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LASAPIENZA
CROCEdella
Direttore responsabileAdolfo Lippi c. p.
Direttore amministrativoVincenzo Fabri c. p.
Cattedra Gloria CrucisComitato scientificoFernando Taccone c. p. - Piero Coda Antonio Livi - Denis Biju-DuvalAdolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p.A. Maria Lupo c. p.
Segretari di redazioneCarlo Baldini c. p. - Gianni Sgreva c. p.A. Maria Lupo c. p. - Franco NicolòLucia Ulivi
CollaboratoriTito Amodei - Max Anselmi - Carlo BaldiniVincenzo Battaglia - Luigi BorrielloMaurizio Buioni - Giuseppe ComparelliMassimo Pasqualato - G. Marco SalvatiSalvatore Spera - Flavio TonioloGianni Trumello - Tito Zecca
Redazione:La Sapienza della CrocePiazza SS. Giovanni e Paolo, 1300184 RomaTel. (06)77.27.14.74Fax 700.80.12e-mail: sapienzadellacroce@ tiscali.ithttp./www.passionisti.it
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C.C.P. CIPI n. 50192004 - RomaFinito di stampare luglio 2010
Stampa:Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te)
Progetto grafico: Filomena Di Camillo
Impaginazione: Florideo D’Ignazio
ISSN 1120-7825
Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a curadei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis dellaPontificia Università Lateranense
ANNO XXV - N. 2APRILE-GIUGNO 2010
EDITORIALE
L’agire sociale alla luce della teologia della croce.“E’ necessario che un uomo muoia per tutto il popolo”
di FERNANDO TACCONE
SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA
“Il tuo volto, Signore, io cerco”La difficile ricerca di Dio in un mondo che cambia
di ANGELA MARIA LUPO C.P.
PASTORALE e SPIRITUALITÀ
La “predica di passione”Il tempo di Pietro Frasa (1678-1711)
di CARMELO TURRISI C.P.
L’economia di comunione ispirata da Chiara Lubich e l’imprescindibilità della fraternità
di ALBERTO FRASSINETI
La croce e l’agire socialeLa testimonianza della comunità di Sant’Egidio
di UGO CIANETTI
Alle origini della vocazione religiosa diS. Gabriele dell’Addoloratadi GIOVANNI DI GIANNATALE
SALVEZZA E CULTURE
In morte di Don Carlo Chenisdi TITO AMODEI
La forza della musicadi ELISABETTA VALGIUSTI
RECENSIONI
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in AbbonamentoPostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009
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di FERNANDO TACCONE C.P.
La cattedra Gloria Crucis ha realizzato un seminario di ricercasul tema indicato in questo titolo nella giornata del 24 marzo2010. Dopo il saluto del rettore ma-gnifico Monsignor Rino Fisichella sisono succeduti dieci interventi, frai quali vogliamo ricordare partico-larmente quello di Monsignor Ma-rio Toso, segretario del PontificioConsiglio Justitia et pax. E’ in pre-parazione il volume degli Atti. An-ticipiamo qui la Presentazione delSeminario fatta dal Direttore dellaCattedra.
Benvenuti a questo seminario che sipropone di indagare l’agire socia-le alla luce della teologia della cro-ce. Rifletteremo su un tema, da unaparte molto impegnativo e dall’al-tra piuttosto insolito, se non inedito. Il riferimento principale èall’amore di Dio rivelatosi nella Croce del Figlio Suo, che do-vrebbe presiedere il quadro interpretativo dell’azione socialein un tempo nel quale prevale l’ottica, spesso solo conclamata,della giustizia, dei diritti civili, politici e sociali.
L
’incipit dell’enci-
clica di Benedet-
to XVI, Caritasin Veritate, mi sembra ci
ponga sulla strada giu-
sta: «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone conla sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la
L’AGIRE SOCIALEALLA LUCE DELLA TEOLOGIADELLA CROCE“E’ NECESSARIO CHE UN UOMO MUOIA PER TUTTO IL POPOLO”
(Gv 11,50)
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La vitalità cristiana dallamorte e risurrezione di Cristo
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principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e del-l’umanità intera» (n. 1). Il Santo Padre avverte: “Un cristianesimo dicarità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva dibuoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali” ed esor-
ta che “è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci in-duca ad adottare nuovi stili di vita”. Uno stile che oggi, in molte parti
del mondo “è incline all’edonismo e al consumismo” (nn. 48-52).
Nell’enciclica il mistero pasquale di Cristo è collocato al centro
fin dall’inizio non solo della dimensione personale, ma anche di quel-
la comunitaria. Non solo, quindi, l’individuo, ma anche la comunità
e le sue istituzioni sono chiamate a confrontarsi e conformarsi alla
croce di Cristo.
Nel capitolo terzo, dove il Papa tratta il tema: «Fraternità, sviluppo
economico e società civile», scrive testualmente: «Perché dono ricevu-
to da tutti, la carità nella verità è una forza che costituisce la comuni-
tà, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere né
confini.
La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma
non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente
fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comu-
nità veramente universale: l’unità del genere umano, una comunionefraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di
Dio-Amore. Nell’affrontare questa decisiva questione, dobbiamo pre-
cisare, da un lato, che la logica del dono non esclude la giustizia e non
si giustappone ad essa in un secondo momento e dall’esterno e, dall’al-
tro, che lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole
essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità co-
me espressione di fraternità» (n 34).
L
a Sacra Scrittura
insegna che Dio
è amore e che
l’uomo è stato creato a
immagine e somiglian-
za di Dio. Perciò la vita umana è priva di senso e rimane incompren-
sibile se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo
fa proprio, se non vi partecipa vivamente (cfr. Redemptor hominis,
n. 10). Anzi, dobbiamo ribadire, con Benedetto XVI, che «la voca-zione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio:egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che
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2. La carità, norma suprema dell’agire
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ama»
1
. Vale a dire, nella misura in cui esercita l’amore, in cui supe-
ra l’archetipo dell’autochiusura ed adotta quello della carità e della
donazione. Tutto ciò «vale anche in ambito sociale: occorre che icristiani ne siano testimoni profondamente convinti e sappianomostrare, con la loro vita, come l’amore sia l’unica forza che puòguidare alla perfezione personale e sociale e muovere la storiaverso il bene»
2
. Occorre, dunque, fare della carità la norma costante
e suprema dell’agire.
Il mondo sociale al tempo di Gesù era estremamente strutturato:
c’erano discriminazioni tra puri e impuri, tra giudei e pagani, tra
uomini e donne, tra gli osservanti della legge e il popolo semplice.
Cristo si fa solidale con gli oppressi, con i poveri, gli emarginati e
quanti erano diffamati come peccatori. Cristo si mette sempre dalla
parte dei deboli e di coloro che sono criticati secondo i canoni del
tempo: la prostituta, il samaritano, il pubblicano, il centurione roma-
no, il paralitico … L’atteggiamento di Gesù è quello di colui che
accoglie tutti e fa loro sperimentare che non sono fuori della salvez-
za, ma che Dio ama tutti, perfino gli ingrati e i cattivi (Lc 6,35), per-
ché “non sono i sani che hanno bisogno del medico” (Mc 2,17) e il
suo compito consiste “nel cercare ciò che era perduto e salvarlo”
(Lc 19,10). Gesù non teme le conseguenze di questa solidarietà: è
diffamato, ingiuriato, accusato di sovversione, di eresia, di essere
indemoniato, pazzo
3
. La nuova prassi inaugurata da Gesù non era
umanitarismo, ma la concretizzazione dell’amore del Padre dentro
la vita del quotidiano.
P
aolo in 1,26 invi-
ta i Corinzi a ri-
flettere sulla pro-
pria chiamata. Il suo in-
vito include, necessaria-
mente, anche un giudizio sul loro comportamento. La distanza tra le
esigenze della chiamata e l’attuale situazione di divisione della co-
munità di Corinto è incolmabile. Non è, infatti, possibile nessun ac-
1 Benedetto XVI, Discorso al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma,6-VI-2005.
2 Compendio della dottrina sociale della Chiesa, pubblicato dal PontificioConsiglio della Giustizia e della Pace nel 2004, n. 580.
3 Cf. L. BOFF, Passione di Cristo passione del mondo, Assisi 1978, 31.
3. Chiamata al cristianesimoed edificazione della comunità
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cordo tra la sapienza del mondo, ispiratrice dei partiti, e quella della
croce. I Corinzi, hanno abbandonato la sapienza della croce, si sono
lasciati attrarre dalla sapienza carnale che è privilegio dei saggi, dei
forti e dei nobili di questo mondo (1,27-28). Se la salvezza dipendes-
se dalla loro sapienza, non sarebbe, certo, opera di Dio, ma conqui-
sta dell’uomo, a beneficio, per di più, di un piccolo numero di inizia-
ti, come nella gnosi. Dio, però, ha sconvolto i progetti astuti dei sa-
pienti di questo mondo (3,19-20), edificando la sua chiesa sull’unico
fondamento di Cristo crocifisso e risorto (3,11). Su di lui, i Corinzi
sono esortati a continuare la costruzione della comunità. Per farlo,
però, devono rimanere in quel nulla in cui sono stati raggiunti da Dio
nel momento della loro chiamata (cf 7,18-24), affinché la potenza
creatrice di Dio sia messa in condizione di poter operare come ha ope-
rato nella croce di suo Figlio, risuscitandolo dai morti. Il nulla della
croce, infatti, è l’unica dýnamis salvifica che può agire sul nulla dei
Corinzi alla stessa maniera che ha agito sul Cristo. In questo nulla è
necessario che essi restino per dare alla croce la possibilità di conti-
nuare ad operare.
La forma della comunità, di conseguenza, non può essere altrimen-
ti che quella della croce. Ma cosa significa che la comunità deve pren-
dere la forma della croce? Pensiamo che significhi principalmente
due cose. Primo, il riconoscimento dello stretto rapporto tra la chie-
sa e la croce (At 20,28; Rm 3,21-26; 15,3; Ef 2,14-16; 5,25; Tt 2,14;
Eb 2,10; 13,12; 1Pt 1,18-19; Ap 5,9). La chiesa è frutto della croce e,
quindi, il suo unico fondamento è Cristo crocifisso e risorto. Secon-do, la chiesa, nel suo comportamento, deve ispirarsi e lasciarsi gui-
dare unicamente da quella «potenza e sapienza di Dio» (1,24) che è
la «parola della croce» (1,18). È, infatti, la comunità in quanto tale,
più che i singoli, che Paolo ammonisce ad effettuare il suo discerni-
mento, perché le sue scelte non sembrano molto coerenti con le scel-
te di Dio. Il giudizio discriminante della croce è diretto, certamente,
al mondo e alla sua sapienza, ma, ancora di più, alla stessa chiesa che
della croce ha fatto la sua bandiera.
L’altro aspetto che Paolo evidenzia nel comportamento carnale
della chiesa di Corinto è dato dal ruolo dei «potenti» (1,26) o «forti»
(1,27), «persone influenti» che con il loro potere politico ed econo-
mico riescono a condizionare la vita delle persone e della comunità.
Il rischio, ancora una volta, è di pensare la chiesa in termini troppo
umani. Dio non ha scelto la potenza per rivelare il suo amore, ma la
debolezza della croce (1,25). La sua chiamata, poi, non è stata con-
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dizionata dai potenti del mondo, ma per svergognare l’alterigia dei
forti, oltre a scegliere la debolezza della croce, Dio ha scelto anche i
deboli del mondo (1,27). La chiesa di Corinto, quindi, se non vuol di-
ventare schiava degli uomini (1Cor 7,23), deve imparare ad appog-
giarsi solo al legno robusto della croce (1,18.24.25) e non sulle can-
ne rotte dei potenti del mondo (2Re 18,21; Is 36,6; Ez 29,6).
L’ultimo aspetto, cui Paolo sembra dare particolarmente risalto, è
la mancanza di nobiltà della comunità: lo status, cioè, di uomini li-
beri con nobili origini e larghe possibilità economiche. Alla visione
troppo umana della comunità di Corinto — in cui, peraltro, sono po-
chi coloro che possono presentare simili credenziali (1,26) — Dio
contrappone, ancora una volta, la scelta discriminante della croce.
Egli, infatti, si è scelto per sé, per mezzo della croce di Cristo, gli hu-miliores, coloro che hanno ben poco di cui gloriarsi, per confondere
coloro che, invece, ripongono la loro gloria nei titoli nobiliari.
Per essersi lasciati attrarre dalle cose alte e non da quelle umili,
per essersi stimati saggi, potenti e nobili da se stessi (cf Rm 12,16),
per aver dimenticato, in sintesi, «la parola della croce», la comunità
si è divisa in partiti. Solamente la riconciliazione con la croce di Cri-
sto potrà, ora, indurre i credenti a riconciliarsi anche tra loro (Ef 2,16;
Col 1,20ss).
Le scelte di Dio, infine, hanno uno scopo ben preciso: confonde-
re i sapienti e i forti, annullare le cose esistenti del mondo, affinché
nessun uomo si glori davanti a Dio (1,27-29). Dio, quindi, ha convo-
cato per sé una comunità composta prevalentemente di gente umile
e disprezzata, non perché essi sviluppino le loro fortune mondane,
ma perché, con la loro nuova vita «in Cristo», diano gloria a Dio e
siano testimoni della condanna della potenza e della sapienza del mon-
do. L’identità dei Corinzi, quindi, non è più determinata dalle coor-
dinate culturali del mondo, ma dal sigillo della croce con il quale, nel
battesimo, sono stati segnati e sepolti con Cristo (cf 2Cor 1,22; Rm
6,3ss). Il Crocifisso è divenuto per loro il segno dell’appartenenza a
Cristo e della condanna dei valori mondani (cf Gal 2,19s; 6,14; Rm
6,6). Esso è, perciò, l’unica forza e l’unica sapienza a cui devono ri-
correre. Ricordino, poi, che «la parola della croce» giudica non solo
il mondo, ma anche la stessa chiesa, la quale, adeguandosi alla sa-
pienza del mondo, si comporta da nemica della croce di Cristo (Fil
3,18), rischiando di perdersi con essa. Come è possibile, infatti, con-
ciliare «Cristo crocifisso» con l’astuzia dei sapienti, l’arroganza dei
forti, l’arrivismo dei titolati? L’unica sapienza, l’unica forza, l’unico
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titolo nobiliare che i Corinzi possono vantare è Cristo crocifisso, il
risorto, il quale è stato fatto sapienza per noi da Dio, giustificazione,
santificazione e redenzione (1,30). In lui quindi rimangano, in lui fac-
ciano cessare le loro divisioni, in lui vivano, in lui solo si glorino.
L
’amore reso pre-
sente nella croce
di Cristo si
estende a quello che
Lui ama: le persone e il
mondo; «nei santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontanadagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino»
4. Tale
amore, pertanto, va vissuto secondo differenti modalità (amore di
Dio, di se stessi, del prossimo, del cosmo), che non si devono con-
fondere, ma neppure separare: sono articolazioni di uno stesso
amore. L’autentica carità punta, pertanto, a diventare carità sociale e
politica. Infatti, per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta “in
società”, così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla
sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si
può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano
sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle media-
zioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori
sociali che causano la sua indigenza.
Si desume, quindi, che il criterio principale per lo sviluppo della
società è il precetto dell’amore, e che l’amore deve essere conside-
rato come l’anima dell’ordinamento sociale
5. È quindi necessario,
se si vuole rendere la società più umana, più degna della persona,
rivalutare l’amore nella vita sociale affinché esso orienti, purifichi
ed elevi tutti i rapporti umani, politici ed economici.
Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si pro-
spetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere
umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà.
Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio,
uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola
“comunione”
6. Tutto ciò evidenzia che lo sviluppo umano o sarà di
4 Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 42.5 Cf. Pio XI, Quadragesimo anno, 20; Concilio Ecumenico Vaticano II,
Gaudium et spes, 38.6 Cf., Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 40.
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4. L’autentica carità diventi carità politica e sociale
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1457 JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 167.8 Sollicitudo rei socialis, n. 38.
tutti – persone, comunità, paesi – o di nessuno. Se qualcuno, pure
uno solo, rimane a causa degli altri nel sottosviluppo – economico,
culturale, religioso –, qualcosa di umano manca agli altri; questi si
trovano ancora in una fase di sottosviluppo, almeno morale: difatti
il sottosviluppo altrui è un costante appello al proprio sforzo per aiu-
tarlo. L’impegno solidale riguarda tutti: credenti e non; ma è pure
certo che senza la luce della fede e l’aiuto della grazia non è facile
che la fraternità umana arrivi molto lontano: ben presto sorgono
ragioni di lite, di rivalità, ... insomma, di egoismo.
In tal senso, bisogna evidenziare che i discepoli di Cristo hanno
un particolare obbligo di impegnarsi nella solidarietà: chi non vive
l’unità e la comunione con il prossimo non ha colto quel nuovo cri-
terio (comandamento dell’amore) che è distintivo della vita cristia-
na. Così lo ricordava Josemaría Escrivá: «Un uomo o una societàche non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e chenon cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all’al-tezza dell’amore del Cuore di Cristo. [...] Il loro cristianesimo nonsarà la Parola e la Vita di Gesù; sarà un travestimento, un inganno,di fronte a Dio e di fronte agli uomini»7 . La solidarietà implica l’im-
medesimarsi nelle necessità altrui, vale a dire farle proprie, e poi
agire con rigorosa coerenza: promuovere l’inalienabile dignità di
ogni uomo e contribuire a che si sviluppi come persona; tende a che
tutti possano agire, nella società e nel lavoro, con coscienza e con
responsabilità proprie. La solidarietà è, pertanto, il dinamismo che
vivifica e rende efficaci i meccanismi e le strutture socioeconomi-
che, non permettendo che si convertano in meccanismi perversi o
strutture di peccato.
La solidarietà è, inoltre, una virtù: non va confusa con «un senti-mento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per imali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determina-zione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossiaper il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramenteresponsabili di tutti»8
. Come virtù, la solidarietà è, pertanto, una
disposizione salda e tenace ad agire sempre in favore del bene altrui
che, in ambito sociale, è il bene comune. Da qui l’esigenza di un
costante impegno di solidarietà, che deve presiedere ogni ambito
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sociale: lavoro, rapporti intergenerazionali ed internazionali, ma
anche sport, svago, ecc. Non deve dimenticarsi la tendenza a richia-
mare i diritti tralasciando i doveri, e a sottolineare quanto ho fatto
dimenticando quanto ho ricevuto; mentre l’insegnamento sociale
ricorda che «il principio della solidarietà comporta che gli uominidel nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza deldebito che hanno nei confronti della società entro la quale sonoinseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibilel’umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indi-spensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica etecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che lavicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle variemanifestazioni dell’agire sociale, così che il cammino degli uomininon si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e aquelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere,nella solidarietà, lo stesso dono»
9
.
I
naugurando la Cat-
tedra Gloria Crucis
in questa universi-
tà
10
, il compianto filoso-
fo Prof. Stanislas Bre-
ton, passionista, poneva la sua ultima questione relativa alla finalità,
cioè al dover-essere e al dover-fare di una Cattedra che evoca la glo-
riosa passione di Cristo.
“Per rispondervi, disse il Prof. Breton, mi appoggio alla scena me-
morabile descritta dal Vangelo di Matteo al capitolo 25. La scena è
ben conosciuta, ma forse, essendo la visione dell’ultimo giorno, ci
lascia se non indifferenti almeno insufficientemente attenti. E’ im-
portante invece che questo testo continui a interpellarci proprio per-
ché è l’ultima parola sulla nostra storia umana e sul mondo che abi-
tiamo. Che cosa ci viene detto?
Poiché questi testi vi sono familiari, mi limito a citare le espres-
sioni più commoventi di quest’ultima e memorabile parola: “Ho avu-
9 Compendio, n. 195.10 La Cattedra Gloria Crucis è iniziata il 29-30 ottobre 2003 alla Pontificia
Università Lateranense con il seminario di studi in onore del Prof. PadreStanislas Breton passionista, nel suo 90° genetliaco.
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5. Un percorso privilegiatoper la Cattedra Gloria Crucis
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to fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato
da bere; ero forestiero e mi avete accolto; nudo e mi avete vestito;
prigioniero e siete venuti a visitarmi…ciò che avrete fatto ai più pic-
coli dei miei fratelli l’avrete fatto a me”. La cosa più sorprendente
in questo testo è il ricorso ai verbi più comuni e usuali; verbi che di-
cono il quotidiano più quotidiano della vita umana. Ci aspetteremmo
dei riferimenti più nobili. Per esempio, non ci è detto niente sulle pra-
tiche e credenze religiose, come se la religione stessa scomparisse
davanti a pratiche più elementari ma anche più determinanti per la fe-
de in Cristo
5
, come “l’adorazione in spirito e verità” e non più il cul-
to nel tempio di Gerusalemme o in quello di Samaria (Gv 4. 21-25).
Invece, il dono di sé ai più piccoli fra i propri fratelli è un mistero
di fede: “è a me che l’avrete fatto”. I più piccoli, gli ultimi di
tutti, sono abitati dall’enigmatico IO che, partecipando del loro
quasi-niente, implora su di essi la fede generosa che li farebbe
essere.
E’ così che la kenosi divina “al di là dell’essere” si esprime o si
riflette nella kenosi umana “al di qua dell’essere” di quelli che non
hanno niente perché non sono veramente. E’ qui che la Croce di
Gesù fa appello alla nostra fede per fare in modo che dall’ex nihilodella loro condizione di miseria avvenga finalmente l’essere in
quanto essere di quelli che non hanno più volto umano. La fede che
emerge sull’ultimo giorno del mondo sollecita una vera generositàcreatrice. La croce sarà veramente gloriosa se ci ispirerà questa
incondizionata generosità”
11
.
La profezia incosciente di Caifa: “E’ necessario che un uomomuoia per tutto il popolo” (Gv 11,50) rimane il punto alto di riferi-
mento di ogni azione sociale. Benedetto XVI insegna: «L’amore –
«caritas» – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impe-
gnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della
pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Veri-
tà assoluta» (Caritas in Veritate, n. 1).
5 Su questo punto delicato, si legga il colloquio con la samaritana: “donna, vienel’ora…è già venuta, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e veri-tà”.
11 STANISLAS BRETON, CP, La gloria della croce, in AA.VV., MemoriaPassionis in Stanislas Breton, Edizioni Stauros, S. Gabriele TE, 2003, p. 259-260.
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L’augurio è che dalle riflessioni del nostro Seminario sorga e si
formi una nuova stagione di bravi servitori dello Stato e della
Chiesa a partire dalla identità culturale forte fondata sulla dottrina
sociale della Chiesa “grande strumento di evangelizzazione”
12
oggi.
EditorialSOCIAL ACTION IN THE LIGHT
OF THE THEOLOGY OF THE CROSS
“It is necessary that one man die for the people.” (Jn. 11:50)
by Fernando Taccone, C.P.
The chair Gloria Crucis presented a study seminar on the topic thatis cited in this title on March 24, 2010. Following the greeting bythe chancellor, Msgr. Rino Fisichella, there were a series of presen-tations, among which we would especially like to recall that of Msgr.Mario Toso, the secretary for the Pontifical Council “Justitia et
Pax”. The Acts are in being prepared in a single volume. We areawaiting the Presentation of the Seminar from the Director of theChair.
EditorialL’ACTION SOCIALE A LA LUMIERE
DE LA THEOLOGIE DE LA CROIX
«Il vaut mieux qu’un seul homme meurt pour le peuple» (Jn 11,50)de Fernando Taccone c.p.
Le 24 mars 2010, la chaire Gloria Crucis a organisé un séminairede recherche sur le thème qu’indique notre titre. Après la salutationdu Recteur Monseigneur Rino Fisichella, dix interventions se sontsuccédées, parmi lesquelles nous voulons rappeler particulièrementcelle de Monseigneur Mario Toso, secrétaire de Conseil Pontifical
12 Compendio, p. XII.
148
FRA
ENG
Justice et Paix. Le volume des Actes est en préparation. Nousanticipons ici la Présentation du Séminaire faite par le Directeurde la Chaire.
EditorialLA TAREA SOCIAL A LA LUZDE LA TEOLOGÍA DE LA CRUZ
“Es necesario que un hombre muera por todo el pueblo” (Jn11,50).Por Fernando Taccone CP.
La cátedra “Gloria Crucis” ha realizado un seminario de investiga-ción sobre el tema indicado en este título en la jornada del 24 demarzo del 2010. Después del saludo del Rector magnífico Mons.Rino Fisichella se sucedieron diez intervenciones, entre las cualesqueremos recordar en particular la de Mons. Mario Toso, secreta-rio del Consejo Pontificio “Justitia et pax”. Está en preparación elvolumen de las Actas. Anticipamos aquí la “Presentación del
Seminario” hecha por el Director de la Cátedra.
Vorwort des HerausgebersSOZIALES HANDELN IM LICHTEDER THEOLOGIE DES KREUZES
„Es ist besser, wenn ein einziger Mensch für das Volk stirbt“(Joh. 11,50).
Von Fernando Taccone, C.P.
Der Lehrstuhl Gloria Crucis hat am 24. März 2010 einForschungsseminar zu dem oben genannten Thema abgehalten.Nach der Begrüßung durch den Rektor Msgr. Rino Fisichella wur-den zehn Vorträge angeboten, unter denen besonders der von Msgr.Mario Toso, Sekretär des Päpstlichen Rates Justitia et Pax, hervor-zuheben ist. Eine Veröffentlichung der Abhandlungen ist inVorbereitung. Vorab geben wir hier einen Überblick zum Seminar
aus der Feder des Direktors des Lehrstuhls wieder.
editoriale
L’agire sociale alla luce della teologia della croce139-150
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editoriale
ESP
GER
FERNANDO TACCONESapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
editoriale
editoriale150
Artykuł wstępnyDZIAŁALNOŚĆ SPOŁECZNA W ŚWIETLE
TEOLOGII KRZYŻA
“Lepiej jest dla was, gdy jeden człowiek umrze za lud, niż miałbyzginąć cały naród” (J 11,50)
Fernando Taccone CP
Katedra Gloria Crucis przeprowadziła 24 marca 2010 r. seminariumbadawcze na temat wskazany w tytule. Po przywitaniu ze stronyrektora Rino Fisichelli wygłoszono dziesięć referatów, wśródktórych warto wspomnieć szczególnie wystąpienie Mario Toso,sekretarza Papieskiej komisji Justitia et pax. W przygotowaniu jesttom akt. Tutaj publikujemy Prezentację Seminarium przedstawionąprzez Kierownika Katedry.
POL
teologia
“Il tuo volto, Signore, io cerco”151-173
sacrascritturaeteologia
151
sacrascritturaeteologiadi ANGELA MARIA LUPO C.P.
Nel nostro mondo secolarizzato sembra che sia venuta menola ricerca di Dio da parte dell’uo-mo. Eppure, come tenta di mostra-re l’autrice analizzando alcuni bra-ni della S. Scrittura, occorre utiliz-zare nuove strategie per rilanciareun’autentica ricerca di Dio a parti-re da se stessi per poter gustare lavita in pienezza e realizzare lachiamata iscritta in ciascuno: esse-re immagine di Dio nella forma diCristo.
“
Il tuo volto, Signo-
re, io cerco. Non
nascondere il tuo
volto da me” (Sl 27,8b-
9a). In un mondo seco-
larizzato, qual è il nostro, le parole dell’orante dell’Antico Testamen-
to sembrano fuori moda per l’uomo che si dibatte in una lotta titani-
ca per la conquista di uno spazio sempre più ampio in cui si erge a si-
gnore incontrastato di se stesso e degli altri. È possibile oggi parlare
di ricerca, di desiderio di contemplare il volto di Dio?
Il santo Padre Benedetto XVI, nel suo messaggio per la Quaresi-
ma 2010 ci ricordava che “occorre umiltà per accettare che un Altro
mi liberi del mio per darmi gratuitamente il Suo”,
1
proprio perché c’è
in ognuno di noi una qualche forma di autosufficienza che ci vuol fa-
re decidere al di fuori di Dio. Accettare di “aver bisogno di Dio” ri-
conoscendo la propria indigenza sembra che sia cosa di altri tempi.
1 BENEDETTO XVI, Messaggio del santo Padre per la Quaresima 2010,Città del Vaticano 2010, 9.
“IL TUO VOLTO,SIGNORE, IO CERCO”.LA DIFFICILE RICERCADI DIO IN UN MONDO CHE CAMBIA
Introduzione
ANGELA MARIA LUPOSapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
sacrascrittura
eteologia
teologia
Eppure Dio rivela il Suo volto agendo nella storia umana; l’uomo
non raggiunge Dio con sforzi mentali o ricerche filosofiche, ma Dio
stesso si manifesta a quanti lo cercano e si rivela come il Dio di qual-
cuno: Abramo, Isacco, Giacobbe … Gesù Cristo. È necessario quin-
di che l’uomo intraprenda una ricerca autentica di Dio liberandosi dai
propri idoli, cioè dalle proprie false rappresentazioni di Dio e dai pro-
pri egoismi ed allora avvertirà che nella sua ricerca è già presente Dio.
“Quando potrò contemplare il volto di Dio?”, dice il salmista (Sl
42,3): tale possibilità è insita nell’uomo perché creato ad “immagine
e somiglianza di Dio” (Gen 1,26-27) e porta quindi impressa in sé la
provenienza da Dio e l’anelito verso di Lui. L’uomo porta inscritta in
sé la capacità di accogliere Dio, di tendere a Lui senza sosta, di vive-
re in comunione con Lui perché Dio, creandolo a “sua immagine”,
gli ha comunicato qualcosa di sé, quella certa affinità con sé che gli
permette di avvertire in ogni momento l’attrazione per Lui, il deside-
rio di stare con Lui: “E tu eri più dentro di me della mia parte più in-
terna e più alto della mia parte più alta”
2
.
Dopo l’analisi di alcuni testi dell’AT che sottolineano la necessi-
tà di cercare Dio per avere la vita, approderemo ai testi del NT dai
quali si evince che cercare il volto di Dio equivale a vivere in Cristo,
significa capire come il proprio vanto debba risiedere unicamente nel-
la croce del Signore Gesù Cristo, nel portare le sue “stigmate” nel
proprio corpo (cf. Gal 6,14-17), rendendo la propria persona un’ico-
na perfetta nella quale Dio si rende visibile al mondo e ciò è fondato
sul fatto che Dio abita in noi: “Esaminate voi stessi se siete nella fe-
de, mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abi-
ta in voi?” (2Cor 13,5)
3
.
Mai nelle Scritture la ricerca di Dio ha l’aspetto della ricerca pu-
ramente filosofica o intellettuale, ma essa implica la sapienza e l’umil-
tà che sa riconoscere l’errore e il peccato e si risolve in un atteggia-
mento che coinvolge l’intera persona del credente.
Lasciandoci, pertanto, guidare dalla Parola di Dio e dall’esempio
di quanti l’hanno incarnata, alla fine del percorso si evidenzierà che
152
2 S. AGOSTINO, Confessioni, III, 6.11.3 V. BATTAGLIA, Cristologia e contemplazione, Bologna 1997, 47: “Nel suo
itinerario di sequela e di imitazione, il discepolo deve fare attenzione a due esi-genze: stare unito al suo Signore, e quindi vivere in lui senza distanziarsi o sepa-rarsi mai da lui; renderne luminosa la verità, affinché sappia indirizzare a lui chi-unque incontra sul proprio cammino rivolgendogli l’invito fatto dal profeta Isaia:‘Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore’ (Is 2,5)”.
teologia
sacrascritturaeteologia
153
è essenziale e necessaria rilanciare un’autentica ricerca di Dio a par-
tire da se stessi, poiché la persona umana è il luogo principale nel qua-
le il Dio invisibile si rende visibile in modo unico e misterioso per
alimentare in ciascuno il desiderio di Lui.
L
’invocazione
“il tuo volto,
Signore, io
cerco” (Sl 27,8b), ricor-
re spesso nell’AT per in-
dicare l’anelito insito nel cuore dell’uomo della presenza di Dio,
4
del-
la sua benevolenza, perché l’assenza di Dio è assenza di vita, signi-
fica cadere nello smarrimento e nella morte
5
.
La Scrittura attesta a più riprese che, durante questa vita terrena,
a nessun uomo è dato di vedere Dio per quello che realmente è, di
ammirarne la gloria in tutto il suo splendore, di goderne la sua subli-
me bellezza. Così è stato per Mosè, così per Elia, perché il nostro tem-
po scorre tra il presente segnato dall’attesa e dal desiderio, e il futu-
ro nel quale gradualmente si è resi capaci di accogliere Dio per arri-
vare ad immergersi totalmente in Lui.
1.1 La visione delle “spalle” di Dio (Es 33,18-23)
La richiesta fatta da Mosè a Dio di “vedere la sua gloria” (Es 33,18),
fa parte della sequenza che si estende da 33,1 fino al v. 23 e si trova
nell’ultima parte del libro dell’Esodo nel quale è già stata descritta la
liberazione del popolo dall’Egitto, il viaggio attraverso il deserto e la
permanenza al monte Sinai (Es 19), dove Dio ha proclamato la Leg-
ge (Es 20-23), ha stretto un’alleanza con il suo popolo (Es 24,3-8) e
il popolo si è impegnato ad osservare i comandamenti di Dio. Mosè
allora risale sulla montagna per ricevere le istruzioni divine sulla co-
struzione del santuario (Es 25-31) e nel frattempo il popolo, impa-
ziente, chiede ad Aronne di costruirgli un vitello d’oro, perché vuo-
le avere un Dio più vicino e più “visibile” (Es 32). Dio allora si adi-
ra e decide di sopprimere il popolo ribelle, ma dopo l’intercessione
di Mosè, desiste dal suo proposito.
