprime pagine ci si imbatte nell’articolazione deipiani narrativi e nella ricchezza di un libro chenon si limita a raccontare una vicenda d’amore.Isgrò restituisce l’immagine odiosamata di unacittà ricca di antinomie, che dai vicoli popolaridella Civita, limitrofi ai palazzi aristocratici delSettecento, si estende fino alle ville nouveau diOgnina, profumate dai gelsomini e lambite dallabrezza del mare. La vitalità dei quartieripopolari rivela un verso oscuro nel sottoboscoche vive di violenza e inganni, mentre la bor-ghesia cittadina non disprezza compromessi in-confessabili per perseguire i propri fini. Leggen-do con attenzione il romanzo si scorgono ancheaspetti positivi della città dell’epoca, che con isuoi storici licei (primo tra tutti il Cutelli), conla sua intelligenza diffusa, con i luoghi diritrovo ricchi di una vita artistica sorprendenteper la profonda provincia, era ancora un centrovivo, dotato di forti paradigmi identitari: assailontano dall’attuale condizione di non luogo edi metropoli imperfetta.

Il vulcano spento è introdotto da dueepigrafi, vere e proprie soglie paratestuali. Daun lato il Romeo e Giuletta di Shakespeare: «Altisono i muri del giardino e difficili da scalare»,dall’altro i versi del catanese Giuseppe Villaroel,che in una quartina dai modi facili condensa unariflessione sulla sublimazione amorosa: «Tum’amasti d’amor spirituale, / io come idea pu-rissima t’amai, / senza un sorriso e senza un ba-cio mai, / soli, e racchiusi dentro il nostro male».Il “male” di un amore giovanile ed ancora tuttoideale affligge il protagonista, Paolo Cormons.Fin dal capitolo incipitario lo scrittore ci intro-duce nel mondo di Paolo, nel cuore del quartieredella Civita: «Il nostro appartamento è al secon-do piano di un edificio costruito agli inizi delNovecento, vicino al carcere e a una piazza in-significante dedicata ad Angelo Maiorana». Il

padre di Paolo, che nel naturale gioco delle am-bivalenze è termine di paragone per il protago-nista, è docente di storia e filosofia presso il Li-ceo Cutelli di Catania, un comunista amico diuomini come Carmelo Salanitro e Giovanni Al-banese. Mentre Paolo vive le sue avventure amo-rose osservando la città attraverso una focaliz-zazione quasi del tutto ristretta alle vie lastricatedi lava, il padre Adamo sembra rappresentare,nel suo amore per i viaggi e lo studio, nella pas-sione politica e nella capacità di indignazioneper l’andazzo delle cose italiane, un più maturoe consapevole desiderio di fuga dalla provincia.Ma la penna icastica di Isgrò restringe anche ifurori del professore ad un innocuo esercizio del-lo ius murmurandi. Nella profonda provinciapersino l’uso della ragione può diventare maniae rovello, come testimoniava Brancati prima an-cora di Sciascia: «noi siciliani siamo troppo in-telligenti, abbiamo il vento caldo del Sud checi placa e quello freddo del Nord che ci stimola:in verità, due formae mentis che donano al si-ciliano “una facoltà di comprendere che nessuneuropeo e nessun africano ha mai avuto”.Forse sta in questo la diversità della nostra gente,una diversità tutta intellettuale, e quindi anchespirituale, una diversità che talvolta si tramutain difficoltà. E qui nasce il paradosso. Siamo tal-mente avanti con lo spirito che ci troviamo in-dietro con la materia, siamo talmente intelligentida sfiorare la stupidità». Tra i «borbotii civitoti»e uno studio non entusiastico del diritto, Paoloincontra la coetanea Patrizia Scolaro che gli ap-pare, nel delicato sorriso della bocca perfetta,più bella di Alida Valli. L’innamoramento delgiovane vive di una forte idealizzazione d’og-getto e dunque dell’impossibilità di giungere pie-namente ad esso. Isgrò usa con sapienza uno deipiù antichi statuti letterari, quello delle giovanicoppie separate dalle vicende avverse che si ri-trovano dopo molteplici peripezie. La sorte diPaolo e Patrizia è già segnata dai nomi, uniti nonpropriamente dal rapporto paronomastico dellecoppie gemellari cantate dalla letteratura classicae ovidiana, ma dalla cadenza anaforica: del resto

il nome di Patrizia (per il quale è lecito imma-ginare un altro livello di simbolismo onomastico,che contrappone la ricca fanciulla al suo «prin-cipe povero» della Civita), scarnificato e ridottoal nomignolo “Pat”, riconduce ai più dolci ricordidi Paolo. Leggendo il romanzo si scopre infattiche Patrizia altro non è che l’amata compagnad’infanzia “Pat” : ma il rapporto d’amore traPaolo e la ragazza è reso difficoltoso dalla dif-ferenza sociale e politica, da più remoti motivifamiliari e dai continui fraintendimenti. In unavera e propria coazione a ripetere, Paolo e Pa-trizia-Pat dovranno nuovamente separarsi e ilgiovane protagonista rimarrà inconsapevoledi aver ritrovato l’oggetto d’amore della sua in-fanzia. Ovviamente il romanzo di Isgrò non fi-nisce qui, e l’impossibilità del protagonista diconoscere un amore pieno con la ragazza idea-lizzata, vero e proprio fantasma preedipico, siscioglierà nel rapporto con una donna assai di-versa proveniente dai quartieri poveri posti a Suddella città. “Pat” rimarrà un ricordo malinconico,consustanziale al velo nostalgico con cui lo scrit-tore ha reso la Catania vitale del dopoguerra.

Le differenti visioni di Paolo Cormons e Pa-trizia Scolaro determinano la struttura profondadel romanzo, diviso in una prima parte che con-sta di ben venti capitoli e una seconda parte assaipiù breve, articolata in cinque capitoli. Laterza parte funge da conclusione dell’intera ope-ra. I capitoli iniziali de Il vulcano spento sonocaratterizzati da coordinate cronotopiche ben de-terminate, che rinviano alla Catania degli anniCinquanta. In essi lo scrittore, restituendo il visus

Una delicata storia d’amore nell’ultimo romanzo di Piero Isgrò

Catania, la città che dormecome su un vulcano spento

22 n. 01 Gennaio 2011Cultura

Abile nell’articolazionedei piani narrativi, l’autore

inserisce nel Vulcano spentoanche gli elementi di un giallo,che arricchiscono la narrazione

della dimensione cinegetica

Pietro Isgrò

“I viali della mente” di Vito Barbagallo

La spia reale dei disagiinconfessabili

La Voce dell’Isoladi Paolo, ricostruisce un mondo di più evidentematrice autobiografica, restituendo la sensazionedi vivacità e curiosità giovanile. La seconda par-te del dittico romanzesco che rappresenta la vi-sione di Patrizia ha un’estensione notevolmentepiù breve e un andamento logico-cronologicocontinuamente fratto dai processi analettici. Èoriginale anche il tessuto linguistico che rap-presenta una continua tensione dei registri: ilmondo in cui vive Paolo è caratterizzato daespressioni idiomatiche e dialettali, da proverbie idiotismi. In altre parole è un mondo vivo,dove risuona il sermo communis: «Ma che fa’,babbii?», «Sta spirennu ’nte robbi!», «È più cu-rioso di Gino da’ Villa», «a tuo figlio il cervellogli cammina», «pare calata da Mongiuffi»,«Quando si sanno troppe cose si tace», e cosìvia. Non mancano per contro le citazioni let-terarie, e tra esse quel «felice memoria» che ri-conduce al ricordo derobertiano di TeresaUzeda, mentre certe accensioni erotiche ocenni ai «passi perduti» rinviano chiaramenteall’opera brancatiana. L’intertesto, articolato incitazioni esplicite o implicite, è ricchissimo: siva da Rabelais a Shakespeare, Sterne, Dumas,Stendhal, Goethe, Flaubert, Tolstoj, Proust eDickinson. Le citazioni letterarie assieme a quel-le pittoriche, cinematografiche e fumettistiche,lungi dall’apparire una sterile esibizione cultu-rale, entrano perfettamente nel dialogismo delromanzo e contribuiscono a rendere la vivacitàpropria di un ambiente studentesco e medio-col-to. Abile nell’articolazione dei piani narrativi,Isgrò inserisce nel Vulcano spento anche gli ele-menti di un giallo, che arricchiscono la narra-zione della dimensione cinegetica. Dipanandoi fili di questo mistero il lettore si fa un’idea nonoleografica della città etnea: «non un borgo disole e di mare, di gente mite, di burloni perdi-giorno, di lavoratori stanchi, di feste e di miss,di passeggiate sotto i balconi delle ragazze chechiudono coi ginocchi le gonne a campana pernon farsi scrutare, di pedinamenti e sguardi obli-qui, di cani inchiaccati come unica forma disgradevolezza della vita…insomma, non unacittà scapestrata e innocente ma una città del sot-tosuolo, ambigua e violenta. Una città doves’impara presto a rubare e ad arrangiarsi, a estor-cere denaro e a uccidere». Il ripensamento del-l’opera di Brancati, che pure con Catania nonera stato tenero, è così completo.

Ad explicit del romanzo ci si imbatte nella ter-ribile immagine del vulcano spento: «è un delittola partenza di Patrizia, un delitto la scomparsadi Pat, un delitto la morte di Marisa l’atleta delbisogno, un delitto la città che dorme come suun vulcano spento, senza l’intimo ribollire dellecolate laviche nelle sue vene, priva d’attive ne-cessità, votata più al sonno che al risveglio,schiava della furbizia e dell’imbroglio e che nonriesce a riconoscere il suo male invischiatacom’è nel calcolo e nei distinguo». Sarebbe bel-lo scorgere nelle parole di Isgrò, più che il cantodel cigno di una città che fu comunque carat-terizzata da vivacità commerciale e intellettuale,l’esortazione ad un futuro di riscatto: lontanodalla stupidità del calcolo personale, dai troppidistinguo, dalla rapacità di un’improbabileclasse politica e dirigente.

n. 01 Gennaio 2011 23Cultura

“La scrittura? Una metaforaallucinata delle infinite sfac-cettature della finzione di vi-vere, l’alibi perfetto rispettoall’impraticabilità della co-municazione tra gli esseriumani, spia reale di disagi in-confessabili.La scrittura, trionfo del vizioassurdo dell’autoanalisi maanche esclusiva sussistentevia di fuga dall’effimero del-l’io frantumato.” Partendoda queste premesse, VitoAldo Barbagallo ci invita colsuo libro “I Viali della Men-te” a fare un viaggio, compa-tibile con le condizioni di vitadel mondo moderno. Infatti l'autore sottolinea nellapremessa al volume comesia incompatibile con le ne-vrosi figlie del mondo con-temporaneo (o, come la chia-ma Barbagallo “l'attualità la-cerata”) la scrittura lineare ti-pica dei romanzi (quasi ideo-logicamente legata ad unaconcezione ideale dello scor-rere senza scosse della vita).E proprio per questo l'autoredecide di cambiare registro edi costruire il suo percorsonarrativo in maniera fram-mentata, sia dal punto di vista stilistico checontenutistico. Saltano le regole di continui-tà, di grammatica, un brano si sostituisce al-l'altro senza soluzione di continuità. Una scrittura free jazz, si potrebbe definirecosì, se si volesse restare ingabbiati nelle de-finizioni flash che impone la cultura con-temporanea. E come un Ornette Colemanritrovato tra le pagine di un libro, con questoscritto di Barbagallo si devono superare tuttii propri limiti, andando oltre e preparandosiad un viaggio di cui non si conosce percorsoe traguardo. Com'è, in fondo, il viaggio dellavita.Un libro che proibisce quindi, di fatto, unapproccio lineare e spinge alla consultazionerandom, alla cieca. Puntando forse ad un usoquasi farmacologico, curativo, di un volumecome questo. Un luogo in cui rifugiarsi, perpochi attimi, durante un giorno qualsiasi, persfuggire al mondo circostante. E ritornarvicidopo la lettura confortati, consapevoli chei nostri dubbi e le nostre paure sono condi-vise e, per ciò stesso, meno angoscianti.

Mds

Vito Barbagallo

La Voce dell’Isola

di ANNA PAPALIA

Vengo a raccontare qualcosa che fa parte dellemie infanzia e, che mi ha accompagnato per tuttala vita.

L’infanzia è qualcosa di meraviglioso, ma nellostesso tempo, è il momento in cui si realizza lapersonalità futura di ogni individuo.

Quando sento dire che i bambini dimenticanopreso o, meglio ancora, non fanno naso aquello che succede accanto a loro, io penso chesia il pensiero più stupido, forse il più egoista chepossa esistere.

Io ormai sono una donna, si dice, “d’una certaetà” eppure mi accorgo, che nella mia vita, lamia infanzia, o meglio ancora, quello che mi han-no dato durante l’infanzia, i miei genitori, nonmi ha mai abbandonato.

Eravamo una famiglia serena. Calabresi, tra-sferiti a Catania per il lavoro di mio padre. Era-vamo già cinque figli accanto ai nostri genitori,severi sì, ma anche tanto dolci e pieni d’amore.Mia madre era di nuovo incinta. Mio padre eraamante della famiglia numerosa, mia madre unadonna molto innamorata.

Aprile 1943 – Era una giornata tranquilla, al-meno per noi bambini, che non conoscevamo nul-la di quello che succedeva attorno al nostro mon-do.

Eravamo seduti a tavola e mia madre stava perscodellare nei piatti, pasta e ceci, quando ad uncerto punto , una forte scossa, sembrava un granterremoto, ruppe tutti i vetri delle finestre, cheandarono a finire nei piatti.

Noi bambini terrificati volgemmo gli occhi ver-so papà e mamma .

Papà disse solo “mannaggia”, mia madre conun gran sorriso si rivolse verso noi, ci prese tuttiper mano e disse: “scendiamo tutti dalla signoradel pianterreno e parliamo un pò con lei” – capiidopo che quello era il ostro rifugio.

La serenità dei miei genitori, ci fece prenderecome un gioco quel momento terrificante.

Noi figli continuammo a ridere ed a scherza-re.

Nessun trauma ci colpì.Capii dopo tanto tempo che coraggio ebbero

i miei genitori!Me che bella lezione per noi!Non bisognerebbe mai trasmettere terrore ai

figli, ma aiutarli, così che la loro psiche non possaportare nessuna zavorra nel tempo.

Dopo quell’episodio ci trasferimmo ad Acitrez-za.

Di quel periodo, ricordo la nostra vittoria sullamorte.

In ogni bambino c’è il grande enigma dellamorte. Si fanno mille domande alle quali qualchevolta non si sa come rispondere.

La morte resta sempre una cosa molto oscu-ra.

Ricordo che uscivamo per le strade di Acitrezzae vedevamo soldati morti. Acitrezza ebbe in quelperiodo tante battaglie. Chiedevamo a Sara, lanostra cameriera: “ma che fanno queste personeferme?”.

Nella sua semplicità la nostra Sara rispondeva:“questi sono morti sparati, altri muoiono per ma-lattie, altri per età”.

Grazie Sara! Così la morte diventò un eventonaturale e non un enigma da scoprire.

Gli alleati entrarono in Sicilia, Catania, percosì dire, fu liberata, e noi tentammo di tornarea casa.

Lasciammo Acitrezza con un carretto portatoda un asinello.

Eravamo tutti noi bimbi accanto a papà emamma, pronta a partorire.

Arrivati nella piazza di Ognina, c’era un bloccomilitare. La piazza era piena di carretti simili alnostro, e di inglesi col fucile puntato contro, chenon facevano passare.

Fu in quel momento che vidi mio padre dispe-rato.

Non si diede per vinto, scese dal carretto, men-tre i militari puntavano contro lui. Mia madre lochiamava disperata. Mio padre, senza conoscereuna parola d’inglese, parlando a gesti fece capireloro, che mia madre stava male. Il militare semprea gesti gli spiegò che lui avrebbe sparato per aria,noi non ci saremmo dovuti preoccuapre, equindi scappare via.

Tornò al carretto mio padre, molto disorientato,perché non era sicuro di aver capito bene.Scappammo col carretto, mentre l’ufficiale spa-rava in aria.

Riuscimmo ad arrivare a casa. Quale grandeprova di coraggio fu quella di mio padre!

Da solo si era assunto tutte le responsabilitàpiù pesanti. Però ce l’aveva fatta!

La vita ti mette sempre davanti, momenti tra-gici, in cui c’è solo la tua forza per affrontarli.

Quella lezione per me è stata fonte di grande co-raggio per tutta la vita, ad affrontare le varie vi-cissitudini giornaliere sia piccole che grandi.

I momenti disperati bisogna affrontarli, mai ar-rendersi!!

