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LA VOCE DEGLI DEI Il Brasile e la sua magia

-Prefazione Il candombl perch -I dubbi dellantropologia SCRIVERE O INTERPRETARE? Bruno Barba I TEMI -La ricerca e la fede LANTROPOLOGO AL BIVIO Julio Braga - Vestirsi LASPETTO DEL POTERE: MODA E DISTINZIONE NEL CANDOMBL! KETO Luisa Faldini -La divinazione e linterpretazione del mondo IL JOGO DEI BUZIOS: UNA VIA DACCESSO ALLA PAROLA DELLORIXA Ruy do Carmo Pvoas -La famiglia LA RELAZIONI MATERNE Teresinha Bernardo -Il riconoscimento e la lotta I FIGLI DEL TAMBOR Toy Vodunnon Francelino di Shapanan -Le radici IL CANDOMBL COME FONTE DI CULTURA Pai Odeofanile (Marcelo de Moura) -Dalloralit alla scrittura LA RIAFRICANIZZAZIONE Aulo Barretti Filho

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LE STORIE -La gerachia VIVERE IL CANDOMBLE Armando Vallado -Liniziazione LRS LOOGNW Unautobiografia precoce Logunw -Figli di santo UNADESIONE CRITICA, RIFLESSIVA E... MAGICA Patricia Ricardo -Lumbanda e la sua diffusione LA SOFFERENZA E LE SPERANZA Marcia Pinho Pontalti Fiuza de Andrade -Ladattamento ORIXS DELLA NEBBIA Pai Taunderan -Le feste LOMAGGIO ALLE DIVINITA Pai Al -Gli studi e il futuro delle religioni afro-brasiliane DALLA SUPERSTIZIONE ALLA SCIENZA Reginaldo Prandi UN DIZIONARIO MINIMO

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Prefazione Il Candombl! perch! Il candombl la religione afrobrasiliana per eccellenza. Le tracce della sua genesi si perdono nel tempo e nello spazio: nelle foreste e nelle savane africane, ai tempi della schiavit. Gli africani credevano in divinit della natura chiamate orixs o inquissi, e ogni luogo, ogni pianta, ogni pietra era dotata di una forza inspiegabile e sovrannaturale. I colonizzatori portoghesi portarono via uomini e distrussero culture ma strapparono anche il legame tra le entit e gli elementi naturali: nei porti di partenza del Golfo di Guinea si mischiarono tradizioni, culti, lingue. Attraversando loceano questi uomini trasportarono il loro sudore, il loro sangue e i loro dei. Nel Nuovo Mondo bisognava adattarsi: e le divinit lo fecero nel modo pi spettacolare, originale, geniale. Diventarono (anche) i santi del cattolicesiomo. Ians, divinit della tempesta, divenne Santa Barbara, Iemanj dea del mare, fu identificata con la Nostra Signora dei Naviganti, una della tante accezioni della Madonna, Oxal, la divinit pura e perfetta, fu sincretizzata con Ges Cristo. Vi erano simbologie, biografie, iconografie che permettevano parallelismi: Exu, per il suo carattere lascivo e astuto, assunse il ruolo del diavolo, Ogum, dio della forza e della guerra divenne San Giorgio che uccide il dragone. Gli schiavi erano battezzati, ed erano considerati per legge - e per forza - cattolici, ma in realt si trattava di una falsa conversione: questi uomini continuavano ad adorare i loro orixs. Attorno alla met dell800, quando la schiavit stava scomparendo (ma fu abolita, in Brasile, soltanto nel 1888), nacquero i primi terreiros, i santuari della religione. Salvador de Bahia divenne il centro di irradiazione di un culto ritenuto primitivo, feticista e negro in un Brasile che voleva lanciarsi verso la modernit e limbiancamento razziale. Soltanto a fatica divenne patrimonio di tutti, di uomini ogni strato sociale, di ogni provenienza etnica, di ogni credo politico. Come il samba, il calcio, la comida, il gustoso cibo misturado, anche il candombl divenne un simbolo identitario brasiliano, uno straordinario - e riuscito- prodotto meticcio.

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Il candombl tuttavia, sempre fu una religione subalterna e tributaria del cattolicesimo e ancora oggi ha difficolt, come dice Reginaldo Prandi, sociologo delle Religioni allUniversit di San Paolo, a liberarsi e a costituirsi come religione completamente autonoma. Sostanzialmente, i candombl riproducono la struttura familiare: vi il padre o la madresacerdote, pai o me de santo, vi sono i figli, che dopo liniziazione, sono in grado di riecevere il santo, ovvero di cadere in trance e vedere il proprio corpo entrare in possesso della divinit. Liniziazione sancisce un patto indissolubile: ognuno possiede una divinit di riferimento, tra le 16 del pantheon, che va alimentata attraverso offerte di cibo, preghiere, sacrifici di animali. Vi lassoluto rispetto della struttura gerarchica, definita per anzianit non biologica, ma di appartenza alla divinit e al gruppo, ovvero per data di iniziazione. E vi un gruppo ristretto di dignitari che collabora con il capo religioso, talvolta sostituendolo in alcune mansioni. Laspetto pi appariscente e culturamente interessante del candombl in un paese cos permeato, condizionato, formato dal meticciato, il grado di sincretismo, ovvero di adattamento alla realt, allaltro, alla religione potenzialmente concorrenziale. tuttaltro che raro che un adepto del candombl o dellumbanda, altra religione afrobrasiliana, frequenti la chiesa cattolia, riceva i sacramenti, assista alla messa. In fondo tutti, in Brasile sono cattolici, e la Chiesa chiude un occhio permettendo che il proprio fedele chieda aiuto al gioco dei buzios - la divinazione - prepari le sue macumbe - le offerte alla divinit, da lasciare ai margini della strada - si lasci possedere da entit sregolate e primitive. Secondo i dati dellautorevole istituto Datafolha, e riportati dla quotidiano A Folha de So Paulo nel novembre 2007, il 17% dei brasiliani frequenta culti o servizi religiosi di una religione diversa rispetto a quella cui si dichiara devota. Questo numero sale al 19% tra i cattolici, arriva al 37% tra gli umbandisti e al 48% tra i seguaci del candombl. Pi selettivi i pentecostali evangelici che mostrano una cifra ben pi modesta: il 9%. Ma come possibile partecipare ai riti di una religione cui non si appartiene? Alcuni, si limitano a presenziare a matrimoni o funerali, in attivit per la verit pi sociali che religiose. A volte interviene unesigenza magica: laddove non si riesce a ottenere ci che

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si desidera, si prova unaltra strada, forse pi diretta, basata - come latto magico - sul principio del do ut des. Quando un fedele incontra in unaltra religione elementi familiari, fa suo il motto monoteista che tutti i cammini portano a Dio, e diventa politeista. In fondo il Brasile il paese che tutto accoglie, che tutto trasforma, che tutto assimila e cannibalizza. Il Brasile il paese della non scelta, come ha insegnato lo scrittore Jorge Amado dipingendo lindimenticabile ritratto di Dona Flor. Perch escludere dal proprio sentire uno dei suoi mariti? Non si tratta di ignavia, di indecisione di opportunismo, ma probabilmente di una scelta strategica: la non esclusione, in fondo, sancisce la vittoria sullintolleranza. Nota ortografica e terminologica Come dice Luisa Faldini (2009, p. 9), esistono diversi sistemi di traslitterazione del vocabolario religioso yoruba del candombl. Concordando con lei, ho usato la traslitterazione brasiliana, tenendo conto, pur nelle diverse varianti regionali e liturgiche, delluso generale vigente. Soltanto nel testo di Aulo Barretti, ho voluto, su richiesta dellautore, e anche per ragioni didattiche (ci si pu cos rendere conto della differenza), la grafia africana moderna (non dimentichiamo che stiamo parlando di una religione che si tramanda oralmente). Ho cercato di non appesantire il testo con troppe note, corsivi, circonlocuzioni, rimandando, per i termini pi tecnici, al vocabolario minimo che troverete alla fine del libro Cos, parole ricorrenti come candombl, terreiro, orixs, verranno proposte in tondo e non in corsivo, cos come i toponimi. Viceversa, ho scelto il corsivo per i nomi dei singoli orix e per le entit dei diversi culti. Come si evincer dai testi, sarebbe indispensabile per i lettori un minimo conoscenza del contesto socio-religioso brasiliano, altrimenti molti passi verrebbero male intesi o risulterebbero del tutto incomprensibili. Questo un libro per lettori minimamente... iniziati. Visto largomento religioso di cui parliamo, si legga questa frase con la giusta ironia...

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I dubbi dellantropologia Scrivere e interpretare, scrivere o interpretare? Bruno Barba Un po poeta, un po traduttore, un poesploratore. Questi sono i ruoli, le vocazioni, e le attitudini, di un antropologo. Un uomo, prima di tutto, che durante la sua ricerca deve sempre mantenere un certo atteggiamento di calma ed equilibrio. E non facile uscire da s per guardare il mondo, e quel mondo portarselo poi dentro, a casa. E nemmeno facile osservare laltro insieme a se stessi. Lantropologo allora un fotografo che scrive quello che vede e che molto poco fotografa (de Andrade, 2002, p. 18). Deve essere coraggioso come la divinit africana Ogum1, il guerriero che apre il cammino, districandosi in quella oscura foresta di simboli di baudeleriana - e turneriana (vedi Turner, 1976) - memoria, disboscandola, rendendoci cos intelligibili le oscure e confuse parole dellaltro. Tradurre muoversi in queste difficolt, accettare la sfida, ma anche ascoltare laltro, ricambiare lospitalit di una lingua che ci diventata familiare. Lantropologo, in altre parole, non deve fermarsi allorrore di quella tenebra - sto cercando di usare una metafora - che Conrad ha colto in Hearth of Darkness e Malinowski ha incontrato nella ricerca di campo tra i trobriandesi, come appare nei suoi diari pubblicati postumi (Malinowski, 1992). Anche altri studiosi, da Griaule a Lvi-Strauss hanno saputo ben raccontare lo spaesamento che si prova durante il lavoro sul campo: come raccontare sentimenti, sensazioni altrui, e soprattutto, come capirli, decifrarli? Daltra parte, come dice Franois Laplantine proprio lesperienza dellalterit (e lelaborazione di questa esperienza che) ci costringe a vedere ci che non avremmo neppure potuto immaginare (Laplantine, 1987, p.17). La conoscenza della nostra cultura passa inevitabilmente per un antropologo, ma non solo attraverso lincontro con le altre culture. Se ascoltiamo davvero e con attenzione ci che gli altri dicono di se stessi saremmo presi da una vertigine di significato: da un lato, percepiremo che c tanto, tantissimo che ci

Ogum, nel candombl brasiliano, il dio della guerra, del coraggio e del ferro, patrono dei fabbri e dei soldati, sincretizzato con SantAntonio o San Giorgio. appunto colui che apre il cammino.

