LA SAPIENZA della CROCE - passiochristi.org · C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma Finito di stampare...

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Direttore responsabile Gianni Sgreva c.p. Direttore amministrativo Vincenzo Fabri c.p. Cattedra Gloria Crucis Comitato scientifico Fernando Taccone c.p. - Antonio Livi Lubomir Zak - Riccardo Ferri Denis Biju-Duval - Angela Maria Lupo c.p. Gianni Sgreva c.p. - Adolfo Lippi c.p. Segretari di redazione Leopoldo Boris Lazzaro cmop, Carlo Baldini c.p. - Flavio Toniolo c.p. Lorenzo Baldella c.p. - Vittorio Lucchini Lucia Ulivi - Franco Nicolò Collaboratori Tito Amodei c.p., Vincenzo Battaglia ofm, G. Marco Salvati op, Tito Paolo Zecca c.p., Maurizio Buioni c.p., Max Anselmi, Giuseppe Comparelli, Mario Collu c.p., Alessandro Ciciliani c.p., Carmelo Turrisi c.p., Roberto Cecconi c.p., Lorenzo Mazzocante c.p. Redazione: La Sapienza della Croce Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13 00184 Roma Tel. 06.77.27.11 Fax 06.700.81.92 e-mail: [email protected] http./www.passionisti.it Abbonamento annuale Italia 20,00, Estero $ 30 Fuori Europa (via aerea) $ 38 Singolo numero 10,00 C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma Finito di stampare Marzo 2011 Stampa: Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te) Progetto grafico: Filomena Di Camillo Impaginazione: Florideo D’Ignazio ISSN 1120-7825 EDITORIALE Emigrazione e multiculturalità: Croce su cui morire o risorgere di FERNANDO T ACCONE C. P. SALUTI e PRESENTAZIONI Saluti del Rettore Magnifico, del P residente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti STUDI La fraternità universale, praticabile solo se fondata non su utopiche ideologie secolaristiche, ma sulla verità teologica del sacrificio della Croce, che è stato ‘per tutti’ di ANTONIO LIVI Migrazione, asilo, integrazione: un nuovo paradigma per il diritto internazionale di VINCENZO BUONOMO Emigrazione e multiculturalità: aspetti biblici di MARIO COLLU C. P. “La Chiesa: l’Israele universale”. Una lettura patristica della multiculturalità e multinazionalità a partire dalla morte di Gesù di GIANNI SGREVA C. P. ATTUALITÀ Rut, icona biblica di donna accogliente, integrata e integrante. Una stroria di immigrazione e di ritorno di ANGELA MARIA LUPO C. P. Italia porta d’Europa, tra legalità e ospitalità di LUCA VOLONTÉ Il fenomeno migratorio: esperienza di ‘crisi’ di GUGLIELMO BORGHETTI Identità, Croce e Ospitalità di SALVATORE CURRÒ LA SAPIENZA CROCE della Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a cura dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis della Pontificia Università Lateranense ANNO XXVI - N. 1 GENNAIO-APRILE 2011 Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) ar t. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009 3-9 11-14 15-23 25-60 61-84 85-122 123-145 147-152 153-164 165-181

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Direttore responsabileGianni Sgreva c.p.

Direttore amministrativoVincenzo Fabri c.p.

Cattedra Gloria CrucisComitato scientificoFernando Taccone c.p. - Antonio LiviLubomir Zak - Riccardo FerriDenis Biju-Duval - Angela Maria Lupo c.p.Gianni Sgreva c.p. - Adolfo Lippi c.p.

Segretari di redazioneLeopoldo Boris Lazzaro cmop,Carlo Baldini c.p. - Flavio Toniolo c.p.Lorenzo Baldella c.p. - Vittorio LucchiniLucia Ulivi - Franco Nicolò

CollaboratoriTito Amodei c.p., Vincenzo Battaglia ofm,G. Marco Salvati op, Tito Paolo Zecca c.p.,Maurizio Buioni c.p., Max Anselmi,Giuseppe Comparelli, Mario Collu c.p.,Alessandro Ciciliani c.p., Carmelo Turrisic.p., Roberto Cecconi c.p., LorenzoMazzocante c.p.

Redazione:La Sapienza della CrocePiazza SS. Giovanni e Paolo, 1300184 RomaTel. 06.77.27.11Fax 06.700.81.92e-mail: [email protected]./www.passionisti.it

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C.C.P. CIPI n. 50192004 - RomaFinito di stampare Marzo 2011

Stampa:Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te)

Progetto grafico: Filomena Di Camillo

Impaginazione: Florideo D’Ignazio

ISSN 1120-7825

EDITORIALEEmigrazione e multiculturalità:

Croce su cui morire o risorgeredi FERNANDO TACCONE C. P.

SALUTI e PRESENTAZIONISaluti del Rettore Magnifico, del Presidente del Pontificio

Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

STUDILa fraternità universale, praticabile solo se fondata

non su utopiche ideologie secolaristiche, ma sulla veritàteologica del sacrificio della Croce, che è stato ‘per tutti’

di ANTONIO LIVI

Migrazione, asilo, integrazione: un nuovo paradigma per il diritto internazionale

di VINCENZO BUONOMO

Emigrazione e multiculturalità: aspetti biblicidi MARIO COLLU C. P.

“La Chiesa: l’Israele universale”.Una lettura patristica della multiculturalità

e multinazionalità a partire dalla morte di Gesùdi GIANNI SGREVA C. P.

ATTUALITÀRut, icona biblica di donna accogliente,

integrata e integrante.Una stroria di immigrazione e di ritorno

di ANGELA MARIA LUPO C. P.Italia porta d’Europa, tra legalità e ospitalità

di LUCA VOLONTÉ

Il fenomeno migratorio: esperienza di ‘crisi’di GUGLIELMO BORGHETTI

Identità, Croce e Ospitalitàdi SALVATORE CURRÒ

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Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a curadei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis dellaPontificia Università Lateranense

ANNO XXVI - N. 1GENNAIO-APRILE 2011

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in AbbonamentoPostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) ar t. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009

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di FERNANDO TACCONE C.P.Direttore della Cattedra Gloria Crucis

La Cattedra“ G l o r i ac r u c i s ” ,

inaugurata il 13giugno del 2003

alla Pontificia Università Lateranense,propone in questo seminario di ricerca unaserie di contributi per fare il punto su unaproblematica di estrema importanza:“Emigrazione e multiculturalità: Croce sucui morire o risorgere”.

Le nostre società tendono a diventaresocietà di immigrazione e di emigrazione.

Ci chiediamo: come configurare il rapporto tra multiculturalità eidentità?

È essenziale considerare un modello d’integrazione che facciapropria la prospettiva interculturale, una prospettiva che non prendain considerazione soltanto le dif ferenze che separano gli immigratidagli autoctoni, ma consideri che quanti sono portatori di un’identi-tà culturale diversa costituiscono una ricchezza e devono poter met-tere a confronto le loro rispettive posizioni in modo pacifico1. Il dia-logo tra le culture è un’esigenza intrinseca alla natura stessa dell’es-sere umano poiché consente una benevola attenzione all’altro.

Vorrei aprire questo seminario con le parole che il beato PapaGiovanni Paolo II ha rivolto nel 2004 in occasione della 90 a

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1. Il crescenteesodo umano

1 Cf. M. WALZER, Sulla tolleranza, Bari 2000, 3-11.

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Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato: «Quando le “diver-sità” si incontrano integrandosi, danno vita ad una “convivialitàdelle differenze”. Si riscoprono i valori comuni che affondano leloro radici nell’identico humus umano. Ciò aiuta il dispiegarsi di undialogo proficuo per costruire un cammino di tolleranza reciproca,realistica e rispettosa della peculiarità di ciascuno. A queste condi-zioni, il fenomeno delle migrazioni contribuisce a coltivar e il“sogno” di un avvenire di pace per l’intera umanità… Con la suavita e soprattutto con la sua morte, Gesù ci ha mostrato qual è ilcammino da percorrere. Con la sua r esurrezione ci ha assicuratoche il bene trionfa sempre sul male e che ogni nostr o sforzo e ogninostra pena, offerta al Padre celeste in comunione con la sua pas-sione, contribuisce alla realizzazione del disegno universale di sal-vezza»2.

Il fenomeno migratorio è sempre stato un fenomeno che ha carat-terizzato l’evoluzione e la storia dell’umanità in forme diversesecondo le epoche storiche. Nel nostro tempo il fenomeno assumecaratteristiche specifiche. Infatti, non si tratta soltanto di accogliere,ma si presentano richieste di altro genere, per esempio il ricongiun-gimento familiare e/o di altre persone, l’inserimento dei figli nellascuola, questioni che innescano problematiche culturali ed educati-ve tutt’altro che semplici.

La migrazionesembra rappre-sentare una

grande sfida non soloper il nostro paese, ma

soprattutto per l’Europa. Purtroppo, l’opinione pubblica corre spes-so il rischio di avere una distorta visione del fenomeno. Si tende aparlare di immigrati solamente quando accadono gravi fatti cheattentano all’ordine pubblico; si parla di immigrati collegandoli allacriminalità organizzata, si parla insomma di immigrati come un“problema”.

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2. Integrazione:problema o sfida?

2 Messaggio di Giovanni Paolo II per la 90a Giornata Mondiale del migran-te e del rifugiato (21 novembre 2004), n. 5.7.

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Emigrazionee multiculturalità:croce su cui morireo risorgere3-9

editorialeIl fenomeno migratorio verso l’Italia, considerate le condizionisocio-economiche e di vita nei paesi di più frequente provenienzadegli immigrati extracomunitari, potrebbe prolungarsi per un signi-ficativo numero d’anni. Il confronto con culture diverse sarà perl’immediato futuro inevitabile. La complessità del fenomeno inter-pella in modo diretto tutta la comunità civile e specialmente lacomunità cristiana. È quindi necessario formare le comunità adaccogliere situazioni di diversità religiosa, confessionale, etnica...

È assurdo pensare che la “convivenza nuova” possa essere gene-rata da una semplice “ mescolanza” delle identità. Una società mul-tietnica e armonica nasce dalla proposta esplicita e dalla condivisio-ne di valori fondamentali come: la centralità della persona, la sacra-lità della vita, la sua tutela e la sua promozione, la libertà politica,economica e religiosa, la pari dignità tra uomo e donna, il rifiutoesplicito della violenza come strumento di lotta politica e civile.Serviranno generazioni perché un’autentica integrazione possa rea-lizzarsi, ed è certamente necessaria un’esplicita disponibilità daparte dei migranti ad accettare le regole che fondano la convivenza,ma se la società ospitante non possiede la necessaria consapevolez-za di ciò che la costituisce non sarà capace né di accogliere né diintegrare; anzi, prevarrà la paura del “nuovo” nel quale si identificauna minaccia alla propria sicurezza o addirittura alla propria soprav-vivenza. Per questo le comunità straniere costituiscono una sfidavertiginosa per la società italiana, costretta a interrogarsi sulla con-sistenza di ciò che la costituisce, a ritrovare le idealità e le ragioniprofonde che la definiscono come nazione e come comunità umana.In un’epoca di relativismo culturale e giuridico, è più che mai neces-sario un “io” forte e cosciente di sé, ma esso non può esistere e cre-scere senza rapportarsi con un “tu”, ed è questa la condizione indi-spensabile per arrivare a concepirsi tutti, nativi e migranti, come un“noi”.

Per la Chiesa e per il Paese si tratta senza dubbio di una delle piùgrandi sfide educative3. “I vari popoli – già leggiamo nella dichiara-zione conciliare Nostra Aetate - costituiscono una sola comunità;essi hanno una sola origine”4. Benedetto XVI indica che: “l’avveni-

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3 CEI, Educare alla vita buona del V angelo. Orientamenti pastoralidell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, n. 14.

4 CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Nostra Aetate, 1.

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re delle nostre società poggia sull’incontro tra i popoli, sul dialogotra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze”5.

Secondo i dati chetroviamo nellaSacra Scrittura, il

motivo del rispetto edell’accoglienza delforestiero, risiede nel-

l’esperienza di migrante vissuta e sof ferta dal popolo ebraico. Iltesto di Deuteronomio 10,19 è uno dei più interessanti su questotema: “Amate il for estiero, perché anche voi foste for estieri nelpaese d’Egitto”.

Anche nel testo del Levitico 19,33-34 è espressa la medesimaconvinzione: “Quando un forestiero dimora presso di voi nel vostropaese, non gli fa rete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo trat-terete come colui che è nato tra di voi. Tu lo amerai come te stesso,perché anche voi siete stati stranieri nel paese d’Egitto ”.

Il ricordo di essere stati migranti e forestieri in Egitto, costituivaper gli Israeliti un invito all’ospitalità verso gli stranieri, ad averecomprensione e solidarietà verso coloro che partecipavano allamedesima sorte. Inoltre, l’amore per il forestiero era visto quale imi-tazione di Dio stesso, dal momento che Dio ama i deboli, l’orfano,la vedova e lo straniero.

Nel Nuovo Testamento c’è un superamento di tale prospettiva inquanto l’accoglienza dello straniero non è una semplice operabuona, ma l’occasione per vivere un rapporto personale con Gesù.Ricordiamo la scena del giudizio finale in Mt 25, là dove Gesù pro-clama che chi accoglie il forestiero, accoglie lui stesso: “ Ero fore-stiero e mi avete ospitato … ogni volta che avete fatto queste cose auno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me ”.

L’accoglienza dello straniero è una delle attitudini dell’amore,amore che è la legge fondamentale del cristianesimo. “ Ama il pros-simo tuo come te stesso ”, risponde Gesù a chi gli chiede qual è ilprimo dei comandamenti (Mc 12,31) e in Mt 7,12 Gesù riassume la

3. Principi teologicidell’accoglienza dei migranti

nei testi della Bibbia

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5 BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consigliodella pastorale per i migranti e gli itineranti , 28 maggio 2010.

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Emigrazionee multiculturalità:croce su cui morireo risorgere3-9

editorialeLegge e i Profeti nella cosiddetta regola d’oro: “Tutto quanto voleteche gli uomini facciano a voi, voi fatelo a lor o”.

La carità, che è il carisma più grande (cf. 1Cor 12,31), siesercita verso tutti, come sottolinea la parabola del buon samarita-no. Costui, considerato “ straniero” dal popolo ebraico, si “ faprossimo” all’ebreo ferito (cf. Lc 10,36) superando le barriererazziali e religiose.

C’è un’altra dimensione più profonda. La luce della rivelazioneci educa attraverso quanti “morirono senza aver ottenuto i beni pro-messi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando diessere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra diessere alla ricerca di una patria. Se avesser o pensato a quella dacui erano usciti, avr ebbero avuto la possibilità di ritornarvi; orainvece essi aspirano a una patria miglior e, cioè a quella celeste.Per questo Dio non si ver gogna di essere chiamato loro Dio. Hapreparato infatti per loro una città6. E in altro passo si dice: “Nonabbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cer ca di quellafutura”7.

La Bibbia, pertanto, ci pone dinanzi un messaggio fondamentale:ci ricorda che siamo tutti pellegrini in questa terra, in camminoverso la casa del Padre. La storia dell’esodo umano inizia dall’usci-ta del paradiso terrestre e si concluderà con l’approdo sulla rivadell’eternità. Qual è il contributo specifico che la fede cristianapuò dare a una società che vede al suo interno una molteplicità diciviltà e di culture? Il processo della globalizzazione e l’enormemassa migratoria stanno cambiando rapidamente assetti ritenuticonsolidati.

La fede cristiana deve giocare la carta del suo annuncio fonda-mentale di Cristo morto e risorto.

La morte in croce di Gesù ha abbattuto ogni frontiera e ci ha resimembri di un’umanità che trova la sua unità solo in Lui morto erisorto. Ed è proprio lo Spirito del Risorto che suscita in ognicredente il carisma dell’accoglienza dello ”straniero” che bussa allanostra porta.

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6 Eb 11, 13-16.7 Eb 13, 14.

L’Istruzione Ergamigrantes cari-tas Christi è

attenta a porre su speci-fici livelli proposte ade-

guate d’itinerari aderenti al vissuto dei migranti. Essa distingue,«riguardo all’accoglienza, i concetti di assistenza in genere (o primaaccoglienza, limitata nel tempo), di accoglienza vera e pr opria (cheriguarda progetti a più largo termine) e di integrazione (obiettivo dellungo periodo, da perseguire costantemente e nel giusto senso dellaparola)»8. Si tratta, in questo caso, di un’impostazione sensibile a unaquestione di notevole rilievo: il dif ficile concetto di integrazione,nelle società di accoglienza dei migranti, è sottoposto a seria revisio-ne, rifiutando il processo di assimilazione, per mettere in evidenzal’incontro e l’interscambio culturale legittimo. In pratica, si insistesulla creazione di società interculturali, capaci cioè di interagire conscambievole arricchimento, oltre il multiculturalismo, che si puòaccontentare di una mera giustapposizione delle culture 9.

Benedetto XVI nel video-messaggio ai giovani davanti allaCattedrale di Notre Dame de Paris durante il primo Cortile deiGentili ha detto: “Il primo degli atteggiamenti da assumere o delleazioni che potete compiere insieme è rispettare, aiutare ed amareogni essere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certomodo la strada che conduce a lui. Portando avanti ciò che vivetequesta sera, contribuite ad abbattere le barriere della paura dell’al-tro, dello straniero, di colui che non vi assomiglia, paura che spessonasce dall’ignoranza reciproca, dallo scetticismo o dall’indifferenza.Siate attenti a rafforzare i legami con tutti i giovani senza distinzio-ni, vale a dire non dimenticando coloro che vivono in povertà o insolitudine, coloro che soffrono per la disoccupazione, che attraver-sano la malattia o che si sentono ai mar gini della società”10.

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4. L’unica famiglia umana

8 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITI-NERANTI, Istruzione Erga migrantes caritas Christi , n. 3, vd. Sito www .vati-can.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants.

9 Cf., PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLIITINERANTI (ed.), Migranti e pastorale d’accoglienza. Quaderni Universitari II,Città del Vaticano 2006.

10 BENEDETTO XVI, Video messaggio ai giovani, Notre Dame de Pairs, 25marzo 2011.

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Negli interventi previsti verrà approfondita la questione da unpunto di vista culturale, ecclesiale, biblico, patristico, politico, giu-ridico, pedagogico. Lo sfondo di ogni relazione è la croce di Cristo,unica chiave di comprensione di tale problematica. Attorno allacroce di Gesù c’è oggi ancora posto per i capi e i soldati, per i curio-si e gli indifferenti, per i provocatori e i soddisfatti, per il silenzio diMaria carico di fede e di dignità, per la sorpresa e la missione del-l’apostolo Giovanni, per le pie donne in pianto e per la professionedi fede del centurione… È uno spaccato delle varie modalità con cuianche oggi si può stare davanti al Cristo in croce. Ovunque c’è unapersona, una famiglia, una comunità e una società, lì c’è bisognodella croce salvifica di Cristo. Ringraziamo i relatori, ci aiuterannonella lettura di un fenomeno che richiede da parte nostra una costan-te riflessione seria e attenta.

SALUTO DI MONS. ENRICO DAL COVOLOVescovo titolare di EracleaRETTORE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀLATERANENSE

ignori Ambasciatori,Autorità accademiche, religiose e civili,studenti e amici tutti,

ben volentieri vi saluto, introducendo questo origi-nale simposio organizzato dalla benemerita CattedraGloria Crucis e in particolare dal suo Direttore, ilReverendo Padre prof. Fernando Taccone, che ringra-

zio vivamente per la sua dedizione e per il “taglio” sempre nuovo estimolante delle iniziative scientifiche da lui coordinate.

Saluto anche – in modo speciale – il Pro Rettore, il ReverendoMons. prof. Patrik Valdrini.

A lui ho affidato la delega per le Aree di Ricerca e per le Cattedreautonome della nostra Università. Sarà dunque lui l’interlocutoreprivilegiato delle iniziative scientifiche e pastorali proposte dallanostra Cattedra Gloria Crucis.

Il titolo del Simposio è quanto mai attuale: “Emigrazione e mul-ticulturalità. Croce su cui morire e risorgere”.

Con l’occasione – scusate la mia “deformazione bibliografica” –vorrei segnalare a tutti la recente comparsa in libreria del Dizionariosocio-pastorale Migrazioni, edito da San Paolo, a cura di GrazianoBattistella, nel 2010. Vi ho collaborato per la voce “Migrazioni inetà patristica”. A partire da essa cercherò adesso – in modo estrema-mente sintetico, e addirittura approssimativo – di trascorrere dall’ie-ri all’oggi, lasciandomi orientare sempre dalla teologia della Croce.

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salutiepresentazioni

Saluto del Rettoredella PontificiaUniversità Lateranense11-12

presentazioni

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“Mio padre era un arameo errante...” (Dt 26,5). E’ questa la nota formula di fede che il pio israelita, nostro fratel-

lo maggiore, pronuncia, unitamente all’offerta delle primizie. Essa è un atto di memoria perentorio, che dovrebbe interpellare

chiunque voglia riflettere sui temi scottanti dell’emigrazione e dellamulticulturalità.

La memoria della situazione nomadica – ben nota alla Bibbia e aiPadri – può avere una duplice valenza: in primo luogo quella di nonattribuire ai propri meriti, e dunque di non considerare un privilegiopersonale, i benefici che si sperimentano con la sedentarizzazione;in secondo luogo l’invito a non coprire di disprezzo colui che viveancora la situazione dell’erranza, ossia il nomade. Giacchè Abramoè considerato unanimemente da ebrei, islamici e cristiani, il padredella fede: egli, che abitava la terra di Canaan “come straniero”(Gen 17,8).

L’esperienza di itineranti è, oltretutto, connaturata con il nostrocredere in Gesù Cristo, che scelse il nomadismo come condizionedell’annuncio del Regno; infatti, il Figlio dell’uomo, a dif ferenzadelle volpi e degli uccelli, “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20 ║Lc 9,58). Ma alla fine, il posto su cui poggiare il capo lo trova: ed èil patibolo della croce.

In questi giorni drammatici per il continuo arrivo dei pericolantibarconi di immigrati a Lampedusa, si fa davvero pressante l’invitoa riconoscere in questi “poveri cristi” l’immagine del Dio “povero”,nato in una grotta di fortuna da genitori “erranti”.

Mi piace ricordare quanto dice il Catechismo della Chiesa catto-lica al paragrafo 2241 circa il dovere delle nazioni ricche ad acco-gliere lo straniero «alla ricerca della sicurezza e delle risorse neces-sarie alla vita».

Di fronte al povero e al sofferente non è lecito a nessuno girare latesta altrove, o lasciarlo morire, in nome di principi astratti o di con-venienze egoistiche.

È dunque importante, ad esempio, garantire adeguate strutture diprima accoglienza, magari favorendo – in base al principio della sus-sidiarietà – quelle or ganizzazioni della società civile impegnate suquesto fronte, che dimostrano competenza ed efficienza in materia.

Non c’è dubbio che questo sia l’ambito proprio di azione delleorganizzazioni ecclesiali e di volontariato.

Mi sembra che – operativamente – si debba partire da qui, perparlare di Croce e di Risurrezione in riferimento ai migranti: ancheda noi, in Italia, in questo tempo opaco di maggiore o minore pro-sperità materiale, che comunque rischia di trasformarci tutti in ric-chi epuloni, che neppure s’accorgono del povero Lazzaro, languen-te sulla soglia di casa.

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MESSAGGIO diS.E. Mons. Antonio Maria VeglioPRESIDENTE PONTIFICIO CONSIGLIODELLA PASTORALE PER I MIGRANTIE GLI ITINERANTI

Con vero piacere porgo un caloroso saluto ai parte-cipanti del Seminario sul tema “Emigrazionee multiculturalità: Croce su cui morire orisorgere”, organizzato dalla Cattedra “GloriaCrucis” della Pontificia Università Lateranense.

Le immagini che ci giungevano daLampedusa sono ancora molto vive nei nostri

cuori. Una situazione di emer genza, certo, anche se non unica nelmondo, ma fa intuire quanto dolore si può sperimentare in questecircostanze. Persone costrette a lasciare la propria patria per motivisconvolgenti finiscono per trovarsi in situazioni altrettanto insop-portabili. Non è dunque difficile costatare che nell’emigrazione l’in-contro con la croce è inevitabile.

Persino l’emigrazione intrapresa con piena libertà porta con sédisagio e sofferenza. Si lascia un ambiente conosciuto per entrare inuna nuova realtà, dove si parla una lingua diversa, dove tutto si fa inmodo differente, dove le abitudini, le tradizioni, la mentalità sonosconosciute, dove persino il cibo si cucina diversamente. Quale deveessere, perciò, la tragedia che vivono coloro che fuggono dalla terranatia a causa delle guerre, violenza, persecuzioni, fame, calamitànaturali ecc.! In effetti, non si lascerebbe la propria patria se in essasi potesse vivere con dignità, benessere e sicurezza, singolarmente econ la propria famiglia.

C’è però un altro aspetto dell’emigrazione. L ’immigrazioneavvicina le molteplici componenti della famiglia umana. Personedi varia provenienza e popolazione locale costruiscono un corposociale sempre più vasto e vario, dove le varie culture si incontrano.

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ENRICO DAL COVOLOSapCr XXVI

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Le culture, però, non esistono in astratto, bensì incarnate nelle per-sone, “che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssisubiti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondole loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura” {Messaggiopontificio per la Giornata Mondiale per la Pace 2001, n. 5). La mul-ticulturalità dunque è un incontro di persone, le quali possono chiu-dersi di fronte a chi è di una cultura diversa, oppure essere assimila-te dall’altro, trascurando o addirittura sopprimendo la propria iden-tità culturale. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha proposto un’altravia, quella della genuina integrazione, rifiutando di considerare solole differenze ed aprendosi per accogliere gli aspetti validi dell’altro.Di qui la necessità del dialogo fra uomini di culture diverse “in uncontesto di pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giun-ga alla simpatia... Si dovrebbe ... promuovere una fecondazionereciproca delle culture” che presuppone “la conoscenza e l’aperturadelle culture tra loro, in un contesto di autentica comprensione ebenevolenza” (Messaggio pontificio per la Giornata Mondiale delMigrante e del Rifugiato 2005, n. 3). Eppure anche tale processonon è privo di ostacoli, dif ficoltà e dolore. Anche qui si incontra lacroce, che però porta la speranza della risurrezione.

Per i cristiani le croci sono condivisione delle sof ferenze diCristo, culminate nella morte sulla Croce, la quale “rivela la poten-za di Dio, che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suoamore” (Discorso pontificio all’Udienza Generale, 29 ottobre2008), che è totale gratuità. Dio, però, ha risuscitato dai morti Coluiche è stato crocifisso (cfr . Rm 10,9), sconfìggendo così il poteredella morte su di lui. La vita del cristiano, af ferma Benedetto XVI,non è priva di dolore, ma è solo “sperimentando la sof ferenza [che]conosciamo la vita nella sua profondità, nella sua bellezza, nellagrande speranza suscitata da Cristo crocifisso e risorto” (Discorsoall’Udienza Generale, 5 novembre 2008). Se confessiamo e testi-moniamo la nostra fede con la parola e con la vita, rendiamo presen-te la verità della croce e della risurrezione nella nostra storia.

Non mi resta dunque che augurare che, attraverso la fede vissuta,contribuiamo alla realizzazione di quella nuova umanità, di cui lemigrazioni esprimono il travaglio del parto. È l’umanità che è frut-to dell’incontro di popoli e culture in una fraternità pentecostale,dove le differenze sono armonizzate e nella quale si compie la “ori-ginaria vocazione all’unità dell’intera famiglia umana” (Messaggioper la Giornata Mondiale della Pace 2001, n. 10; cfr. Erga migran-tes caritas Christi, nn. 12 e 18).

di ANTONIO LIVI1

1. Se il discorso sull’emigrazione e la multiculturalitàvien messo in relazionecon la teologia dellaCroce, allora occorredistinguere accurata-mente l’ambito dellamorale naturale – che è

l’ambito proprio del discorso politico,riguardante i doveri delle autoritàcivili e il diritto internazionale ( iusgentium) - dall’ambito della moralesoprannaturale, ossia dalle esigenzedella carità che la Chiesa addita aicattolici come parte essenziale e spe-cifica della sua dottrina sociale.

2. Nel ricordare questa necessariadistinzione, io non intendo assoluta-mente dire che si debba mantenerenella pratica pastorale quella separa-zione tra i dettami della morale natu-rale (che ogni uomo “di buona volon-tà” ricava dalle certezze immediatedella propria coscienza) e le esigenzedella carità (che la Chiesa ricava dalla“parola della Croce”, ossia dalla rive-lazione divina della nuova economia

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LA FRATERNITÀUNIVERSALE,PRATICABILE SOLOSE FONDATANON SU UTOPICHEIDEOLOGIESECOLARISTICHE,MA SULLA VERITÀTEOLOGICA DELSACRIFICIO DELLACROCE, CHE È STATOPER TUTTI

1 Professore emerito di Logica aletica nell’Università Lateranense, presiden-te dell’Unione apostolica “Fides et ratio”.

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della salvezza). Ho ben presente. infatti, che la dottrina morale cri-stiana presuppone l’ordine morale naturale: essa lo trascende manon lo abolisce, bensì lo porta alla sua perfezione. Ma so anche chela confusione tra i due ambiti porta il discorso teologico, con l’azio-ne pastorale che ne consegue, alla totale inefficacia. Un discorso chepretenda di rivolgersi indistintamente a tutti ― credenti di qualsiasireligione e anche non credenti ― è inesorabilmente condannatoall’insignificanza se resta sul generico e mira solo a muovere i sen-timenti; se invece si pretende di spacciare per esigenze teologichedirettamente ricavate dalla rivelazione divina quelle che sono mereideologie umane (che sono di per sé contingenti e settarie), alloracade in una qualche forma di fondamentalismo religioso, certamen-te contrario allo spirito cristiano.

3. Una corretta ermeneutica teologica, infatti, riconosce il limitedelle indicazioni operative concrete che possono venire dalla rivela-zione biblica. Ad esempio, nell’Antico Testamento l’accoglienza delforestiero è prescritta da Jahvè al popolo di Israele come un doveredi giustizia, nel ricordo del tempo nel quale Israele era forestiero inEgitto, in una situazione di sof ferenza dalla quale Jahvè stesso loaveva liberato. Ma tale accoglienza dei gruppi sociali estranei alpopolo di Israele non implicava affatto un malinteso “ecumenismo”,ossia all’indifferentismo religioso, perché Jahvè comandava sempreagli ebrei di non farsi contaminare dal falso culto idolatrico e dallepratiche religiose immorali degli altri popoli. Il che significa chel’insegnamento da trarre dall’Antico Testamento riguardo al tratta-mento degli immigrati deve essere attentamente circoscrittoall’ambito propriamente civile e sulla base del diritto naturale: nonpuò essere, ad esempio, trasferito all’ambito ecclesiale e al rapportotra i cattolici e le pratiche religiose degli islamici.

4. Nel Nuovo Testamento la sofferenza di tutti gli uomini, teolo-gicamente interpretata come conseguenza del peccato, viene colle-gata con la sofferenza del Redentore, che è l’Innocente che libera-mente, per Amore, si of fre come vittima per rimediare al peccatodegli uomini. Questa categoria teologica della Croce redentricefonda il dovere che i cristiani hanno ― quale che sia la loro condi-zione e il loro ruolo nella Chiesa e nella società civile ― di consi-derare sempre tutti gli altri uomini come fratelli. I cristiani, infatti,sanno (o meglio, debbono sapere) che tutti gli altri uomini, alla pari

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studidi essi stessi, sono oggetto della misericordia infinita di Dio, che hainviato il Figlio perché tutti fossero redenti dallo stesso Sangue; conil sacrificio della Croce, Cristo si è fatto fratello di tutti e ha presosu di sé, redimendola, la sof ferenza di tutti. È con questa consape-volezza, propria di una fede sicura, che i cristiani di una nazioneprospera e pacifica guardano ai problemi degli emigranti per motivieconomici e dei rifugiati costretti ad abbandonare la loro terra pervia delle guerre. Si tratta di un atteggiamento che non dipende, diper sé, da ideologie politiche moderne, perché è risultato ovvio enaturale anche in epoche passate: forte di questa consapevolezzateologica, la tradizione cristiana ha infatti considerato sempre l’ac-coglienza degli immigrati come una delle “opere di carità corpora-le” e pertanto come un’indispensabile testimonianza di autenticareligiosità da dare al mondo, come già la Lettera di Giacomo pre-scrive ai fedeli della comunità di Gerusalemme (cfr Gc 1, 27: « Unareligione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa:soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro af flizioni e conservarsipuri da questo mondo»).

5. Nel Vangelo secondo Giovanni si leggono queste parole diCristo: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il papa san Leone Magno, commentando questo passo evange-lico, forse il più esplicito riguardo la valore salvifico universaledella Croce, scriveva:

«O mirabile potenza della croce! O inef fabile gloria della Passione, cheracchiude in sé il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e la potenzadel crocifisso. Hai attirato davvero ogni cosa a te, Signore, e mentre sten-devi tutto il giorno le mani verso il popolo che non credeva e ti scherniva[Is 65,2], donavi a tutto il mondo di intendere e proclamare la tua maestà.Hai attirato ogni cosa a te, Signore, quando... tutti gli elementi del creatopronunciarono un’unica sentenza... e ogni creatura negò agli empi il suoservizio [Mt 27,5s]... Hai attirato ogni cosa a te, Signore, af finché, quelloche si compiva nell’unico tempio di Gerusalemme sotto il velo dei segni,fosse celebrato dovunque nella pienezza e l’evidenza del sacramento, dalladevozione di tutte le genti... Poiché la tua croce è la fonte di ogni benedi-zione, la causa di ogni grazia: per suo mezzo, vien data ai fedeli la forzanella sofferenza, la gloria nell’umiliazione, la vita nella morte. Ora poi,essendo venuta meno la verità dei sacrifici materiali, l’unica oblazione deltuo corpo e del tuo sangue sostituisce con pienezza l’of ferta molteplicedelle vittime: poiché sei tu il vero “Agnello di Dio che toglie i peccati delmondo” [Gv 1, 29]. E così, in te porti a compimento tutti i misteri e le cele-brazioni rituali, af finché, come uno solo è il sacrificio per ogni vittima,

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così pure uno sia il regno formato da tutti i popoli» (Leone Magno,Discorso 8 sulla Passione del Signore, 7: Sources Chrétiennes, vol. 74 bis,p. 115).

6. Logicamente, come tutte le altre “opere di carità corporale”,anche questa è perfettamente compatibile con le cosiddette “opere dicarità spirituale”, che nell’etica cristiana hanno un primato assiolo-gico incontestabile. In altri termini, l’accoglienza dei migranti eogni altra manifestazione di solidarietà con chi soffre per un forzatoallontanamento dalla propria terra, non esclude né impedisce la pra-tica dei doveri cristiani primari, che sono l’evangelizzazione e l’im-pegno apostolico per comunicare a tutti il bene sommo dellaRedenzione operata da Cristo con la sua Croce e la suaResurrezione. Vale la pena richiamare alla memoria la benemeritaattività assistenziale di or ganizzazioni cattoliche tedesche, come la“Misereor”, che prendevano nome dalle parole di Gesù, il quale,vedendo la sof ferenze della gente che lo attorniava, dice appunto(nel resto latino della Vulgata): «Misereor super turbam» (Mt 15,32). Ma il brano evangelico, letto nella sua interezza, fa comprende-re che la carità che Gesù esprime nella sua condotta ― la quale è ilmodello perfetto della condotta che noi cristiani siamo chiamati atenere nella nostra vita ― mira sempre soprattutto alla salvezza eter-na di tutti gli uomini: la miseria umana della quale Gesù sente com-passione è soprattutto la miseria dell’ignoranza del vero fine dellavita, la miseria del peccato che rende schiavi del male e priva gliuomini della speranza di conseguire il fine per il quale sono staticreati. Leggiamo infatti come Cristo, dicendosi af flitto per le af fli-zioni della gente, volesse prima dedicarsi alla predicazione delRegno di Dio e solo dopo, ma con il medesimo spirito di caritàautentica (la carità del Verbo incarnato, nostro Redentore), alla solu-zione del problema del sostentamento materiale:

«Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle lorosinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infer-mità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfini-te, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe èmolta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messeche mandi operai nella sua messe!”. […] Allontanatosi di là, Gesù giunsepresso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. Attorno a lui siradunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altrimalati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena distupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che

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studicamminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: “Sento compassione di questafolla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Nonvoglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada”. E i disce-poli gli dissero: “Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfa-mare una folla così grande?”. Ma Gesù domandò: “Quanti pani avete?”.Risposero: “Sette, e pochi pesciolini”. Dopo aver ordinato alla folla disedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, lidava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiaronoe furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. Quelliche avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne ei bambini. Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione diMagadàn» (Mt 9, 35-36; 15, 29-39).

7. Insomma, l’intervento a favore degli uomini per un rimediomomentaneo delle loro sofferenze corporali o delle sofferenze deri-vanti dalla mancanza di alcuni beni temporali è collocato da Gesù aldi sotto e come testimonianza del suo intervento a favore dell’unicacosa necessaria per il bene assoluto dell’uomo, ossia la conoscenzadella verità. Per questo il Figlio di Dio si è fatto uomo, per realizza-re la missione di salvezza af fidatagli dal Padre: infatti, «Dio vuoleche tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza dellaverità» (1 Tt 2, 4). E la Chiesa è stato voluta da Cristo proprio perattuare nel tempo, a favore di tutti gli uomini, la missione del Verboincarnato. Dagli Atti degli Apostoli, con il racconto dell’istituzionedei diaconi, apprendiamo come la Chiesa primitiva avesse compre-so la gerarchia dei valori e la distinzione tra il suo fine proprio ―l’annuncio della buona novella della salvezza in Cristo ― e le esi-genze della testimonianza dell’amore fraterno nei confronti dellenecessità materiali presenti all’interno della comunità dei battezzatie poi anche al di fuori.

«In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un mal-contento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le lorovedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono ilgruppo dei discepoli e dissero: “Non è giusto che noi trascuriamo la paro-la di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voisette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai qualiaffideremo quest’incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e alministero della parola”. Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed eles-sero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro,Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li pre-sentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le

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mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandementeil numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdo-ti aderiva alla fede» (At 6, 1-7).

Ci sono insomma doveri di carità cristiana che competono diret-tamente alla Chiesa come corpo mistico di Cristo, e sono doveridiversi da quelli che competono alle autorità civili, cui spetta laricerca del bene comune temporale, come sono diversi, necessaria-mente, i doveri dei singoli cristiani quando si trovano a vivere in cir-costanze nelle quali la loro fede consente loro di praticare la solida-rietà vero i sofferenti e i bisognosi molto al di là di quello che la giu-stizia meramente umana richiederebbe ai cittadini di una nazionedove giungono migliaia di migranti.

8. Ciò fa comprendere quanto sia importante quella distinzionedianzi richiamata, ossia la distinzione tra l’ambito della morale natu-rale ― al quale si deve riferire immediatamente ogni discorso poli-tico, e pertanto il discorso sui doveri delle autorità civili ― dall’am-bito della morale soprannaturale, ossia dalle esigenze della carità cuisono tenute le persone in quanto cristiane e le istituzioni in quantoecclesiali. Infatti, la mancanza di distinzione tra questi ambiti porte-rebbe a identificare indebitamente ― in contrasto con la logica del-l’ordine morale ― la politica dell’accoglienza e della libertà religio-sa che gli Stati debbono attuare nell’ambito civile con le iniziativedi carità e con il comportamento fraterno che debbono praticare icattolici, sia come semplici cittadini che come rappresentanti delleistituzioni ecclesiali, senza mai perdere di vista la gerarchia deivalori, ossia il primato dei valori soprannaturali («Che serve all’uo-mo riuscire ad avere anche tutti i beni della terra, se poi perde la suaanima?»: Mt 16, 26) e il fine proprio della Chiesa, che mai puòrinunciare a dare testimonianza della sola verità che salva.

9. La logica aletica è di grande utilità per distinguere i diversipiani e il diverso fondamento (umano o teologico) dell’etica dellafratellanza e della solidarietà. La logica aletica, infatti, si basa sulprincipio che ogni affermazione o tesi (che in sostanza è un giudizioo insieme di giudizi coordinati) può presentare una pretesa di veritàsolo se esibisce chiaramente la sua giustificazione epistemica. Ora,quando si trattano temi che riguardano la vita sociale e politica, unatesi di carattere teologico ― ossia, che pretenda di dire quello che

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studiDio ha detto con la rivelazione culminata nella vita e nella parola diGesù ― non può esibire altra giustificazione epistemica che non siala verità rivelata, così come la Chiesa propone a credere. Se sif fattagiustificazione epistemica non può essere esibita (e questo è il casodi tutte le teorie di tipo fondamentalistico, sia che esprimano l’ideo-logia pseudo-teologica del tradizionalismo che quella del progressi-smo), allora la tesi deve essere onestamente riconosciuta comeun’opinione meramente umana: non può essere imposta ai credenticome se fosse la dottrina della fede, quella che tutti devono accetta-re per essere considerati cristiani; la sua giustificazione epistemicasarebbe allora un determinato tipo di ragionamento etico, che indefinitiva si ricollega ai principi del diritto naturale, ossia alle leggemorale naturale. In questo caso, anche i responsabili del bene comu-ne temporale di un Paese dove esiste il problema dell’immigrazionepotrebbero prendere in considerazione tale proposta, ma avrebberoil diritto e il dovere di discutere se essa risponda in modo necessa-rio e univoco ai principi del diritto naturale, o se invece tali principiammettono altre legittime applicazioni al caso concreto del quale sista parlando (ad esempio, i respingimenti dei clandestini). In defini-tiva, chi avanza una proposta deve avere l’onestà intellettuale diparlare chiaro, senza mescolare indebitamente le esigenze dell’eticanaturale ― valide per tutti ― con quelle della carità cristiana, vali-de solo per i veri credenti, in quanto solo questi presuppongono lagrazia della vita in Cristo. Il parlare chiaro è molto più impegnativoche ricorrere alla scorciatoia della retorica e alla tecnica politicadella demagogia. Il parlare chiaro consiste nel far comprendere checosa espressamente si chiede e a chi, e pertanto obbliga a esibire innome di che cosa e di chi si prescrive una determinata condotta.

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UNIVERSAL BROTHERHOOD, PRACTICABLEONLY WHEN FOUNDED ON THE THEOLOGICALTRUTH OF THE SACRIFICE OF THE CROSS - THATWAS (OFFERED) “FOR EVER YONE” - AND NOT ONUTOPIC SECULARIST IDEOLOGIESAntonio Livi

If we compare the discussion on emigration and multiculturalism tothat of theology of the Cr oss, it becomes necessary to distinguishaccurately between the area of natural ethics– which is the field prop-er to political issues, as r egards the duties of civil authorities andinternational law (ius gentium) – and the area of supernatural ethics,that is from the demands of charity which the Chur ch indicates toCatholics as an essential and specific part of her social doctrine.

LA FRATERNITÉ UNIVERSELLE, PRA TICABLEUNIQUEMENT SI ELLE EST FONDÉE, NON SURIDÉOLOGIES SÉCULARISTIQUES UTOPIQUES, MASUR LA VÉRITÉ THÉOLOGIQUE DU SACRIFICE DE LACROIX, QUI A ÉTÉ «POUR TOUS»Antonio Livi

Si le discours sur la migration et sur le multiculturalisme est mis enrelation avec la théologie de la cr oix, alors on doit distinguer soi-gneusement le domaine de la morale natur elle - qui est le domainepropre du discours politique, r egardant les devoirs des autoritésciviles et le dr oit international (ius gentium) – du domaine de lamorale surnaturelle, savoir des exigences de la charité que l’Égliseindique aux catholiques comme part essentiel et spécifique de sadoctrine sociale.

LA FRATERNIDAD UNIVERSAL PRACTICABLE SEHA BASADO, NO SOBRE UT OPÍAS IDEOLOGICASSECULARISTAS, SINO SOBRE LA VERDADTEOLÓGICA DEL SACRIFICIO DE LA CRUZ, QUE FUE‘PARA TODOS’Antonio Livi

Si el discurso sobre la emigración y la multiculturalidad viene pues-to en relación con la teología de la Cruz, entonces conviene distinguir

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con cuidado el ámbito de la moral natural – que es el ámbito pr opiodel discurso político, sobr e los deberes de la autoridad civile y elderecho internacional (ius gentium) - del ámbito de la moral sobr e-natural, o sea de las exigencias de la caridad que la Iglesia señala alos católicos como parte esencial y específica de su doctrina social.

DIE WELTUMFASSENDE BRÜDERLICHKEIT ISTNUR MÖGLICH, WENN SIE NICHT AUF UTOPI-SCHEN, WELTLICHEN IDEOLOGIEN, SONDERN

AUF DIE THEOLOGISCHE W AHRHEIT DESKREUZESOPFERS -DAS SICH FÜR ALLE MENSCHENEREIGNET HAT-GEGRÜNDET IST.Antonio Livi

Wenn die Betrachtung der Emigration und der Multikulturalität mitder Theologie des Kr euzes in Beziehung gesetzt wir d, dann mussman sorgfältig den natürlichen, moralischen Ber eich vom überna-türlichen, moralischen Ber eich unterscheiden. Der natürliche,moralische Bereich umfasst die politischen Fragen bezüglich derPflichten der weltlichen Macht und des internationalen Rechtes (iusgentium), während der übernatürliche, moralische Ber eich dieNotwendigkeit der Nächstenliebe, die die Kirche den Gläubigen alswesentlichen und spezifischen T eil seiner Soziallehr e aufzeigt, inden Mittelpunkt stellt.

POWSZECHNE BRATERSTWO, KTÓRE MOŻNAPRAKTYKOWAĆ TYLKO JEŚLI JEST OPARTE NIENA UTOPIJNYCH IDEOLOGIACH ŚWIECKICH,

ALE NA TEOLOGICZNEJ PRAWDZIE OFIARY KRZYŻA,KTÓRA ZOSTAŁA ZŁOŻONA ZA WSZYSTKICH.Antonio Livi

Jeśli kwestia emigracji i wielokultur owości zostanie powiązana zteologią Krzyża, to trzeba r ozróżnić dokładnie zakres moralnościnaturalnej, który jest własnym zakr esem spraw politycznych,dotyczącym obowiązków władzy świeckiej oraz zakr es prawamiędzynarodowego (ius gentium) – od moralności nadprzyrodzonejczyli od wymagań miłości, któr e Kościół wskazuje katolikom jakoistotną i charakterystyczną część swej doktryny społecznej.

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di VINCENZO BUONOMO1

Tra il 1538 e il 1539, nell’Uni-versità di Salamanca uno deifondatori del moderno diritto

internazionale, Francisco De Vitoria,nelle sue Relectiones De Indiis deli-neava il diritto di ogni persona dipotersi muovere quale straniero o pel-legrino sul territorio di altri Stati: «èprivo di umanità ricevere o trattaremale gli ospiti e i pellegrini senza particolare motivo; al contrario, èumano e lecito accoglierli adeguatamente, a meno che gli stranierirechino pregiudizio alla nazione di arrivo» 2. È l’immagine di unamobilità umana il cui solo limite è rappresentato dall’osservanzadella legge penale e dal rispetto di quei principi fondamentali propridi ogni ordinamento, per altro quasi tutti ripresi dal diritto dellegenti nella sua attenzione circa lo straniero e la sua tutela.

Si tratta di una concezione articolata e non solo con una valenzastorica, ma certamente moderna e facilmente applicabile alla situa-zione dell’oggi della mobilità umana, di fronte alla quale, anzi,diventa ampiamente condivisibile e non solo sul piano dottrinale.Basta considerare la condizione di persone che quotidianamente si

MIGRAZIONE, ASILO, INTEGRAZIONE: UN NUOVO PARADIGMAPER IL DIRITTOINTERNAZIONALE

1 Ordinario di Diritto Internazionale alla Pontificia Università Lateranense.2 F. DE VITORIA, Relectiones de Indiis, III. 2.

1. La storia e l’oggi:un legame ideale

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3 F. DE VITORIA, Relectiones de Indiis, III, 2, 8.

spostano dalle proprie terre di origine in ragione di motivi legati allacontingenza politica, all’intolleranza religiosa o razziale, alle cala-mità naturali, ai conflitti o più ampiamente per cercare condizioni dilavoro o, spesso, di vera e propria sopravvivenza. Ma quali sono ifondamenti che ispirano la concezione del De Vitoria e che, peraltro, ne garantiscono l’attualità? Ad emergere sono sostanzialmen-te due considerazioni.

Una prima riguarda il profilo dottrinale del diritto internazionale.Infatti, considerando il pensiero del maestro di Salamanca, a darefondamento allo ius communicationis c’è l’idea del totus orbis ecioè una realtà unitaria delle relazioni tra i popoli, quella che oggiesprime l’idea della famiglia umana universale. Nel XVI secolo sitrattava di una concezione nella quale si delinea la fisionomia di unaComunità internazionale alla ricerca di nuovi parametri su cui stabi-lire regole e norme per un mondo ormai cambiato (l’analogia con lanostra era può essere evidente), parametri tra i quali spunta propriolo ius communicationis. Un diritto che, nel caso specifico, diventala base di un nuovo paradigma per il diritto internazionale chiamatoa governare una mobilità umana crescente e a fronteggiare un’aper-tura che apparentemente riguardava solo i colonizzatori, ma – e DeVitoria riconosce questo – nei fatti tendeva a coinvolgere tutti ipopoli.

Un’altra è invece relativa ai fondamenti dell’ordinamento inter-nazionale. Infatti, ad ispirare la condotta di singoli e comunità DeVitoria colloca un sentimento di umanità che si traduce in ospitali-tà, reciprocità nell’accoglienza e riconoscimento in nome di unacomune appartenenza al genere umano considerata ef fetto dellaRedenzione3: ecco la Croce che mostra così la sua valenza di tipopolitico. E cioè la sua capacità di ispirare, allora come oggi, com-portamenti ed azioni, come pure regole e norme capaci di governa-re la condotta degli Stati, tra di essi ed al loro interno.

Affrontare la questione delle migrazioni nell’attuale quadro inter-nazionale significa anzitutto rivolgere lo sguardo alle dinamichedella popolazione (consistenza, tendenze demografiche), alle situa-zioni di conflitto, alle aspirazioni ad un tenore di vita dignitoso, allagaranzia per l’esercizio di diritti fondamentali. È un approccionecessario di fronte al dato che circa 200 milioni di persone, quasi il

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3 per cento della popolazione mondiale, lasciano il loro territorio diorigine. Si tratta, per altro, di un fenomeno in crescita che compor-ta immediatamente – e spesso drammaticamente – non solo l’attitu-dine ad atteggiamenti di comprensione, assistenza, solidarietà daesprimere attraverso gli strumenti della politica e l’attività delle isti-tuzioni, ma soprattutto la ricerca di nuovi parametri di ordine cultu-rale da tradurre in altrettanti principi di base e norme di condottanella gestione, nelle scelte, nella governabilità, come pure nel livel-lo decisionale che riguarda il fenomeno migratorio. Ricerca di rego-le, dunque, per garantire un decision making rispondente a necessi-tà oggettive.

Un primo livello di analisi impone di individuare quali siano leprincipali questioni con le quali, sul piano interno ed a livello inter-nazionale, sono chiamati a confrontarsi gli indirizzi politico-socialie le decisioni in economia che poi sottendono il momento legislati-vo e normativo.

Le tendenze che su scala internazionale si registrano sul versan-te delle migrazioni e le prospettive geopolitiche che sono collegateo derivano dai diversi aspetti del fenomeno, evidenziano una strettaconnessione con fenomeni quali la globalizzazione, la liberalizza-zione dei flussi commerciali, l’integrazione economica in aree spe-cifiche. Si tratta, infatti, di fattori che se da un lato incoraggiano lamobilità umana anzitutto nella dimensione economica e lavorativa,alimentata da un crescente divario negli standards di vita fra Paesipoveri e ricchi, come pure da una diversa dinamica demografica alloro interno, dall’altra si legano indicatori o a vere e proprie misurefinalizzate a regolare i flussi migratori, ad ar ginarli o addirittura aderigere barriere. Quest’ultimo approccio sembra non tenere nelladovuta considerazione che le migrazioni, e meglio si direbbe imigranti, sono costruttori di una rete di rapporti e di scambi chevanno oltre le frontiere, quasi strumenti privilegiati per intessererapporti tra Paesi, culture ed aree differenti. Il migrante, infatti, puòessere un potenziale strumento di crescita e beneficio sia per le areedi origine, sia per quelle di approdo. Il pensiero corre immediata-mente al trasferimento di risorse, economiche, professionali, umaneche i migranti favoriscono per il loro Paese di provenienza: un datola cui rilevanza è stata ampiamente riscontrata a partire dal 2008,quando gli effetti della crisi finanziaria e quindi economica hannovisto una graduale diminuzione delle rimesse con ulteriori pesantieffetti su Paesi a basso reddito e con forte incidenza degli indici di

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povertà. Non a caso, già nel 2006, il Rapporto Global EconomicPerspects della Banca Mondiale indicava che il numero crescente dimigranti nel mondo con la loro produttività e i loro guadagni costi-tuiva uno strumento funzionale alle strategie di lotta alla povertà edi riduzione del sottosviluppo. E, se in ragione della prospettivaspecifica di quel Rapporto, il riferimento era alle rimesse degliimmigrati quali importanti veicoli di lotta all’estrema povertà,questo non impediva di cogliere pienamente attraverso i potenzialivantaggi economici delle migrazioni, le implicazioni socio-politichee normative ad esse associate.

