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LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Rivoluzione Comunista si richiama al marxismo rivoluzionario (Marx-Lenin). Lotta per rovesciare la borghesia; instaurare la dittatura proletaria; realizzare il comunismo. Giornale di partito - Anno XXXIX - sesta serie 1º Marzo - 1º Maggio 2003 — 1,50 Lo «stato di emergenza nazionale» una misura di militarismo bellico Il sostegno tacito del nostro governo all’invasione anglo-americana dell’Iraq ha spinto Palazzo Chigi a proclamare lo stato di emergenza. Con un provvedimento preso il 28 marzo il Consiglio dei Ministri ha decretato lo stato di emergenza sul territorio na- zionale, giustificando questo provvedimento con l’esigenza di fronteggiare «attacchi terroristici di tipo chimico batteriologico nucleare». L’evocazione terrorizzante di simi- li attacchi è forzata e strumentale in quanto sino ad oggi nessun gruppo arabo, né nes- sun gruppo nostrano, ha minacciato attentati di tipo «cbn». Quindi agitare lo spettro di questi attacchi è un pretesto per conferire poteri eccezionali agli apparati di repressio- ne e di controllo. Col menzionato decreto il presiden- te del consiglio, premettendo che c’è un «considerevole innalzamento del ri- schio di attentati di natura terroristi- ca», assegna alla Protezione Civile le se- guenti attribuzioni: a) poteri speciali; b) ruolo di coordinamento degli apparati di intervento; c) deroghe alle varie proce- dure e competenze, centrali e locali; d) compito di istituire un nucleo operativo entro cinque giorni; e) finanziamento immediato delle operazioni emergenzia- li. Queste attribuzioni vanno tutte al capo dipartimento della Protezione Ci- vile (attualmente Guido Bertolaso). E vengono conferite sulla base di una ap- plicazione eccezionale della legge istitu- tiva, l. nº 225/92 (ved. suppl. 26/3/97), che autorizza i poteri straordinari per «calamità naturali catastrofi ed altri eventi fronteggiabile con mezzi e poteri straordinari» e non per attacchi terro- ristici o atti di ostilità bellica. Questa investitura attesta e conferma quindi che l’apparato della Protezione Civile è completamente funzionalizzato alle ope- razioni aggressive della nostra macchina bellica. con l’Iraq. Quindi lo stato di emergenza ha evidenti scopi di prevenzione-repressio- ne e di penetrazione in casa altrui. Il dato di fatto è che con la proclamazio- ne dello stato di emergenza si sono imme- diatamente riuniti i vertici delle forze arma- te dei carabinieri della polizia della G.d.F. dei V.d.F. per coordinare i loro movimenti e dare più incisività alla loro attività controri- voluzionaria. Si capisce dunque bene in che direzione vanno le precauzioni. - Esprimere la più ferma condanna contro la misura eccezionale. No allo stato di emergenza e ai poteri straordinari al capo della Protezione Civile. - Autodifesa e vigilanza contro le mano- vre di prevenzione controllo ricatto degli apparati di potere. - Per l’unione dei lavoratori italiani ira- cheni mediterranei mediorientali e del mondo intero. - Fuori gli anglo-americani dall’Iraq. - Contro il militarismo bellico per l’ar- mamento proletario. All’interno Lo «stato di emergenza», pag. 1 Referendum articolo 18, 2-3 Lo Statuto dei Lavoratori, 4 Gli anglo-americani invadono l’I- raq, 5-6 Iraq: dai bombardamenti deva- stanti al crollo del regime e all’e- splosione popolare, 7-12 La «Sars» un’epidemia del nostro tempo, 13-15 L’ennesima vittima del lavoro, 14 L’uccisione di Mario Galesi, 15 Luciano Schielmann ad un anno dalla morte, 16 Un saluto a Dax Cesare, 16 Lo stato di emergenza ha evidenti scopi di prevenzione-repressione e di penetrazione in casa altrui In sede giuridica il provvedimento è stato mistificatoriamente qualificato «misu- ra precauzionale» a tutela «dell’incolu- mità pubblica e privata relativa a eventi calamitosi di natura terroristica»; mentre sul piano pratico esso ha natura program- matica, propulsiva-operativa; e serve a co- prire altri tipi di intervento. Infatti. La Pro- tezione Civile non sta operando solo in campo sanitario, ove di concerto col mini- stro ha promosso il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma a sentinelle anti-bat- teriologiche nazionali; sta svolgendo un’at- tività molto più vasta per allestire l’inter- vento umanitario in Iraq. Si tratta dell’in- vio, nel paese in corso di distruzione, di un contingente di esperti in campo medico e edile di ben 500 persone, col compito di preparare il terreno alle nostre imprese e ai nostri uomini di affari a opera finita. Tra l’altro questa volta non c’è neppure l’e- mergenza profughi che prema alle frontie- re, in quanto la riunione dei ministri degli interni e di giustizia dei 15 paesi dell’UE, apertasi il 28 a Veria in Grecia, ha stabilito di bloccare i profughi in centri confinanti

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LARIVOLUZIONE COMUNISTA

Rivoluzione Comunista si richiama al marxismo rivoluzionario (Marx-Lenin). Lotta perrovesciare la borghesia; instaurare la dittatura proletaria; realizzare il comunismo.

Giornale di partito - Anno XXXIX - sesta serie1º Marzo - 1º Maggio 2003 — € 1,50

Lo «stato di emergenza nazionale»una misura di militarismo bellico

Il sostegno tacito del nostro governo all’invasione anglo-americana dell’Iraq haspinto Palazzo Chigi a proclamare lo stato di emergenza. Con un provvedimento presoil 28 marzo il Consiglio dei Ministri ha decretato lo stato di emergenza sul territorio na-zionale, giustificando questo provvedimento con l’esigenza di fronteggiare «attacchiterroristici di tipo chimico batteriologico nucleare». L’evocazione terrorizzante di simi-li attacchi è forzata e strumentale in quanto sino ad oggi nessun gruppo arabo, né nes-sun gruppo nostrano, ha minacciato attentati di tipo «cbn». Quindi agitare lo spettro diquesti attacchi è un pretesto per conferire poteri eccezionali agli apparati di repressio-ne e di controllo.

Col menzionato decreto il presiden-te del consiglio, premettendo che c’è un«considerevole innalzamento del ri-schio di attentati di natura terroristi-ca», assegna alla Protezione Civile le se-guenti attribuzioni: a) poteri speciali; b)ruolo di coordinamento degli apparati diintervento; c) deroghe alle varie proce-dure e competenze, centrali e locali; d)compito di istituire un nucleo operativoentro cinque giorni; e) finanziamentoimmediato delle operazioni emergenzia-li. Queste attribuzioni vanno tutte alcapo dipartimento della Protezione Ci-

vile (attualmente Guido Bertolaso). Evengono conferite sulla base di una ap-plicazione eccezionale della legge istitu-tiva, l. nº 225/92 (ved. suppl. 26/3/97),che autorizza i poteri straordinari per«calamità naturali catastrofi ed altrieventi fronteggiabile con mezzi e poteristraordinari» e non per attacchi terro-ristici o atti di ostilità bellica. Questainvestitura attesta e conferma quindi chel’apparato della Protezione Civile ècompletamente funzionalizzato alle ope-razioni aggressive della nostra macchinabellica.

con l’Iraq. Quindi lo stato di emergenzaha evidenti scopi di prevenzione-repressio-ne e di penetrazione in casa altrui.

Il dato di fatto è che con la proclamazio-ne dello stato di emergenza si sono imme-diatamente riuniti i vertici delle forze arma-te dei carabinieri della polizia della G.d.F.dei V.d.F. per coordinare i loro movimenti edare più incisività alla loro attività controri-voluzionaria. Si capisce dunque bene in chedirezione vanno le precauzioni.

- Esprimere la più ferma condannacontro la misura eccezionale. No allo statodi emergenza e ai poteri straordinari alcapo della Protezione Civile.

- Autodifesa e vigilanza contro le mano-vre di prevenzione controllo ricatto degliapparati di potere.

- Per l’unione dei lavoratori italiani ira-cheni mediterranei mediorientali e delmondo intero.

- Fuori gli anglo-americani dall’Iraq.- Contro il militarismo bellico per l’ar-

mamento proletario.

All’interno❑ Lo «stato di emergenza», pag. 1❑ Referendum articolo 18, 2-3❑ Lo Statuto dei Lavoratori, 4❑ Gli anglo-americani invadono l’I-

raq, 5-6❑ Iraq: dai bombardamenti deva-

stanti al crollo del regime e all’e-splosione popolare, 7-12

❑ La «Sars» un’epidemia del nostrotempo, 13-15

❑ L’ennesima vittima del lavoro, 14❑ L’uccisione di Mario Galesi, 15❑ Luciano Schielmann ad un anno

dalla morte, 16❑ Un saluto a Dax Cesare, 16

Lo stato di emergenzaha evidenti scopi di prevenzione-repressione

e di penetrazione in casa altrui

In sede giuridica il provvedimento èstato mistificatoriamente qualificato «misu-ra precauzionale» a tutela «dell’incolu-mità pubblica e privata relativa a eventicalamitosi di natura terroristica»; mentresul piano pratico esso ha natura program-matica, propulsiva-operativa; e serve a co-prire altri tipi di intervento. Infatti. La Pro-tezione Civile non sta operando solo incampo sanitario, ove di concerto col mini-stro ha promosso il Sacco di Milano e loSpallanzani di Roma a sentinelle anti-bat-teriologiche nazionali; sta svolgendo un’at-

tività molto più vasta per allestire l’inter-vento umanitario in Iraq. Si tratta dell’in-vio, nel paese in corso di distruzione, di uncontingente di esperti in campo medico eedile di ben 500 persone, col compito dipreparare il terreno alle nostre imprese eai nostri uomini di affari a opera finita. Tral’altro questa volta non c’è neppure l’e-mergenza profughi che prema alle frontie-re, in quanto la riunione dei ministri degliinterni e di giustizia dei 15 paesi dell’UE,apertasi il 28 a Veria in Grecia, ha stabilitodi bloccare i profughi in centri confinanti

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Il ricorso al referendum è stato pro-mosso dalla sinistra parlamentare (Prc eVerdi) e dalla sinistra sindacale (Fiom). Edè appoggiato dai movimenti noglobal e dalsindacalismo di base. Si tratta di un miscu-glio di associazioni e tendenze che mira atrarre, dall’ascesa del movimento operaio,il maggior vantaggio in termini rappresen-tativi; e, al contempo, a stemperarne loslancio nella prassi impotente del legalitari-smo e della subalternità alle aziende.

L’art. 18 dello Statuto (L. n. 300/70)stabilisce la reintegrazione del lavoratore

licenziato senza giusta causa e il risarci-mento dei danni ma solo quando l’aziendasupera i 15 dipendenti. La proposta a basedel referendum concerne l’abrogazione diquesto limite, nonché delle esenzioni sta-bilite dalla Legge n. 108/90 a favore delleassociazioni non profit dei partiti dei sinda-cati e degli enti religiosi. Il quesito referen-dario chiede quindi il consenso a eliminarela disparità di trattamento tra dipendentidi grosse e piccole aziende (o di impresediverse) con il reintegro per tutti in caso dilicenziamento illegittimo.

partecipano tutti gli elettori, appartenentia tutte le classi sociali. Su questo terreno eper le cose che li riguardano i lavoratoripartono in salita. E, al di là dell’inefficaciadel mezzo, si farebbero male i conti a ri-mettere le loro questioni al voto dei bene-stanti. Per potere aver successo un referen-dum, che abbia ad oggetto diritti dei lavo-ratori, ci vuole un clima di generale appog-gio a favore dei lavoratori; e, prima ditutto, una generale volontà antipadronaledei lavoratori. Per cui se il referendum inesame avrà successo sul piano del voto ciòdipenderà dall’esistenza di questa volontàdi lotta generale dei lavoratori. Sarà cioèun sottoprodotto della fase di mobilitazio-ne del movimento operaio. Quanto all’art.18 basta rilevare che questo non ha impe-dito, né può impedire, la precarizzazione ela elasticizzazione coercitiva del lavoro; népuò interferire sulla legalizzazione di que-sti due processi. L’unico diritto che essoha consentito è il reintegro nel posto di la-voro, nei limiti di cui si è parlato sopra. Ecoi restringimenti ed esautoramenti suc-cessivi in quanto, da tempo, il reintegronon è più effettivo, dato che il padronepuò rifiutarsi di fare rientrare il lavoratoreillecitamente licenziato; e, da dicembre2002, la Cassazione ha ripudiato la proce-dura d’urgenza per il reintegro, per cui ildipendente estromesso dal posto di lavorodovrà passare per tutte le trafile del tentati-vo obbligatorio di conciliazione e delle lun-gaggini del processo prima di vedersi rico-nosciuto giudizialmente il suo diritto.Quindi dal successo del referendum e dal-l’estensione dell’art. 18 alle imprese conmeno di 15 dipendenti non può discende-re né alcun intralcio alla precarizzazione néalcun nuovo diritto tranne il reintegrosmangiato, negato a questi ultimi; e, vice-versa, dall’insuccesso alcun disastro.

Il vero effetto residualedel successo del «sì»

Per completezza di argomento si puòanticipare che dalla vittoria del «sì» discen-dono due conseguenze immediate, che sipongono come ostacolo all’aggiramentopadronale dell’art. 18 dello Statuto; e un ri-sultato finale.