4 Cf. Sl 4,7; 80,3-4; 145,18.5 Cf. H. SIMIAN-YOFRE, “panm”, TWAT VI, 650.
1. La ricerca del volto di Dio
“Il tuo volto, Signore, io cerco”151-173
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sacrascrittura
eteologia
teologia
Il capitolo 33 può essere strutturato in questo modo
6
:
• vv. 1-3: ordine dato da Dio a Mosè di salire verso la terra
promessa con la guida di un angelo;
• vv. 4-6: reazione del popolo all’annuncio;
• vv. 7-11: unità non collegata né a quanto segue né a quanto pre-
cede, si tratterebbe di una tradizione indipendente riguardante
la tenda;
• vv. 12-17: reazione di Mosè all’annunzio;
• vv. 18-23: richiesta finale di Mosè e risposta di Dio.
La richiesta di Mosè di vedere la gloria di Dio si colloca quindi
durante le lunghe trattative di Mosè con Dio, che hanno sullo sfondo
il peccato del vitello d’oro: l’ordine iniziale di Dio indica che Egli
non si metterà più alla guida di Israele lungo il suo cammino, ma sa-
rà un angelo che accompagnerà il popolo (v. 2). Dio progetta il ritiro
della sua presenza come segno del suo giudizio di condanna, ma il
popolo reagisce alla decisione di Dio e, in segno di lutto e di penti-
mento, si toglie ogni tipo di ornamento (vv. 4-6). I vv. 7-11 che par-
lano della tenda, originariamente avevano una funzione indipenden-
te, ma probabilmente sono stati introdotti in questo punto del raccon-
to perché sottolineano la funzione di intercessione propria di Mosè.
Infatti nel passo successivo inizia la preghiera di supplica di Mosè e,
mentre in un primo momento la risposta divina all’intercessione ga-
rantisce solo Mosè: “La mia faccia andrà con te ed io ti darò riposo”
(v. 14), dopo la seconda supplica di Mosè, Dio assicura che farà tut-
to ciò che Mosè ha chiesto e quindi accompagnerà il popolo in mo-
do che la sua presenza lo distingua da tutti gli altri popoli. I versetti
successivi (18-23), nei quali Dio parla per tre volte in risposta alle ri-
chieste di Mosè, e ogni volta con un’introduzione distinta, indiche-
rebbero un ampliamento del racconto originale
7
: Mosè chiede di ve-
dere la “gloria”, termine che traduce l’ebraico kabôd, che significa
propriamente “essere pesante”, “avere peso”; quindi la gloria è il “pe-
so” della presenza di Dio nella storia del popolo.
Mosè aveva già visto la manifestazione della gloria di Dio nel “mi-
racolo del mare” (Es 14,4.17-18), poi nel deserto, nel dono della man-
na (Es 16,7.10), e infine sul monte Sinai (Es 24,16.17). Con la sua
154
6 Cf. B.S. CHILDS, Il libro dell’Esodo. Commentario critico-teologico, CasaleMonferrato 1995, 587-588.
7 Cf. B.S. CHILDS, Il libro dell’Esodo, 598.
teologia
sacrascritturaeteologia
155
richiesta Mosè vuole che Dio si mostri presente in mezzo al popolo,
cioè vuol essere sicuro che Dio sia ancora disposto ad accompagnar-
lo nella terra promessa, quindi quello di Mosè non è un semplice
desiderio personale
8
.
La risposta di Dio a tale richiesta è duplice: “Io farò passare tutta
la mia tûbî, bontà, davanti a te e pronuncerò davanti a te il nome del
Signore. Farò grazia a chi farò grazia, e avrò pietà di chi avrò pietà”
(Es 33,20). Con l’uso del verbo “passare” per indicare la manifesta-
zione di Dio, si esclude un tipo di visione che sia puramente statica
9
.
Successivamente Dio aggiunge a quali condizioni si farà vedere,
poiché nessuno può vedere il volto di Dio e continuare a rimanere in
vita: “Il Signore disse: Ecco un luogo vicino a me: ti terrai sulla roc-
cia. Quando passerà la mia gloria, ti metterò nella fenditura della roc-
cia e ti coprirò con la mia palma fino a quando sarò passato; poi riti-
rerò la mia palma e mi vedrai di spalle; ma il mio pānîm, volto, non
si vedrà” (Es 33,21-23)
10
.
In questo brano il termine pānîm esprime la presenza personale di
Jahvé,
11
che non può essere vista; Dio manifesta la decisione di mo-
strare la sola sua schiena, ‘ǎhōrîm.
Essendo il Dio che appare a Mosè un Dio “che passa”, cioè un Dio
che si sperimenta quando si muove, allora, secondo l’interpretazione
di Gregorio di Nissa, l’insegnamento che Mosè, quando cerca di ve-
dere Dio, riceve sulla maniera di poterlo vedere, è il seguente:
Mosè, ansioso di vedere Dio, viene a sapere che ciò gli sa-
rà possibile a condizione di andare dietro a Dio ovunque
voglia condurlo e questo è vedere Dio. Il passaggio di Dio
8 GREGORIO NISSENO, La vita di Mosè, Alba 1967, 181-182: “Dio con-cesse il dono di soddisfare il suo desiderio, ma non gli diede la cessazione e lasazietà di esso. Se Mosè, contemplando la visione di Dio, avesse estinto in séla brama che ne aveva, Dio non gli si sarebbe mostrato. Comprendiamo allorache vedere Dio consiste realmente nel non mai saziarsi del desiderio di lui”.
9 Cf. J.L. SKA, I volti insoliti di Dio, Bologna 2006, 66.10 Vedere Dio è un’esperienza fuori del comune: cf. Gen 32,11; Es 3,6; Nm
12,7-8; Gdc 6,22-23; 13,22-23; 1Re 19,13; Is 6,5. Non si può vedere Dio econtinuare a vivere: cf. Es 19,21; Lv 16,2; Nm 4,20.
11 H. SIMIAN-YOFRE, “pānîm”, in Grande Lessico dell’Antico Testamento,Brescia 2007, 217-218: “Riferito a Jhwh, pānîm è un termine ricco dicontenuto che assume una posizione intermedia tra il pericolo di unaconcezione deificante della divinità mediante immagini, che l’AT respinge siste-maticamente, e il pericolo di un nominalismo che riduce la presenza divina aun’astrazione”.
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sacrascrittura
eteologia
teologia
va inteso nel senso che Dio fa da guida a chi lo segue. Chi
non conosce una strada, non può percorrerla con sicurezza,
senza seguire una guida. Ogni guida, mettendosi davanti,
mostra la strada a chi le vien dietro e questi, stando al se-
guito della guida, non sbaglierà direzione. Ma se uno guar-
da a sinistra o a destra o in faccia alla guida, percorrerà un
cammino sbagliato. Perciò Dio dice a Mosè: tu non vedrai
la mia faccia. Non guardare in faccia chi ti guida, perché
altrimenti cammineresti in direzione contraria
12
.
L
’espressione “cer-
care Jahvé” fa il
suo ingresso nel-
la letteratura profetica
con il primo profeta
scrittore, Amos, che esercita il suo ministero nel Regno del Nord nel-
l’VIII secolo a.C.
Amos non è esclusivamente il profeta della fine inevitabile, del-
l’inesorabile giudizio di condanna da parte di Dio,
13
colui che ritiene
impossibile la conversione e vana una ricerca autentica di Dio ma, al
contrario, il perno del suo messaggio si può trovare nella sezione co-
stituita dai vv. 1-17 del capitolo 5 il cui tema è la ricerca di Dio.
Non entriamo nei problemi relativi alla struttura della sezione che,
secondo vari studiosi, sarebbe una composizione sufficientemente
unitaria nella quale è possibile individuare sette unità letterarie
14
.
I versetti della sezione che sono centrali per il nostro argomento
sono i seguenti:
• 5,4: Così dice Jahvé alla casa di Israele: “Cercate me e vivrete”.• v. 5: Non cercate Betel e a Galgala non andate e a Bersabea non pas-
sate, poiché Galgala andrà in esilio e Betel diventerà iniquità.• v. 6: Cercate Jahvè e vivrete, affinché non irrompa come fuoco sulla
casa di Giuseppe e la divori senza che nessuno lo spenga, a Betel.• v. 14: Cercate il bene e non il male affinché viviate, e sia così Jahvé,
Dio degli eserciti, con voi, come dite.• v. 15: Odiate il male e amate il bene e stabilite nella porta il giudizio.
Forse farà grazia Jahvé, Dio degli eserciti, al resto di Giuseppe.
156
12 GREGORIO NISSENO, La vita di Mosè, 189. 13 Cf. J. JEREMIAS, Amos, Brescia 2000, 117.14 Cf. J.DE WAARD, “The Chiastic Structure of Amos 5,1-17”, VT 27 (1977)
170-177; G.RINALDI, I Profeti Minori. Amos, Torino 1953, 171.
2. “Cercate me e vivrete” s(Am 5,4)
teologia
sacrascritturaeteologia
157
Nei vv. 5 e 14b Amos esplicita in che cosa consista l’errata ricer-
ca di Dio: il pellegrinaggio al santuario nazionale di Betel e all’anti-
co e famoso santuario di Gilgal, porta alla rovina cui sono destinati
gli stessi santuari (cf. 9,1ss). Il testo ebraico esprime questi concetti
con giochi di parole legati ai nomi dei due santuari: da Gilgal viene
derivata la radice gālâ, “andare in esilio”, e il nome divino El di Be-
tel viene trasformato in peggiorativo ’āwen, “sventura”. Tutto ciò ac-
cade perché il popolo ha separato il culto dalla vita di ogni giorno e
pratica l’attività religiosa ai santuari per rendere tranquilla la propria
coscienza.
Il culto che vuole rivolgersi a Dio trascurando la legge divina è ra-
dicalmente viziato e cercare Dio in quella direzione significa cammi-
nare fuori strada. Il richiamo di Amos vuol fare prendere coscienza
al popolo che nonostante tutto è ancora possibile cercare Dio, perché
Egli si lascia cercare e trovare. Così nei versetti centrali sopra ripor-
tati si parla del dovere della ricerca (v. 4) e si dice in cosa consiste.
Ma possiamo chiederci: qual è il significato del verbo ebraico dāraŝche traduciamo con “cercare”
15
?
Tale verbo, quando ha Dio per oggetto, assume i seguenti princi-
pali significati:
• visitare luoghi di culto (Dt 12,5);
• consultare Dio nel santuario (Gen 25,22) o presso uomini di
Dio (1Sam 9,3): è la manifestazione di un atteggiamento reli-
gioso ben noto, perché si consultava Dio per avere la soluzio-
ne di un qualche problema;
• compiere i comandamenti divini con docilità e amore (Ger 29,13;
Dt 4,29).
Considerando il contesto dei versetti che parlano della ricerca di
Dio, si può ritenere che per Amos essa si concretizza nell’esecuzio-
15 N.M. LOSS, “Il tema letterario ‘cercare Dio’ nei libri strorici dell’AT”, inAA.VV., Atti della XXV Settimana Biblica. Quaerere Deum, Brescia 1980, 11:“Il vocabolario ebraico entro cui è formulato il tema della ricerca di Dio siraggruppa in modo principale attorno ai due verbi usuali che dicono cercare,ricercare, cioè a dāraŝ e biggēŝ, che con una certa frequenza vengono usati insinonimia”. A. MELLO, “La ricerca di Dio nel Deuteronomio”, PSV 35 (1997) 12:“Il senso fondamentale di drsh è duplice: da un lato, cercare con cura, conattenzione; dall’altro, cercare intensamente, con passione. La prima specifica-zione dell’ambito semantico di drsh trova riscontro, in particolare, nella sferagiudiziaria”.
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eteologia
teologia
ne della volontà divina. Infatti, cercare Jahvè (vv. 4-6)
16
significa in-
nanzitutto allontanarsi dal santuario ed equivale a cercare il bene e
non il male (vv. 14-15), cioè mettere in pratica i comandamenti per
poter continuare ad essere popolo di Dio
17
. Di fatto, la ricerca del be-
ne era stata una ricerca del benessere che era stata realizzata oppri-
mendo il povero (v. 11), alterando procedure giudiziarie (v. 12), ten-
tando anche di corrompere Dio coinvolgendolo nel sistema instaura-
to (v. 15). Cercando il bene essi avevano costruito case solide e bel-
le, avevano piantato vigne deliziose e in tal modo era stata “uccisa”
la giustizia: “Cercare il Signore non significa solo diventare giusti,
praticando il bene, ma è anche amare il suo giudizio, accettare il suo
verdetto che rivela e punisce il peccato, è accettare la sofferenza e la
morte, attendendo la misericordia per il resto di Giuseppe”
18
.
Cercare Dio significa quindi essenzialmente mettere in pratica
quanto il popolo aveva smesso di fare: osservare mispąt e şedaqah,
19
poiché il “diritto” era stato trasformato in veleno, e la ?giustizia? era
stata gettata a terra (5,7)
20
. Dio non chiede pellegrinaggi senza impe-
gno morale, ma la giustizia in tutta la sua concretezza, praticare que-
sto vuol dire cercare Jahvè, il Dio Onnipotente, il Dio dell’alleanza,
che si pone come oggetto della ricerca
21
.
Il frutto della ricerca è la vita: “Cercate me e vivrete”, il cui signi-
ficato principale è di conservazione della vita terrena in prosperità e
pace, senza alcun pericolo di morte violenta e ciò è fondato dai vv.
8-9, che sono il punto centrale del chiasmo nella pericope 5,1-17 che
celebrano il Dio creatore e sovrano assoluto e giustificano il perché
158
16 G. CROCETTI, “La ricerca di Dio in Amos”, in AA.VV., Atti della XXV Setti-mana Biblica, 90: “In 5,4 l’espressione ‘cercatemi’ deve essere intesa comeappello alla penitenza, dato che subito dopo (v. 5) si dice: Non cercate Be-tel”.
17 Cf Es 20,2ss. 18 P. BOVATI – R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, Roma 1995, 203.19 A. GUIDA, “La giustizia nella Bibbia”, PdV 2 (2009), 44: “Nella Bibbia la
parola giustizia significa conformità alla volontà di Dio: la giustizia di Noè, peresempio, viene esemplificata con il suo camminare con Dio e di Abramo comedi essere amico di Dio”.
20 In questo contesto “diritto” significa pronunciare sentenze imparziali “allaporta” (cf. cc. 10.12.15); “giustizia” significa il comportamento quotidianoche le è conforme in quanto permette all’altro, e in particolare ai deboli, di ot-tenere ciò cui ha diritto.
21 Cf. P. BOVATI – R. MEYNET, Il libro del profeta Amos, 193.
teologia
sacrascritturaeteologia
159
della ricerca e il perché delle minacce contro le trasgressioni
morali
22
. In tal modo Amos finisce per diventare maestro di tutti
coloro che vogliono ricercare Dio e che si mettono umilmente anche
al servizio di chi sta portando avanti, ma con fatica, tale ricerca
23
.
L
a famosa procla-
mazione di fede
di Israele, lo She-ma’ Yiśra’el, contiene il
comando fondamentale
di amare Dio che viene subito dopo l’affermazione dell’unicità di Dio,
proprio per sottolineare che un determinato tipo di amore scaturisce
dal fatto che Dio sia unico
24
. L’amore totalizzante discende, in qual-
che modo, dall’unicità di Dio
25
:
4Ascolta, Israele: il Signore nostro Dio è l’unico Signore.5E tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tut-to il tuo animo e con tutto il tuo potere. 6E saranno questeparole che oggi ti comando, sul tuo cuore;7e le ripeterai ai tuoi figli, e ne parlerai quando sarai se-duto in casa tua e quando camminerai per via e quando ticoricherai e quando ti alzerai;8e le legherai come un segno alla tua mano, e saranno co-me un pendaglio tra i tuoi occhi 9 e le scriverai sugli stipi-ti della tua casa e nelle tue porte.
Non si parla del Dio unico del monoteismo, ma si esige l’amore
esclusivo di Israele perché Jahvè è l’unico Dio che Israele deve ama-
re come il proprio Dio tra tutti gli dei
26
. Inoltre si vuole anche dire
che Jahvè è l’unico, il solo in grado di dare al suo popolo quel che gli
uomini si aspettano, i beni necessari alla vita e alla felicità.
22 Due monografie ritengono che le tre dossologie sono state assunte dopol’esilio babilonese: J. GRENSHAW, Hymnic Affirmation of Divine Justice. TheDoxologies of Amos and Related Texts in the Old Testament, Missoula 1975;W. BERG, Die sogenannten Hymnenfragmente im Amosbuch, Freiburg 1974.
23 Cf G. CROCETTI, “La ricerca di Dio in Amos”, in AA.VV., Atti della XXVSettimana Biblica, 105.
24 D.L. CHRISTENSEN, Deuteronomy 1-11, Word Biblical Commentary 6A,Dallas, Texas 1991, 145: “The word ekad in the text of Shema’ speaks notonly of the uniqueness, but also the unity of God. The doctrine of monotheism isimplicit in this brief creedal statement”.
25 Cf. P. STEFANI (ed.), Amore di Dio, Brescia 2008, 71.26 Cf. O. LORETZ, L’unicità di Dio, Studi Biblici 154, Brescia 2007, 87.
3. Il comando di amare Dio (Dt 6,49)
“Il tuo volto, Signore, io cerco”151-173
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teologia
Secondo la tradizione rabbinica che è abituata a riflettere su ogni
singola parola e sulle strutture sintattiche, ritenendo che se nel testo
c’è una ripetizione, non si tratta di una svista, ma di un elemento si-
gnificativo, merita una certa attenzione la presenza del termine “tut-
to” nel v. 5. Si chiedono: “è possibile amare Dio con mezzo cuore?
È possibile provare un sentimento con solo un pezzo di cuore?”.
Così il Talmud fa riferimento al fatto che il modo più comune per
dire “cuore” è lev, mentre nel testo si dice levav, cioè nel termine com-
pare un raddoppiamento di una delle lettere della radice e quindi ta-
le particolare suggerirebbe la presenza di una certa doppiezza che
sembrerebbe confermata dal termine “tutto” che precede. Si imma-
gina allora che il cuore sia composito e che quindi si voglia dire che
si deve amare Dio sia con l’istinto del bene (jezer tov), sia con l’istin-
to del male (jezer ra’), poiché la natura dell’uomo è, nel profondo,
doppia; in lui vi è questo duplice istinto del bene e del male
27
.
Amare Dio con la componente positiva si comprende facilmente
senza alcuna spiegazione che necessita invece per l’altra affermazio-
ne: amare Dio con l’istinto del male. Si può intendere che si deve
amare Dio anche nella trasgressione, persino quando si disattende la
richiesta di Dio nei confronti dell’uomo.
Amare Dio con “tutta l’anima” significa amarlo con la totalità del-
la propria vita, e amarlo “ubekhol meodekha”, significa “con tutto il
tuo molto”, cioè con tutto ciò che si ha, con quanto per ciascuno è più
rilevante
28
. Ma è possibile comandare l’amore? In effetti il comando
di amare è basato sull’amore che Dio ha manifestato in precedenza
al popolo ed è proprio l’amore di Dio che fonda quello stesso del
popolo.
Poi si passa dal rapporto con il Signore a quello di adesione ai co-
mandamenti (v. 6), perché se si ama Dio si aderisce ai suoi comandi.
Infatti, le “parole” si possono intendere come il Decalogo, ma non
sono solo queste le parole pronunciate da Dio, quindi anche il Codi-
ce dell’alleanza, tutto il Deuteronomio deve restare nel cuore, anzi
tutte le parole pronunciate da Dio dall’inizio del mondo. Il termine
“oggi” esprime la continua opera di attualizzazione del comando che
ora risuona e richiede ascolto, obbedienza.
160
27 Cf., TALMUD BABILONESE, Berakhot 54a.28 Cf. M. WEINFELD, Deuteronomy 1-11, The Anchor Bible 5, New York 1991,
339.
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teologia
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161
Queste parole devono restare “sul cuore” nel senso che bisogna
farne memoria, non bisogna dimenticarle, ma il fatto che si menzio-
na il cuore vuol anche indicare che l’amore deve caratterizzare l’ob-
bedienza, il rapporto con la Legge.
Queste parole vanno poi ripetute (v. 7): chi riceve tali parole di-
venta a sua volta padre-maestro che parla ai suoi figli-discepoli. Si
passa dall’unicità di Dio alla molteplicità di figli e di leggi. La ripe-
tizione è inoltre un elemento essenziale della pedagogia perché si di-
mostra con essa l’importanza delle parole. Il fatto che tale comuni-
cazione avvenga verso i figli fa sì che l’alleanza e la legge si incar-
nino in una storia, di generazione in generazione.
L’espressione “ne parlerai” è stata interpretata come un cantilena-
re tipico della tradizione meditativa ebraica; è importante che tale paro-
la ricevuta sia ripetuta in ogni momento del vivere: casa, via, sonno.
Infine, dalla parola orale si passa a quella scritta: essa diventa un og-
getto che può essere visibile sia per il singolo (mano, occhi) che per la
totalità della città (stipiti, porte). Legarla “alla mano” significa che la
legge è punto di riferimento per l’agire; “tra gli occhi” indica il coinvol-
gimento anche del desiderio e il riferimento ai progetti. Gli stipiti della
casa indicano il passaggio tra la sfera di ciò che è intimo e di ciò che è
pubblico. Le porte indicano la sfera sociale. Tutto deve essere sottomes-
so alla legge e segnato dal riferimento ad essa.
La legge coinvolge così tutto l’uomo, il suo corpo: cuore, bocca,
piedi, occhi, orecchie. Essa investe tutte le dimensioni della vita, l’uo-
mo e la sua casa, i suoi figli, la sua città: non solo il suo corpo indi-
viduale ma anche il corpo sociale.
I
l desiderio di vede-
re il volto di Dio e
di goderne la luce
che ne promana non è
un’utopia, perché Dio
mostra il suo volto, si manifesta al credente in Cristo Gesù. Egli, Ver-
bo di Dio fattosi carne, è l’unico ad avere visto e a vedere Dio così
come Egli è,
29
ed è pertanto l’unico che può farlo vedere a chi vuole
e quando vuole: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).
4. La risposta definitiva di Dio allaricerca dell’uomo: Gesù Cristo
29 Cf. Gv 1,18; 6,46; 1Gv 4,12.
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teologia162
Lo splendore del Padre si diffonde sui credenti e li illumina a
partire dalla “carne” del Figlio. Nel prologo della lettera agli Ebrei si
dichiara che il Figlio “è apaugasma, irradiazione della gloria del
Padre e impronta della sua sostanza” (1,3a)
30
; il Figlio non potrebbe
riflettere la gloria del Padre se non portasse impresso in sé l’essere
del Padre dal quale è generato “senza sosta”, come insegna Origene
31
.
Dal momento in cui Cristo è eikón, “immagine” perfetta del Pa-
dre,
32
allora dire che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio equi-
vale a dire che è stato creato ad immagine di Cristo
33
. Gesù rivela al-
l’uomo la sua vocazione divina ed insegna come da “creatura” si de-
ve vivere il rapporto con il Creatore, senza che debba rubare tale so-
miglianza mosso dal sospetto che Dio voglia limitarlo, che voglia te-
nere per sé quella sapienza e quel potere che, una volta conquistati,
gli permetterebbero di fare a meno di Dio
34
.
Gesù, mediante la sua umiltà che splende nella croce, insegna che
Dio si dona gratuitamente e che possono accogliere tale dono coloro
che, accettando la propria condizione creaturale, segnata dalla
debolezza e dal peccato, si aprono a lui per farsi guarire dalla
superbia e da ogni altro peccato
35
.
Gesù, Inoltre, conduce la propria missione dando prova di una fe-
deltà incondizionata alla volontà del Padre, perché egli fa della pro-
pria persona lo spazio messo interamente a disposizione di Dio, uno
spazio riempito esclusivamente dalla presenza e dall’amore del Pa-
dre
36
. Gesù ha la certezza di stare a diretto contatto con Dio, di esse-
30 Cf. N. CASALINI, Agli Ebrei. Discorso di esortazione, Jerusalem 1992, 83;A. VANHOYE, Situation du Christ. Epître aux hébreux 1 et 2, Paris 1962, 72-73.
31 Cf. Hom. in Ier., IX,4: SC, 232,392-395.32 Cf. 2Cor 4,4; Col 1,15a.33 Cf. A.G. HAMMAN, L’homme image de Dieu, Paris 1987. ORIGENE, Ome-
lie sulla Genesi e sull’Esodo, Roma 1976, 137: “Quale è dunque l’altra imma-gine di Dio, a somiglianza della quale fu fatto l’uomo, se non il nostro Salvatore?Egli è ‘il primogenito di tutte le creature’. Di lui è stato scritto: ‘splendore dell’eternaluce, figura chiara della sostanza di Dio’. Egli di se stesso dice: Io sono nel Pa-dre e il Padre è in me, e chi vede me, vede anche il Padre”.
34 Cf. Gen 3,5.35 Cf. J.L. AZCONA, “La doctrina de la Humildad en los Tractatus in Ioannem.
Deus humilis”, Augustinus 17 (1972), 113-154; A. VERWILGHEN, Christologieet spiritualité selon Saint Augustin, Paris 1985, 401-462.
36 Cf. Gv 12,48-50; 14,24; 15,10.
teologia
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163
re sempre in dialogo con Lui, in ascolto della sua parola (Gv 8,26,28),
mostrando che il Figlio dipende in tutto e per tutto dal Padre: la sua
azione trae la sua origine da Lui, nel senso che risulta pienamente cor-
rispondente e conforme alla volontà paterna (Gv 5,19-20)
37
.
4.1 “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8)
Il testo di Eb 5,7-9 fa comprendere che per realizzare la mediazio-
ne Cristo ha dovuto subire una trasformazione nella sua natura uma-
na, poiché non ha realizzato un’opera esteriore di mediazione, ma l’-
ha realizzata all’interno della propria persona. Nel testo leggiamo che
Cristo, “nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche
con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte” (Eb
5,7) e il primo esaudimento di tale preghiera consiste proprio in una
trasformazione interiore: “Ha appreso mediante le sue sofferenze l’ob-
bedienza” (Eb 5,8). Questa educazione dolorosa l’ha reso perfetto e
mediatore perfetto, causa di salvezza per i fratelli
38
.
Il tema dell’educazione mediante la sofferenza lo troviamo nella
letteratura greca e si esprimeva frequentemente per mezzo dell’asso-
nanza pathein = mathein (“soffrire” = “apprendere”); anche nell’AT
c’è l’idea che la prova sia un mezzo attraverso il quale Dio si fa co-
noscere all’uomo, o come Giudice al quale non si può sfuggire,
39
o
come Padre che vuole far crescere i propri figli
40
; oppure la prova è
vista come un mezzo sapiente che trasforma interamente le persone
per renderle capaci di una relazione intima con Dio
41
.
Nel nostro testo, invece, emerge che la sofferenza non era neces-
saria a Cristo in quanto Figlio di Dio e malgrado ciò soffrì, anzi, sem-
bra proprio che una costante della vita terrena di Gesù sia stata la pro-
va. Gesù si è adattato ad ogni prova, ha reagito nel modo più adegua-
to e le ha superate. Ha imparato l’obbedienza dalle cose patite nel
37 R. FABRIS, Giovanni, Roma 1992, 776: “La profonda e permanente rela-zione vitale che esiste tra Gesù e il Padre consente di attribuire al Padre stessole opere rivelatrici di Gesù. Pertanto alla fine egli può rimandare alle sue operecome criterio decisivo per fare appello alla fede dei discepoli come aveva giàfatto davanti ai giudei (Gv 14,11; cf. 5,36; 10,25.37-38)”.
38 Cf. A. VANHOYE, Gesù Cristo il mediatore nella Lettera agli Ebrei, Assisi2007, 131.
39 Cf. Ez 6,7; Gb 19,29.40 Cf. Pv 3,11-12.41 Cf. Sap 3,5-6.
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teologia164
senso che l’ha praticata facendone un’esperienza diretta, mettendosi
dalla parte dell’uomo. Infatti, Gesù durante gli anni della vita pubbli-
ca si è visto posto dinanzi, più di una volta, un tipo di messianismo
che non corrispondeva alla volontà del Padre, un messianismo im-
prontato al successo e basato su dimostrazioni di forza, sull’esercizio
del potere; un messianismo volto ad utilizzare il compito affidato da
Dio per perseguire i propri interessi.
Tutto ciò si evince nei brani evangelici che narrano le tentazioni
di Gesù nel deserto (Lc 4,1ss; Mc 1,12ss; Mt 4,1ss)
42
: Gesù non cer-
cò di perseguire il successo personale, né di farsi accettare ad ogni
costo come Messia, o di avere l’approvazione del popolo. Egli ha
esercitato la sua missione in obbedienza al disegno del Padre non cer-
cando mai l’affermazione personale: non ha mai compiuto miracoli
per accreditare se stesso o per garantirsi il successo, né per dimostra-
re in maniera clamorosa l’origine divina della propria missione,
43
ma
li ha sempre compiuti per mostrare l’onnipotenza misericordiosa del
Padre e per suscitare o corroborare la fede.
Inoltre Gesù non ha mai cercato di sottoporre a verifica l’onnipo-
tenza di Dio, ma si è sempre affidato totalmente al Padre, anche quan-
do le beffe e le derisioni di coloro che stavano sotto la croce, lo invi-
tavano a salvare se stesso o a far intervenire Dio, al quale si era sem-
pre affidato (Mt 27,39-45).
Nonostante Cristo sia stato obbediente al Padre fin dal suo ingres-
so nel mondo, manifestando una totale disponibilità a fare la sua vo-
lontà, “Ecco, vengo, per fare la tua volontà” (Eb 10,9), tuttavia gra-
zie alla prova dolorosa la disposizione obbediente dell’inizio è pene-
trata in tutte le fibre della natura umana: “Se nella prova si mantiene
la disposizione che si aveva di amorevole docilità verso Dio, si ottie-
ne mediante la prova una trasformazione positiva. Non si è più gli
stessi, si è uniti a Dio in maniera più forte e più profonda. È una tra-
sformazione di questo genere che si è prodotta nella natura umana di
Cristo e che lo ha fatto passare dalla fragilità terrena alla perfezione
divina”
44
.
Nell’antichità si pensava che i sacrifici fossero un mezzo per eser-
citare un’azione su Dio, al quale erano offerti: quando Dio ne “odo-
42 Cf. P. LAMARCHE, “Tentation. La tentation messianique dans le Nouveau Te-stament”, DSp VI, 212-215.
43 Cf. Mt 16,1-4; Lc 4,23ss; 23,6-12.44 A. VANHOYE, Gesù Cristo il mediatore, 133.
teologia
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165
rava la soave fragranza” era indotto a mostrarsi favorevole agli uo-
mini, come nel caso degli olocausti offerti da Noè dopo il diluvio (cf.
Gen 8,20-22). In questa lettera la prospettiva è inversa: il sacrificio
non è considerato un’azione dell’uomo su Dio, ma è visto come
un’azione di Dio sull’uomo
45
.
Paradossalmente possiamo dire che soltanto dopo essere disceso
verso l’imperfezione umana Cristo è salito verso la perfezione; non
solo si è fatto simile in tutto ai fratelli, ma ha accettato le prove e le
sofferenze dei peccatori assumendo fino in fondo la debolezza uma-
na. Per tale motivo l’obbedienza vissuta da Cristo è chiamata “so-
vrabbondante”, poiché non è consistita nell’osservare semplicemen-
te i comandamenti, ma nell’accettare una sorte che non meritava, la
sorte di noi peccatori. In virtù di ciò la sua obbedienza procura alla
natura umana una trasformazione che la rende capace di entrare nel-
l’intimità celeste di Dio, cioè grazie alla sua obbedienza ciascuno di
noi può acquistare la perfezione dell’unione con Dio
46
.
4.2 Portare l’obbrobrio di Cristo
Alla fine del suo lungo discorso, l’autore della Lettera agli Ebrei
fa le sue ultime raccomandazioni alla comunità alla quale si è rivol-
to e affronta anche temi nuovi. Così nel capitolo 13, nella pericope
che si estende dai vv. 7-18
47
abbiamo un’affermazione che merita di
essere presa in considerazione: “Dunque, usciamo verso di lui, fuori
dell’accampamento, portando il suo obbrobrio; poiché non abbiamo
qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (vv. 13-14).
I versetti sono successivi all’esortazione dell’autore a non farsi
corrompere con false dottrine e a rafforzare il cuore con la grazia (Eb
13,9) e, avendo i cristiani un altare, Cristo, si parla del sacrificio di
Cristo posto in relazione con il rito dello Yom kippur. Al centro del
brano c’è l’affermazione che Cristo “patì fuori della porta” (Eb 13,12),
che sintetizza il sacrificio della sua vita e costituisce la base per
45 ID., Mistero di Cristo e vita del cristiano, Roma 2004, 135.46 ID., Struttura e teologia nell’Epistola agli Ebrei, PIB, Roma 1993, 137: “L’au-
tore ha capito che la Passione costituiva una consacrazione sacerdotale di ungenere completamente nuovo, cioè una consacrazione che aveva trasformato fi-no in fondo l’umanità di Cristo, mettendola in un rapporto nuovo con Dio e congli altri uomini”.
47 Per la struttura, cf. A. VANHOYE, Struttura e teologia nell’Epistola agli Ebrei,74.
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esortare i cristiani a uscire anche loro “fuori dell’accampamento
verso di lui”.
L’invito ad “uscire” è insolito in questa lettera poiché è la prima
volta che l’autore assume la prospettiva di un movimento contrario
al verbo “entrare” che è ripetuto invece varie volte: i cristiani sono
esortati ad “entrare in quel riposo” (Eb 4,11), cioè a compiere il fati-
coso cammino della fede che porta al godimento di Dio; devono spe-
rare di “penetrare” all’interno del velo dove, come precursore, è già
entrato Gesù (Eb 6,19-20); imitando Cristo stesso che è entrato, me-
diante il suo sangue, nel santuario, i cristiani devono a loro volta en-
trare nel santuario mediante il sangue di Gesù (Eb 10,19).