Ero piccola sì, ma questi esempi di vita mi ac-compagnano ancora ed ho sempre cercato di dif-fondere intorno a me, serenità, gioia, tranquillità,anche se tante volte sento dentro una paura edun’ansia immensa per gli eventi della vita.

Ho dovuto superare momenti terribili, misono molte volte sentita molto sola, ma mi sonodetta sempre la mia parolina magica: “forzaAnna, anche questa volta ce la farai”.

L’infanzia è forse il periodo più bello della vita,ma i bimbi sono come le spugne, assorbono tutto.Ti guardano e, con un niente, capiscono se u seisincero, o no, se tu dai amore o no.

Sono i bimbi, come un grande cassetto, che vie-ne riempito con tanti cartellini, che vengonosmossi quando nel tempo ne avremo bisogno.

È il momento più importante e difficile dellanostra vita, l’infanzia, perciò bisognerebbe chei genitori, gli insegnanti, dicano loro quelle fon-damenta, che servono a fortificare e soprattuttoa responsabilizzare questa nostra gioventù, chesembra vaghi in cerca di qualcosa di fermo, divero, di forte: “un punto di riferimento”.

Non sono i giovani sbandati, ma noi grandi chenon abbiamo saputo dare loro, l’essenziale pervivere bene, che non è sicuro né il denaro, né ilgiocattolo facile, né il divertimento continuo, ma,quella forza interiore, che quando prima o poisi troveranno davanti alle difficoltà infinitedella vita, dia loro la capacità di uscirne fuoriin modo dignitoso.

Così per me, tutto comincia da lontano, nel dia-logo tra genitori e figli, nella comprensione e nel-la responsabilità donate loro.

Quella responsabilità, che diventa “auriga”di tutte le persone e dalla quale si vanno delinea-no diritti e doveri, e che aiuta a fare sorgere quel-la coscienza, che illumina l’identità più nobiledell’essere umano, non in solitudine, ma nell’ap-partenere con gioia, a qualcosa di grande,nella condivisione del bene, nel vissuto quotidianoe maturando nelle libertà.

L’adolescenza, quindi, che per gli adulti sem-bra l’età più bella, in realtà è l’età dei cambia-menti, che pongono i ragazzi davanti a mille pro-blemi.

La fragilità delle famiglie fa sì che i giovanicercano forza altrove, spesso sbagliando.

La gioventù è bella e dipende da noi non fareperdere loro questa bellezza.

24 n. 01 Gennaio 2011Cultura

L’infanzia è qualcosadi meraviglioso, ma nello stesso

tempo, è il momentoin cui si realizza la personalità

futura di ogni individuo

Non è vero che i bambini dimenticano presto: è vero il contrario

I ricordi d’infanzia, i loro insegnamentie le aspettative

La Voce dell’Isola

di MORENA FANTI

Molti giornalisti scrivono anche letteratura. Chisi occupa di cronaca nera accade che spesso scrivalibri che hanno come tema il delitto o altricrimini. È, forse, una conseguenza del “mestiere”.D’altronde, come suggerisce Stephen King, è unacosa saggia scrivere di “ciò che si sa”. E chi co-nosce meglio di un giornalista di nera certimeccanismi e anche certe procedure per svolgerele indagini? Ma, soprattutto, chi ha dentro di sétante storie che premono per uscire se non una per-sona che nelle storie s’immerge tutti i giorni?

Scrivere è anche raccontare la vita, l’umanità.Scrivere è trasferire l’umanità che abbiamodentro e mostrarla ai lettori. E l’umanità non è solomestiere, ma anche inventiva, fantasia, capacitàd’immedesimazione, sensibilità e intelligenza.Tutte cose che Enrico Gregori ha messo incampo per i suoi lettori nel suo terzo romanzo,Le mille facce della morte (edizioni Historica,2010). Con questo libro Gregori ci stupisce, cam-biando registro e ambientando la sua storia nel1920, in una Roma bellissima, viva e colorata [ilframmento di Campo de’ Fiori è pieno di realtàvisiva, con una ricchezza espositiva che solo chiama la sua città può regalare agli altri].

Un romanzo che fa pensare che, forse, solo chiconosce la vita può raccontare la morte.

Cosa pensi di questa mia affermazione, al-l’apparenza contraddittoria? Credi possa es-sere vera?

E potrebbe anche essere vero il contrario, chis-sà. Anzi, forse mi sembra più vera questa che l’al-tra. Ma non mi sbilancerei, non sono un filosofo.Per lavoro, di morte ne vedo tanta. Non è mai rou-tine, però ci si convive.

Si dice con non basta il primo libro pubbli-cato a consacrare uno scrittore. Tu, che di ro-manzi ne hai già pubblicati tre, ti senti scrit-tore? Cosa significa essere “scrittore”?

Un critico letterario (che non nomino perchéquesta affermazione la fa in privato), dice che inItalia siamo pieni di scrittori mentre invecemancano i narratori. Mi piacerebbe appartenerea questa categoria.

Come ti relazioni con ciò che hai scritto? Cre-di che i tuoi romanzi abbiano un genere o crediche ormai questa parola sia superflua?

Non riesco mai a parlare di quello che scrivo.Infatti con te mi sto applicando sennò ti arrabbi.Io penso di avere una ricorrente atmosferathriller (lo dico in base a quello che ho imparatoda Hitchcock), ma poi la storia o le storie paral-lele cerco di farle “raccontare” dai personaggi.Credo che i generi servano più che altro ai libraiper riporre i libri negli scaffali.

Tu sei un forte lettore. Cosa ti piace legge-re?

Cose scritte da narratori, appunto. Mi piace chiinventa una storia e la sostiene con la “voce” let-teraria e la dimensione dei personaggi. Ovvia-mente ho le mie fissazioni, Cormac McCarthy sututti. Ma di grandi narratori ce ne sono ancoraparecchi, per fortuna.

So che spesso l’idea per i tuoi romanzinasce da una frase che ti colpisce o da unospunto che ti suggerisce un’idea. Da cosa è natoquesto tuo terzo romanzo?

“Le mille facce della morte” è nato dall’ideadi un editore di pubblicare una storia con pro-tagonista Sherlock Holmes a Roma negli Anni 20.In corso d’opera, questo progetto si è arenato el’ho trasformato a modo mio dato che ormaiun’idea di storia mi era venuta.

I personaggi, quelli veri, che hai inserito nellastoria li hai scelti per affetto o perché funzionalialla storia e alla romanità, che è protagonistain queste pagine? (a parte Sir George Bucha-nan, che è vero ma non romano)

Uno di loro è fondamentale. Per fortunasapevo che, in quell’epoca, era vivo e vegeto. An-che di altri sapevo che all’epoca c’erano. Since-ramente l’unico sul quale ho dovuto fare una ri-cerca è stato Picasso. Sapevo che avesse soggior-nato a Roma, ma non ricordavo quando.

Gornick, l’investigatore inglese classico ri-solutore di misteri, si presterebbe a diventareun personaggio seriale. Cosa ne pensi? Sei at-tratto dalla scrittura seriale o pensi che sia unpeccato di cui chiedere venia?

Quello della serialità è un dubbio che ancoranon ho sciolto. Me lo pongo come problema, mala soluzione continuo codardamente a rinviarlapubblicando romanzi dei quali non voglio fare se-quel. Forse potrei prendere in considerazionela cosa a partire dal 2012.

Immagino che ambientare un romanzo nel1920 possa avere una difficoltà in più rispettoad altre storie. Come hai vissuto questa sfida?

La sfida maggiore è stata il linguaggio. Ho vo-luto usare “un idioma antico”, ma ho evitato difarmi suggestionare leggendo libri dell’epoca.Ho proceduto con una sorta di “fiction”, os-sia ho scritto immaginando come avrei par-lato io stesso se fossi vissuto nel 1920. Sepoi funziona me lo devono dire i lettori.

Alcuni personaggi hanno una pre-senza più forte nella storia e altri,come Girolimoni, sono solo ac-cennati. C’è un motivo che ti haportato a non approfondire

questa figura?Credo, come poi le vicende giudiziarie dimo-

strarono, che di Girolimoni si sia parlato anchetroppo e a sproposito. Era un po’ donnaiolo, madi certo non fu un pedofilo assassino. L’ho “uti-lizzato” proprio come personaggio di contornoper sfumare ciò che di lui si disse. Insomma, cheriposi in pace.

Per pubblicare Le mille facce della morte haiscelto un giovanissimo editore [FrancescoGiubilei di Historica]. Cosa ti ha spinto a farequesta scelta?

Historica già fa pensare a un marchio adattoper un romanzo ambientato nel 1920. In realtàcredo che tra me e Francesco ci sia della stimareciproca. Il manoscritto era pronto e a me sem-brava il momento giusto per pubblicare questo“unicum” fuori registro. Mi pare che tutti gli ele-menti abbiano “congiurato” a favore di Historica,casa editrice alla quale sono ovviamente grato.

Credo che ti abbiano proposto varie volte,visto la tua competenza e la tua esperienza inmateria, di scrivere un libro inchiesta su unadelle tante vicende di cronaca nera di cui ti seioccupato svolgendo il tuo lavoro, cosa che moltigiornalisti fanno con grande piacere e ancheottimi risultati. Cosa ti trattiene dal farlo?

La noia. Mi hanno proposto saggi, instant book,amarcord, libri inchiesta e quant’altro. Hosempre rifiutato perché per me quello è lavoro.E poi ci sono decine di persone che non sono gior-nalisti e che scrivono libri sulla banda della Ma-gliana, sul terrorismo eccetera, cliccando su Goo-

gle o vedendo se per caso siricorda qualcosa la loro

zia. È così divertentefare il lettore di

queste cose piene didati e notizie fasulleche mi basta e mi

avanza.

Incontro con il giornalista-scrittore Enrico Gregori

Solo chi conosce la vita può raccontare la morte

n. 01 Gennaio 2011 25Cultura

Si dice che in Italia siamo pienidi scrittori mentre invece mancanoi narratori: probabilmente sarà così…

La Voce dell’Isola

di GIOVANNI PERCOLLA

Tre voti e l’Italia si sarebbe trasformata nellaversione nazionale dell’esperimento Lombardo.E già, perché se il 14 dicembre ultimo scorso fos-se caduto il governo Berlusconi ci saremmo tro-vati di fronte alla situazione paradossale (ma nontroppo) di poter ipotizzare un governo chemettesse insieme fuoriusciti Pdl, PD, futuristi echi più ne ha più ne metta. Purtroppo (o per for-tuna, dipende dai punti di vista) questo scenariosi è infranto grazie al contributo non irrilevantedel medico messinese Scilipoti e così il Cav(come lo chiama Giuliano Ferrara) ha potutocontinuare la navigazione. La cosa davvero pa-radossale di tutto quanto è accaduto a livello po-litico nei palazzi romani nel 2010 è che abbiamovisto ripetersi quasi pedissequamente quello cheera successo l’anno prima in Sicilia. Distaccodei finiani, mugugno di parte del Pdl (che però,a livello nazionale non ha ancora portato a di-stacchi ulteriori), Pd che corre dietro a coloroche smontano il centrodestra (e in questo spac-candosi al suo interno). Ciononostante, a leggerei maggiori quotidiani nazionali (e i loro inserti)la Sicilia pare non essere un luogo da cuipartire per descrivere il male (e il bene) dell’in-tero Paese, ma un soggetto buono per articoli dicostume di impianto vagamente derisorio. La Si-cilia non, sciascianamente, come metafora, mabuona come soggetto per far sganasciare altreparti del Paese, senza che questi si rendano conto

che la loro sorte, in fondo, rischia nei prossimianni (o mesi) di non essere troppo dissimile aquella degli abitanti dell’isola.

La campagna di RepubblicaContro Lombardo (e descrivendo i plurimi

aspetti negativi dell’isola) di certo si è mosso inmassa il cosiddetto “partito Repubblica”, sia nel-le pagine locali (con le quali il giornale di EzioMauro prova a scardinare i due monopoli infor-mativi locali di Palermo e Catania) che su quellenazionali (anche del settimanale il Venerdì). Daicani killer alle, connessioni tra la mafia cinesee quella siciliana, il 2010 è stato un anno ad altavisibilità per la Sicilia sui newsmagazines delgruppo l’Espresso-Repubblica, non facendosimancare neanche i pezzi sulle bellezze artisticheo sul cioccolato di Modica. Ma di certo è statoil presidente della Regione il bersaglio preferito,con le migliori firme pronte ad esercitarsi a turnosulle sue (presunte) disavventure giudiziarie. Eproprio con Repubblica Lombardo ingaggia du-

rante tutto il 2009 una sfi-da a colpi di carte bollate(più promesse che conse-gnate, in realtà).

Stella, Rizzo e gli altriPer quanto riguarda il

Corsera, il taglio di granparte degli articoli è quellotipico della premiata dittaRizzo e Stella. Quindigrande attenzione alle di-storsioni di spesa dellagestione regionale Lom-bardo, il tutto condito conuna certa spocchia, a direil vero. Se solo avesserodonato altrettanta atten-zione, ad esempio, almodo in cui la regioneLombardia (e Formigoni

in particolare) hanno gestito e gestiscono la cosapubblica! L’esempio più clamoroso dello scorsoanno è stato certamente quello delle elezioni re-gionali e delle firme false a sostegno del listinodel presidente della Regione. Ma su quella vi-cenda (o su quella non troppo diversa delle listetaroccate a sostegno del “Governatore” Cota inPiemonte) gli autori de La Casta, de La Derivae di altri bestsellers del genere hanno perso

un’occasione non da poco per esercitare la loroscrittura...

È interessante da notare anche l’atteggiamentodei giornali di famiglia (Giornale e Libero, perintenderci). Passato in pochi mesi dagli amiciai nemici, il presidente Lombardo è statotrattato come tale, quindi prima blandito e poicassato (riciclando tra l’altro le informazioni sulleinchieste già usate prima da altri giornali). Pocafantasia, per il resto. La Sicilia resta un paradig-ma del peggio, per la stampa che conta. Che que-sto peggio rappresenti una prospettiva per il restodel Paese a nessuno di questi soloni sembra pos-sibile. Vedremo cosa ne resterà di loro.

Non solo mass media.A parte Raffaele Lombardo, preso di mira per

motivi più che ovvi (basti guardare cosa è riu-

26 n. 01 Gennaio 2011Politica

Come hanno raccontato i giornali n

La Sicilia cartidel malessere d

Più strali che a Berlusconi conRaffaele Lombardo, bersaglio

e quotidiani: blandito e cassato è rimasto il personaggio sicil

Catania capitale di affaricapitale di ipermerca

Il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo

La Voce dell’Isola

scito a fare in Casa PD isolano, a mettere gli unicontro gli altri), anche i rappresentanti della castapiù autorevole che ci sia sul mercato, quella degliindustriali, involontariamente, fanno autogol.Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Si-cilia, afferma in diverse interviste (su quotidianinazionali e locali) che a Catania c’è “una bor-ghesia imprenditoriale mafiosa che, in fondo, nonfa che stare nel solco della tradizione dell’eco-

nomia di questa città e della provincia, che hauna sua forte e naturale vocazione all’impresa,ma che sceglie scorciatoie, che diventa appuntomafiosa o che gode di appoggi nella criminalità”.Ivan Lo Bello è personaggio che non ha inibi-zioni, e sostiene le questioni che gli stanno a cuo-re con sincera veemenza, ma chi si trova (cicli-camente) a leggere le sue dichiarazioni non com-prende pienamente la sua denuncia. Il lettore me-dio ha gioco facile a chiedersi: “Ma, se così è,chi tutela i cittadini da una classe imprenditorialeche mostra predisposizione per le “scorciatoie”?E cosa la differenzia, nei suoi comportamentiestremi, dalla cosiddetta criminalità organizza-ta?” Certo, il lavoro degli investigatori e dellamagistratura è esemplare, ma quanto tempo oc-correrà per separare il grano dal loglio? E nelfrattempo? Bastano le denunce a colpi di comu-nicati stampa?

Catania capitale di affari (loschi?) e di di-soccupati

E veniamo a Catania. Il capoluogo etneo èsempre di più vera metafora del degrado inar-restabile (ma noi speriamo ancora di no...) del-l’intera Sicilia. Catania e hinterland contano, inpercentuale, il maggior numero di ipermercatie centri commerciali di tutta Italia. In qualchecaso (e pare proprio inevitabile) sta indagandopure la magistratura poiché, alla fine, questo cre-scente proliferare di agglomerati commercialiqualche sospetto lo desta. Ma è l’insieme che puòpreoccupare maggiormente: dai quartieri dellaperiferia (Librino docet) abbandonati a séstessi, alla criminalità (micro o macro, poco im-porta) diffusa.