La prima conseguenza è che viene asvuotarsi la legge n. 30 sul mercato del la-voro in quanto lo staff leasing, da essa in-

2 — REFERENDUM ART. 18 LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

Il referendum sull’art. 18 dello «Statuto»Votare «sì» senza illusioni. I «diritti» si acquisiscono e si conservano con la lotta

L’ascesa del movimento operaio, che ha contrassegnato il 2002 (v. Suppl. 16/10 e16/12/02), deve procedere verso il fronte sociale proletario e darsi l’organizzazione chenecessita al suo sviluppo, il sindacato di classe e il partito rivoluzionario, senza are-narsi nelle sabbie del ricorso ai referendum e dell’alternativa democratica. Tutta laproblematica dei diritti dei lavoratori, della dignità integrità salute, del salario orariocontrattazione art. 18, dell’iniziativa operaia, ecc., va ricondotta sempre e inderogabil-mente all’organizzazione e alla capacità di lotta dei lavoratori. Ogni altra impo-stazione resta sterile e controproducente.Con questa premessa riteniamo opportuno intervenire sul referendum fissato per il 15-16 giugno, onde far chiarezza sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, visto che non època la confusione sotto il cielo.

Promotori e ambito del referendum

Una disparità che dura da 33 anni

Nel 1970, quando il 14 maggio vennevarata la legge n. 300, noi rilevammo subi-to - a parte la critica generale sul monopo-lio della rappresentanza operaia che essaattribuiva alle Confederazioni sindacali ascapito degli organismi operai extrasinda-cali fatta in Lotte Operaie n. 26 giugno1970 - il carattere discriminatore ed iniquodella soglia dei 15 dipendenti che esclude-va dal reintegro la massa dei lavoratoridelle imprese minori. Questa disparità ditrattamento non aveva la sua ragion d’esse-re nella logica produttiva; nasceva dallaprotezione delle imprese minori e dalla di-scriminazione dei lavoratori dispersi epoco organizzati della miriade di piccoleaziende. La Corte Costituzionale, cheavrebbe dovuto sul piano giuridico cancel-

lare questa disparità in osservanza del prin-cipio di parità (art. 3 Cost.), si è guardatabene dal farlo. Quindi, se il referendum su-pererà il quorum (il 50% + 1 degli eletto-ri), verrebbe a cadere questa disparità. Ilche è certamente positivo.

Bisogna però dire che, anche in questaevenienza positiva, il reintegro nel posto dilavoro non si estenderà a tutti i dipenden-ti, bensì solo a coloro che hanno un con-tratto di lavoro a tempo indeterminato. Neresta fuori la massa di precari: assunti concontratto a termine, interinali, atipici, ap-prendisti, ecc. Per cui, nella realtà lavorati-va attuale, il reintegro potrà valere solo peruna fascia sempre più ristretta di salariati.L’art. 18 è dentro il risucchio della preca-rietà generalizzata del lavoro.

I falsi significati di cui vengono sovraccaricati referendum e art. 18

I promotori e i sostenitori del referen-dum sostengono che questo rappresentil’unica strada per fermare la deriva delladeregulation, che il suo successo impor-rebbe uno stop ai processi di precarizza-zione mentre un insuccesso provochereb-be un disastro; e che l’art. 18 sia un model-

lo di difesa e di allargamento dei diritti.Tutte queste sono mistificazioni e parole avanvera messe in circolazione per impanta-nare la volontà di lotta dei lavoratori nel le-galismo e logorarla in una frustra pressio-ne redistributiva.

Il referendum è un metodo di voto, cui

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La Confindustria si è posta alla testa delfronte padronale agitando lo spauracchioche l’applicazione dell’art. 18 alle piccoleimprese avrà effetti devastanti sulla compe-titività e sulla sopravvivenza delle stesse.Osservando maliziosamente che una mate-ria come questa è di competenza delleparti sociali non degli elettori essa fa ap-pello a tutti, imprenditori e cittadini, a nonandare a votare. Ministri e sottosegretari,da parte loro, chiamano il paese a sconfig-gere il referendum e a difendere la gestio-ne flessibile del personale. È una gazzarraconfusionaria e buffonesca. Queste ienenon hanno altra morale che la razzia del la-voro e contrabbandano per rigidità - e, cimanca poco, per pericolo nazionale -ogni minima sanzione ai più macroscopiciabusi e vessazioni datoriali.

Il padronato dispone di un ventaglioassortito di tipologie contrattuali flessibili,che gli consente di disporre a discrezionedel lavoratore, dall’inizio alla cessazionedel rapporto. E non ha più intralci a realiz-zare gli assetti organizzativi i più competi-tivi possibili o ritenuti tali. Per cui l’astiocontro il rimasuglio dell’art. 18 (da non di-menticare che questo è scampato al refe-rendum del 21/5/2000 promosso dai radi-cali sulla licenziabilità discrezionale vota-to dal 30% di elettori di cui i due terzi con-trari) indica l’arroganza e la voglia di sbra-namento che il fronte padronale nutre neiconfronti dei lavoratori. Quindi se c’è unaconclusione pratica da trarre questa non èquella di contrastare il padronato attraver-so la via referendaria ma di scatenare laguerra sociale.

Procedere all’organizzazioneautonoma operaia

Possiamo terminare questo interventocon una rapida considerazione sulla corre-lazione tra diritti e lotta.

Ogni diritto conquistato dal movimen-to operaio è frutto di aspre lotte economi-che e sociali. E ogni conquista non è defi-nitiva in quanto le norme giuridiche, in cuiessa si codifica, ratificano rapporti di forzasoggetti a mutare col tempo. E ciò che èstato acquisito in un tempo può essereperso in un altro tempo. Per cui nessunagenerazione può vivere di eredità o guai afarlo: senza lotta non solo non si conquistanulla ma si perdono i diritti acquisiti.

Lo Statuto fu emanato nel periododelle più massive lotte operaie del dopo-guerra, nel triennio 1968-71, in un mo-mento in cui i rapporti di forza nelle fab-briche erano favorevoli agli operai. Attual-mente ci troviamo in un periodo comple-tamente diverso; che, per brevità, schema-tizziamo come segue: a) la crisi generaleeconomico-finanziaria del sistema imperia-listico è entrata dal 2002 in fase deflattiva edepressionaria; b) ogni padronato perscampare a questa crisi è lanciato in un at-tacco forsennato contro i lavoratori e i po-poli più deboli; c) il movimento operaio èin fase di mobilitazione e riorganizzazione;d) la crisi del sistema politico si è trasfor-mata in crisi di potere e della forma Stato.Ci sono quindi le premesse per paurosi ar-retramenti e per grandiosi avanzamenti. Cisono le premesse, non solo per acquisirenuovi e più ampi diritti operai, ma ancheper spingere in avanti tutta la situazione diclasse sul piano politico e di potere. Tuttoè legato alla volontà e alla capacità di lottae di organizzazione delle forze attive e gio-vanili del proletariato e alla costruzione delpartito rivoluzionario.

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 REFERENDUM ART. 18 — 3

trodotto nel trasferimento del ramo di im-presa per frazionare artificialmente l’azien-da allo scopo di non superare la soglia dei15 dipendenti, non avrebbe più senso. Laseconda conseguenza è la bocciatura anti-cipata del progetto Treu-Ichino che mira asostituire il reintegro con un indennizzomonetario. Il risultato finale è che solo conil diritto alla reintegrazione il lavoratore il-

lecitamente licenziato può sperare in unconcreto risarcimento monetario nonavendo più tutela reale.

Il vero effetto residuale è quindi quelloper il lavoratore di poter strappare un ade-guato risarcimento; cosa che i padroni nonvogliono corrispondere e che negherebbe-ro o ridurrebbero a cifre umilianti se ilreintegro saltasse.

L’allarmismo ipocrita di Confindustria ministri e sottosegretari

Votare «sì» sull’art. 18 senza illusioni

Il referendum sull’art. 18 ha creato unpo’ di scompiglio anche nell’estrema sini-stra. Diverse voci, richiamando i giustiprincipi che i diritti possono essere con-quistati solo con la lotta e che è sbagliatospostare il conflitto dalla fabbrica all’urna,ritengono che è un atto di incoerenza an-dare a votare per esprimere il «sì». C’è inquesta posizione e in posizioni analogheun’erronea impostazione teorica e praticadel problema e sono sufficienti pochi chia-rimenti per rendersene conto.

I diritti a tutela degli operai non posso-no aversi che a prezzo di dure lotte. Suquesto non ci possono essere dubbi. E leavanguardie operaie degne di questo nomee le forze rivoluzionarie non vanno a pro-muovere referendum, cercano di affilare glistrumenti di lotta di classe. Tuttavia, se set-tori della sinistra parlamentare e della sini-stra sindacale (la stessa cosa può dirsi peraltri settori) promuovono un referendumsu un tema operaio come nel presentecaso, non ci sono preclusioni, né di ordineteorico né di ordine tattico, che impedisca-no alle avanguardie combattive e rivoluzio-narie di intervenire col loro voto. A rigore ilreferendum sull’art. 18 non è un’iniziativaper acquisire diritti ma un mezzo per elimi-nare disparità. E votare «sì» non significa

contaminare la purezza rivoluzionaria; si-gnifica esprimere contrarietà sul piano de-mocratico di massa a questa disparità. Ciòche delimita un rivoluzionario da un demo-cratico è il fatto che il primo conduce la suabattaglia permanente senza illusioni refe-rendarie e mettendo in chiaro che padro-nato parlamento confederazioni contrattac-cheranno con la loro metodologia terroriz-zante per riprendersi quanto è stato strap-pato prima. Quindi è giusto votare «sì»; nonè giusto tramutare il voto in metodo.

Una della tante manifestazioni del 2002 a difesa dell’art. 18

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Il 14 maggio la Camera ha approvatodefinitivamente lo «Statuto dei diritti deilavoratori». Ha preso così vita quella leggeche i socialisti vantano come la misura piùavanzata che un governo abbia mai presoin Italia nell’interesse dei lavoratori.

Che cos’è questa legge per le masse la-voratrici? Le confederazioni sindacali afer-mano che lo statuto accresce il potere deilavoratori nella fabbrica ed inizia una fasenuova di relazioni industriali. Per noi inter-nazionalisti non è così. Per noi lo statuto èun capolavoro di ipocrisia parlamentare,uno strumento di controllo sindacaledell’iniziativa operaia.

L’idea dello statuto non è recente, hauna sua storia. La C.G.I.L. aveva propostouno «Statuto dei diritti democratici dei la-voratori nei luoghi di lavoro» già fin dallontano 1952, al suo terzo congresso. Aquell’epoca la confederazione, partendodal contrasto stridente tra la realtà giuridi-ca e la realtà sociale, lamentava il fatto che,mentre la carta costituzionale riconosce allavoratore i più ampi diritti democratici,questi nella fabbrica cessa di essere un cit-tadino e diventa un oggetto in balia del di-spotismo padronale. Essa chiedeva quindiche la Costituzione entrasse in fabbrica.

Lo spirito della proposta era chiara-mente aclassista e pieno di riverenza per iprincipi astratti della democrazia borghese.Tuttavia in essi c’era meno ipocrisia diquanto se ne trova nella popolarizzazionedell’attuale statuto. Infatti lo scopo dellaproposta era di ottenere non già un imma-ginario più potere per i lavoratori, comecianciano i glorificatori dello statuto, bensìdi assicurare all’operaio una certa protezio-ne giuridica contro gli abusi e le vessazionipadronali più umilianti. Per il capo dellaConfederazione, Di Vittorio, lo statuto do-veva essere un mezzo di difesa legale deilavoratori contro le situazioni più incre-sciose. Negli epigoni, invece, lo statuto èdiventato qualchecosa di miracoloso: lasorgente del potere operaio in fabbrica.Siamo dunque al colmo dell’ipocrisia, all’a-pologia della legge che segna un momentotipico nell’evoluzione del sindacalismopost-bellico: quello che assegna ai sindaca-ti responsabilità dirette in campo economi-co.

Questa responsabilizzazione dei ruolidel sindacato è profondamente chiarifica-

trice delle effettive finalità dello statuto.Agli inizi degli anni ‘50 Di Vittorio non

si stancava di predicare che il sindacato co-stituisce un «fattore propulsivo indispen-sabile del progresso dei popoli». Egli insi-steva sulla funzione democratica dei sinda-cati per concludere che ogni ostacolo allaloro azione era un impedimento al pro-gresso della società nazionale verso laconquista di più alti livelli produttivi. Gliindustriali, i dirigenti e i consulenti econo-mici sanno che il ruolo dei sindacati è in-sopprimibile. Sanno altresì chenegli ultimi due anni i sindacati sono statisottoposti alla prova del fuoco di grandilotte di massa e di scioperi spontanei, chehanno rivoluzionato metodi e obbiettiviperseguiti da decenni. Senza sviluppo delmovimento sindacale non può esserci,come ammoniva Di Vittorio, sviluppo paci-fico del reddito nazionale. Perciò i capitali-sti hanno promosso, per mezzo del gover-no, una legge sindacale a sostegno delleconfederazioni e l’hanno fatta approvaredal parlamento.

Non deve trarre in inganno il fatto chequesta legge inizi con un gruppo di articolidedicati alla «libertà e dignità del lavora-tore». Ciò è ipocrisia giuridica. Il suo scopoè quello di potenziare l’azione dei sindaca-ti contro le iniziative operaie che fuorie-scono dal quadro della disciplina sindaca-le. La vantata protezione dei lavoratori de-boli non è altro che un diversivo o, al mas-simo, un sottoprodotto della legge. La fina-lità propria dello statuto è la protezionedei sindacati. Si badi, non del sindacato ingenerale, ma dei sindacati attuali, che sonocapeggiati da elementi imborghesiti e cor-rotti, e hanno come scopo lo sviluppo del-l’economia nazionale.

Al capitale necessita che tutti i movi-menti della classe operaia rientrino nel-l’ambito dell’azione organizzata dei sinda-cati. Per questo i settori monopolistici d ipunta premono affinché si formi un sinda-cato unitario che, in rappresentanza dei la-voratori di una categoria professionale,contratti il prezzo della forza-lavoro sullabase della produttività del sistema. Lo sta-tuto accende una garanzia giuridica a salva-guardia dell’azione sindacale. Spiana lastrada al controllo del movimento operaioattraverso l’istituzionalizzazione dei sinda-cati. Garantisce libertà di azione ai sindaca-

ti affinché assorbano e contengano le ini-ziative e la vitalità operaie. Attribuendo adessi il monopolio dell’azione rivendicativa,lo statuto limita, di fatto, il diritto di scio-pero e costituisce una minaccia contro leazioni extra-sindacali messe in atto dal pro-letariato rivoluzionario e dai raggruppa-menti di avanguardia.

