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1 LEGGENDO EPITTETO (001LE) Ci sono giudizi crudi e sereni che salvano gli animi e giudizi consolatori che li perdono. Parole crude e serene che fanno uomini liberi e favole consolatorie che fanno schiavi stolti. (002LE) La sostituzione dell’intellettualismo Socratico-Stoico con il volontarismo Agostiniano- Scotiano, comporta la sostituzione dei ‘retti giudizi’ con la ‘buona volontà’. Non si è più capaci di af- fermare con franchezza che ‘pace è in terra agli uomini di retti giudizi’, ma si riesce soltanto più a bia- scicare il vago augurio che ‘pace sia in terra agli uomini di buona volontà’. (003LE) Com’è naturale constatare che la sopravvivenza del fanciullino dipende dal soddisfacimento dei suoi bisogni ad opera di altre persone, e della madre in particolare; così all’individuo rimasto men- talmente fanciullino pare naturale constatare una sorta di proprio ‘prolungamento nelle cose’ sotto for- ma di possesso o di potere su di esse. Ma il fanciullino è, per natura, destinato a svezzarsi. Orbene, reli- gioni ed ideologie caratterizzano ormai da millenni una fase storica della cultura umana nella quale mas- se sterminate di individui negano a se stessi non soltanto la possibilità ma la pensabilità del raggiungi- mento di retti giudizi su di sé e sul mondo, della definizione razionale degli ambiti entro i quali ha senso parlare, tra l’altro, di bellezza, di felicità, di libertà. Se tanto la ‘rivelazione’ religiosa quanto la ‘rivoluzio- ne’ sociale sono diventate inservibili quali pretesi emancipatori del genere umano, soltanto chi vive se- condo i principi dell’intellettualismo Socratico e dello Stoicismo antico vive già ora nella nuova dimen- sione. Dove sta l’uomo? L’uomo sta nei suoi giudizi, non nelle sue fantasie infantili. (004LE) Un uomo, visto di spalle, mostra ad un bimbo seduto accanto a lui su un ciglione di prato, le nuvole. E gli spiega che il formarsi, il definirsi e poi lo scomparire di una nuvola equivale al nascere al vivere e al morire di un essere umano. (005LE) Odisseo è legato all’albero della nave, ossia alla virtù/diairesi, ed ode il canto delle Sirene che offrono ‘Pseudocultura’ (o ‘Conoscenza’ secondo che dice Cicerone nel ‘De Finibus’ Libro V, § 49). (006LE) Gige scopre il cavallo di bronzo ed il magico anello (secondo che dicono Cicerone nel ‘De of- ficiis’ Libro III § 38 e, prima di lui, Platone nella ‘Repubblica’ Libro II § 359c) con ciò che segue… Questo per dire e ribadire che il solo bene o il solo male che è possibile fare è quello che si fa a se stessi. (007LE) Τὴν ὁρατικὴν δύναμιν τίνα πέφυκεν ἐμποδίζειν; καὶ προαίρεσις καὶ ἀπροαίρετα. τὴν ἀκουστικὴν ταὐτά, τὴν φραστικὴν ὡσαύτως. προαίρεσιν δὲ τί ἐμποδίζειν πέφυκεν; ἀπροαίρετον οὐδέν, αὐτὴ δ' ἑαυτὴν διαστραφεῖσα. διὰ τοῦτο κακία μόνη αὕτη γίνεται ἢ ἀρετὴ μόνη. “Cos’è per natura capace di intralciare la facoltà visiva? La Proairesi e l’aproairetico. Lo stesso vale per la facoltà uditiva, ed è allo stesso modo per la facoltà espressiva. Ma cos’è per natura capace di intralcia- re la Proairesi? Nulla di aproairetico bensì essa, quando sia pervertita, se stessa. Per questo la Proairesi diventa solo vizio o sola virtù”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,23,19 (008LE) Accade nell’adolescenza che il giovane scopra, dopo una lenta preparazione inconscia o semi conscia e in verità confusamente ma fulmineamente, d’essere portatore di Proairesi. Ciò che qui s’intende rilevare è che la scoperta della vera possibilità del suicidio coincide con la scoperta precedente. Anche se spesso il giovane scopre la possibilità del suicidio senza rendersi conto di avere scoperto in realtà la propria Proairesi. (009LE) Εἰ θέλεις εἶναι φιλόσοφος οἷος δεῖ, εἴ γε τέλειος, εἰ ἀκολουθῶν σου τοῖς δόγμασιν: εἰ δὲ μή, οὐδὲν διοίσεις ἡμῶν τῶν λεγομένων Στωικῶν: καὶ αὐτοὶ γὰρ ἄλλα λέγομεν, ἄλλα δὲ ποιοῦμεν. ἡμεῖς λέγομεν τὰ καλά, ποιοῦμεν τὰ αἰσχρά: σὺ τὴν ἐναντίαν διαστροφὴν ἔσῃ διεστραμμένος δογματίζων τὰ αἰσχρά, ποιῶν τὰ καλά. “<Così è> se vuoi essere un filosofo quale si deve, uno perfetto, conseguente con i tuoi giudizi. Se no, in nulla differirai da noi detti Stoici; giacché anche noi altro diciamo e altro facciamo. Noi diciamo cose

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LEGGENDO EPITTETO (001LE) Ci sono giudizi crudi e sereni che salvano gli animi e giudizi consolatori che li perdono. Parole crude e serene che fanno uomini liberi e favole consolatorie che fanno schiavi stolti. (002LE) La sostituzione dell’intellettualismo Socratico-Stoico con il volontarismo Agostiniano-Scotiano, comporta la sostituzione dei ‘retti giudizi’ con la ‘buona volontà’. Non si è più capaci di af-fermare con franchezza che ‘pace è in terra agli uomini di retti giudizi’, ma si riesce soltanto più a bia-scicare il vago augurio che ‘pace sia in terra agli uomini di buona volontà’. (003LE) Com’è naturale constatare che la sopravvivenza del fanciullino dipende dal soddisfacimento dei suoi bisogni ad opera di altre persone, e della madre in particolare; così all’individuo rimasto men-talmente fanciullino pare naturale constatare una sorta di proprio ‘prolungamento nelle cose’ sotto for-ma di possesso o di potere su di esse. Ma il fanciullino è, per natura, destinato a svezzarsi. Orbene, reli-gioni ed ideologie caratterizzano ormai da millenni una fase storica della cultura umana nella quale mas-se sterminate di individui negano a se stessi non soltanto la possibilità ma la pensabilità del raggiungi-mento di retti giudizi su di sé e sul mondo, della definizione razionale degli ambiti entro i quali ha senso parlare, tra l’altro, di bellezza, di felicità, di libertà. Se tanto la ‘rivelazione’ religiosa quanto la ‘rivoluzio-ne’ sociale sono diventate inservibili quali pretesi emancipatori del genere umano, soltanto chi vive se-condo i principi dell’intellettualismo Socratico e dello Stoicismo antico vive già ora nella nuova dimen-sione. Dove sta l’uomo? L’uomo sta nei suoi giudizi, non nelle sue fantasie infantili. (004LE) Un uomo, visto di spalle, mostra ad un bimbo seduto accanto a lui su un ciglione di prato, le nuvole. E gli spiega che il formarsi, il definirsi e poi lo scomparire di una nuvola equivale al nascere al vivere e al morire di un essere umano. (005LE) Odisseo è legato all’albero della nave, ossia alla virtù/diairesi, ed ode il canto delle Sirene che offrono ‘Pseudocultura’ (o ‘Conoscenza’ secondo che dice Cicerone nel ‘De Finibus’ Libro V, § 49). (006LE) Gige scopre il cavallo di bronzo ed il magico anello (secondo che dicono Cicerone nel ‘De of-ficiis’ Libro III § 38 e, prima di lui, Platone nella ‘Repubblica’ Libro II § 359c) con ciò che segue… Questo per dire e ribadire che il solo bene o il solo male che è possibile fare è quello che si fa a se stessi. (007LE) Τὴν   ὁρατικὴν   δύναμιν   τίνα   πέφυκεν   ἐμποδίζειν;   καὶ   προαίρεσις   καὶ   ἀπροαίρετα.   τὴν  ἀκουστικὴν   ταὐτά,   τὴν   φραστικὴν   ὡσαύτως.   προαίρεσιν   δὲ   τί   ἐμποδίζειν   πέφυκεν;   ἀπροαίρετον  οὐδέν,  αὐτὴ  δ'  ἑαυτὴν  διαστραφεῖσα.  διὰ  τοῦτο  κακία  μόνη  αὕτη  γίνεται  ἢ  ἀρετὴ  μόνη. “Cos’è per natura capace di intralciare la facoltà visiva? La Proairesi e l’aproairetico. Lo stesso vale per la facoltà uditiva, ed è allo stesso modo per la facoltà espressiva. Ma cos’è per natura capace di intralcia-re la Proairesi? Nulla di aproairetico bensì essa, quando sia pervertita, se stessa. Per questo la Proairesi diventa solo vizio o sola virtù”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,23,19 (008LE) Accade nell’adolescenza che il giovane scopra, dopo una lenta preparazione inconscia o semi conscia e in verità confusamente ma fulmineamente, d’essere portatore di Proairesi. Ciò che qui s’intende rilevare è che la scoperta della vera possibilità del suicidio coincide con la scoperta precedente. Anche se spesso il giovane scopre la possibilità del suicidio senza rendersi conto di avere scoperto in realtà la propria Proairesi. (009LE) Εἰ  θέλεις   εἶναι  φιλόσοφος  οἷος  δεῖ,   εἴ   γε  τέλειος,   εἰ  ἀκολουθῶν  σου  τοῖς  δόγμασιν:   εἰ   δὲ  μή,  οὐδὲν  διοίσεις  ἡμῶν  τῶν  λεγομένων  Στωικῶν:  καὶ  αὐτοὶ  γὰρ  ἄλλα  λέγομεν,  ἄλλα  δὲ  ποιοῦμεν.  ἡμεῖς  λέγομεν  τὰ  καλά,  ποιοῦμεν  τὰ  αἰσχρά:  σὺ  τὴν  ἐναντίαν  διαστροφὴν  ἔσῃ  διεστραμμένος  δογματίζων  τὰ  αἰσχρά,  ποιῶν  τὰ  καλά. “<Così è> se vuoi essere un filosofo quale si deve, uno perfetto, conseguente con i tuoi giudizi. Se no, in nulla differirai da noi detti Stoici; giacché anche noi altro diciamo e altro facciamo. Noi diciamo cose

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belle e facciamo cose brutte; tu invece sarai stato pervertito della perversione opposta, dal momento che hai brutti giudizi e fai cose belle”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,7,17-18 Ecco un complimento per gli Epicurei! Allo stesso modo si potrebbe, per amor di paradosso, dire che i Sofisti parlavano bene e razzolavano male, mentre Socrate parlava male e razzolava bene. (010LE) Il giovane, in quanto giovane d’esperienza, tende ad associare alla figura dell’individuo più ma-turo al quale si affida -o è affidato- allorché fa il suo primo ingresso nel mondo del lavoro, un’autorità che dal ‘mestiere’ si espande anche alle ‘cose della vita’. Grave errore. ‘Competenza tecnica’ nulla ha a che fare con ‘saggezza di vita’. Non perché così non possa essere per ‘damnatio naturalis’, ma perché la società nella quale viviamo non ha interesse alcuno all’unità delle due cose. Eppure è certo che il giova-ne di buona indole soltanto con intima e mesta rassegnazione accetterà pian piano la realtà dei fatti. (011LE) Quando noi ci adiriamo violentemente contro o spasimiamo perdutamente per qualcuno o qualcosa non mostriamo, con ciò stesso, di avere posto 'fuori di noi' il bene o il male? E dov’è, dice, la 'punizione' che sempre accompagna l’azione umana ingiusta? Ma è proprio lì, è esattamente nell’ira che ci scuote o nel folle amore che ci consuma, nell’essere noi fuori di noi! (012LE) Alessandro, un giovane di nobilissima natura, dopo avere letto Epitteto, mi ha confidato: “Grandiodelfirmamento, perché nessuno, ripeto nessuno, mi parlava così allorché, adolescente, io 'cer-cavo' con avidità e serietà immensa? Tutti, tutti mi parlavano invece di Cristo -che Dioloabbiaingloria- e di Marx con annessi nipotini -che riposinoinpaceecosìsia-. Passai anni dietro ricerche dalle quali non poteva sortire alcunché”. (013LE) Nobiltà, pertanto, non è essere ricchi di denaro bensì avere ragione bastante a garantirci dalla superbia e dall’ostentazione se si è ricchi di denaro e dalla paura e dall’afflizione se si è poveri di denaro. E dunque che differenza c’è, secondo Proairesi, tra un ‘riccone presuntuoso e superbo’ ed un ‘poverac-cio pauroso e afflitto’? (014LE) Καὶ  γὰρ  αἰσχρὸν  οὐ  τὸ  φαγεῖν  μὴ  ἔχειν,  ἀλλὰ  τὸ  λόγον  μὴ  ἔχειν  ἀρκοῦντα  πρὸς  ἀφοβίαν,  πρὸς  ἀλυπίαν. “Giacché brutto non è non avere da mangiare, ma non avere ragione bastante a farci dominare paura ed afflizione”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,24,116 Dunque, allo stesso modo, non è vergognoso e turpe avere di che mangiare, bensì il non avere ragio-namenti bastanti a garantirci dalla superbia e dalla ostentazione per avere di che mangiare. La ‘superbia’ è definibile come opinione esagerata di sé, delle proprie capacità e dei propri meriti, che esteriormente si manifesta con un’ostentazione d’altera superiorità e di disprezzo per gli altri. A sua volta, la ‘ostentazione’ è definibile come l’atto di mostrarsi intenzionalmente con affettazione e sussiego all’attenzione altrui per vanteria, ambizione od altro. (015LE) Άλλὰ  δεῖξόν  μοι,  ὅτι  ἐπίσκεψίν  τινα  καὶ  ἐπιμέλειαν  πεποίησαι  τῶν  σαυτοῦ  δογμάτων.  καὶ  ὡς  νῦν  εἰς  Ῥώμην  πλεῖς  ἐπὶ  τῷ  προστάτης  εἶναι  Κνωσίων  καὶ  οὐκ  ἐξαρκεῖ  σοι  μένειν  ἐν  οἴκῳ  τὰς  τιμὰς  ἔχοντι  ἃς  εἶχες,  ἀλλὰ  μείζονός  τινος  ἐπιθυμεῖς  καὶ  ἐπιφανεστέρου,  πότε  οὕτως  ἔπλευσας  ὑπὲρ  τοῦ  τὰ  δόγματα  ἐπισκέψασθαι  τὰ  σαυτοῦ  καὶ  εἴ  τι  φαῦλον  ἔχεις,  ἐκβαλεῖν;   “Mostrami invece di avere fatto qualche esame e prestato sollecitudine ai tuoi giudizi. E poiché adesso navighi verso Roma per il fatto di essere Patrocinatore dei cittadini di Cnosso, e non ti adegui a rimane-re a casa avendo le onorificenze che avevi, ma smani per qualcuna più grande e più notoria; ebbene, quando navigasti così in nome di un esame dei tuoi giudizi e, se ne hai qualcuno insipiente, per espeller-lo?” Epitteto ‘Diatribe’ 3,9,6 Dedicato a tutti coloro che hanno rinunciato ad essere belli dentro. (016LE) Σὺ   χρυσᾶ   σκεύη,   ὀστράκινον   τὸν   λόγον,   τὰ   δόγματα,   τὰς   συγκαταθέσεις,   τὰς   ὁρμάς,   τὰς  ὀρέξεις.  