Invece in Eb 13,13 abbiamo la presenza del verbo contrario
“uscire” riferito ai cristiani come soggetto dell’azione, ma è da tener
presente che tale movimento ha una direzione precisa che è Cristo,
bisogna uscire verso di lui,
48
“fuori dell’accampamento”, espressio-
ne che ha una portata teologica stupefacente in quanto allude non più
ad un popolo determinato, ma a tutta l’umanità, che è il popolo del
nuovo patto stipulato nel sangue di Cristo: quello è il luogo dove egli
si trova e può essere incontrato.
I cristiani sono invitati a portare l’obbrobrio di Cristo, cioè non si
tratta solo di fare memoria delle sue sofferenze, ma bisogna portare
in sé ciò che Cristo ha patito, ciò che è scandalo e vergogna. Bisogna
considerare, infatti, che la condanna alla morte di croce aveva reso
Gesù un uomo di pubblico ludibrio, spettacolo e oggetto di insulti, di
oltraggi, di disprezzo, di sputi, di rigetto fisico e morale, da parte di
coloro che avevano voluto la sua fine e anche da parte di coloro che
passando e vedendolo crocifisso lo insultavano scuotendo la testa
(cf. Mt 27,39; Mc 15,29). Inoltre la sorte miserevole degli uomini che
Gesù ha preso su di sé non gli era dovuta per il fatto che egli
era “senza peccato” (Eb 4,5), “santo, innocente, immacolato”
(Eb 7,24; 9,14), anzi “irradiazione della gloria del Padre”.
Imitare Cristo significa allora impegnarsi allargando il proprio
campo di testimonianza al mondo intero, uscendo con un movimen-
to di fede da se stessi, dalle pratiche del culto antico, per dirigersi ver-
so Cristo e portando personalmente il suo obbrobrio, cioè sopportan-
do persecuzioni e sofferenze. Bisogna sentire in sé che si è “parteci-
48 Cf. M. CICCARELLI, La sofferenza di Cristo nell’Epistola agli Ebrei, Bologna2008, 270.
teologia
sacrascritturaeteologia
167
pi di Cristo” (Eb 3,14), fino alla condivisione del dolore
49
. Tutto ciò
trova il suo fondamento poiché non si possiede una città stabile, ma
si è tesi a cercare quella futura.
S
econdo l’insegna-
mento impartito
da tanti maestri di
vita spirituale, la perso-
na per arrivare a vedere
Dio deve attuare una purificazione interiore: “Chi salirà il monte del
Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore
puro…” (Sl 24,3-4)
50
.
Dio, infatti, che è il Santo per eccellenza, si fa vedere solo da un
cuore puro, cioè un cuore docile ad accoglierlo e ad assecondarne la sua
volontà. È necessario, pertanto, che gli occhi “interiori” siano limpidi
se si vuol vedere.
L’impegno del credente deve essere quindi di purificare se stesso
mettendosi in uno stato di conversione permanente; rientrando in se
stesso, il credente deve custodire il silenzio interiore, raccogliersi nel
segreto del proprio cuore per ritrovarsi e recuperare la coscienza della
propria identità.
È necessario abituarsi a tenere fuori della porta del proprio spirito
tutto ciò che preme dall’esterno per portarlo lontano da sé e da Dio:
“Inutilmente solleva l’occhio del cuore a vedere Dio chi non è ancora
idoneo a vedere se stesso. Chiunque desidera vedere Dio pulisca il suo
specchio, purifichi il suo spirito”, ammonisce Riccardo di san Vittore
51
.
L’opera rivelativo-salvifica di Gesù assume la caratteristica di
un’illuminazione soprattutto nel Vangelo di Giovanni, in quanto è
finalizzata a mettere l’uomo in condizione di vedere dopo averlo
sottratto all’azione delle tenebre e conseguentemente il vedere
coincide con il credere.
49 Ibid., 306: “Con il soffrire e l’offrire di Cristo si intrecciano il soffrire e l’of-frire dei cristiani, intreccio il cui nodo centrale è costituito dall’umanità alla qua-le Cristo partecipa in tutta la sua dimensione di fragilità esistenziale”.
50 Cf. Sl 51,11-13.51 C. NARDINI (ed.), Riccardo di san Vittore. La preparazione dell’anima alla
contemplazione, Firenze 1991, 137-138.
5. La purificazione interiore
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5.1 “Chi opera la verità si avvicina alla luce” (Gv 3,21)
La conclusione del colloquio tra Gesù e Nicodemo, mette in evi-
denza un punto importante, lo scontro tra la luce e le tenebre, la ve-
rità e la menzogna: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini han-
no amato più le tenebre che la luce. Infatti, chi opera il male è insof-
ferente della luce e non si avvicina alla luce, per timore che le sue
opere siano condannate. Chi invece opera la verità si avvicina alla lu-
ce” (3,19-21).
L’evangelista Giovanni si accorge che l’uomo non comprende il
segreto delle cose, ma si arresta alla superficie restando prigioniero
delle apparenze. Tale è Nicodemo che, nonostante la sua sapienza teo-
logica, non comprende, è come un cieco.
Per poter comprendere, l’uomo deve “essere rigenerato” (Gv 3,3),
deve rinascere dallo Spirito (cf. Gv 3,3-8) e ciò è necessario per av-
vicinarsi alla luce. Ma Giovanni sottolinea nella parte conclusiva del
dialogo che c’è una profonda interazione tra conoscenza e prassi: li-
bertà interiore e prassi corretta (“operare la verità”) sono indispensa-
bili per vedere
52
. Una prassi scorretta impedisce di vedere e Giovan-
ni colloca in questo punto la radice della menzogna e della violenza.
L’uomo che ama le tenebre rifiuta la luce perché se ne sente minac-
ciato e perciò ricorre alla menzogna: dice che la verità è tenebra e che
la tenebra è luce.
5.2 Volgere lo sguardo a Gesù Crocifisso
Il Crocifisso, per la funzione che svolge come mediatore, è
insieme scala, porta e via che conduce a Dio: “Ad Deum nemo
intrat recte nisi per Crucifixum”
53
. Gesù, infatti, ha dato all’uomo
l’opportunità, la capacità di unirsi definitivamente a Dio mediante la
sua croce.
Ai piedi della croce (cf. Gv 19,25-27), il discepolo amato impara
a scorgere l’amore che irradia da quel corpo martoriato, ricoperto di
piaghe e trapassato dai chiodi. Essendo la Luce e quindi fonte di
illuminazione, Gesù Crocifisso ancora una volta apre gli occhi del
suo discepolo perché possa vedere la sua gloria: “Lux crucifixa
caecos illuminavit”
54
.
52 Cf. B. MAGGIONI, “Io sono la luce”, PdV 3 (2004) 45.53 S. BONAVENTURA, Itinerario della mente in Dio, Roma 1993, 94.54 S. AGOSTINO, Sermo 136,4.
teologia
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169
L’antica profezia di Zaccaria che prometteva per Gerusalemme e
per la casa di Davide uno spirito di grazia e di consolazione, connes-
se al mistero del trafitto cui tutti guarderanno (Zc 12,10), per Giovan-
ni si compie sulla croce: “Vedranno in colui che trafissero” (Gv 19,37),
cioè i loro occhi di fede “si apriranno su”, “in colui che hanno trafit-
to”; comprenderanno con una comprensione di fede chi è colui che
hanno trafitto e questo nell’atto stesso del trafiggerlo. Nell’atto di
aprire il suo cuore, comprenderanno chi è Gesù e chi sono loro. Nel
brano dei cieco nato, questi dopo essersi lavato alla piscina di Siloe,
ritornò che “vedeva” (Gv 9,7) e alla fine, alla domanda di Gesù, “Cre-
di tu nel Figlio dell’uomo?”, il cieco risponde: “Ma chi è, Signore,
perché io creda in lui?” e Gesù gli dice: “Tu l’hai visto!” (Gv 19,37);
ma affinché il cieco possa vedere veramente, deve essere condotto
fin nel cuore trafitto di Gesù.
Il “vedere” permette di “parlare” e quindi fa sì che ognuno possa
prendere una posizione che metta anche a rischio la propria persona:
“Credere in Gesù, Figlio dell’Uomo e Figlio di Dio, apre i nostri oc-
chi permettendoci di accedere alla nostra identità, alla nostra realtà
divino-umana, al nostro mistero ormai divino-umano, senza veli, in
virtù della comunicazione che Egli fa di se stesso”
55
.
Nel cuore di Cristo tutto si chiarisce: il giardino di Eden è acces-
sibile a chiunque “vede” nel Trafitto, attraverso il Trafitto. Così ave-
va compreso santa Caterina da Siena che, chiedendo a Gesù perché
si è fatto squarciare il cuore dopo la morte, si sente dire:
Il mio desiderio verso l’umana generazione era infinito e
l’operazione attuale di sostenere pene e tormenti era fini-
ta: e per la cosa finita non potevo mostrare tanto amore
quanto più amavo, perché l’amore mio era infinito. E però
volsi che vedeste il segreto del cuore, mostrandovelo
aperto, acciò che vedeste che più amavo che mostrare non
vi potevo per la pena finita
56
.
Guardare attraverso il Trafitto significa capire che la nostra vita è
Sua perché noi siamo Lui ed Egli vuole essere noi; “vedere” signifi-
ca anche riconoscersi complici dell’atto che mette a morte colui che
dà la vita, capire che il principale artefice della morte è il peccato e
che noi siamo gli autori di esso e quindi che tutti siamo colpevoli.
55 Y. SIMOENS, Il corpo sofferente: dall’uno all’altro Testamento, Bologna 2006,194.
56 CATERINA DA SIENA, Il libro, Alba 1969, 242.
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I
l grande tema di
tutta la rivelazione
biblica non è tanto
l’uomo che ricerca
Dio, ma piuttosto Dio
che si pone alla ricerca dell’uomo per manifestargli la via della sal-
vezza. In tal modo possiamo dire che se l’uomo ricerca Dio, in real-
tà è Dio che lo sta cercando, perché Dio previene e sollecita l’uomo,
proponendosi come termine della ricerca senza che l’uomo se ne
avveda, fino a quando Dio stesso non glielo svela. Cosicché ogni
autentico avvicinarsi dell’uomo a Dio è sempre una risposta.
Il “vedere Dio” e il “diventare simili a Lui” sono due aspetti del-
l’esperienza spirituale grandemente compenetrati tra loro che, alla
fine, come ci ricorda il grande maestro Guglielmo di Saint Thierrey,
coincidono:
“Essere simili a Dio significherà vederlo o conoscerlo; e
chi lo conoscerà o lo vedrà, lo conoscerà o lo vedrà nella
misura in cui lo conoscerà o lo vedrà. Lì, infatti (nell’im-
mutabilità dell’eternità), vedere o conoscere Dio significa
somigliare a lui, e somigliare a lui significa vederlo o
conoscerlo. La vita eterna sarà questa conoscenza perfetta,
dal momento che ciò che si sa o si conosce di Dio,
quaggiù, non può essere affatto saputo né conosciuto
come in quella vita, quando egli sarà visto faccia a faccia
(1Cor 13,12), e così come egli è (1Gv 3,2)”
57
.
Il luogo nel quale nasce e si sviluppa il legame vitale con Cristo è
l’interiorità: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che
vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella
fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”
(Gal 2,20).
È lo Spirito che realizza nel credente quanto ha operato in Maria:
genera il Verbo di Dio nell’interiorità mediante il battesimo; è sem-
pre lo Spirito che progressivamente lo fa crescere perché possa inva-
dere l’intero spazio esistenziale.
Pertanto, la vita dei discepoli comporta una novità che investe tut-
ta la persona, nell’essere come nell’agire. Giorno dopo giorno il di-
scepolo deve imparare a decentrarsi da sé, a rinunciare a se stesso,
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teologia170
Conclusione
57 M. SPINELLI (ed.), Guglielmo di Saint Thierrey. Lo specchio della fede, Ro-ma 1993, 69-70.
teologia
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171
58 L. REGNAULT, “La ricerca di Dio nei Padri del deserto”, PSV 35 (1997),203: “In varie occasioni Pacomio narra, per l’edificazione dei fratelli, certe vi-sioni che ha avuto, ma altre volte egli si sottrae, ad esempio quando un fratellogli domanda: ‘Dicci la visione che hai’. ‘Per quel che riguarda le visioni – rispon-de Pacomio – io, peccatore, non chiedo a Dio di vederne … Ascolta tuttavia ciòche riguarda una grande visione: Quando vedi un uomo puro e umile, ecco,quella è una grande visione. Che vi è infatti di più grande che vedere il Dio in-visibile in un uomo visibile che è il suo tempio … Questa è la facoltà visionariache, in ogni momento, i santi hanno di vedere il Signore”.ª173
“Il tuo volto, Signore, io cerco”151-173
per fare spazio a Cristo, per farsi spazio interamente a sua disposizio-
ne: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda
la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria
vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”
(Lc 9,23-24).
Il cristiano è chiamato a diventare “sacramento”, “segno” reale
attraverso il quale Gesù Cristo si rende visibile, presente e quindi
accessibile agli altri
58
. È necessario per arrivare a ciò che ci sia la
disponibilità interiore perché facendo “memoria di Cristo”, si renda
operante in lui la stessa vita di Cristo, perché man mano il discepolo
assimili “i sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5); inoltre è
necessaria la docilità a lasciarsi plasmare, modellare e ricreare dallo
Spirito a immagine di Gesù Cristo.
“IT IS YOUR FACE, O LORD, THAT I SEEK”
The difficult search for God in a changing world
by Angela Maria Lupo, C.P.
In our secularized world it seems that man’s search for God haswaned. This despite the fact that, as the author demonstrates byanalyzing several Scripture passages, there are new strategies forre-launching a genuine search for God beginning with these tools inorder to be able to live life in its fullness and to fulfill the call writ-ten within each of us: to be an image of God in the form of Christ.
ENG
ANGELA MARIA LUPOSapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
sacrascrittura
eteologia
teologia172
«TON VISAGE, SEIGNEUR, JE LE CHERCHE»
LA DIFFICILE RECHERCHE DE DIEU EN UN
MONDE QUI CHANGE
De Angela Maria Lupo c.p.
Dans notre monde sécularisé il semble que la recherche de Dieu dela part de l’homme diminue. Pourtant, comme tente de le démonterl’auteur en analysant quelques textes de l’Ecriture Sainte, il con-vient d’utiliser de nouvelles stratégies pour relancer une authenti-que recherche de Dieu à partir de soi-même pour pouvoir gouter lavie en plénitude et réaliser l’appel écrit en chacun : être image deDieu selon la forme du Christ.
YO BUSCO TU ROSTRO, SEÑORLa difícil búsqueda de Dios en un mondo cambiante.Por Angela María Lupo CP
En nuestro mundo secularizado parece que haya venido a menos laBúsqueda de Dios por parte del hombre. Sin embargo, como inten-ta demostrar la autora analizando algunos fragmentos de laSagrada Escritura, conviene utilizar nuevas estrategias para relan-za una auténtica Búsqueda de Dios partiendo de sí mismo parapoder gustar la vida en plenitud y realizar la llamada escrita encada uno: ser imagen de Dios en la forma de Cristo.
„DEIN ANGESICHT, O HERR, SUCHE ICH“
DIE SCHWIERIGE SUCHE NACH GOTT
IN EINER SICH VERÄNDERNDEN WELT
von Angela Maria Lupo CP
In unserer säkularisierten Welt scheint es, dass für den Menschendie Suche nach Gott an Bedeutung verloren habe. Durch die Analyseeiniger Schriftstellen, versucht die Autorin zu belegen, dass es den-noch neuer Strategien bedarf, um eine echte Gottessuche wieder inGang zu bringen. Es sei notwendig, ausgehend von der eigenen
FRA
ESP
GER
Person Gott zu suchen, damit sich ein Leben in Fülle und dieVerwirklichung der je eigenen Berufung, wie Gott sie in jeden vonuns eingeschrieben hat, realisieren können: Ein Abbild Gottes nachdem Beispiel Christi zu sein.
“Szukam oblicza Twego, Panie”.
MOZOLNE POSZUKIWANIE BOGA
W ZMIENIAJĄCYM SIĘ ŚWIECIE
Angela Maria Lupo CP
W naszym zsekularyzowanym świecie zdaje się, że poszukiwanieBoga przez człowieka zanika. Trzeba więc, jak próbuje ukazaćautorka poprzez analizę wybranych fragmentów Pisma Świętego,używać nowych strategii, by zapoczątkować autentyczne poszukiwa-nie Boga, które wychodzi od samych siebie, aby cieszyć się pełniążycia i zrealizować powołanie zapisane w każdym z nas: by byćobrazem Boga na kształt Chrystusa.
teologia
“Il tuo volto, Signore, io cerco”151-173
sacrascritturaeteologia
173
POL
di CARMELO TURRISI C.P.
La ricerca, condotta sull’analisi delle prediche di passione divari celebri oratori del Settecento, intende chiarire la soliditàdella devozione alla passione di Gesù. Essa fu oggetto dellapredicazione, per lo più quaresimale, che le riservò il venerdìsanto. Da un lato si può avanzare a questi componimenti ora-tori l’addebito di assomigliarsi nella struttura e nei contenuti,giacché erano legati a schemi otessiture predefinite, e di non pre-figgersi ulteriori approfondimenti esviluppi culturali, per esempio rap-porto tra croce e teologia, la keno-si vissuta da Gesù fino alla croce,la libertà e il servizio, ecc. Gli ora-tori miravano, invece, a far nasce-re compassione e a spingere i fe-deli al pentimento dei peccati. Aciò si giungeva, in particolare, conl’esasperazione del moralismo.L’autore intende continuare ad ap-profondire questi argomenti.
Q
uesto contributo
sui contenuti
della predica di
passione è stato ricava-
to da uno studio più am-
pio sulla predicazione della passione di Cristo nel Settecento. Esso
intende esaminare in particolare il risanamento della predicazione,
passando dal barocchismo secentesco all’impostazione del concilio
di Trento, la struttura interna della «predica di passione», le forme e
i contenuti della stessa e, infine, un prototipo di discorso completo
della narrazione della passione costruito con l’apporto di vari orato-
ri del tempo. Tutto è stato considerato sotto l’aspetto teologico-spiri-
tuale, ma anche letterario.
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
175
La «predica di passione»IL TEMPO DI PIETRO FRASA (1678-1711)
Premessa
CARMELO TURRISISapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
pastoralee
spiritualità
spiritualità176
L’intera ricerca è stata pensata per la ricorrenza del 3° Centenariodel Crocifisso di Troia (1709-2009), un Christus patiens in agonia,
in legno di pioppo fissato su una croce di legno di abete (m. 4,70 x
m. 2,40), è attribuito ad un ignoto intagliatore napoletano, ma proget-
tato e rivestito di colori policromi da Pietro Frasa. Il volto del Cristo
attira lo sguardo dei devoti e dichiara una “sublimazione del dolore”
1.
Simili artistiche realizzazioni rispecchiavano la pietà popolare, ma
anche la cultura che aveva maturato gradatamente nella teologia e
nell’arte il passaggio dal Christus triumphans al patiens, e la predi-
cazione quaresimale e delle missioni che avevano riproposta dopo al-
cuni anni di abbandono l’ostensione della croce ai fedeli al termine
della predica di passione. I più celebri oratori, infatti, ritenevano che
la presentazione del Crocifisso, espressione totale dei patimenti del-
l’umanità, contribuiva “molto alla edificazione dei fedeli”
2
.
Posto nella conca absidale della Cattedrale di Troia, in direzione
dell’altare maggiore sin dal 1709, il Christus patiens corrispose real-
mente alle esigenze della spiritualità del tempo, di cui il Frasa pote-
va ritenersi fautore. Chierico e predicatore milanese (1678-1711), “per
la rara bontà della vita e singolar dottrina mista a sommo zelo”, fu
provvisto da Clemente XI della facoltà di predicare
3
. Nei viaggi mis-
sionari fino alla Puglia, fu compagno del valente predicatore dome-
nicano padre Ludovico Maria Calco, anch’egli nato a Milano il 25
dicembre 1669 e morto a Troia nel convento di S. Girolamo il 20 ago-
sto 1709. Fu lui a suggerire a mons. Emilio Giacomo Cavalieri (1663-
1726), dell’istituto dei Pii Operai, di riprodurre immagini del Croci-
fisso al vivo, affidandone l’esecuzione all’amico e compagno nella
predicazione Pietro Frasa
4
.
Ad opera finita, sorse una polemica tra la Sacra Congregazione e
1 D. CAMPANARO (a cura di), Troia. Il Crocifisso frasiano, con notizie sto-riche, artistiche e riferimenti spirituali. Probabilmente sia lo scultore, che il Frasasi sono riferiti al profeta Isaia (Is, 1, 4-6 e 53, 3-12).
2 G. DI MONTARGON, Dizionario Apostolico per uso dei Parrochi e deiPredicatori, Traduzione Italiana, Vol. Terzo, Napoli, Presso Giuseppe Dura,Librajo-Editore, 1854, pp. 216-217.
3 G. ROSSI, Della vita di Mons. Emilio Giacomo Cavalieri de’ Pii Operari Vescovodi Troja, Napoli 1741, p. 143. Riportato da D. VIZZARI, Pietro Frasa, P. Ludovico M.Calco, Mons. Emilio Cavalieri, ARDOR, Schiavonea (CS) 1977, p. 19.
4 D. VIZZARI, Pietro Frasa.., pp. 11; 32; 36. Ai Processi fu testimoniata la“grandissima” devozione del Calco al S.mo Crocifisso e ricordato il suggeri-mento, prima di morire, avanzato al vescovo Cavalieri di “farne formare
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
177
il vescovo sull’opportunità di esporre un Crocifisso rappresentato in
quella esasperata espressione di dolore. Il vescovo, che aveva com-
missionato al Frasa due Crocifissi, uno per Troia e l’altro per Foggia,
città della sua diocesi, rassicurò la Sacra Congregazione, asserendo
che il Crocifisso del Frasa era in linea con le affermazioni dei profe-
ti e che simili immagini, ed anche più sfigurate, erano esposte nelle
chiese in diversi paesi del Regno delle Due Sicilie
5
. Tali immagini,
che rappresentavano realisticamente la passione di Gesù, riuscivano
più atte a suscitare sentimenti di sincera pietà
6
.
Prima di attingere ai contenuti di alcuni testi di prediche, faccia-
mo notare che la passione fu oggetto dell’attenzione della Chiesa tri-
dentina, che stabilì di esporre spesso al popolo la passione del Signo-
re
7
, si sviluppò nell’ambito della pietà dei fedeli nel Settecento
8
e fu
predicata da tutti i migliori oratori del secolo XVIII
9
. Diverse circo-
stanze liturgiche erano riservate alla passione, in particolare la ricor-
renza dell’Addolorata nel venerdì dopo la quinta domenica
10
, delle
l’Immagini, che esprimessero al vivo la dolorosissima Passione del Redentore,la quale egli soleva sovente predicare al popolo”.
5 Ivi, p. 53. Cfr. pure P. TARTARELLI, I Crocifissi di Frate Angelo da Pietrafittanella Puglia, Il Parametro Editore, Campi Salentina (LE) 2004; M. G. LUCAREL-LA, Cenni sulla iconografia del Crocifisso dal Medioevo al Barocco, in«Simulacri sacri. Statue in legno e cartapesta del territorio C.R.S.E.C. diUgento», a cura di R. POSO, Grafema, Taviano 2000, pp. 21-27. Un altro scul-tore francescano fu Fra Vincenzo Pietrosanti da Bassano, autore del Crocifissovenerato nella chiesa di S. Agata (1669 ca. in legno policromo) di Fermentino,considerato un grande interprete della spiritualità passionale del Seicento.
6 D. VIZZARI, Pietro Frasa.., pp. 52-54. 7 Catechismo Conc. di Trento, Parte I, Art. 4, n. 57.8 T. GOFFI, Vissuto e dottrina spirituali dal 1650 al 1800, in T. GOFFI-P.
ZAVATTARO, La spiritualità del Settecento, Città Nuova, Bologna 1990, pp. 83-84. Sono alcuni missionari popolari che indirizzano i fedeli “verso la pietà delCristo sofferente”, desiderando “orientarli attraverso un forte impegno asceticoverso un amore mistico a Cristo fra i dolori”. Questo impegno formativo si mani-festa anche attraverso la direzione spirituale, partendo dalla Scrittura, soprat-tutto dalla Passione, per giungere ad una intensa intimità affettiva con ilSignore.
9 G. DI MONTARGON, Dizionario Apostolico.., Vol. Primo, 1853, pp. 199-200: “Autori e predicatori che scrissero e predicarono sulla passione di GesùCristo”. Conclude: “In breve, tutti i predicatori si fecero un dovere di ragiona-re sopra questo pietoso e dolente mistero”.
10 G. TRENTO, Sopra Maria Vergine Addolorata. Predica XXXIII, in«Nuovissima Collana Panegirica» di celebri oratori.., a cura di D. SCOTTI-PAGLIARA, Quinta Edizione, Vol. Primo, Napoli, Giosué Rondinella Editore,
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pastoralee
spiritualità
spiritualità
tre Ore di agonia11
, delle Sacre spine12
, della Lanciata13, dei Chiodi
di Gesù14
, della Sindone15
e della Croce16
. La Lavanda dei piedi, leTre ore di agonia e le Tre ore della Desolata17
facevano da corona-
mento alla predica della passione, (orazione, sermone o discorso)
18
.
Il venerdì della Settimana Santa era destinato alla predica di passio-
ne
19
.
1878, pp. 204-210.11 D. SCOTTI-PAGLIARA, Le tre ore dell’agonia, in «Nuovissima Collana
Panegirica».., pp. 419-452. Cfr. pure P. MUSTO, Sette parole di Gesù].Sermoni, in «Nuovissima Collana Panegirica».., pp. 452-506.
12 I. VENINI, Sopra le sacre spine. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., pp. 541-545. Cfr. pure G. TRENTO, Sopra le sacre spine.Orazione, in «Nuovissima Collana Panegirica».., pp. 550-553.
13 G. VENTURA, La Lanciata, Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., pp. 514-528.
14 P. DEL BORGHETTO, Sopra un santo chiodo. Orazione, in «NuovissimaCollana Panegirica».., pp. 555-557.
15 Q. ROSSI, Sopra la sacra sindone. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., pp. 558-561.
16 S. LA FONTAINE, La Croce. Orazioni, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., pp. 578-589. Cfr. pure E. LEONE, Invenzione della croce.Orazione, in «Nuovissima Collana Panegirica».., pp. 607-611; P.-M. PEDERO-BA detto il Pietrarossa (1703-1785), Esaltazione della croce. Orazione, in«Nuovissima Collana Panegirica».., pp. 617-623.
17 C. CONTI GUGLIA, Il mistero della croce nella predicazione popolare, in«La sapienza della croce oggi», 3. La sapienza della croce nella cultura e nellapastorale». Atti del Congr. Inter., Roma 13/18 ottobre 1975, pp. 481-483.
18 G. B. PICOZZI, Oratoria, o eloquenza sacra.., p. 930. Discorso sacro pereccellenza, la predica è “il componimento che più si distingue dagli altri per lagrande libertà e novità degli argomenti, per l’unità rigorosa dell’assunto, per laforza stringente delle argomentazioni con le quali viene svolta, per la gagliar-dia e l’impeto del sentimento che l’avvivano, per la eleganza e venustà dellalingua e dello stile che l’adornano”.
19 D. SCOTTI-PAGLIARA, La passione di nostro Signore.., in «NuovissimaCollana Panegirica».., p. 183: “La settimana, nella quale la Chiesa fa solennecommemorazione della passione e morte di Gesù Cristo ha diversi nomi. Fuchiamata settimana penosa a cagione delle pene e de’ patimenti sofferti dalSalvatore; fu chiamata settimana d’indulgenza, perché si ammettevano i peni-tenti all’assoluzione e poi alla comunione de’ fedeli; fu chiamata settimana diXerografia, ossia di astinenza quaresimale, perché non si mangiavano che cibiasciutti senza verun condimento. Fra questi nomi però i due più in uso sonoquelli di settimana Grande nella Chiesa Orientale, e di settimana Santa nellaChiesa latina”.
178
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
179
L
a predica, come
componimento
oratorio, occupa-
va il posto principale tra
quelli che trattavano del-
l’istruzione dei fedeli, ed era riconosciuta come “il capolavoro della
eloquenza cristiana, che in sé comprende quanto di meglio possede-
va l’eloquenza pagana”
20
. Era pensata per essere, “come la pioggia,
come l’aria”, ad illuminare, fecondare e nutrire “sì l’alto cedro, che
il basso isoppo”
21
.
Ci fu, in verità, qualche dichiarazione da parte di qualche oratore
di non volere cedere all’abuso di figure, attenendosi unicamente, nel
“ragionare” sul mistero della passione e morte di Gesù Salvatore, al
“consiglio del divino Evangelio” e dei profeti, “che furono in questa
parte gli Evangelisti più esatti, e i veri Storici di tutto ciò, che in que-
sto gran giorno di tribolazione, e di angustia avvenne al Figlio di
Dio”
22
. Alcuni artifici oratori cambiavano il senso del racconto evan-
gelico della passione di Gesù Cristo in un “ricamo” di indicazioni
evangeliche
23
, riducendolo anche a un cumulo di semplici allusioni
24
,
oppure prendendo le distanze dalla stessa ispirazione evangelica
25
. Il
distacco dalla fonte evangelica era probabilmente vero, se anche in
seguito nella Prima Riunione della Conferenza dell’Episcopato Pu-
gliese, riunita a Bari il 14 ottobre 1892, si credé necessario ritornare
a proporre il metodo apostolico della predicazione, consistente nella
20 L. GAITER, Predica.., Vol. VI, p. 322. 21 Ivi, p. 323.22 G. GRANELLI, Prediche quaresimali e Panegirici. Predica XXVIII. Passione
di Nostro Signor Gesù Cristo, Quinta Edizione, In Venezia MDCCXCVII.Appresso Tommaso Bettinelli Prediche quaresimali.., p. 184.
23 A. PRANDI, Il tema della passione.., p. 510: “Ricamo piamente arbitra-rio sul Vangelo, la predica del Tornielli non è Vangelo…”.
24 Ivi, p. 510. L’allusione è alle due prediche della passione di QuiricoRossi.
25 Ivi, pp. 504-508; 511. L’autore osservando la freddezza, l’artificiosità el’abbondanza dei luoghi comuni nella predica del Piederoba, avanza questaipotesi: “Decisamente, forse è proprio il tema pretrattato (ma nel modo che si èdetto) della passione a rivelarci come la predicazione fosse giunta nel sec. XVIIIad essere pericolosamente distante da un’ispirazione veramente evangelica”.
Schemi e tessiture
CARMELO TURRISISapCr XXV
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pastoralee
spiritualità
spiritualità
semplicità dell’annunzio del Crocifisso e nell’attenersi alle fonti
sacre della Scrittura e dei Padri
26
.
Anche la predica di passione era costruita secondo schemi o tes-siture alla portata di tutti, con abbondanti contributi utili all’impian-
to retorico e concettuale e con ricchezza di citazioni bibliche, patri-
stiche e dei principali teologi. Se da una parte riuscivano utili in spe-
cifiche circostanze (gli inizi dell’impegno oratorio, mancanza di tem-
po necessario per preparare la predica ecc.), gli schemi potevano com-
prometterne l’originalità della stesura
27
. Tutto cadeva, nonostante le
molte citazioni bibliche e dei Padri, a favore di una impostazione mo-
raleggiante insistente, che pare piacesse allo stesso Bourdaloue, a cui
si ispirarono parecchi oratori italiani
28
. Gli schemi erano riferibili per
lo più a modelli dell’oratoria francese, riuscendo ad essere più che
imitatori, solo cattivi e plagiarii
29
. Fra gli altri, citiamo quelli riporta-
ti dall’abate Tharin e dal Montargon
30
. I primi furono ricalcati sulle
prediche di diversi oratori sacri, anche “di second’ordine”, nessuno
180
26 S. PALESE – F. SPORTELLI (a cura di), Vescovi e Regione in cento anni distoria (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza Episcopale Pugliese,Congedo Ed., Galatina 1994. Lettera Pastorale, Bari 14 ottobre 1892, p. 24.
27 A. PRANDI, Il tema della passione.., pp. 505-506. L’autore evidenzia laprevedibilità degli sviluppi e dei modelli del quaresimale, di cui faceva parte lapredica di passione per il venerdì santo, anche perché la “singolarità «inventi-va» aveva poco margine per imporsi, sia perché anche per il «genere» quare-simalistico vigeva la concezione classica dell’imitazione…”. Cfr. pure G. B.PICOZZI, Predicazione (Storia della).., Vol. IV, p. 353: “La Francia è la mae-stra della sacra eloquenza ed un oratore sacro non può dirsi tale se, dopo unostudio profondo delle opere dei SS. Padri, non abbia letto almeno quelle diBossuet, di Bourdaloue, Fénélon, Fléchier, Massillon, Brydaine”.
28 A. PRANDI, Il tema della passione.., pp. 606-508.29 P. BOURDALOUE, Le Domenicali.., Presentazione, pp. VII-X: “Bourdaloue
è uno dei più eccellenti modelli, per non dire il migliore, che possa proporsi acoloro, che aspirano all’eloquenza del pergamo. Ma nel togliere ad esempla-re un così nobile soggetto, non pochi sono gli scogli da temersi; che se il P.Bourdaloue, perfezionò assai il gusto della predicazione, non è men vero cheebbe guasto un gran numero di predicatori…Ciò che si ammira in un oratoree forma l’oggetto dei nostri applausi, non è, né sempre deve essere il soggettodella nostra imitazione”.