È indiscutibile: lo «Statuto riconoscepoteri ai sindacati». In questo senso èperfettamente legittima la vanagloria dellecentrali che considerano questa leggecome una specie di magna charta sinda-cale. Ma esse raccontano frottole quandoaffermano che lo statuto è la realtà delnuovo potere operaio in fabbrica.

In fabbrica c’è un solo potere: quellodel padrone. Nei luoghi di lavoro non cisono poteri da conquistare; c’è solo da di-struggere il potere del padrone e sostituir-lo con quello degli operai associati.

I sindacati mistificano la realtà per in-ventare poteri che non ci sono e vie pacifi-che che l’antagonismo sociale spazza via.In fabbrica non si può comandare in due:o comanda il capitalista o comanda l’ope-raio. All’infuori di queste due forme di do-minio non ne esistono altre. La cogestioneoperai-padroni verso cui sono lanciati i sin-dacati è semplicemente una maschera deldominio padronale. I sindacalisti di profes-sione sanno solo scoprire paradisi inesi-stenti per abbellire l’inferno dello sfrutta-mento capitalistico.

La realtà si beffa sempre dei mistifica-tori. Mentre si grida alla crescita del potereoperaio, nelle più grandi fabbriche (FIAT,Piaggio, SNIA e via dicendo) i capitalistipassano alle forme più gravi della violenzapadronale: decretano sospensioni e attua-no serrate.

Dal campo industriale si leva, attual-mente, un solo coro: aumentare la produt-tività, produrre di più! Il capitale rivendica,senza mezzi termini, nuove economie ditempo, una più avanzata razionalizzazioneproduttiva che sprema ancor di più laforza-lavoro, maggiori ritmi. Questo il lin-guaggio dei fatti. Di fronte a questa crudarealtà tutti i tentativi di mediazione dellecentrali sindacali sono destinati a subirepesanti contraccolpi. La pressione crescen-te delle masse spezzerà la rete imbrigliantedello statuto, mandando all’aria gli schemidella cogestione.

Compito nostro è prepararci, con ener-gia ritemprata, alle nuove lotte per ridareslancio all’iniziativa della classe operaia eindirizzarla verso obbiettivi proletari.

4 — REFERENDUM ART. 18 LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

Lo «Statuto dei diritti dei lavoratori»A completamento dell’analisi sull’art. 18 riportiamo il testo dell’articolo pubblicato sul nostro men-sile Lotte Operaie nel giugno del 1970, nel quale commentavamo lo Statuto denunciandolo imme-diatamente come strumento di ingabbiamento nell’ottica legalitaria-democratica dell’iniziativaoperaia extrasindacale.

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Il Comitato Centrale di RivoluzioneComunista denuncia e condanna la bandi-tesca invasione anglo-americana dell’Iraq.L’inizio dell’occupazione militare è scocca-ta alle 5,30 (3,30 ora italiana) del 20marzo. I commandos di forze speciali (Sasinglesi, Delta Force, Berretti Verdi e Ran-gers statunitensi) erano penetrati datempo nel territorio iracheno. L’iniziostesso delle operazioni era stato anticipatoil giorno prima con un intenso bombarda-mento nella parte meridionale del paeseda parte di una flottiglia di Jet, levatasidalla portaerei Kitty Hawk, che aveva col-pito a più riprese le postazioni di artiglie-ria irachena. L’attacco è cominciato con illancio di cruise dalla flotta navale e di

bombe perforanti dagli aerei invisibili. Nel-l’occupazione del territorio sono impe-gnati ingenti mezzi militari e un’armatapoderosa: 45.000 soldati inglesi; 270.000americani; più alcuni reparti australiani.L’invasione del paese, ipocritamente de-nominata «liberazione dell’Iraq», parte atenaglia: dai confini del Kuwait a Sud peroccupare prima Bassora e poi Baghdad;dal Nord, dalle zone curde di Mosul e diSuleymania per stringere a cerchio quantoresterà in piedi della capitale. Gli invasoristanno mettendo in atto, a terrorizzazionedi tutti i popoli, contro un paese dissan-guato e quasi inerme la più alta e spaven-tosa tecnologia distruttiva convenzionaledi ultima fabbricazione.

zione del Consiglio di Sicurezza è illegitti-ma la forza contro Saddam Hussein, non-ché ogni futura decisione sulla ricostruzio-ne. Le due potenze europee naturalmentesanno molto bene che nei rapporti inter-nazionali vige la legge del più forte e che ildiritto è forza. Ma ripiegano dietro il para-vento dell’ONU nella speranza di arginarel’ingordigia americana e salvaguardare inqualche modo i propri interessi. Il gruppopetrolifero francese Total-Elf-Fina disponedi licenze in esclusiva sui due più impor-tanti giacimenti di greggio (quelli di Maj-noon e di Bin Umar capaci di 35 miliardi dibarili); mentre i gruppi finanziari tedeschihanno le mani in pasta in vari settori. Nes-suno di questi gruppi può accettare di farsiscalzare dagli anglo-americani. Per cui icontrasti reciproci si faranno ancora piùtesi.

Dire che l’Unione Europea è un su-permercato, per indicare con questo ter-mine l’esistenza di un’area di libero scam-bio senza legami politico-statuali e militari,può essere un’espressione passabile. Mal’U.E. è una giungla di imperialismi. E inquesta giungla la contrapposizione reci-proca tra singole potenze e la stessa ten-denza di ogni potenza di scaricare sui vici-ni le difficoltà internazionali sta raggiun-gendo il punto di non ritorno. Gran Breta-gna e Spagna (anche se quest’ultima nonha inviato truppe) si sono affiancate agliStati Uniti in un’occupazione militare cheha conseguenze squilibranti per l’Europa.Belgio Francia Germania, contrapponen-dosi alla posizione inglese di fungere dasponda militare dell’U.E., si sono costitui-ti in nucleo di difesa comune. L’Italiacerca di trarre vantaggi ponendosi comemediatrice delle rivalità. E intanto PalazzoChigi imputa alla Francia l’accusa america-na di avere rotto l’unità atlantica per se-dersi al tavolo dei vincitori ed ottenereconcessioni e appalti. Per cui i contrasti diinteressi tra le potenze europee si vannoestendendo ed inasprendo pericolosa-mente.

Quindi la spartizione dell’Iraq e delMedio-Oriente, toccando l’intreccio deirapporti interimperialistici atlantici e asiati-ci, trascina il mondo intero in conflitti bel-lici tendenti a riassetti militaristici terroriz-zanti.

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 L’INVASIONE DELL’IRAQ — 5

Gli anglo-americani invadono l’IraqProcede la spartizione del centro-asiatico

Il 20 marzo 2003 il Comitato Centrale di Rivoluzione Comunista ha emesso la seguen-te risoluzione contro l’attacco all’Iraq degli invasori anglo-americani.

L’invasione dell’Iraq

La spartizione dell’Iraq

Il Comitato Centrale, richiamando leprecedenti analisi, sottolinea che l’invasio-ne anglo-americana dell’Iraq prosegue eattua, dopo l’occupazione dell’Afghanistan,la spartizione del centro-asiatico; e cheessa è la premessa alla spartizione ulterioredel medio-oriente (Iran, Siria, Arabia Sau-dita, ecc.). Questo significa che non soloStati Uniti e Gran Bretagna ma che tutti ipaesi imperialistici, europei e asiatici, sonointeressati a questa spartizione; e che tuttiintendono partecipare alla divisione delbottino, anche se la parte del leone spettaai primi due briganti. Dalle tattiche militarimesse in campo, ed in particolare dall’ope-razione combinata aereo-terrestre e dalladislocazione delle truppe rispettive, si pos-

sono già fin d’ora individuare le linee dispartizione tra i due gangsters: agli inglesitoccherà il controllo di Bassora; agli StatiUniti il controllo di tutto il resto dell’Iraq.

Il Comitato Centrale sottolinea altresìche il coinvolgimento di tutti i paesi impe-rialistici nella spartizione dell’area in primoluogo indica che ogni potenza (super,grossa, media o piccola che sia) è spintadalla crisi generale, sfociata in fase depres-siva, a trovare sbocchi militari. In secondoluogo indica che ogni potenza è costretta aridefinire i rapporti di forza internazionali.In terzo luogo indica che il soffocamentodei paesi più deboli è il preludio a conflittipiù vasti e alla zuffa interimperialistica ge-neralizzata.

La storia del 20º secolo, che sul pianodella formazione economica capitalistica èstoria dell’imperialismo, insegna che ipaesi imperialistici procedono tutti, indi-stintamente, in concorrenza tra di loro eche l’obbiettivo di ognuno è quello di sca-valcare gli altri in un processo di sopraffa-zione reciproca. L’aggressione anglo-ame-ricana all’Iraq ha fatto esplodere, ancor

prima dell’invasione, i contrasti tra StatiUniti e potenze europee e soprattutto traqueste al loro interno.

Francia e Germania, accusando il colpoinferto alla loro influenza nell’area ma nonpotendo competere sul terreno delloscontro armato col più forte concorrente,hanno fatto e fanno appello all’autoritàdell’ONU sostenendo che senza l’approva-

I contrasti tra USA e potenze europeee all’interno di queste ultime potenze

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Mirando alla razzia di risorse e di ener-gie, al condizionamento mondiale delprezzo del petrolio per aprire la strada aestrazioni più costose, al predominio stra-tegico militare, l’occupazione dell’Iraq nonpuò limitarsi a un cambio di governo o allacostituzione di un governo fantoccio (seSaddam Hussein col suo seguito si rifugias-se in esilio le cose non cambierebbero diun millimetro), deve sfociare in una ammi-nistrazione militare diretta. Gli Stati Unitihanno già pronto un modello di reggenzamilitare: la suddivisione dell’Iraq in zonecon la preposizione a capo di ogni zona diun comandante americano, affiancato daun altro ufficiale per la gestione dell’attivitàpetrolifera.

Ciò detto va poi chiarito che la neces-sità di questa impalcatura militare non

sorge dalla esigenza di porre sotto control-lo le spinte nazionali presenti nell’area, néi contrasti tra sunniti e sciiti, né le pressio-ni dei propri alleati (le mire espansionisti-che della Turchia in Kurdistan). Derivafondamentalmente dalla necessità di tene-re sotto controllo il proletariato iracheno ele masse semi-proletarie irachene e curde.E ciò perché, prima ancora dei ras locali edei capi-clan, sono queste masse che ven-gono espropriate delle risorse e delle ener-gie e che sono esse che sono chiamateprima di qualsiasi altra fascia sociale a ri-produrre profitti e rendite per i loro domi-natori. Quindi la reggenza militare, che se-guirà all’occupazione, si pone come il mec-canismo tipico di controllo antiproletarioimposto dai briganti del capitalismo finan-ziario parassitario.

dalle intollerabili condizioni di vita, in cuil’imperialismo dei nostri tempi inchiodal’umanità intera. E sono un indice di un ri-volgimento sociale in corso che rappresen-ta la vera forza sconvolgente del pianeta.Quindi qualunque strategia militaristicache miri alla terrorizzazione delle massenon può che attizzare rivolte e sollevazio-ni.

Le tendenze del movimentodi opposizione alla guerra

e la loro direzione di marcia

Nel movimento di opposizione allaguerra si mescolano tendenze varie. Cisono le correnti pacifiste umanitarie che ri-fiutano la guerra appellandosi al pacifismocome principio e prassi. Ci sono in secon-do luogo le correnti antimilitariste che sioppongono alla guerra vedendo nello stru-mento bellico la condizione del predomi-nio e delle sofferenze umane. Ci sono interzo luogo le correnti antimperialiste e noglobal che si oppongono al militarismodelle superpotenze e alla loro prepotenzadominatrice e prima di tutto al militarismostatunitense. Ci sono infine le correnti an-ticapitalistiche che considerando giusta-mente le guerre di predominio una politi-ca dei sistemi capitalistici si battono controquesti sistemi a partire da casa propria.

Finora la massa del movimento di op-posizione alla guerra ha oscillato tra la se-conda e la terza tendenza. Ma ora lo svilup-po bellico degli avvenimenti mostra, nonsolo l’impotenza del pacifismo, ma anchela natura eurocentrista, italoimperialista,delle posizioni no global; e spinge un nu-mero crescente di giovani e di lavoratoriad assumere posizioni più avanzate e con-seguenti. Ci sono in atto le condizioni peruno spostamento a sinistra del movimen-to di opposizione alla guerra: da posizionisubalterne al sistema a posizioni di lotta alsistema in una prospettiva di potere prole-tario. È questo il senso della direzione dimarcia verso cui deve andare il movimentodi opposizione alla guerra se vuole incide-re e contare.

Abbasso gli aggressori anglo-americani!Morte agli invasori!Fuori gli eserciti imperialisti dall’Iraq

dal Medioriente e da ogni altro paese op-presso del mondo!

Lotta senza tregua contro ogni impe-rialismo a partire da quello di casa pro-pria!

Tutti i mezzi sono legittimi nel condur-re questa lotta. Contro il militarismo belli-co per l’armamento proletario!

