La Shoah nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra · era l'ultimo sopravvissuto alla...

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La Shoah nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra Letteratura Tedesca II Anno Accademico 2014/2015 – Prof. Raul Calzoni

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La Shoah nella letteratura tedesca del secondo dopoguerra

Letteratura Tedesca II

Anno Accademico 2014/2015 – Prof. Raul Calzoni

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1. Introduzione • Dibattiti culturali dal 1945

a) la questione della colpa collettiva e della responsabilità individuale per i crimini contro l’umanità compiuti dai nazisti e dai civili negli anni del regime hitleriano; b) le ricadute sullo spirito tedesco della divisione in zone d’influenza occidentale e orientale e la conseguente guerra fredda fra USA e URSS, che ebbe come drammatico e spesso subdolamente silente teatro delle ostilità la Germania; c) le strategie di rielaborazione attraverso dei traumi inflitti e subìti dai tedeschi durante il terzo Reich e gli anni del secondo conflitto mondiale, nonché la loro proposizione in “un paese senza lutto”, come è stata definita la Germania dell’Ovest negli anni Sessanta.

• Tre fasi della cultura contemporanea

1. il periodo delle macerie e della ricostruzione (1945-1961), così definito per riferirsi a due concetti chiave dell’epoca: la Trümmerliteratur (“letteratura delle macerie”, Heinrich Böll) e il Wiederaufbau (“ricostruzione”) fisico e intellettuale del Paese.

2. il tempo della nazione divisa (1961-1989), il cui simbolo e precipitato visuale è stato il Muro di Berlino, caratterizzata dal “passato che non passa”, per richiamarsi al titolo di un’opera fondamentale dedicata alle annichilenti ricadute del secondo conflitto mondiale e del regime hitleriano sulla cultura tedesca 3. l’epoca della Riunificazione (1989-2010), da un lato caratterizzata dalla “coscienza inquieta” della Germania contemporanea nei confronti della sua storia più e meno recente, ovvero nei riguardi degli accadimenti verificatisi durante il dodicennio nero e nei ventotto anni di divisione del Paese, e dall’altro lato segnata da una netta e opposta tendenza all’escapismo dalle problematiche storiche, politiche e culturali che è peculiarità di alcuni scrittori appartenenti alla più giovane generazione.

• Il prisma della Seconda guerra mondiale

• Seconda guerra mondiale - Inizio: 1 settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania (Blitzkrieg). - Termine: nel teatro europeo, 8 maggio 1945 con la resa tedesca; nel teatro asiatico, 2

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settembre con la resa dell'Impero giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.

• 1945

- Nullpunkt (“punto zero”) politico, economico e culturale della Germania. - Stunde null (“ora zero”) della Germania, entusiasticamente celebrata da molti intellettuali come momento di definitiva rottura con il terzo Reich, - “una leggenda, nata dalla coscienza sporca dei tedeschi, ma anche dalle speranze degli anni futuri. Se mai c’è stato in Germania un punto zero storico, quello è stato il 1933. Nondimeno, il 1945 sarebbe potuto certamente essere un nuovo inizio, però quest’opportunità è andata sprecata, anche a causa degli interessi delle grandi potenze”.(Michael Dallapiazza, Claudio Santi, Storia della letteratura tedesca, vol. 3 (Il Novecento), Laterza, Bari 2001, p. 179).

• 1949 - Inverno 1948 - 1949: blocco posto dai russi a Berlino nell’intento di diventarne gli unici amministratori (Berliner Blockade). - Settembre: fondazione della Bundesrepublik Deutschlands (BRD, Repubblica Federale Tedesca) con capitale Bonn. - Ottobre: Deutsche Demokratische Republik (DDR, Repubblica Democratica Tedesca) con capitale Berlin Pankow.

• 02.02.1943

• GUERRA AL FRONTE: Disfatta di Stalingrado • Operazione Barbarossa (17.07.1941 - 02.02.1943) • 6a Armata del generale Friedrich Paulus • 64a Armata del generale Mikhail sconfigge i tedeschi a Stalingrado (31 gennaio 1943:

Operazione Urano – Operazione Saturno) • «I nazionalsocialisti cancellano la politica estera tedesca di prima della guerra e l’annullano.

Noi iniziamo dal punto in cui si fermò 600 anni fa. Finiamo l’eterno cammino tedesco verso il sud e l’ovest e guardiamo i territori posti all’est. Facciamola finita con la politica coloniale e commerciale di prima della guerra e passiamo ad una politica di espansione nel futuro. Ma allorché diciamo di nuovi spazi europei, dobbiamo tenere in considerazione innanzitutto l’Unione Sovietica e le Nazioni satelliti ad essa affiliate». H. Hitler, Mein Kampf [1925-1927], München 1938, p. 742; trad. it. Mein Kampf (la mia battaglia), Roma 2000, pp. 232-233.

• 27.01.1945

- La 60a Armata del maresciallo Konev localizza la rete di campi di concentramento attorno ad Auschwitz.

- «Quando venne il mio turno di salire sul carretto di Yankel, non ero in grado di reggermi in

piedi. Fui issato sul carro da Charles e da Arthur, insieme con un carico di moribondi da cui non mi sentivo molto dissimile. Piovigginava, e il cielo era basso e fosco. Mentre il lento passo dei cavalli di Yankel mi trascinava verso la lontanissima libertà, sfilarono per l’ultima volta sotto i miei occhi le baracche dove avevo sofferto e mi ero maturato, la piazza

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dell’appello su cui ancora si ergevano, fianco a fianco, la forca e un gigantesco albero di Natale, e la porta della schiavitù, su cui, vane ormai, ancora si leggevano le tre parole della derisione: “Arbeit Macht Frei”, “Il lavoro rende liberi”». (P. Levi, La tregua [1965], Milano 1992, pp. 17-18).

• 30.01.1945

- FLUCHT: Operazione Hannibal

- Il Wilhelm Gustloff, il più grande transatlantico della Kraft durch Freude, salpa dalla costa baltica con a bordo più di diecimila profughi. Alle ore 21:10 la nave viene colpita da tre siluri lanciati dal sommergibile sovietico S-13 affidato al capitano Alexander Marinesko. Il transatlantico affonda dopo un’ora circa; in quella notte persero la vita 9363 tedeschi e solamente 1252 profughi furono tratti in salvo dall’incrociatore pesante Admiral Hipper.

• 13/14.02.1945

- LUFTKRIEG: Distruzione di Dresda - Operazione Thunderclap - Rappresaglia nei confronti dei bombardamenti tedeschi sull’Inghilterra del 1940

(Operazione Leone Marino) e sulla Russia del 1941 (Operazione Barbarossa).

• 30.04.1945

- Hitler si suicida con Eva Braun nel Bunker della Cancelleria. I loro corpi vengono bruciati, per volontà del Führer, nel giardino della Cancelleria. - Il giorno seguente, 1 maggio 1945, Magda Goebbels si uccide con i figli e il marito Joseph Goebbels nel Bunker.

• 20.01.1942

- Wanseekonferenz: Conferenza di Wannsee alla quale parteciparono 15 alti ufficiali nazisti, per decidere come attuare la "Soluzione finale della questione ebraica" (Endlösung der Judenfrage).

Nome Foto Incarico Organizzazione Superiore Fine

SS-Obergruppenführer Reinhard Heydrich

Comandante dell'RSHA Reich Protector di Boemia and Moravia.

Schutzstaffel Reichsführer-SS Heinrich Himmler

Morto il 4 giugno 1942 in seguito a un attacco del 27 maggio a opera di partigiani cechi e slovacchi

Dr Josef Bühler Segretario di Stato nel Governatorato

Governatorato Generale

Governatore del Governatorato

Processato in Polonia per

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Generale Generale Dr Hans Frank

crimini di guerra e giustiziato a Cracovia nel luglio 1948

Dr Roland Freisler

Segretario di Stato al ministero di giustizia del Reich

Ministero della Giustizia del Reich

Ministro della giustizia Dr Franz Schlegelberger

Morto nel febbraio 1945 a causa di un bombardamento dell'USAAF su Berlino

SS-Gruppenführer Otto Hofmann

Capo dell'Ufficio Centrale per la Razza e le Colonie (RuSHA)

Schutzstaffel Reichsführer-SS Heinrich Himmler

Condannato a 25 anni di carcere per crimini di guerra, fu graziato nel 1954. È deceduto nel 1982

SS-Oberführer Dr Gerhard Klopfer

Segretario permanente della Cancelleria del partito

Cancelleria del Partito Nazista

Capo della Cancelleria del Partito Martin Bormann

Accusato di crimini di guerra, venne assolto per mancanza di prove. Quando morì, nel 1987, era l'ultimo sopravvissuto alla conferenza

Friedrich Wilhelm Kritzinger

Segretario permanente alla Cancelleria del Reich

Cancelleria del Reich

Ministro del Reich e capo Cancelleria del Reich Dr Hans Lammers

Assolto dall'accusa di crimini di guerra, morì nel 1947.

SS-Sturmbannführer Dr Rudolf Lange

Comandante del SiPo e dell'SD in Lettonia. Vicecomandante del SiPo e dell'SD nel Reichskommissariat Ostland.

SiPo e SD, RSHA, Schutzstaffel

SS-Brigadeführer e Generalmajor der Polizei Dr Franz Walter Stahlecker

Morto in azione in Polonia nel febbraio 1945

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Dr Georg Leibbrandt

Direttore Dipartimento Politico del Ministero dei Territori Occupati

Ministero del Reich per i Territori Occupati a Est

Ministro del Reich per i Territori Occupati a Est Dr Alfred Rosenberg

Fu accusato di crimini di guerra ma le accuse vennero cancellate. Morì a Bonn il 16 giugno 1982.

