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133 LA SAPIENZA CROCE della Direttore responsabile Adolfo Lippi c. p. Direttore amministrativo Vincenzo Fabri c. p. Cattedra Gloria Crucis Comitato scientifico Fernando Taccone c. p. - Piero Coda Antonio Livi - Denis Biju-Duval Adolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p. A. Maria Lupo c. p. Segretari di redazione Carlo Baldini c. p. - Gianni Sgreva c. p. A. Maria Lupo c. p. - Franco Nicolò Lucia Ulivi Collaboratori Tito Amodei - Max Anselmi - Carlo Baldini Vincenzo Battaglia - Luigi Borriello Maurizio Buioni - Giuseppe Comparelli Massimo Pasqualato - G. Marco Salvati Salvatore Spera - Flavio Toniolo Gianni Trumello - Tito Zecca Redazione: La Sapienza della Croce Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13 00184 Roma Tel. (06)77.27.14.74 Fax 700.80.12 e-mail: sapienzadellacroce@ tiscali.it http./www.passionisti.it Abbonamento annuale Italia 20,00, Estero $ 30 Fuori Europa (via aerea) $ 38 Singolo numero 5,00 C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma Finito di stampare dicembre 2009 Stampa: Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te) Progetto grafico: Filomena Di Camillo Impaginazione: Florideo D’Ignazio ISSN 1120-7825 Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a cura dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis della Pontificia Università Lateranense ANNO XXIV - N. 4 OTTOBRE-DICEMBRE 2009 SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA Tematiche teologiche in relazione all’Eucaristia di MAURIZIO BUIONI C.P. La teologia contenuta nel testo delle costituzioni dei passionisti di ADOLFO LIPPI C.P. PASTORALE e SPIRITUALITÀ «Nelle carceri naziste con San Paolo» La testimonianza di Max Josef Metzger di LUBOMIR ZAK SALVEZZA E CULTURE Il fascismo e la stampa cattolica durante la seconda Guerra Mondiale La soppressione de L’Eco di S. Gabriele dell’Addolorata di GIOVANNI DI GIANNATALE Un sacerdote artista per ogni Diocesi di TITO AMODEI C.P. Dell’arte e dell’artista di ELISABETTA V ALGIUSTI RECENSIONI SCHEDE BIBLIOGRAFICHE Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009 3-25 27-52 53-83 85-104 105-112 119 113-117

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LASAPIENZA

CROCEdella

Direttore responsabileAdolfo Lippi c. p.

Direttore amministrativoVincenzo Fabri c. p.

Cattedra Gloria CrucisComitato scientificoFernando Taccone c. p. - Piero Coda Antonio Livi - Denis Biju-DuvalAdolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p.A. Maria Lupo c. p.

Segretari di redazioneCarlo Baldini c. p. - Gianni Sgreva c. p.A. Maria Lupo c. p. - Franco NicolòLucia Ulivi

CollaboratoriTito Amodei - Max Anselmi - Carlo BaldiniVincenzo Battaglia - Luigi BorrielloMaurizio Buioni - Giuseppe ComparelliMassimo Pasqualato - G. Marco SalvatiSalvatore Spera - Flavio TonioloGianni Trumello - Tito Zecca

Redazione:La Sapienza della CrocePiazza SS. Giovanni e Paolo, 1300184 RomaTel. (06)77.27.14.74Fax 700.80.12e-mail: sapienzadellacroce@ tiscali.ithttp./www.passionisti.it

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C.C.P. CIPI n. 50192004 - RomaFinito di stampare dicembre 2009

Stampa:Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te)

Progetto grafico: Filomena Di Camillo

Impaginazione: Florideo D’Ignazio

ISSN 1120-7825

Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a curadei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis dellaPontificia Università Lateranense

ANNO XXIV - N. 4OTTOBRE-DICEMBRE 2009

SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA

Tematiche teologichein relazione all’Eucaristia

di MAURIZIO BUIONI C.P.

La teologia contenuta nel testodelle costituzioni dei passionisti

di ADOLFO LIPPI C.P.

PASTORALE e SPIRITUALITÀ

«Nelle carceri naziste con San Paolo»La testimonianza di Max Josef Metzger

di LUBOMIR ZAK

SALVEZZA E CULTURE

Il fascismo e la stampa cattolicadurante la seconda Guerra Mondiale

La soppressione deL’Eco di S. Gabriele dell’Addolorata

di GIOVANNI DI GIANNATALE

Un sacerdote artista per ogni Diocesidi TITO AMODEI C.P.

Dell’arte e dell’artistadi ELISABETTA VALGIUSTI

RECENSIONI

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in AbbonamentoPostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009

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di MAURIZIO BUIONI C.P.

Questo articolo si inserisce con una ricerca positiva (non spe-culativa o critica) all’interno di una progressiva riscoperta delleradici della fede cristiana nell’Antico Testamento in atto nellaChiesa. Non è un argomento di secondaria importanza, o cheinteressi soltanto gli specialisti. Il giusto radicamento del mes-saggio cristiano nella cultura nellaquale è nato e si è espresso nepermette la giusta comprensione.Questa, a sua volta, è condizionedell’efficacia spirituale del dono,nel mistero stesso di Dio.

ueste pagine vogliono

essere un invito ad appro-

fondire la Pasqua

d’Israele come Pasqua di Gesù e Pasqua della

Chiesa, e per questo presenteremo alcuni temi teo-

logico-liturgici in relazione all’Eucaristia.

La rinnovazione liturgica dell’Eucaristia non

può prescindere da un ritorno alle fonti, e il ritorno alle fonti cristia-

ne non può prescindere dal ritorno alle fonti ebraiche.

Oggi, per esempio, si sta scoprendo che non si possono capire i

vangeli, soprattutto San Giovanni, senza capire le feste ebraiche e,

nel nostro caso, non si può capire l’Eucaristia senza capire Pesah,

senza approfondire che cosa è Berakhà, Zikkaròn, esultanza, ecc...

Invitiamo, dunque, il lettore a compiere un viaggio ideale per

scoprire di nuovo l’Eucaristia: arrivare fino a Gerusalemme, salire

alla stanza superiore del Cenacolo, sederci a tavola con Gesù e gli

Apostoli nell’Ultima Cena. L’Ultima Cena di Gesù è dove si celebra

la prima Eucaristia cristiana.

“Fate questo in memoria di me”. Che cosa è “questo”? Questo

“questo” era capito molto bene dai primi cristiani, che erano ebrei, 3

sacrascritturaeteologia

TEMATICHETEOLOGICHEIN RELAZIONEALL’EUCARISTIA

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

teologia

Q

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sacrascrittura

eteologia

teologia4

Gesù, gli Apostoli, la Vergine Maria, gli evangelisti, le prime comu-

nità cristiane, soprattutto la prima comunità di Gerusalemme, la

Chiesa madre (“i santi”).

Adistanza di 40

anni dalla pro-

m u l g a z i o n e

della Dichiarazione

Nostra Aetate del

Concilio Vaticano II, sulle relazioni della Chiesa con le religioni

non-cristiane, il paragrafo 4 del documento conciliare esordiva con

le seguenti parole: «Scrutando attentamente il mistero della Chiesa,

questo sacro Sinodo non ha dimenticato il vincolo con cui il popolo

del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di

Abramo». Più avanti si rimarcava il grande «patrimonio spirituale

comune» tra cristiani ed ebrei.

Giovanni Paolo II ha fatto grandi passi nella direzione del rinno-

vamento conciliare. In un discorso del 6 marzo 1982, egli ha ribadi-

to l’importanza di quel considerevole patrimonio, aggiungendo che

«farne l’inventario in se stesso, tenendo però anche conto della fede

e della vita religiosa del popolo ebraico, così come esse sono profes-sate e vissute ancora adesso, può aiutare a comprendere meglio

alcuni aspetti della vita della Chiesa»1. Subito dopo il Papa ha

aggiunto: «È il caso della liturgia...». Tale affermazione rappresenta

un importante passo in avanti: se la ricerca storica circa l’Ebraismo

all’epoca del Secondo Tempio è di fondamentale importanza per la

comprensione del NT, della vita e della liturgia della Chiesa

Primitiva, non va trascurata la conoscenza della fede ebraica così

come essa è vissuta al presente2.

Il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II ha detto nella Sinagoga di

Roma che la realtà ebraica «non ci è estrinseca, ma in un certo qual

Il «patrimonio comune» liturgico

1 Cf. anche i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei edell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica (24Giugno 1986), I,2; CCC 1096.

2 Cf. A. RODRÍGUEZ CARMONA, “Jesucristo en y ante el judaísmo”, en Cristo.Camino, Verdad y Vida. Actas del Congreso Internacional de Cristología(Murcia 2003).

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teologia5

modo è intrinseca alla nostra religione»3. Nello stesso anno, la

Commissione per le relazioni religiose con l’Ebraismo ha pubblica-

to un documento intitolato Sussidi per una corretta presentazionedegli Ebrei e dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesidella Chiesa Cattolica. Il quinto capitolo è dedicato alla liturgia e in

particolare il paragrafo 24 al nostro tema della Pasqua:

I cristiani e gli ebrei celebrano la Pasqua: Pasqua della storia, protesa

verso l’avvenire, per gli ebrei; Pasqua realizzata nella morte e resurre-

zione di Cristo, per i cristiani, anche se ancora in attesa della consuma-

zione definitiva. È ancora il «memoriale» che ci viene dalla tradizione

ebraica con un contenuto specifico, diverso in ciascun caso. Esiste

dunque, dall’una e dall’altra parte, un dinamismo parallelo: per i cri-

stiani, esso dà un senso alla celebrazione eucaristica (cf. Antifona Osacrum convivium), celebrazione pasquale e, in quanto tale, attualizza-

zione del passato, vissuto nell’attesa «della sua venuta» (1Cor 11,26)4.

Non è nostro intento nel presente articolo affrontare la questione

se e in quale forma Gesù abbia celebrato il Seder Pasquale durante

la sua Ultima Cena. In ogni caso, non si può dubitare almeno del

fatto che Gesù abbia celebrato la sua Ultima Cena nel contesto della

Pasqua Ebraica e che abbia dato all’istituzione dell’Eucaristia unnetto significato pasquale. Pertanto, non è solo legittimo, ma anche

doveroso collocare l’Eucaristia nella cornice della Cena Pasqualeebraica5

. Così, ad esempio, si afferma in un recente articolo sul

tema:

3 Quanto quest’affermazione sia tenuta in conto dalla Chiesa è visibileanche concretamente, perché la Commissione per le relazioni religiose conl’ebraismo è un organismo che si trova all’interno del Segretariato per l’Unitàdei Cristiani.

4 Cf. anche CCC 1096.5 Così, ad es., in Lc 22,14: «Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli

apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questaPasqua con voi, prima della mia passione»; cf. anche Mt 26,18-19. Affermagiustamente J.K. HOWARD, «Passover and Eucharist in the Fourth Gospel», SJT20/3 (1967) 329-330: «It is clearly outside our province to argue whether theLast Supper was a genuine Passover meal or not, but whichever view of the mat-ter is taken, we cannot escape that obvious Paschal signification which Jesusgave to the bread and the wine» (cors. nostro).

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Indipendentemente dalla questione storica, per la comprensione del-

l’eucaristia non si può prescindere dalla cornice storico-salvifica della

Pasqua ebraica. E su questo si vedono d’accordo tutti gli evangelisti; il

sacrificio della croce costituisce il compimento di quello che prefigu-

rava l’immolazione dell’agnello, mentre l’ultima cena di Gesù si con-

figura come il pasto della nuova Pasqua6.

Ogni rinnovamento non può prescindere da un ritorno alle fonti.

Anche il rinnovamento liturgico dell’Eucaristia, Pasqua di Gesù e

Pasqua della Chiesa, non può prescindere da un ritorno alle fonti.

Ora, il ritorno alle fonti cristiane non può prescindere da un ritornoalle fonti ebraiche. Il rinnovamento dell’Eucaristia passa quindi

anche attraverso il ritorno alle fonti ebraiche, un cammino che, perquanto possa sembrare strano, è ancora lungo7

.

Il NT e la liturgia della Chiesa primitiva rimangono un enigma

per chi ignori non solo l’AT, ma anche il culto e la liturgia ebraica,

essendo la liturgia Parola celebrata, fatta carne, resa attuale e viva

nell’oggi del credente8. E nel contesto della conoscenza dell’AT, è di

grande importanza anche quella della sua interpretazione orale

ebraica, perché la Scrittura ai tempi di Gesù non era un testo

«nudo», ma era già rivestita di tutti gli «ornamenti» delle interpreta-

zioni della Torah orale9. Per illuminare la liturgia cristiana, in parti-

colare quella della Chiesa primitiva, è necessaria la conoscenzadella liturgia ebraica10

.

6 L.D. CHRUPCA∏A, «Fate questo in memoria di me», Studium BiblicumFranciscanum Liber Annuus 53 (2003) 141.

7 Così nota A. DI BERARDINO, «Tendenze attuali negli studi patristici», inComplementi interdisciplinari di Patrologia, (ed. A. Quacquarelli) (Roma 1989)38-39: «Lo schema del fecondo programma del “ritorno alle fonti”, che in largamisura ha condizionato e stimolato gli studi sul protocristianesimo, ha provoca-to un’uscita dagli steccati degli studi svolti prevalentemente in ambito latino egreco, indirizzandosi anche verso il cristianesimo delle aree orientali di altroretroterra linguistico: siriaco, copto, armeno, ecc. Tuttavia, tra le fonti, questoprogramma non ha incluso il giudaismo; si tratta perciò di un ritorno alle fontiincompiuto e imperfetto».

8 Cf. S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico. VII SettimanaBiblica del Clero Napoli, Luglio 1968 (Studi biblici pastorali 3; Brescia 1972) 16.

9 R. LE DÉAUT, «Targum», Dictionnaire de la Bible - Supplément XIII (Paris2002) 271. Ora, ogni volta rende più importante la “oralità”.

10 Come giustamente ha affermato L. BOUYER, Eucaristia. Teologia eSpiritualità della Preghiera Eucaristica (Torino 1969), 23: «Immaginare che la

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sacrascritturaeteologia

teologia7

Fatte queste premesse, nel presente articolo intendiamo appro-

fondire alcuni elementi antichi della liturgia della Pasqua Ebraica in

relazione alla Pasqua cristiana, per vedere come essi possano illumi-

nare il Sacramento dell’Eucaristia.

La Scrittura dà

un’et imologia

del termine

Pasqua: durante Pesahil Signore «è passato»

(pasah) sopra le case degli Israeliti, è passato oltre e non li ha colpi-

ti come ha fatto con i loro nemici, ma il suo passaggio ha costituito

per essi la liberazione (Es 12,27; cf. 12,13.23)11

. Filone Alessandrino

ha accentuato il fatto che la Pasqua non è solo il passaggio di Dio,

ma anche quello del popolo attraverso il Mar Rosso. Egli ha inter-

pretato la Pasqua come un esodo spirituale dalle passioni, dal pro-

prio io e dalla prigione del proprio corpo: si tratta di un «passaggio»

tutto spirituale, un’entrata nella luce e nella vita nuova12

.

Nella tradizione ebraica, la Pasqua è la festa primaverile, di

nascita del mondo, la festa della prima creazione, ma nello stesso

tempo quella della nuova creazione: l’uomo è chiamato a un esodo

spirituale, a divenire nuova creatura. Pesah significa pertanto pas-

saggio dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dall’ango-

scia del peccato (in ebraico Mizrayim, «Egitto», contiene in sé la

parola zarà, «angoscia») alla gioia della nuova creazione. Pasqua

è anzitutto il passaggio di Dio, passaggio che ha il potere di far

passare il popolo, di metterlo in cammino, di collocarlo in un nuovo

liturgia cristiana sia nata come da una specie di generazione spontanea, senzané padre né madre come Melchisedech, o attribuirle gratuitamente qualchepaternità putativa che dimenticasse definitivamente la percezione della suaautentica genealogia, equivarrebbe a ridurre, fin dall’inizio, tutte le ricostruzio-ni a una impalcatura di controsensi più o meno intelligente, più o meno inge-gnosa». Cf. anche R. LE DÉAUT, Liturgie Juive et Nouveau Testament (Roma1965) 12-16.

11 Quest’interpretazione era diffusa all’epoca del Secondo Tempio e inseguito, come testimonia la traduzione di Aquila (hyperbasis) e m.Pes 10,5: cf.R. CANTALAMESSA, La Pasqua della nostra salvezza (Torino 1971) 30.

12 Cf. FILONE, Spec. leg. II,145-147; De Migr. 25,14 ; Quaest. in Ex. I,4.

Pasqua: passaggio di Dioe «passaggio» dell’uomo

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teologia8

dinamismo, di aprirgli la possibilità di un ex-odòs, di un «cammino

fuori», insieme alla speranza di nuovi orizzonti inattesi e imprevedi-

bili. La Pasqua ha in sé un dinamismo infinito, perché è il memoria-

le del passaggio di Dio, la cui potenza dinamica è, per l’appunto,

infinita. Pasqua è quindi passaggio di Dio e passaggio del popolo e

dell’uomo: vero «ebreo» è colui che «passa oltre» con Dio (‘ivri«ebreo», evoca la radice ‘br «passare oltre»), che compie l’esodo

dal proprio Egitto, lasciandosi trascinare dalla forza divina liberatri-

ce, che è pura forza motrice e iniziativa gratuita. Ciò è ben espresso

da un passo della Mishnà, ripreso nell’Haggadah di Pasqua:

Per questo noi abbiamo il dovere di ringraziare, di cantare, di lodare, di

glorificare, di esaltare, di celebrare e di benedire colui che ha fatto, per

i nostri Padri e per noi, tutti questi miracoli. Ci ha condotti dalla schia-

vitù alla libertà, dall’angoscia alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tene-

bre alla luce, dalla schiavitù alla libertà. Cantiamo in suo onore,

Alleluia13

.

Questo brano ha un forte carattere liturgico, come testimonia

l’uso della prima persona plurale e l’invito alla lode. La redazione

della Mishnà risale al II° sec. d.C. Sappiamo però che la liturgia èconservatrice per natura, per cui è probabile che tale passo sia una

reliquia liturgica assai più antica.

Melitone da Sardi riprende questo canto liturgico nella sua

Omelia Pasquale e ne mostra il mirabile compimento in Gesù

Cristo14

:

Egli è colui che ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalle

tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannide al regno eterno15

.

La Pasqua cristiana è il passaggio di Gesù da questo mondo al

Padre (Gv 13,1). In questo passaggio, l’uomo è coinvolto, anzi tra-

sformato. La sua situazione esistenziale cambia radicalmente e le

porte del cielo sono aperte per lui.

13 m.Pes 10,5.14 Per un confronto tra l’Haggadà di Pasqua e l’Omelia Pasquale di

Melitone, cf. F. MANNS, La prière d’Israel à l’heure de Jésus (Jerusalem 1986)200-206.

15 Cf. Perì Páscha 68. Cf. anche 1Pt 2,9-10.

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sacrascritturaeteologia

teologia9

L’immolazione

dell’Agnello era

di eccezionale

importanza nella

Pasqua ai tempi di

Gesù. Nella tradizione orale ebraica, e in particolare in quella targu-

mica, l’agnello è paragonato a Isacco. Il Targum Neofiti mette in

bocca di Abramo queste parole: «Dio provvederà l’agnello per l’olo-

causto, altrimenti sarai tu l’agnello dell’olocausto»16

. E subito

dopo, Isacco chiede al padre: «Abbà! Legami bene, non sia che io

non recalcitri e sia reso vano il tuo sacrificio»17

. Secondo la tradizio-

ne ebraica, Abramo offre Isacco nel monte del futuro Tempio di

Gerusalemme, il giorno 14 di Nisan. Questa tradizione risale alme-

no a un secolo prima di Cristo, perché si trova nel Libro dei Giubileisecondo cui il sacrificio d’Isacco è avvenuto durante la Pasqua, in

Sion18

: «La legatura d’Isacco è il primo sacrificio pasquale»19

.

Isacco è così un simbolo dell’agnello pasquale che si doveva sce-

gliere bene20

, portare nel Tempio perché fosse legato e immolato.

L’agnello pasquale, pertanto, era già personificato all’epoca di

Gesù.

L’agnello doveva essere tamim, «integro» e senza macchia (Es

12,5). Ora, questo termine è usato nell’AT sia per le vittime sacrifi-

cali, che devono essere perfette e immacolate21

, come anche per

l’uomo giusto e innocente22

. La particolare perfezione dell’agnello

era dovuta al fatto che è un animale mite e non recalcitra né si ribel-

la dinanzi all’uccisore. Secondo la tradizione ebraica, Isacco aveva

trentasette anni nel momento del suo sacrificio. La perfezione

16 TgNGn 22,8.17 TgNGn 22,10; cf. anche la versione di TgJ.18 Cf Jub 49,15.19 F. MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du judaïsme (Jerusalem 1991)

425.20 Per rendersi conto della minuziosa scelta di un oggetto della festa, basti

notare come gli ebrei ortodossi scelgano l’ethrog (cedro) all’inizio della festa diSukkot. Con quanta maggior cura si sarà esaminato l’agnello, che doveva esse-re senza alcuna macchia (Es 12,5)!

21 Cf. ad es. Lv 1,3.10; 3,1.6; 4,3.23; 5,15.18.25; 22,19.21; 23,12; Nm6,14.

22 Cf. ad es. Gn 6,9; 17,1; Dt 18,13; 2Sam 22,24.26.

L’immolazione dell’Agnelloe l’Aqedà d’Isacco

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teologia10

d’Isacco è dovuta all’intenzione del suo cuore (kawwanà) e alla sua

offerta, totalmente libera, alla passione. Abramo e Isacco si avviava-

no al monte del Tempio con «cuore perfetto»23

. La tradizione del-

l’offerta libera d’Isacco era diffusa all’epoca del Secondo Tempio,

come testimonia anche Giuseppe Flavio24

. Questa tradizione è pas-

sata ai primi cristiani. Clemente scrive nella sua Lettera ai Corinzi:«Isacco, conoscendo il futuro, con fiducia si fece volentieri condur-

re al sacrificio»25

.

L’immolazione dell’agnello avveniva nel Tempio, «tra le due

sere» (come prescrive letteralmente Es 12,6) e il sangue dell’agnel-

lo era asperso sull’altare. Nell’immolazione dell’agnello ogni israe-

lita era chiamato a sentirsi come Abramo e come Isacco (perché ciò

che avveniva nei Padri era un segno per i figli). Ma non solo. Filone

sottolinea che ogni ebreo è al tempo stesso Abramo e sacerdote26:

egli doveva immolare la vittima di propria mano27

. Si tratta di un

popolo sacerdotale, che partecipa attivamente alla liturgia.

Secondo Giovanni, Gesù è il Nuovo Isacco e il Nuovo Agnello

Pasquale. Egli è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv

1,29.36). Abramo ha visto il suo giorno e se ne rallegrò (Gv 9,56),

il che vuol dire che è il Nuovo Isacco. Egli è legato nel giardino (Gv

18,12) e portato al processo, esaminato come un agnello. Gesù è

portato al sacrificio, nell’ora in cui si cominciava ad immolare

l’agnello nel Tempio (Gv 19,14). Quando, sulla croce, ebbe sete gli

porsero un ramo di issopo28

con una spugna imbevuta d’aceto (Gv

19,28-29) poiché l’issopo non si addiceva ad un tale uso, si deve

pensare che l’evangelista faccia un’altra allusione all’agnello

pasquale, perché l’aspersione degli stipiti e dell’architrave delle

porte con il sangue dell’agnello, secondo Es 12,22, si faceva trami-

23 TgNGn 22,6.8; cf. TgJGn 22,8.24 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. Jud. I,232.25 CLEMENTE ALESSANDRINO, Ad Cor. 31,3. Sul legame tra Pasqua e Isacco e

la tipologia del suo nella letteratura antica ebraica e nella prima letteratura cri-stiana, cf. la sintesi di J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri. Études sur les originesde la typologie biblique (Paris 1950) 97-111.

26 Cf. FILONE, De Spec. Leg. II,146. È interessante che nel mosaico dellasinagoga di Beth-Alpha, Abramo è rivestito come sacerdote.

27 Cf. FILONE, De Vita Mosis II,224; cf. anche m.Pes 5,6.28 Purtroppo, la traduzione CEI non riporta questo termine così importante

ed evocativo.

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

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te l’issopo. Infine, come quell’agnello, a Gesù crocifisso non fu

spezzato alcun osso (Gv 19,33.36). Per alcuni, questo è anche un

chiaro riferimento al giusto sofferente descritto in Sal 34,2129

. Qui,

l’agnello è accostato al giusto sofferente: anche in Is 53,7 il servo di

YHWH è paragonato a un «agnello condotto al macello», perché

dinanzi alle umiliazioni «non aprì la sua bocca». Isacco, agnello,

giusto-Servo sofferente: queste figure potevano essere legate già

all’epoca del Secondo Tempio30

. Così ha scritto A. Díez Macho: «i

circoli teologici giudaici del I secolo dell’era cristiana hanno asso-

ciato Aqedà, Servo di Jahvè e il sacrificio dell’agnello pasquale»31

.

La Chiesa Primitiva ha sottolineato che le figure sopra menzio-

nate si sono compiute in Gesù Cristo. L’Omelia Pasquale di

Melitone da Sardi dichiara che Gesù «è stato immolato come un

agnello ed è risuscitato come Dio»32

. Egli ha compiuto ciò che sim-

boleggiava l’immolazione, la morte e il sangue dell’agnello33

. Egli

ricorda inoltre che «Gesù fu legato in Isacco», testimoniando in tal

modo che la tradizione dell’Aqedà d’Isacco era importante anche

per i cristiani34

.

Il sangue dell’agnel-

lo pasquale aveva

una funzione fonda-

mentale. Era un ’ot, un

«segno» (Es 12,13), e

uno zikkaròn, «un

memoriale» (Es 12,14). Il sangue dell’agnello negli stipiti (mezuzot)delle porte aveva salvato Israele (Es 12,7.22). Il Libro

Il Sangue dell’Agnello,il Sangue della Nuova

Alleanza e il Memoriale

29 Cf. M.L. RIGATO, «Gesù “l’Agnello di Dio”, Colui che toglie il peccato delmondo” (Gv 1,29), nell’immaginario cultuale giovanneo. Secondo GiovanniGesù muore il 13 Nisan (Gv 18,28/19,14.31-37)», Atti del VII Simposio diEfeso su S. Giovanni Apostolo (ed. L. PADOVESE) (Roma 1999) 110.

30 Cf. A. DEL AGUA PÉREZ, El método midrásico y la exégesis del NuevoTestamento (Valencia 1985) 142-143.

31 A. DÍEZ MACHO, “Targum y Nuevo Testamento”, Mélanges EugènesTisserant, I, Ecriture sainte - Ancient orient (Città del Vaticano 1964) 162.

32 Perì Páscha 1.33 Cf. Perì Páscha 44.60.34 Cf. Perì Páscha 59.

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sacrascrittura

eteologia

teologia12

dell’Apocalisse rimarca l’importanza del sangue dell’Agnello che è

Cristo, che lava gli eletti, e li salva (Ap 7,14; 12,11).

Si celebrava la Pasqua di generazione in generazione, con una

notte di veglia in onore del Signore (Es 12,42) in cui il memoriale

del sangue dell’Agnello e il memoriale della liberazione erano cen-

trali. Il termine zikkaròn è spiegato da R. Gamaliel, un rabbino del

I° sec. d.C.:

In ogni generazione, ognuno deve considerarsi come se egli stesso

fosse uscito dall’Egitto, perché il Santo, benedetto Egli sia, non liberò

solo i nostri padri, ma con loro liberò anche noi35

.

Zikkaròn non significa però primariamente che l’uomo ricorda,

ma che Dio stesso si ricorda della sua alleanza, a favore del suo

popolo36

. La festa di Pasqua, in quanto memoriale, è «una rappre-

sentazione sacramentale» che rende attuale il passato ed è tesa

all’avvenire e al compimento futuro37

.

Abbiamo già parlato dell’identificazione tra agnello pasquale e

Isacco. Ora, nella tradizione ebraica c’è un legame tra il sangue del-

l’agnello pasquale e l’offerta che Isacco ha fatto del suo sangue:

secondo la Mekhilta de R. Ishmael, per citare solo un esempio, il

sangue che Dio vede negli stipiti delle porte non è altro che il san-

gue dell’Aqedà d’Isacco38

. Anche il sangue d’Isacco è un memoria-

le39

. Per la tradizione targumica poi, il sangue negli stipiti delle porte

non è solo quello dell’agnello, ma anche quello della circoncisione

e si rimarca che questo sangue gode di uno speciale merito, che Dio

tiene in considerazione per la salvezza d’Israele40

. Ora, nella tradi-

zione, vi è un ulteriore legame tra il sacrificio di Isacco e la circon-

35 m.Pes 10,4.36 Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», Bible et vie chrétien-

ne 62 (1965) 16; egli cita in proposito b.Ber 49a: «Benedetto sei tu, Signorenostro Dio...che hai donato al tuo popolo Israele questi giorni di festa per lagioia e in memoriale».

37 Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», 20; E. TESTA, «Influssigiudeo-cristiani nella liturgia eucaristica della chiesa primitiva», StudiaHierosolymitana, II, Studi esegetici (Jerusalem 1976) 202-204.

38 MekhEs 12,13.39 Cf. Tg1Cr 21,15.40 Cf. TgJEs 12,13.

cisione: il sangue d’Isacco ha un grande merito e valore, perché la

sua è un’offerta volontaria a Dio41

.

La tradizione ebraica lega il sangue dell’agnello al sangue

d’Isacco. Nel Targum, Abramo chiede a Dio: «Quando i suoi figli

saranno nell’ora dell’angoscia, ricordati dell’Aqedà d’Isacco loro

padre e ascolta la voce delle loro suppliche, ascoltali e liberali da

ogni tribolazione»42

. L’Aqedà d’Isacco è un memoriale: grazie al

merito d’Isacco e al suo sangue, e al fatto che Dio si ricorderà di tale

merito, la salvezza si farà attuale per Israele43

. La Pasqua è quindi un

memoriale della liberazione dall’Egitto, dell’Aqedà d’Isacco e della

sua liberazione, del sangue dell’agnello e del sangue d’Isacco, che

hanno un grande potere espiatorio44

.

A questo punto, si deve rimarcare che tutte le realtà sopra men-

zionate, Aqedà d’Isacco, circoncisione, sangue della vittima hanno

una stretta relazione con l’alleanza45

. Nella Pasqua, il ricordo del-

l’alleanza di Dio con il suo popolo è fondamentale. Durante la Cena,

Gesù ha dato un nuovo significato al calice pasquale del vino, dicen-

do che in realtà quel vino era il «suo sangue dell’Alleanza versato

per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28; cf. Mc 14,24), «la

Nuova Alleanza, nel suo sangue» (Lc 22,20; cf. 1Cor 11,25). Egli si

riferiva al sangue dell’agnello, così importante nel rituale descritto

in Es 24,8. Qui, Mosè asperge il popolo con il sangue dei sacrifici di

comunione, dicendo: «Ecco il sangue dell’Alleanza»46

.

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia13

41 Sul legame tra sangue dell’agnello, sangue d’Isacco, sangue della circon-cisione e morte di Cristo, cf. l’ottima sintesi in M. REMAUD, Vangelo e tradizio-ne rabbinica, (Bologna 2005), 119-135.

42 TgNGn 22,14. Cf. anche la versione di TgJ e del TgFramm (ms. 110).43 La tradizione ebraica è piena di riferimenti al merito d’Isacco e della sua

Aqedà: cf. ad es. TgCt 1,13; 2,17; TgMi 7,20; TgEst 5,1. Cf. M. REMAUD, Àcause des pères. Le “Mérite des Pères” dans la tradition juive (Paris-Louvain1997) 149-171.

44 Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», 23.45 Secondo TgNLv 26,42, Dio ha fatto un’alleanza con Isacco sul Monte

Moria.46 È interessante notare che per Eb 9,19 anche quest’aspersione, proprio

come quella di Es 12,22, veniva fatta con l’issòpo.

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sacrascrittura

eteologia

teologia14

La preparazione

del banchetto

pasquale era

molto importante. La

casa e il luogo del ban-

chetto dovevano essere ben preparati e avere la bellezza e la dignità

del Tempio47

. Anche nel NT si rimarca l’importanza di questa prepa-

razione: si parla di una sala grande e addobbata, con i tappeti, all’in-

terno della città (Mc 14,12-16; Lc 22,7-13; cf. Mt 26,17-19), perché

l’agnello pasquale andava mangiato all’interno di Gerusalemme48

.

Una parte importante della preparazione era l’immersione nella

mikwà: si doveva mangiare la pasqua in stato di purità, come emer-

ge anche da Gv 13,10.

La ricerca e l’eliminazione del lievito, del hamez, era un momen-

to fondamentale di tale preparazione, già in Es 12,1549

. Che tale

ricerca era importante nel I° sec. d.C. lo testimonia S. Paolo:

«Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete

azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!

Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievi-

to di malizia e perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità»

(1Cor 5,6-7). Togliere il lievito significava entrare nella festa, nella

novità della Pasqua. La Pasqua è una vita nuova: non si può celebra-

re con il lievito vecchio quello che è legato alla disposizione interio-

re e all’intenzione del cuore. La ricerca del lievito non è nell’ebrai-

smo un precetto legalistico e stupido. Se si è disposti a ricercare il

lievito vecchio e ad eliminarlo, si manifesta la serietà della kawwa-nà, vale a dire dell’intenzione decisa del proprio cuore di celebrare

la festa in verità. Il culto nella verità è un motivo importante nel-

l’ebraismo del I° sec d.C.

47 Cf. FILONE, De Spec. Leg., II, 148.48 Cf. m.Pes 7,9; BerR 5,2; 7,8; SifNm 6,9.49 Quanto tale prescrizione fosse importante nel III° sec. a.C. è testimoniato

dal Papiro di Elefantina.

La preparazione della Pasquae il pane azzimo

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia15

La Pasqua, come

e più di ogni

festa ebraica, è

legata alla trasmissione

della fede ai figli. Il rito stimola le domande dei figli: «Che cos’è per

voi questo rito?» (Es 12,26). Nell’Haggadah di Pasqua attuale, que-

sta domanda è espressa così: «Che cosa c’è di diverso questa notte,

da tutte le altre notti?». I padri devono rispondere a partire dalla

Scrittura, facendo memoriale, ovvero attualizzando la storia di sal-

vezza: «È il sacrificio della Pasqua del Signore, che passò oltre le

case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le

nostre case» (Es 12,27). Da qui partiva il racconto dei memoriali di

salvezza operati dal Signore, in cui ciascuno si sentiva coinvolto in

modo attivo, come protagonista. Questo racconto porta ancora oggi

alla gratitudine e al canto del Dayyènu. In questa cornice, si può col-

locare il dialogo riportato da Giovanni tra Gesù e i suoi discepoli

(13,36-16), che, come i figli, hanno difficoltà a capire e vanno istrui-

ti con dolcezza e pazienza50

.

Nel banchetto pasquale tre cibi erano fondamentali, già secondo

Es 12,8: l’agnello (pesah), gli azzimi (mazzà) e le erbe amare

(maror). Una tradizione contenuta nella Mishnà, che risale a Rabbi

Gamalièle (I° sec. d.C.) ci fornisce la spiegazione di questi tre cibi.

Non c’è ragione di non ritenere che questa spiegazione non fosse

quella comune ai tempi di Gesù, perché è l’interpretazione più spon-

tanea e legata alla Scrittura. Perché l’agnello? Perché Dio ha rispar-

miato le case dei Padri in Egitto. Perché il pane azzimo? Perché i

Padri sono stati liberati dall’Egitto. Perché le erbe amare? Perché gli

Egiziani hanno resa amara la vita dei Padri in Egitto51

.

Dopo il primo calice di vino, e la sua benedizione, cominciava

l’intinzione di alcuni cibi, prima che fossero portati i pani azzimi52

.

50 Simon Pietro domanda a Gesù: «Signore, dove vai?» (Gv 13,36);Tommaso gli domanda: «Come possiamo conoscere la via?» (Gv 14,6); Filippogli dice: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8) e ciò introduce undialogo con il Maestro; Giuda domanda: «Signore, com’è accaduto che devimanifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14,22).

51 Cf. m.Pes 10,5. La tradizione delle erbe amare è ripresa da Melitone daSardi, Perì Páscha, 93, ma qui l’amarezza è riferita alla passione di Cristo.

52 Ciò è testimoniato da m.Pes 10,2.

Il Banchetto Paquale

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sacrascrittura

eteologia

teologia16

Per chi conosce gli usi semitici, l’intinzione è un gesto di condivi-

sione concreta del cibo e di comunione conviviale. Nella Pasqua di

Gesù, quest’aspetto conviviale non ha niente di ambiguo: Gesù ha

sperimentato che tra coloro a cui aveva offerto totale comunione vi

poteva essere uno che lo tradisse. La Pasqua di Gesù è così amore

totale al nemico.

In seguito, venivano portati i pani azzimi. Secondo l’Haggadahdi Pasqua, il pane azzimo simboleggia «il pane dell’afflizione», che

i Padri hanno mangiato in Egitto. L’espressione aramaica si può tra-

durre però «Pane afflitto». Qui il pane è personificato: il pane è para-

gonato alla persona anche in 1Cor 5,753

.

Durante il banchetto era obbligatorio bere vino. La tradizione di

quest’obbligo è precedente alla nascita di Cristo, com’è testimonia-

to dal Libro dei Giubilei54. Secondo la Mishnà, anche il povero ha

diritto alle quattro coppe di vino55

. Doveva essere vino rosso: le pre-

scrizioni che abbiamo in proposito sono posteriori a Gesù, ma si può

intuire (anche dalla relazione tra vino e sangue) che era così anche

al suo tempo56

. L’obbligo di bere vino è un simbolo chiaro: chi cele-

bra la Pasqua non può essere nella tristezza, ma deve partecipare alla

gioia della libertà. Uno schiavo non beve vino. Il vino simboleggia

la festa e la libertà, che ciascuno deve sperimentare nel banchetto

pasquale.

Un altro simbolo importante di libertà era il fatto di mangiare

distesi e appoggiati sul gomito, testimoniato dalla Mishnà: anche

Gesù e i suoi discepoli hanno celebrato la Pasqua distesi (Mc 14,18;

Mt 26,20; Lc 22,14; Gv 13,12.28), il discepolo che Gesù amava era

«disteso» (anakeímenos) nel seno di Gesù (Gv 13,23) e così si spie-

ga meglio il suo gesto di reclinarsi sul petto di Gesù, descritto in

Gv13,2557

.

53 Cf. D.B. CARMICHAEL, «David Daube on the Eucharist and the PassoverSeder», Journal for the Study of the New Testament 42 (1991), 49. D. Daubeha collocato però l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto del misterioso afiko-man del Seder Pasquale: cf. pp.45-67.

54 Cf. Jub 46,6.9.55 Cf. m.Pes 10,1.56 Cf. le fonti citate in J. JEREMIAS, Le parole dell’ultima cena (Brescia 1973)

58.57 Cf. m.Pes 10,1.

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia17

Il Targum Neofiti contiene il famoso Poema delle Quattro notti,le cui tradizioni erano conosciute all’epoca del Secondo Tempio. In

esso si trova una densa interpretazione teologica della Pasqua58

. La

prima notte è quella della creazione: si tratta di una notte in cui la

Parola di Dio fu la luce. La Pasqua è una notte piena di luce. Sul

legame tra Pasqua e luce, occorre notare che la festa coincide con la

luna piena dell’equinozio di primavera, che la schiavitù è interpre-

tata già nella Bibbia come tenebra e la liberazione come luce59

. La

seconda notte è quella della rivelazione di Dio ad Abramo: si ricor-

da l’Aqedà d’Isacco. La terza notte è quella dell’Esodo: Dio appare

mostrando che il suo figlio primogenito è Israele. Circa la quarta

notte si dice:

La quarta notte il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gio-

ghi di ferro saranno spezzati e le generazioni perverse saranno annien-

tate. Mosè salirà dal mezzo del deserto e il Re Messia verrà dall’alto.

Uno camminerà alla testa del gregge e l’altro camminerà alla testa del

gregge e la sua Parola camminerà fra i due. Io e loro cammineremo

insieme. E’ la notte di Pasqua per la liberazione di tutte le generazioni

d’Israele60

.

Nel Talmud si trova il medesimo legame tra creazione, esodo e

nuova creazione: il trattato Rosh ha-Shanà afferma che in Nisanavvenne la creazione del mondo e la liberazione dall’Egitto e che in

Nisan sarebbe avvenuta la liberazione futura; così conclude questo

testo: «È in Nisan che essi furono liberati, è in Nisan che lo saranno

ancora»61

.

58 Lo studio approfondito del Poema delle Quattro notti e delle sue tradizio-ni si trova nella nota opera di R. LE DÉAUT, La Nuit Pascale. Essai sur la signifi-cation de la Pâque juive à partir du Targum d’Exode XII,42 (Roma 1963) .

59 Così TgIs 9,1 interpreta il versetto in chiave pasquale: «Il popolo, la casad’Israele, che camminava in Egitto come nelle tenebre, è uscito per contempla-re una grande luce».

60 TgNEs 12,42. Sull’interpretazione messianica di questo versetto, cf. l’ot-timo studio di M. PÉREZ FERNÁNDEZ, Tradiciones mesiánicas en el TargumPalestinense. Éstudios exegéticos (Valencia-Jerusalén, 1981) 173-209.

61 b.RHsh 11a. Notiamo che R. Yehoshua, a cui il detto qui contenuto è attri-buito, è della fine del I° sec. d.C. Quest’idea doveva essere diffusa tra gli zelo-ti e questo spiega la paura di ribellioni durante la festa di Pasqua.