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“Tu suppellettili d'oro, ma di terracotta la ragione, i giudizi, gli assensi, gli impulsi, i desideri”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,9,18 Stessa dedica. (017LE) L’amicizia non può mai costituirsi a spese dell’amor di sé, e nessuna amicizia può basarsi sull’interesse comune dei due amici per la salvaguardia o per il possesso di un ‘bene’ esteriore (che bene non è ma è, per natura delle cose, un ‘indifferente’ o ‘udetero’). Infatti, tolto dal caso l’udetero, sparisce l’amicizia. Βάλε  καὶ  σοῦ  καὶ  τοῦ  παιδίου  μέσον  ἀγρίδιον  καὶ  γνώσῃ,  πῶς  σὲ  τὸ  παιδίον  ταχέως  κατορύξαι  θέλει  καὶ  σὺ  τὸ  παιδίον  εὔχῃ  ἀποθανεῖν.    “Getta tra te e tuo figlio un fondicello e riconoscerai come il figliolo vuole sotterrarti in fretta e tu au-spichi che il tuo figliolo muoia”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,22,10 Dunque, chi crede che beni e mali siano nelle cose esteriori ed aproairetiche, come potrà mai essere amico di un suo simile? Soltanto il saggio, che ha retti giudizi sul bene e sul male, potrà essere amico di un suo simile. (018LE) Beato è colui che può affermare con lealtà: “Mi riconosco finalmente in colui che sono stato fin dall'adolescenza, uno stoico antico”. (019LE) Mara si è raccontata così: “L’ambiente in cui sono nata ha cercato di fare di me -ed io stessa vi ho alacremente lavorato- dapprima una cristiana. Iddio sa con quanta sincerità mi sia sforzata di credere che ‘Gesù è il figlio di Dio’. Questa fase si è esaurita negli anni che vanno dal ’68 al ’72. Poi una marxi-sta. Questa seconda fase si accavalla comunque alla precedente, giacché inizia tra il ’60 e il ’61 e si esau-risce tra l’85 ed il ’90. Volete sapere perché apprezzassi tanto, nei primi anni Sessanta, lo studio delle opere di Teilhard de Chardin? Oggi so perché, e posso rispondere: ‘Perché era il più ‘materialista’ degli spiritualisti’. E perché trovassi così interessanti, negli anni ’68-‘70 gli scritti di Edoarda Masi? ‘Perché a me appariva come la più ‘Stoica’ dei nostri marxisti”. (020LE) Lo Stoicismo non può che essere un frutto per individui maturi. (021LE) Il giovane di buone qualità, finché non si guadagna da vivere, sognerà di fare di questo mondo un mondo di ‘buoni’. Quando si guadagna da vivere, si sposa, ha dei figli, sognerà di fare di questo mondo un mondo di ‘giusti’. Quando la sua nobile natura e le sorti della vita lo mettano in condizione di guardare con sufficiente distacco ed obiettività a sé ed agli altri, non sognerà più alcunché per gli altri -non per delusione o sfiducia ma perché non crederà più alla possibilità che esista un ordine morale in cui qualcuno fa il bene od il male ed un altro ne gode o scapita- e baderà unicamente ad essere e rima-nere ‘libero’. E chi è l’uomo libero? Libero è colui che vive come dispone…secondo che ne parla Epit-teto nel 1° capitolo del IV° Libro delle ‘Diatribe’. (022LE) Libertà significa saper mutare non le cose (che o non mutano affatto o mutano per fenomeni complessi che noi non dominiamo) bensì il nostro animo (che invece può mutare). (023LE) È libero non chi pretende di cambiare gli altri, ma chi li sa accettare così come sono: e da que-sta libertà scaturisce la contentezza. (024LE) Cesare ha creduto per lungo tempo che lo scopo proprio di quella che comunemente si chiama ‘politica’, fosse di dare agli esseri umani la felicità e che insomma la sua infelicità ‘individuale’ dipendes-se dall’esistenza di una buona o cattiva società intorno a lui. Di qui la lotta e l’odio attivo verso i re-sponsabili, ai suoi occhi, dell’organizzazione sociale; fossero essi il direttore del LIGB, Adriano Buzzati-Traverso o l’allora ministro democristiano degli Interni Franco Restivo; ecc…ecc... Questo era il signi-ficato da dare alla frase ‘La felicità è il Socialismo’, che egli rammentava di avere scritto in una lettera indirizzata a Grazia, intorno al 1974-1975.

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(025LE) La verità è questa: ‘La felicità è qui, solo che tu lo disponga’. (026LE) Esistono degli ‘invarianti’ nel comportamento umano? Certamente. E il principale consiste in ciò: ciascun individuo si comporta sempre nel modo che a lui pare procurargli un vantaggio, una utilità, un bene. Questo è il motivo per cui il ‘relativismo’ radicale va applicato alla molteplicità di (chiamiamo-le così) ‘cose’ che possono apparire all’individuo vantaggi o beni ma non al giudizio che lo spinge a cer-carle o sceglierle. Ciò fonda l’ ‘intellettualismo Antico’ o ‘Socratico’, i cui capisaldi si possono così rias-sumere: (a) l’individuo dispone sempre e soltanto ciò che gli appare bene (b) qualora l’individuo disponga il male, è soltanto perché a lui appare in forma di bene (c) poiché bene e male sono ‘giudizi’, esiste la possibilità di correggere chi sbaglia (d) la conoscenza del bene comporta di necessità la sua disposizione. (027LE) Quelli che io chiamo ‘invarianti’ non sono altro che le ‘prolessi’ o ‘pre-concetti’ di Epitteto (Capitolo 22 del Libro I° delle ‘Diatribe’) e degli Stoici. Queste prenozioni sono comuni a tutti gli indi-vidui. Che il bene sia utile e che sia da perseguire in ogni caso è una prenozione e come tale, ripeto, è comune a tutti gli individui. (028LE) L’uomo vive libero non quando vuole che accadano tali e tali cose quando e come ha deciso lui, bensì quando ha imparato ad aderire a ciò che accade secondo che accade. Non bisogna fraintende-re questa affermazione e crederla una equiparazione di libertà a ‘passività’ o a ‘rinuncia’. L’individuo ini-zia il suo cammino di libertà allorquando distingue tra ciò che dipende esclusivamente da lui e ciò che non dipende esclusivamente da lui. Volere cose che non dipendono da noi è come voler vincere ogni volta che si gioca al Lotto. Ci rinuncio. Guadagnerò infatti, ad ogni mancata giocata, la posta non spesa. E mi accontento. Che senso avrebbe comportarsi altrimenti? La figura simbolica che meglio interpreta l’individuo ‘schiavo’ è quella del giocatore d’azzardo, frequentatore abituale di casinò e luoghi simili. Ma, perbacco, l’uomo libero ‘delibera’ -senza poterne essere impedito da alcuno- che ogni accadimento che lo riguarda si verifichi in armonia con la Natura delle cose. (029LE) L’atteggiamento servile di tante persone nei riguardi dei cosiddetti ‘potenti’ è una misura infal-libile del valore che esse danno alla loro Proairesi. (030LE) Più una persona dà peso alle cose esterne, più si mostrerà servile nei confronti di chi queste cose esterne ed aproairetiche può dare o togliere. (031LE) Ἄρτι  γὰρ  τίς  ἡμῶν  οὐ  δύναται  τεχνολογῆσαι  περὶ  ἀγαθῶν  καὶ  κακῶν;  ὅτι  τῶν  ὄντων  τὰ  μὲν  ἀγαθά,  τὰ  δὲ  κακά,  τὰ  δ'  ἀδιάφορα:  ἀγαθὰ  μὲν  οὖν  ἀρεταὶ  καὶ  τὰ  μετέχοντα  τῶν  ἀρετῶν:  κακὰ  τὰ  δ'  ἐναντία:  ἀδιάφορα  δὲ  πλοῦτος,  ὑγεία,  δόξα.   “Chi di noi, giust'appunto, non può parlare a regola d'arte di beni e di mali? Dire che delle cose che so-no alcune sono beni, altre mali, altre indifferenti; che beni sono le virtù e quanto partecipa delle virtù; mali, le cose opposte; indifferenti, la ricchezza di denaro, la salute del corpo, la reputazione?” Epitteto ‘Diatribe’ 2,9,15 (032LE) Δύναται  δ'  ἄλλου  μὲν  εἶναι  ἁμάρτημα,  ἄλλου  δὲ  κακόν;  Οὔ.   “Può l'aberrazione essere di uno ed il male di un altro? -No-” Epitteto ‘Diatribe’ 2,13,18 (033LE) Τί  οὖν;  μὴ  βλάψω  τὸν  βλάψαντα;  πρῶτον  μὲν  ἰδού,  τί  ἐστι  βλάβη  καὶ  μνήσθητι  ὧν  ἤκουσας  παρὰ  τῶν  φιλοσόφων.  εἰ  γὰρ  τὸ  ἀγαθὸν  ἐν  προαιρέσει  καὶ  τὸ  κακὸν  ὡσαύτως  ἐν  προαιρέσει,  βλέπε  μὴ  τοιοῦτ'   ἐστιν   ὃ   λέγεις   "   τί   οὖν;   ἐπειδὴ   ἐκεῖνος   ἑαυτὸν   ἔβλαψεν   πρὸς   ἐμέ   τι   ἄδικον   ποιήσας,   ἐγὼ  ἐμαυτὸν  μὴ  βλάψω  πρὸς  ἐκεῖνον  ἄδικόν  τι  ποιήσας;"  τί  οὖν  οὐ  τοιοῦτόν  τι  φανταζόμεθα,  ἀλλ'  ὅπου  τι  σωματικὸν  ἐλάττωμα  ἢ   εἰς  κτῆσιν,   ἐκεῖ  ἡ  βλάβη,  ὅπου  εἰς  τὴν  προαίρεσιν,   οὐδεμία  βλάβη;  οὔτε  γὰρ  τὴν   κεφαλὴν   ἀλγεῖ   ὁ   ἐξαπατηθεὶς   ἢ   ἀδικήσας   οὔτε   τὸν   ὀφθαλμὸν   οὔτε   τὸ   ἰσχίον   οὔτε   τὸν   ἀγρὸν  ἀπολλύει.   ἡμεῖς   δ'   ἄλλο   οὐδὲν   ἐθέλομεν   ἢ   ταῦτα:   τὴν   προαίρεσιν   δὲ   πότερον   αἰδήμονα   καὶ   πιστὴν  