Martin Luther

Sottosegretario Ministero degli Esteri del Reich

Ministro degli Esteri del Reich Joachim von Ribbentrop

Fu deportato a Sachsenhausen per aver complottato contro von Ribbentrop. Liberato dai sovietici morì nel 1945 per un attacco di cuore

Dr Alfred Meyer

Gauleiter Segretario di Stato e Vice Ministro

Ministero del Reich per i Territori Occupati a Est

Ministro del Reich per i Territori Occupati a Est Dr Alfred Rosenberg

Morto suicida l'11 aprile 1945

SS-Gruppenführer Heinrich Müller

Comandante della (Gestapo)

RSHA e Schutzstaffel

Capo dell'RSHA SS-Obergruppenführer Reinhard Heydrich

Fu visto l'ultima volta il 29 aprile 1945. Si pensa che possa essere morto nei giorni seguenti durante la Battaglia di Berlino

Erich Neumann

Segretario di Stato Direttore dell'ufficio per il piano quadriennale

Plenipotenziario per il piano quadriennale Hermann Göring

Fu tenuto in custodia dagli Alleati per un breve periodo e rilasciato per motivi di salute. Morì nel 1948

SS-Oberführer Dr Karl Eberhard Schöngarth

Comandante del SiPo e dell'SD nel Governatorato

SiPo e SD, RSHA, Schutzstaffel

Capo dell'RSHA SS-Obergruppenführer

Fu giustiziato per l'uccisione di prigionieri di guerra

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Generale Reinhard Heydrich britannici nel maggio 1946

Dr Wilhelm Stuckart

Segretario di Stato Ministero dell'interno del Reich

Ministro dell'interno del Reich Dr Wilhelm Frick

Fu imprigionato ma rilasciato nel 1949 per mancanza di prove. Morì nel 1953 in un incidente automobilistico

SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann

Capo del dipartimento B4 della Gestapo Segretario della Conferenza.

Gestapo, RSHA, Schutzstaffel

Comandante della Gestapo SS-Gruppenführer Heinrich Müller

Riuscì a fuggire in Argentina dove visse alcuni anni sotto falsa identità. Identificato e rapito da agenti israeliani fu processato e giustiziato nel maggio 1962

- «Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale» (Verbale della conferenza di Wannsee, p. 7).

08.05.1945

- A Karlshorst, nel quartiere berlinese di Lichtenberg, il feldmaresciallo generale Wilhelm Keitel (1882-1946) sottoscrive per la Germania la resa incondizionata. - «Berlino era ancora un esplosivo, fumante e bruciante vulcano che eruttava morte […] un luogo spaventoso e indicato per procedere alla ratifica del documento sulla resa incondizionata». (Fritz Oppenheimer, Bericht des amerikanischen Majors Fritz E. Oppenheimer über die Reise des OKW Keitel nach Berlin zur Unterzeichnung der Kapitulationsurkunde am 8./9. Mai 1945, in Manfred Overesch (hrsg.), Deutschland 1945-1949: Vorgeschichte und Gründung der Bundesrepublik, Athenäum-Verlag, Düsseldorf 1979, p. 117).

19.03.1945

- Operazione Nerone - «Se la guerra sarà perduta, anche il popolo sarà perduto. Questo destino è ineluttabile […] è meglio che si sia noi stessi a distruggere ogni cosa, poiché il popolo ha dimostrato di essere il più debole e l’avvenire appartiene esclusivamente al popolo dell’Est, che è il più forte. Del resto,

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quelli che sopravvivranno a questa lotta non saranno che gli infimi, perché i migliori saranno caduti» (Adolf Hitler a Albert Speer)

2. La denazificazione della Germania e la questione della «colpa collettiva» - Säuberung (epurazione) - Bestrafung (condanna) - Umerziehung (rieducazione) - Affidate a occidente alla Information Control Division (ICD) e a oriente alla Sowjetische Militäradministration in Deutschland (Amministrazione militare sovietica in Germania, SMAD) - Ernst von Salomon, Der Fragebogen, Rowohlt, Hamburg 1951.

• Processi di Norimberga - Ottobre 1945 - ottobre 1946: sotto accusa 22 fra i maggiori esponenti delle SA (abbreviazione di Sturmableitung, “battaglioni” o “squadre” d’assalto” del partito), delle SS (abbreviazione di Schutzstaffeln, “reparti di difesa” paramilitari d’élite del partito nazista) e della Gestapo (abbreviazione di Geheime Staatspolizei), la “polizia segreta di stato” del terzo Reich che a partire dal 1934 fu controllata dalle SS. - Accusa: avere preso fattivamente parte alla Endlösung der Judenfrage, la “soluzione finale della questione ebraica” programmata durante la Conferenza di Wannsee. - Pene comprese fra la reclusione e l’impiccagione che giunsero in chiusura di un processo al quale parteciparono un giudice per ciascuna nazione vincitrice del conflitto. - Testimoniarono 240 vittime del regime nazista e vennero rese circa trecentomila deposizioni. - Le condanne a morte furono eseguite già il 16 ottobre 1946. - Impiccati: il Ministro degli esteri Joachim von Ribbentrop (*1893), Wilhelm Keitel, Ernst Kaltenbrunner (*1903), Alfred Rosenberg (*1893), Hans Frank (*1900), il Ministro degli interni Wilhelm Frick (*1877), Julius Streicher (*1885), Fritz Sauckel (*1894), Alfred Jodl (*1890) e Arthur Seyß-Inquart (*1892).

• Karl Jaspers, Die Schuldfrage, Heidelberg/Zürich 1946 (trad. it. e cura di R. De Rosa, La

colpa della Germania, Edizione Scientifiche Italiane, Napoli 1947; trad. it di A. Pinotti, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Raffaello Cortina, Roma 1996)

• Hannah Arendt (1906-1975): contributo apparso sulla rivista americana Jewish Frontier e intitolato German Guilt (La colpa tedesca, 1945); trad. it. Colpa organizzata e responsabilità universale (in Archivio Arendt 1. 1930-1948, a cura di S. Forti, trad. it. di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 157-167).

• Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, 1963; trad. it. Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Fetrinelli 1964.

• «I gerarchi nazisti, sgravata la coscienza da ogni peso grazie all’organizzazione burocratica

dei loro atti, avevano smesso di temere perfino Dio. Tutto ciò che provavano era solo un senso di responsabilità nei confronti della propria famiglia. La trasformazione del padre di famiglia da membro responsabile della società, interessato a tutti gli affari pubblici, in un ‘borghese’ concentrato solo sulla propria esistenza privata ed estraneo ad ogni virtù civile, è un fenomeno internazionale tipicamente moderno» (Arendt, Colpa organizzata e responsabilità universale, cit., pp. 164-165).

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• Dwight MacDonald, The Responsibility of Peoples, in Politics 2 (March 1945), pp. 86-87.

• Tipologie della colpa secondo Jaspers (Die Schuldfrage):

- «colpa criminale» - «colpa politica» - «colpa morale» - «colpa metafisica»

• Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutschen Konzentrationslager, Verlag der

Frankfurter Hefte, Frankfurt am Main 1946) (Lo stato SS. Il sistema dei campi di concentramento tedeschi):«cosa era davvero un campo di concentramento tedesco. Un mondo a sé, uno stato a sé – un ordinamento senza diritto, in cui l’individuo […] combatteva per la nuda esistenza e per la cruda sopravvivenza».

3. La lingua dei carnefici • l’«essenza della propaganda consiste nel far sì che le persone abbraccino un’idea tanto

sinceramente e tanto fortemente che alla fine soccombono a essa e non possono più fuggirvi» (Joseph Goebbels, Congresso annuale del partito nazionalsocialista svoltosi a Norimberga nel settembre 1934)

• Victor Klemperer (1881-1960)

- Ich will Zeugnis ablegen bis zum letzten (Testimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-

1945, a cura di W. Nowojski con la collaborazione di H. Klemperer, trad. it. di A. Ruchat e P. Quadrelli, Mondadori, Milano 2000)

- LTI. La lingua del terzo Reich; taccuino di un filologo, trad. it. di P. Buscaglione, La Giuntina, Firenze 1996: «le parole possono essere come pasticche di arsenico: vengono inghiottite senza accorgersene; sembra che non abbiano alcun effetto – dopo un po’ di tempo però manifestano il loro venefico effetto».

• Per quanto mi riguarda, sempre più mi rendo conto d’essere diventato assolutamente inutile,

sono il prodotto di un’acculturazione eccessiva, incapace di sopravvivere in ambienti meno civilizzati. […] Io non potrei nemmeno diventare insegnate di lingua, sono in grado solo di tenere lezioni di scienze dello spirito, ma solo in lingua tedesca e con un taglio assolutamente tedesco. Non posso che vivere e morire in questo paese. (Klemperer, Testimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-1945)

• La lotta più dura in difesa della mia natura tedesca la sto combattendo ora. Devo insistere su

questo punto: io sono tedesco, sono gli altri che non lo sono, devo insistere su questo punto: è lo spirito che non decide, non il sangue. Devo insistere: il sionismo da parte mia sarebbe una commedia, il battesimo non è stata una commedia. (Klemperer, Testimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-1945)

4. La «rielaborazione del passato», la «ricostruzione della cultura» e la Scuola di Francoforte • Max Horkheimer. • Theodor Wiesengrund Adorno • Walter Benjamin • Erich Fromm

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• Leo Löwenthal • Zeitschrift für Sozialforschung

• Lo sviluppo della Scuola è riconducibile a tre fasi. alle quali coincidono altrettante

generazioni di filosofi afferenti all’Istituto: 1. il decennio fra la fondazione dell’Istituto e l’ascesa al potere di Hitler.