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accomuna; daltro canto ci stupir apprendere che quel che abbiamo in comune, noi e loro , in fondo, proprio la diversit delle scelte culturali. Il viaggio fa paura, ma necessario, persino pi che vivere come dicevano lUlisse di Dante, i condottieri romani e Fernando Pessoa navigar preciso, viver no preciso; coinvolge, sensi, immaginazione, corpo, anima, cervello. Per restare a Baudelaire e ai suoi fulminanti versi, ltude de la grande Maladie del lhorreur du Domicilie. Dolce, necessaria condanna, delluomo, delle culture, dellantropologia, quella di andare, conoscere, confrontarsi. Tradurre, appunto come usare un libro per inventarne un altro: un processo creativo, faticoso, infinito. Mi piace ricordare a questo proposito una frase dello scrittore americano Richard Ford, tratta da Donne e uomini come un matrimonio passare anni cercando di leggere le foglioline di t per capire cosa un altro avrebbe potuto voler dire (Ford, 2001, pag. 174). La verit, anche e soprattutto in campo antropologico, qualcosa di irraggiungibile, ma, come lorizzonte-utopia di Eduardo Galeano, sirve para esto: para caminar2. Un testimone, dice Michael Herr, il reporter che forse meglio di tutti ha raccontato la guerra del Vietnam, non pu credere ai fatti, come se non sapesse che i fatti stessi possano essere usati come menzogne. Laggi commise lerrore di credere che tutto ci che serve per compiere un atto di testimonianza fossero gli occhi (Herr, 2009, p.8). Ed purtroppo vero che i fatti, in guerra, come nei testi di antropologia, possono spesso essere usati come menzogne. La magia delle parole Parafrasando Feuerbach, diremmo che noi siamo quel che leggiamo, non soltanto quel che mangiamo. Penso che potrei forse vivere senza scrivere; ma non credo che potrei vivere senza leggere. Pu esistere una societ senza scrittura, ne esistono molte; ma non pu esistere una societ senza lettura. laspirante scrittore deve essere in grado di riconoscere e

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decifrare il sistema sociale dei segni prima di metterli per iscritto (Manguel, 2009, pp. 15-16). Probabilmente vero che, come dice anche San Tommaso, la vista il pi grande dei sensi, perch ci permettere di acquistare la conoscenza, ed altrettanto vero che le parole hanno un potere seducente, unefficacia magica che i testi non sanno rendere. Le traduzioni scritte sono talvolta fredde, altre volte usano codici di riferimento troppo distanti da quelli propri della realt osservata. Ci che si scrive non ha odore, se non quello dellinchiostro di stampa; non fa rumore se non si sfregano le pagine - ma quanto familiare e nostalgico quel fruscio -; non ha colore, movimento, musica. Luomo lo ha sempre saputo, fin dai tempi della scoperta della scrittura. Lo scrittore era un artefice di messaggi, un creatore di segni; ma quei segni e messaggi richiedevano un mago che sapesse decifrarli, riconoscerne il significato, dar loro una voce. La scrittura richiede un lettore. Nel rapporto tra scrittore e lettore implicito uno stupefacente paradosso: creando il ruolo del lettore, lo scrittore decreta anche la propria morte, perch una volta finita la stesura del testo lo scrittore pu ritirarsi, cessare di esistere. Finch lo scrittore rimane presente, il testo rimane incompleto. Solo quando lo scrittore lo abbandona, il testo assume unesistenza propria, unesistenza silenziosa, fino al momento in cui un lettore lo legge. Solo quando un occhio si posa sul testo esso assume una vita attiva. Ogni scrittura dipende dalla benevolenza del lettore (Manguel, 2009, p.157) Ecco che lantropologo non si pu limitare a tradurre i testi, ma li deve produrre ex novo; fa letteratura, diventa autore, si fa per usare la metafora di Crapanzano in Hermes Dilemma (Crapanzano in Clifford and Marcus, 1986, pp. 51-76) -, un Ermes messaggero, con il compito magico di rappresentare lestraneo, linsensato. Sembra costretto a inventare nuovi linguaggi e nuovi termini (non sono state trovate traduzioni soddisfacenti per termini quali mana, ax, tabu, me de santo, orixs); costruisce finzioni come dice Clifford Geertz, scrive opere personalissime quando non romanzate. Riporta una verit2

Serve a questo: a camminare

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parziale, vista dalla sua ottica peculiare, unica, esclusiva. Fotografa, fissa nel suo obiettivo uno spaccato ridotto, uno scorcio male illuminato. Come ricorda largentino Julio Cortzar, Nelle nostre province centrali e settentrionali esiste una lunga tradizione di racconti orali, che i gauchos si trasmettono di notte intorno al fuoco, che i padri continuano a raccontare ai figli e che allimprovviso passano per la penna di uno scrittore regionalista e, in una pessima sconcertante maggioranza di casi, diventano pessimi racconti. Cos accaduto? I racconti in s sono gustosi, traducono e riassumono lesperienza, il senso dellumorismo e il fatalismo delluomo di campagna; alcuni raggiungono persino la dimensione tragica o poetica. Quando li si ascolta dalla bocca di un vecchio creolo, fra un mate e laltro, si sente come un annullamento del tempo, e si pensa che anche gli aedi greci raccontavano cos le imprese di Achille per la meraviglia dei pastori e dei viandanti (Cortzar, 1996, pp.126-127). Risulta quindi pi che mai chiaro che il lavoro sul campo aumenta anzich eliminare i dubbi, mettendo duramente alla prova le certezze della nostra cultura: un antropologo impara prima a vivere una cultura che a raccontarla. Lantropologia, in fondo, lo studio dellincoscienza. Comera l? Ti chiedono, quando torni da un viaggio. E non si sa che cosa dire . I fatti, le cose, bisogna ficcarsele bene in testa, poi capirai: informazioni stampate sullocchio, immagazzinate nel cervello, codificate sulla pelle e trasmesse con il sangue (Herr, 2008, p. 282). Sai di non sapere, di avere imparato poco (non diciamo nulla) e che ogni volta i dubbi aumenteranno, invece che dissiparsi. Occorre camminare cinque mesi nei sandali degli altri, prima di capire se stessi, osserva, riportando un detto africano, il talentuoso e polemico Alberto Salza (2009, p. 29). Cinque mesi, cinque anni, o forse tutta la vita. Eppure resterei ottimista riguardo alle prospettive della ricerca antropologica: vero che i problemi della traduzione rimangono aperti - infine, se lalterit fosse tradotta in modo

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soddisfacente, non sarebbe pi alterit - ; ma, daltro canto, sul campo oramai si privilegia il discorso rispetto al testo, e il dialogo e la cooperazione nei confronti del monologo saggio. Kafka sosteneva che un testo pu essere letto solo perch incompiuto, lasciando cos campo libero al lavoro del lettore (Manguel, 2009, p. 90). Eppure, vale la pena, forse, spezzare una lancia in favore di questa verit parziale. Come dice Gabriel Garcia Marquez, la vita non quella che si vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Magari a se stessi, magari, soltanto con parole semplici e anche senza scriverla. Magari, ancora, provando a leggere un testo di antropologia come si pu leggere il Gioco del mondo di Julio Cortzar, secondo una sequenza che ogni lettore pu costruirsi autonomamente. Perch un libro non mai finito cos come non termina mai la storia di una cultura. Dalloralit alla scrittura Ugo Fabietti sostiene che il rapporto tra informatori e antropologi non ha ricevuto unattenzione sistematica (Fabietti, 1998, p. 14). I personaggi che raccontano la propria cultura rimangono cio individui paradossalmente passivi nel ruolo di fornitori di notizie e di dati utili alla ricerca (Fabietti, 15) Viventi pi nel mito che non nella realt, come lOgotemmli di Dieu deau (Griaule, 1948). Lantropologo quindi non sembrerebbe avere altra scelta che rendere scritte le tradizioni che si tramandano oralmente. Tradizioni, - miti e rituali religiosi - straordinariamente ricchi, creativi e flessibili, adattabili a diverse circostanze, grazie allo straordinario potere delle parole. Tradurre - da una cultura a unaltra, dalla parole pronunciate in una lingua alla scrittura in un altro idioma , soprattutto,"tradire". Vincent Crapanzano apre il suo Hermes Dilemma (citando Walter Benjamin: ogni traduzione solo un modo pur sempre provvisorio di fare i conti con lestraneit delle lingue (in Clifford and Marcus, 1986, pp. 51-76). Come ricorda Edmund Leach, ogni traduzione difficile e che una traduzione perfetta praticamente impossibile (1973, p. 772). Il suo atteggiamento distaccato" la ricerca esasperata di oggettivit, lo sforzo di apparire relativista (e politically correct), il pericolo - da tenere sempre distante - di essere colto in

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fallo per affermazioni etnocentriche, sono tutti fattori che lo allontanano dalla verit. Eppure il campo luogo di saper antropologico, ambiente comunicativo per eccellenza. Gli antropologi del passato tendevano a chiamarsi fuori dallincontro etnografico, a produrre unimmagine statica delle persone studiate, immagine che, fissata nel testo etnografico, diviene la cultura di quella popolazione, semplici e neutrali trasmettitori rappresentanti di unanima tribale indifferenziata (Fabietti, 1998, p. 20). Lantropologo non pu che essere un autore che scrive (Matera, 2004, p. 15); e senza scrittura etnografica nessun sapere antropologico sarebbe possibile (Fabietti, 1999, p. 114). Deve inventarsi un nuovo linguaggio, cimentarsi in una nuova forma di scrittura e, persino, costruire finzioni (Geertz, 1973): deve, in altri termini, diventare letterato, addirittura romanziere. Lantropologo riporta sempre una verit parziale, incompleta, confutabile, ancor di pi se questa realt orale, trasmessa di generazione in generazione soltanto attraverso le parole. La scrittura resta essenziale, per il campo e dopo il campo come sempre ci ricorda Clifford Geertz (1988). Foto antiche, seppiate ci rimandano limmagine dellantropologo circondato da indigeni (con il suo completo kaki, i calzoni al ginocchio, lelmetto coloniale) intento a redigere il proprio diario. Sappiamo che allantropologo spetta un compito ben diverso rispetto a quello dello storico. Lo storico lavora sui testi, lantropologo, in fondo, ne deve costruire uno, dialogando. A differenza della ricerca storica, letnografia ha origine nelloralit e con grande difficolt compie la transazione verso la scrittura. Grazie, soprattutto alla memoria. Letnografo non registra passivamente dei fatti che gli preesistono, ma li suscita con la sua presenza attiva e li costruisce attraverso linterazione con i propri informatori (Rodeghiero, in Fabietti, 1998, p. 35). Losservazione partecipante il destino, pi che il metodo, di ogni ricercatore sul campo, sebbene pi lantropologo impara a partecipare, meno gli sar possibile osservare;