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sacrascrittura

eteologia

teologia18

La notte pasquale era la notte dell’attesa del Messia, una notte

piena di significato escatologico62

: in questa notte si sono concentra-

te tutte le speranze di salvezza e di liberazione63

. I salmi di Hallel,sono salmi densi di riferimenti messianici.

La tradizione ebraica della venuta del Cristo nella notte di

Pasqua è conosciuta da S. Girolamo:

Una tradizione ebraica dice che Cristo verrà a mezzanotte, come al

tempo dell’Egitto, quando si celebrò la Pasqua e venne l’angelo stermi-

natore e il Signore passò sopra le case e gli stipiti delle nostre fronti

furono consacrati con il sangue dell’Agnello64

.

Brevi cenni di sintesi teologica: Pasqua ed Eucaristia

Tentiamo ora di trarre alcune conclusioni in relazione

all’Eucaristia. Anzitutto, si deve riconoscere che è impossibile

comprendere numerosi elementi dei Vangeli, del NT e della liturgia

cristiana, senza conoscere la liturgia e le feste ebraiche65

. Afferma

R. Le Déaut:

62 Così recita TgLam 2,22: «Tu chiamerai il tuo popolo alla libertà, la casad’Israele, per mezzo del Messia, allo stesso modo in cui hai fatto per mezzo diMosè e Aronne, nel giorno di Pasqua». Che la notte di Pasqua avesse un fortesignificato escatologico già al tempo di Gesù, è testimoniato anche da Ger38,8 (LXX): qui si aggiunge al TM che la salvezza e il raduno del popolo dal-l’esilio avverrà en eortï fasek («nella festa di Pasqua»).

63 Anche nel libro di Ester, la liberazione avviene la notte di Pasqua: in TgEst5,14 e 6,1 si sottolinea l’importanza della notte. Nel NT, Pietro è liberato dalcarcere durante la notte di Pasqua (At 12,1-18).

64 Girolamo, In Matth. IV,25,6. Per questa ragione, continua S. Girolamo,non è lecito che la Veglia Pasquale finisca prima di mezzanotte. Che tale tradi-zione fosse forte tra i primi cristiani, specialmente quelli proveniente dall’ebrai-smo, è testimoniato da un manoscritto dell’IX° secolo che riporta una tradizio-ne che risalirebbe addirittura al Vangelo degli Ebrei, uno dei più antichi vange-li apocrifi (II° sec. d.C.); è stato merito di R. CANTALAMESSA, La Pasqua dellanostra salvezza, 209-210, aver destato per la prima volta l’attenzione sull’inte-resse di questo testo. La tradizione era già presente in Lattanzio, Div. instit.VII,19,3.

65 «Lo studio delle tradizioni orali contenute nei Midrashim e nella Mishnàdiventeranno tanto importanti quanto i testi di Qumran o i testi apocalittici. Laliturgia giudaica non potrà più essere ignorata, anche se va studiata con criteriscientifici. Bisognerà abbandonare alcune categorie ellenistiche per aprirsi al

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia19

Sarebbe impoverire in modo particolare il significato delle feste cristia-

ne il non rimetterle nella così ricca cornice della tradizione ebraica,

dove esse sono nate. La liturgia del tempio e quella della sinagoga pos-

sono essere considerate come la culla della nuova religione66

.

Occorre però sottolineare qui non solo la continuità, ma anche il

compimento avvenuto nella liturgia cristiana, compimento che

implica anche una discontinuità, o meglio un certo «superamento»67

e ciò vale anche per la festa di Pasqua:

Celebrando l’Ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto

pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo.

Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua

Morte e la sua Risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata

nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la

pasqua finale della chiesa nella gloria del Regno68

.

Recentemente, Benedetto XVI ha affermato esplicitamente che

Gesù ha celebrato la cena pasquale e ha seguito i riti d’Israele. Egli

ha voluto tuttavia sottolineare nel contempo la novità della Nuova

Alleanza nel sangue di Cristo:

Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il

memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla

mondo ebraico quale autentico ambiente vitale del NT. Questo significa in ter-mini molto poveri uno studio approfondito della lingua ebraica. (…) anche nelcampo della patristica i Padri della Chiesa dovranno essere studiati in parallelocon i rabbini della stessa zona geografica e dello stesso periodo. I liturgistidovranno rivedere alcune posizioni. Perché aver soppresso la festa della circon-cisione di Gesù quando si parla tanto di Gesù ebreo? Perché aver eliminatotutte le tracce della festa di Sukkot nella liturgia cristiana mentre la liturgia dellequattro tempora le aveva conservate? È arrivato il tempo di studiare seriamentela liturgia di Gerusalemme madre di tutte le altre liturgie», F. MANNS, “Il dialogoebraico-cristiano” en V. BROSCO, La luce di Israele (Napoli 1999) 295-296.

66 Cf. R. LE DÉAUT, Liturgie juive et Nouveau Testament: le témoignage desversions araméennes (Rome 1965) 18 (trad. nostra).

67 Come ha sottolineato la Pontificia Commissione Biblica nel suo documen-to Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana (Città delVaticano 2001) II,21, non si dovrebbe mai dimenticare questo elemento delsuperamento, per un’equilibrata teologia del compimento, secondo il principiodi Ambrogio Autpert: non solum impletur, verum etiam transcenditur (cf n. 39).

68 CCC 1340.

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sacrascrittura

eteologia

teologia20

schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la pre-

ghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli

ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia

per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la

Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la

somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacri-

ficio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”69

.

Ogni domenica, il cristiano celebra la Pasqua. Questo era chiaro

per i primi cristiani. Eusebio di Cesarea afferma:

I seguaci di Mosè immolavano l’agnello pasquale una sola volta l’an-

no, il 14 del primo mese, a sera. Noi, invece, uomini del Nuovo

Testamento, celebrando la nostra Pasqua tutte le domeniche, ci sazia-

mo in continuazione del Corpo del Salvatore e comunichiamo in con-

tinuazione al Sangue dell’agnello (...). Perciò ogni settimana noi cele-

briamo la nostra Pasqua70

.

Ma anche ogni celebrazione dell’Eucaristia è celebrazione della

Pasqua, come asserisce decisamente (e polemicamente) S. Giovanni

Crisostomo:

La Pasqua si celebra tre volte la settimana, talvolta anche quattro, o piut-

tosto ogni volta che lo vogliamo. La Pasqua infatti non consiste nel digiu-

no, ma nell’oblazione e nel sacrificio che si realizza in ogni sinassi71

.

Se è vero che la celebrazione dell’Eucaristia è celebrazione della

Pasqua, gli elementi teologici antichi e fondamentali della Pasqua

ebraica, sopra delineati, possono illuminare alcuni aspetti della teo-

logia dell’Eucaristia. Ciò che si predica della Pasqua si può predica-

re dell’Eucaristia.

L’Eucaristia, in quanto Pasqua, è un passaggio di Dio, che fa pas-

sare l’uomo dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, da que-

sto mondo al Regno. Questo implica l’importanza di sottolineare

l’aspetto dinamico dell’Eucaristia, come i Vescovi hanno fatto

recentemente:

69 Omelia durante la S.Messa a Colonia, in occasione della XX GiornataMondiale della Gioventù, 21/08/2005.

70 EUSEBIO DI CESAREA, De solemn. paschali, 7.71 GIOVANNI CRISOSTOMO, Adv. Iudaeos, III, 4.

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia21

Nella celebrazione dell’Eucaristia Gesù, sostanzialmente presente, ci

introduce tramite il Suo Spirito nella pasqua: passiamo dalla morte alla

vita, dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia. La celebrazio-ne dell’Eucaristia rafforza in noi questo dinamismo pasquale e conso-lida la nostra identità»

72.

L’Eucaristia, in quanto Pasqua, implica in sé il concetto di sacri-

ficio. La categoria del sacrificio va vista però nel contesto del com-

pimento da parte di Gesù Cristo delle realtà anticotestamentarie:

Gesù è il Vero Agnello Pasquale, il Nuovo Isacco, il giusto-Servo

sofferente. Egli ha il potere di liberare l’uomo dal peccato, grazie

alla sua libera offerta di sé e al suo sangue, che è un memoriale di

salvezza. L’offerta libera e volontaria di Cristo sulla Croce, la sua

non resistenza al male, il suo compiere il Servo di YHWH di Is 53

indicano che egli è l’Uomo Nuovo del Sermone della Montagna,

l’Uomo della Pasqua che ha travalicato l’impossibilità di amare: la

sua donazione, il suo sacrificio è già Resurrezione e ci rende parte-

cipi di questa. È così possibile per il cristiano, grazie alla potenza

dinamica dell’Eucaristia, il cambiamento di vita. Così hanno affer-

mato recentemente i Vescovi nel Sinodo sull’Eucaristia:

Nel contesto della cena rituale ebraica, che concentra nel memoriale

l’evento passato della liberazione dall’Egitto, la sua rilevanza presente

e la promessa futura, Gesù inserisce il dono totale di Sé. Il vero Agnello

immolato si è sacrificato una volta per tutte nel mistero pasquale ed è

in grado di liberare per sempre l’uomo dal peccato e dalle tenebre della

morte73

.

Il concetto di sacrificio non va inteso pertanto come un concetto

statico, ma come parte del Mistero Pasquale: l’Eucaristia rende pre-

sente e attuale il Sacrificio che Cristo ha offerto al Padre sulla Croce,

la sua totale auto-donazione, e in questo senso è un memoriale e non

solo una memoria. Dio «si ricorda» del Nuovo Isacco e del Vero

Agnello, possiamo essere totalmente liberi e rinnovati, entrare nella

festa. Abbiamo visto come nell’immolazione dell’agnello, durante

la Pasqua, ogni israelita era sacerdote. La Chiesa è veramente un

72 Propositio n°3, XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,23/10/05 (corsivo dell’autore).

73 Propositio n°3, XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,23/10/05.

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eteologia

teologia22

popolo sacerdotale (cf. 1Pt 2,5.9; Ap 1,6; 5,10; 20,6), chiamato alla

partecipazione attiva, pur nel rispetto del ruolo insostituibile del

sacerdozio ministeriale.

L’Eucaristia, in quanto Pasqua, è un memoriale di salvezza, un

canto di esultanza per gli interventi di salvezza che Dio ha operato

nella storia, in primo luogo dell’Esodo di Cristo, che è il suo Mistero

Pasquale: la Pasqua è un canto alla Resurrezione di Cristo. La

Liturgia della Parola è questa proclamazione della salvezza operata,

che è resa attuale. Per il cristiano, l’Esodo si è compiuto nel Mistero

Pasquale di Cristo. Fare memoriale significa che in Cristo si fa

attuale per lui la libertà dalla schiavitù, significa passare da questo

mondo al Regno dei Cieli.

Nell’Eucaristia, come nella Pasqua, si fa memoriale degli eventi

di salvezza, facendo risuonare la Parola ascoltata. La Parola dovreb-

be trovare la sua eco nella vita concreta del Popolo di Dio, di modo

che ciascun membro si possa sentire parte attiva della storia di sal-

vezza che Dio continua ad operare. Nell’Eucaristia, come nella

Pasqua, è fondamentale la trasmissione di fede ai figli, che si

domandano: «Perché questo rito?». Ciò deve dare l’occasione ai

genitori di testimoniare che la Parola ascoltata si è fatta carne nella

loro vita e si farà carne, se accolta, di generazione in generazione.

Nell’Eucaristia, in quanto Pasqua, la preparazione spirituale e

materiale è molto importante. Ogni celebrazione è pasquale: ciò si

deve riflettere nella bellezza degli spazi liturgici e nella preparazio-

ne materiale e spirituale. L’Eucaristia è un banchetto pasquale. Ogni

Eucaristia è una festa. Il vino è un simbolo della festa: è un peccato

che dopo aver ascoltato il comando di Cristo: «Prendetene e bevete-

ne tutti», l’assemblea non possa comunicare al Sangue di Cristo e

si perda così il segno visibile della festa nella celebrazione. Non

dare di bere il calice con il vino è un vero abuso verso i fedeli e può

anche riflettere un certo clericalismo che ancora oggi sussiste. Per di

più, il fatto che si usi spesso e volentieri il vino bianco sminuisce

(non nella sostanza ovviamente, ma di sicuro nella visibilità del

segno!) la forza delle parole d’istituzione: «Questo è il mio sangue».

Ogni Eucaristia, in quanto Pasqua, è entrare nel riposo messianico,

unirsi alla Liturgia Celeste, pregustare il Cielo. Nell’Eucaristia si spe-

rimenta la vera libertà dalla schiavitù del peccato, si è come «distesi»

con Cristo, che passa a servirci, e al cui seno, come il discepolo che

Gesù amava, possiamo accostarci. Nel banchetto Pasquale sperimen-

tiamo l’intimità conviviale con il Messia: «Ecco, sto alla porta e

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia23

busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da

lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Tale unione con Cristo

nel banchetto pasquale è un’anticipazione della vita eterna.

Ogni Eucaristia, in quanto Pasqua, è densa di attesa escatologica

e messianica. Si annuncia la morte del Signore finché egli venga

(1Cor 11,26), gridando: «Maranathà! Vieni Signore Gesù» (1Cor

16,22; Ap 22,20).

È chiaro che senza kerygma (perché l’Eucaristia realizza il keryg-ma) e senza fede (perché l’Eucaristia è una risposta di esaltazione

agli interventi di Dio in Gesù Cristo e nella nostra storia) in un pro-cesso d’iniziazione cristiana, non si entra veramente nel dinamismo

dell’Eucaristia come Pasqua.

I cristiani sono gli uomini della Pasqua, fanno Pasqua e hanno la

missione di far “passar” questa generazione dalla sponda della

morte all’altra riva, la sponda della vita eterna, della risurrezione.

L’Eucaristia dei primi cristiani era un canto alla risurrezione, e oggi

possiamo chiederci: dove si vede nella Messa la risurrezione?

La sfida è come restituire la partecipazione nell’Eucaristia come

Pasqua (la sua unità e dinamismo pasquale) al Popolo di Dio oggi.

La risposta non può essere diversa: attraverso una Nuova

Evangelizzazione con catechesi che possano arrivare al cuore del-

l’uomo d’oggi e che porti a un’iniziazione cristiana (catecumenato)

con una adeguazione fra fede, liturgia e vita cristiana, scoprendo

nuovamente le nostre redici nella Scrittura, nel grande patrimonio

spirituale comune con gli ebrei, avendo in conto la fede e la vita reli-

giosa del popolo ebraico, così come queste sono professate e vissu-

te ancora oggi.

L’Eucaristia, com’era celebrata nella Chiesa primitiva, ha affasci-

nato un rabbino capo di Roma, che in un giorno di Yom Kippur rico-

nobbe in Gesù il Messia. Egli, grazie al suo contatto vivo con

l’ebraismo, poteva comprendere bene tutta la forza pasquale insita

nell’Eucaristia:

Rimasi, per così dire, incatenato alla Dottrina Apostolica sul-

l’Eucaristia per anni. Rubacchio ancora oggi ogni tanto un pò di tempo

a me stesso, anche se talvolta mi piego sotto il peso dei lavori, pur di

ritornare alla Didachè, al capitolo sull’Eucaristia74

.

74 E. ZOLLI Prima dell’alba (Cinisello Balsamo 20042) 189.

MAURIZIO BUIONISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia24

THEOLOGICAL THEMES RELATED TO THE

EUCHARIST

By Maurizio Buioni, C.P.

We include this article with a positive (as against speculative)research into the interior of a progressive rediscovery regarding theroots of our Christian faith in the Old Testament which is going onin the Church. This is a matter of no minor importance or whichmerely interests specialists. The proper rooting of the Christian mes-sage within the culture in which it was born and is expressed allowsfor a better understanding of it. This in turn is a condition for thespiritual efficacy of the gift in the very mystery of God.

THÉMATIQUE THÉOLOGIQUE EN RELATION À

L’EUCHARISTIE

De Maurizio Buioni c.p.

Cet article va de pair avec une recherche positive (non spéculativeou critique) à l’intérieur d’une redécouverte progressive des racinesde la foi chrétienne dans l’Ancien Testament en acte dans l’Eglise.Ce n’est pas là un argument de seconde importance, ou qui n’inté-resse que les spécialistes. Le juste enracinement du message chré-tien dans la culture dans laquelle il est né et s’est exprimé en per-met la juste compréhension. Celle-ci, à son tour, est une conditionde l’efficacité spirituelle du don, dans le mystère même de Dieu.

TEMAS TEOLÓGICOS EN RELACIÓN CON LA

EUCARISTÍA

De Maurizio Buioni c.p.

Este artículo se inserta en una investigación positiva (no especula-tiva o crítica) dentro de un descubrimiento progresivo de las raícesde la fe cristiana en el Antiguo Testamento de hecho en la Iglesia.No es un argumento de importancia secundaria, o que interese sola-mente a los especialistas. La precisa radicación del mensaje cristia-

ENG

ESP

FRA

Tematiche Teologichein relazione all’Eucaristia3-25

sacrascritturaeteologia

teologia25

no en la cultura en la que ha nacido y se ha expresado nos permiteuna comprensión cabal. Ésta, a su vez, es condición de la eficaciaespiritual del don, en el misterio mismo de Dios.

THEOLOGISCHE FRAGEN IN BEZUG AUF DIE

EUCHARISTIE

von Maurizio Buioni c. p.

Dieser Artikel lässt sich als positivistische Untersuchung (sie istalso weder kritisch noch spekulativ) einer in der Kirche größer wer-denden Tendenz zuordnen, welche die Wurzeln des christlichenGlaubens im Alten Testament wiederentdeckt. Die Fragestellung istan sich von Bedeutung und sollte nicht nur Spezialisten interessie-ren. Denn eine korrekte Verankerung der christlichen Botschaft injener Kultur, in der sie geboren und ausgedrückt wurde, bildet dieGrundlage für deren rechtes Verständnis. Ein solches ist wiederumVoraussetzung für die geistige Wirksamkeit der Gabe im GeheimnisGottes.

PROBLEMY TEOLOGICZNE ZWIĄZANE Z

EUCHARYSTIĄMaurizio Buioni c. p.

Artykuł ten poprzez badania pozytywne (w odróżnieniu odspekulatywnych i krytycznych) wpisuje się w stopniowe odkrywaniekorzeni wiary chrześcijańskiej w Starym Testamencie, które mamiejsce w Kościele. Nie jest to zagadnienie drugoplanowej wagi,czy te˝ takie, które interesowałoby tylko specjalistów. Właściwezakorzenienie przesłania chrześcijańskiego w kulturze, w której sięono narodziło i znalazło swój wyraz, pozwala na jego właściwezrozumienie. To zaś jest z kolei warunkiem skuteczności duchowejdaru w samym misterium Boga.

GER

POL

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia27

di ADOLFO LIPPI C.P.

A venticinque anni dall’approvazione delle nuove Costituzionidei Passionisti, si offre qui una riflessione sulla teologia che leha ispirate, che può valere anche per altri Istituti e Movimentispirituali. Essa pone all’esame, inoltre, il problema della rice-zione del concilio Vaticano II a livello di Istituti, Movimenti spi-rituali e chiese locali, una ricezio-ne che, come è evidente, non siverifica automaticamente, ma èsoggetta a resistenze e, a volte,opposizioni.

Ricorre quest’anno il venticinquesimo anniversario dall’ap-

provazione delle Costituzioni della Congregazione della

Passione da parte della Congregazione dei Religiosi ed

LA TEOLOGIACONTENUTA NEL TESTODELLECOSTITUZIONIDEI PASSIONISTI1

1 Bibliografia essenziale: J. L. Quintero Sanchez, “Progetto teologale di esi-stenza”, La dimensione teologica e teologale come chiavi di lettura e accoglien-za vitale, in BIP, n. 20, pp. 3-9; M. Bialas, A. P. Hennessy, C. Brovetto, T. M.Newbold, L. Novoa, G. Cingolani, Commenti sulle Costituzioni generali C. P,cap. I e II., Roma, 1987 (Collana Ricerche di storia e spiritualità passionista,35);.F. Sucher, O. Mondragòn, A. Lippi, H. Gielen, A. De Battista, Commentisulle Costituzioni…, cap. III e IV, Roma, 1986 (Ricerche…, 36); F. Giorgini, N.Gonzalez, B. Lowe, Commentisulle Costituzioni… cap V, Roma, 1987(Ricerche… 40); B. Ahern, A. M. Artola, S. Breton, E. Delaney, La memoriaPassionis nelle Costituzioni, Roma, 1986, (Ricerche…39); A. De Battista, A.Smith, A. Lippi, F. Daugherty, G. Siaunneau, Aspetti pastorali della MemoriaPassionis, Roma, 1986, (Ricerche…38).

1. Premessa: L’originedelle nuove costituzioni

dal Concilio Vaticano II e iprincipi del Rinnovamento

della Vita religiosa

Istituti secolari, firmata dall’allora Prefetto Cardinal Pironio. Le

nuove Costituzioni della Congregazione della Passione, come quel-

le di tutti gli altri Istituti di Vita consacrata, sono state volute dal

Concilio Vaticano II. Il Decreto conciliare Perfectae caritatis, deaccomodata renovatione vitae religiosae, ai nn. 3 e 4 prescriveva di

rivedere le Costituzioni e altri libri giuridici, coinvolgendo in questo

rinnovamento tutti i membri dell’Istituto. Si stabilivano anche alcu-

ni principi teologici e spirituali validi per tutti gli Istituti di Vita con-

sacrata, principi che terrò presenti nell’analizzare la teologia conte-

nuta nel testo delle Costituzioni dei Passionisti.

In seguito il motu proprio Ecclesiae sanctae, di Paolo VI, nella

sezione seconda, determinava le norme per l’applicazione del decre-

to Perfectae caritatis, soprattutto indicendo un Capitolo generale

speciale (Parte I, I, nn. 1 ss). L’ Ecclesiae sanctae è del 1966. Il

Capitolo generale ordinario o straordinario doveva essere celebrato

nello spazio di due o tre anni. La Congregazione passionista celebrò

il Capitolo generale straordinario in due sessioni, negli anni 1968 e

1970. Tale Capitolo doveva essere preceduto da un’ampia consul-

tazione della Congregazione (n. 4), cosa che fu attuata con un’inda-

gine raccolta in tre volumi.

Il decreto Ecclesiae sanctae indicava anche alcuni elementi che

non dovevano mancare nella revisione dei testi legislativi di ciascun

Istituto di Vita consacrata: non doveva mancare un elemento spiri-

tuale, fondato su principi evangelici, teologici ed ecclesiologici e

non doveva mancare un elemento giuridico per definire chiaramen-

te il carattere, il fine e i mezzi propri dell’Istituto (nn. 12 e 13). Si

indicavano altresì alcuni criteri di adeguato rinnovamento: tenere

presente la Perfectae caritatis, ma anche gli altri documenti del

Concilio, dare importanza alla Parola di Dio, allo studio della vita

religiosa in genere e del proprio “spirito di origine”, scartando gli

elementi non più in uso che non fanno parte dell’essenza

dell’Istituto, stabilire una forma di governo che coinvolga tutti i

membri della Comunità, continuare anche in seguito il rinnovamen-

to (nn. 15-19).

Seguivano alcune esortazioni riguardanti punti particolari: la par-

tecipazione alla recita dell’Ufficio divino sia preferita a quella di

uffici particolari, si dedichi tempo all’orazione mentale togliendo

magari altre pratiche devote, si favoriscano forme di mortificazione

e di povertà adeguate ai tempi, non escludendo la rinuncia ai beni

patrimoniali per chi lo desidera, la vita comune sia adattata all’apo-

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia28

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia29

stolato attuale, variando, se necessario, gli orari. Particolare spazio

era dato alle norme sulla formazione dei religiosi. Vi si parlava

anche delle conferenze di superiori maggiori, della possibile unione

o soppressione di Istituti (nn. 20-44).

La prima conside-

razione da fare

sulla teologia

contenuta nelle

Costituzioni della

Congregazione della Passione, credo che debba riguardare proprio i

primi numeri del Capitolo I, che ha per titolo I fondamenti dellanostra vita. E’ nota a tutti ormai l’espressione teologia narrativa,alla quale a volte fa riferimento anche papa Ratzinger, espressione

che si oppone, almeno implicitamente, a quella di teologia specula-tiva, che fa riferimento ad uno stile teologico certamente prevalente

fino al Concilio Vaticano II. La teologia narrativa si vuole allaccia-

re alla teologia della Storia della salvezza. La salvezza si attua nella

storia, anzi essa stessa ha una storia ed è storia. Si può collegare que-

sta scelta della narrazione al posto delle definizioni astratte con

l’uso del presente indicativo al posto dell’imperativo che caratteriz-

za molte nuove Costituzioni: siamo radunati in comunità apostoli-che… vogliamo rimanere fedeli allo spirito evangelico e all’ereditàdel nostro Fondatore (n. 2), ecc.

Le Costituzioni dei Passionisti cominciano con riferimenti stori-

ci e personali, riferimenti a fatti precisi e ad una precisa persona, che

è il Fondatore San Paolo della Croce. Prima dell’adesione ad una

teoria teologica o ad una proposta spirituale, c’è la collocazione

della propria chiamata all’interno e al seguito di un’altra chiamata

accaduta nella storia e riconosciuta dalla Chiesa. Il numero 1 descri-

ve la chiamata di Paolo e dei compagni che lui radunò, il n. 2 il rico-

noscimento dell’Autorità ecclesiastica. Vi si descrive un carisma che

però non è tanto personale quanto comunitario ed ecclesiale.

“1. San Paolo della Croce radunò compagni perché vivessero

insieme per annunciare agli uomini il Vangelo di Cristo… Dispose

che essi conducessero vita ‘conforme a quella degli apostoli’ e

coltivassero un profondo spirito di preghiera, di penitenza e di soli-

tudine per conseguire una più intima unione con Dio ed essere testi-

moni del suo amore. Discernendo acutamente i mali del suo tempo,

2. L’incipit narrativo

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia30

proclamò con insistenza che la Passione di Gesù, ‘la più grande e

stupenda opera del divino amore, ne è il rimedio più efficace.

2. La Chiesa, avendo riconosciuto in San Paolo della Croce

l’azione dello Spirito Santo, approvò con suprema autorità la nostra

Congregazione e le sue Regole…”

A quest’impostazione il Capitolo generale non giunse immedia-

tamente. La primitiva stesura di questi numeri cominciava in modo

astratto, come era in uso fino ad allora. Ancora nel Documento di

Madrid, redatto dalla Commissione intersessionale come documen-

to base della seconda sessione del Capitolo, si diceva: “La

Congregazione della Passione è una comunità di cristiani che si

sforzano di vivere, con tutti i loro fratelli in Cristo, il mistero della

Morte e della Risurrezione del Signore”. Fu durante l’ultima sessio-

ne che si pervenne all’attuale formulazione storica.

Quest’impostazione anticipa, per così dire, la teologia dei carismi

degli Istituti religiosi che si è andata sviluppando in seguito nella

teologia della vita religiosa, a cominciare dall’uso di questa stessa

parola, che non si trova nei documenti conciliari e postconciliari

riguardanti la vita religiosa. Si parlava allora di spirito dell’Istituto.

Si trova invece nei documenti più ecclesiologici, come la LumenGentium (nn. 4, 7, 12), Ad gentes divinitus, (4), Apostolicamactuositatem, ecc.)

2.

Alla luce della teologia narrativa l’intera storia della Chiesa

dovrebbe essere riscritta dando la priorità a quanto lo Spirito opera

nella Chiesa e nel mondo attraverso la Chiesa, luce e strumento di

salvezza per il mondo insieme al suo Capo, Cristo. Non che questo

manchi del tutto nella storiografia ecclesiastica, ma viene collocato

piuttosto come corollario di una storia scritta secondo le categorie

della cultura umana, che, in questo campo come in quello della filo-

sofia, bisogna chiamare propriamente cultura ellenica, greca.

Giuseppe Flavio faceva sapere ai pagani che, tra gli ebrei, scrivere

la storia apparteneva ai profeti3. Anche oggi, infatti, nella bibbia

2 Sull’azione carismatica di Dio per la fondazione degli Istituti religiosi e, inparticolare, su come San Paolo della Croce ha vissuto questa esperienza, cf F.Ciardi, I Fondatori uomini dello Spirito. Per una teologia del carisma di fonda-tore, Città Nuova, Roma, 1982. Su San Paolo della Croce, pp. 54-57; 128-129; 251-253; 280-283.

3 Contro Apione, 1, 37.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia31

ebraica, il Tanach, i libri storici sono collocati nella stessa catego-

ria dei libri profetici.

Chi più di tutti si è cimentato nello scrivere una storia dal punto

di vista di ciò che opera lo Spirito per la salvezza e la trasformazio-

ne o, per dirla con Teilhard, per la consacrazione e divinizzazione

del mondo, è stato Sant’Agostino nel De civitate Dei: “Fecerunt ita-que civitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque adcontemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptumsui…illa in principibus ejus, vel in eis quas subiugat nationibusdominandi libido dominatur; in hac serviunt invicem incaritate et praepositi consulendo et subditi obtemperando”4

. La

Congregazione della Passione trova la sua collocazione nella secon-

da di queste due città, come un prodotto dello Spirito Santo attraver-

so l’ amor Dei usque ad contemptum sui.

3.1. Non è più il quar-

to, ma è il primo dei

voti dei passionisti

Fra tutti gli elementi

che costituiscono la

spiritualità dei passionisti, quello maggiormente condiviso è la

Passione di Gesù. Tutti riconoscono in essa la fonte della propria

ispirazione religiosa. Ed è nella Passione di Gesù che le nuove

Costituzioni riconoscono il fulcro di “unità della vita e dell’aposto-

lato” dei passionisti (n. 5). Perciò la Passione da quarto voto diven-

ta il primo (n. 6), non soltanto per fornire un fondamento, ma anche

per assorbire in sé, in qualche modo, gli altri tre voti. La Passione

che il passionista abbraccia lo porta ad obbedire con la stessa obbe-

dienza di Gesù al Padre, fino alla morte di croce; la Passione lo fa

povero fino a morire nudo su una croce, come diceva il Fondatore;

4 De civitate Dei, XIV, 28 (Due amori hanno dunque fondato due città:l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio ha generato la città terrena;l’amore di Dio portato fino al disprezzo di sé ha generato la città celeste… inquella i principi e le nazioni che sottomette sono soggiogati dalla passione peril dominio; in questa si presentano reciprocamente uniti nella carità i capi nelcomandare e i sudditi nell’obbedire).

3. La Passionepietra fondante

di tutta la costruzione

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia32

e la Passione lo fa casto come Cristo, che non soltanto non strumen-

talizzava niente e nessuno per la propria soddisfazione, ma donò

tutto se stesso agli altri nell’autentico amore oblativo. Per quanto

ricorda il sottoscritto, fu P. Costante Brovetto che, almeno fra noi

passionisti italiani, promosse molto questo trasferimento del quarto

voto al primo posto fra i voti. Nelle stesure delle Costituzioni che

precedettero quella finale non si trova un quarto voto, ma neanche

propriamente un voto fondante come nelle Costituzione attuali. C’è

soltanto un discorso fondamentale sulla Passione antecedente al

discorso esplicito su ciascuno dei tre voti religiosi.

La formulazione contenuta nella Regola primitiva di San Paolo

della Croce partiva dal promuovere la devozione e la grata memoria

della Passione. Il capo XVI della Regola, nel testo approvato nel

1775, riportato come testo ispirazionale nelle Costituzioni, aveva

come titolo Del voto di promuovere presso i cristiani la devozione egrata memoria alla Passione e morte di Nostro Signore GesùCristo5

. Si indicavano poi dei mezzi pratici molto concreti per osser-

vare questo voto: insegnare a meditare la Passione, parlarne nei

catechismi e nelle prediche, in altre attività apostoliche o, per i fra-

telli laici, recitare alcuni Pater ed Ave. Indubbiamente la spiritualità

della Passione pervadeva tutto il pensiero, la vita, l’apostolato del

Fondatore e dei passionisti. I mezzi per osservare il voto e così

attuare il carisma apparivano come un complemento della spiritua-

lità generale, soprattutto dei consigli evangelici.

Il titolo delle nuove Costituzioni è molto più teologico: La nostraconsacrazione alla Passione di Gesù. L’oggetto del voto viene

espresso con le parole “Con tale voto ci obblighiamo a promuovere

la memoria della Passione di Cristo con la parola e con le opere, per

approfondire la consapevolezza del suo significato e del suo valore

per ogni uomo e per la vita del mondo” (n. 6). E’ un’espressione

altamente significativa ed anche estremamente sintetica. Posto

all’inizio delle Costituzioni, questo voto qualifica ed illumina tutto

quello che segue, come metterò brevemente in evidenza.

5 Testo delle Costituzioni in italiano, p. 34.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia33

3.2. La Memoria Passionis

Ci possiamo domandare se ci sono e quali sono gli elementi prin-

cipali della teologia della Passione e della Croce contenuti nelle

Costituzioni dei Passionisti. Credo che si possa rispondere che que-

sta teologia e spiritualità sono presenti nelle Costituzioni e vi sono

anche bene espresse, tenendo presente tuttavia la natura di questo

documento e la sua relativa brevità. Il primo tema da evidenziare

può essere quello del fare memoria della Passione. Questa espres-

sione, che precedentemente si era portati ad intendere come un

richiamare alla mente i vari momenti della Passione, con la medita-

zione o con pratiche quali la Via Crucis, è stato inserito dentro una

teologia del fare memoria, che pervade tutta la Bibbia, tanto

l’Antico quanto il Nuovo Testamento ed è attestata nel momento

culminante della vita di Gesù, l’ultima Cena e l’istituzione

dell’Eucaristia. All’interno della Congregazione della Passione,

furono promossi incontri di studio e commenti su questi temi fonda-

mentali delle Costituzioni. Per comprendere il senso teologico del

fare memoria, i contributi più importanti furono offerti da due noti

biblisti passionisti, l’americano Barnabas Ahern e lo spagnolo

Antonio Artola6. Essi sintetizzano quanto di meglio si trova nella

teologia su questo argomento. L’articolo di Ahern contiene un para-

grafo dal titolo Insegnamento biblico sulla contemporaneità dellaMorte-Risurrezione di Cristo. Ahern lo tratta sia in rapporto alla

Bibbia che in rapporto alla spiritualità del Fondatore. Va tenuto pre-

sente questo insegnamento per comprendere poi quanto le

Costituzioni dicono sul rapporto fra Gesù Crocifisso e i crocifissi di

oggi (n. 65), terminologia che fece un’impressione negativa su alcu-

ni passionisti. Si possono collegare questi insegnamenti alle profon-

de riflessioni che fa Kierkegaard sulla contemporaneità di ogni cri-

stiano a Cristo che si attua con la fede7.

6 Cf AA. VV., La Memoria Passionis nelle Costituzioni…cit., 1-31.7 Cf Scuola di cristianesimo, Comunità, Milano, 1960, 13.

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia34

3.3. La croce come automanifestazione di Dio in San Paolo della

Croce e nelle Costituzioni

C’è una teologia della Croce che vede nel mistero pasquale

soprattutto l’espiazione dell’offesa fatta a Dio e c’è una teologia

della Croce che vede in esso piuttosto la manifestazione del mistero

profondo di un Dio che si qualifica come Agàpe, amore, dono di sé.

La prima si esprimeva nella ben nota concezione anselmiana della

riconciliazione che si otteneva con una riparazione adeguata alla

dignità dell’Offeso, che essendo Dio Padre, non poteva essere offer-

ta altro che da un Figlio che fosse Egli stesso Dio. La seconda ritie-

ne invece che la riconciliazione parta dalla gratuità costitutiva dello

stesso Dio Padre (`O qeÕj ¶g£ph ™st…n/ , 1 Gv 4, 16), che offre il

proprio Figlio al mondo con un inesprimibile sacrificio quasi strap-

pandoselo dal seno: sic Deus (Pater) dilexit mundum ut Filium suumunigenitum daret. (Gv 3, 16). Questo atto di donazione costituisce

anche quella che il Concilio chiamerà l’autorivelazione di Dio8.

Gesù è l’icona vivente dell’invisibile Iddio (Col 1, 15), Colui che

manifesta l’inconoscibile Dio (Gv 1, 18). Se Dio è, per sua essenza,

amore e non c’è amore più grande di quello che è dimostrato dal

dono di sé nella Croce (Gv 15, 13), Dio si conosce nella croce.

Balthasar esprimerà questa nuova theologia crucis con una teoria

che va assai oltre tutto ciò che lo stesso Lutero e i teologi evangeli-

ci di oggi, ad esempio Barth o Moltmann, avevano potuto formula-

re: la teoria della Ur-Kenose, cioè della originaria kenosi del Padre,

anteriore alla stessa kenosi del Figlio9. Oggi la cattedra Gloria

Crucis, organizzata dai Passionisti in collaborazione con

l’Università Lateranense, sta portando avanti una ricerca a vari livel-

li sulla nuova immagine di Dio postulata da un approfondimento

della theologia crucis e da un’emancipazione della teologia - in

quanto conoscenza del mistero del Dio inconoscibile - dalla tutela

della speculazione filosofica greca10

.

8 Cf Dei Verbum, 2.9 Rimando, per una presentazione di questa teologia, al mio articolo La

croce nella Trinità. La teologia Crucis di H. U. v Balthasar, in Sap Cr, X (1995),225-254.

10 Cf AA. VV., Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, OCD, Roma, 2006; F.Taccone (ed.), La visione del Dio invisibile nel volto del Crocifisso, OCD, Roma,2008; F. Taccone (ed.), Stima di sé e kenosi, OCD, Roma, 2008; F. Taccone(ed.), Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli, OCD, Roma, 2009.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia35

San Paolo della Croce, come altri santi, aveva scoperto per

proprio conto ed anticipato le odierne acquisizioni della theologiacrucis con le espressioni mistiche che ripete varie volte: la Passione

è “la più grande e stupenda opera del Divino Amore”11

, o “il mira-

colo dei miracoli del Divino Amore”12

. Dal mare della Divina Carità

procede, per lui, il mare della Passione Santissima di Gesù che sono

due mari in uno13

. Le Costituzioni richiamano fin dal n. 1 la prima

di queste citazioni.

3.4. La croce come potenza di Dio, kenosi e paradigma della

consacrazione battesimale

Al n. 5 delle Costituzioni la Passione è presentata come rivelazio-

ne della potenza di Dio che pervade il mondo per distruggere ilpotere del male e instaurare il Regno di Dio. E’ una presentazione

importante: quella che secondo la mentalità del mondo è la più gran-

de debolezza e sconfitta, costituisce la manifestazione della potenza

e la gloria stessa di Dio che così instaura il suo Regno.

Immediatamente dopo, nello stesso numero, c’è un richiamo alla

kenosi, cosa che fa evitare ogni pericolo di interpretazione monda-

na della potenza di Dio. C’è una kenosi del Cristo e una kenosi del

cristiano, derivante dalla configurazione a Lui e dalla condivisione

della sua vita e missione. Il discorso sulla consacrazione a Dio per

mezzo dei consigli evangelici è introdotto giustamente, in un modo

veramente passiologico, rimandando alla consacrazione fondamen-

tale che è quella battesimale. Del battesimo si ricorda la caratteristi-

ca lumeggiata da Paolo nella lettera ai Romani, (6, 1-11), quella di

essere immersione nella morte e sepoltura di Gesù per riemergere

diversi ad una vita nuova. Potenza della croce, kenosi e battesimo

nella morte e risurrezione di Gesù sono i tre temi fondamentali di

una spiritualità passionista, ricondotta chiaramente, alla luce del

Concilio Vaticano II, alla Parola di Dio.

11 Lettere di San Paolo della Croce, Roma, 1924, II, 499, a Sr. ColombaGandolfi, 21 – 08 – 1756.

12 Lettere, cit., II, 726, a Lucia Burlini, 17 – 08 – 1751.13 Lettere, cit., II, 717, a Lucia Burlini, 04 – 07 – 1748.

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia36

3.5. La Passione e i tre voti della Vita consacrata

La configurazione a Cristo Crocifisso è richiamata esplicitamen-

te anche nei numeri riguardanti i singoli voti: parlando della pover-

tà si ricorda che Cristo per noi ha offerto tutto, anche la vita (n. 14).

Si richiama qui l’insegnamento del Fondatore secondo cui la pover-

tà è il vessillo sotto il quale milita tutta la Congregazione. Forse si

poteva ancor meglio richiamare il rimando contenuto nelle Regole

primitive, altrettanto noto fra i passionisti, all’esempio di Cristo “il

quale per amor nostro si degnò di nascer povero, vivere bisognoso e

morir nudo su una croce”14

. Parlando della castità, la Passione è giu-

stamente ricordata nell’ambito del servizio totale del Cristo alla

causa del Regno e alla salvezza degli uomini (n. 18).

Sull’obbedienza non ci poteva essere, ovviamente, un richiamo

più adatto del notissimo testo di Fil 2, 8: “factus oboediens usque admortem, mortem autem crucis” (n. 20). Per quell’obbedienza siamo

stati salvati (cf Eb 10, 10). Il disegno salvifico nel quale le

Costituzioni ci invitano ad entrare è il mistero dell’obbedienza della

Croce. Il fondamento dell’obbedienza religiosa è qui chiaramente

spirituale e cristologico: è la continuazione dell’obbedienza di

Cristo al Padre. Si ha l’impressione che questo fondamento sia nor-

malmente lasciato in sottordine, in molti ambiti della formazione

iniziale e permanente, come qualcosa di devozionale, per preferirgli

un fondamento etico: l’obbedienza per il bene comune. Non è che

l’etica non sia importante o che si possa trasgredire, ma essa non

può costituire la base per una autentica e totale consegna della pro-

pria vita a Dio. Alla stessa etica è dato, nella vita religiosa, un altro

fondamento. Dall’obbedienza di Gesù al Padre dovrebbe comincia-

re ogni discorso sulla consacrazione religiosa. Credo che tante diffi-

coltà che si incontrano anche oggi nella convivenza comunitaria

derivino dal fatto che ci si ferma ad un’obbedienza etica. Il recente

documento della Congregazione per i religiosi sull’obbedienza

presenta assai bene questa tematica15

.