6 — L’INVASIONE DELL’IRAQ LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

La reggenza militare come strumento necessario di controllo sociale

L’opposizione mondiale all’aggressione anglo-americana

Il Comitato Centrale passa poi ad esa-minare il movimento di opposizione allaguerra. E, prima di tutto, lancia la sfidaproletaria alle cricche imperialistiche am-monendo i Bush i Blair e consorteria variache nessuna superbomba potrà mai piega-re la volontà di lotta dei lavoratori e quelladei popoli oppressi; e che nessun misfattoresterà impunito. Dopo osserva. Le mani-festazioni di piazza, giovanili proletarie po-polari, che si susseguono dal settembrescorso contro la minaccia di aggressione el’ondata immediata che è ora seguita all’in-vasione segnano - al di là delle tendenzeeterogenee che le compongono - che

siamo in presenza di una vasta e crescenteopposizione di massa al militarismo belli-co, all’aggressivismo prepotente e senzascrupoli della finanza decotta. Non c’èpaese imperialistico, in Europa Asia Ameri-ca del Nord, in cui milioni di manifestantinon abbiano invaso le piazze per esprime-re la loro avversione al militarismo aggres-sivo e al banditismo dei gruppi finanziari-parassitari indebitati fino al collo. Questemanifestazioni non sono il riflesso tempo-raneo del cozzo tra imperialismi e del rias-setto dei loro rapporti di forza. Queste ma-nifestazioni sono un aspetto di un malesse-re più profondo. Esse traggono spinta

Torino 20/3/2003: manifestazione contro l’aggressione anglo-americana

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20 marzo - Le operazioni militari scat-tano alle 3,30 del mattino con una tripliceondata di raid aerei, concentrati sui palaz-zi presidenziali, sui quali scaricano missilie bombe perforanti. Le operazioni sareb-bero state anticipate di un giorno per sor-prendere Saddam e lo stato maggiore an-cora nei palazzi secondo le informazionidella Cia e del Mossad. Il gen. TommyFranks, comandante in capo dell’invasio-ne, dal comando centrale con sede inQatar non batte ciglio su questo particola-re.

21 marzo - Le divisioni corazzateanglo-americane si spostano subito dalKuwait e iniziano l’occupazione dell’Iraq. Icacciabombardieri iniziano il loro martella-mento aereo a Nord e a Sud del paese. Letruppe inglesi muovono verso Umm Qasrper conquistare la penisola di Fao nellaparte meridionale e procedere poi versoBassora. Quelle americane sulla direttriceper Baghdad. La Casa Bianca dispone il se-questro di 1,7 miliardi di dollari sui contiintestati a organismi istituzionali iracheninelle banche americane e filiali.

22 marzo - I B-52 distruggono il palaz-zo della repubblica e una ventina di edificipubblici sganciando 320 missili. In codicel’operazione aerea viene chiamata «Shockand awe», distruggi e terrorizza. Al Nordvengono bombardate Kirkuk Mosul e Tik-rit; e si concentrano 2000 parà USA. Bas-sora viene martellata dagli inglesi e subisceil maggior numero di vittime civili (un cen-tinaio + 400 feriti). Franks parla di migliaiadi prigionieri e annuncia la resa di migliaiadi disertori.

23 marzo - Baghdad viene martellatadai bombardamenti. Nel tardo pomeriggiovengono date alle fiamme le trincee di pe-trolio per oscurare il movimento delle duelinee difensive della città. A Umm Qasr en-trano in azione le prime sacche di resisten-za. Gli inglesi si accampano alla periferia diBassora per evitare scontri ravvicinati. Gliamericani vengono impegnati in duri com-battimenti sul nodo di Nassiria. Dodici ma-rines cadono in un’imboscata; cinque ven-gono mostrati da Al-Jazira. In Kuwait unmilitare USA di origine musulmana fa nu-merosi feriti di cui sei gravi.

Saddam in un appello raccomanda: «Com-battete a piccoli gruppi, colpite le lineeavanzate, le loro retroguardie e poi riti-ratevi».

26 marzo - A Bassora, martellata dal-l’artiglieria, le truppe inglesi, affrontate dapiccole formazioni, restano fuori dallacittà. Il comando inglese parla di solleva-mento popolare contro il regime di Sad-dam; ma la propaganda è smentita dalle di-chiarazioni dei capi sciiti che si schieranocontro gli invasori. Sulla direttrice per Ba-ghdad le truppe americane sono bloccatedai combattimenti a Nassiria e a Naiaf e perevitare di essere tagliate in due debbonoaspettare rinforzi.

27 marzo - Al Nord vengono paracadu-tati 1000 marines della 173ª brigata. L’ope-razione è accompagnata da violenti bom-bardamenti. Baghdad viene bombardatadalla prima mattina. Le truppe americanearrivano a 80 Km dalla capitale. Gli irachenitentano un contrattacco: i vecchi mezzi co-razzati di cui dispongono muovono controla testa della colonna americana e l’attacca-no sulla sponda est dell’Eufrate con lancia-missili e mitragliatori. Il bilancio delloscontro è avvolto nel mistero. A Bassora itank iracheni lasciano la città e puntanosugli inglesi, ma non è chiaro se in ritiratao in controffensiva.

28 marzo - A Baghdad, dopo il missilesul mercato del giorno prima, riprendono ibombardamenti. Franks chiede rinforzi. Laresistenza irachena mette in crisi il cardinedella nuova strategia del colpisci e terroriz-za. Il segretario della difesa mirava alla ca-duta di Saddam in 10 giorni con l’avanzatafulminea di una sola divisione pesante e didue divisioni leggere (in tutto meno di100.000 soldati), riservando la maggiorparte del lavoro alle bombe intelligenti eagli Apache. Ma questa strategia ha urtatocol coraggio e la resistenza degli aggreditied ha dimostrato la sua fragilità.

29 marzo - I parà aprono il fronteNord con i guerriglieri curdi. Una tempestadi bombe si abbatte su Baghdad. Viene col-pito un altro mercato popolare (55 morti).Un missile iracheno sfugge ai Patriot e col-pisce nella notte un centro commerciale aKuwait City. Il Pentagono minaccia Siria eIran.

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 L’INVASIONE DELL’IRAQ — 7

Iraq: avvenimenti e insegnamentiDai bombardamenti devastanti al crollo del regime,

dalla esplosione popolare alla collaborazione antiproletaria

Con la nuova dottrina strategica militare, enunciata nel settembre 2002, gli StatiUniti hanno avvertito il mondo con questo messaggio: «Le nostre forze saranno abba-stanza potenti da dissuadere potenziali avversari dal perseguire uno sviluppo militarenella speranza di sorpassare, o uguagliare, la potenza degli Stati Uniti». E della poten-za tecnologica militare stanno facendo sfoggio in modo scenico nel tormentato paese,che non si è piegato alla loro strapotenza, come si può cogliere dalle seguenti scarnenote.

Una potenza di fuoco contro un paese senza armiI primi 12 giorni di invasione

La resistenza degli iracheni

24 marzo - Nonostante i continui bom-bardamenti, le truppe anglo-americane sulterreno in cui avanzano subiscono furiosiattacchi e perdite. La tattica degli aggreditiè quella di far scorrere gli aggressori e diresistere nelle città. Centro degli scontri èancora Nassiria. L’unica posizione chesembra acquisita dagli invasori è quella diUmm Qasr. Bassora resiste agli inglesi.Saddam in un messaggio dice agli america-ni che sono in un vicolo cieco.

25 marzo - Una tempesta di sabbia sof-fia furiosamente per tutta la giornata. I cac-

ciabombardieri eseguono 1500 azioni mar-tellando il cerchio della difesa repubblica-na posto a 70 Km da Baghdad. La testadelle truppe americane, che avanzano im-piegando solo due divisioni corazzate(circa 35-40.000 unità), raggiunge Naiaf e siporta a 400 Km dalla capitale. In questosnodo ci sono durissimi e ripetuti scontri.Franks spiega che la nuova strategia èquella di attaccare con poche forze coraz-zate per costringere gli avversari a uscireallo scoperto (Sensor to shoot: usare tutti isensori disponibili per colpire il nemico).

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Gli avvenimenti, che si susseguono dal1º al 9 aprile, vanno dal superamento dellalinea rossa alla caduta del regime.

1 aprile - La tattica irachena di evitarecombattimenti campali per resistere nellecittà fa risaltare il modello sofisticato dellaguerra leggera (sostenuto dai falchi delPentagono) secondo cui è sufficiente l’im-piego di formazioni elastiche protette dalcielo per disarticolare e annientare il nemi-co. Piovono i bombardamenti giorno enotte sulla linea rossa. A Karbala, a Hillah,sull’Eufrate, ci sono attacchi e contrattac-chi notturni con morti e feriti trasportati inEuropa. Il comando americano dichiara diavere dimezzato due delle sei divisionidella guardia repubblicana. Le truppe bri-tanniche occupano l’aeroporto di Bassora.

2 aprile - Il gen. Franks ottiene via libe-ra per l’offensiva finale, proseguendo l’at-tacco in profondità e lasciando il nemico insacche da ripulire successivamente. Letruppe americane avanzano a tenaglia sutre direttrici: da sud-ovest sull’Eufrate, lafanteria corazzata; da sud-est sul Tigri, imarines; da sud il resto della colonna co-

razzata. Il disegno è quello di chiudere intre sacche le divisioni Medina - Baghdad -Hammurabi (l’Adnan presidia Tikrit; la Na-bucodonosor e la Al Nida Baghdad). L’a-vanzata avviene con l’impiego a tappetodelle micidiali bombe a grappolo e tagliamargherite, che uccidono i presenti equelli che arrivano dopo. A Nassirija gliamericani ritrovano in un ospedale JessicaLinch, la diciannovenne furiosa che avevascaricato la potenza di fuoco della suaarma prima di cadere nelle mani degli ira-cheni e che invece di essere finita con uncolpo alla nuca nello stile marine è statacurata col massimo riguardo. E si portanoa 30 Km dalla capitale.

3 aprile - L’esercito iracheno non puòsostenere battaglie campali o scontri apertidata l’enorme superiorità tecnica del nemi-co; né può suscitare la resistenza popolareper paura di favorire la rivolta delle massee perdere il controllo della situazione. Per-ciò i combattimenti che è costretto ad in-gaggiare si tramutano inesorabilmente inmicidiali carneficine. Un battaglione mec-canizzato, che cerca di bloccare i carri ar-

mati sul ponte di Mussayyid, viene decima-to dagli F-16 e finito dagli Abrams. In sera-ta le prime colonne attaccano l’aeroportodi Baghdad a 27 Km dal centro preceduteda bombardamenti a tappeto. A Furat, l’ul-timo villaggio prima dello scalo, si svolgo-no aspri combattimenti; ma dopo due oredi fuoco non resta nulla in piedi e la 3ª di-visione si impadronisce dell’aeroporto, mi-nacciando da vicino la capitale. Al Nord i B-52 bombardano Kirkuk e Mosul che vengo-no circondate dai peschemerga e dalletruppe speciali. Mentre Rumsfeld invita imilitari iracheni alla rivolta contro il regimea Najaf gli anglo-americani vengono vilipesidalla folla davanti la Moschea di Alì nono-stante l’autorità religiosa Al-Sistami abbiainvitato gli sciiti a non resistere.

4 aprile - In due settimane di bombar-damenti gli invasori hanno lanciato 750missili e 14.000 bombe guidate. La 3ª divi-sione rafforza le sue posizioni eliminandonella zona dell’aeroporto ogni focolaio eresistenza. I marines della 1ª divisione daKut, ove si arrendono 2.500 soldati dellaguardia repubblicana, raggiungono la peri-feria est di Baghdad. Le forze speciali bloc-cano la strada che da Baghdad porta a Tik-rit nel quadro del disegno di accerchia-mento della città. Saddam Hussein compa-re due volte alla Tv per marcare che il regi-me ha il controllo della situazione. Il mini-stro dell’informazione Said Al Sahaf minac-cia sorprese e l’impiego di kamikaze. Pres-so la diga di Haditha una donna incinta sifa saltare con tre militari americani. Ma l’ar-ma dei kamikaze è più propagandistica chereale dato che il regime si basa sull’oppres-sione delle masse popolari e non si trattadi un movimento nazionale.

5 aprile - Dalle 5 alle 10 del mattino sisvolge quella che resterà l’unica vera batta-glia di Baghdad. Davanti l’ospedale Yar-muk, a una decina di Km dal centro, si af-frontano due formazioni militari. Una co-lonna di carri armati (25 Abrams) e di blin-dati (12 Bradley) attacca il quartier genera-le della divisione Medina. L’unità irachenaaffronta l’attacco contrapponendosi coipropri carri armati e autoblindo. I corazzatiamericani, appoggiati dall’aviazione, hannogiuoco facile e spazzano via ogni resisten-za. Secondo dati del comando americanorestano sul terreno nell’area della battagliaun migliaio di iracheni e un centinaio ditank. Dopo questo combattimento l’eserci-to iracheno batte in ritirata.

Al Nord si susseguono i bombarda-menti alla periferia di Mosul. I guerrigliericurdi entrano a Domuz. Il lupo Condolee-za Rice respinge gli sciacalli europei, che

8 — L’INVASIONE DELL’IRAQ LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

30 marzo - C’è il primo attacco suicida:quattro marines saltano in aria a un con-trollo. Si intensificano i bombardamenti suBaghdad. La testa delle truppe americanecerca di consolidare le proprie posizioniprima di fare altre avanzate. Gli inglesi re-stano alla periferia di Bassora, strematadalla mancanza di acqua e anche di cibo.

31 marzo - Un B-52 bombarda Fayda alNord. A Baghdad vengono impiegati inraid aerei congiunti i B-52 i B-1 e i B-2, unacombinazione mai vista di superfortezzevolanti, col loro carico devastante e apoca-littico. In Kuwait un camion guidato da unegiziano piomba su un gruppo di soldatiamericani ferendone 15.

L’offensiva americana su BaghdadLa Guardia Repubblicana abbandona la città

Gli avvenimenti dal 1º al 9 aprile

Baghdad: protesta contro i bombardamenti sui quartieri popolari

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ringhiano per partecipare al bottino, ulu-lando che «il sangue lo stiamo versandonoi, nessun ruolo per le Nazioni Unite».