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ἕξομεν   ἢ   ἀναίσχυντον   καὶ   ἄπιστον,   οὐδ'   ἐγγὺς   διαφερόμεθα   πλὴν   μόνον   ἐν   τῇ   σχολῇ   μέχρι   τῶν  λογαρίων.  τοιγαροῦν  μέχρι  τῶν  λογαρίων  προκόπτομεν,  ἔξω  δ'  αὐτῶν  οὐδὲ  τὸ  ἐλάχιστον. “E dunque? Non danneggerò chi mi danneggia? Innanzitutto vedi cos'è danno e ricordati di quanto sentisti dire dai filosofi. Infatti se il bene è nella Proairesi ed il male allo stesso modo nella Proairesi, scruta se quel che dici non è qualcosa del genere: "E dunque? Siccome quello danneggiò se stesso commettendo un'ingiustizia contro di me, io non danneggerò me stesso commettendo un'ingiustizia contro di lui?" Perché dunque non ci rappresentiamo qualcosa di siffatto ed invece laddove vi sarà qualche menomazione corporale o patrimoniale, là danno; e laddove la menomazione riguarderà la Proairesi, nessun danno? A chi è ingannato o commette ingiustizia non viene mal di testa o mal d'occhi o la sciatica né perde il fondo. E noi null'altro vogliamo che questo. Se poi avremo la Proairesi rispetto-sa di sé e degli altri e leale oppure sfacciata e sleale, su questo non siamo neppur vicini a litigare eccetto che a scuola soltanto e finché sono discorsetti. Perciò appunto facciamo profitto finché sono discorsetti ed al di fuori di essi neppure il menomo”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,10,24-30 Ecco spiegata, con parole indimenticabili, l'insipienza di rispondere all'offesa con l'offesa. (034LE) Cos’è l’aberrazione? Chi ruba aberra perché fa ad altri quel che non vuole sia fatto a sé, ossia non fa ad altri quel che vuole per se stesso. Chiaro no? Δεινὸς   οὖν   ἐν   λόγῳ,   ὁ   δ'   αὐτὸς   καὶ   προτρεπτικὸς   καὶ   ἐλεγκτικὸς   οὗτος   ὁ   δυνάμενος   ἑκάστῳ  παραδεῖξαι  τὴν  μάχην,  καθ'  ἣν  ἁμαρτάνει,  καὶ  σαφῶς  παραστῆσαι,  πῶς  ὃ  θέλει  οὐ  ποιεῖ  καὶ  ὃ  μὴ  θέλει  ποιεῖ. “Dunque è valente ragionatore, sia nello spronare sia nel contestare, chi può additare a ciascuno la con-traddizione rispetto alla quale aberra e fargli riscontrare chiaramente come non fa ciò che vuole e fa ciò che non vuole”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,26,4 (035LE) Ἄλλοις  ταῦτα:  ἐμοὶ  δ'  ἔσκεπται  περὶ  πάντων,  εἰς  ἐμὲ  οὐδεὶς  ἐξουσίαν  ἔχει. “Questi giudizi li lascio ad altri. Io ho analizzato la faccenda da tutti i punti di vista. Nessuno ha potestà su di me”. Epitteto ‘Diatribe’ 4,7,16 (036LE) Ἐπεὶ  τί  ἐκδέχῃ;  ἵνα  τις  ἀποστῇ  αὑτοῦ  καὶ  τοῦ  ἰδίου  συμφέροντος;  καὶ  πῶς  ἔτι  μία  καὶ  ἡ  αὐτὴ  ἀρχὴ  πᾶσιν  ἔσται  ἡ  πρὸς  αὐτὰ  οἰκείωσις; “Peraltro che ti aspetti? Che uno si distorni da se stesso e dal proprio peculiare utile? E l'appropriarsi di quanto si è, come sarà ancora unico e medesimo fondamento per tutti?” Epitteto ‘Diatribe’ 1,19,15 E’ verissimo: ogni essere agisce per se stesso. Questo è un fatto universale e non negativo; perché l’ordine del cosmo è tale che, agendo ciascuno per sé, si realizza un benessere comune. Ognuno perse-gue il suo utile e, appunto, l’amor di sé è il principio che spiega il comportamento di tutti i viventi. Di-fatti esso è l’istinto originario per cui i viventi cercano di appropriarsi di sé, ovvero di incrementarsi e di attuarsi pienamente. Nell’essere umano significa ricerca della propria natura specifica di uomo e si risol-ve in aspirazione alla virtù. (037LE) Τί   οὖν;   ὅταν   ὑπῇ   δόγματα   ἀλλόκοτα   περὶ   τῶν   ἀπροαιρέτων  ὡς   ὄντων   ἀγαθῶν   καὶ   κακῶν,  πᾶσα  ἀνάγκη  θεραπεύειν  τοὺς  τυράννους.  ὤφελον  γὰρ  τοὺς  τυράννους  μόνον,  τοὺς  κοιτωνίτας  δ'  οὔ.  πῶς  δὲ  καὶ  φρόνιμος  γίνεται  ἐξαίφνης  ὁ  ἄνθρωπος,  ὅταν  Καῖσαρ  αὐτὸν  ἐπὶ  τοῦ  λασάνου  ποιήσῃ:  πῶς  εὐθὺς   λέγομεν   "φρονίμως   μοι   λελάληκεν  Φηλικίων".   ἤθελον   αὐτὸν   ἀποβληθῆναι   τοῦ   κοπρῶνος,   ἵνα  πάλιν  ἄφρων  σοι  δοκῇ.   “E dunque? Qualora vi siano sotto giudizi d'altra specie sull'aproairetico come bene e male, è del tutto necessario accudire i tiranni. E magari soltanto i tiranni e non i camerieri! Come una persona diventa istantaneamente pure saggia qualora Cesare la faccia capo del suo cesso! Come subito diciamo: ‘Felicio-ne mi ha parlato con saggezza!’ Io disporrei che fosse buttato fuori dal merdaio, affinché di nuovo lo reputassi uno stolto”. Epitteto ‘Diatribe’ 1,19,16-18 Claude Lelouch racconta che prima di girare ‘Un uomo, una donna’ (1966) nessuno prendeva sul serio i suoi film e che la sua società era dunque sull’orlo del fallimento. Dopo il successo di ‘Un uomo, una donna’ a Lelouch bastava proporre una qualunque sciocca battuta perché i produttori rimanessero a

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bocca aperta e gli chiedessero, stavolta seriamente, come aveva fatto ad avanzare una proposta tanto geniale. (038LE) Ὄπου  γὰρ  ἂν  τὸ  "ἐγὼ"  καὶ  τὸ  "ἐμόν",  ἐκεῖ  ἀνάγκη  ῥέπειν  τὸ  ζῷον:  εἰ  ἐν  σαρκί,  ἐκεῖ  τὸ  κυριεῦον  εἶναι:  εἰ  ἐν  προαιρέσει,  ἐκεῖ  εἶναι:  εἰ  ἐν  τοῖς  ἐκτός,  ἐκεῖ. “Giacché dove saranno l'‘io’ ed ‘il mio’, là è necessario che propenda la creatura. Se nella carne, che là sia il dominante; se nella Proairesi, che sia nella Proairesi; se negli oggetti esterni, in questi”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,22,19 Chi fa del ‘sesso’ un ‘bene’ è mosso dallo stesso errato giudizio di colui che ne fa un ‘male’. Il sesso, come il piacere fisico legato ai sensi, è un ‘indifferente’, è un ‘adiàforon’. Pompeo, che ama forse un po’ troppo i paradossi e una certa rudezza di linguaggio, ci chiedeva per modo di esempio: ‘Che differenza c’è tra un volgare puttaniere e la sua puttana d’occasione, tra i quali la mancanza di sesso (se pur così si può chiamare) sarebbe inconcepibile e la suora di clausura ed il suo confessore d’occasione, tra i quali la presenza di sesso sarebbe ugualmente inconcepibile? Infelici gli uni perché fanno di un indifferente un bene, e gli altri perché ne fanno un male. La gente semplice…!!’ (039LE) Τίσιν  οὖν  δεῖ  με  προσέχειν;  Πρῶτον  μὲν  ἐκείνοις  τοῖς  καθολικοῖς  καὶ   ἐκεῖνα  πρόχειρα  ἔχειν  καὶ  χωρὶς  ἐκείνων  μὴ  καθεύδειν,  μὴ  ἀνίστασθαι,  μὴ  πίνειν,  μὴ  ἐσθίειν,  μὴ  συμβάλλειν  ἀνθρώποις:  ὅτι  προαιρέσεως  ἀλλοτρίας  κύριος  οὐδείς,   ἐν  ταύτῃ  δὲ  μόνῃ  τἀγαθὸν  καὶ  κακόν.  οὐδεὶς  οὖν  κύριος  οὔτ'  ἀγαθόν  μοι  περιποιῆσαι  οὔτε  κακῷ  με  περιβαλεῖν,  ἀλλ'  ἐγὼ  αὐτὸς  ἐμαυτοῦ  κατὰ  ταῦτα  ἐξουσίαν  ἔχω  μόνος.   “A che cosa devo dunque fare attenzione?- Innanzitutto a quei principi universali; quelli tenere a porta-ta di mano; non dormire e non alzarsi, non bere e non mangiare, non conferire con persone sprovvisto di quelli: che nessuno è signore di una Proairesi altrui e che soltanto in questa stanno il bene ed il male. Dunque nessuno è signore né di procacciarmi il bene né di precingermi del male, ma io solo ho potestà su di me a questo riguardo”. Epitteto ‘Diatribe’ 4,12,7-8 (040LE) Chi è l’uomo stoico? E’ l’uomo che ha retti giudizi circa ciò che dipende esclusivamente da noi, circa ciò che non dipende esclusivamente da noi, circa ciò che è fonte di bene e di male individuale -la Proairesi-, e circa ciò che non lo è -le cose esterne ed aproairetiche, gli indifferenti-. Di tutto ciò è rimasta esplicita nella coscienza popolare questa unica immagine: stoico è chi sopporta il dolore fisico. E così la pietà popolare che rugge e crepita immensa nella Basilica del Santo a Padova, cos’altro è se non l’afflizione di gente che ha posto il proprio bene e il proprio male nelle cose esterne e aproaireti-che? E cos’ho io a che fare con una simile sterminata moltitudine di insipienti? (041LE) Due individui discutono, poi litigano, poi si uccidono. Qual era la materia del contendere? Uno dei due poneva il suo bene nel possesso di una certa cosa esteriore che l’altro voleva sottrargli, po-nendo anch’egli in essa il proprio bene. Capita di essere chiamati a schierarsi o con l’uno o con l’altro. Ma come posso io schierarmi, se entrambi pongono il bene là dove esso non è? Se entrambi non hanno retti giudizi sull’utile, sulla libertà, sulla verità? In che cosa si distinguono i due? (042LE) Καὶ   τίς   αὕτη   φλυαρία;   πῶς   ἔτι   ὀρθὰ   δόγματα   ἔχω   μὴ   ἀρκούμενος   τῷ   εἶναι   ὅς   εἰμι,   ἀλλ'  ἐπτοημένος  ὑπὲρ  τοῦ  δοκεῖν;  “Come posso ancora avere retti giudizi se non mi accontento di essere chi sono ma sono tutto terroriz-zato per il sembrare?” Epitteto ‘Diatribe’ 4,6,24 (043LE) Τίς  δ'  ὁ  νόμος  ὁ  θεῖος;  τὰ  ἴδια  τηρεῖν,  τῶν  ἀλλοτρίων  μὴ  ἀντιποιεῖσθαι,  ἀλλὰ  διδομένοις  μὲν  χρῆσθαι,   μὴ   διδόμενα   δὲ   μὴ  ποθεῖν,   ἀφαιρουμένου   δέ   τινος   ἀποδιδόναι   εὐλύτως   καὶ   αὐτόθεν,   χάριν  εἰδότα  οὗ  ἐχρήσατο  χρόνου,  εἰ  θέλεις  μὴ  κλάειν  τὴν  τιτθὴν  καὶ  μάμμην. “E qual è la legge divina? Serbare il peculiare, non pretendere l'allotrio ma usare quanto è dato, non bramare quanto non è dato; sottraendosi qualcosa, restituirlo con scioltezza ed immantinente, ricono-scenti per il tempo dell'uso, se vuoi non chiamare la balia e la mamma”. Epitteto 'Diatribe' 2,16,28

