rivoluzione comunista

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Sabato 12 novembre alle ore 21,42 Silvio Berlusconi consegna le proprie dimissioni, da presidente del consiglio, al capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il passo indietro del per- sonaggio «che non si sarebbe di- messo mai», segna al contempo la fine della «maggioranza governati- va» e del sistema parlamentare. È il culmine della decomposizione del PdL e dell’impotenza del Pd a sosti- tuirlo o a combinarsi insieme. Con le formali dimissioni dell’ «unto del si- gnore» si completa così la dissolu- zione del sistema politico maggiori- tario bipolare. Com’è noto l’uscita di scena di Berlusconi arriva al termine di un lungo processo di disarticolazione interna della maggioranza. La crisi «politica» del berlusconismo era suonata nel 2003. Quella «organiz- zativa» nella prima parte del 2010 con la separazione dal PdL del co- fondatore Fini. Quella «parlamenta- re» dal 14 dicembre scorso. Da allo- ra il governo è rimasto in piedi, reg- gendosi sull’acquisto di parlamenta- ri e sulle crucce lanciate da Napoli- tano. Quella «dirigenziale» e «di classe» è più recente e matura con l’aperto abbandono del governo da parte di Confindustria, Banche; e con l’ostilità del Vaticano delle clien- tele meridionali e degli stessi ammi- nistratori locali del PdL. L’ultimo epi- sodio di contrasto è il convegno di Todi del 17 ottobre in cui banchieri confindustriali cattolici (Chiesa) di- segnano un nuovo governo. E con questo episodio si conclude la para- bola berlusconiana. Il crollo del sistema politico è la manifestazione più vistosa dello sconvolgimento finanziario-econo- mico-sociale-istituzionale-statuale in atto. Le banche si arricchiscono, ma al contempo si indeboliscono: spe- culando sul debito pubblico spingo- no al «default». I grandi gruppi indu- striali continuano a ridimensionarsi mentre medie e piccole imprese an- naspano nella recessione. La massa di lavoratori e di giovani in cerca di lavoro viene sempre più impoverita e pietrificata nella disoccupazione. Scende il peso politico italiano nei confronti dei concorrenti europei (Germania, Inghilterra, Francia). Cresce a tutti i livelli la tensione so- ciale e i conflitti si trasformano in guerra civile. I circuiti istituzionali si irrigidiscono in meccanismi dispotici (o si tramutano in organismi passivi). Quindi la dissoluzione del sistema politico mette a nudo la crisi di pote- re in Italia; crisi che, per quanto ri- guarda la sua genesi, ha ben poco da vedere con gli accusati «poteri stranieri». Le dimissioni di Berlusconi Il movimento delle masse e la signoria dei mercati Sui motivi, o cause, che hanno indotto Berlusconi a farsi da parte, LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Rivoluzione Comunista si richiama al marxismo rivoluzionario (Marx-Lenin). Lotta per rovesciare la borghesia; instaurare la dittatura proletaria; realizzare il comunismo. Giornale di partito - Anno XLVII - settima serie Ottobre-Novembre 2011 - € 1,50 Il nuovo governo degli sciacalli finanziari Contro la dittatura della finanza per il potere dei lavoratori All’interno q Il nuovo governo degli sciacal- li finanziari, pag. 1-4 q La manifestazione del 15 otto- bre a Roma, 5-7 q Il Pubblico Impiego carta gra- tis a sostegneo dei parassiti, 7 q La guerra di Libia. Il conflitto intereuropeo, 8-14 q Le «Cinque Terre» nel fango, 15 Ciò che sta avvenendo sul piano politico è una svolta storica del sistema italiano. È l’epilogo della dissoluzione del sistema politico bipolare, berlusco- niano e ulivista (liberal-democratico). E l’inizio di un nuovo sistema presiden- zialista tecnocratico; se non peggio. Questa svolta avviene nel quadro di una tempesta economico-finanziaria mondiale e di una aperta conflittualità sta- tuale europea. Avviene cioè nel quadro di sviluppo della «crisi sistemica», iniziata nel 2008 e ripiombata in una grave recessione; e delle rivalità inter- europee esplose irrefrenabilmente con l’aggressione franco-britannica-sta- tunitense alla Libia. E si svolge nello stato avanzato di «guerra civile» nel no- stro paese. Questa premessa di quadro è necessaria alla comprensione del- la svolta politica in corso in quanto ne condiziona ogni sviluppo futuro. Il finale indecoroso del sistema politico della seconda repubblica Con questo numero il giornale di- venta bimestrale ed inizia la sua settima serie. La Redazione

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Sabato 12 novembre alle ore21,42 Silvio Berlusconi consegna leproprie dimissioni, da presidente delconsiglio, al capo dello Stato GiorgioNapolitano. Il passo indietro del per-sonaggio «che non si sarebbe di-messo mai», segna al contempo lafine della «maggioranza governati-va» e del sistema parlamentare. È ilculmine della decomposizione delPdL e dell’impotenza del Pd a sosti-tuirlo o a combinarsi insieme. Con leformali dimissioni dell’ «unto del si-gnore» si completa così la dissolu-zione del sistema politico maggiori-tario bipolare.

Com’è noto l’uscita di scena diBerlusconi arriva al termine di unlungo processo di disarticolazioneinterna della maggioranza. La crisi«politica» del berlusconismo erasuonata nel 2003. Quella «organiz-zativa» nella prima parte del 2010con la separazione dal PdL del co-fondatore Fini. Quella «parlamenta-re» dal 14 dicembre scorso. Da allo-ra il governo è rimasto in piedi, reg-

gendosi sull’acquisto di parlamenta-ri e sulle crucce lanciate da Napoli-tano. Quella «dirigenziale» e «diclasse» è più recente e matura conl’aperto abbandono del governo daparte di Confindustria, Banche; econ l’ostilità del Vaticano delle clien-tele meridionali e degli stessi ammi-nistratori locali del PdL. L’ultimo epi-sodio di contrasto è il convegno diTodi del 17 ottobre in cui banchiericonfindustriali cattolici (Chiesa) di-segnano un nuovo governo. E conquesto episodio si conclude la para-bola berlusconiana.

Il crollo del sistema politico è lamanifestazione più vistosa dellosconvolgimento finanziario-econo-mico-sociale-istituzionale-statuale inatto. Le banche si arricchiscono, maal contempo si indeboliscono: spe-culando sul debito pubblico spingo-no al «default». I grandi gruppi indu-striali continuano a ridimensionarsimentre medie e piccole imprese an-naspano nella recessione. La massadi lavoratori e di giovani in cerca di

lavoro viene sempre più impoveritae pietrificata nella disoccupazione.Scende il peso politico italiano neiconfronti dei concorrenti europei(Germania, Inghilterra, Francia).Cresce a tutti i livelli la tensione so-ciale e i conflitti si trasformano inguerra civile. I circuiti istituzionali siirrigidiscono in meccanismi dispotici(o si tramutano in organismi passivi).Quindi la dissoluzione del sistemapolitico mette a nudo la crisi di pote-re in Italia; crisi che, per quanto ri-guarda la sua genesi, ha ben pocoda vedere con gli accusati «poteristranieri».

Le dimissioni di BerlusconiIl movimento delle massee la signoria dei mercati

Sui motivi, o cause, che hannoindotto Berlusconi a farsi da parte,

LARIVOLUZIONE COMUNISTARivoluzione Comunista si richiama al marxismo rivoluzionario (Marx-Lenin). Lotta per

rovesciare la borghesia; instaurare la dittatura proletaria; realizzare il comunismo.Giornale di partito - Anno XLVII - settima serie

Ottobre-Novembre 2011 - € 1,50

Il nuovo governo degli sciacalli finanziariContro la dittatura della finanza per il potere dei lavoratori

All’internoq Il nuovo governo degli sciacal-

li finanziari, pag. 1-4q La manifestazione del 15 otto-

bre a Roma, 5-7q Il Pubblico Impiego carta gra-

tis a sostegneo dei parassiti, 7q La guerra di Libia. Il conflitto

intereuropeo, 8-14q Le «Cinque Terre» nel fango, 15

Ciò che sta avvenendo sul piano politico è una svolta storica del sistemaitaliano. È l’epilogo della dissoluzione del sistema politico bipolare, berlusco-niano e ulivista (liberal-democratico). E l’inizio di un nuovo sistema presiden-zialista tecnocratico; se non peggio. Questa svolta avviene nel quadro di unatempesta economico-finanziaria mondiale e di una aperta conflittualità sta-tuale europea. Avviene cioè nel quadro di sviluppo della «crisi sistemica»,iniziata nel 2008 e ripiombata in una grave recessione; e delle rivalità inter-europee esplose irrefrenabilmente con l’aggressione franco-britannica-sta-tunitense alla Libia. E si svolge nello stato avanzato di «guerra civile» nel no-stro paese. Questa premessa di quadro è necessaria alla comprensione del-la svolta politica in corso in quanto ne condiziona ogni sviluppo futuro.

Il finale indecoroso del sistema politicodella seconda repubblica

Con questo numero il giornale di-venta bimestrale ed inizia la suasettima serie.

La Redazione

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occorre spendere qualche parola dichiarificazione. Si dà per scontatoche a sfrattare l’«inquilino» di Palaz-zo Chigi siano stati i «mercati finan-ziari» (le superbanche, i grandi inve-stitori di fondi, il Fmi, la Bce) che sol-lecitano ai governi «manovre ag-giuntive» a sostegno del debito pub-blico. Questo assunto è di comodo emistificatorio. In primo luogo perchédivinizza i «mercati», cancella la lot-ta delle masse proletarie e della gio-ventù, deresponsabilizza i poteri na-zionali. Di passaggio ricordiamo cheil «debito pubblico» è il prodotto, nondel consumo della gente, bensì dellerendite interessi e prebende diparassiti e speculatori; e che la suapercentuale sul Pil (121% sul pro-dotto interno lordo) indica il livellodello strozzinaggio bancario del po-polo. Ciò ricordato, ritorniamo sulpredetto assunto ed osserviamo insecondo luogo che esso nascondela situazione italiana. Infatti, se è ve-ro che le dimissioni di Berlusconinon sono frutto, né di uno sgambet-to dell’opposizione, né della «prima-vera arancione» dei sindaci, né delsuccesso referendario o delle mobi-litazioni per i «beni comuni»; non c’èdubbio che un forte peso è statogiuocato in queste dimissioni dal-l’ondata crescente di manifestazionidi massa (operaie, giovanili, studen-tesche) che hanno avuto il loro cul-mine nei prolungati scontri di piazzatra manifestanti e polizia il 15 ottobrea Roma. È stato il crescere dell’odioanti-governativo delle forze in movi-mento a convincere la cricca berlu-sconiana a mettersi da parte. In ognicaso la disgregata coalizione di«maggioranza» non aveva le forze

né gli appoggi per porre in atto lemisure aggiuntive richieste dallaBce e dalla Commissione europea.Per cui il passo indietro di Berlusco-ni ha la sua causa principale nellosviluppo della guerra sociale inter-na, che sta infiammando gli antago-nismi sociali; mentre la pressionedei «mercati finanziari» ha solo ac-celerato questo processo. In terzoluogo si critica il teorema dell’onni-potenza dei mercati, insito nel de-nunciato assunto, perché svisa irapporti tra finanza e Stato e la si-tuazione europea. La finanziarizza-zione del debito pubblico, esplosacol salvataggio statale del sistemabancario (2008), ha esposto gli Sta-ti indebitati alle incursioni della fi-nanza. Le banche pascolano e spe-culano sul debito pubblico e ai go-verni tocca correre per poter rinno-vare i titoli in scadenza e dilaziona-re il «default». Ma la finanza nonpuò spuntare maggiori interessi néaspirare ai ritorni senza l’opera sta-tale di riproduzione dei canali di ra-pina e strozzinaggio. Quindi nellacrisi che infuria cresce il bisognodell’una dall’altro. Infine, sulla situa-zione europea, bisogna dire chiaroe tondo che è in atto una guerra fi-nanziaria tra Germania Gran Breta-gna Francia Italia camuffata come«crisi del debito pubblico». E che èora di finirla con la farsesca auto-colpevolizzazione di «affondatoridell’euro» per adottare nuove «mi-sure di rigore». L’euro, quel che re-sterà dell’euro, è solo appannaggiodella strategia imperiale tedesca.Quindi ogni garanzia data sul debitopubblico è una cambiale accesasulle tasche dei lavoratori (1).