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tuttavia, partecipare sembra essere lunico modo per poter progredire nel desiderio di conoscenza che anima lantropologoanche se la partecipazione deve esser frenata (e di fatto lo ) dal suo universo di riconoscimento che gli impone losservazione (Matera, in Fabietti, 1998, p. 69). Le rappresentazioni etnografiche sono fatalmente ricostruzioni sintetiche. Troppo. Qualsiasi testo che descrive e/o interpreta un tratto culturale determinato non potr mai coincidere con esso, ma sar sempre una sua approssimativa rappresentazione costruita attraverso codici storicamente condivisi che segnalano differenze. Una carta geografica 1:1 (in cui la mappa coincide con il territorio) inutile (Canevacci, 2004, p. 206). E non si riuscir mai a evitare fraintendimenti: Pierre Verger, leccezionale fotografo etnologo francese, non era una persona religiosa, come la sua biografia indicherebbe: il suo interesse erano le persone, le loro storie, il loro contesto culturale, la loro arte, la loro religione, il loro quotidiano (de Andrade, 2002, p. 90). Quel che si direbbe, un vero sentimento umanista. Del resto Pierre Verger, iniziatosi al candombl brasiliano, assunse lidentit di Pierre Fatumbi Verger Ojoub, locchio di Xango: il ricercatore divenne con lui un uomo dai mille sguardi. Ancora, fotografia e antropologia sembrano andare di pari passo: programmaticamente ricercano lobiettivo, loggettivo. Per un istante, questa unione pare riuscita: la fotografia, come il testo antropologico, racconta oggi, e crea il passato. Immediatamente ci che era vivo, moderno inafferrabile, illimitato, diventa limitato, ritagliato, fisso, gi obsoleto. Lidentit si rappresenta nel quotidiano, nella vita, nella pelle delle persone, piuttosto che negli abissi intellettuali delle teorie. I testi antropologici sono il risultato di uninterazione tra etnografo e indigeni anche a un altro livello: si passa dalla lingua nativa a quella occidentale, da un codice orale a uno scritto. Linformatore soggetto parlante, soggetto autore, e vedremo, pu diventare persino soggetto scrivente. Sebbene sia costretto a operare, in senso tanto reale quanto simbolico, ai confini tra civilt, classi, etnie, generi culturali - da qui la definizione di antropologia come sapere di frontiera (Fabietti, 1999) - lantropologo, per dare uno senso

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alla propria ricerca, deve rappresentare le culture che studia, decodificarle. Impresa difficilissima. Siamo tanti manovali confusi che vanno aggirandosi per le impalcature, trascinando carriole, tirando funi e continuamente scontrandoci con lincapacit di far capire i nostri ordini o di recepire quelli del manovale accanto? La nostra torre sar sempre in costruzione, piena di incidenti di cantiere, di pause per fare il punto, di profeti mancati? (La Cecla, 2009, p. 35) E se vero, come vero, che unantropologia cos, dialogica, polifonica, tradotta un discorso a pi voci, bene, allantropologo spetta per lo meno il compito - ma il ruolo pi difficile, quello di regista, di director- di selezionare queste voci, eliminando lillusione di oggettivit e, anche, per un altro verso, di totale immedesimazione. Il dialogo in s diventa condizione costitutiva del sapere (Biscaldi, in Fabietti, 1998, p. 150). In pi, estremamente difficile passare da una posizione discorsiva - lo scenario tipico della ricerca di campo, con l'antropologo partecipante alla Malinowski che intervista uno o pi nativi - alla redazione di unetnografia ufficiale, qui intesa nellaccezione di testo pronto per la pubblicazione.

Informatori che scrivono Linformatore non va pertanto omologato, ma considerato in qualche maniera, un unicum, dotato della propria individualit, personalit, autonomia. Gli autori-informatori di questo libro-rassegna ne saranno una conferma. La presenza di una nuova generazione di studiosi indigeni formati nelle pi prestigiose universit mette ulteriormente alla prova le certezze della nostra cultura, esaltando il discorso dialettico, continuo e ininterrotto: lumilt, la predisposizione a capire gli altri e a mettersi in discussione diventano qualit indispensabili, anzi, delle vere, necessit. Daltra parte, il ricercatore sul campo deve avvalersi sempre di uno sguardo bifocale, osservando gli altri attraverso se stesso e se stesso attraverso gli altri: Come dice Fabietti, nessuno

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stratagemma retorico, nessun trucco autoriflessivo di stile post- modernista potr farci dimenticare che sono sempre gli antropologi a tenere la penna in mano (Fabietti, 1998, p. 234 ) . Se il testo diventa un giornale - un giornale free-press, di quelli che si vendono gratuiti nelle metropolitane occidentali, con tante notizie brevi come uno spot), oppure un filmato con musica, suono e movimento, seppure senza gli odori e i profumi - beh, a maggior ragione, c bisogno di un direttore. Che tenti di cogliere e di trasmettere la totalit di una cultura, pur sapendo di non poterci lasciare alcuna fotografia obiettiva e immutabile (nessuna fotografia lo ) bens una descrizione parziale, uninterpretazione di quella realt. Scrivere sar sempre un gesto arbitrario, un atto di volont, se non di violenza. Lantropologo che scrive , nella finzione letteraria, anche colui che narra: si sdoppia, compie unattivit ibrida che ha a che vedere con il reportage giornalistico, il romanzo, il collage postmodernista. Le nostre frasi nulla o poco - comunque troppo poco - riescono a raccontare della tensione che accompagna le parole del sacerdote di un culto religioso, del significato dei rituali magici di uno sciamano, dellatmosfera, carica di tensione e aspettativa, in cui vengono eseguiti i canti propiziatori dei fedeli. Alcuni degli autori di questo libro tenteranno di rendere calda, viva ed effettivamente partecipata la narrazione di una festa di candombl brasiliano, senza scadere nella fredda retorica. Riusciranno persino (per quanto sia possibile), a rendere lo stato di trance attraverso la scrittura. Questo, infine, il paradosso dellAntropologia: come trasmettere loralit se non attraverso la scrittura? Come rendere pubblici, a cuor leggero, quei segreti nascosti di cui ogni letteratura orale, nella fattispecie il candombl, si autoproclama densa e di cui Luisa Faldini (2009) ha cos dettagliatamente parlato? Il sociologo brasiliano Reginaldo Prandi ci mette in guardia in questo senso: attenzione, dice a proposito dei tabu del candombl, molto spesso dire che i segreti sono nascosti in qualche luogo un espediente che molti usano per giustificare la propria ignoranza (Prandi, 2005, p. 9) Resta da evidenziare il tema dellautorevolezza. Di chi parla, di chi scrive, di chi raccoglie e sceglie le informazioni. Per un antropologo imbevuto dei classici della letteratura, e che

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ha bene in mente i testi di Radcliffe-Brown (1922) o quelli di Evans-Pritchard (1969), lautorevolezza del testo non pu che rimanere una fissazione. Laver visto con i proprio occhi, lesser stato l sono imprescindibili. Preferiamo per la nuova, felice espressione di Barbara Tedlock per definire la nostra realt di antropologi osservazione della partecipazione (B. Tedlock, 1991, pp.69-94), evidente gioco di parole per rendere conto dellevoluzione dellespressione osservazione partecipante. Non potremmo parlare di me, tanto per cambiare?: la domanda del nativo, che sarebbe stata raccolta da Marshall Sahlins, (vedi nota 5 in Fabietti, 1998, p. 234), appare legittima, vista lautoriflessione un po ossessiva degli antropologi occidentali. Mi sento di dire che in questo testo un po di voce, loro, i nativi, se la sono presa. Quale sar allora quel mondo condiviso, i cui significati non siano n quelli del nativo n quelli dellantropologo stesso, ma quelli di un mondo che sta in mezzo ai due? Una sorta di mondo terzo (non Terzo Mondo), fatto di dialoghi, dove si interconnettono i significati del nativo e quelli dellantropologo. Un mondo fatto di scrittura, fatalmente, ma ancor pi di parole, persino di silenzi. Un mondo ancora da inventare, certo. La cultura stessa, non solo il testo antropologico, in fondo un continuo processo dialogico e comunicativo. Anzi ogni cultura un testo, un testo che ci appare confuso e sbiadito, pieno di incongruenze e che lantropologo deve rendere intelligibile (Geertz, 1973). Le descrizioni dense di cui parla lantropologo americano, nientaltro sono se non il risultato di un elaborato sforzo intellettuale che porta a leggere i significati reconditi e stratificati di ogni gesto, di ogni parola. Il problema centrale dellantropologia di oggi consiste nella manipolazione di idee e concetti familiari per comunicare idee e concetti estranei. Eppure la nostra stessa lingua (degli antropologi occidentali) potrebbe trarre vantaggio dallincontro, trovando in se stessa le risorse adeguate per cercare di approssimarsi ai significati espressi dalla cultura che costituisce loggetto di studio. Si espanderebbe cos il potere della nostra cultura, arricchita ulteriormente grazie allincontro: nemmeno il linguaggio una struttura chiusa e immutabile. E si presta, continuamente al malinteso. Gli antropologi e con loro, in misura maggiore i missionari, in ragione del tempo speso accanto ai selvaggi. Sono vittime e continui produttori di malintesi. Al balcone

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dellOccidente da cui essi si sporgono per raggiungere il lontanissimo altro, lestremo altro, mai toccato dal bianco o dal vangelo, essi rischiano sempre di rompersi e di rompere losso del collo dei contattati. Per altri versi il ruolo di assoluto confine. Invadono laltrui mondo, ma sono anche al limite del proprio in una situazione psicologica e fisica che anchessa al limite e che pone in pericolo spesso lincolumit psicologioca e fisica propria (e altrui) (La Cecla, 2009, p. 79).

