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organo del partito comunista internazionale IL COMUNISTA - N. 119 - Dicembre 2010/Gennaio 2011 - anno XXVIII www.pcint.org Tariffa Regime Libero: Poste Italiane Spa Spediz. Abb.Postale 70% - DCB Milano [email protected] DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia; alle battaglie di classe della Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e il collaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo.La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell'organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, a contatto con la classe operaia e la sua lotta di resistenza quotidiana alla pressione e all’oppressione capitalistiche e borghesi, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco, fuori di ogni forma di indifferentismo, di codismo, di movimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletaria che rompa la pace sociale e la disciplina del collaborazionismo interclassista; il sostegno di ogni sforzo di riorganizzazione classista del proletariato sul terreno dell’associazionismo economico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica. il comunista Bimestrale - la copia 1 Euro le prolétaire Bimestrale - la copia 1,5 Euro Programme communiste - 5 Euro cad El programa comunista - 3 Euro cad Proletarian - 3 Euro cad ( Segue a pag. 8 ) ( Segue a pag. 2 ) ( Segue a pag. 3) ( Segue a pag. 11 ) NELL 'INTERNO I proletari immigrati lottano per essere riconosciuti lavoratori alla pari dei proletari italiani Il compito del partito di classe (Rosa Luxemburg) Sahara Occidentale: Massacro nel- l'accampamento saharawi di Gdaim Izikpor Appunti sulla popolazione del Sahara occidentale e sulla sua autodeterminazione il proletario [Il burocratismo dei vertici dimostra per l'ennesima volta l'opportunismo del SLL - La piattafor- ma di lotta dei disoccupati SLL - La forza lavoro è una merce (Marx)] • Fiat Mirafiori: con l'accordo del 23 dicembre il collaborazionismo sinda- cale si piega ancor più alle leggi della competitività aziendale La rivolta delle masse disoccupate e affamate, dalla Tunisia e Algeria, si estende all'Albania • Alluvioni e frane: la politica capita- listica della sciagura Tunisi,Algeri, Il Cairo… Le mobilitazioni di massa, partite da un malcontento generalizzato per la crisi economica ma prigioniere delle illusioni democratiche, nazionali e pacifiste, fanno cadere qualche governante ma non cambiano il corso del dominio capitalistico e delle manovre imperialistiche che temono solo una cosa: la lotta di classe proletaria, indipendente e internazionalista L’ondata delle sommosse sociali che ha investito i paesi della sponda mediterranea del Nord Africa e del Medio Oriente dalla metà di dicembre dello scorso anno, sta scuotendo i palazzi del potere di Tunisi, di Algeri, del Cairo o della periferica San’na, con effetti per nulla conclusi sugli altri pae- si del vasto mondo arabo, i cui riflessi si fanno sentire minacciosi nelle stesse can- cellerie dei grandi paesi imperialisti a Washington, Londra, Parigi, Berlino, Roma. Indiscutibilmente, la crisi economica che ha scosso tra il 2008 e il 2010 la stragrande maggioranza dei paesi capitalistici avanza- ti, e che ancora vi produce effetti notevol- mente critici, non poteva non riversare le sue drammatiche conseguenze – in termini di aumento crescente della disoccupazione proletaria, soprattutto giovanile, e crescen- te immiserimento degli strati piccolo bor- ghesi, dai piccoli contadini ai piccoli arti- giani, bottegai, ambulanti – sui paesi del- l’immediata periferia imperialistica. E la im- mediata periferia imperialistica d’Europa è costituita, per l’appunto, soprattutto dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nei decenni precedenti, da questi paesi sono partiti, a ondate cicliche, masse di pro- letari migranti che sfuggivano alla fame, alla disoccupazione, alla repressione poliziesca, alla guerra; a gruppi di decine o di qualche centinaio di proletari e di disperati, questo vero e proprio esercito migrante si è river- sato sulle sponde d’Europa, in Spagna, in Italia, in Grecia per poter poi raggiungere con mezzi di fortuna la Germania, la Fran- cia, il Belgio, la Gran Bretagna. Da sempre, nei nostri civilissimi paesi poggianti su co- stituzioni repubblicane che mettono in pri- missimo piano parole solenni sul “diritto alla vita”, “al lavoro”, “alla dignità delle per- sone”, i proletari migranti sono trattati peg- gio delle bestie, schiavizzati nel lavoro nero e sottopagato, marchiati come clandestini e considerati delinquenti, sottoposti a in- terminabili vessazioni burocratiche e poli- ziesche; ma anche considerati “preziosi” per la crescita economica dell’opulenta Euro- pa alla condizione di sottostare docili doci- li alle regole discriminatorie con le quali le prepotenti borghesie europee amministra- no… i flussi migratori. Fratelli di classe, proletari senza patria, membri di una classe che sotto qualsiasi cie- lo viene sistematicamente sfruttata dal ca- pitale, sia che venga impiegata in modo più o meno temporaneo e precario nel “mondo del lavoro” – a salari più bassi –, sia che vada ad aggiungersi alla massa di disoccu- pati – aumentando così la pressione sui sa- lari dei proletari autoctoni e dei proletari immigrati che hanno trovato lavoro – oggi, in Tunisia, in Algeria, in Egitto, i proletari non scappano più dalla miseria e dalla di- soccupazione, ma le portano, vestite di rab- bia e di indomita determinazione, nelle piaz- ze delle capitali dei loro paesi. E un domani potrebbe essere il tempo delle piazze delle capitali europee, in un’unione generale di lotta di proletari di tutte le nazionalità con- tro il nemico di classe per eccellenza, la bor- ghesia dominante, di qua e di là del Medi- terraneo. Ma lo scossone che le rivolte dei prole- tari e degli strati più poveri dei paesi arabi stanno dando ai palazzi dei poteri locali ha effetti ben più lontani fino a toccare le stan- ze della borghesia imperialista ancor oggi più forte del mondo, gli Stati Uniti d’Ameri- ca. Washington, insieme alle altre capitali imperialiste, tiene in mano i fili del potere al Cairo come a Gerusalemme; ed ogni minac- cia alla stabilità dei governi dei paesi più importanti dell’area, come Egitto, Israele o Arabia Saudita – governi con i quali nel tempo sono stati costruiti rapporti di alle- anza molto forti e di reciproco interesse – è di fatto una minaccia agli equilibri nell’am- bito dei quali gli USA giocano un ruolo di primaria importanza, non fosse che per il petrolio mediorientale. Le rivolte di questi mesi, perciò, al di là degli obiettivi immedia- ti che i rivoltosi si sono dati – la cacciata dei governanti ladri e corrotti, fine del regi- me di polizia, lavoro e pane per tutti – por- tano con sé pericoli ben più seri per le clas- si borghesi dominanti nei propri paesi e nei paesi imperialisti direttamente interessati all’area mediorientale. In Tunisia, il movimento di rivolta di masse proletarie e contadine immiserite e precipitate nella fame, iniziato a metà dicem- bre scorso e indirizzato spontaneamente contro i palazzi del governo e contro il po- tere oligarchico del presidente Ben Alì e del suo entourage, in qualche settimana è tal- mente lievitato, portando nelle piazze cen- tinaia di migliaia di rivoltosi, da mettere in fuga il più che ventennale “raìs” tunisino. Lo scoppio di rabbia per condizioni di vita intollerabili, nella sua spontaneità e nella Contro ogni deviazione opportunistica, contro il potere borghese e il suo Stato, per la rivoluzione proletaria e comunista 90 anni fa, a Livorno, nasceva il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista “Il processo di formazione del Partito Comunista in Italia presenta, rispetto alla Germania e alla Francia, caratteristiche non solo diverse, ma opposte, e per ragioni che sarebbe antistorico ridurre ai soli meriti (pe- raltro decisivi) di chiarezza, continuità e intransigenza della Frazione Comunista Astensionista”, così inizia il terzo capitolo del terzo volume della “Storia della Sini- stra comunista” (1) intitolato “Verso il Par- tito Comunista d’Italia, Sezione dell’In- ternazionale Comunista”. E continua: “Ri- spetto a Halle e Tours (2), Livorno appare infatti capovolto non solo perché la nasci- ta della sezione italiana della III Internazio- nale avvenne sulla base di una netta rottu- ra, oltre che con il riformismo, anche e so- prattutto con quel centro massimalista in cui i bolscevichi avevano per primi ravvi- sato uno dei maggiori ostacoli alla soluzio- ne rivoluzionaria della crisi post-bellica, non essendo il frutto né di uno spostamento dell’ala comunista del movimento operaio verso posizioni compatibili con quelle di una parte del centro (come in Germania), né di uno spostamento della maggioranza cen- trista verso posizioni accettabili da un’esi- le ed eterogenea ala sinistra (come in Fran- cia). Appare capovolto anche perché la scissione non scaturì da una decisione maturata in sede di congresso, dunque in extremis e per un concorso di fattori con- tingenti, ma fu la sanzione finale di un pro- cesso non breve, tutto orientato verso quel- lo sbocco e, appunto perciò, venutosi ad incrociare con una serie di favorevoli fatto- ri esterni”. Ecco la prima caratteristica politica e programmatica della scissione di Livorno: la preparazione politicamente e organizzati- vamente voluta della netta e decisa separa- zione tra le forze politiche della rivoluzione proletaria e comunista rispetto a tutte le al- tre forze del socialismo riformista, sindaca- lista, massimalista che allora dirigevano e influenzavano in maniera determinanate il movimento operaio in tutti i paesi in cui esso esisteva in modo organizzato. La storia del movimento sociale proletario e del movi- mento politico socialista aveva radicato le correnti politiche più importanti nell’Euro- pa occidentale, e in particolare nei paesi, come scrive Lenin nel testo del 1913 “ Tre fonti e tre parti integranti del marxismo(3), nei quali l’umanità ha creato il meglio durante il secolo XIX: la Germania, con la filosofia classica hegeliana, l’Inghilterra, con l’economia capitalistica, la Francia con l’utopismo socialista e il movimento socia- le del proletariato. Il marxismo, la sua dottri- na, è la “continuazione diretta e immediata della dottrina dei più grandi rappresentanti della filosofia, dell’economia politica e del socialismo” (sempre Lenin), ma, nello stes- so tempo è il superamento dialettico di quel- le dottrine nella dottrina della lotta di clas- se: attraverso di essa il marxismo esprime una concezione generale del mondo che si basa sul materialismo storico e dialettico e sul socialismo scientifico, teoria e pro- gramma del movimento operaio di tutti i paesi del mondo civile (ancora Lenin). Ma riprendiamo la traccia dalla nostra Storia della Sinistra comunista. Alcuni fattori oggettivi caratterizzavano la situa- zione in Italia, rispetto a Germania e Fran- cia, in modo più “favorevole” per il movi- mento operaio e di cui il movimento politi- co del comunismo rivoluzionario – rappre- sentato dalla corrente di sinistra, operante in modo distintivo fin dalle battaglie contro il “culturalismo” nel 1912, poi organizzata- Fiat Mirafiori: Passa l’accordo strangola-operai che verrà esteso anche a Cassino e Melfi. Voluto dalla Fiat e dai sindacati firmata- ri, Fim, Uilm, Ugl, il referendum a Mirafiori sull’accordo strangola-operai della vigi- lia di Natale (23 dicembre 2010), si è conclu- so con il 54% di sì e il 46% di no; vi hanno partecipato quasi il 95% dei dipendenti Fiat, a dimostrazione che il ricatto padronale sul risultato del referendum ha in questo caso pesato molto e mobilitato la stragrande maggioranza degli operai a parteciparvi. Che questo referendum fosse pesante- mente condizionato dal ricatto padronale sui posti di lavoro lo sanno anche i sassi; la posizione della Fiat è stata chiarissima: o vince il sì, anche solo del 51%, allora Mira- fiori non chiude e riceverà il necessario in- vestimento per l’ammodernamento degli impianti in vista di produrvi ben 250-280 mila Suv a marchio Crhysler-Alfa per il mer- cato mondiale; o vince il no, anche solo del 51%, e allora Mirafiori chiude e la produzio- ne automobilistica prevista viene spostata in stabilimenti di altri paesi dove le condi- zioni salariali e di lavoro peggiorative pre- viste nel nuovo accordo di Mirafiori sono già passate. Ha “vinto” il sì. Mirafiori, la città-fab- brica simbolo della Fiat e dell’industria au- tomobilistica italiana, resta in piedi coi suoi quasi 5.500 dipendenti di cui circa 450 tra impiegati, quadri e dirigenti. Ma questa “vit- toria” – nonostante il peso indiscutibile del ricatto sul posto di lavoro sì, o posto di lavo- ro no – non è stata una così pesante come speravano Marchionne, il governo Berlusconi, l’Unione Industriali locale, la Confindustria e i sindacati firmatari dell’ac- cordo. Se è vero che gli iscritti alla Fiom a Mirafiori rappresentano il 13% degli ope- rai, il 46% di “no all’accordo” evidenzia che quasi la metà degli operai di Mirafiori non sostiene questo accordo. E questo fatto segnala che il clima in fabbrica non sarà per niente favorevole ad una collaborazione automatica tra operai e direzione nella ge- stione delle esigenze produttive che, si può facilmente prevedere, verranno necessaria- mente imposte con la forza. Dunque, il refe- rendum, che non è certo un’arma di lotta operaia, ma che gli operai subiscono ora- mai da anni grazie al generale cedimento del sindacalismo tricolore anche sul fronte della mobilitazione collettiva degli operai, ha dato comunque ragione alle attese dei più servili sindacati collaborazionisti. Ma gli aspetti legati al referendum sono, in un certo senso, secondari rispetto agli aspetti più sostanziosi e “nascosti” della politica industriale perseguita dal più gran- de gruppo industriale italiano, e multina- zionale, politica che da sempre in Italia det- ta “la linea” agli imprenditori nelle relazioni da tenere con gli operai e con i sindacati. L’accordo imposto a Pomigliano e quello imposto a Mirafiori hanno l’obiettivo di rompere il meccanismo tradizionale della collaborazione che i sindacati tricolore han- no assicurato al capitalismo italiano fin dalla loro costituzione sull’onda della guerra “an- tifascista” e dell’unione “sacra” tra capita- le e lavoro ben rappresentata dal C.L.N. partigiano. Quella collaborazione interclas- sista, assolutamente necessaria alla classe dominante borghese per condurre la guer- ra a fianco degli imperialismi “democratici” e per facilitare la ricostruzione postbellica con una partecipazione operaia simile a quella instaurata dal fascismo con le cor- porazioni, aveva bisogno di appoggi mate- riali che solo un impianto di riforme sociali ereditate dallo stesso fascismo (i famosi ammortizzatori sociali) poteva dare. Ai sin- dacati tricolore, in particolare alla Cgil per la maggiore influenza che aveva tra gli ope- rai, era demandato il compito di mantenere un controllo sulle masse operaie organiz- zate sindacalmente, di attutire e far sfogare in modo non dirompente le inevitabili spin- te alla lotta generate dall’inesorabile e au- mentato sfruttamento della forza lavoro ri- chiesto da un apparato produttivo che do- veva essere rimesso in funzione e svilup- pato in modo accelerato al fine di riprende- re velocemente ad accumular profitti dopo Gran Bretagna, Grecia, Italia Lotte degli studenti e disagio sociale Cominciarono, mesi fa, gli studenti ad Atene e Salonicco a reagire alle draconiane misure del governo greco che, a causa della fortissima crisi della propria economia e per evitare la bancarotta, è stato sottoposto alla violenta pressione delle potenze mondiali più forti che sono accorse al suo capezzale obbligandolo ad indebitarsi pesantemente: debito che la Grecia pagherà nei prossimi decenni alla condizione di spremere dal pro- prio proletariato gigantesche e crescenti quantità di plusvalore. Ma quelle misure non vanno a colpire soltanto i proletari, colpi- scono anche gli strati di piccola e media borghesia e i loro giovani figli che si illude- vano di emergere, grazie ad un titolo di stu- dio superiore o ad una laurea, in una posi- zione sociale privilegiata e che speravano, in ogni caso, di non precipitare nelle condi- zioni più classicamente proletarie dei senza riserve, dei senza lavoro e quindi senza sa- lario! Si mossero, e ancora si muovono, gli studenti in Italia, anch’essi rivendicando un “futuro” fatto di promozione sociale e di “garanzie” che un titolo di studio superiore e una laurea dovrebbero assicurare. Essi si oppongono, con le occupazioni delle scuo- le e delle università e con le manifestazioni di strada, ad un governo che vuole accele- rare un processo di riforma della scuola pub- blica riportandola, dalle elementari alle uni- versità, alla funzione di istruire le masse pro- letarie quel tanto che basta perché siano in grado di comprendere le istruzioni dei nuo- vi processi lavorativi, riservando sempre più la formazione colta della “nuova classe diri- gente borghese” a strati superselezionati di “privilegiati”. Le “risorse finanziarie” dispo- ste per il settore della pubblica istruzione e della cultura vengono semplicemente dirot- tate verso la scuola privata ed i canali della propaganda di regime, mettendo in questo modo più in luce i veri interessi di classe della borghesia. E non vi è differenza so- stanziale tra la riforma di “destra” e quella di