14 Testo italiano delle Costituzioni, p. 32-33; cap. XIV.15 Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Istruzione, 11- 05 -2008.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia37

3.6. La Passione nei capitoli sulla comunità di vita, sulla comu-

nità di preghiera e di apostolato, sulla formazione

Parlando di teologia contenuta nelle Costituzioni della

Congregazione della Passione, è importante mettere in evidenza

che, non soltanto i voti religiosi, ma anche tutti i discorsi riguardan-

ti la comunità di vita, di preghiera e di apostolato, partono dalla con-

sacrazione alla Passione e su di essa si fondano. Il fondamento della

vita comunitaria viene giustamente trovato nella croce di Gesù, che

abbatte i muri di separazione (n. 26). Anche qui possiamo lamenta-

re lo scarso collegamento che si fa nella spiritualità e nella pedago-

gia religiosa fra croce e carità, fra croce e unità delle comunità. Si è

portati a collegare la Passione con la mortificazione personale più

che con il rispetto, la carità, la premura e la cura della pace e del-

l’unità. Ma se si pensa a quali sono gli effetti più importanti della

Passione e Morte di Gesù secondo la Rivelazione, vediamo che il

primo è la nostra riconciliazione con Dio Padre, il secondo è la

riconciliazione con i fratelli e le sorelle del mondo.

La Passione torna ancora nel capitolo sulla preghiera come com-

prensione della Passione nella Trinità. Anche questa è una teologia

fortemente presente nella mistica del Fondatore, sulla quale ho

personalmente scritto16

, ma della quale forse non si ha una coscien-

za sviluppata nella comunità congregazionale. Un articolo della rivi-

sta Città Nuova titolava una presentazione della mistica del

Fondatore dei Passionisti con le parole Paolo della Croce e dellaTrinità17

. Il numero 39 delle Costituzioni esprime bene questa teolo-

gia spirituale.

I tre numeri 50-52 sono dedicati specificamente alla meditazione

della Passione. Tornerò su questi numeri parlando della preghiera.

La Passione è poi ricordata opportunamente parlando della peniten-

za, la quale è collegata strettamente al pentimento dei peccati e alla

conversione, nonché alla sopportazione dei disagi inerenti alla vita

di comunità e di apostolato (nn. 56-57). Nel capitolo sull’apostola-

to, la Passione è posta chiaramente a fondamento dell’apostolato

16 Cf A. Lippi, Amore doloroso, dolore amoroso e gioia. La mistica di SanPaolo della Croce: mistica trinitaria della croce, in Sap Cr, XIX (2004), 43-58.

17 Cf G. Casoli, Paolo della Croce e della Trinità, in Città Nuova 12 (1994),44-45.

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia38

della Congregazione (n. 62). Tre numeri specifici trattano della pre-

dicazione della Passione di Gesù (64-66), che è anche passione degli

uomini. Mi pare che manchi invece un autentico riferimento alla

Passione di Gesù nel capitolo sulla formazione. Se ne parla solo al

n. 86 nell’ambito degli studi più che della formazione stessa.

Torneremo su tutti questi argomenti.

Anche il capitolo

sulla preghiera

comincia in

modo narrativo, ricor-

dando che il Santo

Fondatore “uomo di

grande orazione, incul-

cava insistentemente l’importanza della medesima con la parola e

con l’esempio” e desiderava che le nostre comunità “diventassero

autentiche scuole di preghiera” (n. 37, cf anche n. 4). Poche cose

sono così evidenti nella storia della Congregazione passionista come

il fatto che essa è stata una scuola di orazione, cioè di unione con

Dio, quindi di mistica, una scuola di preghiera, come oggi si prefe-

risce dire, e che molti passionisti sono stati grandi maestri di pre-

ghiera. Tuttavia quando si parla dell’apostolato tradizionale della

Congregazione della Passione, si è portati a sopravvalutare alcune

forme più esteriormente strutturate e conosciute come le missioni

popolari. Le decine di migliaia di lettere di direzione spirituale scrit-

te da San Paolo della Croce, il tempo da lui consumato nel colloquio

con anime privilegiate, i grandi direttori di spirito che la

Congregazione ha generato e i grandissimi discepoli tendono ad

essere messi in sotto ordine. Ricordiamo soltanto, fra i primi, lo stes-

so santo Fondatore, poi san Vincenzo Strambi, P. Germano

Ruoppolo, san Carlo Houben, P. Generoso Fontanarosa. Tra i secon-

di basterebbe citare Gemma Galgani, Lucia Mangano e Edvige

Carboni, oltre le numerose anime sante dirette dal Fondatore. Le

Costituzioni invitano i religiosi della Congregazione a mantenere

queste tradizioni, approfondendole e corredando questa attività con

studi ed esperienze. Ritengo che in questi ultimi decenni diversi reli-

giosi abbiano operato in questo campo, ma sarebbe certamente utile

una presa di coscienza del progetto e un maggiore coordinamento.

4. Le Comunitàscuole di preghiere

e i religiosimaestri di preghiera

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia39

Inumeri 50, 51 e 52

delle Costituzioni

sono dedicati al-

l’importante tema

della dimensione con-

templativa e dell’ora-

zione. Da ricordi del

Capitolo generale spe-

ciale risulterebbe che su questi numeri riguardanti contemplazione

e meditazione, come su quelli riguardanti l’Eucaristia, sia interve-

nuto con decisione l’allora generale P. Teodoro Foley, il quale

interveniva raramente nella discussioni, allo scopo di lasciar libe-

ri i capitolari e non fare pressioni indebite. Probabilmente si deve

alla forza di tali interventi il fatto che le Costituzioni della

Congregazione riflettano ancora perfettamente il carisma e la tra-

dizione passionista.

Del P. Teodoro Foley sono state scritte varie biografie ed è in

corso la causa per la beatificazione. Sia nei Capitoli generali e

provinciali, come nella direzione della Congregazione manife-

stò uno straordinario spirito di fede e di preghiera, insieme

con una profonda comprensione dei limiti di ogni uomo anche

religioso.

Credo che non sia sufficiente, per descrivere teologicamente il

carisma passionista, dire che la Congregazione della Passione è una

congregazione di vita mista, cioè contemplativa e attiva allo stesso

tempo e, meno ancora, puntare a definirla come una congregazione

apostolica nella quale gli elementi di natura contemplativa siano del

tutto finalizzati all’apostolato, come si fece nell’inchiesta realizzata

in preparazione al Capitolo straordinario, la quale, debitamente

indirizzata, portò a questo risultato. Se i passionisti si vogliono

interrogare, con libertà interiore, cioè con libertà dagli schemi, sulla

natura del proprio carisma, devono tener presente anzitutto l’impor-

tanza dell’elemento solitudine, che, per secoli, è stato valutato

soprattutto come solitudine geografica, dando luogo ad un’infinità

di problemi pratici, soprattutto nella storia delle fondazioni. Ricordo

in particolare le grandi sofferenze che patì per questo il beato

Bernardo Silvestrelli, ma si potrebbero citare molti altri casi anche

di divergenze fra generali, ad esempio, per il mantenimento

del convento di San Bernardo in Arezzo dopo la soppressione napo-

5. Dimensionecontemplativa e mistica:

importanza della meditazionee dell’insegnare al popolo

a fare meditazione

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia40

leonica18

. La Congregazione della Passione è oggi in grado di valu-

tare diversamente la solitudine, ma questo non vuol dire che la possa

considerare un aspetto superato del carisma. L’elemento solitudinedeve realmente significare qualcosa nella vita di un passionista.

Una descrizione del carisma passionista ante litteram, è quella

che fece brillantemente Gerardo Sciarretta, dicendo che la

Congregazione passionista “ha caro di raccogliere in sé tutte le

esperienze spirituali del passato: la vocazione eremitica di chi fugge

dal mondo per ritirarsi in profonda solitudine e vivere solo a Dio;

quella monastica di chi attende all’Opus Dei e alla lettura sacra; la

vita canonicale di una liturgia autenticamente genuina, che se rifug-

ge dalle dignità abbaziali, ha tutta l’aria di non voler cedere un punto

alla severa solennità del culto delle cattedrali; il regime cenobitico di

una vita comune in cui la disciplina di un’osservanza quadrata e

matematica e l’uso ‘standard’ dei mezzi di sussistenza, quali il vitto

e il vestiario, tende a spogliare la persona di quanto ha di proprio per

livellarla sulla piattaforma della comunità. Inoltre, a tutto questo

aggiunge – può sembrare un controsenso – una rigorosa ascesi indi-vidualistica, che ha il suo fulcro nella meditazione, in cui il religioso

viene abbandonato alla sua propria introspezione, affinché per lunghe

ore metta a nudo le radici del suo essere, nella tenebra del coro, ma

alla luce di Dio; e finalmente la vocazione missionaria di questo

straniero del mondo, che ritorna nel mondo non suo, a far caccia di

anime, a far bottino di spiriti immortali detenuti nell’abiezione e nella

colpa”19

. Questa specie di eclettismo è oggettivo: c’è nel passionista

qualcosa di monastico, per cui si sente a casa sua, a suo agio, nel con-

vento, che non è solo luogo di passaggio a scopo di organizzazione

dell’apostolato e proprio per questo è chiamato ritiro. Ricordo qui

le riflessioni di Breton sull’abitare ed essere abitati da una Presenza.

Ci sono poi le altre dimensioni che Sciarretta ricorda, certamente

riprese, magari in forme diverse, nelle nuove Costituzioni.

18 Per il Beato Bernardo, cf F. Giorgini, Bernardo Maria Silvestrelli. Uomodi pace proteso al futuro, Cipi, Roma, 1988; per il convento di San Bernardodi Arezzo, cf F. Giorgini, Storia della Congregazione della Passione di GesùCristo, II/2, Cipi, Roma, 2000, 107-113.

19 Spiritualità della croce, a cura di C. Naselli, San Gabriele (Te), 1980,V, 187; testo ripreso da una conferenza del 1958, intitolata La meditazione eil suo oggetto, in AA. VV., La vita contemplativa nella Congregazione dellaPassione, Eco, San Gabriele, 1958, 307-309.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia41

Se vogliamo paragonare l’insegnare al popolo a fare orazione su

cui insisteva il Santo Fondatore con qualcosa del nostro tempo, pos-

siamo dire che Paolo della Croce voleva portare tutti i cristiani che

erano in grado di recepirlo, a vivere una vita cristiana diversa da

quella esteriore e superficiale della maggioranza della gente, in

maniera analoga a quanto fanno oggi i movimenti ecclesiali o a

quanto si fa se si attuano con profondità gli insegnamenti del

Concilio Vaticano II, nei quali confluirono le migliori ricerche del

Movimento biblico, liturgico, ecumenico. Questo significa che i

passionisti sono veramente fedeli alla loro tradizione non se ripeto-

no qualche formula o metodo del passato, ma se offrono a chi è in

grado di recepirla una lectio divina ben fatta (n. 47), o una guida alla

meditazione, o anche un accompagnamento in un cammino di

approfondimento della fede quale si attua nei movimenti ecclesiali

che anche il papa continua a raccomandare. Quello che contava per

Paolo della Croce e deve contare per i suoi figli è il servizio al

Regno di Dio. Il religioso in genere e il passionista in particolare è

chiamato ad offrire un servizio al Regno che non è facile offrire in

mezzo agli impegni molteplici della pastorale diocesana. Allora egli

prenderà il suo posto nella Chiesa, non confondibile con nessun

altro.

Un numero delle Costiuzioni molto illuminante per quanto

riguarda la preghiera è il n. 39. Esso dice: “La vita di preghiera,

comunitaria e individuale, ci porta a vivere in comunione con la

Trinità. Pregando rispondiamo all’invito amoroso del Padre. Mossi

dallo Spirito Santo ci uniamo alla persona di Cristo, specialmente

nel suo mistero pasquale. Contempliamo questo mistero nella medi-

tazione personale che ci conduce ad un amore sempre più grande.

Partecipiamo ad esso attraverso gli eventi del mondo, nei quali

siamo coinvolti a causa della nostra vita e del nostro lavoro e lo rivi-

viamo nella celebrazione liturgica. Così con l’orazione, la nostra

vita si unisce a Cristo nel suo cammino verso il Padre”.

Prima del Concilio Vaticano II si pensava alla Trinità immanente

indipendentemente dalla Trinità economica, cioè indipendentemen-

te dall’economia della salvezza. Oggi non si pensa più la Trinità al

di fuori del mistero pasquale, che è richiamato in questo stesso

numero. Sinteticamente, al mistero pasquale vengono collegati tutti

gli eventi della storia, in virtù dell’orazione. Si trova qui bene

espresso quanto Bruno Forte scrive a proposito del pregare all’inter-

no della Trinità, cioè del pregare in Dio, lamentando che molti

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia42

cristiani pregano Dio, ma non sanno pregare in Dio20

. Si resta ester-

ni a Dio, perché non ci si sente figli che, nel Figlio, pregano il Padre

attraverso lo Spirito. Questo numero ci dice che, attraverso lo

Spirito, ci viene comunicata la preghiera del Figlio che si rivolge al

Padre. Lo stesso si dica dell’inerenza dell’Eucaristia nella croce,

espressa nel n. 42: anche qui fin dall’inizio, al sacrificio redentore

vengono collegati i sacrifici di tutti gli uomini. Rinnovando

questo sacrificio, annunciamo la sua morte e proclamiamo la sua

risurrezione.

Un numero delle Costituzioni - il n. 53 - è dedicato alla Vergine

Maria, la cui devozione è stata sempre forte nel Santo Fondatore e

nella spiritualità della Congregazione – basterebbe ricordare per

questo San Gabriele dlel’Addolorata -. Esso propone Maria come

modello di ascolto della Parola, contemplazione, partecipazione alla

Passione, intercessione.

La carità che

fonda l’unità

della Comunità

è chiaramente collegata

alla carità manifestata

da Cristo sulla croce, la

quale abbatte ogni muro di separazione (nn. 25-26). Per edificare la

Comunità di vita, le Costituzioni puntano su convinzioni fondamen-

tali più che su norme vincolanti. Coltivare il dialogo (27), stima e

premura per gli altri (26, 28), cura degli infermi e degli anziani e

ricordo dei defunti (29-31), aperture varie. Queste ultime rimanda-

no alla ecclesiologia di comunione con la quale il Concilio Vaticano

II intende sostituire l’ecclesiologia degli steccati e delle condanne.

Il più importante, forse, fra i segni dei tempi che caratterizzano la

nostra epoca è l’esigenza imprescindibile di operare per la pace. Le

guerre, infatti, ci sono sempre state, ma non c’è mai stata un’epoca

in cui la minaccia delle guerre sia diventata come oggi, minaccia per

la sopravvivenza dell’umanità e della distruzione della stessa mera-

20 Cf B. Forte, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Ed. Paoline,Cinisello B., 1985, 13. Cf A. Lippi, Abbà Padre. Teologia del Padre e teologiadella croce, EDB, Bologna, 1999, 119 ss.

6. Croce e Comunità:l’attenzione ai crocifissi

di oggi (n. 65)

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia43

vigliosa casa nella quale Dio ci ha collocato per abitarla. I papi,

dopo il documento conciliare Gaudium et spes21richiamano spesso

questa minaccia mai esistita precedentemente. Ma questa premura

della pace si deve manifestare a tutti i livelli, cominciando da quel-

la della famiglia e della comunità cristiana di appartenenza. Come si

può pregare e operare sinceramente per la pace nel mondo se si sca-

tenano a cuor leggero conflitti nel proprio ambiente di vita?

Nelle Costituzioni dei Passionisti risulta evidente che l’apparte-

nenza alla propria comunità si apre spontaneamente verso comunità

più ampie. Come io esco dalla mia chiusura mentale aprendomi alla

comunità, così fa la comunità più piccola rispetto a quelle più ampie.

Il n. 34 parla dell’accoglienza in comunità. Non si tratta di uscire da

una riservatezza custodita per secoli, ma di domandarci se in questa

tradizione non si sia inserita qualche forma di preservazione egoista

di certe prerogative che non è conforme allo spirito del vangelo. Chi

preserva la propria vita si mette fuori del flusso della vita che viene

dalla Ruach di Dio: è una delle espressioni fondamentali della teo-

logia della Croce che ricorre in tutti e quattro i vangeli.

L’attenzione ai più deboli della comunità diviene così attenzione

ai più deboli nel mondo. La parabola contenuta in Mt 25, 25- 40,

sintetizzata nella frase. Quello che avete fatto ai più piccoli fra ivostri fratelli, lo avete fatto a me, esprime la teologia della kenosi

che non è più soltanto kenosi del Figlio di Dio, ma si applica a tutti

i discepoli in quanto, col battesimo, vengono introdotti in un cam-

mino di progressiva conformazione a Cristo. Qui si evince che o la

croce produce giustizia e pace oppure non è croce, è una croce vani-

ficata: questo era per Paolo apostolo che aveva un vero terrore che

la stessa croce di Cristo venisse vanificata: ut non evacuetur cruxChristi (1Cor 1, 17). I passionisti sono chiamati ad essere, nella

Chiesa, i custodi del dono della croce e lo sono in quanto ne verifi-

cano l’autenticità dagli effetti di giustizia, di unità e di pace che essa

produce, ovunque, nelle famiglia, nelle comunità, nella società, nel

mondo intero. L’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veri-tate, esprime questi insegnamenti con una logica stringente.

L’intero testo delle Costituzioni è attraversato dal legame fra il

Crocifisso del Calvario e i crocifissi di oggi. Questa espressione

si trova al n 65, ma il suo contenuto è già espresso al n.3, al n. 13

21 Vedi specialmente n. 80.

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

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sacrascrittura

eteologia

teologia44

e altrove, per culminare nel n. 72, dove si parla dello stile di

vita della Congregazione passionista come “denuncia profetica del-

l’ingiustizia che vediamo intorno a noi e continua testimonianza

contro la società dei consumi”. Mt 20 prospetta con estrema chiarez-

za il contrasto fra una sociologia di ispirazione pagana e una

sociologia di ispirazione cristiana. Quella è basata sul privilegio e il

dominio del più forte sul più debole, questa sul servizio kenotico del

forte verso il debole, ispirato al dono che di sé fa Gesù con la sua

morte esplicitamente ricordata in Mt 20, 28. Una spiritualità che

volesse ignorare questo coinvolgimento con i crocifissi del nostro

tempo sarebbe una falsificazione e uno svuotamento della croce,

assolutamente estranea al pensiero e alla vita del Fondatore,

sarebbe un clericalismo analogo al fariseismo del tempo di Gesù,

dove essere preti o consacrati significa tenere per sé dei privilegi,

evitando accuratamente la kenosi. La dottrina sociale della Chiesa,

sintetizzata magistralmente nell’ultima enciclica del papa, si può

considerare un’esplicitazione di questa teologia e di questa spiritua-

lità. Per un approfondimento di queste tematiche nelle Costituzioni

dei Passionisti, sarà utile rileggere i commenti che ne fecero a

suo tempo, su invito del Generale, Padre Stanislas Breton22

e il

sottoscritto23

.

La Congregazione della Passione ha un Ufficio generalizio che si

occupa dei temi della Giustizia, della Pace e dell’integrità del crea-

to (JPIC). Questo ufficio ha sperimentato una certa difficoltà a far

comprendere lo stretto legame che esiste fra la rivelazione del Dio

Crocifisso e questi temi, tanto da arrivare a domandarsi: da che cosa

nasce la difficoltà a comprendere che queste tematiche sono profon-

damente cristiane e passioniste? e ad analizzare queste resistenze24

,

peraltro diffuse fra il clero in genere e fra molti cristiani laici prati-

canti. Si rilevava la necessità di mettere in chiaro il fondamento

biblico e carismatico di queste urgenze, l’inadeguatezza della for-

mazione ascetica ricevuta da molti rispetto alla gravissima situazio-

22 Cf S. Breton, La continua memoria della Passione, in Ricerche di storia espiritualità passionista, n. 39, 33-46.

23 Cf A. Lippi, La Memoria Passionis come forza di liberazione, in Ricerchedi storia…n. 38, …

24 Cf A. Lippi, Prologo, in JPIC Passionista, Ricerche di storia e spiritualitàpassionista, N. 60.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia45

ne in cui si trova oggi il mondo col pericolo dell’autodistruzione del-

l’umanità e della distruzione dello stesso cosmo, la carenza della

conoscenza dei meccanismi di oppressione e di inquinamento lega-

ti all’avidità del guadagno economico che rifiuta ogni controllo. Le

Costituzioni manifestano a questo proposito una meravigliosa

coscienza e responsabilità, come la manifestano gli ultimi Pontefici,

specialmente l’attuale Pontefice Benedetto XVI25

.

L’inizio del capi-

tolo sulla forma-

zione afferma

che questa è opera dello

Spirito Santo e l’attivi-

tà dei formatori consiste, perciò, principalmente, nel collaborare a

questa opera (n. 77). Con questa affermazione esso riallaccia auto-

maticamente la teologia della formazione a tutto quanto detto, in

diverse parti delle Costituzioni, sulle comunità passioniste come

scuole di preghiera e sui religiosi come maestri di preghiera, tesi

ripetuta esplicitamente, nell’ambito di questo capitolo, al n. 80. Il

resto del capitolo si attesta maggiormente sopra una descrizione

antropologica della formazione. Si tratta certamente di un’antropo-

logia cristiana e passionista, che, in quanto tale, contiene i principi

formativi fondamentali. Manca, però, in questo capitolo, una teolo-

gia fondamentale della formazione cristiana, che si possa dire speci-

ficamente passionista. Antonio Artola dichiara che questo capitolo è

un luogo privilegiato per i riferimenti alla Memoria Passionis, ma

poi cita solo un numero dei Regolamenti e dice che “la cosa più

importante di questo capitolo è la formula della Professione”26

.

Gonzalez si appella ad un comma contenuto nel n. 82, dove si esor-

tano i formatori e le comunità “a scoprire nel mistero salvifico del

Cristo le esigenze della vocazione passionista”, in mezzo a diverse

25 L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, dedica un’intera sezionealle conseguenze sociali ed ecologiche della fede e della pratica dell’Eucaristia(Eucaristia mistero da offrire al mondo, nn. 88-92). Tutta l’enciclica Caritas inveritate tratta il tema della giustizia. Un settore relativamente ampio è destina-to alla responsabilità ecologica, nn. 48-52.

26 La Memoria Passionis nelle Costituzioni, cit., (13).

7. La Formazione

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

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sacrascrittura

eteologia

teologia46

altre esortazioni a sviluppare l’equilibrio personale e la sensibilità

sociale27

. Per il resto fa appello ad altre parti delle Costituzioni cer-

tamente valide. Convengo anch’io che l’essenziale della formazione

passionista si trova in questo capitolo, in quanto vengono richiama-

ti altri capitoli fondamentali.

Formazione, dal latino forma, che risponde al greco morphè, non

è un termine ignoto nel Nuovo Testamento. In Rom 12 1-3 si parla

esplicitamente della necessità di smettere di conformarci (sysche-matìzein) alla mentalità del secolo (tò aioni touto)) nella quale si

nasce per il peccato originale, per trasformarci (metamorphein), fino

a pervenire ad una diversa conformazione, la conformazione a

Cristo, (Symmorphous tes eicònos tou you autou, Rom 8, 29) della

quale Paolo parla in diversi passi delle sue lettere28

. Questa opera-

zione di non-conformazione e di trasformazione è richiamata dal

Santo Fondatore con le esortazioni all’alto distaccamento ed astra-zione da tutto il creato, che ritornano infinite volte nei suoi insegna-

menti. Questa distacco è la condizione per avere autentici uomini diDio. Scriveva ad esempio ad un suo religioso:

“Procuri, con la divina grazia, di vivere una vita moriente, astrat-

ta da tutto il creato, buttata nell’orribile nulla proprio, con vera anne-

gazione di tutto ciò che non è Dio, in vera povertà di spirito”29

.

La Passione come kenosi e come esperienza battesimale di con-

formazione alla morte e risurrezione di Cristo per arrivare alla

Passione come agàpe, dono, non è richiamata in questo capitolo.

Eppure c’è tutta la dottrina della morte mistica e divina natività che,

secondo Brovetto, costituisce il fulcro della spiritualità del

Fondatore30

, la quale si riallaccia, anche secondo il Dictionnaire de

25 L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, dedica un’intera sezionealle conseguenze sociali ed ecologiche della fede e della pratica dell’Eucaristia(Eucaristia mistero da offrire al mondo, nn. 88-92). Tutta l’enciclica Caritas inveritate tratta il tema della giustizia. Un settore relativamente ampio è destina-to alla responsabilità ecologica, nn. 48-52.

26 La Memoria Passionis nelle Costituzioni, cit., (13).27 Commenti sulle Costituzioni generali C. P. capitolo V, 25.28 Pur riferendosi direttamente al corpo (sòma), Paolo pensa certamente a

una trasformazione totale della persona in Fil 3, 21 e 1Cor 15, 49.29 San Paolo della Croce, Lettere ai Passionisti, a cura di F. Giorgini, Cipi,

Roma, 1998, 66.30 Cf C. Brovetto, Introduzione ala spiritualità di San Paolo della Croce.

Morte mistica e divina natività, Eco, San Gabriele, 1955.

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia47

Spiritualité, a questa dottrina della consacrazione battesimale, che

costituisce la consacrazione fondamentale, sviluppata da quella più

propriamente religiosa31

. Il criterio fondamentale di discernimento

delle vocazioni che San Paolo della Croce pone proprio all’inizio

delle sue Regole, deve certamente essere coniugato con l’attuale

visione della personalità cristiana sviluppata, ma non può essere

semplicemente ignorato. Il Fondatore dice: “Chiunque sarà per esse-

re ammesso in questa Congregazione… considererà se, per la gloria

di Dio e per la salute sua e dei prossimi sia veramente disposto a

patir molto, a essere burlato, disprezzato e a patir travagli e tribola-

zioni”32

. Il pericolo è che si faccia una formazione di tipo antropo-

logico corrispondente alla saggezza che si cercava prima e al di fuori

del cristianesimo: arricchimento della propria personalità a costo di

un’ascesi anche forte, ma dove manca il vero passaggio attraverso la

morte dell’uomo vecchio per arrivare ad una vita nuova, ad essere

nuova creatura di Dio (cf Gal 6, 15).

Il pericolo che fu visto in una formazione di tipo battesimale,

dove si arrivi veramente ad abbandonare la personalità umana per

accogliere una nuova personalità da parte di Dio, era che dei forma-

tori prepotenti approfittassero di questi principi per schiacciare a

proprio piacimento i giovani. Ma ogni peccato va combattuto per

quello che è e in chi lo compie. Bergson faceva osservare che il dire

beati i poveri non autorizza i ricchi ad approfittarne per impoverire

ancor di più i poveri. Questa dialettica è essenziale al cristianesimo

e va capita, altrimenti la religione diventa veramente l’oppio del

popolo. Il compito di dare una formazione battesimale è il più

delicato che esista e bisogna veramente che il formatore sia già

totalmente morto lui ad ogni progetto umano di promozione della

propria vita per poterlo svolgere.

31 Cf la voce Mort mystique, in DS, X, 1790.32 Regola del 1775,capo IV, riportata nel testi italiano delle Costituzioni,

p. 12.

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia48

La teologia che

soggiace alle

Costituzioni dei

Passionisti è, fonda-

mentalmente, la teolo-

gia del Concilio Vaticano II. Non sarebbe difficile collegare gli ele-

menti principali della teologia delle Costituzioni con gli elementi

principali della teologia del Vaticano II.

I Concili sono la più grande profezia che risuona nella Chiesa. Il

Concilio Tridentino ha indicato la via da percorrere alla Chiesa per

i prossimi secoli. Questo non significa che esso sia stato attuato per-

fettamente fin dall’inizio. Le resistenze furono grandi. Oggi siamo

in grado di vedere i condizionamenti delle resistenze e di riconosce-

re che la direzione in cui andava la storia della Chiesa, la direzione

promossa dallo Spirito, non era in esse, ma nelle indicazioni del

Concilio che intendeva purificare e liberare la Chiesa dalle incrosta-

zioni dei secoli. Oggi si vede bene che le resistenze derivanti da

vescovi e cardinali che pensavano se stessi alla stregua di principi

del Rinascimento, nepotisti, mondani, erano resistenze allo Spirito

non giustificabili con la scusa della difesa della Chiesa e dei suoi

beni. Chi guardava la realtà con superficialità non era capace di

discernere i segni dei tempi, chi guardava nel profondo vedeva che

quella Chiesa, se non si fosse trasformata, sarebbe arretrata di fron-

te al mondo. Erano secoli che si parlava di riforme e si tentavano le

riforme. Quella di Lutero era stata la più drammatica: si piange

anche oggi sulla tunica inconsutile della Chiesa che è stata allora

lacerata.

Queste riflessioni, però non valgono solo per il passato. Ci pos-

siamo domandare che cosa esse ci insegnino a proposito delle resi-

stenze al Vaticano II, delle nostalgie e dei ritorni. Ciò che è di Dio è

dello Spirito, è della Verità e della Vita. Il segno dei tempi più

importante di oggi è l’urgenza del dialogo, dell’unità e della pace,

tutti temi ben presenti nella Parola di Dio. Abitiamo sopra una pol-

veriera che può esplodere in ogni momento, ma la gente preferisce

non pensarci, per non porsi il problema. Lasciateci tranquilli, lascia-

teci perdere, lasciateci morire in pace. Gesù è venuto a portare vita

in abbondanza (Gv 10, 10) e non accetta il ricatto della morte

Insegnamenti del Concilio Vaticano II e Costituzioni non sono

realtà del passato, ma del futuro. Oggi siamo in una condizione

migliore per valutare questi doni dello Spirito di quanto lo fossimo

8. Conclusione

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia49

venticinque o quarantacinque anni fa. Una delle grosse resistenze

derivava dall’impressione che volerci incamminare per una via

nuova significasse svalutare il passato. Ma i santi che si posero con

estrema responsabilità ad attuare il Concilio Tridentino non giudica-

vano il passato, pensando che le ricchezze delle diocesi e abbazie

fossero frutto di avidità. Sapevano che esse erano frutto di fede e di

carità e che tuttavia intorno ad esse si erano create incrostazioni ed

anche avidità di regnanti, di nobili e di altri che nuocevano, ad una

pastorale veramente evangelica. Sapevano che sbloccare queste

incrostazioni significava liberare la forza dello Spirito che avrebbe

fatto sprigionare una nuova forza di Vita, come è avvenuto nel cat-

tolicesimo dei secoli seguenti. Questa stessa cosa è vera oggi rispet-

to al Concilio Vaticano II e alle nuove Costituzioni delle

Congregazioni. Se esse saranno tradotte in pratica con impegno, svi-

lupperanno certamente una nuova vita. Non si tratta però di qualco-

sa di magico o puramente giuridico, che si possa attuare con qual-

che legge, decreto o intervento autoritario. Si esige anzitutto una

presa di coscienza tanto più profonda, quanto più il Concilio

Vaticano II (e le nuove Costituzioni con esso) non si è espresso con

giudizi e condanne, ma piuttosto con proposte e indirizzi pastorali e

spirituali. E’ quanto si è voluto fare anche con questo incontro di

riflessione a venticinque anni dall’approvazione delle nuove

Costituzioni.

Il Concilio Vaticano II è autenticità – guardatevi dal fermento dei

farisei (cf Mt 16, 6) – contro ipocrisie e compromessi. Ci troviamo

di fronte ad un mondo che è stato molto impressionato dai cosiddet-

ti maestri del sospetto – Marx, Freud, Nietzsche. Il sospetto su tutto

porta a preferire il relativismo all’adesione ad una fede o ad una filo-

sofia di vita. Dovremmo ricordare che i primi maestri del sospetto,

coloro che misero un punto interrogativo sulle pratiche della religio-

ne e del perbenismo sociale, furono i profeti di Israele e Gesù. Le

scienze umane, non ancora adeguatamente studiate nel tirocinio

degli studi teologici, insegnano ad analizzare le motivazioni dei

comportamenti umani, particolarmente di quelli scorretti. Non si

possono rifiutare, rifugiandosi in qualche specie di sottile fonda-

mentalismo e approfittando delle delusioni di chi le segue. Non è

questa la linea profetica indicata dal Vaticano II e dalle Costituzioni.

Sarebbe preferibile mostrare che il meglio delle scienze umane pro-

viene dalla Bibbia e trova un fondamento valido per la loro attuazio-

ne solamente nel Vangelo. Gli insegnamenti del magistero sono

ADOLFO LIPPISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

sacrascrittura

eteologia

teologia50

chiarissimi su questo. L’ultima enciclica di Benedetto XVI – la

Caritas in veritate – è un capolavoro di integrazione fra fede cristia-

na e cultura attuale. Di fronte ad essa non c’è uomo di cultura che

non debba fare tanto di cappello. Questa è anche l’autentica linea

scelta dai più grandi Padri e Dottori della Chiesa, specialmente da

San Tommaso.

Le Costituzioni propongono ai passionisti, con molta chiarezza e

sinteticità, la loro propria identità nella Chiesa. Questa esisteva già

fin dall’inizio e si era espressa in tante forme e modi. Le

Costituzioni riprendono e sintetizzano quelle forme e quei modi,

adattandoli alle esigenze del tempo, dei luoghi e delle culture in cui

viviamo. Se esse verranno attuate, i passionisti prenderanno certa-

mente il proprio posto nella Chiesa con efficacia e fecondità, offren-

do ad essa il prezioso contributo del loro carisma.

THEOLOGY CONTAINED IN THE TEXT OF THE

PASSIONIST CONSTITUTIONS

By Adolfo Lippi, C.P.

Twenty-five years after the approval of the new Constitutions of thePassionist Congregation we are offered a reflection on the theologywhich inspired the work and which may well be valid for otherCongregations and spiritual movements. This has required a studyof the problem posed by a critical examination of Vatican II, some-thing which, obviously, can’t be done automatically, as it is subjectto resistance and even, at times, to opposition.

ENG

LA THÉOLOGIE CONTENUE DANS LE TEXTE DES

CONSTITUTION DES PASSIONISTES

de Adolfo Lippi c.p.

A l’occasion des vingt-cinq ans de l’approbation des nouvellesConstitutions des Passionistes, voici une réflexion sur la théologiequi les a inspirées, valable aussi pour d’autres Instituts ouMouvements. En outre, est examiné ici le problème de la réceptiondu Concile Vatican II au niveau des Instituts, des Mouvementsspirituels et des églises locales ; une réception qui, à l’évidence,ne se vérifie pas automatiquement, mais est sujette à des résistanceset parfois des oppositions.

LA TEOLOGÍA QUE SE CONTIENE EN EL TEXTO

DE LAS CONSTITUCIONES DE LOS PASIONISTAS

De Adolfo Lippi c.p.

A los veinticinco años de la aprobación de las nuevasConstituciones de los Pasionistas, se ofrece aquí una reflexión sobrela teología que las ha inspirado, que puede valer también para otrosInstitutos y Movimientos espirituales. Eso comporta además un exa-men sobre el problema de la aceptación del Concilio Vaticano II anivel de los Institutos, Movimientos espirituales e iglesias locales,una aceptación que, como es evidente, no se realizó automáticamen-te, sino que estuvo sujeta a resistencias, y a veces, a oposiciones.

DIE THEOLOGIE IN DEN KONSTITUTIONEN DER

PASSIONISTEN

von Adolfo Lippi c. p.

Fünfundzwanzig Jahre nach der Approbation der neuenKonstitutionen der Passionisten bietet sich hier eine Reflexion überjene Theologie an, welche inspirierend für die Konstitutionen war.Die Abhandlung kann durchaus auch für andere Institute und geist-liche Bewegungen nützlich sein. Sie untersucht unter anderem die

La teologiacontenuta nel testodelle costituzionidei Passionisti27-52

sacrascritturaeteologia

teologia51

FRA

ESP

GER

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sacrascrittura

eteologia

teologia52

Problematik der Rezeption des Zweiten Vatikanischen Konzils aufEbene der Institute, geistlichen Bewegungen und lokalen Kirchen.Es ist offensichtlich, dass eine solche nicht automatisch vollzogenwird, sondern auch auf Widerstände und verschiedentlich aufOpposition trifft.

TEOLOGIA ZAWARTA W TEKŚCIE KONSTYTUCJI

PASJONISTÓW

Adolfo Lippi c. p.

W dwadzieścia pięć lat od zaaprobowania nowych KonstytucjiPasjonistów prezentujemy refleksję nad teologią, która jezainspirowała, mogącą mieć znaczenie także dla innych Instytutówi Ruchów duchowych. Artykuł poddaje też ocenie problem recepcjiSoboru Watykańskiego II na poziomie Instytutów, Ruchówduchowych i kościołów lokalnych. Recepcja ta nie dokonuje się,oczywiście, automatycznie, ale napotyka opory a czasem sprzeciwy.

POL

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità53

di LUBOMIR ZAK

Nella testimonianza del sacerdote Max Joseph Metzger, chequi il professor Zak ci presenta, colpiscono la sua sensibilitàspirituale, l’amore e il gusto per la Parola di Dio, l’aperturaecumenica, la gioia imperturbabile dello Spirito. Si leggonocon vero stupore le parole delle sue lettere, delle sue poesiee delle sue riflessioni teologiche.C’è in Metzger una fortissima inte-riorità, teorizzata teologicamentee vissuta esistenzialmente. C’è inlui una notevole erudizione, masoprattutto una profondissimasapienza.

La persona di Max Josef Metzger

1, sacerdote cattolico, gior-

nalista e teologo, è sempre più conosciuta oltre i confini

della Germania: la fama della sua coraggiosa e pionieristi-

«NELLE CARCERINAZISTECON SAN PAOLO»LA TESTIMONIANZADI MAX JOSEF METZGER1. Introduzione:

“theologia in vinculis”

1 Metzger nacque il 3 febbraio 1887 a Schopfheim (Baden), primo di quat-tro figli. Dopo la conclusione degli studi liceali, entrò nel seminario diocesanoa Freiburg im Breisgau. Negli anni 1908-1910, prima di essere ordinato sacer-dote, si trasferì a Fribourg, in Svizzera, dove consegue il dottorato in teologia.A seguito degli studi compiuti nell’università svizzera, durante i quali strinseamicizia con studenti di diverse nazionalità, iniziò a liberarsi dai pregiudizi cul-turali e religiosi trasmessigli in famiglia tramite un’educazione che mirava a svi-luppare in lui i sentimenti del nazionalismo tedesco e del confessionalismo cat-tolico. Dal 1915, dopo una breve e dolorosa esperienza di guerra sul frontetedesco-francese, si trasferì a Graz (Austria), dove, come redattore di alcunigiornali cattolici e direttore di un centro di astinenza dagli alcolici, iniziò un’am-pia campagna di educazione alla pace e alla riconciliazione dei popoli coin-

LUBOMIR ZAKSapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

pastoralee

spiritualità

spiritualità54

ca attività pacifista ed ecumenica inizia a propagarsi ormai da alcu-

ni anni anche in Italia2, soprattutto dopo la decisione di R. Zollitsch,

arcivescovo della diocesi di Freiburg i. Br., di aprire nel 2006 il pro-

cesso della sua beatificazione. Il sacerdote tedesco è conosciuto da

molti come il fondatore della fraternità interconfessionale UnaSancta e, prima ancora, come un martire, condannato a morte dal

regime di Hitler a causa della sua visione cristiana del mondo

volti nel primo conflitto mondiale. Alla fine della guerra, Metzger cominciò atessere una fitta rete di contatti con i pacifisti all’estero, impegnandosi nella dif-fusione dell’esperanto, da lui immaginato come lingua del futuro mondo unito.Sempre di più, però, comprese che la costruzione della pace doveva essereun’opera comune di tutti i cristiani. Per questo motivo si avvicinò al movimentoecumenico, stabilendo profondi rapporti di amicizia e di collaborazione con inon cattolici. Allo stesso tempo decise di fondare una comunità (Societas ChristiRegis, oggi Christkönigs-Institut ), pensata come movimento animato dagli idea-li del cristianesimo delle origini. Dopo il ritorno in Germania (a Meitingen),Metzger poté osservare più da vicino, e con preoccupazione, l’ascesa al pote-re di Hitler e del partito nazionalsocialista. Volendo contrastare l’ideologia aria-na, egli, dal 1938, intensificò la sua attività ecumenica e fondò la fraternitàinterconfessionale Una Sancta. Il rapido diffondersi della fraternità e i contattidi Metzger con l’estero non potevano essere visti di buon occhio dalla Gestapo.Il motivo che condusse all’arresto e alla condanna a morte fu il ritrovamento diun manifesto in cui il sacerdote, prevedendo la sconfitta tedesca, prospettava ilfuturo della Germania post-nazionalsocialista nell’unione degli Stati d’Europa.Il 14 ottobre fu condannato a morte dal Tribunale di giustizia del popolo peralto tradimento; la condanna fu eseguita il 17 aprile 1944.