Parimenti effetti-beneficio delle migrazioni si riscontrano neiPaesi di arrivo, quando colmano le lacune di mancata forza lavoro opiù ampiamente di inadeguata crescita della popolazione rispetto adesigenze macroeconomiche. Ma da queste ultime implicazioni nonsono estranei atteggiamenti che pongono le migrazioni all’origine disentimenti contrastati, di risentimento da parte della popolazione deiPaesi di approdo, lì dove la coabitazione diviene dif ficile per diffe-renze etniche, linguistiche, culturali e religiose; o addirittura assumesolo connotazioni conflittuali quando ad essere messi in discussionesono i principi cardine della convivenza, quella costituzione mate-riale che è posta alla base del vivere sociale. Ed allora l’apportopositivo delle migrazioni al mondo del lavoro genera dissidi: ilmigrante diventa colui che sottrae occupazione, determina una con-correnza sleale nei livelli salariali, spinge per un maggiore sposta-mento di risorse verso la spesa sociale. A fare da sfondo restano nonsolo i complessi dibattiti sulla connessione fra fenomeno migratorio,livelli di sviluppo, negoziati e strategie per ridurre la povertà, maanche le questioni che condizionano quel necessario dialogo tra lecivilizzazioni (piuttosto che lo scontro tra le civiltà) al quale concor-re l’apporto delle religioni, della società civile or ganizzata, dei pro-cessi educativi e di formazione e che necessita di esprimere risulta-ti in termini giuridici: principi, regole e, soprattutto, loro rispetto.

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Le precedentii n d i c a z i o n isono sufficienti

per comprendere chela mobilità umana, inragione delle cause

che la provocano e per gli effetti che la determina, è parte essenzia-le dell’agenda internazionale. Anzi la crescente complessità digestione dei flussi migratori dell’ultima fase ha posto una sfidasenza precedenti per gli Stati, richiedendo un necessario coinvolgi-mento delle Istituzioni inter governative chiamate a introdurrestrumenti normativi uniformi o almeno armonizzati, poiché risultachiaro che gli approcci unilaterali restano inef ficaci se diversificatie privi del necessario coordinamento o se finalizzati a singolesituazioni, come nel caso delle emergenze. Questa tendenza verso ilmetodo multilaterale è dimostrata dall’atteggiamento di un numerosempre crescente di Paesi che pur adottando singolarmente politichee strumenti normativi definiti in ragione di esigenze interne e per lopiù volti a ridurre forme di irregolarità, clandestinità o a prevedereimprobabili contingentamenti di flussi di migranti, domandano queinecessari interventi “a più dimensioni” (economici, normativi,sanitari, assistenziali…) per gestire le migrazioni – specie quelleeconomiche. Un orientamento che diventa improrogabile nel caso dispostamenti forzati e, parimenti, per prevenire o almeno limitareabusi nei confronti dei migranti. Fenomeno, quest’ultimo, che destagrande preoccupazione se si confrontano i dati relativi alla tratta diesseri umani ( trafficking) o all’industria legata all’introduzioneclandestina di migranti ( smuggling) il cui volume – in quantità edaffari – appare crescente.

Le cause profonde del fenomeno migratorio e l’interazione fra ifattori che incidono sulle opportunità offerte da una mobilità ordina-ta (temporanea o permanente) richiedono, dunque, una gestioneconcertata da parte di Governi e di Istituzioni internazionali: è quan-to testimoniano gli sforzi di integrazione dei migranti nelle societàdi accoglienza o i programmi di reintegrazione nei Paesi di origineaccompagnati da chiare indicazioni di sostenibilità mediante glistrumenti della cooperazione internazionale e specificamentel’aiuto allo sviluppo.

Sempre più, poi, nell’ultima fase, ad emer gere è soprattutto laricerca di criteri e di azioni per garantire i diritti fondamentalissimi

2. Efficacia e limitidell’ordinamento internazionale

rispetto alla mobilità umana

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(core rights), quelli che il contemporaneo diritto internazionale rico-nosce come appartenenti alla persona umana e quindi al migrante epiù ampiamente a quanti, per cause diverse, si muovono dalle loroterre di origine. I diritti umani con la loro tutela e promozione, sipongono, dunque, come l’ambito che manifesta l’attenzione dell’or-dinamento internazionale alla persona, ai diversi momenti della suaesistenza, alle manifestazioni della sua dimensione sociale, comepure alle sue libertà e facoltà non solo quanto al loro riconoscimen-to, ma soprattutto alla loro garanzia. Nei fatti questo significa prote-zione per la persona, per i popoli e per i gruppi.

Ma, avendone presente la natura e la funzione, in cosa si concre-tizza tale orientamento nella dimensione giuridica che è propria del-l’ordinamento internazionale?

Obiettivo immediato è la tutela di identità spesso oggetto di limi-tazioni, restrizioni o addirittura negazione: ne sono esempio ledisposizioni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomoquando prevedono che ogni persona ha il diritto alla libertà di movi-mento all’interno del proprio Paese e lo specificano nel “diritto dilasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprioPaese”4; o precisano aspetti che investono direttamente il fenomenodella mobilità umana nelle sue diverse cause ed articolazioni, comeè il caso dell’asilo: “Ogni individuo ha diritto di cercare e di goderein altri Paesi asilo dalle persecuzioni” 5, o dell’apolidia: “Nessunindividuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza,né del diritto di mutare cittadinanza”6.

4 Dichiarazione Universale, art. 13. Analoghe disposizioni si ritrovano intutti gli atti nor mativi di base per la tutela dei diritti umani adottati in contestiregionali o geopolitici: Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei Dirittidell’Uomo, art. 2; Convenzione Interamericana dei Diritti dell’Uomo , art. 22;Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli, art. 12; Atto Finale di Helsinki,Principio VII; Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo, art. 23; e, nello spe-cifico del diritto alla liber tà di circolazione e stabilimento, Carta dei Diritti delCittadino Europeo, art. 15.

5 Dichiarazione Universale, art. 14.1. Anche in questo caso analoghedisposizioni si ritrovano negli atti normativi adottati in contesti regionali o geo-politici, mentre una sistematica regolamentazione dell’asilo è quella contenutanella Convenzione sullo status di rifugiato adottata già nel 1951.

6 Dichiarazione Universale, art. 15.2. Oltre alle disposizioni di atti regiona-li o per aree geopolitiche, va tenuto presente che un approccio sistematico del-l’ordinamento internazionale sul divieto di apolidia è quello espresso nellaConvenzione relativa allo status degli apolidi adottata già nel 1954.

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Un secondo obiettivo, orientato però sul lungo periodo, è quellodi tutelare la persona per garantire all’umanità di essere immune da“flagelli e sofferenze”. È quanto delinea il Preambolo della Cartadelle Nazioni Unite riconoscendo nel 1945 come la via della pacesignifichi condizioni di tutela e sicurezza per ogni persona, avendoben presente in quella fase storica la sof ferenza causata dal conflit-to indicandola come veicolo di pace 7. Si inseriscono in questa sciaanche quelle regole volte a modificare la relazione tra persona e con-flitto (oltre quindi le sole regole sul modo di condurre la guerra)espresse nel 1949 dalla codificazione del diritto internazionale uma-nitario, che già nel lontano 1864 aveva fatto della croce un simboloche, pur non confessionale, rispondeva però al principio inter armacaritas8.

Questi sommari accenni evidenziano però che una lettura delfenomeno delle migrazioni e della mobilità umana collocata nellaprospettiva internazionale non può prescindere anche dall’indivi-duare accanto alla dimensione giuridica le questioni di ordine eticoda cui le norme giuridiche traggono fondamento, non solo in rela-zione ai contenuti o al loro diverso grado di obbligatorietà ed effica-cia, ma soprattutto per coglierne l’evoluzione in relazione alle muta-te circostanze dei rapporti internazionali. La dimensione giuridica,infatti, diventa uno strumento di risposta ef ficace se ha presenti leistanze etiche soggiacenti al vivere sociale e quindi le diverse sensi-bilità e interpretazioni verso la mobilità umana e non solo nel con-testo internazionale, ma in primo luogo nelle situazioni interne agliStati. Questa propensione, poi, consente di verificare i riflessi che ildiritto internazionale produce negli ordinamenti interni degli Stati el’importanza che questi attribuiscono alla funzione degli Organismiintergovernativi nel favorire risposte all’evoluzione in corso sia intermini normativi che operativi.

7 Si tratta di una prospettiva ricorrente nella Carta delle Nazioni Unite e nel-l’attività messa in atto dall’Organizzazione nella sua prima fase di attività.

8 Il simbolo della croce nel contesto del diritto internazionale umanitario purnon avendo assunto alcuna connotazione confessionale, anche in ragione delprincipio di neutralità posto alla base dell’azione umanitaria nella quale operala Croce Rossa, solo dall’8 dicembre 2005 è ritenuto ufficialmente privo di radi-ce religiosa con l’adozione del III Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni diGinevra relativo ad un emblema aggiuntivo per le attività umanitarie“Riconoscendo le difficoltà che cer ti Stati e Società Nazionali possono averecon l’uso degli emblemi distintivi esistenti (croce rossa e mezza luna rossa).

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Un primo profilo che va analizzato riguarda l’efficacia di princi-pi inderogabili assunti dal diritto internazionale anche di fronte allamobilità umana, che immediatamente mostrano come le sue norme,liberatesi dell’esclusivo riferimento alla volontà assoluta degli Stati,siano frutto di valori che si manifestano, si consolidano e si imple-mentano nella dinamica dei rapporti internazionali. E questo è evi-dente anche riguardo alla materia della mobilità umana o dei rifugia-ti: la protezione dei diritti della persona ha portato ad un gradualesuperamento della relazione tra cittadinanza e diritti, e più ampia-mente ad abbandonare la concezione della statualità (preminenzadella sovranità statale) come fonte e ispirazione della norma interna-zionale, esprimendo concetti come la protezione erga omens odando piena validità al principio dell’universalità dei diritti umani;analogamente l’ampio consenso ottenuto in sede di codificazionedalle norme della Convenzione sullo status di rifugiato del 1951 e,nello specifico della sua applicazione, il divieto di respingimento deirichiedenti asilo codificato nel principio di non refoulement all’art.33, o dalla più recente Convenzione sulla protezione del lavoratoremigrante e della propria famiglia del 1990.

Sono proprio ledue convenzionidel 1951 e del

1990 ad of frire spuntiessenziali per coglierea fondo l’attuale capa-

cità di risposta dell’ordinamento internazionale rispetto al fenomenodella mobilità umana. Si tratta, infatti, di atti che nel loro ambito spe-cifico non solo hanno modificato la struttura dei rapporti internazio-nali, ma anche il suo tradizionale presupposto e cioè l’interesse checiascuno dei singoli membri della Comunità internazionale persegue:tale connotazione, infatti, non è più assoluta ed è invece chiamata arispettare quei principi generali e non di pura cortesia internazionaleritenuti ormai inderogabili dalla coscienza comune dell’umanità.

a) il caso della Convenzione sui rifugiati

La Convenzione sullo status di rifugiato (appresso: Convenzione1951) è l’esempio di come non solo i contenuti, ma anche la questio-

3. Due casi specifici:tutela dei rifugiati e protezione

dei lavoratori migranti

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ne dell’efficacia rimanga aperta di fronte agli sviluppi attuali e futu-ri della protezione della persona umana nei movimenti di popolazio-ne e resta ancora de jure condendo in alcuni dei suoi aspetti a frontedi ritornanti chiusure degli spazi sovrani o addirittura mostra un fra-gile consenso anche rispetto a principi considerati ormai acquisiti. Sitratta di alcune delle reazioni più preoccupanti messe in atto da Statiche cercano di fronteggiare i grandi fenomeni della mobilità umana,come mostrano, ad esempio, la tendenza ad un’applicazione restritti-va delle norme internazionali sul diritto d’asilo, le politiche di respin-gimento o l’impedimento alla libertà di transito delle frontiere, fino acontravvenire in qualche modo alle previsioni della Convenzione e inparticolare all’articolo 33 che, come si è visto, enuncia il principio dinon refoulement. Su questo aspetto specifico ogni interrogativo èlegato ad una valutazione della capacità della Convenzione di fron-teggiare i contesti attuali in termini di protezione internazionale, con-siderando il suo inquadramento storico e non dimenticando le dueesigenze che motivarono nel 1950 la codificazione di norme sparsesulla materia dei rifugiati: da un lato il quadro emotivo determinatodagli accadimenti della seconda guerra mondiale e dai successiviriassetti geopolitici e territoriali, dall’altro le esigenze reali di regola-re sul piano internazionale un fenomeno di proporzioni globali. Chela Convenzione fosse una risposta immediata alle situazioni determi-nate dal conflitto è chiaro fin dall’art.1 dove il concetto di protezio-ne del rifugiato è limitato all’Europa e per gli avvenimenti verifica-tisi prima del 1951. Ma allo stesso tempo la definizione di rifugiatodata dal medesimo articolo è assai ampia per quel periodo e mostrala determinazione di favorire uno sviluppo progressivo del dirittointernazionale in materia9. Infatti rifugiato è colui che:

I) teme persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità,appartenenza al gruppo sociale, o opinioni politiche;

II) si trova fuori del Paese di cui è cittadino; III) non può o non vuole avvalersi della protezione del Paese di

cui è cittadino; IV) non avendo cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese di abi-

tuale residenza non vuol farvi ritorno.

9 Ad avvalorare la prospettiva di sviluppo progressivo può essere conside-rata l’esenzione di reciprocità, intesa come assenza di reciprocità legislativa tragli Stati prevista dall’art. 7, pur mantenendo chiaro il principio che la protezio-ne di base concessa al rifugiato è la stessa accordata allo straniero (ar t. 7.1).

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Oggi ad essersi modificato è il contesto politico internazionalecome pure il quadro giuridico che regge le relazioni tra gli Stati, poi-ché le condizioni di mobilità umana si sono moltiplicate fino asovrapporsi e a distaccarsi dall’originale definizione di rifugiato,determinando quasi un’incertezza interpretativa sul se e come oggiil rifugiato sia quello contemplato dalla Convenzione 1951. Su que-sto aspetto, per il solo profilo normativo, basti pensare alle prospet-tive aperte dal diritto dell’Unione Europea con il regolamento862/2007 o con le direttive 83 e 85 del 2005, normative dalle qualisi evidenzia che l’attenzione alla questione dei rifugiati rimane lega-ta ad un aspetto: l’impossibilità della persona che chiede lo status dirifugiato di rientrare nel Paese di provenienza.

Le situazioni odierne impongono un riferimento a norme minimeper la protezione internazionale dei diritti umani o a quelle dellaConvenzione 1951 per la determinazione dello status di rifugiato,poi il riconoscimento dell’importanza di istituti come la protezionesussidiaria, per la quale una persona pur non essendo ancora rifugia-to è protetto, o ancora la più ampia protezione umanitaria legata adevidenti situazioni personali e che oggi sembra gradualmente scom-parire dalla considerazione e dalla pratica in materia di richiesta diasilo. A determinarsi è sempre più un’applicazione ispirata da esi-genze interne che prescinde dalla ordinaria distinzione tra le situa-zioni di emergenza e le situazioni ordinarie, con la prevalenza dimotivazioni di ordine interno legate alla sicurezza o con una nonapplicazione della Convenzione medesima. Avviene, pertanto, chela maggior parte dei richiedenti asilo o bisognosi di protezione rice-va una protezione umanitaria di tipo emer genziale, che riaffiorinolimitazioni geografiche e temporali come quelle a cui aveva postotemine l’adozione nel 1967 dell’apposito Protocollo allaConvenzione del 195110, o ancora che si confonda la condizione delrichiedente asilo con il diritto di soggiorno temporaneo (che nongarantisce il lavoro o assistenza) nella quasi totalità dei casi finaliz-zato al transito verso altri Paesi. In casi specifici, poi, si assiste adun uso ampliato delle previsioni della lettera f dell’art. 1 dellaConvenzione, lì dove lo Stato parte può rifiutare l’applicazione inragione di un reato comune compiuto dal richiedente asilo e questo

10 Rendendo applicabile le disposizioni non più alla sola area europea eper i fatti avvenuti fino al 1951.

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per l’amplificarsi della concezione espressa dal binomio: migrazio-ne-criminalità. Una concezione che limitate interpretazioni vorreb-bero ritrovare nell’articolo 29 del Trattato sull’Unione Europea checonfigura come crimine l’immigrazione irregolare, dimenticandoche quella norma si riferisce al traffico o alla tratta di essere umani.Non va poi tralasciato l’irrigidimento dell’opinione pubblica, anchein ragione della recente crisi economica, che ha diminuito un ricor-so al combinato tra le previsioni dell’art. 5 della Convenzione –circa i diritti che possono essere riconosciuti ai rifugiati indipenden-temente da quando prevede la Convenzione stessa – e le normegenerali specifiche del diritto internazionale dei diritti umani. Infine,quanto al principio di non refoulement è chiaro che si tratta di unanorma imperativa – come mostra la previsione che nei confronti del-l’art. 33 non possono essere poste riserve dagli Stati parte dellaConvenzione – ma si torna a discutere se quel principio sia ef fetti-vamente inderogabile e cioè che la sua violazione possa determina-re una responsabilità internazionale di tipo aggravato.

Le risposte che il diritto internazionale e, di conseguenza, il drit-to interno sono chiamati a dare di fronte alle sfide poste oggi dallamobilità umana e dal diritto di asilo in particolare domandano in ter-mini sostanziali di recepire la maturazione della prassi interna einternazionale – il riferimento è anzitutto all’ Alto Commissariatodelle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) o alla OrganizzazioneInternazionale per le Migrazioni (IOM) – fermo restante la naturauniversale delle norme che il diritto internazionale ha elaborato nei60 anni che ci separano dalla Convenzione 1951 e quindi degli stan-dard applicativi conseguenti. La prassi ha fatto emergere la necessi-tà di introdurre criteri rispondenti alle situazioni attuali per prevede-re l’accoglienza in attesa della definizione dello status di rifugiato oancora soluzioni specifiche per i richiedenti asilo. Si tratta di aspet-ti che vanno coniugati con le norme relative alle procedure d’ingres-so, di accesso alle frontiere nel rispetto della necessità di protezionedella persona, sia essa proveniente dall’esterno o cittadino delPaese; e ancora, di un profilo riferito anzitutto agli Stati di arrivo deiquali vanno rese coerenti le prassi (ad esempio: come fronteggiare ildiverso modo di intendere la protezione sul mare? ) o migliorate leprocedure di accoglienza con criteri e standard specifici. Un ulterio-re aspetto riguarda la questione del rifugiato in situazioni protrattedove si pongono problemi di risorse, inserimento, socializzazione

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legate alla multiculturalità e meccanismi diretti a favorire la coesi-stenza di culture, religioni e visioni del mondo tra loro diverse Inquesto senso c’è da chiedersi se l’articolo 34 della Convenzione1951 sia ancora applicabile o non sia fonte di pregiudizio per l’iden-tità o per una ef fettiva esclusione, poiché lega la naturalizzazionedel rifugiato alla pratica dell’assimilazione alla cultura del Paese diasilo.

Da questa analisi non può essere esclusa la determinazione dellecondizioni e delle cause che alimentano o motivano la mobilitàumana nei Paesi di emigrazione o comunque da cui parte la maggio-ranza di coloro che richiedono accoglienza ed asilo. La diminuzio-ne complessiva dell’aiuto pubblico allo sviluppo che rappresenta lacondizione previa per favorire la crescita di Paesi a basso reddito econ elevato indice di povertà da cui si muovono ampie fasce dellapopolazione specie quella in età lavorativa, domanda di abbandona-re la retorica dello sviluppo in loco e di realizzare soluzioni nei Paesidi origine con una previsione delle risorse da rendere disponibili.Come pure di risorse continuative necessita anche l’azione di emer-genza, sul piano interno e su quello internazionale 11.

Si fa dunque spazio l’esigenza di un ritorno allo spirito che ispi-rò in origine la Convenzione 1951, sintetizzato nella concessione alrifugiato o al richiedente asilo degli stessi diritti e del medesimo trat-tamento riservato agli stranieri. Un aspetto minimo, ma di grandevalore a cui sono correlate le esenzioni previste dagli articoli 7, inmateria di esclusione della reciprocità legislativa, e 8, circa le misu-re eccezionali limitate dal peso che ha gradualmente acquisito lanormativa internazionale sui diritti umani. Analogamente circa lemisure provvisorie previste dall’articolo 9 in ragione di guerre, cir-costanze gravi ed eccezionali o di protezione della sicurezza nazio-nale va valutato quale sia l’interpretazione da dare al concetto disicurezza di uno Stato: oggi la protezione della garanzia dei dirittifondamentali ha abituato all’idea che non possono essere sospesideterminati diritti, anche in ragione delle garanzie richieste dalla

11 La questione riguarda per altro anche le risorse per gestire la mobilitàlegata alla richiesta di per messi: i criteri che oggi, dal 2008, l’AltoCommissariato utilizza per il suo bilancio e programma sono basati sulla neces-sità e non più sulle risorse disponibili, ma questo non basta ad un organismoper dare la necessaria garanzia di continuità nelle operazioni.

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sicurezza nazionale. Ancora la questione rimane aperta nelle situa-zioni di irregolarità previste dall’articolo 31 che domanda una riva-lutazione dell’obbligo di presentarsi alle autorità del Paese di appro-do sapendo che agli irregolari non è applicabile una sanzione pena-le ma una restrizione di movimento in attesa di regolarizzazione:l’idea di tempo ragionevole e di facilitazioni necessarie non si èforse evoluta in questi anni? Aspetto fortemente dibattuto questo,specie quando, è il caso dell’Italia, alla condizione di irregolare èstato contrapposto, quasi come rimedio, il reato di clandestinità cheha trovato ragioni di immediato conflitto con la normativadell’Unione Europea e in particolare con la Direttiva 2008/1 15/CEcirca il rimpatrio di clandestini, la cui portata esclude la previsionedel reato di clandestinità come ha dimostrato la sentenza del 28 apri-le 2011 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa al casoEl Dridi v. Italia. La stessa previsione della espulsione di irregolari,qualora il Paese di approdo abbia verificato l’impossibilità di conce-dere uno status di rifugiato pur se posta in relazione alla sicurezzanazionale e all’ordine pubblico non può che essere una decisioneconforme alla legge.

Ritorna l’obiettivo dunque di una cooperazione internazionalenon nei termini strettamente funzionali e limitati previsti dall’art. 35della Convenzione 1951, ma in termini sostanziali che abbiano comeriferimento il superamento del deficit democratico e di sviluppo dimolti Paesi, come pure gli obblighi dei Paesi a democrazia avanza-ta e sviluppati, rispetto alla mobilità umana in funzione di una inte-grazione che sia la risultante di un adattamento reciproco. Ricerca diprotezione umanitaria tout cour, e non motivo per ottenere l’asilocome rifugiati: questa potrebbe essere la strada da percorrere.

b) la Convenzione sulla protezione dei lavoratori migranti

Un’altra risposta di fronte all’aumento dei migranti e alla neces-sità di regolarne la condizione è stata data dall’ordinamento interna-zionale utilizzando criteri generali, norme consuetudinarie riguar-danti il trattamento degli stranieri o applicando in via analogica ledisposizioni di convenzioni particolari. A realizzare una garanziaspecifica dei diritti del migrante in un mutato scenario delle relazio-ni internazionali, è infatti chiamata la Convenzione sulla protezionedei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro fami-

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glie (appresso: Convenzione 1990) adottata il 13 dicembre 1990 e invigore dal 1º gennaio 200312. Guardandone i contenuti specifici:

I) nella Parte III (artt. 8-35) sono contemplati tutti i diritti attri-buibili al migrante ed alla sua famiglia, anche in carenza dicondizioni legali che ne consentono il soggiorno nello «Statodi impiego» in ragione di una estensiva applicazione delprincipio di non discriminazione13;

II) la Parte IV (artt. 35-56) invece è relativa ai diritti dei migran-ti definiti regolari o provvisti di regolari documenti14; mentre

III) la Parte V (artt. 57-63) prevede diritti e garanzie per fronta-lieri, stagionali, itineranti, impiegati a progetto o per lavorispecifici15.

La mancata adesione di un congruo numero di Stati allaConvenzione 1990 può essere certamente collegata al tentativo diquel testo di superare la soglia di sicurezza che gli Stati hanno postorispetto ad ingressi irregolari. In questo ambito va certamente valu-tata la condizione dello Stato nel garantire diritti fondamentali comead esempio quelli legati al ricongiungimento del nucleo familiare,che possono porre dif ficoltà oggettive nel coniugare l’interessegenerale dello Stato e la tutela dei diritti del migrante. In propositola Corte Europea dei Diritti dell’Uomo parla di “corretto bilancia-mento” riferendosi a diritti previsti nella Convenzione europea deidiritti dell’uomo come quello alla vita (art. 2), al divieto di tratta-menti inumani o di tortura (art. 3), alla vita privata e familiare (art.8), potendo così efficacemente configurare la protezione del migran-te in quanto persona16.

12 Rimane con poche ratifiche o adesioni – sono 42 al momento – masoprattutto provengono da Paesi in via di sviluppo e che presentano problemidi emigrazione e non di immigrazione.

13 Si veda l’art. 7.14 Art. 36: « I lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie che sono

provvisti di documenti o in situazione regolare nello Stato d’impiego beneficia-no dei diritti previsti nella presente par te della Convenzione».

15 Un precisa definizione di queste diverse categorie protette dallaConvenzione 1990 è contenuta nell’art. 2.

16 In tale senso la Cor te Europea dei Diritti dell’Uomo nella Sentenza sulcaso Mokrami c. Francia, 15 luglio 2003.

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Inoltre, anche allo straniero che a qualsiasi titolo sia presente sulterritorio di uno Stato, vanno riconosciuti i diritti posti a tutela dellafamiglia e del rapporto di filiazione in particolare quanto ai minori17.Si tratta dunque di un nucleo di diritti irriducibile (core rights) e per-tanto non limitabili dalla condizione di migrante o di non cittadino18.

Una prima annotazione sul testo riguarda la fonte di produzioneche non è l’ Organizzazione Internazionale del Lavor o (ILO) purtrattandosi di tutela di lavoratori anche se nella condizione dimigranti19. La Convenzione 1990, pertanto, si colloca nel solco dialtri trattati multilaterali in materia di diritti umani e quindi presen-ta un sistema di controllo e reazione rappresentato dai rapportiperiodici che gli Stati parte hanno l’obbligo di predisporre e presen-tare all’esame di un apposito Comitato di Esperti. Il tutto nella pro-spettiva di determinare una dimensione uniforme dal punto di vistadell’applicazione della Convenzione e di concorrere attraverso lesue disposizioni ad una ef fettiva comprensione del fenomeno dellemigrazioni e della dimensione umana in esso coinvolta: ritorna laquestione delle istanze etiche.

La limitata adesione alla Convenzione 1990, infatti, è spiegataproprio da una mancata condivisione di valori di fondo. Certo ladeterminazione a cui tende la Convenzione è che il migrante ha deidiritti fondamentali esigibili, come pure dei diritti che scaturisconodalla sua condizione lavorativa, indipendentemente dalla situazione

17 Cosi il Patto sui diritti civili e politici, art. 23; il Patto sui diritti economici,sociali e culturali, art.10; la Convenzione sui diritti del fanciullo , artt. 9 e 10;CEDU, artt. 8 e 12.

18 In proposito parla di «ethical territoriality» L. B OSNIAK nel suo EthicalTerritoriality and the Rights of Migrants , in Amsterdam Law Forum, I (2008), p.3 e ss.

19 In tal senso va la previsione della Convenzione secondo cui«L’espressione “lavoratori migranti” designa le persone che eserciteranno, eser-citano o hanno esercitato una attività remunerata in uno Stato cui loro nonappartengono» (art. 2.1.). Va precisato che da parte dell’ILO sono state elabo-rate nel corso della sua attività diverse convenzioni e raccomandazioni concer-nenti il lavoratore migrante. Alcuni diretti, come la Convenzione sui lavoratorimigranti (n°. 97), la Convenzione sulle migrazioni nelle condizioni abusive e lapromozione dell’eguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratorimigranti (n°. 143), le Raccomandazioni concernenti i lavoratori migranti (n°.86e n°.151 ), e altri indiretti come la Convenzione sul lavoro forzato o obbligato-rio (n°. 29) e la Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato (n°.105).

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legale o meno: in questa prospettiva trovano fondamento, ad esem-pio, la parità di trattamento con i cittadini quanto al diritto all’equoprocesso (art. 18) o alla protezione di fronte alla minaccia di allon-tanamento o di espulsione arbitraria con la previsione che ogni per-sona in tali situazioni ha diritto ad essere ascoltato da un giudice epertanto protetto da decisioni illegali o arbitrarie (art. 22). Comesituazione specifica, poi, va letto il divieto di ricorrere ad espulsio-ni collettive, imponendo l’esame caso per caso (art. 22.1), accanto aldovere degli Stati interessati di cooperare per adottare di fronte asituazioni irregolari misure congiunte per stabilizzare l’accoglienzao strutturare legalmente il rimpatrio (artt. 67-68).

Un secondo rilievo mostra che la Convenzione 1990 è caratteriz-zata da un’idea di fondo: i migranti debbono poter beneficiare deidiritti fondamentali anche se la loro situazione legale appare incertao addirittura illecita, come prevede l’art. 5. b. che considera migran-te anche coloro che sono «sprovvisti di documenti o in situazioneirregolare».

Complessivamente a prevalere è l’impostazione ben esplicitatanel preambolo come pure in diverse delle disposizioni convenziona-li (in particolare gli articoli 1 e 7) che privilegia i diritti umani delmigrante (e dei suoi familiari) e non la sua situazione di lavoratore,quasi a sottolineare che la tutela del migrante riguarda anzitutto idiritti di cui gode in quanto persona e poi quelli riguardanti la con-dizione assunta rispetto al lavoro. La prevalenza di una tale imposta-zione è dimostrata in modo specifico dalla disposizione che prevedel’impegno degli Stati parte della Convenzione 1990 a rispettare idiritti del migrante anche se questi ha la cittadinanza di uno Statoche non è parte della medesima Convenzione 20. Analogamenterisponde alla medesima impostazione l’impegno a rispettare i dirittianche di coloro che sono irregolarmente immigrati o comunque sitrovano in una situazione non conforme alla legalità21. Allargando leconsiderazioni rispetto a tale impostazione emer ge che le garanziedei migranti nel primo caso trovano fondamento nel più generale

20 Così l’art. 7 che presenta le diverse clausole di non discriminazione.21 Così l’art. 5 che considera in situazione regolare «coloro che sono auto-

rizzati ad entrare, soggiornare ed esercitare una attività remunerata nello Statodi impiego conformemente alla legislazione di tale Stato e agli accordi interna-zionali ai quali quello Stato partecipa», ma poi, come si è detto, considera pro-tetti anche i non regolari (cf. ar t. 5.b).

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contesto del diritto internazionale dei diritti umani per cui uno Statonel ratificare una convenzione sui diritti umani assume obbligazioniverso le persone che dimorano sul suo territorio e non verso gli altriStati contraenti22. Nel secondo caso invece emer ge un favor iurisverso il migrante, indipendentemente dalla sua condizione diregolarità o di irregolarità, determinato dal considerare prevalente ilprincipio di non discriminazione che è previsto dall’articolo 7della Convenzione. E questo apre la strada ad un riconoscimentoformale – nonostante il numero limitato di ratifiche allaConvenzione – di tutta una serie di diritti umani che tiene conto diquanto emerge dalle norme dell’ILO e, in modo ancor più evidente,da quelle delle Convenzioni sui diritti umani relativamente allanon discriminazione.

Nel caso della non discriminazione un ulteriore approfondimen-to circa l’applicazione ai migranti di tale principio si ritrova nellaRaccomandazione Generale n. 30 del 1º ottobre 2004 adottata dalComitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale(CERD) e relativa proprio alla “Discriminazione nei confronti deinon cittadini”. Un atto che non ha diretta cogenza, ma che si impo-ne sul comportamento degli Stati parte della Convenzione sull’elimi-nazione della discriminazione razziale del 1965 e trova verifica nel-l’esame da parte del CERD dei rapporti periodici presentati dagliStati sull’attuazione della Convenzione. La RaccomandazioneGenerale del 2004, oltre alle più ampie previsioni relative ai dirittidei residenti e di coloro che presenti in un Paese non ne posseggo-no la cittadinanza e ai corrispettivi obblighi per gli Stati, indica perla specifica condizione del migrante che: « In relazione allaConvenzione, un differente trattamento basato sulla cittadinanza osullo status di immigrazione costituirà discriminazione se il criterioadottato per tale differenziazione, giudicato alla luce degli obiettivie degli scopi della Convenzione, non è applicato per conseguire unobiettivo legittimo e non è pr oporzionale per il conseguimento ditale obiettivo»23. Inoltre, agli Stati si raccomanda di «Assicurare che

22 Principio confermato in sede giurisprudenziale dalla Cor te Europea deiDiritti dell’Uomo nel caso Loizidou c. Turchia del 1995, in particolare al n. 75; egià dalla medesima Corte nel caso Irlanda c. Regno Unito del 1978, al n. 239.

23 CERD, General Recommendation n. 30 , para. 4. Nel 2002 la Sotto-Commissione del CERD per avere a disposizione uno studio su tematiche chepossono favorire una più ampia interpretazione della Convenzione sull’elimina-

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le garanzie legislative contr o la discriminazione razziale sianoapplicate ai non-cittadini nonostante il loro status di immigrazione,e che l’applicazione della legislazione non abbia un effetto discri-minatorio sui non-cittadini»24.

Un altro aspetto di particolare interesse circa il riconoscimento di“tutti” i core rights anche ai “non residenti”, contenutonell’Osservazione Generale n. 15 del 1986, adottata dal Comitatodei Diritti dell’Uomo25 secondo la quale i diritti contenuti nel Pattosui diritti civili e politici, in particolare le disposizioni generali sullanon discriminazione, ma anche i diritti relativi all’asilo e alla nonespulsione, vanno garantiti in ogni forma e circostanza, indipenden-temente da criteri di “appartenenza” come possono essere la resi-denza, la cittadinanza o la nazionalità. Questa indicazione è statafondata su un’interpretazione corrente dell’art.2.1. dellaDichiarazione Universale (ripreso dall’articolo 2.2 del Patto suidiritti civili e politici e analogamente dall’art. 2.3 del Patto sui dirit-ti economici, sociali e culturali anche se in quest’ultimo caso, alme-no per i diritti economici, ma non per le altre due categorie, lo Statopuò differenziare il trattamento tra residente e non residente).

Riferimenti alla non discriminazione verso i migranti sono poirilevabili nell’Osservazione Generale n. 20 adottata il 2 luglio 2009dal Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, espressionedell’omonimo Patto internazionale che include tra i soggetti che

zione di ogni forma di discriminazione razziale , domandò all’allora Sotto-Commissione per la promozione e la protezione dei diritti umani di predispor-re uno studio sulla relazione tra non-residenti e discriminazione razziale conl’intento di fare dei non residenti diretti destinatari delle nor me dellaConvenzione e su quella base valutare la condotta degli Stati par te dellaConvenzione. In quel rappor to sono evidenziati alcuni ambiti specifici dellafigura del “non residente”, ad iniziare dal trattamento par ticolare previsto peri rifugiati, gli apolidi per poi passare all’approccio della nor mativa generaledei diritti umani in relazione al diritto di nazionalità/cittadinanza, residenza,libera circolazione e ritorno al proprio Paese di origine. La conclusione è che idiritti menzionati dalla Convenzione vanno riconosciuti, e specificamentegarantiti, in base al principio di non discriminazione e non in funzione dell’ori-gine etnica, religiosa e linguistica o legata alla nazionalità: i problemi in que-sto senso si pongono soprattutto quanto si è di fronte a richieste di asilo.

24 Ivi, para. 7.25 CCPR, General Comment No. 15: The position of aliens under the

Covenant, 1986.

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non vanno discriminati nel godimento dei diritti economici e socia-li i «lavoratori migranti e le loro famiglie» 26.

Sul piano regionale il riferimento alla non discriminazione neiconfronti del migrante si ritrova in due Pareri consultivi della CorteInteramericana dei Diritti dell’Uomo: il primo circa il diritto all’in-formazione del migrante sull’assistenza consolare nel quadro digaranzie per un equo processo27; il secondo sulla condizione giuridi-ca e i diritti dei lavoratori migranti senza titolo di soggiorno 28. Inquella sede la Corte di S. José ha inserito il diritto alla notifica con-solare – previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni conso-lari del 1963, all’art. 36, 1, b) – tra i diritti fondamentali della per-sona e specificatamente a vantaggio del migrante. In questo modo,di fatto la Corte recepiva quanto evidenziato dalla prassi degli Statispecie dell’America Latina nell’assicurare assistenza e protezione aimigranti e loro famiglie, contribuendo così a creare un terreno acco-gliente per consentire l’applicazione di norme specifiche.

Una valutazione complessiva, però, porta senz’altro ad af ferma-re che la dimensione universale della tutela dei diritti umani tende apromuovere una maggiore attenzione per il migrante, dif ferenzian-dosi dalla tutela esercitata a livello regionale o di aree ristrette. È ilcaso della Convenzione europea sullo status giuridico dei lavorato-ri migranti del 1983 in cui prevale una diretta considerazione per lasituazione lavorativa ed i diritti connessi, piuttosto che per i dirittiumani del migrante in generale. La Convenzione 1990 , come si èvisto, contempera invece i diritti della persona (migrante) con le esi-genze dello Stato indirizzando la tematica classica del trattamentodello straniero in una prospettiva diversa, quella della tutela deidiritti umani: lo straniero è tutelato in quanto persona. Ad avvalora-re tale orientamento può essere richiamata anche la Risoluzione40/144 dell’Assemblea Generale che già nel 1985 indicava in unaforma declaratoria e quindi volta ad accertare l’esistenza di una opi-nio iuris, i diritti della persona che è provvista delle garanzie e dellesituazioni derivanti dalla cittadinanza. In sostanza nell’accogliereil migrante uno Stato si trova impegnato – anche se sul livellodell’obbligazione è dato di discutere – a riconoscer gli dei diritti

26 Ai nn. 5 e 30.27 È il Parere n. 16 del 1999.28 È il Parere n. 18 del 2003.

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fondamentali, fermo restando il suo diritto di regolarne il soggiornoo l’ingresso secondo modalità e tempi29, pur in presenza di limiti 30.

Una più genera-le annotazioneriguarda il rap-

porto tra il problemamobilità umana (spo-stamenti, esodi dipopolazione, rifugiati,

profughi, migranti) e il rispetto dei diritti fondamentali della perso-na e dei popoli (e sempre più delle minoranze etniche, religiose, olinguistiche).

La mobilità umana può essere la risultante o l’ef fetto diretto nonsolo del mancato riconoscimento delle identità, ma anche della man-cata tutela e promozione dei diritti umani che si registra all’internodi un Paese. Una tendenza non nuova, come mostrano ad esempio lerichiamate clausole territoriali contenute nella Convenzione sui rifu-giati del 1951 o, per una particolare considerazione della mobilitàumana, i principi del cosiddetto “terzo cesto” del processoCSCE/OSCE dedicato alla questione umanitaria, ma strutturatointorno all’idea del bilanciamento tra il diritto alla mobilità dellapersona e le garanzie per la sicurezza di uno Stato. Non va dimenti-cato inoltre che pure i rimedi previsti dalla normativa internaziona-le quanto alla tutela dei diritti del migrante sono subordinati allacondizione di legalità (quanto all’ingresso e al soggiorno) e quindinon applicabili in assoluto in ragione della sicurezza: l’eccezionepuò riguardare solo la richiesta di asilo che mai può essere negata oesclusa con forme forzate di espulsione o trattamenti analoghi, malimitata per ragioni di sicurezza. L ’obiettivo della sicurezza degliStati è considerato uno dei presupposti fondamentali del sistema

4. Diritti umanie mobilità umana:

reciprocità e funzionalitàdel rapporto

29 È quanto la Convenzione 1990 prevede nell’art. 79: « Nessuna disposi-zione della presente Convenzione lede il diritto dello Stato parte di fissare i cri-teri regolanti l’ammissione dei lavoratori migranti e dei membri della loro fami-glia. In quel che concer ne le altre questioni relative allo status giuridico ed altrattamento dei lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia».

30 Ibid. : «[…] gli Stati parte sono legati dalle limitazioni imposte dalla […]Convenzione».

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internazionale globalmente inteso e per questo è tra i più importan-ti degli interessi – o forse l’interesse per eccellenza – perseguito daogni Paese, singolarmente o considerato come interesse collettivo31.Oggi però tale concetto appare modificato nelle sua portata poichéla sicurezza è sempre più una questione interna agli Stati, piuttostoche un problema inter -statale. Più precisamente lo Stato devedifendere la propria sicurezza da fattori interni piuttosto che dallaminaccia di attacchi esterni e di conse guenza la sicurezza non appa-re più un problema da riferire al territorio dello Stato, bensì alla suapopolazione. Non più quindi protezione dei confini, ma di quantivivono all’interno dei confini, come indica il principio della respon-sabilità di proteggere, adottato in sede ONU 32. Se applichiamo taleconcezione al problema della mobilità umana emer ge che flussimigratori, spostamenti forzati e quindi rifugiati, profughi e migran-ti economici rappresentano una minaccia interna per uno Stato,anche se in alcuni casi determi nata da cause esterne. Paradossale,invece, è l’atteggia mento degli Stati e di conseguenza della norma-tiva internazio nale: la mobilità umana è ancora ritenuta un problemada risolvere “alle frontiere”, una minaccia alla sicurezza, al ter-ritorio proveniente dall’esterno. In questo senso vengono infattiapplicate le norme della Convenzio ne sui rifugiati del 1951) ed ilconnesso Protocollo del 1967, come pure la Convenzione sui rifu-giati in Africa del 1969, per ricordare alcuni esempi classici deldiritto internazionale dei rifugiati. Ma più ampiamente in materia dimobilità umana e spostamenti di popolazione, il problema dellasicurezza del territorio ispira il versante del diritto dell’integrazioneeuropea con gli Accordi di Schengen del 1985 o la Conven zione diDublino del 1990 che mostrano solo un ampliamento del territorio o

31 Aspetto evidente già nella Carta delle Nazioni Unite e reso ancor piùmarcato dopo il 2001 in relazione al fenomeno del terrorismo.

32 Quanto alla genesi del principio si veda fra gli altri T HOUVENIN, J-M.,Genèse de l’idée de responsabilité de protéger , in S OCIÉTÉ FRANÇAISE POUR LE

DROIT INTERNATIONAL, La responsabilité de protéger: Colloque de Nanterre ,Editions Pedone, Paris, 2008, pp. 21-40. Risoluzione 60/1 dell’AssembleaGenerale del 16 settembre 2005, che adotta le conclusioni assunte dal Verticedel Millennio + 5 con il 2005 World Summit Outcome, para. 138-139. Perun’analisi del principio sia consentito di rinviare a V . BUONOMO, Il diritto dellaComunità Internazionale. Principi e regole per una governance globale, LateranUniversity Press, Città del Vaticano, 2010, pp. 154-159.

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dei limiti territoriali da difendere: non solo quelli di un singolo Statoma di un gruppo di Stati, confermando la prospettiva del perse -guimento di un interesse collettivo.

La correlazione mobilità umana/sicurezza statale resta pertantoancora oggi centrale nel dibattito interno ed internazionale e si misu-ra attraverso atteggiamenti di considerazione e apertura o di chiusu-ra e contrapposizione, come mostra in primo luogo l’ampliamentodei diritti violati come causa determinante di esodi o spostamenti dipopolazione. Gli spostamenti di popolazione sono, infatti, la direttaconseguenza della mancata volontà – e solo in alcuni casi dell’im-possibilità – degli Stati di porre fine al perseguimento di interessiparticolari (self-interests) che assumono le forme più varie (econo-mica, politica, sociale, culturale, razziale, religiosa) e si traducono inatteggiamenti che direttamente influenzano la mobilità umana concompor tamenti attivi ed omissivi che riguardano la tutela dei dirittifondamentali. Il problema non riguarda i soli diritti politici e civili,ma sempre più quelli economici e sociali, con una spiccata tenden-za all’accentuarsi di quelli culturali legata alla convivenza di estra-zioni diverse, tanto problematica e conflittuale. Inoltre, i movimen-ti di popolazione vanno considerati come causa determinante unaulteriore violazione dei diritti umani poiché le persone che lascianoil proprio Paese sono facilmente esposte a violazioni delle proprielibertà nel momento in cui entrano in altri territori o addirittura sivedono negati alcuni diritti primari: è il caso non solo dei profughio dei rifugiati, ma più ampiamente quello dei migranti economici (sipensi a diritti basilari come quello alla nutrizione, all’alloggio, allecure mediche). E questo dimenticando che il rapporto negativo tramobilità umana e diritti fondamentali è superabile solo con unarimozione delle cause che lo determinano, come insiste l’azioneinternazionale che tende a sottolineare tali cause ed a prospettarepossibili soluzioni. Risvolti recenti, poi, hanno fatto emer gere laconvinzione che come metodo di soluzione o rimozione delle causeva considerata anche l’azione di advocacy non limitata alla denun-cia, ma proprio ad una coerente comprensione del significato deidiritti umani.

Una prima conclusione seguendo la relazione mobilità/dirittiumani, è che ogni aspetto della mobilità umana va dunque valutatonon solo in termini quantitativi – o stretta mente legati ai bisogni diemergenza (alimentazione, sanità, alloggi) – ma come direttamenterelazionato al rispetto di tutti i diritti umani in ragione dei basilari

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principi dell’indivisibilità e dell’interdipendenza che ne reggono lasistematicità e quindi l’applicabilità di fronte alla negazione delladignità della persona umana.

Sul piano generale, i diritti legati alla figura del migrante deriva-no da alcune condizioni essenziali. Si è già visto come il riferimen-to essenziale sia al diritto di uscire dal territorio del proprio Stato,ovvero il principio che ogni individuo è libero di lasciare in ognimomento qualsiasi Paese. Le previsioni della normativa internazio-nale, dalla generale disposizione della Dichiarazione Universale deiDiritti dell’Uomo, hanno acquisito un carattere dispositivo e cogen-te nell’articolo12 del Patto internazionale sui diritti civili e politiciche pone come limite all’uscita dal proprio Paese le misure di ordi-ne pubblico o la sicurezza nazionale che pur nella loro generalità diformulazione sono, o possono diventare, altrettanti strumenti didiscrezionale limite all’esercizio dei diritti. Analogamente tali prin-cipi si ritrovano nell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla ConvenzioneEuropea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), all’articolo 22 dellaConvenzione interamericana dei diritti dell’uomo e all’articolo 12della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli . A questo siaffianca, quasi continuativa conseguenza, il diritto ad entrare in unaltro Paese, un aspetto che presenta immediate restrizioni legateessenzialmente all’esercizio della sovranità che portano ogni Stato adeterminare le condizioni di accesso, non avendo – né potendo – ildiritto internazionale capacità di porre dei limiti a tale esercizio. Lodimostra direttamente la previsione del richiamato articolo 12 delPatto che al § 4 si riferisce al diritto di un “cittadino” a rientrare nelproprio Paese, non a un diritto della “persona”. Resta poi il diritto dicircolazione all’interno dello Stato di arrivo , nel caso di uscita eingresso già realizzati sul rispetto, come si è detto, di norme e bilan-ciamenti adottati dallo Stato di ingresso. Certamente il riferimentoalla persona come titolare di diritti significa l’applicazione dei dirit-ti umani in ragione del soggiorno o della dimora su un territorio,indipendentemente da vincoli di cittadinanza, e costituisce lo sfon-do all’attribuzione dei diritti umani al migrante, o meglio al ricono-scimento dei suoi diritti.

Diversa è invece la situazione per diritti come quello al rispettodella vita privata e familiare o al matrimonio (inteso piuttosto nellesue conseguenze per l’ordinamento dello Stato di soggiorno odimora) o alle situazioni connesse alle garanzie giudiziarie e proces-suali, o ancora alla libertà di associazione e di riunione. Infatti, in

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relazione a questi diritti l’ordinamento interno può porre al migran-te dei limiti al loro godimento, motivati dalla sua condizione.Ancora di più tale limitazione trova riscontro nel diritto internazio-nale che è al momento applicabile al migrante entrato irregolarmen-te nel Paese: del resto la rivendicazione di uno di tali diritti compor-terebbe il riconoscimento della situazione di irregolarità e quindi ipossibili provvedimenti di espulsione. Proprio sulle procedure diespulsione permangono delle previsioni normative come quella con-tenuta nell’art. 13 del Patto sui diritti economici, sociali e culturalio nei Protocolli 4 e 7 della CEDU. Fermo restante la facoltà delloStato territoriale di procedere all’espulsione solo in ragione di pre-visioni normative e per motivi di sicurezza nazionale (“imperiosi” lidefinisce l’articolo 13 del Patto sui diritti civili e politici) o di ordi-ne pubblico, restano collegati a tale facoltà alcuni diritti esercitabilida parte del migrante. Si tratta della previsione di garanzie classichelegate al due process o comunque al contenzioso che il procedimen-to di espulsione o allontanamento può aprire, ma anche in questi casila copertura o l’applicabilità è limitata a quanti sono “legalmente nelterritorio di uno Stato”.

Una particolarità è rilevabile nelle norme applicabili alla condi-zione del migrante nel contesto della normativa convenzionale pro-mossa dal Consiglio d’Europa: la Convenzione sul diritto di stabili-mento del 1955, la Carta Sociale Europea, nella revisione del 1996e la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pub-blica del 1992. Tale normativa ha infatti un’applicabilità molto piùridotta rispetto a quella universale, rimanendo legata alla stretta reci-procità tra gli Stati parte e quindi ad una sorta di differenziazione (oapproccio differenziato) praticata nei confronti di migranti prove-nienti da Paesi diversi.

Resta naturalmente da verificare in quale misura si possono rico-noscere diritti ai migranti in ordinamenti interni che evidenzianoun’attenzione verso alcuni diritti o categorie di diritti, o ancora pon-gano lo scontro tra valori e cultura giuridica conseguente presentisul territorio, e valori e cultura giuridica conseguente propria deimigranti. Si tratta di un’esigenza a cui il diritto internazionale nondà, ne potrebbe, risposte definitive, pure avanzando come criterioquello della difesa delle identità, delle diversità culturali, della pro-tezione dei gruppi minoritari. Aspetti di non poco realismo, ma chenon mancano di sollevare questioni circa la loro connotazione diuniversalità. Del resto quello dell’universalità può continuare a

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costituire un ostacolo o ad essere un elemento di contrapposizionese non si modifica la sua applicazione e non tanto il suo concetto:ad essere universali non sono i diritti ma la persona, come ebbemodo di precisare Benedetto XVI all’Assemblea Generaledell’ONU il 18 aprile 200833. Universalità quindi come espressionedi quei core rights che hanno ormai assunto una completa indero-gabilità ed una ef fettiva cogenza, pur mantenendosi la distinzionetra i diritti garantiti in assoluto e quelli con possibilità di deroga,come mostra il riferimento – pur non uniforme – all’articolo 4 delPatto sui Diritti Civili e Politici , all’articolo 15 della CEDU eall’articolo 27 della Convenzione interamericana dei diritti dell’uo-mo che elencano i diritti ef fettivamente inderogabili, anche dalletradizionali norme di ordine pubblico e sicurezza nazionale. Adallargare la portata delle attribuzione dei diritti per il migrante, con-corrono poi le situazioni giuridicamente tutelabili relative alla suafamiglia per alcune delle quali appare chiaro il tentativo dellanorma internazionale di preservare anzitutto i membri più deboli.È il caso della protezione dell’identità del fanciullo per la cuieducazione la Convenzione sui diritti del fanciullo prevede il«rispetto dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valorinazionali del Paese in cui vive o di cui è originario e delle civiltàdiverse dalla propria» (art. 27) e quindi anche in un contesto terri-toriale diverso da quello di provenienza.