C’è un unico motivo di vanto: non ci sono piùomicidi (meglio: ce ne sono molto, moltomeno di qualche decennio fa, e meno eclatanti),non si ammazzano le persone per strada. Unasorta di “pax” ormai regna da qualche decennio,pochi si chiedono a cosasia dovuto il fenomeno,anche se è risaputo che lospaccio della droga c’è,che il racket delle estorsio-ni esiste, e che i codici eti-ci non salvaguardano nes-suno là dove impera ilclientelismo che non èfrutto solo della perversitàdella politica, ma che è di-ventato (purtroppo) un“costume” accettato dachi cerca una possibilità dilavoro. Si tace sul tassodella disoccupazione odella sottoccupazione odel lavoro nero, i commer-cianti chiudono bottegaperché vinti dalla concor-

renza dei grandi centri commerciali, o perché so-praffatti dai cinesi che comprano tutto ciò chepossono, e in contanti. La stampa nazionale, cosìcome quella locale, di questi aspetti del cosid-detto “sociale” catanese non parla.

Quando si “denuncia” un evento, o un perso-naggio, è a senso unico. Ma “La Repubblica”,correttamente i segnali li dà, come quello perl’enorme business di Corso dei Martiri, ovveroil risanamento del distrutto, vecchio San Berillo,rimasto in stato di abbandono in attesa, appunto,del “risanamento” per decenni e decenni, ma ri-masto imprigionato nel degrado che ha caratte-rizzato tutti i governi della città nei qualipolitici senza scrupoli sono stati incapaci di tro-vare un’intesa che andasse oltre i loro interessipersonali.

A proposito di interessi: ci sono, ci sono... Sitratta di un giro da 500 (cinquecento) milioni (dieuro naturalmente). Sono questioni che i catanesiconoscono bene, immagini che dovrebbero es-sere scolpite nello loro menti, visto che le hannodavanti agli occhi tutti i giorni, ma che quandovanno a votare (purtroppo) dimenticano. Esat-tamente come dimentichi sono i politici che ve-diamo impazzare con dichiarazioni stentoree daun giornale locale all’altro, da un telegiornalelocale all’altro, sempre con le stesse facce, conle stesse promesse, attori impelagati negli stessistanchi rituali in cui (c’è da augurarsi per la lorosanità mentale) non credano più neanche loro.Buon anno, comunque vada...

n. 01 Gennaio 2011 27Politica

nazionali la nostra isola nel 2010?

ina di tornasoledel Paese Italia

ntro il presidente della Regioneo preferito da newsmagazines

a seconda dei momenti politici,liano n° 1 per un intero anno.i (loschi?) e disoccupati,ati e cinesi rampanti

Il Presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello

La Voce dell’Isola

di MARCO DI SALVO

A guardare bene, all'inizio del 2011 l’interobacino mediterraneo è in stato di crisi: la zonanord (Grecia, Italia, Spagna) alle prese con crisipolitiche ed economiche, la zona sud confocolai di protesta (Tunisia ed Egitto), crisi digoverno (Libano) e cambi generazionali (Libia?).Per non parlare della questione referendum inSudan che rischia di infiammare anche il restodel continente, per le sue conseguenze .

Il Nord Africa, da Suez a Casablanca hannovissuto un Natale di sangue, incluso quella deisaharaoui. La fascia immediatamente successiva,dal Sudan alla Costa d’Avorio vivono vigilie discontro.

Algeria e Tunisia hanno affrontato in questigiorni rivolte popolari che i nostri giornali pu-dicamente chiamano “rivolte del pane” di-mentichi che due anni fa – al primo manifestarsidel problema - le chiamarono col loro nome: RI-VOLTE DELLA FAME.

In gran parte si tratta di persone costrette a la-sciare le loro case e i campi per inurbarsi e cre-pare di stenti grazie ad una politica economicanazionale succuba della politica agricola euroamericana (e della FAO, FMI, Banca Mondiale)di sovvenzioni che ha messo in ginocchio i pic-coli agricoltori in tutta l’area MENA (MiddleEast and North Africa). Per restare alla Tunisia,tutto sembra vivere in una situazione di para-dosso (ma sarebbe meglio dire di follia legataad una insana passione mondiale per il PIL):LaTunisia ha ottenuto la settima posizione su 135paesi per quanto riguarda i progressi di sviluppoa lungo termine, e ha raggiunto l’81° posto su169 paesi nella classifica dello sviluppo umanodel 2010.Ma è stata fatta confusione fra crescitae sviluppo. Se possiamo toccare con mano il“miracolo” economico tunisino sul piano dellaproduzione e delle prestazioni, esiste però unanalogo miracolo sul piano della redistribuzionedella ricchezza fra le classi e gli individui, e alivello dell’equilibrio tra le regioni e le province?

Il modello economico di successo è quello chetutti possono cogliere, e che non lascia nessunosul marciapiede. Qui sta il punto, ed è qui chesi nasconde uno dei principali problemi di svi-luppo relativi al modello economico tunisino findagli inizi dell’apertura economica negli anni’70. La frattura tra le regioni interne del paesee la sua fascia costiera – una frattura che rap-presenta un vero e proprio fossato tra le diverseregioni, e tra la città e la campagna – possiamocoglierla nel livello di spesa annua pro capite.La provincia di Tunisi registra il più alto livellodi spesa pro capite nel 2005, con 2390 dinariall’anno, rispetto ai 1138 della regione centro-occidentale che rappresentano la media più bas-sa. Questa cifra rappresentava il 50% della spesadella provincia di Tunisi nel 1990, ma il divarioè andato aumentando e tale cifra si è ridotta al47%. Con la decisione governativa di ridurre ilbudget del fondo di compensazione destinato alsostegno dei beni di consumo essenziali, il sem-plice cittadino e le famiglie più povere hannoavuto sempre maggiori difficoltà a condurre unavita dignitosa. Molti articoli di consumo hannoregistrato quest’anno continui aumenti, al puntoche alcuni, sia fra i venditori che fra gli acqui-renti, non sono più a conoscenza del prezzo dellemerci!

Spiego la situazione con un esempio facile,ma non per questo meno vero. Immaginiamo cheAlì sia un contadino con quattro figli e una mo-glie. Vive nel delta del Nilo (o in Algeria, o in

Tunisia), coltiva Mais e fave. Ha del pollame.Vita grama da generazioni, ma la famiglia è unitae il lavoro permette di sopravvivere. Da quandosi è fatta la pace con Israele e gli aiuti americanihanno cominciato ad affluire, i mercati si sonoaperti alle importazioni anche agricole. Gli USAesportano in Egitto, l’Egitto in Europa e questanegli USA. Il mais arriva dagli States e Alì hala sorpresa di scoprire che costa la metà di quelche costa a lui produrlo.

La ragione è semplice: l’agricoltura USA èsovvenzionata (quasi il doppio di quel che lo èquella europea…). L’industrializzazione e igrandi spazi del Mid West fanno il resto. In Egit-to, chi può si diversifica: l’Europa accetta pri-mizie in controstagione. Basterà riconvertirsi,pensa Alì. L’Egitto ha bisogno di valuta pregiatae l’Europa paga bene le primizie.

Il governo, infatti con questa valuta pregiataha iniziato a comprare carne congelata (polliprincipalmente, dato che l’islam proibisce il ma-iale) ed offre grandi quantità proteine invece del-le solite fave che da generazioni nutrono i fellah.Se si vede il sito del dipartimento USA dell’agri-coltura, si nota che il primo produttore di ric-chezza per il PIL americano è l’agribusiness eil primo cliente degli USA nel settore è l’areaMENA. Altro che l’elettronica.

Dopo due, tre, quattro, cinque anni di diffi-coltà, Alì chiude la casa in cui sperava di morireattorniato dai nipoti e va coi suoi in città, spe-rando che i figli trovino un impiego. Ecco perchénel cimitero del Cairo vivono – tra e nelle – tom-be oltre quattro milioni di persone.

Ecco perché Addis Abeba ha raggiunto i settemilioni di abitanti. L'inurbazione senza lavoroprovoca malcontenti, l'aumento dei costi provocarivolte. Le rivolte spingono i leader a fuggire,ma basteranno i militari (come in Tunisia) a ri-solvere il problema? O bisognerà rivedere le po-litiche economiche di questa nuova colonizza-zione (fatta invece che con le armi, con iprodotti agricoli a metà prezzo?) E l'Europa, intutto questo, dov'è?

28 n. 01 Gennaio 2011Politica

Le rivolte della fame segnalidi una crisi forse irreversibile

Grecia, Italia, Spagna,Tunisia, Egitto, Algeria,

Libano sono tanti gli aspettidi un crollo economico

che rischia di fare esploderescontri incontenibili

Mentre l’Europa sta a guardare in pericolo l’area del Mediterraneo

La Voce dell’Isola

di VALTER VECELLIO

Il nostro ministro degli Esteri consideraGheddafi un “gradito ospite” in Italia; l’ammi-nistratore delegato dell’ENI Paolo Scaronidice che è la “pupilla del mio occhio”. Si capisce:pensate al tipo di affare che ruota sull’autostradache lungo la costa attraverserà la Libia dall’Egit-to alla Tunisia: vent’anni di lavoro, una torta dialmeno tre miliardi di dollari, che si dividerannoImpregilo, Astaldi e altre ditte e consorzi:1700 chilometri di asfalto e bitume per fareun’autostrada di sei corsie, trenta uscite, 1470tunnel, 203 ponti…Buon appetito!

Ancora: la Finmeccanica, attraverso il con-sorzio di Ansaldo STS e Selex si è accaparrataun contratto da 247 milioni di euro per l’auto-mazione di una tratta ferroviaria; già in prece-denza ne aveva uno di 547 milioni di euro. Nelfrattempo i libici hanno circa il 7 per cento diUnicredit e un 1 per cento di ENI che vorrebberoportare a 10. È la globalizzazione bellezza, sipotrebbe dire.

Ci sono poi gli affari ad personam. Torna uti-le, al riguardo, rileggere quello che nel settembredel 2009 scrisse il britannico “Guardian” a pro-posito di quella che intitolò la “Gheddafi-Ber-lusconi connection”: una società libica chiamataLafitrade acquisisce il 10 per cento della QuintaCommunication, una compagnia di produzionecinematografica fondata da Tarek Ben Ammar,storico socio di Berlusconi. Lafitrade è control-lata da Lafico, società direttamente gestitadalla famiglia Gheddafi. L’altro socio di BenAmmar nella Quinta Comunication, dice il“Guardian”, è con il 22 per cento del capitaleuna società registrata in Lussemburgo di proprie-tà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi;e il cerchio si chiude. Ed è questo quello che sisa. Quanto basta comunque per poter dire cheassistiamo all’ennesimo conflitto di interessi.

Tripoli ha una quantità di capitali da

investire: circa 150 miliardi di dollari in riservedi valuta estera, diciamo 24 mila dollari per ognicittadino. Schematicamente, ecco alcuni degliinvestimenti italiani:

Unicredit: la Libia ha una quota del 7 percento nel gruppo bancario Unicredit. Il fondosovrano Libyan investment authority (LIA)ha recentemente acquistato il 2,1 per cento del-l’istituto italiano, mentre la banca centralelibica ha una quota del 4,98 per cento.

Mediobanca: la Libia ha annunciato l’isti-tuzione di un fondo congiunto da 500 milionidi dollari con Mediobanca, per investire nelleimprese italiane in difficoltà.

Enel: Tripoli ha manifestato interesse per lasocietà energetica Enel, anche se a settembre del2009 il Governatore della Banca Centralelibica Farhat Omar bin Guidara ha dichiarato dinon sapere nulla di eventuali investimenti. LaLibia potrebbe inoltre partecipare al progetto diquotazione in borsa di Enel Green Power, la so-cietà del gruppo che si occupa di energie rinno-vabili.

Telecom Italia: la Libia voleva comprare unaquota di Telecom Italia, ma l’accordo non è statoraggiunto. Tripoli è comunque presente nel set-tore delle telecomunicazioni: la Libyan Post Te-lecommunications and Information Technology(Gpticc) possiede una quota del 14,8 per centonella società italiana Retelit.

ENI: la Libia è interessata all’acquisto diuna quota dell’ENI, che ha molte attività nelpaese di Gheddafi.

IMPREGILO: la più importante società ita-liana di costruzioni era nell’elenco dei possibiliinvestimenti libici, ma finora non ci sonoprove che la Libia abbia quote nella società.

FIAT: nel 1977 su invito di Gianni Agnelli,la Libia aiutò la FIAT facendo comprare dalla

Lafico il 15 per cento delle azioni della casa au-tomobilistica. L’investimento fu molto criticato.La Lafico liquidò la sua quota nel 1986, ma nel2002 ha ricomprato poco più del 2 per cento.Oggi detiene meno del 2 per cento.

Calcio: la Lafico controlla il 7.5 per centodelle azioni Juventus. Al Saadi Gheddafi, il figliodel dittatore, è stato nel consiglio di amministra-zione della Juventus e ha giocato nel Perugia enell’Udinese.

Capitalia: la Libyan Arab Foreign Bank ave-va il 2,58 per cento di Capitalia, prima della fu-sione con UniCredit. Cesare Geronzi, ex presi-dente di Capitalia e ora delle Assicurazioni Ge-nerali, ha dichiarato che la Libia è stata il migliorazionista che abbia avuto.

Tessile: lla Lafico ha il 21,7 per cento delgruppo Olcese, secondo il sito web dell’aziendatessile.

Finmeccanica: nel 2009 è stato sottoscrittoun accordo tra Finmeccanica e la Libia per lacollaborazione nel settore aerospaziale, dell’elet-tronica, dei trasporti e dell’energia in MedioOriente e in Africa. Secondo l’accordo sarà crea-ta una joint venture al 50 per cento tra Finmec-canica e la Libia Africa Investment Portfolio.

Assicurazioni Generali: Antoine Bernheim,l’ex presidente delle Generali, ha annunciato adaprile di aver discusso con l’imprenditore fran-co-tunisino Tarak Ben Ammar un aumento di ca-pitale riservato per un investitore libico a 25 europer azione. L’accordo non è andato in porto per-ché un azionista delle Generali voleva che i libicipagassero almeno 29 euro per azione, ha dettoBernheim.

Come si vede, il trattato di “amicizia” chelega Gheddafi a Berlusconi poggia su basi moltoconcrete, fatte di “roba”, denaro. E allora si pos-sono tranquillamente sacrificare, come si fa, ex-tracomunitari, diritti civili e umani.

n. 01 Gennaio 2011 29Politica

Tripoli ha una quantitàdi capitali da investire:

circa 150 miliardi di dollariin riserve di valuta estera,e sono molti gli interessati

che se li voglionoaccaparrare

Il Presidente libico, GheddafiScaroni a colloquio con Gheddafi

Berlusconi e gli “amici italiani” del dittatore libico

Alla corte di Gheddafipolitici, impresebanche e affini

La Voce dell’Isola

di SEBANIA LIBERTINO

Ogni giorno i notiziari, siano essi locali o na-zionali, mostrano immagini di città più o menograndi sommerse dai rifiuti urbani. Si legge didiscariche piene e del problema dello smaltimen-to. La risposta più comunemente trovata dagliamministratori è quella dell’uso degli inceneritorio, come li si chiamano adesso, termovalorizza-tori, parola altisonante che però non significaniente!.

Altri ritengono che la tecnologia del futuro peril trattamento dei rifiuti sia la dissociazione mo-lecolare, come ad esempio il comune di Peccioli,in Toscana. Il termine potrebbe con facilità sca-tenare la fantasia di molti scrittori di fantascien-za, un dispositivo che scompone quello che vientra nella molecole che lo compongono. Ma,nonostante il termine fantascientifico si trattasolo di un particolare inceneritore. Certo, noi ita-liani stiamo diventando bravissimi ad inventarenomi altisonanti per descrivere cose note, comeper gli inceneritori. Ma cerchiamo di capire me-glio perché non è un semplice inceneritore.

Tutte le sostanze organiche sono composte damolecole più o meno complesse contenenti perlo più atomi di Carbonio ed Idrogeno. Ilprincipio di base del funzionamento del disso-ciatore molecolare è la scissione delle suddettemolecole organiche in molecole più semplici,di solito monossido di Carbonio, Idrogeno e Me-tano, che possono essere successivamentetrattate (ossidate) per liberare l’energia contenutanei legami chimici ed ottenere prodotti stabiliquali anidride carbonica ed acqua. Naturalmente,va ricordato che i prodotti della reazione dipen-dono da cosa ci si è messo dentro … quanto det-to vale solo se ci si mettono sostanze organiche.