30 A. CAPUTI, Sermoni familiari di Sacramento, Novena di Natale ePassione di Gesù Cristo, che possono essere di utile a’ Predicatori, ed a’Parochi, Tomo I, In Napoli MDCCLXIV, Presso Vincenzo Pauria.
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
181
dei quali citati nel testo per non appesantirlo e destinati alla predica-
zione o alla meditazione
31
.
Dall’abate Tharin riportiamo lo schema della predica di passione,
ricavato da J.B. Massillon (1663-1742), la cui fama di oratore fu con-
sacrata dal Quaresimale del 1699, tenuto nella chiesa dell’Oratorio
di Parigi. La sua Predica pel Venerdì Santo32
è divisa in tre punti. Nel
primo è sviluppato il tema del “compimento di giustizia dalla parte
di Dio Padre” nella passione di Gesù, nella quale egli espia “i disor-
dini del nostro spirito”, cioè l’indifferenza di fronte al peccato, la pau-
ra unicamente dei castighi ad essi collegati. Il Signore ha la percezio-
ne delle nefandezze del peccato e ne comprende l’ingiustizia, la vil-
tà, l’ingratitudine, la corruzione e le conseguenze; ne vede le diffe-
renti specie, cioè l’idolatria, le superstizioni, la dimenticanza del Pa-
dre, la divinizzazione dei delitti più vergognosi, le umilianti dissolu-
tezze dell’impurità, gli scismi, le eresie, le apostasie che avrebbero
lacerato il seno della Chiesa. Gesù, infine, percepisce il numero dei
peccati di tutti i tempi e di ciascuno in particolare in ogni luogo; ne
avverte le circostanze, le lotte iniziali per non soccombere, poi la com-
piacenza, il consenso, le vergognose circostanze che lo accompagna-
no, i pensieri che si ridestano nella mente e i disordini che ne sono
seguiti.
Oltre a ciò, Gesù sconta la colpa dei peccati del cuore, in partico-
lare la mancanza di zelo dell’onore di Dio (bestemmie, oltraggi, scan-
dali, attacchi iniqui alla Chiesa) e attaccamento ai propri interessi.
Per questi peccati dell’umanità, egli è sottoposto dal Padre ad essere
umiliato di fronte ai discepoli nel Getsemani manifestando ad essi
sentimenti di timore e spavento, agli Angeli che lo consolano, e alla
stessa indolenza dei discepoli che non restano commossi dalla sua
agonia e, in seguito, l’abbandonano. Per ultimo, Gesù ripara i piace-
ri degli uomini, vivendo già in visione il complesso dei tormenti che
31 Ab. THARIN, Atlante dei Predicatori ovvero Tessiture di Sermoni in TavoleSinottiche.., Napoli, Presso G. Dura 1851 Prefazione. “Nudriamo speranza cheil medesimo tornerà utile a chiunque esercita gli uffizî del ministero sacerdotale,ed in specie quello della predicazione; nulla reputando di maggiore utilità,quando il somministrare agli oratori sacri tessiture di discorsi ben concepiti eben divisi, per modo che non vi sia quasi alcuno, il quale, con pochi momentidi meditazione, non si trovi nello stato d’improvvisare una lunga istruzione,fornita di buona divisione, di suddivisioni, di divisioni di divisioni, ec. ec.”.
32 Ivi, pp. 193-197.
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spiritualità
spiritualità
sopporterà, le ingiurie, gli schiaffi, la flagellazione, la coronazione di
spine, l’apparato della croce. In qualche modo, queste sofferenze ri-
sultano più crudeli dello stesso supplizio, specialmente per la man-
canza di ogni consolazione della Madre, del discepolo, delle pie don-
ne e per l’assenza di quei segni di glorificazione che, invece, avrà al
momento della passione, il tremore della terra, l’oscuramento del so-
le e il riconoscimento dei suoi nemici dopo la sua morte.
Nel secondo punto della predica, l’autore si sofferma sul “compi-
mento di malizia” da parte degli uomini e dei discepoli, in particola-
re di Giuda e Pietro, che mostrano la loro debolezza e perfidia nel tra-
dimento del maestro; nella mala fede dei sacerdoti e dottori, impas-
sibili di fronte al pentimento di Giuda, insensibili di fronte allo splen-
dore dei miracoli operati, freddi dinanzi agli atteggiamenti di Gesù
di fronte a loro e interessati a trovare unicamente i mezzi per toglier-
lo di mezzo. In questo punto è considerata anche la malizia del po-
polo, che si mostra incostante passando dall’acclamazione alla richie-
sta di Barabba e della pena di morte per Gesù; di Pietro, che si mo-
stra debole dinanzi ai nemici di Gesù
,
e dei soldati dei quali si con-
danna la barbarie.
Il terzo punto della predica, infine, è riservato al “compimento di
amore” da parte di Gesù. Esso è ingegnoso e disinteressato perché
sceglie di compiere da solo la redenzione, generoso perché s’interes-
sa dei suoi crocifissori e offre il suo sacrificio come strumento di ri-
conciliazione, trionfante perché attento e rispettoso nei riguardi del-
la madre e di Giovanni che diventano i nostri modelli per la rassegna-
zione e il coraggio dimostrati sul calvario.
Il secondo schema è di Giacinto Di Montargon, predicatore alla
corte del Re di Francia. Nel suo Dizionario Apostolico riporta un’am-
pia imbastitura della predica della passione di Cristo, costituita da
indicazioni generali e teologico-morali, con passi della Scrittura e
sentenze dei Padri. In esso sono presentate tutte le diverse circostan-
ze della passione e riportato quanto “di più edificante e affettuoso” si
trova esposto nelle prediche di oratori sacri attentamente seleziona-
ti
33
. Nel racconto della “tragica passione” di Gesù Cristo è consiglia-
to ai predicatori di attenersi alla semplice narrazione, che contiene i
tratti “di per sé medesimi grandi e magnifici”, limitandosi ad inseri-
re “qualche moralità sparsa” qua e là, e “avvivata dai lampi dell’elo-
33 G. DI MONTARGON, Dizionario Apostolico.., Vol. Terzo, p. 189.
182
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
183
quenza”
34
. Tra le considerazioni teologico-morali sono incluse le que-
stioni circa la libera adesione di Cristo alla volontà del Padre di mo-
rire in croce
35
, la necessità dei patimenti di Cristo per conseguire il
fine della eterna salvezza dell’uomo e la possibilità di usare un altro
mezzo per salvare gli uomini oltre la passione di Gesù Cristo. Segue
la considerazione del “sorprendente prodigio” della passione e mor-
te di un Uomo-Dio, sofferta sia per tutti e per ciascuno
36
.
Per descrivere la passione di Gesù si ricorre sia alle figure o per-sonaggi della Scrittura, Abele, Isacco e Giuseppe, che alle profeziedi Isaia sull’uomo dei dolori, di cui parla più da evangelista che rac-
conta cose accadute che da profeta che parla di cose future; di Davi-
de sull’uomo sofferente divenuto obbrobrio degli uomini e scherno
della plebe (Sal 21,7) e di Daniele, che predisse il rinnegamento del
popolo e la morte di Gesù dopo la distruzione del tempio.
L’amore dimostrato da Gesù Cristo agli uomini nella sua passio-
ne e morte è rischiarato dal pensiero di S. Agostino, e la Chiesa ne fa
commemorazione nella liturgia del Sabato Santo: “O felice errore chemeritò di aver tanto e sì grande Redentore!”. La passione di Gesù
può capirsi alla luce di tali colpe o peccati degli uomini, da ritenersi
la causa principale della passione e morte di Gesù Cristo. La loro gra-
vità fu enorme e richiese non un semplice “cenno”, che sarebbe sta-
to sufficiente a liberarci, ma la soggezione a tutti i mali, mettendosi
“in luogo del colpevole”
37
, Essa fu avvertita da Gesù, che ne conce-
pì “un sommo dolore”. Da ciò l’obbligo per noi di detestarli.
34 Ivi. L’autore riporta l’assenso dato a questo schema dal gesuita padreGuglielmo Ségaud, “Predicatore al Re Cristianissimo” e “uno de’ più zelanti, ede’ più celebri Predicatori” della Compagnia in Francia, autore diPanegyriques, stampati a Parigi il 1752 presso A. Boudet, e di PredicheQuaresimali, In Venezia MDCCLXI, Presso Tommaso Bettinelli [cfr. Ivi, p. IV]”.
35 Ivi, p. 196. La sua morte fu del tutto volontaria, non essendo stato “costret-to a morire né per supremo volere, né per condizione di natura, ma di propriascelta e volontà: la sua morte non è già a causa dello spossamento delle forze,ma di un eccesso d’amore…”.
36 Ivi, pp. 190-193. Cfr. Is 33, 3,4,5,5.37 Ivi, p. 193: “Per ben conoscere la enormità del peccato importa sapere,
essere stato esso causa della inondazione del mondo, della distruzione di città,di province, d’intere nazioni, aver acceso eterni fuochi nell’inferno, aver sospin-to la celeste vendetta a contraffare con universali calamità la faccia dell’univer-so! Non basta forse l’aspetto di un Dio trattato come un verme della terra e spi-rante sopra una croce, per farci comprendere quanto sia orribile il peccato agliocchi suoi?...”.
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Nella passione Gesù non smarrì la divinità, di cui sono prova la
“predizione di tutte le circostanze” della sua morte agli apostoli, il
“carattere di morte” da lui sofferta, la previsione delle sue pene, i “so-
lenni miracoli” segni della sua onnipotenza, e la “più alta gloria” che
riceve dal Padre in croce da trionfatore sul principe delle tenebre e
annientando l’orgoglio del mondo.
Non poteva essere tralasciato il riferimento alla necessità di sod-disfare la giustizia divina irritata per i peccati degli uomini. Questi,
“polvere e cenere”, non essendo in grado di “disarmare la collera di
un Dio sdegnato”, furono sostituiti da Cristo, che si addossò tutte le
loro iniquità. Le pene sofferte da Gesù nella sua passione furono “pro-
porzionate ai nostri peccati, e quindi eccessive”. Altri rimandi consi-
derano lo stato di felicità e di gloria conservato da Gesù nella passio-
ne, la differenza tra le sue pene e i nostri peccati, e il motivo della
scelta della morte di Gesù in croce
38
.
Il cristiano, pervenuto alla compunzione del cuore, è invitato ad
esprimere il proprio dolore piangendo i propri peccati e proponendo
fermamente di eliminarli con la penitenza. Nella considerazione del-
la passione convivono il dolore per i numerosi patimenti e le umilia-
zioni sostenute da Gesù Cristo per nostro amore, e contemporanea-
mente l’allegrezza per la gloria che egli si è acquistata colla morte in
croce. Lì ha raggiunto l’ampia redenzione del mondo, la perfetta li-
berazione dell’uomo, la remissione dei peccati, la giustificazione e
l’eterna beatitudine, tutto all’insegna di “sì esuberante misericordia”.
Di fronte alle sofferenze di Gesù, deve, perciò, cessare la diffidenzanel perdono divino. Egli, infatti, ha soddisfatto a tutti i nostri pecca-
ti, distruggendo il “chirografo” di morte ostile a noi
39
. Con la sua mor-
te, Gesù ha raggiunto la liberazione totale del cristiano dalla doppia
184
38 Ivi, pp. 193-195: “…quindi [Gesù] volle che tra il peccato e l’espiazione,tra il delitto e il castigo fosse una perfetta uguaglianza. Per ciò appunto vi sonoalcuni che sostengono, aver Gesù Cristo sofferto egli solo tanti temporali casti-ghi quanti gli uomini insieme avrebbero dovuto patirne per ciascuno dei loropeccati: così che il suo soffrire fu tanto grave che ove non fosse stato che uomo,avrebbe agguagliati, anzi superati tutti i patimenti che la giustizia divinapotrebbe richiedere dai peccatori dopo la remissione dei loro peccati”.
39 Ivi, p. 217: “Già secondo il pensiero di Paolo, io veggo il chirografo dimorte lacerato, e attaccato alla croce in segno del trionfo ottenuto da Dio sulpeccato. Accorrete dunque ai piedi di questa croce a riconoscere il pegno dellavostra liberazione…”.
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morte dell’anima e del corpo. L’ultima riflessione riguarda l’impe-
gno del cristiano di sottrarsi, con “ogni studio alla schiavitù del pec-
cato”, estirpandolo e contrastandolo nei “perversi pensieri, le mali-
gne intenzioni, le carnali tendenze, le nostre passioni, i nostri vizi”,
morendo “al peccato, al mondo, a noi stessi”
40
.
L’apporto dell’autore si conclude con le pagine dei Sentimenti daiquali un cuore cristiano deve essere compreso alla vista della croce.
È impensabile che solo il cristiano resti insensibile dinanzi al miste-
ro della passione e morte di Cristo in croce. Come Salvatore egli “de-
ve destare la nostra confidenza”, come Redentore “la nostra gratitu-
dine”, i nostri peccati che lo hanno confitto in croce devono suscita-
re “il nostro dolore”, la croce che cancella i nostri peccati deve ecci-
tare “vincoli di tenerissimo amore”
41
.
A
d ogni predica
della passione
era premessa
una proposizione. L’ora-
toria sacra impostava la
predica, affidandosi all’autorità della Sacra Scrittura. Ne circolavano
raccolte
42
. La proposizione, posta all’inizio, era ritenuta la porta per
entrare nella trattazione della predica. Il suo richiamo apparteneva al
cumulo di “leggi e forme e riti”, che l’oratore, pur mantenendo una
propria libertà d’impostazione, tuttavia non poteva, senza impruden-
za, trasgredire
43
.
L’analisi di esse ci aiuta ad individuare la finalità principale che
ogni oratore si proponeva nella predicazione della passione. Molti
40 Ivi, pp. 195-197.41Ivi, pp. 265-268. Basandosi sulla Scrittura, l’autore sviluppa, in breve, i
quattro sentimenti principali che “la vista del Crocifisso deve generare nel cuornostro”: la confidenza: In te, Domine speravi, non confundar in aeternum. (Sal30,1 e 70,1); il dolore e la contrizione: Pater, dimitte illis…(Lc 23,4); la grati-tudine: Quid est quod debui ultra facere et non feci? (Is 5,4) e, infine, l’amore:Nos ergo diligamus Deum, quondam Deus prior dilexit nos (1 Gv, 4).
42 I. CHIZZOLA, Canonico Regolare Latteranense, Prediche teologiche, &Morali sopra li Vangeli di tutti i Santi principali dell’anno… Tavola dell’Autoritàposte per soggetto delle Prediche, In Brescia M.DC.XVII, Appresso Gio. Battista,& Antonio Bozzoli, pp. 15-18. Il Chizzola, fu stimato “Predicatore famoso”.
43 L. GAITER, Predica.., Vol. V, Venezia 1859, p. 1100. Egli dice della pro-
La preposizione
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preferirono attenersi al semplice riferimento del fatto. Luigi Giugla-
ris rifletté sulla partecipazione della natura alla morte di Cristo: “Ter-ra mota est, & petrae scissae sunt, & monumenta aperta sunt” (Mt
27), proponendo l’avvenimento come l’inizio di un rapporto nuovo
tra l’uomo e il cielo
44
. Giovanni Granelli si limitò alla scelta di un ti-
tolo essenziale: Passione di nostro Signor Gesù Cristo. Passio Do-mini nostri Jesu Christi. (In Offic. Fer. 6. maj. Hebdom.), sofferman-
dosi a considerare la straordinarietà dei fatti e il turbamento che su-
scitano: “Passione, e morte di Gesù Salvatore: che titolo, Ascoltato-ri, che soggetto ineffabil di ragionare!...Io vi confesso, Uditori, cheme ne sento al pensarvi sì conturbato, che assai più voglia ho di pian-gere, che di parlare”
45
. Cesare Calino si affidò alla semplice enuncia-
zione dell’avvenimento: Passio Domini Nostri Jesu Christi, tratte-
nendosi ad indicarne le mutazioni delle sue fattezze: “[…]. Non lovedrete già, quale a noi ce lo dipinsero il Profeta reale, come il piùavvenente fra tutti gli uomini: Speciosus forma prae filiis hominum;S’io ricerco le sue fattezze, tutto m’incontro in orrori: Lo vedrete li-vido, piagato, ricoperto di sangue”
46
.
Girolamo Trento, scegliendo Sopra la passione di Gesù Cristo.Passio Domini nostri Jesu Christi, dichiarò le sue perplessità nell’af-
frontarne il racconto, ritenendolo un passo “troppo acerbo”, per cui
chiedeva di essere esonerato dal farlo: (“Deh! chi mi sottrae oggiper pietà al duro impiego, giacché non ho, mi protesto, coraggio,nè forze, né lena da sostenerlo?”
47
. Liborio Siniscalchi, adottando la
stessa proposizione, iniziò con un’anàfora (Piangete, piangete…
lagrimate pure, lagrimate…), invitando i presenti, fin dall’inizio,
186
posizione: “L’uso, per esempio, di voler basare l’orazione sopra un testo scrit-turale, fa spesso sacrificare l’orazione al testo, o il testo all’orazione; il doveredistribuire l’orazione quando in tre, quando in quattro parti; il dovere interrom-perla per raccomandare la elemosina, una o più volte, ed altre simili pratiche,non possono essere favorevoli, all’oratore sacro”.
44 L. GIUGLARIS, Quaresimale del Padre Luigi Giuglaris della Compagniadi Giesù…L’interprete del mondo turbato nella Passione di Cristo. Predica. NelVenerdì Santo. In Venetia, M.DC.LXXV, p. 313.
45 G. GRANELLI, Prediche quaresimali.., pp. 183-184.46 C. CALINO, Quaresimale di Cesare Calino della Compagnia di Gesù.
Predica XXXV, In Venezia, MDCCXLVII. Appresso Gio: Battista Recurti, p. 477.47 G. TRENTO, Prediche quaresimali… XXXV. Per lo Venerdì Santo. Sopra la
Passione di Gesù Cristo.., p. 215.
a partecipare al lutto per la morte di Cristo: “Piangete, sì piangetecon amarissimi singhiozzi, che ne avete pur troppo ragione…”
48
. La
stessa scelta fatta da Francesco Zuccarone fu sostenuta da una invet-
tiva nei confronti di un “Mondo scelleratissimo”, che fu causa della
passione
49
. Antonio Caputi presentò la passione di Gesù come la “più
compassionevole tragedia, che è stata, e sarà sempre l’ammirazione
di tutti i secoli”
50
.
Guglielmo De Ségaud si mantiene sullo stesso piano catechetico:
Inspice, & fac secundum exemplar quod tibi in monte monstratum est(Exod. 25.40), rifacendosi alle indicazioni dei Padri, che nella croce
di Cristo individuano la nuova arca di salvezza e la sede dell’inse-
gnamento divino
51
. Con l’uso di una iperbole, dichiara la necessità di
piangere abbondantemente sulle sofferenze di Cristo, giacché solo la
passione di Cristo merita il nostro pianto: “Se mai furono opportunele lagrime per sfogare un gran dolore, oggi vorrei vederle cadere atorrenti, ed a fiumi dalle nostre pupille, perché testificar potesserol’eccessivo dolore, che noi proviamo nel sentirci rammemorarela Passione, Agonia e Morte del nostro Redentore, l’AmabilissimoGesù”
52
.
Paolo Segneri attira l’attenzione degli ascoltatori sulle sofferenze
divine, spingendoli alla compassione, O vos omnes, qui transitis perviam, attendite, et videte, si est dolor sicut dolor meus (Thren 1,12).
Egli ironizza sui peccatori per la vittoria riportata con i loro peccati,
causa della morte di Cristo. Ma proprio ad essi chiede lacrime di
compassione
53
. I. Cesarotti preferisce soffermarsi sulla vittoria di
Cristo sul peccato, la morte e l’inferno per mezzo della croce:
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48 L. SINISCALCHI, Quaresimale.., p. 305.49 F. ZUCCARONE, Prediche quaresimali... Predica 35. Della Passione. Le
sette Braccia del Nilo Inondante, p. 308.50 A. CAPUTI, Sermoni familiari di Sacramento, Novena di Natale, e
Passione di Gesù Cristo…Sermone Primo. Della Passione di Gesù, In NapoliMDCCLXIV, Presso Vincenzo Pauria, p. 225.
51 G. DI SEGAUD, Prediche quaresimali..., pp. 386-387. Dall’osservazionedella croce si passa alla compassione per la profondità delle sofferenze delCristo, per giungere all’afflizione, al pianto e alla penitenza per aver causatocon il peccato la morte di Gesù. La croce, sotto quest’ultimo rapporto, diventail “teatro” dei disordini dell’uomo.
52 Ivi, pp. 421-422.53 P. SEGNERI, Il Quaresimale, Predica XXXV. Nel Venerdì Santo.., p. 537.
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Cum exaltaveritis Filium hominis, tunc cognoscetis, quia ego sum(Gv 8)
54
, seguito da P.- M. Pederoba e dal Pietrarossa: EgoDominus…esaltavi Lignum umile (Ez 17)
55
.
L
a predica della
passione poggia-
va sulla certezza:
“Passione e morte diGesù Signore e Salvador
nostro, questa di quante mai furono, o saranno la più tragica, la piùpietosa storia…”
56
. Sono diverse le motivazioni che autorizzano ad
affermare che “la morte di Gesù Cristo, a guardare le cose anche so-
lo umanamente, è la più bella di tutte le morti, la più commovente
che fosse mai, la più sublime e quella che avesse più dell’eroico”
57
.
Essa si sviluppa sul duplice piano della passione del corpo e dello spi-
rito. Mentre molti hanno sofferto o l’una o l’altra delle passioni, Ge-
sù le ha sofferte insieme, fino ad essere dichiarato l’uomo dei dolo-
ri
58
. In particolare, nel suo animo “…si scatenarono ad sbranarlo qua-
si mastini rabbiosi, e le paure, ed i tedî, e le ansietà, e i crepacuore, e
i desolamenti, e i gemiti, e le agonie!”, mentre nessuna parte del cor-
po fu esentata da speciali tormenti, ed egli stesso fu trascinato al cal-
vario “come un ignominioso giumento”
59
.
Il rapporto peccato-passione di Cristo è ricorrente nella predica
della passione. Per esempio, dopo la flagellazione, che ha ridotto
Gesù “ad un avanzo compassionevole”, l’oratore invita a distogliere
l’attenzione dall’intervento esterno dell’“ingiustissimo presidente”,
degli “empi soldati” e della “giudaica Sinagoga” per rivolgerla a se
stessi, fautori con i propri peccati di “quelle piaghe, che mandano
54 I. CESAROTTI, Sopra Gesù Crocifisso. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., p. 333.
55 P.- M. PEDEROBA, Esaltazione della croce. Orazione, in «NuovissimaCollana Panegirica».., p. 617.
56 G. B. MANZI, Prediche.., p. 335.57 S. A. DI BOULOGNE, Orazione, in «Nuovissima Collana Panegirica»..,
p. 387. Mons. Stefano Antonio di Boulogne (1747-1825), Vescovo di Troyesdal 1808, fu riconosciuto come “eloquentissimo”. È autore di Orazioni varie.
58 P. SEGNERI, Il Quaresimale, Predica XXXV. Nel Venerdì Santo.., pp. 538-540.
59 Ivi, p. 538.
Contenuti teologici
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il sangue a rivi... Miei furono i delitti, o Gesù amabilissimo, e sopra
voi con pietà mista di orrore ne veggo ricaduta tutta la pena.”
60
.
I tanti dolori di Gesù miravano alla conversione del peccatore, pas-
sando per la compassione: “Egli è vero per altro ch’Egli patì tormen-
ti così orribili per impietosirvi di sé, acciocché voi finiste di offen-
derlo più; acciocché veggendo quanto gli costò caro il pagare per li
vostri peccati, foste almeno una volta, senza il voler il piacere di far-
lo patire e morire anche più. Per questo egli morì. Vorreste negare an-
che questo?...”
61
. Fondamentale, quindi, risulta l’aggancio al tema
della soddisfazione dell’eterna irritata Giustizia del Padre62. Gesù,
vittima di espiazione per i peccati degli uomini, ripara per mezzo del
sacrificio della croce le offese all’amore di Dio per essi:“Che la pas-sione, e la morte di Gesù Cristo sia stata in effetto una solenne, unapubblica, una general penitenza, da lui impresa ad oggetto di rende-re soddisfazione condegna alla superna giustizia, e di compiere in talmodo la riparazione del mondo, egli è questo un mistero il più lietoinsieme, e funesto della nostra santissima religione”
63
.
È annunciato con certezza che la vittima divina è una sola ed è suf-
ficiente per redimere l’uomo dal peccato, essendo “d’infinito pregio
e valore”. Tale impegno, assunto “pietosamente” da Gesù, Uomo-
Dio, partecipe della triste sorte degli uomini, fu portato a termine sul
calvario
64
. L’itinerario della sua passione dolorosa si evidenzia
chiaramente in tre momenti particolari: nell’orto degli ulivi, nei tri-
bunali e sul calvario. Nel Getsemani, Gesù detestò il nostro peccato,
60 F. VETTORI, Gesù flagellato. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., p. 251. Cfr. pure G. TRENTO, Gesù flagellato. Orazione, in«Nuovissima Collana Panegirica».., p. 255: “In tal comparsa e in tal abito dipeccatore presentossi all’eterno suo Padre, e ne accese altamente contro di sé,ed armonie il furore; onde cangiatoglisi di padre amoroso in crudele (sono purquesti i termini delle vostre scritture, o mio Dio!) propose di dare in lui al mondoun terribile esempio di sua giustizia…”.
61 A. CESARI, Pel Venerdì Santo. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., p. 355.
62 G. TRENTO, Prediche quaresimali.., p. 221.63 A. L. DE CARLI, Pel Venerdì Santo. Orazione, in «Nuovissima Collana
Panegirica».., p. 356. Cfr. pure I. VENINI, Pel Venerdì Santo. Orazione, in«Nuovissima Collana Panegirica».., p. 361: “Due sono i disordini, che in sécontiene il peccato, ad espiazione del quale fu la passione ordinata di GesùCristo”.
64 G. B. MANZI, Prediche.., p. 336.
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divenendo “vittima spontanea della più rigorosa contrizione, nei tri-
bunali espia il peccato, divenendo “vittima spontanea della più rigo-
rosa soddisfazione e sul calvario, consumando il peccato, divenne
“vittima spontanea della più perfetta nostra riconciliazione”
65
.
Anche se qualche oratore sottolinea il rigore della giustizia divi-
na, osservando il caro prezzo pagato da Gesù
66
, tuttavia, il punto fon-
damentale della dottrina della croce resta l’amore67
. La passione di-
vina, infatti, è presentata come “uno stravagantissimo eccesso per ri-
guardo alla carità di Gesù Cristo”
68
e nella sofferenza di Cristo si leg-
ge il suo amore per noi: “…ecco quell’uomo, che, per redimere gliuomini, fattosi uomo ha sacrificato in fine l’essere stesso di uomo peramor loro. Dite, o creature, capirete mai tanto che basti il prodigio-so eccesso d’un tanto amore?”
69
.
Sulla croce è lucente il trasporto di Gesù per l’uomo peccatore:
“Ma dovre[mo] noi pensare e meditare tanto eccesso di amore, tan-ta grandezza di misericordia senza riconoscerne oggi, e vederne ben-ché estinto il pietosissimo Autore?…E pur sappiate, ch’egli è mortoper carità”
70
. Egli è il “Divino Amante” inviato alla “profana Città”
di Gerusalemme, incapace di condividerne l’amore
71
. Con una anà-
fora (Fuit excessus amoris, fuit excessus doloris), è chiarita la corre-
lazione amore-sofferenza: “Ah mio cuore ben sarai tu di macigno, sepotrai ripensar le cagioni di questi divini affetti senza disfarti in la-grime di dolcezza: Fuit excessus amoris, fuit excessus doloris…”
72
.
65 Ivi, p. 336. Cfr. pure G. GRANELLI, Prediche quaresimali.., p. 186. Lo“stretto motivo delle sue pene” sta tutta nella “terribile soddisfazione dovuta aDio de’ nostri propri peccati”, che riuscì ad atterrire Gesù.
66 C. CONTI GUGLIA, Il mistero della croce.., p. 486. La tesi del Segneri èche “il dolore di Cristo il più grande che uomo abbia sofferto e la condanna diCristo la più ingiusta che mai sia stata pronunziata. Insiste quindi sulla gravitàdel peccato, causa dei dolori e della condanna di Cristo, e quindi sulla neces-sità di una vera conversione”.
67 F. VETTORI, Gesù Crocifisso. Orazione.., p. 313: “L’amore infiammatissi-mo di Gesù, siccome canta la Chiesa, gli è desso il Sacerdote, che lo sacrifica,vittima sanguinosa di redenzione…”.
68 I. VENINI, Pel Venerdì Santo. Orazione.., p. 366.69 G. TRENTO, Prediche quaresimali.., p. 221.70 G. B. MANZI, Prediche.., p. 348.71 M. DEZA, Congr. della Madre di Dio, Prediche quaresimali, Venezia
MDCCXIII, Presso Paolo Baglioni, p. 247.72 Ivi, pp. 248-250.
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Nella predica di passione si parla del terreno e celeste Adamo:
“Innalza, ò terreno Adamo, dal tuo sepòlcro la fronte, e contemplaquanto costano a questo Adamo celèste le tue furtive delizie. Miracon qual abisso di pene si scontano le velenose dolcezze del tuoParadiso”
73
. Egli è pure l’”innocentissimo Agnello”, sopraffatto
dai peccati del mondo, presentati come “aspidi, vipere, dragoni…
ircane tigri, fieri leoni… cani sordidi, ed impuri… tori implacabili,
e furibondi… lupi, e arpie voraci”
74
.
S
timo più avvin-
cente presentare
qualche nota su
questo argomento, trala-
sciando l’argomento del-
le figure bibliche e storiche ricorrenti nell’intero racconto della pas-
sione di Gesù, quali esemplari della sofferenza umana. Quella di Cri-
sto le supera tutte per intensità e specifici tratti.
Dopo la proposizione, ricorre l’accenno alla croce, presentata co-
me “il sublime, l’ammirabile, il più nobile oggetto di nostra fede,l’esca più dolce della nostra speranza, il compimento perfetto ed ul-timo della carità, il centro di tutti i misteri, il Mistero adorabile del-la Croce…Fulget Crucis mysterium”
75
. La predica prendeva le mos-
se dall’adorazione della croce
76
. I primi riferimenti ad essa sono un
elogio per i benefici arrecati all’umanità. Presentata da Gesù stesso
come esaltazione (esaltamento), la croce non è ritenuta più come
il “più vile, e il più obbrobrioso di tutti i supplicii umani”, ma, al
contrario, come un “maestoso seggio di regno, e tribunal si suprema
giudicatura”
77
.
73 Ivi, p. 247.74 Ivi, p. 250.75 S. LA FONTAINE, La Croce. Orazione Prima, in «Nuovissima Collana
Panegirica».., pp. 578-579.76 I. VENINI, Per la Passione di Nostro Signore. Orazione. Pel Venerdì
Santo, in «Nuovissima Collana Panegirica».., p. 361: “Entriam però subito nelcammino, divota mossa prendendo dall’adorazion della croce”.
77 Q. ROSSI, Sopra le Sacre Spine. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., p. 546. L’oratore afferma: “Come la croce fu l’asta di cui si valseGesù a sterminare i tartarei nemici nostri, e a rapir loro quel regno, che soprail genere umano usurpato avevano, così le spine si furono la corona, che il
Inno alla croce
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Tali lodi sono inserite nella predica di passione subito dopo la de-
scrizione dell’ambiente di lutto che avvolge l’ambiente sacro: “….idisadorni altari, il Santuario spogliato, i lacrimosi ministri, e i lietiarredi di gloria mutati in divise nere di morte, e gli stromenti dellagiocondità e del gaudio a mestizia volti, ed a lutto…”
78
. Queste ini-
ziali considerazioni spingono efficacemente al pianto: “Piangete, sìpiangete con amarissimi singhiozzi, che ne avete pur troppo ragio-ne…”
79
. Vi partecipa anche la società, cessando da attività nei teatri
e nelle assemblee, mentre gli impieghi diventano più conformi al tem-
po, come segno “di aver più viva la fede del Crocifisso”
80
.
Si alzano lamenti dai pulpiti (“Ahi di me!...”) verso il Crocifisso e
se ne annunziano le prerogative di “redentore, padre, sposo, bene, tut-
to, Dio, unigenito del Padre, bellezza degli Angeli, gloria de’ Santi,
perdono dei peccatori, ristoro dei poveri, allegrezza dei giusti, spe-
ranza dei disperati, spirito d’ogni anima, anima d’ogni cuore, cuor di
tutti i mortali, ecc.”
81
. Segue una accorata sintesi dei fatti principali
della passione, si accentuano la barbara maniera della morte e la par-
tecipazione della natura colpita da “alto raccapriccio” per un “sì com-
passionevole spettacolo”
82
.
Segue l’invocazione alla croce, celebrata con vari esaltanti appel-
lativi: “bell’Albero di vita, Arca della salute, base e colonna del Mon-do cadente, Scala misteriosa del vero Giacobbe, legno fortunato, uni-co avanzo del sanguinoso naufragio del celeste Giona”
83
. Qualcuno
ricorse all’Ave Maria, riconoscendo alla croce di Cristo le stesse qua-
lità attribuite alla Vergine Satissima: Ave sancta Crux, gratia plena,Dominus tecum, benedicta tu inter omnia ligna sylvarum, & benedic-tus fructus ligni tui Jesus. Sancta Crux, Sponsa Dei, esto refugiumnobis peccatoribus nunc, & in ora mortis nostrae. Amen84
. A tutti,
Padre eterno serbava a cerchiar la fronte di questo prode e invincibileConquistatore: mysterium erat corona spinea”.