La seconda questione riguarda lanatura politica della nuova formazio-ne. La consorteria Monti è un gover-no extraparlamentare, scaturentedalla investitura del capo dello Sta-to, imposto «a tutti e a tutto» con la«psicosi» di salvare l’Italia dal disa-stro e il compito concreto di allinear-si ai mercati finanziari e ai precettidella Bce ed inserirsi nei giuochi dipotere Merkel-Sarkozy. Esso è ungoverno superpolitico, come è sem-pre superpolitica l’«economia con-centrata». Sul piano istituzionale il«supergoverno» combina continuitàe rottura. È continuità in quanto for-malmente si muove nei circuiti parla-mentari. È rottura in quanto emana-zione presidenziale proiettata acompiti eccezionali. Quindi la rotturaè più incisiva della continuità.

La terza questione riguarda il si-gnificato politico del cambio dellaguardia rispetto alla crisi di potere.La nuova compagine tecnocratica,costituita dall’alto per la «salvezzadel paese», segna in questa crisiuna svolta politica generale. Essa èprotesa al riassetto reazionario delquadro politico. Gli oligarchi finan-ziari del nostro paese, la grande im-prenditoria, il Vaticano, nonché gliorganismi di comando finanziarioesterni, spingono a un sistema poli-tico amministrativo senza mediazio-ni istituzionali, procedure elettive oreferendarie. Il cambio della guardia,nella sua incarnazione tecnica, se-gna quindi la fine delle vecchie «ca-ste dirigenti» e l’avvento di nuovecombriccole tecnocratiche.

Va osservato, infine, che la nuo-va «squadra professionale di gover-

2 - IL NUOVO GOVERNO LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011

Il cambio della guardia - Continuità e rotturaDomenica 13 novembre Mario

Monti, dopo la precedente nomina di«senatore a vita», riceve da Napoli-tano l’incarico di formare un «gover-no di tecnici» col compito di allinear-si alle prescrizioni della Bce e rilan-ciare il prestigio italiano nella U.E. Laprima questione politica da esamina-re, nel cambio della guardia tra le for-ze della disfatta maggioranza non-ché della decrepita opposizione e lanuova formazione governativa, è ilruolo svolto dal presidente della re-pubblica. Napolitano è stato il pro-motore il coordinatore e il varatore

della nuova formazione. In una fasedi grave crisi di potere egli ha assicu-rato la continuità governativa per farfronte allo sconquasso europeo edevitare il travolgimento del «sistemaItalia». Così agendo egli ha travalica-to i suoi poteri costituzionali, trasfor-mando di fatto la repubblica parla-mentare in repubblica presidenziale(2). Quindi il varo del nuovo esecuti-vo è un parto extrauterino, una crea-tura accelerata chiamata a prenderemisure eccezionali nel tentativo di ar-ginare la decadenza italiana nell’a-rea europea e mondiale (3).

Note(1) Il 26 ottobre a Bruges Napolitano

garantisce alla BCE la piena esecuzionedelle prescrizioni di austerità trasforman-dosi, in nome di un professato europei-smo, in garante supremo del debito pub-blico.

(2) Questo ruolo propulsivo il verticeistituzionale lo aveva manifestato nel-l’assicurare, in nome della fedeltà allaNato, il sostegno operativo italiano nel-l’attacco alla Libia rimuovendo la rilut-tanza del premier dimissionario.

(3) I liberal-democratici del Pd, cheappoggiano a babbo morto la nuova for-mazione eccezionale, si sono votati allareligione del neoliberismo quando que-sto modello è nella sua crisi totale. Lasocietà capitalistica finanziaria di deca-denza non si conforma come «società-impresa»; si riassetta in modelli statalicentralistici e autoritari.

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Il nuovo governo si presenta co-me «scelta obbligatoria», risultato di«emergenza assoluta», esito della«straordinarietà della situazione».Nel discorso di investitura (13 no-vembre) Napolitano, parlando a dife-sa della stabilità della moneta comu-ne e della costituzione europea non-ché della ripresa dell’economiamondiale, sottolinea che il governodeve unire le forze politiche nellosforzo richiesto dall’ «emergenza fi-nanziaria» (4). Monti, assunto l’inca-rico, non manca di affermare «tor-niamo ad essere una forza». E, inbreve tempo, assortisce la lista deiministri che porta al giuramento.

Il nuovo esecutivo si compone di17 membri che sono: 1) Mario Mon-ti, presidente del consiglio e ad inte-rim ministro dell’economia; 2) AnnaMaria Cancellieri, ex prefetto, agli in-terni; 3) Corrado Passera, banchiereed ex «risanatore» delle Poste, allosviluppo, infrastrutture, trasporti; 4)Gianpaolo Di Paola, generale, alladifesa; 5) Giulio Terzi di Sant’Agata,diplomatico, agli esteri; 6) ElenaFornero, docente e consulente ban-caria, al lavoro - politiche sociali -pari opportunità; 7) Enzo MoaveriMilanesi, bocconiano braccio destrodi Monti, agli affari europei; 8) PaolaSeverino, tributarista consulente di

società e banche, alla giustizia; 9)Francesco Profumo, rettore del poli-tecnico di Torino consigliere di variemultinazionali e di Telecom Italia, al-l’istruzione; 10) Renato Balduzzi, or-dinario di diritto costituzionale e con-sigliere giuridico delle politiche perla famiglia, alla salute;11) Mario Ca-tania, esperto giuridico della politicaagricola di Bruxelles, alle politicheagricole; 12) Corrado Clini, direttoregenerale del dicastero dell’ambien-te, all’ambiente; 13) Lorenzo Orna-ghi, rettore dell’università cattolica,ai beni culturali; 14) Piero Gradi, alturismo e sport; 15) Fabrizio Barca,economista finanziario, alla coesio-ne territoriale; 16) Piero Giarda, do-cente giuridico, ai rapporti col parla-mento; 17) Andrea Riccardi, fonda-tore della comunità di Sant’Egidio,all’integrazione. Sottosegretario allapresidenza: Antonio Catricalà, ga-rante della concorrenza e anti-trust(5). Il nuovo governo ha una compo-sizione «trinitaria»: finanziaria (Mon-ti, Passera, Profumo, hanno fattocarriera con Goldman Sachs, Trila-teral, Gruppo Bilderberg); burocrati-co-militare (Di Paola, Cancellieri,Clini ed altri); Vaticano (Profumo,Balduzzi, Ornaghi). Politicamente èil «governo dei banchieri»; il gover-no dell’1% della popolazione contro

il 99%, come si urla in tante piazzed’Italia e del mondo; è l’espressionedel «mondo degli affari», che pensadi fronteggiare il «disastro finanzia-rio» strangolando le masse popolaricon «dosi» crescenti di misure di ri-gore neoliberiste. Il governo dei «su-pertecnici» è quindi un governo «su-perpolitico» di reazionari.

Il 17 novembre questo governoriceve la fiducia dal Senato al com-pleto, tranne la Lega, con 281 voti su321 (6). Il 18 dalla Camera con lastessa proporzione: 567 voti su 630.E così il neopresidente del Consi-glio, osannato come l’ «ancora disalvezza nel mezzo della tempe-sta», inizia le consultazioni per lanomina dei sottosegretari. E, dopo10 giorni di intense trattative. Il 28novembre, espone l’elenco dei sot-tosegretari, designando il 18° mini-stro addetto alla funzione pubblicanel napoletano Filippo Patroni Griffi(presidente di una sezione del Con-siglio di Stato) e chiamando il tre-montiano Vittorio Grilli a viceministrodell’economia (7).

Nella lettera del 5 agosto la BCEprescriveva a Roma di adottare i se-guenti interventi: a) abbassare i costidel pubblico impiego aumentando laflessibilità e riducendo gli stipendi; b)aumentare l’età pensionabile; c) rive-dere il sistema di contrattazione con-sentendo accordi a livello di impresae norme sul licenziamento; d) sposta-re il peso fiscale dal lavoro ai consu-mi e alla proprietà immobiliare; e) ac-celerare la liberalizzazione dei servizipubblici e di quelli professionali. L’8novembre, prima che apparisse la«legge di stabilità» (promulgata l’11)con cui il governo uscente ha emana-to una serie di misure di austerità aesecuzione delle prescrizioni dellaBCE, la «Commissione europea» haincalzato il governo italiano, invitan-dolo con un documento articolato in39 domande a stringere i tempi ope-rativi per l’adozione delle misure pre-

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011 IL NUOVO GOVERNO - 3

no», centralizzando la politica sullalinea di rigore, spinge a cambiamen-ti strutturali della costituzione. Spin-ge a spostare il fondamento costitu-zionale dal «lavoro» e dalla «rendi-ta» al «bilancio» (costituzionalizza-zione del «pareggio di bilancio»); le-galizzando lo strozzinaggio finanzia-rio permanente contro le masse po-

polari. La ritirata, ben calcolata, del-la cricca berlusconiana e il conse-guente cambio della gerarchia adopera della consorteria Monti apro-no dunque una fase di transizioneverso una macchina governativa piùoligarchica e dispotica; e segnano,sotto questo profilo, il passaggio alla«Terza Repubblica».

La composizione e i compiti immediatidel nuovo esecutivo supertecnico

Sotto la regia del capo dello Stato il governo Berlusconi passa la manoalla consorteria bancaria-prefettizia-vaticana di Mario Monti.Il nuovo esecutivo «superpolitico» di tecnici delegato ad inasprire il dis-sanguamento delle masse a sostegno della finanza e a rilanciare gli inte-ressi dei gruppi italiani nei confronti dei rivali europei.La «crisi sistemica» entrata in una nuova recessione e la «logica di poten-za» che anima gli Stati europei scatenano lo «sciacallaggio finanziario» ela conflittualità infraeuropea, travolgendo euro e UE.Abbasso il governo delle misure eccezionali contro lavoratrici e lavorato-ri a sostegno di strozzini e poteri forti. L’euro affonda non per il debitopubblico italiano bensì per la conflittualità acuita tra potenze europee.Insorgere contro la «nuova macchina» di potere. Esigere la cancellazionedel debito pubblico. Abbattere la dittatura finanziaria e instaurare la dit-tatura del proletariato.

(4) Berlusconi non intralcia i passi diMonti anche se butta la battuta «stac-cheremo la spina quando vogliamo».

(5) Il nuovo esecutivo, sul piano del-la composizione territoriale, risulta com-posto da 9 settentrionali (Monti, Passe-ra, Terzi di Sant’Agata, Fornero, Profu-mo, Balduzzi, Ornaghi, Gnudi, Giarda); 6laziali (Cancellieri, Catania, Clini, Barca,Moavero Milanesi, Riccardi); 2 napoleta-ni (Di Paola, Severino).

(6) La Finocchiaro e Quagliarello (Pde PdL) si baciano sulle guance.

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Il neopresidente del consigliopreannuncia che entro lunedì 5 di-cembre verrà varato un pacchetto di«drammatiche» misure allo scopo dicalmare i mercati finanziari e acqui-stare credibilità. La «mistica» sul sal-vataggio è tutta una messa in scenaper portare il «sangue dei poveri» almulino delle banche. Come insegnain modo agghiacciante il dissangua-mento della Grecia da parte dellebanche franco-tedesche i «vincoli dirigore» imposti ai paesi indebitati e daquesti praticati (vincoli che vengonoaggravati in continuazione in un cre-scendo di follia) sono il meccanismoche serve ad alimentare lo strozzinag-gio finanziario contro questi paesi. Ri-badiamo il crollo dell’euro e la disgre-gazione economica e politica dell’«Unione Europea» non dipendonodall’entità del debito sovrano; sonol’effetto della guerra finanziaria inte-

reuropea. Negli ultimi mesi masse no-tevoli di capitali e di oro si spostanodall’eurozona in altri paesi ritenuti piùsicuri scontando il franamento dell’eu-ro e il rifiuto degli Stati meno espostifinanziariamente (Germania, Austria,Olanda, Finlandia) di sostenerlo. Eogni gruppo finanziario cerca di ruba-re le «scarpe» al proprio concorrente.

Il governo Monti si è posto sullascia tracciata dalla BCE e da Bruxel-les. Epperciò agita lo «schock deldebito» per poter procedere più spe-ditamente nell’opera di «macelleriasociale». Ma il busillis è proprio que-sto: qualunque mannaia si usi controdipendenti pubblici, operai, pensio-nati, proletari e autonomi il fallimen-to del «sistema Italia» è solo que-stione di tempo. E il disastro può evi-tarlo soltanto la guerra di classe deilavoratori diretta ad «espropriare gliespropriatori».

re la dittatura finanziaria del capitalee instaurare il potere proletario.

- Accelerare i collegamenti e lacooperazione tra le avanguardie e iraggruppamenti rivoluzionari delvecchio continente per condurre in-sieme questa battaglia.

- Esigere il salario minimo garanti-to di 1.250 euro mensili intassabili perdisoccupati cassintegrati sottopagatipensionati con assegni inferiori perassicurare l’esistenza dei lavoratori eostacolare la differenziazione al ri-basso tra uomini e donne settentrio-nali e meridionali locali ed immigrati.