Più in dettaglio, la dissociazione molecolareè un processo termo-chimico che consiste nellascomposizione della sostanza organica, inmodo da trasformarla in forma gassosa. Il pro-cesso si sviluppa in mancanza di ossigeno (pi-rolisi). Se si riscalda un materiale in presenza

di ossigeno avviene una combustione chegenera calore e produce composti gassosi ossi-dati; effettuando invece lo stesso riscaldamentoin assenza di ossigeno, il materiale subisce lascissione dei legami chimici originari con for-mazione di molecole più semplici. Il calore for-nito nel processo viene utilizzato per scinderei legami chimici. L’obiettivo è quello di trasferireil contenuto energetico della sostanza solida ini-ziale nel potere calorico di un combustibile infase gassosa, che offre un impiego più ampio eflessibile. Il processo prevede che il sistema fun-zioni in difetto di ossigeno e senza che il ma-teriale caricato bruci, in modo da spingerlo versola produzione più alta possibile di Gas Sintetico,chiamato comunemente syngas (oltre il 95%).In sostanza, il processo di dissociazione avvienein un ambiente chiuso, a temperature limitate ecomunque inferiori a 400 °C, in assenza di os-sigeno se non per la quantità necessaria per man-tenere il processo alla temperatura desiderata.e per un periodo di oltre 24 ore, con velocità diprocesso molto più basse rispetto ai processi dicombustione che avvengono negli inceneritori.Questo consente di avvicinarsi meglio ai tempinaturali di degradazione delle molecole. Così fa-cendo, tutto il materiale organico viene degra-dato, per cui i residui del processo non superanomediamente il 3% della massa iniziale, oltre avetro e metalli che, secondo alcuni studi con-troversi, sono recuperati a valle del trattamento.Le emissioni in atmosfera generate dalla com-bustione del gas di sintesi prodotto da impiantidi dissociazione molecolare dei rifiuti, risultanonettamente inferiori rispetto a quelle prodotte di-rettamente dall’incenerimento. Nel caso dell'im-pianto islandese di Husavik, il primo del suo ge-nere, si ha una temperatura di operazione infe-riore ai 400 °C (permettendo fra l'altro la quasicompleta autonomia di funzionamento, inquanto per mantenere questa temperatura si usaparte del gas di sintesi prodotto), alla fine delprocesso rimangono ceneri per il 3% della massa

Un processo termo-chimico che porta alla scomposizione della sostanza organica

La dissociazione molecolare:la risposta al problema rifiuti?

30 n. 01 Gennaio 2011Ambiente

Le emissioni in atmosfera,generate dalla combustionedel gas di sintesi prodotto

da impianti di dissociazionemolecolare dei rifiuti,risultano nettamente

inferiori rispetto a quelleprodotte direttamente

dall’incenerimento

La Voce dell’Isola

immessa. Se si confrontano i dati con quelli degliinceneritori tradizionali si osserva che la bassatemperatura riduce di oltre cento volte l'emis-sione di polveri sottili (e in particolare è ridottala produzione di nanopolveri), la cui produzionesi concentra nella fase della combustione; gli os-sidi di azoto sono ridotti perché nella combu-stione l'idrogeno ne cattura i precursori; imetalli pesanti sono ridotti notevolmente,perché data la bassa temperatura ne è ridotta lasublimazione e la liberazione nell'aria sotto for-ma di piccole impurità; la concentrazione didiossine è inferiore ai livelli misurabili.

Il rendimento energetico totale (elettricità +calore) di tali impianti è dichiarato attorno al70% ed è gestibile in modo molto più flessibilerispetto ad un inceneritore. Si può infattiscalare, a seconda della necessità e dellastagione da un 60% elettrico più un 10%termico ad un 20% elettrico più un 50%termico. Viceversa un inceneritore è molto piùrigido ed in ogni caso la produzione elettrica astento supera il 25% anche nelle migliori con-dizioni. Descritti così i dissociatori molecolarisembrano proprio la risposta a tutti i nostri pro-blemi, ma vediamo quali sono le informazioniche vengono omesse da chi ne decanta i pregi.Anzitutto, nella prima parte del processo di dis-sociazione si deve fare uso di combustibile ester-no (particolare non approfondito nelle relazionidi funzionamento). Inoltre, il controllo della tem-peratura è essenziale poiché, dal momento cheil processo non avviene in totale assenza di os-sigeno, il rischio di formazione di diossine è mol-to elevato, come mostrato da test dell’Universitàdi Roma La Sapienza. Tra l’altro va sempre ri-cordato che la bontà del processo e dei prodottidi reazione (il syngas) è garantita solo se in in-gresso si hanno rifiuti organici. Se i rifiuti spri-

gionano ossigeno durante la combustione, cosaplausibile se non è stata fatta una differenzia-zione a priori, la qualità del gas prodotto è com-promessa e, se usato, inquina!!

In sintesi, se si fa a monte la raccolta diffe-renziata, portando ai dissociatori molecolari solola frazione organica, essi lavorano non inquinan-do. Ma a valle della raccolta differenziata i rifiutiorganici possono essere trattati anche con un pro-cesso a freddo di produzione di compost, cer-tamente più economico. Se, invece, si voglionousare i dissociatori molecolari per trattare i rifiutiindifferenziati, ne risulta un gas sicuramente in-quinante il cui stoccaggio è certamente più dif-ficile rispetto ai rifiuti solidi di partenza.

Ecco la vera domanda che ci si dovrebbe por-re. La dissociazione molecolare è la risposta alproblema dei rifiuti? Ovviamente la risposta nonè così semplice e chi scrive spera di avere espo-sto pro e contro e preferisce lasciare a voi lettoril’onere della risposta, che si spera, sarà data conqualche consapevolezza in più.

n. 01 Gennaio 2011 31AmbienteLa dissociazione molecolare

è un processotermo-chimico che consiste

nella scomposizionedella sostanza organica,in modo da trasformarla

in forma gassosa:il processo si sviluppa

in mancanza di ossigeno

La Voce dell’Isola

di ROSARIO ENNIO TURRISI

E GAETANO CONSALVO

La biodiversità, soprattutto negli ultimi tren-t’anni, ha continuato ad avere un vistoso e pro-gressivo declino a causa della trasformazione oin molti casi della perdita degli habitat, dell’estin-zione locale delle specie viventi, dello sfruttamen-to indiscriminato delle risorse naturali. Il 2010appena trascorso è stato proclamato come l’annomondiale dedicato alla biodiversità ed altresì con-siderato un traguardo per effettuare un resoconto,meglio noto come countdown 2010, su tutto quan-to finora fatto per lenire la perdita degli habitate con esso degli esseri viventi. Così ha dichiaratoil presidente del WWF Italia Stefano Leoni: “nel2002 i rappresentanti dei governi di tutto il mondosi erano impegnati a ottenere la significativa ri-duzione del tasso di perdita della biodiversità en-tro il 2010. Questo impegno è stato preso e ri-badito in diverse sedi internazionali ufficiali manon è stato raggiunto”. Il WWF Italia, la più gran-de organizzazione ambientalista del mondo, siè impegnata a continuare a fare pressione suigoverni “affinchè assicurino azioni concrete erisorse adeguate per arrestare la perdita di bio-diversità entro il 2020”. La stessa ha indicato ilmese di ottobre scorso come il MESE DELLABIODIVERSITÀ, scandito da un “countdown”verso il vertice di Nagoya tenuto nello stesso mesee durante il quale si sono susseguiti eventi e ini-ziative per far comprendere al grande pubblicoche la biodiversità che è alla base della soprav-vivenza dell’uomo ed è necessario anteporre lasua tutela agli interessi politici ed economici.

Un contributo rilevante è stato fornito, durantequesto evento, dall’economista indiano Pavan Su-khdev che, attraverso il TEEB (The economicsof ecosistem and biodiversity –www.teebweb.org), ossia un rapporto conclusivo,ha fatto comprendere come è possibile attuarenuovi modelli di gestione politica ed economica

nella società, in alternativa a quelli attuali, deva-stanti e con ripercussioni negative sull’ambientee la salute umana.

Numerose sono state le iniziative intrapresedalle associazioni ambientaliste e dalle istituzioniscientifiche per far conoscere al pubblico la bio-diversità e per rendere note le azioni da questi in-traprese per evitarne la perdita. A Catania, su pro-posta del WWF, si è tenuta la manifestazione na-zionale BIODIVERSAMENTE, presso il Giar-dino botanico universitario Nuova Gussoneadell’Etna, gestito dall’Azienda foreste demaniali(Catania) e dall’Università, che è rimasto apertoal pubblico per far conoscere le specie vegetalipresenti sul vulcano e i tipi vegetazionali che necaratterizzano il paesaggio. Nel giardino Botanicoetneo piante rare e in grave rischio di estinzionesopravvivono grazie all’attività di studiosi e vo-lontari.

A Palermo, presso l’Orto botanico, il diparti-mento di Scienze botaniche ha organizzatomostre mercati di piante rare e insolite, propo-nendo incontri scientifici e dibattiti, con la par-tecipazione di studiosi di fama internazionale, vi-vaisti da generazioni e appassionati cultori dellabotanica. Queste attività, che si sono svolte conevidente frenesia, hanno non solo attirato gli ap-passionati ma hanno sorprendentemente affasci-nato e trattenuto quel grande pubblico rappresen-tato dalla cittadinanza e dai “curiosi”, non inte-ressato direttamente al tema della biodiversità. Lamanifestazione che si è svolta nel capoluogo re-gionale è stata pure l’occasione per la presenta-zione del libro inedito del botanico

Girolamo Giardina, prematuramente scomparso,dal titolo “Piante rare di Sicilia”. Il libro è il ri-sultato di anni di pazienti osservazioni ed escur-sioni scientifiche per conoscere e fotografare lespecie vegetali della Sicilia. La Sicilia, per le suevicissitudini paleogeografiche è uno scrigno ditesori scientifici ed è considerato da botanici ezoologi il territorio italiano con più alto numerodi specie viventi. Nel caso delle piante, infatti,secondo dati recenti, sono state censite oltre 3000entità, l’equivalente di oltre la metà delle speciepresenti nell’intero territorio nazionale. Ancor piùinteressante è sapere che un componente cospicuodel patrimonio floristico conosciuto è esclusivodell’isola o considerato di notevole interesse fi-togeografico.

Il testo tratta 500 specie ritenute rare, elencateattraverso dettagliate schede che riportano infor-mazioni ecologiche e morfologiche, corredate daimmagini ad alta risoluzione. Ampi paragrafi in-troduttivi spiegano con il fascino del documen-tarista d’altri tempi, le forme di vita delle piantenella regione mediterranea in relazione al clima,le fasce e le zone di vegetazione, i diversi tipi dicomunità vegetali presenti nell’area mediterranea,i caratteri diagnostici delle piante, i botanici e flo-risti che hanno operato in Sicilia.

La presentazione di questa opera costituisce untraguardo importante nella divulgazione delle co-noscenze sulle piante di Sicilia in questi giornidedicati alla biodiversità. Il testo, infatti, pur aven-do una impostazione scientifica e una ricchezzadi informazioni, è comprensibile da parte di tutti,e utile soprattutto per coloro che lavorano diret-tamente nel territorio e possono certamenteavere una responsabilità primaria nella tutela delpatrimonio floristico (forestali, agronomi, ammi-nistratori, politici).

La figura di Girolamo Giardina, convintoevoluzionista neodarwiniano, è stata ricordata dalprof. F. M. Raimondo (presidente della SocietàBotanica Italiana), dai familiari, da studiosi e ami-ci. Egli infatti ha dedicato quasi tutta la sua vitaalla raccolta e allo studio delle piante, trascinandocon la sua passione, il suo rigore temprato, la lo-gica stringente, tanti giovani appassionati che an-cora oggi credono nella ricerca della verità at-traverso lo studio della diversità dei viventi e nel-la loro tutela. Egli ha altresì fondato una colle-zione di erbario costituita di 20.000 campionidi piante esclusivamente siciliane e donata, dopola sua scomparsa, al dipartimento di scienze bo-taniche di Palermo ed ora facente parte del pre-stigioso Herbarium Mediterraneum Panormi-

Importanti iniziative a Catania e Palermo si sono tenute nel corso del 2010

Anno mondialedella Biodiversitàper salvare l’Uomo

32 n. 01 Gennaio 2011Ambiente

È possibile attuare nuovimodelli di gestione politicaed economica nella società,in alternativa a quelli attuali,

devastanti e con ripercussioninegative sull’ambiente

e la salute umana

La Voce dell’Isola

tanum. Nel corso degli incontri è stato auspicatoil recupero ed il mantenimento delle antiche va-rietà di specie arboree fruttifere ma anche la na-scita di un’agricoltura sperimentale basata sullacoltivazione di specie diverse da quelle “tradizio-nali” e comuni sul mercato. Numerose sono infattile specie native dei territori tropicali che produ-cono frutti di valore nutritivo per l’uomo note-volmente superiore ai prodotti offerti dallespecie comunemente coltivate.

Queste specie, molte delle quali poco conosciu-te, potrebbero essere facilmente acclimatate e col-tivate in Sicilia senza peraltro il ricorso alle or-dinarie operazioni agronomiche che in genere im-plicano impatti negativi sull’ambiente (uso con-

tinuo di pesticidi, concimazioni chimiche) euna frequente incertezza nel bilancio fra spese diproduzione e ricavi.

La conoscenza e l’interesse per il recupero dellabiodiversità sono stati mostrati sotto molte delleforme che questo termine implica. Sarebbe im-possibile riassumere qui in poche pagine quantoillustrato durante queste giornate. Ricordiamo tut-tavia un interessante incontro sul recupero dellabiodiversità ittica, attraverso la “riforestazione”con la Posidonia oceanica (una pianta chepopola i mari mediterranei) dei fondali marini,nel quale è stato posto in evidenza il ruolo fon-damentale di questa specie per il mantenimentodella stabilità morfologica dei litorali. Questa

pianta è meglio conosciuta per le “palle” che for-ma, egagropili è il termine scientifico, che ven-gono portate sulle spiagge dal moto ondoso. Il suopotente apparato radicale, che segue un modellodi crescita sia orizzontale che verticale, forma verie propri “materassi” così da impedire la forma-zione di processi di erosione. Le praterie a Po-sidonia inoltre offrono vita a una miriade di specieanimali.

L’impegno per la tutela della biodiversità saràla sfida dell’uomo per i prossimi decenni che ve-drà coinvolti tutti i paesi del mondo, tuttavia,ognuno di noi, modificando il proprio stile di vita,può contribuire enormemente a evitare la distru-zione inesorabile dell’ambiente.

n. 01 Gennaio 2011 33Ambiente

Presentato il libro ineditodel botanico Girolamo Giardina,

prematuramente scomparso,dal titolo “Piante rare

di Sicilia”, risultato di annidi pazienti osservazioni

ed escursioni scientificheper conoscere e fotografare

le specie vegetali della Sicilia

A Malta al T a’ Marija Restaurant

Il 2011 è incominciato bene….

La Voce dell’Isola

di MIRCO ARCANGELI

Per la prima volta, nel capoluogo etneo, la So-cietà Italiana di Medicina Generale (SIMG), hariunito i medici di famiglia in un confronto ca-pace di rappresentare una “vetrina“ sui principalitemi che riguardano il lavoro quotidiano del Me-dico di Medicina Generale. Si è svolto a Cataniaquesto importante congresso, che ha segnato inmodo determinante, il valore aggiunto per com-petenza e casistica, che il medico di famigliasvolge nella società. I mutamenti socio demo-grafici e i programmi della Medicina stanno pro-fondamente cambiando lo scenario dei bisogniassistenziali in ragione dell’allungamento dellavita media, con la conseguente crescita della pre-valenza e dell’incidenza delle patologie cronichedegenerative associate a delle più pressanti ri-chieste di salute e qualità di vita da parte dellapopolazione. Tali mutamenti stanno spostandol’asse delle cure mediche dalle malattie acute auna gestione sempre più articolata delle patologiecroniche che impegna il MMG (Medico diMedicina Generale) ad elaborare, non solo unastrategia di prevenzione, primaria e secondaria,ma anche un progetto di governo clinico di ma-lattie croniche spesso coesistenti tra loro. Tra le

malattie croniche, le cardiovascolari, le metabo-liche e le respiratorie sono quelle i cui dati epi-demiologici mostrano un costante aumento in ter-mini di morbilità e mortalità ed assorbimento dirisorse.