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IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 1

organo del partito comunista internazionale

IL COMUNISTA- N. 119 -

Dicembre 2010/Gennaio 2011 - anno XXVIIIwww.pcint.org

Tariffa Regime Libero: Poste Italiane SpaSpediz. Abb.Postale 70% - DCB Milano

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DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia; alle battaglie di classedella Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e lacontrorivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e ilcollaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo.La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell'organorivoluzionario per eccellenza, il partitodi classe, acontattocon laclasseoperaiae la sua lotta di resistenzaquotidianaallapressioneeall’oppressionecapitalistichee borghesi, fuoridelpoliticantismo personale ed elettoralesco, fuoridi ogni forma di indifferentismo, di codismo,dimovimentismo o di avventurismo lottarmatista. Ilsostegno di ogni lotta proletariacherompa lapacesociale e ladisciplinadelcollaborazionismo interclassista; il sostegnodi ognisforzodi riorganizzazione classistadelproletariatosul terrenodell’associazionismoeconomico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica.

il comunistaBimestrale - la copia 1 Euro

le prolétaireBimestrale - la copia 1,5 Euro

Programme communiste - 5 Euro cadEl programa comunista - 3 Euro cad

Proletarian - 3 Euro cad

( Segue a pag. 8 )

( Segue a pag. 2 )

( Segue a pag. 3)( Segue a pag. 11 )

NELL 'INTERNO

• I proletari immigrati lottano peressere riconosciuti lavoratori alla paridei proletari italiani• Il compito del partito di classe (RosaLuxemburg)• Sahara Occidentale: Massacro nel-l'accampamento saharawi di GdaimIzikpor• Appunti sulla popolazione del Saharaoccidentale e sulla suaautodeterminazione• il proletario [Il burocratismo deivertici dimostra per l'ennesima voltal'opportunismo del SLL - La piattafor-ma di lotta dei disoccupati SLL - Laforza lavoro è una merce (Marx)]• Fiat Mirafiori: con l'accordo del 23dicembre il collaborazionismo sinda-cale si piega ancor più alle leggi dellacompetitività aziendale• La rivolta delle masse disoccupate eaffamate, dalla Tunisia e Algeria, siestende all'Albania• Alluvioni e frane: la politica capita-listica della sciagura

Tunisi,Algeri, Il Cairo…

Le mobilitazioni di massa, partite da un malcontento generalizzatoper la crisi economica ma prigioniere delle illusioni democratiche, nazionali e

pacifiste, fanno cadere qualche governante ma non cambiano il corso deldominio capitalistico e delle manovre imperialistiche che temono solo una cosa:

la lotta di classe proletaria, indipendente e internazionalista

L’ondata delle sommosse sociali che hainvestito i paesi della sponda mediterraneadel Nord Africa e del Medio Oriente dallametà di dicembre dello scorso anno, stascuotendo i palazzi del potere di Tunisi, diAlgeri, del Cairo o della periferica San’na,con effetti per nulla conclusi sugli altri pae-si del vasto mondo arabo, i cui riflessi sifanno sentire minacciosi nelle stesse can-cellerie dei grandi paesi imperialisti aWashington, Londra, Parigi, Berlino, Roma.

Indiscutibilmente, la crisi economica cheha scosso tra il 2008 e il 2010 la stragrandemaggioranza dei paesi capitalistici avanza-ti, e che ancora vi produce effetti notevol-mente critici, non poteva non riversare lesue drammatiche conseguenze – in terminidi aumento crescente della disoccupazioneproletaria, soprattutto giovanile, e crescen-te immiserimento degli strati piccolo bor-ghesi, dai piccoli contadini ai piccoli arti-giani, bottegai, ambulanti – sui paesi del-l’immediata periferia imperialistica. E la im-mediata periferia imperialistica d’Europa ècostituita, per l’appunto, soprattutto dai

paesi che si affacciano sul Mediterraneo.Nei decenni precedenti, da questi paesi

sono partiti, a ondate cicliche, masse di pro-letari migranti chesfuggivano alla fame, alladisoccupazione, alla repressione poliziesca,alla guerra; a gruppi di decine o di qualchecentinaio di proletari e di disperati, questovero e proprio esercito migrante si è river-sato sulle sponde d’Europa, in Spagna, inItalia, in Grecia per poter poi raggiungerecon mezzi di fortuna la Germania, la Fran-cia, il Belgio, la Gran Bretagna. Da sempre,nei nostri civilissimi paesi poggianti su co-stituzioni repubblicane che mettono in pri-missimo piano parole solenni sul “dirittoalla vita”, “al lavoro”, “alla dignità delle per-sone”, i proletari migranti sono trattati peg-gio delle bestie, schiavizzati nel lavoro neroe sottopagato, marchiati come clandestinie considerati delinquenti, sottoposti a in-terminabili vessazioni burocratiche e poli-ziesche; ma anche considerati “preziosi” perla crescita economica dell’opulenta Euro-pa alla condizione di sottostare docili doci-li alle regole discriminatorie con le quali le

prepotenti borghesie europee amministra-no… i flussi migratori.

Fratelli di classe, proletari senza patria,membri di una classe che sotto qualsiasi cie-lo viene sistematicamente sfruttata dal ca-pitale, sia che venga impiegata in modo piùo meno temporaneo e precario nel “mondodel lavoro” – a salari più bassi –, sia chevada ad aggiungersi alla massa di disoccu-pati – aumentando così la pressione sui sa-lari dei proletari autoctoni e dei proletariimmigrati che hanno trovato lavoro – oggi,in Tunisia, in Algeria, in Egitto, i proletarinon scappano più dalla miseria e dalla di-soccupazione, ma le portano, vestite di rab-bia e di indomita determinazione, nelle piaz-ze delle capitali dei loro paesi. E un domanipotrebbe essere il tempo delle piazze dellecapitali europee, in un’unione generale dilotta di proletari di tutte le nazionalità con-tro il nemico di classe per eccellenza, la bor-ghesia dominante, di qua e di là del Medi-terraneo.

Ma lo scossone che le rivolte dei prole-tari e degli strati più poveri dei paesi arabi

stanno dando ai palazzi dei poteri locali haeffetti ben più lontani fino a toccare le stan-ze della borghesia imperialista ancor oggipiù forte del mondo, gli Stati Uniti d’Ameri-ca. Washington, insieme alle altre capitaliimperialiste, tiene in mano i fili del potere alCairo come a Gerusalemme; ed ogni minac-cia alla stabilità dei governi dei paesi piùimportanti dell’area, come Egitto, Israele oArabia Saudita – governi con i quali neltempo sono stati costruiti rapporti di alle-anza molto forti e di reciproco interesse – èdi fatto una minaccia agli equilibri nell’am-bito dei quali gli USA giocano un ruolo diprimaria importanza, non fosse che per ilpetrolio mediorientale. Le rivolte di questimesi, perciò, al di là degli obiettivi immedia-ti che i rivoltosi si sono dati – la cacciatadei governanti ladri e corrotti, fine del regi-me di polizia, lavoro e pane per tutti – por-tano con sé pericoli ben più seri per le clas-si borghesi dominanti nei propri paesi e neipaesi imperialisti direttamente interessatiall’area mediorientale.