- Rovesciare il carico fiscale sui ric-chi esigendo l’abolizione dell’Irpef sulsalario fino a 20.000 euro l’anno netti,dell’IVA sui generi di largo consumo edell’accise sulla benzina a favore di la-voratori e disoccupati; nonché la can-cellazione del debito pubblico.

- Contrastare la privatizzazione elo smantellamento dei servizi; in par-ticolare di istruzione - sanità - acqua- trasporti; esigendone la gratuità edattuando il controllo proletario sullerispettive strutture mediante la for-mazione di appositi organismi diquartiere e/o di zona.

- Promuovere lo sviluppo dell’or-ganizzazione autonoma operaia, delsindacato di classe, del partito rivo-luzionario; potenziando tutti i metodidi lotta per affrontare il potere dellaschiavizzazione militarizzata.

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(7) Questi i nomi dei nuovi tecnici oltrea Grilli: 1-2) Vieri Ceriani e Gianfranco Po-lillo, burocrati fiscali ed economici, all’eco-nomia; 3-4) Claudio De Vincenti, docente dieconomia; Massimo Vari; allo sviluppo; 5-6-7) Carlo De Stefano, direttore polizia pre-venzione; Saverio Ruperto, professore didiritto; Giovanni Ferrara, procuratore capodi Roma; agli interni; 8-9) Michel Martone,brunettiano; Cecilia Guerra; al Welfare co-me vice-Ministro e segretaria; 10-11) Gian-luigi Magri e Filippo Milone ex sottosegreta-rio e segretario di La Russa, alla Difesa; 12-13) Salvatore Mazzamuto, ex consiglieregiuridico di Alfano; e Andrea Zoppini, do-cente giuridico, alla Giustizia; 14-15) MartaDassù e Staffan de Mistura, consiglieri dilungo corso nel settore, agli Esteri; 16-17)Elena Ugolini, preside al Malpighi di Bolo-gna; e Marco Rossi Doria, all’Istruzione;18) Adelfio Elio Cardinale, preside facoltàmedicina di Palermo, alla Sanità; 19) Fran-cesco Braga, professore alla cattolica, allepolitiche agricole e forestali; 20) Tullio Fa-nelli, all’ambiente; 21) Roberto Cecchi, aiBeni culturali; 22-23) Mario Ciaccia, ban-chiere; e Guido Improta, alle Infrastrutture etrasporti; 24-25) Giampaolo D’Andrea eAntonio Malaschini, ai rapporti col Parla-mento; 26) Carlo Malinconico, presidenteFieg, all’Editoria; 27) Paolo Peluffo, consu-lente per il 150° anniversario U.I., alla Co-municazione e all’informazione.

scritte. In soldoni Bruxelles sollecitaRoma: a ridurre il debito pubblico; acomprimere ulteriormente i dipen-denti pubblici; a individualizzare gliaccordi di lavoro e a liceizzare il licen-ziamento; a irrigidire i criteri per lepensioni di anzianità, ad elevare sin

dal 2012 l’età pensionabile delle don-ne a 65 anni; a spostare la nuova tas-sazione sulle imposte indirette e sulmattone; ad accelerare le privatizza-zioni «su larga scala». Il governoMonti è quindi chiamato a esaudireprima di tutto queste sollecitazioni.

Le «drammatiche» misure preannunciate da Monti non salva-no né l’euro né l’affidabilità italiana; distruggono l’esistenzadi decine di milioni di lavoratori impoveriti e di pensionati

Opporre alla dittatura della finanzala dittatura del proletariato

Tutte le manifestazioni di piazza(giovanili, operaie, studentesche),che hanno preso vita dal 14 novem-bre, si sono espresse invariabilmen-te da Palermo a Torino contro il «go-verno dei banchieri». La massa deimanifestanti ha ben capito che i«tecnocrati» del nuovo esecutivoagitano il «disastro nazionale» al fi-ne programmato di proteggere lebanche attraverso l’impoverimentodelle classi popolari. È un buon au-spicio e occorre che questa consa-pevolezza si traduca in movimentodi classe e in azione rivoluzionaria.In quanti manifestano contro il «go-verno dei banchieri» è però moltodiffuso un grosso pregiudizio: la con-vinzione che l’unica alternativa alladittatura della finanza sia l’appelloalla democrazia. Bisogna andare al-la radice del problema. La dittaturafinanziaria non è l’imperio dei «mer-

cati finanziari»; è il dominio dell’oli-garchia finanziaria, dei «superric-chi»; di cui i governi attuali, di qua-lunque colore si fregino, sono stru-menti operativi. Quindi per scalzarela dittatura finanziaria del capitalenon solo bisogna attaccare i governigli Stati le oligarchie dominanti, mabisogna perseguire una prospettivaautonoma di potere; battersi cioè perla dittatura del proletariato.

Spieghiamo meglio quest’ultimaconsiderazione articolando, a con-clusione, le indicazioni operative.

- Lotta permanente contro il nuo-vo governo di schiavizzatori, distrut-tori di esistenze operaie, acceleratoridi «default» e di conflitti intereuropei.

- Trasformare la guerra sociale inguerra rivoluzionaria.

- Ricomporre l’unità di organizza-zione movimento lotta del proletaria-to italiano ed europeo per combatte-

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La manifestazione, che si svolge alivello nazionale, è stata promossa dal«coordinamento 15 ottobre» e si ispi-ra ai motivi che nella stessa giornatavengono agitati in centinaia e centi-naia di città del mondo (1). I motivi sicompendiano nel rifiuto dello «strozzi-naggio finanziario» e nella richiesta diuna «democrazia pulita» contro l’affa-rismo corrotto del personale politico digoverno e di opposizione.

Nella capitale affluiscono decine edecine di migliaia di giovani e giova-nissimi, da ogni parte d’Italia; di don-ne, di lavoratori, di studenti e ricerca-tori, di disoccupati e pensionati, di im-migrati. Alle 14.30 P.za della Repub-blica, punto di concentramento delcorteo, è gremita di manifestanti (sin-goli o in gruppo); di formazioni centrisociali comitati territoriali; di antagoni-

sti radicali, autonomi, pacifisti; di gio-vani a viso coperto e di giovani avvol-ti nel tricolore (2). Nella piazza si ritro-vano, accomunate dalla volontà diprotestare contro il governo le ban-che lo Stato, forze sociali e politichealquanto differenti e tra di loro conflit-tuali. Il concentramento è già impo-nente quando continua ancora l’af-flusso dei nuovi arrivati. Si parla di200.000-300.000 manifestanti.

La piazza è uno spaccato delmalcontento sociale e delle divisionipolitiche. La massa dei manifestantiè mossa al suo interno da orienta-menti eterogenei e non può espri-mere che gli umori e i comportamen-ti propri di ogni spezzone o compo-nente. Il corteo non può quindi averealcuna unità di movimento né tantomeno una pratica comune.

zione della zona rossa, temendo chel’ala antagonista del corteo prendes-se questa direzione, sbarrava tutti gliaccessi ai manifestanti per costrin-gerli a seguire la testa del corteo indirezione del Colosseo e di P.za SanGiovanni. Quindi il percorso previstoè un tragitto obbligato contro ognipossibile «deviazione».

Ma, come sempre avviene quan-do entrano in campo forze incontrol-labili, gli schemi saltano. Appena ilcorteo si muove iniziano i primi dissi-di e scontri interni tra manifestantimascherati che intendono compiereazioni di forza e manifestanti contra-ri. In via Cavour gruppi di giovanirompono le vetrine di alcuni negozi edi qualche banca e danno fuoco adalcune auto parcheggiate. I manife-stanti contrari lanciano epiteti offen-

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011 LA MANIFESTAZIONE DI ROMA - 5

La manifestazione del 15 ottobre a Romauno spaccato del malcontento e delle divisioni sociali

Il militarismo poliziesco trincera il «Centro» e a Piazza San Giovanni subisceil contrattacco della gioventù arrabbiata.Chi si indigna contro le banche e le cricche parlamentari, ma non si batte perrovesciare il regime borghese, lustra le scarpe al capitalismo tossico.Ricomporre l’unità del proletariato italiano europeo mondiale. Accelerare ilcollegamento e la cooperazione tra tutte le organizzazioni marxiste.

Un fiume di manifestanti invade Roma dal Sud e dal Nord

Il corteo si spacca nel punto di confluenzain direzione della «zona rossa»

Il percorso del corteo concordatodal coordinamento col questore ave-va per tragitto via Cavour - Fori Im-periali - Labicana - P.za San Giovan-ni. E doveva passare a debita di-stanza dalla cosiddetta «zona ros-sa»; cioè da Comune - Palazzo Chi-gi - Presidenza della Repubblica -Banca d’Italia (Palazzi del potere).Si sapeva che su questo tragitto nonc’era accordo tra le maggiori forzepartecipanti. L’area «democraticapacifista» mirava a condurre la ma-nifestazione in modo festoso e a ter-minarla con un comizio finale a P.zaSan Giovanni per offrire una spondaanti-berlusconiana al «Pd» e com-pari. L’area «antagonista radicale»mirava invece a canalizzare la prote-sta verso la zona rossa e a manife-stare contro i «Palazzi del potere». Il

questore, che aveva collocato ilgrosso delle forze di polizia a prote-

(1) Il 15 ottobre è una giornata di mo-bilitazione mondiale in quanto si sonosvolte o sono in svolgimento in circa 800città di 80 Stati manifestazioni control’indebitamento finanziario e le politichedi rigore da parte di disoccupati lavorato-ri indignati della «debit generation».

(2) Partecipano alla manifestazione igruppi anarco-insurrezionalisti; i colletti-vi napoletani di «Insurgencia» e i «Di-soccupati organizzati»; una frazione deicentri sociali romani, fiorentini, genove-si, milanesi; il movimento «Uniti per l’Al-ternativa» (di Landini e Casarini) checerca di captare gli «indignati»; l’USB e iCobas; più tanti altri gruppi e soggettivi-tà di orientamento marxista.

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La spaccatura del corteo se èesplosa con le cariche della polizianon è dipesa da queste cariche ben-sì dalla contrapposizione tra antago-nisti e pacifisti. Non è che mancas-sero i servizi d’ordine. Ogni spezzo-ne aveva il suo servizio d’ordine, chespesso è intervenuto per scacciare igiovani mascherati. Ma dietro ognispezzone - più o meno organizzato -si interpongono migliaia di manife-stanti senza alcun legame con quel-li che li precedono e li seguono. Uncorteo come questo del 15 ottobrenon poteva avere, per la sua etero-geneità e ampiezza, alcun proprioservizio d’ordine; e i servizi d’ordinedelle componenti organizzate nonhanno potuto attuare alcun coordi-

namento. Quindi la forza complessi-va dell’antagonismo, e in particolarela sua radicalità, non poteva esserecontrollata dall’interno; e peraltro lecariche della polizia hanno agito damoltiplicatore.

Per ciò che è avvenuto nessunopuò fustigare i giovani, che hannorotto vetrine bruciato cassonetti ovetture lungo il percorso del corteo(anche se queste azioni non sonopropedeutiche al processo rivoluzio-nario), in quanto espressioni di rivol-ta incontrollabile. Vanno per conver-so biasimati e condannati proprioquei manifestanti che hanno rampo-gnato questi giovani al grido «vergo-gna vergogna», applaudendo poi al-le cariche della polizia (4).

identificare i ricoverati. Ed ha avvia-to il setaccio attraverso schedari eimmagini di «antagonisti» presenti eassenti. Passiamo ora a valutare ilsignificato degli avvenimenti.

Considerazioni conclusive

Possiamo trarre, nell’immediato,le seguenti considerazioni operativee insegnamenti.

1°) La manifestazione, risultato disvariate iniziative mobilitative, è perla sua ampiezza varietà estensioneterritoriale uno spaccato del malcon-tento sociale. È, altresì, nella suacomponente «radicale» un indice disviluppo della guerra sociale controla guerra statale totale, in particolare

6 - LA MANIFESTAZIONE DI ROMA LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011

sivi contro di loro e invocano l’inter-vento della polizia che procede ai pri-mi arresti (3). Quando il corteo giun-ge in Largo Corrado Ricci l’ala anta-gonista cerca di forzare gli sbarra-menti di polizia per tentare di rag-giungere la «zona istituzionale». Tut-te le vie laterali sono sbarrate e la zo-na si rivela impenetrabile. La polizia

carica e spinge i manifestanti a se-guire il corteo di testa per P.za SanGiovanni. Il corteo si spacca e sifrantuma in tanti pezzi. In via Labica-na un troncone di decine di migliaiadi manifestanti si dirige al Circo Mas-simo e poi a San Lorenzo. Quindi acirca metà del tragitto cambia l’as-setto e la composizione del corteo.