2. il periodo fra l’esilio statunitense dei francofortesi e il loro rientro in patria nel 1949 di Adorno e Horkheimer.

3. fase caratterizzata dalla Dialettica negativa di Adorno fra primi anni Cinquanta e la morte del filosofo avvenuta nel 1969.

• Quest’ultima è fase fondamentale per i successivi sviluppi del pensiero della Scuola, in

particolare per l’elaborazione del metodo di studio della comunicazione di Jürgen Habermas.

• La riflessione di Adorno e Horkheimer attorno alla società tedesca del Novecento, ispirata al

pensiero di Marx, Hegel e Freud, si attuò sin dagli esordi attraverso un approccio dialettico e totalizzante alla società.

• La critica fu affinata durante l’esilio in almeno due opere centrali per discutere la possibilità

e le modalità di ricostruzione della cultura tedesca dopo il nazismo: 1. Dialektik der Aufklärung (Dialettica dell’illuminismo, 1947) di Adorno e Horkheimer.

2. Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben (Minina moralia. Riflessioni dalla vita offesa, 1951) di Th. W. Adorno e prima di esse la celebre

Dialettica dell’Illuminismo (1947) • «la conoscenza del perché l’umanità, anziché entrare in una condizione veramente umana,

sprofondi in una nuova sorta di barbarie»

• Due critiche fondamentali: 1. concezione della civiltà occidentale come risultato di una progressiva razionalizzazione 2. razionalizzazione della natura vista come condizione del mondo occidentale. • «l’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da

sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura».

• l’illuminismo decade a positivismo: strumento del dominio industriale, soprattutto a fronte

della sua tendenza antimitologica e della coincidenza fra verità e sistema scientifico. • Odissea: Ulisse viene riconosciuto «uno dei primi rappresentanti della civiltà borghese

occidentale».

• Rinuncia e negazione del proprio “io”: Polifemo e l’incontro con le sirene

• Ulisse «ode, ma impotente, è legato all’albero della nave, e più la tentazione diventa forte, e più strettamente si fa legare, così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno più

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tenacemente la felicità quanto più – crescendo la loro potenza – l’avranno a portata di mano».

• Società occidentale borghese caratterizzata dall’«umiliazione dell’impulso alla felicità intera, universale, indivisa».

• Sacrificio di tutto ciò che è vitale a favore della costruzione di un io irrigidito: alienazione

• l’antisemitismo viene concepito in rapporto dialettico con la natura, la felicità, la civiltà e la

ragione. • “Nelle grandi svolte della civiltà occidentale, dall’avvento della religione olimpica fino al

Rinascimento, alla Riforma e all’ateismo borghese, ogni volta che nuovi popoli e ceti soppiantano più decisamente il mito, il timore della natura minacciosa e incontrollata, conseguenza della sua stessa materializzazione e oggettivazione, fu abbassato a superstizione animistica, e il dominio della natura interna e esterna a scopo assoluto della vita”

• Fallimento della civiltà occidentale:

1. «il processo di disincanto, razionalizzazione, rischiaramento, civilizzazione, non si è svolto

sotto il segno della realizzazione di quella felicità che, vista retrospettivamente, sembrava caratterizzare il mondo primitivo».

2. progressiva distruzione di qualsiasi forma di felicità e angoscia che ricordasse all’uomo moderno il mondo primitivo e non civilizzato.

• “I segni dell’impotenza, i movimenti ansiosi e scomposti, l’angoscia della creatura,

l’agitazione, provocano la voglia di uccidere. La dichiarazione di odio contro la donna come creatura spiritualmente e fisicamente più debole, che reca in fronte il marchio del dominio, è la stessa dell’odio contro l’ebreo. […] Vivono, mentre sarebbe possibile eliminarli, e la loro angoscia e debolezza, la loro maggiore affinità alla natura per la continua pressione a cui sono sottoposti, è il loro elemento vitale. Ciò suscita il furore cieco dell’uomo forte, il quale paga la propria forza con la tensione del distacco dalla natura, e non può mai permettersi l’angoscia. Egli si identifica con la natura, moltiplicando per mille nelle sue vittime il grido che non gli è dato di emettere”.

• Relazione fra antisemitismo e impulsi umani originari, dei quali gli ebrei sarebbero fra gli

ultimi depositari nell’epoca della “riproducibilità tecnica”.

• Questa relazione si esplicita attraverso una mimica che, all’uomo occidentale votatosi al culto della ragione, «suscita furore, poiché ostenta, nei nuovi rapporti di produzione, l’antica paura, che si è dovuta dimenticare per sopravvivere in essi».

• Una direttrice critica sviluppa argomentazioni contenute in Das Kunstwerk im Zeitalter

seiner technischen Reproduzierbarkeit (L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1935) di Walter Benjamin: L’arte, la perdita di unicità dei prodotti artistici, ciò che Benjamin definisce “aura”, la cultura di massa sono gli obiettivi polemici del pensiero critico dei francofortesi che si confrontano con la sfera del consumo, il feticismo delle merci e le loro ricadute sull’alienazione e la libertà dell’individuo. Da questo bacino critico nascerà nel dopoguerra il concetto di “industria culturale”, frequentemente problematizzato da Adorno e punto di

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partenza per la critica ai mezzi di comunicazione di Hans Magnus Enzensberger (“Industria della coscienza”).

• «Industria culturale»: la cultura standardizzante che proviene da Hollywood e attraverso i nuovi mass media si è fatta strada nel mondo.

• «industria culturale»: atteggiamento passivo del consumatore nel processo di

industrializzazione e standardizzazione della conoscenza attraverso «l’impero dei mass media», il quale rappresenta il più subdolo strumento di manipolazione delle coscienze, perché è impiegato da qualsiasi sistema di potere con l’intento di conservare se stesso e tenere sottomessi gli individui.

• «L’industria culturale, la società ultraorganizzata, l’economia pianificata hanno beffardamente realizzato l’uomo come essere generico: privo di coscienza individuale, di iniziativa morale autonoma, manipolato a piacere, […] la forma massificata ha trattenuto tutti nello stadio della mera essenza generica».

• Risultato è l’alienazione dell’individuo nel lavoro

• Hans Magnus Enzensberger:

1. Bewußtseins-Industrie (1962) 2. Gli elisir della scienza (2002) 3. Ah, Europa! Rilevazioni da sette paesi (1987) 4. Eurocentrismo controvoglia (1980) 5. Periferia europea (1965) 6. La lista eurocentrica (2001) 7. Europa in macerie (1990) 8. I revenant di Hitler (1997)

Minima moralia (1951) • Non è opera di etica filosofica: impossibile elaborare una dottrina etica dopo la seconda

guerra mondiale, poiché nella civiltà contemporanea è ormai irrimediabilmente iscritta la traumatica cesura che Adorno riassume nella cifra di «Auschwitz», luogo che nella sua riflessione diviene sinonimo di Shoah.

• In seguito alla lacerazione nazista, l’uomo ha definitivamente perso ogni forma di

autonomia e «la vita è diventata apparenza», mentre «la nullità dimostrata ai soggetti nei campi di concentramento investe ormai la forma stessa della soggettività».

• Minima: occupazioni e oggetti banali della vita quotidiana che esprimono lo spirito di un’età totalitaristica, organizzata e globale, dove regna l’incapacità dell’individuo di servirsi del proprio intelletto in autonomina.

• Moralia: Con quest’opera Adorno mosta le strategie di penetrazione del capitalismo nelle

sfere più intime della vita quotidiana, laddove l’uomo e la macchina si incontrano e i confini fra i due diventano a tal punto labili che persino la morale – i moralia – finisce per ricadere nelle questioni industriali che concernono la «produzione del mondo».

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• Utopia: liberare gli uomini e gli oggetti dal dominio contemporaneo della tecnologia e della ragione.

• Nelle forme estetiche tradizionali, nella lingua tradizionale, nel materiale tramandato della

musica, ma anche nello stesso universo concettuale filosofico del periodo compreso fra le due guerre, non risiede più alcuna forza autentica. Diventano tutte menzogne condannate dalla catastrofe di quella società da cui sono provenute.

(T. W. Adorno, Die auferstandene Kultur, 1949).

• Was bedeutet: Aufarbeitung der Vergangenheit (Che cosa significa elaborazione del passato, 1959): «se la tanto menzionata elaborazione del passato non è fino ad oggi avvenuta, ma si è tramutata nella sua caricatura, il vuoto e freddo oblio, è perché continuano a sussistere le oggettive premesse sociali che generarono il fascismo».

• «l’affermazione che Hitler avrebbe distrutto la cultura tedesca non è che un trucco

reclamistico di coloro che vorrebbero ricostruirla dai telefoni dei loro uffici» (Th. W. Adorno, Ritorno alla cultura, in Minima moralia)

• «Uno sguardo alla produzione letteraria di quegli emigrati che – attraverso una severa

disciplina e una rigida suddivisione - sono riusciti a “rappresentare” lo spirito tedesco, dice tutto su quello che dobbiamo aspettarci da un’allegra ricostruzione: l’introduzione dei metodi di Broadway sul Kurfürstendamm, che fin dagli anni ’20 se ne distingueva solo per l’inferiorità dei mezzi, ma non per la superiorità degli scopi» (Th. W. Adorno, Ritorno alla cultura, in Minima moralia)

• “L’idea che, dopo questa guerra la vita potrà riprendere «normalmente» o la cultura

«ricostruita» – come se la ricostruzione della cultura non fosse già la sua negazione – è semplicemente «idiota». Milioni di ebrei sono stati assassinati. E questo dovrebbe essere un semplice intermezzo, e non la catastrofe stessa. Che cosa aspetta ancora questa cultura?” (Adorno, Minima moralia).