2 Tra i saggi più recenti pubblicati in italiano si vedano: L. ZAK, Max JosefMetzger, pioniere dell’ecumenismo cattolico e la sua lettera a Pio XII dal carce-re nazista, in Lateranum LXXII/3 (2006) 611-615; ID. L’alternativa dell’azionecristiana di M.J. Metzger al messianismo del Terzo Reich. Aspetto sociale, paci-fista ed ecumenico, in Studia Moralia 46/1 (2008) 165-201; ID., Max JosefMetzger: breve profilo di un pioniere sconosciuto dell’ecumenismo cattolico, inM. MARCATELLI (a cura di), Parola e Tempo. Percorsi di vita ecclesiale tra memo-ria e profezia. Annale n. 7 (anno VII) dell’ISSR ‘Alberto Marvelli’ (Rimini),Pazzini editore, Verucchio 2008, 75-99; ID., «Scomodo profeta di un mondomigliore». M.J. Metzger e una nuova visione della Chiesa e dell’Europa, in M.J.METZGER, La mia vita per la pace. Lettere dalle prigioni naziste scritte con lemani legate, tr. it., San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, 9-80; S. ZUCAL,L’incontro di due testimoni credibili della nuova Europa: Metzger e Guardini, inM. MARCATELLI (a cura di), Parola e Tempo, 100-108 (con una lettera di Metzgera R. Guardini, 109-113); L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger):una riflessione sulla Chiesa scritta con le mani legate, Lateranum LXXV/2(2009) 371-410.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità55

accompagnata dalla volontà di diffondere, nella Chiesa e nella

società tedesca, gli ideali evangelici della riconciliazione e dell’uni-

tà. È meno conosciuto, invece, lo spessore teologico del suo pensie-

ro. Certo, il sacerdote non insegnò mai teologia e dopo la pubblica-

zione, nel 1914, di un’ottima tesi di dottorato3, non diede alla stam-

pa nessun’opera sistematica su temi teologici, avendo preannuncia-

to l’arresto della sua carriera teologica già nel 1910, quando – gui-

dato dal crescente desiderio di lavorare ad una rinascita spirituale e

morale del popolo tedesco – scrisse agli amici: «Il mio obiettivo non

è quello di diventare uno studioso (…), ma quello di essere un pio

sacerdote e un bravo pastore di anime»4. Eppure egli si occupò di

teologia intensamente per tutta la vita, coltivando rapporti di amici-

zia e di collaborazione con alcuni importanti teologi della sua epoca.

L’interesse di Metzger per la “scienza sacra” fu legato stretta-

mente al suo impegno ecumenico che lo portò a studiare e ad appro-

fondire l’ecclesiologia e il pensiero di Lutero. Tuttavia egli non

smise mai, sin dai tempi della frequentazione della Facoltà teologi-

ca di Freiburg i. Br., di dedicarsi con passione allo studio della litur-

gia e della Sacra Scrittura. Tra le amicizie e le conoscenze teologi-

che di Metzger vanno ricordate, ad esempio, quelle con i cattolici J.

Lortz, M. Laros, P. Parsch, O. Casel e R. Guardini, e con gli evan-

gelici J. Ungnad, H. Asmussen e F. Heiler. In ogni caso la più espli-

cita e più commovente dimostrazione della sua passione per la teo-

logia sono i suoi stessi scritti dal braccio della morte di

Brandenburg, in particolare il saggio Theologische Abhandlungüber das Königtum Christi5

(Trattato teologico sul Regno di Cristo),

3 Metzger scrisse il suo dottorato all’Università cattolica di Fribourg, sotto laguida del prof. G. Pfeilschifter, discutendolo con successo nel 1910. Il lavororicevette il premio per la migliore tesi da parte della Facoltà teologica diFreiburg i. Br. e fu pubblicato con il titolo Zwei Karolingische Pontifikalien vomOberrhein. Herausgegeben und auf ihre Stellung in der liturgischen Literaturuntersucht mit geschichtlichen Studien über die Entstehung der Pontifikalien,über die Riten der Ordinationen, der Dedicatio Ecclesiae und des OrdoBaptismi, Herdersche Verlagshandlung, Freiburg i.Br. 1914.

4 Citato in M. MÖHRING, Täter des Wortes. Max Josef Metzger - Leben undWirken, Kyrios-Verlag, Meitingen-Freising 1966, 9.

5 Esso fu pubblicato per la prima volta in M. MÖHRING, Täter des Wortes,231-302. La seconda edizione, curata dalla comunità di Metzger, si trova inMaran atha. Zum 25. Todestag von Dr. Max Josef Metzger, Kyrios-Verlag,Meitingen-Freising 1969, 33-115. Per un suo approfondimento rimando alla

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pastoralee

spiritualità

spiritualità56

scritto con una minuscola calligrafia su 135 fogli sottili (formato

A 5) e accompagnato da 394 note contenenti riferimenti biblici, cita-

zioni a memoria di alcune opere teologiche e brevi approfondimen-

ti dei temi trattati. Basterebbe questo saggio – al quale, comunque,

ne vanno aggiunti altri del periodo antecedente alla detenzione – per

immortalare il nome di Metzger, iscrivendolo nel grande libro della

storia della teologia.

Ciò che caratterizza la persona e il pensiero teologico di Metzger

è il loro profilo decisamente “filopaolino”6. Quanto fosse determi-

nante per lui la figura di Paolo emerge subito, non appena ci si acco-

sta alla sua biografia e ai suoi scritti. Appena ordinato, Metzger

compose un canto – che continuò a cantare volentieri fino alla morte

– in cui confessava di voler diventare un discepolo di Gesù Cristo

secondo l’esempio di Paolo. «Anch’io come te» – scriveva ammi-

rando lo spirito di universalismo dell’Apostolo – «vorrei avere un

cuore / tanto grande da comprendere il mondo (…). / Così, pellegri-

no, vorrei andare attraverso i paesi, / essere araldo del sommo Re, /

per annunciare a tutti la buona Novella / e liberare per Lui tutti i

popoli»7. «Così dovrebbe ardere in me un fuoco / pieno di passione

santa e divina» – continuava, riferendosi al coraggio di Paolo, pron-

to a lasciarsi ferire e, persino, uccidere, per il Maestro – «che io,

anche se minacciato dalla morte e dal Maligno, / offra con gioia i

beni e la vita! / Portare su di me le ferite del Redentore / come te, a

questo dovrei aspirare»8. «Solo un pensiero dovrebbe essere in me /

un gran pensiero fatidico» – annotava ancora, alludendo alla totale

e incondizionata adesione di Paolo alla volontà divina –: «che noi,

sgorgati dal grembo di Dio Onnipotente, / rendiamo visibile il Suo

tesi di U. MÜLLER, Auf dem Weg zu einer «neuen» Kirche. Das Kirchenbild Dr.Max Josef Metzgers in seiner «Theologischen Abhandlung über das KönigtumChristi», discussa nel 1986 alla Facoltà teologica dell’Università di Augsburg epremiata nel 1988 dalla Facoltà teologica dell’Università di Regensburg (nonpubblicata, ma reperibile in AM).

6 Cf. H. BÄCKER, Herold-Apostel-Blutzeuge, in M.J. METZGER (BRUDER PAULUS),Gefangenschaftsbriefe, seconda edizione, Kyrios-Verlag, Meitingen b.Augsburg 1948, 17-131.

7 M.J. METZGER, Pauluslied, in ID., Für Frieden und Einheit. Briefe aus derGefangenschaft, a cura del Christkonigs-Institut, Kyrios-Verlag, Meitingen-Freising 1964 (la 3a ed.), XII.

8 Ibid., XIII.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità57

amore. / Una volontà sola, un unico anelito possente, / dovrebbe

penetrare la mente e il cuore: / che regni ovunque Lui, / al quale

appartiene tutto il potere nel Cielo!»9.

San Paolo fu per Metzger il simbolo di una cristianità dinamica,

desiderosa di comunicare instancabilmente la verità evangelica. Per

questo motivo decise di chiamare la sua casa editrice, fondata nel

1920 a Graz, Paulusverlag, considerandola uno strumento indispen-

sabile della “diaconia paolina” (la missione mediante la parola stam-

pata) della sua comunità10

. L’Apostolo ispirò la sua visione del

sacerdozio, al punto che egli pianificò la fondazione di un’associa-

zione di sacerdoti diocesani, Apostolische Priestervereinigung St.Paulus. I sacerdoti che avrebbero voluto farne parte, avrebbero

dovuto vivere – scrisse Metzger nel braccio della morte – in una

«vera fratellanza (philadelphia), nella quale uno si prende cura del-

l’altro secondo l’esempio del SIGNORE (Rm 15,7), nella quale

ognuno serve il fratello con il proprio dono (Gal 5,13; 1Pt 4,10) e

portando i pesi dell’altro cerca di compiere la “legge” del Signore

(Gal 6,2). Una fratellanza, la quale si attua praticamente, verso

l’esterno, in un pianificato e comune servizio spirituale alla kyriaké,

al suo costruire nuovo in amore (Ef 4,16)!»11

.

Certamente il segno più eloquente della vicinanza di Metzger alla

persona e al pensiero dell’Apostolo fu la sua decisione di portare

all’interno della sua comunità il nome di Bruder Paulus e di voler

festeggiare l’onomastico nel giorno della Festa liturgica della con-

versione di san Paolo (25 gennaio). Tuttavia, i momenti più intensi

del suo “discepolato paolino” furono quelli legati al triplice arresto

da parte della Gestapo, momenti che culminarono con la condanna

a morte e, successivamente, con la permanenza, durata sei mesi, nel

braccio della morte di Brandenburg, nei pressi di Berlino. Come si

evince dagli scritti carcerari del sacerdote e dalle testimonianze di

coloro che continuarono a stargli vicino, egli visse tale esperienza

identificandosi completamente con san Paolo. Metzger, da una

9 Ibid., XIII. 10 Cf. M.J. METZGER, Was ist eigentlich das Weiße Kreuz? (in AM), dattilo-

scritto, 3. Il nome della casa editrice dovette essere più tardi cambiato inChristkönigsverlag e, successivamente, in Kyrios-Verlag.

11 M.J. METZGER, Philadelphia, in L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J.Metzger), 407.

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pastoralee

spiritualità

spiritualità58

parte, sperimentò che la sua drammatica sorte di prigioniero gli per-

metteva di entrare in una profonda conoscenza esistenziale del pen-

siero dell’Apostolo; dall’altra, scoprì che proprio le lettere paoline –

che egli poteva leggere anche nel carcere e nel braccio della morte

– gli suggerivano le parole più adatte, per poter comunicare (nelle

sue lettere) alla comunità, agli amici e ai famigliari il suo stato

d’animo, aiutando tutti loro a vivere tale dolorosa esperienza nella

speranza che ciò che accadeva facesse parte di un disegno di Dio.

AMetzger appar-

ve come un

vero e proprio

segno il fatto di essere

stato arrestato per la

prima volta nel giorno

della Festa liturgica della conversione di san Paolo e che il terzo

arresto avvenisse nel giorno della Festa degli Apostoli Pietro e

Paolo, il 29 giugno 1943. Annunciando il suo arresto nella lettera del

23 gennaio 1934 ai genitori e ai fratelli della comunità, egli scrisse:

«A Monaco hanno comunque deciso di mettermi temporaneamente in

stato di arresto. (…) E proprio in questo giorno! Ma ciò risveglia anche

una certa gioia in me, perché così posso assomigliare di più

all’Apostolo anche nella sofferenza. Accetto tutto volentieri, purché

questo in qualche modo e in qualche luogo porti una benedizione!»12

.

Mentre la prima prigionia durò soltanto alcuni giorni, la seconda

fu un periodo molto più lungo, che permise a Metzger di interioriz-

zare l’esperienza di chi, come Paolo, visse da «prigioniero di

Cristo» (Ef 3,1). Va subito detto, però, che ciò gli fu possibile anche

grazie al contatto quotidiano con le lettere paoline. Infatti, diversa-

mente dai detenuti dei gulag sovietici, i prigionieri delle carceri

naziste potevano avere con sé, se richiesto, il libro della Sacra

Scrittura. Quanto un simile privilegio fosse gradito al Nostro, lo si

può immaginare facilmente, visto che uno degli obiettivi primari del

12 M.J. METZGER, Christuszeuge in einer zerrissenen Welt. Briefe undDokumente aus der Gefangenschaft 1934-1944, a cura e con introduzione diK. Kienzler, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1991 (la 4a ed.), 45.

2. L’esperienza “paolina”della seconda prigionia

(1939)

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità59

suo apostolato fu la diffusione della Bibbia e, soprattutto, della pra-

tica di una sua quotidiana lettura. «La Sacra Scrittura» – affermò

Metzger nel 1937 – «è, per noi, una lettera di Dio all’umanità. La

spontanea gratitudine chiede che ci lasciamo toccare, nella nostra

profondità, dalla Buona Novella e che riflettiamo, possibilmente con

costanza, su di essa»13

. Non sorprende, perciò, che egli proprio nel

periodo della seconda prigionia – quando cioè fu impegnato a diri-

gere la collana Lebensschule der Heiligen Schrift (Scuola di vitadella Sacra Scrittura)

14– invitasse, con una lettera circolare, anche

gli altri prigionieri del carcere di Augsburg a vivere la loro difficile

sorte con la Bibbia in mano. Egli scrisse:

«Se ti posso dare ancora un consiglio, ebbene, in questi giorni di rifles-

sione su te stesso stendi la mano al “Libro dei libri”. Se sei seriamente

deciso a diventare un vero “cristiano”, che cosa ti può giovare di più

che andare alla scuola della “Buona Novella” di Cristo e leggere i

magnifici libri del “Nuovo Testamento”? (Forse non hai mai avuto tra

le mani questo prezioso testo, e perciò voglio subito dirti di non spa-

ventarti: non si tratta di libri nel senso corrente della parola, ma di un

unico sottile libro composto di alcune parti, cioè di alcuni singoli

“libri”. Tuttavia, ciascuna di queste parti nasconde in sé ben più conte-

nuto di un grande volume. Per mezzo del cappellano cattolico delle car-

ceri potrai ricevere facilmente un “Nuovo Testamento” o almeno un

“Vangelo”). Se, come ti ho detto, sono tanto lieto persino nella cella

della prigione, ciò è dovuto in gran parte al fatto che sempre di nuovo

mi occupo dei preziosi tesori che vi sono nascosti»15

.

La seconda prigionia fu, per Metzger, un periodo di grande inti-

mità con il libro sacro. «Sì, posso dire» – confidò l’11 novembre

1939 alla sorella Judith Maria – «che già da lungo tempo non avevo

più avuto in me un senso di felicità così grande come in questi gior-

ni, in cui vivo solo della Parola di Dio dal mattino presto fino alla

13 M.J. METZGER, Fragen und Antworten, dattiloscritto, 7 (in AM). 14 Il progetto della collana nacque non «per fornire agli studiosi uno stru-

mento scientifico di lavoro, ma per offrire al popolo un immediato aiuto di vita»(Lebensschule der Hl. Schrift, in Christkönigsbote 10 [1934] 3). La collana pre-vedeva la pubblicazione di piccoli libri brochés ideati o come approfondimen-to di un tema scritturistico (oppure riguardante il contesto in cui vennero com-posti i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento) o come commento a uno deilibri sacri.

15 M.J. METZGER, Christuszeuge, 101-102.

LUBOMIR ZAKSapCr XXIV

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pastoralee

spiritualità

spiritualità60

sera»16

. Tale intimo contatto con la Sacra Scrittura fu favorito, da

una parte, dalla particolarità del momento: «Il Libro dei libri» –

scrisse il sacerdote ai fratelli della comunità – «è l’unica cosa che

posso avere nella mia cella. Che tesoro è per me in queste ore!»17

.

Dall’altra, però, fu orientato non solo verso la ricerca della propria

consolazione, ma anche verso un approfondimento conoscitivo del

testo sacro. Per questo motivo Metzger chiese ai fratelli della comu-

nità di spedirgli nel carcere alcuni strumenti di lavoro, necessari per

la sua ricerca biblica: «il Novum Testamentum graece, il dizionario

greco, la Sinossi in tedesco e in greco, la Bibbia di Lutero con il

vocabolario» e, infine, «il Commentario neotestamentario diRegensburg»

18.

Ovviamente, l’interesse di Metzger riguardò in modo privilegia-

to le lettere di Paolo, a contatto con le quali sperimentò la presenza

di una parola forte «che, come una spada, divide la verità dall’erro-

re e, nello stesso tempo, lenisce e risana come olio soave»19

. Ma

prima ancora, egli volle guardare alla situazione in cui si era trova-

to20

con gli occhi dell’Apostolo. Il fatto di essere stato arrestato

16 E aggiunse: «Sarei, credo, molto contento se dovessi dedicare a un cosìnobile impegno un tempo più lungo. Certo desidererei possedere, a questoscopo, capacità umane assieme ad alcuni libri (Armonie dei Vangeli, Nuovotestamento in greco con vocabolario, la mia Bibbia di Lutero), carta e inchio-stro!» (M.J. METZGER, La mia vita, 92).

17 E continua ancora: «Nei Vangeli leggo ogni giorno le Beatitudini delSignore e sempre di nuovo me ne allieto. Negli Atti degli Apostoli leggo comei Dodici in ogni situazione erano testimoni della morte e della risurrezione delSignore e come si rallegravano di patire perfino umiliazioni subite per il Suonome. (…) E poi la misteriosa Apocalisse: “Alleluia. Ha preso possesso del suoregno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, ren-diamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello; la Sua Sposa èpronta…” (Ap 19,6)» (M.J. METZGER, Christuszeuge, 63). In un’altra lettera del22 novembre 1939 Metzger annotò: «Leggo soprattutto la sacra Scrittura, rica-vando da questa lettura una benedizione» (ID., La mia vita, 98); cf. ibid., 101.

18 Ibid., 99. 19 M.J. METZGER, Christuszeuge, 63.20 Il sacerdote fu incarcerato in concomitanza con numerosi arresti a segui-

to dell’attentato a Hitler in una birreria di Monaco (8 novembre 1939). Il fattodi essere rimasto trattenuto in carcere anche dopo la cattura dell’attentatore eil modo con il quale veniva trattato facevano capire che la Gestapo gli volevaimpartire una lezione intimidatoria, considerandolo – a causa della sua attivitàattorno alla fraternità Una Sancta (attività che lo spinse a non rispettare il divie-

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità61

proprio mentre operava un intenso e spossante lavoro per la

diffusione degli ideali teologici e spirituali dell’Una Sancta e per la

fondazione, in tutta la Germania, di numerose sezioni locali della

fraternità ecumenica, fu da lui interpretato come invito, da parte di

Dio, a una sosta spirituale, a un raccoglimento interiore simile a

quello che Paolo visse nel “deserto” delle prigioni. Per questo, in

una delle prime lettere scrisse:

«Tu sai già che mi è stato inflitto un tempo di silenzio. Quanto durerà,

non lo so. Vorrei tanto che finisse presto. Ad ogni modo – ti parrà forse

strano, però dico sul serio –, non mi sentirò per niente sfortunato se

dovesse durare di più. L’importante è che diventi fecondo per me. E

penso che sarà così. Già da lungo tempo sentivo il bisogno di un perio-

do di silenzioso raccoglimento, per essere lontano da tutte le “faccen-

de”. Non trovavo mai il tempo né la forza di lasciare tutto e di andare

nel ‘deserto’ che, invece, per Paolo fu un luogo di benedizione. Ora

Dio mi ha semplicemente imposto questi esercizi spirituali. Accetto

volentieri»21

.

Sul piano teologico e spirituale, due sono i “temi paolini” che

Metzger – riferendosi alla sua esperienza di carcerato – richiama in

primo piano durante questo periodo: il tema dell’“essere (vivere) in

Cristo” (cf. 2Cor 12,2; Rm 6,11; 8,1) e quello dell’essere insieme (in

quanto credenti in Cristo) “un unico Corpo” (cf. 1Cor 12,12-27),

entrambi centrali per la mistica di san Paolo22

. Quanto al primo

tema, il prigioniero lo sviluppa alla luce del passo di Gal 2,20,

to dei raduni pubblici, a collaborare con l’intellighenzia tedesca avversa allapolitica del governo ecc.) – un nemico del nazionalsocialismo. Infatti, dopo ilrilascio Metzger iniziò a essere permanentemente sorvegliato e spiato. Cf. L.ZAK, «Scomodo profeta di un mondo migliore», 62-63.

21 M.J. METZGER, La mia vita, 92. E continua ancora: «Sì, mi allieto perfinodella reale povertà e della costrizione all’ubbidienza, nelle quali mi trovo qui,onde poter fare sul serio, almeno una volta, quanto vado predicando agli altrie forse io stesso non sembro adempiere tanto perfettamente. Qui lo posso fare.Non voglio avere di fatto nessun vantaggio di fronte agli altri, se non quello (seciò non è troppo) di potermi occupare in modo proficuo delle cose spirituali.Non avere preoccupazioni per me» (ibid., 93). Cf. anche M.J. METZGER,Christuszeuge, 62.

22 Cf. R. PENNA, L‘apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, ed. Paoline,Cinisello Balsamo 1991, 654-663.

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OTTOBRE-DICEMBRE 2009

pastoralee

spiritualità

spiritualità62

citato subito nella sua prima lettera dal carcere23

, passo che comple-

ta la prospettiva dell’“io in Cristo” con quella del “Cristo in me”.

Egli, allo stesso tempo, introduce un significativo – ma teologica-

mente del tutto corretto e, anzi, necessario – ampliamento di tale

completamento: passa dall’orizzonte cristologico a quello trinitario,

essendo convinto che se «in me c’è la vita di Cristo», ciò significa

che «nell’anima mia vi è la vita di tutta la Santissima Trinità»24

.

Metzger – che prima dell’arresto dedicò proprio a tale tema la rifles-

sione Der Himmel in uns (Il Cielo in noi)25– approfondisce questa

sua concezione dell’inabitazione di Dio nell’uomo in una lettera

scritta in occasione dell’Avvento26

. In essa afferma:

«Dio in me! In Lui io vivo, mi muovo ed esisto! In Lui, Dio, Creatore

e Conservatore, il quale ogni giorno, anzi ogni ora mi dona la vita e

paternamente la custodisce27

. Egli non è lontano, al di sopra delle nubi,

23 Nella lettera del 1 novembre 1939 scrive: «Mi rincresce che siate tantopreoccupati per causa mia – non ce n’è motivo! –, mentre invece, grazie a Dio,io sono profondamente radicato nella convinzione che: “…anche se dovessicamminare nelle tenebre e nell’ombra della morte, non temerei alcun male: Tusei con me!”. Anzi, in una convinzione più intima e più reale di quella del can-tore dell’Antica Alleanza, in quanto posso dire: “Io vivo, però non io: Cristovive in me”» (M.J. METZGER, La mia vita, 89).

24 M.J. METZGER, Christuszeuge, 63. 25 Cf. ibid., 50-57; tr. it. parziale in M.J. METZGER, La mia vita, 90-91. 26 Intitolata Licht leuchtet ins Dunkel (La luce brilla nelle tenebre), la lettera viene

scritta con un tono solenne tipico di alcune lettere di Paolo; cf. ibid., 62, 66.27 Approfondendo, ne Il Cielo in noi, lo stesso tema dell’inabitazione tra Dio

e l’uomo, vissuta come esperienza della figliolanza, il sacerdote scrisse: «Il“nostro Padre”, a cui ci rivolgiamo nella preghiera, in verità “non è lontano daciascuno di noi” (At 17,27). Egli ci chiama costantemente per nome: “Tu miappartieni!” (Is 43,1). E ad ogni ora attende la risposta del figlio: “Abba!Padre!” (Rm 8,15). Come figli a pieno diritto e tanto amati, noi ci sentiamo tran-quilli al riparo della Sua mano potente. Pieni di filiale fiducia, ci rivolgiamo aLui in ogni nostra necessità e tribolazione. Ma di fronte a Lui non abbiamo biso-gno di dire molte parole: “Il Padre sa già ciò di cui avete bisogno” (Mt 6,8).Affidiamoci dunque a Lui ciecamente: “Anche se dovessi camminare nelle tene-bre e nell’ombra di morte, non temerei alcun male, perché Tu sei con me” (Sal23,4). In ogni tempo, noi non pensiamo né diciamo altro che quello che giàdisse Cristo come preghiera della sua vita: “Ecco, io vengo, o Dio, per fare latua volontà” (Eb 10,7); “come in Cielo, così in terra”, affinché “venga il TuoRegno” (Mt 6,10) in mezzo a noi e in tutto il mondo. A null’altro vogliamo ten-dere se non a questo Tuo Regno e al suo compimento, ben sapendo che dallaTua grazia tutte le cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33)» (ibid., 53-54).

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità63

non debbo temere che sia irraggiungibile. Egli mi è più vicino di quan-

to non lo sia io a me stesso. L’eterno e unigenito Figlio dell’eterno

Padre, colui che assunse forma umana per condividere con me, da fra-

tello, il mio umano destino, Lui mi concesse, per mezzo del lavacro

della rigenerazione, di partecipare misteriosamente alla Sua stessa divi-

na natura e alla Sua stessa vita. Perciò in verità posso affermare con

l’Apostolo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”. Come

è consolante questo pensiero, quando si è privati della possibilità di

partecipare ogni giorno alla santa messa e di accostarsi alla “comunio-

ne”. Infatti, la sacra comunione mi è già stata donata per mezzo dell’in-

tima comunione di vita che Cristo aveva instaurato con me e che quo-

tidianamente rinnovava e approfondiva sin da quando mi dava la Sua

carne e il Suo sangue come cibo e bevanda. Anche se ora il sacramen-

to esterno mi è stato negato, Egli nella Sua forza operante non è legato

ai segni esterni. Anzi, Egli stesso è il Sacramento di vita che, come radi-

ce, nutre con le sue forze e la sua linfa tutta quanta la vite. Egli è ilSanto per il Suo Santo Spirito. Ed io so per fede che per mezzo della

grazia sono di fatto tempio dello Spirito Santo e che lo Spirito di Dio

vive realmente in me. Che cosa mi occorre di più, per avere il Cielo in

me? Esso non è forse là, dove c’è Dio Triuno? Certamente questo Cielo

oggi è in me ancora nascosto, così come il fiore e il frutto sono nasco-

sti nel seme. Esso finora rappresenta più una speranza che un beatopossesso… Ma lo Spirito Santo è già in me come “pegno e caparra”; lo

Spirito che è l’amore personale di Dio Triuno, nel cui pieno possesso si

avrà il Cielo»28

.

Il prigioniero non dimentica di sottolineare, nelle sue lettere, che

la realtà appena descritta fu ciò che, per grazia, caratterizzava la sua

esperienza di fede vissuta nel carcere, infondendogli forze nuove e

speranza29

. Ma la stessa dimensione esperienziale caratterizza anche

l’approfondimento del secondo tema della mistica paolina. Infatti,

grazie alla nitida percezione della presenza di Dio nelle profondità

del proprio cuore30

, Metzger sentì, in sé, di essere unito a tutti i

28 Ibid., 63-64. 29 In una lettera del 1 dicembre 1939 scrisse: «Ogni giorno, da quando

l’Avvento non è ancora iniziato, mi ripeto le parole dell’Apostolo: “Gaudete,iterum dico: gaudete!”. E le prendo anche sul serio. Ringraziando il Signoreposso dire che il sole non è tramontato in me nemmeno per un attimo. Sonopieno di gioia, il che non dipende solo dalla mia coscienza pulita (1Pt 3,17),ma soprattutto dalla fede nella presenza di Dio in me» (ibid., 100-101).

30 «Dio in me! Di che cosa potrei esser privo, se in Lui possiedo il tutto? Checosa mi dovrebbe mancare, se Egli interamente si è donato a me? (…) Così

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pastoralee

spiritualità

spiritualità64

fratelli della sua comunità, sperimentando vivamente che la cella

carceraria non poteva spezzare la loro mistica unità con e in Cristo.

Che significa una separazione fisica «in confronto alla nostra

vicinanza in Cristo?», esclamò perciò scrivendo ai suoi, dopo aver

ricordato loro che quella che stavano vivendo era un’esperienza del

«grande mistero del Cristo che continua a vivere nel tempo»: il

mistero del Corpo di Cristo, inteso come “spazio” senza confini in

grado di accogliere, e unire in un unico organismo vivente, tutti

coloro che sono stati rigenerati dall’acqua e dallo Spirito Santo.

Nonostante in questo organismo ogni membro abbia uno specifico

compito, tutti sono «l’un l’altro vivamente vicini nella vita del

Capo»31

, che, poi, è la stessa vita trinitaria di Dio: l’amore.

Seriamente preoccupato per lo scoppio della seconda guerra

mondiale e, al contempo, consapevole della non poca responsabilità

dei cristiani – incapaci di offrire al mondo una testimonianza di

riconciliazione nell’amore – per un simile stato di cose, Metzger

ebbe la consapevolezza che la realtà dell’unità dei credenti, descrit-

ta da Paolo come “Corpo di Cristo”, non poteva venire concepita se

non in riferimento al comandamento nuovo di Gesù Cristo. Ed è per

questo che egli, desiderando che la sua comunità fosse una comuni-

tà cristiana esemplare, invitò i suoi a percorrere insieme la via della

carità, affermando:

«Fratelli e sorelle! I tempi si sono aggravati! (…) La disponibilità ad

amare è il grande comandamento dell’ora presente! “Viviamo e moria-

mo per una cosa sola: che l’amore riunisca tutti gli uomini” – ecco

quanto ci aveva felicemente insegnato fratel Franz32

. Ma ogni cantare è

soltanto un suono vuoto, se non si fonda sulla realtà della vita. Nella

nostra comunità deve rendersi di nuovo manifesto che per mezzo del

nostro essere apostoli dell’amore dobbiamo divenire messaggeri del-

l’amore fraterno, che trae la sua forza dalle profondità della conoscen-

za per fede del mistero che tutti sono membra unite nell’unico Corpo

del Signore. Se volete rendermi voi un servizio, se per consolarmi nel

tormento di questi giorni volete procurarmi una gioia, allora aspirate

rimango in “adorazione” continua, con tutti i pensieri e i desideri, che sempredi nuovo gravitano intorno a questo grande mistero: la vita di Dio nella miaanima, il Suo vivere nel mio essere» (M.J. METZGER, Christuszeuge, 64).

31 Ibid., 65.32 Uno dei primi compagni di Metzger, da lui ricordato più ampiamente

nella lettera del 7 settembre 1943 (cf. M.J. METZGER, La mia vita, 161-162).

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità65

all’amore! Aspirate senza sosta all’amore! Un amore disinteressato

che, unico, merita questo nome divino! Un amore pronto al sacrificio,

che porta il sigillo della santa croce. Un amore autentico di benevolen-

za, che si attua specialmente nella misericordia e nell’indulgenza dei

giudizi, nella premura che previene, nella bontà senza gelosia! Un

amore operante, che si mantiene fedele in ogni ora! Aspirate all’amo-

re! Se ogni giorno, con santa prudenza, vi immedesimate nel santo

sacrificio d’amore del Signore, se lasciate che si sviluppi in voi la Sua

vita divina, allora i frutti dello Spirito Santo si manifesteranno a tutti.

Dio è Amore. Coloro che veramente vivono in Lui non possono porta-

re altri frutti che quelli dell’amore»33

.

Gli stessi “temi

paolini”, appe-

na menzionati,

continuano a essere

presenti anche negli

scritti di Metzger della

terza e ultima prigionia, dai quali si capisce che la riflessione del

detenuto poggia sul suolo di un’esperienza di fede fatta in condizio-

ni di vita estremamente difficili, determinate, tra le altre cose, dal

trattamento che egli ricevette nei tre penitenziari34

in cui si trovò rin-

chiuso dal 29 giugno 1943, giorno dell’arresto, al 17 aprile 1944,

giorno della decapitazione. Consapevole della gravità della sua

situazione e sperimentando una crescente e dolorosa solitudine, il

sacerdote fu attratto da un approfondimento prima di tutto esisten-

ziale del tema dell’unione con Dio, descrivendo, nelle lettere e nelle

33 M.J. METZGER, Christuszeuge, 65-66. 34 Appena arrestato, il sacerdote fu trattenuto nel penitenziario della

Gestapo sulla Prinz-Albrecht-Straße di Berlino, dove si trovava per essere inter-rogato. L’11 settembre 1943 fu trasferito, per l’istruttoria, al temuto carcere diPlötzensee – dove dal 4 fino al 12 settembre vennero giustiziate 300 persone–, tuttavia, il suo fascicolo fu completato senza che egli avesse potuto parlarecon un giudice istruttore. Fu qui che a Metzger venne consegnato, il 9 ottobre1943, l’atto di accusa dal quale apprese che sarebbe stato giudicato per altotradimento (cf. M.J. METZGER, La mia vita, 179). Dopo il processo, svoltosi aBerlino il 14 ottobre, concluso con la condanna a morte, il sacerdote rimaseuna settimana nel penitenziario di Plötzensee. Il 22 ottobre fu trasferito, assiemead altri condannati, nel braccio della morte di Brandenburg-Görden, nellaperiferia di Berlino.

3. Verso il processoe il patibolo

con san Paolo (1943-44

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pastoralee

spiritualità

spiritualità66

poesie, tale unione come l’esperienza, tipicamente paolina, della

figliolanza divina35

. «La realtà» – confidò alla sorella Gertrudis

nella lettera del 10 ottobre 1943 – «che in questi giorni mi rende

interiormente gioioso, malgrado tutte le tribolazioni del cuore, è

quella espressa con una sola parola: “Abba” - Padre buono!»36

, paro-

la che egli invocava, assieme alla formula Maranatha, ogni giorno

come sua preghiera37

, imitando così il modo di pregare

dell’Apostolo (cf. Gal 4,6; Rm 8,15; 2Cor 1,20)38

. Tuttavia, Metzger

comprendeva e viveva tale esperienza non come una sorta di isola-

mento mistico, ma, al contrario, come un presupposto necessario per

sperimentare l’esistenza di un legame di unità, nell’amore di Dio

Padre – manifestatosi mediante lo Spirito nella persona di Gesù

Cristo –, sia con coloro che erano assieme a lui nella cella39

, sia con

35 Cf. L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger), 388-390. 36 M.J. METZGER, La mia vita, 180. 37 «“Abba” – è questa la mia preghiera di ogni giorno; Abba, Padre buono

e “Maranatha”» (ibid., 187).38 Cf. A. PITTA, La preghiera nelle lettere di Paolo e nelle prime comunità cri-

stiane, in C. ROSSINI – P. SCIADINI (edd.), Enciclopedia della preghiera, LEV, Cittàdel Vaticano 2007, 149-151.

39 In una lettera dell’8 luglio 1943 scrisse: «Come vi avevo già detto, orasono in una cella comune. (…) In questi giorni ho riflettuto molto sullo SpiritoSanto (cf. ánemos in greco, anima in latino). La Scrittura lo chiama pneuma,che significa soffio, alito o vento. Esso è il caldo alito di vita che promana dal-l’interiorità di Dio, e perciò si può identificare anche con un amore che scorre.Secondo il salmista, questo alito vitale di Dio riempie tutto. In Lui, nel Suoamore, viviamo e ci muoviamo! Per mezzo di Lui siamo uniti tra di noi. Sì,anche il nostro respiro di vita proviene da Lui. In Lui noi ci incontriamo.Dapprima fu per me difficile respirare l’aria di una comunità così eterogenea(il fumo!), ma poi mi sono reso conto che anche una simile situazione ha tutta-via qualcosa a che fare con la realtà di una comunità nell’amore alla quale noi,sull’esempio di Cristo, aspiriamo in modo particolare. Tutti noi che respiriamola stessa aria ci uniamo, lo vogliamo o no, per mezzo di ciò che respiriamo,esternando con il respiro qualcosa della nostra interiorità. (Il bacio non è forseun anelito a partecipare reciprocamente in modo più profondo al “pneuma”, alsoffio di vita dell’altro?). È, dunque, volontà di Dio che, mediante il reciprocoin-/es-pirare la stessa aria, noi ci trasferiamo contemporaneamente l’unonell’altro… prendendoci cura della comunità. Da quando mi sono reso conto diciò, partecipo con gioia – nonostante le ovvie difficoltà – a questa unionecomunitaria…» (M.J. METZGER, La mia vita, 120-121). Va ricordato che dopo ilsuo trasferimento nel braccio della morte di Brandenburg, Metzger visse nellacella da solo, dovendosi confrontare con una dolorosa solitudine.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità67

i fratelli in libertà40

. Non solo: egli pose proprio questo tipo di espe-

rienza al centro – quale tema e, insieme, prospettiva teologica di

fondo – delle sue riflessioni sulla Chiesa, presenti in Die Frage nachder SICHTBARKEIT oder UNSICHTBARKEIT der KIRCHE (Laquestione della Visibilità e Invisibilità della Chiesa)

41e, soprattutto,

nel citato saggio Theologische Abhandlung über das KönigtumChristi, in cui mise a fuoco l’assoluta centralità della rivelazione di

Dio come Amore trinitario per un’ecclesiologia biblica ed ecumeni-

ca e, prima ancora, per una rinnovata esperienza di fede nella

Chiesa.

Va ricordato, però, che tale nitida percezione esistenziale e teolo-

gica della centralità della carità, dell’amore, per la fede e per la

Chiesa si nutriva, anche durante la terza prigionia, del contatto quo-

tidiano del prigioniero con la Sacra Scrittura. «Poi studio san

Giovanni leggendolo in greco e tedesco» – scrisse nella lettera

dell’8 luglio 1943 e aggiunse: «Che soddisfazione profonda, quan-

do lo si può fare con calma!»42

. Eppure la terza prigionia fu un perio-

do di lotta per la Scrittura, in quanto lo spostamento del sacerdote

nel penitenziario di Plötzensee, il processo davanti al Tribunale di

giustizia del Popolo e il trasferimento nel braccio della morte di

Brandenburg-Görden comportarono la confisca, da parte della dire-

zione del carcere, di tutte le cose personali, libri inclusi, cose che

potevano essere nuovamente richieste e riavute solo dopo una lunga

attesa dovuta alla lentezza della burocrazia carceraria. «Purtroppo»

– annotò il 14 settembre 1943 nel penitenziario di Plötzensee – «non

ho ancora né il breviario né il messale, tanto meno il libro del Nuovo

Testamento». Ma aggiunse fiducioso: «Comunque li riavrò in ogni

caso»43

. Infatti, descrivendo nella lettera successiva del 30 settembre

le difficoltà dei primi giorni a Plötzensee e ricordando il suo dolore

per essere stato privato del testo sacro, egli scrisse con sollievo:

40 Si veda a questo proposito la sua interpretazione del termine circumstan-tes (preso dal canone della messa), inteso come specificazione liturgica dell’es-sere-uno-in-Cristo, nella lettera del 26 agosto 1943 (in M.J. METZGER, La miavita, 152-153); cf. inoltre ibid., 90 e 98; ID., Christuszeuge, 64.

41 Cf. M.J. METZGER, La mia vita, 203-207. 42 Ibid., 122. 43 M.J. METZGER, Christuszeuge, 132.

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pastoralee

spiritualità

spiritualità68

«Potete immaginare quanto mi manchi la santa messa quotidiana.

Eppure devo di nuovo ribadire che nella silenziosa celebrazione quoti-

diana della memoria passionis Jesu Christi trovo per la mia anima, così

come avevo insegnato a voi, ciò di cui ha bisogno. Molto di più, inve-

ce, sentivo la mancanza, davvero dolorosa, della divina parola della

Sacra Scrittura. È vero che ogni giorno, durante la celebrazione della

memoria, recitavo a memoria una parola dell’Apostolo e una del

Signore, per poterle meditare. Ad ogni modo sentivo anche che è dalla

lettura [della Scrittura] che devo trarre una sempre nuova ricchezza in

grado di nutrirmi durante i lunghi giorni e le ancora più lunghe notti.

Come ero felice, dunque, quando stamattina presto mi sono stati ridati

i miei libri: il breviario (in latino e tedesco) e il Nuovo Testamento (in

greco e tedesco)»44

.

Ancora più dolorosi, però, furono i giorni trascorsi senza il libro

della Sacra Scrittura dopo il trasferimento del prigioniero nel brac-

cio della morte. È vero che, salvo casi particolari, la prassi giudizia-

ria del Terzo Reich non prevedeva che dopo il processo avvenisse

un’esecuzione immediata della pena capitale, in quanto i condanna-

ti potevano ancora chiedere la grazia al Ministro di Giustizia.

Tuttavia, soprattutto i primi giorni vissuti nella prigione di

Brandenburg – dove i colpi della ghigliottina, situata in un garage,

rimbombavano in tutte le celle – furono per tutti i condannati un

tempo di estrema, quasi insopportabile prova psicologica. Il dispia-

cere di dover affrontare tale prova senza il conforto del testo sacro

fu espresso dal sacerdote subito nella sua prima lettera, inviata da

quel luogo di orrore alla sorella Gertrudis il 24 ottobre 1943. Egli

scrisse:

«Ormai da venerdì sono a Brandenburg-Görden. Questa è forse l’ultima

stazione, ancora un po’ più dura; però Dio mi dà la forza e la grazia di dire

con gioia il sì a tutto. Ciò che più mi manca è la Parola di Dio. Come siete

fortunati voi, che avete sempre a disposizione il Libro Sacro! Il giovedì

scorso [a Plötzensee – L.Z.], dopo molti sforzi, sono finalmente riuscito

a ottenere una copia del Nuovo Testamento, ma il venerdì mi hanno

trasferito. E così ora devo di nuovo lottare [per riaverlo – L.Z.], iniziando

qui da capo»45

.