Un corteo così vasto ed eterogeneonon può darsi alcun servizio d’ordine

La battaglia di P.za San Giovanni

Alle 16.30 comincia la fase più in-tensa e più dura di scontri. La partedel corteo che giunge in P.za SanGiovanni viene attaccata da poliziotticarabinieri finanzieri. Le forze dell’or-dine caricano e indietreggiano a re-plica pressando i manifestanti controgli edifici. I manifestanti reagisconoalle cariche e contrattaccano coi cu-betti del selciato (5). Un blindato deicarabinieri che ritarda a indietreggia-re viene accerchiato e incendiato. Idue militari che lo occupano vengo-no fatti uscire e mandati via.

Dopo l’incendio del blindato leforze dell’ordine impiegano gli idran-ti ed effettuano spaventosi caroselliin mezzo alla folla dei manifestanti.È tutta la piazza che insorge e cheha il sopravvento sulle forze dell’or-dine. Alla battaglia partecipa non so-lo l’antagonismo radicale ma la gio-ventù rivoltosa italiana presente ingran numero (6). La calma torna inpiazza alle 18.30; mentre gli scontrisi prolungano in via Merulana perspegnersi alla Stazione Termini.

Terminiamo la cronaca della ma-nifestazione col bilancio degli scon-tri. Si contano più di 100 feriti ricove-rati in ospedali, di cui una trentinaagenti. Ci sono circa 20 fermati, ingran parte meridionali. La polizia haimposto ai «pronto soccorso» di

(3) Il primo assalto a una strutturacommerciale scatta alle 14.35 allorquan-do una cinquantina di giovani fa irruzio-ne nel supermercato «Elite» rifornendosidi viveri. Alle 16.15 gruppi mascherati diassaltatori fanno irruzione all’Agenziadelle Entrate e al Ministero della Difesa;nonché alla chiesa dei santi Marcellino ePietro.

(4) Ancora più biasimevole e stigma-tizzabile la reazione di quel manifestan-te anziano che prende a calci un ragaz-zo che in via Labicana ha assaltato l’a-genzia interinale «Manpower»; e la cac-ciata dal corteo di quei ragazzi che nellastessa via hanno messo i piedi in unaedicola di oggetti sacri.

(5) Nel contesto degli scontri un au-tocarro dei Cobas invita «i ragazzetti coicaschi a farla finita» e per dare l’esempio200 manifestanti sfilano a mani alzate.

(6) Dalla scritta «Acab», impressa suautomezzi e muri, che è la sigla delloslogan «tutti gli sbirri sono bastardi», sideduce la presenza degli «ultras» dellecurve.

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contro le ultime misure banditescheprese dal governo a protezione dellebanche. È, ancora, per il livello discontro che ha dimostrato l’episodiopolitico più importante del 2011 (edella giornata sul piano internazio-nale).

2°) I giovani e giovanissimi «an-tagonisti», che si sono concentrati aRoma, e non solo loro, sono consa-pevoli non solo di «non aver futuro»(acquisizione questa raggiunta agliinizia degli anni novanta) bensì diavere un futuro di «schiavizzazionemilitarizzata». Essi interpretano l’an-tagonismo come lotta, combattimen-to, scontro armato; e pensano giu-stamente che senza raggiungerequesto livello l’azione pratica nonpuò avere alcuna incidenza sui rap-porti sociali. Per cui manifestarecontro la dittatura finanziaria ha sen-so solo se si colpiscono le banche, ilpotere, l’apparato di violenza stata-le; e la loro legalità.

3°) Il corteo è collassato perchéera un miscuglio di opinioni e di pra-tiche eterogenee e, per gli aspetti so-stanziali, contrapposte. Se esso nonha tenuto non ha tenuto perché laguerra tra le classi ha eliminato ognipossibilità di conciliazione; e perchéla pratica dello scontro e delle azioniviolente dissolve ogni ambivalenza.

4°) La battaglia di P.za San Gio-vanni è l’episodio perora più grandedi guerra di classe. Esso ha messo anudo il dato di fatto che, nella com-plessità delle relazioni e dei rapportisociali, i campi sono due: o si sta colproletariato, o si sta con la borghe-sia. E che le vie «intermedie» o «al-ternative» sono maschere del siste-ma esistente.

5°) Alla spaccatura di vetrine, in-cendi di vetture, scontri con le forzedell’ordine, hanno cooperato mi-gliaia di manifestanti. Gli «incapuc-ciati», i giovanissimi vogliono unaprospettiva visibile altrimenti sfa-sciano tutto. Il potere ha paura dellenuove generazioni, paura che il lorospirito di rivolta si traduca in violenzarivoluzionaria e ne minacci le basieconomiche e politiche (7).

6°) In conclusione il 15 ottobreromano non è un preludio di rivolu-zione; è un momento elevato diguerra di classe nei confronti del go-verno e dello Stato, nonché di guer-ra civile nei confronti delle compo-nenti pacifiste e legalitarie del movi-

mento. Esso innalza dunque l’asti-cella del livello di organizzazione po-litica e del contenuto del programmarivoluzionario che bisogna appronta-re in questa fase.

Fuori i manifestanti fermati e ar-restati!

Solidarietà ai manifestanti feriti!Vigilanza contro lo scatenamento

repressivo!Abbasso i delatori!

(7) La polizia aveva un quadro ag-giornato delle varie formazioni antagoni-ste che sarebbero arrivate a Roma, manon aveva adeguate cognizioni sul movi-mento dei giovanissimi. Ora cercherà dicolmare la «sorpresa» con un avvita-mento del controllo repressivo.

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011 LA MANIFESTAZIONE DI ROMA - 7

Il Pubblico Impiego è la carta di credito gratuita che ogni governousa per sostenere banche, parassiti, finanzieri.Non farsi triturare nell’impossibile illusione del «salvare il salvabile».Alla guerra statale quotidiana bisogna contrapporre la guerra socia-le. Estendere l’organizzazione permanente, autonoma, di classe.Sviluppare il partito rivoluzionario per attaccare il potere della finan-za e costruire il potere dei lavoratori.

[Riportiamo il volantino elaborato dal nostro nucleo e diffuso tra i dipendenti delComune di Milano].

Gli ultimi provvedimenti governativi, il cosiddetto Decreto Sviluppo, dà un ulte-riore colpo alle condizioni dei lavoratori del Pubblico Impiego. Questi si possonosintetizzare nei seguenti punti che vanno a sommarsi con i provvedimenti che sonostati presi nelle finanziarie degli anni precedenti.

1) blocco di tutti i contratti fino al 2015; 2) congelamento per due anni della liqui-dazione, senza calcolo di interessi; 3) obbligo di dismissione/privatizzazione di tuttii servizi escluso vigilanza e anagrafe; 4) inserimento della «mobilità» cioè cassaintegrazione, mobilità, licenziamento; 5) eliminazione, con varie scuse, di tutti i pre-cari con conseguente aumento delle cooperative che operano nei vari settori, inprevalenza nidi e materne, con salari da fame e orari impossibili; 6) innalzamentodell’età pensionabile: per le donne che dall’oggi al domani hanno visto alzare l’etàa 65 anni e per tutti la «finestra mobile» che costringe a lavorare un anno in piùsenza nessun beneficio.

Questo riguarda tutto il Pubblico Impiego. Per i dipendenti del Comune diMilano c’è di più. Tutte le risorse che verranno rastrellate dovranno essere desti-nate alla realizzazione dell’Expo 2015 ed i primi ad essere spennati saranno i lavo-ratori del Comune. Proprio quei dipendenti che hanno appoggiato e sostenuto lacandidatura di Giuliano Pisapia a sindaco, illudendosi che non sarebbe stato l’en-nesimo servo della finanza e della rendita meneghina.

Ma c’è di più. Il nuovo Governo - e non importa chi sarà il Presidente del Consiglio- chiamato a salvare l’Italia cioè a salvare banche, speculatori, affaristi e finanzieriuserà ancora il Pubblico Impiego come carta di credito gratuita, visto che - fino ad ora- questi lavoratori non hanno creato nessun problema e si sono lasciati spremere edespropriare come un panetto di burro facile da tagliare e manipolare.

Ora non c’è più nemmeno la scappatoia dell’approdo alla pensione che in tuttiquesti anni ha illuso e polverizzato i lavoratori. Infatti l’obiettivo primario dei futurigoverni è mettere le mani sulle pensioni, riducendo l’assegno mensile ed eliminan-do quelle di anzianità.

Con queste premesse non ci può essere spazio per nessun tipo di illusione.Anche la democrazia formale che fino ad oggi ha riempito la bocca di troppi grilliparlanti è definitivamente finita poiché tutto deve essere destinato al sostegno dellafinanza, che ormai ha instaurato la propria dittatura. E non bisogna neppure cade-re nella trappola del sostegno alla «nazione» che è l’anticamera dello scannamen-to tra proletari locali e di Stati diversi.

L’unica soluzione è la creazione di una organizzazione autonoma di classe percontrapporre al potere dei parassiti della finanza la forza di organismi collettivi dilavoratori e la lotta per obiettivi egualitari: forti aumenti alle retribuzioni tabellari inmisura non inferiore a 300,00 euro netti al mese; riduzione delle categorie a due;mantenimento dell’intera retribuzione anche in caso di malattia, messa a disposi-zione o mobilità; assunzione di tutti i precari; potenziamento degli organici; pensio-ne uguale a salario e stipendio dopo 35 anni di servizio.

Contro la guerra statale quotidiana ci vuole la guerra sociale, che colleghi ogniprotesta, agitazione, rivolta, locale o settoriale, in una prospettiva di classe, oppo-sta a quella del potere borghese marcio e corrotto. Ci vuole la forza di organizzar-si politicamente, in modo permanente, in un partito rivoluzionario, che difenda gliinteressi delle lavoratrici e dei lavoratori e attacchi quelli degli sfruttatori, degli affa-risti e degli speculatori, per costruire il potere di chi lavora e non di chi sfrutta.

Milano, 08/11/2011Il nucleo comunali

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Il 15 febbraio 2011 degli “studen-ti islamici” proclamano, all’universi-tà di Bengasi, il “movimento di libe-razione”. Il 17, anniversario dellaprecedente rivolta detta “anti-italia-na” del 2006 (vedi R.C. n. 1/2006),essi danno vita a manifestazionicontro il governo. Vengono attacca-te sedi istituzionali e la rivolta siestende ad altre città della Cirenai-ca: Derna, roccaforte dei gruppiislamici avversari di Gheddafi, To-bruk, Al Beyda. Gli insorti riesconoad impadronirsi di caserme e depo-siti di armi.

Bengasi è la seconda città dellaLibia, di cui è il centro industriale epetrolifero, ma è molto più poveradella governativa Tripoli, arricchitadalla presenza delle istituzioni e del-le famiglie del potere gheddafiano.La città è la culla delle confraternite

islamiche, che un secolo fa espres-sero la resistenza al colonialismoitaliano e – dopo la sconfitta dell’Ita-lia durante la II guerra mondiale – co-stituirono la base della monarchiasenussita, asservita all’imperialismobritannico e americano (1951-1969).A Bengasi e nella Cirenaica, di cui èil capoluogo, vi è sempre stata unaopposizione al regime di Gheddafi,ispirata dal fondamentalismo islami-co e duramente repressa. Nel 2006,questa opposizione si è unita al mal-contento sociale di una parte dellagioventù locale, senza lavoro o im-miserita, dando vita alla breve e vio-lenta “rivolta anti-italiana”. I moti diBengasi avevano suonato fin da al-lora il campanello di allarme dell’a-cuimento dei conflitti sociali in Libiae della progressiva crisi del regimegheddafiano.

pressione della zona costiera dellaCirenaica, situata all’est, e di Misu-rata, importante città portuale.

Tuttavia, la presenza di alcuniex fedelissimi del “Rais” alla testadegli insorti rivela la crisi del regi-me, così profonda da trasformarsiin guerra civile aperta. Proprio losviluppo della guerra civile releghe-rà in secondo piano le ragioni so-ciali della rivolta di Bengasi, sovra-state ed assorbite dalla lotta per ilpotere tra le fazioni della classe do-minante e dai legami tra queste fa-zioni e le potenze imperialistiche,interessate a mantenere il propriopredominio sulla Libia (Italia), adacquisirlo (Francia) o riconquistarlo(Gran Bretagna, Stati Uniti).