Scrivendo, allora, perdiamo qualcosa di essenziale di quella cultura; scrivendo in tanti si corre il rischio di unisteria della soggettivit che potrebbe dissolvere il discorso antropologico in eteroglossia, con le voci degli informatori e degli antropologi si confonderebbero. Ma correremo il rischio, il rischio che parlino tutti, e ci batteremo perch possa parlare anche il nostro avversario dialettico (mi sembra pi che mai il momento di ribadirlo). Non dimentichiamolo, lantropologo un invadente un estraneo che pretende di non essere visto, ma di vedere (La Cecla, 2009, p. 97). Spesso fallisce, spesso, persino, perde di credibilit agli occhi del nativo, proprio per questa sua illusoria intenzione. In pi la cultura sempre contaminata, dinamica, comunicativa, inventiva. Tentiamo allora di tradurre le culture, consapevoli piuttosto della contraddittoriet, della difficolt e, forse, della vacuit del tentativo. Non potranno che esserci malintesi, sempre, visto che il linguaggio ambiguo e che nella relazione si incontrano due singolarit irriducibili (La Cecla, 2009, p. 153). Tra laltro una minaccia incombe su un corpus di riti, miti, usanze tramandate oralmente, che potrebbero scomparire da un momento all'altro senza una registrazione. Di questo, persino i nativi, gli uomini appartenenti alle culture senza scrittura, si stanno rendendo conto. Soltanto negli ultimi anni, a seguito delliniziativa di alcuni studiosi delle culture afro-americane, si deciso di raccogliere la mitologia degli orixs - indissolubilmente legata alla tradizione orale in antica lingua yoruba - in testi scientifici, completi e minuziosi (Prandi, 2001). Operazione spesso osteggiata dal popolo dei fedeli (il povo de santo), geloso, tra laltro, del fatto che estranei potessero venire a profanare il proprio segreto.

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Tuttavia, una volta riconosciuta, anche per la comunit del candombl, la funzione e lefficacia della parola - La parola dellanziano sacra, poich lunica fonte di verit (Prandi, 2005, p. 43) - , va sancita, daltro canto, lesigenza che studiosi scrupolosi, attraverso i propri scritti, si facciano attenti interpreti (proprio nel senso sancito da Clifford Geertz) di una cos ricca e illuminante mitologia. Sul campo Come possibile fotografare i miti, i riti, i racconti, tanto pi quando questi sono stati trasmessi di generazione in generazione soltanto attraverso le parole, senza lausilio confortante - fossilizzatore - della scrittura? Gli elementi utili allantropologo non sono ottenibili mediante procedimenti meccanici di osservazione, scelta e classificazione, ma sono piuttosto il frutto di un faticoso lavoro di traduzione e interpretazione..., occorre in altri termini sapere che cosa significhino per coloro tra i quali lantropologo lavora (Fabietti, 1998, p 13). Non bisogna abbandonare la lotta, dichiararsi perdenti. C modo e modo di tradurre. C chi ha tradotto letteralmente, come Boas, con il risultato di produrre scritti scialbi e spesso sintatticamente sconnessi, oppure, hanno optato per la traduzione libera (la versione), cercando di sostituire le qualit poetiche del testo con linvenzione, la creativit, la rielaborazione propria (D. Tedlock, 2002, p. 8). Nonostante sia questa la strada intrapresa, lantropologia occidentale (coloniale, europea, etnocentrica) sembra non essere ancora rassegnata a un dialogo proficuo, continuo, costruttivo. Pare privilegiare, ancora, lautoreferenzialit. Eppure far parlare gli altri - il nativo, il protagonista - diventa unesigenza necessaria, imprescindibile, che nasconde, certamente, alcune insidie. La prima: una banalizzazione di toni, argomenti, linguaggi. Partendo dal presupposto relativista che tutto, di una cultura, di un gruppo, di una setta religiosa sia interessante, funzionale, degno, come scegliere le testimonianze? Se, attraverso la raccolta di testi lantropologo si propone di far emergere anche e soprattutto quella che letica interna al gruppo - sconosciuta e inedita - che criterio dovr seguire nella selezione degli interventi?

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E ancora, se si valorizza una prospettiva emica, cos come la definisce Geertz, quale dovr essere il ruolo dellantropologo? Non pi quello di intervistatore/interprete, e tantomeno quello dellosservatore partecipante che alterna lo sguardo da vicino a quello da lontano come diceva Claude Lvi-Strauss Sar, forse, semplicemente, quello di editore? Un altro aspetto, che ho verificato di persona nel corso della mia pluridecennale ricerca a San Paolo sulle religioni afro che, chiamati a scrivere, i leaders del culto afrobrasiliani hanno percepito il rischio di unassurda quanto inevitabile condanna. Avevo selezionato con molta fatica un buon numero di sacerdoti, rendendomi conto, una volta di pi che forse vero, come dicono gli esperti della postmodernit, che una delle difficolt pi grandi di una ricerca in area metropolitana consiste proprio nella difficolt di vivere nella metropoli. Chiamati quindi a raccontare di se stessi - del loro terreiro, della loro iniziazioni dei loro figli - questi sacerdoti mi avevano manifestato, fin dallinizio, una certa diffidenza. Percependo, forse, il rischio di non-autenticit. Francelino, al cui ricordo questo testo mi lega particolarmente 3, ha definito questo pericolo con unespressione che trovo efficacissima: olhar academico. La visione accademica si spiegherebbe cos: non possiamo andare contro lAccademia, anche se noi abbiamo unaltra maniera di vedere le cose, anche se abbiamo sguardi diversi, anche se diamo altre interpretazioni dei fatti che osserviamo, e che noi stessi determiniamo. Del resto, come dice Luisa Faldini, Luso politico dei lavori accademici piuttosto frequente ed dovuto al fatto che ogni comunit, in questo caso quelle afrobrasiliane, ha la necessit, specie se una minoranza, di legittimare i propri valori e le proprie rappresentazioni, elaborando istituzioni che le conferiscano importanza oltre che continuit nel tempo(Faldini, 2009, p. 49). Da Raimundo Nina Rodrigues ad Artur Ramos da Edson Carneiro, a Roger Bastide, allo stesso Pierre Verger, molti degli studiosi di candombl erano affiliati al culto, o coprivano incarichi prestigiosi. La loro influenza - e responsabilit - si sente ancora.

Francelino, prestigiosissimo leader religioso afro-brasiliano autore di uno dei testi di questo libro. ! mancato nel 2007.

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Il pai de santo, il sacerdote del culto, ha a che fare con mille temi, tante persone, una miriade di problemi. Potrebbe raccontare (o scrivere) di tutto quel che lo riguarda, regalarci visioni inedite, aprirci nuovi scenari di interpretazione. Ma lo costringiamo a scegliere, perch i tempi, e gli spazi - di una conferenza, di un testo, di un articolo - sono fatalmente ridotti e predeterminati. Laccademico, ovvero lantropologo, sceglie un tema, un problema, unottica specifica e lavora su quelli e attraverso quelli. Scrivere, in ogni caso, anche per i nativi, diventa un fatto di scelta, un elaborato sforzo di sottrazione piuttosto che di elaborazione. Ma certo a nessuno pu sfuggire quanto possa rendere in termini di visibilit e quindi, in ultima analisi, di afflusso di clientela e infine di economia, questo tanto vituperato sguardo colto. I pais de santo se ne sono fatti una ragione e hanno accettato di scrivere. Rischiando limpopolarit presso la propria gente, rischiando di apparire come quel pretenzioso scrittore-traduttore di cui parla Cortzar quel signore che (che) intende invece che per scrivere un racconto basti mettere per scritto una storia tradizionale, conservando nei limiti del possibile il tono colloquiale, la sintassi contadina, le scorrettezza grammaticali, quello che chiamano colore locale (Cortzar, 1996, p. 127). Lanalfabetismo, insomma richiamerebbe un ritorno alla creativit originaria della letteratura orale e sarebbe, in questo caso, un vantaggio anzich un fardello primitivo. Sottolinerei ancora uno svantaggio della scrittura rispetto alla narrazione. Ugo Fabietti ha chiarito pi volte come prospettive e tematiche di studio si modifichino continuamente. Questo un limite e insieme un punto di forza dellAntropologia in quanto disciplina: errare nei due sensi di viaggiare e di perdersi, anche se non conduce ad approdi, facilita e provoca sempre il confronto con lalterit. Andai l per seguire la guerra, e fu la guerra a seguire me dice Michael Herr, (2009, p.8) Non si sa mai che cosa ci aspetta, laggi. Concordo, alla luce di quel che stata la mia attivit di ricerca: occorre prendere un po le distanze dal nostro bagaglio culturale, essere aperti, curiosi, e lasciare a casa i preconcetti; serve, per fare antropologia, una buona dose di autoironia e labilit di mettersi

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sempre un discussione, sapendo, daltra parte, che ci che avviene sul campo non potr mai essere pura casualit. Serendipity: questo il termine, e il concetto, che Fabietti usa, rimandando non ai capricci del caso ma a una scoperta che permette di trovare, per caso e per sagacia, cose che non andavamo cercando. Attraverso la ricerca, in altri termini, attraverso il dialogo, otteniamo qualcosa di diverso di pi di quel che vorremmo. Qualcosa, tuttavia, di fondamentale per appagare la nostra sete di ricerca. Consapevoli, ancora una volta, che se crediamo di aver capito davvero tutto di una cultura, siamo fuori strada. O perlomeno, ci eravamo distratti. Rito di passaggio Nello studio della cultura resta, nodo cruciale, la definizione del passaggio critico tra oralit e scrittura. Ogni cultura , in fondo un continuo processo dialogico e comunicativo. Ogni cultura, come dice Geertz, un testo, un testo che ci appare confuso e sbiadito, pieno di incongruenze e che lantropologo deve rendere intelligibile. Le descrizioni dense (Geertz, 1973) di cui parla lantropologo americano, nientaltro sono se non il risultato di un elaborato sforzo intellettuale che porti a leggere i significati reconditi e stratificati di ogni gesto, di ogni parola. Il problema centrale dellantropologia di oggi il dover manipolare idee e concetti familiari per comunicare idee e concetti estranei.Unoralit cos ben definita da Copans: univers assourdissant de la parole (Copans, 2005, p. 59). Forse sarebbe il caso di usare una di quelle lingue nate dal contatto culturale, come il pidgins o il creolo e lo swahili, intermediarie tra le societ etnologizzate e quelle delletnologo (Copans, 2005, p. 60). Ma la nostra stessa lingua - quella degli antropologi occidentali che pu trarre vantaggio dallincontro, trovando in se stessa le risorse adeguate per cercare di approssimarsi ai significati espressi dalla cultura che costituisce loggetto di studio. senza dubbio da espandere il potere significante della nostra cultura, da arricchire, grazie allincontro: il linguaggio non una struttura chiusa e immutabile. James Clifford dice che qualcosa di essenziale si perde quando una cultura viene testualizzata (Clifford, 1988), ed sicuramente affermazione vera. Non solo, lantropologia postmoderna racchiude in s il

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pericolo di sfociare in una isteria della soggettivit che dissolverebbe il discorso antropologico in uneteroglossia nella quale le voci degli informatori e degli antropologi si confonderebbero. Ma non dobbiamo soffermarci pi di tanto su questi timori, n sulla difficolt di fissare in immagini (ovvero in parole) una cultura contaminata (come sono tutte le culture) e il suo pregnante significato dinamico, comunicativo, inventivo. Lafricanit in trasformazione So perfettamente che il testo che mi accingo a presentare nasconde il pericolo della cacofonia e di un certo carattere balbuziente, per via della pluralit di personalit e colori, stili e bagaglio culturale, capacit di sintesi e di scrittura. Perch Lantropologia figlia del malinteso, della coscienza della inevitabilit dei malintesiil relativismo epistemologico non una delle teorie, ma la prudenza fondante della disciplina. Senza il continuo dubbio di non aver capito bene non esiste antropologia (La Cecla, 2009, p. 145). Eppure emergeranno, nei vari testi, forse in maniera sottintesa e trasversale, alcune costanti, come la coerenza di un complesso religioso, che viceversa, appare a prima vista contradditorio e kitsch 4; il carattere integrativo della famiglia, lautonomia dei vari centri, e laria di libert che si respira (ogni scelta culturale , davvero una scelta). E poi, ancora, vero che il candombl una sorta di mosaico, un vestito di Arlecchino; che la presenza dellosservatore provoca cambiamento del quadro, che linterazione osservatore-osservato comunque continua. Certo, lantropologia - occorre esserne consapevoli - lunica scienza in cui loggetto di osservazione potrebbe non essere daccordo sul fatto di essere osservato (Salza, 2009, p. 31). Si stupisce Laplantine:

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Il candombl kitsch i n quanto barocco, inelegante, frammentario, discutibile.