78 I. VENINI, Per la Passione di Nostro Signore. Orazione.., in «NuovissimaCollana Panegirica».., p. 361.
79 L. SINISCALCHI, Quaresimale.., p. 305. 80 I. VENINI, Per la Passione di Nostro Signore. Orazione.., in «Nuovissima
Collana Panegirica».., p. 361.81 L. SINISCALCHI, Quaresimale.., p. 305.82 Ivi, pp. 305-306.83 Ivi, p. 306. 84 M. DEZA, Prediche quaresimali.., p. 246. Cfr. G. DI SEGAUD, Prediche
quaresimali.., p. 388.
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infine, è rivolto l’invito a ricorrere a lei, come a scuola di vita, per
ascoltare le lezioni amorose di un padre moribondo
85
.
Seguendo l’itinerario stabilito dall’oratoria sacra, dalla contem-
plazione si passava agli affetti. I predicatori potevano utilizzare qual-
che tavola sintetica di “Sentimenti, dai quali un cuore cristiano de-ve essere compreso alla vista della Croce”, i principali dei quali si
riferivano alla confidenza nell’azione divina, al dolore dei peccati,
alla gratitudine e all’amore
86
. La visione della croce, se dava origi-
ne alla “confusione”: “Vedete fino a che avete spinto il vostro furo-re! un Dio Crocifisso! Peccatori, riconoscete l’opera delle vostremani!...”, più opportunamente dimostrava la tenerezza di Dio e la
sua “prodigiosa misericordia” con la distruzione della nostra con-
danna (chirografo). Tutto ciò abilita a gettarsi tra le braccia di Dio,
come in un “asilo sacrato”
87
. Era convinzione comune che la croce
fosse l’antidoto del peccato e il segno della salvezza. Tutto si con-
clude con la richiesta della benedizione
88
.
Q
uesta limitata
presentazione
dei contenuti
della predica di passio-
ne non può ridurre
l’impegno di approfondire i temi che la compongono, quali la
giustizia divina, la teologia della croce, il moralismo, ma anche lo
stile dell’oratoria del tempo e il modo di esporre il tema, specie
con l’impiego di figure letterarie, il ricorso alle immagini di
natura, la predilezione scenica del racconto. La compassione
e la conversione, però, richiedono un ulteriore approfondimento.
L’intera predicazione quaresimale si proponeva, infatti, di
“svegliare e rinvigorire la pietà dei cristiani, la loro comprensione
della dottrina dogmatica e morale, la loro docilità alla Chiesa,
sì da portarli ad attuare o a rinnovare, con spirito fatto attento e
consapevole, la loro conversione”
89
.
85 G. DI SEGAUD, Prediche quaresimali.., p. 387.86 G. DI MONTARGON, Dizionario Apostolico.., Vol. Terzo, pp. 265-268.87 Ivi, p. 217.88 Ivi, p. 240.89 A. PRANDI, Il tema della passione.., pp. 505-506.
Conclusione
CARMELO TURRISISapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
pastoralee
spiritualità
spiritualità194
Vi si giungeva con la presentazione al pubblico di vari argomenti
religioso-morali, tra i quali la narrazione della passione di Gesù in-
serita al venerdì santo. In essa appare prevalente il fine della genera-
le rinascita spirituale (“miglioramento di nostra vita”)
90
. Al rifiuto del
peccato e alla conversione, si giungeva partendo dalla compassione,
non “fuggevole”, ma intrisa di dolore per le sofferenze di Gesù,
sulle quali piangere “per tenerezza di compassione” e generare un
“fervido pentimento” dei propri peccati
91
. Veniva suggerito di guar-
dare con ammirazione le pene di Gesù e di farne continua memoria
con l’esercizio della meditazione: “Questo, questo, Uditori miei, è ilmodo da consolare il nostro amoroso Signore tanto angosciato pernoi, meditare la sua Passione; ma a nostro profitto, a miglioramen-to di nostra vita, che è l’unico solo fine da lui preteso nel soffrirlacon tanta costanza…”
92
.
I fedeli erano spinti a evitare di rassomigliare a quelli che la Scrit-
tura considera pertranseuntes o praetereuntes (Mc 15,19), i quali,
cioè, “sol di passaggio miravano il Signore pendente in Croce” pro-
seguendo poi il loro cammino, trattenendosi, invece, “sul Calvario
fin alla fine del sacrificio”. La motivazione sta tutta nel pericolo di
rimanere peccatori come i primi, o nella possibilità di cambiare vita
dopo aver contemplato “l’invitta pazienza” di Cristo in croce
(Lc 23,48)
93
. L’abbandonarsi alla compassione, dalla quale far
scaturire “una inconsolabile contrizione, sfociando nella riparazione
e nel pianto”, risulta una tappa obbligata del cammino cristiano in
compagnia di Gesù
94
.
A ciò mirava principalmente la predica di passione.
90 A. CAPUTI, Sermoni familiari...Sermone sesto. Della Passione di nostroSignore, p. 260.
91 L. SINISCALCHI, Quaresimale.., p. 318. Cfr. pure I. VENINI, Pel VenerdìSanto. Orazione, in «Nuovissima Collana Panegirica».., p. 367.
92 A. CAPUTI, Sermoni familiari...Sermone sesto. Della Passione di nostroSignore, p. 260.
93 S. A. DI BOULOGNE, [Pel Venerdì Santo]. Orazione, in «NuovissimaCollana Panegirica».., p. 389. Cfr. Sermone primo. Della Passione di nostroSignore, (Ivi, p. 226); Sermone sesto. Della Passione di nostro Signore, (Ivi, p.258): ”Coloro, che, o non pensano alla Passione di nostro Signor Gesù Cristo,o pur vi pensano, ma sol di sfuggita, pertranseuntes, non arrivan a trarne giàla medicina pei loro mali. Sempre restan imperfetti, quali si trovano sempre one’ medesimi peccati, o nelle medesime occasioni esposti”.
94 I. VENINI, Pel Venerdì Santo. Orazione, in «Nuovissima CollanaPanegirica».., p. 367.
spiritualità
La “predica di passione”175-198
pastoraleespiritualità
195
Sulla predicazione del secolo XVIII, compresa quella di passione,
incombe il dubbio che non fosse nutrita di “ispirazione veramente
evangelica”. Vi predomina, infatti, un “moralismo insistente, analiti-
co, senza slanci”, indirizzati unicamente alla “deplorazione, poche
volte, anch’essa, dura e tragica, abitualmente stemperata, remissiva,
sfumata”. Rispetto ad “una genuina spiritualità cristiana, essa risulta
fioca e incerta
95
. I suoi frutti si limitavano a far “fremere e piangere”
e a suscitare fervore. Tuttavia, non si mostrava efficace “davanti al-
l’irreligione alle porte o già insinuata più o meno palesemente nella
cultura e nelle classi socialmente dominanti, nonostante il suo allar-
mismo, talvolta frenetico e spesso angoscioso”
96
. Alla catechesi tri-
dentina e alla predicazione del ‘700 è stata rivolta anche l’appunto di
astrattismo e di «desolante povertà»
97
.
Approfondire questi rilievi analizzando le prediche di passione dei
più affermati oratori del Settecento, tra i quali emergono gesuiti, bar-
nabiti, aiuterebbe a provare, tra l’altro, la realtà della devozione po-
polare alla Passione del Signore.
THE “PREACHING OF THE PASSION”
The time of Pietro Frasa (1678-1711)
by Carmelo Turrisi, C.P.
Research, based on an analysis of the preaching on the Passion ofvarious preachers of the seventeenth century, aims at clarifying thesubstance of the devotion to the Passion of Jesus. This was theobject of the preaching that was done primarily during Lent, espe-cially directed toward Good Friday. On one hand, these preachersundertook the task of developing the structure and the content ofthese topics, even though there were limited by predefined formatsor templates. On the other hand, they could not anticipate eventualcultural insights and developments, for example the relationshipbetween the cross and theology, the “kenosis” of Jesus including on
95 A. PRANDI, Il tema della passione.., p. 511.96 Ivi, p. 512.97 C. CONTI GUGLIA, Il mistero della croce.., p. 488.
ENG
the cross, freedom and service, etc. Instead the preachers aimed atevoking compassion and urging the faithful to repentance for theirsins. To this was added the exasperation of moralizing. The authorattempts to further development these points.
LA «PREDICATION DE LA PASSION»
LE TEMPS DE PIETRO FRASA (1678-1711)
De Carmelo Turrisi c.p.
La recherche, conduite sur des analyses de « passions » de célèbresprédicateurs du dix-huitième siècle, entend éclairer la solidité de ladévotion à la passion de Jésus. Elle fut l’objet de la prédication, sur-tout durant le carême, plutôt que réservée au Vendredi saint. D’uncôté on peut avancer à propos de ces compostions oratoires qu’el-les tendent à se ressembler dans leur structure et dans leurs conte-nus, puisque liées à des schémas ou textures prédéfinies ; d’un autrecôté, on peut dire qu’elles n’envisageaient pas d’ultérieurs appro-fondissements et développements culturels, par exemple sur le rap-port entre croix et théologie, sur la kénose vécue par Jésus jusqu’àla croix, sur la liberté et le service, etc. Les prédicateurs visaient, aucontraire, à faire naître la compassion et à stimuler les fidèles àfaire pénitence pour leurs péchés. On en arrivait, en particulier, àl’exaspération du moralisme. L’auteur entend continuer à approfon-dir ces arguments.
EL “SERMÓN DE PASIÓN”
El tiempo de Pedro Frase (1678-1711)Por Carmelo Turrisi CP
La investigación, llevada a cabo sobe el análisis de las predica-ciones de la Pasión de varios oradores célebres del 1700, intentaaclarar la solidez de la devoción a la Pasión de Jesús. Dichadevoción fue objeto de la predicación, generalmente cuaresmal,que se reservó para el Viernes Santo. Por una parte se puedeavanzar que estos componentes oratorios tenían que asemejarseen la estructura y en los contenidos, porque estaban unidos a
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FRA
ESP
esquemas o exposiciones predefinidas, y de no fijarse en ulterioresprofundizaciones o desarrollos culturales, p.e. la relación entre lacruz y la teología, la kénosis vivida por Jesús hasta la muerte, lalibertad y el servicio, etc. Los oradores se ponían como objetivo,por el contrario, suscitar la compasión y empujar a los fieles alarrepentimiento de los pecados. A esto se unía, particularmente, elanhelo del moralismo. El autor intentar continuar en la profundi-zación de estos argumentos.
DIE PASSIONSPREDIGTDie Zeit des Pietro Frasa (1678 – 1711)
von Carmelo Turrisi CP
Die Forschung, die sich mit der Analyse von Passionspredigtenverschiedener berühmter Redner des 18. Jahrhunderts beschäftigt,sucht den Gehalt dieser Passionsfrömmigkeit zu klären. DiePredigten wurden zumeist in der Fastenzeit und in besondererWeise am Karfreitag gehalten. Einerseits wird deutlich, dass diePredigten in Aufbau und Inhalt sehr ähnlich sind, weil sie vorge-fertigten Schemata und Entwürfen folgen. Andererseits zeigt sich,dass eine weiterführende Durchdringung der Thematik sowiederen kulturelle Anpassung fehlen, wie z. B. eine theologischeKlärung des Verhältnisses von Kreuz und Theologie, der KenosisJesu bis hin zur Kreuzigung, der Beziehung von Freiheit undUnterwerfung usw. Das Ziel der Prediger bestand demgegenüber darin, bei denGläubigen Mitgefühl zu wecken und sie zur Reue über die eigenenSünden zu bewegen. Und sie taten dies auf eine intensiv moralisie-rende Weise. Der Autor hat die Absicht, diese Themen noch zuerweitern und zu vertiefen.
spiritualità
La “predica di passione”175-198
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GER
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KAZANIE PASYJNE
CZASY PIETRO FRASY (1678-1711)
Carmelo Turrisi CP
Badania oparte na analizie kazań pasyjnych różnych sławnychmówców z XVII w. ma na celu ukazanie rozbudowanej pobożnoścido męki Jezusa. Była ona przedmiotem przepowiadania przynajm-niej w okresie Wielkiego Postu, który zachował dla niej WielkiPiątek. Z jednej strony można wykazać tym mówcom, że są do siebiepodobni jeśli chodzi o strukturę i treść, ponieważ byli związani zgóry określonymi schematami czy kanwą. Nie wysilali się zaś, bybyć twórczymi na polu kultury, na przykład ukazując związek międzykrzyżem a teologią, kenozę przeżytą przez Jezusa aż po śmierć nakrzyżu, wolność i służbę itd. Mówcy ci stawiali sobie natomiast zacel budzenie współczucia i skłanianie wiernych do żalu za grzechy.Zmierzano do tego szczególnie poprzez przesadne moralizowanie.Autor stara się kontynuować i pogłębić te zagadnienia.
POL
spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
pastoraleespiritualità
di ALBERTO FRASSINETI 1
Questa relazione presentata al Seminario di studio L’agiresociale alla luce della teologiadella Croce, della CattedraGloria Crucis, intende mostrarecome dalla Croce in quantomanifestazione di un Dio che èAmore e Dono, nascano oggiprogetti estremamente concreti - eperaltro estremamente urgentiper la vita dell’umanità - di eco-nomia solidale, veramente liberadalla dittatura del profitto.
I
l progetto “Eco-
nomia di Co-
munione nella
libertà” (EdC) si inse-
risce in quel filone di
esperienze che ricercano soluzioni capaci di coniugare le esigenze di
mercato con quelle solidaristiche, superando così quella concezione
L’ECONOMIADI COMUNIONEISPIRATA DA CHIARA LUBICHE L’IMPRESCINDIBILITÀDELLA FRATERNITÀ
199
Introduzione
1 Alberto Frassineti, laureato in ingegneria nucleare all’Università di Bolo-gna, ha proseguito la sua formazione nell’area della direzione aziendale e stra-tegica e dell’organizzazione. Da alcuni anni è consulente per alcune congrega-zioni e istituti religiosi. Già consigliere di amministrazione della E. di C. SpA,ha contribuito alla ideazione e realizzazione del Polo Lionello Bonfanti, polo ita-liano delle aziende aderenti al progetto di Economia di Comunione. Collabora,in qualità di docente, con l’Università degli Studi di Milano Bicocca nel Masterin economia civile e non profit, con la Business School del Sole 24 Ore nel Ma-ster “Diritto e impresa”, con l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), nelcorso Economia e management, con l’Università di Bologna nel Corso di AltaFormazione per le istituzioni religiose “Benedetta Bianchi Porro”, oltre a semina-ri e docenze presso altri Istituti.
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APRILE-GIUGNO 2010
pastoralee
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spiritualità200
tradizionale di economia, che ha come primo e solo obiettivo il pro-
fitto e proponendo un modello economico basato sulla persona in rap-
porto di reciprocità con gli altri. Ogni concezione dell’agire econo-
mico è certamente il frutto di una cultura specifica e di una precisa
visione del mondo. Quindi per comprendere l’economia di comunio-
ne occorre innanzitutto tenere presente l’esperienza spirituale e di vi-
ta da cui è stata originata, un’esperienza che ha al suo centro il cari-
sma dell’unità e come protagonista una donna del nostro tempo, Chia-
ra Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari.
Fra le intuizioni fondamentali e più feconde di Chiara Lubich vi è
stata la consapevolezza che il carisma dell’unità è necessario per rea-
lizzare quella «spiritualità di comunione» che sempre più si presen-
ta come il modus vivendi della Chiesa nel terzo millennio, come ha
sottolineato lo stesso Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica No-vo millennio ineunte: «comunione (koinonìa) che incarna e manife-
sta l’essenza stessa del mistero della Chiesa. La comunione è il frut-
to e la manifestazione di quell’amore che, sgorgando dal cuore del-
l’eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci do-
na (cfr Rm 5,5), per fare di tutti noi “un cuore solo e un’anima sola”
(At 4,32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si
manifesta come “sacramento”, ossia “segno e strumento dell’intima
unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”»
2
.
Tipico del Movimento dei Focolari è la cosiddetta «cultura del
dare», che sin dall’inizio si è concretizzata in una comunione dei
beni fra tutti i membri ed in opere sociali anche consistenti. Essa si
fonda sulla concezione che l’uomo trova la sua realizzazione soprat-
tutto nel rapporto con gli altri, rapporto che ha il suo momento più
significativo nell’atto di donare. È aperta alla solidarietà ed alla
condivisione, accantona la logica dello spreco e dell’accumulo,
promuove non tanto la lotta per prevalere, ma l’impegno per
crescere insieme, per attuare un uso moderato dei beni, ha come
caratteristiche la gratuità e il rispetto della dignità dell’altro.
Da questo stile è nato il progetto di Economia di Comunione.
2 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 01), 42
spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
pastoraleespiritualità
201
S
entiamo diretta-
mente dalle
parole di Chiara
Lubich le origini del
progetto:
“Durante un mio incontro con la comunità del posto, nel maggio1991, l’Economia di Comunione è emersa a San Paolo nel Brasile,dal cuore di un Paese dove si soffre in maniera drammatica del con-trasto sociale fra pochi ricchissimi e milioni di poverissimi. Lapovertà aveva fatto la sua comparsa anche fra qualche migliaio dei250.000 aderenti al Movimento e, ciò che già si faceva con la comu-nione dei beni fra i singoli, non bastava più3. «Mi era sembrato,allora, che Dio chiamasse il nostro Movimento a qualcosa di più edi nuovo. Pur non essendo esperta in problemi economici, ho pen-sato che si potevano far nascere fra i nostri aderenti delle aziende,in modo da impegnare le capacità e le risorse di tutti per produrreinsieme ricchezza a favore di chi si trovava in necessità. La lorogestione doveva essere affidata a persone competenti, in grado difarle funzionare efficacemente e ricavarne degli utili. Questi dove-vano essere liberamente messi in comune»4. Di questi utili partesarebbero serviti per incrementare l’azienda; parte per aiutarecoloro che sono nel bisogno, dando la possibilità di vivere in modoun po’ dignitoso, in attesa di un lavoro, od offrendo loro un posto dilavoro nelle stesse aziende, infine, parte per sviluppare le struttureper la formazione di uomini e donne motivati nella loro vita dalla«cultura del dare», «uomini nuovi», perché senza uomini nuovi nonsi fa una società nuova”5.
Tale idea è stata accolta con entusiasmo non solo in Brasile e
nell’America Latina, ma anche in Europa e in altre parti del mondo.
Molte aziende sono nate, e altre già esistenti hanno aderito al pro-
getto, modificando il proprio stile di gestione aziendale. Oggi le
3 Chiara Lubich, Relazione al Consiglio d’Europa, 31 maggio 1999, in Chia-ra Lubich, L’economia di comunione, Città Nuova, 2001; Chiara Lubich, Lectiodella Laurea H. C. all’Università Cattolica di Piacenza, 29 gennaio 1999, inChiara Lubich, L’economia di comunione, Città Nuova, 2001.
4 Chiara Lubich, Lectio della Laurea H. C. all’Università Cattolica di Piacen-za, 29 gennaio 1999, in Chiara Lubich, L’economia di comunione, Città Nuo-va, 2001.
5 Ibid., 3.
Le origini del progetto
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spiritualità202
aziende EdC sono 761, di cui 194 operano nella produzione, 161 nel
commercio e 327 nei servizi. In maggioranza si tratta di piccole
aziende, ma 10 di esse hanno più di 100 dipendenti e 15 più di 50.
L
’impresa di eco-
nomia di comu-
nione, come ci
ricorda Benedetto XVI
nella Caritas in Veritate
al numero 46 “non esclude il profitto, ma lo considera strumento per
realizzare finalità umane e sociali”
6
. Dall’EdC emerge la proposta di
un’attività economica a più dimensioni, dove il mercato deve dar spa-
zio al suo interno anche al dono e alla redistribuzione.
Il condividere gli utili è un aspetto fondamentale del progetto, ma
non è l’unico. Il processo redistributivo non agisce solo nel momen-
to della distribuzione degli utili, ma operare in economia nella dimen-
sione della «comunione» richiede che lo sviluppo, obiettivo dell’at-
tività economica, non può più essere misurato solo con i parametri
della crescita economica. L’uomo non può essere considerato solo
nelle sue dimensioni di consumatore o produttore, ma anche come
centro di relazioni che ne influenzano il grado di felicità. Ciò signi-
fica che gli utili aziendali vanno ottenuti ponendo al centro dell’at-
tenzione le esigenze e le aspirazioni della persona e le istanze del be-
ne comune. Concretamente, per fare alcuni esempi, significa offrire
prodotti e servizi di qualità al giusto prezzo, trattare con giustizia i
lavoratori, pagare le imposte, non inquinare, mantenere buoni rap-
porti con fornitori, clienti e concorrenti, cooperare con altre realtà
aziendali e sociali presenti nel territorio, con uno sguardo anche ai
problemi internazionali.
Per tale ragione queste imprese le potremmo definire socialmen-te responsabili per motivazioni intrinseche, perché i suoi imprendi-
tori hanno interiorizzato valori etici che esprimono nell’attività quo-
tidiana. È questo il bene più grande che l’Economia di Comunione
genera per la società intera.
Caratteristiche dell’impresa EdC
6 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate (29 giugno 2009), 46.
spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
pastoraleespiritualità
203
T
orniamo per un
momento alla
storia dell’ispira-
zione di Chiara Lubich.
Anni prima, contem-
plando dall’alto il santuario mariano e le costruzioni del grande com-
plesso benedettino di Einsiedeln in Svizzera, Chiara aveva sognato
che anche le cittadelle del Movimento (oggi oltre 30 nel mondo spar-
se nei 5 continenti) sapessero un giorno esprimere nella loro vita ci-
vile ed economica il carisma che le aveva originate. Con l’EdC quel
sogno diventava possibile: nella cittadella del Brasile fin dal 1991 è
nato nelle sue immediate vicinanze il primo polo imprenditoriale: il
Polo Spartaco. Sono seguiti e sono già attivi il Polo Argentino e quel-
lo Italiano. Altri 5 poli sono in fase di realizzazione nel mondo: Bra-
sile (Recife), Portogallo, Croazia, Francia, Belgio.
I “Poli imprenditoriali” rendono visibile la realtà dell’EdC e pos-
siamo dire che in essi si giocano diverse sfide:
- della singola azienda aderente al progetto EdC che viene a inse-
diarsi al polo e si pone in rapporto con esso e la cittadella
- delle aziende costituenti il Polo tra di loro, perché il polo è un la-
boratorio permanente al cui interno si sperimenta ogni giorno con-
cretamente l’economia di comunione: sia nella vita all’interno delle
aziende, che nella vita delle aziende tra loro; questa vita diventa poi
sale e lievito per tutte le aziende EdC sparse sul territorio, per tutti
quelli che vi lavorano, per tutti i fornitori e i clienti e i visitatori che
passano, per gli altri poli nel mondo
- del rapporto tra il Polo con il territorio circostante e le varie re-
altà dell’economia civile e delle istituzioni (comune, provincia, re-
gione, nazione).
Questo progetto negli
anni ha attirato l’atten-
zione del mondo acca-
demico, di economisti,
sociologi, filosofi e
studiosi di altre discipline che trovano in questa nuova esperienza e
nelle idee e categorie ad essa sottostanti, motivi di profondo interes-
se. In particolare, nella categoria della «comunione» alcuni intrave-
dono una nuova chiave di lettura dei rapporti sociali, che potrebbe
I Poli imprenditoriali
Il mondo accademico
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spiritualità
spiritualità204
contribuire ad andare oltre l’impostazione individualistica che pre-
vale oggi nella scienza economica. A questo proposito sono più di
250, ad esempio, le tesi di laurea riguardanti il tema dell’Economia
di Comunione nelle più diverse discipline. Numerosi anche i con-
gressi accademici e le pubblicazioni scientifiche. Nel gennaio 1999
Chiara Lubich ha ricevuto la laurea honoris causa in Economia
dall’Università Cattolica di Piacenza.
F
in qui una breve
rassegna sulla
storia e sui conte-
nuti dell’economia di
comunione.
Quando Chiara Lubich parlava degli indigenti, così li descriveva:
«Non mancano di tutto, ma di qualcosa. Hanno bisogno, ad esem-pio, di togliersi dall’animo l’assillo che li opprime notte e giorno.Hanno necessità d’essere certi che loro e i loro figli avranno da man-giare; che la loro casa, a volte una baracca, un giorno cambierà vol-to; che i bambini potranno continuare a studiare; che quella malat-tia, la cui cura costosa si rimanda sempre, potrà finalmente essereguarita; che si potrà trovare un posto di lavoro per il padre. Sì, sonoquesti i nostri fratelli nel bisogno, che non di rado aiutano anche lo-ro, in qualche modo, gli altri. Sono un “tipo” di Gesù ben preciso,che merita il nostro amore e che ci ripeterà un giorno: “Avevo fame,ero nudo, ero senza casa o con la casa rovinata…e voi…”. Sappia-mo cosa ci dirà»7
.
Allora se vogliamo comprendere meglio perché davanti ai poveri
delle favelas, davanti alla miseria e all’iniquità della redistribuzione
Chiara Lubich non ha detto “facciamo sorgere un centro studi, o stu-
diamo una nuova economia, o sollecitiamo la politica” ma ha rispo-
sto lanciando l’economia di comunione, dobbiamo andare al cuore
del carisma e spingerci fino al 1949, quando, a conclusione di una
profonda esperienza di Dio scrive:
“Ho un solo sposo sulla Terra: Gesù crocifisso e abbandonato.
7 Chiara Lubich, Convegno internazionale di Economia di Comunione, Ca-stelgandolfo (RM), 5 aprile 2001, Quattro aspetti dell’economia di comunioneda sottolineare.
L’imprescindibilità della fraternità
spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
pastoraleespiritualità
205
Non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il paradiso con la Trini-tà e tutta la terra con l’umanità. Perciò il Suo è mio e null’altro. Esuo è il dolore universale e quindi mio. Andrò per il mondo cercan-dolo in ogni attimo della mia vita. (...) Così prosciugherò l’acqua del-la tribolazione in molti cuori vicini e per la comunione con lo Spo-so mio onnipotente, lontani...” (…)8.
La scelta di vita di Chiara Lubich: ho un solo sposo sulla terra
Gesù Abbandonato, davanti agli indigenti delle favelas, veri croce-
fissi viventi del nostro tempo, si declina: dobbiamo far sorgere delle
imprese o trasformare quelle che esistono per aiutare questi poveri e
mettere gli utili in comune.
Quel grido di dolore, di miseria, di abbandono del povero, del
misero è il grido di Gesù-Dio umanità sulla croce e noi non possia-
mo lasciarlo cadere per motivazioni economiche e imprenditoriali
anche giuste e sante, pena il nostro non essere di Cristo e con Cristo.
Ma ancora di più: quel grido dell’indigente arriva dritto al cuore di
Dio anche attraverso il nostro cuore, che è telegrafo e cassa di riso-
nanza verso Dio e verso tutti gli uomini.
Gli indigenti in questa prospettiva non sono a valle dell’impresa
e dell’economia, se resta qualcosa per loro, ma l’economia di comu-
nione porta i poveri e i loro bisogni a progetto dell’impresa: fare
impresa per aiutare gli indigenti è il movente per cui le imprese di
EdC nascono o si trasformano. Gli indigenti, perché fratelli, sono
un partner imprescindibile del progetto, dove donano i loro bisogni.
Ci ammonisce il papa al n. 35 della Caritas in Veritate: “I poveri nonsono da considerarsi un « fardello », bensì una risorsa anche dalpunto di vista strettamente economico”9.
Chiara Lubich non immagina un nuovo modo di fare filantropia,
e non si ferma nemmeno alla solidarietà: declina la fraternità che
discende direttamente da quel Dio in croce che muore per dare a tutti
la stessa dignità di fratelli, per farci tutti fratelli. Da questa sorgente
scaturisce la fraternità universale che apre e chiude il cerchio del-
l’impresa.
Il tema della comunione è dunque centrale in tutta l’EdC, che non
è un progetto dove ricchi imprenditori danno le briciole della loro
8 Chiara Lubich, Scritti Spirituali, vol. 1, L’attrattiva del tempo moderno, Cit-tà Nuova, Roma pag. 45.
9 Cfr. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate (29 giugno 2009), 35.
ALBERTO FRASSINETISapCr XXV
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spiritualità206
tavola ai “poveri”, ma fratelli che aiutano fratelli, mostrando un
brano di umanità dove si vive, anche in economia, la fraternità, cer-
cando di mettere in pratica tutti gli aspetti della reciprocità.
Come ci ricorda Luigino Bruni nel Dizionario di Economia
Civile:
“La tradizione della scienza economica non conosce la catego-ria della fraternità. Conosce alcuni concetti con essa confinanti,come solidarietà, mutualità, filantropia o altruismo; parole cheassomigliano ma che non sono la fraternità. (…) Si possono aiuta-re i poveri con la filantropia o con il welfare state (ed è quanto l’at-tuale cultura fa), (…) si può essere solidali senza essere prossimi,restando immuni. La fraternità e sempre un’esperienza di prossimi-tà, di “contaminazione”10.
La fraternità obbliga ad un nuovo atteggiamento che supera la
solidarietà e diventa condivisione, portando dentro la sfera del pri-
vato, del mio privato, l’altro con le sue conseguenze positive ma
anche con il dramma del dolore, e questo invade e pervade la vita.
Così la fraternità apre drammaticamente alla dinamica delle relazio-
ni, e quindi alla benedizione e alla ferita che può venirmi dall’altro
11
.
In definitiva la fraternità apre le porte al contagio con l’altro e al
fatto di rischiare di morire per l’altro, come fa Gesù sulla croce.
Nessun comunitarismo, né socialismo, né capitalismo illuminato:
semplicemente il tentativo di riportare la fraternità nella sfera pub-
blica e del mercato. La libertà e l’uguaglianza resteranno sempre
incomplete, anzi creeranno barriere in nome della civiltà e della
ragionevolezza se non metteremo in gioco al loro pari anche la fra-
ternità.
E la fraternità non è patrimonio di classi sociali o di livelli di
benessere. Una giovane brasiliana, che attraverso l’Economia di
Comunione aveva ricevuto l’aiuto per poter prendere tutto l’anno
l’autobus per andare a scuola, avendo per alcuni giorni evitato di
spendere i soldi dell’autobus, ha voluto restituire i pochi spiccioli
risparmiati perché si aiutassero altri. Ancora un’altra esperienza:
“Vivo in India. Sono una lavandaia con quattro figli: mi sono amma-lata e non potevo più fare lavori pesanti. Con quanto ho ricevuto ho
10 Luigino Bruni, Stefano Zamagni edd., Dizionario di economia civile, CittàNuova, Roma 2009, pag. 439.
11 Su questo argomento cfr. Luigino Bruni, La ferita dell’altro, Il Margine,2007.
pastoraleespiritualità
spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
207
improvvisato un negozietto sotto casa mia in uno slum. Con il frigo-rifero posso fare il ghiaccio e i ghiaccioli per guadagnare il neces-sario per vivere e grazie a questo posso anche condividere quantoricavo. Tante volte infatti divido a metà il riso per darlo ai vicini chenon hanno da mangiare”
12
.
Per quello che riguarda l’aiuto agli indigenti, nel 2009 con un
terzo degli utili raccolti, uniti ad altro denaro proveniente dalla
comunione dei beni tra i membri del Movimento dei Focolari, sono
state aiutate circa 3000 famiglie nel mondo, e le somme sono state
utilizzate per necessità primarie come il sostentamento alimentare,
la scolarizzazione di base, l’assistenza medica, l’abitazione
13
.
U
n altro terzo
degli utili
viene destinato
alla formazione di
uomini nuovi.
Dice Chiara Lubich nel 2001 che : gli “uomini nuovi” non pos-sono mancare nel gestire l’Economia di Comunione, “uomininuovi” che sono uomini rinnovati dalla Sapienza del Vangelo14.
E così li descrive:
certi laici di oggi hanno qualcosa di particolare. Essi non si accon-tentano di realizzarsi con un lavoro, con una carriera, o con la sem-plice vita di famiglia. Non basta più; non sono sazi, non si sentonose stessi, se non si dedicano anche esplicitamente all’umanità. Percui quel decidere di impegnarsi nell’Economia di Comunione, anzi-ché esser loro di peso, è di gioia, per aver trovato il modo di realiz-zarsi pienamente. Ed è un fatto che commuove: potrebbero mettersiin tasca quegli utili guadagnati, comprare la pelliccia alla signora,nuovi doni ai bambini, la macchina al figlio... Ma non lo fanno,vivono per un grande Ideale e sono coerenti. E si santificano nonnonostante la politica, l’economia ecc., ma proprio nella vita poli-tica, in quella economica ecc.15
.
12 Notiziario “Economia di Comunione – una cultura nuova”, www.edc-online.org.
13 Rapporto sulla destinazione degli utili anno 2009, www.edc-online.org. 14 Ibid, 7. 15 Ibid, 7.
Gli uomini nuovi mossi dalla gratuità
ALBERTO FRASSINETISapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
pastoralee
spiritualità
spiritualità208
Gli uomini nuovi che si impegnano nel progetto stanno a mostra-
re, come dice Benedetto XVI nella Caritas in Veritate al numero 36
che “ nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica deldono come espressione della fraternità possono e devono trovareposto entro la normale attività economica”16.
Per noi imprenditori, per noi lavoratori nelle imprese di econo-
mia di comunione si tratta di vivere questa logica del dono e della
gratuità non solo verso gli indigenti o verso l’esterno dell’impresa,
ma anche e prima di tutto internamente all’impresa, nei rapporti tra
soci, tra lavoratori, nella tensione a quella comunione tra le persone
che poi si vuole realizzare su scala planetaria.