3. Francia e Gran Bretagnasostengono ed organizzano

la rivolta

Appena scoppiata la rivolta diBengasi, inizia una campagna distampa a livello mondiale contro “glieccidi commessi dal regime contro ilproprio popolo e per la democraziain Libia”. I tenori politici di questacampagna sono i governi francese ebritannico, mentre la rete televisivadel Qatar, Al Jazeera, ingigantisce larepressione gheddafista, riferendoanche fatti inesistenti che vengonopoi ripresi a livello planetario. In que-sto clima, il 24 febbraio, la fregata in-glese Cumberland attracca nel portodi Bengasi dopo che la città è passa-ta in mano agli insorti, per sbarcarviconsiglieri militari e squadre di com-mandos. Contemporaneamente lediplomazie francese e britannica bri-gano per far approvare dal Consigliodi Sicurezza delle Nazioni Unite unarisoluzione di condanna del regimelibico.

Il 26 febbraio viene così approva-ta la Risoluzione 1970, con cui ilConsiglio di Sicurezza dispone l’em-bargo delle forniture di armi alla Li-bia, il congelamento degli enormidepositi e investimenti libici nellebanche estere, il divieto di viaggiareper i membri della famiglia Ghedda-

8 - LA GUERRA DI LIBIA LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011

La guerra di LibiaIl conflitto intereuropeo e la possibile spartizione del paese

La guerra civile libica, iniziata il 17 febbraio 2011 con la rivolta di Benga-si, si è momentaneamente conclusa con la cattura e l’esecuzione di Moam-mar Gheddafi, avvenuta il 20 ottobre a Sirte, sua città natale ed ultimo ba-stione di resistenza. La guerra civile si è intrecciata con la feroce aggressio-ne aeronavale decisa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, iniziata dallaFrancia e dalla Gran Bretagna il 19 marzo 2011 con l’appoggio americano eproseguita fino al 31 ottobre sotto l’egida della NATO, che ha devastato ilpaese e portato al rovesciamento del regime. Si apre ora la fase della pos-sibile spartizione imperialistica della Libia, che insanguinerà il paese. In que-sto articolo ripercorriamo le fasi ed i nodi cruciali della crisi.

1. La rivolta di Bengasi e della Cirenaica

2. La spaccatura del regime di fronte alla rivolta

Inviato immediatamente a Ben-gasi per reprimere la rivolta, il gene-rale Abdel Al Fatah Younis, ministrodell’interno e capo delle forze spe-ciali, si unisce agli insorti. Pochi gior-ni dopo viene raggiunto dal ministrodella giustizia Mustafa Abdel Al Jalile dal presidente dell’Ufficio per loSviluppo Economico Nazionale,Mahmud Jibril. Il 20 febbraio, il ge-nerale Ahmed Qatrani, passato dal-la parte degli insorti, guida un batta-glione all’assalto della caserma diBengasi: lo scontro è sanguinoso efa decine di morti. Anche a Tobrukun altro generale decide di schierar-si con i rivoltosi, ma buona parte del-

la sua brigata non lo segue ed ab-bandona la caserma. Altrettanto av-viene in diverse basi militari a Misu-rata, Al Khums, Tarunah, Zelten,Zawya, Zuara ed in basi aeree vicinea Bengasi e Tobruk. I ribelli dispon-gono così di armi, di alcuni aerei dacaccia e di elicotteri. Pur essendocolto impreparato e diviso di frontealla rivolta, il regime si riorganizzaper reprimerla. Gheddafi controllaancora il grosso dell’esercito e delleforze di polizia (circa 45.000 uomini)e tiene saldamente in pugno la Tri-politania, Sirte, il Fezzan: l’ovest, ilcentro e il sud dell’immenso paese,da cui prepara la riconquista e la re-

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Lo smaccato attivismo politico emilitare della Francia e della GranBretagna è facilitato dal relativo in-debolimento dell’imperialismo italia-no nel quadro europeo e dall’assen-za del governo di Roma nel Consi-glio di Sicurezza. L’Italia, infatti, èstata fino al 2011 la potenza impe-rialistica predominante in Libia, conle sue banche e grandi imprese econ la pletora di piccole e medieaziende operanti a Tripoli. Al con-tempo, i governi italiani hanno con-sentito al regime di Gheddafi di par-tecipare al capitale azionario dei piùimportanti gruppi industriali (Fin-meccanica) e bancari (Unicredit) e,più recentemente, di compartecipa-re agli accordi petroliferi ed energe-tici tra ENI e la russa Gazprom. Asua volta, grazie alla cauzione italia-na, la Libia ha potuto uscire, dal2001 in avanti, dalla condizione di“Stato canaglia” decretata negli anniottanta dall’imperialismo USA conl’accordo anglo-francese, per parte-cipare con i propri ingenti proventi

petroliferi alla finanza occidentale eper sviluppare un’intensa attività di-plomatica e di aiuti economici neiconfronti degli Stati dell’Africa sub-sahariana.

Come noto, il ruolo comprimariodella Libia sotto l’ala di Roma è sta-to sancito dal “Trattato di amicizia,partnerariato e cooperazione” solen-nemente stipulato nell’agosto 2008dal governo Berlusconi con Moam-mar Gheddafi. Proprio l’apertura delregime libico e la crescente compe-netrazione dei capitali e delle risorsepetrolifere libici con i “mercati mon-diali” hanno attizzato gli appetiti deiconcorrenti francesi ed inglesi delleimprese e banche italiane. Non vainoltre sottovalutata l’ostilità del go-verno di Parigi per la penetrazionedell’Italia, tramite l’alleato libico, nel-l’Africa sub-sahariana, che l’imperia-lismo francese considera come pro-pria storica zona di influenza (vedil’intervento armato in Costa d’Avorionell’aprile 2011) e difende controogni potenza concorrente (Stati Uni-

ti, Cina, Italia, Germania, ecc.).È dunque nei crescenti conflitti

tra le potenze europee, segnata-mente nel contrasto tra Italia e Fran-cia per il predominio mediterraneo, enell’indebolimento italiano nel qua-dro europeo nel corso del 2010-2011, che è maturata la condizioneper l’aggressione imperialistica allaLibia, chiave di volta della guerra ci-vile iniziata in quel paese. Peraltro,l’accordo tra Francia e Gran Breta-gna contro Gheddafi è puramentetattico: gli “umanitari” Sarkozy e Ca-meron hanno bisogno l’uno dell’altroin sede di Consiglio di Sicurezza,ma entrambi puntano a fare la partedel leone sul corpo della futura Libia“democratica”.

5. L’impotenza degli insortie la controffensiva

di Gheddafi

Le prime quattro settimane suc-cessive all’insurrezione di Bengasisono decisive per gli sviluppi dellaguerra civile interna e dell’interventomilitare esterno. Gli insorti danno vi-ta il 24 febbraio al Consiglio Nazio-nale di Transizione, composto di 31membri, di molti dei quali non vienerivelato il nome. Il CNT dovrebberappresentare le diverse città insortecontro il regime. Da esso dipendonoil Consiglio Militare, composto da 15alti ufficiali e capeggiato dal genera-le Younis, ed il Governo Provvisorioguidato da Mahmoud Jibril. Il 6 mar-zo, per prima, la Francia riconosce ilCNT come solo rappresentante le-gittimo della Libia.

Il CNT lancia un’offensiva milita-re sulla zona costiera, puntando daest verso ovest, per impadronirsi pri-ma di tutto dei terminali petroliferi edelle raffinerie di Brega, Zawya eRas Lanouf e proseguire poi versoTripoli. E tenta di suscitare, in tuttele città, la rivolta contro il regime.Appare evidente che, sul piano mili-tare, le forze ribelli sono sostenuteda “consiglieri” francesi, inglesi,olandesi; ma la loro impreparazioneè tale da consentire alle forze fedelial “rais” Gheddafi di lanciare controf-fensive che minacciano la stessaBengasi. Al contempo la fiducia ripo-sta dal CNT nelle potenze stranierepriva gli insorti di Bengasi della ca-pacità politica di suscitare la rivolta

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011 LA GUERRA DI LIBIA - 9

Tipoli devastata dai bombardamenti NATO

fi. I governi francese e britannico,forti di questo primo successo, nonhanno timore di proclamare la pro-pria decisione di rovesciare il regimedi Gheddafi per sostituirlo con cric-che di potere più docili verso i lorointeressi in Libia, in concorrenza conquelli dell’imperialismo italiano, sto-rico sostegno del colonnello. Parigi

e Londra, in barba all’embargo da lo-ro stessi richiesto, armano gli insortie li organizzano militarmente. I leali-sti, dal canto loro, contano sullegrandi riserve di armi e sistemi d’ar-ma recentemente acquistati (nel so-lo 2009 la Libia avrebbe importatoarmi per oltre 400 milioni di Euro, dicui circa il 25% dall’Italia).

4. Il conflitto tra le potenze europeesi trasferisce in terra libica

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A metà marzo 2011, mentre letruppe di Gheddafi – riconquistataAydabiya – si avvicinano a Bengasi,la Francia e la Gran Bretagna otten-gono con l’appoggio americano il va-ro della Risoluzione n. 1973 delConsiglio di Sicurezza, approvata ilgiorno 17 con 10 voti favorevoli(Francia, Gran Bretagna, USA, Bo-snia, Gabon, Nigeria, Sud Africa,Portogallo, Colombia, Libano) e 5astensioni (Rissia, Cina, Germania,Brasile, India).

Il punto 1 della Risoluzione 1973“Esige un cessate il fuoco immedia-to e la cessazione delle violenze e ditutti gli attacchi e minacce contro lapopolazione civile”. Il punto 3 chiedealle autorità libiche il rispetto del di-ritto internazionale umanitario. Ilpunto 4 è il seguente: “Protezione ci-vile – Autorizza gli Stati Membri cheabbiano notificato al Segretario Ge-nerale un avviso a tale fine ed agi-scano a titolo nazionale o nel quadrodi organismi o patti regionali e in co-operazione con il Segretario Gene-rale, a prendere tutte le misure ne-cessarie per proteggere le popola-zioni e le zone civili minacciate daattacchi nella Jamahiriya araba libi-ca, ivi compresa Bengasi, pur esclu-dendo il dispiegamento di una forzadi occupazione straniera sotto qual-siasi forma e su qualsiasi parte delterritorio libico....”. Il successivo pun-to 6 recita: “Zona di esclusione ae-rea – Decide di vietare tutti i voli al-l’interno dello spazio aereo della Ja-mahiriya araba libica allo scopo diaiutare a proteggere i civili”. Il punto8 “Autorizza gli Stati membri, cheagiscano a titolo nazionale o nelquadro di organismi o accordi regio-nali, a prendere all’occorrenza tuttele misure necessarie per far rispetta-re il divieto dei voli imposto al para-grafo 6 e fare in modo che dei veli-voli non possano essere utilizzatiper gli attacchi aerei contro la popo-lazione civile”.

La “autorizzazione agli Stati

Membri a prendere tutte le misurenecessarie” è concessa “in virtù delCapitolo VII della Carta delle Nazio-ni Unite”: ciò significa che la Libiapotrà essere attaccata da aerei enavi da guerra di qualsiasi altro Sta-to, escluso per ora l’invio di truppedi terra. La Risoluzione prevedeinoltre il rafforzamento dell’embargosulle armi verso la Libia, che saràsempre regolarmente violato da tut-ti gli Stati imperialisti a favore degliinsorti e che lo stesso Gheddafi su-pererà, importando armi pagate incontanti; ribadisce il blocco delle ri-sorse finanziarie libiche (stimate in200 miliardi di dollari) depositate oinvestite all’estero, che i governiamericani ed europei attuano imme-diatamente; conferma il divieto diviaggi esteri per i membri della fami-glia Gheddafi.

La Libia, Stato sovrano e mem-bro dell’ONU, della Lega Araba edell’Unione Africana, viene così ri-dotta a preda da aggredire militar-mente ed espropriare economica-mente nelle mani delle potenze im-perialistiche. Il pretesto utilizzato edelevato a dogma del nuovo diritto in-ternazionale della spoliazione degliStati sovrani da parte delle potenzeimperialistiche è “il dovere di prote-zione delle popolazioni civili dai go-verni che non rispettano i diritti del-l’uomo”, sviluppo etico del più rozzo“diritto di ingerenza umanitaria”, cheservì negli anni ‘90 del secolo scorsoa giustificare prima l’intervento ame-ricano ed italiano in Somalia, poi laprima guerra dell’Iraq e quindi l’ag-gressione/spartizione della ex Ju-goslavia.

In questo sviluppo etico del dirittodi sopraffazione imperialistico è con-tenuto, come corollario, il potere de-gli Stati, che si accollano il “doveredi proteggere le popolazioni civili”, dirovesciare i governi contro i quali in-tervengono: principio che il Consi-glio di Sicurezza non proclamaespressamente nella Risoluzione,

ma che il bulletto Sarkozy ed il suopseudofilosofo di servizio Bernard-Henry Levy urlano a gran voce. In-somma, a distanza di un secolo, lagiustificazione del colonialismo im-perialista come “fardello dell’uomobianco” riemerge nelle vesti del “far-dello dell’uomo democratico” co-stretto a “esportare la buona piantadei diritti dell’uomo”.