Sul piano delle violazioni dei diritti del migrante la situazionedeterminatasi negli ultimi anni ha evidenziato il fenomeno dell’im-migrazione irregolare a cui fa da pendant il contrabbando deimigranti (smuggling), un’attività ritenuta destabilizzante non soloper le situazioni interne degli Stati, ma anche per la dimensione giu-ridica internazionale che riprende preoccupazioni o attenzioni lega-te al rispetto dei diritti umani. Fenomeni interni negli ef fetti (è ilcaso della violazione delle politiche e delle leggi sull’immigrazio-ne), ma con cause transnazionali dal punto di vista giuridico, econo-mico e sociale come mostra il traffico legato alle organizzazioni cri-minali che sfuggono ai controlli statali perché strutturate in modode-localizzato o comunque operanti senza un ef fettivo o possibilecontrollo internazionale. Una necessaria precisazione riguarda il

33 Cfr. BENEDETTO XVI, Insegnamenti, vol. IV/1 (2008), Libreria EditriceVaticana, Città del Vaticano, 2009, pp. 618-626.

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significato che l’ordinamento internazionale riserva al contrabbandodei migranti. In primo luogo evidenziandone le differenze rispetto altraffico di esseri umani o alla tratta degli schiavi. L ’istituto definitocome smuggling of migrants è reso esplicito nei contenuti da unapposito Protocollo sul tema, allegato alla Convenzione delleNazioni Unite sulla criminalità or ganizzata del 2000 che, all’art.3.a, presenta alcuni elementi essenziali:

I) scambio tra migrante e trafficante: il primo beneficia dell’in-gresso illegale, il secondo di denaro o altri beni;

II) azione per ottenere guadagni economici o di altro tipo;III) ingresso illegale in uno Stato di stranieri o non residenti.

A differenza del traf fico o della tratta, nello smuggling ilmigrante partecipa al comportamento antigiuridico o alla condottafraudolenta e in questo si inserisce l’attenzione degli Stati a pro-teggersi rispetto all’immigrazione irregolare e non a garantire idiritti fondamentali. Questo in teoria, dal momento che nella pra-tica risulta difficile distinguere tra smuggling, traffiking o threat:per esempio per pagare il loro trasporto illecito, i clandestini siritrovano costretti a “lavorare” per conto delle or ganizzazioni cri-minali a cui appartengono i trafficanti, generalmente in condizionivessatorie o di sfruttamento. E questo fa registrare il passaggio dasmuggling a traffiking. L’art. 2 del Protocollo contiene diverse spe-cificazioni come, ad esempio, quella di considerare il crimine dischiavitù quando si registra la vendita o la cessione del migrante.Nel Protocollo, poi, sono previste misure di tutela dei diritti delmigrante, come ben evidenzia l’art. 16 con riferimento al dirittoalla vita, al divieto di tortura e di trattamenti inumani, alla prote-zione dalla violenza, alla protezione consolare. Certo sul pianodell’allontanamento o dell’espulsione può essere interessantenotare che il Protocollo parla di return del migrante nel proprioPaese e non di repatriation, per evitare così di utilizzare vantaggio reclamare diritti nello Stato di ingresso illegale. Va tenuto contoche già nel 1975 l’ILO con la Convenzione n. 143 sulle migrazio-ni abusive e la parità di trattamento dei lavoratori migranti ,all’art. 3 prevedeva misure per evitare migrazioni irregolari eimpiego illegale nonché di disposizioni contro le or ganizzazioniillegali e l’impiego di clandestini. Anche l’articolo 68.1 dellaConvenzione 1990 prevede analoghi impegni con alcune specifica-

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zioni quali la divulgazione di false notizie circa le migrazioni, san-zioni ai criminali del traf fico, procedimenti per coloro che usanoviolenza verso i migranti irregolari e loro famiglie. Qualcosa dianalogo al Protocollo contro lo smuggling che prevede nel caso dimigranti vittime di contrabbando che lo Stato di arrivo rispetti laloro privacy, fornisca informazioni circa gli strumenti di tutelagiudiziaria prevista, assicurando la relativa assistenza e fornisca ilnecessario supporto per un’assistenza psicologica, fisica, sociale(art. 6) come pure consenta la dimora sulla base di valutazioniumanitarie (art. 7).

Infine, può essere richiamato il diritto del mare codificato nellaConvenzione di Montego Bay del 1982 che pone l’obbligo allo Statodi bandiera delle navi utilizzate per il contrabbando dei migranti dioperare per la sicurezza in mare (art. 94) o, per questo tipo di attivi-tà criminali, prevenire l’uso della bandiera per (art. 99) oltre ai gene-rali obblighi di cooperazione interstatale. Inoltre il diritto di visita èconsiderato misura preventiva dello smuggling (art. 110.1).

A questi rinvii alla normativa esistente ed operante sul pianointernazionale vanno aggiunte alcune considerazioni particolari cherientrano nel più generale riconoscimento dei diritti del migrante.

Quanto alla responsabilità penale i migranti non sono soggettiall’azione penale per il solo fatto di essere giunti in un Paese attra-verso condotte illecite finalizzate all’ingresso illegale (del tipo traf-fico o uso di documenti falsi), come prevede il Protocollo sullosmuggling (art. 5) che incoraggia ad interpretare lo strumento pena-le come estrema ratio rispetto all’azione preventiva. Tale azione siconcretizza nell’obbligo di favorire una cooperazione nelle zone piùpovere «al fine di combattere le cause di carattere socio economicoche sono alla base del traffico di migranti» (art. 15.3).

Nello specifico della normativa europea, poi, costituisce un ele-mento essenziale la direttiva 2004/38/CE sul ricongiungimento delnucleo familiare che prevede parità di trattamento quanto al lavoro,all’istruzione e alla formazione, perché lega la questione della mobi-lità umana alla garanzia della libera circolazione delle persone limi-tandola però ad un concetto sempre più ripiegato sulla cittadinanzaeuropea che è poi espressione complementare delle cittadinanzenazionali. La direttiva non vieta diversità di trattamento neiriguardi di migranti cittadini di Stati terzi, dato che nell’articolo 3.2si mantiene la possibilità per gli Stati dell’Unione di applicarerestrizioni e limiti quanto all’ingresso o alla residenza di persone

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provenienti da Stati terzi 34. E questo anche in ragione di particolaricondizioni e situazioni legalmente stabilite nei Paesi di partenza, maincompatibili nello Stato di destinazione. L’esempio è dato dal pro-filo specifico della direttiva 2003/38/CE circa il ricongiungimentodel nucleo familiare, che all’articolo 4.4 prevede che uno Statodell’Unione non debba autorizzarlo in caso di matrimonio poligami-co. E questo, in ragione del principio dell’uguaglianza tra i coniugi.La direttiva quindi non prevede il ricongiungimento di un altroconiuge né di figli minorenni che il migrante abbia con un altroconiuge. Questo però potrebbe risultare in contrasto con quantoaffermato dalla CEDU, all’articolo 8, circa la tutela della vita fami-liare, come del resto in sede processuale ciò è già stato riscontrato inalcuni casi nei quali è stato ritenuto prevalente l’interesse superioredel fanciullo e così autorizzato il ricongiungimento della secondamoglie per consentirle di essere vicino al figlio minore 35. Rimaneperò in tutti gli atti del diritto dell’Unione Europea il riferimento alle“condizioni di integrazione” che significa di fatto riferimento allepolitiche migratorie e conseguenti legislazioni degli Stati membridell’Unione.

Nel quadro giu-ridico operantenel contesto

della Comunità inter-nazionale contemporanea quanto al problema della mobilità umana,ritroviamo alcuni indicatori che appartengono al contesto del dirittointernazionale generale ed a quello dei diritti umani.

Anzitutto quanto alla tipologia di intervento che è duplice: poli-tica e tecnica, ma i due aspetti non sono contrapposti bensì armoniz-zati, come mostrano, ad esempio, i criteri espressi nel principio dellaresponsabilità di proteggere. In particolare, la dimensione politicaoggi si muove tra l’obiettivo della sicurezza, ponendo in modo pro-blematico l’applicazione degli ordinari criteri di sicurezza, e un

34 Analogo interesse è dato dalla direttiva 2003/109/CE sullo status deiresidenti di lungo periodo.

35 Per l’Italia il riferimento è alle sentenze della Cor te d’Appello di Torino,del 18 aprile 2001; e del T ribunale di Bologna del 12 marzo 2003.

5. Elementi per una sintesi

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improbabile concetto di azione preventiva, tralasciando di sostene-re quelle attività capaci di individuare i problemi e le cause chedirettamente o indirettamente concorrono a determinare fenomeni dimobilità umana, fino veri e propri esodi di popolazione, sia da unPaese verso altri sia all’interno di uno stesso Paese in ragione dicause belliche, ambientali, economiche, alimentari. Quanto alprofilo tecnico, invece, accanto all’attività consolidata di Organismicome l’UNHCR o l’IOM, nel più ampio contesto dell’azioneumanitaria si inserisce l’istanza di creare sistemi di allarme rapidoa livello globale (rispetto a quelli parziali realizzati per il settorealimentare o della desertificazione, ad esempio) per operare imme-diatamente in caso di movimenti di popolazione.

L’evoluzione della normativa internazionale, poi, sembra orien-tarsi nel riconoscere non la supremazia degli interessi degli Stati maquella delle persone o dei gruppi di persone. In particolare i sistemidi tutela e promozione dei diritti umani cercano di superare ledistanze esistenti tra la normativa vigente e le nuove situazioni chesi presentano ormai quotidianamente in materia di mobilità umana.L’integrazione tra i principi e le norme del diritto umanitario e iprincipi e le norme dei diritti umani è una prima concreta risposta,come ad esempio nel caso degli spostamenti di popolazione dovutia conflitti armati. Quanto al rispetto della condizione del profugo, adesempio, si intravede il riconoscimento di un obbligo erga omnesper gli Stati che significa una limitazione – al momento condivisa invia di principio – sull’uso discrezionale di criteri come l’ordine pub-blico e la sicurezza nazionale per giustificare comportamenti volti afronteggiare una mobilità umana originata dallo stato di necessità oda crisi umanitarie. A questo si aggiunge che pur in mancanza di unospecifico principio o di una norma oltre quelli applicabili ai conflit-ti, che vieti il trasferimento o il movimento forzato di popolazio ni,esiste ormai una consolidata coscienza della Comunità internaziona-le che sostiene l’illiceità di comportamenti in tal senso. I presuppo-sti teorici di tale tendenza sono il rispetto della democrazia e deidiritti delle persone, e non dei soli cittadini, mentre esempi concretisono dati dallo Statuto della Corte Penale Internazionale che tra icrimini contro l’umanità annovera tra le violazioni sistematiche ladeportazione o il trasferimento forzato di popolazioni, come pure lostanziamento di popolazione allogena in un territorio occupato.Analoghe tendenze sono rilevabili nella codificazione dellaConvenzione sulla responsabilità internazionale degli Stati, che già

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all’art. l, tra le cause di responsabilità fa riferimento a “ogni attocontrario alla legalità internazionale” tra cui è incluso anche uncomportamento – attivo od omissivo – di uno Stato che ha comeconseguenza uno spostamento di popolazione.

A fronte di una normativa sostanzialmente favorevole al sogget-to debole (migrante, richiedente asilo, profugo), rimane però unaprassi quasi sempre orientata a limitare gli ef fetti della mobilitàumana all’interno di società con un elevato e consolidato livello disviluppo e benessere. La soluzione di questa contrapposizione sem-brerebbe affidata ad azioni efficaci e rispettose della dignità umananella gestione delle migrazioni, capaci di portare benefici attraversoi migranti sia alle società di provenienza sia a quelle di approdo. Maqueste strategie necessitano di larghi consensi, che siano il frutto diun’ampia convergenza intorno a valori condivisi riversata neglistrumenti della cooperazione, dei diritti e di tutti gli obiettivi dellaComunità internazionale. Un primo approccio potrebbe essere ladefinizione di una comune visione di governance delle migrazioni equindi della situazione dei migranti per la quale operino tutti i sog-getti responsabili o almeno coinvolti. Una visione fondata sul valo-re della reciprocità e del partenariato, tra persone, Stati, Istituzioniinternazionali, in grado di rimuovere rigide posizioni e garantirescelte per l’immigrazione dove non prevalgono solo prospettivelegate alla sicurezza e problematiche economiche, ma af fiori ancheuna dimensione ed un’azione sociale, culturale, religiosa che vogliaconcorrere alle decisioni ed alle politiche in materia di mobilitàumana in nome di una coerente sussidiarietà e capace di esprimersiattraverso lo strumento normativo e di garanzia di diritti e doveri.

Certo resta aperta la questione del rapporto tra legalità e illegalitàche però rischia di essere fine a se stesso se riportato ad una correttaconcezione dei diritti fondamentali. Infatti, come si è visto, se da unaparte i flussi migratori sono inarrestabili dall’altra l’ aiuto pubblicoallo sviluppo complessivamente considerato è ormai notevolmenteridotto36. E in che modo se non è attraverso lo sviluppo in locopuò controllarsi (dif ficile dire: arrestarsi) il fenomeno migratorio?

36 Secondo i dati for niti dal DAC dell’OECD, i Paesi donatori versano lo0,30 % del loro prodotto interno lordo (rispetto allo 0,33 % del periodo fino al2005), mentre complessivamente gli stessi Paesi nel 2008 hanno versato 119,8miliardi di dollari (Cf. OECD, Development Cooperation Report 2009, Paris,2010).

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Si eviterebbero così contrasti e forme di discriminazione non semprecontrollabili in termini di sicurezza e di ordine pubblico.

Proprio la non discriminazione, poi, non deve far dimenticarecome anche la normativa di accoglienza non è priva di insidie peruna corretta interpretazione ed applicazione delle norme sulle cosid-dette questioni sensibili: la richiamata direttiva 2004/38/CE, adesempio, negli articoli 2 e 3 fa riferimento a nuclei familiari “didiversa tipologia” imponendo allo Stato di accoglienza di riconosce-re nel caso di cittadini europei anche unioni di fatto, come pureunioni o legami giuridicamente contratti tra persone dello stessosesso. E questo anche se il Paese di accoglienza non preveda tutelagiuridica per tali forme “nuclei familiari”.

Resta naturalmente l’obiettivo primario che, si è visto, il dirittointernazionale persegue: tutelare la persona umana che è nella con-dizione di migrante. Ma è evidente che a dare sostegno ad un taleorientamento può essere solo l’incontro tra identità diverse in cui èpossibile scoprire cosa possa significare integrazione congruente enon assimilazione più o meno forzata e destinata ad esaurirsi già sulmedio periodo.

Sul piano giuridico questo potrebbe significare approfondire imodi per capire come sia possibile far ricorso alla norma propria oidentitaria del migrante, pur mantenendo diretto riferimento ai valo-ri propri delle comunità di accoglienza, invece di ricorrere automa-ticamente alla clausola dell’ordine pubblico in caso di conflitto dinorme. Sarebbe possibile restringere il ricorso all’ordine pubblicosolo se la legge straniera comporta una effettiva violazione dei dirit-ti fondamentali in particolare quanto all’uguaglianza e alla nondiscriminazione37? I rischi, altrimenti, non sono solo la conflittuali-tà e il disagio sociale, ma anche le strade già intraprese e pocanziricordate in cui una prassi giurisprudenziale o interpretativa – certa-mente meno controllabile rispetto al profilo normativo – posizionascelte discordanti e per altro anche poco fruibili da parte degli stes-si migranti.

37 Tale proposta sembra in linea con quanto espresso nella Istruzione Ergamigrantes caritas Christi (2004) del Pontificio Consiglio per la Pastorale deiMigranti e degli Itineranti che invoca «una crescente presa di coscienza» sulfatto che «è imprescindibile l’esercizio delle libertà fondamentali, dei diritti invio-labili della persona, della pari dignità della donna e dell’uomo, del principiodemocratico nel governo della società e della sana laicità dello Stato» (n. 66).

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Questioni importanti per l’oggi e per il futuro, inquadrate nellaprospettiva della sostenibilità umana che propongono una riflessio-ne su come ampliare il binomio sicurezza-benessere dei migranti, sucome garantire i diritti di chi arriva e quelli di chi c’è già, comebilanciare limiti all’ingresso e libertà di movimento, come favorireuna relazione non solo interculturale, ma anche inter generazionale.In nome dell’uguaglianza dell’umana natura.

A farsi strada è una tutela della persona per proteggerne i diritti,ma sempre di più non attraverso la caritas, bensì mediante la tolle-ranza che resta sinonimo di co-esistenza, ma non di condivisione. Inquesto quadro, diversificato quanto ai contenuti, ai principi ispirato-ri, agli strumenti giuridici si inserisce come soggetto da tutelare – o,al contrario, limitato nei suoi diritti – la persona umana nella suasituazione di migrante, richiedente asilo, o soggetto da integrar e.Uno status – e non una condizione soggettiva – che, invece, vede lapersona “abbandonata”, “sofferente”, “esclusa”. Alle regole interna-zionali si domanda di interpretare, comprendere, modificare talecondizione in funzione del riscatto della dignità umana. L ’idea siconcretizza in norme specifiche che regolano la migrazione, ma cheoggi sono inadeguate rispetto ai grandi interrogativi: quale conce-zione legare al migrante economico? quale al migrante politico?quale al migrante reso tale in ragione del ricongiungimento ad unnucleo familiare?

Se la condizione di migranti, richiedenti asilo o soggetti da inte-grare non trova collocazione nella tradizionale considerazione fattadal diritto internazionale circa lo straniero e riguardante il profilodell’ammissione o dell’allontanamento dal territorio di uno Statodiverso da quello di origine o di partenza, rimane certamente unasituazione che riguarda la condizione giuridica dello straniero chedimora sul territorio di uno Stato. Specificamente, però, tocca gliostacoli, le barriere, le leggi, le politiche e in generale gli atteggia-menti dei governi che possono limitare o impedire tale dimora.

Di qui l’ idea del riscatto che passa attraverso situazioni nellequali la tematica dei diritti umani appare in tutte le sue dimensioni eprofili: da quella strutturale dei diritti civili e politici (vita, asilo,apolidia, lavoro) a quella più articolata e problematica collegata aidiritti economici sociali e culturali (inserimento, non discriminazio-ne, partecipazione, decision making, riconoscimento di culture dif-ferenti…). È la contraddizione di un mondo globalizzato dove men-tre sempre più avanza un’apertura degli spazi sovrani alla dimensio-

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ne economica (capitali, commercio, servizi finanziari di altro tipo),appaiono ancora insormontabili le chiusure poste nei confronti dellapersona umana. Questo atteggiamento non aiuta i processi di svilup-po, la crescita economica e strutturale o una tutela ef ficace delladimensione umana. Non concorre, cioè, alle cause del fenomenodella mobilità umana, con gruppi particolarmente deboli costretti alasciare le proprie terre in ragione di negative condizioni di vita, dilibertà, di sicurezza o di bisogni socio-economici, in ragione cioè diuna instabilità umanitaria.

Il diritto internazionale è chiamato a dotarsi di un nuovo paradig-ma per riscattare la realtà di migranti, richiedenti asilo o soggettida integrare, che ancora risente molto di quanto elaborato insenso punitivo all’interno dei singoli Paesi in termini legislativi edi indirizzo, o attraverso la funzione giurisdizionale chiamata adaffrontare le situazioni patologiche della mobilità umana (ad esem-pio l’espulsione). Il riscatto passa dall’interrogativo: fino a chepunto (e se è possibile) il migrante, il richiedente asilo, il soggettoda integrare possono essere oggetto di trattamento analogo a quellodel cittadino? L’idea di una riconciliazione mediante il diritto inter-nazionale è possibile?

Per riconciliare l’umanità con Dio, «Gesù spogliò se stesso assu-mendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Filippesi 2,5-11).Non è una soluzione, ma è una risposta basata sul fondamentalerispetto di quel senso di “umanità” che non permette negazione orevoca poiché crea obblighi in assoluto nella condotta degli Stati:questo significa, a prescindere anche dal mancato rispetto dellenorme di ingresso in un Paese, il diritto alla vita, alla salute, a nonessere ridotto in schiavitù, a non essere detenuto arbitrariamente anon essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.

Tutelare i diritti legati alla mobilità umana significa collocare alcentro della riflessione giuridica la “salvezza” della dignità umana,considerandola un dono fatto ad ogni persona e un fattore essenzia-le di stabilità internazionale. C’è una sola realtà che nessuno è ingrado di togliergli: la fiducia di essere amato da Dio.

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EMIGRATION, ASYLUM, INTEGRATION: A NEWPARADIGM FOR INTERNATIONAL LAWVincenzo Bonomo

International and local government laws are expected to give manyanswers in view of the challenges that they face today due to peo-ple’s great mobility. Such answers need to r efer to various issues:population dynamics, situations of conflict, aspirations towar ds adignified lifestyle, the need to guarantee basic human rights to emi-grants who are seeking asylum or to those who need to be integrat-ed. It is therefore necessary to cultivate attitudes of comprehension,assistance and solidarity that may be expressed through the vehicleof law. Above all, research into new parameters of a cultural natureis needed, so that they can be put into practice in corr espondingbasic principles and norms of behaviour for the management, deci-sions and governance of the emigration phenomenon. In such judi-cial reflections, the Cross allows us to assign a central place to thesalvation of human dignity , considering the latter a gift to everyhuman being and an essential factor in international stability .

MIGRATION, ASILE, INTÉGRATION: UN NOUVEAUPARADIGME POUR LE DROIT INTERNATIONALVincenzo Bonomo

Les réponses que le dr oit international et le dr oit intérieur sontappelés à donner face aux défis posés aujour d’hui par la mobilitéhumaine, demandent a faire référence aux dynamiques de la popu-lation, aux situations de conflit, aux aspirations à un niveau de viedécent, à la garantie des dr oits fondamentaux de la personnehumaine dans sa situation de migrant, qui demande asile, ou sujetà être intégré. Cela exige des attitudes de compréhension, d’assis-tance et de solidarité à être exprimées par les instruments du droit,mais surtout la recherche de nouveaux paramètres d’ordre culturelà traduire en d’autres principes de base et normes de conduite pourla gestion, les choix et la gouvernabilité du phénomène migratoir e.La Croix permet de placer au centr e de la réflexion juridique lesalut de la dignité humaine, la considérant un don pour chaque per-sonne et un facteur essentiel de stabilité internationale.

FRA

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MIGRACIÓN, ASILO, INTEGRACIÓN: UN NUEV OPARADIGMA PARA EL DERECHO INTERNACIONALVincenzo Buonomo

Las respuestas que el der echo internacional y el der echo internoestán llamados a dar frente a los desafíos puestos hoy de la movili-dad humana, piden hacer r eferencia a las dinámicas de la pobla-ción, a las situaciones de conflicto, a las aspiraciones de un tenorde vida digno, a la garantía de los der echos fundamentales de lapersona humana en su situación de migrante, solicitante de asilo, osujeto a integrar. Son necesarias actitudes de comprensión, asisten-cia y solidaridad que se expr esen a través de los instrumentos delderecho, pero sobre todo la búsqueda de nuevos parámetr os deorden cultural que se traduzcan igualmente en principios de base ynormas de conducta para la gestión, las opciones y la gobernabili-dad del fenómeno migratorio. La Cruz permite colocar en el centrode la reflexión jurídica la salvación de la dignidad humana, consi-derándola un don hecho a cada persona y un factor esencial deestabilidad internacional.

MIGRATION, ASYL, INTEGRATION: EIN NEUESPARADIGMA FÜR DAS INTERNATIONALE RECHT

Vincenzo Bonomo

Die Antworten, welche das internationale Recht und das interneRecht geben müssen, bezüglich den Herausforderungen die von dermenschlichen Mobilität gegeben sind, for dern einen Bezug auf dieDynamiken der Menschheit, auf die Umstände der Konflikte, aufden Wunsch nach einem würdigen Lebensstiel, auf die Garantie derfundamentalen Rechte der Person in seiner Situation als Migrant,als Asylsuchender, oder als Person zu integrieren.Es braucht eine Haltung des V erständnisses, Assistenz, Solidaritätdie man durch die Instrumente des Rechts ausdrücken soll, aber vorallem die Suche nach neuen Richtlinien auf kultur eller Ebene dieman dann übersetzen soll, in Grundprinzipien undVerhaltensnormen um das Phänomen der Migration verwalten, ent-scheiden und regieren zu können. Das Kr euz erlaubt, dass man indie Mitte der r echtlichen Überlegung das Heil der menschlichen

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Würde setzt, indem man sie als Gabe betrachtet, die jeder Persongegeben ist, und als ein grundlegender Faktor der internationalenStabilität.

MIGRACJA, AZYL, INTEGRACJA: NOWYPARADYGMAT W PRAWIE MIĘDZYNARODOWYMVincenzo Buonomo

Odpowiedzi, jakie prawo międzynar odowe i krajowe powinny daćwobec wyzwań stawianych dzisiaj przez mobilność ludzi, wymagająodniesienia do dynamik populacji, do sytuacji konfliktowych,do poszukiwania godnego poziomu życia, do zapewnieniaprzestrzegania podstawowych praw człowieka w sytuacjiemigranta, kogoś kto występuje o azyl czy osoby , którą należyzintegrować ze społeczeństwem. Konieczne są postawy zrozumienia,opieki, solidarności wyrażającej się poprzez narzędzia prawne, aleprzede wszystkim poszukiwanie nowych parametrów należących dosfery kultury, którym należy nadać formę zasad podstawowychi norm postępowania odnoszących się do kier owania, decyzji izdolności zarządzania zjawiska migracji. Krzyż pozwala umieścićw centrum refleksji prawnej mającej na celu zachowanie godnościludzkiej, uznając ją za dar dla każdej osoby i czynnik istotny dlastabilizacji międzynarodowej.

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di MARIO COLLU, C.P.1

Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altruiscale.

(Dante, Paradiso, XVII, 58-60)

Introduzione

La Bibbia offre molteplici approc-ci ai temi dell’immigrazione e dellamulticulturalità. Noi seguiremo alcu-ne linee teologiche, che richiamano lastoria della salvezza. Questa, oltre acontenere la narrazione di grandimigrazioni è per se stessa anche multiculturale. Questo non perchél’uomo sia per natura nomade e culturalmente dissociato, ma perchéha perso la sua originaria integrità, verso la quale è chiamato fatico-samente a ritornare. Potremo, quindi, tracciare la seguente parabola:dal lógos al caos e, viceversa, dal caos al lógos.

Svilupperemo, in particolare, i seguenti temi ispirati ai raccontidell’Antico e del Nuovo Testamento: 1.1 In principio era il lógos 1.2Poi venne il caos 1.3 Abramo, l’Arameo errante 1.4 Amerai lo stra-niero 1.5 Sono un forestiero 2.1 E il Lógos si è fatto carne 2.1 Gesù,lo straniero 2.3 E il Lógos si diffondeva (At 6,7) 2.4 Il Lógos dellacroce (1Cor 1,18) 2.5 Stranieri e pellegrini.

EMIGRAZIONE EMULTICULTURALITÀ:ASPETTI BIBLICI

1 Docente alla Pontificia Università Lateranense.

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1.1 In principio era il lógos (Gen 1-2)

Il Dio biblico è essenzialmente dia-logico, libero, personale,separato dal cosmo. Egli crea e mantiene in essere tutte le cose conla sua parola. Al lógos creatore deve, quindi, necessariamente corri-spondere sia l’ordine razionale del cosmo sia quello morale e spiri-tuale dell’uomo. Il lógos di Dio, identificato nell’Antico Testamentocon la sapienza, si comunica, quindi, al cosmo 2. Di questo lógos neè fatto partecipe anche l’uomo, il quale lo esprime nell’attribuire unnome a ogni essere vivente (Gen 2,19-20), dando così senso allecose.

La bontà originaria della creazione è espressa dal ritornello chene accompagna il primo racconto (Gen 1,1-2,4a): «Dio vide che eracosa buona» (Gen 1,4.10.12.18.21.25), mentre riguardo all’uomo,creato a sua immagine e somiglianza, Dio af ferma che «era cosamolto buona» (Gen 1,31).

Oltre alla bontà è dichiarata anche la molteplicità, presuppostadallo stesso lógos, che attende la risposta da un tu libero e coscien-te. Dio, infatti, oltre a creare l’uomo capace di dialogo con lui locrea anche in dialogo con se stesso - «maschio e femmina li creò»(Gen 1,27) – e con il cosmo: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riem-pite la terra e soggiogatela» (Gen 1,28).

Il secondo racconto della creazione (Gen 2,4b-24) aggiunge altrielementi. Dopo aver creato l’uomo con la polvere del suolo, Dio vieffonde il suo respiro (Gen 2,7) e lo pone nel giardino di Eden, conl’ordine di coltivarlo e custodirlo (Gen 2,15). Uomo e donna, poi,sono messi l’uno di fronte all’altra (Gen 2,18: di fronte a lui\ keneg-dô) in dialogo reciproco. Un dia-logo che deve necessariamenteavere lo stesso lógos, perché possa essere un aiuto co-rispondente. Illógos con il quale l’uomo dà senso alla sua relazione con la donna è

2 Nell’Antico Testamento la parola di Dio, ma anche la parola umana, èmessa in stretta relazione con la sapienza. È nella stessa essenza di Dio e del-l’uomo, infatti, manifestare il suo essere attraverso la parola. Dio crea e rivelase stesso attraverso la parola. L’uomo, creato a sua immagine, prende coscien-za di se stesso attraverso la parola interiore (ragione) ed entra in relazione conDio, con il creato (cf Gen 2,19-20) e con il prossimo (cf Gen 2,23) per mezzodella parola. Sapienza e parola sono, infine, personificate e svolgono ambe-due un ruolo creatore (Sap 9,1-2) e salvatore (per la sapienza cf Sap 9,18;10,4.9; per la parola: Sap 16,12; 18,15).

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uguale a quello con il quale dà senso alla sua relazione con Dio econ il cosmo, perché proviene dall’unica fonte che è Dio. Anche ladonna, infatti, è chiamata all’esistenza non solo dal lógos di Dio, maanche da quello dell’uomo, che la riconosce: «La si chiamerà donna,perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23).

Tutti gli uomini, quindi, per la Bibbia, hanno la stessa dignità,perché sono stati tutti creati dallo stesso lógos di Dio, hanno ricevu-to in dono lo stesso soffio vitale3, sono stati tutti introdotti nel mede-simo giardino con l’ordine di lavorarlo e custodirlo. Intorno a que-sto dato fondamento si è ormai teoricamente tutti d’accordo 4, anchese all’atto pratico le cose vanno in tutt’altro modo. Si nasce, infatti,uguali, ma si diventa e si vive dif formi, incapaci di accogliersi.Perché?

La stessa Bibbia risponde narrando il primo, il prototipo, di tantialtri espatri dell’uomo, quello dall’Eden.

1.2 Poi venne il caos (Gen 3-11)

La permanenza dell’uomo nel giardino era condizionata al rispet-to di una regola essenziale: quella del riconoscimento di Dio comeunica fonte del suo bene (Gen 2,16-17). L’uomo, tuttavia, non accet-tò alcuna limitazione, perciò «il Signore Dio lo scacciò dal giardinodi Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciòl’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiam-ma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita»(Gen 3,23-24)5.

3 «Dio è solo indirettamente all’origine della vita della vegetazione e deglianimali, mentre nell’uomo, questa è provocata direttamente da Dio, attraversol’infusione del suo «alito vitale» - della sua nefesh (Gen 2,7; cf Nm 27,16; Gb12,10) o della sua rûach (Gen 6,3.17; 7,15.22; cf Nm 16,22; Sal 104,29s;Gb 34,14s) - che egli solo possiede» (M. F . COLLU, Vita cristiana e salvezza ,Lateran Press, Città del Vaticano, 2011, 9.

4 Il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani affer ma:«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dota-ti di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fra-tellanza».

5 Scrive sant’Agostino: «Inizio di ogni peccato appunto è la superbia (Eccli10,15). E la superbia è il desiderio di una superiorità a rovescio. Si ha infattila superiorità a rovescio quando, abbandonata l’autorità cui si deve aderire, si

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La decisione dell’uomo di potersi costruire senza Dio provoca ilsuo estraniamento non solo da Dio e da se stesso: «Ma il SignoreDio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito latua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sononascosto”» (Gen 3,9-10), ma anche dal fratello: «Allora il Signoredisse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so.Sono forse io il custode di mio fratello?”» (Gen 4,9).

Nonostante l’uomo sia ormai diventato straniero verso il propriofratello, le genealogie bibliche, che accompagnano lo sviluppo sto-rico dell’umanità in generale (Gen 1-1 1) e quello particolare deidiscendenti d’Israele (Gen 12-50), manifestano «i rapporti esistentitra Israele e i popoli vicini da una parte, fra i diversi clan di Israelee di Giuda dall’altra»6.

Genesi dieci ci offre l’elenco di una settantina di popoli, discen-denti tutti dagli unici sopravissuti al diluvio universale: Noè e i suoifigli Sem, Cam e Iafet (Gen 6-9). Dai figli di Iafet «derivarono legenti disperse per le isole, nei loro territori, ciascuna secondo la pro-pria lingua e secondo le loro famiglie, nelle rispettive nazioni […].Questi furono i figli di Cam secondo le loro famiglie e le loro lin-gue, nei loro territori e nelle rispettive nazioni […]. Questi furono ifigli di Sem secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro terri-tori, secondo le rispettive nazioni. Queste furono le famiglie dei figlidi Noè secondo le loro genealogie, nelle rispettive nazioni. Dacostoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio» (Gen10,5.20.31-32)7.

diviene e si è in qualche modo autorità a se stessi. A vviene quando disordina-tamente si diviene fine a se stessi. E si è fine a se stessi quando ci si distaccadal bene immutabile, che deve esser fine più che ciascuno a se stesso»(AGOSTINO DI IPPONA, La città di Dio. Nuova biblioteca Agostiniana, V/2, CittàNuova Editrice, Roma 1998, Libro XIV, 13,1).

6 É. LIPI SKI, «Genealogia», in Dizionario enciclopedico della Bibbia ,Borla/Città Nuova, Roma 1995 (or. fr. 1987). Sul significato delle genealogienel libro della Genesi vedi J. L. S KA, Introduzione alla lettura del Pentateuco ,EDB, Bologna 2000, 31-37.

7 «Per l’Antico Testamento, come del resto per tutto l’oriente antico, la vitaindividuale è possibile solo dentro la comunità: famiglia, tribù e nazione. È,infatti, attraverso la discendenza che l’individuo si lega agli antenati e soprav-vive a se stesso. Anche quando Dio stabilisce delle alleanze con delle singolepersone, lo fa sempre in vista di una numerosa discendenza (Gen 9,9: Noè;Gen 15,18: Abramo). Lo sradicamento dalla comunità significa per l’individuo

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L’unità originaria del genere umano è di nuovo affermata nel rac-conto eziologico della costruzione della torre di Babele: «T utta laterra aveva un’unica lingua e uniche parole». Unità, tuttavia, per laBibbia, non significa omologazione etnica, politica, culturale, eco-nomica e perfino religiosa, perché ciò è contro lo stesso disegno ini-ziale di Dio di moltiplicarsi e riempire la terra (Gen 1,28) 8.

Il tentativo dei vari imperi mesopotamici di costruire «una città euna torre» (Gen 11,4) dalle dimensioni spropositate è punito da Dio,sia perché nella sua estensione orizzontale il progetto comprende«tutta la terra» (Gen 11,1) e «tutti gli uomini» (Gen 11,2.5), che devo-no formare un solo popolo e una sola lingua (Gen 1 1,6) sia perchénella sua estensione verticale è costruita contro Dio o in nome di dèiasserviti al potere politico, al solo scopo di farsi un nome (Gen 1 1,4).

Ancora una volta la hybris dell’uomo propone la propria autorea-lizzazione, ma ancora una volta Dio la umilia con la confusionedelle lingue e la conseguente incapacità di dialogo reciproco: «IlSignore disse: “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tuttiun’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quantoavranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamodunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano piùl’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terraed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamòBabele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di làil Signore li disperse su tutta la terra» (Gen 1 1,1-9).

La condizione dell’uomo, per la Bibbia, nell’attuale situazione, èdi essere straniero sulla terra, nell’attesa che lo stesso Dio lo riportinel giardino dove era stato posto all’inizio e da cui è stato cacciato.Dice il Salmo 127: «Se il Signore non costruisce la casa, invano siaffaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invanoveglia la sentinella».

la morte sociale e religiosa (Es 22,19; Nm 19,20; Dt 23,2-9). L ’istituzione delRedentore\Vendicatore (gôel) ha lo scopo di reintrodurlo con i suoi beni nellacomunità (Lv 25,23-55) o di vendicarne le offese (Nm 35,12.19-34). Fra i moltititoli che Dio riceve, uno dei più impor tanti è quello di Redentore (Sal 19,15;78,35; Is 41,14; 43,14; 44,6.24; Ger 50,34)» (COLLU, Vita cristiana e salvez-za, 13).

8 Cf A. BONORA, «Lavoro», in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a curadi P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi)1988, 780.

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1.3 Abramo, l’Arameo errante (Gen 12,1-3; Dt 26,5)

La storia di questo ritorno comincia con Abramo, l’«Arameoerrante» (Dt 26,5)9. Egli riceve l’ordine di uscire dalla terra dell’ido-latria, dalla sua parentela e dalla sua casa (Gen 12,1), perché in lui«si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3).

Abramo è chiamato a camminare come pellegrino nella fede,affinché diventi padre di molti popoli e la sua benedizione passi atutte le famiglie della terra. Fidandosi, quindi unicamente di Dio,d’ora in poi, egli e i suoi discendenti vivranno da stranieri\ gerîm(Abramo: Gen 12,10; 20,1; 21,23.34; Lot: Gen 19,9; Isacco: Gen26,3; Giacobbe: Gen 32,5; 47,4.9) 10. Quando deve contrattare congli Ittiti la compra di un campo dove seppellire sua moglie Sara, sidefinisce: «forestiero e di passaggio in mezzo a voi» (Gen 23,4).

Dio predice ad Abramo che anche la sua discendenza vivrà dastraniera in terra d’Egitto: «Sappi che i tuoi discendenti sarannoforestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e sarannooppressi per quattrocento anni» (Gen 15,13).

Questa condizione di straniero sarà, poi, codificata nel credo deu-teronomistico: «Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vistette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazionegrande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliaro-

9 Scrive sant’Ireneo: «Giustamente, dunque, dopo aver lasciato tutta la suaparentela terrestre, seguiva il suo V erbo, facendosi straniero con il V erbo perdiventare concittadino del Verbo. Giustamente anche gli apostoli che discende-vano da Abramo, lasciata la barca e il padre, seguivano il Verbo. Giustamenteanche noi, che abbiamo la stessa fede di Abramo, presa la croce come Isaccoprese la legna, seguiamo lui. In Abramo l’uomo aveva imparato in precedenzae si era abituato a seguire il Verbo di Dio. Abramo infatti, secondo la sua fede,seguì il precetto del Verbo di Dio, offrendo volentieri in sacrificio a Dio il suoproprio figlio unico e diletto, affinché Dio si compiacesse di offrire il suo pro-prio Figlio diletto ed unico per il nostro riscatto» (I RENEO DI LIONE, Contro le ere-sie e gli altri scritti , Introduzione, traduzione, note e indici a cura di E. Bellini,Jaca Book, Milano 1979, IV, 5,3-4). Vedi anche E. BIANCHI, Ero straniero e miavete ospitato, Rizzoli, Milano 2006, 26.

10 Cf D. K ELLERMANN, «gûr, g r, g rût, me gûrîm», in Grande Lessicodell’Antico Testamento, a cura di A. Castini e R. Contini, Paideia, Brescia 1988(or. ted. 1973), I, 2001; J. S CHNEIDER, «xe,noj», in Grande Lessico del NuovoTestamento (ed. ted. a cura di G. Kittel – G. Friedrich; ed. it. a cura di F .Montagnini – G. Scarpat – O. Soffritti), Paideia, Brescia 1972 (ed. ted. 1954),VIII, 25-44.

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no e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, alDio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide lanostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; ilSignore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccioteso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse inquesto luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele»(Dt 26,5-9)11.

1.4 Amerai lo straniero (Lv 19,34)

Con la liberazione dalla schiavitù egiziana e il possesso dellaterra promessa sembrerebbe che Dio abbia ormai realizzato almenoin parte, per Israele, il suo piano di far rientrare l’uomo nel giardinodi Eden, ma non è così. Il possesso della terra è un dono condizio-nato all’osservanza della legge, che Dio può togliere quando vuole,«perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospi-ti» (Lv 25,53). Israele continua a considerarsi ospite di Dio nellaterra da lui ricevuta e per questo ha il dovere di essere ospitale. Diolo ha riscattato dalla terra degli idoli e gli ha concesso una terra, perservirlo e camminare con lui. La legge, che Israele accetta comesegno dell’alleanza stipulata al Sinai (Es 24), ristabilisce il diritto diDio sull’uomo, sul suo tempo e il suo lavoro: «Osserva il giorno delsabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato.Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è ilsabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu,né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né iltuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimo-ra presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino comete. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che ilSignore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccioteso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno delsabato» (Dt 5,12-15).

11 Il profeta Ezechiele così descrive le origini d’Israele: «Tu sei, per origine enascita, del paese dei Cananei; tuo padre era un Amorreo e tua madre un’Ittita»(Ez 16,3). Lo stesso termine «Ebreo» potrebbe derivare dal verbo ‘ bar = passa-re oltre, migrare, da cui ‘ ber = l’altro lato di un fiume (Gen 50,10), del mare(Ger 25,22), della frontiera (Gs 22,11). Il ter mine Ebreo\‘ibrî è, quindi, vicinoa migrante, straniero (LIPI SKI, «Ebreo», in Dizionario enciclopedico della Bibbia.

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Il rispetto per lo straniero è fondato sullo statuto storico diIsraele, il quale ha vissuto da straniero in terra d’Egitto: «Non mole-sterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieriin terra d’Egitto» (Es 22,20; cf 23,9; Dt 24,17-18).

La legge, comunque, impone non solo il rispetto, ma anchel’amore. Tra i suoi precetti fondamentali, infatti, incontriamo quellodell’amore non solo per il connazionale: «Non ti vendicherai e nonserberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo pros-simo come te stesso. Io sono il Signore» (Lv 19,18), ma anche perlo straniero: «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come coluiche è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi sietestati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv19,34).

Come l’amore privilegiato di Dio per Israele non esclude quelloper lo straniero, così anche la risposta amorosa d’Israele oltre che aDio deve rivolgersi necessariamente anche allo straniero. Alladimensione teologica verticale deve corrispondere, quindi, quellastorico-antropologica orizzontale: «Il Signore predilesse soltanto ituoi padri, li amò e, dopo di loro, ha scelto fra tutti i popoli la lorodiscendenza, cioè voi, come avviene oggi. Circoncidete dunque ilvostro cuore ostinato e non indurite più la vostra cervice; perché ilSignore, vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Diogrande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali,rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dàpane e vestito. Amate dunque il forestiero, perché anche voi fosteforestieri nella terra d’Egitto» (Dt 10,15-18).

Tutto questo, tuttavia, non libera automaticamente lo stranierodalla marginalità12, anzi i ripetuti richiami a non opprimere «lo stra-niero, l’orfano e la vedova» (Dt 24,17; 27,19; Ger 7,6; 22,3; Ez22,7.29; Zc 7,10; Ml 3,5; Sal 94,6; 146,9) dimostrano come questetre categorie siano particolarmente a rischio. La stessa legge proibi-

12 Cf Sir 29,23-28: «Sii contento del poco come del molto, e non ti sentirairinfacciare di essere forestiero. Brutta vita andare di casa in casa, non potraiaprire bocca dove sarai forestiero. Dovrai accogliere gli ospiti, versare vinosenza un grazie, e oltre a ciò ascolterai parole amare: “Vieni, forestiero, appa-recchia la tavola, se hai qualche cosa sotto mano, dammi da mangiare”.“Vattene via, forestiero, c’è uno più importante di te, mio fratello sarà mio ospi-te, ho bisogno della casa”. Per un uomo che ha intelligenza sono dure questecose: il rimprovero di essere forestiero e l’insulto di un creditore».

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sce allo straniero di mangiare la Pasqua, senza che prima sia circon-ciso: «Questo è il rito della Pasqua: nessuno straniero ne deve man-giare» (Gen 12,43; cf 12,48). In questo caso lo straniero è conside-rato un proselita - così traduce la LXX il termine ebraico ger (cf Es12,48; 20,10; 23,12; Lv 17,12; Nm 15,14; Dt 5,14) - completamen-te integrato nella comunità di Israele (cf Gs 8,33-35; Is 14,1; Ez14,7; 47,22-23; 2Cr 30,25)13.

L’identità d’Israele come popolo non consiste nella sua purezzaetnica14 e nemmeno nel possesso della terra 15, ma dal suo rapportocon il Dio dei padri. Israele, quindi, può continuare ad esistere soloper la fede, come ammonisce il profeta Isaia al re Acaz, impegnato acercare appoggi politici per sopravvivere allo scontro con le grandipotenze del tempo: «Se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9) 16.

13 Cf KELLERMANN, «gûr, g r, g rût, me gûrîm», in Grande Lessico del NuovoTestamento, 2018.

14 All’esodo dall’Egitto partecipa «una grande massa di gente promiscua»(Es 12,38) e «gente raccogliticcia» (Nm 11,4). J. B RIGHT, Storia dell’anticoIsraele, dagli albori del popolo ebraico alla rivolta dei Maccabei , NewtonCompton Editori, Roma 2006 (or . ingl. 4th 2000), 151, scrive: «Il suocero diMosè era madianita e si dice che il suo clan si fosse unito a Israele durante lamarcia (Nm 10,29-32) […] ciò non esaurisce la documentazione. Ma è suffi-ciente a mostrare che Israele, anche nel deser to, aveva raccolto gruppi di ori-gine diversa, alcuni dei quali senza dubbio non erano stati in Egitto né al Sinai,ma – come si potrebbe affer mare – si erano conver titi». Recentemente la tesidello storico Israeliano SHLOMO SAND, L’invenzione del popolo ebraico, Rizzoli,Milano 2010, ha suscitato molte polemiche. Egli nega l’esistenza del popoloebraico, formato da un miscuglio di gente, che in vari periodi storici, si sareb-be convertita alla legge mosaica. Elena Loewenthal, anch’essa Ebrea, cosìrisponde: «Certamente gli ebrei non sono una razza, come avrebbero volutoHitler, Mussolini e tanti altri. Ma è altrettanto poco sostenibile l’idea che sianouna comunità religiosa e nient’altro» (E. L OEWENTHAL, in T uttolibri, 1741:http://www.scribd.com/doc/43695578/Tuttolibri-n-1741-20-11-2010).

15 Cf la lettera di Geremia ai depor tati in Babilonia: «Cercate il benesseredel paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dalbenessere suo dipende il vostro» (Ger 29,7).

16 Scrive R. E. CLEMENTS, «gôj», in Grande Lessico dell’Antico Testamento, I,1981: «Israele era consapevole, in quanto gôj dotato di un carattere religiosoparticolare, di essere diverso dagli altri gôjm e di avere obblighi morali, politi-ci e religiosi straordinari (Nm 23,9)». E. Bianchi riconosce che «L ’identità diquesto popolo non coincide né con l’etnìa né con una terra.. ma si esprimeunicamente attraverso la sua fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe»(E. BIANCHI, Ero straniero e mi avete ospitato , Rizzoli, Milano 2006, 29).

Anche se Israele ha sempre coltivato un messianismo nazionali-stico politico, questo è stato causa anche di profonde amarezze. Alparticolarismo nazionalistico (cf Esd 9-10; Est 3,13d-e), tuttavia, si èsempre contrapposta una visione universale della sua missione, giàcontenuta nelle promesse fatte ad Abramo (Gen 12,3), richiamatadai profeti (cf Is 42,1-9; 66,19-21; Zc 14,16-19) e sostenuta esplici-tamente dai due libretti di Rut e di Giona.

1.5 Sono un forestiero (Sal 39,13)

L’ultimo aspetto che vorremo evidenziare nel concetto veterote-stamentario di straniero è ciò che potremo identificare come unostatus spirituale permanente: il vivere da stranieri su questa terra. Ilsalmista si rivolge a Dio richiamando la sua attenzione sulla suasituazione di forestiero e ospite: «Ascolta la mia preghiera, Signore,porgi l’orecchio al mio grido, non essere sordo alle mie lacrime, per-ché presso di te io sono forestiero, ospite come tutti i miei padri»(Sal 39,13). «Forestiero sono qui sulla terra: non nascondermi i tuoicomandi» (Sal 119,19).

Anche nella preghiera di Davide l’uomo è straniero non solosulla terra, ma anche davanti a Dio: «E chi sono io e chi è il miopopolo, per essere in grado di of frirti tutto questo spontaneamente?Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, tel’abbiamo ridato. Noi siamo forestieri davanti a te e ospiti come tuttii nostri padri. Come un’ombra sono i nostri giorni sulla terra e nonc’è speranza» (1Cr 29,15). Tutto viene da Dio e tutto a lui deve esse-re riportato. Gli uomini davanti a lui altro non sono che sempliciforestieri e ospiti. Il vivere da stranieri è praticato in modo radicaledai Recabiti, i quali hanno ricevuto dal loro antenato Recab que-st’ordine: «Non berrete vino, né voi né i vostri figli, mai; noncostruirete case, non seminerete sementi, non pianterete vigne e nonne possederete, ma abiterete nelle tende tutti i vostri giorni, perchépossiate vivere a lungo sulla terra dove vivete come forestieri» (Ger35,6-7).

Geremia implora l’intervento salvatore di Dio, accusandolo dicomportarsi da straniero sulla terra: «O speranza d’Israele, suo sal-vatore al tempo della sventura, perché vuoi essere come un forestie-ro nella terra e come un viandante che si ferma solo una notte?» (Ger14,8). Non solo l’uomo è straniero a Dio, ma anche Dio all’uomo.

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Ognuno sembra destinato ad andare per la sua strada senza incon-trarsi.

2.1. E il Lógos si è fatto carne (Gv 1,14)

Il prologo del vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18), dopo aver pre-sentato il ruolo del Lógos di Dio nella creazione (Gv 1,1-5), lodescrive profondamente compromesso e, allo stesso tempo, estraneoalla storia degli uomini: «Era nel mondo e il mondo è stato fatto permezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra isuoi, e i suoi non lo hanno accolto… E il Verbo si fece carne e vennead abitare in mezzo a noi» (Gv 1,11-12.14).

L’incarnazione del Lógos preesistente è il luogo dove si manife-sta più profondamente il paradosso di un Dio creatore ed estraneo alcreato. Nel mondo, ma non del mondo (cf Gv 8,23: «V oi siete diquaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono diquesto mondo»). L’assunzione della carne\sárx da parte del Figlio diDio significa il superamento dell’estraneità reciproca dell’uomo aDio e di Dio all’uomo. L ’annuncio di questo evento provoca scan-dalo da parte di alcuni e accoglienza da parte di altri. L’incarnazionedel Verbo diventa, allora, il luogo discriminante d’incontro e discontro, di rivelazione e di confusione, di accoglienza e di rifiuto,perché il Lógos, assumendo la carne, assume dell’uomo tutto ciò chegli era estraneo per natura, fino all’estraneità suprema, quella dellamorte di croce (Fil 2,8). Uno straniero, che chiede accoglienza,affinché l’uomo possa ritrovare il dialogo con Dio interrotto daAdamo, ritornare nel giardino dal quale era stato cacciato, recupe-rando così anche il dialogo con il fratello. Cristo si fa estraneo a Dio,affinché l’uomo diventi familiare di Dio 17.

Giovanni presenta, quindi, la venuta nel mondo del Lógospreesistente come un nomade che, piantata la sua tenda in mezzo inmezzo agli uomini (Gv 1,14: eskếnôsen), vive e opera da stranieroin questo mondo (Gv 8,14.19.23; 16,28; 17.14.16; 18,36-37) 18.