6 aprile - Le truppe americane esten-dono l’accerchiamento di Baghdad, bloc-cando le strade in entrata e in uscita. Cisono sparatorie isolate. In mattinata vienemitragliato il convoglio dell’ambasciatorerusso Titorenko che lascia la capitale, re-stando ferito assieme ad altri cinque fun-zionari. Negli ospedali non c’è più postoper i feriti. I gerarchi cominciano a lasciarela città trafugando quel che possono.Viene proclamato il coprifuoco dalle 18alle 6. Gli inglesi entrano in una zona dellaparte vecchia di Bassora conquistando ilcentro della città. Karbala cade sotto ilcompleto controllo americano. Nelle cittàviene meno la resistenza regolare irachena.

7 aprile - L’aviazione martella Bagh-dad, completamente accerchiata. Ci sonoscontri ravvicinati e scambi di artiglieria. Icarri armati americani fanno un’incursionee si portano sul palazzo della repubblicaove issano la loro bandiera. È un assaggionon il piano di entrare nella città da cui pe-rora si guardano bene. C’è uno scontroviolento attorno all’hotel Al-Rashid. Il gen.Brooks dichiara che il regime iracheno haperso una parte del controllo di Baghdad.Il ministro dell’informazione iracheno con-trobatte che gli americani verranno rispe-diti in bare. La popolazione della capitale ètenuta in posizione passiva e ancora reggeil controllo di regime. Il popolo sospettache Saddam si accordi con gli occupantiper mantenere il controllo sul popolo. ABassora la gente inizia i saccheggi.

8 aprile - Pur essendo caduto il secon-do anello difensivo non si vede la procla-mata difesa metro per metro. La guardiarepubblicana se la squaglia. I marines attra-versano il Tigri, preceduti da cannonate ebombe, ed entrano dalla zona orientalementre la fanteria corazzata avanza daovest e da nord. Un Abrams punta sull’ho-tel Palestine e fa fuori due giornalisti feren-done altri. Un missile colpisce Al-Jazeerafacendo un morto e un ferito. Gli invasoriavvertono i corrispondenti. La mancata ri-sposta della guardia repubblicana fa parla-re di un ricorso alla tattica cecena (fareentrare in città quante più truppe possibiliper poi attaccarle in piccoli gruppi) scam-biando il regime iracheno con una mino-ranza oppressa. Piuttosto è da pensareche, se le truppe americane effettuanopuntate offensive nel centro di Baghdad,pur disponendo di forze limitate (circa20.000 soldati), ciò è spiegabile solo condefezioni scontate o concordate con i co-

mandi iracheni.Da mezzogiorno non va più la Tv, né la

radio. Gli ospedali sono nella massimaemergenza. I bombardamenti iniziati lamattina cessano la sera. La città, nel terzogiorno di coprifuoco, cade in una calma ir-reale. A Bassora il comando inglese affida aun capo tribù l’incarico di formare una am-ministrazione civile provvisoria. Nei quar-tieri proseguono i saccheggi. Kirkuk vienemartellata per impedire che le truppe ira-chene si spostino su Tikrit.

9 aprile - In più parti della capitale sta-zionano gli Abrams. Gli inviati dei giornalinon si aspettavano che i marines potesseroavanzare senza essere contrattaccati anchese da qualche giorno si vedono meno mili-tari in giro. Ci sono nuclei di resistenza mail segnale più chiaro di resa proviene da un

reparto che sulle rive del Tigri alza bandie-ra bianca. Molti militari lasciano le posta-zioni indossando gli abiti civili. Il regime sidissolve nella fuga nella resa e nella com-mistione con l’occupante come è tipico diogni potere antipopolare. Baghdad è cosìmilitarmente nelle mani degli invasori. Letruppe superstiti si raccolgono attorno aTikrit.

Le masse popolari avvertono la fine delregime. Nei quartieri più poveri disoccupa-ti lavoratori sottoproletari si riversano sullestrade ed assaltano i palazzi dei notabili delregime e dei benestanti appropriandosi diogni cosa. Tremano le classi borghesi nonavendo uomini armati a disposizione di cuifarsi scudo. Mentre si sprecano parolonisull’Iraq libero, la gente urla agli americanidi andarsene.

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 L’INVASIONE DELL’IRAQ — 9

Occupanti e ufficiali iracheni collaborano contro le masseGli avvenimenti dal 10 al 15 aprile

10 aprile - Nel disfacimento di un regi-me contano le forze reali. E le forze reali aBaghdad sono: gli occupanti che cercanodi prendere il controllo dei nodi della città;le masse del popolo che si sono date all’e-sproprio dei ricchi; i nuclei di guerriglia su-perstiti che cercano di vender cara la pelle.In centro un attentato suicida uccide alcu-ni marines. Un’imboscata vicino alla mo-schea di Adamya a nord impegna gli occu-panti per un’ora di fuoco. Ci sono scontri asud nell’area di Al Dora. Vengono assaltaticinque ministeri e ripuliti da cima a fondo.Una notevole quantità di armi leggerepassa nelle mani degli espropriatori. Inmattinata inizia il saccheggio del museo ar-cheologico, che si protrae fino all’11; nelquale gruppi organizzati di affaristi, profit-tando della situazione, svaligiano i tesoridella storia antica da rivendere all’estero.

I negozi restano chiusi. Continuano lecode per il pane. In giro c’è qualche banca-rella di frutta e verdura. La linea del frontesi sposta al nord. Kirkuk viene conquistatadai curdi, ma viene subito lasciata al con-trollo americano a seguito della pressioneturca. A Najaf viene ucciso il leader sciita fi-loamericano Abdul Mujid ak-Khoal. Il pro-blema degli invasori e dei loro fantocci ac-creditati, come la cricca Chalabi, è oraquello di ripristinare l’ordine, metteresotto controllo i proletari, contenere le ri-vendicazioni curde e le contropressioniturche, arginare il movimento sciita radica-le.

11 aprile - Alla popolazione civile vienefatto divieto di avvicinarsi ai posti di bloc-co. Aumenta l’ostilità della gente nei con-

fronti degli occupanti. La gente vede chegli americani hanno distrutto il loro paese;che gli altri paesi arabi li hanno traditi; eche deve cacciare i nuovi padroni. Il centroè percorso da gruppi di espropriatori.Tutto ciò che è stato lasciato dal regime di-venta preda. La rabbia dei giovani e dei di-soccupati si scarica negli incendi delle ban-che, dei negozi, e dell’unione industriale.C’è fame e sete. Negli ospedali presi d’as-salto i morti vengono seppelliti in fosse co-muni.

I militari iracheni abbandonano Mosuldopo avere concordato la ritirata coi capicurdi. La città viene presa subito d’assaltodal popolo. Viene appiccato l’incendio alcatasto e saccheggiata la banca centrale. AKirkuk i parà americani prendono control-lo dei pozzi.

L’imam di Saddam City dà le seguentidirettive: a) è proibito rubare denaro ebeni mobili negli edifici pubblici; b) è proi-bito sparare su chiunque senza assolutanecessità; c) gli sciiti debbono andare apregare dio nelle loro moschee; d) gli im-piegati gli operai e tutti i salariati debbonoritornare rapidamente al loro lavoro. Le di-rettive sono firmate come Comitato delPopolo. Sui muri appaiono scritte «noi vo-gliamo un governo islamico».

12 aprile - L’esproprio di massa accele-ra la collaborazione tra gli invasori e i re-pressori del vecchio regime. Soldati ameri-cani e agenti iracheni mettono insieme ilproprio cordone contro gli espropri. Ilgen. Amer Al Saadi, comandante di polizia,forma una prima rete di controllori. Entra-no in funzione le prime pattuglie miste

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composte da marines e da un gendarmeiracheno. Nei quartieri del centro appaio-no le prime ronde. Quattrocento poliziottiprendono impegno a presidiare la città tradue giorni. Imam, marines, poliziotti, sonotutti mobilitati a difesa della proprietà pri-vata.

Circolano le prime voci sul fatto che gliufficiali il 7 avevano abbandonato le lorounità. Il gen. Maher Safiyan Takriti, cuginodi Saddam e membro della guardia repub-blicana speciale, avrebbe impedito di farsaltare il ponte di Diyala e avrebbe dato or-dine di ritirarsi senza combattere. I quar-tieri e gli isolati, in cui si spara, sono tenutisotto controllo dai volontari. Su Saddamc’è chi dice che è morto, chi lo dà a Tikrit,chi all’estero. La Casa Bianca impone unataglia a favore di chi dà notizie su di lui esu 55 gerarchi. Bush lancia un avvertimen-to alla Siria accusandola di dare asilo ai di-rigenti iracheni. A Mosul i marines sparanosulla folla facendo 15 morti e 200 feriti. ABassora l’imam fa appello a restituire lecose rubate portandole nella moschea.

13 aprile - La Casa Bianca, pur inten-dendo affidare la sicurezza alla polizia pri-vata (150 vigilantes del colosso Dyncorpsono partiti dal Kuwait; mentre altri 1.000sono in arrivo), lancia un appello a inge-gneri poliziotti specialisti a presentarsi aicomandi per ricostituire un apparato tecni-co-burocratico con la sicurezza in primopiano. A Baghdad la gente ritorna in città.In svariati punti si notano i controlli per lestrade e cessano i saccheggi. Restano anco-ra chiusi negozi e uffici.

Al confine siriano viene bloccato il fra-tellastro di Saddam, Watban. A Tikrit versomezzogiorno ci sono le prime scaramuccetra i parà e gli ultimi resistenti: 2.500 fe-dayn. La guardia repubblicana ha battutoin ritirata. I capi-clan hanno offerto comun-que la resa purché i curdi non mettanopiede in città. Gli scontri si svolgono in pe-riferia e i difensori più coraggiosi restanotutti sul terreno.

14 aprile - Un migliaio di marines entraa Tikrit non incontrando alcuna resistenzain città. Il comando americano annunciache tutti i pozzi di petrolio sono sotto ilcontrollo militare. E dichiara che con laconquista di questa città sono finite le bat-taglie campali e che residueranno solo pic-coli combattimenti. In pratica l’occupazio-ne è completa.

Dai dati ufficiali, di cui si può disporre,si può tracciare il seguente bilancio tecni-co-militare. Dopo 26 giorni di aggressioneci sono stati: 117 militari americani uccisi,35 inglesi, 2.320 iracheni, 2.150 civili e

5.000 feriti. Sono stati impiegati 1.100 aereianglo-americani con 30.000 operazioniaeree, 24.000 bombe e 800 missili. Distrut-ti 2.500 mezzi iracheni. Fatti prigionieri7.500 iracheni. I 7 prigionieri americanivengono liberati nel corso delle ultimeoperazioni.

15 aprile - L’esigenza prioritaria degliinvasori è quella di ristabilire l’ordine e difar girare la macchina del petrolio da cuisoltanto possono venire soldi. A Baghdadritornano in servizio 2.000 dei 40.000 poli-ziotti, che riprendono a pattugliare le stra-de. A Saddam City, ribattezzata Al Sadri, il

movimento sciita agisce contro gli espro-pri, perquisisce le vetture, fa opera perchévenga restituita la refurtiva ai legittimi pro-prietari. In breve funge da polizia religio-sa. I muezzin hanno raggruppato i volon-tari, istituito un centinaio di posti di bloc-co; ed imposto ai panettieri di riprendere afare il pane. A Bassora gli inglesi hanno im-posto il pugno di ferro. In meno di unasettimana dal 9 aprile sta montando dap-pertutto un clima di controllo e di repres-sione controrivoluzionario. Powell aumen-ta la pressione sulla Siria, minacciando san-zioni.

10 — L’INVASIONE DELL’IRAQ LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

L’Iraq nuova base strategica americana nel Medio-OrienteGli avvenimenti dal 16 al 30 aprile

Gli avvenimenti che vanno dal 16 al 30aprile evidenziano i seguenti sviluppi emeritano le seguenti puntualizzazioni.

Primo. Gli anglo-americani si riconci-liano con i gerarchi del regime affondato.Uno a uno, a parte Saddam Hussein e idue figli, i maggiori esponenti del vecchioregime si consegnano o vengono catturati.Il 17 viene catturato o si consegna il capodei servizi segreti e fratellastro di SaddamBorgan Ibrahim Hasan al-Tikriti; il 18 la po-

lizia curda di Mosul consegna Samir AbulAziz al-Najia; il 19 viene catturato il mini-stro delle finanze Hikmat Mizbar Ibrahimal-Azzawi; mentre si consegna Kala Khadral-Salhat esponente dell’organizzazione pa-lestinese Fatah - Consiglio Rivoluzionariodi Abu Nidal (Abu Abbas era stato seque-strato dagli agenti della CIA il 16 nella suaabitazione di Baghdad); il 24 si consegnaTareq Aziz ministro degli esteri. Ed edifica-no la loro amministrazione sul ricatto delle

Tigri

Eufrate

L’occupazioneanglo-americana

Bombardamenti Combattimenti

TURCHIA

SIRIA

IRAN

GIO

RD

AN

IA

ARABIA SAUDITA

Mosul

Kirkuk

BAGHDAD

Bassora

Nassirya

Najaf

Karbala

KUWAIT

GolfoPersico

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armi, le stragi e i servizi segreti. I primipassi dell’amministrazione sono quelli dicreare la stretta dipendenza irachena daldollaro e dal Pentagono. Il 16 vengono in-trodotti i primi dollari per pagare gli sti-pendi alla burocrazia di Stato e del petro-lio. E, con la scusa di combattere l’inflazio-ne, il biglietto verde comincia a diventarela moneta circolante (dollarizzazione). Il21 il nuovo governatore Jay Garner, met-tendo piede nella capitale, proclama chesolo i vincitori hanno diritto a governare eche non si può spartire la torta con chinon ha partecipato al festino.

Secondo. Il Pentagono disegna le zonein cui insediare in modo permanente letruppe americane. Le zone individuatesono: a) l’aeroporto internazionale di Ba-ghdad; b) la località di Tallil vicino Nassi-rija; c) la base aerea H1 lungo l’oleodottoche va in Giordania; d) la base aerea di Ba-shun nel nord. In queste zone verrannotrasferite le truppe e i sistemi d’arma cheverranno ritirati da Turchia Giordania Ara-bia Saudita. Gli occupanti trasformano l’I-raq nella base militare più poderosa delMedio Oriente. E, per accelerare il proces-so, alla riunione del 22 chiedono chel’ONU dichiari la fine dell’embargo perpoter disporre liberamente del petrolio edei fondi accumulati. Francia e Germania,dopo qualche resistenza, si accodano.