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A forza di insistere sulla natura ripetitiva e routine delle societ considerate come immobili, o come dice Lvi-Strauss prossimo alla zero di temperatura storica troviamo anomala la trasformazione (Laplantine, 1987, p. 148). Invece deve apparire chiaro, oggi pi che mai che ogni societ possiede al suo interno il germe del dinamismo, della mutazione continua. Tutte le societ sono problematiche, a loro modo marginali. Tutte, soprattutto, continuano a porre delle domande difficili, a farci dubitare continuamente. Lantropologia ci ricorda che nulla scontato nellincontro e che ci vuole tempo perch lincontro prenda il sopravvento sul pregiudizio e sullindifferenza. Ci ricorda anche che la contiguit, la compresenza, lessere l accanto, una condizione insostituibile. Lincontro di due presenze intere unipoteca su un approfondimento forse impossibile, ma messo in causa, offerto come disponibilit (La Cecla, 2009, p. 158). Se la neutralit impossibile, loggettivit un miraggio, e letnocentrismo una truffa perpetuata ininterrottamente ai danni del colonizzato, per una volta mi sembra giusto dare la parola a loro. Certo, qua e l affiora un altro pericolo: i sacerdoti usano artifizi retorici, spesso, da veri leaders carismatici parlano per parlare, semplicemente perch spetta a loro quel ruolo, perch la parola, di per s, assegna e conferisce potere. Eppure credo sia giusto offrire al lettore, allo studente ed eventualmente allo studioso dei culti afro un altro punto di vista - magari retorico, letterario, arbitrario - ma perlomeno, e sicuramente, diverso. Linsieme di questi testi ci permette di stare dentro e fuori; un ininterrotto flusso di immagini, sensazioni, simbologie, adattamenti, qua e l, lo spero, anche di emozioni. ! come se avessi messo la tenda fuori da questi terreiros, e ne avessi ricevuto una busta. Il mio intento stato quello di eliminare (tentare di eliminare) quella violenza simbolica, insita, come dice Copans (2005, p. 57), in ogni produzione etnografica. Violenza che duplice:

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da una parte culturale e politica, pi metaforica che concreata, e dallaltra, meno visibile ma pi condizionante, pi tecnica e manipolatrice, che cerca di estorcere le informazioni (Copans, 2005, p 57). Una sorta di spionaggio etnologico da cui anchio vorrei dissociarmi. Per questo ho preferito far scrivere loro, ascoltare le loro voci. Di solito, lantropologo ascolta per scrivere. Stavolta ho deciso di scrivere per ascoltare, ovvero di fare scrivere. Anche per gestire meglio le mie emozioni, che troppo spesso mi hanno rimproverato .- traspaiono nei testi. Come un bravo fotografo o operatore sa fare, mi sono imposto una migliore gestione del mio corpo. La cultura delloralit (anche) una cultura del silenzio, quindi sto pensando a tutte le cose che mi hanno raccontato, o non mi hanno detto e che non ho saputo, voluto o potuto raccontare nel corso di questi anni. Forse, davvero, lantropologo dovrebbe saper ascoltare di pi, e parlare di meno. Questa etnografia minimale, o della quotidianit aiuta forse a ricomporre lapparente caos che ci troviamo di fronte. Il terreno allora davvero una biblioteca. Strana, sempre ricca di inaspettate sorprese. George Santayama, filosofo americano di origine spagnola ricorda: Ci sono libri in cui le note a pi di pagina o i commenti scarabocchiati sui margini da qualche lettore sono pi interessanti del testo. Il mondo uno di questi libri (Realms of Being, vol. II, New York, 1940 in Manguel, 2009, p. 148). E se il terreno una biblioteca, e il mondo un libro, il testo , anche, una cucina (Copans, 2005, p. 92), dove si mescolano sapori e odori, spezie, saperi e metodi. Si pu imparare da tutti, anche da loro; e, come diceva Guido Ceronetti si pu diventare sapienti accumulando lontane ignoranze; lEtnologia (in Salza, 2009, p. 176). La parola dordine, ancora una volta , deve essere, partecipazione. Per me lideale sarebbe, un giorno, scrivere, o anche leggere - non questione di ambizione, in questo caso - qualcosa di antropologico che assomigli a un libro come Dispacci. Che, come dice Roberto Saviano, lautore di Gomorra,

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un romanzo dove lo stile letterario, ma la materia la realt, dove il metodo quello di una ricerca fatta con gli occhi, le sensazioni, i dati, le percezioni, le interviste, la partecipazione alla battaglia, il vomito, lallegria, il cinismo, la crudelt, leuforia, la dannazione. Il mezzo la scrittura e il metodo della scrittura lo sguardo umano (Herr, 2008, p. 5). Voglio dire che non ho voluto rendermi totalmente invisibile, e se anche avessi voluto, non ce lavrei fatta; nessuno ce la fa.

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I TEMI

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La ricerca e la fede LANTROPOLOGO AL BIVIO Julio Braga Come conciliare attivit religiosa e ricerca, come riuscire a essere contemporaneamente un degno pai de santo e un ricercatore credibile? Antropologo, direttore dellInstituto do Patrimonio Artistico e cultural di Bahia, Braga pone laccento su un problema di stretta attualit. Oggi sono molti i seguaci del culto che non vengono pi, come una volta, dal ghetto nero, dalla favela, dal sottoproletariato. Ora, a compiere riti, a cadere in trance, a venerare gli orixs e a guidare i templi sono molto spesso chiamati studenti, professori, ricercatori. Che hanno a che vedere con una visione razionalista della realt, che devono avvalersi di osservazioni precise, oggettive, imparziali, insomma che devono fare i conti con la scienza. In gioco, dice, Braga, la gestione del potere, che passa attraverso la conservazione del segreto, un segreto che tuttavia, molto spesso in vendita e non per colpa esclusiva degli antropologi. Daltra parte - e questo un altro aspetto importante affrontato da Braga - liniziazione ha a che vedere con qualcosa di profondamente intimo, personale, indiscutibile. Pu avere anche finalit pratiche - la possibilit di scoprire il segreto ma non saranno queste le ragioni principali di una conversione che richiede sacrifici - in ogni senso - dedizione, fatica, rigore.

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Questo testo, ricavato dal mio libro Oritameji; o antroplogo na encruzilhada, cerca di rispondere a unintrigante e per certi versi impertinente domanda sulle ragioni personali - e daltro genere, non ben definite - , che mi hanno portato a diventare membro effettivo e praticante della religione afrobrasiliana. Si tratta di una preoccupazione comune tra i rappresentanti dellaccademia, in particolare sociologi e antropologi. E, per inciso, di antropologia mi occupo da tempo, in quanto docente universitario. La domanda iniziale sempre seguita da altre che riguardano la mia condizione di leader di una comunit religiosa - O Axeloi - situata nel quartiere di So Cristovo, nella periferia di Salvador de Bahia. Si tratta per lo pi di curiosit personali sul mio insolito ruolo, che viene interpretato in maniera restrittiva, e molto spesso legato a preconcetti. Talvolta le domande rivelano una profonda antipatia verso la cultura brasiliana nella sua dimensione magico-religiosa, che poco studiata e ancor meno tollerata dagli studiosi di scienze sociali, che si preoccupano piuttosto della formulazione di grandi sintesi socioantropologiche. Queste sono senza dubbio indispensabili per la comprensione del processo di costruzione della cultura brasiliana, eppure vengono troppo spesso trascurati i contenuti etnografici che dovrebbero sostenere queste teorie. Certamente bisognerebbe distinguere tra coloro che formulano le proprie domande perch mossi da un desiderio di comprendere luomo e le sue vicende esistenziali e chi pare invece preoccupato di svelare i limiti epistemologici tra il sapere erudito e quello iniziatico, di cui sono detentore, per via della mia condizione esclusiva di antropologo e di membro del candombl di Bahia. Spiegare il senso di questa profonda interrelazione tra il lavoro dellantropologo e gli obblighi assunti con la comunit afro-brasiliana oltremodo difficile. Tanto pi quando mi si chiede quando avvenuta la conversione, perch difficilmente potrei fissare il momento esatto in cui tutto questo accaduto. Certo che il mio avvicinamento al condombl si avuto, almeno inizialmente, tramite la bocca, il palato; e questo non vorrei sembrasse uneresia, rispetto ai presupposti, diciamo canonici, di questa religione. Ancora oggi molti, specie tra i pi poveri, collegano lidea del candombl alla distribuzione