• «la vita si è trasformata in una successione atemporale di chochs, separati da intervalli vuoti,

paralizzati» (Ibidem). • “Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben, ist barbarisch”(«Scrivere una poesia dopo

Auschwitz è un atto di barbarie», T. W. Adorno, Critica della cultura e società, in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, trad. it. di C. Mainoldi, Einaudi, Torino 1972, p. 22).

• T. W. Adorno, Erziehung nach Auschwitz, in Id., Gesammelte Schriften, Vol. X, 2

(Kulturkritik und Gesellschaft II), op. cit.; T. W. Adorno, , Erziehung zur Mündigkeit. Vorträge und Gespräche mit Hellmut Becker 1959-1969, a cura di G. Kadelbach, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1971.

5. L’eredità culturale della Repubblica di Weimar. Gottfried Benn, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Thomas Mann e Ernst Jünger dopo il 1945

• Durante il dodicennio nero, agli scrittori che non si allinearono al regime si prospettavano

due sole alternative:

1. l’esilio: Letterati intellettuali, artisti, pensatori di origine ebraica (Döblin, Peter Weiss,

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Adorno, Horkheimer) e politicamente impegnati contro il regime (Thomas e Heinrich Mann, Bertolt Brecht)

2. l’emigrazione interna: Gottfried Benn, Ernst Jünger, Frank Thiess e Arno Schmidt. • “Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini” [Heinrich Heine,

Almansor (1821), monumento al rogo del 10 maggio 1933 sul Bebelplatz a Berlino]

• Fine della guerra : le voci dell’esilio, dell’emigrazione interna e dell’opposizione cifrata al regime dettero un impulso decisivo alla rinascita della letteratura tedesca dell’età contemporanea.

• Obiettivo: ricostruire dalle fondamenta una cultura irrimediabilmente danneggiata dalla

cesura nazista. A questo progetto contribuirono anche autori più giovani, come Wolfgang Borchert (1921-1947) e Heinrich Böll (1917-1985), che avevano avuto esperienza diretta della guerra al fronte e si sarebbero imposti come voci della «letteratura delle macerie».

• “Nel 1945, […] in una situazione di tabula rasa, si era letteralmente abbandonati a se stessi:

non c’era assolutamente più nulla di positivo, nessun valore da rigettare – persino il linguaggio era profanato. In tale situazione, la posa avanguardistica poteva apparire, tutt’al più, una mascherata inoffensiva, un cinismo da burattino. Dov’era, ormai, il borghese contro cui si potesse scendere in campo, dove si erano rifugiati i padri, di fronte ai quali si dovesse propugnare la causa dei figli? Invece di misurarsi con gli avi, si cercava il loro aiuto e il loro appoggio; sintesi, sembrava la grande parola del tempo; che rimaneva da fare, del resto, poiché le mani erano vuote , se non andare a scuola dai maestri, imparare dall’estero, fare propria la posizione degli emigrati?” (Walter Jens, Quattro tesi sulla letteratura tedesca oggi, 1961).

• Gottfried Benn

• Morgue, 1910

• 1933-1934: Presidenza della sezione poesia dell’Accademia Prussiana delle Arti

• 1935 -1945: medico fra le fila dell’«esercito», dove trovò la «forma aristocratica

dell’emigrazione» (G. Benn, Doppia vita, 1950). • «Poesia assoluta»: l’artista «vive solo per la sua sostanza interiore, è freddo, la sua materia

deve essere mantenuta fredda, egli infatti deve dare forma all'idea, alle ebbrezze cui gli altri possono umanamente abbandonarsi [...]. È cinico e sostiene di non essere altro, mentre gli idealisti siedono fra gli uomini di cultura e le classi produttive». (G. Benn, Doppia vita, 1950).

• Statische Gedichte (Poesie statiche, 1948) • Trunkende Flut (Flutto ebbro, 1949) • Fragmente (Frammenti, 1951) • Distillationen (Distillazioni, 1953) • Aprèslude (1955) • Probleme der Lyrik (Problemi della lirica, 1951): «la poesia senza fede, la poesia senza

speranza, la poesia non diretta ad alcuno, la poesia fatta di parole che voi montate in maniera affascinante».

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G. Benn Poesia statica, “smalto del nulla”

Staticità è la profondità del saggio, i figli e i figli dei figli non lo toccano, non possono turbarlo. Professare opinioni, agire, arrivare e partire sono il segno di un mondo che non ha idee chiare. Davanti alla mia finestra – così dice il saggio – c'è una valle in cui si raccolgono le ombre, due pioppi segnano la strada tu sai – per dove. Prospettivismo è un'altra parola per la sua statica: porre alcune linee, continuarle secondo legge di tralci – sprizzare tralci –, e stormi e corvi gettare nel primo rosso di cieli di inverno, e lasciar tutto cadere – tu sai – per chi.

• “Artistik” di Benn: «il tentativo dell'arte, in mezzo alla generale decadenza dei contenuti, di

vivere se stessa come contenuto e di formare da questa esperienza un nuovo stile; è il tentativo di contrapporre al generale nichilismo dei valori una nuova trascendenza: la trascendenza del piacere creativo». (Benn, Problemi della lirica)

• Scrittori provenienti dall’esilio si insediarono nel settore orientale (Johannes R. Becher,

Anna Seghers e Arnold Zweig), quando non decisero di vivere in Svizzera come Th. Mann. • Esponenti dell’emigrazione interna nella parte occidentale (Weinheber, Benn, Carossa,

Britting, Bergengruen, Schröder, Seidel e Jünger). 6. Il Kahlschlag • Kahlschlag, ovvero «disboscamento» della lingua tedesca dalla pompa retorica del nazismo. • Wolfgang Weyrauch (1904-1980) si avvalse per primo dell’ideale del Kahlschlag

applicandolo alla letteratura del dopoguerra nella postfazione all’antologia Tausend Gramm (Cento grammi, 1949).

• L’ideale del «disboscamento» aveva già trovato con la lirica di Günther Eich un modello da seguire: Inventur (Inventario, 1948) apparsa per la prima volta nell’antologia Deine Söhne,

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Europa (I tuoi figli, Europa) dedicata da Hans Werner Richter (1908-1993) alla poesia dei detenuti nei campi di prigionia alleati.

Dies ist meine Mütze, dies ist mein Mantel hier mein Rasierzeug im Beutel aus Leinen. Konservenbüchse: Mein Teller, mein Becher, ich hab in das Weißblech den Namen geritzt. Geritzt hier mit diesem kostbaren Nagel, den vor begehrlichen Augen ich berge. Im Brotbeutel sind ein Paar wollene Socken und einiges, was ich niemand verrate, so dient er als Kissen nachts meinem Kopf. Die Pappe hier liegt zwischen mir und der Erde. Die Bleichstiftmine lieb ich am meisten: Tags schreibt sie mir Verse, die nachts ich erdacht. Dies ist mein Notizbuch, dies meine Zeltbahn, dies ist mein Handtuch, dies ist mein Zwirn.

Questo è il mio berretto, questo è il mio cappotto qui le mie cose per fare la barba nel sacco di lino.

Scatola di latta: Il mio piatto, il mio bicchiere, ho inciso sulla latta il nome.

Inciso con questo prezioso chiodo che nascondo agli occhi invidiosi.

Nel mio sacco ci sono delle calze di lana e altre cose che non dico a nessuno,

di notte fa da cuscino alla mia testa. Questo cartone sta tra me e la terra.

Ciò che amo di più è la mina della matita: di giorno mi scrive i versi che ho pensato di notte.

Questo è il mio quaderno Questa la mia tela, questo il mio asciugamano, questo è il mio refe.

7. Poesia della natura e dell’impegno politico

• Bertolt Brecht • Svendborger Gedichte (Poesie di Svendborg, 1934) • Finnische Epigramme (Epigrammi finlandesi, 1941). • Bertolt Brecht: Buckower Elegien (Elegie di Buckow, 1953). • Schlechte Zeiten für Lyrik (Tempi grami per la lirica), composta in Danimarca nel 1938:

Lo so bene: solo chi è felice è amato. La sua voce la si ascolta volentieri. Il suo volto è bello. L’albero tutto storto nel cortile addita il suolo cattivo, ma i passanti gli danno dello storpio e hanno ragione.

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I battelli verdi e le allegre vele del Sund non vedo. Di tutto vedo soltanto la rete sdrucita dei pescatori. Perché parlo solo di questo: della bracciante che a quarant'anni cammina tutta curva? I seni delle ragazze sono caldi come una volta. Nel mio canto una rima mi parrebbe quasi un atto protervo. Dentro di me si affrontano l'entusiasmo per il melo in fiore e l'orrore per i discorsi dell'imbianchino. Ma solo il secondo impulso

mi spinge alla scrivania.

• Lirica di Brecht testimonia le due tendenze della poesia dopo Auschwitz: poesia della natura e dell’impegno politico

• Günter Kunert

• Scetticismo nei confronti della possibilità dell’uomo di imparare dal passato. • Immagini apocalittiche tipiche della produzione del poeta: • Wegschilder und Mauerinschriften (Segnaletica e Scritte murali, 1950) • Warnung vor Spiegeln (Attenzione agli specchi, 1969). • La lirica di Kunert elegge in modo definitivo a proprio tema dominante le minacce insite

nella storia e nel progresso con la raccolta Verkündigung des Wetters (Annuncio del tempo, 1966), come testimonia Die niedrigen grünen Hügel:

Nel vento, cui nessuno porge ascolto, bisbigliano

le grida degli uccisi. Nel forno sussurrano voci tanto atrocemente note quanto sconosciute. Sulla città si raccoglie una nuvola: il

Passato…

• Peter Huchel

• Raccolta di liriche magico-naturalistiche Gedichte (Poesie, 1948) • Chaussen, Chaussen (Strade, strade, 1963) • Gezählte Tage (Giorni contati, 1972) • Die neunte Stunde (La nona ora, 1979)

A sera si appressan gli amici, le ombre delle colline. Incedono lente oltre la soglia, oscurano il sale, oscurano il pane, e tengon discorsi col mio silenzio. Fuori nell’acero si muove il vento: mia sorella, l’acqua piovana nella conca calcarea, imprigionata insegue con gli occhi le nuvole.