17 G. STÄHLIN, «xe,noj», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, VIII, 79-81.18 Secondo l’ebraismo antico della scuola tannaita o della Mishnah, in

particolare, la Shekinah, a somiglianza della kénosi di Cristo di Fil 2,6-11,si abbassa per incontrare l’uomo e usargli compassione, coinvolgendosi profon-damente nella vicenda umana, fino ad andare in esilio con il suo popolo,

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La sua provenienza etnica, inoltre, non fa sperare nulla di buono:«Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46), commentaNatanaele all’annuncio di Filippo di aver trovato il Messia, ripren-dendo così l’opinione comune che dalla Galilea non può venirealcun profeta, tantomeno il Messia (Gv 7,41.52). Nell’episodio incui Gesù chiede da bere alla donna samaritana, questa con meravi-glia gli risponde: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me,che sono una donna samaritana?» (Gv 4,9).

Giovanni colloca, infine, intenzionalmente, la passione, morte esepoltura di Gesù in un giardino (cf Gv 18,1.41-42), richiamandocosì il giardino di Eden, dal quale Adamo era stato cacciato (Gen3,23). Per Giovanni, inoltre, l’ora della morte di Gesù è anche l’oradella sua esaltazione e del dono dello Spirito (Gv 19,30), che gli Attidegli Apostoli collocano cinquanta giorni dopo la Pasqua (At 2,1-13). Lo Spirito, poi, abilita gli apostoli a rimettere i peccati (Gv20,22), battezzando nel medesimo Spirito «tutte le nazioni» (Mt28,19; Lc 24,36; Mc 16,15).

2.2 Gesù, lo straniero (Mt 25,35)

I Sinottici evidenziano, oltre l’estraneità ai canoni naturali dellanascita di Gesù (cf Mt 1-2; Lc 1-3), anche la sua vita di migrante inEgitto con la famiglia (Mt 2,13-23) 19 e di uomo che «non ha dove

soffrendo e risalendo con lui dall’esilio (cf A. J. H ESCHEL, La discesa dellaShekinah, Qiqajon, Magnano (BI) 2003, 35-40). A. Mello, nell’introduzione,riporta le dieci discese della Shekinah secondo un midrash medievale: «Diecivolte la Shekinah è scesa nel mondo. Una volta nel giardino di Eden (Gen 3,8).Una volta nella generazione della torre (Gen 11,5). Una volta a Sodoma (Gen18,21). Una volta in Egitto (Es 3,8). Una volta presso il Mare (Sal 18,10; 2Sam22,10). Una volta sul Sinai (Es 19,20). Una volta nella colonna di nube (Nm11,25). Una volta nel santuario (Ez 44,2). E una volta che deve ancora venire,nei giorni di Gog e Magog (Zc 14,4)» ( Ibidem, 14).

19 La fuga in Egitto della Santa Famiglia diventa nei documenti pontifici l’ico-na di tutte le migrazioni, i rifugiati, gli esuli, gli sfollati, i profughi, i perseguita-ti. Cf PIO XII, Cost. ap. Exsul Familia, in AAS, 44 (1952) 649-704; P AOLO VI,Motu proprio Pastoralis migratorum cura, AAS LXI (1969) 601-603; PONTIFICIOCONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Erga migrantes caritasChristi, AAS XCVI (2004) 762-822. Quest’ultima istruzione vede nelle migra-zioni «quasi un prolungamento di quell’incontro di popoli e razze che, per ildono dello Spirito, nella Pentecoste, divenne frater nità universale» (n. 12).

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posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58). La sua autoqualificazione diuomo senza fissa dimora, nel vangelo di Luca è collocata subitodopo essere stato rifiutato dai Samaritani, «perché era chiaramentein cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,53). L ’atteggiamento diGesù verso i poco ospitali Samaritani, tuttavia, non solo è di bene-vola comprensione - i discepoli sono rimproverati per la loro intol-leranza – ma anche di amore. Lungo cammino, infatti, a un dottoredella legge che lo interpella su chi sia il suo prossimo, Gesù gli pre-senta un Samaritano come modello di amore compassivo da imitare(Lc 10,29-37).

Nel discorso programmatico della Montagna, Gesù aveva estesoil comandamento dell’Antico Testamento per il prossimo non solo alforestiero (Lv 19,18.34), ma anche al nemico e al persecutore:«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuonemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli chevi perseguitano» (Mt 5,43-44; Lc 6,27.35).

Nel giudizio finale, inoltre, il criterio impiegato da Gesù perseparare i buoni dai cattivi sarà il comportamento anche verso lostraniero, con il quale egli stesso si identifica: «Ero straniero e miavete accolto» (Mt 25,35.43; cf Lc 24,18) 20.

La suprema estraneità di Gesù non solo all’uomo, ma anche a Dioè raggiunta sulla croce21. Nei Sinottici, specialmente in Marco, que-sta appare all’orizzonte fin dall’inizio, quando farisei ed erodiani,l’ideologia religiosa e quella politica, sempre ostili fra loro, si trova-no d’accordo per ucciderlo, perché trasgressore della legge (Mc3,6). All’ostilità dei farisei e degli erodiani si aggiunge l’incompren-sione dei suoi familiari che vogliono riportarlo a casa con la forza,perché lo ritengono «fuori di sé» (3,21). Gli scribi, infine, usanocategorie teologiche, dichiarandolo invasato (3,22). Nei tre annuncidella passione (8,31; 9,31; 10,32-34), Gesù insegna ai discepoli lanecessità della croce, ma anche loro non capiscono. Tradito da undiscepolo e abbandonato dagli altri è, infine, condannato alla morteignominiosa della croce dai tribunali giudaico e romano. Prima dimorire chiederà a gran voce a Dio il perché del suo abbandono: «Diomio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34).

20 STÄHLIN, «xe,noj», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, 45-47.21 Cf J. S CHREINER- R. K AMPLING, Il prossimo, lo straniero, il nemico , EDB,

Bologna 2001, 117.

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Gesù, quindi, non solo vive da straniero ( xénos), ma subisceanche la sorte dello straniero, il quale «originariamente si identifica-va con il nemico»22. Un altro straniero, tuttavia, «il centurione, chesi trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse:“Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,38).

2.3 E il Lógos si diffondeva (At 6,7)

Gli Atti degli Apostoli raccontano gli inizi della missione cristia-na e l’apertura del suo messaggio ai pagani 23. Come all’inizio dellacreazione, il Lógos24 e lo Spirito25 sono i protagonisti di questo pro-cesso. Lo Spirito convoca la nuova umanità (cf 2,1-13), la parolaconverte (cf 2,14-41). La Pentecoste riunisce tutte le nazioni (At2,5) dando loro la capacità di incontrarsi e comprendersi (At 2,7).Alla confusione e conseguente dispersione di Babele (Gen 11,1-9) sicontrappongono la comprensione e la riunificazione di ogni popolo,lingua e nazione per opera dell’unico Spirito a Gerusalemme.

Lo Spirito interviene ancora per convincere Pietro a recarsi dalCenturione romano Cornelio a Cesarea (At 10,19) e sarà ancora loSpirito a obbligarlo ad accoglierlo nella comunità cristiana (At10.45-47).

Nella seconda parte degli Atti (12-28), protagonista quasi assolu-to è Paolo, un Ebreo della diaspora, profondamente radicato nellacultura ebraica, ma anche in quella ellenistica romana. Dopo la suaconversione (At 9,1-17; 22,3-16; 26,2-18) diviene un infaticabilemissionario, specialmente in ambiente pagano. L ’accoglienza dellafede da parte dei pagani provoca, tuttavia, dei conflitti da parte dialcuni, che «discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se non vifate circoncidere secondo la legge di Mosè, non potete esseresalvi”» (At 15,1). La discussione comincia ad Antiochia di Siria

22 STÄHLIN, «xe,noj», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, 11.23 Cf D. MARGUERAT, La prima storia del cristianesimo. Gli Atti degli aposto-

li, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2002.24 Cf At 2,41; 4,4.29.31; 6,2.4.7; 8,4.14.25; 10,44; 11,1.19; 12,24;

13,5,7.44.46.48; 14,25; 15,35; 16,6.32; 17,11.13; 18,11; 19,10.20.25 Cf At 1,2.5.8.16; 2,4.17; 4,31.25; 5,3.9.16.32; 6,3.5.10; 7,55;

8,7.15.17.39; 9,17.31; 10,19.38.44.47; 11,12.15.24.28; 13,2.4.9.52;15,8.28; 16,6; 19,2.6; 20,22.28; 21,4.11; 28,25.

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(At 15,1-4), si porta a Gerusalemme (At 15,5-21) e si conclude adAntiochia con l’invio delle decisioni prese (At 15,22-35): «LoSpirito Santo e noi abbiamo deciso di non imporvi altro peso eccet-to queste cose necessarie» (At 15,28).

La chiesa apostolica riesce così a superare, anche se con moltedifficoltà, come le stesse lettere di Paolo testimoniano (cf Gal 1,1-2,21), l’angusto ambito del giudaismo per divenire una religioneuniversale. La componente giudaizzante perderà quasi subito il suopredominio a favore dei gentili. Fin dall’inizio, ad ogni modo, il cri-stianesimo è caratterizzato dalla marginalità religiosa, sociale e cul-turale, dalla multietnicità, dalla multiculturalità. La Chiesa è, quin-di, «Cattolica» non per definizione dogmatica, ma per la sua originee per la sua natura storica. «Mediante Cristo la Bibbia di Israele ègiunta ai non ebrei ed è diventata anche la loro Bibbia»26. Per mezzodi Gesù il Dio d’Israele è diventato il Dio delle Genti e tutto il suopatrimonio spirituale è stato trasmesso al mondo.

2.4 Il Lógos della croce (1Cor 1,18)

Per Paolo il contenuto fondamentale della predicazione cristianaè «il lógos, quello della croce» (1Cor 1,18: Ho lógos gàr ho toustaurou; cf 2,2; Gal 3,1). Questo, nello stesso tempo che abbatteogni divisione etnica-raziale, per riunificare gli uomini dentro unanuova umanità, quella dei credenti, svolge anche la funzione discri-minante di dividerli in due categorie: quella dei salvati e quelladei perduti.

In 1Cor 1,22-24 Giudei e Greci sono contrapposti ai credenti(noi\hêmeis), i quali proclamano ciò che i primi ritengono essererispettivamente «scandalo» e «stoltezza»: Cristo crocifisso. È in lui,tuttavia, che è superata ogni distinzione, perché i credenti provengo-no sia dai Giudei che dai Greci: «Mentre i Giudei chiedono segni ei Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso:scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani ( éthnesin); ma percoloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza diDio e sapienza di Dio».

26 J. RATZINGER, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo , San Paolo,Cinisello Balsamo (Mi) 2000 (orig. ted. 1998), 67.

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Per l’apostolo, «Giudeo» ha la connotazione, prevalentementereligiosa, di chi è vincolato alla legge (cf Gal 1,13.14). Anche nellecontrapposizioni tra Giudei, Greci e pagani la dif ferenza non è inprimo luogo razziale, ma religiosa. Da questo punto di vista ilGiudeo si trova in una posizione di superiorità rispetto agli altripopoli (cf Rm 1,16; 2,9; 2,10; 3,1s), perché possiede la legge (Rm2,17-29; 3,2). Paolo, quindi, ponendo i Giudei al primo posto27 vuolmettere in risalto questo loro privilegio nella storia della salvezza.Solo in Cristo Gesù scompare ogni distinzione etnico-razziale (Gal3,28; cf Col 3,1 1; Rm 9,24; 10,12), pur restando le dif ferenze dicarattere storico (1Cor 7,17-24) 28. Nel nostro contesto, ad ognimodo, l’apostolo sembra più interessato all’atteggiamento psicolo-gico-culturale comune della ricerca teologica di Giudei e Greci, chealla storia della salvezza.

Il sostantivo Greci\Héllênes designa stirpi, città, stati greci, lega-ti tra loro per uguaglianza di costumi, scrittura, cultura, religione. Ilconcetto si sviluppa in opposizione a quello di Barbari\Bárbaroi, masenza alcuna connotazione religiosa. Greci possono essere, infatti,anche quei barbari che hanno assimilato la lingua e la culturagreca29. Ciò che contraddistingue il Greco è la cultura (paidéia), nonla religione (latréia). Per il giudaismo ellenistico, fedele alla legge,sarà esattamente l’opposto: il Greco sarà caratterizzato, in base allareligione (latréia), come idolatra (cf Rm 1,21-23), anche se non èdetto che Greco (Héllên) sia per questo equivalente a pagano, comeè, invece, per éthnos30.

In 1Cor 1,22 con Greci\Héllênes è designata, quindi, la parte nongiudaica dell’umanità, mentre la formula «Giudei e Greci» (1,24:Ioudaioi te kai Héllênes) indica l’umanità intera, che è chiamata arispondere alle esigenze del vangelo, annunciato dall’apostolo 31.

27 Solo in Col 3,11 troviamo i Greci all’inizio di una lunga lista di nomi.28 Cf W. GUTBROD, «VIoudai/oj, VIsrah,l, ~Ebrai/oj nel Nuovo Testamento»,

in Grande Lessico del Nuovo Testamento, 1171.29 Cf H. W INDISCH, «{Ellhn», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, III,

469-504; H. BIETENHARD, «{Ellhn», in L. Coenen - E. Beyreuther - H. Bietenhard(edd.), Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 1976(ed. ted. 1970), 833-835; J. WANKE, «{Ellhn», in H. Balz - G. Schneider (edd.),Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1995, I, 1160.

30 Cf WINDISCH, «{Ellhn», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, III, 469-504; BIETENHARD, «{Ellhn», in Dizionario dei concetti biblici del NuovoTestamento, 833-835.

31 Cf WINDISCH, «{Ellhn», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, 495.

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Interessante è il passo di 1Cor 10,32, in cui Paolo esorta i cristianidi Corinto a non essere motivo di scandalo né ai Giudei né ai Greciné alla chiesa di Dio. Giudei e Greci sono coloro che non apparten-gono alla chiesa di Dio, nella quale, quindi, si presuppone che ognidifferenza etnica sia stata abolita. I cristiani, quindi, battezzati in unsolo Spirito per formare un solo corpo (1Cor 12,13; Gal 3,27s),hanno superato la «distinzione»\ diastolế (Rm 10,12) precedente esono divenuti gli eletti (1Cor 1,24), i credenti (Rm 1,16; 1Cor 1,21),la chiesa di Dio (1Cor 10,32).

In 1Cor 1,23-24 Paolo, dopo aver esposto l’opinione di Giudei eGreci, presenta la testimonianza dei credenti. L ’accento cade sulladiversa maniera di porsi davanti a Dio dei credenti e dei non creden-ti. Mentre, infatti, i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapien-za, i cristiani, invece, testimoniano una persona, per di più sprege-vole ai loro occhi: Cristo crocifisso.

La sostituzione di Greci (Héllênes) con pagani (éthnê) ci sembraimportante. Il termine indica ciò che sta assieme a causa dell’abitu-dine (uomini o animali), quindi, gente, turba, folla, schiera, popolo,gregge, sciame. Nel greco classico è usato in senso dispregiativo perindicare l’estraneo, il non Greco, e si avvicina al significato di bar-baro\bárbaros32.

Paolo si caratterizza come «apostolo dei pagani» (Rm 1 1,13:ethnôn apóstolos), per portarli all’obbedienza della fede (Gal 1,16;2,7-9; Rm 1,5; cf Ef 3,1-13). Essi, che prima erano un olivastroselvatico possono ora, in forza della fede, partecipare della linfache proviene dalla radice dell’olivo, su cui sono stati innestati(Rm 11,17; cf Ef 2,1 1ss). Possono, perciò, essere anche chiamatifigli d’Abramo (Gal 3,7-9.14.26-29; Rm 4,17), perché non piùstranieri, ma concittadini dei santi e famigliari di Dio (Ef 2,19). PerPaolo, quindi, il vero popolo ( laós) di Dio sono i cristiani 33. Giudeie Greci, pur conservando ciascuno le proprie radici culturali, hannosuperato, ormai, le barriere etniche che li dividevano e possono ora

32 Cf BIETENHARD, «e;qnoj», in Dizionario dei concetti biblici del NuovoTestamento, 1318; L. ROCCI, Vocabolario Greco-Italiano, Società Editrice DanteAlighieri, Città di Castello 1971, ad vocem; K. L. SCHMIDT, «e;qnoj nel NuovoTestamento», in Grande Lessico del Nuovo Testamento, III, 110.

33 Cf BIETENHARD, «e;qnoj», in Dizionario dei concetti biblici del NuovoTestamento, 1321; N. W ALTER, «e;qnoj», in Dizionario Esegetico del NuovoTestamento, I, 1018.

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considerarsi semplicemente eletti\klêtoi. Essi formano quell’«uomonuovo», che il sangue di Cristo, sparso sulla croce, ha creato, abbat-tendo il muro divisorio tra i due popoli (Ef 2,13-16). Per mezzo diCristo, che con la sua morte in croce ha preso su di sé la maledizio-ne della legge (Gal 3,13), la benedizione di Abramo è passata aipagani e noi, mediante la fede, abbiamo ricevuto la promessa delloSpirito (Gal 3,14). Nel mezzo del battesimo i credenti si sono, quin-di, rivestiti di Cristo e sono diventati figli di Dio, formando una solarealtà in Cristo, senza che ci sia più alcuna distinzione tra Giudeo eGreco, schiavo e libero, uomo e donna (3,26-29).

2.5 Stranieri e pellegrini (1Pt 2,11)

Il termine pellegrino ( parepídêmos) nel Nuovo Testamento sitrova solamente tre volte (Eb 11,13 e 1Pt 1,1; 2,1) e indica la perso-na che soggiorna per un breve periodo lontano dal proprio abitualedomicilio34. In Eb 1 1,13 è collocato in parallelo con straniero(xénos). Riferendosi alla fede dei padri l’autore di Ebrei dichiara:«Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni pro-messi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando diessere stranieri e pellegrini sulla terra».

La 1 Pt è diretta «ai fedeli che vivono come pellegrini ( pare-pidếmois), dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia,nell’Asia e nella Bitinia» (1Pt 1,1). L’area geografica è molto vastaed è difficile stabilire chi siano i destinatari, anche se alcuni indiziorientano verso pagani convertiti al cristianesimo (cf 1Pt 1,14.18;2,9-10; 4,3-4). La maggioranza devono essere stati poveri (in 2,18-25 l’autore si dirige agli schiavi domestici senza interpellare i padro-ni come in Col 4,1; Ef 6,9). Oltre ad essere poveri sono anche calun-niati (1Pt 2,12.15.20; 3,16), ingiuriati (1Pt 3,9; 4,14), devono essere«pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione dellasperanza che è in voi» (1Pt 3,15), sono insultati per il nome di Cristo

34 Cf C. SPICQ, Note di lessicografia neotestamentaria , II, Paideia, Brescia1994 (ed. fr. 1982), 318-319; G. BENTOGLIO, Stranieri e pellegrini. Icone bibli-che per una pedagogia dell’incontro , Paoline, Milano 2007, 257-264; J.SCHREINER - R. K AMPLING, Il prossimo, lo straniero, il nemico , EDB, Bologna2001, 127-138.

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(1Pt 4,14), patiscono le medesime sofferenze degli altri fratelli spar-si per il mondo (1Pt 5,9). L’analisi sociologica ci dice che sono pel-legrini\stranieri (1Pt 1,1; 2,1): gente umile, di origine rurale, senzadiritti civili riconosciuti e per questo disprezzati, ingiuriati e mar gi-nalizzati dai cittadini romani delle ricche città delle provincie 35.

La loro situazione di pellegrini\stranieri è presentata fin dall’ini-zio (1Pt 1,1.17; 2,1 1). L’elezione di un popolo di pellegrini, senzaalcun diritto in una terra straniera come Abramo (cf Gen 23,4) è fattadalla Trinità intera: «secondo il piano stabilito da Dio Padre,mediante lo Spirito che santifica, per obbedire a Gesù Cristo e peressere aspersi dal suo sangue» (1Pt 1,2).

I destinatari sono chiamati «figli obbedienti (1Pt 1,14), perchéhanno ubbidito a Cristo (1Pt 1,2) e alla verità (1Pt 1,22) essendopassati dall’«ignoranza» (1,14) di Dio alla conoscenza della sua san-tità (1Pt 1,15-16), da una «vuota condotta, ereditata dai padri»(1,18), dall’essere un «non-popolo», «esclusi dalla misericordia»(1Pt 2,10), a popolo di Dio, che ha ottenuto misericordia (1Pt 2,10),per mezzo della redenzione, liberazione ( elytrốthête da lytróomai)operata «con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti esenza macchia» (1Pt 1,19; cf Ex 29,39; Lv 12,6).

La seconda parte della lettera (1Pt 2,1 1-4,11) è caratterizzata davarie esortazioni di come vivere da «stranieri e pellegrini\paroikouskai parepidếmous […] fra i pagani» (1Pt 2,1 1-12)36. I «cristiani»

35 La lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano (98-117), in cui eglichiede istruzioni di come procedere con i cristiani della Bitinia e del Ponto,dove ricopriva la carica di legato con potere consolare (111-113), quantunqueposteriore alla 1Pietro, dimostra come il cristianesimo fosse diffuso capillarmen-te anche nelle campagne: «Mi par ve infatti cosa degna di consultazione,soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; moltepersone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, eancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghie le campagne sono per vase dal contagio di questa superstizione; credo peròche possa esser ancora fer mata e ripor tata nella nor ma» (PLINIO IL GIOVANE,Carteggio con Traiano, libro X, lettera 96,1-9).

36 Il termine pároikos (da cui parroco\parrocchia) si trova in At 7,6.29; Ef2,19; 1Pt 2,11; cf anche At 13,17; 1Pt 1,17 e indica lo straniero che ha otte-nuto il diritto di domicilio. Né lo straniero residente né il pellegrino di passag-gio godono, tuttavia, del diritto di cittadinanza. L ’essere stranieri e pellegrininon è per Pietro una condizione solamente sociologica, ma definisce l’identitàdel cristiano. Cf SPICQ, Note di lessicografia neotestamentaria, 318; BENTOGLIO,Stranieri e pellegrini, 260-261.

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(1Pt 4,16: Christianós; cf At 11,26; 26,28), con la loro «condottaesemplare», devono indurre i pagani a dar gloria a Dio. Riferendosi,inoltre, alle istituzioni dello stato, essi sono esortati a essere sotto-messi «ad ogni umana autorità per amore del Signore» (1Pt 2,13).

In 1Pt 2,18-25 l’autore af fronta la condizione degli schiavi cri-stiani (oikétai), presentando l’esempio delle sof ferenze ingiuste diCristo, come fondamento della propria sottomissione. L’autore offreuna interpretazione salvifica non solo delle sofferenze di Cristo, maanche di quelle dei cristiani. Pietro, nonostante non predichi l’aboli-zione della schiavitù, riconosce la piena dignità umana dello schia-vo (considerato semplice oggetto dalla cultura pagana). I termini uti-lizzati per descrivere le sofferenze di Cristo in 1Pt 2,22-25 sono glistessi che descrivono sia le sofferenze del Servo di JHWH (Is 53) siale sofferenze degli schiavi.

Conclusione

Una delle caratteristiche sia della religione giudaica veterotesta-mentaria sia del cristianesimo primitivo è la marginalità nei confron-ti delle religioni dominanti, alle quali spesso si contrappongono.Insieme alla marginalità è possibile notare la multiculturalità. Israelenon ha una propria cultura, ma deve continuamente confrontarsi conquelle circonvicine, dalle quali attinge a piene mani. Ciò che lodistingue dagli altri popoli non è la cultura, ma la fede in un Dio per-sonale, trascendente e creatore di tutte le cose. Insieme alla mar gi-nalità e alla multiculturalità è possibile rilevare anche la sua multi-etnicità. Israele non è un popolo, ma lo diviene per mezzo dellaTorah.

Incontriamo le stesse caratteristiche anche nel cristianesimo pri-mitivo. Gesù inizia la sua attività nella «Galilea delle genti», regio-ne marginale nei confronti del giudaismo uf ficiale. Quando, poi,cerca il suo riconoscimento a Gerusalemme, è violentemente respin-to e crocifisso come bestemmiatore e trasgressore della legge. I suoidiscepoli sono tutti Galilei e Paolo, principale responsabile della dif-fusione della nuova religione nel mondo pagano, è un Ebreo delladiaspora. La componente giudaizzante della chiesa primitiva perdequasi subito il suo predominio a favore di quella pagana. Il cristia-nesimo primitivo è, quindi, caratterizzato dalla mar ginalità, dallamulti-etnicità e multiculturalità.

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La Lettera a Diogneto (II sec.) così descrive l’identità del cristia-no: «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono dadistinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, néusano un gergo che si dif ferenzia, né conducono un genere di vitaspeciale. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capi-tato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nelresto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbia-mente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; par-tecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stra-nieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo(Lettera a Diogneto, V,1-2.4-5.9).

Il mondo sperimenta nuovamente il fenomeno dei movimentimigratori. Esso assume forme nuove per la complessità delle causee la sua estensione. Pensiamo che le risposte incontrate nella Bibbiasiano ancora valide. Queste, ad ogni modo, non sono sempre facilida mettere in atto. È necessario mantenere l’equilibrio tra aperturaindiscriminata e chiusura intollerante, tra omologazione e riprova-zione, tra un multiculturalismo in cui ogni etnìa e cultura convivonosenza mai incontrarsi e conoscersi e un relativismo in cui ogni iden-tità etnica e culturale si dissolve. Dal multiculturalismo bisogneràpassare a un interculturalismo in cui le etnìe e le culture interagisco-no, crescono insieme e si arricchiscono37. Solo con il dia-logo è pos-sibile abbattere tutte le barriere. Per il cristiano questo lógos non èuna filosofia o una semplice parola umana, ma una persona: il Lógosfatto carne e crocifisso, Cristo Gesù. In lui, infatti, «Non c’è Giudeoné Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina,perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 2,28; cf Rm 10,12;1Cor 1,24; 12,13; Col 3,11).

37 BENTOGLIO, Stranieri e pellegrini, 269.

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EMIGRATION AND MULTICULTURALISM:BIBLICAL ASPECTS Mario Collu, cp

The author selects various theological viewpoints fr om the numer-ous approaches offered by the Bible on the themes of immigrationand multiculturalism, focusing on those which evoke the story of sal-vation according to the following sequence: fr om Lógos to Chaosand, vice versa, from chaos to Lógos. In particular, Collu developsthe following themes which are inspired by the accounts of the Oldand New Testaments: 1.1 In the beginning was the W ord (Lógos)(Gen 1-2); 1.2 Then came Chaos (Gen 3-11); 1.3 Abraham, the wan-dering Aramean (Gen 12:1-3; Deut 26:5); 1.4 Y ou shall lovestrangers (Lev 19:34); 1.5 I am a foreigner (Ps 39:13); 2.1 And theWord (Lógos) was made flesh (Jo 1:14); 2.1 Jesus, the stranger(Matt 25:35); 2.3 And the Word (Lógos) continued to spr ead (Acts6:7); 2.4 The Word (Lógos) of the Cross (1 Cor 1:18); 2.5 Strangersand pilgrims (1 Pet 2:11).

IMMIGRATION ET MULTICULTURALISME :ASPECTS BIBLIQUESMario Collu, cp

Parmi les nombreuses approches offertes pas la Bible aux thèmes del’immigration et du multiculturalisme, l’auteur choisit quelqueslignes théologiques, qui rappellent l’histoir e du salut, selon la tra-jectoire : du logos au chaos et, vice et versa, du chaos au logos. Ildéveloppe, en particulier, les thèmes suivants inspires par les récitsde l’Ancien et du Nouveau Testament : 1.1 Au commencement étaitle logos (Jn 1-2), 1.2 Puis vint le chaos (Gn 3-1 1) ; 1,3 Abraham,l’araméen errant (Gn 12,1-3 ; Dt 26,5) ; 1.4 T u aimeras l’étranger(Lv 19,34) ; 1.5 Je suis un étranger (Ps 39, 13) ; 2,1 Ainsi le Logoss’est fait chair (Jn 1,14) ; 2,1 Jésus, l’étranger (Mt 25 ,35) ; 2.3 Etle Logos se diffusait (Act 6,7) ; 2.4 Le Logos de la Croix (1Co 1,18),2,5 Etrangers et pèlerins (1Pr 2,11).

FRA

ENG

EMIGRACIÓN Y MULTICULTURALIDAD:ASPECTOS BĺBLICOS Mario Collu, cp

De los múltiples enfoques ofrecidos por Biblia a los temas de la emi-gración y de la multiculturalidad, el autor elige algunas líneas teo-lógicas, que recuerdan la historia de la salvación, según la trayec-toria: del logos al caos y , viceversa, del caos al logos. Él desarr o-lla, en particular, los siguientes temas inspirados en las narracionesdel Antiguo y Nuevo Testamento: 1.1 En principio era el logos (Gen1-2); 1.2 Después vino el caos (Gen 3 -11); 1.3 Abraham, el arameoerrante (Gen 12,1-3; Dt 26,5); 1.4 Amarás al extranjero (Lv 19,34);1.5 Soy un extranjero (Sal 39,13); 2.1 Y el Logos se hizo carne (Jn1,14); 2.2 Jesús el extranjero (Mt 25, 35); 2.3 Y el Logos se difun-día (Hch 6,7);2.4 El Logos de la Cruz (1 Co 1,18); 2.5 Extranjerosy peregrinos (1 Pt 2,11).

EMIGRATION UND MULTI-KULTUR:BIBLISCHE ASPEKTE

Mario Collu, cp

Von den vielen Ansätzen,, die uns die Bibel gibt, um den Themen derImmigration und der Multi-Kultur zu nähern, wählt der Autor eini-ge theologische Linien, welche die Heilsgeschichte anrufen, gemäßder Linie: vom Logos zum Chaos, und umgekehrt, vom Chaos zumLogos. Er vertieft im Besonder en, die folgenden inspirierten Erzählungenvon Alten und Neuen Testament. 1.1 Am Anfang war das Wort (Gen1-2), 1.2 dann kam das Chaos (Gen 3-1 1); 1.3 Abraham, der irren-de Aramäer (Gen 12,1-3; Dt 26,5); 1.4 Du sollst den Fr emden lie-ben (Lv 19,34); 1.5 Ich bin ein Fr emder (Ps 39,13); 2.1 Und dasWort ist Fleisch gewor den (Jh 1,14); 2.1 Jesus, der Fr emde (Mt25,35); 2.3 Und das Wort verbreitete sich (….6,7); 2.4 Das Wort desKreuzes (1 Kor 1,18); 2.5 Ausländer und Pilger (1Pt 2,11).

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EMIGRACJA I WIELOKULTUROWOŚĆ:ASPEKTY BIBLIJNEMario Collu, cp

Spośród wielu podejść, jakie zawiera Biblia w odniesieniu do tema-tów emigracji i wielokultur owości, autor wybiera pewne kierunkiteologiczne, które odwołują się do historii zbawienia, zgodnie zlinią: od logosu do chaosu i odwr otnie, od chaosu do logosu.Rozwija on, w szczególności, następujące tematy czerpiące inspira-cję z opowiadań Starego i Nowego Testamentu: 1.1. Na początku byłlogos (Rdz 1-2), 1.2. Następnie przyszedł chaos (Rdz 3-1 1), 1.3.Abraham, Aramejczyk błądzący (Rdz 12,13; Pwt 26,5); 1.4.Będziesz kochał cudzoziemca (Kpł 19,34); 1.5. Jestem cudzoziem-cem (Ps 39,13); 2.1. A Słowo (Logos) ciałem się stało (J 1,14); 2.2.Jezus – cudzoziemiec (Mt 25,35); 2.3. Słowo (logos) się rozchodziło(Dz 6,7); 2.4. Mądr ość (logos) krzyża (1 Kor 1,18); 2.5.Cudzoziemcy i pielgrzymi (1 P 2,11).

POL

di GIANNI SGREVA C. P.Docente di Patristica e direttore della rivistaLa Sapienza della Croce

Agganciare al pensierodei cristiani dellaChiesa primitiva unariflessione sulla emi-grazione e leggere leproblematiche ine-renti ad una prospetti-

va globalizzante aperta alla multiculturali-tà e alla multi nazionalità sembrerebbe unozio inutile. Ma noi riflettiamo da cristia-ni su questo fenomeno che ormai si impo-ne per chiedere fantasia e coraggio nellescelte che esso esige all’insegna di unafinestra aperta sul mondo dove nazioni eculture si scoprono mai come ai nostrigiorni abitanti di un unico villaggio o città,in cui quasi improvvisamente sono cadutimura e reticolati.

La storia giudaico-cristiana ne è unparadigma e un annuncio. Paradigma, inquanto all’evoluzione storico-teologica diun cristianesimo spuntato come pollonedell’Israele eterno e allar gatosi all’Israeleuniversale. Annuncio, poi, di unità polie-drica, annuncio di un cammino verso l’unità segnata all’inizio dallavocazione di Abramo e sigillata con la morte di Gesù: la Chiesa èveramente l’Israele universale. Daremo anzitutto un quadro sinteti-co del sorgere di questa coscienza-vocazione all’universalità proprio

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“LA CHIESA,L’ISRAELEUNIVERSALE:DA GEN 12,3A GV 11,47-52.Una letturapatristicadella multiculturalitàe multinazionalitàa partire dalla mortedi Gesù

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di un cristianesimo, comunità costituita di ebrei e non ebrei, creden-ti in Gesù. Per poi sof fermarci dall’interno della tradizione ebraicarecuperata dalla letteratura cristiana su Gen 12,3: la benedizione del-l’universale delle nazioni unite nella fede di Abramo. E quindicogliere la chiave e il sigillo dell’unità che accoglie la diversità dinazioni e di culture, a cominciare da quella ebraica, fino ai confinidel mondo, che è la morte di Gesù, come è annunciata da Giovannie letta principalmente da Origene e da Agostino, non escludendoaltre letture, come quella di Giovanni Crisostomo per il versanteasiatico e quella di Cirillo di Alessandria per il versante alessandri-no.

La vocazione diIsraele è unavocazione per

l’universalità. In Abra-mo muove i suoi passiil nuovo popolo, un

popolo straniero, nomade, come dice il termine “ebreo” dalla radice‘a-v-r, passare, girare, essere nomade, emigrare2.

Israele inizia da un ceppo non israelita ma che diventerà, assume-rà il nome di israelita nella notte della resa di Giacobbe a Dio(cf Gen 32,23-33), mentre egli era in viaggio di ritorno, pellegrino,verso Canaan. Israele si stabilisce in Canaan, terra straniera, e poiper 400 anni è esule in Egitto. Dopo 40 anni di emigrazione deserti-ca, giunge nella Terra Promessa, di cui si impossessa mosso da unagiustificazione divina. Dopo la distribuzione della Terra e il brevetempo di monarchia unita (1013-931) con la costruzione del 1° tem-pio (967) e il periodo della monarchia divisa (931-587), si ha la finedel regno del Nord, 722, e poi la fine pure del regno di Giuda, conla distruzione di Gerusalemme e del tempio: 586. Da allora Israele

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1. Dall’Israele eternoall’Israele universale1

1 L’Israele eterno, l’espressione è di Joseph Neusner: cf J. NEUSNER, Arabbi talks with Jesus, McGill-Queen’s University Press 2000, tr. it., Un rabbinoparla con Gesù , San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, p.193: la frase finale:“Noi-l’Eterno Israele- siamo qui per rispondere: Noi lo faremo ed obbediremo”.

2 È Abramo che è chiamato per la prima volta ebreo, che da ‘avr significapassare oltre da un luogo ad altro luogo, emigrare (cf Philo AlexMigr Abraham20: Sch 47, 29).

non conoscerà più autonomia, dominazione assira e diaspora assira,dominazione babilonese, persiana, greca, romana, bizantina, araba,crociata, mamelucca, turca, britannica, giordana, fino all’attualecompresenza di Israele politica e di Territori Palestinesi.

Israele nasce dall’emigrazione per essere costantemente un popo-lo di emigrazione a contatto di sempre nuove culture e nazioni. È delsuo DNA la nomadicità della diaspora e dell’internazionalizzazione,vero presupposto a quello che sarà la realizzazione della benedizio-ne di tutte le famiglie della terra in Abramo (Gen 12,3) nella suadiscendenza (Gal 3,8-9.16).

Durante l’epoca cristiana avviene l’innesto dell’olivastro nel-l’olivo giudaico (cf Rm 1 1,24)3, albero cresciuto nella nomadicità,nelle continue emigrazioni e nell’assenza di autonomia. L ’olivastros’innesta nell’olivo, presentando due dimensioni, quella del giudeo-cristianesimo e quella del cristianesimo proveniente dai goim. Lacomponente giudeo-cristiana è caratterizzata dagli stessi caratterinomadici, legati a continue espressioni migratorie sradicate dall’au-tonomia politica proprie del ceppo di provenienza, il ceppo ebraico,mentre i goim rappresentano la multinazionalità e la multiculturali-tà delle popolazioni sottomesse alla conquista romana.

L’olivastro, che abbraccia l’espansione di Israele stesso, l’Israelegiudeo-cristiano e l’Israele nuovo proveniente dal mondo non giu-daico, realizza la benedizione di Abramo: “In te saranno benedettetutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).

Così commenta Agostino nel suo Adversus Iudaeos I, 1:

“Dice: Guarda la bontà e la severità di Dio: in quanti cadder o la seve-rità, in te invece la bontà, se persever erai nella bontà. E certo ciò lodisse a proposito dei Giudei che sono stati allontanati per la lor o infe-deltà e furono potati come i rami di quell’olivo che pur e, in virtù delleradici dei santi Patriarchi, aveva portato frutti; ciò affinché l’olivo sel-vatico delle Genti fosse innestato mediante la fede e potesse r endersi

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3 M. I. DANIELI, Il mistero d’Israele nella lettura origeniana di Rm 9-1 1, inAtti della settimana biblica, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Bologna1995. M.I. DANIELI, Il mistero di Israele nella lettura origeniana di Rom 9-1 1,in Gerión, Madrid 1997, 215-222. M. FÉDOU, Le drame d’Israël et desnations: un mystère caché. Lecture de Rom 9-1 1 par Origène , in I.BOCHET-M.FEDOU (edd), L’exégèse patristique de Romains 9-1 1. Grâce et =’KEEFEliberté, Isräel et nations. Le mystère du Christ. Colloque du 3 février 2007,Centre Sèvre-Faculté Jésuite de Paris, Paris 2007, 13-28.

partecipe dell’abbondanza dell’olivo potato dei suoi rami naturali. Ma,dice, non gloriarti contr o i rami, per ché se tu ti glorierai, non sei tu aportare la radice, ma la radice porta te (Non tu radicem portas, sed radixte). E poiché alcuni tra lor o si salvano, aggiunse di seguito: Altrimentitu stesso sarai rifiutato. E quelli, senza dubbio, se non persever erannonell’infedeltà, anche loro saranno innestati, per ché Dio può innestarliuna seconda volta. Quanto a coloro che permangono nell’infedeltà, essisono oggetto di quella sentenza del Signor e, in cui egli dice: I figli diquesto regno andranno nelle tenebre esteriori; là vi sarà pianto e strido-re di denti. E alle Genti che persevereranno nella bontà si riferisce quan-to aveva detto prima: Verranno molti da oriente e occidente e si sederan-no con Abramo e Isacco e Giacobbe nel r egno dei cieli. Così aiPatriarchi che vivevano nella radice, da un lato, mediante la giusta seve-rità di Dio, è amputata la superbia infedele dei suoi rami naturali, dal-l’altro, mediante la bontà divina, è innestata la fedele umiltà dell’olivoselvatico”4.

Nella donna Samaritana, Agostino vede la Chiesa delle Nazioni,rappresentate dai samaritani che erano estranei ai Giudei: “ Arrivauna donna”. È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma giàin via di essere giustificata...vi basti sapere che i Samaritani eranostranieri…È significativo il fatto che questa donna, che rappresen-tava la Chiesa, provenisse da un popolo straniero per i Giudei: laChiesa infatti sarebbe sorta dai Gentili, che per i Giudei eranostranieri…”5.

La Chiesa nasce con questa convinzione di essere l’Israele cherealizza la benedizione di Abramo. L’Israele di Abramo nasce, infat-ti, da un ceppo straniero, si costituisce in popolo per essere di bene-dizione per tutti i popoli, chiamati a essere tutti figli di Abramo. Leparole del Battista sulle pietre che possono diventare figli di Abramo(Mt 3,9; Lc 3,8), o la parola di Gesù a Zaccheo, che diventa “figliodi Abramo!” (Lc 19,9) vanno in questo senso.

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4 Aug Adv Iud I, 1: PL 42, 51. E alla fine del suo scritto sul giudaismoAgostino aggiunge: “Nec superbe gloriemur adversus ramos fractos: sed potiuscogitemus cuius gratia, et quanta misericordia, et in qua radice inserti sumus ”(Aug Adv Iud X,15: PL 42, 64). Cf P . FREDRIKSEN, Augustine and the Jews.A christian defense of Jews and Judaisme, Doubleday , New Y ork 2008,pp. 330-331.

5 Aug Tr in Io XV, 10: CCL 36, 154: “Et venit mulier. Forma Ecclesiae”.

“Andate e rendete discepole tutte le nazioni…” (Mt 28,19) e “siapredicata nel suo nome la conversione per la remissione dei pecca-ti a tutte le nazioni cominciando da Gerusalemme ” (Lc 24,47).Questo movimento di espansione da Israele, da Gerusalemme, allenazioni nell’unica Chiesa, riporta poi ancora alla discendenza diAbramo, a Gesù, l’ebreo della discendenza di Abramo, e quindi“Non si diventa cristiani, se non si entra a far parte della discenden-za di Abramo”6.

1.1 Vocazione universale di Israele

Gesù realizza la vocazione universale di Israele iniziando l’an-nuncio del Regno proprio lungo il lago di Tiberiade e in quello chesarà il suo quartiere generale, a Cafarnao, posta sull’arteria interna-zionale della comunicazione Asia Africa, la Via Maris, quindi làdove i giudei si mescolavano ai goim, e in una sinagoga costruita daun militare delle nazioni (Lc 7,5). E volentieri sconfina in Libanoe nella Decapoli, af finché il suo annuncio non fosse rinchiuso inIsraele-Palestina, anche se non si smentisce quando destina al popo-lo di Israele il primo annuncio del Regno (Mt 15,24), ma semprenella prospettiva dello sconfinamento geografico-politico dell’ebrai-smo. Volentieri Gesù si apre ai greci (Gv 12,20-22) e alla donnalibanese (Mt 15,21). Gesù parlava ebraico nella sinagoga, aramaicocon la gente, il greco con gli ebrei della Diaspora e con i goim del-l’impero romano7.

Gesù annuncia un Regno la cui destinazione conteneva e privile-giava Israele per abbracciare, poi, tutte le nazioni e tutte le culture.La Chiesa nasce in Israele e da Israele, da quell’Israele da cui vieneanche la salvezza (Gv 4, 22). Fino a metà del secondo secolo non

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6 F. ROSSI DE GASPERIS, Cominciando da Gerusalemme. La sorgente dellafede e dell’esistenza cristiana , Piemme, Casale M. 1997: cf Essere insiemeebrei e cristiani nella Chiesa di oggi a Gerusalemme e nella Diaspora, pp.466-478, specie p. 468ss.

7 Cf, per l’ebraico, Spoken and Literary Languages in the Time of Jesus inJesus’ Last Week: Jerusalem Studies in the Synoptic Gospels , Vol. 1 in R. S.NOTLEY - M. TURNAGE - B. BECKER (edd.), E. J. Brill, Leiden 2005; per ilgreco: Gv 12,20-22. Forse anche At 6,1.

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studi esisteva sociologicamente la distinzione tra l’ambito giudaico e laChiesa fatta di provenienti dal giudaismo e di provenienti dal paga-nesimo8.

Nelle intenzioni dell’ebreo Paolo (Ef 2, 14-16) è prevista la coe-sistenza di giudei e nazioni, essendo diventati un solo corpo, un solouomo nuovo per la riconciliazione operata dal Sangue di Cristo cheha demolito il muro divisorio. La Chiesa muove i suoi primi passiaccogliendo gli ebrei che credono in Gesù e aprendo le porte ai goimcome ne fa fede la conversione della famiglia italica-romana diCornelio a Cesarea di Palestina (At 10).

È Paolo a dare le ragioni della realizzazione dell’Israele eternonell’Israele universale attraverso la benedizione di tutte lenazioni/famiglie nella discendenza di Abramo, di quell’Abramo alquale fu fatta questa promessa di benedizione quando ancora egliera pagano e non recava il segno di appartenenza al popolo ebraico,la circoncisione. Abramo fu l’uomo giustificato per la fede prima delsegno della circoncisione (Gal 3,8). E così alle nazioni passa attra-verso il Messia Gesù la benedizione di Abramo, grazie allo Spiritodella promessa ricevuto per la fede (Gal 3,14). Quindi la Chiesapassa dall’uninazionalità e dall’uniculturalità ebraica al pluralismoetnico e culturale.

Essa si sente Verus Israel (R. Simon9) non perché sostituisce ipagani agli ebrei, ma perché sa di dare realizzazione alla vocazioneuniversale di Abramo, accogliendo nella fede in Gesù di Nazareth,lui diventato la Via (At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22), sia ebrei sianon ebrei, per i quali Paolo af ferma che non esiste più separazionetra Giudei e Greci, in quanto sono tutti una sola persona in CristoGesù e tutti per fede sono seme di Abramo (cf Gal 3, 27-29).

La comunità cristiana li vuole insieme. E mentre rispetta le usan-ze culturali, religiose ebraiche, giudica che non si debba imporre ai

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8 A. DESTRO – M. PESCE (edd.), Come è nato il cristianesimo, in ASE 21/2(2004), 529-556. Cf D. FLUSSER, The Jewish-Christian schism, in Judaisme andthe origins od the Christianity , The Magnes Press, The Hebrew University ,Jerusalem 1988, Par t I, 617-634; Par t II 635-644: rilevante è la conclusionetirata dall’ebreo Flusser alle pp. 643-644, concernente sia la chiara origine giu-daica di Gesù e del cristianesimo sia la convinzione che l’opposizione al giu-daismo venne dai cristiani delle nazioni.

9 M. SIMON, Verus Israel. Étude sur les relations entre Chrétiens et Juifsdans l’empire romain (135-425), Éd. E. De Boccard, Paris 1964.

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studicristiani goim e alle loro varie culture la cultura e la religiosità ebrai-ca. Fino all’accoglienza delle Scritture cristiane, verso la metà del IIsecolo, le Scritture ebraiche sono le sole Scritture a essere proclama-te nelle comunità cristiane sia in quelle di prevalenza giudeo-cristia-na sia in quelle i cui membri provengono dai goim. La comunitàcristiana fa della Torah Profeti e Scritti sapienziali il punto diriferimento normativo della Rivelazione, che difende contro i goimmarcioniti in rottura con le Scritture ebraiche, e legge nell’unicaalleanza ebraica l’alleanza che abbraccia la dimensione universaledei goim.

1.2 Teologia dell’alleanza e teologia della sostituzione

La Lettera di Barnaba si muove in questo senso:

“L’alleanza che egli aveva pr omesso ai patriarchi perché fosse data alpopolo…l’ha data. Ma essi non furono degni di riceverla a causa dei loropeccati”.

E in base a Es 24,18; Es 31,8 e Es 27,19, “Mosè l’ha ben ricevu-ta, ma essi non ne furono degni…Mosè l’ha ricevuta come servo, mail Signore stesso, dopo aver sof ferto per noi, l’ha data a noi comepopolo dell’eredità. Egli (Gesù) apparve al mondo, perché quelliavessero colma la misura dei loro peccati e noi ricevessimo l’allean-za mediante l’erede che è il Signore Gesù. Egli fu preparato per que-sto, per… “stipulare in noi un’alleanza nel Logos”10.

Precedentemente l’autore della lettera di Barnaba aveva confer-mato la tesi ebraica che l’alleanza è acquisizione irrevocabile degliebrei, ma che d’altronde essi avevano persa definitivamente l’alle-anza ricevuta da Mosè: “ La loro alleanza fu spezzata per ché fossesigillata l’alleanza di Gesù, il Beneamato, in forza della speranzadella fede in lui”11.

Alla presa di posizione antimarcionita si aggiunge la convinzio-ne che la comunità cristiana non rappresenta una Nuova Alleanza inrapporto a quella ebraica, ma certamente rispetto a quella mosaica,

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10 Barn XIV, 1a-5b: Sch 172, 178-180.11 Barn IV, 6-8c: Sch 172, 96-98.

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anche se questa sembra essere fortemente espressa dalla Lettera agliEbrei. In realtà il carattere di Nuova Alleanza così come è presenta-ta dalla Lettera agli Ebrei è dovuta alla realizzazione dell’unicaNuova Alleanza di cui già parlava Ger 34,31-34, citata espressamen-te due volte (Eb 8,8-12; 10,16-17) dalla Lettera agli Ebrei e compiu-tasi e sigillata nel Sangue di Cristo.

Giustino dedica tutta l’ultima parte del suo Dialogo con Trifone(cc 109-142) a convincere il suo interlocutore giudeo o giudeo-cri-stiano a presentare la comunità cristiana come il nuovo Israele : lenazioni che credono in Cristo Dio costruiscono il nuovo Israele e ilvero popolo di Dio. La Chiesa è la realizzazione della comunitàmessianica, perché aperta contemporaneamente ad accogliere a par-tire dal ceppo giudaico che si fa giudeo-cristiano l’allar gamentomultinazionale e multiculturale delle nazioni, come Giustino af fer-ma in 1 Ap 49,1-412.

Conosce bene e dal vivo il dibattito giudeo-cristiano, soprattuttocondivide l’idea ebraica di Alleanza, espressione della gratuita ini-ziativa divina, che vede però realizzata solo in Cristo e in coloro checredono in Lui e lo seguono, cioè i cristiani. Quella dei cristiani èl’Alleanza Nuova legata a una Torah-Legge nuova, che sostituiscequella di Mosè, che è Cristo stesso 13. Giustino introduce l’idea delsorpasso dei Gentili rispetto ai Giudei che non credono in Gesù.Quindi si parla di Alleanza “Nuova”14. Alleanza che è allora anchedefinitiva e perciò eterna 15, che non si deve identificare conl’Alleanza della circoncisione16.

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12 Iust I Ap 49, 1-4: M. Marcovich, Iustini Martyris Apologiae proChristianis, De Gruyter, Berlin-New York 1994, 100. Cf anche I Ap 63: M.Marcovich 121 .

13 Iust Dial 11; 24; 34; 43;118; 122: M. Marcovich, Iustini MartyrisDialogus cum Tryphone, De Gruyter, Berlin-New York 1997, 88-89; 109-110;125-127; 140-141; 272-274; 280-281.

14 Iust Dial 11; 34;51; 67; 118; 122: M. Marcovich: 88-89; 125-127;154; 185-186; 280-281.

15 Iust Dial 43; 118; 122: M. Marcovich, 140-141; 272-274; 280-281.16 Iust Dial 11: M. Marcovich, 88-89. E. FERGUSON , Justin Martyr on

Jews, Christians and the Covenant , in F. MANNS – E. ALLIA TA (edd.), EarlyChristianity in Context. Monuments and Documents , Franciscan Printing Press,Jerusalem 1993, pp.395-405. E. DAL COVOLO, “Regno di Dio” nel Dialogodi Giustino con Trifone Giudeo, Aug 28/1-2 (1988), 111-123.

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studiSecondo Ireneo, ad esempio, pur ricordando la celebrazione divarie successive alleanze17, restano però solo due alleanze in relazio-ne tra loro, quella della Torah e quella del Vangelo, le quali poi risul-tano essere una sola essendo state originate dall’unico padre di fami-glia, il Verbo di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo che ha parlato siacon Abramo e con Mosè e anche con noi18. Benché varie e successi-ve, le alleanze fanno parte di un unico piano di salvezza, perchéunico e lo stesso è il Dio regista della storia, contrariamente allaposizione gnostica e marcionita. E ognuna delle alleanze è storica evalida, ognuna adattata al suo tempo 19, anche se la dispositio dellealleanze trova compimento e definitività nell’Alleanza Nuova diGesù Cristo. Infatti, nell’Antica Alleanza si trovano le profezie dellaNuova20. Tra le due ci sono delle similarità, in quanto è l’unico estesso Dio che le origina. Ad esempio la teologia del cuore nuovo diGer 31 trova compimento nel Vangelo21. La Nuova Alleanza è carat-terizzata dalla “libertà” 22. E mentre l’Antica Alleanza è solo per iGiudei e segnata dalla circoncisione, la Nuova Alleanza è per tutti ipopoli e fondata sulla giustificazione della fede 23.