L’economia di comunione è allora prima di tutto un’economia di
speranza, perché parte dall’uomo, vive con l’uomo e crede nell’uo-
mo (con tutta la sua carica anche di dramma e di ambivalenza), per-
ché scommette sulla fraternità universale da realizzare oggi, qui,
ora, nei limiti del possibile, e da far crescere in futuro in un proget-
to che non è solo economico o imprenditoriale, ma civile e politico,
perché tale è ogni atto dell’uomo.
La via, ancora una volta, la traccia Benedetto XVI nella Caritasin Veritate quando afferma che: “lo sviluppo economico, sociale epolitico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di farespazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”17
E
ancora quando ci indica che: “Lo sviluppo ha bisogno di cristianicon le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristianimossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas inveritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodottoma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e com-plessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattuttoriferirci al suo amore. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spi-rituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, difraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza ealla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a sestessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace. Tutto ciòè indispensabile per trasformare i « cuori di pietra » in « cuori dicarne » (Ez 36,26), così da rendere « divina » e perciò più degnadell’uomo la vita sulla terra”18.
16 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate (29 giugno 2009), 36. 17 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate (29 giugno 2009), 34.18 Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate
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spiritualità
L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
209
L’augurio è quello di aiutare a far emergere una comunità di per-
sone che, illuminate dall’esperienza cristiana, sappiano testimoniare
che ci si fa santi non nonostante la politica o nonostante l’economia,
ma proprio grazie alla politica, all’economia vissute da testimoni di
Cristo.
THE ECONOMY OF COMMUNION INSPIRED BY
CHIARA LUBICH AND THE IRREFUTABILITY OF
BROTHERHOOD
by Alberto Frassineti
This paper that was presented at the Study Seminar, Social Action
in the Light of the Theology of the Cross, of the Gloria Crucis Chair,
attempts to show how the Cross, in the degree that it is the manifes-tation of a God who is Love and Gift, generates projects that areextremely concrete – and at the same time, extremely urgent for lifeof humanity – within a jointly responsible economy that is truly freefrom the constraints of profit.
L’ECONOMIE DE COMMUNION INSPIREE PAR
CHIARA LUBICH ET LA NECESSITE ABSOLUE DE
LA FRATERNITE
De Alberto Frassineti
Cette relation présentée au séminaire d’étude L’Action sociale à la
lumière de la théologie de la Croix, entends monter comment de laCroix en tant que manifestation d’un Dieu qui est Amour et don,naissent aujourd’hui des projets extrêmement concrets – et de plusextrêmement urgents pour la vie de l’humanité – d’économie soli-daire, vraiment libérée de la dictature du profit.
18 Cfr. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas In Veritate (29 giugno 2009), 79
ENG
FRA
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LA ECONOMÍA DE COMUNIÓN INSPIRADA POR
CLARA LUBICH Y LO IMPRESCINDIBLE DE LA
FRATERNIDAD
Por Alberto Frassineti
Esta ponencia presentada en el Seminario de estudio “La tareasocial a la luz de la teología de la Cruz” de la Cátedra “GloriaCrucis” intenta demostrar cómo de la Cruz, en cuando manifesta-ción de un Dios que es Amor y Don, nacen hoy proyectos concretoen extremo, y por otra parte, urgentes en extremo para la vida de lahumanidad de economía solidaria, verdaderamente libre de la dic-tadura de lo pragmático.
WIRTSCHAFTLICHE ZUSAMMENHÄNGE DESGEMEINSCHAFTSLEBENS NACH CHIARA LUBICHUND DIE UNABDINGBARKEIT DER BRÜDERLICHKEITvon Alberto Frassineti
Dieser Vortrag wurde im Rahmen des Seminars Soziales Handeln imLichte der Theologie des Kreuzes am Lehrstuhl Gloria Crucisgehalten. Er will aufzeigen, wie heutzutage aus dem Kreuz als demAusdruck des sich schenkenden und liebenden Gottes sehr konkreteProjekte solidarischen Wirtschaftens erwachsen, die außerhalb derDiktatur des Profits bleiben, und wie dringend erforderlich diese fürdas Leben der Menschen sind.
EKONOMIA WSPÓLNOTY ZAINSPIROWANA
PRZEZ CHIARĘ LUBICH I NIEROZERWALNIE
ZWIĄZANA Z BRATERSTWEM
Alberto Frassineti
Wystąpienie to przedstawione na seminarium badawczymDziałalność społeczna w świetle teologii krzyża zorganizowane prze
ESP
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GER
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L’economia di comunioneispirata da Chiara Lubiche l’imprescindibilitàdella fraternità199-211
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Katedrę Gloria Crucis, ma na celu pokazanie, jak z Krzyża rozumia-nego jako ukazanie się Boga, który jest Miłością i darem, rodzą siędziś projekty bardzo konkretne, a przy tym bardzo aktualne w życiuludzkości, w zakresie solidarnej ekonomii, która jest rzeczywiściewolna od dyktatury zysku.
di UGO CIANETTI
“Ogni comunità di Sant’Egidio non vive senza la preghiera el’amicizia con i poveri”. Questa affermazione centrale dellapresente testimonianza vale perogni comunità cristiana e piùancora per ogni comunità consa-crata. I poveri hanno bisogno diessere conosciuti, hanno bisognodi amicizia, anche loro hanno uncuore un’anima. I poveri non pos-sono mancare in ogni attività diformazione cristiana. La vita cri-stiana non può essere vissutasenza una intensa preghiera gior-naliera e non può essere vissutalontano dai poveri.
I
l mio legame con la Comunità di Sant’Egidio è iniziato nel
1991, con una semplice chiamata da dei miei compagni di
classe: “Vuoi venire a fare il dopo scuola a dei bambini di
un quartiere qui vicino alla nostra scuola?” All’inizio non
sapevo cosa fosse, ero un liceale, come molti, impegnato
nello studio e poco più. Ma, l’amicizia con i miei compa-
gni e più tardi la scoperta della Parola di Dio, hanno cam-
biato radicalmente la mia vita.
Per spiegare questo, vorrei fare un passo indietro innanzitutto, e
spiegare il rapporto della Comunità di Sant’Egidio con i poveri.
Sant’Egidio, in molti paesi, è un nome di pace. Lo è ad esempio
in Mozambico dove la Comunità ha lavorato per porre fine a una
guerra tra governo e guerriglia che aveva causato milioni di morti,
con la pace che fu firmata, a Trastevere, nella sede della Comunità
di Sant’Egidio.
Ma Sant’Egidio è essenzialmente una comunità di cristiani,
spiritualità
La croce e l’agire sociale213-219
pastoraleespiritualità
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LA CROCE EL’AGIRE SOCIALELA TESTIMONIANZADELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO
UGO CIANETTISapCr XXV
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spiritualità214
uomini, donne, laici, che nel ‘68 hanno creduto di prendere sul serio
il Vangelo. Solo questo: hanno creduto di prendere sul serio il
Vangelo. Quindi non è una istituzione per fare la pace, non è una
associazione di aiuto ai bisognosi, ma una fraternità di comunità cri-
stiane sparse in una settantina di paesi del mondo, dall’Europa
all’Africa, dall’America del Nord e del Sud, all’Asia.
Andrea Riccardi, il nostro fondatore, ci racconta sempre come
nel clima del ‘68 e poi negli anni ‘70 cresce un piccolo e umile cari-
sma: carisma vuol dire dono. Ma il fondo di un carisma in realtà è
sempre Gesù, il dono di Gesù: un dono attraverso cui vedere, legge-
re, ricevere Gesù.
Continua Andrea Riccardi: Quegli anni ’60 e ’70 in Europa, ma
anche in Africa o in America Latina, erano segnati da un forte clima
di utopismo, in cui si pensava, si credeva o si sognava di cambiare
il mondo, anche in maniera violenta. In quel quadro la prima
Comunità, studenti di un liceo romano, scoprirono il Vangelo. Il
Vangelo salvò quel piccolo gruppo dalle derive distruttive del ’68,
dall’utopismo, dalla violenza certo, ma anche dal vivere per se stes-
si. Ed è stato soprattutto “lampada ai nostri passi”, allargando il
nostro cuore e lo sguardo con cui guardavamo il mondo.
La spinta del ‘68 era questo: tutto è politica. Ma qualcosa sfuggi-
va alla politica. Che cosa significa che tutto è politica, quando l’uo-
mo resta uguale a se stesso? Tutto naufraga se non si affronta il pro-
blema centrale, che è cambiare l’uomo.
Cambiare l’uomo. Cambiare il cuore dell’uomo. Questo è scritto
in tutta l’esperienza cristiana, ma non solo, anche in tutta l’esperien-
za religiosa. Cambiare se stessi: questa fu la nostra intuizione, picco-
la ma decisa: se vuoi un mondo diverso, cambia te stesso. Se sei stan-
co di tanto dolore, di tanta miseria, di tanto peccato, cambia te stes-
so. Negli anni questa intuizione ha fatto crescere nella Comunità la
dimensione dello spirito, che è preghiera, liturgia, vita della Chiesa.
La vera immagine di Sant’Egidio è quella di una Comunità riuni-
ta ogni sera in preghiera con i suoi amici e con chi viene. Si può
vedere a santa Maria in Trastevere a Roma, ma lo potete vedere a
Budapest, a Kiev, in Guinea Conakry, in Mozambico, a L’Avana, a
San Salvador. Così oggi la Comunità di Sant’Egidio, spesso nel
cuore delle città, è uno spazio di preghiera aperto, per cui la preghie-
ra è la prima delle opere.
La Parola di Dio fa risorgere nell’uomo e nella donna una dimen-
sione perduta, quella del cuore.
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La croce e l’agire sociale213-219
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La Bibbia è la conoscenza del cuore di Dio e delle sue parole. In
questa prospettiva, lungo gli anni, abbiamo progressivamente
cominciato a maturare il senso che nella Chiesa più che attivisti e
protagonisti, bisogna essere discepoli. Tutti siamo discepoli. Andrea
Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, dice sempre: il
cristiano è stato chiamato in questo modo ad Antiochia, ma è nato
come discepolo prima, sul lago di Galilea. E allora, da discepoli, si
determinano l’azione, il lavoro per la pace, il lavoro per i poveri, ma
se non si è discepoli il cristiano muore, deperisce, invecchia. E fino
all’ultima ora della nostra vita, sempre saremo discepoli. Ma il
discepolo è colui che ha da imparare da Dio, colui che è sempre
bambino.
Le nostre Comunità di Sant’Egidio vogliono essere oggi uno spa-
zio di libertà. Per questo sono uno spazio di preghiera.
I primi amici della Comunità di Sant’Egidio sono stati i poveri.
Certo, quando Andrea Riccardi cominciò con i suoi amici a servire i
poveri si diceva che erano un problema politico o solo una questione
sociale; la carità cristiana, allora, era molto messa in discussione,
veniva considerata un anestetico. Ma l’incontro con il povero a Roma,
il povero che viveva nelle baracche, è stato decisivo per i giovani di
allora: il povero non era solo un bisogno materiale, il povero era un
uomo e allora abbiamo capito qualcosa che ancora oggi ci accompa-
gna: la vita di un cristiano non può essere vissuta lontano dai poveri.
Come la vita del cristiano non può essere vissuta lontana dalla Parola
di Dio, così non può essere vissuta lontano dai poveri.
Il povero non è solo un problema sociale o politico. I poveri sono
uomini. Non sono gli utenti dei servizi sociali della Chiesa, non
sono un campo di attività della Caritas: i poveri sono uomini, donne,
hanno diritto ad essere tristi, arrabbiati, amici. Dice Gesù: “Ero
malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. E il
Vangelo di Matteo al capitolo 25 mostra che il cristiano sarà giudi-
cato in rapporto al povero. Andrea Riccardi ricorda come negli anni
‘70 fece molto bene alla Comunità un piccolo libro scritto da Joseph
Ratzinger, Fraternità cristiana. In esso il futuro Benedetto XVI
sosteneva l’importanza enorme del capitolo 25 di Matteo e il mes-
saggio universalistico che questo Vangelo conteneva.
Il rapporto con i poveri è come la preghiera: richiede tempo,
pazienza, coinvolgimento personale. I poveri hanno bisogno di ami-
cizia e di essere conosciuti, anche i poveri hanno un cuore, anche i
poveri hanno un’anima.
UGO CIANETTISapCr XXV
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spiritualità216
E così, progressivamente, abbiamo scoperto i poveri: penso agli
anziani, alla vecchiaia che rende poveri e fragili e al grande dono del
nostro tempo di una vita lunga, ma di una vita i cui ultimi anni sem-
brano inutili. E questo non è solo un fatto europeo o nordamericano,
ma ormai è divenuto un problema mondiale ed essendo aumentato il
numero degli anziani, tutte le società, anche la società africana,
vivono fortemente il problema dei propri vecchi.
Ogni Comunità di Sant’Egidio non vive senza la preghiera e il
rapporto con i poveri. E la modalità del rapporto è l’amicizia: i
poveri vanno conosciuti con spirito di amicizia e l’amicizia ci apre
alla conoscenza personale, perché, lo ripeto, i poveri hanno un nome
e una storia.
Il cristiano è l’amico del povero: chi apre il cuore al Vangelo lo
apre ai poveri e i poveri sono gli amici del cristiano, perché sono gli
amici di Dio.
Un ricco romano fattosi monaco fra il III e il IV secolo, Paolino
di Nola, costruì il suo monastero al secondo piano di una casa in cui
al primo piano c’era l’ospizio per i poveri. E Paolino di Nola ricor-
da come nelle chiese di Roma si tenessero, in chiesa, pranzi per i
poveri. Quello che noi facciamo per Natale, quando raduniamo nelle
sale belle della comunità e anche nelle chiese, anche a Santa Maria
in Trastevere, i poveri. Lì ci sono tutti.
Paolino di Nola dice: “Abbiamo la speranza che accogliendo con
umanità ogni povero, ospiteremo gli angeli”. I poveri come gli ange-
li? Guardate che i poveri hanno un messaggio di vita. Io ho visto in
vita mia gente svuotata, donne e uomini che non avevano più voglia
di vivere, che hanno ritrovato il gusto della vita servendo gli anzia-
ni. Ho visto la gioia dei disabili: a Sant’Egidio ci sono quadri mera-
vigliosi dei disabili, il contenuto profondo che i disabili esprimono.
Ho visto i malati di Aids, in Africa, nella mia esperienza in
Mozambico. I malati di Aids spiegano meglio dei teologi che cos’è
la resurrezione! Sanno spiegare la resurrezione, perché l’hanno vis-
suta.
Amici, una vita lontano dai poveri non è una garanzia di felicità.
I poveri sono una scuola per tutti, lo sono per i giovani. I poveri non
possono mancare nella formazione dei giovani; per questo spiritua-
lità e solidarietà vanno insieme e non si è amici dei poveri se non si
coltiva uno spirito amico di Dio.
Tuttavia, cari amici, il mondo contemporaneo non ci fa vedere
solo i poveri vicini, ma anche i poveri lontani. Pensiamo al caso di
spiritualità
La croce e l’agire sociale213-219
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217
Haiti: noi accendiamo la televisione, ci commuoviamo, diciamo
“che disgrazia!”, inveiamo anche un po’ contro i politici di Haiti,
contro il mondo fatto male. Poi cambiamo canale e vediamo se c’è
un film migliore! Tanto cosa posso fare io per Haiti? Cosa posso fare
io in situazioni di povertà lontane? I poveri lontani ci toccano, ci
interpellano, perché la Chiesa, la nostra Comunità, è una globalizza-
zione della carità e della gratuità. E allora la preghiera, la partecipa-
zione, una carità inquieta per quello che si può fare, anche di fronte
alle situazioni lontane di povertà, sono qualcosa di decisivo per noi
cristiani. Perché tu, come il buon samaritano, davanti alla televisio-
ne incontri tante situazioni di povertà e di miseria e non puoi dire:
cambio canale!
Noi siamo degli ingenui ma la nostra ingenuità è una sapienza
profonda. È l’ingenuità che sempre può far emergere il bene e il
nuovo, perché la storia è piena di sorprese. Non facciamoci mai
dominare dal pessimismo. Guardate che il pessimismo alla fine
diventa una triste sicurezza: tutto va male, e io dormo; tutto va male,
e io mangio; tutto va male, e io mi riposo. Ma la storia non è logica,
è piena di sorprese. Se c’è una sorpresa nella storia, è perché è abi-
tata anche dello spirito e la nostra Chiesa, la nostra Comunità pos-
sono fecondare la storia. Perciò rispetto alle nostre diocesi, alle
nostre comunità, alle nostre parrocchie, alla vita che facciamo,
all’unità dei cristiani, non lasciamoci mai prendere dalla rassegna-
zione. Perché anche la storia delle nostre piccole realtà può essere
piena di sorprese.
Io vorrei dirvi, con tutto il cuore, che io ho una grande speranza.
Forse un miliardario di questo mondo oggi non investirebbe i suoi
soldi sulla Chiesa, perché gli sembrerebbe un’azienda un po’ in
crisi! Ma io credo, che se non mi dispero sul futuro del mondo è pro-
prio perché in questo mondo ci sono donne e uomini cristiani, che
credono, che pregano, che amano i poveri.
UGO CIANETTISapCr XXV
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spiritualità218
THE CROSS IN SOCIAL ACTION
THE EXAMPLE OF THE COMMUNITY
OF SANT’EGIDIO
by Ugo Cianetti
“Each community of Sant’Egidio cannot live without prayer andfriendship with the poor.” This central affirmation of the currenttestimony is true for every Christian community and even more sofor every community of consecrated life. The poor need to be knownand they need friendship because they too have a heart and soul.The poor must be part of every activity of Christian formation.Christian life cannot be lived without intense daily prayer anddistant from the poor.
LA CROIX ET L’ACTION SOCIALE
LE TEMOIGNAGE DE LA COMMUNAUTE
DE SAINT’EGIDIO
De Ugo Cianetti
«Aucune communauté de Sant’Egidio ne vit sans la prière et l’ami-tié avec les pauvres ». Cette affirmation centrale du présent témoi-gnage vaut pour toute communauté chrétienne et plus encore pourchaque communauté consacrée. Les pauvres ont besoin d’être con-nus, ils ont besoin d’amitié, ils ont eux aussi un cœur et une âme.Les pauvres ne peuvent manquer de toute activité de formation chré-tienne. La vie chrétienne ne peut être vécue sans une prière intensequotidienne et ne peut être vécue loin des pauvres.
LA CRUZ Y LA TAREA SOCIAL
EL TESTIMONIO DE LA COMUNIDAD
DE SAN EGIDIO
Por Ugo Cianetti
“Toda comunidad de San Egidio no puede vivir sin la oración y laamistad con los pobres”. Esta afirmación central del presente testi-monio vale para toda comunidad cristiana y más todavía para todacomunidad consagrada. Los pobres tienen necesidad de ser conoci-
FRA
ESP
ENG
dos, tienen necesidad de amistad, también ellos tienen un corazóny un alma. Los pobres no pueden faltar en toda actividad de forma-ción cristiana. La vida cristiana no puede ser vivida sin una inten-sa oración diaria y no puede ser vivida lejos de los pobres.
KREUZ UND SOZIALES HANDELN
ZEUGNIS DER GEMEINSCHAFT SANT’EGIDIO
von Ugo Cianetti
“Keine Gemeinschaft von Sant’Egidio lebt ohne Gebet undFreundschaft mit den Armen.” Dieser zentrale Grundsatz im vorlie-genden Zeugnis gilt für jede christliche Gemeinschaft und in nochhöherem Maße für jede Gemeinschaft gottgeweihten Lebens. DieArmen bedürfen der Anerkennung, sie brauchen Freundschaft. Auchsie haben ein Herz und eine Seele. Die Armen dürfen in keiner Artchristlicher Unterweisung fehlen. Christliches Leben ist nur den-kbar im täglichen Gebet und in der Nähe zu den Armen.
KRZYŻ I DZIAŁALNOŚĆ SPOŁECZNA
ŚWIADECTWO ZE WSPÓLNOTY ŚW. IDZIEGO
Ugo Cianetti
“Żadna wspólnota św. Idziego nie może żyć bez modlitwy i przyjaź-ni z biednymi”. To fundamentalne stwierdzenie tego świadectwa jestprawdziwe dla każdej wspólnoty chrześcijańskiej, a w sposób szcze-gólny dla każdej wspólnoty konsekrowanej. Ubodzy potrzebują tego,by ktoś ich poznał, potrzebują przyjaźni. Oni też mają serce i duszę.Problematyki ubogich nie może zabraknąć w żadnej działalnościformacyjnej w chrześcijaństwie. Życia chrześcijańskiego nie możnaprzeżyć bez intensywnej modlitwy codziennej i nie można go przeżyćz dala od ubogich.
spiritualità
La croce e l’agire sociale213-219
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spiritualità
Alle origini dellavocazione religiosadi san Gabriele221-231
pastoraleespiritualità
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di GIOVANNI DI GIANNATALE
Questo articolo si inserisce in una serie di studi compa-rati che si stanno facendo sullavita di San Gabriele dell’Addo-lorata, avvicinandosi ormai latappa dei 150 anni dalla suamorte. Esamina ancora l’even-to fondamentale della sua chia-mata alla consacrazione religio-sa passionista.
Un evento straor-dinario nella vitadi San Gabriele,
considerato dal P.Norberto, suo direttorespirituale, la “sorgente ditutte le grazie”, ovvero il
“colpo di grazia”1, è costituito dalla cosiddetta «locuzione interio-
ALLE ORIGINIDELLA VOCAZIONE RELIGIOSA DI S. GABRIELE dell’ADDOLORATA
La processione a Spoleto del 22agosto 1856 con la santa Icona.
Haghiosoritissa
1 Si vd. Della vita e delle virtù di Confratel Gabriele di Maria Addolorata,cenni, scritti in forma di “memoria biografica” un mese dopo la morte del Santoed inviati al padre, Sante Possenti, per sua consolazione ed edificazione, comesi evince dalla lettera del P. Norberto al P. Germano Ruoppolo del 9/12/1892,dove, tra l’altro, scrive: “Fortunatamente conservo i Cenni biografici, di cuimandai copia all’ottimo Giudice Assessore Sante Possenti, Padre delConfratello Gabriele”. Nella lettera del P. Norberto a Sante Possenti del27/03/1862 i Cenni sono denominati anche “Ragguagli della vita religiosa diconfratel Gabriele” (si vd. F. D’Anastasio C.P., San Gabriele dell’Addolorata in100 anni di ricerche – 1892-1992, Eco, San Gabriele dell’Addolorata, 1994,55-56). In questo scritto, utilizzato per la deposizione canonica, il P. Norberto,
GIOVANNI DI GIANNATALESapCr XXV
APRILE-GIUGNO 2010
pastoralee
spiritualità
spiritualità222
re», che ebbe luogo il 22 agosto 1856 nel corso di una processionea Spoleto, in occasione dell’Ottavario della festa della SS. IconaHaghiosoritissa (la “bruna e venerata Immagine”, come la chiamamonsignor Battistelli)2, donata alla città di Spoleto da Federico IIBarbarossa3. La processione, secondo P. Norberto, sarebbe avvenu-ta all’interno del Duomo spoletino, come narra nelle Memorie intor-no alla vita, alle virtù di Confr. Gabriele della Vergine Addoloratastudente passionista, utilizzate nella deposizione canonica del
nel ripercorrere le tappe della progressione spirituale del giovane Francescoverso la vocazione religiosa, connette quest’ultima all’intervento continuo dellaMadonna, al “cumulo di grazie” da lei ricevute, fino al punto da considerarela grazia del 22 agosto 1856, “la sorgente di tutte le altre”: “Ed io mi restrin-gerò a parlare di questa sola [grazia], che è stata la sorgente di tutte le altre”.L’espressione “colpo di grazia” è usata dal P. Norberto nelle Ulteriori Notizieintorno alla vita di Confr. Gabriele, scritte attorno all’estate del 1865 (si vd. C.Verducci C.P., Le “carte Bonaccia”. Manoscritti inediti riguardanti San Gabrieledell’Addolorata, in S. Gabriele dell’Addolorata e il suo tempo, “Atti del 2°Colloquio, Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1986, 163). Il P. C. G. BompianiS.J., nella deposizione canonica del 01/09/1893 nel processo romano addi-zionale informativo, parlò di “ultimo colpo di grazia”: “La cosa procedeva, mal’ultimo colpo di grazia la SS. Vergine lo riservò a se stessa” (Fonti storico-bio-grafiche di S. Gabriele dell’Addolorata, edizione critica a cura di N. CavatassiC.P. e F. Giorgini C.P., Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1969, 291).Giustamente il P. G. Ruggieri C.P. (Infanzia e adolescenza di S. Gabriele, pro-filo psicologico, in Atti del 2° colloquio su S. Gabriele dell’Addolorata e il suotempo, Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1986, 79) definisce l’evento come“l’ultima spinta verso la totale consacrazione della sua vita a Dio. Realmente sitratta di un’esperienza eccezionale, in cui condensa tutta la sua vita, quellapassata e quella presente”.
2 Cf S. A. Battistelli C.P., San Gabriele dell’Addolorata, Eco, Teramo,1956, 54.
3 Scrive I. Anitori C.P.: “Annerita dai secoli e dall’arte, si venera nella cat-tedrale di Spoleto un’antichissima sacra Icone della Vergine, sfuggita, a quan-to pare, al furore degli iconoclasti. Federico Barbarossa la donò nel 1185 aglispoletini dopo aver distrutto la loro città, perché rimasta fedele al Papa…” (IlSanto del Gran Sasso, Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1962,75). Il P. F.Pozzi, S. Gabriele dell’Addolorata, Ed. Eco, 1973, p.80, dice che l’Icona fuvenerata a Costantinopoli e che la tradizione l’aveva attribuita a San Luca, pit-tore oltre che medico ed evangelista. Si vd. anche il P. Tito Paolo Zecca C.P.,La Spoleto civile e religiosa di F. Possenti (S. Gabriele dell’Addolorata [1841–1860], in “San Gabriele e il suo tempo”, “Atti del I Colloquio interdisciplina-re”, Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1983, p.82: “Particolarmente veneratanel Santuario di Chalcopratia a Costantinopoli, e dalla cassa (in greco sòros)che ne custodiva la cintura, fu detta appunto Aghiosoritissa”.
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processo ordinario di Spoleto: “Era l’Ottavario della festa della SS.Icona dell’anno 1856. In tal giorno, si suole a Spoleto estrarre laSS.ma Icona dal tabernacolo e portarsi in processione per la chiesa4.”
Secondo la testimonianza del P. Bernardo Maria Silvestrelli, checorregge l’imprecisione del P. Norberto, la processione ebbe luogoper le vie della città5. Completamente inesatto è il dato fornito dalBonaccia che, pur essendo canonico della cattedrale, associa la pro-cessione alla festa dell’Assunta, che si celebra il 15 agosto6, nondistinguendo quest’ultima dalla ricorrenza dell’Ottavario, durante ilquale soltanto a Spoleto l’Icona è portata in processione. Cosaaccadde di preciso nel corso dell’evento liturgico? Le fonti primariesono il P. Norberto, e il canonico Bonaccia, alle quali si possonoaggiungere come secondarie, ma altrettanto significative, le testimo-nianze del richiamato P. Silvestrelli e del fratello del Santo, LuigiTommaso Possenti. Gabriele, che era molto devoto della Vergine,spesso si recava nel Duomo di Spoleto a visitare la Santissima SacraIcona, come narra la sorella Teresa, la quale aggiunge che egli, spes-so, trovando chiusa la chiesa, «si poneva a pregare la SS. Vergine dalportico»7. Gabriele, pertanto, aveva molta familiarità con questaimmagine, che contribuiva ad accendere la sua devozione mariana8.Il 22 agosto l’Icona parlò a Francesco per toccargli il cuore ed
4 Cf Fonti storico-biografiche di S. Gabriele dell’Addolorata, ed. critica acura di N. Cavatassi C.P. e F. Giorgini C.P., Eco, S. Gabriele dell’Addolorata,1969, 29. Il P. I. Anitori in merito così scrive: “Il 22 agosto, giorno dell’Ottava,si usava e si usa di portarla processionalmente fin su la piazza della cattedra-le” (op. cit., 75). Il P. Germano di S. Stanislao (Ruoppolo), che aveva attinto alletestimonianze storiche spoletine, parla di processione che aveva luogo intornoalla chiesa, così scrivendo: “Nel giorno poi dell’Ottava la sacra Icone suoleestrarsi dall’elegante tabernacolo della sua vaga cappella, e recarsi in girointorno alla chiesa, traversando il portico esterno, preceduta da un’ampia pro-cessione solenne del clero con accesi doppieri in mano “ (Vita di S.Gabrieledell’Addolorata, Artigianelli di S. Giuseppe, Roma 1924, 57).
5 Cf Fonti, .cit., 339.6 Cf Fonti, cit., 307.7 Cf Fonti, cit.,284: “Egli mostrava una speciale devozione alla SS.ma
Vergine, non mancando mai al Rosario che la sera si diceva in famiglia […] erecandosi spesso a visitare la S. Icona che si venerava nel Duomo di Spoleto.In queste visite, se talora gli avveniva di trovare chiuse le porte della Chiesa, siponeva a pregare la SS.ma Vergine dal portico”.
8 Si vd. G. Di Giannatale, La spiritualità di S. Gabriele dell’Addolorata, in“Piccola Opera Charitas”, n.3, 2008, p. 51-53; si vd. anche N. Cavatassi C.P.,
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avviarlo alla vita religiosa, sulla quale stava riflettendo nei mesiprecedenti. Lo stesso Gabriele in una lettera al Padre del 15/11/1857così scriveva: “E oh! In quali abissi sarei sicuramente andato acadere se Maria, benigna anche con chi non l’invoca, nell’Ottavariodella sua Assunzione non accorreva”. L’evento spoletino si collocaal termine di un percorso vocazionale che era iniziato nel 1854,come attesta il fratello Enrico, allorché Francesco concepì il disegnodi farsi religioso, consigliandosi con i superiori del Collegio, tra iquali il P. P. Tedeschini della Compagnia di Gesù9.
Questa decisio-ne, secondoEnrico, sa-
rebbe già stata deter-minata dalla mortedella sorella maggio-
re Maria Luisa, avvenuta il 7/06/1855, che lo indusse a maturare la“risoluzione di abbandonare il mondo”10. La tesi è condivisa dal Bo-
La devozione mariana in Congregazione ai tempi del noviziato di S. Gabrieledell’Addolorata, in Atti del 3° Colloquio – S. Gabriele dell’Addolorata e il suotempo, Ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1989, 241 –251.
9 Così il fratello, don Enrico Possenti (1835-1897), canonico e priore dellacattedrale di Terni, depose nel processo apostolico aprutino: “Nell’anno 1854egli già concepiva nel cuore di ritirarsi dal mondo, e per effettuare questa talcosa, si andava consigliando con i superiori già maestri, tra i quali il P.Tedeschini della Compagnia di Gesù, il quale gli consigliava di star più ritiratoin casa almeno per una novena avanti a Maria SS.ma Immacolata perconoscere lo stato che doveva intraprendere, e concludeva: Fatti Santo” (Fonti,cit., 264). Il P. Pietro Tedeschini S.J. insegnò teologia nel Collegio di Spoleto. Alui Francesco si rivolse per chiarire la sua posizione spirituale. Incontrò il reli-gioso fino al settembre del 1854, perché successivamente fu trasferito a Roma(si vd. F. D’Anastasio, op. cit., 333). Opportunamente il T. Paolo Zecca C.P.osserva: “La locuzione mariana del 22 agosto era stata come il reagente e ilsigillo autorevole alla decisione che da lungo tempo stava maturando nellacoscienza di Francesco” (Gabriele dell’Addolorata, Ed. Paoline, Milano, 2008,29),
10 Così depose il fratello Enrico nel processo informativo addizionale a quel-lo ordinario di Spoleto nel 1892: ”Io ritengo che la sua risoluzione di abban-donare il mondo e di rendersi religioso avesse il più forte impulso dalla circo-stanza della morte della nostra sorella maggiore avvenuta il 7 giugno 1855,quando egli aveva 17 anni circa” (Fonti, cit., 264).
La morte della sorella MariaLuisa e la tesi del P. Norberto sul-
l’archè della vocazione gabrieliana
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naccia che riconduce alla morte della sorella la riflessione di Fran-cesco sulla vanità del mondo e il proposito di abbracciare la vita re-ligiosa11. Il Padre Norberto, però, è in disaccordo con Enrico e con ilBonaccia, perché ritiene che la vocazione di Gabriele ripeta le sueorigini dagli anni più teneri, in virtù soprattutto dell’edificante edesemplare ambiente familiare, e che la morte della sorella non puòaverla generata: “Nelle Memorie Storiche del Canonico Paolo Bo-naccia si fa derivare la vocazione di confratel Gabriele allo stato re-ligioso dalla morte immatura di una sorella. Non è punto esatto. Lamorte della sorella può aver richiamato la vocazione, non l’ha ispi-rata, non l’ha prodotta”.
Esaminando questo aspetto, il P. Norberto dichiara che la vocazio-ne iniziò a manifestarsi nel corso dell’ultimo anno che fu “nel seco-lo”, cioè nel 1855, allorché Francesco avvertì con maggiore insisten-za il tedio per la vita gaudente che conduceva, scrutando dentro di séuna voce che “gli faceva conoscere non essere lui fatto per ilmondo”, voce che, percepita fin dai primi anni, tendeva a cresceresempre di più, costituendo “il primo germe della sua vocazione”12.
11 Il Bonaccia nel cap. IV delle sue Memorie così scrive:”Questa morte fu perFrancesco un colpo di fulmine che lo riscosse dal sonno mondano sul qualeaveva cominciato a dormire …” (Fonti, cit., 306).