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Va con il vento, dicon le ombre. L’estate ti punta la falce di ferro sul cuore. va via, prima che nella foglia dell’acero brucino le stimmate dell’autunno. Sii fedele, dice la pietra. Il mattino albeggiante si alza, dove luce e fogliame abitano l’un dentro l’altro ed il viso svanisce in una fiamma.

8. Schreiben nach Auschwitz • “Tutti noi, allora giovani poeti negli anni Cinquanta – ricordo qui a titolo esemplificativo

Peter Rühmkorf, Hans Magnus Enzensberger, anche Ingeborg Bachmann – eravamo consci, al punto di esserne confusi, di non appartenere affatto come colpevoli alla ‘generazione di Auschwitz’, ma di farne parte nelle circostanze dei colpevoli […]; ma di tanto eravamo anche consci: che il precetto di Adorno – se mai – doveva essere confutato scrivendo”. (G. Grass, Scrivere dopo Auschwitz, 1990).

• Nelly Sachs (1891-1970) • In den Wohnungen des Todes (Nelle dimore della morte, 1947) • Sternverdunkelung (Oscuramento siderale, 1949) • Flucht und Verwandlung (Fuga e metamorfosi, 1959) • Fahrt ins Staublose. Gedichte (Al di là della polvere, 1961) • Zeichen im Sand (Segni sulla sabbia, 1962) • Chor der Geretteten (Coro dei superstiti) in Al di là della polvere:

Noi superstiti, dalle nostre ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti, sui nostri tendini ha già passato il suo archetto – I nostri corpi ancora si lamentano Col loro canto mozzato. Noi superstiti, davanti a noi, nell’azzurra aria, pendono ancora i lacci attorti per i nostri colli – le clessidre si riempiono ancora del nostro sangue. Noi superstiti, ancora divorati dai vermi dell’angoscia – la nostra stella è sepolta nella polvere. Noi superstiti Vi preghiamo: mostrateci lentamente il vostro sole. Guidateci piano di stella in stella. Fateci di nuovo imparare la vita. Altrimenti il canto di un uccello, il secchio che si colma alla fontana potrebbero far prorompere il dolore a stenti sigillato e farci schiumar via –

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Vi preghiamo: non mostrateci ancora un cane che morde potrebbe darsi, potrebbe darsi che disfiamo in polvere davanti ai nostri occhi. Ma cosa tiene unita la nostra trama? Noi, ormai senza respiro, la nostra anima è volata a lui a mezzanotte molto prima che il nostro corpo si salvasse nell’arca dell’istante. Noi superstiti, stringiamo la vostra mano, riconosciamo i vostri occhi – ma solo l’addio ci tiene ancora uniti, l’addio nella polvere ci tiene uniti a voi.

• Paul Celan (1920-1970)

• Der Sand aus den Urnen (La sabbia dalla urne, 1948). • Mohn und Gedächtnis (Papavero e memoria, 1952) • Todesfuge in Papavero e memoria.

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Paul Celan - Todesfuge Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts wir trinken und trinken wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne er pfeift seine Rüden herbei er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der Erde er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends wir trinken und trinken Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng

Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet und spielt er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind blau stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum Tanz auf

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends wir trinken und trinken ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meister aus Deutschland

dein goldenes Haar Margarete dein aschenes Haar Sulamith

Nero latte dell’alba lo beviamo la sera lo beviamo al meriggio e mattino lo beviamo la notte beviamo e beviamo scaviamo una tomba nell’aria nessuno sta stretto un uomo abita la casa gioca con le serpi scrive scrive appena fa buio in Germania d’oro i capelli Margaréte lo scrive e cammina di fronte alla casa lo dicono a lampi le stelle comanda col fischio i suoi lupi stana col fischio gli ebrei a scavare una tomba nella terra ordina adesso suonate adesso si balla Nero latte dell’alba ti beviamo alla sera ti beviamo al meriggio e mattino ti beviamo la notte beviamo e beviamo un uomo abita la casa gioca con le serpi scrive scrive appena fa buio in Germania d’oro i capelli Margaréte di cenere i tuoi Sulamìt scaviamo una tomba nell’aria nessuno sta stretto Grida più giù nella terra voi e voi cantate suonate estrae dal fianco la spada la leva celesti i suoi occhi più giù quelle zappe e voi e voi ancora suonate si balla Nero latte dell’alba ti beviamo la notte ti beviamo al meriggio e mattino ti beviamo la sera beviamo e beviamo un uomo abita la casa d’oro i capelli Margarete di cenere i tuoi Sulamìt gioca con le serpi grida suonate più dolce la morte e la morte è Maestro Tedesco grida più a fondo i violini ché andate nel fumo nell’aria ché avrete una tomba per voi tra le nubi nessuno sta stretto Nero latte dell’alba ti beviamo la notte beviamo al meriggio la morte è Maestro Tedesco beviamo la sera e mattino beviamo e beviamo la morte è Maestro Tedesco celesti i suoi occhi ti coglie con palle di piombo preciso ti coglie un uomo abita la casa d’oro i capelli Margaréte aizza i suoi lupi su noi ci dona una tomba nell’aria gioca con le serpi e sogna la morte è Maestro Tedesco D’oro i capelli Margaréte di cenere i tuoi Sulamìt1

1 Paul Celan, Fuga della morte, in Papavero e memoria,

in Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di Giuseppe Bevilacqua, Mondadori, Milano 1998, pp. 62-65.

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• “Ammetterei volentieri, quasi come ho detto, che dopo Auschwitz non si possa più scrivere alcuna poesia – frase con cui ho voluto indicare il vuoto della cultura risorta –, d'altra parte, si debbono però ancora scrivere delle poesie, […] finché tra gli uomini c'è una coscienza del dolore, ci deve essere appunto anche l'arte come forma oggettiva di questa coscienza”. (Theodor W. Adorno, Metafisica. Concetto e Problemi).

• «Il dire che dopo Auschwitz non si possono scrivere più poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena» (Theodor W. Adorno, Note sulla letteratura 1961-1968).

• «il dolore che si perpetua ha lo stesso diritto a esprimersi che ha il martoriato a urlare; può dunque essere sbagliato affermare che dopo Auschwitz non si potrebbero più scrivere poesie», Theodor W. Adorno, Dialettica negativa)

• Von Schwelle zu Schwelle (Di soglia in soglia, 1955). • Sprachgitter (Grata di parole, 1959), • Niemandsrose (La rosa di nessuno, 1963) • Atemwende (Svolta del respiro, 1967) • Weggebeizt (Corrosa e scancellata, 1967) di Svolta del respiro:

In fondo al crepaccio del tempo,

presso il favo di ghiaccio, attende, cristallo di respiro, la tua irrefutabile testimonianza.

• «cristallini angeli di lettere» (Così Nelly Sachs, si riferì in una lettera a Celan del 3.9.1959 al linguaggio di Grata di Parola)

• «le mille e mille tenebre di un discorso gravido di morte» (Celan, Il meridiano, 1960) • “il Lenz büchneriano, la büchneriana figura, la persona che avevamo avuto modi di

conoscere nella prima pagina del racconto, il Lenz che «al 20 di gennaio andava attraverso i monti», egli – non l’artista, non il disputante su cose dell’Arte, egli in quanto un io” (Celan, Il meridiano, 1960) .

• Tübingen, Jänner (Tubinga, Gennaio, 1961), apparsa ne La rosa di nessuno, in cui Celan si riferisce a Friedrich Hölderlin:

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Tübingen, Jänner

Zur Blindheit über redete Augen. Ihre - ‘ein Rätsel ist Rein- entsprungenes’–, ihre Erinnerung an schwimmende Hölderlintürme, möwen- umschwirrt. Besuche ertrunkener Schreiner bei diesen tauchenden Worten: Käme, käme ein Mensch, käme ein Mensch zur Welt, heute, mit dem Lichtbart der Patriarchen: er dürfte, spräch er von dieser Zeit, er dürfte nur lallen und lallen, immer-, immerzuzu.

(‘Pallaksch. Pallaksch.’)

A cecità con- vinti occhi. Il loro – “enigma è un’origine pura” – , il loro ricordo di torri Hölderlin riflesse, tra gabbiani sfreccianti. Visite di marangoni affogati con queste inabissanti parole: Venisse, venisse un uomo, venisse al mondo un uomo al mondo, oggi, con la barba di luce che fu dei patriarchi: potrebbe, se parlasse di questo tempo, solamente bal- balbettare conti-, conti-, nuamente, mente. (“Pallaksch. Pallaksch.”)