La risposta globale dei sistemi sanitari ai bi-sogni di questi pazienti, appare tuttavia ancorainsufficiente. Ne deriva, pertanto, la necessità diridefinire i ruoli e le responsabilità delle diversefigure professionali coinvolte nell’ambito di unanuova e più efficace rete preventivo assistenziale.“La medicina catanese a confronto “, è stata l’oc-casione di un appassionato quanto competenteincontro che ha visto dialogare fra loro tutte lerappresentanze della professione, dalla medicinagenerale, all’università, agli specialisti delsettore, alle istituzioni. Un momento tantoatteso, infine, è stata la sessione riservata alle co-municazioni relative alle attività scientifiche deisoci catanesi, a sottolineare che Il “cuore pulsan-te“ di una società è rappresentato da quanti svi-luppano attività di interesse per la medicina ge-nerale. Fra gli interventi si sottolineano: ClinicalGovernance: Sostenibilità del sistema e futurodella Medicina Generale (Prof. E. Degli Esposti);“Il Governo Clinico“ del paziente con Fibrilla-zione atriale (Dr. M. Gulizia); Disfunzione en-doteliale: Medical sharing (Dr. C. Crisafulli); An-gina pectoris: Dai dati della Medicina Generalealla pratica professionale (Dr. A. Filippi); Dia-gnosi precoce e trattamento della BPCO (Prof.G. Di Maria); dall’informatica alla telematica:MMG e Pneumologo, ruoli e criticità. (Dr I. Pao-lini); Nuovi orizzonti in pneumologia: Il concettodi rischio nelle malattie respiratorie (Dr A. Pen-nisi); Medicina Generale: No Smoking Area?(Dr. G. Profeta); La terapia anticoagulante: Lenuove frontiere (prof. L. Malatino). L’intera ini-ziativa è stata condotta da un comitato scientificodi grande competenza, al quale hanno collaboratoi medici: Guglielmo Beneventano, Cristiano Cri-safulli, Antonino Di Guardo, Gaetano Profeta.

Gli stessi temi sono stati ampiamente trattatied analizzati nel congresso nazionale dei medicidi famiglia (SIMG), svoltosi a fine 2010 a Fi-renze, e dal quale è emerso l’importante ruolodel medico di famiglia, sia per il cittadino pa-ziente che per il cittadino contribuente.

I medici di Medicina Generale costituisconouna risorsa funzionale al sistema. Sono i soli ingrado di cogliere in tempo reale lo stato di salute

La medicina catanese a confronto per i problemi della società

L’Importante ruolodel medico di famiglianello scenario quotidiano

34 n. 01 Gennaio 2011Medicina

I medici di Medicina Generalecostituiscono una risorsa

funzionale al sistema.Sono i soli in grado di cogliere

in tempo reale lo statodi salute del Paese

Claudio Cricelli Presidente Nazionale SIMG

Enzo Degli Esposti Dir. Gen. Policlinico Umberto I Roma

Antonino Di Guardo Comitato Scientifico

del Paese, e per la prima volta, questo ruolo vienevalorizzato in un documento importante comeil “Piano Sanitario Nazionale 2011-2013”.Infatti il nuovo Piano vede il Medico di Famigliaal centro della rete assistenziale, come parte in-tegrante dell’alleanza tra cittadini, Istituzioni eprofessionisti. Secondo il VI Rapporto “Healthsearch” Simg, nel 2009 i medici di famiglia han-no visitato mediamente ogni assistito 7 volte. Icontatti giornalieri con i pazienti sono stati circa30, con prevalenza donne di età superiore a 55anni. La spesa media per tale assistenza è statadi circa 382 euro annua. Un anno di assistenzadel medico di medicina generale, compresispecialisti, farmaci ed esami diagnostici, costail 12% di un ricovero ordinario in ospedale (checosta mediamente da 3.000 a 3.500 euro).

Dal rapporto emerge anche che per il 23,4%si tratta di prescrizione di indagini diagnostico-strumentali, per il 14,1% di richiesta visitaspecialistica, e per il 72% per richiesta prescri-zione farmaci.

Dai dati riportati nel VI Rapporto emerge untrend crescente nella prevalenza dell’ipertensionearteriosa che varia dal 17,5% del 2003 al 22,9%del 2009, con stime sensibilmente maggiori nelledonne rispetto agli uomini. Dalle analisi effet-tuate, si registra per molte patologie un costanteaumento di prevalenza, determinato da vari fat-tori, compresa la capacità del medico di famigliadi diagnosi anticipate, in presenza di sintomi pre-coci. Oltre all’ipertensione, nel corso deglianni 2003-2009 l’ictus ischemico è passatodall’1,7% al 2,7%, la BPCO dal 2% al 6% (bron-co pneumopatia cronica ostruttiva), la depressio-ne dal 2,4% al 4,2%, l’artrosi dal 13,6% al18,8%, la demenza dall’1% all’1,8%, l’ipertrofiaprostatica benigna dall’8,5% all’11% e lamalattia da reflusso gastroesofageo dal 4,5% al9,9%. Se il diabete mellito di tipo 2 è in crescitasoprattutto nei maschi (7,2% vs 6% nelle donnenel 2009), l’asma fa registrare un aumentomaggiore nelle donne (3,2% vs 5,6% tra il 2003e il 2009).

L'obiettivo dei medici di Medicina Generaleè l'efficienza clinica. Un'eccellente organizzazio-ne dei processi di cura produce tassi di salute ingrado di modificare in maniera sostanziale i pro-fili di morbilità e mortalità delle patologieacute, ma in particolare delle patologie cronichepiù frequenti. E, per concludere con le parole delCongresso, è proprio sul terreno dell'efficienzaclinica che si "gioca” il futuro della Medicina Ge-nerale unico settore professionale esperto nellacosiddetta "Medicina della Complessità” a dif-ferenza di tutte le altre Specializzazioni espertenella "Medicina complicata”.

Le nuove frontiere della chirurgiadella parete addominale

La Voce dell’Isolan. 01 Gennaio 2011 35Medicina

Oltre un secolo fa Edoardo Bassini, padre della più fa-mosa tecnica per la riparazione dell’ernia inguinale, rimastain auge per circa un secolo in ambito internazionale, nonpoteva certo immaginare che l’avvento dell’uso delle pro-tesi per la chirurgia di riparazione della parete addominaleavrebbe “rivoluzionato” le possibilità tecniche e la pro-gnosi di questa patologia.

Nel corso degli anni si è pertanto passati da una chi-rurgia tradizionale, cioè quella della ri-parazione diretta, effettuata in anestesiagenerale e almeno sette giorni di ricovero,ad una chirurgia totalmente innovativache già da oltre quindici anni fa da pa-drona presso il “Servizio di Chirurgia del-le Ernie” dell’U.O. di Chirurgia generaleI ad indirizzo Week Hospital del Policli-nico di Catania, unico in Sicilia.

La Prof.ssa Giovanna Brancato, As-sociato di Chirurgia Generale dell’Uni-versità degli Studi di Catania, assieme alsuo Maestro, Prof. Angelo Donati, nellametà degli anni novanta ha dato vita adun Servizio che assicura il “get up and go” (alzati e cam-mina) per i pazienti affetti da ernie della parete addominale,seguendo l’esempio dei numerosi centri di chirurgia am-bulatoriale operanti negli Stati Uniti, dove circa il 60%degli interventi viene eseguito in regime di day surgery.

Dal 1994 ad oggi circa 4000 pazienti sono statioperati in anestesia locale, hanno deambulato subito, sisono alimentati dopo un’ora e sono stati dimessi dopo 4-5 ore , tornando alle normali occupazioni quotidiane unoo due giorni dopo. Questo tipo di approccio, rappresentaoggi il “gold standard” per il trattamento delle ernie ad-dominali, ideale non solo per gli anziani spesso affetti daimportanti patologie concomitanti , ma anche per igiovani. Questa tecnica è semplice, sicura e assolutamenteefficace. L’uso dell’anastesia locale costringe il chirurgoad una gentile trazione dei tessuti. Il difetto erniario puòessere visualizzato da un punto di vista funzionale e la ri-parazione valutata invitando il paziente a tossire primache l’intervento sia completato. La vera novità della tecnicaconsiste nella ricostruzione della parete posteriore del ca-nale inguinale, che può essere effettuata in maniera ca-librata, adoperando cioè uno o più plug (tappi a forma didardo, onfezionati intraoperatoriamente) e la mesh

(protesi in polipropilene), quasi sempre utilizzata in doppiostrato, in cui l’orifizio viene adattato di volta in volta, aseconda della distanza tra in pube e l’emergenza del fu-nicolo spermatico. Il doppio strato della mesh neutralizzala memoria plastica del polipropilene, aumentandone larigidità ed evitando il corrugamento. L’accurata valuta-zione del tipo e delle dimensioni del difetto erniario edil rispetto per la variabilità anatomica individuale, per-

mettono di eseguire un intervento su mi-sura per ogni paziente, “calibrato”. È unaproposta tecnica di tipo modulare, in gra-do cioè di ricostruire la parete posterioredel canale inguinale adattando l’apposi-zione protesica al gap erniario che si èprodotto. Tale modulazione è resa pos-sibile dall’ottima tollerabilità delle protesiin polipropilene e dall’adozione di prin-cipio dell’anestesia locale. L’assenza dirischio anestesiologico, la modesta ma-nipolazione tissutale data da una precisaapplicazione della tecnica e l’immediatariabilitazione post-operatoria, creano in-

fine i presupposti per una chirurgia applicabile di routineambulatorialmente e quindi estremamente gradita sia alpaziente che al chirurgo. Tale tecnica, a nostro avviso, rap-presenta il trattamento di scelta per le ernie. Il successoprofessionale ed umano è stato al di sopra di ogni aspet-tativa, ma è comprensibile per una chirurgia che si prefiggenon soltanto la guarigione della malattia, ma di dare mag-gior valore alla condizione di benessere del malato. L’espe-rienza maturata in questo campo dimostra come sia pos-sibile coniugare i moderni aspetti della tecnica chirurgicacon gli antiche presupposti del “giuramento di Ippocrate”incui il malato, e non la malattia, deve essere al centro del-l’attenzione del medico.

In un’epoca in cui l’economia prevale sull’ideologia,non solo politica, ma anche in campo sanitario, offuscandospesso le esigenze dell’ Uomo, di cui dovrebbe essere alservizio, siamo convinti che questo sia un piccolo ma nontrascurabile contributo.

Prof. Giovanna BrancatoProfessore Associato di Chirurgia Generale

Università degli Studi di CataniaMembro Consiglio Direttivo

European Hernia Society - Italian Chapter

Un’eccellente organizzazionedei processi di cura produce

tassi di salute in gradodi modificare in maniera

sostanziale i profilidi morbilità e mortalitàdelle patologie acute

Claudio Cricelli Presidente Nazionale SIMG

Piero Vasapollo Presidente Regionale (Sicilia) SIM

Carmelo Di Gregorio Presidente Provinciale (Catania) SIMG

Antonino Di Guardo Comitato Scientifico

Giovanna Brancato

di FRANCIS DRAKE

In tante circostanze abbiamo evidenziato chel’assistere passivamente agli avvenimenti chestanno caratterizzando questo periodo storiconon solo non produce nulla, ma è proporzionalmen-te nocivo. Per non rimanere inerti, per nonrimanere “passivi”, bisogna essere pronti e prepa-rati ad affrontare tutto ciò che al di fuori di noi sipresenta come “negativo”. Per potere affrontare ilcosiddetto “lato oscuro”, bisogna conoscerlo e co-noscerlo bene. Per conoscerlo sono indispensabilile informazioni. Come procurarsi le informazioniè solo un dato tecnico, metodologico, soprattuttoumano. In questa sede offriamo degli spunti di ri-flessione, per renderci conto di ciò che abbiamodavanti. Partiamo dal presupposto che sappiamoche sul tappeto ci sono questioni che stannoscuotendo il mondo, ma non sappiamo da cosa eda chi sono provocati glisquilibri che tutti no-

tiamo. Queste questioni influiscono nel macroco-smo, così come nel microcosmo di un singolo ter-ritorio.

Partiamo dal presupposto di presunti “complotti”che si intersecano fra di loro, e che rendono incivilee conflittuale il consesso sociale.

La teoria del “complottismo” che serpeggia al-l’interno dell’intero sistema socio-economico-politico-militare mondiale, complottismo intesocome “il potere” che domina tutti i poteri, non sononuove, e, prima o poi, vengono messe in campodalle stesse varie parti in contrapposizione in unadeterminata fase storica. A seconda di chi liutilizza come mandante, ed a seconda dei cervelliche le imbastiscono, queste teorie possono esserepiù o meno credibili, e possono più o meno pene-trare nella coscienza dell’uomo qualunque, ormaida tempo sballottato in un mare di incertezze, senza

approdi di salvezza. Le teorie del “complottia-mo”, anche quelle meglio con-

gegnate, così come vengonoproposte con martellante ca-

denza. fini-

scono nelc a d e r e

nell’indiffe-renza, anche

se suscitanot e m p o r a n e o

scalpore. La di-sinformazione è

un’Arte sottile e in-sinuante che affa-scina e che ha loscopo di disorien-tare. Come dire,si tira fuori il“complottismo”,se ne parla più omeno diffusamen-

te, ma l’obiettivoprincipale di chi

mette in moto i suoi meccanismi, è negarne l’esi-stenza.

Bisogna stare molto accorti, e porci l’interroga-tivo se il “complottiamo” esiste veramente, e chisono i fautori delle strategie destabilizzanti. Noi,nell’edizione del giugno scorso de “La Voce del-l’Isola”, abbiamo parlato di “complotti”, ma nonnella dimensione delle “teorie”, bensì di “fatti” ac-caduti e resi noti che sono stati sotto gli occhi dichi ha voluto leggere e nelle analisi di chi ha volutocapire. È bastato accostare questi fatti per potereavanzare l’ipotesi di “complotto”.

A nostro avviso l’unica chiave per tentare dicomprendere cosa sta accadendo nel mondo, dicomprendere cosa sta accadendo nel nostro Paese,cosa sta accadendo in Sicilia, è quella di “recepire”gli avvenimenti per porli nella loro reale conno-tazione, unendo i vari pezzi sparsi, nel tentativodi individuare un quadro d’insieme. In poche pa-role, è necessario tentare di ricomporre il puzzleche i “veri” artefici dell’attuale caos conoscono nel-la sua vera entità, mentre gli ignari, nella miglioredelle ipotesi, intravedono solo qualche pezzoche emerge per gli errori che “umanamente”

commettono, perché qualche volta il mano-vratore si è avvalso di operatori poco avveduti,

e perché qualche volta ci si imbatte, permera casualità, in elementi certi.

Per il cosiddetto uomo qualunque, animato daspirito di ricerca, con l’intento di pervenire ad una

conoscenza approfondita, ricostruire il puzzle equi-vale imbarcarsi in una impresa impossibile, anchese possedesse la capacità di mettere insiemequalche tassello: all’uomo qualunque, infatti,mancano gli strumenti indispensabili all’otteni-mento delle informazioni utili.

Se le informazioni fossero a portata di tutti,nessun Paese avrebbe bisogno dei suoi Servizisegreti, nessun ente pubblico o impresa privata

avrebbe bisogno di cautelarsi con servizi specia-lizzati affinché le loro attività rimangano nell’am-bito della riservatezza.

Fin troppe cose oggi (come ieri, o ancor prima)vengono mantenute celate per il semplice fatto chenon sono trasparenti o “pulite” in quanto, nellamaggior parte dei casi, sono a danno dei più, cioèdi quella collettività che, secondo chi gestisce ilpotere, deve essere dominata e non deve avere oraggiungere, in ogni modo, la forza di reagire alleignominie.

Il “vero” potere non sta mai nelle mani di un sin-golo, ma di varie cerchie ristrette che si incontranoo si scontrano su interessi particolari sovranazionalio nazionali. Troppi patti scellerati legano gliuomini che detengono “spezzoni” del potere,troppi interessi legano coloro che detengono un po-tere più grande ma, a nostro avviso, un potere “as-soluto” non esiste poiché i contrasti (inevitabili)

La Voce dell’Isola

Serpeggia all’interno dell’intero sistema socio-economico-politico-militare mondiale

La teoria dei complottiserve solo a chi complotta veramente

36 n. 01 Gennaio 2011Politica

all’interno degli stessi poteri finiscono con il crearelimiti insormontabili. Il sistema delle alleanze dipotere presuppone costantemente una “controparte”che si oppone. Quando le lotte all’interno di questicentri di potere si fanno feroci, si hanno ricadutecatastrofiche nel mondo qualunque.

Stiamo cadendo anche noi nella teorie delcomplottiamo? Non è nostra intenzione: stiamo cer-cando di dare a chi vuole capire la precaria con-dizione che vive, una prospettiva di senso; stiamocercando di illustrare (per come possiamo) imeccanismi perversi che regolano i molteplici li-velli trasversali del potere.