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(044LE) Ἀνάτεινόν  ποτε  τὸν  τράχηλον  ὡς  ἀπηλλαγμένος    τόλμησον  ἀναβλέψας  πρὸς  τὸν  θεὸν  εἰπεῖν  ὅτι  "χρῶ  μοι  λοιπὸν  εἰς  ὃ  ἂν  θέλῃς:  ὁμογνωμονῶ  σοι,  ἰσός  εἰμι:  οὐδὲν  παραιτοῦμαι  τῶν  σοὶ  δοκούντων:  ὅπου   θέλεις,   ἄγε:   ἣν   θέλεις   ἐσθῆτα   περίθες.   ἄρχειν   με   θέλεις,   ἰδιωτεύειν,   μένειν,   φεύγειν,   πένεσθαι,  πλουτεῖν;   ἐγώ   σοι   ὑπὲρ   ἁπάντων   τούτων   πρὸς   τοὺς   ἀνθρώπους   ἀπολογήσομαι:   δείξω   τὴν   ἑκάστου  φύσιν  οἵα  ἐστίν.   “Drizza una volta il collo come allontanato dalla servitù; abbi l'audacia di levare lo sguardo a Zeus e di-re: orbene, usami per quanto disporrai; cointelligo con te; sono tuo pari; nulla schivo di quanto reputi; dove disponi, conduci; del vestito che disponi, cingi. Disponi che io occupi cariche, sia un privato citta-dino, rimanga, vada in esilio, sia povero di denaro, sia ricco di denaro? Per tutto questo io parlerò in tua difesa di fronte alle genti; mostrerò qual è la natura di ciascuna”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,16,41-43 (045LE) Non dite dunque mai più che l’uomo è costituito di una parte mortale (il corpo) ed una im-mortale (l’anima); bensì che l’essere umano è costituito di una parte mortale (l’animo) ed una immortale (il corpo nei suoi atomi). Parimenti non dite mai più che “l’anima abita un corpo” bensì che “un corpo esprime un animo”. L’evidenza ci mostra, con grande semplicità, questo: l’essere umano è come una nuvola che trapassa nel cielo. Una volta disgregate le combinazioni di atomi che li rendevano riconosci-bili come esseri umani o come nuvole, gli stessi atomi immortali rientrano nel ciclo che li riunirà in nuove combinazioni. E così sarà per sempre. Donde nasce dunque il rifiuto dell’essere umano per que-ste semplici verità e la sua fuga nelle favole consolatorie? (046LE) Dove sta l’uomo? L’uomo sta nei suoi giudizi, non nelle sue fantasie o nei suoi sogni. Tutto quanto vi è di vero e di serio nella psicanalisi era dunque già noto a Platone, che ne parla nel IX° Libro della sua “Repubblica”. (047LE) Cicerone traduttore di Platone. In “Tusculanae disputationes” Libro I° § 97-99, Cicerone tra-duce pari pari dalla “Apologia di Socrate” di Platone, dal capo 40C alla fine. (048LE) Γνῶθι   πρῶτον   τίς   εἶ   καὶ   οὕτως   κόσμει   σεαυτόν.   ἄνθρωπος   εἶ:   τοῦτο   δ'   ἐστὶ   θνητὸν   ζῷον  χρηστικὸν   φαντασίαις   λογικῶς.   τὸ   δὲ   λογικῶς   τί   ἐστιν;   φύσει   ὁμολογουμένως   καὶ   τελέως.   τί   οὖν  ἐξαίρετον   ἔχεις;   τὸ   ζῷον;   οὔ.   τὸ   θνητόν;   οὔ.   τὸ   χρηστικὸν   φαντασίαις;   [26]   οὔ.   τὸ   λογικὸν   ἔχεις  ἐξαίρετον:  τοῦτο  κόσμει  καὶ  καλλώπιζε.  “Riconosci innanzitutto chi sei e così adornati. Sei un essere umano: cioè una creatura mortale atta ad usare le rappresentazioni logicamente. Cos'è il logicamente? Ammissibilmente con la natura delle cose e perfettamente. Cos'hai dunque di singolare? La creatura? No. Il mortale? No. L'usare le rappresentazio-ni? No. La logicità hai singolare: questa adorna ed abbellisci". Epitteto ‘Diatribe’ 3,1,25-26 (049LE) Chi è l’uomo? L’uomo è un animale mortale capace di usare le rappresentazioni in modo ra-zionale. (050LE) Ἐγώ  εἰμι  τοιοῦτον  οἷον  ἐν   ἱματίῳ  πορφύρα:  μή  μ'  ἀξίου  ὅμοιον  εἶναι  τοῖς  ἄλλοις  ἢ  τῇ  φύσει  μου  μέμφου,  ὅτι  με  διαφέροντα  παρὰ  τοὺς  ἄλλους  ἐποίησεν. “Io siffatto sono quale la porpora nella toga. Non sollecitarmi ad essere simile agli altri e non lagnarti della natura perché mi fece differente dagli altri". Epitteto ‘Diatribe’ 3,1,23 (051LE) Ὄτι  οὐκ  εἶ  κρέας  οὐδὲ  τρίχες,  ἀλλὰ  προαίρεσις:  ταύτην  ἂν  σχῇς  καλήν,  τότ'  ἔστι  καλός. “Perché non sei un pezzo di carne né peli, ma Proairesi: se avrai questa bella allora sarai bello”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,1,40 (052LE) Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Qual è lo scopo della vita? ecc. ecc. Trovo del più alto interesse rispondere a tutte queste domande secondo l'insegnamento dello Stoicismo antico. Constatare la sua sconfitta nel I-II secolo dopo Cristo non deve farci credere che destino della verità sulla natura delle cose sia eternamente quello d'essere sfortunata, afflitta e vinta.

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(053LE) Prudenza è la virtù che consente di distinguere il bene dal male e fa operare secondo retta ra-gione. Giustizia è la virtù per la quale si giudica rettamente e si dà a ciascuno il suo, ciò che gli è dovuto. Fortezza è la virtù che permette all’uomo di superare le avversità. Temperanza è la virtù che ci permette di controllare gli istinti. Praticare la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza non significa altro che mettere in pratica la Diairesi, la distinzione delle cose in cose che dipendono esclusivamente da noi ed in cose che non dipendono esclusivamente da noi. (054LE) Non ci sarà mai pace là dove non c’è Diairesi. Non c’è pace senza Diairesi. (055LE) Μόνον   ἐκείνης   τῆς   διαιρέσεως   μέμνησο,   καθ'   ἣν   διορίζεται   τὰ   σὰ   καὶ   οὐ   τὰ   σά.   μή   ποτ'  ἀντιποιήσῃ   τινὸς   τῶν   ἀλλοτρίων.   βῆμα   καὶ   φυλακὴ   τόπος   ἐστὶν   ἑκάτερον,   ὁ   μὲν   ὑψηλός,   ὁ   δὲ  ταπεινός:  ἡ  προαίρεσις  δ'  ἴση,  ἂν  ἴσην  αὐτὴν  ἐν  ἑκατέρῳ  φυλάξαι  θέλῃς,  δύναται  φυλαχθῆναι.  καὶ  τότ'  ἐσόμεθα  ζηλωταὶ  Σωκράτους,  ὅταν  ἐν  φυλακῇ  δυνώμεθα  παιᾶνας  γράφειν.   “Tu soltanto ricordati di quella diairesi grazie alla quale si definisce quanto è in tuo esclusivo potere e quanto non lo è. Non pretendere mai alcunché di allotrio. Tribuna e prigione sono, l'una e l'altra, un posto; la tribuna, elevato; la prigione, miserabile. Ma la proairesi può essere custodita pari, se pari di-sporrai di custodirla, nell'uno e nell'altro posto. Ed allora saremo emuli di Socrate, qualora possiamo scrivere in prigione dei peani”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,6,24-27 La felicità od infelicità dell’uomo non può dunque essere funzione del sistema socio-economico-politico nel quale nasce e vive, e neppure del grado di sviluppo della conoscenza scientifica di quel par-ticolare tempo. Felicità o infelicità sono per natura delle cose indipendenti dalle condizioni di contorno. Esse sono dunque invarianti rispetto a qualunque sistema di riferimento e pertanto riflettono la struttu-ra del ‘campo’ umano. Ne consegue che, pur essendo le condizioni le più diverse, una felicità non è di-stinguibile dall’altra, così come un protone è identico ad ogni altro protone. (056LE) Tutte le menti umane propriamente intese sono governate dalle stesse leggi, la principale delle quali è questa: approvare il vero, disapprovare il falso, sospendere il giudizio davanti al dubbio; deside-rare il bene, avversare il male, non desiderare né avversare ciò che è né bene né male. Questo è il solo concetto di ‘natura’ razionalmente sostenibile. Esso equivale al concetto di ‘campo’ in fisica. O ancora: è un invariante. (057LE) Ἄγε  ἵνα  τηρήσω  τὴν  ἐμαυτοῦ  προαίρεσιν  ἐπὶ  ταύτης  τῆς  ὕλης  κατὰ  φύσιν  ἔχουσαν. “Orsù, facciamo di serbare, su questo materiale, la mia Proairesi in accordo con la natura delle cose”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,4,9 (058LE) -Cosa dispone la natura delle cose?- -Che io sia felice e sereno- -Come posso io essere felice e sereno?- -Desiderando il bene ed avversando il male- -Qual è dunque il mio bene?- -Ottenere ciò che desideri e non cadere in ciò che avversi- -Come posso ottenere ciò che desidero e non cadere in ciò che avverso?- -Imparando a distinguere ciò che dipende esclusivamente da te e ciò che non dipende esclusivamente da te- -Sono possibili comportamenti contro la natura delle cose?- -Sì, sono possibili- -Quando ci si comporta contro la natura delle cose?- -Quando si sbaglia nella distinzione fondamentale, ossia quando si giudicano come dipendenti esclusi-vamente da noi cose che non dipendono esclusivamente da noi e viceversa- -Che cosa accade, allora?- -Che noi non otteniamo ciò che desideriamo e che cadiamo in ciò che avversiamo- -Ma io ho pur sempre desiderato il mio bene ed avversato il mio male!- -Certamente. Eppure, come ben vedi, hai ottenuto infelicità e tormento-

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-E questo la natura delle cose non lo dispone?- -No, non lo dispone, come proprio tu hai poco fa riconosciuto ed ammesso. Ecco il comportamento contro la natura delle cose- (059LE) -Dimmi: gli uomini nascono o sono immortali e sempre gli stessi dai tempi più remoti?- -Nascono- -E muoiono o sono immortali?- -Muoiono- -E dimmi ancora: la tua nascita è dipesa da te o da qualcun altro?- -Non è dipesa da me, bensì da mio padre e da mia madre- -E tu sei nato quando hai voluto oppure no?- -No. Né prima, né durante, né subito dopo la nascita mi rendevo conto di ciò che accadeva- -Dunque la tua nascita è qualcosa che non è dipeso da te e della quale tu non sei responsabile?- -E’ così- -Ed il comportamento dei tuoi genitori è stato un comportamento naturale oppure no?- -Sì, è stato un comportamento naturale, poiché è secondo natura avere figli- -Dimmi adesso: gli uomini muoiono per una causa di morte sola o per molte?- -Per moltissime: chi di vecchiaia, chi per una malattia, chi per un incidente qualunque, chi di propria mano si suicida- -Tralasciando per ora il caso dei suicidi –ai quali dedicheremo delle considerazioni a parte un’altra volta- dimmi: il permanere tu in vita è cosa che dipende esclusivamente da te oppure no?- -Capisco ora chiaramente che non dipende esclusivamente da me, ma che è alla mercé di moltissimi ac-cidenti- -E coloro che muoiono compiono forse, per il semplice fatto di morire, qualche male?- -No, non compiono alcun male, giacché nessuno desidera per sé il male- -E se il morire è inevitabile, non diremo forse che morire è secondo la natura delle cose?- -Vedo chiaramente che lo è- -Dunque l’accettare la morte da parte del morente è comportamento secondo la natura o contro la na-tura delle cose?- -Secondo la natura delle cose- -Ed ora riassumiamo. Non dipendono esclusivamente da noi né la nostra nascita né la nostra morte. Noi siamo creature della natura, la quale prima ci organizza alla vita e poi ci destruttura e disorganizza con la morte. Cosa c’è di strano o di malvagio in ciò? Non facciamo noi la stessa cosa in ogni opera di edificazione? E dimmi ancora: in quanto creature della natura siamo contenuti in essa oppure la conte-niamo?- -E come potrebbe il contenuto contenere il contenitore? E’ evidente che noi siamo parte della natura e non la natura parte di noi- -Dunque vivere contro la natura delle cose, cosa significa?- -Mi rendo ora conto che significa giudicare dipendente esclusivamente da noi ciò che non lo è ed indi-pendente da noi ciò che invece dipende esclusivamente da noi- -Ed il vivere secondo la natura delle cose, cosa significa?- -L’opposto- -Ed ora dimmi: non abbiamo noi un criterio semplice e allo stesso tempo certissimo per riconoscere in ogni momento, in noi stessi e tra gli altri esseri umani, chi vive secondo la natura delle cose e chi contro questa natura?- -Non saprei rispondere- -Ripensa a quanto abbiamo detto e vedrai che i frutti del vivere secondo la natura delle cose sono felici-tà e serenità, mentre i frutti del vivere contro la natura delle cose sono infelicità e tormento- -A patto che si sappia riconoscere la felicità distinguendola, per esempio, dalla semplice allegria- -Esattamente. Possiamo, dunque, essere certi che chi è felice sta vivendo secondo la natura delle cose e che chi è infelice, al contrario, sta vivendo contro la natura delle cose?- -Sì, devo ammettere che è proprio così-