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della comida afro-baiana5 e cercano, in queste occasioni, di sopperire alle proprie carenze alimentari; non il caso degli iniziati che certamente si alimentano, ma sono mossi dallidea della condivisione del pasto con le divinit. Il cibo che viene servito al pubblico nei giorni di festa, sebbene venga cotto e condito in modo diverso, conserva la stessa valenza simbolica di quello offerto agli dei, sconsacrato soltanto per il fatto di essere servito al pubblico. Laltra ragione che giustificava il mio avvicinamento ai terreiros era la gioia legata allidea della festa, senza che io comprendessi il vasto orizzonte semantico legato alla dimensione del rito e del mondo sacro. E cos sono entrato nel mondo del candombl di Bahia attraverso il gusto. E a un certo punto, non so quando, queste motivazioni si sono trasformate e hanno mutato la mia ottica in relazione alluniverso magico della religione. Tralasciando le domande pi dirette, non tanto perch provo fastidio a rispondere, quanto per la mia personale difficolt a trovare risposte precise e definite, riporto una testimonianza sulle mie prime frequentazioni nei terreiros di candombl di Bahia e discuto sulla mia permanenza in Africa che ha definito per sempre il mio progetto esistenziale, guidato, in un certa maniera, da Pierre Verger. Mi recai a Dakar, in Senegal, nel dicembre del 1967, grazie a una borsa di studio concessami dal governo francese al Centro de Estudos Afro-Orientais attraverso lIFAN (Institut Fondamental dAfrique Noire), per un periodo di stage e di ricerca etnologica sul campo. Avrei dovuto studiare il culto della possessione Ndop delletnia Lebu dal punto di vista etnografico, con la supervisione del sociologo senegalese Ousmane Silla. Dopo poco tempo mi sono trasferito nellantico Dahomey, oggi Repubblica Popolare del Benin, grazie allintervento di Pierre Verger, che convinse il famoso islamologo Vincent Monteil6, allora direttore dellIFAN, che sarebbe stata ben pi interessante la mia permanenza in quel paese, dove avrei potuto studiare le culture africane pi direttamente interessate alla formazione dei candombls di Bahia. In Dahomey ho continuato il lavoro di campo, focalizzando nellattenzione verso i culti pi legati al candombl di Bahia. Riuscii a raccogliere una ricca documentazione sui culti degli5 6

Cibi afrobaiani, ovvero i gustosi piatti che escono dalla cunina degli orixs Un ringraziamento pubblico (in memoria) a un uomo che non mi ha mai fatto mancare il proprio affetto

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orixs, prestando particolare attenzione ai miti che riguardavano Ians-Oi, la divinit conosciuta e venerata nei candombls. La decisione, naturalmente derivava dal fatto che Ians la padrona della mia testa, la mia eled7, il mio santo protettore. A partire da allora instaurai un legame sempre pi forte con questa divinit dei venti e delle tempeste. Fatumbi8 mi aiut molto, studiando tutto ci che poteva interessare i suoi studi comparativi, a partire dalla cerimonia della mia iniziazione, avvenuta nella stessa, modesta abitazione nella quale abitavamo, nel piccolo villaggio di Saket, in Benin. Divenuto a tutti gli effetti un membro del candombl, completai la mia formazione accademica fino allultimo grado di post-dottorato in antropologia, studiando le popolazioni afro-brasiliane, con particolare attenzione alle differenti formazioni religiose, tra le quali il candombl. Per la mia condizione attuale, devo prestare una particolare attenzione alletica, poich devbo evitare la bench minima manipolazione dei dati. Qualunque errore, qualunque imprecisione etnografica, potrebbe valermi uninimicizia perpetua, e per questo mi sono sempre preoccupato delle possibili incomprensioni che potevano derivare dai miei scritti. Tra i membri del candombl vi il timore che determinate informazioni possano cadere nelle mani di alcuni antropologi non scrupolosi - laggettivo quello usato da un informatore - che potrebbero, grazie a queste notizie, scrivere libri e testi in qualche maniera rivelatrici dei fondamenti della setta. Si crede che pubblicazioni di questo genere possano rendere molto denaro e che non sia giusto che qualcuno si avvalga della religione, ovvero del sapere altrui, per ottenere vantaggi e guadagno. Inoltre, si teme che queste pubblicazioni riguardanti i rituali siano profondamente controproducenti per la tradizione religiosa. Un famoso pai de santo di Bahia, per il quale nutro una profonda ammirazione, dice sempre, con aria indignata, che il candombl ha cessato di essere candombl da quando diventato tesi di mestrado, per sottolineare il fatto che sono state divulgate troppi segreti del fondamento, danneggiando cos la preservazione del sapere iniziatico. Io non credo che certi testi possano nuocere irreparabilmente alla tradizione religiosa, sebbene capisca che possano provocare momentanee irritazioni allinterno della comunit. Il tema in gioco quello che si considera, appunto il fondamento della setta; un concetto che va7 8

Nel candombl, la divinit che funge da guida spirituale Nome di santo di Pierre Verger

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necessariamente relativizzato, dal momento che non esiste un consenso assoluto da parte dei candombls e delle persona che ne fanno parte. Quello che segreto in un terreiro pu non esserlo in un altro. Inoltre, molte delle proteste nasconono spesso da una cattiva interpretazione o da una lettura non accurata di ci che viene esposto o, ancora, da una supposizione di qualcuno che al di fuori della comunit. Quanto ai possibili guadagni che possono derivare dalla vendita di libri sul candombl, direi che soltanto in pochissimi riescono a ottenere lucro da pubblicazioni nel campo degli studi afro-brasiliani. In pratica, si pretende lesclusivit del sapere come base del potere politico e del prestigio sociale allinterno e fuori del gruppo religioso. C da dire, a difesa degli antropologi, che per quanto intraprendenti e impertinenti siano, hanno acesso alle informazioni pi dettagliate che riguardano i rituali soltanto attraverso chi vive allinterno del candombl e che raramente permesso loro il libero accesso agli spazi consacrati dove avvengono i rituali pi segreti. Non vanno dimenticate, in questa dinamica di appropriazione del processo iniziatico, le pressioni economiche che rendono possibile un campo di negoziazione tra il potere del sapere iniziatico e coloro che ne sono interessati. Si stabilisce pertanto un mercato, e leventuale responsabilit, se davvero esiste, deve essere attribuita non allantropologo, ma a colui che offre la merce simbolica oggetto delle relazioni di compravendita. Al contrario, ritengo che gli studi antropologici etnograficamente corretti abbiano causato molti meno danni di quel che si racconta. Tanto in Brasile come in Africa, infatti, queste ricerche hanno contribuito alla riscoperta, tanto nel Nuovo quanto nel Vecchio Mondo, della tradizione orale come valore permanente di civilizzazione. Basterebbe citare i canti sacri registrati nei candombls di Bahia degli anni Trenta dallantropologo americano Melville Herskovits. Si tratta di materiali di straordinaria importanza, non soltanto per gli studi linguistici ed etnolinguistici, ma per la stessa comunit religiosa che pu cos ascoltare la voce dei propri antenati e allo stesso tempo rendersi conto degli eventuali cambiamenti che si sono verificati nel corso degli anni9. Si possono appena a immaginare le strategie utilizzate da Herskovits per superare la9

Altrettanto importanti sono gli studi comparativi realizzati da Pierre Verger sulle religioni africane e

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proverbiale riservatezza del povo-de-santo, in unepoca nella quale le restrizioni cui erano sottoposti i ricercatori dovevano senzaltro essere maggiori di quelle di oggi. Daltro canto, probabilmente in molti censuravano luso di ricevere denaro per permettere la registrazione di quei canti sacri, di differenti nazioni e di differenti rituali, compreso quelli pi segreti, come per esempio laxex, la cerimonia funebre dei candombls jje-nags (vedi tra gli altri, Santos, 1976). Io stesso sono stato criticato per essermi appropriato del sapere altrui, per le mie ricerche e le mie analisi. Ma sono un antropologo, lantropologia mi accompagna come unombra e neppure so distinguere chi accompagna chi; se io accompagno la mia ombra o se la mia ombra che mi accompagna, nella vita di tutti i giorni, nelle notti perse nei pi distanti terreiros di candombl di Bahia. qui, tra questa gente, che ho coltivato la maggior parte delle mie relazioni di amicizia, ho aumentato il mio giro di conoscenze, ho fatto figli, ho guadagnato compagni e compagne battezzando i loro figli, aiutando a crescere molti di loro, senza sapere con certezza se stavo facendo antropologia o se avevo invece optato per una vita pi semplice, ma comunque ricca di grande dignit e di rispetto per gli altri. Certo che ho passato parte della mia vita - circa quarantanni - facendo ricerca, cercando di comprendere luniverso religioso afrobrasiliano in una prospettiva antropologica, vivendo, dallinterno, lesperienza della solidariet, della partecipazione, del rituale, ma anche della perfidia, del disincanto, della falsit e dei pettegolezzi. Vivendo in questo modo, non avrei mai potuto essere un antropologo da scrivania. Lantropologia per me sempre stata qualcosa di pi di un esercizio intellettuale, forse una ricerca di me stesso, oppure un tentativo di capire laltro. Laltro, tante volte, avrei potuto essere io. Riferendomi allesperienza religiosa allinterno dei candombls, percepisco uninsoddisfazione da parte dellaccademia, come se non fosse possibile realizzare un lavoro di natura scientifica con assoluta astrazione dalle mie convinzioni religiose. Ho la netta percezioni che alcuni settori accademici risultino restii a considerare la scientificit del mio lavoro, come se gli orixs fossero state pietre nel mio cammino. S, loafrobrasiliane. In particolare, la sua opera maggiore in questo campo: 1957, Notes sur les culte des orisa et vodum Bahia de Tous les Saints, au Brsil et lancieene Cte des esclaves en Afrique. Dakar, Senegal, IFAN

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sono. Evidentemente questa, peraltro non tanto inusuale situazione di antropologo partecipante, esige da parte mia, e da chi nella mia situazione, unattenzione doppia per non cadere nella trappola facile del proselitismo religioso. Io credo di poter conciliare questi interessi, che non sono necessariamente opposti, e sebbene a volte non lo dimostri, sono molto soddisfatto dei risultati della mia ricerca che vince le apparenti contraddizioni imposte dalla mia situazione speciale di membro della religione e antropologo. Il fatto di aver vissuto allinterno delle comunit afrobrasiliane, partecipando alla vita quotidiana, certamente mi ha provocato alcune difficolt nel momento in cui ho cercato interpretazioni delle relazioni sociali nel candombl, approfondendole attraverso la mia esperienza socio-religiosa, alla ricerca della perfezione. Queste difficolt sono state compensate pienamente dalla conoscenza estesa e profonda di questa religione, che mi ha permesso di acquisire una competenza - diciamo etnografica che difficilmente un antropologo per quanto teoricamente preparato, sarebbe stato in grado di ottenere. Devo dire, senza falsit, di essere in grado di discernere determinati aspetti dellandamento dei rituali interni del candombl, comprendendoli nella loro meccanica interna, grazie a una conoscenza etnografica simile e molto prossima alla comprensione che ne hanno i leaders della comunit religiosa afrobrasiliana. Ci si deve, in parte, allapprendimento continuo dovuto alla mia presenza stabile nelle feste pubbliche, nei rituali privati e persino durante determinate funzioni religiose pi sporadiche, non cicliche, come iniziazioni o cerimonie funebri. Ho acquisito, pertanto, una ragionevole capacit di memorizzazione dei testi liturgici che servono come vero pro memoria per lapprendimento delle sequenze rituali definitrici della tradizione di ogni diversa casa di candombl. La questione credo vada posta in altri termini: liniziazione aiuta, in qualche maniera, a ottenere informazioni essenziali sulluniverso religioso dei candombl? La conversione ha a che vedere con la sfera personale e intima, e difficilmente qualcuno ammetter di essersi fatto iniziare mosso da un interesse specifico - quello della ricerca -, comportamento, questo, che sarebbe censurato tanto dallaccademia quanto dalla comunit religiosa. Tutti prendono la decisione per ragioni esistenziali e di varia natura, motivate dalla prospettiva di partecipare a una religione che permette di far parte di una comunit articolata. Inoltre, lesperienza risuta di fatto salutare, sul piano psicologico, per la ridefinizione della persona, tanto pi in una societ tecnologica e globalizzata quale quella

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odierna. Ed anche se vi possono essere alcuni vantaggi pratici, di certo questi non sono garantiti anticipatamente.