7. L’operazione“Odissey Dawn”

L’inchiostro sulle firme in calcealla Risoluzione 1973 non si è anco-ra asciugato che il poderoso disposi-tivo aeronavale appostato da tempodavanti alle coste libiche da Francia,Gran Bretagna e Stati Uniti scatenal’operazione “Odissey Dawn” o“Odissea dell’Alba”. La Francia mo-bilita più di 100 cacciabombardieri,di cui 20 lanciano per primi l’attaccoalle forze di Gheddafi il 19 marzo, ol-tre a una squadra navale con la por-taerei De Gaulle e una nave portae-licotteri. La Gran Bretagna muove isommergibili nucleari, armati di mis-sili di crociera, le fregate dalla basenavale di Akrotiri, a Cipro, le squa-driglie dei Tornado che partono daGioia del Colle. Parigi e Londra pre-tendono di avere il comando dell’o-perazione.

Gli USA, che non intendono la-sciare troppo spazio alla Francia inAfrica, assumono il coordinamentodell’operazione, forti delle portaerei,portaelicotteri, incrociatori e navidella Sesta Flotta; e trasferiscononel Mediterraneo 3 bombardieri B-2,terrificanti fortezze volanti che deva-stano il porto di Misurata, mentre lesquadriglie di caccia F-15 e F-16 distanza a Sigonella compiono centi-naia di missioni sulla Libia. In soli 2giorni, la flotta USA lancia 124 missi-li da crociera “Tomahawk” per porta-re il terrore tra le forze gheddafisteed eliminare le difese anti-aeree.

Dietro alle tre potenze imperiali-ste sta la muta affamata degli Statiche aspirano a partecipare al ban-chetto del petrolio e della ricostru-zione della futura “Libia democrati-ca”. Belgio, Spagna, Paesi Bassi,Norvegia, Danimarca entrano a farparte della “coalizione dei volontero-si amici del popolo libico”, ciascunocon qualche nave ed aereo. Il Qatar,

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popolare a Tripoli e in altre città. So-lo Misurata si solleva e si libera dal-le forze gheddafiste, che per mesi laterranno sotto assedio. L’impotenzadel CNT e la tenuta politico-militare

del regime precipitano i tempi del-l’aggressione imperialista contro laLibia: della seconda “guerra di Libia”esattamente 100 anni dopo l’impre-sa coloniale sabauda.

6. La risoluzione 1973/2011del Consiglio di Sicurezza ONU

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Il governo Berlusconi, posto difronte all’accelerazione della crisi li-bica ed al via libera dato dal Consi-glio di Sicurezza all’aggressionecontro uno Stato alleato e clientedell’Italia, prende una posizione ap-parentemente incerta e pilatesca.L’Italia, assente dal Consiglio di Si-curezza, è in posizione di nettosvantaggio politico rispetto a Franciae Gran Bretagna. Deve prendere at-to dell’impossibilità di impedire l’ag-gressione contro il regime alleato edella necessità di non farsi estromet-tere dalla Libia, ove l’ENI ha le sueriserve strategiche di greggio e digas. In questa situazione, Berlusco-ni butta nel dimenticatoio il “trattatodi amicizia”, che impone di non pre-stare le proprie basi per attacchicontro l’alleato libico, mettendole in-vece a disposizione degli aggressori(lo stesso fa la Grecia). L’Italia di-chiara di non voler partecipare aibombardamenti sulla Libia, maschiera 4 Tornado ECR specializza-ti nell’accecamento dei radar avver-sari e dispone immediatamente nelMediterraneo la flotta. Quindi, pochigiorni dopo l’inizio dell’aggressione,il ministro degli esteri Frattini ricono-sce il CNT di Bengasi come rappre-sentante legittimo del popolo libicoed il suo collega della difesa, LaRussa, dichiara che “il trattato italo-libico è sospeso” (?!).

Nel frattempo il governo lavora disponda sul terreno diplomaticoper contenere l’espansionismofrancese e togliere a Parigi eLondra il comando della “coali-zione dei volonterosi” per affi-darlo alla NATO. L’Italia contasu diversi fattori, quali: la con-correnza e contrarietà degli USAnei confronti dell’attivismo fran-cese in Africa; la prevedibile in-crinatura della momentanea al-leanza tra Francia e Gran Breta-gna; la freddezza della Germa-nia sulla “guerra libica”, che in-debolirebbe troppo l’Italia neiconfronti della Francia, manife-

stata da Berlino con l’astensione sul-la Risoluzione 1973 e con il rifiuto dischierare navi e aerei contro la Li-bia; gli interessi comuni dell’Italia edella Russia in campo energetico,che accrescono l’avversione di Mo-sca contro l’impresa anglo-franceseche toglie spazio agli affari di Gaz-prom in e con la Libia; l’aspirazionedella Turchia a svolgere il ruolo dipotenza mediterranea e del mondoislamico.

Facendo leva su questi fattori esull’indispensabile utilizzo, da partedegli aggressori, delle basi militariitaliane (non a caso solo la Franciaed il Qatar decidono di non avvaler-sene, facendo partire le missioni deipropri caccia dalle basi francesi diIstres e Solenzara), l’Italia proponeimmediatamente dopo l’inizio dellaguerra che la NATO coordini le ope-razioni contro la Libia. La Francia fafuoco e fiamme per impedirlo, madal 31 marzo sarà appunto la NATOa coordinare dal comando di Napolile operazioni aeronavali, nel quadrodella cosiddetta “Operazione Protet-tore Unificato” (Unified Protector) di-retta dal generale canadese Bou-chard. Acquisito questo risultato,Berlusconi annuncia il 25 aprile Fe-sta della Liberazione – con il totaleappoggio di Napolitano – che anchel’Italia parteciperà ai bombardamen-ti contro la Libia.

L’imperialismo italiano decide co-sì ufficialmente di prendere totalepartito per il CNT di Bengasi, pur dimantenere le proprie posizioni in Li-bia. L’Italia partecipa, con un ruoloimportante, alle riunioni periodiche(svolte a Londra, Roma, Doha eIstanbul) dei 32 Stati che, riuniti nel“Gruppo di contatto”, sostengonol’aggressione militare alla Libia: in-fatti, la tutela degli interessi di ognipotenza si misura ormai con il metrodella presenza militare a fianco del-la fazione avversaria di Gheddafi. Afine maggio 2011, il ministro degliesteri Frattini atterra a Bengasi in vi-sita al CNT, per ottenere garanzieper gli interessi italiani nel paese. Inluglio, prima della riunione del“Gruppo di contatto” ad Istanbul an-nuncia lo stanziamento di 250 milio-ni di Euro in contanti e di altri 100 mi-lioni in prodotti petroliferi a favoredel CNT (è il maggior contributo alCNT da parte di un membro del“Gruppo di contatto”).

Tuttavia il governo gioca anchequalche carta a favore di Gheddafi,la cui resistenza sul terreno è forte eben organizzata. Il 22 giugno l’impa-reggiabile Frattini chiede “una pausanelle operazioni e un cessate il fuo-co in Libia per creare corridori uma-nitari” (il che presuppone l’invio ditruppe per il peacekeeping, fiore al-l’occhiello dell’interventismo militareitaliano). La proposta italiana vieneimmediatamente rifiutata dal segre-tario generale della NATO, Rasmus-sen, che invita a intensificare le ope-razioni aeronavali anti Gheddafi; maè un indizio dell’esistenza di canalineppure troppo nascosti tra Berlu-sconi e il “rais” (che la stampa fran-cese renderà poi noti).

9. La “contabilità dellamorte”: i numeri di“Unified Protector”

La guerra di Libia è duratadal 19 marzo al 31 ottobre, datain cui la NATO ha terminato l’o-perazione “Unified Protector”.Sul proprio sito web, l’AlleanzaAtlantica ha dichiarato di avereffettuato tra il 31 marzo ed il 23ottobre 2011 26.233 missioniaeree, schierando oltre 260 veli-voli: una media di 100 missioniper aereo. Le missioni di bom-

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primo Stato arabo a mobilitarsi, met-te a disposizione, oltre a 6 aerei, al-cune centinaia di consiglieri militarispediti a Bengasi e soprattutto lapropaganda della rete televisiva Al

Jazeera. Questa piccola monarchiadel Golfo, arricchita dalla rendita delpetrolio e del gas, aspira a diventareil mezzadro arabo delle potenze im-perialiste in terra di Libia.

8. L’imperialismo italiano trema e trama

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bardamento sarebbero state 9.658,con 6.000 obbiettivi colpiti, tra cui400 batterie di cannoni e missili, 600carri armati e blindati, 400 centri dicomando e comunicazione dell’e-sercito libico (dati aggiornati al 30settembre). I velivoli sono stati forni-ti da Belgio, Canada, Danimarca,Francia, Grecia, Italia, Norvegia,Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna,Stati Uniti e Turchia; nonché da Sve-zia, Emirati Arabi Uniti, Giordania,Qatar, stati esterni all’Alleanza.Quanto all’embargo marittimo vihanno partecipato 12 navi fornite daBelgio, Bulgaria, Canada, Francia,Grecia, Italia, Paesi Bassi, RegnoUnito, Romania, Stati Uniti, Turchia.Sarebbero state intercettate 3.124navi, di cui 296 abbordate e 11 al-lontanate dalle coste libiche.

La NATO dichiara di aver opera-to secondo le Risoluzioni 1970 e1973 del Consiglio di Sicurezza per“proteggere la popolazione civilesotto attacco o minacciata di attac-co, scegliendo con estrema cura eprecisione gli obbiettivi allo scopo dinon far danno al popolo libico e allesue infrastrutture”. La vigliacca ipo-crisia di queste dichiarazioni emergea prima vista, non appena si con-frontano i numeri ufficiali delle mis-sioni di bombardamento. Come det-to, sui 6.000 obbiettivi colpiti solo1.400 sono propriamente militari(batterie, blindati, centri di coman-do): dunque, a parte le migliaia dimorti e feriti tra le truppe di Ghedda-fi, ce ne sono altre migliaia tra la po-polazione civile, deliberatamentecolpita nel corso di bombardamentiterrorizzanti, compiuti da caccia su-permoderni mandati - sapendo dinon incontrare alcuna difesa – a de-vastare case, uffici, acquedotti, cen-trali elettriche, strade, porti, aeropor-ti, ecc.

In Libia, insomma, è stata appli-cata la tecnica imperialistica del ter-rore e della devastazione dal cieloattuata negli anni novanta dalla NA-TO contro la Serbia e sviluppata daIsraele nel 2006 contro il Libano enel 2009 a Gaza, allo scopo di pie-gare qualsiasi resistenza della popo-lazione di fronte all’aggressione. Nelcaso libico, questa tecnica avevauno scopo ulteriore: creare il merca-to della ricostruzione a vantaggio deivolonterosi amici portatori dei dirittiumani in Libia. Esso rende l’operadi devastazione e morte ancora piùtruce.

L’operazione di protezione delpopolo libico ha avuto un costoenorme. Sul proprio sito, il 23 mar-zo 2011, il quotidiano francese LeMonde calcolava in 11.000 Euro al-l’ora il costo delle missioni dei cac-cia Mirage (13.000 Euro per il piùmoderno Rafale), oltre la spesa peril carburante. Se si contano 26.000missioni degli aerei NATO, con unamedia di 2 ore di volo, si ha un co-sto di 1.232.000.000 di Euro, oltre ilcarburante ed il costo delle bombenecessarie a colpire 6.000 obbietti-vi. Le cosiddette bombe intelligenticostano, secondo Le Monde, 300-350.000 Euro l’una; i missili Toma-hawk costano 650.000 dollari ca-dauno e ne sarebbero stati usatiben 700 (pari a 445.000.000 di dol-lari). Bisogna poi aggiungere lespese per le flotte schierate nel Me-diterraneo, per i soldati mobilitati,ecc. Comunque, per gli Stati ag-gressori non si tratta di spese, madi investimenti, il cui costo dovreb-be essere ripagato con gli interessidall’utilizzatore finale, il governodella nuova Libia democratica, ed ègarantito dai capitali libici congelatinelle banche degli stessi Stati ag-gressori.

Gheddafi ed i suoi accoliti, puravendo partecipato attivamente nel-l’ultimo decennio al mercato finan-ziario mondiale ed al mantenimentodell’ordine imperialistico come con-trollori dei migranti africani, non ave-vano mai abbandonato la loro origi-ne nazionalista, che aveva dato allaLibia, piccolo Stato stretto tra i gi-ganti dell’Africa mediterranea (Egittoe Algeria), il controllo della propria ri-sorsa petrolifera e consentito di rein-vestirne la rendita ed i proventi fi-nanziari all’interno del paese. Buonaparte della popolazione della Tripoli-tania, della Sirte e del Fezzan, perquesta ragione, ha sostenuto il regi-me durante i lunghi mesi dell’ag-gressione dal cielo e dell’embargodal mare.