12 L’itinerario vocazionale di Francesco, che sfocia nell’entrata nel noviziatodi Morrovalle il 10/09/1856, si distende a grandi linee tra il 1854 e il 1856.L’inizio può essere dedotto da una lettera del padre Sante al fratello Giovannidel 4/09/1856, in cui dichiara che Francesco aveva maturato l’intenzione diritirarsi dal mondo da tre anni, abbracciando la vita religiosa, ma che egli siera opposto a tale proposito, “facendolo divagare con qualche onesto diverti-mento”. (Si vd. L’Eco di S. Gabriele dell’Addolorata, 1974, 104). Nel trienniopredetto, culminato nell’evento del 22 agosto 1856, si collocano vari episodiche attestano il crescendo della vocazione gabrieliana, la quale, all’origine,sembra trovare il suo sbocco nella scelta della Compagnia di Gesù, espressanei giorni 28-31 luglio 1855, ma poi bloccata dal padre, che impose al figlioun “anno di prova”, prima di effettuare la scelta definitiva. Terminato il quale –come attesta il P. Norberto – Francesco, colpito dalla prodigiosa guarigioneoperata dal beato Andrea Bobola, “si portò dai padri gesuiti, dai quali fuaccettato, e gli fu fissato il maggio [1856] per l’ingresso nel noviziato”. Maanche questo appuntamento saltò per ragioni che ignoriamo. Era nel disegnodella Provvidenza che Francesco abbracciasse la Congregazione dellaPassione. Come sia arrivato a questa scelta non è stato ancora oggi chiarito,per carenza di documenti. Si sono fatte alcune ipotesi. Si ritiene che all’originevi siano l’influenza esercitata dal dialogo con due religiosi francescani (il P. U.Rossi e lo zio fra’ Fedele da Terni, denominato l’Eremita di Cesi) e l’imitazione
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Così dichiarò il P. Norberto: “Pare che nell’ultimo anno che fu nelmondo si divagasse troppo […], fosse stato dedito ai divertimenti, pe-rò subito se ne annoiava […], però sempre era accompagnato da untal quale senso interno, che lo richiamava spesso dai divertimenti, egli faceva conoscere non essere lui fatto pel mondo. Pare che questavoce non sentita fin dai primi suoi anni andasse sempre crescendo,ed in questo io reputo sia stato il primo germe della sua vocazione13.Stando al P. Norberto, dunque, sembra che la voce che Francesco av-vertì il 22 agosto sia la stessa voce che sentiva precedentemente: es-sa però, da generica e indistinta qual era, si specificò e manifestò co-me voce diretta della Vergine, che lo invitò ad abbandonare il mon-do e a farsi religioso.
Vediamo ora l’evento nel suo svolgersi. Il P. Norberto ne forniscedue versioni. La prima, contenuta nei Cenni, riferisce che Gabriele,appena l’Icona gli fu davanti, portò “lo sguardo su di essa”, e nel“mirarla si sentì all’istante sorgere con vivezza in questi riflessi: Maio non sono fatto pel mondo; che pensiero vi faccio io nel mondo?Tu sei fatto per Iddio, Iddio ti vuole tutto per sé, ti chiama al cielo;presto fatti religioso”14. Da questo momento Gabriele “si sentìmutato nel cuore” ed ebbe inizio la vocazione religiosa, che di lì apoco si concretizzò nella scelta della Congregazione dei Passionisti.La seconda è contenuta nelle Memorie sopra richiamate. Vi riferisceche Francesco nel guardare l’Icona “sentissi mosso il cuore”, uden-do nel contempo una “viva ed efficacissima locuzione interna chegli parlava e gli diceva: Ma tu non sei fatto pel mondo. Che fai nelmondo? Presto fatti religioso”15. Le due testimonianze convergononell’illustrare gli effetti psicologico-spirituali causati dall’Icona sul
di due suoi ex compagni di studio (Gismondi e Calandrelli), che erano partitiprima di lui per il noviziato di Morrovalle. Altri accennavano ad un colloquiocon un religioso passionista conosciuto a Spoleto nel 1853 in occasione dellasolenne beatificazione di Paolo della Croce. L’itinerario si concluse con l’auto-rizzazione del P. Bompiani S.J., che nel colloquio con Francesco del 24 agosto1856, verificata la sincerità della vocazione del giovane, ne assecondò la scel-ta di entrare tra i Passionisti. Per tutta la problematica della vocazione passio-nista di Gabriele, si vd. la lucida sintesi del P.F. D’Anastasio, op. cit., 338-344.
13 Si vd. la deposizione del P. Norberto nel P.A.A. (Fonti, cit., 27).14 Si vd. Fonti, cit., 208.15 Si vd. Fonti, cit., 29.
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giovane. La seconda, però, diverge dalla prima perché attribuiscealla Vergine le parole sul distacco dal mondo e non ai “riflessi” diFrancesco: è la Madonna che parla. Concorda con questa testimo-nianza quella recata dal P. Norberto nel processo apostolico apruti-no (1897), in cui parla di “voce articolata, distinta”16, aggiungendocome elemento nuovo lo sguardo della Vergine verso Francesco,anche se connotato come un’impressione di questi e non come undato oggettivamente riscontrabile (infatti Norberto scrive che aFrancesco “parve che la Madonna lo guardasse”).
La testimonian-za del Bonac-cia dipende in
parte dai Cenni del P.Norberto, perché pre-senta particolari noncontenuti nella prima.Vediamo, intanto, la
descrizione del Bonaccia. Questi narra che tra il popolo, che si ingi-nocchiava al passaggio dell’Icona, c’era Francesco, “atteggiato a ri-spetto, con volto rubicondo, con occhi lacrimosi”, levati in alto per“vagheggiare la Vergine”. A questo punto, dopo averla guardata, aFrancesco sembrò che la Madonna lo riguardasse a sua volta conun’”occhiata speciale”, dopo la quale immediatamente risuonarononel “suo cuore” queste parole: “Francesco il mondo non è più per te;ti aspetta la religione”17. Il Bonaccia sospende il giudizio sulla natu-ra delle parole, non sapendo dire se fossero “sensibili”, cioè fisica-mente proferite dalla Vergine e udite dal giovane, oppure “solamen-te interiori”, ma ha certezza sull’”occhiata” della Vergine. Le altredue testimonianze, del P. Bernardo Silvestrelli e del fratello LuigiT. Possenti, dipendono dal P. Norberto e dal Bonaccia. Il primo, chedepose nel processo addizionale ordinario albano (1892), riferiscedello sguardo di Francesco verso la Madonna e della contestuale
16 E’ la descrizione fatta dal P. Norberto nel processus autoritate apostoli-ca in Curia et civitate Aprutina constructus dal 25 agosto 1896 al 3 settembre1897 (per un totale di 86 sessioni). Si vd. Fonti,. cit., 29, n. 13.
17 Fonti, cit., 307.
Le testimonianze del Canonico Bonaccia,
del P. Bernardo Maria Silvestrelli edel fratello Luigi Tommaso Possenti
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impressione, da lui avuta, del corrispettivo sguardo della Madonna,seguito dalla “locuzione interiore”18. Il secondo, che depose nelprocesso apostolico aprutino il 21 settembre 1896, è molto conciso,riferendo che a Gabriele nell’osservare il simulacro della Madonna,come egli stesso raccontava, parve di essere da Lei chiamato allavita religiosa: “Si aggiunse circa quell’epoca, come lui ci racconta-va, che in una processione di penitenza gli parve di osservare nelsimulacro della Vergine, portato processionalmente, essere da leichiamato allo stato religioso”19.
Giustamente ilP. Artòla in unrecente studio
ha dimostrato che il P.Norberto nelle Memo-rie dipende dal Bonac-cia, per il particolaredello sguardo rivolto
dalla Vergine a Francesco, e spingendosi oltre ha sostenuto che ilP. Norberto ha derivato dal Bonaccia anche il particolare della“chiamata vocazionale attribuita direttamente alla voce di Maria”20.
La relazione tra la testimonianza del p. Norberto e quella del
canonico Bonaccia: osservazioni su uno studio del P. A. Artòla C.P.
18 Il P. Bernardo Maria di Gesù (Cesare Silvestrelli: 1831-1911) depose il2/12/1892, nella II sessione, consegnando “un documento in cui brevementenarrava quanto sapeva su Confr. Gabriele e nel frattempo consegnava ancheuna copia manoscritta della piccola biografia di Gabriele da lui scritta e stam-pata nel 1885” (Fonti, cit., 333), così dichiarando:”Or avvenne che standoFrancesco sulla strada per dove passava la detta sacra immagine, fissò su dilei lo sguardo, ed in quell’istante gli parve che Maria fissasse pur sopra di luigli sguardi suoi, mentre all’interno del cuore gli risuonò una di quelle voci chedicono tutto, tutto persuadono e tutto operano” (p. 339). Il P. Bernardo nonriporta il contenuto della locuzione, alludendo implicitamente a quella riporta-ta dal P. Norberto.
19 Si vd. Fonti, cit., 269. Si fa notare come, secondo la testimonianza diL. Tommaso Possenti, neppure Gabriele ebbe la certezza assoluta della locu-zione direttamente proferita dalla Vergine. E’ impossibile stabilire se il dubbiofosse manifestato o meno da Gabriele. E’ plausibile ritenere che L. Tommasoabbia ricalcato, nel ricordare genericamente l’evento, la descrizione delBonaccia e forse anche quella del P. Norberto, che nello stesso periodo depo-se nel processo apostolico aprutino.
20 Si vd. A. Artòla C.P., L’esperienza mistica di S. Gabriele a Spoleto, in“Sapienza della Croce”, n. 1.2, 2009, 137 e ss.
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Quest’ultima tesi, però, non è sostenibile, perché già nelle Ulteriorinotizie, scritte nel 1865, il P. Norberto, prima di leggere le Memoriedel Bonaccia (che sono del 1868), aveva collegato alle parole dellaVergine l’origine della conversione religiosa di Francesco, scrivendoappunto: “Finalmente dopo un’alternativa di grazie e di ingratitudi-ni, Maria SS. che tanto lo amava, volle dar Ella il colpo di grazia econdurre finalmente a perfezione l’opera che il cielo aveva comin-ciato da diversi anni: e lo fece in quella chiesa di Spoleto, con quel-la interna efficace locuzione che si riporta nei Cenni”21. Quest’ulti-ma proposizione presuppone, implicitamente, che la Vergine per ot-tenere la conversione di Francesco si sia “rivolta” direttamente a lui,proferendo le note parole (altrimenti non avrebbe senso parlare di “lo-cuzione”). Il particolare dello “sguardo assai distinto” della Vergine,ripreso dall’”occhiata speciale” del Bonaccia, non aggiunge nulla al-l’evento che, sotto il profilo mistico-spirituale, è completo: c’è la Ver-gine che parla e orienta la volontà di Francesco, accendendo in lui lavocazione religiosa. C’è da chiedersi, allora, perché il P. Norberto de-cise di servirsi di tale particolare, inserendolo nella sua narrazione.Si ritiene che il P. Norberto sia stato influenzato dal Bonaccia, nelmomento in cui, avendo chiarito meglio l’origine della vocazionereligiosa di Francesco, volle dare il massimo risalto all’operamisericordiosa della Vergine, rimettendo all’iniziativa della Suamaterna intercessione, quale dispensatrice di grazie, la svoltaesistenziale del Santo. Non a caso nelle Ultime notizie il P. Norbertocolloca l’evento spoletino in un chiaro disegno che Maria portò acompimento, dando “Ella il colpo di grazia”.
21 Si vd. per il testo di Ulteriori notizie P. C. Verducci C.P., op. cit., p. 264.
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THE ORIGINS OF THE RELIGIOUS VOCATION
OF ST. GABRIEL OF THE SORROWFUL VIRGEN
by Giovanni Di Giannatale
This article is part of a series of comparative studies concerning thelife of St. Gabriel of the Sorrowful Virgin, anticipating the 150th
anniversary of his death. It once again studies the fundamentalevent of his calling to religious life as a Passionist.
AUX ORIGINES DE LA VOCATION RELIGIEUSE
DE S. GABRIEL DE L’ADDOLORATA
De Giovanni Di Giannatale
Cet article s’insère dans une série d’études comparées en coursactuellement sur la vie de Saint Gabriel de l’Addolorata, à l’ appro-che de l’anniversaire des 150 ans de sa mort. On y examine encoreune fois l’événement fondamental de son appel à la consécrationreligieuse passioniste.
EN LOS ORÍGENES DE LA VOCACIÓN RELIGIOSA
DE SAN GABRIEL DE LA DOLOROSA
Por Juan de Giannatale
Este artículo se inserta en una serie de estudios comparados que seestán haciendo sobre la vida de San Gabriel de la Dolorosa,cuando ya se acerca la fecha de los 150 años de su muerte. Seexamina todavía el suceso fundamental de su llamada a laconsagración religiosa pasionista.
FRA
ESP
ENG
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URSPRÜNGE DER GEISTLICHEN BERUFUNG DES
HEILIGEN GABRIEL VON DER SCHMERZHAFTEN
MUTTER
von Giovanni Di Giannatale
Der vorliegende Artikel reiht sich in eine Serie von vergleichendenStudien über das Leben des Heiligen Gabriel von der schmerzhaftenMutter ein, die im Hinblick auf dessen bevorstehenden 150.Todestag entstehen. Der Autor untersucht noch einmal das funda-mentale Ereignis seiner Berufung zu einem gottgeweihten Leben beiden Passionisten.
U ŹRÓDEŁ POWOŁANIA ZAKONNEGO
ŚW. GABRIELA OD MATKI BOŻEJ BOLESNEJ
Giovanni Di Giannatale
Ten arytykuł wpisuje się w cykl studiów porównawczych nad życiemśw. Gabriela od Matki Bożej Bolesnej, bowiem zbliżamy się do150-lecia jego śmierci. Analizuje się w nim jeszcze raz fundamental-ne wydarzenie: jego powołanie do życia konsekrowanego wZgromadzeniu Pasjonistów.
POL
GER
culture
In morte didon Carlo Chenis233-238
salvezza eculture
233
di TITO AMODEI
La Sapienza della Croce comunicando ai suoi lettori la prema-tura scomparsa di Don Carlo Chenis, vescovo di Civitavecchia-Tarquinia, lo vuole ricordare per il grande e qualificato contri-buto che egli ha dato alla afferma -zione della Biennale d’arte di S.Ga-briele. Una operazione culturale digrande rilievo per la Chiesa e tan-to vicina allo spirito della nostra Ri-vista. Lo ricorda qui, molto sinteti-camente il P. Tito Amodei che gli èstato vicino per tanti anni.
Q
uanti conoscono, frequentano o partecipano
alla Biennale di arte sacra di S. Gabriele, hanno
conosciuto bene don Carlo Chenis. La sua
morte precoce, a soli 56 anni, é stata per tutti un
evento assolutamente fuori agenda. Ma era
fuori agenda anche per i fedeli della diocesi di
Civitavecchia-Tarquinia, di cui era stato eletto
vescovo appena nel dicembre del 2006 e nella quale aveva già ini-
ziato una specie di era nuova pastorale e culturale.
Diamo in nota una sintesi biografica-bibliografica che ci informa
della sua straordinaria personalità e di quanto stava producendo a van-
taggio della cultura, con spiccata attenzione all’arte per il culto
1
. Per
la Fondazione Stauròs e la Biennale di arte Sacra di S. Gabriele era
stato coinvolto dal fondatore, il P. Adriano di Bonaventura Cp nel
1994. Da quella data si era totalmente sentito organico ad ogni
IN MORTE DI DON CARLO CHENIS
1 Diario del bello nella “crisi” della modernità. La mia esperienza nellaFondazione Staurós, in Percorsi Artistici 2002-2003 Annali FondazioneStaurós Italiana Onlus, V, Edizioni Staurós, San Gabriele (Te). 2003.
TITO AMODEISapCr XXV
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salvezza e
culture
culture234
manifestazione orga-
nizzata dal fondatore.
Anzi ne era anche un
competente suggerito-
re. Entrambi, con te-
nacia e convinzione,
sostenevano l’urto del-
la fatica nella inven-
zione e nella gestione
della Biennale.
All’inizio per crea-
re credito e consenso
per una impresa affat-
to popolare. Credito
spessissimo carente
anche nelle stesse isti-
tuzioni ecclesiastiche,
le quali invece avreb-
bero il mandato con-
ciliare della promozio-
ne e del l’inserimento
dei nuovi linguaggi ar-
tistici nella promozione della fede e del lo splendore nel culto.
Il P. Adriano, purtroppo morto nel 2008, dinamico e carico di ener-
gia, della Biennale sosteneva il peso dell’organizzazione; a Chenis il
compito del supporto motivazionale. E i concetti inseguiti a giustifi-
care la validità delle singole edizioni della Biennale, della tematica
affidata agli artisti erano sempre supportati da riflessione
filosofica e teologica. Ma non erano assenti neppure giustificazioni
di finalità pratiche o di impiego dell’arte a vantaggio dei credenti.
Tutta un’accurata riflessione registrata negli esaurienti cataloghi
che non solo rendevano giustizia alla qualità del lavoro degli artisti,
quasi sempre di notevole livello, ma costituiscono una specie di
antologia sia del pensiero dell’autore che di quello che oggi si deve
sapere sull’arduo problema dell’arte sacra.
Don Carlo, come dobbiamo riconoscere ha dato molto alla Bien-
nale di S. Gabriele. E di rimbalzo la Biennale ha allargato il credito
che egli già aveva nella Chiesa, ma in un ambito più istituzionale.
In Italia, specie in alcune diocesi, nelle quali si tenta di fare
attenzione al cruciale problema dell’arte sacra, la presenza di questo
appassionato e preparato sacerdote stava diventando d’obbligo.
Iniziando proprio dai responsabili primi che nella Gerarchia hanno il
dovere di assegnare ruoli e responsabilità e che a Chenis non hanno
fatto mancare lavoro e riconosci menti.
Ma da dove era partito Chenis, quale evento aveva provocato in
lui tanto interesse per l’arte ed orientato la sua formazione per aver
raggiunto tanta autorevolezza?
Nei suoi scritti è ricorrente la sua ammirazione per Paolo VI.
Il grido di quel papa agli artisti: “noi abbiamo bisogno di voi!”
(nell’incontro del 7 maggio 1964 nella Cappella Sistina) non poteva
non coinvolgere un futuro salesiano il cui carisma impegna l’intelli-
genza alla comunicazione della cultura. Una volta accertato il suo
interesse per contenuti di tanta rilevanza non sorprende la tempesti-
vità con la quale gli si affidarono incarichi di responsabilità e di
prestigio nella Chiesa. All’elenco che poniamo in nota possiamo
aggiungere l’informazione confidenziale che egli sia stato anche
l’estensore della “Lettera agli Artisti” inviata da papa Giovanni
Paolo nel 1999
2
. Altri diranno dell’ardore profuso, fin dall’inizio, per
la diocesi sia sotto l’aspetto spirituale che culturale. Sono bastati
questi ridotti quattro anni perché i fedeli si rendessero conto del
dono che stavano ricevendo. E’ a questi suoi diocesani e a noi che
egli ha voluto solennemente dichiarare:
“
Ho sempre servito la
Chiesa”. E per confortarci ci lancia un cordiale: “Arrivederci!”
S
alesiano, Carlo
Chenis era nato a
Torino nel 1954,
aveva studiato filosofia
e teologia, ma anche
architettura e scienze artistiche, era docente di filosofia teoretica
presso l’Università Salesiana di Roma e dal 1995 è stato Segretario
della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e
Membro della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Ma le
sue tante esperienze lo avevano portato anche a essere parroco di
frontiera a Roma, a Ponte Mammolo, in anni difficili, e a portare
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2352 In morte di mia mamma, Torino 6 aprile 1999 (sarà pubblicato in catalo-
go di Onna in sua memoria ed omaggio).
Nota biografica
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costantemente il suo sostegno pastorale nell’amata parrocchia di
Borore, in provincia di Nuoro.
Chenis è stato legato profondamente all’arte e agli artisti con i
quali aveva sempre un confronto ricco e libero da ogni preconcetto
e stereotipo, all’insegna di un dialogo, spesso anche silenzioso ma
sempre fondato su una tensione costruttiva, fatto di rispetto e di
attenzione alla qualità delle arti visive e di un’architettura create per
il culto e lontane dai tanti scadimenti che troppo spesso affliggono
certe opere attuali. Questo suo impegno, che era quello che forse
sentiva più vicino alla sua indole che amava unire il rigore
teorico alla creazione, da molti anni era diretto verso la Biennale
d’Arte Sacra della Fondazione Stauròs di San Gabriele, di cui era
l’ispiratore concettuale e un fondamentale supporto insieme a Padre
Adriano di Bonaventura, scomparso anche lui lo scorso anno
3
.
“IN MORTE” OF CARLO CHENIS
by Tito Amodei
As the Sapienza della Croce communicates to its readers the untime-ly death of his Excellency, Carlo Chenis, bishop of Civitavecchia-Tarquinia, we wish to acknowledge the noteworthy and substantialcontribution that he made to the “Biennale d’arte” of St. Gabriel –a cultural program of great importance for the Church and so muchin keeping with the spirit of our Journal. He is remembered here byFr. Tito Amodei, who was close to him for many years.
3 Cf L’ultimo stage di padre Adriano in Percorsi formativi 2008: Giovaniartisti disegnano il sacro. Edizione Staurós San Gabriele (Te), 2009; Qualchenotizia sul mio stato di salute, in Avvenire “Laziosette”, 31 gennaio 2010, p. 18.
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SUR LA MORT DE DON CLARLO CHENIS
De Tito Amodei
La Sapienza della Croce en communiquant à ses lecteurs la dispa-rition prématurée de don Carlo Chenis, évêque de Civitavecchia-Tarquinia, désire rappeler à cette occasion la contribution impor-tante et qualifiée qu’il a donnée à la mise en place de la Biennaled’art de S. Gabriel. Une opération culturelle de grand relief pourl’Eglise et si proche de l’esprit de notre Revue. Le P. Tito Amodei,très proche de lui pendant de nombreuses années, le rappelle icid’une manière très synthétique.
EN LA MUERTE DE DON CARLO CHENIS
Por Tito Amodei.
La Sabiduría de la Cruz, al comunicar a sus lectores la prematuradesaparición de Don Carlo Chenis, obispo de Civitavecchia-Tarquinia, lo quiere recordar por la grande y cualificada contribu-ción que él ha dado a la consolidación de la Bienal de Arte de SanGabriel. Una empresa cultural de grande relieve para la Iglesia ytan cercana a nuestra revista. Lo recuerda aquí muy sintéticamenteel P. Tito Amodei que estuvo junto a él durante tantos años.
ZUM TODE VON DON CARLO CHENIS
von Tito Amodei
Sapienza della Croce informiert seine Leser über den allzu frühenTod von Don Carlo Chenis, Bischof von Civitavecchia-Tarquinia.Sie erinnert an dessen bedeutenden und tiefgründigen Beitrag zurKunstbiennale von S. Gabriele. Für die Kirche ist seine Arbeit einegroßartige kulturelle Leistung, die dem Geiste unserer Zeitschriftsehr nahe steht. P. Tito Amodei, ein langjähriger Weggefährte desVerstorbenen, schreibt hier eine kurze Würdigung des Verstorbenen.
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ŚMIERĆ BP CARLO CHENISA
Tito Amodei
La Sapienza della Croce informując swych czytelników o przed-wczesnej śmierci Bp Carlo Chenisa, ordynariusza diecezjiCivitavecchia-Tarquinia, chce go wspomnieć ze względu na znacznei kompetentne poparcie, jakiego udzielił Biennale sztuki sakralnej wS. Gabriele. Jest to zaś wydarzenie kulturalne o wielkim znaczeniu ibliskie naszemu czasopismu. To bardzo syntetyczne wspomnieniepochodzi od o. Tito Amodei, z którym byli blisko związani przezwiele lat.
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di ELISABETTA VALGIUSTI
Il concerto in re maggiore n. 35 per violino e orchestra di Ciai-kovskij è la sostanza del divertentissimo e intenso film: Il con-certo, realizzato dal regista rumeno Radu Mihaileanu. La musi-ca e la sua forza, l’ispirazione e il senso dell’arte, vengonoproposti come un mistero che supera il tempo e le leggi del mon-do. Un mistero che può far ri-vivere ed anche far ritrovareverità nascoste. Dall’altra, atratti, il film eccede cadendoin luoghi comuni, clichè, ge-neralizzazioni.
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l Bolshoi di Mosca è uno dei teatri più importanti e famo-si della scena artistica mondiale grazie all’opera di glorio-sissimi autori e interpreti di musica, teatro, danza. La sto-ria di questo teatro e della scena artistica russa hanno benrappresentato un grande paese anche nei suoi momentipoliticamente più tragici e hanno avuto una grandeinfluenza sulla cultura occidentale.
All’inizio del film Il concerto ci ritroviamo proprio al Bolshoiper seguire le disavventure di Andrei Filipov, un grande direttored’orchestra ostracizzato perché dedito a proteggere cantanti e musi-cisti ebrei invisi a Breznev. Non siamo in grado di commentare lacredibilità di questo assunto riguardante Breznev. Comunque, nelfilm il grande maestro Andrei è ridotto da decenni a fare l’uomodelle pulizie del teatro. E’ per lui l’unico modo, pur se di nascosto,di continuare a sentire e seguire la musica. Per questo subisce e sop-porta anche i maltrattamenti dell’arrogante direttore del teatro.
Una sera pulendo l’ufficio del direttore intercetta un fax con l’in-vito del teatro Châtelet di Parigi per un concerto. Andrei decide cheè il momento di rischiare il tutto per tutto. Con l’aiuto di uno dei mu-
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sicisti della sua orchestra, Sasha, e dell’odiatissimo ex impresario delBolshoi che lo aveva cacciato, imbastisce un imbroglio colossale eriesce a portare a Parigi la sua orchestra di un tempo. Nel frattempo,i suoi musicisti si sono adattati a fare i mestieri più disparati per so-pravvivere e il rischio è che forse non siano più capaci di suonare,tanto meno suonare Ciaikovskij. Ma Andrei aveva ossessionato tut-ti loro, specialmente la violinista, la sua cara amica ebrea Lea, conle prove del concerto in re maggiore n. 35 per violino e orchestra diCiaikovskij. Andrei stava dirigendo proprio quel concerto al Bolshoiquella orribile sera in cui era stato violentemente interrotto e caccia-to. Allo stesso tempo Lea e il marito erano stati arrestati ed erano inseguito deceduti in prigione. La loro bambina si era salvata grazie aun’amica francese che era riuscita a portarla via con sé a Parigi, na-scondendola nella custodia di un violoncello. Il ricordo di Lea e ilsuono del suo violino perseguitano ancora Andrei.
Non è possibile riportare i toccanti contrasti del film, è uno spet-tacolo che fa ridere e piangere molto.
Inoltre, il grande imbroglio comprende la partecipazione di unagiovane, bravissima e bellissima violinista francese, Anne Marie Jac-quet, che contro ogni aspettativa accetta di partecipare al concerto.Anne Marie conosce il nome di Andrei, lo considera un grande mae-stro. I fili della storia man mano si riannodano mentre si complica-no le vicende degli orchestrali una volta giunti a Parigi. Scompaionotutti, ben decisi a non tornare più in patria. Anne Marie si reca alleprove ma trova solo Andrei e un paio dei membri dell’orchestra. Peg-gio, la cena fissata fra lei e Andrei si risolve malissimo. Infatti, An-drei si ubriaca e racconta storie apparentemente senza senso. La gio-vane decide di cancellare la sua partecipazione al concerto. Andrei èdisperato anche per non aver osato svelare ad Anne Marie una veritàdifficile, quella sulla sua vera madre, la violinista ebrea Lea, mortain prigione.
Inaspettatamente, la sera seguente, tutti gli orchestrali compaionoalla rappresentazione, compresa la bella violinista. La grande musi-ca sfida e vince ogni negatività, rimuove atroci ricordi e paure, riscat-ta dai fallimenti, illumina una nuova realtà.
Un’esecuzione straordinaria della straordinaria opera di Ciaikov-skij si sposa alle immagini dei protagonisti e delle loro appassionan-ti vicende, creando un incanto unico che supera il limitato schermodel cinema e penetra nel cuore.
E’ l’esecuzione di un estratto del concerto quella che il film rappre-
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senta. Sono solo una decina di minuti, eppure sono sufficienti a far di-menticare tutto e dare un senso compiuto all’intera vicenda.
Il film è stato bene accolto dalla critica internazionale che dà perscontati i modi e i motivi con cui il film affronta la Russia di oggi e diieri. D’altronde, anche i personaggi ebrei del film vengono spesso ri-dicolizzati e hanno i caratteri tipici dei cliché già noti a riguardo.
Fra l’altro, il difetto più vistoso della versione italiana è un doppiag-gio delle voci eseguito con un pesante accento russo e un assurdo ac-cento francese, che risulta assolutamente ridicolo e fuorviante per la re-sa degli ottimi attori.
Il regista Radu Mihaileanu è di una famiglia ebrea romena il cui co-gnome originale fu cambiato per evitare persecuzioni.
I precedenti film del regista, Train de vie e Vai e vivrai, hanno otte-nuto un grande successo. I suoi film giocano molto sulla simulazione el’imbroglio, con al centro questioni che riguardano il mondo ebreo.
In alcune interviste il regista critica apertamente la dittatura in Ro-mania e la politica russa del passato pur riconoscendo l’importanza del-la cultura russa. Per scrivere la sceneggiatura del suo nuovo film ha os-servato da vicino la condizione in cui vivono molti moscoviti. Mihai-leanu esprime con energia il suo grande amore per la libertà.
Il regista firma la sceneggiatura insieme a Matthew Robbins. L’ot-timo montaggio è eseguito da Ludovic Troch. Le musiche della colon-na sonora sono a cura di Armand Amar e comprendono straordinarimotivi gitani e musiche popolari russe. Il cast forma un’orchestra euna scena straordinarie con caratteri di una vitalità esaltante interpre-tati da grandi attori come Lionel Abelanski, Jean Paul Carrère, DmitryNazarov, Anna Kamenkova Pavlova, Alexander Kommisarov, Fran-cois Berlèand. Il protagonista Andrei è interpretato splendidamente daAleksei Guskov. La bella e bravissima Melanie Laurent interpreta lagiovane violinista e nel film compare la nota artista Miou-Miou.
Il film è una coproduzione a cui hanno partecipato numerose nazio-ni fra cui l’italiana BIM, Castel Films, Les Productions du Trésor, Pa-nache Productions.
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THE POWER OF MUSIC
by Elisabetta Valgiusti
The Concert in D Major, No. 35 for violin and orchestra ofTchaikovsky, is a film of great enjoyment and intensity. The concertwas directed by the Romanian conductor Radu Miahileanu. Musicand its power, inspiration and a sense of art, are proposed as a mys-tery that transcends time and the laws of the world. It is a mysterythat enables one to relive and even rediscover hidden truth. Fromanother perspective, the film surpasses common places, clichés andgeneralizations.
LA FORCE DE LA MUSIQUE
D’Elisabetta Valgiusti
La concert en re majeur n° 35 pour violon et orchestre deTchaïkovski est la substance du film à la fois très divertissant etintense : « il concerto », réalisé par Radu Mihaileanu.La musique et sa force, l’inspiration et le sens de l’art, sont propo-sés là comme un mystère qui surpasse le temps et les lois du monde.Un mystère qui peut faire revivre et aussi faire retrouver des véritéscachées. Mais, à certains moments, le film en arrive à tomber dansdes lieux communs, des clichés et des généralisations.
LA FUERZA DE LA MÚSICA
Por Isabel Valgiusti
El concierto en Re Mayor nº. 35 para violín y la orquesta deCiaikovkij es el núcleo de la muy divertida e intensa película. Elconcierto, realizado por el director rumano Radu-Mihaileanu. Lamúsica y su fuerza, la inspiración y el sentido del arte, han sido pro-puestos como un misterio que supera el tiempo y las leyes delmundo. Un misterio que puede hacer revivir y también hace encon-trar las verdades ocultas. Por otra parte, en ocasiones, la películadesciende cayendo en lugares comunes, en esquemas prefijados, engeneralizaciones.
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DIE MACHT DER MUSIK
von Elisabetta Valgiusti
Das Konzert in D-Dur Nr. 35 für Violine und Orchester vonTschaikowsky bildet die Grundlage für den äußerst unterhaltsamenund gefühlsintensiven Film Das Konzert des rumänischenRegisseurs Rado Mihaileanu. Die Musik, ihre Kraft, ihre Inspirationund der Kunstsinn werden als Geheimnis dargestellt, das die Zeitund die Ordnungen der Welt übersteigt. Ein Geheimnis das wieder-beleben kann und verborgene Wahrheiten wiederfinden lässt.Streckenweise jedoch ermüdet der Film, wenn er sich inGemeinplätzen, Klischees und Verallgemeinerungen ergeht.
MOC MUZYKI
Elisabetta Valgiusti
Koncert w D-dur na skrzypce i orkiestrę nr 35 Czajkowskiego jesttreścią bardzo zabawnego i bardzo skondensowanego filmu.„Koncert” zrealizował rumuński reżyser Radu Mihaileanu. Muzykai jej moc, natchnienie i sens sztuki zostały przedstawione jako miste-rium, które przekracza czas i prawa świata. Misterium to możeożywić i pomaga odnaleźć ukryte prawdy. Z drugiej strony momen-tami film popada w przesadę, banał, utarte schematy i uogólnienia.