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(060LE) Niente male, come esempio di vita vissuta contro la natura delle cose, quella di Frédéric Mo-reau, il protagonista della “Educazione sentimentale” di Flaubert. (061LE) Se gli esseri umani sono, e lo sono, nuvolette di materia destinate a tornare all’egualitarismo radicale della morte, non è questo tempo della vita il tempo delle differenze? Se non ora, quando? (062LE) -Che gusto c’è a dominare sugli esseri umani?- -Il gusto della polvere da sparo- -Che gusto c’è ad essere padroni di se stessi?- -Tanti. Ma il primo è quello di un inebriante sospiro di sollievo- Chi si rende conto e prova nella propria vita la verità di quanto dico, costui è felice e costui solo è il sale del mondo. (063LE) In margine ad Epitteto ‘Diatribe’ Libro III, Capitolo 7, intitolato “Al Correttore delle città li-bere, che era epicureo”. La vita dell’essere umano è simile ad un viaggio. Un viaggiatore giunge in una città che non conosce e pone domande ai cittadini ed a coloro che la conoscono, per sapere cosa v’è di più eccellente in essa af-finché, dopo esserne stato informato, possa andarne alla ricerca. Orbene sono tre le cose che concer-nono l’essere umano: gli oggetti esterni, il suo corpo ed il suo animo. Nella prima città gli viene detto che ciò che vi è di più eccellente sono gli oggetti esterni, i quali sono infatti chiamati ‘beni’. Se un man-tello è bene, sarà un bene anche il mantello del mio vicino, e quindi agisce stoltamente chi si astiene dall’altrui quando può appropriarsene. In effetti non è male il rubare, ma piuttosto l’essere scoperti; e siccome è impossibile avere la certezza di rimanere nascosti, per questo si prescrive di ‘non rubare’. Ma, come è impossibile assentire a ciò che appare falso e rifiutare ciò che appare vero, così è impossibile stare lontani da ciò che appare bene. Ora, se la ricchezza in oggetti esterni è un bene, perché non cer-cherai di averla? Perché non cercherai di sedurre la moglie del vicino, se puoi non essere scoperto? E così il giovane viaggiatore si dispone ad accumulare la maggior quantità di ‘beni’. Nella seconda città gli viene detto che ciò che vi è di più eccellente sono i corpi, la carne. Solo per la presenza dei beni del corpo si prova piacere nell’animo; e allora questi sono gli antecedenti e l’essenza del bene. Perciò agisce stoltamente chiunque viaggia per un altro motivo che per la carne, ossia per ciò che è più eccellente. Nella terza città viene detto al viaggiatore che esiste qualcosa di più eccellente della carne e degli oggetti esterni: si tratta dei beni dell’animo. Ed i beni della parte migliore sono migliori dei beni delle parti infe-riori. Ora, i beni dell’animo sono dipendenti od indipendenti dalla Proairesi? Dipendono dalla Proairesi. E il piacere dell’animo, dipendendo dai beni di essa, dipende esso pure dalla Proairesi? Si, dipende da essa. Se non sei convinto di ciò dicci, o viaggiatore. In un oggetto d’oro cesellato vi è l’oro e vi è la ce-sellatura. Che cosa è più eccellente: l’oro o l’arte? In un affresco vi è il muro e vi è la pittura. Che cosa è più eccellente: il muro o l’arte? Una magnifica femmina è come il prodotto dell’arte di un artista. Devi però vederne le azioni, conoscerne i giudizi, e allora potrai decidere cosa in lei meriti di essere mag-giormente ammirato. Se ti serve il muro, prendi il muro. Ma il nostro discorso sulla città è rivolto ai viaggiatori interessati a conoscerne le bellezze. Dunque, sostanza della mano è la carne; ma di cardinale importanza sono le azioni della mano. Allo stesso modo che per l’oggetto cesellato, noi qui diamo il giusto valore al materiale ed il giusto valore alle azioni del materiale. Cosa significa ‘dare il giusto valore alle azioni del materiale?’ Significa avere desideri ed avversioni, impulsi e ripulse come è necessario per ciascuna delle azioni dell’uomo e come dispone la nostra natura. E come dispone la nostra natura? Di-spone che si agisca da uomini liberi, nobili, rispettosi di sé e degli altri. Quale altro essere vivente, infat-ti, arrossisce? Quale altro può avere la rappresentazione di turpe? Non li hai visti arrossire anche nelle altre due città? E il piacere fisico? Noi qui lo sottomettiamo a questi doveri di libertà, di nobiltà, di ri-spetto di sé e degli altri; come servitore, come ministro, perché stimoli la nostra alacrità, perché ci tenga -nelle azioni- in accordo con la natura delle cose. Come hai potuto vedere, le altre città sono governate secondo questo principio: ‘Fa questo, non fare quello; se no, ti getterò in prigione’. Non è così che si governano degli esseri ragionevoli. Noi governiamo invece secondo questo principio: ‘Fa così come la

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natura delle cose ha stabilito. Se non farai così, sarai danneggiato e subirai una perdita’. Quale perdita? Nessun’altra se non il non fare quel che ti spetta; il rovinare l’uomo fedele, rispettoso di sé e degli altri, equilibrato. Dove potresti mai cercare una perdita maggiore di questa? (064LE) Ancora in margine ad Epitteto ‘Diatribe’ Libro III, Capitolo 7. Non si parli di piacere in generale. Si differenzino i piaceri secondo l’antico schema delle otto parti dell’animo. Si parli quindi di piacere degli occhi (vista), del naso (olfatto), della lingua (gusto), dell’orecchio (udito), della pelle (tatto), della voce (vocale), dei genitali (sessuale), e da ultimo e non con-fondibile con i precedenti, del piacere dell’animo (proprio dell’Egemonico, o Proairesi, ossia della parte dominante dell’animo). Ora, qual è la tesi Epicurea? Il piacere psichico è risonanza di quello fisico e di-pende dal corpo, ossia piaceri e dolori psichici sono basati su quelli fisici, quantunque siano più potenti, poiché abbracciano passato e futuro, come ben spiega Cicerone in ‘De Finibus’ 1,17,55. E la tesi Stoica? In verità non mi pare che Stoici ed Epicurei affermino, in proposito, cose radicalmente diverse, come invece si tende a credere. Si rifletta: il piacere di ciascuna delle prime sette parti dell’animo sorge alla presenza d’oggetti fisici definiti e dipende dal corpo. Quello della vista, caso mai, da forme armoniose e vivide; quello dell’udito, caso mai, da suoni gradevoli e musicali; quello sessuale dall'attività di strutture anatomiche determinate ecc. ecc. Non si potrà negare che questi piaceri hanno bisogno d’organi corpo-rei per essere provati, tant’è che il cieco non saprà mai nulla dei piaceri della vista, il sordo dei piaceri dell’udito ecc. E tuttavia il piacere dell’animo sorge alla presenza dei beni dell’animo, non alla presenza dei cosiddetti beni dell’occhio o dell’orecchio ecc. ecc. E quali sono i beni dell’animo? Bene dell’animo è ottenere ciò che desidera e non incorrere in ciò che avversa; accettare ciò che è secondo la natura del-le cose e rifiutare ciò che non lo è; assentire al vero e dissentire dal falso. Si presentino all’animo libertà, nobiltà, rispetto di sé e degli altri, fedeltà, equilibrio e l’animo non potrà non riconoscerli come suoi be-ni e gioirne! Ora libertà, nobiltà ecc. non sono oggetti fisici come quelli che rappresentano ‘beni’ per le altre parti dell’animo, bensì giudizi che solo l’animo ha la capacità di cogliere. Questa gioia dell’animo forse non è altro che il ‘piacere catastematico’ di Epicuro. (065LE) -Ma io sono ricco di denaro- -E che t’importa allora della filosofia? Ti bastano oro e miliardi: che bisogno hai di filosofia?- -Ma io sono il giudice X Y- -Chi ha firmato la tua nomina a giudice?- -Il Presidente Tal dei Tali- -Che te ne firmi una affinché tu possa giudicare anche in fatto di musica! E per diventare giudice, di chi hai baciato la mano: di D. o di A.? A chi hai mandato doni? Ti rendi conto che la tua nomina di giudice vale quanto D. o quanto A. O quanto Tal dei Tali.?- -Ma io posso gettare in prigione chi voglio!- -Sì, come si getta una pietra- -Ma io posso farti bastonare quanto voglio!- -Sì, come faresti bastonare un asino. No, mio caro; non è così che si governano gli uomini- (066LE) Non si accetti mai di discutere ‘Se l’essere umano sia per natura buono o malvagio’, secondo l’impostazione illuministica. Rousseau ed altri affermano che l’essere umano è buono per natura, men-tre i loro oppositori affermano il contrario. Così impostato, il confronto non può portare che all’insulto reciproco. Si imposti invece il discorso in quest’altro modo. Diremo che esiste una natura umana o ‘campo’, se troveremo qualcosa rispetto alla quale tutti i comportamenti degli umani di qualunque cul-tura sono invarianti, così come la velocità della luce nel vuoto è indipendente dalla velocità della sorgen-te luminosa e riflette la struttura del ‘campo’ elettromagnetico naturale. Orbene questo qualcosa esiste e dunque siamo autorizzati a parlare di ‘campo’ o natura umana. Questo qualcosa può essere formulato così: qualunque individuo di qualunque cultura intende ottenere ciò che desidera e non intende cadere in ciò che avversa. Chi intende infatti vivere provando dolore, provando paura, invidia, compassione? Nessuno. Chi aspira a vivere come ha deliberato, senza essere costretto né impedito né forzato? Tutti, integralmente tutti noi, a qualunque cultura antropologica apparteniamo. Dunque tutti gli individui aspi-

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rano per natura delle cose alla libertà, ossia è la natura umana a disporre che noi siamo ed agiamo da uomini liberi. (067LE) Non si imposti mai il discorso sulla libertà in modo astratto, così come si vede fare nei cosid-detti dibattiti ‘politici’ o nei ‘talk-show’, laddove uno dice: ‘Io mi batto per la libertà’ e l’altro replica: ‘No, tu non ti batti per la libertà, sono io che mi batto per la vera libertà’; ‘No, la tua è falsa…’ ecc. ecc. Gli individui da nulla, gli sciocchi, i demagoghi e gli insipienti fanno così. Chiediamoci invece: ‘Chi ha mai deliberato il proprio male?’ Nessuno! ‘Chi sempre delibera il proprio bene?’ Tutti! Dunque se due o più persone, che comunque sempre perseguono il proprio bene, discutono senza trovare un accordo, ciò significa che esse pongono il proprio bene in cose diverse e reciprocamente condizionate. Ora, che cosa può essere condizionato da qualcos’altro? Soltanto qualcosa che non è in mio esclusivo potere e dunque qualcosa che mi è esteriore. Dove sta la sola e vera libertà incondizionata dell’uomo? Sta nel controllo dei suoi desideri e delle sue avversioni, dei suoi impulsi e delle sue ripulse, dei suoi assensi e dei suoi rifiuti attraverso retti giudizi. Come chiameremo l’uomo dotato di retti giudizi? Lo chiameremo uomo saggio. E può essere libero chi ha giudizi errati? No. Può dunque essere libero chi è stolto nell’arte di vivere? Non può. Egli sarà necessariamente schiavo o, se credi, un individuo in perenne li-bertà condizionata. E che cosa ho io da imparare da uomini siffatti, se non l’evitare di essere come lo-ro? (068LE) Un certo individuo sa molte cose, è uno scienziato famoso, si chiama addirittura Adriano Buz-zati-Traverso. Ciò significa forse che questo individuo sia esperto nell’arte del vivere bene? Guarda co-me vive e lo saprai! Un altro individuo sa pochissime cose, è un emerito ignorantone, si chiama Genna-ro Esposito. Significa forse che questo individuo sia esperto nell’arte del vivere bene? Guarda come vi-ve e lo saprai! Guarda i loro giudizi all’opera e lo saprai! Fanno entrambi la stessa vita piena di dolori, di paure, di invidia, di compassione. Entrambi hanno errati giudizi, entrambi vivono male. Errati giudizi su cosa? Su ciò che dipende esclusivamente da noi e ciò che non dipende esclusivamente da noi, in una parola proprio sulle cose di primaria importanza! (069LE) Io soglio affermare che per essere infelici ci vuole uno strenuo impegno. E non è così? Certo che è così. Ci vuole costanza nel conservare errati giudizi a dispetto di tutti i buoni insegnamenti. E come può accadere ciò? Accade perché è spezzato in noi il collegamento tra felicità/infelicità ed atti di giudizio. Noi crediamo che la nostra infelicità sia causata dagli oggetti esterni e rechi l’impronta della lo-ro stessa inevitabilità. Abbiamo perso il senso della verità seguente: non la morte mi fa infelice, bensì l’errato giudizio che la morte sia un male. (070LE)  Πεφύκαμεν  δὲ  πῶς;  ὡς  ἐλεύθεροι,  ὡς  γενναῖοι,  ὡς  αἰδήμονες.  ποῖον  γὰρ  ἄλλο  ζῷον  ἐρυθριᾷ,  ποῖον  αἰσχροῦ  φαντασίαν   λαμβάνει;   τὴν  ἡδονὴν  δ'   ὑπόταξαι   τούτοις  ὡς   διάκονον,  ὡς   ὑπηρέτιν,   ἵνα  προθυμίας  ἐκκαλέσηται,  ἵν'  ἐν  τοῖς  κατὰ  φύσιν  ἔργοις  παρακρατῇ.  “E come siamo nati per farlo? Da uomini liberi, generosi, rispettosi di sé e degli altri. Giacché quale al-tra creatura arrossisce, quale coglie la rappresentazione di vergognoso? A questo subordina il piacere come ministro, come servitore, affinché ci provochi dello slancio, affinché presieda alle nostre opere secondo la natura delle cose”. Epitteto ‘Diatribe’ 3,7,27-28 Ecco come siamo nati per fare l’amore. Il piacere fisico ha per natura delle cose la funzione di servo, di ministro, di stimolatore del nostro coraggio di diventare quello che siamo: uomini liberi, uomini nobil-mente generosi, uomini rispettosi di sé e degli altri. Il piacere fisico non ha natura di signore, di padro-ne: è un ottimo servitore ma un pessimo padrone. Il piacere fisico ci serve per vivere, ma noi non vi-viamo per il piacere fisico. La stessa cosa si può dire del lavoro. La stessa cosa si può dire del denaro e di molto altro. (071LE) Noi non possiamo non ammettere di essere incondizionatamente, radicalmente liberi di assen-tire e di dissentire, di desiderare e di avversare, di accettare e di rifiutare. E siccome tutti gli esseri umani godono delle incondizionate libertà sopraddette, tutti gli esseri umani, a qualunque cultura appartenga-