Il nazionalismo gheddafiano si ècontrapposto al comportamento ser-vile e sostanzialmente antinaziona-le tenuto dagli insorti di Bengasi neiconfronti degli aggressori imperiali-sti, in specie francesi e americani;profittando anche delle forti divisioniall’interno del fronte ribelle, emerseclamorosamente in occasione dell’e-secuzione del comandante militare,generale Younis, il 28 luglio.

Per queste ragioni, le truppe diGheddafi hanno potuto prendere l’i-niziativa militare tra fine febbraio emarzo, prima del varo della Risolu-zione 1973. E, nei mesi successivifino a luglio, i reparti del “rais”, puressendo privi di copertura aerea edovendo rinunciare ad utilizzare car-ri e blindati fulminati dagli aerei NA-TO, non si sono mai sbandati. Anzi,hanno adeguato la loro tattica ope-rativa per resistere ai bombarda-menti e contrattaccare le offensivedegli insorti lungo la strada costiera.I comandanti lealisti sono passati al-l’utilizzo di convogli leggeri e veloci,dimostrando la capacità di sorpren-dere le colonne avanzanti degli av-versari, di mischiarsi ad esse perneutralizzare l’azione dei caccia del-la NATO, di preparare fulminee of-fensive o ritirate ordinate attorno aAydabiya, Brega, Ras Lanouf.

La fine del gheddafismo si deli-nea nel mese di luglio, quando letruppe del “rais” non riescono adespugnare Misurata a est di Tripoli edevono abbandonare il Djebel Na-fussa ed il suo capoluogo Zintan, re-gione montuosa a sud-ovest dellacapitale, abitata da popolazioni be-

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10. La resistenza del regime di Gheddafie gli sviluppi della guerra civile

Le forze fedeli a Gheddafi hannoresistito per lungo tempo contro ilsoverchiante dispositivo degli ag-gressori, in modo non previsto daglistrateghi imperialisti: non previsto,ma tuttavia prevedibile se solo sifossero tenute in debito conto la sto-ria e la politica e non il mero rappor-to di forza militare.

Il regime ha infatti dimostrato

un’immediata capacità di reagire al-la rivolta di Bengasi e alla fratturacreatasi nelle proprie file, organiz-zando le truppe rimaste in maggiorparte fedeli per reprimere sul nasce-re i focolai di rivolta in Tripolitania enella Sirte, salvo la resistenza di Mi-surata insorta; e soprattutto alzandola bandiera dell’indipendenza nazio-nale contro i nuovi colonialisti.

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duine e collegata con il confine tuni-sino, che passa sotto il loro control-lo. Nel successivo e decisivo mesedi agosto sono proprio le “katiba”(brigate) di Misurata e di Zintan adattaccare e prendere Tripoli. La ca-pitale si arrende il 21 agosto a que-ste fazioni, non agli insorti della Ci-renaica, che non sono mai riusciti aminacciarla e rinunciano a portarvila sede del CNT.

Tuttavia, neppure la caduta diTripoli porta Gheddafi alla resa. Lesue truppe riescono a tenere per ol-tre un mese il grande quadrilaterodesertico al centro nord del paese,tra Bani Walid a nord ovest e Sirte a

nord est e Sebha e Waw al Kebir asud. In ottobre, si concentrano a Sir-te per l’ultima battaglia, che durasvariati giorni fino alla cattura e alladrammatica esecuzione del “rais”,avvenuta il giorno 20.

Bisogna sottolineare che le trup-pe lealiste hanno combattuto fino al-l’ultimo. Il loro comportamento con-ferma il carattere radicale della guer-ra civile svoltasi nel 2011 in Libia; emette a nudo l’estrema debolezzapolitica e militare degli insorti di Ben-gasi, che senza la crescente, sel-vaggia ferocia dei raids aerei dei lo-ro interessati alleati imperialisti nonavrebbero avuto ragione del regime.

nente africano e per mettere al ser-vizio della popolazione libica unesercito di lavoratori stranieri, più omeno qualificati, impiegati nei servi-zi pubblici (ospedali, scuole), negliuffici e nelle poche fabbriche, nell’e-dilizia, in campagna e nelle case.

Questa forza-lavoro, immigratada Egitto Tunisia Ciad e altri Statidell’Africa, ha superato il milione emezzo di persone, quasi 1/3 dell’in-tera popolazione della “Jamahirya”,in ciò ripetendo lo sviluppo delle“monarchie petrolifere” del Golfo.Gran parte di questi lavoratori stra-nieri, come già avvenne durante laprima guerra dell’Irak nel Golfo ara-bico, ha dovuto fuggire dalla Libia infiamme, priva di mezzi, di risparmi edella stessa possibilità di ritornare inpatria.

La duttile rete del potere ghedda-fista avrebbe potuto resistere alla la-cerazione della rivolta di Bengasi ereprimere l’insurrezione della Cire-naica, se questa non fosse stata so-stenuta dalla Francia, dalla GranBretagna e dagli Stati Uniti; d’altraparte la lunga resistenza del ghed-dafismo all’aggressione imperialisti-ca ha comprovato la solidità dei rap-porti tra gli apparati del vecchio po-tere ed i gruppi tribali che lo soste-nevano.

Ora, proprio l’intervento stranieroa sostegno degli insorti della Cire-naica ha messo in risalto non solo larelativa debolezza di questi ultimi difronte al gheddafismo, ma anche laloro assoluta necessità di continuaread avvalersi del sostegno estero percontrollare il paese e reprimere gliavversari: il che accrescerà le divi-sioni, gli odi, i conflitti non solo tra gliattuali vincitori e gli sconfitti, ma trale diverse fazioni del campo vittorio-so, provenienti da Bengasi, Derna,Misurata e Zintan, le cui milizie sonotuttora armate e si fronteggiano aTripoli, conquistata ma non pacifica-ta, e perfino a Bengasi.

Su queste divisioni, vere e pro-prie faglie, fanno leva gli stessi “Ami-ci della Nuova Libia”, ciascuno deiquali è impegnato a ritagliarsi la fet-ta più grossa del bottino petrolifero edella ricostruzione, riducendo oescludendo quella degli altri, ed aquesto scopo sostiene l’una o l’altrafazione del CNT.

Il fatto che la Libia sia di nuovouna preda per le potenze imperiali-

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11. Verso la spartizione della Libia?

La caduta di Tripoli e l’esecuzio-ne di Gheddafi hanno chiuso l’epo-ca del nazionalismo libico ed aper-to una fase di estrema incertezzaper il paese, che si svolge in unquadro di guerra civile interna, dicrisi sociale e politica di tutti gli Sta-ti del Nord-Africa, di conflitti inte-reuropei e tra le potenze imperiali-stiche. In questo quadro il piccoloStato libico può andare incontro aduna spartizione/sparizione.

Il terreno di coltura della possibi-le spartizione della Libia è la guerracivile, che non è terminata con la fi-ne del gheddafismo, anzi proseguee si aggrava con i conflitti tra le fa-zioni in campo e all’interno di esse,in un paese devastato, impoverito,percorso da bande armate rivali.

Il nazionalismo gheddafiano, conla sua “Jamahiriya” o “Stato dellemasse”, era riuscito a creare un ap-parato capace di controllare il pae-se, scontando l’esistenza delle co-siddette “tribù” presenti in Libia, coni loro legami familiari, economici, so-ciali, territoriali. Attraverso la rete dei“comitati rivoluzionari” locali regio-nali e centrali, il gheddafismo avevareclutato in ogni città e regione ele-menti provenienti da ciascuno deigruppi tribali, coinvolgendoli nellagestione del potere statale, a livellolocale e governativo. Al contempo,aveva selezionato un’elite militare,per lo più tratta dalla tribù della fami-glia del “rais” (i Khaddafa) e da quel-le alleate (i Magariha e i Warfalla),provenienti dal centro e dal sud delpaese, cui garantiva notevoli van-

taggi economici e sociali. La combinazione tra apparato

politico-burocratico e struttura milita-re ha garantito per decenni la stabi-lità del regime, consentendogli di su-perare le periodiche crisi interne (so-stituendo i maggiorenti e i militari av-versari della famiglia Gheddafi conelementi provenienti da altri gruppitribali), di controllare il paese e diisolare/reprimere gli oppositori, eli-minati imprigionati o esiliati.

Questa struttura, che univa lamassima centralizzazione del poterenelle mani del “rais” e della sua fami-glia con l’articolazione dell’apparatopolitico-burocratico, ha gestito la ri-partizione e l’investimento della ren-dita petrolifera nelle diverse regionidel paese, seppure favorendo alcu-ne regioni e città a danno di altre(Tripolitania versus Cirenaica; Tripo-li versus Bengasi; Sirte versus Misu-rata).

Tuttavia, i conflitti interni veniva-no superati perchè la rendita ha, percosì dire, irrigato tutto il paese, mu-tando le condizioni di esistenza nonsolo delle famiglie possidenti, ma digran parte della popolazione libica:basta pensare al colossale investi-mento con cui è stata costruita la re-te degli acquedotti che trasportal’acqua dai laghi sotterranei del Sa-hara alle assetate città della costa;ai finanziamenti concessi dallo Statoalle famiglie; alla politica abitativa;ecc...

La rendita petrolifera e finanzia-ria è stata utilizzata anche per ac-quisire influenza politica nel conti-

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stiche e che i suoi nuovi dirigenti sia-no servi dei predatori si è manifesta-to in modo simbolico e terrificantenegli avvenimenti di settembre edottobre.

Il primo settembre 2011, proprionel 42° anniversario della rivoluzio-ne nazionale libica, si è tenuta a Pa-rigi, sotto la presidenza di Sarkozy,la “Conferenza per il sostegno dellanuova Libia”. Vi hanno partecipato i32 Stati aderenti al “Gruppo di con-tatto” e, per il CNT, Mustafa AbdelJalil e Mahmud Jibril, oltre a Russiae Cina (fino ad allora ostili all’inter-vento militare sotto comando NA-TO).

I partecipanti hanno deciso cheal termine delle ostilità il “Gruppo diContatto” si debba trasformare in“Gruppo di Amici della Nuova Libia”;ed hanno dato il loro consenso allosblocco, in favore del CNT, di unapiccola parte dei beni libici congelatinelle banche occidentali.

Finita la rappresentazione dell’u-nità dei protettori del popolo libico, il15 settembre il duetto Sarkozy-Ca-meron è atterrato a Tripoli, per tra-sferirsi immediatamente a Bengasi,sede del CNT, che li ha accolti datrionfatori e liberatori. Pochi giorniprima, tuttavia, lo stesso CNT e Sar-kozy avevano dovuto smentire la no-tizia che il 35% del petrolio libico fos-se riservato alla Francia, indice rive-latore degli appetiti transalpini che

sono esattamente pari a quelli italia-ni sotto il regime di Gheddafi.

A sua volta l’Italia, che non inten-de assolutamente farsi scalzare dalduetto franco-britannico, ha speditoa Bengasi, a fine settembre, il mini-stro Frattini, forte del fatto che ENI eGazprom avevano annunciato la ri-presa operativa delle proprie attivitànel paese fin dal 29 agosto. L’Italiafarà di tutto per mantenere la so-stanza del “Trattato di cooperazio-ne” tra i due Stati, che suggella il suopredominio sulla Libia. Malgradol’appoggio francese, il CNT – forte-mente diviso al proprio interno - nonpuò travolgere il Trattato firmato daGheddafi e Berlusconi, che prevedela costruzione della grande autostra-da costiera, indispensabile per ilpaese africano e per la stessa pre-senza italiana in Libia, e che con-sente alla Libia di partecipare al ca-pitale dei grandi gruppi italiani.

Il 20 ottobre, il disperato tentativodi Gheddafi di uscire dalla sacca diSirte è stato bloccato dai caccia del-la NATO, che hanno individuato ecolpito il convoglio del “rais”. Pocheore dopo, Gheddafi è stato catturatoe ferocemente ucciso. Le immaginidella sua brutale esecuzione sonostate diffuse in tutto il mondo, ma ilCNT ha deciso di seppellire, senzafunerali, il cadavere del leader na-zionalista in un luogo segreto nel de-serto, perchè nessuno possa più

rendergli omaggio. L’oltraggio maramaldesco ha ri-

velato, se ve ne fosse stato bisogno,la paura del CNT nei confronti delnazionalismo gheddafiano, di cui sivuole cancellare perfino il ricordo.Ma così facendo, il CNT ha anche di-mostrato ai propri protettori umanita-ri di essere pronto a seppellire la po-sizione di relativa autonomia acqui-sita dalla Libia con la politica diGheddafi nel quadro mediterraneoed africano.