44 M.J. METZGER, La mia vita, 173-174. 45 Ibid., 186.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità69

Già in un’altra occasione ho avuto modo di parlare della fecondi-

tà letteraria e teologica di Metzger durante la sua permanenza nel

braccio della morte46

. Ciò che ora mi preme di sottolineare è che tale

fecondità è legata alla possibilità, concessagli, di avere con sé, nella

cella, il libro della Scrittura che egli utilizzava sia come un testo di

lettura e di meditazione spirituale, sia come uno strumento di lavo-

ro, indispensabile per la sua ricerca teologica. Per vedere quanto

quest’ultima fosse fondata sulle basi bibliche è sufficiente leggere i

succitati saggi Die Frage nach der SICHTBARKEIT oder UNSI-CHTBARKEIT der KIRCHE e Theologische Abhandlung über dasKönigtum Christi, oppure gli scritti Philadelphia47

e Besinnung(Riflessione)

48. Il fatto che essi abbondino di citazioni bibliche e di

numerosissimi riferimenti ai passi scritturistici è una inconfondibile

conferma della dedizione del condannato alla lettura e allo studio

della Bibbia. Egli la consultava con assiduità, nonostante le sue

mani fossero parzialmente immobilizzate dalla fastidiosa e dolorosa

stretta delle catene49

che ogni condannato a morte doveva portare

giorno e notte, e nonostante fuori della sua “stanza di studio” sof-

fiassero gelidi venti di morte. Riferendosi, di sfuggita, alle condizio-

ni in cui nascevano e venivano sviluppate le sue riflessioni teologi-

che, Metzger annotò:

«È sempre un nuovo colpo al cuore quando si vedono portare alla ghi-

gliottina i compagni venuti qui insieme a noi, senza sapere per quanto

46 Cf. L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger), 384-387. 47 L’originale (senza data) non fu finora mai pubblicato; la sua traduzione

italiana è reperibile in ibid., 403-410.48 Pubblicato in M.J. METZGER, La mia vita, 235-246. 49 Riferendosi ai primi momenti di convivenza con le catene, iniziata dopo

il processo, Metzger annotò: «Quando alla sera entrai nella mia cella, mi ingi-nocchiai, ringraziando Dio di avermi inserito in questo modo nella sequela diCristo, e Lo pregai affinché conservasse il mio coraggio fino alla fine. Ebbianche sufficiente tranquillità per potermi mettere a letto. Ma le catene moltostrette, che dovevo portare anche di notte, in seguito all’eccessivo affaticamen-to psichico della giornata mi provocarono alla fine tali disturbi di cuore che fuicostretto a suonare. Era necessario che per un po’ di tempo mi venissero toltele catene, in modo che, distendendomi, riacquistassi nuovamente la forza delcuore» (ibid., 198-199). Più tardi, in un’altra lettera (30 dicembre 1943)confessò: «Sono contento di poter tenere la mia mente occupata, anche se èdifficile scrivere con le catene; e questo di sicuro non fa piacere neppure a chilegge» (ibid., 220).

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pastoralee

spiritualità

spiritualità70

tempo ancora si potrà sfuggire alla loro sorte. Tuttavia, nella preghiera

insistente ho trovato la calma e la sicurezza, la santa imperturbabilità,

tanto che quasi non mi sento più scosso dal pensiero che per forza di

cose si ha, quando si sta di fronte ad un evento così drammatico come

quello che mi attende»50

.

Che in queste condizioni di vita e di lavoro Metzger avesse sen-

tito la particolare vicinanza di san Paolo, lo si può dare per sconta-

to. Ciò emerge, ad esempio, dal nome con il quale il sacerdote firma

la sua poesia Una Sancta: “Paulus in vinculis”51

. Lo si nota anche

dalle frequenti citazioni, nelle lettere, delle parole dell’Apostolo,

come se egli, duramente provato dalla vita nel braccio della morte,

avesse voluto comunicare con i fratelli e con i cari tramite colui che,

pur essendo rinchiuso nel carcere, riuscì a sentirsi interiormente

libero, continuando a esercitare la missione di annunciatore del

Vangelo. «Leggevo in questi giorni la magnifica Lettera di Paolo aiFilippesi. Leggetela, vi prego (specialmente 1,3ss; 2,5s; 3,1ss; 4,2ss;

16 [sic!])» – scrisse alla comunità il 26 agosto 1943, invitandola a

rimanere nella gioia e a custodire gli stessi sentimenti di umiltà e di

rinnegamento di sé che furono di Gesù Cristo –, «e così saprete

quello che vorrei scrivervi»52

. Un breve rimando alle lettere di Paolo

(Fil 4,11; 1Cor 15) si trova nella lettera del 29 agosto 194353

, men-

tre alla sorella Judith Maria scrisse le tenere parole dell’Apostolo

rivolte a Timoteo: «(…) mi tornano alla mente le tue lacrime e sento

la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia» (2Tm 1,4)54

.

50 Ibid., 200. 51 Ibid., 224-225. 52 E continuò: «La gioia santa dell’“essere-in-Cristo”, che sempre di nuovo

faceva esultare Paolo in mezzo alle sue tribolazioni, sia proprio essa quel donodi grazia che, pregando, vogliamo ottenere l’uno per l’altro. La pace di Cristosia con voi! Che essa possa essere donata anche al “mondo”!» (ibid., 153-154).

53 Essa recita: «Fratelli miei! Se l’Apostolo si può vantare della grazia, chegli è stata concessa, di sapersi adattare in ogni situazione (Fil 4,2), allora devoringraziare anch’io di questo dono. Oggi sono due mesi che sono stato priva-to della libertà. Ed ecco, devo rendere grazie – “semper et ubisque” – chedurante tutte queste settimane ho potuto essere sempre lieto nel Signore. Lodevo certo anche alle vostre intercessioni, che spero mi vorrete donare ancheper il futuro. Nell’epistola di questa domenica (1Cor 15) l’Apostolo esorta arimanere saldi nella fede. Si tratta senz’altro di una grazia che tutti noi in modoparticolare dobbiamo chiedere; noi tutti che viviamo in un mondo ostile allafede» (ibid., 154).

54 Cf. ibid., 159.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità71

E certamente di Judith Maria volle parlare, ma ora a tutta la comu-

nità, quando, con le parole di Paolo indirizzate ai Tessalonicesi55

, la

indicò come tramite tra lui e i fratelli, visto che lei era riuscita già

due volte a visitare il sacerdote nel carcere56

.

Dalle notizie di Metzger dal braccio della morte si evince che egli

faceva una lettura continuativa delle lettere di san Paolo. «La prima

cosa che ho fatto» – scrisse, infatti, a Judith Maria dal penitenziario

di Plötzensee, dopo aver potuto riavere gli oggetti personali e, quin-

di, anche il libro della Bibbia – «è stata di riprendere la lettura lad-

dove l’avevo interrotta tre settimane fa, e cioè sulla lettera

dell’Apostolo ai suoi Tessalonicesi, il secondo e il terzo capitolo»57

.

E aggiunse:

«Sento poi che basterebbe solo ricopiare le parole che Paolo scriveva a

questa sua comunità: i suoi sono gli stessi pensieri che pervadono

completamente anche me. Il che ovviamente vale in modo particolare

per le lettere di Paolo dal carcere. Visto che porto il suo stesso nome,

un tale privilegio me lo posso ora guadagnare qui, ancora una volta.

Anch’io, come allora lui, so di essere sostenuto dalla preghiera dei

miei, cosa di cui vi ringrazio di cuore. Dio, certamente per vostra

intercessione, ha conservato in me un cuore pieno di gioia»58

.

Un giorno dopo aver ricevuto l’atto di accusa, il 10 ottobre 1943,

avendo appreso che sarebbe stato giudicato per un crimine – altro

tradimento – che veniva punito con la pena di morte, Metzger scris-

se alla sua comunità una commovente lettera, in cui parla della filia-

le fiducia in Dio Padre, “Abba”. Come conclusione, sapendo che

mentre i fratelli avrebbero letto queste parole il suo destino già

sarebbe stato deciso, egli aggiunge:

55 Metzger annotò: «Leggete La prima lettera ai Tessalonicesi, da 2,17 a3,13!» (ibid., 162).

56 Judith Maria fu arrestata assieme a Metzger e alla sorella Bernharda.Appena rilasciata, il 30 luglio 1943, riuscì già il 1 agosto a incontrare fratelPaulus nel carcere di Berlino, potendolo visitare nuovamente il 4 agosto(cf. Aufzeichnungen von Sr. Judith Maria Hauser, in AM). Le parole di Paolo in1Ts 2,6 («Ma ora che è tornato Timòteo, e ci ha portato il lieto annunzio dellavostra fede…»), incluse nel testo da lui indicato, si richiamano alla liberazionedell’amica e alle sue due visite.

57 M.J. METZGER, La mia vita, 133.58 Ibid., 133.

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pastoralee

spiritualità

spiritualità72

«Cosa debbo dirvi ancora? Non saprei dire niente di più bello di ciò che

l’Apostolo delle genti (nell’epistola letta durante la messa d’oggi) scri-

ve dalla prigionia ai suoi (com’è tutto attuale nella Scrittura!): “Fratelli!

Io, prigioniero nel Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna

della vocazione che avete ricevuto, con tutta umiltà e mansuetudine!

Siate pazienti e sopportatevi a vicenda con amore; siate assidui nel

desiderio di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della

pace: un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla

quale siete stati chiamati: un solo Signore, una sola fede, un solo bat-

tesimo, un solo Dio, Padre di tutti, che è presente qui al di sopra di tutti,

per mezzo di tutto ed in tutti noi, Egli, che è benedetto per tutti i seco-

li dei secoli. Amen” (Ef 4,1-6)»59

.

Nella lettera del 13 gennaio 1944 c’è un altro richiamo a Paolo.

Il prigioniero cita di nuovo la Lettera ai Filippesi60– in particolare

il 1° capitolo, versetti 20, 26 e 27 –, per descrivere con le parole

dell’Apostolo il proprio stato d’animo e per incoraggiare i fratelli. E

fa sue soprattutto le parole: «(…) perché il vostro vanto nei miei

riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra di

voi» (v. 26). Egli sa che anche se durante il resto della propria vita

terrena, vivendo “nel corpo”, non potrà mai più visitare i suoi, unito

intimamente a Cristo potrà comunque avvicinarli nello spirito.

«Ogni giorno» – scrive nella stessa lettera – «nello spirito vengo a

trovare tutti voi nelle diverse case. Vorrei regalare a ognuno di voi

le stesse parole di lode che Paolo manda ai Filippesi!»61

.

Occorre rammentare che Metzger formulò queste parole in una

situazione estrema, dovendo, cioè, sopportare il freddo della cella e

patendo la fame, per non parlare poi delle dure prove interiori che

periodicamente lo affliggevano e delle quali, però, non rivelò nulla

nemmeno agli amici più intimi. In queste condizioni di schiacciante

solitudine ed estrema indigenza62

, il sacerdote dimostrò di possede-

re una straordinaria capacità di reagire, dedicandosi senza sosta allo

59 Citato secondo il testo originale di Metzger.60 Egli annotò: «Oggi sto leggendo la Lettera ai Filippesi, che vorrei trascri-

vere per tutti voi, specialmente 1,20-26!-27» (ibid., 222). 61 Ibid., 222.62 Nella lettera del 23 marzo 1944 confessò: «Anche se nella fede dico il

mio sì, non è facile rimanere per quasi sei mesi in una cella angusta, sempreincatenato e senza il contatto con una parola “umana”» (ibid., 234).

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità73

studio della Bibbia e dell’inglese, alle letture63

, alla scrittura e alla

composizione di poesie e di musica. Non solo: egli proprio in

questa drammatica situazione di vita decise di lavorare alla traduzio-

ne, in tedesco, della Lettera ai Romani di san Paolo. Volendo dare

una prima notizia di questa sua impresa nella lettera del 23 marzo

1944, il sacerdote confidò alla sorella Benedicta:

«Ho anche un altro progetto: sto traducendo in tedesco la Lettera aiRomani in modo che possa essere veramente leggibile. Purtroppo, però,

finora non ho ancora potuto avere il testo originale, ossia il Nuovo

Testamento in greco, ma spero di ottenerlo. Credo che allora farò un

lavoro fondamentale»64

.

Prima di tutto va

detto che

Metzger riuscì a

preparare la traduzione

di tutta la Lettera aiRomani, omettendo, però, l’ultimo capitolo. Non è sicuro se tale

accorciamento fosse stato voluto da lui – visto che l’ultimo è “sol-

tanto” un capitolo di saluti –, o se sia invece dovuto all’esecuzione

della pena capitale. La traduzione fu consegnata dopo la morte di

Metzger alla sua comunità, la quale la custodisce come una prezio-

sa reliquia del fondatore. Aggiungo che il testo65

è scritto con una

minuscola calligrafia su 37 fogli di carta fine (di formato A5) e che

finora non è stato mai pubblicato.

Le succitate parole del sacerdote potrebbero far credere che più

che di una vera e propria traduzione dovremmo parlare di un rima-

neggiamento di quella versione – o di quelle versioni66

– del testo

4. La traduzione della“Lettera ai Romani”

63 Servendosi dei libri dalla biblioteca carceraria, Metzger poté leggerenegli ultimi mesi di vita Bekehrung des hl. Augustinus di R. Guardini e DieDämonen di F. Dostoevskij.

64 Ibid., 235. 65 M.J. METZGER, Paulus an die Römer – und die Deutschen, in AM (M

12.3.2). 66 Dall’elenco delle cose personali del defunto sacerdote, stilato il 4 maggio

1944 dal cappellano del carcere e inviato a Judith Maria (reperibile in AM), sievince che egli – assieme a un messale, a tre volumi del breviario, a un librodi preghiere e di canti, e al “libretto delle ore” per i laici – ebbe con sé nellacella: una bibbia, due libri del Nuovo Testamento e un Novum Testamentum.

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pastoralee

spiritualità

spiritualità74

tedesco della Lettera ai Romani, che egli ebbe a disposizione nel

braccio della morte. Ciò, ovviamente, sminuirebbe, almeno dal

punto di vista scientifico, l’importanza della sua opera. Pur essendo

convinto che quest’ultima avrebbe un senso e un incontestabile

valore teologico anche se il sacerdote non avesse potuto elaborare la

sua traduzione dal greco, sono tuttavia del parere che egli, alla fine,

avesse potuto lavorare con l’originale. Questo per due motivi: sia

perché l’elenco dei suoi oggetti personali, stilato dopo la sua morte,

annovera un Novum Testamentum che – visti i libri del Nuovo

Testamento custoditi nella sua biblioteca personale e in quella della

comunità di Meitingen – non poté essere che il Novum Testamentumgraece (curato da Nestle)

67; sia perché in un biglietto scritto dopo la

stesura della lettera del 23 marzo egli chiede che gli venga inviato

non più un Nuovo Testamento in lingua greca, ma piccoli quaderni-

dizionari di filologia greco-biblica68

, in particolare il quaderno

riguardante la Lettera ai Romani e la Lettera agli Efesini. È interessante notare che Metzger decise di tradurre la Lettera ai

Romani per renderla «veramente leggibile»69

; come se le numerosis-

sime traduzioni tedesche del Nuovo Testamento, comparse tra le due

guerre mondiali, non lo avessero soddisfatto, inclusa la traduzione

che nel 1937 pubblicò la sua stessa casa editrice70

. Ma la cosa anco-

67 Si tratta del libro Novum Testamentum graece (cum apparatu critico cura-vit D. Eberhard Nestle, novis curis elaboravit D. Erwin Nestle, ed. XVI,Privilegierte Württembergische Bibelanstalt, Stuttgart 1936) in cui, soprattuttosulle pagine della Lettera ai Romani, si trovano numerose annotazioni stenogra-fiche del sacerdote, assieme a molte sottolineature delle parole del testo sacro(il libro è consultabile in AM). Nella biblioteca della comunità di Meitingen sitrova, inoltre, il Novum Testamentum graece, a cura di H.J. Vogels, Verlag L.Schwann, Düsseldorf 1922.

68 Egli annotò: «Ho [si capisce: non con sé nella cella, ma nella bibliotecaa casa – L.Z.] dei piccoli dizionari biblici (quaderni) di N.T. Avrei tanto biso-gno del quaderno per la Lettera ai Romani e di quello per la Lettera agli Efesini.Il grande dizionario biblico consegnalo forse al parroco [cappellano del carce-re – L.Z.]» (in AM). Con molta probabilità si tratta dei quaderni «Urtextstudium».Sprachlicher Schlüssel zum Griechischen Neuen Testament, ed. da EberhardNestle e a cura di Fritz Rienecker, che iniziarono a essere pubblicati (presso laVereinsbuchhandlung G. Ihloff & Co., Neumünster [Holst.]) dal 1936(Evangelium des Matthäus, vol. I). Quello richiesto da Metzger, Der Brief desPaulus an die Römer, fu il quaderno n. VI (1937).

69 M.J. METZGER, La mia vita, 235.70 Si tratta di Das Neue Testament. Stuttgarter Kepplerbibel, nuova e amplia-

ta edizione a cura di P. Ketter, Christkönigsverlag, Meitingen b. Augsburg1937. Il libro fu ristampato presso la Kepplerhaus Verlag (Stuttgart 1940)

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità75

ra più curiosa è la scelta della lettera: perché volle occuparsi proprio

di quella ai Romani? Il prigioniero non lo comunicò a nessuno. Uno

dei possibili motivi potrebbe essere la presenza, in essa, di alcuni

temi che da sempre gli stavano a cuore o che avevano per lui un’im-

portanza esistenziale, come ad esempio il tema della coscienza71

,

oppure quello dell’unità con Cristo, tema che il sacerdote interpreta

accentuando la dimensione interiore dell’esperienza di fede. Lo si

evince del tutto chiaramente dalla sua libera traduzione del cap. 3,

vv. 28-29:

«Ciò che fa di uno un membro del popolo dell’Alleanza di Dio, cioè

“Giudeo”, non è l’esteriorità; l’inserimento esterno nel popolo eletto,

compiuto sul corpo, cioè la “circoncisione”, non conta. No! “Giudeo”,

cioè partecipante all’Alleanza di Dio, lo si è nel cuore, quando si è

“circoncisi” in spirito e in cuore, e non secondo le lettere della Legge.

Solo chi è così riceve la lode – non però dagli uomini, ma da Dio»72

.

e proprio questa seconda edizione (consultabile in AM) fu utilizzata daMetzger, per i suoi studi, nel braccio della morte (= Kepllerbibel).

71 Si veda, ad esempio, la sua lettera del 19 agosto 1943 alla comunità(M.J. METZGER, La mia vita, 149), la lettera del 28 settembre del 1943 alProcuratore capo (ibid., 166-167), ma anche la lettera della seconda prigioniascritta a Pio XII (ibid., 105, 115). Interessante, inoltre, la riflessione di Metzgerpresente nella sua lettera del 29 agosto 1943. Egli scrisse: «Quando parlo dellamia compagnia, penso prima di tutto al presidente della “Lega tedesca dei libe-ri pensatori”, che fino a un paio di giorni fa era mio vicino di letto. Nonostantel’abisso ideologico che ci divideva, nel reciproco rispetto ci eravamo molto piùvicini degli altri. Aveva il carattere di uno che sa giudicare in modo nobile egiusto e che sa essere un buon camerata. Mi sembra che in lui, inconsapevol-mente, continui a operare qualche cosa dell’educazione cristiana di molti seco-li di storia tedesca. Sì, mi piacerebbe, in qualche modo, poter annoverare nellacomunità di Cristo piuttosto un simile uomo, che molti altri battezzati, l’animadei quali non è stata toccata dal santo pneuma di Cristo. Non ho diritto di giu-dicare sulla sorte di un uomo nell’aldilà. In ogni caso è mia ferma convinzioneche “dannato” nel vero senso della parola, cioè destinato all’“inferno”, è soltan-to colui che ha vissuto contro le convinzioni della propria coscienza. Quanti“cristiani”, allora, si troveranno peggio dei “pagani”!» (ibid., 155).

72 «Nicht das Äußere macht zum Glied des Bundesvolkes Gottes, d.i. dem„Juden“, nicht die am Leibe vollzogene äußere Eingliederung in das auserwä-hlte Volk, d.i. „Beschneidung“, taugt etwas: Nein! Der ist „Jude“, d.i. Teilhaberdes Bundes Gottes, der es im Herzen ist, der also nicht nach demGesetzbuchstaben, sondern in Geist und Herz „beschnitten“ ist; nur solchererntet Lob – wohl nicht von Menschen, aber von Gott» (M.J. METZGER, Paulus, 5;nel testo originale le parole qui in corsivo sono sottolineate). Tr. it. della CEI:«Infatti, Giudeo non è chi tale appare all’esterno, e la circoncisione non è quel-la visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circonci-sione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non vienedagli uomini ma da Dio».

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pastoralee

spiritualità

spiritualità76

L’insistenza di Metzger su questo stesso concetto forza la sua

mano anche laddove traduce la parola “sfragís” (4,11) con “äußere

Zeichen“ (“segno esterno”) e la parola “peritomé” (4,12) con “äuße-

re Beschneidung” (“circoncisione esterna”)73

. Il che non sorprende;

infatti, egli mise il tema della dipendenza della dimensione “esterio-

re” del credere e della Chiesa dall’“interiorità” non solo al centro

delle sue riflessioni ecclesiologiche, ma lo adottò quale tema teolo-

gico di carattere prospettico74

. «Non ciò che è l’esteriore, ma la vita

interiore» – scrisse a questo proposito in Theologische Abhandlungüber das Königtum Christi – costituisce «il criterio decisivo dell’ap-

partenenza alla Chiesa in quanto Corpo di Cristo»75

. Nella stessa

opera viene spiegato con molta premura in che senso andrebbe com-

presa l’interiorità alla quale si fa riferimento. Tuttavia, ciò si capisce

benissimo anche dal testo della traduzione, dove Metzger sottolinea

quelle frasi di Paolo che invitano a comprendere lo Spirito come

compimento definitivo della Legge (traducendo «ho nómos pneu-matikós estin» [7,14] con «das Gesetz steht im Geiste» [la legge sta

nello Spirito])76

. La sua premura di esprimere proprio questo aspet-

to della teologia paolina è grande, ed essa si nota soprattutto nella

traduzione del cap. 8, dove ai “Fleischesmenschen” contrappone i

“Geistesmenschen” (v. 5)77

, al “fleischer Sinn” il “GEISTESsinn“

(v. 6)78

. Ma egli recepisce e rende con attenzione anche quelle

espressioni della Lettera ai Romani che parlano del tema – come già

spiegato sopra – a lui molto caro: la presenza dello Spirito di Cristo

73 Cf. M.J. METZGER, Paulus, 8-9. 74 Si vedano i saggi Die Frage nach der SICHTBARKEIT oder UNSICHT-

BARKEIT der KIRCHE (in M.J. METZGER, La mia vita, 203-207) e TheologischeAbhandlung über das Königtum Christi (in Maranatha. Zum 25. Todestag,40-48, 55). Per un approfondimento rimando a L. ZAK – N. DE MICO,«Philadelphia» (M.J. Metzger), 395-398.

75 M.J. METZGER, Theologische Abhandlung, 47. 76 Cf. M.J. METZGER, Paulus, 16. In Kepplerbibel: «(…) das Gesetz geistig

ist»; tr. it della CEI: «(…) la legge è spirituale».77 Cf. M.J. METZGER, Paulus, 17. In Kepplerbibel: «die nach dem Fleische

leben», «die nach dem Geiste leben»; tr. it. della CEI: «quelli che vivono secon-do la carne», «quelli che vivono secondo lo spirito».

78 Cf. M.J. METZGER, Paulus, 17. in Kepplerbibel: «das Sinnen desFleisches», «das Sinnen des Geistes»; tr. it. della CEI: «i desideri della carne»,«i desideri dello Spirito».

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità77

nel cuore dei credenti (8,9.11), sperimentata come un reale inseri-

mento nel mistero di Dio Padre, “Abba”. Il fatto che Paolo non si

fosse fermato qui, ma che avesse proseguito (nei cap. 12 e 13) invi-

tando i credenti a praticare assiduamente, nello Spirito di figliolan-

za divina, la philadelphia (12,10), un tale fatto non poté che soddi-

sfare Metzger. Così, nel braccio della morte, egli sviluppò l’idea

della centralità della carità fraterna per l’esperienza di fede e per la

Chiesa nel saggio Philadelphia e in Theologische Abhandlung überdas Königtum Christi. Per evidenziare tale centralità egli indicò nel-

l’amore verso il prossimo il compimento «des ganzen Gesetzes»

(«di tutta la legge»)79

, sottolineando nel manoscritto l’intera frase di

Rm 13,10.

Ma fu davvero il comparire di questi temi nella Lettera aiRomani ad influire sulla scelta di Metzger di tradurre proprio questo

scritto di Paolo? Non vi sono forse altre lettere dell’Apostolo dove

essi vengono trattati all’interno di una riflessione teologica ancora

più estesa ed articolata? Sono persuaso che tutti questi temi nella

Lettera ai Romani fossero, sì, determinanti, ma in quanto inseriti in

un discorso più ampio, di importanza capitale: quello sulla giustifi-

cazione per fede. Non a caso nella traduzione di Metzger i capitoli

dedicati alla giustificazione sono quelli contrassegnati maggiormen-

te da interventi creativi volti ad attribuire alle espressioni paoline un

significato teologico preciso. Dicendo ciò non mi riferisco tanto al

fatto che il prigioniero inserì nel testo della traduzione brevi frasi per

introdurre meglio le singole parti della riflessione di Paolo, quanto

piuttosto alla sostituzione di alcuni termini chiave del testo greco

con parole dal significato etimologico più ampio o, persino, diffe-

rente. Tale sostituzione era compiuta con l’intenzione di proporre

un’interpretazione teologica del pensiero dell’Apostolo sulla giusti-

ficazione. In questa sede non è possibile fare un’analisi dettagliata

della traduzione elaborata dal Nostro, né una sua valutazione scien-

tifica. Preferisco invece, seppur con brevità, presentare le linee

generali della proposta interpretativa mediante la quale egli volle

contribuire all’approfondimento di un tema centrale non solo per il

79 «So ist die Erfüllung des ganzen Gesetzes die Liebe» (13,10); l’utilizzodell’aggettivo «ganze» («das ganze Gesetz»), che intende enfatizzare il temadell’amore, si trova anche nella traduzione di Rm 13,8. Esso, invece, manca inKepplerbibel.

dialogo ecumenico (di cui fu uno dei protagonisti), ma prima di tutto

per la vita di fede dei cristiani della sua epoca.

Il quadro teologico generale che emerge dal testo del sacerdote è

quello del confronto tra la vecchia e la nuova “legge”, con l’inten-

zione di mettere in luce la loro differenza e, tramite ciò, l’essenza di

quella che si può chiamare la nuova era cristiana. Per mantenere

questa prospettiva in primo piano, Metzger adopera dei termini che

evidenziano la polarità tra il “vecchio” e il “nuovo” nella storia della

salvezza, termini che ruotano attorno ai significati antitetici delle

parole (da lui adoperate): la “legge dell’Antica Alleanza” e la “legge

dello Spirito”. Mentre per la seconda parola il sacerdote segue fedel-

mente il testo greco (cf. 8,2), per la prima («“Gesetz” des Alten

Bundes») si tratta di una sua creazione. Essa rappresenta una specie

di ampio contenitore in cui confluiscono i vari significati del sostan-

tivo “nómos”, influendo anche sull’interpretazione del termine pao-

lino particolarmente complesso: «dikaiôma toû nomou» (8,4)80

.

Infatti, il vero significato di quest’ultimo può emergere soltanto

sullo sfondo della prospettiva disegnata dall’espressione «“Gesetz”

des Alten Bundes». Ecco perché Metzger propone la seguente tradu-

zione di Rm 8,1-4:

«No, per quelli che vivono in Cristo Gesù, e non secondo la loro carne,

non c’è più nessuna condanna. Poiché la legge dello Spirito che suscita

la vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e, quindi,

della morte. La “legge” dell’Antica Alleanza non lo poteva fare, in

quanto a causa della peccaminosa “carne” dell’uomo perse forza. Per

questo Dio mandò nel mondo Suo figlio. Egli era simile a noi, poiché in

vista del peccato aveva preso su di sé la peccaminosa carne, ma in que-

sta Sua carne giudicò il peccato. E così (allo stesso modo) si deve com-

piere in noi anche la prescrizione81

(il senso) della legge; anche noi dob-

biamo camminare non secondo la “carne”, ma secondo lo Spirito»82

.

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pastoralee

spiritualità

spiritualità78

80 Cf. J.-N, ALETTI, La giustificazione nell’epistola ai Romani, in V. SCIPPA

(ed.), La lettera ai Romani. Esegesi e teologia, Pont. Facoltà Teologica dell’ItaliaMeridionale – Campania Notizia, Napoli 2003, 33-50; e soprattutto il saggiodi R. PENNA, «Il dikaiôma della legge» in Rm 8,4. Semantica e retorica di unadiscussa espressione paolina, in V. SCIPPA (ed.), La lettera ai Romani, 51-82.

81 La parola tedesca “die Satzung“ significa anche: “ordinamento”, “rego-lamento”, “statuto”.

82 «Nein, für alle, die in Christus Jesus und nicht nach ihrem Fleische leben,gibt es keine Verdammnis mehr. Denn das Gesetz des in Christus Jesus leben-

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità79

Grazie a una simile prospettiva cristologica e pneumatologica,

che evidenzia i limiti della “legge” mosaica, Metzger intende far

risaltare quella novità che si è manifestata in Gesù Cristo e sulla

quale l’Apostolo orientò la sua vita e la sua predicazione: la possi-

bilità di partecipare, per mezzo di un rinnovamento interiore, alla

natura del Figlio, e di entrare in e con Lui in un rapporto di inaudi-

ta intimità con Dio, sperimentandolo, cioè, come Padre, “Abba”. Ed

è in questa stessa prospettiva che il sacerdote sceglie di interpretare

la riflessione paolina sulla giustificazione, cogliendo in essa non

solo la contrapposizione tra la giustizia della legge dell’Antica

Alleanza e quella nuova dello Spirito, ma soprattutto un invito a

vedere nella giustificazione un evento “interiore” di santificazione

(la trasformazione del cuore), da intendere come un essere introdot-

ti nella “grazia”, ossia nella santità stessa di Dio. Ciò si nota dalla

scelta di Metzger di tradurre il termine “gerechfertig” (“reso giusto”,

“giustificato”) con le espressioni: «in Gottes Huld aufgenommen

werden (essere accolti nella benevolenza di Dio)» (Rm 3,24), «der

Gnade Gottes teilhaft (essere partecipi della grazia di Dio)» (3,28),

«begnadet sein (essere nella grazia)» (5,1) o «geheiligt (essere san-

tificati)» (5,9). In corrispondenza con tale scelta egli traduce libera-

mente l’espressione paolina “giustizia di Dio” con “Heiligkeit

Gottes”.

wirkenden GEISTES hat mich frei gemacht vom Gesetz der Sünde und damit desTodes. Das “Gesetz” des Alten Bundes war dazu außerstande, war es dochdurch das sündige “Fleisch” des Menschen in seiner Kraft gelähmt. Darum san-dte Gott seinen Sohn in die Welt. Er ward uns gleich, indem Er um der Sündewillen das sündhafte Fleisch annahm, aber Er hielt in diesem Seinem FleischGericht über die Sünde. So (Ebenso) soll die Satzung (der Sinn) des Gesetzes[dikaiôma toû nomou – L.Z.] auch zur Erfüllung kommen in uns; auch wir sollennicht dem “gemäß wandeln, sondern nach dem GEISTE» (M.J. METZGER, Paulus,16-17).

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pastoralee

spiritualità

spiritualità80

Tra i motivi che

potevano spin-

gere Metzger a

occuparsi proprio

della Lettera aiRomani ne dobbiamo

analizzare ancora uno, quello più decisivo ed evidente, indicato dal

titolo che egli diede alla sua opera e dall’introduzione. Egli la inti-

tolò: Paulus an die Römer – und die Deutschen (Paolo ai Romani –e ai Tedeschi), iniziandola con le parole: «Paolo, servo di Gesù

Cristo e da Lui chiamato ad essere apostolo, ai “santi” fratelli in

Roma e in Germania, chiamati alla santità»83

. Va detto che il sacer-

dote annotò spesso, nelle sue lettere, di essersi sentito legato alla vita

e al destino del popolo tedesco e di essere dolorosamente preoccu-

pato per il suo presente e, soprattutto, per il suo futuro. È significa-

tivo che egli ne volle parlare anche a pochi mesi dalla morte, scri-

vendo il 9 gennaio 1944 la poesia Mutter Deutschland! (MadreGermania!). «Popolo mio, è a te, a te che ho giurato / il servizio del

cuore e la generosa offerta di sé»84

, confessa in essa. Eppure

Metzger non fu un patriota cieco. Egli stesso fu profondamente feri-

to dalle scelte che fecero i capi del popolo tedesco e dall’incapacità

di quest’ultimo di riflettere sui drammatici eventi della propria

recente storia. Condannato come «infame traditore del popolo» dal

Tribunale di giustizia del popolo, il sacerdote desiderò rivolgersi ai

propri compatrioti, persuaso che tutti dovessero finalmente aprire gli

occhi di fronte a ciò che accadeva attorno a loro e per causa loro. A

tal fine, per scuoterne le coscienze, compose nel braccio della morte

alcuni scritti, tra cui la poesia Kraftmeier (Padrone di casa) e quel-

la Wie lange noch (Per quanto tempo ancora?). In quest’ultima

afferma senza mezzi termini:

«Su dunque, richiamate il popolo! Chiamatelo al mutamento di vita!

Che possa incontrare ancora una volta la grazia di Dio.

Chiamatelo alla verità, alla libertà, all’amore, alla giustizia!

Educate una generazione nuova nel più profondo rispetto di Dio!

Che la menzogna si chiami di nuovo menzogna! Pronunciate il vostro amen

alla verità e al Nome santo di Dio!

5. Conclusione:“Paolo ai Romani -

e ai Tedeschi”

83 Ibid., 1.84 M.J. METZGER, Christuszeuge, 171.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità81

Fate che il potere serva la giustizia, non la giustizia il potere!

Non chiamate “diritto” quello che è solo un vile interesse!

Non considerate cosa da poco i sacri diritti umani!

Non rendete schiavi degli idoli coloro che nacquero liberi!

Ascoltate la coscienza! Date libertà di parola!

Educate alla fierezza, non alla “raffinata” ipocrisia! (…)

Non coltivate la comunità nazionale con vuote parole!

Siano tutti disposti a servire fino al sacrificio,

nell’amore, forza profonda del senso comunitario.

È questo che forma il popolo, che crea un grande futuro.

Se volete issare la vostra bandiera orgogliosi,

fate che il vostro onore sia fondato sulla coscienza!

Il rispetto che voi esigete, dipende

dal rispetto tributato al diritto degli altri»85

.

Le parole della poesia sono un’ottima guida alla ricerca di quel-

l’eredità che il sacerdote intese consegnare con la sua traduzione al

popolo tedesco. Traduzione che volle essere l’invito ad un comune

e necessario rinnovamento tramite il compimento del passaggio dal

“vecchio” al “nuovo”: dal peccato di Adamo e della sua discenden-

za alla santità di Dio resasi vicina in Gesù Cristo; dal modo di pen-

sare e agire dell’uomo-carne a quello dell’uomo-spirito; da una vita

di fede puramente “esteriore” e formale a quella “interiore” e pro-

fonda; dalla schiavitù delle leggi fatte da uomini perversi e violenti

alla libertà dei figli di Dio; dall’odio dell’inimicizia all’amore della

fratellanza; dall’orgogliosa chiusura di un popolo che vive solo per

sé alla generosa apertura verso gli altri popoli, compresi quelli

“pagani”, molto distanti per cultura e sentire.

In questo modo, però, Metzger, rinchiuso nel braccio della morte

nella periferia di Berlino, nuova “Roma” dell’Impero nazionalsocia-

lista di Hitler, riuscì a fare un dono di immenso valore morale e spi-

rituale non solo alla nazione e alla Chiesa tedesca, ma anche a tutti

noi, aiutandoci a scoprire la Lettera ai Romani di san Paolo come

uno scritto di perenne attualità. La sapienza che esso ci trasmette è

la stessa Sapienza che, in ogni epoca storica, può e deve guidare il

“popolo di Dio”, e tramite esso tutti i popoli della terra, verso la vera

libertà.

85 Ibid., 182-183.

TOGETHER WITH SAINT PAUL IN THE NAZI

PRISONS: THE WITNESS OF MAX JOSEF

METZGER

By Lubomir Zak

In the witness borne by the priest Max Josef Metzger related here byprofessor Zak, we’re struck by his spiritual sensitivity and his of theWord of God, his ecumenical bent and his imperturbable spiritualjoy. One cannot but me amazed when reading through his letters, hispoetry and his theological reflections. We see in Father Metzger anincredibly strong interior life, theologically expressed and lived outexistentially. He shows a notable degree of erudition and, above all,a profound wisdom.

«DANS LES PRISONS NAZIES AVEC SAINT PAUL».

LE TEMOIGNAGE DE MAX JOSEF METZGER

de Lubomir Zak

Dans le témoignage du prêtre Max Josef Metzger, que le professeurZak nous présente ici, sa sensibilité spirituelle nous frappe, demême son amour et son goût pour la parole de Dieu, son ouvertu-re œcuménique, la joie imperturbable de l’Esprit Saint. On lit avecémerveillement ce qu’il exprime dans ses lettres, ses poésies et sesréflexions théologiques. On rencontre ici un Metzger qui possèdeune très forte intériorité, théorisée théologiquement et vécue exi-stentiellement. Il y a chez lui une véritable érudition, mais par des-sus tout, une très profonde sagesse.

EN LAS CÁRCELES NAZIS CON SAN PABLO

EL TESTIMONIO DE MAX JOSEF METZGER

De Lubomir Zak

En el testimonio del sacerdote Max Joseph Metzger, que nos presen-ta aquí el profesor Zak, nos impresiona su sensibilidad espiritual, elamor y el gusto por la Palabra de Dios, la apertura ecuménica, laalegría imperturbable del Espíritu. Se leen con verdadero estupor

LUBOMIR ZAKSapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

pastoralee

spiritualità

spiritualità82

ENG

ESP

FRA

las palabras de sus cartas, de sus poesías y de sus reflexiones teo-lógicas. Hay en Metzger una muy fuerte interiorización, expresadateológicamente y vivida existencialmente. Existe en él una notableerudición, pero sobre todo, una muy profunda sabiduría.

MIT DEM HEILIGEN PAULUS IN DEN

GEFÄNGNISSEN DER NAZIS

EIN ZEUGNIS VON MAX JOSEPH METZGER

von Lubomir Zak

Was im Zeugnis des Priesters Max Joseph Metzger, das hier vonProfessor Zak vorgestellt wird, betroffen macht, ist seine geistlicheSensibilität, seine Liebe und Freude am Wort Gottes, die ökumeni-sche Offenheit und die unerschütterliche Freude des Geistes. Manliest mit echtem Erstaunen die Worte seiner Briefe, der Gedichte undtheologischen Überlegungen. In Metzger ist stärkste Innerlichkeittheologisch durchdacht und existenziell gelebt. Man begegnet inihm beachtenswerter Gelehrsamkeit, vor allem aber tiefer Weisheit.

«W NAZISTOWSKICH WIĘZIENIACH ZE ŚW.

PAWŁEM». ŚWIADECTWO MAKSA JÓZEF

METZGERA

Lubomir Zak

W świadectwie kapłana Maksa Józefa Metzgera, które profesor Zaknam prezentuje, uderzają jego duchowa wrażliwość, miłość irozsmakowanie się w Słowie Bożym, otwartość ekumeniczna,niezmącona niczym radość ducha. Z prawdziwym zdziwieniemprzeczytać można słowa jego listów, wierszy i refleksjiteologicznych. Metzger jest przykładem mocnego wnętrza, którezostało ujęte teoretycznie w teologii i uwidocznione egzystencjalnie.Wyróżnia go zauważalna erudycja, ale przede wszystkim głębokamądrość.

«Nelle carceri nazistecon San Paolo»la testimonianzadi Max Josef Metzger53-83

pastoraleespiritualità

spiritualità83

POL

GER

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

salvezzaeculture

culture85

di GIOVANNI DI GIANNATALE

La vicenda della soppressione del periodico L’Eco di SanGabriele dell’Addolorata, durante quasi tutto il decorso dellaseconda guerra mondiale è certamente istruttiva. L’articoloincriminato non aveva alcuna finalità disfattista e neanchevagamente pacifista. Non era propriamente un articolo confinalità politica. Esso si collocavachiaramente su di un piano religio-so. Tuttavia, sulla base di quel soloarticolo, si procedette alla sop-pressione di un periodico anchemoralmente costruttivo, che avreb-be presto raggiunto decine dimigliaia di abbonati. La vicenda ètipica di tendenze totalitarie pre-senti anche nel nostro tempo, chevorrebbero lasciare alla religioneuno spazio ben delimitato sullabase di principi stabiliti dalla cul-tura dominante.

Il 22 giugno 1941,

un anno dopo la

dichiarazione di

guerra di Mussolini,

l’Eco di S. Gabriele fu

soppresso dal Prefetto

di Teramo per un arti-

colo, dal titolo

Attualità, pubblicato sul

n. 6 di giugno dello stesso anno, alle pp. 86-89, e recante la firma

del «Missionario» pseudonimo del P. Giacinto Maria di Gesù

IL FASCISMO E LASTAMPA CATTOLICADURANTELA SECONDAGUERRA MONDIALELa soppressione de L’Eco diS. Gabriele dell’Addolorata (1941)

1. Il controllo operatonelle provincedal Ministero

della Cultura Popolareattraverso i prefetti

GIOVANNI DI GIANNATALESapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

salvezzae

culture

culture86

(Nicola Ercoli: 1911-1966)1. Prima di ripercorrere la vicenda, occor-

re inquadrare il provvedimento prefettizio nel contesto politico che

si delineò nei mesi successivi all’entrata in guerra dell’Italia, allor-

ché il regime intese ottenere il massimo della coesione e del consen-

so nazionale, per prevenire ed eliminare qualsiasi azione di contra-

sto o di dissenso, che avesse potuto contestare la scelta compiuta,

generando nel popolo un clima di sfiducia.