Terzo. Il 21 Rumsfeld loda la tempesti-vità con cui il governo italiano invia in Iraqi primi 300 carabinieri. Il 23 Berlusconi,confermando che il Sismi ha collaboratocol Pentagono sin dalle prime battute del-l’invasione, ribadisce le direttrici della poli-tica estera. E, per meritare un posto di ri-guardo al banchetto della spartizione, lemodella così: alleati con gli USA, non piùsudditi delle decisioni della mitteleuropa,attenzione per la Russia, forte considera-zione per Israele. Roma si inchina a Bushper avere un boccone più grosso; si con-trappone boriosamente a Parigi e a Berli-no; cancella i palestinesi; e, soprattutto,manda in Iraq la parte più scelta del pro-prio apparato controrivoluzionario. Tuttecose da forca.

Quarto. Si sviluppa la protesta popola-re anti-americana e la rivolta contro le stra-gi compiute dagli occupanti. Il 18 e 19 gliislamici che vanno in corteo a Karbala agi-tano cartelli con le scritte «via gli invasori»«via gli americani dall’Iraq», «ritirate ivostri carri armati e non provocate la po-polazione». Il 20 e il 21 si susseguono lemanifestazioni contro gli occupanti. Il pel-legrinaggio di Karbala supera il milione. L’i-mam moderato viene sostituito dal radica-le Mukhtada che ha già dichiarato: «l’Ame-rica non è venuta a liberarci ma a pren-dere il petrolio, a creare una stabile pre-senza in Iraq allo scopo di controllaretutta la regione medio-orientale». La pro-testa sciita è un vulcano in eruzione e glioccupanti non hanno mezzi all’infuoridelle armi per tenervi temporaneamentetesta. Il 26 essi debbono rilasciare l’imamAl Fartussi, arrestato due giorni prima, inseguito alle proteste e alle manifestazioniin suo appoggio. Anche se Rumsfeld mi-naccia l’Iran che gli Stati Uniti non permet-teranno intralci ai loro disegni di dominio,l’arrivo a Baghdad dopo tanti anni di esiliodell’imam Abdel Aziz Hakim viene salutatocon lo slogan del potere islamico. Il 24-25-26 a Najaf gruppi di ragazzi di 200-300unità prendono a sassate i militari di pattu-gliamento. A Mosul 200 ragazzi circondanoi militari e li bersagliano di sassi. Il 26 lagente del quartiere di Zafranieh, devastatodal brillamento di un deposito di munizio-ni con 12 morti e 40 feriti, insorge contro imilitari cacciandoli a sassate. Un corteo digiovani si spinge poi fino in centro per ma-nifestare la propria collera. Il 28 a Falluja,un paese a 40 km dalla capitale, un corteodi 300 persone si dirige alla scuola elemen-tare Al Kaed, occupata dai militari, perchiederne lo sgombero. I militari aprono ilfuoco facendo 15 morti e 70 feriti. La genteè esasperata e sta cercando come disfarsidegli occupanti. Gli avvenimenti indicanoquindi che non si possono fare i contisenza l’oste.

A conclusione della sintesi degli avve-nimenti tiriamo le considerazioni finali piùdirette e gli insegnamenti principali.

Questo esproprio spontaneo di massasi verifica in tutte le città: Baghdad, Basso-ra, Mosul, Nassiriya, Najaf, Karbala, Kirkuk.Il crollo del regime scatena dappertutto,come una gigantesca molla compressa chesi fa scattare, l’esproprio generalizzato.Cambiano le modalità e la durata (adesempio a Mosul viene assaltato il catasto edate alle fiamme le cartelle fondiarie); main ogni città il saccheggio è una esplosionedi furore dei poveri che si prendono unarivincita sui ricchi. La gente delle case mi-nime, che non aveva dove fuggire daibombardamenti, affamata, mette a soqqua-dro i palazzi proibiti. Salta da un edificioall’altro senza sosta, asportando tutto ciòche si può portare via o che è trasportabi-le. Nella sua spontaneità questo espropriodi massa concretizza una forma di redistri-buzione diretta di ricchezza (beni mobili)ed è un segno della concentrazione dellaricchezza e della polarizzazione sociale.

Il vuoto di potere, lasciato dalla cadutadel regime, ha creato una situazione ecce-zionale. Da un lato ci sono i carri armatiamericani che presidiano i luoghi simbolicidel potere: la forza militare dell’occupante.Dall’altro c’è la volontà di riscossa dellemasse, esplosa negli agglomerati più pove-ri: l’autodecisione proletaria e popolare. Èun equilibrio momentaneo, che non puòdurare a lungo; ma che riflette la situazio-ne creatasi in seguito all’occupazioneanglo-americana.

Su questa situazione dal nostro osser-vatorio possiamo fare per il momento soloalcune valutazioni esterne. La prima valuta-zione che ci pare opportuno fare è che lemasse popolari non solo non hanno fe-steggiato i sedicenti liberatori ma li hannoaccolti come invasori. Le manifestazioni digiubilo popolare, che si vedono in questigiorni, derivano dalla caduta del regimenon dalla presenza americana. I manife-stanti sono ostili all’occupazione america-na. Giudicano Bush peggiore di Saddam. Esi avvicinano ai carri armati con scritte em-blematiche: «Andatevene avvoltoi». Sottoquesto aspetto la situazione è quella di unpotere militare senza ancora alcun appara-to di controllo sociale, da una parte; e diun’immensa forza di massa, slegata dalcontrollo, ma non organizzata e pronta acombattere contro l’invasore, dall’altra.

Per quanto in questi giorni Baghdadviva nel caos, non si può dire che ci siauna situazione di anarchia. Infatti. Il popo-lo è sotto la minaccia dei tanks americani.Il proletariato non è insorto per stabilireun proprio potere o per rivendicare il po-tere. I gruppi armati sparsi in città, costi-

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 L’INVASIONE DELL’IRAQ — 11

La caduta del regime innesca l’esplosione popolareTrema la borghesia irachena

Il 9 aprile è una data storica. Non soloperché crolla il regime di Saddam Hussein.O perché i carri armati americani entrano aBaghdad senza incontrare resistenza. Masoprattutto perché segna l’esplosione deiquartieri popolari. Dopo lo squagliamentodella milizia proletari e sotto-proletari ini-ziano l’esproprio dei beni dei ricchi. L’as-

salto ai beni della borghesia parte da Sad-dam City dopo l’abbattimento della statuadi Saddam in piazza Paradiso. La folla sfon-da i palazzi di Saddam, dei suoi figli, deinotabili; e si appropria di ogni bene. Poi dàl’assalto agli edifici pubblici, alle residenzeprivate, ai negozi. È un fiume incontenibileche mette le mani su ogni cosa prendibile.

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tuiti dai volontari arabi, sono privi di basee prospettiva. La capitale sta reggendosisulla compresenza di una forza militare dioccupazione e di una massa popolare inmovimento verso un nuovo assetto di po-tere. Non c’è quindi assenza di potere odisseminazione di poteri. C’è di fatto unbraccio di ferro tra queste due forze cen-trali, che non stanno ancora fronteggian-dosi, per la definizione di un nuovo asset-to di potere.

Gli espropri di massa, che si sono pro-lungati sino al 12 e che non hanno rispar-miato ospedali e musei (razziati in modoparticolare da bande di profittatori), hannoimpresso una spinta radicale al futuro as-setto di potere. Ma il furore espropriativo,che ha svelato il rancore accumulato dallemasse nei confronti delle stesse strutturesanitarie e culturali, ha fatto tremare laborghesia e la media borghesia (i nego-zianti avevano murato le vetrine una setti-mana prima). Il fatto che non ci fosse ingiro né un poliziotto né un soldato e chegli occupanti non fossero in grado in man-canza di rinforzi di proteggere gli edificipubblici tranne quelli di loro interesse (mi-

nistero del petrolio) ha spinto l’elementoborghese a scendere in campo e a rimette-re su un nuovo apparato di controllo anti-popolare. C’è quindi in atto una coopera-zione crescente tra le forze occupanti e levecchie forze di polizia che tende a rimet-tere la museruola alle masse e a spingereverso un assetto reazionario di potere.

Fino a ora non si è trovata traccia deidetenuti politici e gli occupanti ne ostaco-lano la ricerca. L’11 aprile la folla ha assal-tato il palazzo dei servizi segreti alla ricercadei parenti scomparsi; ma dalla prigionedella polizia (Mukhabarat) non è venutoalla luce alcun prigioniero. Non si sonotrovati neanche gli schedari. Segno che laprima preoccupazione degli agenti specialiè stata quella di fare sparire le tracce deipropri misfatti. Da parte loro gli occupanti,non solo non stanno fornendo alcunmezzo alla ricerca dei detenuti politici, mala ostacolano. La loro preoccupazione èquella di acquisire la polizia e l’esercito re-golare per farne il pilastro di controllopost-Saddam. Quindi invasori e repressorisi ricompattano in funzione anti-proletariae anti-popolare.

12 — L’INVASIONE DELL’IRAQ LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

sostenuto dal Pentagono rimane tutto daverificare.

4ª) L’invincibilità delle sollevazionisociali

La quarta considerazione è l’imbattibi-lità delle rivolte delle masse. Non c’è po-tenza tecnologica di una armata occupanteche possa reggere alla ribellione dellemasse. Gli anglo-americani si trovano quin-di ora di fronte il loro temibile antagonista:il proletariato iracheno.

5ª) L’amministrazione militareLa quinta considerazione è che l’unica

amministrazione possibile, applicabile aquesto tipo di guerra di spartizione impe-rialistica, è l’amministrazione militare. Il 10aprile è stato ufficializzato il primo gover-no americano: potere supremo al coman-dante Tommy Franks; gestione centrale algen. a riposo Jay Garner; 23 ministri ameri-cani con 4 consiglieri ciascuno; governo ditransizione di due-tre anni. Per il popoloiracheno si preparano quindi tempi duri.

6ª) Iraq punto intermedio di unaspartizione che prosegue

La sesta considerazione è che la sparti-zione anglo-americana dell’Iraq è unatappa intermedia, dopo i Balcani e l’Afgha-nistan, di ulteriori spartizioni, destinate asconvolgere tutto il medio-oriente.

7ª) Marines agenti di polizia imamcoalizzati contro gli espropri proletari e irivoluzionari

L’ultima, ma più importante considera-zione, è che militari americani poliziottiiracheni imam sciiti, rivali tra loro, agisco-no uniti contro le pratiche proletarie econtro i rivoluzionari. Pertanto i lavoratoriiracheni non debbono farsi dividere daconflitti etnico-religiosi; debbono unirsi,organizzarsi, attaccare gli invasori e trasci-nare dietro di sé semi-proletari e contadininella lotta per il potere.

Gli insegnamenti principali

A conclusione tiriamo le considerazioni fi-nali.

1ª) Carattere dell’aggressione anglo-americana

La prima considerazione riguarda la na-tura della guerra scatenata dagli anglo-americani. Si tratta di un’azione di forza,sferrata con la sua strapotenza militare (lamacchina militare americana poggia su undispositivo di 1.400.000 unità tra ufficiali esoldati), dalla superpotenza numero unocontro un piccolo Stato indipendente arre-trato. È una guerra di rapina, di spartizio-ne, neocoloniale. È il giuoco del gatto coltopo.

2ª) La resistenza degli aggreditiLa seconda considerazione riguarda il

tipo di resistenza opponibile dalle forze ar-mate irachene. Il regime di Saddam Hus-sein, poggiando sull’oppressione dellemasse popolari delle minoranze e degli op-positori, non poteva che opporre altro cheuna resistenza di tipo convenzionale, daesercito a esercito. Esso poteva cioè resi-stere facendo uso esclusivo delle truppe,regolari e speciali, e con tecniche operati-ve che assicurassero il controllo dellemasse popolari. Quindi esso poteva resi-stere poco senza impensierire gli aggresso-ri.

3ª) Tecnologia bellica e tatticheLa terza considerazione concerne la

validità delle tattiche applicate. Il facilesuccesso finale con la travolgente avanzatadegli Abrams inviterebbe a ritenere che laguerra leggera o flessibile abbia trovato ilsuo autentico collaudo. Ma non è così. Perpotere affermare che l’uso dell’arma aereacombinata con forze speciali mobili diterra sia idonea a spezzare ogni resistenzabisognerebbe un confronto tra due o piùpotenze belligeranti dello stesso livello tec-nologico. Nel caso dell’Iraq il confrontonon regge dato l’immenso divario del livel-lo tecnologico militare. Quindi il modello

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La sindrome si manifesta con sintomi difebbre altissima e senso di soffocamento.L’agente della sindrome è un virus: un co-ronavirus, tipico delle comuni influenze.Non è ancora chiara la natura di questo co-ronavirus. Secondo analisi di laboratorioeseguite in Estremo Oriente, dove la Sars èapparsa (il bacino di provenienza è la re-gione del Guangdong nel Sud della Cina),a base del morbo ci sarebbero due speciedi coronavirus. E questo viene detto perindicare che il virus cambia rapidamente.Sono passati più di due mesi, da quando laSars è stata ufficializzata (le prime manife-stazioni risalgono all’anno scorso), e nono-stante ciò l’Organizzazione Mondiale dellaSanità (OMS) non è riuscita ad approntarealcun antidoto o vaccino. Di conseguenzapiù che vittime la Sars sta creando panico,controlli, corse sfrenate tra laboratori di ri-

cerca per chi deve etichettare per primo ilritrovato anti-Sars.È questo lo scenario, in cui si avvicendanogli eventi morbosi del nostro tempo,quando la loro potenzialità di contagio ri-guarda indistintamente ricchi e poveri.Che milioni di individui muoiano stabil-mente per povertà; che centinaia di mi-gliaia di persone periscano nei luoghi dilavoro; o che un’infinità di bambini e dianziani perda la vita per banali influenze omalattie da nulla; tutto questo non suscitané preoccupazioni né paure. È il costoumano trascurabile delle classi sottomes-se. Ma appena un’infezione qualsiasi portiil rischio del contagio generico le cose sicapovolgono e il mondo sembra girare sulcontagio del virus. Vediamo quindi cosasta accadendo e quale atteggiamento sideve tenere.

cino; b) individuazione rapida dei malati;c) trasformazione dei medici di famiglia insentinelle del territorio col compito di se-lezionare i pazienti da sottoporre a con-trollo sanitario. La Sars ha quindi dato ilpretesto al nostro governo, non solo di at-tuare controlli alla frontiera e sul territorio,ma di porre anche sotto lo stato di emer-genza il controllo sanitario trasformando ilministro della sanità in uno strumentooperativo del commissario straordinario.