Sarà ciò che nel V secolo, nel suo De Civitate Dei , affermeràAgostino: “…nell’Antica alleanza si cela la nuova. Di fatto il verosignificato di Antica Alleanza è tener segreta la Nuova e il significa-to della Nuova Alleanza è di manifestare l’Antica”24.

Là dove anche nella Chiesa si insinua il non rispetto del plurali-smo nazionale e culturale, dove ad esempio la cultura giudaica

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17 Iren AH I, 10,3; III, 11,8: Sch 211, 160-170.18 Iren AH IV, 9,1: Sch 100, 476-480: “Utraque autem testamenta unus et

idem paterfamilias produxit, Verbum Dei, Dominus noster Iesus Christus, qui etAbrahae, et Moysi collocutus est, et nobis in novitate restituit libertatem, et mul-tiplicabit eam, quae ab ipso est, gratiam ”. Cf anche Iren AH IV, 32, 2: Sch100,800.

19 Iren AH III, 12,11: Sch 211, 226-230; IV, 38: Sch 100, 942-948.20 Iren AH IV, 32,2: Sch 100, 800.21 Iren AH IV, 33,14: Sch 100, 840-842; IV, 34, 1 Sch 100, 846-848. 22 Iren AH IV, 34, 3-4: Sch 100, 850-860.23 Iren AH IV, 25,1: Sch 100, 704-706; IV, 4, 2: Sch 100,420. Cf in E.FER-

GUSON, “Justin Martyr on Jews, Christians and the Cove nant”, in F. MANNS– E. ALLIATA (edd.), Early Christianity in Context. Monuments and Documents ,Franciscan Printing Press, Jerusalem 1993, pp. 395-405. Alle pp. 401-405 sitrova una buona sintesi su Ireneo e il giudaismo, e sul concetto di alleanza.

24 Aug Civ Dei XVI, 26, 2: CCL 48, 494.

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vorrebbe imporsi sulla cultura dei goim (cf At 15) con il fenomenodei giudaizzanti stigmatizzato più volte da Paolo e da Ignazio diAntiochia (lettera ai Magnesii), si producono le prime ferite edincomprensioni.

Possiamo dire che la stessa storia della formazione del pensieroteologico cristiano sia contrassegnata dalle diverse posizioni assun-te in seno alla comunità cristiana, o facendo pendere la bilancia sulleesigenze del monoteismo ebraico, insinuando problemi sul ricono-scimento della divinità del Figlio (adozionismo e poi arianesimo) otentando di non integrare la cultura e la religiosità ebraica nel solcodel pensiero cristiano. È il caso dello gnosticismo fondamentalmen-te antigiudaico e del marcionismo che vorrebbe privare il cristiane-simo delle Scritture normative ebraiche. È il caso anche di quanti,progressivamente, e per restare nell’ambito del II secolo, hanno teo-rizzato la teologia della sostituzione parlando di una NuovaAlleanza che o destituisce di fondamento la prima, creandone due,la prima con meno valore, e la seconda con più valore, o addiritturasostituendo la seconda alla prima, e il tutto con varie sfumature, acominciare da Giustino e poi da Ireneo.

1.3 La multiculturalità è data dall’unico Logos sparso in tutte leculture

Giustino è il palestinese che, trasferitosi a Roma, ha costituito unesempio di concentrazione plurinazionale e pluriculturale, l’uomodel dialogo con il mondo della cultura romano-ellenista, il teorizza-tore del dialogo culturale nell’accoglienza di tutti i semi di verità 25,pur rilevando il primato della cultura ebraica, e il teorizzatore deldialogo con il mondo giudaico. A Roma Giustino apre il primo cen-tro di dialogo multiculturale e multietnico.

Per Giustino la pluriculturalità non è sinonino di pluralismo cul-turale, bensì di espressioni culturali e filosofiche dell’unico princi-pio culturale che è il Logos “sparso in tutti” (2 Ap 8,3).

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25 Iust 2 Ap 13, 5: (M. Marcovich 157) “Tutti gli scrittori, attraverso il semeinnato del Logos, poterono oscuramente vedere la realtà. Ma una cosa è unseme ed un’imitazione concessa per quanto è possibile, un’altra è la cosa in sé,di cui, per sua grazia, si hanno la partecipazione e l’imitazione ”. Cf Iust 2 Ap8, 3 (M. Marcovich 149): sui logoi spermatikoi.

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studiAvanza anche un fenomeno di gelosia all’interno della comunitàcristiana. Certi cristiani provenienti dal giudaismo si fanno gelosi diuna presenza cristiana emer gente dal mondo delle nazioni. Sono igiudeo-cristiani meno aperti alla multinazionalità e alla multicultu-ralità. Di questo fenomeno è testimone Ireneo, il quale pensa allaChiesa come alla realizzazione dell’Israele universale. In AH V,34,126 scrive:

“Noi abbiamo mostrato poco sopra che la Chiesa è il seme di Abramo. Edè per questo, af finché noi sappiamo che tutto questo si realizzerà nellaNuova Alleanza che, di tutte le nazioni, raccoglierà coloro che sono salva-ti, suscitando così dalle pietre figli di Abramo (Mt 3,9), che Geremia dice:Ecco vengono giorni, dice il Signore, e non diranno ancora: Vive ilSignore, che fece uscire i figli di Israele dal settentrione e da tutte le regio-ni da dove furono espulsi, e li riporterà nella loro terra, che diede ai loropadri” (Ger 16,14-15).

Ireneo, però, aggancia questa visione del nuovo Israele e dellariedificazione di Gerusalemme non secondo la prospettiva di unaallegoria verticale (la Gerusalemme celeste!), ma di unaGerusalemme terrestre, dai contorni universali con vedute millena-ristiche: “Queste cose universali non devono essere capite nella pro-spettiva delle cose sopracelesti. Dio infatti, dice, mostrerà il tuo ful-gore a tutta la terra che sta sotto il cielo (Bar 5,3), ma nei tempi delregno, la terra rinnovata da Cristo è Gerusalemme riedificata secon-do la forma della Gerusalemme che sta sopra” 27.

Eppure la comunità cristiana cresce con sempre forte la convin-zione di essere sia ebraica sia delle nazioni. La sua letteratura, oltreessere dipendente dalle Scritture ebraiche, si manifesta progressiva-mente come pluriculturale. Questo appare evidente nello scrittoromano della lettera di Clemente ai Corinti: un perfetto esempio diamalgama culturale, dove il substrato giudaico si allar ga ad acco-gliere motivazioni ed ar gomentazioni legate al quadro militareromano e agli spunti dello stoicismo ellenista.

Giustino ancora è un chiaro esempio di compresenza culturale,non solo, ma anche teorizzatore della multinazionalità e dellamulticulturalità. A Giustino, come a tutti i pensatori cristiani del II

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26 Cf Iren AH V, 34, 1: Sch 153, 424.27 Iren AH V, 35, 2: Sch 153, 440.

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secolo, non va che una cultura si imponga sull’altra. Restando salvoil primato del ceppo ebraico quanto a Scritture e quanto a radiceetnica, in quanto dal popolo ebraico viene la salvezza (Gv 4, 22),egli teorizza la conver genza sulla verità del Logos, fondatasull’unità sia delle Scritture ebraiche sia di quelle nate in seno allecomunità cristiane, il NT , come criterio di dialogo plurietnico epluriculturale.

A essere scartati da questo dialogo sono solo coloro che non siespongono alla verità, e impongono un esclusivismo e riduzionismoculturale-religioso, come è il caso dello Stato Romano, che in nomedell’ideologia del legame ai mores maiorum non accetta la realtàculturale cristiana, ebraica e nello stesso tempo aperta alle nazioni.Il pluralismo etnico e culturale consente alla comunità cristiana diesprimere la coscienza di essere un quartum genus, dopo i barbari, iGreci e i Giudei per Aristide di Atene28. Per lo scritto Ad Diognetumi cristiani formano un genere nuovo29, costituito di giudei e greci,una società fondata su spazi culturali ed etnici illimitati, ma unifica-ti dal Logos cristiano, al dire di Giustino. Per l’ Ad Diognetum lacomunità cristiana esprime una cultura ( politeia) paradossale.30

Questa unità consente non solo una accoglienza e una socialità aper-ta al mondo della Chiesa plurietnica, ma abbraccia le relazioni con inon cristiani. Ad esempio verso lo Stato pagano la comunità cristia-na professa sempre la lealtà secondo Rom 13 e l’esigenza della pre-ghiera per la Res publica e i suoi governanti 31. In caso di conflittoche porta alla persecuzione i cristiani alzando la voce si limitano agridare con le parole di Tertulliano: “Ne ignorata damnetur” 32.Nella Chiesa, Israele universale, mentre si accolgono le nazioni e leculture, mentre queste vengono valorizzate nei loro semi di verità epurificate da tutto ciò che non è in rapporto con il Logos tes alethe-ias, si costruisce una cultura cristiana, che non combatte, che non

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28 Arist Athen Ap 2: Sch 470, 189-191.29 Diogn I, 1: kai. ti, dh, pote kaino.n tou/to ge,noj h; evpith,deuma : in Die

Apostolichen Väter, (a cura di K. Bihlmeyer), Tübingen 1970,141.30 Diogn V, 4: para,doxon evndei,knuntai th.n kata,stasin th/j e`autw/n politei,aj :

in Die Apostolichen Väter, (a cura di K. Bihlmeyer), Tübingen 1970,144.31 Cf Clem Rom Ep 61,1: Die Apostolischen Väter, (J. A. Fischer ed.), Im

Kösen-Verlag, München 1956, 102.32 Tertull Ad nat. I, 1: CCL I, 11; Apol I, 2: CCL I, 85.

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studiemargina il vero di ogni cultura e nazione, ma nella valorizzazionedell’esistente, offre le coordinate di una nuova antropologia, socio-logia, etica, lettura della storia e della politica. In particolare il fattocristiano e quindi la Chiesa che lo incarna detta criteri nuovi suipunti cruciali dell’esistenza, quali una interpretazione originale,positiva della sessualità (opus carnis) a partire dalla fondazione giu-daica dell’antropologia avvalorata dall’interpretazione evangelica epaolina, contro il riduzionismo negativo platonico e stoico, e unaaccoglienza dell’opus laboris in chiave di concreazione con Dio,contro la divisione classista di schiavi e liberi, in cui si ritiene cheil “lavoro” fosse espressione sociale solo dello schiavo (cf Gal 3,28e 2 Ts 3,6-15) .

Il conflitto giudeo-cristiano che contribuirà a far sì che si rinser-rino le file cristiane staccandosi progressivamente dal ceppo etnico-ebraico da cui proveniva la Chiesa, il suo Fondatore e gli apostoli, èdovuto a diversi fattori, come il rinchiudersi a riccio dell’ebraismonell’unico punto di riferimento unitario che erano le Scritture esoprattutto la Torah, con la raccolta progressiva delle unità letterarieorali che confluirono all’inizio del III secolo nella Mishna 33, la pre-occupazione della crescita del numero degli adepti cristiani e ilparallelo rimpicciolimento demografico ebraico, il progressivofastidio provato dagli ebrei nel vedere che le Scritture ebraiche con-tinuavano ad essere normative e oggetto di commento da parte deicristiani, sia gnostici (Eracleone) sia cattolici, assommati ormai a

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33 Intorno al 90 d. C., contemporaneamente all’uscita del vangelo diGiovanni, inizia la ricostruzione e la riorganizzazione del giudaismo della dia-spora con la definizione del canone delle Scritture ebraiche per preser varledalla contaminazione cristiana che le leggeva in chiave messianica. A Yavnehil Giudaismo rompe definitivamente con la nuova corrente, cioè il cristianesimo,contro cui viene formulata una scomunica addirittura introdotta nella più impor-tante preghiera giudaica detta “ Amidah” o “ Shemone Esre” (DiciottoBenedizioni): la 12a benedizione, detta Birkat ha-minim (Benedizione contro glieretici). In essa si chiede a Dio di confondere i peccatori superbi e di distrug-gere i progetti di coloro che vogliono nuocere al popolo d’Israele. La recita diquesta benedizione serviva per stanare i cristiani che frequentavano la sinago-ga: se un cristiano la pronunciava, invocava una maledizione su se stesso. Daquesto momento, la rottura tra Giudei e Cristiani è totale fino a diventare ostili-tà e avversione. L ’esponente di primo piano fu Rabbi Johanan ben Zakkaj,discepolo di Rabbi Hillel, per la par te legale e Rabban Gamalièl II, nipote diRabbi Hillel, per la par te liturgica.

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una sociologia cristiana da primi della classe che si andava progres-sivamente esprimendo in una letteratura polemica antigiudaica (cfl’Adversus Iudaeos di Tertulliano). Questi e ancora altri fattorihanno condotto alla lacerazione dei rapporti tra l’etnia giudaica e lacomunità cristiana, producendo un senso quasi di inferiorità da partedei giudeo-cristiani che tanto di stare all’altezza della polemica anti-giudaica impostasi dall’inizio del III secolo, preferivano talvoltadimenticare le proprie radici ebraiche e quindi lasciarsi omologarealla Chiesa della non-circoncisione. Questa rottura e questo conflit-to tra giudaismo e cristianesimo introdurrà una restrizione che inqualche mondo diventerà un giorno, soprattutto a partire dal IVsecolo (date significative sono gli editti dell’imperatore cristianoTeodosio del 380, del 392 e del 394) imposizione dell’unica matri-ce religiosa e culturale cristiana sulle altre espressioni e identità noncristiane, e poi anche colonizzazione delle altre culture con lasovrapposizione di quella cristiana.

La Chiesa, come Israele universale, ha la coscienza attiva di esse-re incarnazione della vocazione di Abramo (Gen 12,3), in cui si rea-lizza la profezia della dimensione universale di Israele, secondoanche l’interpretazione unanime del ciclo profetico34.

I primi scrittori cristiani ne avevano la piena coscienza. E proprionel momento in cui la Chiesa rappresentava l’avverarsi della voca-zione di Israele, l’Israele giudaico si rinchiudeva sempre di più perattivare nel suo seno le forze concentrative della propria sopravvi-venza, come l’evidenzia l’interpretazione della sposa del Canticodei Cantici, fatta dai tannaiti dell’inizio II secolo. Per Rabbi Aquiba(+ 135) a parlare nella sposa è Israele che si oppone alle nazioni:“Il mio amato è per me ed io sono per lui; tu (= la gentilità) nonhai nulla a che fare con lui” 35. Israele si chiude sempre di più inuna lettura chiusa della Scrittura e nella valorizzazione esclusivadella Torah nell’ambito della sinagoga, a partire soprattutto dalladistruzione del tempio, e in sostituzione dell’attività leviticasacerdotale, come motivo di sopravvivenza. I cristiani invece siespandono sempre di più geograficamente e nella lar ghezza divedute socio-culturali.

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34 Cf F. MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme , FranciscanPrinting Press, Jerusalem 1991, 244.

35 Rabbi Aqiba in Mekh. Ex 12,2.

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studiLa letteratura pa-tristica non cioffre buone op-

portunità per conoscereil commento dei primiautori ed esegeti cri-

stiani su Gen 12,3, in particolare sul tema della benedizione inAbramo di tutte le famiglie della terra. Il tema per lo più è trattato inconcomitanza con l’esegesi paolina di Rm e Gal, e solitamente l’in-teresse verte per lo più sul tema della fede di Abramo e sulla suadiscendenza compiutasi in Gesù Cristo, principio dell’universalitàdella discendenza di Abramo che include nella condivisione dellafede in Gesù sia il popolo che proviene dalla circoncisione comequello che proviene dalle nazioni36.

2.1 Dall’universalismo noachide alla discendenza di Abramo

La Torah identifica Abramo con la decima generazione a partireda Noè (Noé incluso), e quindi la ventesima generazione da Adamo.Dio chiamò Abramo da Ur di Caldea per iniziare un pellegrinaggiodi fede verso la Terra Promessa (Eb 1 1,8-10). Come Noè, infatti,dopo il diluvio, divenne padre di 70 nazioni (Gen 10), così Abramodivenne padre del popolo ebraico, attraverso il quale sarebbe venu-to il seme promesso, il Messia Salvatore. Abramo realizza la bene-dizione che in lui e nel suo seme-discendenza avrebbero ricevutotutte le nazioni, tutte le famiglie della terra, la plurinazionalitànoachide37. Le 70 nazioni della terra, quelle che discesero da Noè,avrebbero ricevuto la benedizione nel futuro Messia (Gal 3,9) 38.

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36 Cf per una raccolta antologica e ben studiata di tutti i commenti patristi-ci alla Genesi, fino al Medio Evo: U. NERI ( a cura), Genesi. Biblia. I libri dellaBibbia interpretati dalla Grande Tradizione, Gribaudi, Torino 1986.

37 R. FONTANA, L’universalismo noachide. Elaborare l’esperienza di Dio ,in Atti del convegno, Par ma 20-21 marzo 2009: interessante per leggere dalpunto di vista ebraico l’universalismo cristiano inaccettabile in casa ebraica.

38 È interessante cogliere dalla letteratura rabbinica la spiegazione delpassaggio dall’universalismo noachide alla scelta del popolo di Israele. Unfamoso racconto ( Peskita 21) dice che dal tempo della creazione al tempodell’Esodo il Signore offerse la T orah ad ognuna delle 70 nazioni, ma essela rifiutarono. Per esempio, Dio venne dai discendenti di Esaù e disse loro:

2. Gen 12,3:la benedizione in Abramo

di tutte le nazioni della terra

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Nella letteratura midrashica acquisterà una valenza straordinariaquesto universalismo noachide da essere applicato e letto in chiavedi rapporto con la Parola. Si realizza, cioè, quella universalità dellamultinazionalità e della multiculturalità, che è la destinazione dellaParola:

“È stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: Non è forse così la miaparola: come il fuoco, oracolo del Signor e, e come un martello che fran-tuma la roccia? (Ger 23,29). Come questo martello sprigiona molte scin-tille, così pure ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza si divide-va in settanta lingue” (bShabbat 88b). “Un maestro della scuola di RabbìIshmael ha insegnato: Non è forse così la mia par ola: come il fuoco, ora-colo del Signore, e come un martello che frantuma la r occia? (Ger 23,29)Come questo martello sprigiona molte scintille, così pur e un solo passoscritturistico dà luogo a dei sensi molteplici” (bSanhedrin 34a)39.

Nelle 70 scintille della Parola si possono rinvenire le 70 cultureo nazioni, in cui la Parola, inculturata, crea un movimento di espan-sione ma anche di concentrazione all’unum. La Parola una, suscetti-bile d’essere letta e accolta dalle 70 culture e nazioni noachide, ha ilpotere dell’unità. Sarà lo stesso pensiero di Origene, convinto che ilLogos che è uno sia la sorgente dell’unità40.

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“Volete accettare la T orah?” Essi risposero: “Padrone dell’universo, cosa stascritto in essa?”. Egli rispose: “ Non uccidere”. Essi risposero: “Questa èl’eredità che ci lasciò nostro padre, dove egli dice: “V ivrai sulla tua spada(Gen 27,40); perciò non possiamo accettare la T orah”. Dio andò da unanazione all’altra e sentì le scuse per non accettare la T orah (Egli fece sì che lenazioni potessero non avere scuse e dire: “Magari che il Santo, benedetto siaLui, avesse desiderato darci la T orah, noi l’avremmo accettata”). Alla fine ilSignore si rivolse ai figli di Israele, l’ultima delle nazioni, e chiese loro:“Volete accettare la Torah” Essi gli dissero: “Cosa vi sta scritto?” Egli rispose:“613 precetti”. Essi risposero all’unisono: Na’seh venishmah, cioè, tutto quelloche il Signore disse noi faremo e obbediremo (Ex 24,7)”.

39 I due testi del Talmud sono reperibili in A. C. AVRIL – P. LENHARDT, La lettu-ra ebraica della Scrittura, 86-87. Allo stesso modo si esprime A MBROGIO: “Dioparlò una volta sola e furono udite molte [parole]”, cf In Ps LXI, 33-34: PL, XIV,1180 C; cf ORIG Co Rom VII,19: PG XIV, 1153-1154; In Luc Ho. 34: PG 199-200; AUG In Ps LXI, 18: CCL 39, 786. Per la tradizione secondo cui la terraera abitata da 70 popoli che parlavano 70 lingue (v. tabella dei popoli in Gen10), cf l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico,molto antico, La Caverna del Tesoro, 24,18 (E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia,73). Cf A.M.LUPO, L’importanza delle genealogie nel libro della Genesi , Ed.CIPI, San Gabriele (Teramo) 2011.

40 Orig Co in Io V, V-VI: Sch 120bis, 384-388.

Più sotto vedremo come la profezia della morte-sacrificio dellaParola-Gesù nella profezia di Caifa (Gv 11, 47-52; Gv 18,14) assu-ma un valore universalmente unitivo. Sarà la morte di Gesù a realiz-zare sia l’unità del popolo della Parola, il popolo ebraico, sia l’uni-tà di tutte le nazioni, diventato mondo della Parola.

Agostino nel De Civitate Dei aveva letto nell’arca di Noè ilgrembo dell’unità del popolo ebraico e quello delle nazioni 41. Lastoria di Abramo è altamente profetica in vista del futuro Messia, ele promesse a lui fatte prevedono l’avvento di Gesù in un modoinfallibile.

Dopo l’Akedah (cioè il sacrificio di Isacco) Dio promise che “nelsuo seme (^[]r>z:b.)” tutte le nazioni della terra ( #r<a’h’ yyEAG lKo) sarannobenedette, perché tu hai obbedito alla mia voce (Gen 22,18 42). Allaluce del Nuovo Testamento, la fede di Abramo - e specialmente lafede dimostrata nell’Akedah - ha prefigurato la giustificazione dellenazioni in forza della fede. Perciò leggiamo in Gal 3,8-9: “E laScrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato le nazioni(ta. e;qnh) per la fede, proclamò in anticipo questo Vangelo adAbramo: In te saranno benedette tutte le nazioni ( ta e;qnh)(Gen 12,3). Perciò coloro che sono dalla fede sono benedetti conAbramo il credente”.

2.2 Tutte le nazioni saranno benedette nell’imitazione della fede diAbramo

Così lo sottolinea Agostino nel suo commento ai Galati:

“La fede fu computata ad Abramo come giustizia, prima che egli fosse cir-conciso, e a questo si riferiscono con tutta verità le parole: In te sarannobenedette tutte le genti (Gal 3,8) . Saranno benedette in quanto imiterannoin lui la fede (Gal 3,9) per la quale fu giustificato anche prima della circon-cisione. Questa altro non fu se non un rito sacro da lui ricevuto più tardicome suggello della fede e, naturalmente, prima di ogni asservimento allalegge, che fu data più tardi ancora” 43.

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41 Cf Aug Civ Dei XV, 26, 2: CCL 48, 494.42 Ecco il testo ebraico di Gen 22,18: yliqoB. T’[.m;v’ rv<a] bq,[e #r<a’h’ yyEAG lKo ^[]r>z:b.

Wkr]B’t.hiw>.43 Aug Exp Ep ad Galatas 20, 7-17: CSEL 84, 79.

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Quindi leggendo Gen 12,3 alla luce di Gen 22,18 a sua volta cita-to da Paolo in Gal 3,8-9, si evince che la promessa fatta da Dio adAbramo circa la benedizione universale rivolta a tutte le nazioni sisarebbe compiuta nel seme di Abramo, accolto in fede. È da notareche Abramo ricevette questa promessa come “membro delle nazio-ni”, poiché non aveva ancora ricevuto il comando della berit milah(circoncisione) come segno della identità giudaica. Abramo, cioè,era incirconciso quando credette al vangelo della futura redenzionedell’umanità (Rm 4,10-12). Perciò l’Apostolo chiama Abramo padredella fede per quei gentili che in seguito avrebbero creduto alVangelo della redenzione di Gesù: “Così, coloro che credono sonobenedetti con Abramo, l’uomo di fede” (Gal 3,9; Rom 4,16).Agostino echeggerà il commento paolino sulla fede di Abramo persottolineare che la benedizione di tutte le nazioni della terra saràfondata sulla fede di Abramo:

“È da rilevare che due cose furono promesse ad Abramo. La prima è chela sua discendenza avrebbe posseduto il territorio di Canaan ed è indicatacon le parole “Emigra nel paese che io ti indicherò e ti farò diventare ungrande popolo. L’altra riguarda un evento più importante, perché non èrelativa alla discendenza fisiologica, ma spirituale in virtù della quale èpadre non solo del popolo israelita, ma di tutti i popoli che seguono ilmodello della sua fede. Questa promessa ha avuto inizio con la promessa:“In te saranno benedette tutti i popoli della terra (Gen 12,3)” 44.

Dice il midrash sulla Genesi che “Le nazioni desideravano pro-clamarlo (Abramo) loro principe, loro re, e perfino loro dio, ma luirinunciò con indignazione e approfittò di quella opportunità perdichiarare loro che esiste un solo Gran re e un solo Gran Dio” (GenRab, 42), e ancora Genesis Rabba (Gen Rab 63) aggiunge che“Abraham fu il benedetto dell’Eterno, e fu la benedizione dell’uma-nità” secondo Gen 12,3, perché “Si dice che Abraham prese suamoglie Sara e le anime che avevano generato in Haran, ed essi ven-nero nella terra di Canaan. Con ciò si intendono le anime che essiportarono fuori dall’idolatria e le portarono alla conoscenza del Diovivente” (Gen Rab 66). Come lo ribadirà Origene commentando

44 Aug Civ Dei XVI, 16, 2: CCL 48, 520. Cf Augustinus Afer: SaintAugustin, africanité et universalité , (a cura di O. W ermelinger et al., Fribourg2003.

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Rom 4, 9-12: “Ciò che è richiesto ai membri dei due popoli non è ladiscendenza della carne ma la nobiltà della fede” 45. “Dio ha datol’eredità della promessa non come qualcosa di dovuto ma per la gra-zia, garantita a coloro che credono”46. E gli Ebrei non possono riven-dicare che Abramo sia il loro padre esclusivo. Secondo Gen 17,5Abramo è stato destinato a essere padre di molte nazioni, allora-commenta Origene-, Abramo è padre di quelli che vengono dallenazioni e di quelli che vengono dalla circoncisione, in quanto ciòavvenne “alla presenza del Dio in cui egli credette” (Rm4,11.13.17), per cui la circoncisione era solo il sigillo esterno delvero atto fondante della paternità universale di Abramo sia nei con-fronti delle nazioni sia di Israele47.

2.3 La benedizione di tutte le nazioni attraverso il seme-discenden-za di Abramo

Gen 22,18 chiaramente afferma che la benedizione sarebbe avve-nuta attraverso il seme-discendenza di Abramo per aver ascoltato lavoce di Dio (nella linea di Isacco, non di Ismaele, di Giacobbe, nondi Esaù, di Giuda, non di Ruben, di David, non del primogenito diIesse, di Salomone, non di Adonia, ecc), seme che Paolo identificacon Gesù: “La Scrittura non parla di discendenti, riferendosi a tanti,ma di uno solo, cioè il Cristo” (Gal 3,16). Quindi, in altre parole,Abramo fu scelto da Dio per consegnare il salvatore promesso almondo. Se la salvezza viene dai Giudei (Gv 4,22), però la benedi-zione del promesso seme di Abramo discese su tutte le nazioni: “labenedizione di Abramo rivolta alle nazioni si sarebbe ef fettuata inCristo Gesù (Gal 3,14), cioè tra i figli e le figlie di Adamo, cioè nelle70 famiglie di popoli, discendenti di Noè.

Agostino scriverà che la diaspora ebraica era necessaria ancheper far conoscere in tutto il mondo il cristianesimo fondato sulleScritture ebraiche: “I Giudei, secondo le profezie che essi leggono,

45 Orig Co Rom IV, 2,10: PG 14, 969 C. “ pronuntiat non carnis originem,sed notabilitatem fidei requirendam”

46 Orig Co Rom IV, 5,1: PG 14, 974 C: “ …Deum hereditatem promissio-nem non ex debito, sed per gratiam dare…his qui credunt ”.

47 Orig Co Rom IV, 5, 9: PG 14, 977-979.

sono dispersi ovunque in tutta la terra, perché la verità cristiana nonsia privata anche della testimonianza dei loro codici” 48.

Didimo il Cieco che oltre a un senso letterale dà soprattutto unsenso spirituale a Gen 12,3 commenta che le famiglie della terracessano di essere della terra quando imiteranno la santità di Abramonon curandosi più dei beni terrestri 49.

Ireneo nel II secolo sembra aver delineato definitivamente l’ese-gesi patristica di Gen 12, 3 quando scrive che Abramo, tra l’altrosempre pellegrino (paroikos) e ospite (parepidemos)50 non vide rea-lizzarsi materialmente nella sua vita la promessa della terra fattaglida Dio. Egli ricevette la terra nella sua discendenza, che si identifi-ca con coloro che temono Dio e credono in Lui, nella resurrezionedei giusti. Questa discendenza è la Chiesa stessa, che riceve permezzo del Signore la filiazione adottiva nei confronti di Abramo. Eil testo di supporto addotto da Ireneo sono le parole del Battista rife-rite da Mt 3,9: “Dio può suscitare figli di Abramo dalle pietre”. Ideache Ireneo trova espressa in Paolo per il quale nella lettera ai Galati(Gal 4,28; 3,16; 3,9) la promessa è legata alla discendenza/seme diAbramo, al singolare, non al plurale, e questa discendenza/seme èCristo stesso. Pertanto Gen 12,3 si riferisce alla benedizione di tuttele nazioni in Abramo, in quanto coloro che sono dalla fede sonobenedetti con Abramo il credente. Ma la promessa della terra, poi-ché non si realizza né per Abramo né per la sua discendenza = i cre-denti = le nazioni che credono, allora la promessa fatta ad Abramoe alla sua discendenza avrà un compimento solo escatologico, allaresurrezione dei giusti. È così, continua Ireneo, che si può interpre-tare la beatitudine di Mt 5,5 dei miti che possederanno la terra 51”.

L’universale genesiaco di Israele tracciato nella benedizione ditutte le nazioni in Abramo si riproduce e si realizza nelle Scritturecristiane del vangelo di Giovanni: la morte di Gesù fa di Israele unIsraele universale.

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48 Aug Contra duas epist. Pelagianorum III, 4,9: CSEL 60, 495,26.49 Did Co in Gen 12, 3: Sch 244, 142. Vi si scorge nel sottofondo l’inter-

pretazione allegorica data da Filone a Gen 12,3, in cui Abramo è invitato alasciare corpo-sensitività e il logos-ragione: Philo Alex Migr Abraham 1-16: Sch47, 23-28.

50 Iren AH V, 32, 2: Sch 153, 401.51 Iren AH V, 32, 2: Sch 153, 398-405.

2.4 Esegesi giudaica di Gen 12, 1-3

Il Lekh lekha (^l.-%l,) di Gen 12,1 letteralmente significa “va da testesso, o per te stesso”. Rashi afferma che ciò significa “Va per il tuoproprio vantaggio”, anche se i maestri hassidim interpretano nelsenso di: “Va in te stesso”, ossia inizia il tuo viaggio di ritorno a Dio.Ad ogni modo, è chiaro che si tratta di un invito di Dio ad andareavanti nella fede…Va avanti e rischia tutto per la Promessa di Dio.“Va verso la terra che io ti mostrerò” (Gen 12,1). C’è da notare cheil Signore parlò ad Abramo e lo invitò ad abbandonare la patria deisuoi avi per la promessa di Dio. È anche da rilevare che solo dopoche Abramo fece il lungo viaggio verso la terra sconosciuta diCanaan che Dio, apparendogli alla quercia di Mamre confermerà adAbramo le parole di Gen 17,8: “Alla tua discendenza io darò questaterra”. Dio disse tra sé: “Nasconderò ad Abraham ciò che sto perfare, allorché Abraham diventerà una nazione grande e potente e cheper mezzo di lui saranno benedette tutte le nazioni della terra” (Gen18, 17-18)52. Abramo non credette alla promessa perché egli videDio. Abramo poté vedere Dio solo dopo aver camminato in fede.Prima Abraham ascoltò il messaggio, e dopo che lo visse nella fedefu in grado di vedere di più.

Abramo sarebbe stato di benedizione a tutte le famiglie dellaterra (Gen 12,3). La promessa sarà confermata poi, dopo 30 anni,quando ad Abramo di 99 anni, apparve il Signore che gli confermala sua alleanza con la promessa di renderlo padre di una moltitudinedi nazioni (!Amh]-ba; ^yTit;n> ~yIAG , Gen 17,5), e per questo Dio stipulavauna alleanza con Abramo, in vista di renderlo padre di una moltitu-dine di nazioni ( ~yIAG !Amh] ba;l. t’ yyIh’w>, Gen 17, 4). E Dio per questorinomina Abramo (padre esaltato/ ab-ram) in Abraham (padre di unamoltitudine, per l’aggiunta della lettera “ h”). In questo testo c’èl’enfatizzazione dell’allusione alle nazioni: v 4: padre di unamoltitudine di nazioni; v .5: ti chiamerai Avraham, perché ti facciopadre di una moltitudine di nazioni; v. 6… di te farò nazioni, e da teusciranno dei re.

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52 Il testo masoretico di Gen 18,18 recita: #r<a’h’yyEAG lKo Ab Wkr>b.nIw> ~Wc[‘w> lAdG” yAgðl.hy<h.yI Ayõh’ ~h’r”b.a;w>.

Volendo fare una sintesi dei testi della Genesi che legano Abramoalla benedizione rivolta a tutte le nazioni, possiamo esaminare il lin-guaggio usato nei versetti Gen 12,1-3; Gen 17, 4.5; Gen 18, 17-18 eGen 22, 18. Gen 12,1-3 presenta la vocazione di Abramo legata allapaternità di un grande popolo ( lAdG” yAgl., v. 2). Il popolo di cuiAbramo sarà padre è detto goi, e sarà benedetto e moltiplicato gran-demente (Gen 12,2). A sua volta tutte le famiglie/nazioni della terrasaranno benedette: per nazioni è usato il termine, mishpahot haada-mah (hm’d”a]h’ txoP.v.mi, Gen 12,3).

In Gen 17, 4.5 si ripete che Abramo riceve la promessa, legataall’alleanza, di essere padre di una moltitudine di popoli ( ~yIAG !Amh]-

ba;,), rispettivamente in Gen 17,4 legato all’alleanza, mentre in Gen17,5 legata al significato del cambio del nome. In entrambi i casi, ipopoli-nazioni sono indicati con goim (~yIAG).

In Gen 18,18 si ha la ripresa di Gen 12,2-3, in cui Dio riesprimeil suo disegno di fare di Abramo un grande popolo (~Wc[‘w> lAdG” yAgl.),un grande goi e che saranno benedette in lui tutte le nazioni dellaterra (#r<a’h’ yyEAG lKo Ab Wkr>b.nIw> ). Anche le nazioni sono dette goim.Come si vede goim, goiei haaretz sostituisce mishpahot haadamahdi Gen 12,3.

Infine, in Gen 22,18 (#r<a’h’ yyEAG lKo ^[]r>z:b. Wkr]B’t.hiw>) dove rispetto atutti i testi precedenti oltre ad avere la stessa dizione di Gen 18,18per indicare le nazioni, le quali sono dette goie haaretz, si enunciache la benedizione di tutte le nazioni della terra è accordata nelseme/discendenza. L’akedah di Isacco apriva evidentemente l’oriz-zonte alla futura interpretazione paolina di Gal 3,16.

In tutti i testi genesiaci che si riferiscono alla benedizione di tuttele nazioni in Abramo (Gen 12,3; Gen 17, 4.5; Gen 18,18 e Gen22,18) torna sempre il verbo b-k-r, benedire. In Gen 12,3 nel passi-vo futuro niphal (^b. Wkr>b.nIw>, “in te (Abramo) saranno benedette”. InGen 17, 4-5, non c’è il tema della benedizione. Mentre in Gen 18,18torna il tema della benedizione delle nazioni con la stessa formula diGen 12,3 niphal (^b. Wkr>b.nIw>) saranno benedette in lui (in Abramo),dove il verbo è ancora b-k-r nel passivo futuro niphal e la benedi-zione avverrà in Abramo.

Infine Gen 22,18 (^[]r>z:b. Wkr]B’t.hiw>), si sentiranno benedette nel tuoseme/discendenza. La novità di Gen 22,18 è che dopo la sostituzio-ne di Isacco, le nazioni della terra si sentiranno benedette (il verbob-k-r è nel riflessivo hitpael) nel seme di Abramo.

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Facciamo presente che tutti questi testi della Genesi che abbiamoanalizzato, nel greco della LXX troviamo in Gen 12,3 pa/sai ai`fulai. th/j gh/j, per indicare le famiglie della terra. E se il terminee;qnoj, al singolare, è riservato per il popolo ebraico, tutte le altrevolte abbiamo sempre il plurale, per indicare le nazioni: in Gen 17,4(path.r plh,qouj evqnw/n) e v. 5 (pate,ra pollw/n evqnw/n). In Gen 18,18,per le nazioni abbiamo evn auvtw/| pa,nta ta. e;qnh th/j gh/j, e anche peril popolo ebraico Genesi applica lo stesso termine e;qnoj. In Gen22,18 le nazioni sono indicate con kai. evneuloghqh,sontai evn tw/|spe,rmati, sou pa,nta ta. e;qnh th/j gh/j. Quanto alla benedizione, que-sta in Gen 12,3 è indicata dal verbo al futuro passivo:evneuloghqh,son-tai, e cioè evneuloghqh,sontai evn soi.. In Gen 17,4.5 non c’è il temadella benedizione, mentre in Gen 18, 18 e anche in Gen 22,18 labenedizione delle nazioni è espressa nuovamente con un futuro pas-sivo evneuloghqh,sontai.

Sono questi i testi cui attinge Paolo quando in Rom e Gal trattadel tema della benedizione di tutte le nazioni in Abramo credente enel suo seme. Così siamo preparati a comprendere il vocabolariocon cui si esprime, secondo Giovanni, la profezia di Caifa in Gv11,50-52. Anche per Giovanni, infatti, l’ e;qnoj è riservato al popoloebraico, mentre ta. e;qnh sono le nazioni (cf Gv 11, 50-52).

Infine, nel Targum Ps-Jonathan su Gen 12,353, la benedizione riser-vata da Dio ad Abramo si trasforma in un atto di culto sacerdotale:

“Io benedirò i sacer doti che stendono le lor o mani in pr eghiera perbenedire i tuoi figli; ma Balaam che li maledirà, io lo maledirò ed essilo uccideranno a fil di spada. In te saranno benedette tutte le famigliedella terra”.

E ancora in Targum/Neofiti 1 su Gen 17, 4-754:

“Abramo aveva 89 anni quando la par ola di Dio (Yahwe) si manifestò adAbramo e gli disse. “Io sono il Dio del cielo. Rendi un culto davanti a menella verità e sii perfetto nelle buone opere (1). Metterò la mia alleanza trame e te e ti r enderò estremamente potente (2). Abramo si prostrò sullasua faccia e la Parola di Dio gli parlò dicendo (4). “Per me, ecco la mia

53 Targum Jonathan Gen 12, 3: Sch 245, 149 (R. LE DÉAUT).54 Sch 245, 178.180 (R. LE DÉAUT).

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alleanza con te: tu diventerai un assembramento di popoli giusti. (5) E nonti si chiamerà più con il nome di Abram, ma il tuo nome sarà Abraham,perché io ti ho destinato a diventar e un assembramento di una folla// dipopoli giusti (6). Io ti renderò molto potente e io ti farò diventare dei popo-li, dei re che comanderanno ai popoli usciranno dai tuoi fianchi (7). Io sta-bilirò la mia alleanza tra me e te e i tuoi figli dopo di te seguendo le lor ogenerazioni, come una alleanza eterna, al fine d’esser e per mezzo dellamia Parola, Dio per te e per i tuoi figli dopo di te ”.

E anche il testo parallelo su Targum Ps-Jonathan su Gen 17,4-755:

“Abramo aveva 89 anni quando Dio (Yahwe) si manifestò ad Abramo e glidisse: Io sono El Shaddai. Rendi un culto davanti a me e sii perfetto nellacarne. 2. Io stabilirò la mia alleanza tra la mia Parola e te e io ti moltipli-cherò all’estremo. 3. Ma poiché Abramo non era cir conciso, non gli erapossibile stare in piedi, quantunque si piegò sulla sua faccia e Dio gliparlò dicendo: 4. Per me, ecco che io concludo la mia alleanza con te: tudiventerai il padre di una moltitudine di nazioni. 5. E non ti si chiameràpiù Abram, ma il tuo nome sarà Abraham, perché io ti ho costituito il padredi una moltitudine di nazioni. 6. Io ti farò cr escere fino all’estremo e faròdi te delle popolazioni e dei r e che comanderanno alle nazioni uscirannoda te. 7. Io stabilirò la mia alleanza tra la mia Par ola e te tra i tuoi figlidopo di te seguendo le lor o generazioni, come un’alleanza eterna, al finedi essere Dio per te e per i tuoi figli dopo di te ”.

E il Targum Neofiti 1 su Gen 22,18:

“Poiché tu hai obbedito alla voce della sua Par ola, nella tua discendenzasaranno benedette tutte le nazioni della terra ”56. Mentre il TargumJonathan parafrasa Gen 22,18: “ A causa dei meriti dei tuoi figli tutti ipopoli della terra saranno benedetti, per ché tu hai obbedito alla miaParola”57.

Come si può notare, la tradizione targumica riporta fedelmente labenedizione in Abramo di tutte le nazioni secondo Gen 12,3 e Gen17,4 e Gen 22,18. In Israele si svilupperà un rapporto con le nazio-ni che possiamo definire centripeto, ossia si guarda alle nazionisalire verso Gerusalemme, e questo nella tradizione dei “librisapienziali”, come i salmi (cf Sal 87) e nella tradizione profetica

55 Sch 245, 179.181 (R. LE DÉAUT).56 Sch 245, 222 (R. LE DÉAUT).57 Sch 245, 222 (R. LE DÉAUT).

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(cf Is 2, 1-5; Is 56,7; Zc 2,15), ma anche il contrario, il movimentocentrifugo, da Gerusalemme, da Israele, agli estremi confinidella terra, e questo sia nei “salmi” (cf Sal 67; 117) sia nei “profeti”(cf Is 49,1-6; Ger 1,5)58.

Il vangelo diGiovanni, la cuiredazione pare risa-

lire alla fine del primosecolo, nel momento incui il cristianesimo giàaveva preso la strada

del pluralismo etnico e culturale, sembra darci una sua lettura delfenomeno, collegando, nelle parole di Caifa, sommo sacerdote, lanecessità della morte di Gesù di Nazareth al fine di preservare l’et-nia giudaica con l’unità delle nazioni: Gv 1 1,47-52. Al tempo dellaredazione finale del vangelo di Giovanni si ebbe il concilio ebraicodi Yavneh, intorno al 90 d C, che sancì la totale divisione, da parteebraica, di Israele, ceppo originante del cristianesimo, dalla succes-siva evoluzione del cristianesimo stesso. Il vangelo di Giovanni pareenunciare la tendenza opposta da parte cristiana. Mentre Israele,l’olivo, intende tagliare ogni rapporto con il cristianesimo, la comu-nità cristiana annuncia, con il vangelo di Giovanni, il perseguimen-to dell’unità dell’olivo e dell’olivastro, con l’instaurarsi dell’unitàdell’Israele universale fondata sulla morte di Gesù59. Mentre riman-diamo alla lettura midrashica di Gv 1 1 in P. F. Manns60, noi inveceseguiamo l’esegesi di Origene nel suo Commentario a Giovanni 61,

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3. La morte di Gesùper l’unità del popolo ebraico

e l’unità delle nazioni,l’Israele universale

58 Cf F. MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme , FranciscanPrinting Press, Jerusalem 1991, 245.

59 Rimandiamo alla nota 3.60 Cf F. MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme , Franciscan

Printing Press, Jerusalem 1991, 242-252.61 Cf Gv 11, 47-52 in OrigCo in Io XXVIII, XII, 86-XXI, 185: Sch 385, 106-

150, Cerf, Paris 1992 (Cécile Blanc). Origene compone gli ultimi libri del com-mentario a Giovanni dopo il suo trasferimento a Cesarea di Palestina, quindidopo il 231. Sappiamo da Eusebio di Cesarea, HE VI, XXIV, che Origene scris-se i primi due libri ad Alessandria, al ritorno da Antiochia e quindi dopo la suaordinazione sacerdotale e su pressione e finanziamento del discepoloAmbrogio che Origene aveva riportato dallo gnosticismo alla Chiesa cattolica:cf Eus Caes HE VI, XXIII, 1-2: Sch 41, 123. Orig Co in Io I, II, 9: Sch 120bis,58. Quello che ci rimane è il commentario fino a Gv 13 al libro XXXII.

con integrazioni dei commenti esegetici di Giovanni Crisostomodella linea antiochena62, di Cirillo di Alessandria della linea alessan-drina63, e di Agostino nei Trattati su Giovanni.

3.1 Gv 11,47-48: Israele ridotto a non-popolo dalle nazioni

Origene nel commento a Gv 11, 47-52, anzitutto rileva la paura64

dei farisei e dei sommi sacerdoti di fronte alla crescente ascesa dellafede del popolo in Gesù con l’immediata conseguenza che il culto“corporeo” della classe sacerdotale fosse disertato nel “luogo” 65,cioè nel tempio, con la conseguenza che sia questo come tutta laetnia ebraica, soprattutto degli ebrei rinunciatari alla loro identitàper passare alla fede in Gesù 66, fossero oggetto di un possibilesequestro da parte di Romani67. Origene sottolinea due precise iden-tificazioni ebraiche, sia il luogo-tempio, dall’ebraico maqom, cioè illuogo per eccellenza, espressione non solo della presenza di Dio edell’attività cultuale ebraica, ma anche il luogo-tempio inteso comesimbolo della stessa etnia e unità del giudaismo. In Giovanni topos,che ritorna anche in Gv 5,13 si riferisce, come lo legge Origene, soloal luogo del Tempio. Si trattava allora di bloccare Gesù per metterefine al movimento di chi lo seguiva e così evitare che i Romani siimpossessassero del “luogo” ( topos-maqom)68 e della loro etnia

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62 Io Chrys In Io ho 64-65: PG 59, 359-362.63 Cyril Alex Co in Io XI, 47-53: PG 74, 68-69, dove Cirillo, nonostante la

sua polemica antiorigeniana, dimostra di essere assai vicino al commento ori-geniano al vangelo di Giovanni.

64 Per Giovanni Crisostomo si tratta dell’invidia dei farisei nei confronti diGesù al quale non potevano rimproverare nulla: cf Jo Chrys In Io ho 65, 3: PG59, 359. Un’invidia che non era solo dei farisei, ma che domina anche nellaChiesa, aggiunge il Crisostomo.

65 Cyril Alex Co Io XI, 47: PG 74, 68 C, in cui si parla del timore da par tedei sacerdoti di perdere l’exousia, il potere, e dell’impossibilità di mantenere letradizioni dei padri.

66 La stessa idea di “Giudei indeboliti” e che passerebbero nelle file di Gesùsi ritrova in Cirillo di A., Co Io XI, 47: PG 74, 68 B.

67 Orig Co Io XXIII, XII, 86: Sch 385,106.68 Giovanni Crisostomo nel suo commento a Giovanni sostituisce e traduce

il topos-luogo evangelico con polis, quindi la città di Gerusalemme: cf Jo ChrysIn Io ho 65,1: PG 59, 360, sebbene subito dopo non manchi di alludere alladistruzione del naós, il tempio, da par te dei Romani. Ma anche Cirillo di A.

(e;qnoj)69. Con il procedimento del richiamo scritturistico in base aun termine, in questo caso l’e;qnoj, il richiamo a Ps 32/33,10 (ku,riojdiaskeda,zei boula.j evqnw/n avqetei/ de. logismou.j law/n kai. avqetei/boula.j avrco,ntwn), il Signore disperde i progetti delle nazioni eannienta i disegni dei popoli” secondo la LXX, Dio ha liberato Gesùdalla morte con la resurrezione, con il risultato imprevisto che “tuttele nazioni” furono sottomesse a Gesù e i Romani ef fettivamentefecero del “luogo”, il tempio, l’oggetto della loro conquista 70.Allontanarono l’etnia ebraica dal “luogo” consentendo ai Giudei divivere solo nella diaspora 71. Secondo l’applicazione esegetica del-l’anagogé, le nazioni hanno preso il posto dei Giudei, gli uominidella circoncisione, così si è avverata la lettura di Paolo, Rom 11, 11:“Affinché per la loro caduta la salvezza giungesse alle nazioni alpunto da renderli gelosi”, dove le nazioni non sono altro, perOrigene, che le popolazioni dell’impero romano72.

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sostituisce topos con polis: PG 74, 68. Perché questo allontanamento dall’origi-nale di Gv 11, 48? Forse sia in Antiochia sia in Alessandria, in entrambi gliindirizzi esegetici si era persa questa identificazione del topos con il maqom,il tempio? O c’è della polemica antigiudaica in entrambi i casi, pur in ambien-tazioni esegetiche diverse?

69 Orig Co in Io XXVIII, XII, 90: Sch 385,108.70 Orig Co in Io XXVIII, XII, 9: Sch 385,108.110. Invece il Crisostomo pren-

de la citazione di Sal 9,16: “Le nazioni sono cadute nella fossa che hanno sca-vata…” per applicarlo indebitamente ai Giudei, caduti nella stessa sor te in cuitemevano di cadere se non avessero ucciso Gesù: In Io ho 65, 1: PG 59,360.

71 Orig Co in Io XXVIII, XII, 92: Sch 385,110. Ricordiamo anche il commen-to di Agostino, Tr in Io XLIX, 26: CCL 36, “Temevano di perdere le cose tempo-rali e non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l’una e l’altra.I Romani, infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore, distrusserola loro città e la loro nazione, espugnando la città e deportando la popolazio-ne. Si realizzò così la profezia: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tene-bre (Mt 8, 12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebberimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani. Eranoinfatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al tempio e alle leggi deiloro padri”.

72 Orig Co in Io XXVIII, XII, 93: Sch 385,110. Cf C. M. I. DANIELI, Il miste-ro d’Israele nella lettura origeniana di Rm 9-11, in Atti della settimana biblica,Istituto Superiore di Scienze Religiose, Bologna 1995. G. SGHERRI, Chiesa esinagoga nelle opere di Origene, Milano 1982.

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Allora l’etnia ebraica ( e;qnoj) fu presa dalle nazioni ( e;qnh), e ilpopolo ebraico (lao,j) divenne non-popolo (non lao,j). Origene giocasull’uso giovanneo di e;qnoj applicato al popolo ebraico e il terminelao,j, hapax in Gv per indicare ancora il popolo ebraico nel medesi-mo versetto di Gv 1 1,50, per affermare che quello che la 1 Pt 2,10diceva delle nazioni, che erano non-popolo, ora si applica all’etniaebraica diventata non-popolo (Os 1,9) a causa della dispersioneromana73. Ancora si è avverata la lettura paolina (Rm 9, 6-7) secon-do cui la discendenza di Abramo, secondo la carne, non ha raggiun-ta lo stato di figli, per cui per Origene i discendenti di Israele nonsono più Israele.

Origene tira la conclusione, utilizzando la ricchezza del suovocabolario esegetico, del rapporto somatikos-peneumatikos,typos-aletheia, sarx-pneuma74, per descrivere cosa era accadutodegli Ebrei con la conquista di Gerusalemme: “Ora i sommi sacer-doti e tutto il culto “corporale” ( latreia somatike) dei Giudei e deifarisei e l’insegnamento letterale della Legge 75 complottano controGesù che è la verità ( aletheia), e la figura ( typos) vuole, al fine disopravvivere, impedire la manifestazione della verità ( aletheia),come la carne ( sarx) ha desideri contro lo spirito ( pneuma)(Gal 5,17)”76. Cirillo di Alessandria invece si contenterà di rilevareche proprio quello che i Giudei temevano da parte dei Romani nonlo hanno potuto evitare proprio perché non accettarono Gesù cheaveva dimostrato la sua identità messianica per mezzo dei miracolie della testimonianza delle Scritture77.

73 Orig Co in Io XXVIII, XII, 94: Sch 385,110.74 Le regole dell’esegesi spirituale origeniana esposte in Orig Princ IV, 2, 4:

Sch 268, 310ss.75 Cirillo di Alessandria usa un’espressione tutta origeniana quando afferma

che il timore di Caifa di fronte alla possibilità di cadere nelle mani dei Romaniera legato alla preoccupazione della distruzione non solo dell’e;qnoj, ma anchedella dell’ombra della Legge (skiá tou nomou): PG 74, 69A.