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no, sono dotati di Proairesi. Per qualunque essere umano, bene è ottenere ciò che desidera, male è in-correre in ciò che avversa. Le tre leggi del ‘campo’ umano sono allora le seguenti: 1) qualunque essere umano assente a ciò che gli appare come vero e dissente da ciò che gli appare come falso 2) qualunque essere umano desidera ciò che gli appare bene ed avversa ciò che gli appare male 3) qualunque essere umano impelle a ciò che gli appare secondo natura e rifiuta ciò che gli appare con-tro natura. (072LE) ‘A velle ad posse non valet consequentia’. Ora, nell’ambito del ‘campo’ umano le cui leggi strutturali ho appena segnalato, vale invece che ‘A velle ad posse valet consequentia’. Anzi ‘velle et posse’ sono lo stesso atto di giudizio. Il che è semplicemente un altro modo per dire che qui la libertà è incondizionata. Invece nell’ambito delle relazioni con gli og-getti esterni ed aproairetici, tra i quali è compreso anche il corpo in cui siamo, vale che ‘A velle ad posse non valet consequentia’ e dunque qui la libertà è condizionata. Il che ci porta a concludere che è in noi incondizionata la libertà di disporre qualcosa il cui accadere, però, non è poi più in nostro esclusivo po-tere. Questa è la Diairesi fondamentale, e questo un modo di formularla. Sotto mentite spoglie, essa si presenta a fondamento del pensiero di Kierkegaard. (073LE) Nel primo ambito, nell’ambito di ciò che è Proairetico, possono esistere soltanto contraddi-zioni ma non opposizioni. Nel secondo ambito, nell’ambito di ciò che è aproairetico, possono esistere soltanto opposizioni ma non contraddizioni. (074LE) Se è vero, come è vero, che le passioni sono giudizi, allora non bisogna scandalizzarsi quando ribadisco che esistono i geni, i neuroni, le sinapsi, i neurotrasmettitori, gli ormoni, et cetera et cetera. (075LE) Come si prospetta dunque a noi la dottrina degli oggetti esterni ed aproairetici? Nessuno degli oggetti esterni è un bene e neppure un male. Smaniare per un oggetto esterno equivale a credere dipen-dente esclusivamente da noi ciò che non lo è; equivale cioè ad usare la Controdiairesi con nostro sicuro danno: infatti, non ottenendolo siamo afflitti; ottenendolo siamo portati a credere che la natura delle cose possa essere violata impunemente e così ci avviamo senza saperlo a futuri disastri. E lo stesso ac-cade se noi smaniamo di avversare ciò che è esterno ed aproairetico. Infatti, venendone colpiti siamo afflitti; evitandolo siamo portati a credere che la Natura delle cose possa essere violata impunemente e così pure ci avviamo senza saperlo a futuri disastri. (076LE) Nessuno degli oggetti esterni è un bene e neppure un male. Tuttavia non è indifferente l’uso che ne facciamo, in quanto questo uso dipende esclusivamente da noi. Se gli oggetti esterni sono né be-ne né male, dovrò rimanere passivo di fronte ad essi, subire con indifferenza od agire a casaccio e ba-sta? No. Tutt’al contrario, proprio perché essi non hanno in sé lo spessore di beni o mali, se io ne usassi con trascuratezza, con negligenza, ciò sarebbe male per la Proairesi. Infatti gli oggetti esteriori sono né bene né male; però l’uso che ne faccio è buono o cattivo, ed esso dipende esclusivamente da me. (077LE) Alla fine degli anni ’60, il problema veniva posto in questi termini: “La scienza è neutrale” con-tro “La scienza non è neutrale”. La maggior parte dei ricercatori del LIGB di Napoli sosteneva la tesi della neutralità della scienza, la maggior parte dei non-ricercatori sosteneva la tesi della non-neutralità della scienza. Io, Bruno d’Udine e Mario Pepe organizzammo sull’argomento un burrascoso seminario che fu condotto da Francesco Ciafaloni. Fu quello un dibattito nel quale nessuno si accorgeva che, sot-to mentite spoglie, il problema vero da affrontare era il seguente: “La conoscenza scientifica in senso tecnico è un bene di per se stessa?” Oggi, e soltanto oggi, conosco la soluzione del problema. (078LE) Se nessuno degli oggetti esterni ed aproairetici è bene o male, esiste per l’uomo il ‘Bene-in-sé’? Certamente esso esiste. ‘Bene-in-sé’ è per l’uomo il retto uso delle rappresentazioni. Sono i retti giudizi

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della Proairesi che gli permettono di spassarsela in armonia con la natura delle cose. Questo significa possedere la scienza del vivere bene. Οὕτως  τοίνυν  τὸ  μὲν  προηγούμενον  καὶ  ἐπὶ  τοῦ  βίου  ἔργον  ἐκεῖνο:  δίελε  τὰ  πράγματα  καὶ  διάστησον  καὶ  εἰπὲ  "τὰ  ἔξω  οὐκ  ἐπ'  ἐμοί:  προαίρεσις  ἐπ'  ἐμοί.  ποῦ  ζητήσω  τὸ  ἀγαθὸν  καὶ  τὸ  κακόν;  ἔσω  ἐν  τοῖς  ἐμοῖς".  ἐν  δὲ  τοῖς  ἀλλοτρίοις  μηδέποτε  μήτ'  ἀγαθὸν  ὀνομάσῃς  μήτε  κακὸν  μήτ'  ὠφέλειαν  μήτε  βλάβην  μήτ'  ἄλλο  τι  τῶν  τοιούτων. “Così pertanto, anche nella vita l'opera cardinale è quella: discrimina le faccende, scindile e dì: ‘L’al di fuori non è in mio esclusivo potere; la Proairesi è in mio esclusivo potere. Dove cercherò il bene ed il male? Dentro, in quanto è mio’. In quanto è allotrio non nominare mai né bene né male, né giovamento né danno né nient'altro di siffatto”. Epitteto ‘Diatribe’ 2,5,4-5 (079LE) Il primo ‘campo’ è il campo di ciò che è Proairetico. In questo valgono le tre leggi che ho cita-to, ed esse sono invarianti rispetto a qualunque cultura umana. Laddove non vi sono che contraddizioni tra giudizi presenti nella mente di un singolo individuo è dunque possibile raggiungere ed acquisire il retto uso delle rappresentazioni. Acquisire il retto uso delle rappresentazioni significa diventare uomo. Soltanto gli uomini, dunque, sono ‘pace vivente’. (080LE) Nel secondo ‘campo’, ossia nel campo delle cose che non dipendono esclusivamente da noi, dove non vi sono che opposizioni tra giudizi di individui diversi e dove il contrasto non è superabile ‘mentalmente’, cos’altro sarà a decidere sul prevalere dell’uno o dell’altro giudizio se non il caso ed i rapporti di forza bruta? Gli esseri umani, con i loro giudizi non-retti, sono dunque ‘inimicizie viventi’. Com’è evidente, questa riflessione dà conto in modo assai semplice, ma elegante e preciso, della appa-rente stranezza per cui le vicende dei popoli sono tutt’altro che lineari, anzi sono piene di involuzioni, scarti, regressi e progressi che le rendono indescrivibili come storia dello sviluppo dello Spirito. Con buona pace degli idealisti di tutte le specie. (081LE) Il ‘bambino’ come età dell’oro dell’essere umano? Cito da M. Pohlenz ‘La Stoa’, La Nuova Italia, 1978,Vol. II° pag. 58: ‘Agli inizi dell’umanità si colloca una stirpe che viveva senza distinguere tra ricco e povero, senza bisogni e senza colpa. Molto presto, però, cominciò il corrompimento dei costumi, la 'diastrofì', che trasformò il naturale istinto di conser-vazione nel più malvagio egoismo, ed oggi già il bambino è soggetto in misura tale agli influssi perversi, che il buon seme viene sopraffatto dall’erbaccia. Noi siamo tutti peccatori’. Questo è un modo di guardare al mondo condiviso da miliardi di persone, religiose e non; ma che non mi appartiene in alcun modo. Dirò di più: non mi è mai appartenuto. (082LE) Una possibile definizione della guerra è questa: guerra è la situazione in cui un gruppo di esseri umani pone istituzionalmente ed in modo esplicito la propria vita nelle mani di un altro gruppo di esseri umani. (083LE) La vita di per sé è né un bene né un male, giacché non dipende esclusivamente da me. La mia vita è nelle mani di un passante pazzo, di un accidente qualunque. Gli esseri umani si danno garanzie reciproche di non aggressione e provvedono mediante istituzioni opportune alla giustizia scambievole. Ma ciò non cambia la natura delle cose. La mia vita può dipendere anche da eventi naturali quali la pioggia, il raccolto, il cibo, ecc… nessuno dei quali è comunque, di per sé , bene o male. (084LE) Soltanto ciò che dipende esclusivamente da me può essere bene o male per me. Soltanto per atti di pensiero dei quali ho la responsabilità esclusiva posso parlare di male e di bene. Lì sta la mia li-bertà: in una Proairesi che è, per natura, inasservibile e insubordinabile. Dunque soltanto della Proairesi si potrà affermare che è un ‘bene in sé’ oppure un ‘male in sé’; un ‘bene assoluto’ oppure un ‘male assoluto'.

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(085LE) Sembra quasi che chi critica il mio modo di pensare lo faccia perché ne trae la conclusione che il perfetto stoico non agirebbe più, non farebbe più nulla. Ma questo timore è infondato. Cesseranno forse di agire, secondo la loro specificità, tutte le cause naturali ed umane che hanno agito fino ad allo-ra? Certamente no! E’ come se temessimo che il tempo atmosferico non cambi più perché abbiamo imparato a fare delle perfette previsioni a due o tre giorni! Non ci sarebbero più tifoni, uragani, tempe-ste ed alluvioni? (086LE) Mi si chiede: -Qual è dunque il tuo fine, l’oggetto dei tuoi propositi?- Risponderò così: -Oggetto dei miei propositi è vivere senza subire impedimenti nei desideri e nelle av-versioni- -E ciò cosa vuol dire?- -Ciò significa non fallire nei propri desideri e non cadere in ciò che si avversa- (087LE) Amici miei, la ‘solidarietà’ di cui tanto cianciate e dietro la quale vi nascondete nella speranza di perpetuare i vostri loschi traffici, si dovrebbe in verità chiamare assai più propriamente ‘retorica del piagnisteo’. (088LE) La libertà non è una condizione sociale ma uno stato del nostro animo e consiste precisamente nel non essere nell’errore, nel rispettare la natura delle cose. Che senso ha il parlare di ‘società libera’? Soltanto quello di maleducare dei sudditi. Ha senso invece, e senso pieno, il parlare di ‘uomo libero’, di ‘uomini liberi’. (089LE) Proposta di sceneggiatura: ‘Dove stanno la parte razionale e la parte folle dell’uomo’? Un individuo spregevole, che vive ignobilmente commettendo dei reati gravi, nel sonno ha fantasie, immagini, rappresentazioni di vera e sublime virtù, di nobilissima e bellissima pacatezza, che non sono affatto e non devono affatto apparire ‘irreali’ sullo schermo. Così che lo spettatore del film sia costretto a spaventarsi di fronte alla domanda: ‘Ma qual è la vita vera e qual è la fantasia?’ Aggiungete una struttura circolare (le ultime scene del film sono anche le prime) e ne verrà fuori un'ot-tima cosa. (090LE) Noi studiamo per vivere nobilmente, noi lavoriamo per vivere nobilmente, noi amiamo per vi-vere nobilmente. Noi non viviamo né per studiare, né per lavorare, né per amare. (091LE) ‘Intellettualismo socratico’ ossia ‘Retti giudizi’ contro il ‘Volontarismo cristiano’, contro ‘La buona volontà’. Socrate ed Epitteto contro Agostino e Duns Scoto. Insomma i ‘Retti giudizi’ indispen-sabili alla libertà ed alla felicità dell’uomo sono stati sostituiti dalla ‘Buona volontà’ di osservare la ‘Veri-tà rivelata’. Vi pare che questo sia stato un passo avanti verso la responsabilizzazione degli esseri uma-ni? (092LE) Insomma io penso e sento come uno stoico antico. Che ci faccio io, in mezzo a questa società che pensa e sente tanto altramente? (093LE) La libertà dell’uomo coincide con i suoi retti giudizi, ‘è’ i suoi retti giudizi sulla natura delle co-se e la sua invarianza. (094LE) Essere uomini liberi significa avere retti giudizi sulla natura delle cose. (095LE) La Diairesi è il supergiudizio che dichiara: ‘Delle cose che sono, alcune sono in nostro esclusi-vo potere, altre non sono in nostro esclusivo potere’. (096LE) La conoscenza del bene comporta la necessaria disposizione di esso. Il che significa che non si può conoscere il bene senza disporlo. Dunque la libertà non consiste affatto nella possibilità di scegliere