Una volta in Sicilia, e dopo il termine varcò loStretto, era di uso comune una parola che definivaciò che non si poteva o non si voleva esprimere:“omertà”. Un termine ormai fuori moda che, quan-do lo si vuole riportare a galla, lo si affibbia stru-mentalmente ed esclusivamente alla mentalitàdel Siciliano. Grande errore di base: così nonè. L’uomo qualunque non è mai stato “omer-toso”, quasi sempre ha ben poco da nascondere.Se “individuo omertoso” vuole indicare coluiche teme qualsiasi tipo di rappresaglia nei suoiconfronti, senza avere alcuna possibilità di difesada contrapporre a chi e più forte (sotto tutti i pun-ti di vista) e che la fa da “padrone”, allora pos-siamo affermare che siamo un po’ tutti“omertosi”. La diffidenza verso leIstituzioni che dovrebbero ga-rantire sicurezza al cittadino èoggi così diffusa, che nessu-no osa gridare o esprimeresottovoce le proprie opi-nioni: tutti siamo diven-tati “omertosi”, e chisbandiera presunte overe denunce di mal-versazioni non lo facerto per altruismoma per tornaconto,di qualsiasi tipo,ma pur sempreper tornaconto.

Genera l iz-zando, tutti af-fermano di sa-pere tutto, manessuno par-la. Chi urla(i mass me-dia) sban-diera veritàche, ovvia-mente, sono diparte, ma soprat-tutto sono parziali,incomplete, sovente-mente marginali. Gli

instabili equilibri che si raggiungono in un Paesesono basati sui ricatti reciproci dei contendenti, su-gli avvertimenti, sulle minacce di scoprire questoo quell’altro scheletro nell’armadio altrui, ma inrealtà tutti hanno qualcosa da non rivelare.Quanti compongono il livello più alto delpotere, in queste condizioni e nono-stante le guerre intestine, continua-no a determinare il destino della

gente. Gente che non reagisce nel timore diperdere quel poco (o molto) che ha.

I poteri non sono occulti, sono conosciuti: è illoro operare che è occulto. Neanche le finalità sonoocculte, tutti sono in grado di comprenderle,anche il cosiddetto uomo qualunque che ne pagale conseguenze.

Comprendere cosa accade in un Paese, in un ter-ritorio circoscritto, non è facile: tra la disinforma-zione pilotata ben orchestrata e il veloce susseguirsidegli avvenimenti, spesso si è portati a dare unainterpretazione errata di ciò che accade. Anche iltempo contribuisce ad offuscare i fatti, a renderliincomprensibili: il frapporsi dei giorni, dei mesi,

degli anni su un accadimento finisce con il de-terminare la perdita della memoria, e quando

si tenta di ricostruire un avvenimentonon si trovano più le informazioni pri-

marie che lo possono spiegare nel suoreale contenuto e contesto. Tutto ciò

contribuisce a creare la “forza”del potere e di chi lo gestisce.

Le teorie del “complotti-smo” (mondiale, nazionale,locale) traggono la loro vi-talità dai troppi “misteri”insoluti che hanno costella-to gli anni che vanno dal-l’ultimo conflitto mondialead oggi in qualsiasi parte delglobo. I “misteri” in realtàesistono soltanto perché non

ci sono informazioni asufficienza per

spiegarli e ri-s o l v e r l i .

La Voce dell’Isolan. 01 Gennaio 2011 37PoliticaL’unica chiave per tentare di comprenderecosa sta accadendo nel mondo, di comprendere cosasta accadendo nel nostro Paese, cosa sta accadendo in Sicilia,è quella di “recepire” gli avvenimenti per porli nella loro realeconnotazione, unendo i vari pezzi sparsi

La Voce dell’IsolaSono le informazioni che vengono sottratte e celatea formare un “mistero”. Di esempi se ne possonoportare tantissimi: un elenco interminabile. Per dir-ne uno che riguarda la Sicilia: recentemente a Mon-telepre è stata riaperta, su ordine della magistraturapalermitana, la tomba di Salvatore Giulianoperché, a distanza di sessanta anni, i magistrati han-no ritenuto di avere elementi sufficienti per ipo-tizzare che i resti dentro la bara non siano di quel-l’uomo. Se così fosse, (e pare che così è) verremmoa trovarci davanti ad un altro “mistero”, solo perchéqualcuno ha tenuto nascosta una “verità” incon-fessabile, e qualcun altro ora ha la possibilità difar preoccupare chi ha qualcosa da nascondere..Ora, per il tempo trascorso, per i personaggi di untempo già scomparsi, una eventuale ricostruzionestorica non dovrebbe portare danno a nessuno, mapuò esserci sempre un qualcuno che potrebbe averetimore di ciò che, eventualmente, è stato tenuto ce-lato per decenni..

Siamo convinti che il punto di origine delle pro-blematiche che investono le nazioni forti delmondo (e per riflesso, i Paesi che ricadono nellaloro sfera d’influenza), siano state generatesettanta anni addietro, proprio dalle ragioni che sca-tenarono la seconda guerra mondiale. In quelle“origini” dei “problemi” un ruolo importante lo haricoperto la Sicilia, i principali personaggi di queltempo e, in seguito, i loro “eredi”. Occorreguardare lontano per comprendere – o almeno met-tere a fuoco – le situazioni attuali: il consolidamen-to dei “poteri”, o la nascita dei nuovi “poteri” sca-turisce dagli equilibri (o mancati equilibri) che ven-nero provocati dalla conclusione di quel conflittobellico che investì, in pratica, tutto il mondo.

Quanto sottoposto all’attenzione è soltanto unaparziale, molto parziale visione degli elementi chesono in combustione nella pentola dei cuochi deipotenti del mondo.

Le teorie del “complottismo” strumentale mo-strano il loro lato debole nella generalizzazione del-le “colpevolizzazioni”: i potenti (quelli più noti,almeno) tutti, a turno, vengono additati come i fau-tori delle trame più oscure per creare caos e de-terminare un nuovo ordine mondiale. Tutti vengonocoinvolti perché ritenuti colpevoli delle più grandinefandezze. Anche se così è, l’uomo qualunque allafine, pur assimilando qualsiasi tipo di ipotesi, rigettale presunte evenienze.

È l’innato istinto di conservazione che farifiutare anche l’evidente in quanto l’uomo, istin-tivamente, tende a non privarsi della speranza diun futuro diverso, migliore, dove le parole“libertà” e “democrazia” abbiano il loro effettivovalore. Sono meccanismi psicologici che i mani-polatori della realtà conoscono approfonditamente.In tempo di guerra e di pace ogni Paese, nell’ambitodei propri Servizi segreti, o dei Servizi di sicurezza,ha una branca che viene definita “war psycology”,che è lo studio dei pensieri, delle volontà, delle in-tenzioni e delle reazioni di una collettività o di unsingolo in riferimento ad un determinato obiettivo.Le analisi che noi possiamo sviluppare sulle infor-mazioni che riusciamo a raccogliere sugli avve-nimenti quotidiani, devono, dunque, tenere contodi una serie di fattori non palesi, ma che sappiamoche sussistono.

Abbiamo parlato di “poteri forti”, ma quali sonoquesti “poteri forti”? Ognuno di noi, senza ma-

gari rendersi conto della effettiva entità, li conosce:sono quelli che gestiscono l’economia di unPaese (come il sistema bancario) le grandi industrie(soprattutto quelle belliche), le grandi imprenditorie(un ramo influente è quello dei mass media), legrandi organizzazioni criminali, i servizi segreti(che spesso agiscono al fuori delle rispettivesfere governative), chi controlla le religioni (dalVaticano all’Islam), la Massoneria (all’interno dellaquale trovano il loro punto d’incontro i principaliesponenti delle varie lobby).

Parlando del cosiddetto “lato oscuro” del mondosociale, abbiamo già detto che bisogna conoscerloe conoscerlo bene, se non si vuole rimanereinerti e passivi, se non si vuole subire la costanteazione nociva, per poi decidere se si vuole affron-tare oppure limitarsi a vedere come opera elottarlo quando si potranno avere gli strumenti ade-guati.

Gli scopi che animano il “potere” sono, appa-rentemente, sotto gli occhi di tutti: l’accaparramen-to ad ogni costo delle ricchezze, il dominio sullagente (che inevitabilmente porta alla distruzionedelle democrazie) l’operare in maniera occulta perraggiungere le finalità prefissate (adoperandotutti i mezzi subdoli a disposizione).

C’è da chiedersi il perché questi “poteri forti”non siano stati in grado, sino ad ora, di sovvertireil mondo così come da sempre aspirano ad un co-siddetto “nuovo ordine”. La risposta è forsesemplice: i contrasti esi-stenti fra le varie forze incampo, la paura di rag-giungere una dittatura“unica” che avrebbe po-tuto provocare la distru-zione dei poteri non alvertice.

Se così è, la possi-bilità di reagire,di ribaltare idisegnimalvagiche si portanoavanti dalla finedella secondaguerra mon-diale, la possi-bilità di porreun freno aquanto si veri-fica, è concre-ta.

La Masso-neria da sem-pre ha traccia-to (nel bene enel male) li-n e e - g u i d anell’evolu-zione dellenazioni:dall’Il-lumi-n i -

smo, alla Rivoluzione francese, al colonialismo del-l’Inghilterra, la troviamo nella Rivoluzione russa(il massone Lenin portò avanti lo sconvolgimentodi quel Paese grazie ai soldi fornitigli dai Massonitedeschi), la troviamo nella nascita degli Stati Unitid’America, la troviamo nell’Italia del Risorgimentoe nell’Italia dell’avvento del fascismo quando ilmassone-maestro Mussolini venne supportatoper raggiungere il potere, la ritroviamo nella“P2”, e in tutte le forme sotterranee più o meno notedei giorni nostri, la ritroviamo nel Cile di Pinochet,e nell’avvento di Gheddafi, solo per ricordare al-cuni momenti storici. La Massoneria è fatta da uo-mini che sono stati iniziati e che hanno seguito unloro percorso iniziatico.

Quando il percorso delle “regole” è stato abban-donato, la Massoneria si è trasformata in lobby, incaste che abbracciano “altre regole” per raggiun-gere obiettivi di parte.

Questa particolare forma della Massoneria (cheMassoneria non dovrebbe più definirsi) ha una po-tenza immensa che le deriva dalle sue origini “uni-versali” e dai meccanismi che hanno consentito aquesta Istituzione di passare indenne attraverso isecoli e di mantenere intatta tutta la sua autorevo-lezza.

I principi della Fratellanza, da questa Massoneria,sono stati trasformati in principi di complicità in-teressate e trasversali, indirizzate esclusivamentealla detenzione o al raggiungimento di un “potere”nel mondo profano che nulla ha a che vedere conlo scopo primario di questa aggregazione diuomini, che è quello sancito del “bene per l’Uma-

nità”.Non è la Massoneria che ha tra-

dito sé stessa, ma sono gli uo-mini che l’hanno governata eche la governano che hanno

perpetrato e perpetra-no simili mi-

sfatti.

38 n. 01 Gennaio 2011Politica

La Voce dell’Isola

di LUCA PLATANIA

Tra Piazza Dante e l’ospedale Vittorio Emanuele,nella parte più alta della città, l’acropoli dell’anticaCatania greca e romana, sorge l’ex Monastero deiBenedettini di S. Nicolò la rena.

Stupisce ancora oggi qualsiasi visitatore per l’im-ponenza e la ricchezza del suo prospetto tardo ba-rocco; stupiscono le ciclopiche proporzioni dellachiesa di S. Nicolò, la cui facciata, rimasta incom-pleta, provoca reazioni contrastanti, tra la meravigliae l’inquietudine.

La ricchezza del monastero catanese era famosaanche in Europa: diversi viaggiatori stranieri delGrand Tour registrarono nei loro diari elogi del mo-numentale complesso: Friedrich Munter nel 1785definì “incredibilmente maestosi…la chiesa e il con-vento dei Benedettini”, Auguste de Forbin nel 1820annotava:“I Benedettini di Catania abitano unvero e proprio palazzo”.

Claudio Marcellus nel 1841 si era invaghito diCatania: “Ammiro … soprattutto il suo deliziosoMonastero dei Benedettini. Sfarzoso asilo! Solitu-dine reale!”.

In tutti nasceva, ora l’ammirazione, ora losdegno di fronte a quello che invece di un luogo disegregazione e penitenza, somigliava più ad una reg-gia reale, superando per magnificenza tutti gli altriedifici di Catania.

Dopo un più che ventennale lavoro di recuperoe restauro, il Monastero torna a stupire i visitatoricontemporanei, grazie alle antiche attrattive ed allenuove meraviglie progettate da Giancarlo DeCarlo, strutture non invasive che permettono arditipassaggi del visitatore nella storia.

Così sono concepiti infatti il ponte della Emero-teca sui mosaici di una antica villa romana scopertanelle fondamenta, o i camminamenti dei magazzinidelle Cucine tra muraglie di lava, strutture settecen-tesche e macchinari dell’ex Laboratorio di Geodi-namica.

Il fiume Amenano scorre laggiù, a quaranta metridi profondità, visibile attraverso il pozzo delle Cu-cine: la natura, il vulcano e l’uomo hanno qui ga-reggiato in forza e gli echi dello scontro sono ancoraudibili tra le volte.

Sopra di noi, nell’Antirefettorio, allegorie fem-minili in fogge classiche vegliano sorridenti sull’in-gresso di quello che, da luogo di meditazione e dipreghiera è diventato fucina del pensiero: la Biblio-teca Ursino Recupero custodisce l’immenso patri-monio librario collezionato nei secoli dai Benedet-tini, la Facoltà ospita quasi quotidianamente con-ferenze, incontri, mostre.

Ci aggiriamo negli immensi corridoi tra studenti,laboratori linguistici, giardini lussureggianti che rac-contano l’isola del sole, il centro del Mediterraneo,incrocio ed incontro di più popoli e culture.

Percorriamo ampli spazi e saloni ricoperti di bian-ca calce nei quali la luce del giorno gioca benevol-mente con i nostri sentimenti, disegnando dinnanziai nostri occhi geometrie e volumi cangianti.

Oggi, entrando nel complesso dall’ingresso diPiazza Dante, fatti pochi passi nel cortile interno tro-viamo a destra del portone d’ingresso l’ufficio dellevisite guidate gestito da “Officine Culturali”.

Una lunga storia, ricca di cultura e bellezza, vieneofferta a tutti i visitatori in una esperienza unica, in-dispensabile per chiunque voglia intendere appienola storia della Sicilia e dell’etneo in particolare.

Iniziato a costruire nel 1558 nella parte più alta e antica di Catania

Il Monastero dei Benedettiniriscopre la sua dimensione

n. 01 Gennaio 2011 39Cultura

Una lunga storia, ricca di cultura e bellezza,

viene offerta a tutti i visitatoriin una esperienza unica,

indispensabile per chiunquevoglia intendere appieno

la storia della Siciliae del territorio etneo

in particolare

L’imponente ingresso del monastero

La scalinata interna

La Voce dell’Isola

I monaci benedettini sono una comunità pre-sente nell’etneo già dal XII secolo: abitavano in-fatti l’eremo di S. Nicolò la rena, poco più in altodi Nicolosi. Una parte di essi, provata dairigori dell’inverno e spaventata dalle eruzioni,comincia a progettare un convento gemello a Ca-tania, donde l’omonimia con quello di Nicolo-si.

Quest’ultimo, abbandonato progressivamente,divenne nel XVIII secolo rifugio di banditi; dopoi necessari lavori, ospita oggi gli uffici dell’EnteParco.

Il nome riguarda la devozione dei monaci peril santo, e si riferisce alla “rena”, alla sabbia neradi lava fine che caratterizzava gli spazi circo-stanti il monastero.

Nel 1558 iniziano i lavori che vengono par-zialmente conclusi nel 1578, anno nel quale imonaci entrano ufficialmente ad abitarvi, por-tando trionfalmente una reliquia, il “SantoChiodo”, presumibilmente uno dei chiodi della

croce su cui Gesù spirò. Il progetto originarioprevedeva in realtà quattro giganteschi chiostri;nel tempo ne vennero realizzati solo due,poiché eventi naturali compromisero il lavorodell’uomo.

Nel 1669, infatti, la lava dell’Etna lambì il mo-nastero a nord ed occidente; i monaci innalza-rono dei giganteschi muri con materiali di re-sulta, riuscendo a limitare i danni; pure la lavainnalzò di molto il livello del suolo doveavrebbero dovuto sorgere gli altri due chiostrigemelli.

Nel 1693 il terribile terremoto che sconvolsela Sicilia Orientale rase al suolo il Monastero;dall’inizio del ‘700 la ricostruzione secondo ildisegno e lo stile che oggi possiamo ammirare.Dal 1739 in poi, su progetto del Vaccarini, la mo-difica del progetto dell’ala nord con la costru-zione delle sale che ospitarono il museo e la bi-blioteca dei Benedettini, nonché delle cucine,l’antirefettorio ed il refettorio.