76 Orig Co in Io XXVIII, XII, 95: Sch 385,110.112.77 Cyril A. Co in Io XI, 47: PG 74, 68BC.

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3.2 Gv 11,49-52: la morte di Gesù, morte vicaria e per Israele e perle nazioni

Pur esitando ad attribuire all’ispirazione dello Spirito Santo laprofezia di Caifa 78, comunque Caifa ha detto la verità della mortevicaria realizzata da Gesù. Gesù con la sua morte otteneva la graziadella salvezza per il popolo ebraico e per tutti: “ Lo spirito che haspinto Caifa a dir e questo ha detto il ver o dicendo: È per nostr ointeresse che un solo uomo muoia per il popolo (laos)…affinché perla grazia di Dio gustasse la morte per tutti (Eb 2,9)79…Lui salvato-re di tutti gli uomini, soprattutto dei cr edenti (1 Tm 4,10) e“l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29) pertogliere i peccati del mondo non di una sola parte del mondo… 80 Ifarisei non potevano capire che era proprio per il loro interesse chequell’uomo morisse81 …. Non è il Dio Logos che muore82, quest’uo-mo, che è morto per il popolo (λαὸς) e per tutto il mondo 83 che nonha conosciuto peccato, ha preso si di sé ogni peccato (2 Cor 5,21)84.

La causa della salvezza contemporaneamente di Israele e dellenazioni è data dalla morte di Gesù che Origene presenta collezio-nando quattro citazioni forti: Eb 2,9; 1 Tm 4,10; Gv 1,29; 2 Cor5,21. Mentre Origene lega la salvezza apportata dalla morte di Gesùsia a Israele sia alle nazioni, questa lettura unitaria dell’Israele pri-mitivo e dell’Israele universale delle nazioni sarà spezzata circa duesecoli dopo in Alessandria, in chiara polemica antigiudaica, daCirillo che dirà che la morte di Cristo segnò la morte solo deiGiudei, e che invece essa fu a favore dell’umanità intera (yper pasesanthropotetos), Giudei esclusi 85. Per Origene invece, fedele all’in-terpretazione giovannea, la morte di Gesù è morte di espiazionevicaria per l’Israele universale, Giudei e nazioni.

Nel cuore dell’enunciato origeniano c’è la precisazione che amorire non è il Dio-Logos, ma, in forza di 2 Cor 5,21, l’uomo Gesù

78 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 153: Sch 385,136. 79 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 154: Sch 385,138.80 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 155: Sch 385,138.81 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 156-157: Sch 385,138. 82 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 159: Sch 385,138.83 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 160: Sch 385,140.84 Orig Co in Io XXVIII, XVIII, 160-161: Sch 385,140.85 Cyril Alex Co in Io XI, 49: PG 74, 69AB.

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che non ha conosciuto peccato. Nel commentare Ez 17,5, Origeneaggiunge che a spingere Gesù a consegnarsi alla morte è stata lacaritatis passio86 che caratterizzava la natura divina del Logos primadell’incarnazione e prima della morte.

Con la sua morte Gesù ha compiuto l’incredibile, è morto sullacroce per la purificazione del mondo intero87. Solo Gesù ha accetta-to di morire sulla croce per tutti e prendere e portare il peso del pec-cato. In questo senso Origene legge Is 53,3-588; Gal 6,14; Is 53,7; At8,3289 e Fil 2,890. Commentando le parole di Gv 1,29 sull’Agnello diDio che toglie il peccato del mondo e collegandosi all’agnello sgoz-zato e in piedi di Ap 5,6, Origene afferma che “secondo alcune dot-trine ineffabili questo agnello sgozzato è la vittima of ferta per tuttoil mondo”91. Allora, la profezia di Caifa secondo Gv 1 1,50, ripresanel processo giudaico in Gv 18, 14, si è ef fettivamente realizzata,perché “Quest’uomo è morto per il popolo (lao,j) e grazie a lui tuttala nazione (e;qnoj) non è perita” 92. La morte di Gesù ha salvato siaIsraele, quelli della circoncisione, cioè il popolo ( lao,j) e l’etniaebraica (e;qnoj), e le nazioni (e;qnh)93.

E dopo aver precisato che a fare quella profezia della salvezza diIsraele e di tutte le nazioni non fu uno qualsiasi ma colui che era ilsommo sacerdote dell’anno della morte di Gesù 94, Origene fa ulte-riori precisazioni. Gesù muore per l’e;qnoj, cioè per l’etnia giudaica,ma anche per i figli di Dio della diaspora (Gv 1 1, 51-52). Quindisi tratta di due realtà diverse. L ’etnia ebraica non è identificabilecon i figli di Dio dispersi 95. Per Origene96, “i figli di Dio dispersi e

86 Orig Ho in Ez VI, 6 : Sch 352, 228-230.87 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 163: Sch 385,142.88 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 164: Sch 385, 142. Secondo Is 52,13-53,12,

il raduno di Israele e delle moltitudini è legato alla mor te del Ser vo. Cf F .MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme , Franciscan PrintingPress, Jerusalem 1991, 248.

89 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 166: Sch 385,142. 90 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 167: Sch 385,142. 91 Orig Co in Io VI, LIII, 274: Sch 157, 338.92 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 168: Sch 385,144.93 Orig Co in Io XXVIII, XIX, 169-170: Sch 385,144.94 Orig Co in Io XXVIII, XX, 170-175: Sch 385,146.95 Orig Co in Io XXVIII, XXI, 178: Sch 385,148.96 Orig Co in Io XXVIII, XXI, 183: Sch 385, 148.150.

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diversi dalla nazione (e;qnoj) sono quelli che erano già giusti in Dio,quando queste parole furono pronunciate, cioè i patriarchi, i profetio altri eletti che si addormentarono”. Mentre i figli di Dio dispersisono anche gli ebrei dispersi cioè emigrati in tutto il mondo 97, inparticolare dopo la prima, nel 70 d C, e poi la definitiva distruzionedi Gerusalemme da parte dei Romani nel 135.

Allora la morte del Signore realizza l’unità sia di Israele (lao,j ede;qnoj), sia delle nazioni (e;qnh) sia dei giusti di Israele che sono mortinella giustizia, sia dei Giudei della diaspora, emigrati dalla terra diIsraele. Cirillo di Alessandria, invece, fedele all’interpretazione chela morte di Cristo fu in favore dell’umanità intera, e in polemicaantigiudaica, legge “i figli di Dio dispersi” come allusione esclusivaal genere umano (esclusi i Giudei), che grazie alla morte di Cristopassò dall’inesistenza all’esistenza. In altre parole, il genere umanofu creato e venne all’esistenza per opera del Padre Creatore, per lamorte di Cristo, essendo stati fatti e onorati tutti gli uomini ad imma-gine di Dio98.

Pure per Giovanni Crisostomo i “figli di Dio” sono semplicemen-te le nazioni, quelle alle quali Gesù alludeva quando diceva “Hoaltre pecore” (Gv 10,16), perché “Dio, togliendo ai Giudei l’ereditàche era per loro [… ] la diede agli schiavi degni di stima provenien-ti dalle nazioni, e lasciò i Giudei soli e nudi” 99. Riportiamo anche ilcommento di Agostino100: “E cosa profetò Caifa? Profetò che Gesùsarebbe morto per la nazione, e non per quella nazione soltanto, maanche per radunare insieme i figli di Dio dispersi (Gv 1 1, 51-52).Questo lo ha aggiunto l’evangelista, in quanto la profezia di Caifa silimitava alla nazione dei Giudei, nella quale si trovavano quellepecore di cui il Signore aveva detto: Sono stato mandato soltantoalle pecore perdute della casa d’lsraele (Mt 15, 24). Ma l’evangeli-sta sapeva che esistevano altre pecore che non erano di quell’ovile,e che dovevano essere radunate, in modo che vi fosse un solo ovile,

97 Orig Co in Io XXVIII, XXI, 184- 185: Sch 385,150.98 Cyril Alex Co in Io XI, 49: PG 74, 69B. Ci dispensiamo dal commentare

il duro antisemitismo di Cirillo, lui che in Alessandria si era premurato si sferra-re una pesante persecuzione contro gli ebrei, e in base alla sua er meneuticabiblica, specialmente nel 414.

99 Io Chrys In Io ho 65: PG 59, 361.100 Aug Tr in Io XLIX, 27: CCL 36, 432.

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e un solo pastore (cf Gv 10, 16). Tutto questo, però, l’evangelista lodice tenendo conto della predestinazione, in quanto quelli che noncredevano in lui, non erano ancora né sue pecore né figli di Dio”.

Insomma, la morte del Signore avvera, dice Origene, la preghie-ra di Gesù per l’unità di Gv 17,21 101. Nella morte di Gesù tutte lerealtà umane a cominciare da Israele sono portate all’unità, l’unitàdelle nazioni con l’Israele della diaspora. Per il Crisostomo, invece,l’effetto della morte di Cristo se fu la punizione dei Giudei segnòperò l’unità delle nazioni, i lontani e i vicini geograficamente diven-nero un solo corpo, cosicché gli abitanti di Roma sono membra diuno stesso corpo con i nativi dell’India, avendo Cristo come capo ditutti. Cosa potrebbe esserci di simile a questa “sinagoga”?” 102.

Nell’omelia IX su Ezechiele Origene addebita al peccato, princi-pio di tutti i mali, la divisione e la contrapposizione delle nazioni edelle culture, mentre il principio di tutti i beni è il ritorno delle folleall’unità: “Dove c’è il peccato, c’è moltitudine, scismi, er esie, dis-sensi; dove c’è la virtù, c’è semplicità, unione […] Il principio ditutti i mali è la moltitudine, il principio di tutti i beni è il ritornodelle folle all’unità”103.

In effetti, Dio stesso, in base a Ger 6,7-8, disperde i peccatori peraumentare il valore educativo della pena, e per evitare che, restandoinsieme, non pensino che al male e di accrescerlo. Infatti, finché ilpopolo di Israele non peccava, rimase in Giudea, quando cominciòa peccare avvenne la diaspora 104. Nel Co in Io V, V-VI105 Origenepresenta questa unità che è di Dio, perché egli non cambia e nondiventa diverso da se stesso. Così il suo Logos non è una moltitudi-ne di parole, ma una sola Parola (“ La Parola di Dio, che al princi-pio era presso Dio, in tutta la sua pienezza non è una moltitudine diparole; essa non è parole, essa è una sola Parola che abbraccia ungran numero di idee di cui ogni idea è uscita da una parte dellaParola nella sua totalità ”), come le Scritture costituiscono un solo

101 Orig Co in Io XXVIII, XXI, 184: Sch 385,150.102 Io Chrys In Io ho 65: PG 59, 362.103 Orig In Ez ho IX, 1: Sch 352, 297 . 104 Orig In Ier ho XII, 3-4: Sch 238, 22-24; GCS Origenes III, 90-91. Per

questa sintesi della teologia dell’unità in Origene, rimando a C. Blanc, in Sch385, 23-24.

105 Orig, Co in Io V, V-VI: Sch 120bis, 384-388.

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libro (“come la Scrittura ha bisogno del Logos per chiuder e e peraprire secondo Is 22,22, […] così Giovanni ha mangiato un solorotolo [Ap 5,1], per ché ha considerato tutta la Scrittura un sololibro”). Invece gli uomini non sono uno, perché cambiano continua-mente, così ognuno di essi non può essere chiamato uno, ma“molti”106. Questo disaccordo degli uomini produce poi gli scisminelle comunità come si dice in 1Cor 1,12 107. Noi siamo invitatiall’unità lasciando disaccordi e divisioni 108, non lasciando la comu-nità in cui la fede nella resurrezione unisce giuntura a giuntura 109,per essere un solo corpo, un solo pane, un solo Spirito 110. Infatti, igiusti sono unus sia individualmente sia insieme 111, e la Chiesaassemblea dei santi, è una persona112. Così come due uomini si uni-scono nella preghiera, Cristo è con loro, secondo Mt 18,20 113.

Cirillo di Alessandria rievocherà i pensieri di Origene, afferman-do che all’origine di ogni dispersione ci sta il diavolo che non sop-portava l’unità dell’uomo con Dio. Ma Cristo in forza della fede hariunito tutti gli uomini in un solo gregge e in una sola Chiesa. Tuttifurono posti sotto un solo giogo, Giudei, Greci, barbari, Sciti sonodiventati una sola cosa (en), alludendo a Col 3,11, diventati tutti unsolo uomo nuovo (Ef 3,13-16) stretti dall’unico monoteismo che liporta ad adorare l’unico Dio114. Il fatto che Cirillo di Alessandria quiincluda anche gli ebrei in questa unificazione universale pare sia piùuna dovuta allusione a Col 3,11 che a un cambiamento di pensiero afavore degli ebrei.

106 Orig In Reg ho I : CGS 33,6.107 Orig Co in Mt XIV, 1: CGS 40, 276.108 Orig Ho in Ez IX, 1: Sch 352, 297.109 Orig In Ps 77,52.110 Orig Sel in Ier V, 17: PG 13, 596A.111 Orig In Reg ho I, 4: GCS 33, 6. 112 Orig In Cant Cant I, 5: Sch 375, 178.113 Orig Co in Mt XIV, 1: GCS 40, 281; ORIGENES, Der Kommentar zum

Evangelium nach Mattäus II , Bibliothek der griechischen Literatur, Hiersemann,Stuttgart 1990, 34 e In Cant Cant I, 5: Sch 375, 178.

114 Cyril Alex Co in Io XI, 49 s: PG 74, 69C.

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Conclusione: Una sola persona in Cristo (Gal 3, 27-29)

Coniugando Gen 12,3 con Gv 11,47-52 comprendiamo la letturasintetica e programmatica che Paolo dà nella sua lettera ai Galati:“Quanti infatti siate stati gettati dentro (= battezzati) nel Messia,avete rivestito il Messia. Non è più questione adesso né di Giudeoné di Greco, né di schiavo né di libero, né di maschio né di femmi-na: tutti, infatti, voi siete una sola persona (ei-j) nel Messia Gesù. Ese voi siete del Messia, allora siete seme di Abramo, diventati eredidella promessa (fatta ad Abramo)” (Gal 3, 27-29). Paolo nella suasintesi espressa in Gal 3, 27-29 dichiara che l’unità e ricchezza etni-ca, sociale e culturale dipende dal fattore unitivo del battesimo inCristo. Il battesimo unifica le etnie, le culture creando l’unità antro-pologica e sociale non su presupposti culturali, ma in base alla rea-lizzazione dell’unus in Cristo. L’una persona di Gal 3,28 è la con-giunzione dell’uno, Abramo, attraverso l’uno, Cristo, che producel’uno, la Chiesa, l’uno nella multiculturalità e nella multinazionali-tà, nella Chiesa, che è, al dire di Origene, una persona115, grazie allamorte di Gesù.

Come scrive in modo commovente e simpatico Origene nellaseconda omelia sul Cantico dei Cantici: “La Chiesa che parla cosìsiamo noi, che siamo stati radunati dalle nazioni. Il nostro Salvatoreè il figlio della sorella, cioè della sinagoga, perché la Chiesa e lasinagoga sono due sorelle. Il nostro Salvatore dunque, come l’abbia-mo detto, in quanto figlio della sorella sinagoga, marito dellaChiesa, Sposo della Chiesa, è il nipote della sua sposa” 116.

115 Orig In Cant Cant I, 5: Sch 375, 178. 116 Orig In Cant Cant Ho II, 3: Sch 37bis, 84: “Consideremus, quid sibi et

« fratruelis » nomen velit. Ecclesia, quae haec loquitur , nos sumus de gentibuscongregati; Salvator noster sororis eius filius est, id est synagogae; duae quippesorores sunt, ecclesia et synagoga. Salvator ergo, ut diximus, filius synagogaesororis, vir ecclesiae, sponsus ecclesiae, « fratruelis » est sponsae suae ”. Cfanche Orig Co Cant Cant II in 1, 13: Sch 375, 446. Cf J. CHÊNEVER T, s.j.,L‘Église et les gentils, in L’Église dans le commentaire d’Origène sur le Cantiquedes Cantiques, Desclée de Brower, Paris 1969, 114-158.

“THE CHURCH, THE UNIVERSAL ISRAEL: FROMGEN 12:3 TO JO 11: 47-52. A PATRISTIC READING

OF MULTICULTURALISM AND MULTINATIONALISMFROM THE TIME OF THE DEATH OF JESUS” Gianni Sgreva, cp

The phenomenon of multiculturalism and multinationalism, whenconsidered in a Hebrew Christian key, evokes the very identity of theChristian people of the Church who fulfil the blessing of all nationsaccording to the pr ophecy to Abraham (Gen 12:3), as for eseen bythe prophets. It is the mystery of a convergence between the Hebrewstory, the eternal Israel, the olive tree of Rom 11, and the universal-ity of the nations, the universal Israel. Here, we are dealing with thechangeover from the DNA of blood, as symbolized by circumcision,to a DNA of faith. A summary of the same in Jo 1 1: 47-52 is cele-brated in the vicarious death of one man alone, Jesus Christ, asrevealed by the Fathers of the Chur ch, particularly by Origen andAugustine.Therefore, in the person of Jesus, Christianity celebrates unitybetween Jews and Gentiles, slaves and freemen, man and woman, inthe “unum” of the Logos (Justin), in the unity of the Word (Origen).The very identity and mission of Christianity is essentially multina-tional and multicultural in the one cultur e of the Logos, brought tobirth by the death of Our Lord.

« L’EGLISE, L’ISRAEL UNIVERSEL : DE GEN 12,3 ÀGV 11,47-52. UNE LECTURE PRATIQUE DU MULTI-

CULTURALISME ET DE LA MULTI-NATIONALITÉ DE LAMORT DE JÉSUS »Gianni Sgreva, cp

Le phénomène du multiculturalisme et de la multi-nationalité, luselon la cléf judéo-chrétienne, rappelle l’identité même du peuplechrétien qui dans l’Église réalise la bénédiction de toutes lesnations prophétisée à Abraham (Gn 12,3), et envisagée par les pro-phètes. C’est le mystère de la rencontre de l’histoire juive, l’Israëléternelle, l’olivier de Rm 1 1, et l’universalité des nations, l’Israëluniverselle. Il s’agit du passage d’un ADN de sang, caractérisé par

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la circoncision, à l’ADN de la foi. Telle synthèse en Jn 11, 47-52 secélèbre dans la mort vicair e d’un seul , Jésus-Christ, comme lesPères de l’Eglise le révèlent, et parmi eux de façon éminenteOrigène et Augustin. Pour cette raison, le christianisme célèbr el’unité dans la personne de Jésus des Juifs et non-Juifs, de l’es-claves et du libr e, de l’homme et de la femme, dans l’unum duLogos (Justin), dans l’unité de la Parole (Origène).Le christianisme est essentiellement par identité et par mission mul-tinationale et multiculturelle dans l’unique culture du Logos, cau-sée par la mort du Seigneur.

“LA IGLESIA, EL ISRAEL UNIVERSAL: DE GEN 12,3A JN 1 1,47 -52. UNA LECTURA PATRÍSTICA DELMULTICULTURALISMO Y MULTINACIONALIDADA PARTIR DE LA muerte de Jesús”Gianni Sgreva, cp

El fenómeno del multiculturalismo y de la multinacionalidad, leídoen clave hebraica – cristiana, recuerda la identidad misma del pue-blo cristiano que en la Iglesia r ealiza la bendición de todas lasnaciones, profetizada a Abraham (Gen 12,3), pr oyectada por losprofetas. Es el misterio del encuentr o entre la historia hebraica, elIsrael eterno, el olivo de Rm 11, y la universalidad de las naciones,el Israel universal. Se trata del paso de un ADN de sangre en elsigno de la circuncisión, a un ADN de fe. Tal síntesis en Jn 11, 47-52 se celebra en la muerte vicaria de uno sólo, Jesucristo, como lorevelan los Padres de la Iglesia, y entr e ellos de modo eminenteOrígenes y Agustín.Por eso el cristianismo celebra la unidad en la persona de Jesús dehebreos y no hebreos, de esclavo y libr e, de hombre y de mujer, enel Unum del Logos (Justino), en la unidad de la Palabra (Orígenes).El cristianismo es esencialmente, por identidad y por misión, multi-nacional y multicultural en la única cultura del Logos, causada porla muerte del Señor.

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“DIE KIRCHE, DAS UNIVERSELLE, WELTUMFAS-SENDE ISRAEL: GEN 12,13 – JOH.1 1,47-52.

BETRACHTUNG DER MULTIKULTURALITÄT UND DERMULTI-NATIONALITÄT NACH DEM TOD JESU AUS DERSICHT DER KIRCHENVÄTERGianni Sgreva , cp

Das Phänomen der Multikulturalität und der Multi-Nationalität,betrachtet aus jüdisch-christlicher Sichtweise, weist uns auf dieeigentliche Identität des christlichen V olkes hin, welches in derKirche den für Abraham prophezeiten Segen für alle V oelker (Gen12,3) wahr wer den lässt. Es handelt sich um das Geheimnis derBegegnung der jüdischen Geschichte, das ewige Israel, derOlivenbaum von dem im Römerbrief (Röm 11) gesprochen wird, mitden die ganze Welt umfassenden Nationen, das universelle, weltum-fassende Israel; es handelt sich dabei genau um den radikalenWandel vom Dna des Blutes , unter dem Zeichen der Beschneidung,zum Dna des Glaubens. Diese Synthese ist in Joh11,47-52 durch denTod von einem Einzigen, unser em Herrn Jesus Christus ausge-drückt, wie es die Kir chenväter, im besonder e Origene undAugustinus, hervorheben. Gerade deshalb wird im Christentum dieEinheit von Juden und Nicht- Juden, von Sklaven und Freien, vonMann und Frau in der Person Christi, im Eins des Logos (Justinus),in der Einheit des Wortes (Origene), gepriesen. Das Christentum istin seinem Wesen aufgrund seiner Identität und seiner Mission, dankdes Todes unseres Herrn, multinational und multikultur ell in dereinzigen Kultur des Wortes, des Logos.

KOŚCIÓŁ, POWSZECHNY IZRAEL: OD RDZ 12,3DO J 1 1,47-52. PATRYSTYCZNA INTERPRETACJA

WIELOKULTUROWOŚCI I WIELONARODOWOŚCIWYCHODZĄCA OD ŚMIERCI JEZUSA.Gianni Sgreva, cp

Zjawisko wielokulturowości i wielonarodowości, odczytane z per-spektywy żydowsko-chrześcijańskiej, odwołuje się do tożsamościludu chrześcijańskiego, który w Kościele r ealizuje błogosławień-stwo wszystkich narodów zapowiedziane Abrahamowi (Rdz 12,3),

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przewidywane przez proroków. Jest to misterium spotkania historiiżydowskiej, wiecznego Izraela, oliwnego drzewa z Rz 1 1 oraz uni-wersalizmu narodów, Izraela uniwersalnego. Chodzi o przejście odDNA krwi związanej z obrzezaniem do DNA wiary. Synteza taka w J11,47-52 dokonuje się w jednej zastępczej śmierci Jezusa Chrystusa,jak to ukazują Ojcowie Kościoła, wśród nich zaś w sposób szczegól-ny Orygenes i Augustyn. Dlatego chrześcijaństwo celebruje jedność Żydów i nie-Żydów, męż-czyzny i kobiety w osobie Jezusa, w jedności Logosu (JustynMęczennik), w jedności Słowa (Orygenes).Chrześcijaństwo jest ze względu na swą tożsamość i swą misjęzasadniczo wielonarodowy i wielokultur owy w jednej kulturzeLogosu opierającej się na śmierci Pana.

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Rut, icona biblicadi donna accoglienteintegrata e integrante123-145

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di ANGELA MARIA LUPO C.P.Docente di S. Scritturaalla Pontificia Università Urbaniana

Premessa Il piccolo libro di Rut, una storia che si

sviluppa in soli quattro capitoli, 85 verset-ti e 1252 parole, è un invito alla conver-sione per l’umanità del nostro tempo talo-ra insofferente davanti alle sfide dell’alte-rità. Sottolinea, infatti, l’amore alla diver-sità e la creatività dell’amore, rappresen-tando una sfida ad accettare l’altro comedono e non come minaccia1.

Lo stile del racconto, con i suoi aned-doti, la finezza psicologica dei personaggiche hanno nomi simbolici, fanno pensareche il libro di Rut sia una novella, un rac-conto di carattere sapienziale. Non a casola Bibbia ebraica lo colloca dopo il librodei Proverbi che si chiude, al capitolotrentunesimo, lodando la figura della“donna perfetta” e lasciando in sospeso la domanda: “Una donna divalore chi potrà trovarla?” (Pv 31,10). Seguendo l’ordine di tipocronologico, il libro di Rut è la risposta a quella domanda, poichédalla bocca di Booz sentiamo queste parole: “Tutti i miei concittadi-ni sanno che sei una donna di valore” (Rt 3,1 1).

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RUT,ICONA BIBLICADI DONNAACCOGLIENTEINTEGRATAE INTEGRANTEUNA STORIADI IMMIGRAZIONEE DI RITORNO

1 FR. MICHAEL DAVIDE, Rut, donna altra. Le conseguenze ed il prezzo del-l’amore, Molfetta 2007, 15: “Questo libro è una sor ta di road-mapspiritualealla cui luce si può imparare a superare gli steccati delle paure e delle precom-prensioni”.

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Per leggere in profondità questo breve libro sarà utile rivolgersialla letteratura interpretativa giudaica, ricorrendo alla tradizionemidrashica e rabbinica; si farà anche riferimento alla tradizioneliturgica ebraica che ha sempre considerato il libro di Rut all’inter-no della festa di Shavuot/Pentecoste.

Nel midrash Rut Rabba 2,14 leggiamo l’opinione di Rabbi Zeirache dichiara: «Questo rotolo non ci racconta nulla sulla purità e sul-l’impurità, su ciò che è vietato e su ciò che è permesso. Allora per-ché mai è stato scritto? Per insegnarci quanto sia grande la ricom-pensa di coloro che compiono azioni di grazia ( hesed)”»2.Quest’affermazione molto importante af fronta esplicitamente ladomanda sullo scopo per cui il libro di Rut è stato scritto che non èné il tema messianico, né quello del proselitismo, né quello di inse-gnare regole o precetti. Ciò che realmente conta è la vita secondohesed, che merita una grandissima ricompensa da parte di Dio. Dallevarie pagine del libro emergerà, infatti, che il tempo dell’emigrazio-ne per una famiglia può essere senza dubbio un tempo di prova, dispogliamento, di perdita e di morte che può operare senza dubbio ungrande vuoto, come nel caso di Noemi, ma Dio risponde sempre acoloro che si assumono i rischi della fede: a Noemi, a Rut, a Booz,a quanti si lasciano guidare più dalla logica dell’amore che dal-l’egoismo e dall’interesse personale, a quanti vivono la legge deldare e non del ricevere.

Entrare quindi nel contenuto di questo libro significa condivide-re la pratica di umanità incarnata dai personaggi che svela il deside-rio più profondo di Dio di realizzare pienamente la nostra vocazio-ne all’umanità; infatti, nella misura in cui l’altro, etichettato spessocome lo “straniero”, è accolto nella propria umanità, nella propria“casa”, si fa splendere l’amore di Dio nel mondo in quanto colui cheaccoglie l’altro compie la propria umanità permettendole di far tra-sparire la divina presenza. Soltanto la bontà e l’amore che sannodiventare l’altro prepareranno l’alba di una civiltà nuova dell’amo-re che vedrà protagonista l’umanità intera in tutte le sue multiformiespressioni e ricchezze.

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2 G. LENZI (ed.), Il Targum del Cantico dei Cantici. Il Targum del Libro diRut, Genova-Milano 2010, 96.

Èalquanto signifi-cativo che il nar-ratore non si

preoccupa di descrive-re i personaggi che

appaiono nella scena del racconto, ma si interessa di fornirci solo iloro nomi che hanno un significato alquanto espressivo. Elimelek,nome semitico che significa “il mio Dio è re”, lascia Betlemme, la“casa del pane”, termine che ricorre simbolicamente 7 volte nellibro, e si trasferisce a Moab, terra di maledizione (cf. Dt 23,4), pertrovare lì la vita. Il fatto sconvolgente è che non c’è più pane pro-prio nella “casa del pane, quindi c’è una scena di morte iniziale edElimelek, colui che dovrebbe manifestare una piena fiducia e abban-dono in Dio, colui che dovrebbe dire con la sua vita che Dio è il re,soprattutto in quella situazione di carestia che vive il suo popolo,invece di essere solidale con gli altri, fugge. Egli è un uomo ricco edè accompagnato dalla moglie Noemi, da n’m, “dolcezza”, o “deli-zia”, nome non usato altrove nella Bibbia. Noemi è l’incarnazionedi quanto c’è di più nobile e femminile: sicuramente la dolcezza, maal tempo stesso anche la decisione, il disinteresse, l’af fidamento, laresistenza, l’intuizione, la delicatezza e l’af fetto3. Insieme a loropartono i due figli maschi che dovrebbero essere la vera ricchezzadi questa famiglia, invece portano iscritti nei loro nomi la realtàdella loro morte: Maclon, messo in relazione con la radice mhl, o hly“essere debole, sterile, ammalato” e Chilion, dalla radice kly,“essere esaurito, esausto”, nomi che alludono alla triste sorte cheavranno.

Ma come trovare la vita in una terra di morte? Elimelek fuggedalla sua gente, dalla sua terra, cercando una soluzione per se stes-so; lui decide e pensa al modo più giusto per sfuggire alla mortenella terra promessa, ma poco dopo la migrazione troverà la mortenella terra straniera. Volta le spalle al luogo di benedizione e portala sua famiglia in una terra di pagani, Moab, luogo legato in partico-lare al ricordo dell’incesto delle figlie di Lot con il proprio padre perassicurargli la discendenza. Dopo la morte di Elimelek i due figlisposano donne moabite: Orpa, che significa “nuca”, “colei che voltale spalle” e Rut, “amica” o “riconfortata”, nomi tipici di Moab.

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1. Una storia d’immigrazione

3 Cf. J. VÍLCHEZ LÍNDEZ, Rut ed Ester, Roma 2004, 49.

Nel giudaismo del Secondo Tempio i matrimoni misti rappresen-tano per Israele il rischio della perdita dell’identità religiosa e di unallontanamento dalla pratica della vera fede: “Non dovete dare levostre figlie ai loro figli, né prendere le loro figlie per i vostri figli;non dovete mai contribuire alla loro prosperità e al loro benessere”(Esd 10,12). Questa tesi era avvalorata dai testi biblici fondanti; leg-giamo, infatti, che dopo la morte di Sara, Abramo cominciò a preoc-cuparsi del futuro di Isacco e pensando alle sue nozze, mandò il suoservo fidato Eliezer a prendere una moglie per il figlio la cui quali-tà fondamentale richiesta era che non fosse straniera (Gen 24,3).Successivamente leggiamo che Rebecca avrà un ruolo fondamenta-le nella storia della salvezza, più che Isacco, soprattutto in ordinealla primogenitura di Giacobbe a discapito di Esaù proprio per ilfatto che quest’ultimo amava donne hittite (cf. Gen 27).

Dopo circa 10 anni dal giorno dell’emigrazione anche i figli diElimelek muoiono senza lasciare eredi, ma lasciando tre donne sole,tre vedove: Noemi, Orpa e Rut. Così Moab, il paese della speranzaraggiunto con la certezza di trovarvi lavoro e pane, diventa luogo dimorte e di dolore. Noemi, trovandosi sola, avendo perso tutto, mari-to e figli, ridotta a niente, decide di ritornare a Betlemme, avendosaputo che in Giudea era finita la carestia e che Dio aveva visitato ilsuo popolo (cf. Rt 1,6). Questa vedova sola, priva della benedizionedi Dio legata alla maternità, la cui figura appare simile a quella diGiobbe, invoca sulle nuore, non ebree, la benedizione di Dio, lahesed, perché sia Lui a ricompensare la loro fedeltà, dedizione ebenevolenza: “E che il Signore usi hesed con voi come voi sietestate buone con me e con i miei morti” (1,8). E le invita a tornarealla casa materna. Compare qui per la prima volta il termine hesed-che ritorna in altri due luoghi importanti del racconto, in 2,20 e in3,10. La hesed è un atteggiamento di benevolenza verso qualcuno alquale si è legati da un impegno, da una relazione esistente, stabile epositiva. È un’azione da cui dipende il benessere della persona a cuiè rivolta, paragonabile al nostro concetto di fedeltà, bontà, benevo-lenza. Quando si parla della hesed di Dio è più accentuato l’elemen-to della misericordia, della longanimità che l’uomo a sua voltamostra nella vita quotidiana esercitando la giustizia e la bontà 4.

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4 H.J. ZOBEL, “Hesed”, in Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia2003, III, 67-83. Questo studioso, facendo un’analisi lessicografica deltermine, nota che esso compare 245 volte e quasi sempre al singolare, senza

Si nota perciò che Noemi, davanti alle due nuore, mette al primoposto la loro vita, la loro felicità, il loro futuro e non le proprienecessità, accettando fino in fondo il suo destino di solitudine e dimorte. Così, mentre Orpa si congeda dalla suocera, Rut è invecepronta a seguire Noemi a tutti i costi. Nonostante Orpa ritornandoalla propria casa non fa che seguire il consiglio della suocera, ilmidrash Rut Rabba interpreta ciò negativamente af fermando chequella stessa notte in cui si staccò da Noemi, Orpa fu violentata daun centinaio di pagani e da un cane e, a causa di questa esperienza,ella concepì Golia, l’eroe del campo dei filistei, uno dei grandinemici del popolo d’Israele e avversario di Davide (RtRb 2,20) 5.

Noemi, che ritornando viene riconosciuta dalle donne del suopopolo, cambia il suo nome esattamente nel suo contrario, da Noemiin Mara, per dire la rottura profonda che era avvenuta nella sua vita.La dolcezza si era mutata in amarezza; ha la consapevolezza di esse-re una donna finita alla quale è preclusa ogni speranza. Ma mentre ilsuo vuoto sembra assoluto, il testo lo nega perché aggiunge che ellatornò con Rut, quindi c’è qualcuno che aveva accettato di essere “con”lei, anche se questa compagna è anch’ella segnata dalla fragilità, dallavulnerabilità, perché Rut è anch’ella una vedova, non è figlia diNoemi, ma nuora, relazione continuamente a rischio, è straniera eaddirittura moabita, quindi una di cui è meglio non fidarsi troppo.

Nel libro di Rut ilnome di Dio ècitato molte

volte, ma Dio non parlamai direttamente. Sono

i vari personaggi che cercando di trovare la presenza di Dio neglieventi, parlano di Lui e si rivolgono a Lui 18 volte con il tetragram-ma YHWH6, 3 volte chiamandolo “Dio” in senso generico7 e 2 volteShaddai8.

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l’articolo. La hesedfa riferimento soprattutto alle relazioni umane, in particolareal rapporto tra parenti, fra amici e tra re e sudditi.

5 C. D’ANGELO, Il Libro di Rut. La forza delle donne. Commento teologicoe letterario, Bologna 2004, 170.

6 Cf. Rt 1,6.8.9.13.17.20.21; 2,4 (2x).12(2x).20; 3,10.13;4,11.12.13.14.

7 Cf. Rt 1,16 (2x); 2,12.8 Cf. Rt 1,20.21.

2. Rut,presenza “amica di Dio”

La carestia o la morte dei maschi della famiglia di Elimelek nonsono mai direttamente collegate a un’azione di Dio; Dio, invece, èmesso in relazione con la fine della carestia (1,6) e con il dono di unfiglio (4,13). All’inizio del libro la bontà, hesed, che appare tra gliattributi divini9, è riferita da Noemi alla due sue nuore moabite (1,8);successivamente Noemi loda Booz per ciò che egli ha fatto nei con-fronti di Rut: “Sia benedetto da Jahvé colui che non ha rinunciatoalla sua hesed verso i vivi e verso i morti” (2,20); infine è ricono-sciuta da Booz nella condotta di Rut: “Benedetta sia tu dal Signore,figlia mia; questo tuo secondo atto di hesed è ancora migliore delprimo” (3,10). In ogni atto concreto di hesed anche Dio è implicato,poiché se la persona può esercitare la hesed ciò ha il suo fondamen-to in Dio che per primo gliel’ha manifestata.

L’agire di Dio si trova espresso in quello degli uomini e delledonne che si impegnano gli uni per gli altri. In particolare vediamoche più di tutti, Rut impersona nel racconto la presenza di Dio,diventa per Noemi il volto benevolo di YHWH, lo strumento dellasua grazia, manifestando in tal modo il Signore Onnipotente, il gran-de assente del capitolo primo del libro che aveva reso infeliceNoemi abbandonandola alla solitudine e alla fame. Emer ge, infatti,che la “graziosa” è graziata dalla gratuità e fedeltà della straniera“amica”10.

Rut è l’amica, ma anche la “colomba”, in quanto le lettere dell’al-fabeto che compongono il nome della protagonista, se scritte al con-trario, compongono in ebraico il nome di “colomba” e, in un’operacabalistica, lo Zohar, è scritto che come la colomba è adatta al sacri-ficio, così Rut è adatta per unirsi al popolo di Israele, è colei chesazia, che porta nel suo nome la promessa di una certa pienezza cheè frutto della fedeltà e della tenerezza, dell’amore oblativo 11.Secondo Bruppacher, infatti, il nome Rut non deriverebbe da re’ūt,“amica, compagna”, ma dalla radice rwh, “bere fino a sazietà”,“lenire”, “rinfrescare”. Quindi Rut significherebbe “conforto”,“sollievo”, “consolazione”12.

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9 Cf. Es 20,6; 34,6.10 Cf. E. BOSETTI, Donne nella Bibbia, Assisi 2009, 47.11 Cf. G. GILLINI – M. ZA TTONI – G. MICHELINI, Rut, la straniera corag-

giosa, Cinisello Balsamo 2009, 45.12 Cf. H. BRUPPACHER, “Die Bedeutung des Names Ruth” , TZ 22 (1966)

12-14.

Un’interpretazione molto particolare del nome Rut viene invecedall’arte della gematria:

Tutta la Torah contiene 613 comandamenti. Se si sottraggonoi 7 comandamenti che valgono per i non ebr ei, cioè i precettinoachici, all’ebreo restano altri 606 comandamenti. È questoprecisamente il numero che si ottiene quando si contano le trelettere del nome Rut: R(esh) = 200; W(aw) = 6; T(aw) = 400.Così Rut è la pr oselita per eccellenza: nel suo nome si puòleggere il numero dei comandamenti che lei è disposta a pren-dere su di sé per entrare nella comunità di Israele13.

È la stessa interpretazione di coloro che vedono, nel nome Rut, leconsonanti ebraiche che compongono la parola Torah. La tradizionerabbinica presenta Rut come parente di Eglon, re di Moab, menzio-nato in Gdc 3,12ss; il Targum concorda considerando Rut figlia diEglon; un’altra tradizione la qualifica come nipote14. Niente di tuttociò viene detto nel libro canonico della Bibbia ebraica dove per ottovolte Rut viene indicata con il suo nome legato alla sua provenien-za, Moab, quindi al suo stato di straniera come se ciò fosse un ele-mento problematico, diremmo noi oggi, la “marocchina, la rumena…”. Quindi è come se per l’autore, il “male” rappresentato dallostraniero, per essere combattuto deve essere “normalizzato”, “porta-to dentro casa propria”15; il “nemico” misteriosamente può diventa-re parte della propria storia se lo si accoglie, anche se nel librovediamo che è Rut ad accogliere Noemi nella “propria casa”. E poi,quale pericolo o male potrebbe rappresentare Rut per Noemi cheormai non aveva più nulla da perdere?

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13 B. STANDAERT, “A Shor t Commentary on the Book of Ruth”, Sidic23(1990) 11.

14 Cf. G. LENZI (ed.), Il Targum del Cantico dei Cantici. Il Targum del Librodi Rut, Genova-Milano 2010, 95.

15 P. BEITCHMAN, Alchemy of the World, New York 1998, 128.

2.1 Quale volto di Dio in una donna straniera?

Rut, la moabita, seguendo Noemi scommette su quel Dio cheaveva amareggiato la vita di Noemi e alla fine, il volto di Dio bene-volo e provvidente che mediante Rut si manifesta a Noemi, si mani-festa a Rut attraverso Booz. È significativo, come si accennavaprima, che l’agire di Dio è esplicitato solo in due testi del libro:“YHWH aveva visitato il suo popolo dandogli pane” (1,6); “YHWHle diede una gravidanza e partorì un figlio” (4,13). In tutti gli altricasi il lettore è invitato a vedere la mano nascosta, ma presente diDio che agisce attraverso le persone.

Fin dall’inizio emerge infatti che per Rut è impensabile abbandona-re Noemi, in quanto ella mette al centro non se stessa, ma l’altra; perlei vale come principio di base il motto: “Mai senza l’altro”16. Ella dicealla suocera che la invita ripetutamente a ritornare alla casa materna:

Non forzarmi a lasciarti e ad allontanarmi da te, perché dovetu andrai, andrò anch’io e dove tu dimorerai anch’io dimore-rò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mioDio. Dove tu morirai, morrò anch’io e là sarò sepolta. IlSignore mi faccia questo male e peggio ancora, se altra cosache la morte separerà te da me e me da te (1,16-17).

Nel mondo antico lasciare il proprio popolo era una cosa quasiimpensabile perché significava perdere ogni appoggio sociale eumano; invece in questo giuramento e dichiarazione di fedeltà appa-re che Rut è pronta a seguire Noemi ad ogni costo. Il testo usa unverbo molto forte, dbq, per indicare che Rut “aderisce, si attacca” aNoemi, un verbo che compare circa 54 volte nell’A T, 4 delle qualisoltanto nel libro di Rut (1,14; 2,8.21.23). Esso implica ferma lealtàe profondo affetto e assume talvolta connotazioni di tipo sessuale,come per esempio nella storia della prima coppia umana narratain Gen 2,24, dove appunto si dice che l’uomo lascerà suo padre esua madre per unirsi alla sua donna e per essere una sola carne 17.

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16 M. DE CERTEAU, Mai senza l’altro, Magnano (BI) 1993. 17 J.L. BERQUIST, “Role Dedifferentiation in the Book of Ruth”, JSOT 57

(1993) 27: «Dbqrefers to the male role initiating marriage. This makes Ruth1,14 all the more striking. Outside Ruth the ter m “Cling”, never describes awoman’s act. When Ruth cling to Naomi takes a role initiating a relationship offormal commitment, similar to marriage».

Il verbo dbq esprime in altri libri biblici l’attaccamento al Signoremotivato dall’amore, che si realizza attraverso l’osservanza deicomandamenti18. Rut, rinunciando persino ai propri dei, al cultomoabita del dio Camos 19 ritenuto dagli ebrei “l’obbrobrio dei moa-biti” (1Re 11,7), è disposta a cambiare cittadinanza per diventare apieno titolo membro del popolo eletto, volendo essere sepolta con lasuocera, quindi in terra straniera 20. La sua af fermazione è moltoaudace in quanto sia i moabiti che gli ammoniti erano consideratiesclusi dalla comunità d’Israele:

L’ammonita e il moabita non entr eranno nella comunità delSignore, nessuno dei lor o discendenti, neppur e alla decimagenerazione, entrerà nella comunità del Signore; non vi entre-ranno mai perché non vi vennero incontro con il pane e conl’acqua nel vostro cammino quando usciste dall’Egitto e per-chè contro di te ha pagato Balaam, figlio di Beor, da Petor nelpaese dei due fiumi, affinché ti maledicesse … Non cer cheraila loro prosperità né il loro benessere per tutti i giorni dellatua vita, mai (Dt 23,4-7; cf. Nm 22–24).

Rut segue Noemi non per la fede in Jahvé, che non aveva, maspinta dall’amore verso la suocera 21; ella, sulle orme di Abramo,compie un viaggio interiore verso la suocera, che la porterà a condi-viderne la vita in tutti i suoi aspetti22. Infatti, proprio per la fermez-za nel suo impegno, i rabbini hanno collocato Rut a fianco diAbramo che lasciò la sua famiglia e la sua patria. Tuttavia l’azionedi Rut è ancora più memorabile di quella di Abramo, perché leiagiva senza una specifica rivelazione e senza alcuna parola di bene-

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18 Cf. Dt 4,4; 10,20; 11,22; 13,5; 30,20; Gs 22,5; 23,8; Sl 63,9;119,31.

19 Gdc 11,24; cf. Gr 48,7.13.20 G. BENZI, “Un principio di soluzione o il dinamismo di solidarietà”, PdV

1 (2011) 20: “Rut si converte a Noemi (al suo popolo, al suo Dio), ma ancheNoemi si converte a Rut”.

21 E. GHINI, Nei campi di Betlemme. Il libro di Rut , Casale Monferrato2001, 41: “Rut crede all’amore di Noemi come Abramo alla parola di Dio e,per questo amore taglia con il suo passato, il suo popolo, la famiglia, tutto: siinoltra in una via ignota, con una donna debole da sostenere, null’altro. Cosìincontra il Dio d’Israele”.

22 Cf. C. D’ANGELO, Il Libro di Rut. 4, 48.

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dizione da parte di Dio. Sul perché di tale scelta di Rut molti com-mentatori si sono interrogati e le risposte sono tra le più varie: forsela famiglia di Rut l’aveva respinta a causa del suo matrimonio; oforse riteneva che non c’era alcuna prospettiva di matrimonio per leia Moab23. Tuttavia Rut è da lodare proprio perché sceglie l’ignoto.

Questa dichiarazione di fedeltà unica di una donna verso un’altradonna è interpretata dal Talmud come una vera e propria formularituale per l’accoglienza del proselito nella comunità di Israele:

Rut disse: “Non spingermi a lasciarti e a ritornar e indietrolontano da te, perché desidero essere proselita”. Noemi disse:“Ci è comandato di osservare i sabati e i giorni festivi, senzacamminare per più di duemila cubiti”. Rut disse: “Dovunquetu andrai, andrò”. Noemi disse: “Ci è comandato di non abi-tare fra le genti”. Rut disse: “In qualunque luogo abiterai,abiterò”. Noemi disse: “Ci è comandato di osservar e seicen-totredici precetti”. Rut disse: “Ciò che osserva il tuo popololo osserverò come fosse il mio popolo da sempr e”. Noemidisse: “Ci è comandato di non praticar e un culto straniero”.Rut disse: “Il tuo Dio è il mio Dio”. Noemi disse: “Noi abbia-mo quattro pene di morte per i colpevoli: la lapidazione, ilrogo, l’uccisione di spada e l’impiccagione a un albero”. Rutdisse: “In qualsiasi modo morirai, morirò”. Noemi disse:“Noi abbiamo un luogo di sepoltura”. Rut disse: “E là saròsepolta. Ma non continuar e più a parlar e! Così mi farà ilSignore e così aggiungerà su di me: la morte ci separerà” (TgRt 1,16-17)24.

In tal modo il libro di Rut sembra voler dire che la via per entra-re a far parte del popolo di Dio non è preclusa a nessuno, a condi-zione che si viva come Abramo. Tuttavia, più che di un’alleanza conDio, si tratta qui della scelta di una persona: «La “casa” di Rut sarà,da questo momento in poi una persona»25; è una scelta che porta Ruta condividere tutto ciò che è proprio di Noemi, la totalità della sua

23 K.D SAKENFELD, Ruth, Torino 2010, 52.24 G. LENZI (ed.), Il Targum, 99-100.25 D. SCAIOLA, Rut. Nuova versione, introduzione e commento , Milano

2009, 86.

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vita, senza che ciò sia giustificato da un interesse personale, ancheperché Noemi non ha nulla da of frire in cambio.

2.2 Donna integrata e integrante

A partire dal capitolo 2 del libro di Rut si parla della mietitura delfrumento e dell’orzo e il culmine di questo raccolto è proprio la festadi Pentecoste, inizialmente una festa agricola che culminava conl’offerta del grano da portare al tempio, secondo quanto prescritto inLv 23,15-16 (cf. Dt 26,3-5). Tale festa era anche connessa all’Esododall’Egitto e fu legata alla celebrazione dell’alleanza sinaitica:“Dopo la liberazione materiale di Pesah, Pentecoste rappresenta ilraggiungimento della libertà spirituale per mezzo del dono dellaTorah. La vera libertà infatti consiste nella volontaria sottomissionealla legge morale”26.

Le due donne arrivano a Betlemme proprio mentre si comincia amietere l’orzo, ma loro, poiché non hanno seminato, non hannodiritto a mietere ma solo a spigolare come i poveri 27. Rut è il semestraniero di cui ha bisogno Israele per diventare fecondo 28 e soloprogressivamente c’è il riconoscimento della dignità di questo per-sonaggio che diventa gradualmente “figlia”, “giovane” fino ad esse-re qualificata come “donna” (4,11). Solo alla fine la sua identità nonsarà più legata al luogo d’origine, Moab, ma alla sua generosità, aivalori che risiedono nel suo cuore.

Rut è infatti presentata subito dal narratore come una donna ener-gica, decisa e intraprendente. Arrivata a Betlemme vuole guadagnar-si da vivere a tutti i costi e con il sudore della sua fronte per poterprocurare il pane anche a Noemi. Non accetta di vivere di elemosi-na, ma di “grazia”, hesed (2,2); cerca di mettersi in condizione diessere aiutata per grazia e cerca di fare tutto ciò che le è possibileper non essere di peso a nessuno.

È lei che prende l’iniziativa di andare a cercare pane lavorando emettendosi quindi nella condizione che qualcuno abbia misericordiadi lei e le usi bontà. Il libro smentisce la tendenza a pensare che lo

26 G. GUGENHEIM, L’ebraismo nella vita quotidiana, Firenze 2007, 131.27 Cf. Lv 19,9-10; 23,22; Dt 24,19.28 Cf. FR. MICHAEL DAVIDE, Rut, donna altra, 103.

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straniero e il povero spesso vogliono approfittare degli altri. Rut simostra una donna determinata ed è proprio questa sua dote che lalega misteriosamente alla persona di Booz, “in lui c’è forza” che,secondo il racconto, è membro della classe nobile, gran proprietarioterriero.

Dal momento che Rut arriva a Betlemme mentre ci si preparavaalla festa di Pentecoste, la letteratura giudaica rabbinica vede in que-sta figura femminile la straniera tipo che accetta volontariamente ilgiogo della Legge. Infatti, secondo un midrash, mentre proprio aPentecoste tutti i popoli della terra rifiutarono il giogo della Legge29,Rut sarebbe la rappresentante di una nuova risposta, di una stranie-ra che si sottopone alla Legge, perchè ad essa, in pratica già obbedi-sce.

2.3 Povertà, spazio di accoglienza dell’amore

Rut che va spigolando nei campi di Booz possiamo considerarlal’immagine viva della povertà operosa, nutrita della fiducia in Dio,abbandonata completamente a Lui. La sua azione le permette diincontrare in Booz il volto stesso di Dio, il Dio d’Israele che è

29 L. GINZBERG, The Legends of the Jews , IV, Baltimore 1998, 30-31:«Prima di dare la Legge a Israele, Dio si rivolse ad ogni tribù e a ogni nazio-ne, e offrì loro la T orah, perché non potessero poi avere scuse e dire: “Se ilSignore, benedetto Egli sia, avesse voluto darci la Torah, noi l’avremmo accet-tata”. Così Dio andò dai figli di Esaù, e chiese loro: “Accettate la T orah?”, equesti gli risposero: “Cosa ci sta scritto?”. Egli rispose: “Non uccidere”. Alloradissero tutti: “Ci vuoi togliere la benedizione dalla quale siamo nati? SiccomeEsaù è stato benedetto con le parole Vivrai della tua spada (Gen 27,40), nonaccettiamo la Torah”. Allora andò dai figli di Lot, e domandò loro: “Accettatela Torah?”, ed essi risposero: “Cosa ci sta scritto”. “Non commetterai incesto”.Questi risposero: “Dall’incesto noi deriviamo; non vogliamo accettare laTorah”. Allora andò dai figli di Ismaele e disse loro: “V olete accettare laTorah?”, e questi gli domandarono: “Cosa ci sta scritto?”. Ed egli rispose: “Nonrubare”. Ed essi dissero: “Non vogliamo accettare la T orah”. Allora Dio andòda tutte le altre nazioni, che allo stesso modo rigettarono la T orah, dicendo:“Non possiamo abbandonare le leggi dei nostri padri, e non vogliamo la tuaLegge; dalla al tuo popolo, Israele”. Dopo di questo egli venne da Israele, edisse loro: “Accettate la Torah?”. Ed essi risposero: “Cosa ci sta scritto?”. Eglirispose: “Seicentotredici precetti”. Allora essi dissero: “T utto quello che ilSignore ha detto, noi lo faremo, e ad esso obbediremo”».

appunto un Dio vicino, presente nella quotidianità, immerso nel-l’umano. In tal modo appare che i rapporti umani possono essereveicolo di Dio, le azioni possono esprimerlo.