Un pretesto per misure coercitive

In passato i cordoni sanitari erano misuredi isolamento nel tentativo di arginare ilcontagio. Il lebbrosario era il cordone piùdrastico. Nel nostro tempo non sono sem-plici misure di protezione con cui unpaese si protegge da infezioni epidemichescoppiate in altri paesi. Sono strumenti dicontrollo, di concorrenza, di ingerenza, diinterventi coercitivi da parte delle potenzepiù forti nei confronti degli Stati predomi-nati. Nella presente fase sono ancora dipiù. Sono operazioni del militarismo belli-co. Le misure anti-Sars, messe in atto dagliStati imperialistici nei confronti della Cina,sono un’operazione di discredito commer-ciale, di ingerenza, di imposizione di pre-scrizioni e regole, di subordinazione. LaSars è solo un pretesto per controllare in-tervenire coercire.Diamo un rapido sguardo ai momenti piùvistosi di questa operazione. Prima di tuttoè stata montata, coi mass-media, un’onda-ta artificiale di psicosi nei confronti dellaSars e della Cina; ondata di panico che sitraduce in una enorme pressione economi-co-commerciale su questo paese e sulla suapopolazione. La Cina vive una situazione diparalisi negli affari. E la psicosi anti-cinesefa il giro del pianeta. In Italia si è diffusa lapaura di mangiare nei ristoranti cinesi o disalire sui mezzi di trasporto per non esserecontagiati dai cinesi. In secondo luogo ven-gono prese dai paesi imperialistici svariatemisure selettive-restrittive, qualificate comemisure profilattiche, dirette a contenere iltraffico di merci e di emigrati dalla Cina; e aimporre nelle relazioni commerciali pre-scrizioni e verifiche da posizioni di forza. Interzo luogo, nonostante la Sars abbia finorarivelato un basso livello di contagiosità eancora più basso di mortalità, c’è una proli-ferazione mondiale di controlli: presidi agliaeroporti, misurazione della temperatura atutti i passeggeri provenienti dai paesi a ri-schio Sars, ecc. Quindi la polmonite atipica,

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 LA SARS — 13

La «Sars»: un’epidemia del nostro tempoPiù si «globalizza» il mercato più si «globalizzano» le sue contraddizioni catastrofiche

Ogni tipo di epidemia è figlia del suo tempo. Non solo per quanto concerne la sua origi-ne; ma anche per quanto concerne le possibilità di cura, le psicosi che si generano, icontrolli che vengono imposti. La «sindrome acuta respiratoria severa» (Sars) è una tipi-ca epidemia di questo momento.

Panico e brevetti

I dati statistici sul contagio e sui decessi

Fino a questo momento in Italia non c’èalcun caso accertato di Sars. Ci sono solonove casi sospetti; su cui vegliano i duemaggiori istituti specializzati in infettivolo-gia: il Sacco di Milano e lo Spallanzani diRoma. Da novembre ad oggi il totale deicontagiati nel mondo ammonta a 5.432; ilnumero dei morti a 333. I paesi dove laSars ha avuto maggiore diffusione sono: laCina con 3.109 contagiati e 139 morti;Hong Kong con 1.552 contagiati e 138morti; Canada con 339 contagiati e 21morti; Singapore con 195 contagiati e 22

morti; Vietnam con 63 e 5; Taiwan con 55e 1; Stati Uniti con 41 contagiati. L’Italiauna vittima l’ha avuta ed illustre. Si trattadel medico Carlo Urbani, esperto di malat-tie infettive, morto il 29 marzo a Bangkokin Thailandia ove era stato trasferito daHanoi per avere cure migliori. Urbani era ilpresidente dell’associazione Medici senzafrontiere e lavorava per conto dell’OMS. Lasua morte può essere considerata uninfortunio sul lavoro. Stando ai dati stati-stici la diffusione del virus appare quindiabbastanza contenuta.

Controllo di frontiere e quarantene

La Sars si sta rappresentando come infezio-ne tipica del momento, anche se il coro-navirus che la diffonde non presenta con-notati particolari di agente mortifero, inquanto il veicolo della sua diffusione non ècostituito dal solo contatto fisico ma dallospostamento delle popolazioni. L’infezionecioè cammina col movimento delle perso-ne e coi mezzi di trasporto. Questa parti-colarità di trasmissione ha dato il pretestoa ogni governo di mettere in atto misure li-berticide di controllo e cordoni sanitarid’altri tempi.In Cina, epicentro dell’infezione, il gover-no sta mettendo in atto una scala di misu-

re autoritarie: ricoveri nei reparti infettivi,isolamento dei contagiati, quarantene perintere popolazioni, sanzioni penali micidia-li. Tutte misure queste che colpiscono lapopolazione operaia e contadina ma cherestano inefficaci davanti al virus. Da noi il28 aprile si è insediata presso il ConsiglioSuperiore di Sanità la neo-formata com-missione anti-Sars, posta agli ordini delcommissario straordinario Bertolaso in-caricato dal presidente del consiglio di at-tuare iniziative straordinarie contro la Sars.La predetta commissione ha deciso le se-guenti misure immediate: a) vigilanza dellefrontiere con presidi a Malpensa e a Fiumi-

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A innescare il cordone sanitario è stato l’al-larme suonato dalla OMS, che il 15 marzoha dichiarato che la Sars rappresenta unaminaccia sanitaria mondiale. Questa isti-tuzione, a sfondo umanitario del sistemaimperialistico, non fa altro che veicolare lepolitiche delle superpotenze in campo sani-tario. Invece di darsi da fare per approntarei mezzi e le tecniche idonee alla compren-sione medico-scientifica dell’infezione si èmessa a strombettare che è imperioso con-trollare l’epidemia. Un’organizzazione mon-diale della sanità, degna di questo nome,avrebbe dovuto mettere in movimento glistrumenti tecnico-scientifici più efficientiallo scopo di capire il fenomeno infettivo edindividuare i necessari trattamenti senzacreare scompiglio nelle relazioni internazio-nali. Al contrario essa non offre alcun aiutoalla soluzione dei problemi sanitari deipaesi dominati dall’imperialismo (arretrati,in via di sviluppo, sottomessi, ecc.); mettein moto i laboratori d’analisi delle multina-zionali farmaceutiche affinché queste ritro-

vino i nuovi preparati e trattamenti da sfrut-tare commercialmente. E questo bolla,senza sottovalutare la minaccia infettiva, ilruolo dell’istituzione come ruolo ipocrita,subalterno e pseudoscientifico.Se il tasso di contagiosità e di mortalitàdella Sars è basso, sono invece poco rassi-curanti le opinioni medico-scientifichesulla natura e l’evoluzione della infezione.Gli ultimi approcci, a cui sono giunti glispecialisti di infettivologia, sono che ilvirus ha 4 ceppi mutati e che si tratta di unvirus in continuo mutamento. I laboratoridi analisi e di ricerca più progrediti, con lerispettive équipe di esperti, sono tutti al la-voro, non per coordinare le rispettive co-noscenze, bensì l’uno in concorrenza conl’altro per ritrovare gli elementi da brevet-tare. E la scena comica è che, mentre ilcontagio sta per essere arginato senzaalcun vaccino anti-Sars, nessun centro dispecialisti infettivologi è ancora in grado didire a quali mutazioni è soggetto il nostrocoronavirus.

14 — LA SARS LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

Vincenzo, operaioapprendista, l’ennesimavittima del lavoroBasta con gli omicidi sul lavoro.Occorre una organizzazione stabiledi lavoratori per impedire altrimorti. Attaccare la fabbrica flessi-bile. Difendere la propria dignità.

Vincenzo, giovane operaio di 17 anni, èmorto schiacciato da una impiallatricein una cartotecnica di Limbiate il 1ºmarzo 2003.Nei primi due mesi sono stati 18 i morti sullavoro, giovani e meno giovani, immigratied italiani, che sono stati macellati nellafabbrica flessibile: schiacciati dai muletti,caduti dalle impalcature, colpiti da oggettisospesi, ridotti in poltiglia dai mezzi mec-canici in movimento.A queste morti «sul colpo» bisogna somma-re le centinaia di lavoratori decedutipochi giorni dopo l’infortunio e le migliaiadi morti per malattie inguaribili prese sullavoro e non riconosciute dall’Inail.Causa di tutto ciò è la fabbrica flessibile,moderno sistema produttivo dove il pro-fitto è tutto e l’operaio è niente. In questoluogo di lavoro l’operaio è costretto a la-vorare in condizioni sempre più castran-ti, con orari senza fine, mansioni semprediverse, sotto il permanente controllo pa-dronale, sacrificando dignità salute vitapersonale e lavorativa alla fame di pro-fitto del padronato. È questo il luogodove l’operaio ci lascia il cervello equando va male anche la pelle.Bisogna reagire a questo «massacro co-stante» sui lavoratori, nell’unico modoche i lavoratori conoscono e devono pra-ticare: unirsi, solidarizzare, organizzarsipermanentemente contro la fabbrica fles-sibile affermando la propria dignità, perdifendere la salute, la vita, il salario eimporre condizioni migliori di lavoro.Per fare questo occorre rimboccarsi lemaniche non solo per lavorare, ma perorganizzarsi permanentemente nel sin-dacato di classe e nel partito rivoluzio-nario.

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da infezione virale, si è trasformata nell’at-tuale realtà di rivalità e contrapposizioni ar-

mate tra gli Stati, in una occasione di con-trollo di ingerenza e di ricatto.

Il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

Brevetti: la vita nelle mani delle multinazionali farmaceutiche

È bene rammentare che l’incidenza di unamalattia infettiva non dipende soltanto dalgrado di sviluppo economico raggiunto maanche dal posto che ogni Stato occupa nellacatena imperialistica. Ad esempio, se l’Africanon fosse stata spogliata prima dal coloniali-smo e saccheggiata poi dal dominio impe-rialistico, non si troverebbe in mezzo allepiù micidiali malattie infettive del nostrotempo, come l’Aids, di cui muoiono ognianno ben 2.300.000 persone sui 4.000.000del resto del mondo. Attualmente circa 17milioni di individui decedono, in qualsiasietà, per malattie infettive nelle aree più po-vere del mondo non avendo medicinali percurarsi. Un ristretto numero di multinazio-nali possiede il monopolio dei brevetti far-maceutici, la proprietà intellettuale dellespecialità. E non è possibile né la produzio-ne né la distribuzione senza il loro benesta-re. Così la vita di 6 miliardi di persone ènelle mani di un pugno di profittatori.E non è tutto. L’interesse di ogni multina-zionale non è di facilitare l’accesso ai trat-tamenti, bensì di proteggere l’esclusivitàdei brevetti per realizzare più profitti e

orientare poi la ricerca sulle malattie croni-che (cancro, diabete, malattie cardiovasco-lari, patologie dell’invecchiamento, ecc.),che riguardano solo l’8% della popolazionemondiale, ossia l’area imperialistica. Così,anche in campo sanitario, aumenta la di-pendenza dei paesi poveri nei confrontidei paesi ricchi. Tutti i paesi in via di svi-luppo, Cina compresa via via abbandona lasua medicina tradizionale per quella occi-dentale, subiscono il ricatto dei brevettifarmaceutici e delle clausole di salvaguar-dia a tutela della proprietà intellettuale.L’allarme Sars non ha inciso sulla realtà diquesti rapporti di dominio e di rapina.Stati Uniti, Giappone e Stati europei, no-nostante nei loro vertici assumano solenniimpegni a difesa della salute del mondo,non sono disposti a cedere sui loro privile-gi. Gli USA non sono disponibili a conce-dere altro alla richiesta mondiale dei popo-li che il loro assenso alla produzione di far-maci generici per soli tre flagelli: aids, tu-bercolosi, malaria. Quindi il 90% della po-polazione mondiale è sotto la morsa mor-tale delle multinazionali.

Panico e repressione

Il carattere epidemico di una infezione èun evento tale che, in una società divisa inclassi, qualsiasi tipo di potere non manca diutilizzare come deterrenza contro le massepopolari. E quanto più inefficaci si rivelanole misure approntate per farvi fronte tanto

più aumentano le possibilità per il poteredi limitare il movimento delle masse. LaSars coglie la Cina in un momento di urba-nizzazione pletorica e di depressione delmercato asiatico. Le strutture sanitarie del-l’immenso paese (la Cina ha più di 60.000

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ospedali) sono un misto di strutture localie di complessi centrali, inadeguate a farfronte ai bisogni sanitari dell’industrializza-zione capitalistica, che disgrega le campa-gne e accentra nelle città una sovrappopo-lazione enorme. L’infezione polmonare ati-pica è stata subito utilizzata dalle autoritàper terrorizzare le campagne e per metterein quarantena l’extra-popolazione urbana.Il governo è intervenuto minacciando indi-vidui e villaggi, requisendo alberghi, impo-nendo l’isolamento. Quindi suscitare pani-co e reprimere è proprio di ogni regimeborghese, in oriente come in occidente.Va detto inoltre, per quanto riguarda il pa-nico suscitato in casa nostra, che la Sars è,come ogni altro tipo di malattia, un prodot-to dell’organizzazione sociale. Essa è appar-sa e si è diffusa in un’area di capitalismogiovane. E non può impensierire i paesi su-perindustrializzati ove le infezioni sono piùgravi e perniciose. Quindi, quanti scansanoi cinesi per timore del contagio o non sal-gono sugli autobus o sul metrò per pauradel contagio, si tranquillizzino e volgano losguardo contro la causa di questi mali.