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• « sono incontri, vie che una voce percorre incontro a un tu che la percepisce, vie creaturali,

forse progetti di esistenza, un proiettarsi oltre di sé per trovare se stessi, una ricerca di se stessi … un rimpatrio» (Celan, Il meridiano, 1960)

9. Luoghi della memoria • Glas (1974) di Jacques Derrida: “monumémoire” = lo spazio mentale in cui vengono

involontariamente preservati i ricordi di un evento. • Les lieux de mémoire (1984-1992) di Pierre Nora

• Tre tipologie di “luoghi della memoria”:

1) luoghi materiali: i monumenti, i musei, gli archivi e le biblioteche, ovvero quegli

spazi delimitati nei quali prevale la relazione della memoria con la storia; detto con le parole di Nora i “luoghi materiali” rappresentano “la materia di cui è costituita la storia”. Anche i luoghi commemorativi, come i memoriali e i cimiteri di guerra, rientrano in questa prima suddivisione, seppure con differenti accezioni religiose e sacrali in base all’episodio collettivo che sono chiamati a ricordare. “Si tratta, qui, di testi della memoria culturale, di ‘mnemotopi’,” (Jan Assmann) che contribuiscono alla fondazione dell’identità nazionale e hanno anche una funzione pedagogica, nel momento in cui, gettando luce sul passato, hanno il compito di istruire le generazioni future.

2) luoghi simbolici: gli anniversari e i pellegrinaggi che hanno lo scopo di cartografare

la geografia mentale del ricordo di una collettività. Questi luoghi astratti intendono rievocare episodi fondativi dell’identità nazionale e, per questo motivo, si richiamano alle intuizioni di Walter Benjamin relative al verbo “Eindenken”, inteso come atto di “rimemorazione” con intensa partecipazione emotiva di momenti importanti del vissuto soggettivo o collettivo. Essi trovano anche corrispondenza nella lezione di Paul Ricoeur relativa al “tempo del calendario”, secondo la quale l’iterazione a scadenze fisse della commemorazione di avvenimenti ha il compito di sedimentarne il ricordo dell’accadimento stesso nella memoria collettiva di un determinato gruppo sociale.

3) luoghi funzionali: le autobiografie, i diari collettivi, ‘volumi di inchiesta’ che

problematizzano la relazione fra memoria e scrittura, dall’altro, le istallazioni, i film, i radiodrammi (Wolfgang Borchert, Draussen vor der Tür, 1947), le rappresentazioni teatrali e le esposizioni artificialmente allestite per ricordare un evento (Pietre d’inciampo / museo ebraico: faccette). Per la prima tipologia di “luoghi funzionali” della memoria un esempio paradigmatico è riconoscibile in Haben Sie davon gewusst? e nei diari collettivi, relativi ad episodi cruciali della seconda guerra mondiale, del progetto-Echolot (1993-2005) di Walter Kempowski. Sono per la seconda è indicativo il monumentale film Shoah (1985) di Claude Lanzmann (LaCapra 1998, pp. 95-138).

• Spazi urbani come Berlino, Dresda, Amburgo, Londra e Coventry si impongono

all’attenzione della cultura contemporanea come luoghi della memoria controversa,

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soprattutto per il fatto che “gli abitanti di una città prestano un’attenzione sicuramente molto diseguale al suo aspetto materiale” (M. Halbwachs, La mémoire collective 1950). Sui luoghi metropolitani, che sono stati teatro della distruzione causata dal secondo conflitto mondiale, si sono, infatti, sedimentate stratificazioni di diverse memorie di gruppo: vincitori e vinti, vittime e carnefici (Assman, Frevert, Geschichtsvergessenheit - Geschichtsversessenheit: Vom Umgang mit deutschen Vergangenheiten nach 1945:

1) Opfergedächtins 2) Tätergedächtnis 3) Verlierergedächtnis 4) Sigergedächtnis

• In questi luoghi si impone una modalità diversa per interrogare e ritrovare il tempo perduto,

andandolo a cercare soprattutto nelle ferite ancora aperte del paesaggio, nelle fratture, nei suoi spazi vuoti che, con i loro silenzi carichi di assenza, con il loro senso di precarietà, sanno evocare allusivamente ciò che non è più e richiamarlo dentro il presente.

• L’operazione di recupero dei ricordi latenti nei luoghi della memoria è possibile affidandosi

all’aiuto di quegli “stabilizzatori di memoria” che Aleida Assmann, in un recente contributo intitolato per l’appunto Three Stabilizers of Memory: Affect - Symbol - Trauma (2003), ha individuato nell’emozione, nel simbolo e nel trauma.

• Fra i lieux de mémoire, Auschwitz ricopre una posizione centrale, in quanto bacino

paradigmatico di cristallizzazione della “memoria delle vittime” della storia. Luogo della memoria fisico e simbolico del più efferato crimine contro l’umanità, Auschwitz ha assunto diverse declinazioni nella scrittura del dopoguerra, che si è riproposta di attribuire al ricordo di questo campo di concentramento il valore di monito per il futuro.

• Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone (1998) di Giorgio Agamben: “zona

grigia” in cui, argomentando in merito alle modalità proposte da Primo Levi per testimoniare la Shoah, è riconosciuto un luogo “in cui si sonda la ‘lunga catena di congiunzione fra vittima e carnefici’, dove l’oppresso diventa oppressore e il carnefice appare a sua volta come vittima”. A fronte dell’esistenza di questa “zona di irresponsabilità e di ‘impotentia judicandi’”, lo studio di Agamben approda a sancire l’impossibilità di documentare la Shoah. Secondo Agamben, la vera testimonianza relativa alla persecuzione degli ebrei sarebbe custodita dai milioni di innocenti sterminati dai nazisti nelle camere a gas dei campi di concentramento.

• 1965: Peter Weiss ha ricostruito nella pièce teatrale Die Ermittlung. Oratorium in 11

Gesängen, ovvero in un “luogo funzionale” della memoria, la topografia del campo di Auschwitz.

1) Modello dantesco della Divina commedia e collocando in spazi fisicamente

delimitati le vittime, i carnefici e i fiancheggiatori della Shoah. 2) Questi luoghi materiali del ricordo, come la banchina di arrivo dei treni speciali -

immagine con cui si apre l’opera di Weiss -, non sono però entrati nella memoria collettiva e culturale solamente attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, ma anche tramite i documenti ufficiali e i protocolli nazisti relativi alla Shoah.

3) Come lo scrittore ha compreso, è possibile ricostruire il ricordo effettivo della persecuzione ebraica a patto che ci si affidi alla sinergia fra fonti storico-documentarie d’archivio (“luoghi materiali”) e memorie collettive (“luoghi

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simbolici”); significativo che Weiss si sia avvalso della voce dei sopravvissuti e dei carnefici, dopo averla ascoltata come auditore ai processi di Francoforte celebrati fra il 1963 e il 1965, per descrivere Auschwitz in una forma letteraria che oscilla fra l’allegoria e il protocollo.

4) Undici canti, in cui la pièce è strutturata, si svolgono così in luoghi differenti del campo di concentramento che si caricano di un valore simbolico e/o traumatico, che differisce in base al fruitore della rappresentazione.

5) Le scene di Die Ermittlung di Weiss veicolano così con particolare efficacia il carattere liminale dei luoghi della memoria, che assumono connotazioni differenti a seconda del soggetto o del gruppo sociale che si rapportano ad essi.

• Shoah: insuperata rappresentazione cinematografica di Claude Lanzmann della

persecuzione degli ebrei

1) si basa sul dialogo e sulla sovrapposizione di voci dei testimoni dell’Olocausto. 2) Auschwitz si connota come luogo della memoria attraverso la sinergia dei ricordi dei tedeschi, che hanno partecipato attivamente allo sterminio, degli ebrei, che sono sopravvissuti dall’Olocausto, e dei polacchi, che hanno assistito ai crimini del nazismo in silenzio.

• Come dimostrano questi due esempi, attorno ad Auschwitz si sono cristallizzate memorie

collettive di gruppi differenti, ma l’indecidibilità semantica di questo luogo della memoria non dipende solamente dalla compresenza di tali sedimentazioni di ricordi. L’eccezionalità di Auschwitz, inteso come lieu de mémoire, risiede paradossalmente in ciò che non è mai stato ricordato e che non potrà mai esserlo. Alle memorie collettive di coloro che vissero nel campo da carnefici e da torturati, si deve aggiungere quella dei testimoni radicali della Shoah, cioè degli ebrei che non tornarono da Auschwitz. In questo spazio simbolico del non detto e dell’indicibile, in limine fra “luogo della memoria” e “di transito” risiede l’unicità di Auschwitz.

10. W.G. Sebald: Storia naturale della distruzione (1999)

• «L’azione di distruzione, senza precedenti nella Storia fino allora, è entrata negli annali della nazione che si stava ricostruendo soltanto in forma di vaga generalizzazione, sembra quasi non avere lasciato traccia di dolore nella coscienza collettiva, è rimasta esclusa completamente dall’autocoscienza retrospettiva dei testimoni, non ha mai avuto un ruolo di rilievo nelle discussioni sviluppatesi sulla struttura interna del nostro Paese, non è mai, come avrebbe poi costatato Alexander Kluge, diventata una cifra leggibile pubblicamente; un fatto del tutto paradossale, se si pensa a quante persone giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno furono esposte a questa campagna».2

• «Invece di provare rimorso per la colpa che gravava, invece di provare vergogna e dolore per l’offesa e la perdita dei propri ideali, i tedeschi avrebbero rinnegato il loro passato, voltandogli emotivamente le spalle, e investito tutte le energie nella ricostruzione del loro Paese distrutto. La mancata rielaborazione del lutto avrebbe tuttavia generato un immobilismo psicologico che con effetto paralizzante avrebbe influenzato nel presente la vita politica».3

2 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione [1999], Milano 2004, p. 12. 3 G. Butzer, Fehlende Trauer. Verfahren epischen Erinnerns in der deutschsprachigen Gegenwartsliteratur,

München 1998, p. 49.