Nel 1866 in poi, con l’incameramento dei beniecclesiastici da parte del Regno d’Italia, ilMonastero venne adibito ai più diversi usi: gliimmensi spazi potevano ospitare contempora-neamente scuole, uffici, palestre, caserme.

I grandiosi giardini dei Benedettini vengonousati per la costruzione dell’ospedale VittorioEmanuele, nel 1886 – 1890 la costruzione di unosservatorio astronomico nei locali delle cucinee dell’antirefettorio.

L’ex monastero continuerà nei decenni adospitare diverse istituzioni, con interventi ediliziche però compromettono l’assetto e la bellezzaoriginari.

Negli anni ’70 del XX secolo il complesso èdonato all’Università di Catania; nel 1981 ven-gono iniziati i lavori del lungo recupero e restau-ro, su progetto dell’architetto Giancarlo De Car-lo.

Dopo un quarto di secolo, i lavori sono in granparte terminati, restituendo al pubblico quelloche costituisce per vastità, bellezza e storia unodei monumenti più importanti di Catania.

Il complesso monastico è attualmente sededella facoltà di Lettere e Filosofia e di Lingue;esso accoglie, in alcuni spazi del Comune, le Bi-blioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero,il Sacrario dei caduti e la chiesa di S. Nicolò.

Lu. Pa.

Il Monastero rivive una nuova vita

Un gioiello del barocco siciliano

40 n. 01 Gennaio 2011Cultura

La maestosa costruzionevenne iniziata nel 1558,

ma eventi naturalicatastrofici ne compromisero

la realizzazione.La ricostruzione

dal 1739 in poi, su progettodel Vaccarini

La Voce dell’Isola

di LUCA PLATANIA

Abbiamo incontrato Francesco Mannino, arappresentanza del gruppo dei competenti eattivissimi ragazzi che si sono impegnati or-mai da tempo ad rendere possibile la correttafruizione di questo inestimabile bene.

Cos’è “Officine Culturali”?“Officine Culturali” è una associazione

culturale nata nel Novembre 2009 che riuni-sce il gruppo di guide del Monastero dei Be-nedettini di Catania formate dal personaledella Facoltà negli anni precedenti. È presie-duta da Anna Mignosa, docente di Economiae Gestione delle Imprese.

L’obiettivo di “Officine Culturali” è porta-re a regime la fruizione del Monastero: finoal 2009 era legata al lavoro volontario; daadesso desideriamo permettere ai visitatoridi poter venire e trovare sempre il servizio adisposizione.

In seguito alla fondazione dell’associazio-ne è stata stipulata una convenzione con laFacoltà di Lettere e Filosofia nel febbraio2010: “Officine Culturali” è incaricata dellafruizione del Monastero.

Questa iniziativa, va sottolineato, non haun costo per l’Università, anzi, una percen-tuale dell’incasso va alla Facoltà. Potrebbediventare una occasione di lavoro per i gio-vani formati dalla Facoltà stessa e una fontepotenziale di introiti che va alla Facoltà.

Portare a regime significa assicurare ilservizio cinque giorni lavorativi più Sabato eDomenica su prenotazione: praticamente ga-rantiamo l’apertura tutto l’anno.

Si possono già fare bilanci della vostraattività? Quanti visitatori avete registrato?

Abbiamo avuto 700 visitatori al mese in

media; la metà di essi proviene dalle scuole,l’altra metà annovera una buona percentualedi catanesi, soprattutto in occasione delleaperture straordinarie e poi turisti, viaggia-tori ecc.

Come fate a rendere visibile questa of-ferta culturale nel territorio?

Al Bureau del turismo e in molti bed&bre-akfast distribuiscono cartoline informativesul Monastero dei Benedettini. Oltre ad unaconvenzione con l’Associazione delle GuideTuristiche, abbiamo in cantiere diversi pro-getti di fruizione, e stiamo stipulando deiprotocolli d’intesa con l’Assessorato alle Po-litiche Scolastiche e con alcune associazionidi disabili.

Il preside della Facoltà di Lettere e Filoso-fia, Enrico Iachello e il consiglio di Facoltàhanno creduto in questa iniziativa, e l’hannovoluta fortemente; in un periodo di criticheall’Università, va specificato che il pubblicoin Italia può funzionare, e bene; che la cultu-ra può diventare occasione di lavoro, anchecoinvolgendo e incaricando della co-gestionedei servizi annessi strutture come OfficineCulturali.

Da cosa rimangono particolarmente stu-piti i visitatori?

In generale sono molto apprezzati il Chio-

stro di Levante e la Emeroteca. C’è però unadifferenza tra le aspettative e gli esiti dellevisite del pubblico locale: circolano leggendesulle Cucine dei Benedettini e sul cosiddetto“Ventre delle Cucine”, spazi una volta adibitia magazzini di derrate alimentari sottostantile Cucine e l’Antirefettorio.

Molti ci chiedono con particolare insisten-za di cunicoli e sotterranei che, dal Monaste-ro comunicherebbero con il complesso delle“Verginelle” di Piazza Dante; colgo l’occa-sione per specificare che non esistono, alme-no noi non li abbiamo mai visti; inoltre le re-lazioni tecniche degli interventi al Monasteronon danno l’esistenza di cunicoli. Molti visi-tatori ci chiedono inoltre notizie sui fantasmiche infesterebbero di notte il Monastero. Vadetto che le leggende sono una parte impor-tante del patrimonio culturale orale di unacomunità, ma rimangono leggende..

Questo era considerato un vero e pro-prio labirinto; è facile per un utente per-dersi se non è provvisto di informazioniadeguate…

La Facoltà ha organizzato su nostra pro-posta, e grazie alle collaborazione con il la-boratorio “LA MUSA” (Laboratorio multi-mediale di sperimentazione audiovisiva) unamappa del Monastero; viene distribuita gra-tuitamente a qualunque visitatore ne facciarichiesta.

Naturalmente, però il visitatore da solonon può accedere a molte aree centrali di at-trattiva che sono normalmente chiuse permotivi di sicurezza e che possono essere frui-te solo tramite le visite guidate.

Incontro con la guida Francesco Mannino

Corretta fruizionedi un bene inestimabile

n. 01 Gennaio 2011 41Cultura

L’associazione OfficineCulturali riunisce un gruppo

di guide specializzateche consentono ai visitatori

di potere conoscerela storia del Monastero

La Voce dell’Isola

di MIRCO ARCANGELI

Con la fine dello scorso anno, l’azione di ac-certamento dei redditi occultati e/o elusi, siè arricchita di un nuovo strumento, lo “spe-sometro”.

Infatti nei mesi estivi del 2010 abbiamo as-sistito a titoli di giornali che gridavano allo scan-dalo per l’utilizzo personale di Yacht, travestitoda charter nautico. Il meccanismo è moltosemplice, si dichiara di svolgere un’attività dinoleggio barche, con apposita società, e quindinon risulta alcun possesso a titolo personale dellamedesima imbarcazione, ottenendo in più nu-merosi vantaggi di natura fiscale, economica efinanziaria. Il primo conseguente alla separazio-ne del proprio patrimonio da quello dellasocietà, con il beneficio della responsabilità li-mitata; poi il recupero dell’Iva sui costi ricon-ducibili all’acquisizione dell’imbarcazione inleasing, e per finire la mancata applicazione delleaccise sul gasolio, che permette il dimezzamentodel costo. L’intestazione della barca ad una so-cietà esclude infine il bene dal calcolo del red-ditometro.

Anche nel 2011, proseguirà senza sostal’azione di controllo alla ricerca di gettitofiscale sottratto alle casse dello Stato.

Lo strumento principe di questa azione èil redditometro, idoneamente aggiornato ai nuo-vi stili di vita dei nostri tempi, nel maggio delloscorso anno. Il Redditometro, viene classificatofra i tipi di accertamento come “sintetico”, e rap-presenta uno strumento statistico che permettedi misurare statisticamente il reddito presunto,il reddito minimo accertabile di un soggetto par-tendo dai suoi consumi.

Non si misura il reddito in fase di produzionema in fase di capacità di spesa.

Il nuovo redditometro 2010/2011, prenderàin considerazione l’intero nucleo familiare.Con un peso diverso a seconda della collocazio-ne territoriale.

I parametri e gli indici di spesa che sono presiin considerazione per il calcolo del reddito pre-sunto, sono quelli che ineriscono alle abitazionie residenze secondarie, alla presenza di colf obandanti, all’utilizzo di auto, moto, al pagamentodi premi di assicurazioni sulla vita e altro, all’usodi imbarcazioni yacht motoscafi, affitti e loca-

zioni, a rendite, a viaggi, centri benessere e spa,a circoli esclusivi, case d’asta, a rette scolasticheper scuole private.

L’accertamento può scattare quando dalle spe-se e dai costi sostenuti secondo gli indicidescritti e secondo un sistema di calcolo auto-matico, emerge un reddito maggiore a quello di-chiarato per un importo superiore al 20%. Dal-l’anno d’imposta 2010 il fisco avrà la facoltà diprocedere ad accertamento anche al superamentodel limite del 20% del primo anno, mentre finoal 2009 si doveva superare il limite per due anniconsecutivi, e con un differenziale del 25%.

Quindi se confrontando il reddito netto indi-cato nel quadro RN del modello Unico e pre-cisamente il rigo RN4 ossia il reddito al nettodegli oneri deducibili e delle detrazioni per l’abi-tazione principale, questo risulta inferiore a quel-lo determinato dal calcolo con il redditometroper una misura maggiore del 20%, scatta l’ac-certamento.

Attraverso questo sistema, l’Agenzia delle En-trate, in forza della presunzione legale relativaderivante dalla legge, è esonerata dal dover di-mostrare la presunta capacità reddituale e con-tributiva del soggetto, al quale viene demandatol’obbligo di dimostrare la legittimità fiscale delleproprie spese.

Il redditometro è quindi uno strumento perrideterminare il reddito prodotto sulla base deibeni di proprietà del contribuente, della sua ca-pacità di spesa, capace di stimare un reddito mi-nimo presunto sul quale calcolare un’impostada versare ed un reddito minimo accertabile.

Restano naturalmente esclusi dalla base di cal-

Il nuovo redditometro sarà in grado di stanare l’evasione

Entra in scena il “Grande Fratello” sulle spese superiori a 3.600 euro

42 n. 01 Gennaio 2011Economia

Il Redditometro,viene classificato

fra i tipi di accertamentocome “sintetico”,

e rappresentauno strumento statisticoche permette di misurare

statisticamenteil reddito presunto,il reddito minimo

accertabile di un soggettopartendo dai suoi consumi

La Voce dell’Isola

colo del redditometro tutti i beni e le spese ine-renti lo svolgimento di attività professionali oimprenditoriali. In queste ipotesi l’acquisto dibeni non influisce sul redditometro in quanto nonrappresenta un “incremento patrimoniale” ai finidella determinazione sintetica del reddito,anche se il contribuente dovrà dimostrare di uti-lizzare con evidenze probanti, l’esclusivitàdell’utilizzo all’interno della gestione impren-ditoriale o professionale.

Lo spesometro. Si diceva in apertura che ilredditometro si arricchisce quest’anno di un ul-teriore strumento di verifica, lo “spesometro”.Questa brutta parola, in tutti i sensi, sta a signi-ficare che a partire da maggio 2011, tutti i sog-getti che vendono prestazioni o beni a privaticittadini, devono richiedere i dati anagrafici (co-dice fiscale) ai loro clienti, nel caso in cui questieffettuino spese superiori a 3.600 euro, e comu-nicare, attraverso una procedura telematica, taleelenco all’Agenzia delle Entrate.

Attenzione quindi alle spese superiori a3.600 euro effettuate da maggio 2011, poichésaranno tutte segnalate (per obbligo), ed even-tualmente prese in considerazione per eventualiaccertamenti sintetici, cioè alimenteranno le in-formazioni sulla capacità di spesa del contri-buente, ai fini del calcolo di rideterminazionedel reddito sulla base del redditometro.

Naturalmente non vale dividere o frazionarela spesa per importi inferiori a 3.600 euro perlo stesso oggetto di acquisto, poiché il venditoredovrebbe ricondurre i pagamenti ad una unicaoperazione e quindi inserire le informazioni per

il “Grande Fratello”. Ma come ci si potrà difendere dal reddito-

metro? Ci verranno in aiuto le seguenti infor-mazioni, tutte debitamente documentate:

Presenza di redditi esenti o che hanno scontatol’imposta sotto forma di ritenute alla fonte.

Dimostrazione che lo scostamento non è del20% ma di una percentuale inferiore e pertantol’agenzia non avrebbe titolo a procedere alla de-terminazione del nuovo reddito imponibile.

Dimostrazione di non essere i proprietari deibeni presi a base del controllo, facendo così di-minuire il reddito minimo.

Dimostrazione che le spese sono state soste-nute da terzi attraverso la certificazione di do-nazioni come parenti o genitori (bonifico ban-cario o altro)

Utilizzo di risorse in seguito a smobilizzo dibeni e patrimoni.

Presenza di disinvestimento in titoli azionari,fondi comuni di investimento, liquidazionedel Tfr, e anche indebitamenti.

Il redditometro è uno strumento capace di ef-fettuare controlli trasversali, non solo controlliad imprenditori e professionisti, ma anche a la-voratori dipendenti a disoccupati e a pensionatie casalinghe.

Il presidente del Consiglio nazionale deicommercialisti e degli esperti contabili, ClaudioSiciliotti, ultimamente ha ricordato che l’eva-

sione fiscale sottrae alle casse dello stato una ci-fra che si aggira intorno ai 100 miliardi di euroall’anno. “L’Italia – dice il Presidente - non puòessere il paradiso per gli evasori e l’inferno peri cittadini onesti”.

Per questo, afferma Siciliotti è necessario in-trodurre nuovi strumenti efficaci control’evasione fiscale: “Il redditometro è uno stru-mento democratico e trasversale, riguarda dipen-denti e autonomi, e anche i finti disoccupati.Inoltre consente di fare un raffronto tra quantoviene speso e quando viene dichiarato, un ele-mento che può essere applicato su tutti”.

A partire da questo strumento, si dovrebbeaprire una discussione ad ampio raggio sulla op-portunità di superare un sistema fiscale come ilnostro, basato su una tassazione che prende a ri-ferimento il reddito prodotto, con una diversatassazione che interviene invece quando il red-dito viene speso e consumato.

nfatti se con aliquote irpef e ires così alte siè costretti a sopportare una pesantissima evasio-ne fiscale, tanto vale intervenire nella fase delconsumo attraverso un ampliamento della tas-sazione indiretta, appositamente equilibrata. Si-curamente da queste colonne avvieremo un con-fronto su questa tematica, nel frattempo “curia-moci in salute” e verifichiamo se il nostro stiledi vita è pienamente compatibile con le nostre“possibilità”.

Tutto ciò che è necessario conoscere sul redditrometro

Lo “spesometro” misurerà il reddito non in fase di produzione ma in fasedi capacità di spesa

n. 01 Gennaio 2011 43Economia

L’accertamento può scattarequando dalle spesee dai costi sostenuti

secondo gli indici descrittie secondo un sistemadi calcolo automatico,

emerge un reddito maggiorea quello dichiarato

per un importosuperiore al 20%

La Voce dell’Isola

di SALVO BARBAGALLO

Scrivevamo qualche anno addietro che nel Mediterraneol’area di libero scambio “è un sogno a rate”: la realtà, pur-troppo, ci ha dato ragione.

L’area di libero scambio nel Mediterraneo è (ma forse laprospettiva è solo utopia) una “costruzione” inclusa nell’ambitodella Dichiarazione di Barcellona del 1995, che sancì la nascitadel Partenariato Euro-Mediterraneo, e che fu sottoscritta dagliallora 15 Paesi della UE e da 11 Paesi della riva Sud ed Estdel Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia, Malta, Egitto,Israele, Giordania, Siria, Turchia, Cipro, Libano) e dall’AutoritàNazionale Palestinese. Accolta dunque tra i Paesi firmatarila Giordania, mentre fu esclusa la Libia, sottoposta alle sanzioni

delle Nazioni Unite, ma in seguito ammessa per iniziativa ita-liana, in qualità di membro osservatore alla Conferenza di Stoc-carda del 1999. Una sfida per il futuro che doveva essere giàcolta (malgrado o forse in ragione degli elementi di criticità)soprattutto per i Paesi dell’Europa del Sud e per l’Italia in par-ticolare, che avrebbe potuto aprire nuove occasioni di coo-perazione tra istituzioni, imprese e società.

Una occasione fondamentale soprattutto per il Sud e per laSicilia che avrebbero potuto riaffermare il proprio ruolo pri-mario nell’ambito di quello che fu il Mare Nostrum che, comegià in passato, potrebbe rivelarsi fonte privilegiata diricchezza non solo e non tanto in termini economici, ma so-prattutto in termini di opportunità e di affermazione della pacee dei diritti.