In Tunisia, il movimento di rivolta di

masse proletarie e contadine immiserite eprecipitate nella fame, iniziato a metà dicem-bre scorso e indirizzato spontaneamentecontro i palazzi del governo e contro il po-tere oligarchico del presidente BenAlì e delsuo entourage, in qualche settimana è tal-mente lievitato, portando nelle piazze cen-tinaia di migliaia di rivoltosi, da mettere infuga il più che ventennale “raìs” tunisino.Lo scoppio di rabbia per condizioni di vitaintollerabili, nella sua spontaneità e nella

Contro ogni deviazione opportunistica, contro il potere borghese

e il suo Stato, per la rivoluzione proletaria e comunista

90 anni fa, a Livorno,nasceva il Partito Comunista d’Italia,sezione dell’Internazionale Comunista

“Il processo di formazione del PartitoComunista in Italia presenta, rispetto allaGermania e alla Francia, caratteristiche nonsolo diverse, ma opposte, e per ragioni chesarebbe antistorico ridurre ai soli meriti (pe-raltro decisivi) di chiarezza, continuità eintransigenza della Frazione ComunistaAstensionista”, così inizia il terzo capitolodel terzo volume della “Storia della Sini-stra comunista” (1) intitolato “Verso il Par-tito Comunista d’Italia, Sezione dell’In-ternazionale Comunista”. E continua: “Ri-spetto a Halle e Tours (2), Livorno appareinfatti capovolto non solo perché la nasci-ta della sezione italiana della III Internazio-nale avvenne sulla base di una netta rottu-ra, oltre che con il riformismo, anche e so-prattutto con quel centro massimalista incui i bolscevichi avevano per primi ravvi-sato uno dei maggiori ostacoli alla soluzio-ne rivoluzionaria della crisi post-bellica, nonessendo il frutto né di uno spostamentodell’ala comunista del movimento operaioverso posizioni compatibili con quelle di unaparte del centro (come in Germania), né diuno spostamento della maggioranza cen-trista verso posizioni accettabili da un’esi-le ed eterogenea ala sinistra (come in Fran-cia). Appare capovolto anche perché lascissione non scaturì da una decisionematurata in sede di congresso, dunque inextremis e per un concorso di fattori con-tingenti, ma fu la sanzione finale di un pro-cesso non breve, tutto orientato verso quel-lo sbocco e, appunto perciò, venutosi adincrociare con una serie di favorevoli fatto-ri esterni”.

Ecco la prima caratteristica politica eprogrammatica della scissione di Livorno:la preparazione politicamente e organizzati-vamente voluta della netta e decisa separa-zione tra le forze politiche della rivoluzione

proletaria e comunista rispetto a tutte le al-tre forze del socialismo riformista, sindaca-lista, massimalista che allora dirigevano einfluenzavano in maniera determinanate ilmovimento operaio in tutti i paesi in cui essoesisteva in modo organizzato. La storia delmovimento sociale proletario e del movi-mento politico socialista aveva radicato lecorrenti politiche più importanti nell’Euro-pa occidentale, e in particolare nei paesi,come scrive Lenin nel testo del 1913 “Trefonti e tre parti integranti del marxismo”(3), nei quali l’umanità ha creato il megliodurante il secolo XIX: la Germania, con lafilosofia classica hegeliana, l’Inghilterra,con l’economia capitalistica, la Francia conl’utopismo socialista e il movimento socia-le del proletariato. Il marxismo, la sua dottri-na, è la “continuazione diretta e immediatadella dottrina dei più grandi rappresentantidella filosofia, dell’economia politica e delsocialismo” (sempre Lenin), ma, nello stes-so tempo è il superamento dialettico di quel-le dottrine nella dottrina della lotta di clas-se: attraverso di essa il marxismo esprimeuna concezione generale del mondo che sibasa sul materialismo storico e dialettico esul socialismo scientifico, teoria e pro-gramma del movimento operaio di tutti ipaesi del mondo civile (ancora Lenin).

Ma riprendiamo la traccia dalla nostraStoria della Sinistra comunista. Alcunifattori oggettivi caratterizzavano la situa-zione in Italia, rispetto a Germania e Fran-cia, in modo più “favorevole” per il movi-mento operaio e di cui il movimento politi-co del comunismo rivoluzionario – rappre-sentato dalla corrente di sinistra, operantein modo distintivo fin dalle battaglie controil “culturalismo” nel 1912, poi organizzata-

Fiat Mirafiori: Passa l’accordostrangola-operai che verrà esteso anche

a Cassino e Melfi.Voluto dalla Fiat e dai sindacati firmata-

ri, Fim, Uilm, Ugl, il referendum a Mirafiorisull’accordo strangola-operai della vigi-lia di Natale (23 dicembre 2010), si è conclu-so con il 54% di sì e il 46% di no; vi hannopartecipato quasi il 95% dei dipendenti Fiat,a dimostrazione che il ricatto padronale sulrisultato del referendum ha in questo casopesato molto e mobilitato la stragrandemaggioranza degli operai a parteciparvi.

Che questo referendum fosse pesante-mente condizionato dal ricatto padronalesui posti di lavoro lo sanno anche i sassi; laposizione della Fiat è stata chiarissima: ovince il sì, anche solo del 51%, allora Mira-fiori non chiude e riceverà il necessario in-vestimento per l’ammodernamento degliimpianti in vista di produrvi ben 250-280mila Suva marchio Crhysler-Alfa per il mer-cato mondiale; o vince il no, anche solo del51%, e allora Mirafiori chiude e la produzio-ne automobilistica prevista viene spostatain stabilimenti di altri paesi dove le condi-zioni salariali e di lavoro peggiorative pre-viste nel nuovo accordo di Mirafiori sonogià passate.

Ha “vinto” il sì. Mirafiori, la città-fab-brica simbolo della Fiat e dell’industria au-tomobilistica italiana, resta in piedi coi suoiquasi 5.500 dipendenti di cui circa 450 traimpiegati, quadri e dirigenti. Ma questa “vit-toria” – nonostante il peso indiscutibile delricatto sul posto di lavoro sì, o postodi lavo-ro no – non è stata una così pesante comesperavano Marchionne, il governoBerlusconi, l’Unione Industriali locale, laConfindustria e i sindacati firmatari dell’ac-cordo. Se è vero che gli iscritti alla Fiom aMirafiori rappresentano il 13% degli ope-rai, il 46% di “no all’accordo” evidenzia chequasi la metà degli operai di Mirafiori nonsostiene questo accordo. E questo fattosegnala che il clima in fabbrica non sarà perniente favorevole ad una collaborazioneautomatica tra operai e direzione nella ge-stione delle esigenze produttive che, si puòfacilmente prevedere, verranno necessaria-mente imposte con la forza. Dunque, il refe-

rendum, che non è certo un’arma di lottaoperaia, ma che gli operai subiscono ora-mai da anni grazie al generale cedimentodel sindacalismo tricolore anche sul frontedella mobilitazione collettiva degli operai,ha dato comunque ragione alle attese deipiù servili sindacati collaborazionisti.

Ma gli aspetti legati al referendum sono,in un certo senso, secondari rispetto agliaspetti più sostanziosi e “nascosti” dellapolitica industriale perseguita dal più gran-de gruppo industriale italiano, e multina-zionale, politica che da sempre in Italia det-ta “la linea” agli imprenditori nelle relazionida tenere con gli operai e con i sindacati.L’accordo imposto a Pomigliano e quelloimposto a Mirafiori hanno l’obiettivo dirompere il meccanismo tradizionale dellacollaborazione che i sindacati tricolore han-no assicurato al capitalismo italiano fin dallaloro costituzione sull’onda della guerra “an-tifascista” e dell’unione “sacra” tra capita-le e lavoro ben rappresentata dal C.L.N.partigiano. Quella collaborazione interclas-sista, assolutamente necessaria alla classedominante borghese per condurre la guer-ra a fianco degli imperialismi “democratici”e per facilitare la ricostruzione postbellicacon una partecipazione operaia simile aquella instaurata dal fascismo con le cor-porazioni, aveva bisogno di appoggi mate-riali che solo un impianto di riforme socialiereditate dallo stesso fascismo (i famosiammortizzatori sociali) poteva dare.Ai sin-dacati tricolore, in particolare alla Cgil perla maggiore influenza che aveva tra gli ope-rai, era demandato il compito di mantenereun controllo sulle masse operaie organiz-zate sindacalmente, di attutire e far sfogarein modo non dirompente le inevitabili spin-te alla lotta generate dall’inesorabile e au-mentato sfruttamento della forza lavoro ri-chiesto da un apparato produttivo che do-veva essere rimesso in funzione e svilup-pato in modo accelerato al fine di riprende-re velocemente ad accumular profitti dopo

Gran Bretagna, Grecia, Italia

Lotte degli studentie disagio sociale

Cominciarono, mesi fa, gli studenti adAtene e Salonicco a reagire alle draconianemisure del governo greco che, a causa dellafortissima crisi della propria economia e perevitare la bancarotta, è stato sottoposto allaviolenta pressione delle potenze mondialipiù forti che sono accorse al suo capezzaleobbligandolo ad indebitarsi pesantemente:debito che la Grecia pagherà nei prossimidecenni alla condizione di spremere dal pro-prio proletariato gigantesche e crescentiquantità di plusvalore. Ma quelle misure nonvanno a colpire soltanto i proletari, colpi-scono anche gli strati di piccola e mediaborghesia e i loro giovani figli che si illude-vano di emergere, grazie ad un titolo di stu-dio superiore o ad una laurea, in una posi-zione sociale privilegiata e che speravano,in ogni caso, di non precipitare nelle condi-zioni più classicamente proletarie dei senzariserve, dei senza lavoro e quindi senza sa-lario!

Si mossero, e ancora si muovono, glistudenti in Italia, anch’essi rivendicando un“futuro” fatto di promozione sociale e di“garanzie” che un titolo di studio superioree una laurea dovrebbero assicurare. Essi sioppongono, con le occupazioni delle scuo-le e delle università e con le manifestazionidi strada, ad un governo che vuole accele-rare un processo di riforma della scuola pub-blica riportandola, dalle elementari alle uni-versità, alla funzione di istruire le masse pro-letarie quel tanto che basta perché siano ingrado di comprendere le istruzioni dei nuo-vi processi lavorativi, riservando sempre piùla formazione colta della “nuova classe diri-gente borghese” a strati superselezionati di“privilegiati”. Le “risorse finanziarie” dispo-ste per il settore della pubblica istruzione edella cultura vengono semplicemente dirot-tate verso la scuola privata ed i canali dellapropaganda di regime, mettendo in questomodo più in luce i veri interessi di classedella borghesia. E non vi è differenza so-stanziale tra la riforma di “destra” e quella di

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 20112

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ABBONAMENTI 2010

il comunista: abbonamento annuo base 6,50euro, sostenitore 15 euro: le prolétaire: ab-bonamento annuo base 8 euro, sostenitore 16euro; programme communiste (rivista teo-rica): abbonamento base 4 numeri 16 euro,sostenitore 40 euro; el programa comuni-sta: abbonamento base 4 numeri 12 euro, so-stenitore 25 euro.

sua espressione immediata e laica, dunquenon vestita o “strumentalizzata” dall’isla-mismo, ha affrontato a viso aperto e a maninude la repressione poliziesca e dell’eser-cito, ma la sua spinta è stata sufficiente perfar emergere l’effettiva debolezza del regi-me di Ben Alì. Questo risultato è costatomorti e feriti, ma in realtà il sistema econo-mico e politico su cui poggiava il propriopotere il clan di BenAlì non è stato spazza-to via, tutt’al contrario. Il movimento deirivoltosi rivendicava pane e democrazia!,lottava contro la corruzione sfacciata di ungruppo di governanti che rubava a mansalva, ma chiedere “più democrazia” ad unregime borghese che usa normalmente lademocrazia per tutelare meglio i propri affa-ri, i propri interessi di classe, i propri privi-legi, non cambia sostanzialmente la situa-zione dei milioni di proletari e di contadinipoveri che in un momento di rabbia genera-lizzata hanno detto “basta!” a governantiche si sono appropriati in modo esageratodi una parte consistente delle ricchezze delpaese. D’altra parte, storicamente, quandocontro il governo in carica si uniscono inun unico movimento i proletari, i piccoloborghesi urbani, i contadini, gli strati intel-lettuali e professionali della società borghe-se, movimento che trova solitamente unimprovviso alleato nelle frazioni borghesiin contrasto con quelle che sono al gover-no, questo movimento riesce a dare unascossa più o meno potente alle forze politi-che al potere in quel frangente, ma non rie-sce – perché non ne ha la forza di classe – arivoluzionare effettivamente la situazione.