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• «Il lutto è un processo psichico in cui un individuo impara lentamente a sopportare e

rielaborare la perdita attraverso l’aiuto di un ripetuto e doloroso processo di rimemorazione, per essere in grado poi di riallacciare rapporti vitali con le persone e le cose del suo ambiente».4

• «In virtù di una tacita intesa, per tutti valida allo stesso modo, lo stato di annichilimento

materiale e morale in cui versava l’intero paese, non doveva essere descritto. L’atto conclusivo della distruzione – quale fu vissuto dalla quasi totalità dei tedeschi – restò così, nei suoi aspetti più foschi, un infamante segreto di famiglia, su cui gravava una sorta di tabù, un segreto che probabilmente non si poteva confessare nemmeno a se stessi».5

• «Già durante la notte e alle prime luci dell’alba erano arrivati i primi sfollati. Alcuni scalzi e

in pigiama, così come erano saltati dal letto per scappare in strada. Con sé portavano un silenzio sinistro. Nessuno osava dare domande mentre sedevano muti sul ciglio della strada. Anche solo a volere offrire loro aiuto sembrava di fare troppo rumore. […] Non si sentiva un lamento, non una lacrima, scendevano senza una parola e si lasciavano condurre via».6

• «Queste opere compilatorie servirono […] a depurare o smaltire un sapere eccedente le

normali capacità di un’intelligenza media e non a comprendere meglio quale incredibile bravura nell’anestetizzare se stessa avesse dimostrato una comunità che pareva uscita da quella guerra di annientamento senza particolari danni psicologici».7

• «la corrente di energia psichica […] che ha la sua fonte nel segreto – di cui nessuno parla –

dei cadaveri murati nelle fondamenta del nostro edificio statale: un segreto che compattò strettamente i tedeschi nei primi anni del dopoguerra e che ancor oggi li unisce più di quanto non sia mai riuscito a fare un fine positivo, quale potrebbe essere, ad esempio, la realizzazione della democrazia».8

• «Da che cosa sarebbe dovuta cominciare una storia naturale della distruzione? Da uno

sguardo d’insieme sulle premesse tecniche, organizzative e politiche che consentono di realizzare attacchi aerei su larga scala? O da una descrizione scientifica del fenomeno – sino allora sconosciuto – delle tempeste di fuoco, che tracciasse la mappa, in termini patologici, delle specifiche cause di morte? Oppure da studi comportamentali sull’istinto di fuga e su quello del ritorno?».9

• «Ratti e mosche avevano preso possesso della città. Pingui e insolenti, i ratti scorrazzavano

per le strade. Ma ancora più disgustose erano le mosche. Grosse, di un verde iridescente, come mai si erano viste. A Grumi si voltolavano sul selciato, so posavano sulle rovine per accoppiasi e si riscaldavano, pigre e satolle, sui vetri in frantumi delle finestre. Quando ormai non riuscivano più a levarsi in volo, strisciavano dietro di noi attraverso le piccole crepe, imbrattando ogni cosa. E a colpirci per primi l’udito al nostro risveglio erano il loro fruscio e il loro ronzio. Andò avanti così fino a ottobre».10

4 M. Mitscherlich, Erinnerungsarbeit. Zur Psychoanalyse der Unfähigkeit zu trauern, Frankfurt a. M. 1987, p. 114. 5 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 23. 6 H. E. Nossack, La fine. Amburgo 1943 [1948], Bologna 2006, p. 49. 7 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 24. 8 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 25. 9 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 43. 10 H. E. Nossack, La fine. Amburgo 1943, op. cit., p. 80.

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• «E poi quell’odore di suppellettili carbonizzate, di marcio e di putrefazione che aleggiava sulla città. Un odore che era visibile nella forma di una polvere di malata secca e rossiccia che soffiava sopra ogni cosa. Dentro di noi si svegliò d’improvviso un desiderio di profumo».11

• «A poco a poco la fermata si riempì di gente; non si capiva da dove veniva, sembrava

crescere dalle colline, invisibile, silenziosa, sembrava risorgere da questa piana dal nulla, fantasmi con un percorso e una meta incomprensibili: figure con pacchetti e sacchi, cartoni e scatole, la cui unica speranza sembrava essere l’insegna di cartone giallo con la grande H verde; comparivano senza far rumore e si radunavano mute in un blocco compatto, che si animava soltanto quando si udivano il cigolio e lo scampanellio del tram…».12

• «Nel deserto che si stendeva sotto di noi si distingueva solo il portale del Konventgarten.

Proprio lì, ad aprile, avevamo sentito i concerti di Brandeburgo. E una cantante cieca aveva intonato i versi: “Ecco, il tempo del duro soffrire principia di nuovo”. Semplice e sicura, stava in piedi appoggiata al cembalo, e i suoi occhi spenti guardavano di là dalle cose senza importanza per le quali noi già allora tremavamo, forse rivolti al punto in cui ci ritroviamo adesso. E ad avvolgerci, ormai, è solo un mare di pietre».13

• «Se avesse un senso stabilire quale forma di letteratura sia oggi indispensabile,

indispensabile a un uomo che sa e non chiude gli occhi, si dovrebbe dire: è questa».14

• «Un serbatoio d’alcol sepolto ritornò alla luce, si srotolò come mica in una mano ardente, e si liquefece in un un Halemaumau (da esso colavano ruscelli di fuoco: un poliziotto pose costernato un freno a quello di destra e vaporizzò in servizio. Una grassa nuvola si drizzò sul deposito, gonfiò la pancia sferica e ruttò verso l’alto la testa di torta, fece una risata gutturale: omamma!, e gloglottò braccia e gambe sottosopra, si voltò in qua steatopigia, e spezzettò intere carrettate di tubi di ferrò, senza fine, la connaisseuse, tanto che i cespugli accanto a noi riverirono e cicalarono».15

• «È solo nell’approccio documentario – il cui precursore è il Nossack di Der Untergang -

che la letteratura tedesca del dopoguerra acquista davvero coscienza di sé e affronta seriamente lo studio di materiali non valutabili con i criteri dell’estetica tradizionale».16

• «si vede come la storia dell’industria e ciò che è diventato esistenza oggettiva dell’industria

sia come un libro aperto delle forze della coscienza umana, come sia la psicologia umana di cui disponiamo sensibilmente».17

• «E tuttavia perfino in lui – in lui che è il più spregiudicato fra tutti gli scrittori -, si affaccia

il sospetto che la disgrazia di cui siamo noi stessi causa non possa insegnarci nulla: ecco perché continuiamo ad avanzare, incorreggibili, su piste battute che si ricollegano – appena accennate – all’antica rete di comunicazione».18

11 H. E. Nossack, La fine. Amburgo 1943, op. cit., p. 80. 12 H. Böll, L’angelo tacque, Torino 1996, p. 46. 13 H. E. Nossack, La fine, op. cit., p. 88. 14 E. Canetti, Il diario da Hiroschima del dottor Hachiya, in Potere e Sopravvivenza. Saggi, Milano 1974, p. 148: 15 A. Schmidt, Dalla vita di un fauno [1953], Caserta 2006, p. 98. 16 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., pp. 64-65. 17 A. Kluge, L’incursione aerea su Halberstadt. 8 aprile 1945 [1977], in Nuove storie, Milano 1982, p. 80. 18 W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 72.

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• W. G. SEBALD, Luftkrieg und Literatur, op. cit., p. 83; trad. it., Storia naturale della distruzione, op. cit., pp. 74-75: «Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una zona che si estende lungo il margine settentrionale delle Alpi, zona largamente risparmiata dalle immediate conseguenze delle cosiddette operazioni militari. Alla fine della guerra avevo appena un anno ed è quindi difficile che, di quell’epoca segnata dalla distruzione, io possa avere serbato impressioni fondate su eventi reali. Eppure ancora oggi, quando guardo fotografie o documentari del periodo bellico, ho come la sensazione di esserne il figlio, come se di là, da quegli orrori che non ho vissuto, cadesse su di me un’ombra alla quale non potrò mai sfuggire del tutto».

• W. G. SEBALD, Luftkrieg und Literatur, op. cit., p. 86; trad. it., Storia naturale della distruzione, op. cit., p. 77: «Tali sono gli abissi della Storia: tutto vi giace alla rinfusa e, se si cala lo sguardo per arrivare al fondo, si è colti da un senso di orrore e di vertigine».

• W. G. SEBALD, Schwindel. Gefühle, op. cit., p. 213; trad. it., Vertigini, op. cit., p. 166: «In quasi tutti i cinegiornali, poi, si vedevano i cumuli di macerie di cui erano disseminate città come Amburgo e Berlino, e che per lungo tempo non avevo collegato ai bombardamenti degli ultimi anni di guerra, dei quali io nulla sapevo, ritenendoli piuttosto una circostanza per così dire naturale, tipica delle grandi città».

• V. HAGE, Hitlers pyromanische Phantasien: W. G. Sebald, in ID., Zeugen der Zerstörung. Die Literaten und der Luftkrieg, op. cit., p. 261: «Ci spostammo dalla stazione centrale verso Marienplatz e mi ricordo di avere percorso l’intero tragitto passando per lo Stachus attraverso montagne di macerie e che questi mucchi di detriti erano molto alti, sempre dalla prospettiva di un bambino; e che né mio padre né alcun altro ha speso una parola a tale riguardo. Perciò l’ho sempre ritenuta una condizione naturale delle grandi città».