Appare evidente che, nella fasedi crisi sistemica del sistema capita-listico, la Libia, ridotta a preda con-tesa da diversi Stati imperialisti, divi-sa tra fazioni localiste e non nazio-naliste, non potrà più ricavare dalpetrolio e dal gas e dagli investimen-ti finanziari le rendite assicurate finoal 2010 dal gheddafismo; e dovràpagare a carissimo prezzo le “operedella ricostruzione” commesse alleimprese degli Stati protettori-preda-tori. Inoltre il paese subirà gli effettidella corsa all’arricchimento di indi-vidui e gruppi saliti al potere e dispo-sti a qualsiasi mercato pur di restar-ci.

Vi saranno quindi conseguenzemolto gravi sulle condizioni generalidi vita della popolazione, già colpitadalle devastazioni della guerra; siacuiranno i conflitti sociali interni;aumenteranno le divisioni e le inimi-cizie tra le fazioni giunte al potere,che alimentano la guerra civile.

Si vanno così creando i presup-posti, interni ed internazionali, per laspartizione del paese, tra la Cirenai-ca ad est e la Tripolitania all’ovest; eper il possibile intervento militare di-retto dei vari Stati protettori delle fa-zioni in lotta.

Ed anche se la Nuova Libia so-pravviverà come Stato formalmenteunitario, essa resterà uno dei terre-ni dello scontro senza quartiere tra igiganti europei del petrolio e del gase tra i colossi bancari del vecchiocontinente; e ciascuna potenza, Ita-lia e Francia per prime, manovreràper rafforzare ed armare le fazionidei propri clienti libici contro quelleconcorrenti.

Spartizione e addirittura sparizio-ne di Stati esistenti, intervento mili-tare diretto delle grandi e medie po-tenze e degli Stati regionali, sonoaspetti ormai tipici dell’imperialismodi decadenza, come insegna la sto-

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Lo sbarco di profughi libici

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In dieci giorni. tra il 25 ottobre e il 4 novembre 2011, la Liguria è stata scon-volta da due alluvioni: la prima nelle Cinque Terre e nella vicina Lunigiana,la seconda a Genova. Nel capoluogo, a causa dell’esondazione del torrenteFereggiano «incamiciato» nel suo percorso cittadino, vi sono 6 vittime e tut-to il quartiere di Marassi è stato devastato.La «ripetitività distruttiva» delle alluvioni è la conseguenza della devastazio-ne del territorio e dell’urbanizzazione nell’epoca del dominio del capitaleparassitario-immobiliare, di cui la Liguria è stata la «terra promessa».

La data del 25 ottobre, che evoca la più grande rivoluzione proletaria del20° secolo quella russa del 1917, è per la gente del Levante Ligure e dellaLunigiana il giorno di un incubo incancellabile, fatto di fango e distruzione. In24 ore di pioggia l’area collassa, dall’interno collinare verso le coste, trasfor-mandosi in una marea di fango e frane. La «rotta» parte dai fiumi «Magra»e «Vara», che esondano e rovesciano acqua detriti e fango verso il mare.«Brugnato» nell’entroterra in «Val di Vara» viene invaso dalle acque limac-ciose. Non c’è il tempo di scappare; la gente si salva salendo sui tetti e su-gli alberi. «Aulla» nella Lunigiana (Toscana) viene invasa e devastata dalleacque e fango del «Magra». Registra due morti.

Tutti i paesi e borghi delle «Cin-que Terre», da «Borghetto Vara» a«Monterosso» «Vernazza» «Levan-to» sulla costa, vengono travolti dalfango e dai detriti. La gente si salvacome può salendo sui piani alti dellecase o sui tetti. Non ci sono vie diaccesso praticabili per i soccorsi. Gliunici mezzi sono i gommoni dal ma-re (che, peraltro, è molto agitato).

Tutte le strade provinciali sono inter-rotte. L’autostrada A-12 è bloccatada Sestri Levante a Sarzana. L’A-15(Parma - La Spezia) è allagata dal«Magra». La linea ferroviaria Geno-va - La Spezia è interrotta tra Monte-rosso e Corniglia. La ricognizioneaerea rileva distruzioni dappertutto.Manca l’acqua, la luce, il gas. Sicontano via via otto morti (tutti casi

strazianti). Ed inizia lo sfollamentodella popolazione verso alloggia-menti d’emergenza. Le «CinqueTerre», famose per il turismo d’élite,si trovano di colpo sommerse da unacoltre di fango.

Quello che colpisce, nubifragiodopo nubifragio esondazione dopoesondazione disastro dopo disastro,è la velocità di scorrimento, l’irruen-za delle acque, che trascina con sée trasforma in fango tutto ciò che tro-va nel suo percorso. Questo effettodevastante dell’irruenza delle acquenon dipende, come sembra, dall’in-tensità delle piogge, bensì dalla ce-mentificazione folle dei suoli, dall’e-dificazione su tutto (zone franose,pendii, alvei di corsi d’acqua; zonedissestate o sismiche, ecc.). I suolisono oggetto di lucro da parte di unaimprenditoria famelica e senza scru-poli, coperta da amministrazioni co-munali conniventi. Così più si co-struisce più aumentano le dimensio-ni dei disastri. Dagli anni ottanta losviluppo dell’industria turistica nelle«Cinque Terre», che ha portato be-nessere economico alla media e pic-cola borghesia, ha consumato suolisenza alcuna tutela del territorio. Il«parco delle Cinque Terre», idoleg-giato dai politicanti locali come mo-dello di «tutela ambientale e affari»,si è rivelato ancora prima del disa-stro per quello che era: un piano dispeculazione sul territorio. Quindi al-la base del fango, che ha seppellitole «Cinque Terre» (e che i giornalihanno chiamato «apocalisse» pernasconderne le responsabilità), c’èla collusione affaristica imprenditoriaedilizia e istituzioni locali.

Le «bombe d’acqua» nonsono i fattori del disastro,acutizzano problemi noti

Il nubifragio, che si è scatenatosull’area «spezina» e sull’area set-tentrionale toscana, ha avuto unaforte intensità. L’Osservatorio diPontremoli ha registrato nella gior-

LA RIVOLUZIONE COMUNISTA Ottobre-Novembre 2011 LE «CINQUE TERRE» NEL FANGO - 15

ria degli ultimi vent’anni, dalla So-malia all’Irak, dalla ex Jugoslavia al-l’Afganistan, e – in Africa – la storiarecente del Congo-Zaire.

La spartizione della Libia, tutta-via, coinvolgerebbe immediatamen-te i grandi Stati del Nord-Africa, inquanto Egitto, Tunisia ed Algerianon potrebbero rimanere assentidallo scacchiere libico, che rappre-senta una valvola di sfogo della lorosovrapopolazione relativa e un mer-cato per le loro merci e servizi.

La spartizione della Libia sareb-be poi un monito imperialistico per

tutta l’Africa, che è il forziere dellematerie prime per tutto il pianeta eche, in questa fase di crisi mondiale,vede vacillare il potere di tutte le bor-ghesie locali, scosse dalle rivolteproletarie e giovanili. In questo qua-dro, la presenza militare diretta dellepotenze europee, degli Stati Uniti edella Russia in una Libia divisa e in-debolita costituirebbe una base dicontrollo e un deterrente contro ilproletariato arabo in rivolta in tutto ilNord-Africa.

(I.)

Le «Cinque Terre» e la «Lunigiana»sommerse dal fango e dalle frane

Uno scenario di distruzioneche si ripete in modo sempre più grave e contraddistinto

dall’ «irruenza» della fanghiglia

LA GUERRA DI LIBIA(segue da pag. 14)

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nata del 25 ottobre 371 mm di piog-gia. Il pluviometro di Brugnato 540mm in 12 ore. Si tratta di piogge ec-cezionali, ma l’eccezionalità dellepiogge non può spostare la respon-sabilità dell’evento dalla «politica»alla «natura». Per queste precipita-zioni, che sono caratterizzate da«eccessi», si parla di «bombe d’ac-qua». Le «bombe d’acqua» sonoeventi naturali e prevedibili; e, aprescindere dal loro legame coimutamenti climatici di cui qui non cioccupiamo, non portano la colpadell’impatto disastroso che essehanno sui centri abitati e in genera-le sull’ambiente, in quanto questoimpatto è determinato dalla cemen-tificazione e dalla manipolazionelucrativa del territorio (cui si ac-compagnano l’abbandono dellecampagne, la mancata manuten-zione del territorio, l’azzeramentodei fondi per la prevenzione e la si-

curezza del suolo). Tutte le volte incui si costruisce e si consuma suo-lo, impedendo all’acqua che scorrein superficie di essere assorbita, siampliano le cause del disastro. Le«bombe d’acqua» non sono un’at-tenuante, sono una aggravantedella responsabilità in quanto ilcompito di una adeguata organiz-zazione sociale è quello di preveni-re i disastri. La «bomba d’acqua»non crea il disastro, acutizza il pe-ricolo della logica urbanistica di ce-mentificazione e della elevatissima«disastrosità» raggiunta. Quindi bi-sogna respingere il messaggio uffi-ciale di Napolitano che questieventi «sono le conseguenze dolo-rose che paghiamo per cambia-menti e gravi turbamenti climatici»;e denunziarlo come una coperturadelle responsabilità politiche e am-ministrative a tutti i livelli (centraliregionali locali).

«economia delle catastrofi». Larabbia deve tramutarsi in organiz-zazione stabile di lotta e in deter-minazione inflessibile di combatti-mento per spazzar via il «modellosociale».

- Formare i comitati proletaridi quartiere e di zona per il con-trollo e il risanamento dell’am-biente.

- Esigere il salario minimo ga-rantito di 1.250 euro mensili in-tassabili a favore di lavoratori ri-masti senza lavoro, disoccupati,semi-occupati, sottopagati.

- Esigere l’assegnazione dicase agibili a favore di tutti i lavo-ratori sinistrati e senzatetto.

- Combustibile luce gas telefo-no gratuiti fino al superamentodell’emergenza.

- Blocco di ogni tassa contri-buto mutuo, anche per artigiani ediretto-coltivatori.

- Attaccare giunte governatorigoverno, responsabili della di-struzione.

- Guerra sociale e rivoluziona-ria contro la macchina statale delsistema di distruzione per il pote-re proleario.

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LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE 1917 IN RUSSIA

Il 25 ottobre 1917 è l’anniversario della rivoluzione russa, il più vasto egrandioso esempio di Stato rivoluzionario. Il partito comunista russo, gui-dato da Lenin, in pieno collasso militare della Russia zarista e liberale,dà l’assalto al palazzo del governo. Caccia i liberali e i fautori dello zar. Eproclama il potere dei soviet: dei consigli degli operai, dei soldati e deicontadini. Inizia cosi la più grande esperienza storica del proletariato alpotere.

I primi due provvedimenti presi dal partito bolscevico (si chiamava così ilpartito russo) al potere sono: il ritiro dal fronte di guerra, con il proclamadella pace senza annessioni; e la concessione della terra ai contadini.Seguono settimane alacri di riorganizzazione della vita economica esociale, della famiglia, esercito, giustizia, ecc. Vengono emanate tuttauna serie di provvedimenti a tutela della donna e dell’infanzia. La scuolaviene radicalmente riorganizzata.

Lenin diceva che il grande merito del proletariato russo era quello diavere, con la rivoluzione, spezzato l’anello debole del sistema imperiali-stico mondiale e che la Russia arretrata aveva bisogno, per poter realiz-zare il contenuto del programma comunista, della solidarietà e dell’ap-poggio del proletariato avanzato dei paesi europei (Germania, Francia,Italia, ecc.). Perciò la prospettiva dei rivoluzionari russi era quella di sti-molare la rivoluzione europea, perché solo la cooperazione del proleta-riato europeo con quello russo avrebbe potuto garantire lo sviluppo dellaRussia sovietica.

La disperazione e la rabbia che attanaglia i lavoratori de-ve trasformarsi in forme adeguate di organizzazione per

instaurare il controllo proletario sul territorio e collegare iproblemi ambientali al processo di guerra sociale

Il 28 ottobre ad Aulla la genteche spala fango lungo gli arginidel Magra si rivolta inferocita con-tro il corteo delle autorità chegiungono in vetture (il ministro Al-tero Matteoli, il governatore dellaToscana Enrico Rossi del Pd, ilsindaco di Pontremoli Lucia Ba-racchini del PdL e il consigliere le-ghista Michele Lecchini). Il sinda-co si prende una palata di fango infaccia; il consigliere un pugno inun occhio. Non si può continuare a

farsi prendere in giro dagli «edifi-catori di disastri» e profittatori dell’