Come combattere le epidemie

Le epidemie, e questo vale per ogni feno-meno patologico, non possono essere se-parate dalla vita sociale, dalla struttura delpotere, dalla politica sanitaria, ecc.; vannoaffrontate come questioni sociali e risoltesul terreno politico-sociale. Con questapremessa e sul piano immediato tracciamole seguenti indicazioni.A) Innanzitutto bisogna battersi contro ildegradamento delle condizioni generali divita e di riproduzione dei lavoratori e per illoro incessante miglioramento su ogni ter-reno e aspetto: formativo, tecno-produtti-vo, salariale, alloggiativo, ambientale, ecc.Senza una lotta quotidiana su questo terre-no qualunque virus trova la porta aperta.B) In secondo luogo bisogna combattere ilpredominio del farmaco privato sulla vita,esigendo la totale gratuità e disponibilità ditrattamento, terapia, ricoveri, ecc.C) In terzo luogo bisogna esigere la capilla-rità e la gratuità del servizio sanitario pertutte le masse lavoratrici.D) In quarto luogo, riconoscendo che la gra-tuità e la diffusione del servizio sanitariosono solo una condizione necessaria manon sufficiente ad arginare l’espansione diuna epidemia, bisogna battersi per una me-dicina che sia a sevizio delle masse non deicolossi farmaceutici. È ridicolo che la societàche manda l’uomo nello spazio e fabbricaaerei invisibili non sia in grado di decifrareun coronavirus e confezionare un vaccino.Quindi, per contrastare le epidemie, biso-gna condurre una battaglia permanente su

A conclusione va detto che l’attuale model-lo sociale ha per sua struttura economica ilcapitale finanziario parassitario e per sualogica di sviluppo la putrefazione. La con-seguenza di questo assetto, per l’argomen-to in questione, è che essa, non solo gene-ra e riproduce fenomeni epidemici a scalacrescente, ma riduce al contempo le possi-bilità di comprensione della scienza medi-ca. Da tempo la medicina è a servizio deisettori più lucrosi della sanità (chirurgia,manipolazioni genetiche, ecc.). E da essa

L’uccisione di Mario Galesie la cattura della brigatista Nadia Lioce

Il 2 marzo viaggia sull’interregionale 2304 Roma-Arezzo, partito da Tiburtina alle6,19, l’esponente delle BR-PCC Nadia Desdemona Lioce in compagnia del gregarioMario Galesi. Alle 8,14 salgono sul treno alla stazione di Terontola tre agenti dellaPolfer: Emanuele Petri, Bruno Fortunato, Giovanni Di Fronzo. Il terzetto di agenti èmolto affiatato ed esperto in operazioni rischiose. Nei pressi della stazione di Camu-cia-Cortona l’agente Petri, di ragguardevole stazza fisica, entra nel compartimentodella Lioce; chiede i documenti e fa fare un controllo sugli stessi. Il controllo appareanomalo e non giustificato dalle risultanze formali dei documenti. Galesi si rendeforse conto che si tratta, non di un controllo di routine, ma di un agguato. Sono at-timi fulminei. Si scatena una sparatoria con un’infinità di colpi. Muore Petri. CadeGalesi. Resta ferito gravemente Fortunato. Lioce viene bloccata e legata a un palodella stazione. Non si sa chi abbia sparato per primo e quanti agenti in borghese sitrovavano sul treno. Quello che appare sufficientemente chiaro è che la specialepattuglia della Polfer avesse il compito di fermare i due brigatisti per poi procederealla loro cattura.L’operazione doveva essere preparata da lungo tempo, come si può inferire dalle di-chiarazioni del ministro per gli interni sul caso Biagi, secondo cui le indagini sullaricerca degli attentatori sono a un buon punto. Ed è riuscita nel suo intento, anchese ha lasciato sul terreno più di un cadavere, in quanto ha inferto un serio colpoalle BR-PCC. Dal 2 marzo ad oggi la predetta organizzazione non è ancora riuscitaad esprimersi, né nei confronti di questa trappola, né sul terreno anti-imperialistacontro il guerrafondaio Bush, né sul fronte della riforma del mercato del lavoro con-tro i giuslavoristi e i sindacalisti della flessibilità a tutto spiano, né contro il governoBerlusconi bollato come servo degli americani. Evidentemente le BR-PCC attraversa-no un momento difficile. E l’arresto di Lioce appesantisce ora ancor di più la situa-zione di difficoltà in cui si trova il gruppo clandestino sia sul piano interno e deirapporti coi nuclei affini che su quello esterno.L’operazione condotta dalla Polfer non è l’effetto di un controllo episodico; è il frut-to dell’azione sistematica e capillare di controllo prevenzione repressione che i re-parti speciali dello Stato stanno compiendo su tutte le organizzazioni di estrema si-nistra: antagoniste, anarchiche, brigatiste, rivoluzionarie. Il piano ufficiale del Vi-minale è quello di isolare i violenti, includendo in questa etichetta generica qualsia-si manifestazione di illegalità politica diffusa, ossia qualunque manifestazione di an-tagonismo sociale e politico. Il 5 marzo Pisanu, riferendo al parlamento, ha sottoli-neato senza mezzi termini che va colpita la violenza politica diffusa precisando chequesta va nella stessa direzione delle BR. Nel 2002 sono stati tratti in arresto più di 60militanti di estrema sinistra. Cresce quindi il controllo interno e militaristico suogni forma di attività politica, antagonistica o semplicemente dissonante.La macchina propagandistica di regime, mentre colma l’agente Petri di elogi a nonfinire, mostrifica la salma di Mario Galesi come quella di un cane appestato. È unrito del terrorismo statale aggiornato al militarismo bellico. Rito che può far presasolo sugli indecisi e su chi non ha il coraggio di affrontare gli apparati di potere. Unnostro doveroso saluto a Mario Galesi che con questi apparati si è scontrato e chenello scontro è caduto. (tratto dal Foglio murale del 15/3/2003)

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003 LA SARS — 15

vengono sempre meno contributi allo stu-dio e alla prevenzione dei fenomeni epide-miologici e delle patologie di massa. Percui è sufficiente l’apparizione di una nuovaforma virale o il mutamento di un ceppovirale perché essa brancoli nel buio. C’ècosì un limite alla conoscenza medica checoncresce con l’imputridimento di questomodello sociale. Pertanto bisogna essereconsapevoli che non possiamo liberarcidelle epidemie, dei vecchi e dei nuovivirus, senza sradicare questo modello.

questi terreni; senza pensare tuttavia che sipossa giungere a una soluzione definitiva

del problema, in quanto la sua radice risie-de nell’attuale organizzazione della società.

Una società pandemica a espansione crescente

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A un anno dallo sciagurato incidenteche ne causò la morte, l’11 marzo si è svol-ta presso il Cral della SEA di Linate una riu-nione commemorativa su Luciano Schiel-mann. Alla riunione, promossa dal Cobasdella SEA, erano presenti una trentina dilavoratori e una delegazione della nostraSezione di Milano. La commemorazione èstata aperta da un rappresentante delCobas, il quale ha ricordato le capacità or-ganizzative di Luciano; mettendo poi inluce le difficoltà di resistere alla riorganiz-zazione produttivistica della SEA e di ri-spondere alla legge anti-sciopero. Ha con-cluso rivendicando il diritto di sciopero;ma non come prerogativa operaia, bensìcome garanzia giuridica. Subito dopo hapreso la parola un operaio delle pulizieche ha ricordato la risolutezza di Lucianonel prendere la difesa della sua categoria edei lavoratori. Successivamente è interve-nuto un nostro compagno, il quale ha ri-cordato che Luciano si era avvicinato a Ri-voluzione Comunista perché, in seguito atutta l’esperienza fatta coi Cobas, aveva ca-pito che lo sciopero è un’arma di lotta deilavoratori, che essi non debbono farsi con-dizionare nel perseguimento dei propri in-teressi da nessuna proibizione legale, chedebbono formare un sindacato di classeper perseguire e difendere questi interessie organizzarsi nel partito per rovesciare ilpadronato. Indi è intervenuto un altro rap-presentante del Cobas che ha lamentatol’impossibilità del comitato di dichiararescioperi perché bloccato dalla legge anti-sciopero. Dopo di questo intervento hafatto seguito la compagna di Luciano, laquale ha esposto il lavoro che sta facendoper costituire un comitato per il diritto disciopero. Ed ha aggiunto poi di non avercapito il lavoro di Luciano per la costruzio-ne del sindacato di classe. Infine hannochiuso la discussione due ulteriori inter-venti, che hanno ripreso, uno la posizionedel Cobas, l’altro la nostra.

Ci permettiamo di fare solo alcune sin-tetiche e necessarie considerazioni finali.Prima. Commemorare i compagni non èun’occasione per deprimere gli animi ma

un momento per alzarne le vedute. Lucia-no spiccava per capacità organizzativa, cheè una qualità rara che si acquista per spiri-to di abnegazione e per senso di inflessibi-lità nella lotta. Ogni operaio può svilupparequesta qualità se si arma di questa volontàdi lotta e se è capace di sacrificio personale.Luciano ha lasciato certamente un vuotonell’ambiente di lavoro (e non solo in que-sto), ma questo vuoto si può colmare e va

colmato seguendone l’esempio. Seconda. Ilavoratori della SEA non debbono provaresenso di frustrazione per la proibizione le-gale dello sciopero; in quanto l’iniziativadello sciopero sta nella volontà degli ope-rai, che nessun padrone e nessun poterepuò eliminare. Lo sciopero va fatto quandoe come lo decidono i lavoratori. Ogni altromodo di porre la questione è indignitoso.Terza. Come Luciano, anche gli altri lavora-tori che gli sono stati vicini non debbonoaver paura a combattere il padronato e adefenestrarlo dal potere. Pertanto quantivogliono onorare Luciano ne seguano l’e-sempio. E, soprattutto, se non vogliono se-guire l’esempio, non ne umilino la figuracon piagnistei sul diritto di sciopero.

16 — LUCIANO E DAX LA RIVOLUZIONE COMUNISTA 1/3 - 1/5/2003

Un saluto a «Dax» CesareOrganizzare l’autodifesa nei quartieri per non prenderle, ma per darle

Domenica 16 marzo, verso le ore 23, in Via Brioschi angolo Zamenhof tre giovani delCentro Sociale O.R.So, usciti dal bar Tipotà, vengono accoltellati fulmineamente da treelementi. Si tratta di un terzetto familiare di destra viscerale, composto dal padre Gior-gio Morbi e dai due figli.L’accoltellamento è così risoluto, che porta alla morte di Davide Cesare, di 26 anni (col-pito alla gola), al gravissimo ferimento di Antonino Alesi e a quello di Giacomo Zambet-ti. Davide Dax Cesare giunge al Pronto Soccorso del S. Paolo già morto dissanguato;mentre Alesi, operato d’urgenza, è in prognosi riservata.L’episodio, a prescindere da motivi contingenti di vario ordine che non conosciamo, èl’espressione di una volontà aggressiva determinata e terrorizzante. Esso è una manife-stazione del fatto che gli elementi neofascisti si sentono sicuri di poter compiere azionisanguinose, anche sotto la propria casa (i Morbi abitano nel quartiere). Nella sua appa-rente apoliticità, l’aggressione indica la volontà politica dei neofascisti di farla pagareanche ai Centri Sociali.Il macello di Via Brioschi ha poi un’appendice all’Ospedale S. Paolo. Al Pronto Soccor-so, dov’erano accorsi, i compagni di Dax vengono attaccati, inseguiti, sequestrati, pe-stati da ingenti forze di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine chiudono gli accessi al-l’Ospedale e poi si gettano in una caccia all’uomo per strada e nei reparti contro i ra-gazzi e contro le stesse persone presenti nei reparti. I picchiatori della polizia e dei ca-rabinieri, come ormai è loro costume, hanno iniziato la mattanza con la loro frase di-stintiva: «Bastardi comunisti, vi ammazziamo tutti».Esprimiamo il nostro cordoglio per la morte di Dax, un giovane che si era distinto nellalotta contro gli sfratti a Milano.Diamo la nostra solidarietà al Centro Sociale O.R.So. per l’attacco subito.Cogliamo l’occasione per dire ai giovani dei Centri che la lotta sociale non basta, biso-gna tradurla in lotta politica, cioè in battaglia contro il potere, lo Stato e tutte le forzeche lo appoggiano, tra cui i gruppi fascisti. Quindi ci vuole una linea politica classista ela necessaria autodifesa, sia quando si fanno le azioni di lotta sia quando si gira nelquartiere: non solo per non prenderle, ma anche per darle.Infine, essendo chiaro per tutti che le forze dell’ordine sono strumenti del militarismobellico, ossia della politica del potere che ormai si esprime in forma militare, nei modiben noti dal 2001 (Napoli, Genova, ecc.), bisogna organizzarsi adeguatamente per so-stenere gli scontri; ed affrontare la «questione delle questioni»: quella del partito rivolu-zionario.Milano, 19/3/2003 L’Esecutivo di Sezione

Luciano Schielmann e l’esempio da seguireAd un anno dalla morte

Luciano Schielmann aveva superato i limiti democratici della difesa operaia economi-cistica, schierandosi contro la militarizzazione del lavoro. Inoltre egli aveva capito,promuovendo l’organizzazione autonoma operaia, che i lavoratori non possono scon-figgere il padronato se non si danno un forte partito e se non si battono per il potere.Spendere il nome di Luciano senza rispettare queste sue acquisizioni equivale a sfigu-rarne l’immagine.