Resta inapplicato il Protocollo sottoscritto da 26 Paesi a Barcellona nel 1995

Inspiegabili ritardinell’apertura

dell’Areadi libero scambionel Mediterraneo

n. 01 Gennaio 2011 45

La Voce dell’Isola

Nel 2010, cioè nell’arco dello scorso anno, sa-rebbero dovute cadere le barriere commercialie i dazi fra i 26 Paesi che hanno sottoscritto l’ap-posito Protocollo a Barcellona nel 1995, al finedi favorire lo sviluppo in un’Area che raccoglieseicento milioni di abitanti. Così non è stato. Aldi là delle (buone) intenzioni non si è andato,di tutto ciò che intendeva rappresentare il Pro-tocollo di Barcellona sono rimasti (al momento)soltanto gli incontri e i convegni nei quali i rap-presentanti dei singoli Paesi hanno discusso mo-dalità e norme di applicazione. Sono rimaste,cioè, solo le parole e gli intendimenti, ma nonsi è andato oltre, proiettando sempre in un im-mediato futuro l’auspicata apertura dell’Area dilibero scambio nel Mediterraneo.

Le cause della mancata “operatività” vengonoattribuite da una parte alla destabilizzazione co-stante esistente nella macro regione (dal MedioOriente ai Balcani, alla zona del Maghreb), dal-

l’altra alla crescente tensione etnica e religiosa,ma anche allo scarso coinvolgimento dei vari go-verni che, fino ad ora, quando operano hannopreferito seguire accordi bilaterali.

Ancora una volta si tengono convegni, l’ul-timo, forse, quello che ha promosso l’associa-zione ambientalista “Mare Vivo” che ha riunitoprofessionisti e operatori culturali per discuteresull’argomento. Il dato significativo che èemerso da questo ennesimo incontro è che l’Ita-lia nel 2009 ha puntato il ventuno per cento degliinterscambi commerciali nell’Area del Mediter-raneo.

Dato significativo che, quantomeno, mostracome il nostro Paese, la nostra imprenditoria cre-de nelle possibilità dell’interscambio con iPaesi rivieraschi. Per la Sicilia, che è snodo fon-damentale dell’asse Europa-Mediterraneo, irapporti vengono sviluppati più su iniziative au-tonome (dalle Università alle singole imprese)

che non quelle governative. Il processo di inter-scambio dovrebbe essere maggiormente sorretto,apsettando e auspicando che il Protocollo di Bar-cellona possa essere applicato in tutta la sua realedimensione. E ricordiamo quali sono i terminidel Protocollo.

Nei tre capitoli in cui si articola la Dichiara-zione di Barcellona sono fissati i principali obiet-tivi del Partenariato:

-Creare un’area comune di pace e stabilità at-traverso il rafforzamento del dialogo politico edi sicurezza (Capitolo politico e di sicurezza).

-Costruire una zona di prosperità condivisamediante la creazione di una partnership eco-nomica e finanziaria che si basa sulla creazionedi una Zona di Libero Scambio (ZLS) entro il2010 (Capitolo economico e finanziario).

- Promuovere il dialogo tra culture e gli scambia livello umano, scientifico e tecnologico al finedi avvicinare i popoli, favorire la comprensione,

Mediterraneo: l’apertura dell’Area di libero scambio può fare superare ogni tipo di crisi

Le barriere sarebbero dovute caderegià nel 2010, ora si ipotizza nel 2012

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La Voce dell’Isola

migliorare la percezione reciproca (Capitolo so-ciale, culturale e umano). Dunque una collabo-razione di ampia portata, estesa al di là della sferastrettamente economica per comprendere ambiticome la politica di sicurezza e i diritti umani.

Nel quadro della Zona di Libero Scambio(ZLS), che era prevista appunto per il 2010, do-vevano essere soppressi dazi e tasse per quasitutti i prodotti industriali, provenienti sia dai Pae-si europei sia da quelli terzi mediterranei.

Restavano invece esclusi dal libero mercatoi prodotti agricoli, mantenendo la disparità traNord e Sud del Mediterraneo a vantaggio dell’Europa. Un’occasione di grande rilevanza, chese da un lato sembra configurare una scelta stra-tegica foriera di prospettive allettanti (tra tutte,

un’accresciuta autorevolezza dell’Unione Eu-ropea, che avrebbe potuto (e potrebbe) entrarenel “nuovo ordine mondiale” con un ruolo di pri-mo piano), dall’altro ha sollevato inevitabili per-plessità e interrogativi, soprattutto in ragione del-la riarticolazione del quadro geopolitico nel ba-cino del Mediterraneo.

I motivi della mancata realizzazione di questaArea di libero scambio, che si sarebbe dovutaconcretizzare nel 2010, probabilmente vanno ri-cercato negli “interrogativi” che la questione haposto, che non nelle certezze di sviluppo da piùparti avanzate.

Area di libero scambio nel Mediterraneo: sene parla, dunque, da oltre vent’anni, ma negliultimi tempi, in campo internazionale, la que-

stione è passata quasi nel dimenticatoio. Di tantoin tanto, come detto, in occasione di poco utiliconvegni, l’argomento ritorna a galla, per poiessere posto nuovamente in archivio.

Un sogno a pillole, oppure “a rate”, come pre-ferite, ma fino ad oggi soltanto un sogno.Eppure tutti i Paesi che hanno sottoscritto il Trat-tato di Barcellona del 1995 si dimostrarono con-vinti (e si dimostrano a tutt’oggi) della grandeopportunità che offre quest’Area aperta, non sol-tanto per lo sviluppo vertiginoso che potrebberoavere gli scambi, ma soprattutto perché può for-nire uno strumento unico per le relazioni, a qual-siasi livello, fra i Paesi stessi sottoscrittori.

Solo buone intenzioni? parole entusiasmanti,di veramente concreto, purtroppo, nulla.

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Nell’arco dello scorso anno,sarebbero dovute caderele barriere commerciali

e i dazi fra i 26 Paesi chehanno sottoscritto l’apposito

Protocollo a Barcellonanel 1995, al fine di favorire

lo sviluppo in un’Areache raccoglie seicento

milioni di abitanti.Così non è stato

La Voce dell’Isola

In Italia in passato a dissertare su l’Area dilibero scambio nel Mediterraneo – ovviamentedurante un convegno, il secondo Forum econo-mico del Mediterraneo, tenuto nella Sala GiulioCesare al Campidoglio nel 2009 – sono stati ilministro dello Sviluppo economico, ClaudioScajola e il vice ministro Adolfo Urso.

“L’obiettivo, ambizioso, ma raggiungibile, èquello della creazione di un’area di libero scam-bio euromediterraneo, di pace e di prosperitàcondivisa, allargata a 600 milioni di abitanti,entro il 2012”, aveva detto Scaiola, forse dimen-ticando che la data prefissata per raggiungere“quell’obbiettivo”era già stata stabilita per il2010, o forse perché era consapevole che nel2010 l’apertura dell’Area di libero scambio nonsi sarebbe verificata.

Il ministro, in ogni modo, aveva tenuto a sot-tolineare che “Il Mediterraneo è un croceviaeconomico del più alto interesse per il nostrosistema imprenditoriale”, aggiungendo che“per la sua posizione geografica l’Italia può di-ventare una piattaforma di scambio e ditransito dell’energia, un hub energetico dal Me-diterraneo verso l’Europa”.

Un pò come scoprire l’acqua calda, dal mo-mento che lo stesso Scajola aveva affermato an-che che “l’Italia si è confermata il primopartner commerciale della regione precedendoGermania e Francia: il nostro Paese punta perun quinto (21%) dell’interscambio commercialecomplessivo fra l’Ue e i Paesi dell’area medi-terranea: nel 2008 l’Italia ha esportato per 27miliardi di euro e importato per 39,2 miliardi,nel 2008 l’interscambio commerciale Italia-Me-

diterraneo è stato pari a 6,4 miliardi”.Stessi concetti aveva espresso il viceministro

allo Sviluppo economico con delega per il Com-mercio estero, Adolfo Urso: “Per il prossimobiennio il nostro obiettivo è arrivare allasoglia dei 30 miliardi di esportazione. Una metapossibile, giusta combinazione di export e in-vestimenti”.

“Nel 2009 - aveva evidenziato Urso - le espor-tazioni italiani verso i Paesi dell’area mediter-ranea hanno avuto un valore di 22 miliardi dieuro, con l’interscambio complessivo versol’area che ha sfiorato i 45 miliardi di euro “con-fermando l’Italia come il primo partner europeodella sponda sud del Mediterraneo.Ora foca-

lizzeremo l’attenzione sul rafforzamento dellapresenza italiana nei distretti industriali del-l’area”, dal Marocco alla Turchia, passando perla Tunisia e la Libia “che può rappresentare laporta di ingresso per gli investimenti italiani nel-l’area, in virtù delle agevolazioni fiscali offerte,dell’esenzione dal pagamento dei dazi doganalisu macchinari, attrezzature e materie primeesclusivamente per le imprese italiane. Distretti- ha concluso Urso - che possono diventare piat-taforme logistiche per favorire i nostri investi-menti che potranno raddoppiare grazie all’ab-battimento delle barriere doganali in previsionedell’area di libero”.

Più apparente concretezza, ma tanta ovvietà

L’importante argomento ritorna a galla soltanto in occasione di convegni: solo parole

Se ne parla da oltre vent’anni: è… il fallimento delle buone intenzioni

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La Voce dell’Isola

dal presidente nazionale di Confindustria,Emma Marcegaglia: “È necessario lavorare allacreazione di un’area di libero scambio con ilMediterraneo, eliminando tutte le barrierecommerciali e i dazi. Tutti noi dobbiamo lavo-rare per creare una vera area di libero scambionel Mediterraneo, eliminando ogni forma di da-zio e tariffa. Questo è un obiettivo vero. È ne-cessario spingere di più sull’internazionalizza-zione e sugli interscambi, nonché su interventidiretti in molti Paesi. India, Cina e Brasile sonoPaesi importantissimi ma anche difficili perchèrichiedono sforzi enormi, i Paesi del Mediter-raneo invece rappresentano un’opportunità piùa portata di mano”.

Marcegaglia aveva inteso sottolineare lacentralità del Mediterraneo per l’Italia: “Dopoaver attraversato la crisi peggiore del dopoguer-ra, c’è la necessità di “lavorare molto perchèle nostre economie escano rafforzate da questacrisi. E il Mediterraneo in questo senso può gio-

care un ruolo centrale. Dobbiamo lavorare peruna nuova rinnovata leadership euromediter-ranea che veda l’Italia come baricentro”.

Il Forum economico del Mediterraneo si eraaperto con la firma di tre intese. La prima sot-toscritta tra l’Unione industriali di Roma, Uni-credit e l’Agenzia per la promozione degli in-vestimenti in Turchia per stimolare le opportu-nità di sviluppo delle aziende romane in Tur-chia.

Un secondo accordo tra l’Istituto per il com-mercio estero (Ice) e il suo omologo tunisino.Il terzo protagonista il Comune di Roma, sta-volta con il ministero dello Sviluppo economico,con l’obiettivo specifico dell’internazionalizza-zione nell’area Med. Dopo, gli incontri istitu-zionali tra Italia e i 13 Paesi dell’area Med

Il Forum, in ogni modo, costituì un “segnale”su l’Area di libero scambio nel Mediterraneo,”.Tra un convegno e l’altro, dunque, sono rimaste,torniamo a dire, soltanto le buone intenzioni.

E La Sicilia? In Sicilia nacquero speranze, chevia via, nel tempo, si sono smorzate. Da più partisi ritenne che La Sicilia doveva saper coglierequesto evento come una grande opportunità, conl’auspicio che l’Isola potesse divenire effetti-vamente il punto di snodo delle attività commer-ciali fra i ventisette Paesi interessati dalProcesso di Barcellona, ma anche il cuore diquella integrazione sociale, culturale, economicache l’Europa da tempo cercava con i Paesi dellasponda sud del Mediterraneo.

Si ritenne che era necessario attrezzarsi perfare fronte alle nuove esigenze, di creare quelleinfrastrutture indispensabili per rendere agevoligli interscambi e che consentissero il potenzia-mento dei rapporti.

Ma, torniamo a ripetere, ogni cosa è rimasta,come detto, a livello di “buone intenzioni” inquanto programmi concreti mai sono statiportati avanti. In tal modo l’Area di libero scam-bio nel Mediterraneo è passata in archivio.

n. 01 Gennaio 2011 49DossierLa Sicilia potrà cogliere

questo eventocome una grande

opportunità, con l’auspicioche l’Isola possa divenire

effettivamenteil punto di snodo

delle attività commercialifra i ventisette

Paesi interessatidal Protocollo di Barcellona

La Voce dell’Isola

La Dichiarazione finale della Conferenza mi-nisteriale euromediterranea di Barcellona del 27e 28 novembre 1995 ha definito ampiamente ilsuo programma di lavoro per l’apertura dell’Areadi libero scambio nel Mediterraneo.

Dando seguito agli orientamenti già definitidai Consigli europei di Lisbona (giugno 1992),Corfù (giugno 1994) e Essen (dicembre 1994)e alle proposte della Commissione, l’Unione eu-ropea (UE) ha deciso di istituire un nuovo con-testo per le sue relazioni con i paesi del bacinomediterraneo in vista di un progetto di partena-riato.

Questo progetto si è concretato in occasionedella conferenza di Barcellona che ha riunito,il 27 e 28 novembre 1995, i quindici ministri de-gli Esteri degli Stati membri dell’UE e quelli deiseguenti dodici paesi terzi mediterranei (PTM):

Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania,Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia,

Turchia e Autorità palestinese. LaLega degli Stati arabi e l’Unione

del Maghreb arabo (UMA) sonostate invitate così come la Mau-ritania (in qualità di membrodell’UMA).

La conferenza ha gettato lebasi di un processo cheavrebbe dovuto portare al-l’istituzione di un quadromultilaterale di dialogo e dicooperazione tra l’UE e iPaesi terzi mediterranei. Sin

dal preambolo, i partecipantiaffermano la loro volontà di

superare il classico bilateralismoche ha contrassegnato a lungo le

relazioni euro mediterranee. Ilnuovo partenariato globale eurome-

diterraneo si articola in tre assi princi-pali:

il partenariato politico e di sicurezza mira arealizzare uno spazio comune di pace e di sta-bilità;

il partenariato economico e finanziario intendeconsentire la creazione di una zona di prosperitàcondivisa;

il partenariato sociale, culturale e umano in-tende sviluppare le risorse umane, favorire lacomprensione tra culture e gli scambi tra le so-cietà civili.

Il partenariato politico e di sicurezza Le par-ti si impegnano ad agire in conformità della Car-ta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione uni-versale dei diritti dell’uomo, come pure di altriobblighi a norma del diritto internazionale, se-gnatamente quelli risultanti dagli strumenti re-gionali ed internazionali. Sono più volte ribaditii diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (com-prese la libertà di espressione, la libertà di as-sociazione, la libertà di pensiero, di coscienzae di religione). Le parti hanno inoltre convenutodi combattere il terrorismo, la criminalità orga-nizzata e il flagello della droga in tutti i suoiaspetti.

Il partenariato economico e finanziario Lacreazione di una zona di prosperità condivisa nelMediterraneo presuppone necessariamente unosviluppo socioeconomico sostenibile ed equi-librato nonché il miglioramento delle condizionidi vita delle popolazioni, l’aumento del livellodi occupazione e la promozione della coopera-zione e dell’integrazione regionale.

La zona di libero scambio (ZLS) sarà instau-rata grazie ai nuovi accordi euromediterranei eagli accordi di libero scambio stipulati tra glistessi paesi terzi mediterranei. Le parti hannofissato la data del 2010 come meta per la gra-duale realizzazione di questa zona che copriràla maggior parte degli scambi, nel rispetto degliobblighi risultanti dall’Organizzazione mondialeper il commercio (OMC). Saranno progressiva-mente eliminati gli ostacoli tariffari e nontariffari al commercio per quanto riguarda i pro-dotti manufatti, secondo scadenzari che sarannonegoziati tra i partner. Il commercio dei prodottiagricoli e gli scambi in materia di servizisaranno progressivamente liberalizzati.

Ampiamente definito il programma del Protocollo del 1995

La Dichiarazionedi Barcellona e il partenariatoEuro Mediterraneo

50 n. 01 Gennaio 2011Dossier

La conferenza ha gettatole basi di un processo

che avrebbe dovuto portareall'istituzione di un quadro

multilaterale di dialogoe di cooperazione tra l'UE

e i Paesi terzi mediterranei

La Voce dell’IsolaGiornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo, diretto da Salvo Barbagallo - Anno VI n. 01 - Gennaio 2011 - € 1,50

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