Rut è sorpresa dalla benevolenza di Booz verso una donna stra-niera, nokriyyáh (2,10), termine che indica uno stato socialmenteinferiore a gher e che nella Scrittura può indicare anche la donnaadultera o immorale30, contrapposta alla “donna di valore”31.

Rut è figura di ognuno di noi, dell’uomo che si è reso straniero aDio, estraneo all’universo dello Spirito e che quindi deve percorre-re la via dell’umiltà, della povertà, accettare la propria debolezzacome fondamento sul quale Dio può donare la sua salvezza: “Rut èla donna e l’uomo ridotti al silenzio di ogni attesa, pretesa, proget-to, riconciliati con la speranza”32.

Il discorso di Booz a Rut nel Targum evidenzia come la grandez-za di Rut consista nelle sue buone azioni e nella sua conversione:

«Possa il Signore ricompensarti grandemente in questo mondoper le tue buone azioni. E possa tu ricever e piena ricompensanel mondo avvenire davanti al Signore, il Dio d’Israele, sottol’ombra della cui gloriosa Shekinà sei venuta per diventar eproselita ed essere protetta. E per questo merito, possa tu esse-re salvata dal giudizio della Geenna, così che il tuo destino siacon Sara, Rebecca, Rachele e Lia» (Tg Rt 2,12).

Le buone azioni di Rut le hanno guadagnato la ricompensa inquesto mondo, mentre la salvezza nel mondo futuro è frutto dellasua conversione. Tali parole di Booz confermavano che c’era statal’accettazione ufficiale della donna nel popolo di Dio.

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30 Cf. Pv 2,16; 5,10.31 Cf. Pv 30,10-31; Rt 3,11. Nella Scrittura vi sono diversi ter mini per

indicare lo straniero. Il primo è gher, si usa per coloro che, come Elimelek(Rt 1,1) lasciano la propria patria per andare a risiedere stabilmente inun’altra terra. Il gherè uno che si inserisce ed è accolto nella nuova comunità.Tali sono considerati Abramo (Gen 12,10; 26,3; 28,4; 47,4), gli israeliti inEgitto. Atri termini sono zar (Is 1,7; Ger 51,51) e nekár, entrambi sottolineanola differenza etnica di una persona, la sua appar tenenza ad un altro popolo eperciò spesso tali termini sono associati ad una percezione di diffidenza e dirifiuto (Es 2,22; Dt 14,21): cf. C. D’ANGELO, “La situazione di par tenza(Rut 1)”, PdV 1 (2011) 11.

32 E. GHINI, Nei campi di Betlemme, 91.

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Booz, “parente diNoemi, uomoeminente, della

famiglia di Elimelek”(2,1) è presentato fin

dall’inizio del capitolo in cui compare come il volto benevolo di Dionei confronti di Rut; egli la invita a rimanere nel suo campo, mentreella si proclama “schiava”, perché conoscendo il suo stato di stranie-ra e di povera vedova, sa di non avere alcun diritto. Per questo simeraviglia dinanzi alle parole di clemenza di Booz nei suoi confron-ti, perché ella non pretende nulla e si rende conto che la sua vitadipende in gran parte dalla benevolenza degli altri. La regola, infat-ti, di ogni possibile ricezione della grazia è quella di ritenersi meri-tevoli di nulla, non avere alcuna pretesa. Così ella rimane a spigola-re nel campo di Booz per circa tre mesi.

In seguito Noemi indica a Rut il modo per realizzare la sua feli-cità; ella, in quanto personificazione della sapienza, comunica allanuora tutta la sua esperienza perché possa far sì che Booz prendauna decisione nei suoi confronti: “Su dunque, profumati, avvolgitinel tuo manto e scendi all’aia; ma non ti far riconoscere da lui, primache egli abbia finito di mangiare e di bere. Quando andrà a dormire,osserva il luogo dove egli dorme; poi va, alzagli la coperta dallaparte dei piedi e mettiti lì a giacere; ti dirà lui ciò che dovrai fare”(3,3-4). Il progetto che deve attuare Rut dietro suggerimento diNoemi e di coricarsi ai piedi di Booz dopo che questi si sarà addor-mentato; in tal modo Rut è invitata dalla suocera a ripetere quelloche le sue antenate, le figlie di Lot, avevano fatto con il loropadre33 e la nuora sembra assecondare il desiderio di Noemi.

3. Rinascereattraverso l’altro

33 Gen 19,30-38. D. SCAIOLA, Rut, 143: “Nel caso di Rut, oltre al sugge-rimento di provare a sedurre l’uomo cogliendolo di sorpresa, c’è anche unrimando piuttosto esplicito a quello che le figlie di Lot avevano fatto, generan-do figli dal padre, in maniera incestuosa, Ammon e Moab, figli che diventeran-no in seguito i capostipiti rispettivamente del popolo ammonita e moabita, dalquale Rut proviene e che lei ha lasciato per seguire la suocera”.

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3.1 La forza della seduzione o della debolezza?

Dalla lettura di Rt 3,4b non è molto chiaro se Rut è invitata daNoemi a scoprire Booz o se invece deve scoprire se stessa dinanzi alui e quindi sedurlo con la sua bellezza; infatti la traduzione lettera-le del versetto è ambigua: «… e conoscerai il luogo nel quale giace-rà e là andrai e scoprirai i piedi di lui (oppure, “ti scoprirai ai piedidi lui”) e giacerai..». Nella prima ipotesi, come avrebbe fatto a sco-prire Booz senza svegliarlo? È allora più probabile che si sia spo-gliata lei per cui l’invito successivo di stendere il lembo del mantel-lo si giustificherebbe per il freddo che la nudità doveva procurarle.

Noemi pertanto inviterebbe Rut ad andare da Booz e a mostrarsia lui disponibile perché questi la desideri nella sua bellezza di donnalavata e profumata e Rut deve cercare il momento favorevole perchél’incontro sia fruttuoso, il momento del cuore lieto dopo la cena(3,7), quello della gioia, del riposo, nell’oscurità della notte: “Rutsceglie la notte per un incontro che deciderà della vita sua e diNoemi; per questo avvicina l’uomo senza essersi fatta riconoscereprima, per sfruttare al massimo la forza della sorpresa e della sedu-zione, nel momento in cui un uomo è più debole e disponibile, piùfacilmente soggetto alla forza della suggestione”34.

Circa l’espediente che deve mettere in atto Noemi i pareri degliinterpreti sono fondamentalmente due:dal momento che i verbi uti-lizzati, i gesti di Rut e l’oscurità della notte possono velatamentealludere a un rapporto intimo tra lei e Booz35, allora alcuni interpre-ti intendono i piedi come un eufemismo che indica gli or gani geni-tali36; infatti, in vari passi della Scrittura i piedi è il termine che sosti-tuisce il sesso maschile37. Tale ipotesi potrebbe essere avvalorata daaltri particolari forniti dal testo: Rut deve presentarsi lavata e profu-mata e il profumo è da sempre un elemento di seduzione38. Secondo

34 D. D’ANGELO, Il libro di Rut, 101. 35 Cf. E.F. CAMPBELL, Ruth (Anchor Bible 7), Doubleday , Garden City

1975, 131-132; R.L. HOBBARD, The Book of Ruth , Gran Rapids 1988, 209-110; J.M. SASSON, Ruth. A New Translation with a Philological Commentaryand a Formalist-Folklorist Interpretation, Sheffield 1989, 82-84.

36 Cf. R.L. HUBBARD, “Ruth 4,17: a New Solution”, VT 38 (1988)204.37 Cf. Es 4,25; Gdc 3,24; 1Sam 24,4; Is 6,2; 7,20.38 Ricordiamo che la regina Ester si profuma per attrarre il re (Est 2,12), così

anche la donna infedele si profuma per attirare i suoi amanti (Pv 7,17-18).

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altri autori si farebbe riferimento proprio ai piedi, al luogo in cui essipoggiano39 e in tal modo Rut chiederebbe con umiltà protezione aBooz, come accade in alcuni passi della Scrittura dove il giacere aipiedi di qualcuno indica il sottomettersi ad un’autorità 40. L’autorenon chiarisce nulla ed anzi lascia appositamente una certa ambigui-tà per suscitare un interesse maggiore nei lettori 41.

Segue la scena nella quale, svegliandosi all’improvviso “a metàdella notte” e rendendosi conto della presenza di qualcuno accantoa sè che non riconosce, Booz pone una domanda: “Chi sei?” (3,8).A differenza di Adamo che dopo la formazione di Eva presume disapere tutto sulla donna che Dio gli ha posto dinanzi: “Questa voltaè osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiameràdonna perché dall’uomo è stata tratta” (Gen 2,23), Booz, invece,lascia che sia la donna a rivelare la sua identità. E Rut manifestainteramente se stessa nella sua vulnerabilità: ella ha bisogno di unuomo che la adombri con il lembo del suo mantello: “Stendi sullatua serva il lembo del tuo mantello perché hai il diritto del riscatto”(3,9), Booz è chiamato ad essere per Rut il rifugio di Dio42 e così Rutinvita effettivamente Booz a mettere in pratica la preghiera cheaveva fatto in precedenza a favore di lei: “Il signore ti ripaghi quan-to hai fatto e il tuo salario sia pieno da parte del Signore, Diod’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti” (Rt 2,12). Rut stavavivendo fino in fondo la scommessa sul Dio di Noemi: “il tuo Diosarà il mio Dio” (1,16). “Stendere il mantello su qualcuno” èun’espressione figurativa che significa “sposare” quella determina-ta persona43. E così il Targum interpreta: “Che la tua serva sia chia-mata con il tuo nome prendendomi in moglie” 44.

Rut si presenta quindi nella sua debolezza, come una donna chevuole essere amata e accolta come sposa, come colei che è deboleed ha bisogno di trovare in chi le sta di fronte la sua sicurezza, il suorifugio e il suo sostegno. Dinanzi a Booz non si sente più né

39 Cf. J. VÍLCHEZ LÍNDEZ, Rut ed Ester, 88.40 Cf. Es 11,8; Dt 11,24; Gs 1,3. 41 J.M. BERNSTEIN, “Two Multivalent Readings in the Ruth Narrative”, JSOT

50 (1991) 50.42 Cf. E. GREEN, Dal silenzio alla parola. Storia di donne nella Bibbia ,

Torino 1992, 57.43 Cf. Ez 16,8; Dt 23,1; 27,20; Lv 18,18.44 Cf. E. LEVINE, The Aramaic Version of Ruth (AnBib 58), Roma 1973, 89.

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straniera, né schiava, ma si definisce “la tua serva”, che indicauna classe di donne che possono essere prese come concubine ocome mogli45.

Il motivo addotto da Rut per giustificare la sua proposta è cheBooz è un “redentore”, go’ēl, ed è proprio tale termine giuridico cheha causato molti problemi nell’interpretazione del passo46. Infatti, ilredentore è il parente stretto che interviene in momenti dif ficili persalvaguardare l’integrità del patrimonio per cui, se un membro dellafamiglia era costretto a vendere i suoi beni o se stesso come schia-vo per saldare i debiti, questi riscattava i beni 47. Invece, il dovere disposare una vedova e di darle una discendenza non era proprio delredentore, ma del levir, cioè del cognato48.

Nel testo Rut unisce i doveri del redentore, che riguardano i benimateriali, e quelli del levirato che riguardano piuttosto il matrimo-nio, e tale fusione si pensa sia tardiva perché la troviamo anche in Is54,5: “Il tuo Creatore è il tuo sposo … il tuo redentore è il Santod’Israele”, in cui Dio si assume il compito del levir sposandoGerusalemme per darle una discendenza e si comporta anche comeredentore.

Le parole di Rut invitano Booz a prendere una posizione e questila rassicura: “Sii benedetta dal Signore, figlia mia” (3,10a). Booz ècertamente affascinato dalla donna che ha accanto a tal punto daessere esagerato nella lode che fa: “questo tuo secondo atto di hesedè migliore anche del primo” (3,10b), perché la giovane ha scelto luie non i giovani della città. Tuttavia Booz non approfitta della situa-zione e nel momento in cui la vita di Rut è completamente nelle suamani, non cede alla tentazione di avere Rut per sé, ma riconosce chec’è un altro parente più stretto che prima di lui ha diritto su di lei:“Passa qui la notte e domani mattina se quegli vorrà sposarti, vabene, ti prenda; ma se non gli piacerà, ti prenderò io, per la vita delSignore! Sta’ tranquilla fino al mattino” (3,13).

Nel Midrash Sifré Numeri c’è un esempio di esegesi rabbinica diRt 3,13:

45 J.M. SASSON, Ruth, 44.46 Cf. J.-L. SKA, “La storia di Rut, la Moabita, e il diritto di cittadinanza in

Israele”, in ID., Il libro sigillato e il libro aperto , Bologna 2005, 383-385.47 Cf. Lv 25,23-25; 47-49; Ne 5,8.48 Dt 25,5-10.

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La cattiva inclinazione tormentava Booz per tutta la nottedicendogli: “Tu sei solo e cerchi una donna, lei è sola e cercaun uomo, e tu hai imparato che una donna si acquisisce con ilrapporto sessuale; alzati, dunque, ed entra, ed ella sarà tuamoglie”. Ed egli alla cattiva inclinazione giurò: “Per YHWH,io non la toccherò”, e alla donna disse: “Rimani qui vicinafino a domattina”49.

Booz è presentato come colui che ha la forza di lottare e vincerecontro l’inclinazione malvagia che in quella notte si manifesta inuna forte attrazione sessuale verso la donna: come il giustoGiuseppe (Gen 39,7-20), ha dovuto combattere in una situazione incui se avesse ascoltato l’istinto, avrebbe commesso il male. Egli sache Rut non è moglie di Elimelek e che nei suoi confronti non èapplicabile la legge del levirato, tuttavia il matrimonio sortirà glistessi effetti. Booz, infatti, riconosce Rut come “donna virtuosa” enonostante è lusingato e onorato dal fatto che Rut cerchi rifugio eprotezione presso di lui, non è accecato dal suo narcisismo ma rico-nosce che c’è un altro, un parente più prossimo che ha più diritto sudi lei.

Nell’ultimo capitolo l’autore racconta che il parente anonimointerpellato da Booz accetta di riscattare la proprietà di Elimelekereditata da Noemi, ma non vuole prendere con sé Rut, per non divi-dere l’eredità con i figli che sarebbero nati (4,3-6)50 e per conferma-re la sua decisione si toglie un sandalo e lo dà a Booz (4,8c), renden-do in tal modo concreto il trasferimento del diritto di riscatto su dilui; togliersi i sandali, infatti, e darli ad un altro significava rinuncia-re ad un diritto che in questo caso non riguardava solo l’appezza-mento di terreno, ma anche il matrimonio con Rut 51.

49 M. PÉREZ FERNÁNDEZ, Midrás Sifré Números (Biblioteca Midrásica 9),Valencia 1989, 242.

50 Cf. A. NICCACCI – M. P AZZINI, Il rotolo di Rut. Analisi del testo ebrai-co, Milano 2008, 95-96.

51 J. VÍLCHEZ LÍNDEZ, Rut ed Ester, 106, nota 40: “Forse il gesto di mette-re e togliere i calzari deve essere messo in relazione con il potersi recare/nonpotersi recare in una proprietà, giacché anche oggi calpestare liberamente unaterra è segnale di possesso. Per attraversare una proprietà, o semplicementeper entrare in una casa, occorre il permesso del padrone, che invece può met-tervi piede e calpestarla a volontà”.

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3.2 Un cammino di liberazione

La storia di Rut è la storia di una trasformazione che attua pro-gressivamente una totale liberazione della persona: da straniera adisraelita, da vedova a serva, da serva a sposa e da priva di figli amadre. Tutto ciò mostra che Dio non ha dimenticato né Noemi néRut, mentre Booz è la benedizione vivente di Dio che viene incon-tro a queste donne segnate dalla morte.

Infatti, sembrerebbe che “per caso” Rut arrivi all’appezzamentodel terreno di Booz e proprio questi è un parente di Noemi ed egliarriva “casualmente” proprio quando Rut sta spigolando. Ma è gra-zie all’azione di Dio che si manifesta nei personaggi e non nellacasualità degli eventi che la storia ha un lieto fine. Grazie a Booz,infatti, le due donne ritroveranno una terra e una discendenza, poi-ché egli è invitato a comprare il campo di Noemi (4,8a-b) da un per-sonaggio che probabilmente il narratore non nomina forse proprio amotivo della sua poca generosità, non ritenendolo perciò neppuredegno di essere ricordato con un nome proprio.

Nell’interpretazione cabalistica ebraica le nozze tra Rut e Boozsono il simbolo del patto nuziale tra Dio e Israele contratto al Sinai,e così il tempo che passa dalla Pasqua a Pentecoste, secondo loZohar, è “il tempo del corteggiamento dello sposo-Israele con lasposa-Torah, la Legge”52.

Il massimo di espropriazione di sé, Rut lo vive quando dà allaluce il figlio: «Le donne dicevano a Noemi: “Benedetto il Signoreche oggi non ti ha fatto mancare un riscattatore perché il nome deldefunto si perpetuasse in Israele! Egli sarà il tuo consolatore e ilsostegno della tua vecchiaia» (4,14-15a). Il figlio di Rut è comeceduto e donato per la gioia dell’altro e la sua pienezza di vita.Noemi rappresenta così il popolo d’Israele che riceve ancora unavolta da parte del Signore la consolazione di essere riscattato, libe-rato, consolato, rivitalizzato53. Ed è Noemi che dà il nome al bambi-no, ma non lo chiama né con il nome del figlio morto, né tanto menocon quello di suo marito, ma Obed, “servo”, perché il figlio porta il

52 G. GILLINI – M. ZATTONI – G. MICHELINI, Rut, 83.53 J. VÍLCHEZ LÍNDEZ, Rut ed Ester, 111: “Al vuoto e alla sterilità corrispon-

dono la pienezza e la fecondità di Rut, che costituisce l’inizio di una gloriosadinastia”.

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nome della madre che parlando di sé ha sempre detto di essere una“serva”, ma anche perché questo bambino dovrà servire Noemi inquanto gō’ēl.

Proprio Dio alla fine fa nascere la vita dalla morte, trasformandola penuria in abbondanza e la solitudine nella comunione, perchédivenendo moglie di Booz, Rut partorirà Obed, padre di Iesse, padredi Davide che, secondo la tradizione giudaica, sarebbe morto pro-prio nel giorno di Pentecoste54.

Alla fine, rivelando il narratore che è YHWH che dà a Rut diconcepire, stabilisce che niente di ciò che è stato vissuto nel corsodella narrazione è vano ed è accaduto per caso, e che Dio è ef fetti-vamente presente lungo tutto il corso della storia, rispondendo allafede e alle parole della fede degli uni e degli altri.

La tesi teologicache alla fine ilracconto espri-

me è il fatto e il modoin cui YHWH si dimo-

stra re che salva dalla morte. Il Dio che dà la vita si rivela in perso-ne umane che danno la vita e in particolare tramite una straniera,Rut, una persona ordinaria che si comporta con coraggio e sensibi-

Conclusione

54 M. PERANI, Personaggi biblici nell’esegesi ebraica, Firenze 2003, 133-134: «Un giorno Davide chiese a Dio di conoscere il giorno della sua morte. IlSignore non assecondò la sua richiesta, perché aveva stabilito che nessunuomo potesse sapere in anticipo il momento esatto della sua mor te. Tuttaviadisse al re che egli sarebbe mor to all’età di settant’anni e in gior no di sabato.(…) Davide, saputo che sarebbe mor to di sabato, ma consapevole anche chel’angelo della morte non può strappare all’uomo la sua vita mentre questi stu-dia la Torah e osserva i comandamenti di Dio, da allora cominciò a passarel’intero tempo del sabato nello studio della Torah. L’angelo della morte dovetteperciò ricorrere all’astuzia per poter strappare a Davide la sua vita. Un saba-to, in cui cadeva anche la festa di Pentecoste, Davide era assor to nello studio,quando udì un rumore proveniente dal giardino. Il sovrano allora si alzò ediscese le scale che conducevano dal palazzo al giardino, per vedere qualefosse la causa del rumore. Non fece in tempo ad appoggiare i suoi piedi suigradini che essi subito si incastrarono e Davide morì. Era stato l’angelo dellamorte a causare quel rumore, per potersi impossessare della vita del re in unmomento di interruzione del suo studio della Torah”.

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lità e perciò permette a Dio di fare grandi cose divenendo paradig-ma di tale verità di Dio.

Un tema importante del libro è di mostrare che la mano provvi-dente di Dio guida in maniera sottile e nascosta gli eventi e che Eglinon è l’origine dei mali che af fliggono l’uomo, ma anzi è attento aibisogni non solo del suo popolo, ma di ogni singolo uomo che sirivolge a Lui e in particolare si mostra difensore del povero e deldebole, di tutte quelle categorie di persone rappresentate da Rut eNoemi, donne, vedove e povere, ma unite.

Abbiamo considerato come, contro ogni buon senso Rut scegliedi seguire una donna anziana in un paese straniero e a motivo di ciòDio mostra la sua benevolenza facendo incontrare questa donna conBooz, presenza benevola di Lui. Come Dio verso il suo popolo,Booz non è obbligato a recuperare la proprietà di Elimelek e a spo-sare Rut, ma lo fa solo in forza della sua bontà. La forza di Rut con-siste proprio nella sua capacità di rimanere fedele fino in fondo aNoemi e di essere per quella donna anziana, paralizzata dal dolore,strumento per il ritorno alla vita e al futuro. Così appare che là dovel’uomo è fedele ai sentimenti più profondi del suo cuore, come Booze Rut, allora Dio è presente.

Alla fine del libro, quando la storia comincia a volgere al suotermine, Rut, protagonista del racconto per tre capitoli, sembrascomparire, mentre la protagonista diventa Noemi. Il nuovo inizio èrappresentato dalla nascita di un bambino e così si può dire chela fine diventa un punto di partenza di un nuovo inizio: Obed, ilfiglio amato da Rut e Noemi (Rt 3,14) riscatterà la storia aprendolaalla regalità: “Egli fu il padre di Iesse, padre di Davide (Rt 4,22).Tutto ciò serve a dimostrare che se ci si chiude di fronte all’altroetichettandolo come “straniero”, quindi “diverso, nemico”, ci sipreclude la possibilità di incontrare Davide, il re secondo il cuoredi Dio.

Il libro, inoltre, vuole comunicarci un altro importante messag-gio: ognuno può imitare Dio nella vita ordinaria, rendere presente lasua azione di bontà, di misericordia verso l’altro, nella misura in cuimette al primo posto l’altro e non se stesso. Dio, infatti, continua adagire nella vita umana, là dove delle persone, non importa se stra-niere o meno, si assumono la responsabilità di vivere secondo giu-stizia e benevolenza. Non è importante il motivo per cui lo faccianoe nel caso di Rut non ci viene neppure detto perché ella preferisceseguire Noemi che rimanere nella sua terra; la cosa importante è

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saper rischiare, perdere tutto pur di seguire i sentimenti più nobilidel proprio cuore, quelli fatti di hesed e ‘ahābāh.

La scelta di Rut è stata senza ritorno ed era completamente incontrotendenza rispetto alle consuetudini dell’epoca, perché nessu-no cambiava popolo o luogo di nascita, se non era costretto a farlo,come avveniva per esempio nel caso degli schiavi o dei prigionieridi guerra. La scelta del bene, la solidarietà, il dono di sé, anche senon hanno una spiegazione, mostrano l’eroicità della persona che leattua e proprio attraverso questi af fetti e sentimenti disinteressati,Dio agisce e si rende presente e si assiste alla sua meravigliosaopera: la solidarietà innesca un meccanismo che coinvolge non solochi dà, ma anche chi riceve. Chiunque dona non semplicementequalcosa di sé, ma dona se stesso all’altro, ma non secondo la logi-ca del do ut des, ma secondo quella del dono gratuito e disinteressa-to, si fa canale della bontà e della gratuità di Dio.

A STORY OF IMMIGRATION AND OF RETURN TOONE’S HOMELANDAngela Maria Lupo, cp

The story of immigration which is narrated in the brief book of Ruthrepresents an invitation to the man of our times to accept the otherperson as a gift rather than a threat. Ruth, who is a stranger, perso-nifies the choice of goodness, solidarity and gift of self, and beco-mes a channel of the goodness and gratuitousness of Y ahwehtowards His people.

UNE HISTOIRE DE L ’IMMIGRATION ET DERETOURAngela Maria Lupo, cp

L’histoire d’immigration narrée dans le petit livr e de Ruthreprésente, pour l’homme de notre temps, une invitation à accepterl’autre comme un don et non comme une menace. Ruth, l’étrangère,

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incarnant le choix du bien, de la solidarité et du don de soi, devientainsi le canal de la bonté et de la gratuité de Yhwh enversson peuple.

UNA HISTORIA DE EMIGRACIÓN Y DE REGRESO Angela María Lupo, cp

La historia de emigración narrada en el pequeño libro de Rut repre-senta para el hombre de nuestro tiempo una invitación a aceptar alotro como don y no como amenaza. Rut, la extranjera, encarnandola opción por el bien, la solidaridad y el don de sí mismo, se hacecanal de la bondad y de la gratuidad de Jhwh hacia su pueblo .

EINE GESCHICHTE DER IMMIGRATION UND DERRÜCKKEHr

Angela Maria Lupo, cp

Die Geschichte der Immigration, die im kleinen Buch Rut beschrie-ben wird, ist für den Menschen unser er Zeit, eine Einladung dieAndern als Gabe und nicht als Gefahr anzunehmen. Rut, dieAusländerin, macht die W ahl des Guten, der Solidarität und derGabe seiner selbst, und wir d so zum Kanal der Güte und derGroßzügigkeit von Jhwh gegenüber seinem Volk.

OPOWIEŚĆ O EMIGRACJI I POWROCIEAngela Maria Lupo, cp

Opowieść o emigracji zawarta w małej Księdze Rut stanowi dlaczłowieka dzisiejszego wezwanie do zaakceptowania innego jakodaru, a nie jako zagr ożenia. Rut, cudzoziemka, wcielając wybórdobra, solidarności i daru z siebie, staje się kanałem dobr oci ibezinteresowności Jhwh wobec Jego ludu.

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di On. LUCA VOLONTÉDeputato UDC ed Europarlamentare

Chiarissimi Professori,Cordiali amici,

voglio innanzitutto ringraziarvi dell’in-vito che mi avete rivolto.

Spero di poter portare un contributoalla vostra importante riflessione sul temadi oggi.

Icittadinistranieriresidenti in Italia sono più di 5

milioni. Questo dato comprende lepresenze regolari non ancora registra-

te. Non possiamo dimenticare che, in termini generali e al di là diinteressate e contraddittorie relazioni delle agenzie dell’Onu sull’an-damento della crescita della popolazione mondiale, molte delle qualiappaiono riproposizioni allarmistiche fondate sulla sola teoria mal-tusiana, la ricchezza mondiale è tale da poter assicurare ad ogni abi-tante del globo, i mezzi per una vita dignitosa.

Molto spesso, soprattutto nei paesi europei, si fanno lar go paureverso gli immigrati.

Ciò provoca veri e propri smottamenti elettorali. Non può passa-re in secondo piano il dato delle elezioni politiche in Olanda, Svezia,Finlandia, paesi nei quali, nonostante la lunghissima tradizionepositiva d’integrazione, cresce la paura del ‘diverso’, soprattuttoper ragioni di colore della pelle, cultura o tradizione religiosaislamica.

ITALIAPORTA D’EUROPA,TRA LEGALITÀE OSPITALITÀ

1. Partirei innanzituttodai dati

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Al pari di questa paura, assolutamente figlia di una diluitaconsapevolezza europea circa la propria identità e le proprie tradi-zioni, si fa largo l’idea di voler aiutare gli immigrati nei loro Paesidi origine.

Prendiamo atto, senza la benché minima volontà polemica, chel’unico vero piano di intervento europeo per lo sviluppo delle areedel Maghreb fu proposto dal Commissario ai diritti e per l’immigra-zione Vittorino nel 2003 e che da allora non c’è stata la volontà poli-tica di darvi attuazione.

Dal 2004 in poi, l’Europa ha seguito un’altra strada: quella delledirettive sull’immigrazione e quella che ha portato alla creazionedell’inutile Agenzia Frontex: in una parola, una politica di difesa enon di proposta positiva.

Con l’esplosionedella primaveradel mondo

arabo e maghrebino,tutta la polvere che ave-

vamo nascosto sotto il tappeto di Bruxelles è uscita fuori lo stesso econ essa si sono riscoperte l’incapacità politica, l’insipienza strate-gica e il fiato ‘corto’ dell’Unione Europea nei confronti dei migran-ti e dello sviluppo dei Paesi di provenienza.

Un dato anche qui può essere evidente: la pochissima serietàcon la quale i ‘grandi della Terra’ hanno mantenuto gli impegnia destinare lo 0,7% del proprio Pil per lo sviluppo di quei Paesiè eclatante.

Eppure, proprio l’Europa si conferma come il continente di mag-giore presenza di immigrati. Circa un terzo del totale globale siferma in Europa. L’importanza del fenomeno è significativa anchein Italia, dove circa un milione di migranti sono ‘minori d’età’.Complessivamente, la metà dei migranti ha una età inferiore ai 31anni (la media italiana è di 43 anni).

Il mondo italiano cambia e cambierà considerevolmente nei pros-simi anni.

Il numero elevato di bambini ‘stranieri’ nelle scuole, nati inItalia e in possesso di una buona conoscenza della lingua, cidovrebbe aprire ad una serena discussione sulle norme per lacittadinanza.

2. Tutti i nodivengono al pettine

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Le scadenze elettorali ogni anno impediscono il ‘varo’ di nuovenorme in materia. Nello stesso tempo, la politica finge di non cono-scere i dati sui lavoratori immigrati iscritti ai sindacati; dimentica icirca 200mila immigrati piccoli imprenditori che pure ‘muovono’l’economia del Paese.

In sintesi, se l’Europa soffre di miopia, certamente l’Italia rischiadi diventare una talpa.

Altri due stereotipi infondati possono aiutarci a capire la situazione: 1) l’uso distorto e falsificante dell’immagine dell’immigrato

delinquente (al contrario negli ultimi anni i dati sulla delin-quenza in Italia dimostrano che la delinquenza è ben maggio-re tra gli italiani);

2) e la semplificazione ‘immigrato-islamico-nemico’ (anche inquesto caso i dati consolidati ci dicono che la metà degliimmigrati è cristiana e i musulmani sono meno di un terzo deltotale).

Questi semplici dati dovrebbero interrogare la politica, almeno lapolitica italiana.

I principi ricordati più volte nel trascorso decennio, dal VescovoAlessandro Maggiolini, Dio l’abbia in gloria, e dal Cardinale diBologna Giacomo Biffi, mi riferisco al principio di reciprocità e diomogeneità culturale e religiosa, avrebbero potuto trovare ampiospazio nei molteplici ‘decreti flussi’ e nell’intera politica per l’immi-grazione italiana.

Così non è stato, sia per ragioni di polemica elettoralistica maanche per la fallimentare idea di voler ‘ammodernare forzosamente’il nostro Paese attraverso un multiculturalismo e una multi religiosi-tà indotta. Si è preferito rimanere cristallizzati tra paure istintive eincoscienti aperture, piuttosto che affrontare il fenomeno attraversola peculiarità italiana. Questo modo ambivalente di af frontare iltema dell’immigrazione ha portato i vari governi nazionali a legife-rare attraverso ‘sanatorie indiscriminate’ o, all’opposto, con misuredemagogiche (l’esempio dell’arresto per i clandestini).

Proprio la preoccupazione espressa da Papa Benedetto XVI, nelsuo discorso recente ai Comuni Italiani, (“bisogna saper coniugaresolidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la con-vivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradi-zione culturale e anche religiosa da cui trae origine la nazione italia-na”), aggiorna esplicitamente la preoccupazione che stava alla basedelle proposte di introdurre un ‘principio di omogeneità.

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Solo un’osservazione: se i vari decreti flussi decisi fino al 2004avessero privilegiato i Paesi dell’est europeo, sinora fuori dalla Ue,forse avremmo una società più integrata e meno timorosa nei con-fronti degli stranieri immigrati.

Non possiamotuttavia dimen-ticare due fon-

damentali preoccupa-zioni della solidarietà.

Oltre ad essere fondamentale risposta alle emer genze dei popolie delle persone che fuggono dai propri Paesi per carestie, guerre,forme di povertà etc., la solidarietà deve implicare una politica di‘favore’ per il ricongiungimento familiare. Se la famiglia è impor-tante cellula sociale e ‘santuario della vita’, questo valore assolutonon può essere affermato solo per gli italiani, ma deve concretamen-te valere per tutti.

Secondo aspetto, in conclusione: l’importanza di questo conve-gno è quello di affermare una maggiore consapevolezza del fatto chegli immigrati hanno diritti inalienabili, da rispettare sempre e daparte di tutti.

Perciò lo sguardo paterno del Papa Benedetto ci ha ricordato confermezza la semplice esperienza della Sacra famiglia e del BambinoGesù e ha voluto sottolineare l’attenzione particolare per i minoren-ni immigrati, ai loro diritti e ai diritti che corrono, ma soprattutto alle“speranze che i genitori pongono nella loro riuscita scolastica elavorativa”. Parliamo di persone concrete, fatte di carne e ossa, conaspirazioni e animi, esattamente gli stessi di ogni altra persona delgenere umano, fratelli perché consapevoli di una medesima paterni-tà celeste.

ITALY, GATE TO EUROPE, REPRESENTING BOTHLAWFULNESS AND HOSPITALITYLuca Volonté

The theme of emigration has brought various national governmentsto legislate either by using “indiscriminate acts of indemnity” or by

Conclusione

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using the opposite appr oach and thus, demagogical means. TheItalian characteristics were enlightened by the concern expressed byPope Benedict XVI in his r ecent speech to Italian municipalities:“Solidarity must be combined with respect for the law, so that socialcoexistence may not be disturbed and that importance be given tothe principles of law and the cultural and religious traditions at theorigin of the Italian nation”. Such a vision, in an explicit way ,revives the concern that was at the basis of the pr oposals to intro-duce a “principle of homogeneity”.

ITALIE PORTE D’EUROPE, ENTRE LÉGALITÉ ETHOSPITALITÉ

Luca Volonté, adjoint UDC

Le thème de l’immigration a conduit les différ ents gouvernementsnationaux à légiférer à travers des «actes de régularisation aveugles»sans distinction» ou, à l’opposé, par des mesur es démagogiques. Laparticularité italienne a été illuminée par la préoccupation expriméepar le Pape Benoît XVI, dans son récent discours aux Communes ita-liennes: «Nous devons êtr e capables de conjuguer solidarité et r es-pect de la loi, afin que la vie sociale ne soit pas perturbée et l’onprenne en compte les principes du dr oit et la tradition cultur elle etmême religieuses d’où la nation italienne tir e origine». Cette visionmet à jour explicitement la préoccupation qui était à la base des pro-positions visant à introduire un «principe d’homogénéité».

ITALIA, PUERTA DE EUROPA, ENTRE LEGALIDADY HOSPITALIDAD

Luca Volonté

El tema de la emigración ha llevado a los varios gobiernos nacio-nales a legislar a través de ‘amnistías indiscriminadas’ o, al contra-rio, con medidas demagógicas. La peculariedad italiana fue ilumi-nada por la pr eocupación expresa del Papa Benedicto XVI, en sureciente discurso a los Ayuntamientos italianos: “Se necesita saberconjugar solidaridad y respecto de las leyes, para que no venga des-

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compuesta la convivencia social y se tengan en cuenta los princi-pios de derecho y de la tradición cultural y también r eligiosa de laque toma origen la nación italiana”. Esta visión actualiza explíci-tamente la preocupación que estaba a la base de las pr opuestas deintroducir un principio de homogeneidad.

ITALIEN, TÜRE EUROPAS, ZWISCHENLEGALITÄT UND GASTFREUNDSCHAFTLuca Volonté

Das Thema der Emigration hat die verschiedenen Landesregierungendazu gebracht, Gesetze dur ch wahllose Amnestien zu machen oderumgekehrt, mit demagogischen Maßnahmen. Das spezifisch italieni-sche ist durch die Besorgnis von Papst Benedikt XVI ausgedrückt underleuchtet worden, in seiner kürzlich stattgefundenen Ansprache andie italienischen Gemeinden: „Man muss Solidarität und Respekt derGesetze vereinen können, damit das soziale Zusammenleben nichtverzerrt wird und man solle die Prinzipien des Rechtes und der kultu-rellen und auch religiösen Tradition berücksichtigen, in welchen dieitalienische Nation ihren Anfang hat.“ Diese Sicht, lässt klar erken-nen, dass die Besor gnis, ein Prinzip von Homogenität einzuführ en,diesem Vorschlag zu Grunde lag.

WŁOCHY – BRAMA EUROPY: MIĘDZYLEGALNOŚCIĄ A GOŚCINNOŚCIĄ Luca Volonté

Temat emigracji doprowadził niektóre władze na poziomie nar odo-wym do przyjęcia prawodawstwa bardzo surowego lub, przeciwnie,demagogicznego. Charakterystyczna dla Włoch sytuacja staje sięwidoczna w trosce, jaką wyraził ostatnio papież Benedykt XVI wprzemówieniu do gmin włoskich: „T rzeba umieć połączyć solidar-ność i szacunek dla prawa, aby nie uległo zburzeniu współżyciespołeczne i aby mieć na uwadze zasady prawa i włoskiej tradycjinarodowej”. Ta wizja wyraźnie aktualizuje troskę, która leży u pod-staw propozycji, by wprowadzić zasadę jednorodności.

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Il fenomeno migratorio:esperienza di “crisi”153-164

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di GUGLIELMO BORGHETTIVescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello

Premessa. La prospettiva dalla qualeci muoviamo per offrire un contributo spe-cifico al tema del seminario della CattedraGloria Crucis, è quella propria dell’antropologia pastorale; disciplina che atutt’oggi non ha ancora assunto una formaepistemologicamente compiuta e che sipropone timidamente come scienzaempirica applicata chiamata a rilevare edesporre metodicamente le premesse antro-pologiche per raggiungere la salvezza.Nel suo rapporto con la teologia pastora-le, si pone come scienza ausiliaria, insostituibile per realizzare il suoprimo ed essenziale compito metodologico: conoscere la concretasituazione dell’uomo considerato come singolo individuo e comemembro della società; ricercare le condizioni antropologiche dellavita cristiana e dell’agire ecclesiale.

1. L’accresciuta mobilità umana è diventata una caratteristi-ca strutturale dell’attuale situazione mondiale, un fenomeno sta-bile e sempre più consistente. I flussi migratori, nella loro duplicecomponente di movimento in entrata e uscita, non sono più espe-rienza limitata ad alcune aree, ma sono fenomeno mondiale, comu-ne ad ogni continente; per questo si parla a ragione di “planetarizza-zione” e “terzomondializzazione” del fenomeno migratorio. Da que-st’ultimo aspetto della terzomondializzazione dell’emigrazionederiva una immissione di religioni e culture diverse in nazioni spes-so monoculturali. Per questo ci troviamo di fronte ad un’Europasempre più multiculturale, nel continente europeo vive un contin-

IL FENOMENOMIGRATORIO:ESPERIENZADI “CRISI”

GUGLIELMO BORGHETTISapCr XXVI

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gente rilevante di gruppi etnici di immigrati provenienti da altriPaesi europei, africani o asiatici e l’Europa si presenta sempre piùcome un mosaico interculturale.

2. Fattori di spinta e di attrazione: “push/pull”, nel precisarele cause dell’emigrazione il geografo inglese Ernest Ravenstein siavvale della differenza tra i cosiddetti fattori di spinta e fattori diattrazione ed espone la sua teoria nel saggio “Laws of Migration”(1889). Inizialmente la teoria si riferiva alle migrazioni interne, ed èstata rielaborata in epoca più recente da Everett S. Lee (1966) edapplicata nel contesto di migrazioni internazionali.

I fattori di spinta (push-factors) sono le condizioni negative pre-senti nel luogo di origine che determinano la migrazione: si tratta diun complesso di fattori, che possono essere di natura: fisica (clima,catastrofi naturali), demografica (densità della popolazione), econo-mica (povertà, disoccupazione), socioculturale (discriminazione,emarginazione sociale) o politica (oppressione).

I fattori di attrazione (pull-factors) sono le condizioni effettive opresumibili presenti nel luogo di destinazione, che inducono a tra-sferirsi. Possono essere, come le precedenti, di natura fisica (climafavorevole), demografica (scarsa densità di popolazione), economi-ca (disponibilità di terre, opportunità di lavoro, redditi maggiori),socioculturale (libertà individuale, opportunità per il tempo libero) opolitica (colonizzazione, asilo politico, programmi statali per l’im-migrazione).

Mentre nel passato i fattori suddetti erano da attribuirsi preva-lentemente a motivazioni economiche, oggi osserviamo, in propor-zioni ingigantite e complesse, l’intrecciar di ragioni economiche,politiche, religiose, demografiche, che spiegano la decisione o ilbisogno di espatriare. La mobilità umana forzata è un fenomenosempre più inclusivo nel quale conver gono masse crescenti di rifu-giati, profughi politici ed economici.

3. Atteggiamenti sociali: si rilevano, di regola, alcunipassaggi: dal pregiudizio alla paura dell’immigrato; dalla pauraall’incapacità di comprendere l’altro; dall’incomprensione all’odiorazziale.

Dal pregiudizio alla paura dell’immigrato. Le migrazionihanno sempre comportato drammi e disagi; nel passato spesso

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venivano incoraggiate e favorite, in quanto, almeno globalmente,erano viste come fattore di sviluppo economico, sociale, culturaleper la nazione ospite. I paesi oggi industrializzati non sarebberoforse diventati tali senza il contributo e l’apporto, nel passato, dimilioni di emigranti. Nelle regioni di avanzata industrializzazione,oggi, l’arrivo di immigrati viene vissuto dai Paesi riceventi comeintrusione indesiderata. Si attivano circuiti di intolleranza, alimen-tati da casi di reale responsabilità degli stessi immigrati che nonosservano le leggi del Paese di accoglienza, suscitando atteggiamen-ti che diventano pregiudizio e rifiuto generalizzati

Dalla paura alla incapacità di compr endere l’altro. Il senti-mento che invade la popolazione indigena è soprattutto la paura chela società di accoglienza si dimostri incapace di governare flussi cre-scenti di migranti portatori di culture completamente diverse, e diconseguenza la percezione della incapacità di capire “l’altro” e disentirsi minacciati nella propria identità. E’ fenomeno raro che iPaesi di accoglienza siano capaci di apprezzare la positività e i van-taggi della multiculturalità, quale compresenza su uno stesso territo-rio di gruppi provenienti da esperienze e mondi culturali diversi.Ancora di meno sono i Paesi in grado di comprendere e di compie-re il passo dalla multiculturalità all’interculturalità quale rapportodinamico fra queste diverse esperienze culturali basato sulla recipro-cità: agire infatti secondo dinamiche interculturali suppone e stimo-la l’approfondimento della propria identità culturale sia personaleche di gruppo d’appartenenza.

Dall’incomprensione all’odio razziale. Gli studiosi enumeranovarie forme di razzismo: il razzismo addizionale o da allarme, atteg-giamento che si sviluppa quando ad una differenza oggettiva (cultu-rale, etnica, somatica) si aggiunge un allarme sociale come ad esem-pio la droga, la microdelinquenza, ecc.; il razzismo concorrenziale,atteggiamento che ha alla base la difesa del territorio o delle suerisorse, come la disponibilità dei servizi e il loro utilizzo; il razzismoculturale che nasce dalla pretesa del primato della propria cultura,del proprio sistema di valori e dal proprio stile di vita rispetto aquello degli altri.

Oggi assistiamo all’intreccio fra le tre modalità di “essererazzisti”che rischia di divenire un fatto normale rendendo facileil passaggio da sporadici episodi di razzismo a situazioni di

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razzismo, ossia vere e proprie abitudini mentali tese a discriminaregli immigrati1.

4. Speleologia della “crisi”: “il tentativo che adesso faccia-mo è quello di esplorare l’esperienza migrante a partire dalvissuto del soggetto umano in essa coinvolto; sono persuasoche questa attenzione peculiare a quanto accade nella psiche enel cuore della persona soggetto di questa peculiare esperien-za umana sia alquanto lontana dai riflettori massmediatici chesi fermano, seppur con lodevoli motivazioni, ad una illustra-zione socio-politica, cultural-religiosa del problema. Unaspetto davvero interessante di questo seminario consiste nel-l’aver accolto questa lettura del vissuto, centrata su quello cheaccade nelle profondità del soggetto. Non è possibile, infatti,passare sotto silenzio il fatto che le migrazioni, oltre che unfenomeno di enorme rilevanza sociale, economica e politica,sono anche esperienze emotive molto intense, che scuotono erimettono in discussione l’identità profonda degli individui.Siamo di fronte ad un vero e proprio “shock culturale” indot-to dall’esperienza migratoria che, peraltro, può mostrarci legrandi capacità plastiche di adattamento della mente e porre inatto tutte le sue risorse di resilienza. Parlando in termini cari aWinnicot, possiamo dire che la regressione che segue la sepa-razione può rivelarsi persino utile, se si riesce a finalizzarlaal recupero del vero Sé”.

Alcuni autori2 arrivano a definire il momento migratorio come“cambiamento catastrofico”: lasciare il proprio paese inevitabilmen-te risveglia potenti sentimenti di perdita e di sradicamento chevanno ad incidere sul sentimento d’identità, provocando una crisiche può sfociare “in una vera catastrofe o, al contrario, tradursi inun’evoluzione arricchente e creativa, nel senso di una vera rinascitarigeneratrice”.

1 Cfr.Pontificio Consiglio per la Cura Pastorale dei Migranti, Rev. P. AngeloNEGRINI, C.S Il fenomeno migratorio oggi in People on the Move - N° 87,Dicembre 2001.

2 GRINBERG l.- GRINBERG R., in Psicoanalisi dell’emigrazione e dell’esilio,Franco Angeli ,Milano, 1990.

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L’emigrazione è un cambiamento di una tale portata che, oltre arivelare l’identità, la mette in pericolo. La perdita degli ‘oggetti’,infatti, è totale, compresi i più significativi ed importanti: persone,cose, luoghi, lingua, cultura, abitudini, clima e, a volte, la propriaprofessione e l’ambiente sociale ed economico cui sono legati ricor-di ed affetti profondi.

Non si può misconoscere l’importanza di specifiche problemati-che psicologiche che interessano sia la persona che emigra, sia il suoambiente e che si riferiscono tanto alle motivazioni dell’emigrazio-ne, quanto alle sue conseguenze.

Nel passato l’emigrazione è stata anche considerata la manifesta-zione di una vera e propria patologia psichiatrica: “Si emigra perchési è già matti (pre-schizoidi), non si diventa matti perché si emigra”3.Il migrante era considerato dalla psichiatria ottocentesca “alienatomentale” in quanto diverso, estraneo per eccellenza. Il modello pre-dominante in questo paradigma è quello che Hofer definisce nostal-gia-malattia, “l’Heimweh -il “dolore della casa”-, considerato, giàdal 600, malattia che attiva un decadimento fisico e spesso mortale.

L’unica soluzione possibile a tale patologia era consideratal’espulsione, il rimpatrio. L’immigrato era per la classe medico-psi-chiatrica “un nemico irriducibile”, in quanto “soggetto di contesta-zione culturale”, i cui sintomi non “volevano” concordare con lanosografia ufficiale.

Questo paradigma si è depositato nell’inconscio collettivo ed èancora fonte di alienazione e discriminazione: l’immigrato è stranie-ro in terra straniera a se stesso; l’alieno è anche alienato. “La storiadell’immigrazione è la storia dell’alienazione. Solitudine, isolamen-to, estraneità, mancanza di aiuto, separazione dalla comunità, dispe-razione per la perdita di significato caratterizzano la condizione degliimmigrati. Essi vivono in crisi perchè sono sradicati. Nello sradica-mento, mentre le vecchie radici sono perdute e le nuove sono da sta-bilire, gli immigrati vivono in situazioni estreme” (HANDIN, 1958).

L’emigrato si trova prigioniero di due mondi ed alieno ad entram-bi: estraneo al suo passato ed estraneo al presente-futuro, “sospesofra due mondi”4. Egli si sente smarrito in un mondo selvaggio, men-

3 FRIGESSI CASTELNUOVO – RISSO, A mezza parete, Einaudi, Torino, 1982.4 NATHAN TOBIE, Principi di etnopsicoanalisi , Bollati Boringhieri, T orino

1996.

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tre i vecchi e lontani modi di vita possono essere oggetto sia di unalacerante nostalgia, sia di una struggente idealizzazione.

L’emigrazione è, dunque, un’esperienza di crisi, ed ogni crisiimplica un’idea di “rottura, separazione o strappo”. Emigrare espo-ne l’individuo a fasi di disor ganizzazione che, come af fermaWinnicott (1971), interrompono la “continuità dell’esistenza”, cuil’individuo deve far fronte tramite la propria “eredità culturale”:l’emigrante ha necessità di uno “spazio potenziale” che gli serva da“luogo di transizione” e “tempo di transizione” fra il paese oggettomaterno ed il nuovo mondo esterno.

Se la persona possiede suf ficienti capacità di elaborazione del-l’esperienza, supererà la crisi e, anzi, questa assumerà il carattere diuna “rinascita” che aumenterà il suo potenziale creativo, in casocontrario, egli potrà riprendersi molto difficilmente e sarà esposto aforme diverse di patologia fisica e psichica. E’ in gioco quella cheabbiamo imparato a chiamare ‘resilienza’. Nella tecnologia deimateriali metallici si indica la “resilienza” come “la rottura dinami-ca determinabile con una prova d’urto” 5; in psicologia il termineindica la capacità che hanno gli individui di superare i traumi, dicontrastare le avversità non solo resistendo, ma progettando positi-vamente il proprio futuro.

Il modo in cui le persone af frontano il momento migratoriodipende molto dall’atteggiamento nei confronti del nuovo, del-l’ignoto: Balint (1959) ha coniato due termini, “ocnofillia” e “filo-batismo”, che indicano delle posizioni opposte, uno tendente adaggrapparsi a ciò che è stabile e sicuro, l’altro orientato verso laricerca di nuove ed interessanti esperienze.

Evidentemente, anche la reazione allo strappo migratorio saràdiversa a seconda che si appartenga all’una o all’altra tipologia: gli“ocnofilici”, sono profondamente legati al proprio paese e lo lasce-rebbero solo in circostanze inderogabili, i “filobatici”, invece sonopiù inclini ad emigrare, inseguendo orizzonti sconosciuti e nuoveesperienze.

La “capacità di essere solo” (Winnicott 1958), cioè la capacità ditollerare la sofferenza della solitudine e del distacco, costituirebbeun prerequisito importante che determina l’esito positivo della crisimigratoria. In questa esperienza, infatti, l’individuo che ha acquisi-

5 DEVOTO, Vocabolario della lingua italiana, 1971.

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to tale capacità, si trova nelle condizioni più favorevoli per affronta-re sia la perdita degli oggetti familiari, sia l’inevitabile esclusioneche subirà nella prima fase della sua emigrazione.

L’emigrazione è una situazione traumatica complessa che impli-ca numerosi cambiamenti della realtà esterna, con le relative, e spes-so “catastrofiche”, ripercussioni sulla realtà interna.

Per comprendere la portata psicologica del fenomeno migratorio,inoltre, è importante considerare sia l’atteggiamento tenuto dalgruppo di appartenenza del migrante, sia quello del gruppo di acco-glimento: l’individuo, infatti, è, per tutta la vita, inscritto in unamatrice socio-culturale che ne condiziona pensieri, af fetti, modi dileggere la realtà.

Diversi e paralleli, sono gli atteggiamenti di 1)“chi rimane” edi 2) “chi ospita”. Le reazioni delle persone che rimangono in patriadipendono dalla qualità e dall’intensità dei legami che li unisconoai migranti.

1) E’ inevitabile che i familiari e gli amici più intimi sperimenti-no vissuti di abbandono e di perdita, non esenti da sentimenti di osti-lità verso chi parte, per il dolore che procura loro. A volte soprattut-to se il ritorno non è prevedibile o possibile, la separazione è vissu-ta come morte della persona amata, con il conseguente sentimentodi lutto.