Più democrazia, può voler dire nuoveelezioni, maggiore libertà di organizzazionepolitica e sindacale, maggiore libertà di opi-nione e di espressione, qualche riforma so-ciale finalmente attuata dopo averla permolto tempo promessa, ma nulla più. Il si-stema economico non cambia, e quindi nonspariscono le cause dello sfruttamento dellavoro salariato, della miseria crescente,della disoccupazione, della fame; e non spa-riscono gli antagonismi di classe fra prole-tariato e borghesia, come non spariscono icontrasti tra frazioni borghesi e fra Statidovuti alla concorrenza economica e politi-ca che avvolge tutti gli Stati del mondo. Lecause che hanno determinato la crisi eco-nomica mondiale del 2008-2010, stante ilmodo di produzione capitalistico, sebbenepossano esserne attenuati gli effetti più di-rompenti – soprattutto nei paesi capitalisti-ci più avanzati, perché posseggono più ri-sorse con cui tacitare i bisogni più elemen-tari del proletariato – restano sempre atti-ve, pronte a riproporre crisi anche più vio-lente e generalizzate delle precedenti fino aportare il mondo intero alla soglia di unaterza guerra mondiale. E qui non si tratta diprofezie elaborate sulla base di paure o sen-sazioni negative; è pura applicazione delmarxismo, teoria scientifica del comunismorivoluzionario che, fin dalla crisi capitalisti-ca del 1847 in Inghilterra (e, quindi, per l’epo-ca, nel mondo) e dalle rivoluzioni in Europadel 1848, ha affermato: “Sono decenni or-mai che la storia dell’industria e del com-mercio è soltanto storia della rivolta delleforze produttive moderne [il proletariato,ndr] contro i rapporti moderni della produ-zione, cioè contro i rapporti di proprietà checostituiscono le condizioni di esistenzadella borghesia e del suo dominio [il capi-talismo, ndr]. Basti ricordare le crisi com-merciali che col loro periodico ritorno met-tono in forse sempre più minacciosamentel’esistenza di tutta la società borghese (…).Con quale mezzo la borghesia supera la cri-si? Da un lato, con la distruzione coatta diuna massa di forze produttive; dall’altro,con la conquista di nuovi mercati e con losfruttamento più intenso dei vecchi. Dun-que, con quali mezzi? Mediante la prepara-zione di crisi più generali e più violente e ladiminuzione dei mezzi per prevenire le crisistesse” (Manifesto del Partito Comunista,Marx-Engels, 1848).

Nella richiesta di “più democrazia” daparte del movimento di rivolta vi è contem-poraneamente la dimostrazione che il siste-ma borghese, per quanto democratico an-che in economia, non riesce a soddisfareadeguatamente il disagio sociale che, oltreun certo limite, si trasforma in malcontentogeneralizzato per scoppiare poi in rivoltasociale; e la dimostrazione che il sistema

politico borghese – in assenza di un movi-mento di classe del proletariato che attirisul proprio terreno, e sotto la propria gui-da, il malcontento generalizzato – riesce aingannare i movimenti di protesta socialeoffrendo loro una delle tante versioni didemocrazia che la società borghese ha pro-dotto nella sua storia di dominio di classe.Il disagio sociale che è provocato da fortedisoccupazione, salari troppo bassi, disoc-cupazione e miseria crescente, e che riguar-da le forze produttive della società che ven-gono distrutte dalla crisi capitalistica, so-prattutto quando si trasforma in rivolta so-ciale, viene affrontato dal potere borghesenormalmente con la repressione poliziescaaccompagnata, prima o poi, da un’offertadi forme democratiche fino a quel momentonon concesse. E’ questo il gioco sporcoche la borghesia attua ogni volta contro lemasse lavoratrici che si ribellano: se la re-pressione non soffoca il movimento di ri-bellione, entrano in campo i paladini della“vera democrazia”, della “libertà”, del-l’”eguaglianza”, degli “interessi comuni”della “nazione”.

Altro scenario si presenterebbe se fos-simo in presenza di un movimento proleta-rio di classe. Lo sviluppo capitalistico, an-che dopo la fine del colonialismo classico,è stato tale per cui i paesi ex coloniali nonhanno più l’obiettivo primario di romperedefinitivamente con i vincoli economici epolitici di tipo feudale; essi sono ormai di-ventati paesi capitalistici e le classi al pote-re sono le classi borghesi, le classi che de-tengono il dominio economico e politicoanche se lo sviluppo economico del paesenon corrisponde ad una eccezionale indu-strializzazione. Ciò significa che in questipaesi, alla presenza dei borghesi capitalistisi accompagna la presenza di masse prole-tarie e di masse di contadini poveri e di pic-cola borghesia commerciante e artigianache va a riempire gli spazi di produzione edi distribuzione non coperti dalla produ-zione industriale. Un proletariato, dunque,esiste da tempo in tutti questi paesi, in Tu-nisia, in Marocco, in Egitto, come in Libiain Arabia Saudita, in Giordania ecc. Ma ilfatto che esista un proletariato non signifi-ca che esista un suo movimento di classe,o che esista un movimento indipendente diclasse; il che non vuol dire che il proletaria-to di questi paesi non abbia partecipato, econ vigore, alle lotte contro il colonialismobianco o che non abbia ancora dei compitirivoluzionari contro i residui delle vecchieclassi sociali rappresentate dagli sceicchi;ma non ha avuto la possibilità di radicarenella propria lotta l’esperienza di classe che,ad esempio, riuscì a radicare il proletariatorusso a cavallo tra l’Ottocento e il Nove-cento nelle sue lotte sia contro i padronicapitalisti che contro lo zarismo e, in segui-to, contro la classe borghese che sostituìal potere lo zar e l’aristocrazia russa.

Per noi è superconfermata la responsa-bilità dell’opportunismo stalinista e post-stalinista nella decapitazione e nella dege-nerazione dei partiti comunisti fin dalla metàdegli anni Venti del secolo scorso, e in se-guito precipitando sempre più nel naziona-lismo e nel collaborazionismo socialimpe-rialista. Ciò significa che, non solo il prole-tariato europeo non poté contare sulla gui-da teoricamente salda e politicamente fer-ma dell’Internazionale Comunista e dellesue sezioni nazionali, ma che lo stesso gio-vane proletariato dei paesi coloniali, a par-tire dalla Cina e dalla Persia, fu fin dall’ini-zio indirizzato nel pantano del nazionalco-munismo. Non si può certo pretendere chei proletari dei paesi ex coloniali imbocchinosicuri la strada della lotta di classe lascian-dosi alle spalle tutti gli orpelli della demo-crazia borghese, peraltro importata nei loropaesi dai movimenti politici della democra-zia imperialista post-fascista – perciò damovimenti politici di democrazia fascistiz-zata – quando i proletari europei, intossi-cati fino al midollo di democrazia e di colla-borazionismo, non sono ancora in grado didifendersi con mezzi e metodi classisti sulterreno delle condizioni di vita e di lavoroimmediate. I proletari europei hanno un van-taggio storico rispetto a tutti gli altri prole-tari del mondo: per primi hanno lottato in-sieme alla borghesia, e quasi sempre al po-sto della borghesia, per far fuori feudalesi-mo e feudali, re e regnanti; per primi hannopagato col sangue le illusioni della demo-crazia borghese nelle rivoluzioni del 1848-

1850; per primi hanno dato l’assalto al cielocon la Comune di Parigi nel 1871 ma, nel-l’isolamento più tremendo, caddero nel ba-gno di sangue controrivoluzionario; per pri-mi, con la rivoluzione in Russia, conquista-rono il potere instaurando la dittatura pro-letaria e comunista che fece tremare il mon-do, costituendosi in partito comunista in-ternazionale, chiamato Internazionale Comu-nista, e che resse lo scontro con le classiborghesi di tutto il mondo in una micidialeguerra civile durata per tre lunghi anni.L’esperienza storica di questa lunga serie dilotte classiste e rivoluzionarie, condensatanelle Tesi dei primi due congressi dell’Inter-nazionale Comunista e nelle tesi e nelle bat-taglie di classe della Sinistra comunistad’Italia, è un formidabile patrimonio di clas-se del proletariato internazionale su cui pog-giare la rinascita del movimento di classe ecomunista di oggi e di domani. I proletaridei paesi ex coloniali e di giovane capitali-smo hanno, a loro volta, un vantaggio ri-spetto ai proletari europei e ai proletari ame-ricani: hanno sulle spalle 100 anni in menodi intossicazione democratica, e portano consé un vigore di classe che i proletari europeie americani hanno perso a causa di ciò cheMarx descrive brevemente ma efficacemen-te nel suo “Le lotte di classe in Francia dal1848 al 1850”. Egli scrive infatti, dopo averdescritto con grandissima lucidità la scon-fitta della rivoluzionedi febbraio 1848, quan-to segue: “Come sul continente il periododella crisi sopravviene più tardi che in In-ghilterra, così quello della prosperità. Ilprocesso iniziale lo si trova sempre in In-ghilterra; essa è il demiurgo del cosmoborghese. Sul continente le diverse fasi delciclo, che la società borghese ricominciasempre a percorrere, appaiono in formasecondaria e terziaria. Prima di tutto ilcontinente esporta in Inghilterra enorme-mente più che in qualsiasi altro paese.Questa esportazione in Inghilterra dipen-de però anch’essa dalla posizione dell’In-ghilterra, specialmente verso il mercatod’oltremare. Poi l’Inghilterra esporta neipaesi d’oltremare enormemente più che ilcontinente intero, cosicché la quantitàdell’esportazione continentali in quei pa-esi è sempre dipendente dalla contempo-ranea esportazione d’oltremare dell’In-ghilterra. Se quindi le crisi originano ri-voluzioni prima nel continente, la lorocausa si deve tuttavia trovare sempre inInghilterra. E’ naturale che le esplosioniviolente si manifestano prima alle estremi-tà del corpo borghese che nel suo cuore,perché qui le possibilità di un compensosono più grandi” (1).

I paesi di più vecchio e avanzato capita-lismo hanno più risorse a disposizione, nonsolo perché sono più avanzati tecnicamen-te nell’industria ma perché hanno sfruttato,e sfruttano, selvaggiamente le colonie e ipaesi più deboli ricavandone giganteschiprofitti, e quindi hanno più possibilità ma-teriali per compensare gli effetti delle crisicapitalistiche sulle proprie masse proletarie(l’Inghilterra, all’epoca, rappresentava ilcapitalismo più avanzato, rispetto al “conti-nente”, ossia ai paesi dell’Europa continen-tale, Francia compresa). Qui Marx parla dirivoluzioni, perché nel 1848-50 i movimentisociali erano appunto delle vere rivoluzioniin cui i proletari lottavano armi alla mano;ma il discorso vale egualmente per il disa-gio sociale che si trasforma in malcontentogeneralizzato e in rivolte sociali, come è ilcaso oggi di Tunisia, Algeria, Egitto. Questisommovimenti sociali, caratterizzati da unareale pressione fisica di masse immense an-che se non ancora armate, sono per l’ap-punto quelle “esplosioni violente che simanifestano prima alle estremità del cor-po borghese che nel suo cuore”, di cui par-la Marx.