• W. G. SEBALD, Die Ausgewanderten. Vier lange Erzählungen, op. cit., pp. 45-46; trad. it., Gli emigrati, op. cit., pp. 33-34: «Nel dicembre 1952 noi ci trasferimmo dal villaggio W. nella cittadina di S., a diciannove chilometri di distanza. […] Quando infine attraversammo il ponte sull’Ach entrando a S., che allora non era ancora affatto una città vera e propria, ma semplicemente una borgata un po’ migliore, di forse novemila abitanti, ero ricolmo della chiarissima sensazione che lì per noi avrebbe avuto inizio una vita nuova, dinamica e metropolitana, i cui segni infallibili credetti di riconoscere nei cartelli stradali smaltati in blu, nell’orologio gigantesco del vecchio edificio della stazione e nella facciata, per me assolutamente imponente, del Wittelsbacher Hof. Particolarmente promettente tuttavia mi sembrò il fatto che le file delle case fossero interrotte qua e là da terreni ricoperti di rovine, perché nulla, da quando ero stato una volta a Monaco, si collegava per me chiaramente alla parola città quanto le macerie, i muri bruciati e i vani delle finestre attraverso i quali si poteva vedere l’aria vuota».

• W. G. SEBALD, Die Ringe des Saturn. Eine englische Wallfahrt, op. cit., pp. 52-54; trad. it., Gli anelli di Saturno. Un pellegrinaggio in Inghilterra, op. cit., pp. 39-40: «Non appena capì di dove ero, iniziò a raccontare che, negli ultimi anni di scuola e nel successivo periodo di apprendistato niente lo aveva appassionato di più delle incursioni aeree contro la Germania che partivano dai sessantasette campi d’aviazione predisposti dopo il 1940 in East Anglia. Ormai, diceva Hazel, non si ha più un’idea esatta delle dimensioni di quell’impresa. […] Addirittura, quando all’inizio degli anni cinquanta mi trovavo a Lüneburg con le truppe di occupazione, appresi il tedesco in qualche misura, per poter leggere i resoconti scritti dai tedeschi stessi sulle incursioni aeree e sulla vita nelle città distrutte. Con mio grande stupore dovetti in seguito constatare che la ricerca di tali cronache non portava mai a nessun

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risultato. Sembra che nessuno allora abbia sentito o ricordato qualcosa. E anche se si chiedeva alla gente, era come se nelle loro teste fosse stato cancellato tutto».

• W. G. SEBALD, Die Ausgewanderten, op. cit., pp. 74-75; trad. it., Gli emigrati, op. cit., p. 52: «sa, la meticolosità con cui questa gente negli anni successivi alla distruzione ha taciuto, nascosto e, a quanto a me pare, davvero dimenticato tutto, è solo il rovescio della medaglia del modo in cui, per esempio, il proprietario del caffè Schöferle di S. aveva fatto notare alla madre di Paul, che si chiamava Thekla e per un certo periodo aveva calcato le scene del teatro civico di Norimberga, che la presenza di una signora sposata con un mezzo ebreo sarebbe potuta riuscire sgradita alla sua clientela borghese e quindi la pregava con la massima gentilezza, com’è ovvio, di desistere dalla sua quotidiana frequentazione del caffè. Non mi meraviglia che le siano rimaste ignote le azioni vili e meschine alle quali era esposta una famiglia come quella dei Bereyter in un miserabile buco di provincia quale allora era S., che è rimasto immutato a dispetto del cosiddetto progresso; non mi meraviglia perché è nella logica dell’intera storia».

11. Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz

• «Quel giorno [...] Austerlitz parlò ancora a lungo delle tracce di sofferenza che, come lui dava per certo, attraversano la storia con infinite linee sottili» (Austerlitz, p. 21)

• “nel 1940 i Tedeschi, subito dopo averlo costretto alla resa per la seconda volta nella sua storia, vi avevano organizzato un lager, che rimase in attività sino all’agosto del 1944”. W.G. Sebald, Austerlitz, p. 26.

• “spaventosa vicinanza fra vittima e carnefice, della tortura cui egli era stato sottoposto a

Breendonk”. Ivi, p. 33. • “nei confronti di Jean Améry non è diretto tanto all’analisi delle sue opere, quanto a

riflettere sullo storicismo con cui egli ha affrontato a posteriori il pensiero della tortura e delle umiliazioni che gli sono state inflitte nei campi di concentramento, e a riconoscergli il merito di avere rotto il silenzio sui crimini nazisti in Germania dopo un lungo periodo di apparente amnesia”. (E. Agazzi, Riti antichi e persistenza del passato. Il percorso interrotto nell’opera-testamento Campo Santo, in Id., La grammatica del silenzio di W.G. Sebald, Roma 2007, p. 126).

• Analisi di Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz (1977)

12. Fotografia e memoria • Siegfried Kracauer (1889-1966): La fotografia (1927) • Walter Benjamin (1892-1940):

- Piccola storia della fotografia (1931) - L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936)

• Kurt Tucholsky (1890-1935) : Deutschland, Deutschland, über alles (1929)

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• Maurice Halbwachs (1877-1945):

- I quadri sociale della memoria (1925) - La memoria collettiva (1950)

• Aby Warburg (1866-1929): Mnemosyne (1924-1929) • Gerhard Richter, Atlas (1961)

• “il passato non getta la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma

immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità”. (W. Benjamin, I “passages” di Parigi)

• “come bisogna introdurre un germe in un ambiente saturo perché questo cristallizzi, allo

stesso modo in [un] insieme di testimonianze a noi esteriori bisogna poter aggiungere come un seme di rimemorazione, perché esso si rapprenda in una massa consistente di ricordi”. (M. Halbwachs, La memoria collettiva)

• La fotografia “appartiene a quella classe di oggetti fatti di strati sottili” (Barthes, La camera

chiara, 1980): a) evoca a un individuo o una collettività un evento vissuto nel passato; b) richiama alla mente un episodio di cui non esiste più “ricordo vivente”, configurandosi come traccia della memoria storica; c) immortala il lacerto di un patrimonio, di una temperie culturale o di un evento epocale.

• una fotografia può essere l’oggetto di tre pratiche (o tre emozioni, o tre intenzioni): fare,

subire, guardare. L’Operator è il Fotografo. Lo Spectator, siamo tutti noi che compulsiamo, nei giornali, nei libri, negli archivi, nelle collezioni fotografiche. E colui, o ciò che è fotografato, è il bersaglio, il referente, sorta di piccolo simulacro, di eidòlon emesso dall’oggetto, che io chiamerei volentieri lo Spectrum della Fotografia, dato che attraverso la radice questa parola mantiene un rapporto con lo ‘spettacolo’ aggiungendovi quella cosa vagamente spaventosa che c’è in ogni fotografia: il ritorno del morto. (R. Barthes, La camera chiara)

• “si direbbe che la Fotografia porti sempre il suo referente con sé, tutti e due contrassegnati

dalla medesima immobilità amorosa e funebre” (R. Barthes, La camera chiara) • Punctum: “puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio, (...) fatalità che, in essa, mi

punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)” (R. Barthes, La camera chiara) • Studium: “il vastissimo campo del desiderio noncurante, dell’interesse diverso, del gusto

incoerente” (R. Barthes, La camera chiara) • “ogni fotografia è un memento mori […] un rito sociale, una difesa dall’angoscia e uno

strumento di potere”(S. Sontag, Sulla fotografia, 1977) • “guardando le immagini in esso contenute avevo e ho tuttora l’impressione che i morti

ritornino o che siamo noi in procinto di recarci da loro” (W.G. Sebald, Gli emigrati)

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• le immagini sono al tempo stesso modelli, esempi e una sorta di dottrina. In esse si esprime l’atteggiamento generale del gruppo; esse non riproducono soltanto la sua storia, ma definiscono anche la sua natura, le sue qualità e le sue debolezze. (M.Halbwachs, La memoria collettiva)

• “ri-conoscere per immagini significa ricollegare l’immagine (percepita o evocata) di un

oggetto ad altre immagini che con esse formano un insieme, come un quadro, è ritrovare i legami di questo oggetto con altri oggetti che possono essere anche dei pensieri o dei sentimenti” (M. Halbwachs La memoria collettiva)

• “È la realtà che viene esaminata e valutata secondo la sua fedeltà alle fotografie […]. Invece

di accontentarsi di registrare la realtà, le fotografie sono diventate il modello di come ci appaiono le cose, modificando così il concetto stesso di realtà, e di realismo.” (S. Sontag, Sulla fotografia)

• “la riproduzione infatti finisce per sostituirsi totalmente al ricordo che abbiamo di qualcosa,

anzi, si potrebbe addirittura dire che lo distrugge” (W.G. Sebald, Vertigini) • "Non siamo davanti all’immagine come davanti a una cosa di cui possiamo tracciare le

frontiere esatte. Un’immagine, ogni immagine, è il risultato di movimenti provvisoriamente sedimentati o cristallizzati al suo interno“ (Georges Didi-Huberman L’immagine insepolta. Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell'arte, 2002)

• La Fotografia è inclassificabile perché non c'è nessuna ragione di contrassegnare tale o

talaltra delle sue occorrenze […] le fotografie sono segni che non si rapprendono bene, che vanno a male, come il latte. Qualunque cosa essa dia da vedere e quale che sia la sua maniera, una foto è sempre invisibile: ciò che noi vediamo non è lei. (Roland Barthes, La camera chiara)

• La scritta "Arbeit mach frei" significa Auschwitz, Auschwitz significa la Shoah: e queste

sono le colonne d'Ercole oltre le quali l'umanità intera è entrata in una nuova storia, ha scoperto il paesaggio devastato del mondo nuovo, ha saputo che Dio era morto. A chi voleva continuare a vivere in un mondo dove si respirava un'aria densa delle ceneri di milioni di morti, si impose un solo comandamento: ricordare. Uno solo: ma non fu facile accettarlo. Adriano Prosperi, Le colonne d’Ercole del Novecento, in “La Repubblica”, 19/12/2009