Per raggiungere questo obiettivo il governo avviò una vasta azio-

ne di capillare e occhiuta vigilanza, affidata ai Prefetti, che esegui-

vano le puntuali direttive del Ministero della Cultura popolare (detto

anche, per abbreviazione, Minculpop). I Prefetti, in merito, godeva-

no di poteri pressoché illimitati, loro conferiti da disposizioni legi-

slative «liberticide», che erano state emanate nel 1925, sulla scorta

di alcune norme elaborate tra il 1923 e il 1924, che ne costituivano

il prologo. Si tratta della legge organica n. 2307 del 31/12/1925,

recante «disposizioni sulla stampa periodica»2, che sintetizza il R. d.

legge n. 3288 del 15/07/19233, che dettava norme sulla «gerenza e

vigilanza dei giornali e delle pubblicazioni periodiche», e il R. d.

legge n. 1081 del 10/07/1924, che ne era il regolamento attuativo4.

Veniva creata la figura del “Direttore o redattore responsabile”,

iscritto in apposito albo professionale, che doveva coincidere con il

“gerente” del giornale, in modo che, accorpando le due funzioni, era

più facile per il governo colpire la stampa dissenziente (cosa che

sarebbe stata più complicata, sotto il profilo legale, se la responsa-

bilità fosse stata del solo direttore e non anche dell’editore)5.

1 L’identificazione del Missionario con il P. Giacinto è documentata dallaPlatea o Cronaca del Ritiro della Concezione presso Isola del Gran Sasso dal1844 al 1968, vol. II, (cfr. Archivio del Convento di S. Gabrieledell’Addolorata), che così annotò:«L’Eco di S. Gabriele è stato sospeso. Lacausa: un articolo del P. Giacinto Ercoli qualificato come sovversivo» (p. 266).Si vd. anche P.F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli, sacerdote passionista(1911-1966), tip. Maceratese, Macerata, s.d., pp. 36-37 e P. F. D’AnastasioC.P., S. Gabriele dell’Addolorata in 100 anni di ricerche (1892-1992),Ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1993, p. 209.

2 Si cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 5/01/1926, vol. II, p. 31.3 Fu convertito in legge dalla L. n. 2309 del 31/12/1925 (si cfr. Gazzetta

Ufficiale del Regno d’Italia, vol. II, 5/01/1926, p. 35).4 Fu convertito in legge dalla L. n. 2308 del 31/12/1925 (si cfr. Gazzetta

Ufficiale del Regno d’Italia, vol. II, 5/01/1926, p. 34).5 Si vd. l’art. 1 del R.d.l. n.3288 /1923.

Venivano stabiliti gli ambiti censori dei prefetti e le connesse proce-

dure da seguire, che andavano dal semplice provvedimento di diffi-

da, o decadenza del direttore/gerente, alla soppressione del giornale

(quest’ultimo atto era posto in essere nei casi più gravi o di recidi-

va, conseguente alla diffida e alla decadenza stessa del direttore.).

Tra gli atti che erano soggetti alle predette sanzioni, a seconda della

loro gravità, c’erano la lesione del «credito nazionale all’interno o

all’estero», e l’«ingiustificato allarme nella popolazione», che

potesse danneggiare o turbare l’ordine pubblico6. Come scrisse

Luigi Albertini sul «Corriere della sera»7, che prese posizione con-

tro questi provvedimenti, le leggi sulla stampa promulgate dal

governo fascista, erano più dure e liberticide del R.d. n. 227 del

22/06/1899 del Pelloux8.

Il controllo capillare della stampa quotidiana e periodica delle

province di Teramo e di Ascoli Piceno iniziò nel gennaio del 1941.

Nell’ottica della prevenzione del dissenso dei cattolici, che erano

per tradizione e per convinzioni morali contrari ai conflitti (posizio-

ne espressa in occasione del I conflitto mondiale)9, il Ministero della

Cultura popolare con telex n. 3931 del 27/01/1941 trasmise al

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

salvezzaeculture

culture87

6 Si vd. l’art. 2, lett. a, del citato R. d. legge. Per un’analisi dei provvedi-menti censori del governo fascista sulla stampa, si vd. P. Murialdi, Storia delgiornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 125 e ss., ed anche N.Tranfoglia, La stampa quotidiana e l’avvento del regime ne La stampa italiananell’età del fascismo, Bari, Laterza, 1980, pp. 9-12.

7 Si vd. Le nuove disposizioni sulla stampa, in «Corriere della Sera», eanche Per la difesa d’una professione, ibidem, 30/06/1923. L’Albertini(1871-1941) fu Direttore del «Corriere della sera» dal 1900 al 1925.

8 Si ricorda che il decreto legge del Pelloux fu annullato per illegittimitàdalla sent. del 20/02/1900 della I sez. della Corte di Cassazione di Roma(cfr. Foro italiano, XXV, 1900, parte II, vol. 100). Notò significativamentel’Albertini:«I provvedimenti del Pelloux erano meno gravi».

9 Si cfr. la posizione contro la guerra espressa fermamente da Benedetto XVcon l’enciclica Ad Beatissimi Apostolorum principis del 1°/XI/1914 e la notadel 1°/08/1917 Ai principi reggitori, in cui condanna la I guerra mondialecome un’«inutile strage». Pio XII intervenne più volte contro la guerra con iseguenti documenti: a) radiomessaggio del 3/03/1939, indirizzato al mondointero, in cui levava supplichevole voce a Dio per la pace, b) radiomessaggiodel 29/08/1939, che aveva come incipit “Un’ora grave e in cui compaiono lefamose espressioni: «Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto conla guerra»; c) l’enciclica Summi Pontificatus del 20/X/1939, in cui il Papaesprimeva la propria angoscia per la situazione presente, rinnovando le pre-ghiere per la pace. Si aggiungono gli accorati appelli alla pace, esternati coni radiomessaggi natalizi del 1941, del 1942 e del 1943.

GIOVANNI DI GIANNATALESapCr XXIV

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salvezzae

culture

culture88

Prefetto di Teramo la circolare del 17/01/1941, che annunciava

«numerosi provvedimenti di soppressione, di sequestro e di ammo-

nizione» dei giornali e dei periodici religiosi che contenevano arti-

coli in contrasto con l’«attuale clima di guerra», confermando le

direttive già diramate con la circolare n. 85305 del 19/12/194010

.

Così dichiarava il Ministro Pavolini:«La stampa periodica religiosa

– e particolarmente i Bollettini parrocchiali e taluni settimanali di

Azione cattolica – ha assunto in questi ultimi tempi un atteggiamen-

to in contrasto coll’attuale clima di guerra, abbandonandosi con

eccessiva frequenza a condanne generiche della guerra che colpisco-

no anche i motivi della nostra guerra, esaltando in ogni occasione

uno spirito pacifista assolutamente fuori luogo, deprimendo la

necessaria volontà di vittoria che il nostro popolo deve avere saldis-

sima, e tentando di suscitare un inopportuno pietismo verso tutte le

necessarie durezze della situazione militare e guerriera».

Il Ministro, per evitare l’attuazione di tali provvedimenti, invitò

il Prefetto a contattare il Vescovo della Diocesi di Teramo, mons.

Antonio Micozzi11

, per invitarlo “amichevolmente, e a titolo di

semplice suggerimento, a spiegare la propria influenza, perché la

stampa cattolica di codesta Provincia si dimostri maggiormente

consapevole dei doveri dell’ora, e assuma atteggiamenti intonati

alle direttive del regime».

10 Il Ministro nel telex del 27/1/1941 invitava i Prefetti a contattare iVescovi delle Diocesi delle province di loro competenza, per prevenire con laloro mediazione e collaborazione eventuali attacchi contro la guerra:«Circaazione persuasiva da svolgersi presso autorità diocesana nei riguardi dellastampa periodica religiosa, pregasi riferire tempo opportuno questo Ministerosui risultati conseguiti da tale azione, avvertendo che frattanto restano fermedisposizioni impartite in materia et particolarmente quella circolare 19 dicem-bre 83305 Culti disposizioni che debbono essere rigorosamente osservate.Assicurate P. il Ministro – Buffarini» (Archivio di Stato di Teramo, Prefettura, II/6,Gabinetto, 3° versamento, B. 18, f. 1). Tutti i documenti citati nel presente sag-gio sono stati desunti da questo fondo, al quale, pertanto, si rinvia.

11 Il Mons. Micozzi, nato a Roma il 15/08/1881, fu Vescovo di Teramodopo la morte di Settimio Quadraroli (avvenuta il 2/08/1927), dal 1928 al1944. Morì a Teramo il 4 settembre 1944 (si vd. AA.VV., A. Nuzzi e i Vescoviaprutini, camplesi e atriani, Teramo, Edigrafital, 2000, pp. 70-71).

II Prefetto con la

tempestività pro-

pria del solerte fun-

zionario provvide ad

inviare una lettera ai

Vescovi di Teramo,

Penne ed Atri, Ascoli

Piceno e Montalto

Marche in data 6/02/1941, per informarli delle disposizioni gover-

native, e invitarli a vigilare sulla stampa diocesana, pur constatando

che fino a quel momento non si erano verificate manifestazioni osti-

li alla guerra:«Il Ministro della Cultura popolare ha dovuto rilevare

in questi ultimi tempi che certa stampa periodica religiosa si è

abbandonata a manifestazioni che non sono apparse opportune: in

particolare sono state rilevate condanne generiche della guerra – che

colpiscono anche la nostra guerra – esaltazioni di spirito pacifista e

tentativi di risuscitare pietismi verso tutte le durezze della situazio-

ne militare e guerriera.

E’ stato altresì superiormente rilevato che con eccessiva frequen-

za da Parroci e da Rettori di santuari vengono indirizzate ai militari

delle forze armate le lettere contenenti richieste di oblazioni a favo-

re di chiese, Santuari o altrimenti: anche l’invio di tali lettere viene

considerato inopportuno. Quanto precede reco a conoscenza di

codesta Ecc.ma Curia, pur considerando che circostanze del genere

non si sono in questa Provincia verificate per opportuna notizia e per

quanto altro possa occorrere». L’atteggiamento di intransigenza del

Ministro era diretto all’Azione cattolica, sempre osteggiata dal regi-

me, alla quale era vietato tra l’altro di svolgere qualsiasi attività

politica in virtù del Concordato del 192912

. Il Prefetto sempre il

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

salvezzaeculture

culture89

12 Il regime fascista si era mostrato sempre avverso a quei cattolici che,comedon L. Sturzo, svolgevano attività politica nel «partito popolare» e nelle cosid-dette “leghe bianche”. L’art. 43 del Concordato del 1929, nel tentativo di nor-malizzare l’Azione Cattolica, riconoscendone l’attività, stabilì che la SantaSede avrebbe dovuto garantire che Associazioni e movimenti di A.C. svolges-sero la loro attività al di fuori di ogni partito politico, e sotto l’immediata dipen-denza della gerarchia della Chiesa per l’attuazione e per la diffusione dei prin-cipi cattolici. Ma il governo fascista continuò a diffidare dell’Azione Cattolica,con cui entrò in forte contrasto nel maggio del 1931, allorché Mussolini emanòun provvedimento di immediata chiusura di tutti i circoli della Gioventù cattoli-

2. Le direttivedel Prefetto di Teramo

ai Vescovi di Teramo, Penne,Atri, Ascoli Piceno

e Montalto Marche

6/02/1941 trasmise la lettera del Ministro al Questore di Teramo, al

Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista e al Comandante

del Gruppo Carabinieri di Teramo. Da questo momento iniziò l’atti-

vità di controllo della Questura e dei Carabinieri, come si evince da

alcuni documenti.

Il 28/03/1941 il

Questore trasmise

al Prefetto una

copia dell’AraldoAbruzzese del

12/03/1941, contenente

la pastorale del

Vescovo Micozzi, dal titolo «Siate misericordiosi», in occasione

della Pasqua. Il 17/03/1941 il Maggiore dei Carabinieri di Teramo

Legnone (di Ancona), dopo aver esaminato le pastorali dei parroci

della Diocesi di Teramo dichiarò che, «da accertamenti eseguiti in

via riservata, non è emerso che siano emerse pastorali con riferimen-

ti all’attuale situazione politica militare», e riferendosi in particola-

re a quella del Vescovo Micozzi, scrisse che trattava «argomenti

prettamente religiosi e spirituali, destinati a ravvivare nel popolo la

fede cristiana e il culto della divinità».

Il Questore Innocenzo Aloisi il 31/3/1941 trasmise al Prefetto di

Teramo la pastorale di Carlo Pensa, Vescovo della Diocesi di Penne

e di Atri13

, che, a suo dire, era di esclusivo tenore religioso, senza

GIOVANNI DI GIANNATALESapCr XXIV

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salvezzae

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culture90

3. La verificadelle “lettere pastorali”

dei vescovi da partedella questura di Teramo

ca, tra cui primeggiavano la Fuci e l’Azione Cattolica. Il dissidio fu compostocon l’Accordo del 3/09/1931, secondo il quale l’Azione Cattolica poteva con-tinuare la propria attività nelle rispettive Diocesi, purchè perseguissero finalitàessenzialmente religiose, allontanando dalle proprie file quanti, in violazionedell’accordo, svolgessero attività politica. Negli anni seguenti, tra il 1932 e il1938, l’A.C. collaborò in linea di massima con il regime. Questa fase terminònel momento in cui il governo fascista promulgò le leggi razziali, sfociando inuna “rottura” nel periodo che va dal 1938 al 1943, per l’ostilità manifestataverso la politica bellicista attuata dal regime. Si vd., per un attento profilodell’A.C. durante il fascismo, G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna – laseconda guerra mondiale – il crollo del fascismo - la resistenza, vol. X, Milano,Feltrinelli, 2002 (VI ed.), pp. 153 e ss.

13 C. Pensa fu Vescovo della Diocesi di Penne e di Atri dal 1912 al 1948.Curò l’istruzione ecclesiastica nei Seminari delle due città (egli stesso in quello

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

salvezzaeculture

culture91

nessuna considerazione di ordine politico. Eppure la lettera, a ben

vedere, presenta alcuni passaggi che, se fossero stati letti con atten-

zione, avrebbero evidenziato uno spirito di indubbia avversione alla

guerra, quando il Vescovo asseriva senza mezzi termini:« Il non aver

fatto calcolo della divina parola, ha gettato le nazioni in una lotta

spaventevole per il possesso delle cose terrene. Solo il ritorno alle

massime del Vangelo restituirà la pace e la tranquillità. Procuriamo

dunque di essere instancabili nel nostro ufficio di banditori della

parola di Dio».

La stessa conclusione, in cui il Vescovo invitava i suoi fedeli ad

armarsi «con lo spirito di sacrificio, che è la vera base della fedeli

cristiana», a sopportare le presenti calamità, cioè la «croce»della

guerra, perché «senza la croce non possiamo essere seguaci di GesùCristo», costituiva un’ulteriore manifestazione di irenismo cristiano,

pur diplomaticamente stemperato dall’invito ad affrontare «tutte le

privazioni per Dio e per la Patria», passaggio che al poco accorto

Aloisi sembrò segno di conformità del Pensa alla linea del regime.

Le lettere degli altri Vescovi furono giudicate parimenti innocue, da

collocare secondo le autorità in una dimensione di ordinario spirito

teologico-spirituale. Quello della Diocesi di Montalto Marche e di

Ripatransone, Carlo Ferri, e di Ascoli Piceno, Ambrogio Squintani,

scrissero al Prefetto di Teramo, per rassicurarlo sull’osservanza

delle disposizioni del Ministero della Cultura popolare. Il primo

inviò al Prefetto di Teramo un biglietto datato il 17/02/1941, nel

quale dichiarava quanto segue: «In possesso della vostra riservata

Gab. 330/352447, 8 corr., assicuro che sono e sarò a posto, per quan-

to possibile». L’altro, rispondendo alla nota prefettizia

dell’8/03/1941, asseriva che nelle sue parrocchie «nulla si sia veri-

ficato di quanto il Ministero della cultura popolare ha rivelato».

Non tutti i Vescovi, tuttavia, si erano uniformati al regime, come

attesta un telex del Minculpop al Prefetto del 12/03/1941, girato da

questi al Questore, con cui si ordinava che fosse impedita la diffu-

sione a mezzo stampa nelle Diocesi di Teramo, Penne e Atri, della

pastorale scritta dal Vescovo di Cremona, «contenente ampia espo-

sizione ideologica ed eccessiva deplorazione attuale guerra». Altro

di Penne, per qualche periodo, assolse il compito di docente di materie lettera-rie). Morì a Penne il 16/12/1948. Si vd. G. Di Giannatale, Il Seminario di Atri,Associazione culturale “L. Illuminati”, Atri, 2008, pp. 73-74.

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telex del 1°/04/1941 del Ministero dell’Interno (Direzione Culti)

ordinava al Questore di Teramo che doveva essere impedita la dif-

fusione della pastorale del Vescovo delle Diocesi di Altamura e di

Acquaviva delle Fonti, dal titolo «Nell’ora della prova»: «N. 18997

Culti-riservatissimo-alt–per suo contenuto essenzialmente politico

et depressivo spirito pubblico provvedete impedire diffusione et

eventuale riproduzione mezzo stampa pastorale per Quaresima del

Prelato di Altamura et Acquaviva delle Fonti, Nell’ora della provaalt-assicurate – alt P. Ministro Buffarini».

Nel periodo compreso tra marzo e settembre del 1941 si intensi-

ficò l’azione di controllo, che talora determinò l’immediata soppres-

sione di alcuni periodici, come il Bollettino diocesano di Cristo Redi Santa Viola di Bologna, sequestrato il 13/08/1941, perché

stampato e diffuso senza l’autorizzazione della R. Prefettura.

Nella Provincia di

Teramo erano costante-

mente vigilati L’Araldoabruzzese, settimanale

diocesano, fondato nel

1904, e L’Eco di S.Gabriele, fondato nel

1913 dai PP. Passionisti e originariamente intitolato L’Eco del BeatoGabriele (l’eponimo “Santo” fu premesso dopo la canonizzazione

avvenuta nel 1920)14

. Si riportano di seguito i documenti nei quali

4. I due casi deL’Araldo abruzzese

e L’Eco di S. Gabrieledell’Addolorata

14 L’Araldo abruzzese fu fondato il 19/03/1904 ad opera del VescovoAlessandro Beniamino Zanecchia-Ginnetti (1902-1920), con la cooperazionedi mons. Urbani, Arciprete aprutino, e di un gruppo di giovani sacerdoti, comedon Pasquale del Paggio, don Gaetano Cicioni, don Pietro Jobbi e don DavideD’Angelo. La direzione fu affidata a don Giovanni De Caesaris (1877-1948),dotto scrittore della Diocesi di Penne, che durò nella carica per un anno. Dal1923 e fino al 1943, allorchè cessò la pubblicazione, ripresa nel 1945 (in unprimo tempo come supplemento del “Nuovo Piceno), fu diretto daDomenicantonio Valerii (1895-1979), docente di greco e latino, e Rettore nelSeminario aprutino, poi Vescovo dei Marsi dal 1945 al 1973. Fu ostile al regi-me nel 1938, quando furono promulgate le leggi razziali, contro le quali preseposizione coraggiosa, illustrando i principi della morale cristiana, donFioravante D’Ascanio (1908-1985), che rischiò la galera, evitata grazie

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figurano gli inoltri dei due periodici al Ministero dell’Interno da

parte del Prefetto di Teramo: 1) il 17/01/1941 sono inviati il n. 14

dell’Araldo del dicembre 1940 e il n. 1 dell’Eco del gennaio 1941;

2) il 21/03/1941 sono inviati i nn. 2 e 3 dell’Eco dei mesi di febbra-

io e marzo 1941, compreso il Supplemento al n. 1 del gennaio 1941;

3) il 16/06/1941 sono inviati nn. 4 e 5 dell’Eco dei mesi di aprile e

maggio e il n. 3 dell’Araldo; 4) il 6/08/1941 è inviato il n. 4

dell’Araldo.

all’intervento del Questore di Teramo. Don Valerii in questo periodo fu osteggia-to dalle autorità governative, tanto da essere segnalato come pericoloso esovversivo, insieme con don Oderico Paolini, e minacciato spesso di essereincarcerato e confinato, perché sosteneva l’Azione Cattolica, «che l’intrepidoPio XI raccomandava come insostituibile forma di apostolato in alternativa allapedagogia del regime» (si vd. don F. Scipioni, Discorso pronunciato nella salaConsiliare di Teramo il 23/12/1995 in occasione del centenario della nascita[vd. Mons. A. Valerii, Nel centenario della sua nascita, Teramo, Edigrafital,1995, pp. 21-22]). Nel corso del II conflitto mondiale non subì censure nérepressioni da parte delle autorità governative, avendo assunto una linea mor-bida, che si estrinsecò con «commenti sfumati e asettici» apparsi nella primapagina del giornale (Cfr.www.wikipedia.it sub voce L’Araldo abruzzese). Sulleorigini del giornale si vd. la testimonianza di don G. Cicioni nel Diario, in L.Delli Compagni, Don G. Cicioni, vita pastorale e cattolicesimo sociale aTeramo, ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 2008, pp. 155-156. L’Eco delBeato Gabriele fu fondato dopo la beatificazione dell’”angelico giovane”,avvenuta a Roma il 31/05/1908, con l’avanzo delle offerte raccolte l’ultimadomenica di agosto del 1913, in cui si festeggiò il Beato, dal P. Fausto Pozziun religioso dotato di grande cultura, sostenuto dal P. Stanislao dello SpiritoSanto (Amilcare Battistelli [1885-1981]),e da altri confratelli, dopo aver ottenu-to il permesso del Preposito Provinciale, P. Salvatore di Maria Vergine (LuigiPinto: 1866-1944). Era Rettore il P. Anacleto dell’Addolorata (Antonio Bianchi:1869-1938). Il 1° numero del fortunato periodico vide al luce il 27/09/1913.Si vd., per tali dati, P. Luigi Alunno C.P., Servo di Dio Stanislao AmilcareBattistelli Vescovo, ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1998, p. 45. L’Eco fustampato fino al 1949 dalla tipografia del cav. D’Ignazio, ubicata in Via Stazion. 6 a Teramo. Dal 1950 (n. 13 – gennaio) fu stampato dalla Cooperativa tipo-grafica «Ars et labor», ubicata sempre in Via Stazio, n. 6, che fu la prosecuzio-ne della tipografia D’Ignazio da parte degli eredi con una nuova ragione socia-le e giuridica. Dal n. 1 (gennaio/febbraio) del 1952, fu stampato dalla Casaeditrice Tipografia “Eco” di S. Gabriele dell’Addolorata, appena costituita conl’autorizzazione del Preposito Provinciale, P. Remigio della MedagliaMiracolosa (Seguino Bacolini: 1912-1975).

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Dei due periodi-

ci fu censurato

l’Eco, come si

è detto, per l’ articolo

apparso sul n. 6 del

giugno 1941. Esami-

niamone il contenuto. Lo scrittore riferisce, con toni pacati ma con

serrata argomentazione, di una discussione avuta nel compartimento

di terza classe di un treno con un tale Ingegnere, che imprecava

contro Dio e la Religione, per non aver impedito la disgrazia della

guerra che gli aveva sottratto un figlio, inviato al fronte, e aveva

coinvolto anche lui, richiamato alle armi, e costretto ad abbandonare

la famiglia e la piccola azienda domestica. Rivolgendosi al frate

passionista, che, sentendo proferire delle bestemmie, aveva deciso di

intervenire, così dichiarò: “Se mi avete sentito dire degli spropositi

poco fa è perché tanto io che questi miei amici ci troviamo proprio in

condizioni insopportabili, e non potendomi sfogare con altri mi sfogocon Dio che certo è la causa di tutti questi malanni».

Il Religioso rispose all’Ingegnere sviluppando due concetti teolo-

gici: 1°) Dio, pur vedendo i mali causati dagli uomini, non ha nes-

sun obbligo di impedirli, essendo essi il frutto del loro libero arbi-

trio; 2°) in quanto causati dall’uomo, che, spinto dall’egoismo e dal-

l’odio, ne disconosce la legge morale, la guerra si configura come

un «castigo più che meritato». Le due conclusioni, in buona sostan-

za, fanno capo al principio teologico secondo cui la guerra, come

ogni altro atto umano negativo (male), è permessa da Dio, ma non

da lui originata, essendo fonte assoluta del Bene. Alla censura non

piacque l’articolo dell’Eco, nel quale notò la disapprovazione

morale della guerra italiana, che invece avrebbe dovuto sostenere,

respingendo le tesi disfattiste del polemico interlocutore15

.

15 Per di più il “Missionario” asserì di non parlare «a nome di partiti o dicricche, ma soltanto come sacerdote per difendere l’amore di Dio». Questo pas-saggio, secondo il P. D’Anastasio C.P., S. Gabriele dell’Addolorata in 100 annidi ricerche, op. cit., p. 209, costituì un autentico vulnus per il regime, il qualenon ammetteva altro “pensiero” che quello espresso per tutti dal partito fasci-sta, che coincideva con l’autorità del duce. L’Eco, scrive il P. D’Anastasio, «eralibera voce che diceva a ciascuno il suo. Riportava le parole del papa e ani-mava i giovani dell’Azione cattolica. Ma queste cose in quel periodo davanoal naso ai gerarchi fascisti». Questa libertà manifestata dal P. Giacinto Ercolisuscitò la reazione delle autorità governative, che non ammettevano alcuneforme di dissenso sulla guerra in atto.

5. La vicenda de L’Eco:censurato l’articolo

del P. Giacinto Ercoli

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

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La reazione da Roma fu immediata. Il Ministro della Cultura

popolare, Pavolini, inviò il seguente telex in data 21/06/1941 al

Prefetto e alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza:

«Minculpop 5 I 15897 II. Pregasi disporre sequestro BollettinoCattolico “L’Eco di S. Gabriele”, n. 6 del giugno corrente, direttoda P. Giacinto Ercoli et edito dalla Casa editrice tipografia terama-na del cav. Luigi D’Ignazio di codesta città. Pregasi altresì provve-dere immediata revoca della gerenza perché il suddetto periodicodeve considerarsi soppresso. Gradirò assicurazione MinistroPavolini».

Il Prefetto di

Teramo, con perfet-

ta tempestività, il

22/6/1941, sulla base

del R.d. legge n. 3288

del 31/12/1925, emise

il decreto di soppres-

sione e revocò la gerenza al P. Giacinto Ercoli, per l’«intonazione ad

aperto disfattismo»ravvisata nell’articolo:«Rilevata l’intonazionead aperto disfattismo di un articolo apparso nel numero del 6 giu-gno corrente del periodico cattolico “L’Eco di S. Gabriele”… sidispone tra l’altro, che sia provveduto alla immediata revoca allagerenza del periodico perché lo stesso deve considerarsi soppresso[…] Con effetto immediato è revocata la gerenza, conferita al P.

Giacinto Ercoli, Passionista, del periodico cattolico L’Eco di S.Gabriele, edito dalla Casa editrice Tipografia teramana del cav.

Luigi D’Ignazio».

La soppressione del periodico vulnerò moralmente la comunità

passionista, che fu privata di un mezzo di informazione fondamen-

tale per gli innumerevoli devoti di S. Gabriele. Lo stesso P. Giacinto,

che avvertì il grave peso della responsabilità (disse di aver ricevuto

«un terribile schiaffo morale)», in preda all’ansia e alla preoccupa-

zione, si adoperò incessantemente per ottenere la revoca del provve-

dimento presso le autorità governative tra il 26 giugno e il 20 luglio

del 1941.

6. La soppressionede L’Eco, accusato di aperto

disfattismo, da partedel prefetto di Teramo

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Per oltre venti

giorni si alternò

«con speranze e

dissuasioni tra il

Ministero e la Nunzia-

tura, in cerca di appog-

gi e di commendatizie,

con approcci alle gerar-

chie del partito e a quelle della chiesa con una instancabilità

sbalorditiva»16

. Riuscì ad arrivare alle alte sfere del governo.

Incontrò il Ministro Ciano, che, pur mostrandosi in primo tempo

aperto a soluzioni positive, cambiò radicalmente umore, assumendo

toni aspri e risentiti, quando, rilegendo l’articolo, vi ravvisò un

aperto atteggiamento di ostilità al regime.

Incontrò anche il Segretario particolare di Mussolini, che, pur

esprimendo dispiacere per il provvedimento adottato dal Ministro

della cultura popolare, ribadì fermamente la «gravità de’ rilievi»

mossi all’autore e direttore dell’Eco. Fu un terribile fallimento per il

P. Giacinto, che non si diede pace per il danno procurato al Santuario

con un atto che, in fondo era in perfetta buona fede e per il quale non

prevedeva minimamente di suscitare reazioni politiche. Così il P. F.

D’Amando C.P. dipinse lo stato psicologico del P. Giacinto nel corso

dei suoitentativo romani:«Il P. Giacinto, siliceo, continuò ancora,

finchè, richiamato urgentemente, non se ne tornò a Recanati con le

pive nel sacco e tuttavia con tante speranze nel cuore»17

.

7. L’incontrodel Direttore de L’Eco

col Ministro Galeazzo Ciano e col segretario particolare

di Mussolini

16 Si vd. P. F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli sacerdote passionista(1911-1966), tip. Maceratese, Macerata s.d., p. 36.

17 Si vd. P.F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli sacerdote passionista(1911-1966), op. cit., p. 37. Per le vicende “romane” del P. Giacinto, si vd. lepp. 35-37 dello stesso opuscolo.

Il fascismo e lastampa cattolicadurante la secondaguerra mondiale85-104

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Anche il Rettore

P. Romualdo di

S. Gabriele

(Antonio Dorati: 1880-

1955), cercò di ottenere

la revoca del provvedimento, inviando un esposto al Prefetto di

Teramo il 17/09/1941, nel quale, con evidente dissimulazione,

mostrava di condividerlo e dichiarava perfino che l’autore dell’arti-

colo era stato “esemplarmente” punito dai Superiori, che lo avevano

rimosso dal suo ufficio di direttore. Così scriveva il P.

Romualdo:«Dobbiamo sinceramente e lealmente riconoscere che il

provvedimento è stato giustissimo, ed i Superiori dell’Istituto nonhanno mancato di punire esemplarmente l’autore dell’articolo e ilCensore rimuovendoli subito dal loro ufficio».

Per raggiungere l’obiettivo doveva “riconoscere” l’errore com-

messo dal confratello, e nel contempo “inventare” la punizione del

Preposito Provinciale e solleticare l’orgoglio patriottico del Prefetto,

evidenziando tra gli abbonati i «valorosi soldati combattenti». Così

argomentava il Rettore:«Eccellenza, voi conoscere assai bene i

Passionisti e la loro condotta moralmente e civilmente irreprensibi-

le, tutta protesa al bene spirituale della società, con l’esempio delle

sante missioni ed altre opere di Apostolato. Il giusto provvedimen-

to, specie per la motivazione di “disfattismo” ci ha profondamente

addolorati, come ci addolora il danno arrecato al prestigio del

Santuario di S. Gabriele ed al popolo, essendo uno dei primi

Santuari dell’Abruzzo ed in particolare della provincia di Teramo.

[…] Centro di intensa vita religiosa, il Santuario di S. Gabriele, ono-

rando l’Abruzzo e l’Italia da trent’anni, per mezzo del periodico

L’Eco di S. Gabriele, ne diffondeva veramente in mezzo al popolo

l’eco fedele ed in questi ultimi tempi di gloriosa ascensione della

nostra patria, confortava migliaia dei nostri valorosi combattenti,

abbonati al periodico.

Ora Eccellenza, sebbene la soppressione del periodico sia giusta-

mente inflitta e meritata, non possiamo nascondere la penosissima

situazione in cui ci troviamo e per il nostro prestigio morale, e per

le sorti gloriose del Santuario, per la vita religiosa che in essa ver-

rebbe a spegnersi, mancando attraverso la stampa quella intima

comunicazione fra i devoti e il Santuario stesso. […] Per tutto que-

sto tempo, Eccellenza, ci raccomandiamo e confidiamo pienamente

che vorrete interporvi per liberarci da questa penosa situazione.

8. L’accorato interventodel Rettore del Santuario

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Sicuri del favore anticipiamo un cordiale ringraziamento per aver

salvato una delle più pure glorie del religiosissimo Abruzzo.

Salutando romanamente, dev.mo P. Romualdo Dorati». L’esposto,

trasmesso dal Prefetto Tincani con nota del 17/09/1941 al Ministro

della Cultura popolare, non fu accolto. Le argomentazioni e il “salu-

to romano”, che sulla bocca di un passionista ha sinceramente del

grottesco, non valsero a ingraziarsi il Ministro, che in queste e in

analoghe situazioni era stato irremovibile.

L’Eco restò sospe-

so dal giugno del

1941 al febbraio

del 1945, per quattro

anni circa. Riprese le

pubblicazioni con il n. 1 del marzo del 1945, in felice coincidenza

con il XXV anniversario della canonizzazione di S. Gabriele.

Annunciava il nuovo corso il P. Ilario dell’Immacolata (Adolfo

Anitori: 1908-1967), che dal Preposito Provinciale, P. Norberto di S.

Maria (Donato Pantanella: 1900 – 1983), ne fu designato direttore,

con un editoriale dal titolo Dopo quarantacinque mesi di silenzio, in

cui, dopo aver espresso il più profondo rammarico, per i “quaranta-

cinque mesi di silenzio per il periodico” e i “quarantacinque mesi di

mestizia per i devoti di S. Gabriele, annunciava il proposito di pro-

seguire il cammino interrotto nel solco delle già note e consolidate

finalità del periodico, con maggiore slancio e “lena giovanile”:

«L’Eco torna a portare la gioia nei cuori. Torna a portare la benedi-

zione di S. Gabriele. Torna agli infermi, agli afflitti, a tutti i provati

della sventura; torna a tanti orfani, a tante vedove, a tanti mariti che

piangono per i lutti della guerra. Ma la dura prova del silenzio non

ha menomato la sua vitalità. Vuol essere quello di prima. Uscirà con

lena giovanile, con propositi di arrecare un conforto più largo, una

benedizione tanto più copiosa quanto più attesa».

Non mancano le considerazioni sulle tragiche conseguenze pro-

vocate dal conflitto nella seconda parte dell’editoriale, in cui il P.

Ilario così scrive, libero ormai da condizionamenti autoritari e cen-

sori:«L’Eco piange su tante rovine, su tanti lutti pubblici e privati, e

fa voti che l’Angelo del conforto scenda dal cielo per tergere tante

lacrime […] Fa voti che per l’umanità, uscita da un lungo battesimo

di sangue, spuntino giorni migliori destinati a non scomparire mai

9. La “resurrezione”de L’Eco nel marzo del 1945

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più; e che tutti, dirigendo i loro sforzi ad un’unica meta, li affrettino

un largo benessere nel campo morale, intellettuale ed economico».

All’articolo del P. Ilario seguì quello del P. Fausto del Cuore di

Maria, dal titolo La rinascita dell’Eco di S. Gabriele che rifletteva

sulle disgrazie della guerra, generata dall’ideologia nazi-fascista,

che «invece di rendere omaggio al Creatore, voleva fare a meno di

Dio e andava difilato verso un paganesimo anche più turpe e sozzo

dell’antico, sfruttando la vita in un perpetuo carnevale profano e ani-

malesco», e stigmatizzava l’iniquo provvedimento governativo, che

soppresse l’Eco solo perché esprimeva la verità:«mentre tanti gior-

nali e periodici mondani, scandalosi, pornografici avevano tutta la

libertà di predicare e propagare la scostumatezza e il vizio, a L’Ecodi S. Gabriele fu messa la museruola e chiusa la bocca».

Nell’epilogo, dopo aver dichiarato che il periodico avrebbe recato,

come nel passato, «la testimonianza della inesauribile potenza e cari-

tà di Gabriele», espresse «sentita soddisfazione», nel riprendere «la

penna per L’Eco di S. Gabriele:«Son trentadue anni che la sventolam-

mo la prima volta. Riprendiamo lieti la parola, che i nostri lettori

conoscono, e non è cambiata; e speriamo non debba loro dispiacere.

Come ci lusinghiamo che non debba dispiacere neppure a S. Gabriele,

perché attraverso mille peripezie, che sembravano doverla interrom-

pere per sempre, più volte morta e sepolta, egli l’ha fatta sempre risu-

scitare; e speriamo di potergliela consacrare fino all’ultimo respiro».

Seguiamo le fasi che precedettero la ripresa delle pubblicazioni.

Il Questore di Teramo, dott. Francesco Belvisi, il 12/X/1944 rimet-

teva un rapporto al Prefetto di Teramo, nel quale dichiarava che,

espletate le indagini di rito, non sussisteva nessun impedimento alla

ripresa delle pubblicazioni dell’Eco. Precedentemente il

28/09/1944, il P. Ilario aveva chiesto al Prefetto di autorizzare la

stampa dell’Eco, a tiratura mensile, e lui stesso ad essere il diretto-

re responsabile:«Il sottoscritto Anitori Adolfo (in religione P. Ilario

Passionista) di Lorenzo e della fu Mochi Rosa, nato il 16 novembre

1908 in S. Angelo in Pontano (Macerata), chiede alla S.V. l’autoriz-

zazione ad assumere l’Ufficio di direttore responsabile del periodi-

co L’Eco di S. Gabriele, a carattere esclusivamente religioso.

Chiede inoltre a V. E. che detto periodico, sospeso dall’autorità

fascista e poi rimesso dal Governo Badoglio, possa riprendere la sua

pubblicazione mensile, come faceva prima della sospensione».

Per la riattivazione dei fogli soppressi dal regime, si richiedeva

l’autorizzazione dei Prefetti, previa relazione dei Questori.

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Il Prefetto di

Teramo, dott.

Giuseppe Zacchei,

sulla scorta del richia-

mato rapporto, il

22/X/1944 autorizzò il P. Ilario ad essere il direttore dell’Eco e a

riprendere le pubblicazioni, dopo aver acquisito i seguenti dati pre-

visti dal R.d.l. n. 14 del 14/01/1944 (G.U. – Serie speciale- n. 3 del

19/1/1944)18

: stato finanziario, “eventuale affiliazione politica, prez-

zo di vendita, nome e indirizzo del proprietario, nome e indirizzo

della tipografia, zona e mezzo di diffusione, quantitativo di carta e

luogo in cui si trova, numero delle copie da stampare, formato e

numero delle pagine.

La tipografia in cui si stampava il periodico era la “Casa editrice

Tipografia teramana” del cav. Luigi D’Ignazio, della quale era

direttore tecnico il maestro Pietro Palucci (fu stampato in proprio

dalla tip. Eco, quando questa si costituì nel 1952). Poiché le copie

prodotte (16.000) erano ritenute insufficienti a fronte della sensazio-

nale crescita delle richieste di abbonamento provenienti dall’Italia e

dell’estero, il P. Ilario si rivolse alla Presidenza del Consiglio dei

Ministri, che aveva la competenza per la stampa e l’editoria, chie-

dendo di essere autorizzato ad aumentare la tiratura di altre 4000

copie, arrivando così alle 20.000 mensili. Per ottenere l’autorizza-

zione il P. Ilario si recò personalmente a Roma per essere ricevuto

dall’onorevole Giuseppe Spataro19

, che in questo periodo era

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel III

Governo Bonomi20

.

10. La rapida espansionedel periodico del Santuario

18 Il regio decreto-legge era stato promulgato dal I Governo Badoglio(27/07/1943 – 17/04/1944) [si vd. Raccolta delle leggi e dei decreti delRegno d’Italia, vol. I, 1944, pp. 32-34].

19 Un tal Fonzi, funzionario nella Presidenza del Consiglio dei Ministri,inviava al Segretario particolare dell’onorevole Spataro un biglietto, in cui rac-comandava il P. Ilario che doveva essere ricevuto da quest’ultimo « (…) Il P.Passionista [Anitori], latore della presente, è venuto da S.E. Spataro e dovreb-be essere ricevuto da te, come già ti ho detto per telefono senza aspettarele 11. Grazie, Fonzi» (Archivio di Stato di Teramo, Prefettura, II/ 6, Gabinetto,3° versamento, B. 12, f. 2).

20 Giuseppe Spataro (1897-1979), insigne uomo politico e statista abruzze-se, che militò dapprima nel Partito popolare e poi nella Democrazia cristiana,

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Dall’incontro, documentato da una nota riservata apposta su un

biglietto dall’onorevole Francesco Libonati, secondo Sottosegreta-

rio alla stessa Presidenza (che aveva la delega per la Stampa, il

Turismo e lo Spettacolo), il P. Ilario riuscì a conseguire il fine

sperato. Spataro raccomandò la richiesta del religioso al Libonati,

che così scrisse al primo in una lettera del 9/05/1945:«Ho il piacere

di comunicarti che ho approvato il mensile L’Eco di S. Gabriele,

diretto dal Sac. Adolfo Anitori, per il quale sei vivamente interessa-

to». Con le 20.000 copie del 1945, passate a 30.000 nel 1949,

si avviò una seconda stagione editoriale, segno di un crescendo

straordinario di copie, che sono arrivate nel 2008 al vertiginoso

numero di 130.000 circa al mese21

.

della quale fu uno dei fondatori, fu Sottosegretario alla Presidenza dei Ministrisia nel governo Bonomi 2 (18-06-1944/12-12-1944) che nel governo Bonomi3 (12-12-1944/21-06-1945). Fu più volte Ministro nei governi degli anni chevanno dal 1953 al 1960. Si vd. per un profilo di Spataro, E. Tiberii, G.Spataro e il suo impegno per l’Abruzzo, Pescara, Ediars, 2004 e ora E.Firmani, G. Spataro, in Gente d’Abruzzo – Dizionario biografico, vol. 9,Andromeda editrice, Recanati, pp. 309-318.

21 Si vd. Santuario di S. Gabriele dell’Addolorata, editrice Velar, Torino,2008, p. 36: «L’Eco di S. Gabriele, diffuso mensilmente in Italia e all’estero incirca 130.000 copie».

FASCISM AND THE CATHOLIC PRESS DURING

THE SECOND WORLD WAR.