L’incendio dell’esplosione sociale tuni-sina si è esteso ai paesi vicini, toccandol’Algeria e successivamente l’Egitto, altre“estremità del corpo borghese” imperialista.

In Algeria non si è avuta la repressionerepentina e brutale come in Tunisia, sebbe-ne la mobilitazione degli strati proletari epiccolo borghesi rovinati dalla crisi non sisia fermata. Il presidente Bouteflika e il suoentourage, più “esperti” di rivolte sociali diBen Alì, ha immediatamente preso posizio-ne a favore delle riforme, pensando soprat-tutto ai giovani più disagiati. Egli infatti in-tende “alleggerire le formalità e le procedu-re relative al trasferimento del piccolo com-

mercio informale dalla strada a luoghi at-trezzati in accordo con le associazioni e irappresentanti di questi settori” (il manife-sto, 5.2.2011), il che potrebbe voler dire chei venditori ambulanti non avranno più i po-liziotti alle calcagna; e il che induce a pen-sare che l’alta disoccupazione operaia haprodotto una massa di ambulanti tale dadover provvedere a regolamentarne l’atti-vità se non si vuole incorrere in ulterioriesplosioni sociali! Sempre ai giovani, Bou-teflika ha promesso che verrà facilitato l’ac-cesso al microcredito e l’assegnazione del-le case urbane e rurali, altro gravissimo pro-blema per la maggioranza della gioventùalgerina. Non si può dimenticare che in Al-geria dal 1992 vige lo stato d’emergenzagrazie al quale tutti gli spazi della cosiddet-ta libertà di circolazione delle persone, delleidee, delle opinioni, di manifestazione ecc.sono praticamente chiusi. La rivolta di gen-naio e le mobilitazioni annunciate si vannoa scontrare proprio con le norme dello statod’emergenza, di cui si chiede semplicemen-te la revoca, ma su cui il governo sembranon cedere.

In Egitto, dal 25 gennaio è in corso unacontinua e gigantesca mobilitazione di mas-se proletarie e piccoloborghesi al Cairo,oltre che ad Alessandria, a Suez e in moltealtre città della Valle del Nilo, ribellatesi an-che qui a condizioni di vita intollerabili datala miseria in cui è precipitata una parte con-siderevole della popolazione.Anche in Egit-to, il movimento di piazza Tahrir – la piazzaprincipale del Cairo – rappresenta contem-poraneamente l’espressione di un malcon-tento generalizzato per gli effetti devastantidella crisi economica che si è abbattuta an-che in Egitto, e la speranza di ottenere piùdemocrazia, più libertà, e condizioni di vitamigliori lottando a mani nude. L’Egitto è unodei più importanti paesi del Medio Orientee del mondo arabo. In un quindicennio èpassato da 60 a 80 milioni di abitanti che,per la morfologia del paese, sono tutti con-centrati praticamente nella Valle del Nilo; il96% del territorio è incolto e in buona partedesertico, e pur avendo dei giacimenti dipetrolio e di gas naturale non è tra i maggio-ri paesi “petroliferi”. Ma è situato in unadelle più importanti cerniere del commerciointernazionale, possedendo il Canale diSuez dai cui pedaggi ricava buona parte dellerisorse in valuta pregiata; è d’altra parte unpaese soprattutto agricolo produttore dicotone, frumento, mais, riso, zucchero eagrumi, prodotti che esporta soprattuttoverso i paesi del Mediterraneo e gli Usa.Ma ciò che caratterizza l’economia egizianasono i finanziamenti internazionali da partedegli Stati Uniti e della Banca Mondiale,mentre dal punto di vista degli equilibrimediorientali, da quando gli Stati Uniti han-no organizzato a Camp David l’incontropacificatore tra Sadat e Begin col quale Egit-to e Israele terminavano la loro lunga guer-ra, l’Egitto è diventato sempre più la pedinapiù importante della politica imperialisticaamericana in Medio Oriente, sia per l’in-fluenza che storicamente ha sempre avutoverso la popolazione palestinese che per ilpeso politico nella Lega Araba.

Da 30anni il generale Hosni Mubarak èalla guida del paese e da 30anni assicuraagli Stati Uniti un rapporto d’alleanza stabi-le tra Usa ed Egitto. Ed è a questo rapportostabile che si riferiva Hillary Clinton quan-do, qualche giorno dopo le marce di prote-sta contro Mubarak, insisteva nel dire cheil regime di Mubarak era “stabile”, proba-bilmente su suggerimento di Nietanyahu,egualmente interessato a difendere un rap-porto di buon vicinato e “antipalestinese”con il raìs egiziano. Il timore di Washingtone di Gerusalemme è che la rivolta delle mas-se egiziane di questi giorni possa peggiora-re sensibilmente gli squilibri che tormenta-no il Medio Oriente, non solo per la storicacontrapposizione tra israeliani e palestine-si, ma per le vicende legate alla pressionedell’Iran su tutta l’area, all’instabilità con-genita del Libano, alla possibile esplosionedi una guerra interna in Iraq appena le trup-pe americane se ne siano andate. La rivoltadelle masse egiziane non ha carattere reli-gioso, è spontaneamente laica e candida-mente democratica; ma è sufficientementedeterminata ad ottenere un cambiamento digoverno col movimento di piazza, visto chein parlamento – controllato ferreamente dalpartito di Mubarak - non è stato possibilefinora alcun avvicendamento con i partiti di

opposizione dal peso insignificante e tolle-rati proprio per questo. Anche la piazzaTahrir, diventata il centro nevralgico delmovimento di rivolta, come già a Tunisi,chiede più democrazia, riforme e lancia ilmonito: Mubarak, vattene! Mubarak è peròil rappresentante di una sistema di potere,molto legato alle forze armate da cui pro-viene, forze armate che hanno assicuratoin tutta la storia dell’Egitto indipendenteforme di governo borghese stabili. Non pernulla, tutti avevano gli occhi puntati sul-l’esercito e sui suoi carri armati cercando dicapire quali mosse avrebbe attuato.Mubarak, oltre all’esercito che conta ben450.000 soldati, ha contato in tutti questianni sudueforzeparamilitari graziealle qualiha potuto governare praticamente senzaopposizioni e rintuzzando facilmente i ten-tativi terroristici con cui Al Qaeda ha tenta-to di farlo fuori: leForze di sicurezza centra-li (ben 232.000 uomini) e la Guardia Nazio-nale (60.000 uomini). Qualcosa evidente-mente si è spezzato nei legami tra Mubarake l’esercito poiché quest’ultimo non ha spa-rato un colpo, almeno finora, contro le mas-se che protestavano; ma non ha nemmenomosso un dito il giorno in cui qualche mi-gliaio di fedelissimi di Mubarak, poliziottiin borghese, agenti dei servizi segreti e sot-toproletari pagati appositamente per aggre-dire con bastoni, coltelli e bottiglie incen-diarie, intimidire, spaventare e far fuggire imanifestanti di piazza Tahrir. Sembrava chel’esercito attendesse di vedere quanto re-sisteva il movimento di protesta anti-Mu-barak, nonostante le aggressioni, i morti eferiti, e nonostante le aggressioni anche aigiornalisti stranieri, e attendesse un segnaleda parte degli Stati Uniti che ancora a 10giorni dall’inizio della mobilitazione anti-Mubarak non avevano preso una chiaraposizione. La piazza però ha tenuto, il mo-vimento aggredito violentemente non si èdissolto, anzi si è rafforzato.

La situazione in Egitto, mentre scrivia-mo, ha preso questa piega: Mubarak hadovuto promettere di non presentarsi piùalle elezioni di settembre, quando era pre-vista la successiva tornata elettorale per lepresidenziali; ha nominato un vice-presi-dente, il capo dei servizi segreti Suleiman alquale gli Stati Uniti, e dietro di loro l’Unio-ne Europea, hanno chiesto di gestire la“transizione” a quello che chiamano il“dopo-Mubarak”, mentre l’esercito conti-nua a presidiare i punti nevralgici del Cairo– e in primis Piazza Tahrir – e delle altre cittàimportanti continuando a non intervenirecontro i manifestanti. Inizieranno i colloquitra Suleiman e i partiti dell’opposizione, dal“Movimento 6 aprile” al “comitato dei sag-gi” rappresentato da El Baradei, ad AmrMoussa, segretario generale della lega Ara-ba e compresi i Fratelli Musulmani, tolleratifinora sebbene illegali, i quali ultimi hannodichiarato che non intendono presentareun proprio candidato alle prossime elezio-ni. La piazza chiede che Mubarak si dimettae se ne vada in esilio, ma Mubarak non haalcuna intenzione di andarsene mentre hagià detto che intende mantenere la carica dipresidente della repubblica fino a fine man-dato pur essendosi tolto dalla carica di capodel governo; e di questo avviso sarebberopure gli imperialisti protettori americani edeuropei che hanno interesse ad evitare chel’Egitto finisca in un caos di tipo libanese.

Ordine!, è questo l’imperativo catego-rico di ogni borghesia dominante, in Egittocome a Washington, a Tunisi o ad Algericome a Berlino, a Parigi o a Roma. I giornidella “rivoluzione dei gelsomini” a Tunisisono passati, Bel Alì se n’è andato conmoglie e figli, e la “transizione” ad un go-verno “più democratico” stenta a mettersiin moto; e i proletari e i contadini poveritunisini si ritroveranno magari con un “di-ritto democratico” in più, ma con una con-dizione materiale di vita peggiore. I “giornidell’ira”, la “bella rivoluzione” egiziana incui le diverse classi, dai proletari ai borghe-

Tunisi,Algeri, Il Cairo…

Le mobilitazioni di massa, partite da un malcontento generalizzatoper la crisi economica ma prigioniere delle illusioni democratiche, nazionali e pacifiste, fanno cadere

qualche governante ma non cambiano il corso del dominio capitalistico e delle manovreimperialistiche che temono solo una cosa:

la lotta di classe proletaria, indipendente e internazionalista

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IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 3

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si, sul solco delle grandi battaglie di classecontro il riformismo e l’interventismo inguerra e contro il virus della democraziaparlamentare, in piena continuità e intran-sigenza teorica nella Frazione ComunistaAstensionista (4) – seppe far tesoro nellanecessaria, cosciente e voluta rottura nonsolo con le correnti della destra riformista eantirivoluzionaria, ma anche con le più insi-diose correnti del massimalismo centrista,rivoluzionarie a parole e riformiste nei fatti.Questi fattori oggettivi si possono sintetiz-zare così: la lotta di classe in Italia non erascomparsa nemmeno durante la guerra del1915-18 e riprese con grande vigore nel bi-ennio successivo alla fine della guerra, macontro di essa non ci fu la feroce repressio-ne di cui fu vittima in Germania lo sparta-chismo, repressione che giungerà negli annisuccessivi, col fascismo; non ci fu nemme-no, come scrive la nostra “Storia della sini-stra comunista”, “la spaventosa emorragiaumana imposta da un ciclone prolungatosiper quattro anni e il senso se non di eufo-ria, certo di rilassamento, seguito nella clas-se operaia al ‘cessate il fuoco’ ”. In Italia, adifferenza della Francia, mancavano le tra-dizioni radicali e giacobine che invece pe-savano molto sul movimento comunista inFrancia col loro fondo interclassista che infunzione antifeudale aveva avuto sensostorico ma che in funzione anticapitalisticarappresentava un poderoso intralcio; in Ita-lia, inoltre, le tradizioni secondinternazio-naliste, quindi socialimperialiste, avevanoun peso ben minore di quanto non lo aves-sero in Germania, dove invece esse si diffu-sero e radicarono in tutti i campi, della teo-ria come della prassi parlamentare e sinda-cale, dell’organizzazione immediatacomedelpartito. In Italia, il potere borghese stessouscì dalla guerra molto più instabile che nonin Francia e in Germania, mentre i settorid’avanguardia del movimento operaio espri-mevano una ricettività al programma rivo-luzionario migliore e una resistenza all’in-fluenza del comunismo rivoluzionario menoforte che negli altri due paesi.