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tra il bene ed il male. E dalla ignoranza di ciò nasce il falso problema del libero/servo arbitrio. Giacché qualunque individuo fa sempre e soltanto ciò che gli appare come bene. ‘Ma allora’, mi si chiede, ‘se tut-ti gli individui fanno sempre e soltanto ciò che appare loro bene e mai ciò che appare loro male, donde nascono le guerre, le discordie, gli odi?’ Nascono da ciò, che un individuo giudica bene per sé la stessa cosa che un altro ritiene male per sé, come nel caso di Agamennone e di Achille nei riguardi di Briseide. (097LE) -Non dunque la vita è un bene, ma il vivere nobilmente- -Che cosa significa nobilmente? Significa virtuosamente ossia con prudenza, con temperanza, con virili-tà, con giustizia, da uomini liberi- -E com'è possibile ciò?- -Ciò è possibile se si hanno retti giudizi su di sé e su ciò che ci circonda- (098LE) La virtù è conoscenza di ciò che è importante e di ciò che non lo è, così come la ἀνδρεία ‘viri-lità’ è la scienza di ciò che è temibile e di ciò che non lo è (Platone, Protagora 360D). Dunque virtù è possesso del giudizio Diairetico, ossia retto uso della Proairesi, uso conforme a quello che ne fa il sa-piente. (099LE) Tutti siamo individui ‘proairetici’ (o ‘proairesizzati’, o ‘dotati di Proairesi’) e però possiamo usare la Proairesi rettamente oppure non-rettamente. Κλέπται,  φησίν,  εἰσὶ  καὶ  λωποδύται.  Τί  ἐστι  τὸ  κλέπται  καὶ  λωποδύται;  πεπλάνηνται  περὶ  ἀγαθῶν  καὶ  κακῶν.  χαλεπαίνειν  οὖν  δεῖ  αὐτοῖς  ἢ  ἐλεεῖν  αὐτούς;  ἀλλὰ  δεῖξον  τὴν  πλάνην  καὶ  ὄψει  πῶς  ἀφίστανται  τῶν  ἁμαρτημάτων.  ἂν  δὲ  μὴ  βλέπωσιν,  οὐδὲν  ἔχουσιν  ἀνώτερον  τοῦ  δοκοῦντος  αὐτοῖς. “-Sono ladri, dice, e rubavestiti.- Cos'è il ladri e rubavestiti? Hanno errato su beni e su mali. Bisogna dunque esasperarsi con loro o commiserarli? Mostra l'errore e vedrai come si distornano dalle aberra-zioni! Se però non lo scorgeranno, nulla hanno di superiore a quanto reputano”. Epitteto ‘Diatribe’ 1,18,3-4 Ne derivano, tra l’altro, importanti conseguenze nel campo della politica giudiziaria. Ecco da dove viene la mia idea della condanna non ‘alla privazione della libertà’ ma ‘ad apprendere la diairesi’. (100LE) Chi afferma di avere retti giudizi e poi dedica la sua vita al ‘lavoro’, alla ‘famiglia’, alla ‘patria’, a ‘Dio’ non è credibile. Quale lavoro? Quale famiglia? Quale patria? Quale Dio? Chi infatti dedica la pro-pria vita a qualcosa di aproairetico, qualunque cosa ciò sia, e poi afferma di avere retti giudizi parla, in realtà, per stereotipi culturali. Non ha la comprensione di ciò che dice bensì la presunzione di sapere ciò che non sa. A guidarlo sono giudizi non-retti, i quali lo condurranno inevitabilmente all’infelicità. (101LE) L’individuo che vive di errati giudizi accusa sempre gli altri e le forze esterne della propria infe-licità. Colui che ha iniziato a rettificare i propri giudizi accusa della sua infelicità principalmente se stes-so. L’uomo che vive di retti giudizi ha cessato di essere infelice. Dedicato a tutti coloro che sono infelici. (102LE) Non sono le cose o gli altri esseri umani ad avere potere su di noi. E’ il giudizio che noi ab-biamo sulle cose e sugli altri individui a dare od a togliere loro potere su di noi. (103LE) Cos’è la Diairesi? La Diairesi è il supergiudizio che sa distinguere ciò che è in mio esclusivo potere da ciò che non lo è. (104LE) Cos’è la Proairesi? La Proairesi è la facoltà logica degli esseri umani in quanto facoltà che può atteggiarsi Diaireticamente oppure Controdiaireticamente. (105LE) Dove sta la saldissima base delle guerre e delle religioni? Nei giudizi non-retti di grandi masse di esseri umani. (106LE) Olimpia. Dinanzi all’Apollo che è nel Museo.

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-Vieni: ti mostrerò un desiderio che non fallisce; un’avversione che non incappa in quanto intende evi-tare; un impulso conveniente, che sa accordarsi abilmente con ciò che è doveroso; una repulsione se-condo la natura delle cose, libera dall’errore; un assenso non precipitoso né sconsiderato; un dissenso meditato e fermo- (107LE) Ἄγε   οὖν   ἐπέλθωμεν   τὰ   ὡμολογημένα.   ὁ   ἀκώλυτος   ἄνθρωπος   ἐλεύθερος,   ᾧ   πρόχειρα   τὰ  πράγματα   ὡς   βούλεται.   ὃν   δ'   ἔστιν   ἢ   κωλῦσαι   ἢ   ἀναγκάσαι   ἢ   ἐμποδίσαι   ἢ   ἄκοντα   εἴς   τι   ἐμβαλεῖν,  δοῦλός  ἐστιν.  τίς  δ'  ἀκώλυτος;  ὁ  μηδενὸς  τῶν  ἀλλοτρίων  ἐφιέμενος.  τίνα  δ'  ἀλλότρια;  ἃ  οὐκ  ἔστιν  ἐφ'  ἡμῖν  οὔτ'  ἔχειν  οὔτε  μὴ  ἔχειν  οὔτε  ποιὰ  ἔχειν  ἢ  πῶς  ἔχοντα.  οὐκοῦν  τὸ  σῶμα  ἀλλότριον,  τὰ  μέρη  αὐτοῦ  ἀλλότρια,  ἡ  κτῆσις  ἀλλοτρία.  ἂν  οὖν  τινι  τούτων  ὡς  ἰδίῳ  προσπαθῇς,  δώσεις  δίκας  ἃς  ἄξιον  τὸν  τῶν  ἀλλοτρίων  ἐφιέμενον.  αὕτη  ἡ  ὁδὸς  ἐπ'  ἐλευθερίαν  ἄγει,  αὕτη  μόνη  ἀπαλλαγὴ  δουλείας,  τὸ  δυνηθῆναί  ποτ'   εἰπεῖν   ἐξ   ὅλης   ψυχῆς   τὸ   ἄγου   δέ   μ',   ὦ   Ζεῦ,   καὶ   σύ   γ'   ἡ   Πεπρωμένη,ὅποι   ποθ'   ὑμῖν   εἰμι  διατεταγμένος. “Orsù dunque, veniamo ai punti ammessi. Libero è l'uomo non soggetto ad impedimenti, cui le faccen-de sono a portata di mano come decide. Invece, chi è possibile impedire o costringere od intralciare o sbattere in qualcosa suo malgrado, è servo. Chi non è soggetto ad impedimenti? Chi non prende di mira qualcosa di allotrio. Cos'è allotrio? Ciò che non è in nostro esclusivo potere avere o non avere od avere con certe qualità od in un certo stato. Pertanto allotrio è il corpo, allotrie sono le parti del corpo, allo-trio è il patrimonio. Se dunque ti struggerai per qualcuna di queste cose come tua peculiare, pagherai il fio che merita chi prende di mira l'allotrio. Questa strada conduce alla libertà, questa sola è scampo dalla servitù: poter dire una volta con l'animo intero *Conducimi, o Zeus, e proprio tu o Fato, là dove sono stato da voi una volta ordinato*”. Epitteto ‘Diatribe’ 4,1,128-131 (108LE) "Ἀλλ'  ἀποκεχώρηκα  τοῦ  δεῖνος  καὶ  ὀδυνᾶται."  διὰ  τί  γὰρ  τὰ  ἀλλότρια  ἴδια  ἡγήσατο;  διὰ  τί,  ὅτε  σε  βλέπων  ἔχαιρεν,  οὐκ  ἐπελογίζετο,  ὅτι  θνητὸς  εἶ,  ἀποδημητικὸς  εἶ;  τοιγαροῦν  τίνει  δίκας  τῆς  αὑτοῦ  μωρίας.   σὺ   δ'   ἀντὶ   τίνος;   ἐπὶ   τί   κλάεις   σεαυτόν;   ἢ   οὐδὲ   σὺ   ταῦτα   ἐμελέτησας,   ἀλλ'  ὡς   τὰ   γύναια   τὰ  οὐδενὸς   ἄξια   πᾶσιν   οἷς   ἔχαιρες   ὡς   ἀ[ι]εὶ   συνεσόμενος   συνῆς,   τοῖς   τόποις,   τοῖς   ἀνθρώποις,   ταῖς  διατριβαῖς;  καὶ  νῦν  κλαίων  ἐκάθισας,  ὅτι  μὴ  τοὺς  αὐτοὺς  βλέπεις  καὶ  ἐν  τοῖς  αὐτοῖς  τόποις  διατρίβεις.  τούτου   γὰρ   ἄξιος   εἶ,   ἵνα   καὶ   τῶν   κοράκων   καὶ   κορωνῶν   ἀθλιώτερος   ᾖς,   οἷς   ἔξεστιν   ἵπτασθαι,   ὅπου  θέλουσιν,   καὶ   μετοικοδομεῖν   τὰς   νεοσσιὰς   καὶ   τὰ   πελάγη   διαπερᾶν   μὴ   στένουσιν   μηδὲ   ποθοῦσι   τὰ  πρῶτα.   -­‐   Ναί:   ἀλλ'   ὑπὸ   τοῦ  ἄλογα   εἶναι   πάσχει   αὐτά.   -­‐  Ἡμῖν   οὖν   λόγος   ἐπὶ   ἀτυχίᾳ  καὶ   κακοδαιμονίᾳ  δέδοται  ὑπὸ  τῶν  θεῶν,  ἵν'  ἄθλιοι,  ἵνα  πενθοῦντες  διατελῶμεν;  ἢ  πάντες  ἔστωσαν  ἀθάνατοι  καὶ  μηδεὶς  ἀποδημείτω,   μηδ'   ἡμεῖς   ποῦ   ἀποδημῶμεν,   ἀλλὰ   μένωμεν   ὡς   τὰ   φυτὰ   προσεῤῥιζωμένοι:   ἂν   δέ   τις  ἀποδημήσῃ   τῶν   συνήθων,   καθήμενοι   κλαίωμεν   καὶ   πάλιν,   ἂν   ἔλθῃ,   ὀρχώμεθα   καὶ   κροτῶμεν   ὡς   τὰ  παιδία; “-‘Ma mi sono ritirato dal tale e lui se ne duole’- E perché ritenne peculiare l'allotrio? Perché quando si rallegrava scorgendoti, non calcolava che sei mortale, che puoi metterti in viaggio? Perciò appunto paga il fio della sua propria stupidità. E tu in cambio di che cosa lo fai? Perché ti singhiozzi addosso? O nep-pure tu studiasti queste faccende, ma come quelle femminette che valgono nulla, stavi con tutto ciò di cui ti rallegravi come se avessi potuto starci per sempre: i posti, le persone, i trastulli? Ed ora ti siedi a singhiozzare perché non scorgi le medesime persone e non ti trastulli nei medesimi luoghi ? Giacché questo meriti, di essere più meschino dei corvi e delle cornacchie che han potestà di spiccare il volo do-ve vogliono, edificare i nidi altrove, trapassare pelaghi senza gemere né bramare i primi. -Sì, ma lo spe-rimentano perché sono sprovvisti di ragione.- Dunque dagli dei ci è stata data una ragione di sfortuna ed infelicità, affinché siamo dei meschini e piangiamo di continuo? O vuoi che tutti siano immortali, che nessuno si metta in viaggio ma che rimaniamo inradicati come vegetali? Se poi qualcuno degli inti-mi si metterà in viaggio, che sediamo a singhiozzare e, se verrà di nuovo, che balliamo ed applaudiamo come i bimbi?”. Epitteto 'Diatribe' 3,24, 4-8 (109LE) ‘Se l’animo è arrivato a disprezzare i beni della fortuna…’ (Da Seneca ‘De Beneficiis’ Libro-VII° Capitolo 1,§ 7. Citato in M. Pohlenz ‘Stoa’ Vol. II° pag. 98). Perché una traduzione così orribile del ‘Si animus fortuita contempsit…’? L’animo non deve apprezzare né disprezzare oltre misura gli udeteri che la fortuna dà. Deve guardarli con giusto distacco e usarli con coraggio e secondo retti giudizi, ossia senza che il loro uso comprometta e travolga αἰδώς ‘il rispetto di se stessi e degli altri’ e πίστις ‘la lealtà’, che invece si qualificano come propri dell’animo e suoi beni.