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Le missioni par-rocchiali furonoconsiderate fin
dalla Regola del 1741una delle attività fonda-mentali finalizzate a rea-lizzare l’ideale apostoli-co dei Passionisti, consi-stente nel “promuovereil religioso culto e la gra-ta memoria della Passio-
ne e Morte di Gesù Cristo Signore Nostro” (espressione in cui si com-pendia il quarto voto della Congregazione). Iniziavano di pomeriggiocon l’arrivo dei missionari, che, accolti dal popolo e dal clero locale,si recavano in processione verso la chiesa parrocchiale. In genere du-ravano dai dieci ai quindici giorni e, con una serie di studiati “cerimo-niali”, che avevano il fine di incidere sull’immaginario collettivo, rag-giungevano quasi sempre i risultati sperati (conversione individuale,pacificazioni, promesse di vita santa ecc.). Sullo svolgimento e sullariuscita delle missioni passioniste in Abruzzo nell’800, il P. AdrianoSpina (sacerdote passionista appartenente alla provincia della Presen-tazione), offre un dettagliato e analitico resoconto attraverso i “regi-stri delle missioni”, compilati, a mo’ di cronache, in forma essenzia-le, dai missionari incaricati, che in genere si limitavano ad indicare so-lo la località, il periodo e l’effetto spirituale e morale avuto dalle mis-sioni sul popolo e sul clero locale. Il P. Spina che non è nuovo a ricer-che di questo genere (avendo studiato le predicazioni passioniste inToscana, a Roma e nel Lazio, sempre nel XIX secolo) ed ha consul-tato tutti i “registri” dei “ministeri” conservati nei ritiri passionisti del-le province della Pietà e dell’Addolorata (alla quale appartenevano iritiri del Lazio inferiore, dello stesso Abruzzo, compreso quello di Iso-la del Gran Sasso fino a quando non fu eretta la provincia della Pie-tà), ha osservato giustamente che “le relazioni non sono molte”, per-ché i predicatori, “agili nella parola, ma non nello scrivere”, non an-davano al di là di scarni dati. Pertanto la documentazione esistenteconsente sì di ricostruire la mappa dei paesi e delle città abruzzesi incui furono tenute le missioni, ma non fornisce altre notizie sull’anda-
ADRIANO SPINA,C.P. Missioni e
predicazioni dei passionisti in Abruzzo nell’Ottocento
San Gabriele edizioni,2009,
pp.159.
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mento dell’attività religiosa, al di là dei dati essenziali sopra eviden-ziati, eccetto alcuni casi nei quali il cronista indugia in particolari chepermettono di evidenziare il clima esistente nelle varie parrocchie ediocesi sotto il profilo spirituale e religioso. E’ significativa la crona-ca della missione svolta a Penne nel 1853, su insistente richiesta delVescovo Vincenzo D’Alfonso (1809-1880) e della cittadinanza. Il cro-nista dichiara che Penne era “città assai devota al nostro Istituto cheha in pregio il nostro abito”. Si ricordi che il fondatore del ritiro di Iso-la fu il precedessore del D’Alfonso, Monsignor Domenico Ricciardo-ni (1758-1845) e che a Penne i passionisti isolani erano di casa, essen-do la loro diocesi di appartenenza, in cui aveva luogo spesso il confe-rimento degli ordini minori e maggiori ai chierici, che ivi si recavano,come avvenne per S. Gabriele e per il confr. Ermenegildo del SacroCuore (Ponziano Gismondi), che furono nel Duomo di Penne il25/05/1861 per ricevere la tonsura e gli ordini minori. La cronaca rie-voca lo stupore dei missionari per l’“ordine, il silenzio, il raccoglimen-to”, al punto che sembrava loro di “trovarsi non già nel Duomo di Pen-ne, ma nel deserto dove il pastore cibava la devota turba famelica, tut-to effetto della parola ascoltata”.
Sono significativi i casi nei quali, grazie ai missionari, avvengo-no riconciliazioni tra famiglie e pubbliche proclamazioni di peccati,come quando ad Alanno (1831) ebbero luogo “rimarchevoli conver-sioni e ritrattazioni di false accuse fatte anche in Chiesa”, o quandoa Corcumello, nell’Aquilano, nel 1853, un missionario, stigmatizzan-do “due parroci e sei sacerdoti del paese, i quali invece di essere pa-stori, erano lupi affamati che scandalizzavano tutta la popolazione”,arrivando alle mani perfino nella chiesa, li fece riappacificare, invi-tandoli a chiedersi perdono e a baciarsi l’un l’altro in segno della ri-stabilita fraternità. Altri episodi, accuratamente riportati e commen-tati dal P. Spina, ci offrono la testimonianza dei gesti e degli atti aiquali i missionari facevano maggiormente ricorso nella loro predica-zione al fine di movere et compellere animos. Nell’Ottocento i ma-nuali delle predicazioni popolari erano zeppi di “casi”, puntualmen-te descritti e contestualizzati nell’ambito dei “temi predicabili”,con l’indicazione delle circostanze e del tipo di uditorio. Tra gliexempla di quella che potremmo definire “psicacogia missionaria”,si segnalano la “fune al collo” per indurre alla penitenza, l’uso della“testa di morto”, per svolgere un dialogo col defunto sulla vanità del-le cose, lo schiodamento e la deposizione di Cristo dalla Croce, l’usodi stendardi raffiguranti anime di dannati e di diavoli per esortare gli
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spettatori ad aborrire il peccato, e infine la flagellazione. Le missio-ni passioniste furono più sobrie nei “cerimoniali”, limitandosi all’au-toflagellazione del predicatore o alla sepoltura di Cristo. Questi duecasi ricorrono in quasi tutte le missioni svolte in Abruzzo.
Il libro del P. Spina, frutto di un’attenta e capillare ricostruzionedi centoundici missioni in altrettanti paesi della regione, colma unalacuna del settore, offrendoci informazioni preziose per documenta-re l’esatta entità dell’attività svolta dai passionisti, ma anche per va-lutare l’importanza che la presenza passionista ha avuto nella forma-zione e nell’evoluzione del sentimento religioso delle nostre popola-zioni nel corso del XIX secolo1.
Giovanni Di Giannatale
1 Si segnala un’imprecisione nel cap. VII (p.39). La missione effettuata nel1856 agli studenti del “reale collegio”, riguarda non Atri, ma Teramo, dove dal1814 esisteva il Real Collegio borbonico, denominato “San Matteo” dallaChiesa omonima annessa all’Istituto, che dal 1850 al 1861 fu diretta dai PP.Barnabiti della Provincia napoletana. Inoltre si evidenzia che il P. Spina igno-ra la missione tenuta a Teramo nella Quaresima del 1897 da otto passionisti,tracui il P.Camillo,eccellente predicatore,chiamati dal Vescovo Trotta. La missioneebbe un enorme successo,come attestano i giornali dell’epoca (Laluce,7/04/1897,p.3; la Provincia di Teramo, n. 15, 11/04/1897, p.3; Il cor-riere abruzzese, n.30, 14/04/1897, p.3). Così il cronista de La luce scrive-va: “ le loro prediche sono state apprezzate dalla moltitudine dei devoti dellacittà e del contado. Padre Camillo, nelle sue arringhe, ha soddisfatto più di tuttii numerosi frequentatori della Chiesa che difficilmente lo dimenticheranno”.Fuori del coro degli apprezzamenti e degli elogi fu L’Eco del popolo (n.48,3/04/1897, p.1) ,espressione del laicismo degli anticlericali teramani, che nel-l’art. La quaresima e i predicatori,attaccò con argomentazioni virulente e deni-gratorie i passionisti, ritenendoli colpevoli di avere assediato Teramo e di esse-re entrati “trionfanti” nei “ quattro punti cardinali”, e definendoli beffardamen-te “esseri che hanno la sciocca pretensione di far cambiare faccia al mondo,e mercè i terrori dell’inferno e le altre sacerdotali imposture, ricondurre il popo-lo a quello stato incivile del Medioevo, ed a sottoporlo di nuovo al giogodella chiesa“. Non si era ancora spenta negli anticlericali di turno la pre-giudiziale e non meno calunniosa ostilità, messa in atto nel 1894, attraversola stampa, contro i passionisti, accusati di riprendere con l’inganno e con l’im-postura (consistente nell’invenzione della santità di Gabriele), e con l’aiuto delsindaco di Isola del Gran Sasso, il ritiro dell’Immacolata Concezione, sop-presso nel 1866. L’Eco del Popolo così scriveva: (…) è una vergogna nel nostroAbruzzo l’aver dato asilo ai passionisti, veri parassiti, che si servono del lororidicolo San Gabriele, per succhiare a guisa di vampiro il vostro sangue, quel-le delle vostre mogli e dei vostri figli”. Ma il direttore de L’ECO del Popolo restòcompletamente isolato in questo ignobile attacco, perché i passionisti (eccol’ironia della sorte) furono, a circa tre anni di distanza , appoggiati e apprez-zati dall’onorevole Settimio Costantini , deputato della Sinistra Storica , non-ché dagli stessi giornali, come La luce e il Corriere abruzzese (organo del par-tito costantiniano), che nel 1894 avevano aggredito, con non dissimile violen-za,i passionisti, bersagliando soprattutto il P. Germano Ruoppolo, chiamatospregevolmente il “gesuita romano”!
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La chiesa cattolicanon riesce a libe-rarsi, nella litur-
gia, nella devozione e ne-gli spazi destinati al cul-to, da immagini sacre dipessimo gusto (kitsch).Un prodotto industriale,convenzionale e di nes-suna sacralità. Un pro-dotto che squalifica leimmagini dei santi che
intendono rappresentare, e il clero e i fedeli che ne fanno uso.E’ l’immagine della Madonna, sempre presente nel culto, che pagaper tanto degrado. L’autore ritiene che solo dall’arte del proprio tem-po si dà la misura della autenticità del culto e della fede dei fedeli cheviene ad esprimerla in immagini. Come è dimostrato dalla lunga sto-ria della cultura.A conferma della sua tesi egli correda il suo volume con riproduzio-ni tratte dalla iconografia mariana prodotte attraverso i secoli; maiuguali e sempre attestanti la grandezza della Vergine.
Fernando Angeloni
TITO AMODEI, Signum Magnum.
Perché la Madonna vuole apparirekitsch?,
Edizioni Feeria, Comunità di San Leolino,
2009, € 15.
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Analogamente al-l’Anno paolino,anche per l’Anno
sacerdotale (ma, grossomodo, è sempre così), simoltiplicano le iniziativepiù o meno effimere, divalore disuguale, provo-cando inevitabilmentequalche ulteriore ingorgoa un dilagante movimen-tismo (movida ?), propriomentre, a tutti i livelli, simoltiplicano gli inviti al-
la sobrietà. Riprendendo le parole del Santo Curato d’Ars: “Quel cheimpedisce a noi sacerdoti di essere santi è la mancanza di riflessio-ne; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è necessariala riflessione, la preghiera, l’unione con Dio”, nell’enciclica Sacer-dotii Nostri primordia “nel primo centenario del piissimo transito diS. Giovanni Maria Battista Vianney” (1959), il Beato Giovanni XXIIIammoniva: “Ai sacerdoti di questo secolo, facilmente sensibili all’ef-ficacia dell’azione e facilmente tentati pure da un attivismo pericolo-so, quanto è salutare questo modello di preghiera assidua in una vitainteramente consacrata alle necessità delle anime”. Il Papa buono at-tinge abbondantemente agli Atti dei Processi di beatificazione e cano-nizzazione conservati nell’”Archivio segreto Vaticano”, per ricostrui-re un profilo completo, profondo, simpatetico del sacerdote innamora-to dell’Eucarestia e della Vergine, tutto dedito alla cura delle anime, incontinua preghiera, immolato nella dedizione e nel sacrificio, incarna-zione perfetta, vivente dei consigli evangelici della castità, ubbidienzae povertà. Allo stesso tempo, ripercorre, nel suo stile colloquiale, i ri-cordi personali legati alla sua formazione e al ministero sacerdotale edepiscopale e gli interventi qualificati e numerosi dei predecessori che,più o meno in riferimento all’esemplare curato d’Ars, hanno lumeggia-to l’ideale sacerdotale: Pio X (Haerent animo), Pio XI (Ad cattolici sa-cerdotii), Pio XII ( Menti nostrae e Sacra virginitas). Pio XII che ave-va parlato dell’ “eresia dell’americanismo”.
FOURREY RENE’, Vita autentica del Curato d’Ars,
San Paolo (“I Protagonisti”156), Cinisello Balsamo 2009,
prefazione di René Laurentin, pp. 405,
cm 15x22, tutto illustrato in b/n e a colori,
rilegato con sopracoperta, € 24,00.
Quanto al profilo intellettuale, notoriamente non eccelso ma abbon-dantemente supplito dallo zelo e da una alquanto ingegnosa “ripre-sa” da manuali e predicabili: “Alcuni si appoggerebbero volentierialla scarsa istruzione di lui, per scusare il proprio difetto di zelo ne-gli studi. Sarebbe meglio imitare il suo coraggio per rendersi degnod’un sì grande ministero… Il suo Vescovo diceva di lui a certi suoidetrattori: ‘Non so se sia dotto, ma egli è illuminato’”. Nella “Lette-ra per l’indizione dell’Anno sacerdotale in occasione del 150° anni-versario del ‘dies natalis’ di Giovanni Maria Vianney”, BenedettoXVI riprende alcuni passaggi del suo Predecessore, a partire da: “IlSacerdozio è l’amore del cuore di Gesù” e: “Un buon pastore, un pa-store secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Diopossa accordare ad una parrocchia, e uno dei doni più preziosi dellamisericordia divina”. Anche qui, naturalmente, la ricostruzione delprofilo spirituale e pastorale è tutto inteso a stimolare la santità e lozelo dei sacerdoti, in situazioni ancora (e sempre) precarie: “Non c’èmolto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete”. Il pa-pa, preciso e profondo, trova l’occasione per una benevola critica al-la “esagerazione devota di un pio agiografo”: una nota che in moltisi sono meritati, soprattutto negli ultimi anni di una fama di santitàirrefrenabilmente (e giustamente) crescente e destinata a non cono-scere tramonto, anche con la mediazione culturale del Diario di uncurato di campagna, il cui messaggio è sintetizzato attraverso Tere-sa di Lisieux: “Tutto è grazia”. Opportuna, benemerita, benefica, er-go!, la Vita autentica nella quale il vescovo di Belley, la diocesi allaquale era appartenuto il Santo Curato, è riuscito a penetrare nel mi-stero della santità del Vianney, ricostruendo, su un’ampia documen-tazione, l’infanzia e il mondo travagliato della Rivoluzione francesee dell’epopea napoleonica, la faticosa formazione sacerdotale, l’eser-cizio delle virtù nell’ascesi più assoluta e in un modello rigoroso divita cristiana (anche il suo zelo pastorale si addolcì con gli anni), leinnumerevoli ore al confessionale e la “piccola Ars” centro di un pel-legrinaggio di penitenti, la “Providence”, la tentazione persistente difuggire, i suoi vicari, le Suore di San Giuseppe e i Fratelli della Sa-cra Famiglia, il testamento, i funerali, la gloria. Questa edizione èsemplificata nella documentazione scritta per lasciare spazio a unaricca documentazione fotografica che ci fa vedere, a ogni pagina iluoghi e i momenti della vita del santo. Come non capire la nostalgiadella parrocchia?
Salvatore Spera
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Le relazioni e lecomunicazionitenute dagli stu-
diosi nel 4° colloquiointerdisciplinare su S.Gabriele dell’Addolo-rata e il suo tempo, svol-tosi nel Convento di S.Gabriele dell’Addolora-ta dal 12 al 13 novem-bre 2008, nel quadrodelle celebrazioni pro-grammate per la ricor-
renza del 1° centenariodella beatificazione (1908-2008), sono state pubblicate in questovolume. Reca la premessa di T.P. Zecca C.P., che ne è il segreta-rio, il saluto del Vescovo di Teramo – Atri, mons. Michele Seccia ,la presentazione del Preposito provinciale P. Piergiorgio Bàrtoli,e la relazione introduttiva di M. D’Ippolito C.P., Rettore del San-tuario, sulle attività svolte durante l’anno dedicato al centena-rio. Gli interventi di quest’ ultimo Colloquio, che segue agli al-tri tre, svoltisi nel 1982, nel 1984 e nel 1988, sono tutti di pre-gevole livello scientifico, essendo studi di prima mano, che, purtrattando talora temi storico-biografico-spirituali già analizzati, ar-recano un valido contributo alla letteratura gabrieliana, sia perl’originalità dell’interpretazione, sia per la novità dell’approcciometodologico, e sia infine per la delineazione di altri importantiaspetti finora poco evidenziati o rimasti nell’ombra.
Giustamente il P. Zecca ha fatto notare, contro chi ritiene chesu S. Gabriele non ci sia più nulla di nuovo da dire, che “le ricer-che di vari relatori invitati e che hanno aderito con molta convin-zione all’iniziativa culturale del novembre 2008, dimostrano chesu S. Gabriele, il suo tempo e il suo Santuario, c’è ancora da dire”.Il volume si articola nelle tre sezioni, in cui è stato strutturatoil convegno: storica, teologica e pastorale. La prima presenta ottocontributi: due di carattere generale sulla questione romana e sul-
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AA. VV., S. Gabriele dell’Addolorata
e il suo tempo, studi-ricerche-documentazione, IV,
nel 1° centenario della beatificazione,
(1908-2008), San Gabriele Edizioni, 2009,
pp. 393.
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l’Italia risorgimentale, e sulla Chiesa e la questione meridiona-le rispettivamente di R. De Mattei e di M. Viglione, e gli altri piùspecifici relativi al Ritiro di Isola (come quello di S. Eleonorasulla provincia di Teramo tra il 1859 e il 1862, di G. Di Giannatale,Sulla fondazione del Ritiro dei Passionisti di Isola, del P. N.Petrone ofm. conv., sugli affreschi del chiostro). Peccato che dellarelazione del prof. Viglione sia stato pubblicato solo lo schema,che toglie ai lettori la possibilità di fruire di un’analisi ampia,ben documentata e storicamente valida, quale fu l’intervento tenutoil 12 novembre.
La sezione teologica comprende sette interventi, tutti di grandepregio per lo spessore dell’analisi e per la solidità delle argomen-tazioni, che manifestano un approfondito lavoro di elaborazione cri-tico-documentaria e bibliografico-testuale. Si segnalano le fonda-mentali relazioni del P. A. Artòla Arbiza sull’esperienza mistica diS. Gabriele a Spoleto (a proposito della “locuzione interiore” del22 agosto 1856) e sul “credo mariano” (simbolo) del santo, ricchedi fini e illuminanti considerazioni, esposte con stile limpido e coin-volgente. A seguire, degne di rilievo anche le altre relazioni, tra lequali quella del P. A. Valentini monf., che stabilisce con espertaesegesi le relazioni tra il “simbolo mariano” di S. Gabriele e il“trattato” del Montfort, quelle del P. C. Baldini C.P., che esaminala moralità e lo studio della morale in S. Gabriele, di G. Di Gianna-tale, che delinea la formazione spirituale ed intellettuale di S. Ga-briele dal noviziato alla teologia (1856-1862), del P. G. Comparel-li sulla centralità del P. Raffaele di S. Antonio, maestro di novizia-to del Santo a Morrovalle (1856-1858) e, infine, quella del P. T. P.Zecca, che analizza il rapporto tra la “santità” di S. Gabriele e gliexempla di tre giovani dalla spiritualità intensa (S. Luigi Gonzaga,S. Stanislao Kostka e S. Giovanni Berchmans).
La sezione pastorale raccoglie otto contributi, che illustrano losviluppo della devozione gabrieliana nelle regioni centro–meri-dionali. Si segnalano, in particolare, lo studio di don G. Orsini, che,riprendendo altri interventi sul tema, pubblicati negli atti del 3°Colloquio e in un volume (I Pellegrini di S. Gabriele, Teramo,1990, pp.162), fa il punto sul culto di S. Gabriele nell’ “Abruzzoche cambia”; quelli di P. C. Turrisi C.P., P. G. Comparelli C.P. e G.Palmerini rispettivamente sul culto gabrieliano in Puglia e nellaCalabria, nel Basso Lazio-Campania, tra gli emigranti d’Abruzzoe d’Italia; e infine quello del P. D. Lanci C.P., che compie un’ac-
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curata analisi del culto gabrieliano nei canti popolari abruzzesi.Da non trascurare, sempre nella sezione pastorale, la relazionedel Vescovo D. Segalini, che offre interessanti considerazionisull’“affascinante figura” di S. Gabriele nel contesto della pastora-le giovanile dopo Loreto 2007 e la Giornata mondiale della gio-ventù del 2008; e quelle dense di attente riflessioni (pur nella lo-ro essenzialità) di Suor M. D’Alessandro sul culto di S. Gabrielenel contesto della spiritualità delle suore Passioniste di S. Paolodella Croce e del P. P. D’Eugenio C.P., direttore dell’ECO di S.Gabriele, che ripercorre la genesi e l’evoluzione del periodico dal1913 ad oggi, accennando anche all’infausta soppressione del 1941(recentemente oggetto di un mio studio apparso su La Sapienzadella Croce, n. 4, 2009, pp. 85-104).
Al termine di questa rapida ricognizione, è doveroso rivolgere unplauso a T. P. Zecca, che ha organizzato e coordinato scientificamen-te l’articolazione tematica del 4° Colloquio, e la stampa degli atti,al Superiore provinciale, che lo ha sostenuto e incoraggiato, e al P.Mario D’Ippolito, che ha curato l’organizzazione di tutte le altre ma-nifestazioni sacre e liturgiche. Il volume, pregevole anche sotto ilprofilo estetico, sarebbe completo, se presentasse l’indice dei nomi,l’indice toponomastico, nonché l’indice tematico analitico delle sin-gole relazioni, come è avvenuto negli atti dei precedenti Colloqui,essendo di grande utilità per agevolare la consultazione e la ricerca.
Giovanni Di Giannatale
Una cascata digrazia e di bel-lezza, un fiume
di sapienza biblica, pa-tristica, teologica chescende dal monte doveda secoli è appollaiato ilcastello del puer Apuliaee da qualche decenniovive, prega, lavora Cri-stina di Lagopesole, or-mai di Gesù Crocifisso,monaca, eremita, misti-ca che, per ispirazionedivina, scrive poemi.Una peregrinatio, unasalita al monte di Dio, inuna communio sancto-rum celeste e terrestre
che la fa tramite sapiente e ispirata tra Cristo crocifisso e risorto, laTrinità luce sapienza e amore, Maria Vergine e madre, i Santi profe-ti, apostoli, vergini, martiri, dottori, papi, vescovi, presbiteri, mona-ci ed eremiti e noi. Il Flos (titolo dalle suggestive reminiscenze agio-grafiche e letterarie) è “un Martirologio ritmico (gli Inni Sacri sonoritmicamente divisi in distici, terzine, quartine, etc… fino stanze didieci versi) per tutto l’arco dell’anno liturgico… Inni sacri, Canti di gioia, Cantici, Laudi, Dossologie, Kontakia,Akatistoi, Epiclesi, Salmi, Preghiere offertoriali, Antifone, Vite inversi, Anafore, Panegirici, Sequenze, Eulogie…Una vita quotidianaliturgica scandita dall’esempio e dal messaggio dei nostri santi, nel-la prosa della loro esistenza trasformata in versi dalla grazia divina”(Presentazione del Prefetto della Congr. Delle Cause dei Santi, Sa-raiva Martins). Un martirologio ecumenico, dilatato nel tempo e nel-lo spazio, introdotto da Praedicta (professione di fede, testamento) eseguito da Revelatio (splendido ciclo iconografico realizzato dal mo-naco melchita Gustavo Costanzo e custodito nel santuario Divin Cro-cifisso di Castel Lagopesole, ormai centro devozionale, liturgico e
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CRISTINA DI LAGOPESOLE, Flos sanctorum.
Peregrinatio per annum, Lacaita,Manduria 2005,
pp. LII+947, cm 18x25, rilegato in marocchino,
tavole a colori, s.i.p.CRISTINA DI
GESU’ CROCIFISSO, De Eucaristia, Feeria-Comunità
di San Leolino, Panzano in Chianti(Fi) 2009, pp 351, cm 17x25,
rilegato, tavole a colori, CD di canti eucaristici,
€ 35,00.
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spirituale). Un’opera imponente di circa 15.000 versi, 528 Inni e iSanti considerati ogni giorno dell’anno. P. Gianfranco Grieco, dell’“Osservatore Romano”, nell’Introduzione, sottolinea il significato delsottotitolo: “ Un chiaro invito rivolto al Lettore affinché egli si pre-disponga a compiere il Viaggio santo insieme all’Autrice… Il divinoMaestro di quest’Opera è Gesù Cristo. La Sacra Bibbia è la Madre.Gli Autori guida sono gli Innografi della Tradizione orientale e occi-dentale: Romano il Melode; Efrem il Siro; Simeone il Nuovo Teolo-go; Gregorio Nazianzeno; Gregorio di Narek; Andrea di Creta; i san-ti Ambrogio, Agostino e Paolino da Nola. In una parola, i Padri e leMadri della santa Chiesa”. Personalmente abbiamo apprezzato mol-to anche la preziosità delle brevi massime introduttorie e il corredodi notizie e spiegazioni necessarie per gustare e comprendere appie-no tanti particolari frutto di sterminata erudizione che a tanti di noisarebbe risultata oscura e di difficile comprensione.
Centuria eucaristica “dove il mistero del Corpo e del Sangue delSignore diventa una lode, una poesia, un’ ‘emozione’, che salgonodal fervore e dall’impronta di un’esperienza”, scrive nella Presenta-zione del De Eucharistia, Inos Biffi e ha sottolineato l’Autrice, nel-la lunga, cordialissima conversazione telefonica che ci ha concesso.Cristiana Dobner ocd, nell’Introduzione, prende le mosse dalla di-chiarazione dell’Autrice: “Io, Cristina, consacrata a Gesù Cristo,/ tro-vandomi nel Santuario Divin Crocifisso, sul Monte,/ nel giorno del-la Esaltazione della Croce/ dell’Anno del Signore 2007/ ricevetti que-sto comando:/ ‘Scriverai una Centuria eucaristica portando la Croce./Le tue mani, il tuo cuore, le tue viscere sanguineranno,/ ma nella boc-ca sarà dolce come il miele./ Poi mandala alla Chiesa’. Sì, SignoreGesù. Amen”. E’ la XXX opera “che conclude il Viaggio dell’animasulla terra/ e apre la porta dei cieli”. 100 inni sacri di 33 versi ciascu-no, Prologo (“Mando alla tua santità,/ o Teresa Benedetta della Cro-ce,/ questa Centuria eucaristica”) e Invocatio, Inno a San Tommasoe Inno alla Beata Maria Candida dell’Eucaristia (Viae Duces), AgniParvuli Agni (una bellissima rassegna di martiri, santi e beati testi-moni e innamorati dell’Eucaristia, giovanissimi) Te Deum e Amenconclusivo. Otto libri: Hierofanie, Io sono, Io non sono, Accidenti eu-caristici, Presenza, Presenza reale eucaristica, Logos-Theos, Chari-smata. Anche qui una Revelatio, ciclo iconico di una Monaca delloScriptorium del Monastero San Benedetto in Bergamo.
Salvatore Spera
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Il trovare nel titolo diun testo di studiodella tradizione
ebraica un’espressionetanto cara a Paolo dellaCroce, quale è quella dimorte spirituale e mor-te mistica, introduce au-tomaticamente in unmondo che sta al di làdelle divisioni alle qua-
li l’umanità si aggrappa con tanta paura (paura della morte) e tantatenacia, pur sperimentando che proprio quella paura conduce, infine,a una morte che non si apre alla vita. L’altra parte del titolo, la prima,collega il discorso sul martirio col discorso sull’amore, il Cantico deiCantici – shir ashirim – e collega l’amara esperienza della morte conla dolcezza e con l’ebbrezza del bacio. La morte è per i mistici ebreiil bacio di Dio. Non si tratta di un’esaltazione sentimentale, ma diun’esperienza lentamente maturata in un cammino di purificazione edi guarigione, si tratta di un desiderio di cui si ha una coscienza lim-pida. Rabbi Aqivà che gioisce nelle torture perché vede attuato il suodesiderio di amare Dio con tutta l’anima, cioè di amarlo tanto da dar-gli la propria anima, è il testimone a cui la tradizione si ispira di più.Perché forte come la morte è l’amore. L’amore di Dio assorbe ripu-gnanza e paura. Yo’el Sirkis nel secolo XVI sintetizzava e spiegavacosì tutta questa tradizione:“Quando si recita lo Shema’, si deve avere l’intenzione di accettaresu di sé il giogo del Regno del cielo, di essere uccisi per la santifica-zione del Nome… questo è ciò che significa col versetto: con tuttal’anima tua - perfino se Egli prende la tua anima… - con questa in-tenzione lo si reciterà con timore e tremore” (129).E Rabbi Moshé Hayym Luzzatto osservava che una simile determi-nazione “ha grandi conseguenze a vantaggio del creato e della più ge-nerale rettificazione” (ivi).Abbiamo qui il concetto di riparazione tanto presente anche nella mi-stica cristiana, forse con una variante: nella mistica cristiana la ripa-razione si esprime maggiormente nell’idea di riparare un’offesa, qui
FISHBANE MICHAEL, Il bacio di Dio.
Morte spirituale e morte mistica nella tradizione ebraica,
Giuntina, Firenze 2002,
pp. 174, €13.00.
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piuttosto nell’idea di riparare o rettificare qualcosa che è stato defor-mato o danneggiato. Si arriva addirittura a pensare che la morte diAqivà, come quella degli altri santi come lui, ripara le dissociazioniprodottesi nell’Essere divino (143) o “restituisce armonia alla Tota-lità divina” (144). Morte mistica ebraica e morte mistica cristiana corrispondono, perquanto anche qui nel cristianesimo si calchi di più il concreto marti-rio incruento, ma quotidiano, che ottiene lo stesso effetto del marti-rio cruento. La tradizione ebraica enfatizza molto l’intenzione dellapreghiera. E’ importante osservare però che il punto di arrivo di un’in-tenzione pura di amore di Dio è lo stesso, amore fino al dono dellavita. La differenza non si trova fra l’approccio ebraico e quello cri-stiano, ma, purtroppo, fra chi, nell’ebraismo, è fedele e chi non è fe-dele all’Alleanza e chi, nel Cristianesimo, segue il Cristo Crocifissoo rende vana la sua Croce.Fishbane non ha paura di trovare analogie e somiglianze fra la misti-ca ebraica e altri cammini interiori. Non teme, ad esempio, l’elleniz-zazione della fede e della cultura ebraica, ma cita con favore l’eser-cizio di morte, il tanàtou meléthe, nel quale consisteva per i greci lafilosofia, in quanto amore della sapienza. Apprendiamo qui che nel-la mistica cabbalistica è presente l’idea di trasmigrazione delle ani-me, la metempsicosi delle religioni orientali. Questa non c’è, chiara-mente, nel cristianesimo.Fishbane esprime in tutto il suo testo la profonda pace provenientedalla profonda accoglienza della propria passività di fronte al Dio vi-vente, il Dio dell’Israele santo cioè separato dalla menzogna e dallaviolenza che domina il mondo dei gojim. Esprime la gioia di riscon-trare in mistici cristiani come Giovanni della Croce o Bernardo diChiaravalle gli stessi accenti dei mistici e dei martiri ebrei. Dispiaceche il presentatore della traduzione italiana non sembri in sintoniacon lo spirito che anima il testo di Fishbane e abbia voluto ricondur-re questo testo alle precedenti divisioni spacciando, tra l’altro, comecristianesimo le derive ultime e mondane della cristianità, tanto chias-sose e presuntuose quanto lontane dal mite silenzio dei mistici. Il Qiddush ha-Shem è la santificazione del Nome ed è il martirio cruen-to e intenzionale. Santificazione del Nome: è la prima domanda chenoi cristiani siamo invitati a fare nel Padre nostro, una preghiera ti-picamente ebraica, forse rendendoci vagamente conto di ciò che si-gnifica, forse pensandola come gloria da offrire a un dio vanitoso, co-me potevano essere gli dei del paganesimo. Lo spessore mistico di
questa espressione traspare da tutto questo testo che ripercorre tantisecoli di storia ebraica. Che cosa è che indebolisce il Popolo di Diocosì da far pensare a ebrei e non ebrei che certi comportamenti di go-vernanti ebrei rassomiglino troppo, fondamentalmente, alla violenzadei regimi dittatoriali del secolo scorso? Sembra proprio che sia l’ab-bandono di una tradizione come quella espressa in questo testo, a fa-vore di posizioni che assomigliano tanto a concezioni illuministe digojim e poco alla tradizione santa di Israele. Cosa fare? Lasciarsi mas-sacrare? Non tocca a noi dirlo. La coscienza di Israele sa certamentecosa è che Israele è chiamato a fare. Possiamo soltanto rimanere stu-piti di fronte a questi vertici di fede, di adesione a Dio, di santità edesiderare che non vadano perduti perché, come insegnavano i Mae-stri, sono il bene di Israele e un bene per tutta l’umanità.
Adolfo Lippi
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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSECATTEDRA GLORIA CRUCIS
PRODUZIONE SCIENTIFICA
DELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS
AA.VV. Memoria Passionis in Stanislas Breton, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, 2004.
PIERO CODA Le sette Parole di Cristo in Croce, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.
LUIS DIEZ MERINO, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre2004.
MARIO COLLU, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre2004.
TITO DI STEFANO, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, dicembre 2004.
CARLO CHENIS, SDB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. GabrieleTeramo, gennaio 2004.
ANGELA MARIA LUPO, CP La Croce di Cristo segno definitivodell’Alleanza tra Dio e l’Uomo, EdizioniStaurós, S. Gabriele Teramo, febbraio 2004.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, EdizioniOCD, Roma Morena, 2006.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto delCrocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, RomaMorena, 2008.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi seco-li, Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.
L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passio-christi.org alla voce Cattedra Gloria Crucis.
La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voceSapienza della Croce.