Un altro fattore oggettivo, al contrario,ebbe in Italia un peso più negativo che inFrancia e Germania. Si tratta della traiettoriadel centrismo politico.

In Francia, la destra della SFIO (i Blum,i Faure) (5) e, in Germania, la destra degliIndipendenti (i Kautsky, gli Hilferding),quindi i rappresentanti della destra riformi-sta e antirivoluzionaria, furono dichiarata-mente e pubblicamente gli avversari dellarivoluzione proletaria e coloro che resistet-tero a parole e nei fatti alle “imposizioni”dell’Internazionale Comunista, rivelandocosì agli occhi delle masse proletarie di es-sere forze che non avrebbero mai potutoessere guadagnate alla causa della rivolu-zione. Di fronte ad esse, la maggioranza“centrista” se, da un lato, tendeva a nonfare la stessa campagna antibolscevica dei

destri, dall’altro lato non voleva scindersida essa per mantenere “unito” il partito,rimandando ad un congresso straordinariola definizione delle differenze tra di loro e ladiscussione sull’accettazione dei famosi“21 punti” delle condizioni di ammissioneall’Internazionale Comunista. Da questicongressi tutto ci si poteva aspettare, menoche scindessero veramente, in forma chia-ra e netta, le forze che incondizionatamentesostenevano il programma della rivoluzio-ne proletaria definito nel II congresso del1920 dell’Internazionale Comunista, facen-do proprie le 21 condizioni d’adesione, dal-le forze che invece non intendevano accet-tare questa o quella tesi, questa o quella“condizione di adesione”, mettendo in di-scussione di volta in volta una o l’altra de-cisione dell’Internazionale e affossando,così, in un verbalismo rivoluzionario le pos-sibilità reali della preparazione rivoluziona-ria non solo del partito comunista ma dellostesso proletariato che il partito aveva ilcompito di guidare nella rivoluzione per laconquista del potere spezzando e abbat-tendo lo Stato borghese.

In Italia, la chiarezza politica e, quindi,l’efficienza pratica scaturirono sì da un con-gresso, quello di Livorno, ma da un con-gresso che, in realtà, ratificava una scissio-ne che era “già in atto e come tale non soloaccettata ma voluta dalla frazione comuni-sta, nei termini ed alle condizioni ritenuteinderogabili dall’Internazionale” (6). Il cen-trismo in Italia, però, assunse un ruolo di-verso che in Francia e in Germania: sosti-tuendosi alla destra riformista, quanto piùci si avvicinava al congresso straordinariodel PSI di Livorno, tanto più assumeva sul-le posizioni della destra il compito di pole-mizzare con l’Internazionale soprattutto nelmettere in primo piano la necessità, per larivoluzione, di accumulare capacità tecni-che ed esperienza organizzativa dei diri-genti sindacali e degli amministratori co-munali riformisti, come se la rivoluzionefosse una “questione di organizzazione”.In questo modo, le dichiarazioni di formaleaccettazione dei principi della rivoluzione edella dittatura proletaria venivano condi-zionate, nella loro applicazione, da mecca-nismi caratteristici della democrazia borghe-se. Così, in Italia, fu relativamente più facilepercepire e denunziare il processo obietti-vo di meccanica sociale per cui l’intransi-genza rivoluzionaria del centrismo serratia-no (7), che accettava i principi della rivolu-zione e della dittatura proletaria ma non nederivava un indirizzo di azione con essi co-

erente (ossia un indirizzo che escludesseogni ipotesi di conquista del potere, e delsuo esercizio, nelle forme della democraziaparlamentare), era inevitabilmente obbliga-ta a retrocedere dalla posizione idealmenterivoluzionaria ad una prassi direttamente oindirettamente collaborazionista con la bor-ghesia. La necessità per i comunisti rivolu-zionari di rompere non solo con la destrariformista ma anche con la tendenza centri-sta era perciò più evidente, sebbene per illoro passato “massimalista” i serratiani po-tessero apparire meno inclini a cedere alcollaborazionismo.

Questi fattori non bastano però a spie-gare l’eccezione che fu allora Livorno 1921,rispetto ad Halle e a Tours, e agli altri con-gressi di costituzione dei partiti comunisti;senza il peso determinante della FrazioneComunista Astensionista nel processo didecantazione delle forze destinate a costi-tuirne il nerbo, il Partito Comunista in Italia,sezione dell’Internazionale Comunista, nonsi sarebbe caratterizzato così fortemente intutti i campi d’attività del partito di classe,dalla teoria ai principi, dai fini al programmaalla tattica e all’organizzazione. La stessaFrazione comunista astensionista (il cui ri-ferimento storico è il Soviet di Napoli) haradici profonde, esattamente nel corso sto-rico della corrente della sinistra rivoluzio-naria che in Italia prende corpo dal 1910 inpoi, corrente che, nel periodo immediatamen-te precedente la guerra mondiale 1914-1918,poggiò su basi teoriche sicure e svolse inun’incessante battaglia pratica la lotta con-tro il duplice revisionismo riformista e “sin-dacalista”, rimettendo ordine in concettifondamentali come il rapporto fra partito eorganizzazioni economiche immediate, pro-gramma massimo e rivendicazioni minime,centro dirigente del partito e organismi pe-riferici, socialismo e cultura, socialismo ereligione (e chiese costituite), socialismo emassoneria, o come le questioni scottantidei blocchi elettorali, dei limiti dell’azioneparlamentare, dell’atteggiamento del parti-to di fronte all’irredentismo, e via elencan-do.

Lo scoppio della prima guerra mondialenon solo non incise sulla combattività del-l’estrema sinistra, ma la rinvigorì e le diedeun carattere d’urgenza insieme lucida e ap-passionata. I testi contenuti nel volume ci-tato della Storia della Sinistra comunista(8) provano come, di fronte al tentennante eteoricamente insufficiente “neutralismo”della Direzione del PSI e ai paurosi sbanda-menti di una destra intollerante di ogni di-

sciplina alle direttive centrali del partito, laSinistra comunista abbia difeso su tutti gliorgani di stampa e nelle riunioni del partito“adulto” e della federazione giovanile, lestesse tesi che la sinistra internazionale diZimmerwald e Kienthal proclamò e sosten-ne nella drammatica fase del fallimento del-la II Internazionale, e lo abbia fatto malgra-do l’assenza di legami diretti al di sopra deiconfini di Stato. Si deve alla continuità diquesta battaglia teorica e pratica se, fin daiprimi giorni di “pace”, la sinistra poté, sianella stampa centrale e nelle riunioni nazio-nali di partito, sia attraverso il suo combat-tivo organo “Il Soviet” di Napoli, lanciareuna rovente offensiva tanto contro la de-stra apertamente e francamente riformista edemocratica, quanto contro l’equivoco eancor più pericoloso “centro” massimali-sta, roboante e confuso nelle sue velleitàrivoluzionarie come restìo a separarsi dalladestra e ad abbracciare senza riserva il pro-gramma della Terza Internazionale median-te il rifiuto irrevocabile e definitivo del me-todo legalitario.

Di fronte ad una situazione internazio-nale e nazionale che vedeva da un lato lemasse proletarie scendere sul terreno dellalotta aperta contro l’avversario di classecarico dei cruenti allori dell’immane carne-ficina bellica, e dall’altro il partito socialistarincorrere il fantasma di successi elettoralisacrificando ad essi la preparazione rivolu-zionaria del proletariato ad una presa delpotere che la corrente del “Soviet” non cre-dette mai vicina, ma che sapeva non sareb-be mai stata possibile perdurando l’equi-voco di un partito rivoluzionario a parole elegalitario nei fatti; di fronte a questa situa-zione, la Sinistra comunista vide nella ri-vendicazione dell’astensionismo elettorale– su basi non solo diverse, ma opposte aquelle proprie dell’ideologia anarchica osindacalista – il più efficace catalizzatoredel processo di separazione sia dai riformi-sti che dai falsi rivoluzionari massimalisti.Ma questa rivendicazione di carattere “stru-mentale” fu ben lungi dal costituire il trattodistintivo e il contenuto vero della correntedi estrema sinistra e, nella lotta di questa, leelezioni del 1919 furono l’ultimo pensiero. Ipunti fondamentali, per quella che allora sichiamò la “Frazione Comunista Astensio-nista”, erano e saranno il tema delle roventibattaglie di Bologna 1919, Mosca 1920, Li-vorno 1921 (9):

1. Affermazione delle basi teoriche delmarxismo rivoluzionario e della sua prospet-tiva del trapasso dal potere capitalistico a

quello operaio e, per ulteriore svolgimentostorico, dall’economia privata al socialismoe al comunismo.

2. Affermazione che la dottrina e il pro-gramma della Terza Internazionale di Mo-sca non erano un risultato nuovo ed origi-nale della Rivoluzione russa, ma si identifi-cavano con i canoni marxisti del punto pre-cedente.

3. Affermazione della necessità che ilnuovo movimento successivo al fallimentodella Seconda Internazionale nascesse ra-zionalmente e internazionalmente attraver-so una spietata selezione e scissione daglielementi revisionisti e socialdemocratici.

4. Posizione presa dalla Sinistra contromolteplici erronee e demagogiche enuncia-zioni dei massimalisti del tempo e contro laloro ridicola prospettiva dell’atto rivoluzio-nario in cui in realtà non credevano (lo“sciopero espropriatore”!); ed anche con-tro la prematura proposta di formare artifi-ciosamente i soviet e la non meno erroneacostruzione propria degli ordinovisti di To-rino che vedevano la società nuova già co-struita cellula per cellula nei consigli indu-striali di fabbrica.

5. Dimostrazione che, malgrado i banaliriferimenti all’astensionismo degli anarchi-ci, i comunisti respingevano e considera-vano anti-rivoluzionarie tutte le correnti po-sizioni anarco-sindacaliste, specie in quan-to rifiutavano la dittatura statale da partedel partito politico di classe.

6. Giudizio sullo svolgimento politicoitaliano, che non consisteva nella propostabruta di scatenare illico et immediate la ri-voluzione armata, appunto perché fase sto-rica pregiudiziale a questa avrebbe dovutoessere la costituzione del vero Partito co-munista e un’adeguata conquista della suainfluenza sull’avanguardia del proletariato;e previsione che la prospettiva ottima perla conservazione del potere borghese in Ita-lia era la persistenza dei partiti proletari inuna posizione indefinita tra la preparazionedei mezzi rivoluzionari e l’uso dei mezzilegalitari, e il tentativo – che a distanza didecenni ha finito per trionfare – di attirareuna larga schiera di pretesi esponenti dellaclasse operaia prima nel parlamento, poinella macchina governativa statale.

Di là dalla polemica sull’astensionismo,saranno questi gli stessi punti-chiave del IICongresso dell’Internazionale nel 1920, ipunti sui quali si batteranno insieme Lenin,il partito bolscevico e quella Sinistra chescioccamente gli storici dissero e dicono“italiana”.

A Livorno ci si arrivò nel corso di unatenace e prolungata battaglia di classe nontanto per “raddrizzare” un partito, il PSI, cheaveva già dato prove concrete di non sa-persi e volersi sbarazzare delle correntiriformiste e anti-rivoluzionarie, quanto perscindere, nella chiarezza teorica, program-matica, politica e d’azione, i comunisti rivo-luzionari da tutti gli altri, indirizzati a costi-tuire nel modo più solido teoricamente eferrato politicamente il partito della rivolu-zione proletaria.