SUPPRESSION OF THE PASSIONIST MAGAZINE “L’ECO

DI SAN GABRIELE DELL’ADDOLORATA (1941)

By Giovanni Di Giannatale

The suppression of the magazine “San Gabriele dell’Addolorataduring almost the whole course of World War 2 is certainly food forthought. The article that was objected to was in no way whateverdefeatist nor did it support pacifism, in fact it had no political final-ity at all. It was entirely of a religious nature. And yet, based on thatone article, the authorities proceeded to suppress a magazine whichwas morally constructive and was meant to reach thousands of sub-scribers. This was and is a very typical procedure of totalitarian ten-dencies which still show-up in our days and which try to allow reli-gion a very constricted space in the media, within parameters estab-lished by the dominant culture.

LE FASCISME ET LA PRESSE CATHOLIQUE

DURANT LA SECONDE GUERRE MONDIALE

LA SUPPRESSION DE L’ECO DI S. GABRIELE DELL’ADDO-LORATA (1941)

de Giovanni Di Giannatale

Le fait de la suppression du périodique L’Eco di San Gabrieledell’Addolorata, durant quasi tout le cours de la seconde guerremondiale, est certainement instructif. L’article incriminé n’avaitaucun but défaitiste, ni vaguement pacifiste. Ce n’était pas à propre-ment parler un article à finalité politique. Il se situait clairement surle plan religieux. Toutefois, sur la base de ce seul article, on aprocédé à la surpression d’un périodique qui était constructif égale-ment sur le plan moral, qui aurait vite rejoint des dizaines milliersd’abonnés. Ce fait est typique des tendances totalitaires présentesaussi en notre temps, qui voudraient laisser à la religion un espacebien délimité sur la base des principes établis par la culture domi-nante.

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ENG

FRA

EL FASCISMO Y LA IMPRENTA CATÓLICA DURAN-

TE LA SEGUNDA GUERRA MUNDIAL: LA SUPRE-

SIÓN DE “L'ECO DI S. GABRIELE DELL'ADDORO-

LATA (1941)”.

De Giovanni Di Giannatale.

El suceso de la supresión de la revista “L'Eco di San Gabrieledell'Addolorata” durante casi todo el decurso de la segunda guer-ra mundial es ciertamente aleccionadora. El artículo que se habíacondenado no tenía ninguna finalidad política. Dicho artículo sesituaba claramente en un plano religioso. Sin embargo, sobre labase de aquel solo artículo, se procedió a la supresión de una publi-cación periódica también moralmente constructiva, que pronto con-seguiría decenas de miles de abonados. Dicho suceso es típico detendencias totalitarias presentes también en nuestro tiempo, quepretenden relegar a la religión a un espacio bien delimitado sobrela base de principios establecidos por la cultura dominante.

DER FASCHISMUS UND DIE KATHOLISCHE

PRESSE WÄHREND DES ZWEITEN WELTKRIEGS

DIE AUFHEBUNG DES ‚L’ECO DI S. GABRIELEDELL‘ADDOLORATA‘ (1941)

von Giovanni Di Giannatale

Die Unterdrückung der Zeitschrift: ‚L’Eco di San Gabrieldell’Addolorata‘, die sich über fast den ganzen zweiten Weltkriegerstreckte, birgt zweifelsohne Lehrreiches. Der damals beanstande-te Artikel hatte in keiner Weise defätistischen Charakter und warauch nicht im Entferntesten pazifistisch. Er war nicht politisch moti-viert und eindeutig auf religiöser Ebene anzusiedeln. Trotzdem gingman auf Grund dieses einen Artikels dazu über, eine moralisch kon-struktive Zeitschrift aufzulösen, die kurze Zeit später zehntausendevon Abonnenten erreicht hätte. Diese Vorgehensweise ist für totali-täre Tendenzen, wie sie sich auch in unserer Zeit ausmachen lassen,typisch. Die dominante Kultur weist auf Grundlage der von ihrselbst aufgestellten Prinzipien der Religion einen genau eingegrenz-ten Bereich zu.

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GER

ESP

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FASZYZM I PRASA KATOLICKA PODCZAS

DRUGIEJ WOJNY ŚWIATOWEJ. ZAMKNIĘCIE

L’ECO DI S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA (1941)

Giovanni Di Giannatale

Wydarzenia związane z zamknięciem czasopisma L’Eco di San

Gabriele dell’Addolorata, w czasie prawie całej drugiej wojnyświatowej są z całą pewnością pouczające. Artykuł, co do któregopostawiono czasopismu zarzuty, nie miał żadnego celudefetystycznego czy pacyfistycznego w sensie szerokim. Nie był toartykuł stawiający sobie cele ściśle polityczne. Miał on charakterreligijny. Jednak na podstawie tego artyku u rozpoczętopostępowanie mające na celu zamknięcie czasopisma. Okazało sięono jednak moralnym zwycięstwem, bo czasopismo szybko zyskałopo nim dziesiątki tysięcy prenumeratorów. Jest to historia typowadla tendencji totalitarnych, które obecne są także w naszychczasach. Chciałyby one pozostawić religii przestrzeń bardzoograniczoną w oparciu o zasady ustalone przez dominującą kulturę.

POL

Un sacerdoteartistaper ogni Diocesi105-112

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culture105

di TITO AMODEI C.P.

E’ assodato che l’arte nella Chiesa è indispensabile. Secondouna accreditata valutazione sociologica, la fede è trasmessa econservata più per l’iconografia sacra che per la dottrina. Unsacerdote artista, che metta al servizio della diocesi, o dellacomunità religiosa, la sua competenza per delle scelte idoneee pertinenti sarebbe davveroauspicabile. L’articolista, per lasua diretta competenza nelcampo, sa di poterlo sostenereautorevolmente.

U

n sacerdote se non

proprio artista, alme-

no un appassionato ed

intenditore d’arte, per

ogni diocesi. Sembra una richiesta superflua o

velleitaria. E non è così, considerato la vastità

di interessi culturali ed artistici che una diocesi,

qualunque diocesi, accoglie nel suo territorio.

Il sacerdote artista o cultore d’arte, ancora continua ad essere

considerato, nel proprio ambiente, una anomalia. Un soggetto che

esce dalla lista degli impegni codificati e perseguiti dai confratelli.

La sua attività verrà considerata un hobby piuttosto che un contribu-

to che può essere molto utile al suo ministero. Sì, proprio al suo

ministero. Basta voler leggere quanto la Sacrosanctum Concilium1

impone di riflettere sull’arte che interagisce con la liturgia.

Nella storia dell’arte molti sono stati gli artisti del clero diocesa-

no o regolari che hanno onorato, come si diceva una volta, la

UN SACERDOTEARTISTAPER OGNIDIOCESI

1 Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia. Sacrosanctum Concilium.Passim.

TITO AMODEISapCr XXIV

OTTOBRE-DICEMBRE 2009

salvezzae

culture

culture106

nobile arte della pittura e della scultura, nonché dell’architettura.

Tuttavia sono ricordati solo pochi protagonisti e ci si basa prevalen-

temente sulle classificazioni e parametri della storiografia tradizio-

nale. Quella soprattutto che valuta l’espressione artistica sotto il pro-

filo del linguaggio, prescindendo da altre componenti di cui l’arte è

sempre portatrice.

Nella formazione al sacerdozio si è privilegiato lo studio della

musica sulle altre espressioni artistiche. E questo è apparso giustifi-

cabile dal reale ruolo che il suono e il canto sono quasi organici alla

liturgia e al coinvolgimento dei fedeli. La lista dei cultori di questo

ramo dell’arte e delle loro opere è quanto mai vasta. E vasta è la lista

delle diverse forme musicali che hanno, nel tempo, supportato la

liturgia e formato i fedeli. E la Chiesa ha saputo accettare anche le

innovazioni che la cultura del momento imponeva.

Ci sono stati e ci sono anche architetti, tra il clero, e la loro pro-

fessione gode di notevole e giusto credito nella rispettiva diocesi.

Soprattutto riguardo all’edilizia sacra, sia come patrimonio da custo-

dire e da valorizzare sia come incremento da dare a nuove strutture

per il culto. Senza considerare il contributo che egli può dare anche

all’amministratore diocesano per la concretezza dei suoi pareri.

Il sacerdote pittore è considerato più come un dilettante, alla stes-

sa stregua del sacerdote che compone poesie. Se poi il sacerdote si

cimenta con la scultura il suo caso davvero stupisce. (Il clero, in

genere, non ha molta dimestichezza con questa forma d’arte). La

scultura che tanto spazio occupa nell’arredo della chiesa e nella ico-

nografia sacra, nella formazione seminaristica non viene a fare parte

degli interessi o curiosità didattiche.

Un sacerdote artista in diocesi può e deve coprire molti ruoli isti-

tuzionali, come si desume dal dettato della Sacrosanctum Conciliume per cominciare la sua presenza non starebbe male tra i membri

della CEI dove si decidono le sorti della conservazione e promozio-

ne del patrimonio artistico-culturale e sacro della Chiesa e dove si

esaminano i nuovi progetti dell’edilizia per il culto. Senza, per que-

sto, bandire da quel vertice la doverosa consulenza dei laici profes-

sionisti e preparati. Ma è nella propria diocesi l’ambito in cui il

sacerdote artista deve trovare l’area per i suoi capaci ed autorevoli

contributi.

La diocesi ha l’obbligo di istituire la Commissione per l’arte

Sacra. La diocesi ha l’obbligo di istituire il museo delle opere d’ar-

te dismesse dal culto o comunque di proprietà della medesima e che

Un sacerdoteartistaper ogni Diocesi105-112

salvezzaeculture

culture107

vanno adeguatamente tutelate e fruite come testimonianza culturale

della Chiesa.

Per sentirsi male bisogna affacciarsi nelle soffitte di antiche chie-

se o nel retro delle loro sacrestie, colpiti da tanti cimiteri di eccezio-

nali e preziosi arredi dimessi irresponsabilmente dopo l’ultima rifor-

ma liturgica. Sempre che non siano arrivati in tempo i rapaci anti-

quari che costringeranno tali arredi a convivere spaesati con l’etero-

genea altra loro merce. O quando non sono costretti ad uso decisa-

mente profano.

La diocesi si deve relazionare con il Ministero dei beni culturali

per contiguità di impegni.

La diocesi ha il dovere di formare i candidati al sacerdozio alla

comprensione dell’arte del proprio tempo.

La diocesi ha il dovere di vigilanza, perché negli spazi destinati

al culto non entri una indiscriminata paccottiglia offensiva dei

misteri che vi si celebrano.

La diocesi ha il dovere di servirsi degli esperti che devono aiuta-

re la Commissione di arte sacra nell’espletamento delle proprie

mansioni.

La diocesi ha l’obbligo di prendersi cura degli artisti allo scopo

di formarli allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia.

Addirittura dovrebbe, per quanto è possibile, creare delle scuole

d’arte sacra.

Personalmente sulla creazione di scuole per l’arte sacra ho molte

riserve. L’arte sacra non si inventa da una cattedra per quanto presti-

giosa sia. L’arte sacra va inseguita e scoperta nei fermenti della

ricerca del proprio tempo. Essa è prodotta dalle istanze spirituali

contemporanee a chi opera, le quali sono lo specchio del vissuto che

ci relaziona col trascendente. Non esistono canoni preconfezionati

che ci costringano a creare sacro. E per essere davvero radicale

dovrebbe bandirsi dall’arte qualunque aggettivo, compreso quello

sacro già troppo screditato e che crea condizionamenti psicologici2.

La scuola d’arte sacra dovrebbe crearsi uno stile supportato

da una filosofia estetica di cui non è difficile immaginarsi la prove-

nienza. Si imporrà una strada da percorrere. Si imporrà dei canoni,

2 Cfr i cataloghi della fondazione Stauros per capire gli sforzi che gli orga-nizzatori di quelle benemerite Biennali fanno per individuare tracce del sacronella ricerca dei nuovi linguaggi dell’arte di oggi.

TITO AMODEISapCr XXIV

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culture

culture108

quindi, raggelerà i risultati. Un’arte senza tempo e disincarnata, ma

che non attesterà mai la perenne attualità e vita della fede.

Ci provarono i Nazareni nei primi dell’800 e ci provò la scuola di

Beuron sempre nel medesimo secolo, ma non hanno fatto storia.

Per farmi capire: non giovano alla cultura del sacro neppure i revi-

vals stilistici. Come per esempio quelle scuole che si industriano a

fare risorgere le gloriose antiche icone. Le cosiddette nuove icone.

Quella della Icone era una cultura ben definita. Una simbiosi tra

sentire sacro e linguaggio postbizantino. E in quelle espressioni

sacre si capiva molto dei misteri che celebravano.

Oggi si fanno dei puri ed autentici falsi: non rappresentano la

nostra cultura figurativa e sono lontano dal nostro sentire religioso.

Chi le produce o le pone alla venerazione non concorre certo alla

causa della fede che vorrebbe servire.

La mole delle indicazioni e degli obblighi è davvero rilevante e

sarebbe fisiologico che l’eventuale sacerdote artista3

o formato alla

conoscenza dell’arte e dei suoi non facili problemi, ne assumesse

con competenza e responsabilità l’incarico. E gli si accordasse il

dovuto credito.

E per non restare solo nell’istituzionale si deve avvertire subito,

nella pratica, in che cosa consista il suo ruolo operativo il quale, a

nostro parere, ha due aspetti fondamentali.

Per ordine li leggiamo nella Costituzione Conciliare che ci fa da

guida. Nel secondo comma dell’articolo 124 della SacrosanctumConcilium è fatto obbligo ai vescovi di allontanare dai luoghi di

culto tutto quanto ne offende la sacralità. Tra le prime cose che

offendono questa sacralità è la congerie di immagini che con l’arte

non hanno nulla da spartire. Tutti quei prodotti di serie, di plastica

o di gesso dipinto; ma sempre artisticamente falsi. Serie muta e

affastellata che dovrebbe illustrare i grandi misteri della fede o

raccontare le gesta dei suoi testimoni. O che dovrebbe promuovere

la devozione mentre ne svuota i contenuti. Immagini in allucinante

compagnia di antichi capolavori del passato. Vero bazar del sacro

e del kitsch.

3 Questo sacerdote non dovrebbe essere il comune artista dilettante. Si èdilettante non tanto perché limitato nel talento, piuttosto per mancanza di cultu-ra completa che attiene all’arte. Se si dà credito a tale dilettante il danno chene proviene è incalcolabile perché egli può facilmente, per mancanza di auten-ticità, confondere i valori e non essere una buona guida della diocesi.

Un sacerdoteartistaper ogni Diocesi105-112

salvezzaeculture

culture109

Ovviamente dell’immagine si ha sempre bisogno; ora più che

mai, in questo particolare momento storico che dell’immagine ha

fatto una fonte di conoscenza di cui non si può fare a meno.

E la Chiesa non si può sottrarre a questa legge e l’immagine che

le serve oggi è quella di oggi, come in passato si è servita di quella

del passato.

La chiesa fin dagli inizi ha catechizzato con la parola e con le

immagini. Ma non è stato quantificato quali delle due forme (dei due

linguaggi) sia servito di più alla trasmissione della fede. Tuttavia fin

dagli inizi si è ritenuto che per gli ignoranti delle cose della fede

(indotti), che sono la grande maggioranza, l’arte sopravanza la dot-

trina.

Non per nulla l’arte è ritenuta un vero linguaggio. Prima di rap-

presentare o significare essa deve interessarci come linguaggio:

mezzo di trasmissione. Linguaggio specifico che richiede anche un

codice di lettura. È una considerazione particolarmente necessaria

per l’arte di oggi la quale prescinde quasi sempre dal racconto e

dalla rappresentazione ma che si vuole imporre nello specifico di un

proprio lessico. È un linguaggio di cui si struttura la comunicazione

stessa. Ma che facilmente provoca crisi in quanti affidano all’arte

una riconoscibile mimesi.

Ora chi dovrebbe irrompere nella fortezza blindata della tradizio-

nale iconografia religiosa se non uno esperto della materia?

Il mediatore fisiologico e capace può e deve essere quel sacerdo-

te artista del quale stiamo parlando. E questo sarebbe il secondo

aspetto del suo ruolo.

Quel sacerdote artista, oltre ad essere il tecnico di una condizio-

ne specifica, dovrebbe avere anche il compito di inquietare la dioce-

si, allertarla perché si renda conto dell’insidia che minaccia la buona

comunicazione, insidia aggressiva data dall’immagine vorace ed

onnipresente. E il danno sottile o palese alla conservazione della

fede si valuterà solo quando sarà troppo tardi.

Bisogna tener presente che l’arte di oggi non rappresenta, non

narra, non spiega ma comunica, come già detto e comunica spesso

in maniera subliminale per cui è difficile governarne gli effetti.

Dal discorso generale e culturale si può facilmente scendere ai

comportamenti pratici. Dove è facile registrare una desolante e

costante conferma che queste note di principio non sono astrazioni

o riflessioni amare avulse dalla storia che quotidianamente va facen-

dosi. La facilità di avere sul mercato del devozionale la possibilità

TITO AMODEISapCr XXIV

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salvezzae

culture

culture110

per qualunque fedele, di comprarsi il proprio santo e di donarlo alla

propria chiesa ha reso lo spazio sacro, anche quello tutelato dalle

Belle Arti, un bazar di deprimente kitsch.

È una buona scusa ed un comodo alibi per il clero scaricare sul

fedele la colpa del degrado. Ma se vai nella casa del rettore di quella

chiesa trovi la stessa batteria di oggetti sacri industriali. Questo è un

caso frequente. Non di rado per decorare gli spazi di una nuova chie-

sa si impegnano artisti di qualità e si sanno sostenere anche spese

rilevanti. Ma la buona decorazione del bravo artista può facilmente

essere oscurata dalle superfetazioni devozionali di altarini posticci

con tanto di maxi portacandele, e lumini sparsi qua e là e squalifica-

re lo spazio organicamente progettato e screditare fede e cultura.

Tabernacolo nella chiesa di Fuksas a Foligno

Un sacerdoteartistaper ogni Diocesi105-112

salvezzaeculture

culture111

AN ARTIST PRIEST FOR EVERY DIOCESE

By Fr. Tito Amodei, C.P.

It is an established truth that art is indispensable in the Church. Itis a well-known sociological fact that faith is transmitted and con-served to a greater degree through sacred iconography than throughdoctrine. An artist priest who places at the service of a diocese, orreligious communities, his various skills would be a wonderfulthing. The author is highly competent in this field and speaks withsome authority.

UN PRÊTRE ARTISTE POUR CHAQUE DIOCÈSE

de Tito Amodei

Il est vérifié que l’art dans l’Eglise est indispensable. Selon uneévaluation sociologique accréditée, la foi est transmise et conservéeplus par l’iconographie que par la doctrine. Un prêtre artiste, quimet au service de son diocèse, ou de sa communauté religieuse, sacompétence pour des choix idoines et pertinents serait vraimentsouhaitable. L’auteur de l’article, par sa compétence directe en cedomaine, soutien cet affirmation avec autorité.

UN SACERDOTE ARTISTA PARA CADA DIÓCESIS

De Tito Amodei.

Es bien sabido que el arte en la Iglesia resulta indispensable.Según una acreditada evaluación sociológica, la fe está transmitiday conservada más por la iconografía sagrada que por la doctrina.Es deseable que haya un sacerdote artista, que ponga al servicio dela diócesis, o de la comunidad religiosa, su competencia en ideasselectas y y que hacen al caso. El autor del artículo, que tienecompetencia directa en el campo, sabe que puede afirmarlo conautoridad.

ENG

FRA

ESP

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culture

culture112

EIN ‚KÜNSTLER-PRIESTER‘ FÜR JEDE DIÖZESE

von Tito Amodei

Es steht fest, dass die Kunst in der Kirche unentbehrlich ist.Entsprechend einer glaubwürdigen soziologischen Untersuchungwird Glaube mehr durch heilige Ikonographie überliefert undbewahrt als durch Lehre. Insofern wäre es in der Tat wünschens-wert, wenn ein Künstler-Priester mit entsprechender Befähigungder jeweiligen Diözese bzw. religiösen Gemeinschaft hilft, sachlichfundierte und geeignete Entscheidungen zu treffen. Der Verfasserdes vorliegenden Artikels kann durch seine eigene Qualifikation indiesem Bereich einen solchen Priester fachkompetent beraten.

KAPŁAN ARTYSTA W KAŻDEJ DIECEZJI

Tito Amodei

Jest oczywiste, że w sztuka w Kościele jest konieczna. Wedługpotwierdzonej opinii socjologicznej wiara jest przekazywana izachowywana bardziej przez ikonografię sakralną niż przezdoktrynę. Należałoby sobie życzyć, by w każdej diecezji lubwspólnocie zakonnej był kapłan artysta, który posłużyłby swoimizdolnościami, umożliwiając właściwe i kompetentne decyzje. Autorartykułu, ze względu na swe doświadczenie na tym polu, może tęopinię wygłaszać w sposób autorytatywny.

POL

GER

Dell’artee dell’artista113-117

salvezzaeculture

culture113

di ELISABETTA VALGIUSTI

El Artista è il titolo originale di un bel film realizzato dai registiargentini Mariano Cohn e Gaston Duprat. E’ una metafora sulmondo dell’arte contemporanea, sulle logiche e le mode che viprevalgono. E’ una storia drammatica e comica allo stessotempo, coerente e assurda insieme.

R

omano è un anziano che

vive in una casa di ripo-

so dove il giovane

Jorge presta servizio

come infermiere. Jorge

è un ragazzino timido e

riservato, senza istruzione ma molto scrupoloso e

paziente nel suo lavoro, e man mano si appassiona agli straordina-

ri disegni che Romano tratteggia con furia e eleganza. Romano

non sa parlare o non vuole più parlare ma sente e capisce tutto.

Jorge comincia a collezionare i suoi disegni e decide di provare a

venderli.

Comincia la sua avventura da neofita in un mondo dell’arte ambi-

guo e elitario, dove incontra personaggi di ogni genere accomunati

da espressioni rarefatte e abituati a complicati modi culturali. Jorge

si presenta come l’autore dei disegni a un gallerista che, intrave-

dendo un buon affare, accetta di organizzare una mostra. In breve,

la mostra è un grande successo e Jorge si ritrova lanciato come pro-

tagonista nel mondo dell’arte.

Jorge riesce a trasferire a casa sua il vero artista, Romano, in

modo da tenere sotto controllo la produzione dei disegni. Jorge trat-

ta Romano molto bene e i due conducono insieme una vita tranquil-

la. Jorge comincia a leggere libri d’arte, cerca di capire qualcosa. E’

diventato un artista noto e deve fronteggiare situazioni pubbliche,

interviste, conferenze. Riesce a superare le difficoltà presentandosi

DELL’ARTEEDELL’ARTISTA

ELISABETTA VALGIUSTISapCr XXIV

SETTEMBRE 2009

salvezzae

culture

culture114

come un giovane schivo, di poche parole. Dall’altra parte, non rie-

sce proprio ad orientarsi fra gente e situazioni tanto diverse dalla sua

realtà. Si trova in gravi difficoltà quando deve fornire delle nuove

opere per un’importante mostra che il suo gallerista sta organizzan-

do. Romano non disegna più e Jorge non sa come fare. Infine,

Romano comincia a imbrattare muri e carta. Jorge pensa sia un disa-

stro, non capisce che Romano ha cambiato modo di esprimersi.

Provvidenzialmente, il critico che assiste Jorge vede i nuovi lavori e

si entusiasma. Jorge può affrontare la nuova mostra che diventa un

ulteriore successo. Ma il giovane è stanco di fingere, accetta la pro-

posta di una galleria internazionale di trasferirsi a Roma. Prepara il

viaggio per se stesso e per Romano ma l’anziano improvvisamente

muore. Jorge si ritrova da solo a Roma.

La storia è molto ben congegnata e scorre pacatamente. Il suo

tratto fondamentale è la relazione fra finzione e arte, fra realtà e irre-

altà. Jorge finge di essere un’artista, ma i quadri sono veri. La sua

fidanzata non gli crede quando le confessa la verità, pensa sia ubria-

co. Romano è un grande artista ma non sa cosa questo significhi,

avvolto com’è nel suo autismo cronico. La relazione fra il giovane

e il vecchio è sincera, produce una realtà mistificata ma veritiera.

Jorge non può essere accusato di nulla.

I dialoghi sono ottimi, semplici, credibili. La riuscita del film sta

nel suo diventare l’oggetto stesso dell’arte, cioè il disegno, il qua-

dro. Questo avviene grazie a delle inquadrature e a delle scene crea-

te in modo tale che traspongono continuamente la realtà filmica in

Dell’artee dell’artista113-117

salvezzaeculture

culture115

quadro. Il film è il quadro nel quadro. I disegni di Romano non si

vedono mai. Il pubblico che li osserva in galleria diventa protagoni-

sta del quadro che noi spettatori del cinema osserviamo al di là di

una cornice vuota. Cornici vuote che delimitano la sostanza del

film e partecipano a formarne il linguaggio. L’utilizzo di primi piani

strettissimi, di scene metà in luce e metà in ombra, di totali fissi su

muri e stanze, tutto partecipa a creare un linguaggio che bene espri-

me il formarsi dell’opera d’arte e il suo farsi realtà. E’ il film.

La fotografia di Ricardo Monteoliva varia da toni sottilmente

freddi a contrasti nettissimi, tendendo al bianco e nero con sfuma-

ture insinuanti e sinuose. Sono particolarmente avvincenti il taglio

e la luce delle inquadrature in primissimo piano, in dettaglio, di

occhi, mani, nasi, che si fanno materia totale .

Dentro a tutto questo stanno i due protagonisti, straordinari nel

loro essere ordinari. Sembrano nonno e nipote, ma sono proprio due

estranei. Jorge è interpretato dal noto musicista e cantante Sergio

Pangaro e Romano dal famoso scrittore Alberto Lanseca. Sono arti-

sti argentini di rilievo. Non è un caso che un film sull’arte abbia

come protagonisti due veri artisti che non sono solo e necessaria-

mente degli attori. Si intuisce che i due riescono ad arricchire i loro

personaggi con un apporto di esperienza personale, interpretando

con naturalezza e libertà riescono a dare un ulteriore contributo alla

metafora dell’arte nell’arte, al quadro nel quadro, al film nel film.

Anche gli altri personaggi sono stati interpretati da protagonisti del-

l’arte e della cultura argentini.

Il montaggio di Santiago Ricco è estremamente cadenzato, sfrut-

ta con maestria tempi e ritmi, si impegna nel gioco di sovrapposi-

zioni e dissolvenze di quadri e cornici vuote. Le scenografie di

Lorena Llaneza sono sobrissime, lineari, come sfondi dell’opera. Le

musiche di Diego Biffeld si adattano con cura a scene, montaggio e

recitazione.

I registi e sceneggiatori del film sono Mariano Cohn e Gaston

Duprat che hanno già realizzato insieme altri film. La loro è una

collaborazione artistica di notevole livello. Alla sceneggiatura del

film ha collaborato Andrés Duprat, direttore di Arti Visive al

Ministero della Cultura argentino. Andrés, fratello di uno dei due

registi e co-sceneggiatori del film, è l’ispiratore del soggetto e ha

dichiarato in un’intervista sul web : « Conosco bene il mondo del-

l’arte contemporanea. La mia idea non era quella di fare una critica

ma di scrivere una storia sul problema della paternità di un’opera

ELISABETTA VALGIUSTISapCr XXIV

SETTEMBRE 2009

salvezzae

culture

culture116

d’arte, una tematica molto contemporanea... Gastone e Mariano

hanno migliorato molto la storia. Per esempio, è stata loro la deci-

sione di non mostrare le opere d’arte. Ho trovato molto interessante

la loro proposta di dislocare l’oggetto desiderato e di mostrare sola-

mente gli effetti di quell’oggetto sulla società. E’ un dispositivo che

mi interessa perché la soggettiva del quadro permette di far con-

frontare il pubblico della mostra e il pubblico del film. E’ una com-

plementarietà di visioni soggettive... L’artista nel film è due perso-

naggi. Questa è la tesi del film. Vorrei che questo fosse chiaro al

pubblico. I due personaggi fanno l’artista... Il film è una sorta di

manifesto. Io continuo a lavorare nell’ambiente artistico e non penso

che il film ridicolizzi i curatori dei musei. Io adoro il mondo del-

l’arte. Il film non è nichilista nei confronti del mondo dell’arte. Amo

questo mondo anche se è arbitrario o ridicolo. A mio avviso, malgra-

do tutti gli aspetti ridicoli e snob, malgrado tutti i suoi difetti, il

mondo dell’arte mi sembra molto più interessante di quello dei den-

tisti e degli avvocati. Lo trovo affascinante. E’ un universo dove le

gerarchie cambiano rapidamente, dove un ragazzo analfabeta di 18

anni può diventare una celebrità”.

Il film è una produzione argentina con una partecipazione italia-

na dell’Istituto Luce ed è stato presentato al Festival di Roma del

2008. Ha dovuto attendere un anno per uscire nelle sale italiane.

El Artista è un ottimo esempio della vitalità culturale e della ori-

ginalità artistica che caratterizzano la grande tradizione del cinema

latino-americano.

ON ART AND THE ARTIST

By Elisabetta Valgiusti

“The Artist” is the original title of a beautiful film directed by theArgentine directors Mariano Cohn and Gastón Duprat. It’s ametaphor for the world of contemporary art, based on the prevail-ing logic and fashion, at one and the same time a dramatic and com-ical story, coherent and yet absurd.

ENG

DE L’ART ET DE L’ARTISTE

De Elisabetta Valgiusti

El Artista, c’est le titre original d’un beau film réalisé par les met-teurs en scène argentins Mariano Cohn et Gaston Duprat. C’est uneallégorie sur le monde de l’art contemporain, sur les logiques et lesmodes qui y prévalent. C’est une histoire dramatique et comique enmême temps, cohérente et absurde tout à la fois.

SOBRE EL ARTE Y SOBRE EL ARTISTA

De Isabel Valgiusti.

“El Artista” es el título original de una bella película, realizada porlos directores argentinos Mariano Cohn y Gastón Duprat. Se tratade una metáfora sobre el mundo del arte contemporáneo, sobre laslógicas y los modos que en él dominan. Esta una historia dramáti-ca y cómica al mismo tiempo, a la vez que coherente y absurda.

DELL’ARTE E DELL’ARTISTA

von Elisabetta Valgiusti

‚Der Künstler‘ ist der Originaltitel eines schönen Filmes der argen-tinischen Regisseure Mariano Cohn und Gaston Duprat. Es ist eineMetapher für die Welt der zeitgenössischen Kunst, der in ihr vor-herrschenden Logik und Moden. Die Geschichte ist sowohl drama-tisch als auch komisch, logisch wie absurd.

O SZTUCE I O ARTYŚCIE

Elisabetta Valgiusti

El Artista to tytuł oryginalny pięknego filmu zrealizowanego przezargentyńskich reżyserów Mariano Cohna i Gastona Duprata. Jest tometafora opisująca świat sztuki współczesnej, logikę i mody, którenim rządzą. Jest to historia zarazem dramatyczna i komiczna,spójna i absurdalna jednocześnie.

Dell’artee dell’artista113-117

salvezzaeculture

culture117

FRA

GER

POL

ESP

recensioni

recensioni119

Karl Rahner ebbe

a dire, nel lon-

tano 1966, che

il cristiano del futuro o

sarà un mistico o non

esisterà affatto. Il teolo-

go gesuita non prevede-

va l’arrivo di un gran

numero di mistici,

quanto piuttosto una

vita cristiana nella quale la fede intensamente vissuta diventa traspa-

renza mediante l’amore.

Nella pur sterminata produzione letteraria che recentemente si è

occupata di mistica, mancava uno studio sistematico della teologia

mistica e se ne sentiva l’urgenza; per questo, il ‘manuale’ di Luigi

Borriello era davvero necessario. Ma il termine freddo di ‘manuale’

non rende giustizia al prezioso lavoro del teologo carmelitano, per-

ché nel leggere il testo si scopre – ed è una vera sorpresa – che nutre

meravigliosamente l’anima di luce e d’amore, per cui diventa un

testo adatto persino per la meditazione e la preghiera. Ciò è merito

della teologia mistica in sé, chiamata a dare definizione e contenuto

all’irruzione del Mistero divino nell’uomo; ma è anche merito

dell’Autore, che ha accreditato la sua competenza in materia in lun-

ghi anni di insegnamento e con pubblicazioni specialistiche sul set-

tore.

“L’intelligenza umana non può catturare il Mistero, mentre gli

deve lasciare spazi liberi di irruzione così da poterne essere illumi-

nata. È l’epifania misteriosa di Dio all’anima ciò che si deve invo-

care, attendere e sperare. Una volta che Egli si para innanzi all’uo-

mo…e questi non si sottrae al confronto, allora inizia la grande

avventura della conoscenza”. È una delle numerose gemme che

impreziosiscono il testo e lasciano al lettore il gusto di una saporo-sa scienza d’amore.

Poiché il Carmelo possiede una grande scuola in fatto di mistica

– e i suoi tre “dottori” sono tali soprattutto per l’analisi originale che

hanno offerto del cammino interiore e degli stati ‘alti’ dell’esperien-

LUIGI BORRIELLO OCD,Esperienza misticae teologia mistica,

LEV, Città del Vaticano,pp. 283,€ 22,00.

za di Dio -, l’Autore, da buon carmelitano scalzo, attinge abbondan-

temente alla dottrina teresiana e sanjuanista sulla comunione con

Dio, e si trova d’accordo con P Gabriele di S. Maria Maddalena

quando scrisse che “il Carmelo esclude sempre dalle sue prospetti-

ve mistiche le visioni e le rivelazioni particolari”.

Esperienza mistica riservata a pochi? No, risponde l’Autore: la

mistica cristiana “è la consapevolezza di un dono della Presenza

attuale di Dio accolto e vissuto, offerto a tutti, ma non goduto da

tutti, o perché le persone vivono nel peccato, o per ignoranza o per

timore dell’imprevedibile”.

Il lettore si troverà davanti pagine di Spirito e di fuoco, di soda e

raffinata teologia, e sentirà il fascino segreto del pati divina, “nel

senso di subire liberamente l’azione gratuita di Dio. È l’esperienza

di un rapporto interpersonale tra il Tu di Dio e l’io dell’uomo, rela-

zione d’amore che avviene senza alcuna confusione tra i due par-

tner”. Per questo, il libro di P. Luigi Borriello è rivolto non solo agli

“addetti ai lavori”, ai teologi e agli specialisti, ma a tutte le persone

attratte da Dio ad un’intima unione con Lui, e a queste ultime il testo

sarà solo di guida e conforto nelle vie che conducono alla pienezza

dell’Amore.

sr Maria Grazia Israele, o.carm

recensioni120

recensioni

La mistica, nelle

varie e moltepli-

ci espressioni

linguistiche, culturali,

religiose, canta

l’Amore, l’amante e

l’amato, una modula-

zione infinita di figure,

parabole, allegorie

dove il divino e l’uma-

no si mescolano, si con-

fondono, giocano, si

seducono. Prosa e poe-

sia, i generi di scrittura

con i quali, normal-

mente, cerchiamo di

dare una prima, imme-

diata, generica classifi-

cazione di linguaggio e

scrittura, come si può

capire, sono l’ultima

cosa che importa. Il

fuoco della passione, la

vivacità delle immagi-

ni, la tensione estrema

del linguaggio fino

all’ineffabilità sono

ben al di là di tale

c l a s s i f i c a z i o n e .

Analogamente, e qui il

discorso è più intrigan-

te, le differenze dottri-

nali religiose sullo stes-

so concetto di Dio e

Spirito, diventano

molto meno importanti

recensioni

recensioni121

GHAZALI AHMAD,Delle occasioni amorose(Savaneh ol-Oshshaq),

a cura di Carlo Saccone, Carocci(Biblioteca Medievale/116),

Roma 2007, pp 201, cm 11x18,€ 19,00.

KRISTEVA JULIA,Teresa, mon amour.

L’estasi come un romanzo(Thérese mon amour. Récit,

Fayard, Paris 2008),tr. di Alessia Piovanello, Donzelli(Saggi. Storia e scienze naturali),

Roma 2009, pp VII+628,cm 15x21, rilegato,

con sopracoperta, inserto b/n,€ 35.00.

CINQUE MEGHILLOT. Rut,Cantico dei cantici, Qohelet,

Lamentazioni, Ester,a cura di Piergiorgio Beretta,

ebraico, greco, latino, italiano,San Paolo (Bibbia Ebraica

Interlineare 17-21),Cinisello Balsamo 2008,

pp 15*+231, cm 17,5x24,5,rilegato, con sopracoperta,

€ 35,00.

AMATO ANGELO,Gesù, identità del cristianesimo.

Conoscenza ed esperienza,LEV (Pontificia Accademia

Teologica. Itineraria. 2),Città del Vaticano 2008,

pp 472, cm 17,5x24,5, rilegato,€ 28,00.

recensioni122

recensioni del sospetto che, invariabilmente, tutte le forme di ortodossia nutro-

no nei confronti di espressioni al limite, e non di rado, francamente,

oltre i limiti di una “ragionevole” espressione della dottrina. Santi ed

eretici, venerati e perseguitati, maestri di spirito e banditi dalla

comunità di fede, i mistici, fondamentalmente, attirano e inquietano:

comunque, non consentono una religiosità abitudinaria, apatica , e,

quando l’espressione letteraria, spesso e volentieri, frequenta il

sublime, sono di per sé un godimento ineguagliabile che definire

estetico sarebbe riduttivo.

Ahmed Ghazali, mistico islamico medievale, si spinge fino a

cantare la santità di Iblis (Satana), campione dell’amore mistico, che

per la gloria di Allah accetta il suo anatema per non aver voluto ren-

dere omaggio all’uomo: “Io amo questo onore che da Te mi viene,

giacché nessuno ti è necessario e nessuno è a Te confacente”. Una

erotologia ascendente, dalla psicologia alla metafisica alla teologia,

una via brevis, naturalmente non concessa a chiunque, ché anche in

questo caso imperscrutabile e assoluta è la volontà di Dio. Amato e

amante fanno riferimento all’Amore e allo Spirito. L’unione di

amante e amato, il grado più alto a cui spinge la contemplazione, la

seduzione della bellezza, si esalta nella fusione dell’uomo con Dio,

una riflessione del volto di Dio nell’anima, una visione tutta interio-

rizzata, il volto dell’amato diventa l’immagine dell’anima del-

l’amante. Tra le citazioni, spesso allusioni più o meno esplicite alla

ricca tradizione mistica, quella “blasfema” di Hallaj, il cui “Io sono

Dio” gli costò un atroce martirio: “Io sono Colui che amo e Coluiche amo è me/ Noi siamo due spiriti che inabitano un solo corpo/ Ese guardi me tu guardi Lui/ E se guardi Lui, tu guardi Noi”. Tra le

immagini, passate anche nel linguaggio mistico successivo, e non

solo islamico, “La falena /_che_/ per brama della luce, cade nella

fiamma”. Commentando “Ha detto Iddio l’Altissimo: Egli li amerà

ed essi ameranno Lui” (Corano V,54), Ghazali cita: “Io, in tutto il

mondo, fui lo scopo vero di Amore”, uno dei luoghi in cui si stem-

pera l’idea islamica di un Dio sovrano assoluto nei cui confronti il

credente si pone esclusivamente come sottomesso e ubbidiente e,

in qualche modo, si apre all’idea ebraico-cristiana di un rapporto

amoroso tra il Creatore e la creatura. Dispiace che in un lavoro

puntuale e accurato per quanto riguarda l’Islam, chiamando a para-

gone il cristianesimo, riferimenti precisi si confondono con

espressioni fuorvianti: “Non v’è comunque nell’amore di Dio nes-

suna ontologica necessità, tanto meno “passionalità”, ma solo pura

regale gratuita munificenza: siamo evidentemente lontanissimi dalle

concezioni teologiche cristiane che fanno dell’amore l’essenza stes-

sa di un Dio che, in un certo senso, non può non amare, che invia

persino il proprio figlio sulla terra a sacrificarsi per amore dell’uma-

nità, che talora –ci suggeriscono i nostri teologi- “soffre” o “patisce”

con l’uomo e per l’uomo”(p.34).