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BIBLIOGRAFIA Santos J. E., 1976, Os nago e a morte. Pd, ss e o culto Egun na Bahia, Petrpolis, Vozes Verger P., 1957, Notes sur les culte des orisa et vodum Bahia de Tous les Saints, au Brsil et lancieene Cte des esclaves en Afrique. DaKar, Senegal, IFAN

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Vestirsi LASPETTO DEL POTERE: MODA E DISTINZIONE NEL CANDOMBL KETO Luisa Faldini

Luisa Faldini, antropologa italiana, si dedica da anni allo studio delle religioni afrobrasiliane. Si pu ben dire sia una frequentatrice assidua dei rituali. In questo testo focalizza lattenzione su aspetto fondamentale e... visibile del candombl. Labito non soltanto estetica, ma un lingaggio, un modo di essere, un codice. I colori indossati parlano; vi sono divieti, convenzioni, occasioni nelle quali bon ton oppure obbligatorio - vestirsi di bianco, impreziosire i tessuti, enfatizzare cariche e posizioni. Appare, persino, il turbante, a raccontare storie di intrecci tra i territori dellIslam, lAfrica e la Bahia coloniale. Labito quindi, una copertura visibile del s e serve come metafora visuale per lidentit, segna confini simbolici, sottolinea tabu, attesta idee e, soprattutto, mostra gerarchie. Si pu ben dire che vestirsi, in un terreiro, sia questione di stile e ricercatezza, ma soprattutto, di potenza, moralit e correttezza nei confronti degli orixs che reggono le vicende umane.

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In questi ultimi anni si prestata ancora maggiore attenzione, come tema di indagine, allabbigliamento come segno che si sovrappone al corpo rendendolo riconoscibile oltre che dotato di un senso come essere culturale. Labito e tutto ci che intendiamo con esso (vestiti, acconciature, ornamenti, comportamento), infatti uno dei mezzi con cui i corpi vengono ritenuti decenti, appropriati ed accettabili allinterno di specifici contesti10 e sottolinea quindi anche la diversit oltre che linaccettabilit di un corpo, la sua sovversivit, la sua marginalit, la sua esclusione, come nel caso di un cadavere, che un corpo che non contiene pi una persona. Labito infatti la rappresentazione della persona o della non persona, del suo s e della sua sostanza e quindi ne stabilisce i confini, indica la sua posizione nella rete di relazioni e quindi anche il suo grado nella gerarchia e ovviamente il potere che esercita sugli altri individui. Vediamo ora come si possono esplicare tali concetti nellambito del candombl keto,11 una religione afrobrasiliana che da circa un decennio sto seguendo nel contesto di una raiz12 che fa capo alla Casa de Oxumar di Salvador de Bahia, ma limitatamente ad alcuni terreiros13 di ambito paulista, attualmente localizzati nel Municipio di Juquitiba, unaJ. Entwistle, The Dressed Body, in J. Entwistle e E. Wilson (Eds.), Body Dressing, Berg, Oxford New York, 2001, p. 33. 11 Religione di possessione di origine yoruba, proveniente come piattaforma di base delle credenze da una regione situata nellattuale Bnin, nella cosiddetta zona dei Nag, cio la propaggine pi occidentale dellarea yoruba, e che stata oggetto di una ampia serie di studi. Si tratta di una religione che, in base ai documenti darchivio, indagati soprattutto sia da Pierre Verger che da Vivaldo da Costa Lima, com ben noto nasce ufficialmente nel 1830 a Salvador de Bahia con il costituirsi del suo primo tempio (Il Ax Iya Nass, pi noto come Casa Branca),11per quanto la tradizione orale di questa casa di candombl, oggi ancora esistente oltre che celebrata ovunque come progenitrice e portatrice della purezza religiosa yoruba, arretri di due secoli la sua presenza in Brasile, al 1635, fattore che non sembra probabile, in quanto, pur essendovi nella Bahia la presenza di alcuni piccoli contingenti di schiavi yoruba, in realt sappiamo dalla storia coloniale che, ancora verso la fine del 700, la maggior parte dei regni yoruba degli attuali stati di Nigeria e Bnin non era stata acquisita allImpero britannico e che solo negli ultimi anni di quel secolo e nei primissimi dell800 le armate coloniali britanniche procedettero alla loro conquista, deportandone molta della popolazione nei mercati di schiavi delle Americhe, in particolare subito dopo il 1802 per il caso che ci interessa, Salvador da Bahia, una volta che i portoghesi sedarono nel sangue la rivolta dei cosiddetti Mal (cio gli schiavi islamizzati haussa e nag presenti nella colonia). Il termine keto indica invece la cosiddetta nao, nazione, cio non solo la provenienza geografica ma soprattutto il modello di culto agli di o orixs e quindi abbina ad essi linguaggio, colori, cibi, ritmi musicali, canti e danze e si configura come un modello identitario di tipo etnico, oggi tuttavia modificato a causa dellingresso sempre maggiore nel culto di componenti non africane. 12 Radice. Cos si definisce la tradizione liturgica che viene seguita. Raiz indica non solo il tipo di tradizione africana, ma anche la casa madre a cui si fa riferimento, in questo caso la Casa de Oxumar di Salvador (Bahia) che si definisce di rito keto. 13 Il luogo di culto del candombl keto denominato in vari modi: terreiro (pi frequente nella letteratura), casa e roa (molto usati dai fedeli o filhos-de-santo, figli di santo cio iniziati), il (termine yoruba usato in certe occasioni), candombl. Tali termini, nel linguaggio del povo-de-santo (lett. popolo di santo, cio tutti gli affiliati al candombl), vanno intesi come sinonimi in quanto riferimento spaziale della comunit, anche se10

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cittadina situata lungo la rodovia Rgis Bittencourt, ad un paio dore di viaggio in auto in direzione sud-est rispetto alla grande So Paulo. Si tratta di due terreiros a liderana maschile,14 rispettivamente lIl Ax Od Igb e lIl Ax Alaketo Bab Ep retti rispettivamente da pai Taunderan e da pai Al,15 dove sono costantemente presente in varie occasioni, sia di festivit che di estraneit al ciclo rituale. Inoltre, in diversi momenti, ho seguito le attivit di questi due pais-de-santo anche in Italia, nel corso di alcuni loro soggiorni, nonch in Portogallo per quanto concerne il solo pai Taunderan. Questa frequenza mi ha consentito di partecipare, sia in Brasile che in Italia e Portogallo, di una serie di circostanze riguardanti la ricerca dei materiali e la preparazione degli abiti sia di tutti i giorni che festivi, oltre che degli abiti che indossano gli di quando i loro figli sono incorporati, seguendo quindi anche le conversazioni ed i commenti e comprendendo la centralit di questo elemento per i fedeli della religione.

Gli abiti dei fedeli nella vita quotidiana della casa Nel candombl keto, come peraltro in tutte le varianti del candombl,16 gli abiti che indossano i fedeli sia nella vita quotidiana che nelle occasioni festive sono codificati, bench, come vedremo pi oltre, si possa notare un ampio spazio per quel fenomeno che si indica genericamente con il termine moda. Labbigliamento quotidiano va distinto soltanto fra quello delle femmine e quello dei maschi, mentre, per quanto riguarda il vestiario di competenza di alcuni rituali e delle feste in genere, la distinzione tocca anche le categorie in cui rientrano i singoli individui, cio rodantes (iyaws e ebomin) e no rodantes (ogs e ekedes).17 La differenza, a miohanno significati diversi: terreiro indica infatti uno spazio esterno, un cortile; casa e il indicano una costruzione, e il secondo, mutando la tonalit della prima vocale, esprime anche il concetto di patria; roa indica un terreno con vegetazione di non grandi dimensioni; candombl indica pi propriamente una cerimonia ed ha anche connotazione di sistema ideologico. 14 A guida religiosa maschile. La linea di discendenza di questi terreiros, tuttavia, per quanto riguarda il genere, mista e inoltre non ingiuntivo che si tracci allinterno della famiglia dei sacerdoti.. 15 Gerson Gonalves Marques e Luiz Carlos Duran. 16 Il candombl, a seconda del modello di culto e della provenienza, diverso, per cui abbiamo candombl ijex, angola, de caboclos, ecc. 17 I fedeli del candombl sono suddivisi in due categorie: coloro che incorporano le divinit (rodantes) sono detti iyaws (spose) fino al rituale del settimo anno ed ebomin, dopo averlo superato, che siano maschi o

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parere, sta nel fatto che nella vita quotidiana del terreiro e nei rituali privati, anche se gli abiti non distinguono le categorie in cui sono suddivisi maschi e femmine, tutti sono in grado di distinguere chi chi e che ruolo gerarchico occupa, senza alcun margine di dubbio. Nelle feste pubbliche, invece, partecipano molti elementi estranei, cio il pubblico e personaggi appartenenti alla gerarchia di altri terreiros, per cui evidente che assolutamente necessario che labbigliamento, oltre che il comportamento, evidenzi le categorie e in pi anche le posizioni occupate dai diversi individui. La dimostrazione del resto viene direttamente dal genere di abito indossato. Vediamo quale. Nella vita di tutti i giorni sia maschi che femmine indossano quella che viene definita genericamente in brasiliano roupa de rao18 e in yoruba axo funfun,19 normalmente bianca, in quanto il bianco il colore di base per la maggior parte delle attivit rituali, bench al di fuori di queste, nella vita quotidiana della casa, si possano indossare vesti colorate, magari intonate con il proprio orix o con un altro, nel caso ci si trovi nel periodo della festa di questultimo. Ma il bianco adatto a qualsiasi occasione e quindi pi usato. Si aggiunge a questo anche il fatto pratico20 che le stoffe bianche sono pi facilmente lavabili rispetto a quelle colorate, si rovinano meno e non stingono, e quindi sono agevolmente candeggiabili anche con prodotti a basso prezzo, pi facilmente acquisibili e compresi nelle liste di spese dei terreiros. La roupa de rao infatti si sporca molto, trattandosi di un abbigliamento pi spesso da lavoro, poich nelle attivit giornaliere troviamo comprese pulizie, preparazione di cibi e di offerte, assistenza a sacrifici cruenti oltre che partecipazione attiva a varie fasi dei frequenti rituali di passaggio. Tenuto conto che spesso si anche seduti per terra o in ginocchio, evidente la preferenza per abiti non solo adatti a lavaggi frequentissimi ma anche posseduti in numero abbastanza elevato per assicurare i necessari cambi, al minimo giornalieri.

femmine, mentre coloro che non incorporano (no rodantes) vengono suddivisi in ogs, se maschi, e ekedes, se femmine. 18 Veste da razione, cio veste comune. 19 Abito bianco. (Santana Rodrigu, p. 174); Axo un termine comune nei terreiros e indica genericamente labbigliamento. Tra i ruoli della gerarchia religiosa vi sono del resto lelemaxo (m.) o la iyamaxo (f.), cio i responsabili delle vesti rituali (Lody 2003, 220). 20 Di fatto si hanno infatti molti pi abiti bianchi che colorati.