Le vicende storiche spinsero tre forze,di origine e formazione differenti, a conver-gere su di un’unica piattaforma politica cheera quella delle Tesi e delle Condizioni diammissione del secondo congresso dell’In-ternazionale Comunista. Le forze erano: laFrazione comunista astensionista del So-viet; il gruppo torinese derivante dall’Or-dine Nuovo; l’esile, a tutta prima, poi co-spicua, estrema sinistra del massimalismo.Ma nessun mercanteggiamento avvennefra l’una e l’altra e, se la prima rinunziò allapregiudiziale tattica, quindi secondaria,dell’astensionismo (come era già pronta afare nel 1919), il secondo abbandonò tuttele sue posizioni di principio e la terza feceproprie quelle propugnate in lunghi mesiunicamente dal “Soviet”, prime fra tutte letesi sul ruolo centrale del Partito nella ri-voluzione e della dittatura comuniste e l’esi-genza della centralizzazione e della discipli-na. Prendiamo la mozione e il programma diLivorno: in essi non v’è nulla che anchesoltanto arieggi l’ordinovismo; tutto rivelal’impronta della Sinistra comunista, che èpoi quella bolscevica e quella a cui noi ciricolleghiamo direttamente. Su quella trac-cia le tre componenti – che da Livorno atutto il 1922 restarono indistinguibili (aparte l’ordinovistaA. Tasca, tutti gli altri exOrdine Nuovo si batterono senza riserveper il programma della Sinistra, ma eccedet-tero addirittura in intransigenza, tanto dagiustificare, entro un certo limite, l’accusa

Contro ogni deviazione opportunistica, contro il potere borghese e il suo Stato, per la rivoluzione proletaria e comunista

90 anni fa, a Livorno, nasceva il Partito Comunista d’Italia,sezione dell’Internazionale Comunista

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Operai immigrati che protestano in cima alle gru a Brescia o alle torri a Milano

I proletari immigrati lottano per essere riconosciuti lavoratorialla pari dei proletari italiani,

ma la debole solidarietà messa in campofacilita la repressione borghese ad agire indisturbata

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Milano, 21 novembre 2010Dopo 17 giorni passati in cima ad una

gru in un cantiere nel centro di Brescia, sfer-zati da vento, pioggia, freddo, 4 proletariimmigrati sono stati convinti dalla Curia edai sindacalisti della Cisl e della Cgil a inter-rompere la loro protesta.

Brescia, secondo le statistiche ufficiali,è la provincia italiana con la presenza piùconsistente di proletari immigrati. Qui ab-bonda il lavoro nero, dunque lo sfruttamen-to a man bassa di lavoratori immigrati resipiù deboli di quanto non siano già in par-tenza date le loro condizioni di fame e dimiseria da cui provengono, proprio in virtùdi leggi assassine che hanno trasformatouna condizione sociale – la clandestinità -un reato. E se abbonda il lavoro nero, ab-bonda l’evasione fiscale di imprenditorisenza scrupoli che, mentre sostengono ognisorta di pregiudizio contro “lo straniero”,non hanno nessun problema “di coscien-za” a sfruttare bestialmente la condizionedi clandestinità di molti proletari immigrati.

La protesta che i lavoratori immigratihanno messo in atto salendo a 35 metri d’al-tezza in cima ad una gru a Brescia, dovehanno resistito 17 giorni e 16 notti, aveval’obiettivo di lottare contro quella che essistessi hanno definito la “sanatoria truffa”.In sostanza, con l’ultima sanatoria versogli immigrati varata dal governo, si è data lapossibilità di “regolarizzare” la propria pre-senza sul territorio italiano solo alle badan-

ti e alle colf, escludendo quindi tutti gli altrilavoratori. Questa vigliacca discriminazio-ne ha di fatto rigettato nella “clandestini-tà” migliaia e migliaia di proletari immigraticostretti a rinnovare il permesso di soggior-no o che avevano perso recentemente illavoro. Sanatoria truffa, perché da un latosi impedisce per legge la regolarizzazionedei lavoratori immigrati in generale e quindianche per coloro che sono in Italia da annie, dall’altro, perché attraverso la documen-tazione già avviata per la regolarizzazionemoltissimi immigrati si sono trovati – dopoaver sborsato centinaia di euro – nella con-dizioni di “autodenunciarsi” come “irrego-lari” e quindi passibili di espulsione; cosache è avvenuta ormai sistematicamente eche ha colpito anche alcuni proletari chesostenevano la protesta di Brescia. Tra itanti, “il manifesto” del 19 11.2010 dà noti-zia di Mohammed, di origine egiziana e co-nosciuto a Brescia da molti come Mimmo,che è stato fermato ed espulso in Egittoperché nel 2008 è stato fermato e condan-nato per il reato di “clandestinità” a causadella quale condanna la sua domanda disanatoria (faceva il saldatore e lavorava innero) è stata respinta.

La lotta dei proletari immigrati a Bresciaha trovato della solidarietà, purtroppo mol-to limitata, soprattutto da parte di giovani,dei centri sociali edi altri proletari immigra-ti. Ci sono stati scontri con la polizia duran-te alcune manifestazioni, in quanto la poli-

zia impediva ai sostenitori di avvicinarsi allagru e di presidiare il luogo a difesa dellaprotesta e per un soccorso immediato in casodi bisogno. Ci sono stati giorni in cui la po-lizia ha impedito che i lavoratori sulla gruvenissero forniti di cibo e di coperte, ma ladeterminazione nel lottare per la propria vitali ha fatti resistere per molto tempo. Essihanno lottato non solo per se stessi ma per-ché a tutti i lavoratori immigrati venga rico-nosciuto il diritto alla regolarizzazione, ehanno continuato a propagandare la neces-sità di lottare, portando il proprio esempio,perché senza lotta, senza rendere visibile econosciuta il più possibile la condizione dischiavi in cui sono costretti, non è possibi-le conquistare nemmeno un minimo risulta-to e, in particolare, la difesa della dignità dilavoratori!

Essi hanno rischiato consapevolmentel’arresto e l’espulsione dall’Italia, ma non sisono tirati indietro! Essi hanno continuatoa denunciare la loro situazione che è la si-tuazione di decine di migliaia di proletariimmigrati, e a sollecitare la solidarietà daparte dei lavoratori italiani dimostrando checon la loro lotta, con la loro emersione dallavoro nero e dalla “clandestinità” portava-no un contributo prezioso alla lotta controla concorrenza fra proletari. I 4 proletari chesono alla fine scesi dalla gru hanno ottenu-to, almeno a parole, la garanzia di un per-messo di soggiorno. E’ un risultato; ma han-no voluto dichiarare subito che non smet-

teranno di lottare ancora perché a tutti i la-voratori immigrati venga riconosciuto il di-ritto a vivere e a lavorare in Italia senza es-sere costretti alla clandestinità.

Per chi non chiude gli occhi, è evidentel’obiettivo della legge sul reato di clande-stinità: è prima di tutto un favore a tutti gliimprenditori che sfruttano a loro piacimen-to i lavoratori immigrati contando non solosul loro bisogno economico quotidiano disopravvivenza, ma soprattutto sul fatto chesarà più facile piegarli a qualsiasi condizio-ne pur di guadagnare qualche soldo; è, insecondo luogo, un mezzo per discriminareall’origine i lavoratori dividendoli e metten-doli gli uni contro gli altri e non solo immi-grati contro italiani, ma immigrati irregolaricontro immigrati regolari; in terzo luogo, èun modo per tenere a bada gli stessi prole-tari italiani minacciati dal ricatto classico diessere sostituiti da lavoratori che al padro-ne “costano meno e fanno meno storie”.Sono motivi più che sufficienti perché i pro-letari italiani abbiano interesse a solidariz-zare con la lotta dei proletari immigrati, maquesto raramente succede, e nel caso diBrescia, come nel caso di Castel Volturno,di Rosarno e di mille altri luoghi, è succes-so solo in piccolissima parte e nel silenziopiù totale delle organizzazioni sindacali chenon hanno mobilitato nessuno in sostegnodella lotta dei proletari immigrati.

Questi proletari lavorano a migliaiasfruttati dai padroni italiani, e solo per avermesso piede in questa terra sono conside-rati “delinquenti” cioè “clandestini” (daquando il governo borghese ha istituitoappunto il “reato” di clandestinità). Il ten-tativo dei proletari immigrati saliti sulla grua Brescia, come quelli saliti sulla torre aMilano, è quello di attirare l’attenzione de-gli altri proletari, e soprattutto dei proletariitaliani, verso il loro diritto ad essere consi-

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 20114

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moscovita di infantilismo) – si mossero incompleta sintonia. Le basi per il partito co-munista rivoluzionario in Italia furono date,indiscutibilmente, dalla corrente della sini-stra comunista che faceva riferimento al“Soviet” di Napoli: tutto il lavoro di prepa-razione teorica, programmatica e tattica fucompiuto dal “Soviet” di Napoli e da quelloche in pratica ne è il derivato su scala na-zionale, “il Comunista” di Imola (10). E’ sta-to un lavoro impostato in modo univocosecondo una prospettiva che non consen-te dubbi: la scissione era considerata tantoinevitabile quanto salutare, e non sarà con-dizionata da valutazioni contingenti di mag-gioranza o minoranza, ma ubbidirà a criterioggettivi più rigidi di quanto non si augu-rava Mosca stessa. Nessuna eccezionevenne né verrà in seguito invocata: si vole-va e si chiedeva invece l’applicazione inte-grale delle regole, non per “purezza ideale”ma per solidi motivi di efficienza pratica;d’altra parte, per il marxismo non esiste effi-cienza pratica che non rispecchi una coe-renza teorica.

La ragione di tutto ciò va cercata nellaforza di attrazione esercitata dalla tradizio-ne decennale di lotta contro le deviazioniriformiste, centriste e revisioniste che solola nostra corrente poteva vantare, e dallasolidità di un inquadramento teorico cheaveva trovato completa espressione nelleTesi votate dalla conferenza nazionale dell’8-9 maggio a Firenze e negli interventi diAmadeo Bordiga al II congresso dell’Inter-nazionale (11), gettando così le basi dellafondazione non formale ma reale del Parti-to. La nostra corrente, d’altra parte, eral’unica che possedeva una rete nazionalefortemente centralizzata (12), mentre il grup-po dell’Ordine Nuovo, soprattutto nellaseconda metà del 1920, scomparve comeentità politica caratterizzata da un precisoorientamento e da una fisionomia inconfon-dibile. Dunque, in virtù di un’influenza teo-rica, politica e, quindi, anche organizzativa,la Frazione comunista del PSI, detta anchedi “Imola” – formata da quelle tre correnti –si presentò a Livorno con un programmanello stesso tempo generale e di azione eche non era concepito come piattaformaintesa a riunire il massimo possibile di con-sensi in sede di congresso, ma come baseprefissata di impostazione programmati-ca e di inquadramento pratico del nuovopartito, non suscettibile di modifiche,attenuazioni o concessioni agli umori diassemblee arroventate da polemiche recentio antiche.

Non era dunque il responso di un con-gresso quel che avrebbe dovuto dare lasoluzione del problema della costituzionedel partito comunista in Italia; la soluzionerisiedeva, da un lato “in tutte le esperienzee la preparazione politica della Sinistra” delPsi, dall’altro “e più ancora nel contenutodel programma d’azione della III Interna-zionale”. Incontestabilmente nostra fu quin-di la formula, usata a nome di tutta la Fra-zione da Amadeo Bordiga nell’articolo daltitolo Verso il Partito Comunista:

“Antidemocratici anche in questo, nonpossiamo accettare come ‘ultima ratio’ laespressione aritmetica della consultazio-ne di un partito che non è un partito. Ilriconoscimento della giustezza della opi-nione espressa dalla maggioranza comin-cia là dove comincia la omogeneità di pro-gramma e di finalità; non lo accettiamonella società divisa in classi, non nel senodel proletariato dominato necessariamen-te dalle suggestioni borghesi, non nel senodi un partito che comprenda troppi ele-menti piccolo borghesi, ed oscilli storica-mente tra la vecchia e la nuova Interna-zionale e non sia quindi nella sua coscien-za e nella sua pratica il partito di classedi Marx” (13).