Non è, certo, meno ardita e inquietante Teresa d’Avila (1515-

1582, dottore della Chiesa): “Possiamo paragonare l’unione a due

candele di cera unite insieme così strettamente che emettono una

luce sola, o al lucignolo, alla fiamma e alla cera divenuti una cosa

sola”. Ma Teresa si premura di aggiungere immediatamente:

“Nondimeno, si può ben separare una candela dall’altra, in modo

che sussistano distintamente, o il lucignolo dalla cera”. Si può capi-

re come in anni che davano da pensare e da fare all’Inquisizione,

non potesse suscitare apprensioni e sospetti una Vita che raccontava,

con tanta “naturalezza” estasi di amoroso deliquio di gioia inenarra-

bile e sofferenza indicibile, come quella, illustrata in modo sublime

ne La trasverberazione di santa Teresa, di Bernini, riprodotta in

sovraccoperta e all’interno del volume della Kristeva: “Vedevo vici-

no a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea… nelle mani

un lungo dardo d’oro. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel

cuore…lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il

dolore della ferita era così vivo… ma era così grande la dolcezza che

mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la

fine…”. Detto altrimenti: “Vivo, eppur non vivo in me,/ aspettando

sì alta vita,/ ché mi è morte il non morire”. Eppure, Teresa è donna

pratica, affronta battaglie per la riforma del Carmelo, aiutata da quel

piccoletto di Giovanni della Croce (dice con umorismo: siamo già

uno e mezzo!) grande santo ma sempre asustado, o, almeno, così

sembra. Diciassette fondazioni in venti anni, percorrendo in lungo e

largo la Spagna di allora, con i mezzi di allora, tra difficoltà interne

ed esterne e, vuole la leggenda, il giudizio sprezzante, di chi la defi-

niva “femmina inquieta e vagabonda”. Teresa ha a disposizione

pochi libri popolari, dopo le esaltazioni “eroiche” di gioventù, di

edificazione e di autori spirituali, ma “Il Signore mi disse: ‘Non

darti pena, perché io ti darò un libro vivente’… Sua Maestà è stato

il solo libro dove ho letto le supreme verità… Chi, vedendo il

Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia

le sue pene, non le ama e non le desidera?”. Per questo, Teresa, osse-

quiosa alla Chiesa (Kristeva non esita a parlare di astuzia), si affida

recensioni

recensioni123

recensioni

recensioni124

ai letrados, teologi ufficiali (ma che, osserva Teresa, mancano di

esperienza… “mi pare che la chiamino teologia mistica”), maestri di

spirito, anche santi, come Francesco d’Alcantara e Juan de Avila,

oltre che il detto Giovanni della Croce e diversi direttori spirituali,

come Girolamo Graziano “L’uomo della sua vita”, il suo desagua-dero. Fulminata da Teresa, la scrittrice e psicanalista di origini bul-

gare, atea, dopo la trilogia del genio femminile (Colette, HannahArendt, Melanie Klein), dedica alla grande mistica un récit, tra nar-

rativa e autobiografia, documentato particolarmente sulla Vita, le

Mansiones, Fondazioni, Lettere. In dialogo vivacissimo, sul filo

continuo della vita e dell’esperienza di Teresa intrecciate alle pro-

prie, con la storia della cultura, del femminismo, delle ideologie del

Novecento, Julia Kristeva dedica un post scriptum: “Lettera a Denis

Diderot sulla sovversione infinitesimale di una religiosa”: la sua

Monaca, con l’accusa virulenta di una religione falsa e ipocrita, alla

luce dell’avventura dei Lumi finita nel Terrore, è la regione dellamistificazione con la quale bisogna misurarsi, necessariamente,

prima di riprendere il discorso su Dio.

Storie d’amore nella storia d’amore di Jahwè per il suo popo-

lo, sono quelle di Rut:”…Salmon generò Booz,; Booz generò Obed;

Obed generò Iesse e Iesse generò Davide” e di Esther: “…Questi

giorni vengono ricordati e festeggiati in ogni generazione, in ogni

famiglia, in ogni provincia e città; i giorni di purim non dovranno

sparire in mezzo ai Giudei e il loro ricordo non dovrà mai cancellar-

si fra i loro discendenti”. Ma soprattutto il Cantico, come attestato

da una ininterrotta, ricchissima tradizione, dai Padri ai teologi, dai

maestri di spirito ai mistici, compresa anche la tradizione iconogra-

fica, è la sublime rappresentazione dell’amore tra Dio e il suo popo-

lo e, poi, Cristo e la Chiesa, Cristo e il credente: “Mi baci coi baci

della sua bocca!”. Ma anche il migliore augurio che a tutti e ciascu-

no si possa fare: che trovi chi lo baci coi baci della sua bocca!.

Nella raccolta di contributi, per lo più editi, del Prefetto della

Congregazione delle Cause dei Santi, insieme a saggi impegnativi

sulla cristologia di alcuni teologi da Edward Schillebeecks a Karl

Rahner e sul dibattito odierno (Gesù di Nazaret di Benedetto XVI,

l’assolutezza salvifica del cristianesimo, la Dominus Iesus e le reli-

gioni…), una cospicua sezione è dedicata a “La vita in Cristo” come

realizzazione dell’auspicio di Nicola Cabasilas, che all’intellectusChristi si accompagni l’amor Christi. Capitoli sono dedicati a Paolo

di Tarso e Agostino d’Ippona, a Nicola Cabasilas e Angela da

recensioni

recensioni125

Foligno, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Giovanni della

Croce, Luigi M. Grignion de Monfort, Edith Stein. Non poteva man-

care la nostra Teresa, proclamata, con Caterina da Siena, dottore

della Chiesa nel 1970. La sua conversione, da una vita frivola e tie-

pida, avvenne in seguito a un incontro di Grazia con Gesù Cristo

coperto di piaghe: “Mi sentii tutta commuovere, perché rappresen-

tava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: ebbi tal dolore al

pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe che

parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un proflu-

vio di lacrime, supplicandolo di darmi forza per non offenderlo più”.

Una “vita nuova” per questa donna riformatrice, fondatrice, maestra

di spiritualità e santità, scrittrice e, appunto, mistica che, se ha scrit-

to libri importanti, soprattutto si è attenuta alla promessa: “Non

affliggerti perché io ti darò un libro vivente” che, ormai, è Cristo.

Salvatore Spera

recensioni

recensioni126

Un fenomeno

tragico diffuso

nel tempo e

nello spazio che non si

lascia inquadrare facil-

mente, come pure lode-

volmente tentò Emile

Durkheim nel 1897, in

categorie. Ricorrono,

certo, i motivi dell’ono-

re (per lo stupro subito

o temuto, per la sconfit-

ta militare, per la ver-

gogna di aver tradi-

to…), dell’ira, dell’odio, della fedeltà, della protesta…, ma le varie

teorie si incalzano continuamente, con spiegazioni regolarmente,

almeno in parte, smentite. Lo stesso si dica dell’aumento e della

diminuzione del fenomeno in riferimento alla situazione

socio/ambientale: persecuzioni religiose e politiche, razziali, espan-

sione o depressione economica. E così pure quando si confrontano i

dati nei vari paesi o presso gruppi etnici o religiosi. Barbagli parte

dall’analisi sociologica di Durkheim (integrazione e regolamenta-

zione sociale come cause che spiegano le variazioni nella frequenza

delle morti volontarie) per denunciarne l’insufficienza (per la prima

causa: suicidio egoistico o altruistico; per la seconda: anomico o

fatalista), sia riguardo alle statistiche utilizzate (la sociologia moder-

na balbettava) che per le previsioni rivelatesi molto imprecise. Nella

pluralità delle cause a base della morte volontaria (psicosociali, poli-

tiche, biologiche…), vengono privilegiate quelle culturali: “il patri-

monio di schemi cognitivi e di sistemi di classificazione, di creden-

ze e di norme, di significati e di simboli dei quali dispongono gli

uomini e le donne”, i cui aspetti più rilevanti sono le intenzioni, il

modo, il significato, i riti concernenti il suicidio. Diviso in due parti

(il suicidio in Occidente e in Oriente), con due distinti inserti icono-

grafici, il volume sviluppa un discorso documentato in modo ampio

e approfondito che può frastornare chi cercasse facili sintesi, ma che

BARBAGLI MARZIO,Congedarsi dal mondo. Ilsuicidio in Occidente e in

Oriente, il Mulino(“Biblioteca storica”),

Bologna 2009, pp 526, cm 15x21,rilegato con sopracoperta,

55 illustrazioni a colorie numerose tabelle statistiche,

€ 32,00.

recensioni

recensioni127

rende bene la permanenza, l’ampiezza, la diffusione, la varietà del

fenomeno.

Presente nel mondo pagano e giustificato a determinate condizio-

ni (commesso, anzitutto, da un uomo libero e non da uno schiavo e

per motivi di onore) quando non imposto, la sua liceità fu oggetto di

discussione in ambito cristiano (per sottrarsi ai tormenti del martirio

o al disonore dello stupro) fino a quando Agostino la negò decisa-

mente e autorevolmente. Cessate le persecuzioni, la questione del

martirio era praticamente risolta. Quanto allo stupro, era un’immon-dezza commessa sulla donna, non con lei: “Strano a dirsi, erano due

e solo uno commise adulterio”. Si fissava così la dottrina ufficiale

della Chiesa fino al Codice del 1917, a quello del 1983 e al

Catechismo. La condanna unanime e le punizioni ostentatamente

esemplari, insieme al deterrente principale della dannazione eterna

non bastarono comunque a eliminare un fenomeno qui ampiamente

documentato, anche con episodi strabilianti. La crisi della società

feudale e la secolarizzazione che si manifesta a partire dal primo

Rinascimento determinano quei mutamenti culturali che rimettono

in discussione (Montaigne, More, Montesquieu, Beccaria,

Voltaire…) la liceità di disporre della propria vita, fino alle recenti

discussioni su testamento biologico, suicidio assistito, eutanasia.

Particolare attenzione viene rivolta al secolo appena trascorso

con i tornanti drammatici delle guerre mondiali, nazismo e fasci-

smo, lager e gulag, shoah: anche in questo caso (se così si può dire),

elementi diversi e contrastanti fanno sì che le statistiche si sottrag-

gono a schematismi nella loro variabilità e imprevedibilità, sia

all’interno di uno stesso paese, che tra paesi diversi. Quanto

all’Oriente, si analizzano in particolare i casi dell’India, con il sati,il suicidio volontario della vedova che si immolava più o meno

volontariamente sulla pira del defunto marito, e della Cina con i

matrimoni combinati. Anche per questi paesi (ma non vengono tra-

scurati l’URSS e il Giappone) la tradizione deve confrontarsi con i

rivolgimenti culturali e la nuova legislazione. L’ultimo capitolo (“Il

corpo come bomba”) è dedicato agli attacchi suicidi e al terrorismo,

nel quadro dei risorgenti nazionalismi e conflitti religiosi.

Salvatore Spera

recensioni

recensioni128

Un examen rigo-rosum, una

appass ionata

disamina verbale e con-

cettuale, grammaticale

e sintattica, filologica,

filosofica e teologica di

storia della chiesa,

attraverso documenti e

pronunciamenti più o

meno ufficiali e autore-

voli. E non soltanto

“nel secolo XX”, con

particolare attenzione

al Vaticano II e al

postconcilio, ma risa-

lendo attraverso cita-

zioni, analisi e compa-

razioni, alla chiesa pri-

mitiva, agli apostoli,

agli ipsissima verba di

Cristo. Una fortuna edi-

toriale, connessa a con-

vegni e interventi sulla stampa, “Osservatore Romano” compreso,

che sdogana da una lunga damnatio memoriae il pensatore lugane-

se (1905-1997), fastidioso e inviso a tanti, e non solo novatores, per

la sua analisi puntuta e minuziosa, la polemica acre e comprensibil-

mente fastidiosa per una cultura vastissima e solida, una erudizione

difficilmente sostenibile dai tanti meno provveduti di lui e che rove-

scia, nei fatti, la vulgata invalsa per cui i “progressisti” erano sem-

pre gli intelligenti e i “conservatori” ottusi. Va detto che la discus-

sione oggi, e soprattutto per il deciso contributo di Benedetto XVI,

è più equilibrata, nel segno di una ermeneutica della continuità e non

della rottura, di una innovazione nella tradizione, della Veritas incharitate, mentre, inevitabilmente, i volumi sono “datati”, rispetti-

vamente al 1985 e 1997.

AMERIO ROMANO,Iota unum.

Studio delle variazionidella Chiesa cattolica

nel secolo XX,a cura di Enrico Maria Radaelli,

prefazione del card.Dario Castrillon Hoyos,

Lindau (“Biblioteca”), Torino 2009,pp 751, cm 14x21,

€ 29,00.

AMERIO ROMANO,Stat Veritas.

Seguito a “Iota unum”,a cura di Enrico Maria Radaelli,Lindau (“Biblioteca”), Torino 2009,

pp 263, cm 14x21,€ 19,50.

recensioni

recensioni129

E’ una purificazione della memoria, una messa a punto vivace,

anche se inevitabilmente ripetitiva, delle “variazioni” che rasentano

l’eresia con imprecisioni, desistenze, parole in libertà, contraddizio-

ni: circiterismo, mobilismo, neoterismo, pirronismo, ipocorismo,confusionismo, trasposizione semantica, aporia, costrutto di parole,antropotropismo, relativismo, eclettismo, “loquimini nobis placen-ta”, cristianesimo secondario, spirito largioristico e pelagiano,bustofredicamente… Linguaggio colto, espressioni erudite per schiz-

zi storici, soprattutto del concilio e postconcilio, documenti concilia-

ri, allocuzioni papali e vescovili, formule teologiche, esperimenti

liturgici, pastorali e catechetici, crisi del sacerdozio e della vita reli-

giosa, le donne nella chiesa (con l’espressione regolarmente ricorren-

te di “sacerdozio delle femmine”), la “destaurazione” dell’autorità…

Il termine di paragone, il criterio di verità assoluta è quello cattolicodi una societas christiana che non c’è più, se mai c’è stata, per cui

espressioni e concetti come libertà (e, peggio, libertà religiosa),

mondo (figuriamoci “simpatia” per un mondo corrotto e perduto)

dialogo, ecumenismo, progresso, adattamento sapiunt inevitabilmen-

te di soggettivismo, relativismo, “sreligionamento”, desistenza…

In una parola, per un Autore che fa della logica e della conseguenza

logica un’arma micidiale, “peiorem sempre sequitur conclusiopartem”, che sarà, appunto una forma sillogistica, ma non sempre e

non necessariamente la più giusta e felice. Si aggiungano altri ele-

menti discutibili , come l’uso del latino (contro lo “slatinamento”) o

l’abito clericale, il tentativo regolare di tirare tutto dalla propria parte,

con l’inevitabile cadere nella tanto aborrita contraddizione, i sofismi

per cui si definiscono contraddittorie o esagerate (rispetto alla

denuncia di errori ed abusi) espressioni di fiducia, di speranza, di

ottimismo. L’ultimo capitolo sull’escatologia, dove ancora una volta,

meritoriamente, si denunciano colpevoli omissioni nella teologia e

nella predicazione, è, riguardo all’inferno, di un giustizialismo che fa

raggricciare. E’ evidente che per l’Amerio, valoroso e per tanti aspet-

ti meritevole vox clamantis (olim) in deserto, non ha senso il “surtout

pas trop de zèle”. Prova ne siano le desolatamente cervellotiche (“che

nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri”,

Col 2,8) “chiose” alla “Tertio Millennio Adveniente” di Stat Veritas,

dove, alla luce del magistero di Benedetto XVI, si salva solo la 39,

sull’eccessivo numero di beatificazioni e canonizzazioni.

Salvatore Spera

recensioni

recensioni130

Sostanzioso omag-

gio di affetto,

t e s t i m o n i a n z a

credibile di stima, rac-

cogliere alcuni dei

numerosi scritti disse-

minati nella lunga,

feconda attività del

docente ordinario eme-

rito di “Storia della

Chiesa Medievale e

Moderna” presso l’Uni-

versità di Augsburg, già

Presidente della “Com-

mission Internazionale

d’Histoire Ecclésiasti-

que Comparée, cofon-

datore e direttore dell’

“Annuarium Historiae

Conciliorum”, dal 1998

presidente del “Pontificio Comitato di Scienze storiche” della Santa

Sede. E non sono titoli “colorati”, come si evince dalla vastità e pro-

fondità della selezione degli interventi che confermano la solida

fama acquisita con il fondamentale Papst und Konzil im GrossenSchisma (1378-1431. Studien und Quellen, del 1999. La ricca

“Bibliografia” abbraccia un arco di tempo di cinquant’anni di prodi-

giosa, benemerita attività. Nella “Presentazione”, Werner Maleczek

precisa che i contributi, scelti dallo stesso festeggiato e raccolti per

l’occasione, vanno dal 1983 al 2006, quasi una “eredità spirituale”

di sollecitudine di amore alla Chiesa, di accuratezza scientifica che

muovono al rispetto e all’ammirazione. Fondamentalmente medie-

vista, il suo orizzonte cronologico e tematico si allarga alla tarda

antichità e alla storia contemporanea, dal Decretum Gratiani al

Vaticano I e II, da Silvestro II alla formazione del clero nel

Medioevo, dall’ecclesiologia di Bernardino da Siena a Niccolò V e

la caduta di Costantinopoli, dall’antipapa Giovanni XXIII al

Concilio di Siena del 1423-24, dal caso Galilei alla disputa su Pio

XII. Una ricerca storica che analizza i fenomeni storici con le loro

cause ed effetti, libera da polemiche anacronistiche ed apologetica

SEMERARO COSIMO (ed.),Walter Brandmueller

Scripta manean.Raccolta di studi

in occasionedel suo 80° genetliaco,

Lev (Pontificio Comitatodi Scienze Storiche

“Atti e Documenti“ 30),Città del Vaticano 2009,

pp X+ 454, cm 17x24,rilegato con sopracoperta,

due foto a colori,€ 40,00.

recensioni

recensioni131

postuma: “L’adrenalina di pur nobili emozioni non dovrebbe infil-

trarsi nell’inchiostro dello scrittore di cose storiche”. Quanto a chia-

rezza di giudizio, non manca, ad es., di documentare il disastro della

Commissione storica ebraico-cattolica per appurare la validità

scientifica dei 16 volumi di Atti e Documenti della Santa Sede rela-

tivi alla Seconda Guerra mondiale: superficialità, disprezzo degli

strumenti della ricerca storica, rifiuto del metodo peculiare di inda-

gine erano destinati a non portare ad alcun risultato. L’ultimo e più

recente saggio sulla Storia della Chiesa in Germania consente, con-

tinua Maleczek, di individuare lo sguardo critico ed accorato sullo

sviluppo della disciplina storica nelle facoltà telogiche cattoliche

nelle università tedesche: lamenta una riduzione dello spettro tema-

tico, meno universale, prova ne è il trascurare il periodo medioeva-

le. Contro una concezione della Storia della Chiesa quasi materia

profana che rappresenta la Chiesa come una sorta di istituzione

sociale di carattere mondano, riprende decisamente l’orientamento

di Hubert Jedin di una disciplina teologica che opera con gli stru-

menti della ricerca storica, sulla base della fede nella Chiesa come

strumento dell’azione salvifica di Dio. “Per Scienza della Storia

della Chiesa noi intendiamo l’indagine scientifica e l’interpretazio-

ne dell’opera che la Chiesa compie in se stessa quale organo della

trasmissione della eredità di Gesù Cristo intesa in senso ampio”.

Solo qualche spiga. Nella “Ecclesiologia di San Bernardino da

Siena”, dove l’Autore, analizzando l’Opera Omnia, vede che la pre-

dicazione del Santo su Cristo e la Chiesa, nel periodo fra il 1380 e il

1444, coincidente con la perdurante crisi ecclesiologica dello

Scisma d’Occidente, non si occupa delle dispute di teologi e cano-

nisti, lontane dalla vita reale del popolo di Dio: “Non omnia, quae

sunt in actis, fuerunt in mundo” (una sapida parafrasi del “quod non

est in Codice, non est in mundo”). Invece, quanto alla formazione

dei chierici, “An saecularibus litteris oporteat eos esse eruditos”,

sulla scorta dei Padri della Chiesa, sottolinea, in sintonia con

Benedetto XVI, l’importanza dello studio del greco e del latino. Un

fondamentale presupposto storico al Vaticano II è “L’insegnamento

dei Concili sulla corretta interpretazione delle Sacre Scritture fino al

Concilio Vaticano I” e prezioso è “Il Concilio di Siena del 1423-

24”, tramite importante tra Costanza (1414-18) e Basilea-Ferrara-

Firenze (1431-45) per il superamento definitivo della delicatissima

crisi del conciliarismo, acuita da interessi politici nazionalistici e

maneggi diplomatici.

Salvatore Spera

schedebibliografiche

schede133

INTRODUZIONE GENERALE

Il saggio che esponiamo è il frutto di un corso di lezioni tenute

nell’anno accademico 2000-2001. L’autore del libro è Maurizio

Chiodi, docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica

dell’Italia Settentrionale. Lo scopo dell’opera è di sviluppare una

riflessione sul senso della sofferenza, partendo da una prospettiva

pratica. Il pensiero occidentale ha sempre prediletto un approccio

teorico alla realtà ed ha messo ai margini il vissuto concreto dei sog-

getti. É necessario, invece, recuperare la dimensione esistenziale del

dolore, perché il problema del male si manifesta nella sua dramma-

ticità solo nella coscienza personale. L’uomo, infatti, si chiede il

significato del male nel momento in cui è toccato dall’esperienza del

“suo” dolore. La prima parte del libro espone e commenta il pensie-

ro di alcuni studiosi di bioetica riguardo all’esperienza della soffe-

renza. Il nostro autore sceglie deliberatamente di concentrare il pro-

prio interesse sugli autori d’orientamento fenomenologico.

L’approccio esistenziale, infatti, supera il pregiudizio positivista che

riduce il dolore ad una realtà misurabile. La sofferenza, invece, non

appare al soggetto come un “oggetto esterno”, ma come una condi-

zione che tocca la sua stessa identità. Nella seconda parte del libro

Chiodi cerca di comprendere la relazione che sussiste tra colpa

PASTORALE (34)M. CHIODI,L’enigma della sofferenzae la testimonianza della cura.Teologia e filosofiadinanzi alla sfida del dolore,Glossa, Milano 2003,pp. 9-58.

schedebibliografiche

schede134

(male compiuto) e la sofferenza (male subito). A questo proposito

entra in dialogo con la filosofia di Max Scheler e Paul Ricoeur, per

poi concentrarsi sull’analisi del salmo 22. Chiodi ritiene che questo

passo della Scrittura sia utile per esaminare l’esperienza del dolore

dell’innocente.

SOFFERENZA, SOLITUDINE E CURA (S. HAUERWAS)

1. PENSARE TEOLOGICAMENTE IN BIOETICA IN UNA SOCIETÀ PLURA-

LISTICA

Il primo autore affrontato da Chiodi è Stanley Hauerwas

1, teolo-

go morale americano ed esponente di spicco della cosiddetta teo-

ria delle virtù. Il problema principale di Hauerwas è quello di

comprendere come sviluppare una bioetica cristiana in una situazio-

ne multiculturale. La sua riflessione nasce, infatti, come una rispo-

sta alla bioetica liberale di Engelhardt. Questo autore ritiene che le

diverse visioni del mondo devono rinunciare ad imporsi nello spa-

zio pubblico per permettere la pacifica convivenza nella comunità

pluralistica. L’unico principio morale universale è, dunque, il rispet-

to delle diverse etiche private. Hauerwas afferma che le teorie di

Engelhardt portano, di fatto, ad una schizofrenia morale. Il pensiero

liberale sviluppa una morale debole ed indeterminata che finisce per

acuire i conflitti piuttosto che pacificarli. Il pensiero di Engelhardt,

inoltre, si mostra incapace di riconoscere che la medicina non è una

scienza a-valutativa, ma si presenta come una pratica morale.

I medici, infatti, non predispongono solo una terapia (to cure)al malato, ma cercano, innanzi tutto, di prendersi cura (to care) del

corpo del malato. La medicina rappresenta l’impegno della comuni-

tà umana per la vita del malato. Si può quindi pensare di creare una

società pacifica solo se si unisce al principio di libertà l’impegno per

la cura dei malati.

1 Chiodi analizza in particolare alcuni discorsi contenuti in S. HAUERWAS,Suffering presence. Theological reflections on Medicine, the MentallyHandicapped and the Church, University of Notre Dame Press, Indiana (USA)1986.

schedebibliografiche

schede135

2. SOFFERENZA, MORTE E MEDICINA

Hauerwas tenta di spiegare meglio il significato della medici-

na come pratica morale analizzando la relazione tra azione

terapeutica e dolore. La società moderna rifiuta ogni forma

di dolore tanto che, spesso, si preferisce sopprimere il malato piut-

tosto che lasciarlo soffrire. Hauerwas ritiene che sia assurdo elimi-

nare una persona per evitare la sofferenza, perché il dolore è una

realtà che fa parte della vita stessa. Il compito del medico non è

quello di eliminare ogni tipo di dolore ma di “alleviare la sofferen-

za”. Hauerwas inizia un’analisi dell’esperienza della malattia per

spiegare meglio il suo pensiero. La sofferenza è sempre una realtà

soggettiva legata ad un’esperienza esistenziale. Il malato si speri-

menta come alienato da se stesso, perché avverte che un’altra enti-

tà, la malattia, lo pone in una situazione di passività. Il soggetto può

superare questo stallo se accetta di far propria la malattia. La medi-

cina deve, dunque, favorire questo processo di integrazione renden-

do la malattia sopportabile. La fede cristiana può aiutare in questo

difficile cammino, in cui il soggetto è chiamato a dare valore all’as-

surdità del male. A questo proposito, Hauerwas ricorda che la soffe-

renza per il cristiano è accettabile non perché abbia un senso in se

stessa, ma perché Gesù stesso l’ha affrontata e l’ha resa strumento

di salvezza.

3. MEDICINA ED AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ LIBERALE: OLTRE

PATERNALISMO ED AUTONOMIA

Hauerwas riflette, in seguito, sulla relazione tra medico e

paziente e riconosce che il problema più grande nella nostra

società è legittimare l’autorità del medico senza cadere nel

paternalismo. La società liberale ha ridotto la relazione tra malato e

medico ad un contratto, nel quale i due contraenti si pensano come

soggetti liberi ed autonomi. Tutto ciò non corrisponde al vero, poi-

ché il malato si trova in una situazione di bisogno che lo rende, di

fatto, soggetto all’azione del medico. In realtà, il pensiero liberale

non comprende che l’autorità del medico non pregiudica l’autono-

mia del paziente, ma lo aiuta a discernere meglio la sua situazione.

É chiaro, infatti, che l’autorità del medico non si fonda su una sua

posizione di forza rispetto al malato, ma sulla capacità del dottore

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schede136

di cooperare con il paziente al fine di raggiungere il benessere

nel corpo malato. Tale obiettivo non si raggiunge solo con le

conoscenze teoriche, ma soprattutto mediante l’esperienza pratica,

avvalorata da una tradizione comune. Il medico può dunque coman-

dare qualcosa al paziente perché entrambi condividono la stessa

visione del mondo. Il medico non pretende di eliminare i limiti del

corpo, ma aiuta il soggetto a vivere bene nella sua umanità fragile.

Il problema della società moderna è che ha rotto l’unità presente tra

medici e pazienti. Per questo i medici sono divenuti una comunità

autoreferenziale che ha come unico scopo il raggiungimento del

massimo grado d’efficienza. La medicina moderna pretende di

eliminare ogni limite del corpo e si propone come una forma di

salvezza immanente. Lo sviluppo del paradigma efficientista

ha ridotto la relazione tra paziente e medico a mero contratto di

prestazione.

4. GUARIGIONE E SALVEZZA

Secondo Hauerwas possiamo ristabilire una relazione umana

tra medico e paziente solo se ricreiamo una comunità curante

che condivide le medesime credenze. A tale scopo, è necessa-

rio approfondire la relazione tra religione e medicina per stabilire

come riportare l’armonia tra una visione trascendente del mondo e

l’azione pratica di guarigione. Il conflitto tra la fede e la scienza

medica è sempre in agguato, perché la salute fisica non può essere

scissa da uno stato di benessere di tutta la persona. Dobbiamo, dun-

que, superare il dualismo tra guarigione e salvezza per elaborare

un’etica teologica capace di dialogare con il mondo moderno, nel

quale opera la medicina. Hauerwas è cosciente che, se poniamo il

problema in termini astratti, rischiamo di cadere in un vicolo cieco.

La morale cristiana si fonda su un’esperienza che non tutti condivi-

dono e che dunque non può pretendere di diventare assoluta. Il

nostro autore riconosce, invece, che sarebbe più fruttuoso partire

dall’esperienza pratica. Le credenze cristiane hanno una forma

intrinsecamente pragmatica, perché permettono la fondazione della

comunità di fede. La Chiesa, infatti, nasce e si sviluppa sul coman-

damento dell’amore reciproco. La comunità medica può riconosce-

re nella Chiesa un modello a cui ispirarsi per prendersi cura nella

maniera migliore dei malati.

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Chiodi riconosce che gli studi di Hauerwas danno dei contributi

interessanti per l’interpretazione dell’esperienza della malattia.

Innanzi tutto, Hauerwas sottolinea la qualità pratica dell’azione

terapeutica e l’importanza di una tradizione e di un’autorità.

Il teologo americano ha anche il merito di armonizzare l’abilità del

terapeuta (to cure) con la capacità di sviluppare un atteggiamento di

cura verso il malato (to care). Per Chiodi il pensiero di Hauerwas è,

però, carente dal punto di vista metodologico e trascura la

dimensione trascendente della fede. La pratica medica sperimenta,

spesso, anche l’impotenza di fronte alla malattia e ci obbliga ad

aprirci al mistero della vita mediante la preghiera. É necessario,

inoltre, rifondare la riflessione riguardo alla testimonianza cristiana

sull’evento cristologico. L’amore cristiano, che giustifica la cura

verso il malato, si comprende solo come segno più grande

dell’amore di Dio per l’uomo.

Alessandro Cancelli c. p.

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schede138

1. PAZIENTE E PRATICA MEDICA NELLA FRAMMENTAZIONE ETICA

POST-MODERNA (A. MACINTYRE)

Chiodi si sofferma ad analizzare l’opera del filosofo morale

Alaisdair MacIntyre2. Il noto pensatore americano inizia la

sua riflessione partendo dalla constatazione della frammen-

tarietà della nostra epoca. La società post-moderna si caratterizza

per la compresenza di diverse visioni del mondo, che non collimano

tra loro. In questa situazione è impossibile risolvere le questioni eti-

che, perché manca un punto di partenza riconosciuto dai diversi

membri della società. É chiaro, infatti, che la compresenza di diver-

se visioni del mondo impedisce, di fatto, lo sviluppo di un consenso

ampio attorno ai valori fondamentali della vita. La conseguenza

diretta della frammentarietà sociale è la crisi delle autorità e l’eclis-

si della tradizione. Ogni società umana riconosce a taluni soggetti

un’autorità, ossia la capacità di giudicare meglio degli altri intorno

PASTORALE (35)M. CHIODI,L’enigma della sofferenzae la testimonianza della cura.Teologia e filosofiadinanzi alla sfida del dolore,Glossa, Milano 2003,pp. 58-82.

2 Il nostro autore sintetizza i contenuti di un discorso di MacIntyre, intitolato«Patients as agents», che è stato pronunciato durante il SymposiumPhilosophical medical Ethics: its nature and significance, Connecticut (USA)1975.

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ai casi particolari. Questa qualità non dipende solamente dal grado

di conoscenze teoriche del soggetto, ma è fondata sulla sua capaci-

tà di riconoscere la presenza del bene nei singoli eventi. La legitti-

mità dell’autorità è fondata sulla tradizione, che consiste in quella

visione comune del bene tramandata in una comunità. Secondo

MacIntyre l’autorità e la tradizione non negano la responsabilità

della coscienza, ma la aiutano a camminare verso il bene. La socie-

tà ha sempre riconosciuto ai medici una particolare autorità morale,

perché svolgevano una funzione essenziale per la collettività. La

crisi della tradizione e lo sviluppo della specializzazione del sapere

hanno fatto sì che l’autorità del medico fosse messa in crisi. Tutto

ciò ha portato alla nascita di un nuovo tipo di relazione tra il medi-

co ed il paziente: il modello contrattuale. Il medico è considerato un

erogatore di servizi, che è tenuto a rispondere ai bisogni dei malati.

Questo modello si rivela fallimentare, poiché la prassi medica deve

prendere delle decisioni che non si riducono alla mera applicazione

di procedure tecniche, ma che hanno una dimensione morale. Si

deve, inoltre, riconoscere che il modello contrattuale non tiene conto

dell’errore umano. La crisi dell’autorità tradizionale pare irreversi-

bile e, per questo, MacIntyre ritiene che l’unica soluzione alle que-

stioni di bioetica sia l’autonomia del paziente. Nella mancanza di un

consenso sui valori fondamentali i singoli malati non potranno più

affidarsi alle opinioni dei medici curanti, ma saranno costretti a sce-

gliere tra le diverse proposte di cura, fondate su visioni del mondo

differenti.

Chiodi critica le conclusioni di MacIntyre, perché producono un

evidente circolo vizioso. Il filosofo americano, infatti, afferma che

la radice della crisi dell’autorità medica è da imputare all’eccessiva

frammentazione della società, ma, allo stesso tempo propone come

unico rimedio a tale situazione l’incremento dell’autonomia del

paziente. La proposta rischia di peggiorare ulteriormente la relazio-

ne tra medico e paziente. Chiodi ricorda, inoltre, che la nostra auto-

nomia non è mai assoluta, poiché è sempre connessa con la dipen-

denza dei singoli nei confronti della comunità. Dobbiamo, dunque,

riconoscere che la morale è sempre eteronoma, poiché la coscienza

è sempre in relazione con l’alterità.

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2. FILOSOFIA DELLA MEDICINA ED ONTOLOGIA DEL CORPO (E.

PELLEGRINO E D. THOMASMA)

Iricercatori Edmund Pellegrino e David Thomasma

3riflettono

sulla relazione tra medicina e filosofia, per mostrare che la pra-

tica medica richiede una visione ontologica del corpo umano. I

medici hanno un gran numero di possibilità, ma non sanno a quale

fine indirizzare la loro azione terapeutica. Tutto ciò può portare

alcuni scienziati a confondere il piano della scienza, che studia i

fatti, con l’ambito della filosofia, che ricerca il senso della realtà. I

problemi morali dei medici possono essere risolti solo riflettendo sul

senso ultimo dell’azione medica. I due teologi, dunque, iniziano una

riflessione sul corpo vivente partendo dalla prospettiva pratica. Essi

indicano quattro campi di ricerca: una riflessione sulla pratica medi-

ca che mostri come il corpo sia la rivelazione dell’intera persona

umana; l’analisi della relazione tra mente, corpo e libera volontà al

fine di superare il dualismo anima-corpo; una riflessione generale

sull’essere che aiuti il giudizio clinico ad applicare le conoscenze

generali alla realtà pratica ed, infine, una riflessione sul concetto

generale di salute e malattia per elaborare un’adeguata “sapienza del

corpo”.

La riflessione filosofica di Pellegrino e Thomasma parte dal-

l’esperienza umana per non cadere nel pregiudizio naturalista, che

non considera la dimensione esistenziale, ma riduce il corpo ad un

puro “oggetto” d’indagine. Essi individuano tre livelli d’esperienza

umana: il sé vissuto, che consiste nel catalogo obiettivo delle carat-

teristiche degli esseri umani e che è oggetto d’indagine dell’ambito

scientifico; il livello del corpo vissuto, che consiste nell’esperienza

esistenziale dell’essere corpo e che non può essere oggettivato ed,

infine, il livello dell’organismo fisico, che pone la questione della

sopravvivenza. La distinzione di questi tre livelli porta a elaborare

un nuovo concetto di legge naturale. Il soggetto non è un semplice

caso di una natura generale, ma possiede una sua unicità che

va rispettata. Il corpo è, infatti, l’espressione immanente dell’identi-

tà della persona, che non è risolvibile in nessuna classificazione

astratta.

3 Chiodi si rifà in particolare al libro E. D. PELLEGRINO-D. C. THOMASMA, Aphilosofical basis of medical practice, Oxford University Press, New York 1981.

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Per Chiodi il pregio maggiore di Pellegrino e Thomasma è di aver

introdotto nella filosofia del corpo alcuni concetti fondamentali

della fenomenologia di Merlau-Ponty. In particolare, la distinzione

tra il corpo vissuto e il corpo oggetto è uno dei guadagni più note-

voli ricavati dal pensiero del filosofo francese. L’esperienza prima-

ria della coscienza, infatti, non separa l’oggetto dal soggetto, ma li

coglie entrambi nell’unica Lebenswelt (mondo vitale). Chiodi avan-

za una critica sul metodo scelto da Pellegrino e Thomasma: non c’è,

infatti, sufficiente chiarezza sulla relazione tra ontologia e metodo

fenomenologico. Tutto ciò può portare a ricadere in una metafisica

astratta, che si allontana dall’esperienza esistenziale.

Alessando Cancelli c. p.

INDICE GENERALE

EDITORIALI

Continuità e rottura, radicamento e sradicamento,

riscoperta e riappropriazioni delle radici.

(Adolfo Lippi)I-II, .................................................................................... pag. 3-7

L’ Enciclica Caritas in Veritate,una lezione magistrale offerta all’intera umanità.

(Adolfo Lippi)III, ..................................................................................... » 3-9

SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA

Il movimento patripassiano: istanze positive

per l’elaborazione del concetto cristiano di Dio

(prima parte)

(Gianni Sgreva)I-II, .................................................................................... » 9-39

La Passione di Cristo in Kierkegaard.

Note di ricerca (seconda parte)

(Mario Cempanari)I-II, .................................................................................... » 41-68

Il movimento patripassiano: istanze positive

per l’elaborazione del concetto cristiano di Dio

(seconda parte)

(Gianni Sgreva)III, ..................................................................................... » 11-43

La circoncisione del cuore

alla luce della teologia del «terzo utero»

(Roberto A. Maria Bertacchini)III, ..................................................................................... » 45-70

Tematiche teologiche in relazione all’Eucaristia

(Maurizio Buoni)IV, ……………………………………………………… » 3-25

La teologia contenuta nel testo delle Costituzioni

dei passionisti

(Adolfo Lippi)IV, ……………………………………………………… » 27-52

PASTORALE E SPIRITUALITÀ

Il Cammino neocatecumenale

alla luce del Concilio Vaticano II.

(Maurizio Buioni)I-II, .................................................................................... pag. 69-122

Evangelizzare il mondo a partire dalla “kenosi”.

(Fernando Guillen Preckler Sch.)I-II, .................................................................................... » 123-131

L’esperienza mistica di San Gabriele a Spoleto

(Antonio Artola)

I-II, .................................................................................... » 133-154

Maria Maddalena Frescobaldi Capponi

una eccezionale figura di donna forte

(Adolfo Lippi) III, ..................................................................................... » 71-92

«Nelle carceri naziste con San Paolo».

La testimonianza di Max Josef Metzger

Lubomir ZakIV, ……………………………………………………… » 53-83

SALVEZZA E CULTURE

Il valore di una profezia

(Tito Amodei)I-II, .................................................................................... » 155-161

La carrozza d’oro di Anna Magnani

(Elisabetta Valgiusti)I-II, .................................................................................... » 163-168

Miliardari in India

(Elisabetta Valgiusti)III, ..................................................................................... » 93-98

Il fascismo e la stampa cattolica

durante la seconda guerra mondiale.

La soppressione de L’Eco di San Gabriele dell’Addolorata(Giovanni di Giannatale)IV, ……………………………………………………… » 85-104

Un sacerdote artista per ogni Diocesi

(Tito Amodei)IV, ……………………………………………………… » 105-112

Dell’arte e dell’artista

(Elisabetta Valgiusti)IV, ……………………………………………………… » 113-117

RECENSIONI

Max Joseph Metzger, La mia vita per la pace. Lettere dalle prigioni nazi-ste scritte con le mani legate, I-II, 177. Mc Ginn Bernard, Storia dellamistica cristiana in occidente, I-II, 181. Bracciolini Poggio, ContraHypocritas, I-II, 185. Erasmi Maurizio, Chiara D’assisi. La fecondità sto-rica di un carisma, I-II, 187. Ratzinger Joseph Benedetto XVI, Fede,ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger; Ratzinger

Joseph, San Bonaventura. La teologia della storia; Inizio del ministero

petrino del vescovo di Roma Benedetto XVI, a cura dell’ufficio delle cele-

brazioni liturgiche del Sommo pontefice, III, 99. Forte Bruno, la luce dellafede.Scritti e discorsi 2006-2007; Lenoir Fréderic,Le radici del pensierodell’occidente; Zurra Gianluca, “I nostri sensi illumina”. Coscienza, affet-

ti e intelligenza spirituale, III, 103. Ratzinger Joseph, Cantate al Signoreun canto nuovo, Saggi di cristologia e liturgia, III, 106. Castle Alison

(ed.), The Stanley Kubrik Archive; Duncan Paul-Wanselius Bengt (edd.),

The Ingman Bergman Archives; Faaroe Su Bergmam. Bergman Ingmar-

Von Rosen Maria,Tre Diari;. Bergman Ingmar, Il giorno finisce presto,III, 110. Luigi Borriello, Esperienza mistica e teologia mistica, IV, 119.

Ghazali Ahmad, Delle occasioni amorose. Kristeva Julia, Teresa monamour. L’estasi come un romanzo. Piergiorgio Beretta, Cinque meghillot.Amato Angelo, Gesù identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperien-za, IV, 121. Barbagli Marzio, Congedarsi dal mondo. Il suicidio inOccidente e in Oriente, IV, 126. Amerio Romano, Iota unum. Studio dellevariazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX. Amerio Romano, Statveritas, 128.

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni(scheda 13)

I-II, .................................................................................... pag. 189

Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni(scheda 14)

I-II, .................................................................................... » 194

Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni(scheda 15)

III, ..................................................................................... » 115

Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni(scheda 16)

III, ..................................................................................... » 121

Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni(scheda 17)

III, ..................................................................................... pag. 127

Chiodi M. - L’enigma della sofferenza ela testimonianza della cura

(scheda 1)

IV,……………………………………………………..... » 133

Chiodi M., L’enigma della sofferenzae la testimonianza della cura(scheda 2)

IV, ..................................................................................... » 138

PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSECATTEDRA GLORIA CRUCIS

PRODUZIONE SCIENTIFICA

DELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS

AA.VV. Memoria Passionis in Stanislas Breton, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, 2004.

PIERO CODA Le sette Parole di Cristo in Croce, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.

LUIS DIEZ MERINO, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre2004.

MARIO COLLU, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre2004.

TITO DI STEFANO, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, dicembre 2004.

CARLO CHENIS, SDB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, gennaio 2004.

ANGELA MARIA LUPO, CP La Croce di Cristo segno definitivodell’Alleanza tra Dio e l’Uomo, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, febbraio 2004.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, EdizioniOCD, Roma Morena, 2006.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto delCrocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, RomaMorena, 2008.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi seco-li, Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.

L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passio-christi.org alla voce Cattedra Gloria Crucis.

La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voceSapienza della Croce.