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(110LE) Si tratta di una partita a carte. Ci sono delle regole. Come posso sapere quali carte avrò? Non di questo devo preoccuparmi, non di barare; bensì di servirmi con abilità delle carte che mi sono capita-te. E’ un gioco che prevede un vincente ed un perdente. Ho vinto. Ma ho anche retti giudizi sulla vitto-ria. Non mi inorgoglirò, non mi crederò invincibile. Ho perso. Ma ho anche retti giudizi sulla sconfitta. Non mi deprimerò, non mi crederò un fallito. (111LE) Nei giochi come il gioco del calcio, προαιρετικόν ‘proairetica’ è la decisione di calciare o non calciare la palla. Ἀπροαίρετον ‘aproairetico’ è che la palla entri in rete oppure no. Sarò dunque cauto nella decisione di calciare o non calciare in porta la palla, in quanto ciò dipende da me. Sarò invece co-raggioso riguardo al risultato della partita, in quanto questo non dipende soltanto da me. (112LE) Il caso del fumatore che 'vuole' smettere di fumare ma non smette (ad esempio il signor Zeno Cosini) è un modello di comportamento che valida pienamente l’intellettualismo socratico. (113LE) Ancora e sempre a proposito della sostituzione dell’intellettualismo Socratico-Stoico con il vo-lontarismo Agostiniano-Scotiano, ossia della sostituzione dei ‘retti giudizi’ con la ‘buona volontà’; e del fatto che non si dice più ‘Pace è in terra agli uomini di retti giudizi’ bensì ‘Pace sia in terra agli uomini di buona volontà’. Già il sostantivo ‘uomini’ viene inteso in due sensi ben differenti dalle due diverse scuole di pensiero. Per i Socratico-Stoici il sostantivo vale in senso tecnico, in quanto solo il saggio è uomo, mentre tutti gli insipienti sono esseri umani. Per gli Agostiniano-Scotiani il sostantivo è invece già degradato al suo senso attualmente corrente. Ebbene, com'è naturale per il fanciullino constatare che la propria sopravvivenza dipende dal soddisfacimento di bisogni ad opera di altre persone (la madre in particolare), così per l’individuo rimasto mentalmente fanciullino, pare naturale constatare una sorta di proprio ‘prolungamento’ sulle cose sotto forma di possesso o di potere. E poiché questo prolunga-mento si rivela inadeguato alla natura delle cose, ecco che il fanciullino Agostino, invece di abbandona-re i suoi giudizi non-retti, formalizza (poiché era già stato inventato, basta leggere Seneca) il concetto di ‘volontà’. Ma il fanciullino è, per natura, destinato a svezzarsi. Orbene le religioni e le ideologie di libe-razione sociale caratterizzano una fase storica della cultura umana nella quale masse sterminate di uo-mini negano a se stessi non solo la possibilità ma la pensabilità del raggiungimento di retti giudizi su di sé e sul mondo, della definizione di una invarianza, degli ambiti entro i quali ha senso parlare di felicità, libertà, ecc… E non sanno che stanno chiamando questa loro mostruosa rinuncia con il nome di ‘vo-lontà’. Vi invito a riconoscere la necessità di ripudiare tanto il concetto di ‘volontà’ quanto quelli di ‘ri-velazione divina’ e di ‘rivoluzione sociale’ quali pretesi emancipatori del genere umano. Soltanto chi vi-ve secondo i principi dell’intellettualismo Socratico e dello Stoicismo antico vive già ora in questa di-mensione. (114LE) Un’altra prova della validità dell’intellettualismo Socratico ci viene fornita dai suicidi. Nessuno concederà, infatti, che sia un ‘istinto naturale’ quello che spinge un individuo ad uccidersi. Cos’è, allora, a spingerlo? Solo e sempre un giudizio, un atto razionale che indica la propria morte come un bene. Il suicida oltrepassa lo stereotipo che la vita sia un bene e la morte sia un male. E nelle condizioni concre-te del suo stato sceglie ciò che per lui è il meglio in quel momento. Ci sono tantissimi tipi diversi di sui-cidi e non ci è dato di generalizzarne i moventi. Possiamo però affermare con certezza che identico è lo scopo del suicida e del non suicida: fare ciò che gli appare bene. (115LE) Le ingiurie, il turpiloquio contro l’avversario presuppongono il giudizio di poter fare del male a qualcuno, ossia la realtà di quel ‘prolungamento’ fuori di noi, sulle e nelle cose. E mostra anche che si nutre questo giudizio: ‘Io posso subire danno dalle ingiurie di un altro’. (116LE) Esseri umani imbecilli! Voi fate differenza tra aggredito ed aggressore e non vi accorgete che coloro di cui parlate giudicano entrambi il bene ed il male essere cose esterne ed aproairetiche. Esseri umani imbelli! Siete ciechi e poi chiamate me a schierarmi dalla parte dell’aggredito o dell’aggressore,

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quando nessuno dei due sa che bene e male stanno soltanto nella Proairesi! Esseri umani vili! Per chi sa e vive che solo bene è la virtù, male soltanto il vizio e che tutto il resto è indifferente, come può esservi ancora luogo a violenza, sopraffazione, guerra? Che cosa ho io a che fare con voi? (117LE) Dicevano gli antichi: ‘Fai del bene ai tuoi amici e fai del male ai tuoi nemici’. Dice il Vangelo di Gesù: ‘Amate i vostri nemici’. Dopo i primi e prima del secondo, dice lo Stoico: ‘Tu non hai nemici’. (118LE) Il sostantivo ‘hybris’ venne a significare, nella lingua greca, un assalto immotivato, non provo-cato, contro una persona fisica od il suo status sociale, con l’intenzione certa di causarne la pubblica umiliazione. Leggete, ad esempio, i paragrafi 21 e 180 dell’orazione ‘Contro Meidias’ di Demostene; dove ‘ὕβρις’ è, in essenza, ‘trattare uomini liberi come schiavi’ e dove il termine può anche essere tra-dotto con ‘oltraggio’. Quale azione si compie, invece, quando ‘si trattano degli schiavi come uomini li-beri’? Forse una azione virtuosa, magnanima? No, si commette una azione imprudente. Io spesso commetto simili imprudenze, anzi spessissimo. (119LE) Le retrovie del pensiero? Io ribadisco che al mondo non esistono né male né bene al di fuori della Proairesi. Essi sono infatti un modo di atteggiarsi della nostra Proairesi e sono dunque suoi giudi-zi. Altro che Inferno e Paradiso! Altro che Iperuranio! (120LE) Noi possiamo ‘conoscere’ semplicemente perché vi è congruità tra geni ad hoc nel DNA uma-no e ambiente esterno. Insomma la conoscenza razionale non è una scintilla che provenga da un altro mondo. La Materia eterna, increata, dotata di movimento, unica sostanza ed unica causa delle cose, ori-gina e trae da se stessa tutto ciò. E quando essa avrà, caso mai, raggiunto livelli di complessità ancora superiori (chi afferma che l’uomo debba rappresentare il termine del processo?) trarrà da se stessa facol-tà che neppure possiamo immaginare. (121LE) Una delle prove della esistenza di Dio viene addotta a partire dalla ‘constatazione’ dell’ordine dell’universo. Si dice: ‘Come è possibile che tutto ciò accada a caso, quando una casa bene ordinata non si regge neppure per un poco senza la presenza del suo padrone? ecc…ecc…’ Anche Epitteto condivi-de ed impiega spesso questo tipo di argomento. Si contrappongano a questo modo di vedere le cose due esempi chiarissimi e semplicissimi: (1) la formazione, dalla loro soluzione, di cristalli qualunque (2) l’osservazione attraverso un caleidoscopio. E’ in questo modo dimostrato che noi non ‘constatiamo un ordine’ bensì che riteniamo ordinato ciò che constatiamo. Si tenga comunque ben presente che, per Epitteto come per gli Stoici antichi, Dio non è altro che l’insieme di tutta la Materia Immortale. (122LE) Desiderare ‘secondo natura’ ed avversare ‘secondo natura’ significa desiderare secondo la natu-ra di ciò che viene giudicato come un bene, ossia desiderare od avversare soltanto dopo avere accertato se la natura di ciò che ci appare come bene o male è tale da rientrare nell’ambito delle cose che dipen-dono da noi oppure non dipendono da noi. Per dirla in modo ancora più corretto: significa desiderare ed avversare ‘secondo la natura delle cose’. Dunque ciò che si deve imparare è quale sia la ‘natura delle cose’. Il che equivale a porsi la seguente domanda: ‘Le cose che sono, sono tutte in nostro esclusivo po-tere; oppure nessuna è in nostro esclusivo potere; oppure delle cose che sono, alcune sono in nostro esclusivo potere ed altre no?’ Il premio per chi trova la risposta corretta è la libertà; per chi non la trova è la schiavitù. (123LE) Che ne rimane allora, tanto per dire, della comunissima filosofia della lamentela e del piagni-steo? Chi si lamenta, manifesta con ciò stesso di non saper desiderare secondo la natura delle cose e quindi di desiderare contro la natura delle cose. E dove starà l’infelicità? Non certo nell’’oggetto’ del de-siderio.

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(124LE) Dice la Controdiairesi: ‘Tutto è in mio potere’ oppure ‘Niente è in mio potere’. Dice la Diaire-si: ‘Alcune cose sono in mio esclusivo potere, altre no’. (125LE) Possiamo anche tranquillamente ammettere che la Materia sia una certa disposizione, un ‘pòs ékon’ dell’energia. (126LE) Non confondete spirito con energia. Per ‘spirito’ è preferibile intendere unicamente quella qualità della Materia che affiora negli esseri viventi. (127LE) Vincere una cattiva abitudine di pensiero è impresa molto più grande dell’impresa di vincere una guerra mondiale. E’ molto più difficile vincere una cattiva abitudine di pensiero che vincere una guerra mondiale. (128LE) All’Università tu imparerai come si scrive la parola ‘Dione’. Altra cosa è sapere quando la si deve scrivere. Questo, nessuna Università te lo potrà mai insegnare. Saper scrivere ‘Dione’ equivale a possedere la Pseudocultura; sapere quando scriverlo equivale a possedere la Cultura. (129LE) Psicolutore, psicoluzione, psicheleutero. (130LE) ‘Rubate, rubate, ma la felicità non la trovate!’ (131LE) Il capo 4 del Paragrafo 18 del ‘Dipinto su tavola di Cebete’ recita così: Καὶ  τίνα  ἐστὶν,  ἅ  δίδωσιν  αὕτη  (Παιδεία);  Θάρσος  καὶ  Ἀφοβία,  ἔφη  ἐκεῖνος  Ταῦτα  δὲ  τίνα  ἐστίν;  Ἐπιστήμη,  ἔφη,  τοῦ  μηδὲν  ἄν  ποτε  παθεῖν  ἐν  τῷ  βίῳ “E quali sono le cose che l’Educazione dà?” “Coraggio e Dominio sulla paura, disse lui” “E cosa sono queste?” “Sono la scienza, rispose, che permette di non sperimentare nulla di terribile nella vita”- Dunque la sola Educazione degna di questo nome è l’educazione alla Diairesi. (132LE) …ed egli liberava gli animi. Egli era diventato un liberatore di animi. Animi liberati. Ti ricordi quando a Napoli, in occasione dell’occupazione del LIGB del 1969, Luigi e Andrea inventarono la for-mula ‘Laboratorio liberato’? E cos’altro aveva fatto Eracle? Uno psicheleutero, come Ermes psicopom-po. (133LE) Cos’altro è Cultura se non il saldo possesso della Diairesi? Infatti la scienza vera di come poter non patire alcun male nella vita è proprio la Diairesi. (134LE) Definiscimi un asino. ‘L’asino è un animale mortale capace di usare le rappresentazioni’. Definiscimi adesso l’essere umano. ‘L’essere umano è un animale mortale capace di usare le rappresen-tazioni in modo razionale’. La differenza tra l’uno e l’altro sta in quel ‘in modo razionale’. Il che signifi-ca che anche gli animali hanno l’uso delle rappresentazioni, però soltanto l’essere umano ha la com-prensione dell’uso delle rappresentazioni. (135LE) Tutti gli esseri umani hanno la comprensione dell’uso delle rappresentazioni, ossia sono Proai-retici. Ma la Proairesi può atteggiarsi Diaireticamente o Controdiaireticamente. Il bambino ha scarsa comprensione dell’uso delle rappresentazioni, e parte da una situazione di uso prevalente della Contro-diairesi. Egli man mano imparerà ad usare la Diairesi: e così sarà uno in meno a smentirmi quando dico che in questa sterminata umanità paiono piuttosto pochi gli uomini…

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(136LE) La traccia certa che l’essere umano si è schiacciato sull’animale è la sua ‘infelicità’. Quando una persona è permanentemente scontenta di sé ed è infelice, ebbene egli non usa la Diairesi e non si com-porta razionalmente. (137LE) Chi è filosofo? Come afferma Epitteto in ‘Diatribe’ Libro 4, Capitolo 8,§ 6: ‘Filosofo è ‘ὁ  ἀναμάρτετος’, colui che è libero dall’errore’. (138LE) In margine ad Epitteto ‘Diatribe’ Libro 4, Capitolo 1,§ 153. Bisogna avere con il corpo, le parti del corpo, il patrimonio, lo stesso rapporto che abbiamo con gli abi-ti che vestiamo. Come questi, anche quelle sono cose che portiamo soltanto appoggiate addosso e che non sono ‘noi’. E come laviamo e teniamo puliti gli abiti, così dobbiamo curare e provvedere anche a quelle. E quando qualcuna di quelle cose ci venga tolta o strappata, non ci dorremo e non proveremo più dolore di quanto ne proviamo per uno sbrendolo o per un buchino nelle calze. (139LE) Proposte di sceneggiatura: ‘L’uomo che ride’. Un uomo vestito in normali abiti civili. Una stanza spoglia che potrebbe essere un commissariato di po-lizia. Al di là del tavolo tre individui: uno è vestito da fascista italiano, uno è vestito da prete, uno è ve-stito da comunista sovietico. L’uomo in abiti civili è sotto interrogatorio per qualcosa di cui si capisce subito che non sa nulla e per cui non ha la minima responsabilità. I tre concordemente cominciano a percuoterlo per fargli confessare il falso. L’uomo ha un atteggiamento, in risposta, dignitoso e sereno. E poiché ricorda molti passi stoici, comincia a rispondere loro recitando dei brani di Epitteto. A questo punto l’uomo non solo viene percosso, ma anche man mano spogliato con violenza. E man mano l’uomo percosso, mentre ripete a memoria quei passi, comincia a ridere dei suoi carnefici finché, insan-guinato e nudo, muore. (140LE) Voi dunque vedete quanto sia semplice la soluzione. Il motto proprio del greco classico era ‘Beneficare gli amici e nuocere ai nemici’. Socrate porta al mondo il germe della soluzione quando dice: ‘Anito e Meleto possono farmi uccidere, ma non farmi del male’. La perfetta soluzione viene trovata ed insegnata dagli Stoici con il riconosci-mento che ‘Bene è soltanto la virtù, male soltanto il vizio, tutto il resto è indifferente’; che si può tra-durre così: ‘Tu non hai nemici ed hai per amici soltanto gli uomini’. Ma gli esseri umani, ignari della vera via, rimangono bambini e si danno in massa alla orribile supersti-zione orientale che afferma ‘Ama il tuo nemico’ od a qualche superstizione equivalente, per la quale comunque bene e male sono oggetti esterni ed aproairetici. (141LE) La moderna ricerca scientifica non è la scienza di Socrate, non è la scienza del vivere bene, non è quello che cercavo. Facciano altri scelte diverse: auguro loro tutta la fortuna possibile. Quanto a me, non ho dubbi: io sto con Socrate.