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La roupa de rao tuttavia viene anche usata ad esempio in certe fasi di alcuni importanti rituali, come le Aguas de Oxal.21 Le donne, nella vita di tutti i giorni, che siano iyaws, ebomin o ekedes indossano il cosiddetto camisu,22 una blusa abbastanza lunga a maniche corte che viene interpretata dai fedeli come un indumento africano (bub), bench di fatto non lo sia. Il camisu, oppure oggi pi spesso una T-shirt magari con impressa per civetteria limmagine dellorix-dacabea23 dellindividuo, si indossa sopra unampia gonna arricciata24 in vita, lunga fino alla caviglia e portata sopra un pantalone, su cui ricade il cosiddetto pano-da-costa,25 un tessuto rettangolare che viene assicurato arrotolandolo sopra il petto e che copre completamente il busto. Il tutto completato da una lunga striscia di tessuto (oj26), che viene drappeggiata a mo di turbante sul capo. La scollatura del camisu e gli orli della gonna e dell oj sono in genere ornati da una piccola striscia di pizzo Se la donna abyan, cio novizia, aspirante alliniziazione, avr una blusa e una gonna pi corta delle donne che sono gi state iniziate, mentre le ekedes vestono in generale come le iniziate iyaws e ebomin, per quanto dovrebbero avere gonne che non arrivino alle caviglie, bench oggi non si sia molto rigidi in proposito. La biancheria intima, totalmente occidentale nella vita quotidiana, non prevista in alcune occasioni che riguardano direttamente lindividuo (reclusioni rituali, bori,27 ecc.), per oggi si tende a mantenere gli slip per i due sessi e, per le donne, a sostituire il reggiseno con un copriseno bianco a fascia, senza spalline, di lastex o materiale simile. Gli uomini invece, che siano iyaws o ogs, come roupa de rao portano un pantalone (xocot) ed una casacca larga senza colletto (abad), ambedue bianchi; inoltre, a meno che non vi sia la partecipazione a rituali che lo ingiungano, meno frequentementeNella prima domenica (la festa si articola su tre domeniche), il rituale notturno che coinvolge i filhos-desanto nel trasporto dellacqua effettuato indossando la roupa de rao. 22 Camicia femminile di cotone a maniche corte con la parte alta di trina o ricamata a punto Richelieu. 23 Dio patrono., letteralmente sarebbe dio della testa. 24 Le gonne soltanto arricciate in vita sono pertinenti alle donne che incorporano un orix maschio (abor), mentre quelle con baschina su cui si cuce la gonna formando delle piegoline sono tipiche delle donne che incorporano un orix femmina (ayab). 25 Letteralmente tessuto della schiena. Accessorio tipico della donna, di cui valorizza e indica la condizione femminile, coprendo seni, ventre e sesso. Indica la donna, il suo corpo, esplicita la gerarchia., luso festivo, il tipo e la qualit dellorix che presiede alla sua testa. (Lody 2003, p. 247-249). 26 Le dimensioni sono di circa 50 cm. di larghezza per 250 cm. di lunghezza. 27 Rituale di purificazione e di riequilibrio prioritario alliniziazione, oggi tuttavia effettuato anche a scopo terapeutico.21

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delle donne, nella vita quotidiana, portano loj. E comunque, nel caso, gli ogs non mettono loj, ma un berretto di stoffa bianca. Sia femmine che maschi completano questo abbigliamento con infradito di gomma bianche o di colore neutro. Oggi spesso si indossano sabot bianchi da infermieri. In situazioni specifiche, come lingresso nel ronc28 durante eventuali bori o rituali di passaggio oppure nei pji,29 oppure ancora nelleffettuazione di particolari ebs,30 le calzature vanno abbandonate, anche da parte dei gradi pi elevati. Nel corso delle attivit quotidiane inoltre assai poco frequente che si indossino ornamenti, ad esempio linsieme delle collane rituali (ilekes31), bench quasi sempre i filhos-de-santo portino come protezione una collanina di perline del colore del proprio orix assieme ad unaltra bianca di Oxal, il dio creatore. Il bianco il colore in assoluto pi presente nellabbigliamento dei fedeli e indica purezza oltre che la forza della creazione, essendo associato agli orixs funfun (orixs del bianco, creatori). Il colore meno evidente, per quanto sia presente in alcune stoffe connesse con Omolu, il dio della malattia, invece il nero, che i fedeli non dovrebbero mai indossare, neppure nella loro vita privata al di fuori della casa, essendo connesso con la morte. Tutti i colori esistenti si ritiene che derivino dai tre principali: nero, rosso e bianco

Da ro = mostrare il cammino (cio iniziare) + n = per + k = insegnare. (Gudolle Cacciatore, 1988, p. 221) Viene dal termine fon hunko (h pronunciato rr). Si tratta della stanza interna ove hanno luogo le reclusioni rituali. 29 Case o stanze degli di. Si tratta di un termine fon e letteralmente significa svegliare colui che chiamato, (Almeida Campos, 2003, p. 211) indicando cos il luogo in cui si riuniscono coloro che sono chiamati, gli di. Si designa talvolta anche pepel (dallo yoruba pepe = altare + le = fisso). (Gudolle Cacciatore, 1988, p. 210) 30 Offerta, sacrificio; spesso indica linsieme di un rituale. 31 O fio-de-contas, di uso maschile e femminile. I colori e i materiali delle perle variano a seconda del caso, rivelando gerarchia, situazioni speciali, uso quotidiano, oltre a identificare gli di. Alle perle si possono aggiungere anche altri elementi in miniatura e in vari materiali come larco, il pesce, il mortaio, monete, medaglie di santi cattolici, cauri, ecc. Portare una sola collana (1 perna = 1 gamba) indica che lindividuo un simpatizzante, che sta per iniziarsi, per la collana di una perna indica anche un titolo molto elevato se include certi speciali elementi, come il rungebe, concesso solo agli ebomin e a chi impegnato in speciali rituali che seguono ai 7 anni di anzianit nel santi. (Lody 2003, p. 233-234). Il termine rungebe viene dal fon hun-j (perle-spirito; h pronunciato r, di qui la traslitterazione) + gbe, un suffisso che indica intenzionalit oppure chinare la testa, cio sottomissione. ! una collana di Oya (dea del vento e della tempesta), formata da 43 perle grandi intervallate a fili di perle pi piccole. 40 perle grandi sono rosse, mentre le altre tre sono rispettivamente del colore del primo e secondo orix della persona che user la collana, nonch del primo orix del sacerdote che lha iniziata. Quando un sacerdote muore, viene sepolto col rungebe in bocca. (v. anche Gleason, p. 270-271)

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che per Verger32 (1982, p. 8) simbolizzerebbero il tramonto, la notte e il giorno e invece per Elbein dos Santos (1993, p. 41) rappresenterebbero i diversi axs33. Giallo ed arancione ad esempio sono ritenuti variet del rosso, blu e verde variet del nero e cos via. consentito, come ho accennato, usare colori diversi dal bianco, soprattutto in occasione delle festivit connesse con gli ebora, cio mogli e figli degli orixs creatori,34 che a differenza di questi ultimi non sono abbinati al bianco se non in casi particolari.35 Il bianco, che il colore simbolo del candombl ricorda lefun, la polvere bianca di gesso simbolo mitico dellargilla dellorun,36 materia usata dallorix funfun Ajal per modellare le teste di quelli che saranno i futuri uomini. Ma ricorda anche lancestralit, cos come viene usato nellaiy37 nel corso dei rituali di passaggio, il che lo situa tra la tristezza del lutto e lallegria della vita, permettendo un avvicinamento del corpo agli antenati facilitando cos laccesso alla complessa tradizione degli orixs. (Santana Rodrigu, 2001, p. 78). Lesclusivit delluso del colore bianco presente nelle vesti liturgiche si presenta quindi come simbolo, poich indica la preparazione alla creazione, allentrata nei rituali di passaggio, quando si crea liniziato e nasce un nuovo orix, rituali fortemente segnati dal simbolismo morte-rinascita. Labbigliamento del candombl comporta alcuni precisi divieti e cio che le donne non possano portare pantaloni allinterno del terreiro (v. anche Dion, 2002, p. 30) Tuttavia, data linformalit del vestire moderno, che contempla un uso continuo dei pantaloni, sia per moda che per praticit, normalmente le donne, quando vanno al terreiro e non vi si fermano, e quindi non prevedono di indossare la roupa de rao essendo soltanto di passaggio, portano con s in borsa, a portata di mano, una corta gonnella bianca che mettono al momento di entrare nella casa e che tolgono quando ne escono. Inoltre, le donne devono indossare e togliere la gonna sempre dalla testa, ad indicare la loro esistenza in vitaVerger P., Etnografia religiosa iorub e probidade cientifica. Religio e Sociedade, 9, 1982, pp. 3-10, cit. in Pessoa de Barros J. F. e M. L. Leo Teixeira, O codigo do corpo: inscries e marcas dos orixs. In C. E. Marcondes de Maoura (Org.), Meu sinal est no teu corpo. Escritos sobre a religio dos orixs, Edicon/Edusp, So Paulo, 1989, p 58. 33 Ax lenergia posseduta sia da esseri an