L’elaborazione del lutto è “un intricato processo dinamico cheinveste l’intera personalità dell’individuo e coinvolge, in modo con-sapevole, ogni funzione dell’Io, gli atteggiamenti, le difese e, in par-ticolare, i rapporti con gli altri..” In particolare, “i sentimenti didolore e colpa relativi alla perdita di parti del Sé proiettati sull’og-getto, si trasformano, in genere, in fattori che aggravano o turbanol’elaborazione del lutto.” (GRINBERG L. e R.)

Chi emigra è comunque, oggetto di sentimenti e proiezioni ambi-valenti: il gruppo può riversare sul partente anche invidia ed ostili-tà. Nel primo caso, accoglierà su di sé, per identificazione proietti-va, il desiderio dei membri del gruppo di emigrare anch’essi; nelsecondo caso, egli fungerà da “capro espiatorio”, depositario di tuttociò che è indesiderato e temuto.

2) Prendiamo in considerazione le reazioni della comunità ospi-tante di fronte all’arrivo dell’immigrato. Anche la comunità autocto-na risentirà dell’impatto con l’arrivo del nuovo, che con la sua pre-senza, modifica la struttura del gruppo, mette in discussione alcunenorme consolidate e può destabilizzare l’or ganizzazione esistente.

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Essa si sentirà minacciata nell’identità culturale, nella purezza dellalingua, nelle convinzioni e, in generale, nella propria identità collet-tiva. “I nativi – af fermano i Grinberg – devono af frontare l’arduocompito di metabolizzare ed incorporare la presenza dell’estraneo”.

Le reazioni del gruppo ospite all’arrivo dell’immigrato possonoessere diverse: nel caso in cui la comunità avrà, in qualche modo,partecipato a questo arrivo l’accoglienza sarà positiva o, quantome-no, priva di ostilità. Se, invece, il nuovo venuto irrompe senza pre-avviso, il gruppo potrà manifestare una reazione di allarme, come sedovesse prepararsi ad affrontare un possibile “attacco” da parte di un“nemico” di cui non si conoscono le intenzioni.

In alcuni casi, addirittura, la presenza dell’immigrato incrementale ansie paranoidi del gruppo ospitante che vive il nuovo venuto inmodo persecutorio, come un intruso che cerca di privare i locali deipropri legittimi diritti (lavoro, beni, conquiste sociali).

Una reazione di questo tipo si traduce in quelle forme di xenofo-bia e razzismo che si manifestano, purtroppo sempre più frequente-mente, anche nel nostro paese.

L’emigrazione risulta, dunque un fenomeno complesso e sfug-gente, un delicato ed impegnativo “passaggio di confine” geografi-co, culturale ed esistenziale6.

5. “Stat Crux dum volvitur orbis”: la luce della Croce illu-mina e risana le profondità dell’uomo e spinge alla solidarie-tà. Il motto degli antichi monaci certosini recita: “Stat Cruxdum volvitur orbis”: solo l’Uomo della Croce rimane stabilee incrollabile, mentre tutto, nel mondo passa, vacilla, crolla,scompare. Ciò che rimane è il potere dell’Amore, il potere diColui che ha preso sulle sue spalle la Croce di ognuno di noi,di Colui che ha portato tutte le croci del mondo. Tra “rovinee macerie” si trova traccia di ciò che non crolla e producesolidità. La crisi del fondamento che attraversa la cultura post-moderna, è superata dalla testimonianza della carità in atto chediventa accoglienza e solidarietà, rispetto e ospitalità fraterna.L’ esperienza critica della migrazione si trasforma in opportu-nità di rinascita se incontra l’esperienza di chi vive immerso

6 Cfr le interessanti e preziose riflessioni di Annalisa Vezzosi in Psicologiadelle migrazioni, Messina.

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nell’amore di Dio rivelato dalla Croce Gloriosa di Cristo econseguentemente riproduce questa immersione nel servizioconcreto a chi vive inchiodato ad esperienze estreme.Sperimentare nella propria criticità, la solidità dell’amore,produce una scossa di recupero e di resurrezione. Per questoè possibile una lettura staurologica del fenomeno migratorioche non indulga a topoi omiletici, a predicabilia scontati, a pieelevazioni. Ogni esperienza umana di criticità è suscettibile d’essere sussunta nella categorialità esistenziale ampia, solennee calda, seppur drammatica, del Verbum Crucis ed assorbireda esso il suo senso umano e salvifico. Come le scienzeumane hanno prospettato la duplice possibilità di re-agireall’esperienza di “solitudine estrema” e di “strappo” da partedel migrante in proporzione alle sue risorse di resilienza, cosìla Sapientia Crucis ci illumina sul senso ultimo di ogni critic-ità. Gesù è entrato nella solitudine estrema ed è lo “strappato”per eccellenza e nel contempo, abbracciato dal Padre ricco dimisericordia, è resuscitato nella potenza dello Spirito Santo. Amani generose, a cuori accoglienti spetta il compito di ripro-durre lo stile del Padre e farsi prossimo per chi vive situazionidi fatica e di dramma raggiungendolo nelle steppe delle suesolitudini e nel dolore dei suoi strappi. La Parola della Crocechiarisce e illumina il senso dell’esperienza umana e apre gliorizzonti della carità teologale. Come ebbe a dire il BeatoGiovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondialedelle migrazioni del 1998: “per il cristiano, l’accoglienza e lasolidarietà verso lo straniero non costituiscono solo un dovereumano di ospitalità, ma una precisa esigenza che deriva dallastessa fedeltà all’insegnamento di Cristo…La cattolicità nonsi manifesta solamente nella comunione fraterna dei battezza-ti, ma si esprime anche nell’ospitalità assicurata allo straniero,quale che sia la sua appartenenza religiosa, nel rifiuto di ogniesclusione o discriminazione razziale e nel riconoscimentodella dignità personale di ciascuno con il conseguente impeg-no di promuovere i diritti inalienabili”.

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“THE EMIGRATION PHENOMENON:AN EXPERIENCE OF ‘CRISIS’”Guglielmo Borghetti, bishop of Pitigliano-Sovana-Orbetello

The perspective from which we take a look at the theme in questionin order to offer a contribution to the Seminar of the Cattedra(Chair) of Gloria Crucis, is precisely that of pastoral anthropology;a discipline that - up to now - has not yet assumed a form which canbe considered to be epistomologically complete and thus puts itselfforward timidly as an empirical science called to elicit and exposein a methodical way the anthropological premises for obtaining sal-vation. In the relationship of pastoral anthropology to pastoral the-ology, the former presents itself as an auxiliary science, irr eplace-able as regards the fulfillment of its primary and essential method-ological task: that of exploring the concrete situation of man consid-ered as a single individual and as a member of society , in additionto that of seeking the anthr opological conditions of Christian lifeand ecclesial action.

“LE PHÉNOMÈNE DE LA MIGRATION:L’EXPÉRIENCE DE « CRISE »Mons. Guglielmo Borghetti, évêque de Pitigliano-Sovana-Orbetello

La perspective de laquelle nous partons pour offrir une contributionspécifique au thème du séminair e de la Chaire de la Gloria Crucis ,est propre à l’ anthropologie pastorale , une discipline qui à ce journ’a pas encore pris une forme épistémologiquement accomplie, etqui se propose timidement comme une science empirique appliquéeafin de mettre en évidence et d’exposer méthodiquement les pré-misses anthropologiques pour parvenir au salut. Dans sa r elationavec la théologie pastorale, elle se pose comme une science auxi-liaire, irremplaçable pour réaliser sa pr emière et essentielle tâcheméthodologique: connaître la situation concrète de l’homme consi-déré comme individu et comme membr e de la société : r echercherles conditions anthr opologique de la vie chrétienne et de l’agirecclésial.

FRA

ENG

EL FENÓMENO MIGRATORIO:EXPERIENCIA DE “CRISIS”

Mons. Guillermo Bor ghetti, OBISPO de Pitigliano-Sovana-Orbetello

La prospectiva en la cual nos movemos para ofr ecer una contribu-ción especifica al tema del seminario de la Cátedra Gloria Crucis,es aquella propia de la antropología pastoral; disciplina que hastahoy no ha asumido todavía una forma epistemológicamente comple-ta y que se pr opone tímidamente como ciencia empírica aplicada,llamada a destacar y exponer metódicamente las premisas antropo-lógicas para alcanzar la salvación. En su r elación con la teologíapastoral se pone como ciencia auxiliar insustituible para realizar suprimera y esencial tarea metodológica: conocer la concreta situa-ción del hombre considerado como individuo y como miembro de lasociedad: buscar las condiciones antropológicas de la vida cristia-na y de la ación eclesial.

DAS MIGRATIONS PHÄNOMEN:EINE KRISEN-ERFAHRUNG

Mons. Guglielmo Bor ghetti, Bishof von Pitigliano-Sovana-Orbetello

Die Perspektive, von der wir ausgehen, um einen spezifischenBeitrag zum Thema des Seminars der „Cathedra Gloria Crucis“ zubieten, ist eine anthr opologisch pastorale Ausrichtung; eineDisziplin die bis heute noch keine epistemologische vollkommeneForm eingenommen hat und sich scheu als empirische Wissenschaftvorschlägt, und dazu berufen ist, methodologisch die anthr opologi-sche Voraussetzung zu erläutern und zu entdecken um das Heil zuerreichen. In ihrer Beziehung zu der pastoralen Theologie, gibt siesich als Hilfs- W issenschaft aus, unersetzbar um ihr en ersten unsessentiellen methodologischen Auftrag zu realisieren: die konkreteSituationen des Menschen zu kennen, und ihn als einzelnesIndividuum und als Mitglied der Gesellschaft zu betrachten; dieanthropologischen Bedingungen des christlichen Lebens und deskirchlichen Wirkens suchen.

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ZJAWISKO MIGRACJI: DOŚWIADCZENIE„KRYZYSU”Guglielmo Borghetti

Perspektywa, w ramach któr ej się poruszamy , aby przedstawićrefleksję na temat seminarium Katedry Gloria Crucis jest charakte-rystyczna dla antr opologii pastoralnej, dyscypliny , która do dziśjeszcze nie przybrała zamkniętej formy epistemologicznej nieśmiałowystępuje jako nauka empiryczna stosowana, stawiająca sobie zacel uwypuklić i przedstawić metodologicznie założenia antr opolo-giczne konieczne do osiągnięcia zbawienia. W swej relacji do teolo-gii pastoralnej występuje jako nauka pomocnicza, niezastąpionajeśli chodzi o r ealizację jej głównego zadania metodologicznego:poznać konkretną sytuację człowieka rozpatrywanego jako jednost-ka i jako członek społeczności, poszukiwać warunków antr opolo-gicznych życia chrześcijańskiego i działania kościelnego.

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di SALVATORE CURRÒDocente alla Pontificia Università Lateranense

L’ospitalità non è solo unadelle possibilità o oppor-tunità dell’io, né solol’esercizio di un doveresociale o religioso; non èsolo l’apertura ad altri diun io che prima di tutto

si pone e si progetta, che, prima di aprirsiall’altro, è se stesso, presente a se stesso. Ilrichiamo dell’ospitalità intercetta l’io pro-prio nel suo essere se stesso, contestandoradicalmente lo stesso movimento e persi-no il diritto di essere anzitutto se stessi. Sesi pensa l’identità come l’essere presenti ase stessi, l’ospitalità è allora la contestazione dell’identità. Tale con-testazione viene dall’altro, dall’altro in quanto altro, straniero, noncatturabile nel mio mondo, non integrabile, e che pure mi riguarda.Ma la contestazione viene anche, e allo stesso tempo, dall’internodell’io, come da un’alterità nel cuore dell’io; come se l’io fosse, infondo, straniero a se stesso. Se è così, la contestazione dell’iopotrebbe significare anche una promessa: la possibilità per l’io diessere davvero sé, la liberazione del sé in quanto eccedente la pre-senza a sé, in quanto altro-che-io, sé come un altro1, sé come dono.L’identità emergerebbe non nel movimento dello sforzo d’essere main un movimento che viene da altro, e che è grazie ad altri e ad altro.

OSPITALITÀ,IDENTITÀ E CROCELa prospettivafenomenologica

1 È il titolo di un’opera di P. Ricoeur: Sé come un altro, a cura di D. Iannotta,Jaca Book, Milano, 1993.

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Il segno della contestazione-promessa potrebbe essere la croce. Lacroce potrebbe significare la rottura del movimento del (dover) pen-sare a sé e, allo stesso tempo, l’inizio del lasciarsi raggiungere dal-l’altro e da altro. Potrebbe essere il segno dell’uscita, dell’esodo del-l’io e, allo stesso tempo, del riceversi in dono dall’altro, del costi-tuirsi per dono non per conquista. Sarebbe il segno della perdita odella morte dell’io ma anche, paradossalmente, della vita dell’io;segno della vita donata e, insieme, della vita ricevuta in dono. Lacroce nasconderebbe il segreto di un legame profondo, indissolubi-le, tra la morte e la vita.

Ecco l’intreccio di ospitalità, identità e croce, che cercherò, alme-no un po’, di dipanare, in prospettiva fenomenologica, cioè nellaprospettiva dell’io che fa i conti con i suoi vissuti, con la coscienzadegli altri e di sé. I vissuti relativi all’ospitalità si manifestano allimite della coscienza di sé, anzi manifestano il limite della coscien-za. Sono la sfida o la pietra di inciampo per l’io, la sua croce; con-ducono all’incrocio tra la vita di coscienza e ciò che è irriducibile acoscienza, tra padronanza di sé e resa ad altro o all’altro. La rifles-sione fenomenologica si è misurata con i vissuti dell’ospitalità, purcon accentuazioni diverse e seguendo percorsi diversi, ad es. il per-corso dell’appello dell’altro e dell’identità come responsabilità (E.Levinas), quello del riconoscimento del dono e del ricomprendere ilsoggetto come l’ adonato (J.-L. Marion), o quello dell’ ospitalitàassoluta e del dono impossibile (J. Derrida)2. Tengo presenti questiautori sullo sfondo; alcune volte li chiamerò in causa3. Ma, metodo-logicamente, vorrei procedere guardando ai vissuti stessi.

2 Di Levinas, si può vedere in particolare: Totalità e Infini to. Saggio sull’este-riorità, con un testo introduttivo di S. Petrosino, tr . di A. dell’Asta, Jaca Book,Milano, 1990; Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, introduzione di S.Petrosino, tr. di M.T. Aiello e S. Petrosino, Jaka Book, Milano, 1983. Di Marion:Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, tr. di R. Caldarone,SEI, Torino, 2001; Il fenomeno erotico. Sei meditazioni , Cantagalli, Firenze,2007. Di Derrida: Addio a Emmanuel Levinas, a cura di S. Petrosino, tr . di S.Petrosino e M. Odorici, Jaca Book, Milano, 1998; Donare il tempo. La mone-ta falsa, tr. di G. Ber to, Cortina, Milano, 1996; Donare la morte , intr. di S.Petrosino, postf. Di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano, 1996, 2002; Politichedell’amicizia, tr. di G. Chiurazzi, Cor tina, Milano, 1995; DERRIDA J. -DUFOURMANTELLE A., Sull’ospitalità. Le riflessioni di uno dei massimi filosoficontemporanei sulle società multietniche , tr. di I. Landolfi, Baldini & Castoldi,Milano, 2000.

3 Per una interpretazione del pensiero di Derrida, Levinas e Marion, rinvioa CURRÒ S., Il dono e l’altro. In dialogo con Derrida, Levinas e Marion , LAS,Roma, 2005.

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Inostri vissuti diospitalità - ospitali-tà offerta o negata

agli altri, oppure ospita-lità da noi cercata, desi-

derata, ottenuta o negataci da parte degli altri o di qualcun altro -hanno un significato tutt’altro che mar ginale nella nostra esperien-za. Dicono la dimensione sociale dell’esistenza, la costitutiva inter-dipendenza degli esseri umani, la struttura relazionale del nostro io.A partire da questi vissuti possiamo risalire ad una comprensionepiù vera di noi stessi, alla consapevolezza che siamo costitutivamen-te legati agli altri, che riceviamo dagli altri e che abbiamo delleresponsabilità nei confronti degli altri. Possiamo, per empatia (o perentropatia, Einfühlung, secondo il linguaggio di Husserl), entrare neivissuti dell’altro, anche se a partire da noi stessi e quindi senzapotervi davvero entrare; ciascuno infatti parte da sé e, insieme, èlegato agli altri, quindi chiamato ad interessarsi degli altri 4.Possiamo anche evidenziare le implicazioni etiche di una identitàcostitutivamente relazionale. E tuttavia c’è un di più di sfida, che cispinge oltre la preoccupazione di conoscere chi siamo, di saperequanto e come la dimensione relazionale sia una struttura fonda-mentale del nostro io, oltre anche la preoccupazione di esplicitare ildover essere a partire dalla presa di coscienza del nostro essere. È undi più che si impone non come un principio, ma come un appello cherompe con ogni principio di coscienza e col primato stesso del com-prendere o del prendere coscienza5.

4 Questa dinamica dell’entrare senza entrare, del poter accedere all’altroma sempre a partire da se stessi, è stata mirabilmente messa in luce da Husserl,e porta ad un atteggiamento molto equilibrato, insieme di rispetto e di interes-samento per l’altro. Non c’è vero interessamento senza rispetto, né vero rispet-to senza interessamento. Le analisi sull’intersoggettività e sulla Einfühlung sonosvolte da Husserl soprattutto in Meditazioni cartesiane con l’aggiunta deiDiscorsi parigini, a cura di F . Costa, pres. di R. Cristin, Bompiani, Milano,1994, 113ss. (la Quinta meditazione).

5 Questo di più è ciò che Levinas chiama etica. Non si tratta dell’etica subor-dinata a dei principi colti dalla coscienza, ma un’etica che rompe, subordinan-dolo a sé, l’orizzonte del pensare e dell’essere che si dà alla coscienza. È l’eti-ca che si impone sull’ontologia, l’etica come «filosofia prima» (v . LEVINAS E.,Totalità e Infini to, cit., 313).

L’ospitalità oltre il comprenderee la presa di coscienza...

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Che succede se mettiamo tra parentesi la preoccupazione stessadel comprendere, se facciamo epoché della preoccupazione di com-prenderci, di prendere coscienza di chi siamo o siamo chiamati adessere? Che succede se, quando entriamo in rapporto con l’altro,sospendiamo anche la preoccupazione di chi è lui? Che succede sesospendiamo la preoccupazione dell’identità (nostra e dell’altro)?Di fatto alcune esperienze di ospitalità si portano dentro come unaprovocazione a questa sospensione e della comprensione e dellastessa preoccupazione d’essere. Non è chiaro se siamo noi a sospen-dere le nostre preoccupazioni, le nostre domande, il nostro compren-dere, e ci rendiamo disponibili all’altro, oppure se è l’altro che metteimprovvisamente fuori gioco le nostre pre-comprensioni e le nostrepreoccupazioni. Forse l’uno e l’altro; o forse né l’uno né l’altro, per-ché è come se un evento sopraggiungesse, e per l’uno e per l’altro.Fatto sta che si squarcia un orizzonte e ne sopraggiunge un altro, piùradicale, forse più vero (ma di una verità che supera la preoccupa-zione di ciò che è), forse più umano. È l’orizzonte dell’ospitalitàassoluta, dell’ospitalità che si impone senza se e senza ma, comedovere assoluto ad accogliere senza chiedere l’identità, senza preoc-cuparsi dell’identità (sia quella dell’altro sia la propria), senza poter-si sottrarre (all’altro e al richiamo dentro di sé). Si manifesta così unlegame di fraternità, che si impone senza aspettare che si sia prodot-ta in noi una coscienza della fraternità; è come se fossimo legati,responsabili gli uni degli altri, senza saperlo e volerlo, e prima divenirlo a sapere. È come se si af facciasse improvvisamente ladomanda, che non ammette ragionamenti, giustificazioni, interpre-tazioni, e che non si sa bene da dove venga: “Che ne è di tuo fratel-lo?”. È come se improvvisamente, nel groviglio dei pensieri, dellevalutazioni, dei soppesamenti, degli equilibrismi del pensiero, fossi-mo inchiodati al dilemma: “accolgo o non accolgo?”. Più ancora, ècome se fossimo inchiodati a dover rispondere o non rispondere,senza una terza possibilità, a una domanda altra, rispetto alle nostredomande, che viene da fuori e che pure ci interpella nell’intimo: “Miaccogli o non mi accogli?”.

L’appello, quindi, viene dall’altro, magari dal suo silenzio, a suainsaputa, senza che lui lo voglia; ma viene anche da dentro, allo stes-so tempo. È come se l’appello dell’altro facesse alleanza con unrichiamo iscritto nel segreto di sé, ed è come se l’alleanza avvenisse anostra insaputa, senza che noi l’avessimo voluto. Levinas spiega chel’appello viene dal volto d’altri, ma che esso rende anche manifesta

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l’an-archia del soggetto, il suo non cominciare da se stesso; dettopositivamente: il suo essere creatura e (sulla) traccia dell’infinito 6.Rispondendo all’appello si abita l’infinito, ci si fa (ci si manifesta)traccia dell’infinito. Il senso è in questo orizzonte altro, più radicaledella coscienza d’essere e della preoccupazione d’essere, orizzonteetico e di infinito, dove la responsabilità precede la coscienza dellaresponsabilità e l’infinito precede la coscienza dell’infinito.

Su questo intrigo olegame tra laresponsabilità, in

quanto ingiunzioneassoluta, e la coscienza

della responsabilità, tra l’appello e il pensiero, tra l’ordine e lacoscienza, tra l’ospitalità assoluta e la politica dell’ospitalità, si è cen-trata l’attenzione di Derrida7, il quale evidenzia che si tratta di un rap-porto-senza rapporto, di un legame-senza legame. La responsabilitàdeve farsi coscienza della responsabilità, ma l’attività di coscienza ègià tradimento della responsabilità. Il richiamo assoluto all’ospitalitàprecede la coscienza dell’ospitalità e quindi anche la politica del-l’ospitalità; esso però ha bisogno dell’attività di coscienza, ha biso-gno di una politica e di un diritto positivo dell’ospitalità. L ’ospitalitàassoluta, al di là di ogni ragione, va tradotta in atteggiamenti di ospi-talità, in scelte personali, sociali, politiche di ospitalità; entra cioè neiragionamenti, viene soppesata, commisurata alle nostre possibilità.Ciò è necessario, perché così diventa concreta, ma ogni concretizza-zione dell’ospitalità si porta anche dentro il necessario tradimentodell’ospitalità. Viviamo tra concretizzazione e tradimento.

L’ospitalità vera, davvero umana, è in certo senso impossibile,perché è assoluta: dovremmo accogliere sempre e tutti. È impossibi-le. Ma l’impossibile, ci avverte Derrida, è la risorsa del possibile,il senso del possibile, la misura senza misura del possibile 8.

... Tra ingiunzione assolutae necessarie mediazioni

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6 Sul tema del volto e sulla connessione tra l’epifania del volto e l’infinito, siveda in particolare Totalità e Infini to, cit., 199ss.

7 Soprattutto in Addio a Emmanuel Levinas, cit.8 V. PETROSINO S., Jacques Derrida e la legge del possibile.

Un’introduzione, pref. di J. Derrida, Jaca Book, Milano, 1997, 246-247.

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L’ospitalità, certo, in concreto va misurata: è ciò che posso, possia-mo, ragionevolmente fare; è necessariamente commisurata a ragio-ni sociali, politiche, di diritto positivo. Ma l’anima dell’ospitalità èal di là della ragione o delle ragioni. Ogni realizzazione è semprepoco, è (deve essere, deve sentirsi) sempre difettosa; è come se fossesempre sotto giudizio, o sotto l’ingiunzione del richiamo assolutoall’ospitalità. L’umanità della società sta nel tenere alta la misuradell’ospitalità, nel custodire il richiamo assoluto, nel custodirel’orizzonte altro rispetto a quello delle ragioni, nel tener viva l’atte-sa di un ospitalità che deve sempre ancora venire. D’altra parte ilrichiamo o il dovere dell’ospitalità non si esaurisce certo sul pianosociale, tocca l’esperienza molto personale di ciascuno, è appellopersonale. Ed è in rapporto al soggetto e alla sua unicità che si spri-giona il senso dell’ospitalità. Il richiamo assoluto all’ospitalità è nelcuore del soggetto, senza che con ciò vengano meno i compiti diospitalità di una società, e senza separare privato e pubblico,coscienza del soggetto e coscienza sociale, che di fatto si intreccia-no. Tuttavia, il singolo non può mai rifugiarsi nel pubblico e giusti-ficarsi in rapporto a quell’appello che riguarda proprio lui. Nessunoè esonerato dall’ospitalità. E, in fondo, è il soggetto-che-risponde-all’appello, che paga di persona, il luogo dell’ospitalità vera.

Sulla scorta del paradosso dell’ospitalità – ospitalità possibile maimpossibile, impossibile ma risorsa del possibile – possiamo riflet-tere su alcuni vissuti di ospitalità, nei quali i significati sociali equelli personali si intrecciano. Li accostiamo cercando di evidenzia-re alcune dinamiche del soggetto, quelle dell’affermazione-contesta-zione dell’identità.

Non è facilerimanere indif-ferenti di fronte

all’arrivo dell’altro, edegli altri, quando più

forte si impone la loro alterità, la loro differenza rispetto a me, a noi,al nostro mondo. L’altro mi interpella proprio perché altro, proprioperché differente. Mi interpella perché è povero, mentre io sonoricco; bisognoso di pane e dell’essenziale per vivere, mentre io ho ilsuperfluo; indifeso, debole, esposto agli eventi, esposto al pericolostesso di vita, mentre io sono forte, nella possibilità di salvare me

La differenza, l’indifferenzae l’intreccio vita-morte

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stesso, nel potere di esercitare un dominio sulle situazioni. Lui è inpericolo di vita, io sono nel potere di promuovere la sua vita o diaffrettare la sua morte. Questa dif ferenza rivela un legame di uma-nità che relativizza (o mette fuori gioco) le differenze del piano cul-turale, nazionale, linguistico, religioso, a cui si potrebbe ricorrereper attenuare l’appello o per giustificare una non risposta. Quandosaltano le differenze costruite dalla ragione, dalla storia, dalle cultu-re, l’altro si erge davanti a me come l’altro uomo, dif ferente da mee che pure ha a che fare profondamente con me. È una dif ferenzamisteriosamente connessa all’ impossibilità dell’in-differenza. Illegame di un’umanità è forse l’impossibilità dell’indif ferenza. E, arigore, l’indifferenza è impossibile. L’indifferenza è forse il ricondu-cimento del piano umano al piano delle ragioni sociali, politiche,identitarie. Tale riconducimento è anche necessario, ma la partita sigioca, prima di tutto, sul piano più radicale dell’umano. Ma sel’umanità è l’impossibilità dell’indifferenza, bisogna vedere a qualicondizioni o a quale prezzo si può diventare, almeno in certa misu-ra, indifferenti.

Per essere indifferenti bisogna interrompere il legame di umanitàcon l’altro. Devo offuscare il piano del mio-essere-responsabile-del-l’altro, devo attutire l’appello dell’altro. Devo non vedere l’altro,non entrare in contatto. Ciò è di per sé impossibile, perché viviamodi contatto, nel contatto. La concretezza dell’umanità è l’essere gliuni con gli altri e gli uni per gli altri, su un piano di prossimità mate-riale, sensibile, che precede ogni nostra presa di coscienza.Acquistiamo la coscienza di noi stessi nel contatto con gli altri, enon viceversa9. La possibilità di mettere come uno schermo al mioessere-per-l’altro e in-contatto-con-l’altro mi viene dalla coscienza,

9 Rinvio alla riflessione di Levinas sulla sensibilità, che si svolge nel confron-to col tema husserliano della sintesi passiva di coscienza e che cerca di faremergere una passività anteriore alla coscienza della passività. T ale passivitàè, per Levinas, una sensibilità originaria, che ha senso etico, e che precede lasensibilità già collegata alla coscienza e al sapere. Si veda LEVINAS E.,Intenzionalità e sensazione , in ID., Scoprire l’esistenza con Husserl eHeidegger, tr. di F. Sossi, Cortina, Milano, 1998, 165-186. Per una interpreta-zione del pensiero di Levinas su questo tema, rinvio a CURRÒ S., Il soggettoperduto e ritrovato. La fenomenologia paradossale di Levinas , Aracne, Roma,2010, 219ss. (il capitolo su La sensibilità: terreno del contatto con l’altro e conl’infinito e terreno dell’origine del pensare ).

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dalle possibilità della mia coscienza, dai giochi possibili allacoscienza. Posso vedere ma non vedere, posso attenuare l’appello,posso ricondurre l’orizzonte della responsabilità e ospitalità assolu-ta all’orizzonte razionale che fa riferimento ai principi, alle leggi,alle ragioni sociali e politiche. Posso, possiamo, dissimulare l’appel-lo in tanti modi, con tante ragioni :”Alcuni hanno realmente bisognodi accoglienza, altri no”, “Li dobbiamo aiutare nella loro società,nella loro nazione”, “Un’accoglienza indiscriminata sarebbe un pro-blema per tutti, per loro e per noi, per i nostri giovani, per i nostrifigli”, “Anche da noi ci sono tanti problemi”, “È giusto che accolga-no anche altri (altre città, altre nazioni), non possiamo fare da soli”,“Alcuni sono violenti”, ecc.

La caratteristica essenziale di queste af fermazioni è la dif ficoltàdi discernere, in ciascuna di esse, giustizia e ingiustizia, umanità edisumanità, verità e ipocrisia, desiderio sincero di rispondere all’al-tro e sforzo di proteggere il proprio mondo. Le ragioni, a pensarcibene, possono esprimere le modalità del rispondere e le modalità delnon-rispondere; spesso portano le tracce dell’uno e dell’altro.L’essenziale spesso rimane nel segreto. Ma il fatto stesso di doveraddurre delle ragioni per ospitare e per non ospitare, il fatto stessodi dover giustificare l’ospitalità o la non ospitalità, rivela in fondo ilprimato di un appello di umanità, che precede la ragione e con cuila ragione deve fare i conti. Forse nessuno potrebbe dire: “Non tiaccolgo” e basta. Sicuramente nessuno potrebbe dirlo in facciaall’altro. Se lo si dice, bisogna subito trovare una ragione. Ciò signi-fica che il nostro esserci fa sempre i conti, in un modo o nell’altro,con l’appello. La vita di coscienza è come situata nel dilemma con-tinuo della possibilità di ospitare o non ospitare, rispondere o nonrispondere. Le nostre scelte, le nostre ragioni, sono sempre comesotto giudizio. Sono sempre esercizio di responsabilità o irresponsa-bilità; rendono sempre giustizia o ingiustizia all’altro. Non sono maineutre.

A pensarci bene, poiché l’ospitalità è richiamo assoluto e richie-derebbe una risposta infinita, poiché, inoltre, viviamo legati nonsolo a un altro ma a tanti altri, poiché, quindi, l’ospitalità è in fondoimpossibile, ogni gesto possibile di ospitalità è anche un gesto dilimitazione dell’ospitalità; è gesto giusto e ingiusto allo stessotempo. Per rispondere, devo limitare la responsabilità; per ospitare,devo limitare l’ospitalità. Una razionalità è esigita dall’ospitalitàstessa. D’altra parte, mentre rispondo a uno non rispondo a un altro.

Dando il mio dono a uno non lo dò a un altro. Ma posso limitare ilmio dono all’altro perché sono chiamato anche dal terzo, dal quar-to, dai tanti altri, oppure perché rimango nel mio mondo. Questo fala differenza. Posso far intervenire la ragione per autodifesa, per giu-stificare la mia chiusura o la mia paura, o farla intervenire per com-parare il richiamo dell’altro con quello dei tanti altri 10. Forse c’èsempre e l’uno e l’altro. Forse la dif ferenza non si lascia catturaresul piano dell’intenzionalità, della presa di coscienza. Forse in ognigesto vero di accoglienza c’è sempre il rischio, la possibilità di darevita a qualcuno e morte a qualcun altro, di dare vita e morte, mortee vita alla stessa persona11. E forse ciò che è decisivo, appunto que-sto misterioso nesso di morte-vita, supera la nostra coscienza, avvie-ne a nostra insaputa. Siamo legati gli uni agli altri in un mistero dimorte e di vita. E il mistero ci sovrasta, non si fa presa di coscienza.A quante persone avremo dato la morte, pensando magari di darvita! A quante avremo dato vita pensando di dare la morte!

Questo misterio-so intreccio divita e morte,

mentre segna l’acco-glienza-non accoglien-za dell’altro, segnaanche il movimento

stesso dell’identità. A dire il vero, più che di un movimento progres-sivo (come se l’io si costruisse un passo dopo l’altro, per continuitàe progressione, mettendo un mattone dopo l’altro nella costruzionedi sé), si tratta dell’interruzione del movimento e della progressione;si tratta di un porsi in posizione da parte dell’io e di un essere con-tinuamente deposto; di un costruire che va incontro alla perdita e diuna perdita che diventa condizione di costruzione, in una logica(illogica) di morte-vita, di morte da cui scaturisce la vita, di vitadestinata alla morte.

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L’identità paradossale:il soggetto ospitante-ospite,

l’impossibilità di amare sèe la possibilità di amare l’altro

10 Sul tema del terzo, dell’introduzione della ragione o della limitazione del-l’obbligo assoluto dell’ospitalità, ritorna spesso Derrida, commentando Levinas,in Addio a Emmanuel Levinas, cit.; v. ad es. 180ss.

11 È un tema che attraversa DERRIDA J., Donare la morte, cit.

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Questa dinamica, o questo intreccio di morte-vita, si manifestaparticolarmente proprio nella sfida dell’ospitalità, nella posizione, ode-posizione, del soggetto di fronte al richiamo assoluto dell’altro.Rispondere all’appello, in senso radicale, è perdita, è morte, o unasorta di anticipazione della morte. Non è l’espressione di un io chesi costruisce, ma è il segno di un io che rinuncia a sé, o meglio, chia-mato a rinunciare a sé. Ospitare o accogliere l’altro implica la rinun-cia a sé, il sacrificio di sé, vera perdita di sé. Se a uno sguardo terzola perdita può apparire ragionevole e può essere pensata in vista diun guadagno, per l’io l’accoglienza è rischio, vera perdita. Certo l’iopuò constatare, a cose fatte, che la perdita si è rivelata guadagno, cheil dono di sé all’altro si è misteriosamente trasformato in dono del-l’altro a sé, ma nel momento della risposta all’appello, nel momen-to del dono, il rischio è reale, la perdita è vera perdita. Se il donoall’altro fosse nell’ottica di un ritorno (fosse solo il ritorno di realiz-zazione di sé), che dono sarebbe? Il ritorno di coscienza, il calcolo,annullerebbe il dono12. Donare davvero all’altro, ospitare l’altro, èquindi vera perdita; è un movimento che ha la struttura di un anda-re incontro alla morte.

Eppure il ritorno sopraggiunge. Non è ritorno calcolato, ma ina-spettato. Non è un ritorno che arricchisce l’io di qualcosa. Non ènemmeno un ritorno che parte dall’intenzionalità dell’altro, dallasua consapevolezza di aver ricevuto e di dover ricambiare. È unritorno di dono, che non si sa bene da dove venga e che ha a che farecon il sé; è come un ricevere sé, è come se il sé, il me, l’essere mestesso, provenisse da altro, grazie ad altro. Grazie all’altro, agli altri,e grazie ad altro. Si rivela il paradosso nel cuore dell’io. L ’io non èproprietario di sé. Il suo sé non gli appartiene. Il segreto di sé appar-tiene ad altro. Qualcun altro vede nel suo segreto, qualcun altro sameglio di lui ciò di cui ha bisogno. L ’io può solo riceversi. In suopotere è entrare, con coraggio e rompendo col primato del calcolo edel dover pensare a sé, nel rischio del dono, dell’ospitalità, del-l’amore. Il suo potere è il poter perdere il suo potere. Il senso del séè paradossalmente nell’oblio di sé, nella perdita di sé, nel per-l’altroe nel grazie-all’altro. L’io è il per-l’altro, il per-gli altri e il grazie-adaltri. È un intreccio non di coscienza ma che si impone alla coscien-

12 Cf. DERRIDA J., Donare il tempo, cit., 8-9. Cf. anche la discussione sullaposizione di Derrida, svolta da J-L. Marion in Dato che, cit., 91-96.

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za, intreccio di dono e responsabilità, di ospitalità resa e di ospitali-tà ricevuta. È il segreto che attraversa da cima a fondo la coscienzae di cui la coscienza vive.

Un paradosso è nel cuore dell’io, del soggetto. Il senso della sog-gettività è l’ospitalità. Il soggetto è l’ospite. È soggetto assoggettatoall’altro, nel dovere dell’ospitalità assoluta; è soggetto in quantoaccolto e riceventesi dono. È paradossalmente l’ospitante e l’ospi-te, l’host e il guest, è ospite a casa sua. Le chiavi di casa sua appar-tengono all’altro13. È l’altro che mi fa entrare a casa mia, propriol’altro il cui ingresso a casa sua dipende da me.

Nella dinamica dell’identità, l’attimo della liberazione dell’io èquando l’impossibilità di pensare a se stessi si fa possibilità di pen-sare all’altro. Io, che pure ho bisogno di essere amato, posso amareper primo14. Posso interrompere il circolo fatto di: bisogno di rice-vere amore, frustrazione per non riceverlo o per non riceverlo a suf-ficienza, odio (più o meno manifesto) dell’altro, sfiducia (o odio)nei confronti di sé per non essere amato o forse per non sentirsicapace di amare. Il circolo vizioso può trasformasi improvvisamen-te in movimento virtuoso, in amore gratuito. Io, che non vedo benedentro di me, posso vedere l’altro nel suo bisogno di essere amato.Io, che pure ho bisogno di essere accolto, posso accogliere l’altro eposso sentirmi accolto nel momento in cui accolgo; posso accoglier-mi nella e per l’accoglienza dell’altro. Non è chiaro se la fatica piùgrande (o il bisogno più grande) sia amare o lasciarsi amare. Certoè che c’è un misterioso intreccio. Certo è, inoltre, che l’io è nell’im-possibilità di darsi amore. In suo potere è solo la possibilità di amarenell’oblio di sé, mettendo tra parentesi l’amore per sé. Nel momen-to della messa tra parentesi, momento della rottura del circolo edella liberazione, si mettono le condizioni perché parole comeamore, accoglienza, ospitalità, acquistino senso. Si tratta di parolefragili, esposte alla possibilità di entrare nel circolo vizioso o nelmovimento virtuoso, che evocano il dilemma nel cuore dell’io, illimite tra il pensare a sé e l’oblio di sé, la possibilità del rovescia-mento dal senso di proprietà dell’io alla gratuità di sé.

13 Cf. DERRIDA J. - DUFOURMANTELLE A., Sull’ospitalità, cit., 112-113.14 Cf. MARION J.-L., Le phénomène érotique. Six méditations , Grasset,

Paris, 2003, 116-117.

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L’oblio di sé è larottura dellapresa di

coscienza. Il sensodell’io si colloca inquel punto in cui si

squarcia l’orizzonte della presa di coscienza, cioè dell’io padrone disé, cosciente di sé, presente a sé, e si affaccia l’orizzonte dell’appel-lo assoluto, del dono assoluto, della responsabilità incondizionata,del rischio della perdita e della morte che è anche promessa (noncalcolata) di vita. Il dovere dell’ospitalità e il debito di ospitalità ècome iscritto nella memoria dell’io, in quella memoria che non si famai ricordo, che non entra mai pienamente nella coscienza. Ma que-sta memoria custodisce un segreto, una parola forse mai udita, oforse udita senza la coscienza di averla udita, pronunciata a nostrainsaputa; parola pronunciata prima della nascita, forse parola dicreazione, connessa con la nascita. Parola che ci portiamo dentrosenza volerlo e in fondo senza saperlo, e che paradossalmenteudremo (in ritardo) mentre già vi rispondiamo. Nel rischio dell’ospi-talità, nell’uscita da sé, nell’amare per primi, af fiora alla coscienzaquesta parola e questa memoria. Più o meno può risuonare così:“L’altro è tuo fratello”, “Sei responsabile di lui”; e ancora: “Non seiproprietario, ma sei ospite”, “La terra che calpesti ti è data in dono,ricordalo!”, “Tu stesso sei dono a te stesso!”.

Ciò che sta al confine tra la coscienza e l’aldilà della coscienza,tra l’orizzonte del sapere, o della comprensione, e l’orizzonte al dilà della comprensione, orizzonte del rischio dell’ospitalità assoluta,è difficile da dirsi. È dif ficile dire il paradosso dell’identità, l’iden-tità come ospitalità, il rovescio, se così si può dire, della coscienzadi sé. Lo si può dire disdicendolo subito; lo si può dire alterando illinguaggio, o in modo paradossale. La preoccupazione di spiegaresi arrende alla potenza allusiva, simbolica del linguaggio. Forse, allafine, si può solo indicare una direzione, una traccia, un segno. Ilsegno più espressivo, almeno nella nostra tradizione culturale, misembra il segno della croce; non in quanto segno che rinvia a signi-ficati di coscienza, ma in quanto segno di provocazione, di confine,tra l’orizzonte nostro e l’orizzonte altro, tra la preoccupazione dellavita e la chiamata alla morte, traccia di un orizzonte che si interrom-pe, di un cielo che si squarcia.

All’incrociotra la coscienza e la memoria

che precede la coscienza

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La croce custodi-sce il segreto, ilsegreto che

rimane segreto e a cuisi accede non con l’intelligenza ma, in certo senso, per sospensionedell’intelligenza, quando l’io si apre al rischio del dono, dell’ospita-lità. È il segno della virata dell’io: dal mio orizzonte, e dall’orizzon-te della comprensione, all’orizzonte altro, dell’altro, che non è piùl’orizzonte della comprensione, ma dell’amore. Le ragioni, le legit-time valutazioni sull’altro, sono messe fuori gioco; non è più decisi-vo se l’altro è buono o cattivo, violento o non violento, amico onemico. Qualcosa, al di là della sua stessa intenzionalità, della suaconsapevolezza e della sua storia, si impone. La croce è quandol’amore dell’altro si impone da sé, senza ragioni, o meglio, al di làdelle ragioni. La croce è lo strappo alle ragioni.

La virata dell’io è movimento dell’io, ma che si lascia attiraredall’altro; è vero esodo, vera uscita da sé. La croce è questo puntodi rottura. È il momento in cui il movimento di interiorità, dell’ioche ritorna a sé, si incrocia col movimento che viene dall’altro,quando l’attività dell’io cede il passo alla passività, quando l’io pati-sce. La croce è la passione dell’io. È l’ora in cui il progetto è messoin scacco, proprio in quanto progetto. È la contestazione radicale delprogettare. È l’ora della sconfitta, del fallimento, dell’incomprensio-ne totale, della solitudine, dell’abbandono. È l’ora dell’amore a per-dere, dell’amore senza senso. È l’ora della povertà radicale, quandotutto è compiuto, quando non si può che attendere, nell’af fidamen-to. È l’ora della radicale dipendenza da altro. L’ora della speranza.

La croce è il segno del paradosso. Se è segno di perdita e dimorte, se è segno di perdita della vita stessa, è anche segno di iniziodella vita altra, della vita che viene da altro, della vita donata. Al cul-mine della sconfitta, della perdita, sopraggiunge il dono, la vitadonata, la vita in quanto dono. Il povero è beneficiario di ricchezza.L’abbandonato è in realtà l’amato. Lo sconfitto è in realtà il vittorio-so. La sconfitta dell’amore si fa la vittoria dell’amore. Ciò che eraperdita si fa improvvisamente e inaspettatamente guadagno. Tuttoavviene in un momento, in un attimo, un attimo non catturabile némisurabile. È un attimo che è nel tempo, ma fuori del tempo. È l’orain cui la vita e la morte si scontrano e insieme, a nostra insaputa, siincontrano; è l’ora del sopraggiungere della vita. Tale ora ci appar-tiene ma non ci appartiene. In realtà ci appartiene solo la possibilità

La croce e il segreto dell’io

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della virata verso l’altro e verso l’iniziativa altra, che è insieme unlasciarsi raggiungere. Ci appartiene la possibilità del rischio del-l’amore, che è consegna di tutto all’altro e ad altro. Nella consegnadell’amore, tutto il mio, tutto il mio dono si manifesta, tutto, comeciò che era donato a me. Mi credevo proprietario, mi scopro ammi-nistratore; mi credevo il benefattore, mi scopro il beneficiato; micredevo colui che ama, mi scopro l’amato. Ciò è possibile nelrischio della croce, dell’esodo, dell’andare verso la morte.

Ma la croce non dice solo quell’ora del tempo cronologico, deltempo misurabile, che è l’ora conclusiva della vita, quell’ora di cia-scuno di noi che solo gli altri potranno misurare e collocare neltempo cronologico. Non dice la speranza di un aldilà, dopo il tempocronologico. La croce dice la possibilità più vera del tempo, di ogniora; è l’ora che dà senso ad ogni ora. Non è la possibilità di antici-pazione della morte, né di esorcizzarla o di ricomprenderla, in sensoheideggeriano, come possibilità per il nostro esserci della vita auten-tica. Essa è al di là dell’orizzonte della comprensione e di ogni pos-sibilità di ricomprensione, al di là delle possibilità del nostro esser-ci, al di là della vita autentica. È piuttosto la possibilità dell’amore,la messa tra parentesi della nostra preoccupazione d’esserci, dellapreoccupazione stessa della nostra morte, per lasciarci raggiungeredall’altro, da altro, casomai dalla preoccupazione per la morte del-l’altro.

C’è un legame profondo tra la povertà e mortalità dell’altro e lapovertà e mortalità dell’io. La povertà dell’altro, che nasconde, a suainsaputa, l’appello alla responsabilità e all’ospitalità assoluta, custo-disce anche una promessa di vita. Nella mia povertà, la povertà dichi dona tutto e si riceve in dono, si nasconde il senso della miaidentità. Nella fragilità della vita si nasconde il segreto della vita, ilsenso della vita come dono e il senso della soggettività come ospi-talità, dovuta e ricevuta. La croce è all’incrocio di tutti questi movi-menti e nell’intreccio delle interruzioni dei movimenti. All’incrocio,essa custodisce il segreto.

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Opitalità, identitàe croce.La prospettivafenomenologica165-181

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HOSPITALITY, IDENTITY AND THE CROSS.A PHENOMENOLOGICAL PERSPECTIVE

Salvatore Currò

The problematic nature of identity is a matter which emer ges oftenand in various ways in our society , especially with r egard to thechallenges posed by emigration and multiculturalism. The followingstudy inserts itself in a phenomenological perspective and seeks topromote and enhance the human significance of identity, inviting thereader to consider cultural, national and linguistic identities from ahumanitarian point of view, encouraging an unconditional accept-ance of the other person, inscribed in the very heart of one’s self. Inthis way, the structure of that which differs fr om self becomes evi-dent. The self fully discovers its own self through its contact with theother person, wher eby someone’s acceptance of another personallows the former to feel accepted while giving to the other and toreceive himself as a gift. The cross is the sign of the breaking downof one’s self and of one’ s preoccupation with self; it is the sign oftrue acceptance of the other person and also indicates that the per-son who gives has become a gift.

ACCUEIL, L’IDENTITÉ ET LA CROIX.LA PERSPECTIVE PHÉNOMÉNOLOGIQUE

Salvatore Currò

La problématique de l’identité tant r eviens souvent et de diversesmanières dans notre société, en particulier par rapport aux défisposés par l’émigration et le multiculturalisme. Cette étude se posedans la perspective phénoménologique et veut aider à maintenirvivant et haut le sens humain de l’identité, en nous invitant à réflé-chir sur l’identité cultur elle, nationale, linguistique, à partir d’unappel humain de l’hospitalité absolue, inscrit dans le cœur mêmedu je. Il est ainsi montrée la structur e d’altérité du je. Le je seretrouve lui-même ainsi à partir de l’autr e, dans un mouvementd’accueil pour lequel, pendant qu’ il reçoit, il se sent accueilli et sereçoit en don. La croix est le signe de la rupture du je et du souci delui-même ; c’est le signe de l’accueil vrai et de l’irruption du don.

FRA

ENG

SALVATORE CURRÒSapCr XXVI

GENNAIO-APRILE 2011

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HOSPITALIDAD, IDENTIDAD Y CRUZ.LA PERSPECTIVA FENOMENOLÓGICASalvatore Currò

La problemática de la identidad vuelve fr ecuentemente y en diver-sos modos en nuestra sociedad, sobr e todo en relación al reto queplanea la emigración y la multiculturalidad. Este estudio se poneen la perspectiva fenomenológica y quiere ayudar a tener vivo y altoel sentido humano de la identidad, invitando a pensar la identidadcultural, nacional y lingüística a partir de una llamada humana a lahospitalidad absoluta, escrita en el corazón mismo del yo. Se evi-dencia así la estructura de alteridad del yo. El yo se encuentra a símismo a partir del otro, y en un movimiento de acogida por el cualél, mientra acoge, se percibe acogido y se recibe en don. La cruz esel signo de la ruptura del yo y de su pr eocupación por sí mismo; esel signo de la verdadera acogida y del sobrevenir del don.

GASTFREUNDSCHAFT, IDENTITÄT UND KREUZ.DIE PHÄNOMENOLOGISCHE PROSPEKTIVESalvatore Currò

Die Frage nach der Identität tritt in unser er Gesellschaft immerwieder und auf verschiedene Weise auf, vor allem in Beziehung aufdie Herausforderungen der Emigration und der Multi-Kultur. DieseStudie stellt sich auf die Stufe der Phänomenologie und will helfen,den menschlichen Sinn der Identität wach zu halten, indem er unseinlädt, die kulturelle, nationale und sprachliche Identität als eineEinladung zur vollkommenen Gastfr eundschaft, die im Herzenselbst des Ich geschrieben ist, zu betrachten. Auf diese Weise wirddie Struktur der Alterität des Ich unterstrichen. Das ich findet sichselbst, durch den andern, in einer Bewegung der Gastfr eundschaft,indem er, während er den anderen aufnimmt, sich selbst aufgenom-men fühlt und sich selbst als Gabe erhält. Das Kreuz ist das Zeichendes Umbruches des Ich und seiner Besor gnis um sich selbst; es istdas Zeichen der wahr en Gastfreundschaft und des Auftreten derGabe.

ESP

GER

GOŚCINNOŚĆ, TOŻSAMOŚĆ I KRZYŻ.PERSPEKTYWA FENOMENOLOGICZNA

Salvatore Currò

Problem tożsamości powraca często i na różne sposoby w naszymspołeczeństwie, zwłaszcza w odniesieniu do wyzwań stawianychprzez emigrację i wielokulturowość. Niniejsze studium w perspekty-wie fenomenologicznej chce dopomóc zachować żywe i na wysokimpoziomie ludzkie poczucie tożsamości. Zachęca też do myślenia otożsamości kulturowej, narodowej, językowej wychodząc od ludzkie-go nakazu absolutnej gościnności wpisanego w samym ser cu ja. Wten sposób podkreśla się strukturę i “inność” ja. Ja odnajduje sie-bie biorąc za punkt wyjścia innego, sytuację przyjęcia, dzięki którejw akcie przyjęcia, postrzega siebie jako przyjmowanego i otrzymu-je siebie samego w darze. Krzyż jest znakiem zerwania między ja ajego troską o siebie, jest znakiem przyjęcia prawdziwego i otrzyma-nia daru.

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Opitalità, identitàe croce.La prospettivafenomenologica165-181

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POL

PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSECATTEDRA GLORIA CRUCIS

PRODUZIONE SCIENTIFICADELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS

AA.VV. Memoria Passionis in Stanislas Breton, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, 2004.

PIERO CODA Le sette Parole di Cristo in Croce, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.

LUIS DIEZ MERINO, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.

MARIO COLLU, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre 2004.

TITO DI STEFANO, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, dicembre 2004.

CARLO CHENIS, SDB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, gennaio 2004.

ANGELA MARIA LUPO, CP La Croce di Cristo segno definitivo dell’Alleanzatra Dio e l’Uomo, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, febbraio 2004.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, EdizioniOCD, Roma Morena, 2006.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto delCrocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, RomaMorena, 2008.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli,Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.

FERNANDO TACCONE, CP (a cura) John Henri Newman e Domenico Barberi, in LaSapienza della Croce, Edizioni CIPI, S. Gabriele,n. 4, 2010.

FERNANDO TACCONE, CP (a cura) L’agire sociale alla luce della teologia della Croce,Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Persona e croce, Edizioni OCD, Roma Morena,2011.

FERNANDO TACCONE, CP (ed.) La colpa umana dinanzi al mistero della croce,Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.

L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www .passio-christi.org alla voce Cattedra Gloria Crucis.

La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voceSapienza della Croce.