La conclusione che si trarrà a Livorno,“della immediata uscita dal Partito e dalCongresso appena il voto ci avrà posto inminoranza”, era scontata in anticipo, manon idealizzata, insieme alla duplice con-vinzione, tutta nostra, che in seguito, inseno al centro massimalista, si sarebbe pro-dotta una crisi tanto più feconda quantopiù ci si fosse attenuti a criteri di massimaselezione politica dei quadri del partito e diferma volontà di agire soltanto sulla lorobase ai fini di un allargamento della propriainfluenza. Dalla rottura col centro massima-lista dipendevano le sorti future del partito,e, con esso, dell’intero proletariato italia-no. E’ qui il nodo che fa di Livorno un casointernazionalmente unico ed esemplare.

* * *Gli argomenti e i brani che abbiamo ri-

preso dalla Storia della Sinistra comunistamettono in evidenza il fatto che il partitocomunista, il partito rivoluzionario del pro-letariato, in Italia è nato adulto, con radiciche affondavano nelle battaglie di classe indifesa del marxismo, e quindi della teoria

della rivoluzione comunista, contro le di-verse varianti dell’opportunismo, dall’anar-chismo al sindacalismo, dal riformismo alrevisionismo al centrismo massimalista. Levicende storiche che hanno caratterizzatol’Italia borghese, e l’Italia proletaria, nelquadro dello sviluppo capitalistico europeoe mondiale e nel quadro del corso storicodel movimento proletario e del movimentomarxista, hanno permesso alla corrente po-litica che si identificherà come corrente disinistra comunista, non solo di nascere esvilupparsi ma di radicarsi saldamente inuna battaglia di classe che aveva necessa-riamente respiro e orizzonte internazionale,e che si vide rappresentata nella sua mas-sima espressione di coerenza e di efficaciada un gigante teorico come Lenin. Non devestupire, perciò, che le posizioni su cui sirafforzò la Sinistra comunista in Italia colli-mavano perfettamente sul piano della teo-ria, dei principi, dei fini, del programma edel piano d’azione rivoluzionario con quel-le espresse da Lenin. Il marxismo era la stes-sa base teorica da cui discendono coeren-temente principi, fini, programma e pianod’azione rivoluzionario che non contraddi-cono la stessa base teorica.

Livorno rappresenta, nell’Occidentecapitalistico sviluppato, il punto più altoraggiunto dal movimento rivoluzionario ecomunista ed esso, proprio per questa spe-cifica qualità, svolge storicamente – dopola caduta rovinosa e degenerata della TerzaInternazionale nell’opportunismo e nellostalinismo – il ruolo insieme di punto d’arri-vo e di partenza per il partito comunistasenza particolarità nazionali, quindi per ilpartito di classe internazionale che dovevarinascere dalla distruzione operata dallo sta-linismo. Qui noi troviamo la ragione di unriferimento storico imprescindibile cui rima-nere saldamenti collegati, poiché la possi-bilità di ricostituire il partito di classe subasi teoricamente solide e su bilanci dina-mici non solo delle rivoluzioni, ma soprat-tutto delle controrivoluzioni, è data solodalla restaurazione teorica del marxismo edalla riconquista di un metodo per portareavanti le battaglie di classe che la Sinistracomunista d’Italia è stata, unica correntemarxista al mondo, in grado di attuare.

Lo stalinismo ebbe ragione della TerzaInternazionale, con effetti molto più deva-stanti per la ripresa della lotta rivoluziona-ria, di quanto non ebbe il kautskismo; essoutilizzò con grandissima efficacia controri-voluzionaria, stravolgendolo e corrompen-dolo col suo nazionalismo, lo stesso movi-mento comunista internazionale lanciatonella gigantesca guerra di classe contro leborghesie di tutto il mondo sulla base diuna rivoluzione proletaria – l’Ottobre 1917– vittoriosa e gravida di insegnamenti perla rivoluzione comunista mondiale grazie aduna formidabile guida politica, il partitobolscevico di Lenin. La Sinistra comunistad’Italia ebbe la forza di dare un contributo,che si rivelerà essenziale e vitale per il mo-vimento comunista internazionale succes-sivo alla degenerazione stalinista dell’In-ternazionale di Mosca, in termini teorici,programmatici e tattici di grandissima rile-vanza. La rilevanza è determinata dal fattoche, a differenza del grande rivoluzionarioche fu Trotsky e delle sue battaglie in dife-sa del marxismo e della rivoluzione proleta-ria in Russia, non cedette alle illusioni im-mediatiste e democratiche come invece suc-cesse al capo della gloriosa Armata Rossa.La strenua difesa dell’invarianza del marxi-smo, professata dalla Sinistra comunistad’Italia, e portata fino in fondo, ossia, oltre-passando la lettera del programma, andan-do fino alla definizione delle tattica comu-nista e dei criteri organizzativi, fu il frontesul quale la Sinistra comunista continuò neltempo – nonostante l’infimo numero a cuisi ridusse a causa della vittoria controrivo-luzionaria – a dar battaglia, non indietreg-giando di un solo passo!

Come molte volte abbiamo ripetuto neltrentennale corso di sviluppo del partito diieri e, dopo la crisi esplosiva che lo mandòin pezzi nel 1982-84, nel quasi trentennalecorso di sviluppo del partito di oggi, la Si-nistra comunista d’Italia è sempre statamarxista, perciò internazionalista ed inter-nazionale. Tutte le sue Tesi, il suo program-ma, le sue posizioni politiche e i suoi criteridi intervento e di organizzazione hannosempre avuto, fin dalle origini, carattere in-ternazionale, combattendo fin dall’iniziol’opportunismo più abietto, quello che iden-tifica il socialismo e il comunismo come te-orie che giustificano il nazionalismo e “pre-tendono” di essere applicate secondo cri-teri nazionalisti.

Non per nulla è proprio la teoria stali-niana (ma con Stalin vogliamo indicare una

larga corrente opportunista che si imposecon la forza dello stato russo sulla correntemarxista del partito bolscevico e dell’Inter-nazionale Comunista) del “socialismo in unsolo paese” che caratterizza da allora in poiil nazionalcomunismo attraverso il quale ilproletariato verrà piegato sistematicamen-te alle esigenze di pace e di guerra del capi-talismo e dei poteri borghesi imperialisti e ipartiti comunisti trasformati in partiti ope-rai borghesi (per dirla con Lenin), in parti-tacci controrivoluzionari più fetenti dei par-titi socialisti della seconda Internazionale(per dirla con Bordiga).

Il fatto che la Russia di Stalin non esistapiù oggi, ma esistono e prolificano partitieredi del nazionalcomunismo antifascista,dimostra che l’opportunismo, nel cambiarepelle, è costantemente un nemico del prole-tariato e della sua lotta di emancipazionedal capitalismo; di più, caratterizzandosicome democratico e popolare, l’opportuni-smo post-stalinista mostra ancor più visto-samente che la sua esistenza, pur nelle con-tinue mimetizzazioni da teatro, è possibilesoltanto perché la classe dominante bor-ghese lo alimenta, lo protegge, lo paga af-finché continui la sua opera di deviazionedelle masse proletarie dalla via dell’aperta edichiarata lotta di classe anticapitalistica.

Livorno 1921 significa anche capacitàdi valutare le situazioni leggendo i reali cor-si di sviluppo delle forze sociali e politichenell’inevitabile e sempre presente lotta frale classi, lotta che per lunghi periodi il pro-letariato può anche disconoscere cedendo,soprattutto dopo profonde sconfitte comenel periodo a cavallo degli anni trenta delsecolo scorso, su posizioni conservatrici econciliazioniste, ma che la borghesia nonsmette mai di condurre contro le condizionidi vita e di lavoro proletarie allo scopo dimantenere le classi salariate succubi delleleggi e del dominio del capitale.

Il Partito Comunista d’Italia si costitui-sce quando in Italia, dopo la fine della pri-ma guerra imperialista, il periodo più criticoper la borghesia sta passando e le permettedi riprendere in mano le redini del suo pote-re per dedicarsi con tutte le forze al control-lo sociale che le stava sfuggendo. Ma se ilPCd’I si costituisce in “ritardo” rispetto allasituazione più favorevole alla lotta rivolu-zionaria è proprio a causa della recidiva ri-formista e massimalista che infestava il PSIe che paralizzava in buona parte il movi-mento di classe delle masse proletarie; unPSI che aveva ancora molta influenza sulproletariato, soprattutto attraverso la suadirezione massimalista (declamazioni rivo-luzionarie, ma pratiche riformiste e parla-mentari; sostegno, a parole, della rivoluzio-ne bolscevica e di adesione alla Terza Inter-nazionale, con la riserva di agire, in Italia,secondo proprie e autonome valutazioni enon secondo le direttive dell’Internaziona-le ecc.), e che facilitò il recupero da parteborghese, nei due anni successivi alla finedella guerra, della fiducia nelle proprie for-ze, tanto da affidare – mentre si dilettava afar giocare i socialisti il ruolo di migliori di-fensori della democrazia e del parlamentoborghese – alle squadre fasciste il compitodi intimidire e terrorizzare i proletari spintiinvece alla lotta per il potere politico, a par-tire dalle campagne per poi giungere nellecittà industriali. Il fatto che il PCd’I sia sta-to costituito “in ritardo” rispetto alla situa-zione sociale favorevole alla lotta rivolu-zionaria, ha spinto alcune tendenze – comead esempio quella attualmente conosciutacome “Tendenza comunista internazionali-sta”, ex Bipr, ex “partito comunista interna-zionalista-battaglia comunista” – che insi-stono nel volersi richiamare alla Sinistracomunista ma che in realtà si richiamano adessa solo come “facciata del passato”, è unfatto storicamente spiegabile e che noi perl’appunto abbiamo spiegato con metodomarxista (vedi la citata Storia della Sini-stra comunista) e non col metodo borghe-se del volontarismo barricadero che tendea segregare la teoria in una specie di limboper soli intellettuali, negando perciò allateoria marxista il suo contenuto fondamen-tale, il metodo del materialismo storico colquale spiegare e valutare i fatti sociali e sto-rici, grazie al quale il partito di classe, chene incarna la visione e le prospettive stori-che, è la guida per la preparazione rivolu-zionaria del proletariato e del partito stes-so.

I tempi storici non si fanno ingabbiaredal volontarismo di militanti che si illudonodi ridurre i fatti sociali ad una competizionefra volontà di individui dotati intellettual-mente e/o potenti economicamente, né tan-to meno dall’eclettismo di militanti che cre-dono di poter separare la teoria del partitodalla sua azione, dimostrando in questo

modo di essere lontani anni luce dal marxi-smo; militanti che credono che la “politi-ca” non sia l’applicazione di linee teorichee programmatiche definite e calate nelle si-tuazioni storiche di cui vanno letti materia-listicamente i rapporti di forza fra le classi ela maturazione dello scontro tra di esse, mal’attenzione ai problemi quotidiani e con-tingenti dei proletari come se, dai problemiquotidiani, i proletari potessero compren-dere quale via imboccare per la propriaemancipazione. In un verso o nell’altro, lediverse tendenze che deviano dal solcotracciato da Livorno 1921, si ritrovano ac-comunate nell’accusare la Sinistra comu-nista d’Italia di non essere stata una forza“politica” ma di essere stata soltanto unaforza “teorica”, identificando in questadebolezza un supposto “vizio d’origine”.Ciò che queste tendenze non arriverannomai a capire è che se si riconosce ad unpartito, quello bolscevico di Lenin, adesempio, o quello d’Italia del 1921, soliditànella teoria gli si riconosce necessariamen-te anche forza politica perché la teoriamarxista contiene, come un monolito, prin-cipi, fini e programma da cui discendonocoerentemente le linee politiche e le normetattiche generali. Il partito marxista non in-venta la sua politica a seconda del periodostorico, né si fa dettare dalla situazionecontingente il tale o tal altro piano tatticocon il quale dirigere la propria azione nellediverse situazioni. Il partito marxista, es-sendo la teoria su cui si basa il bilanciostorico della lotta fra le classi fino allo scon-tro decisivo per l’abbattimento dello statoborghese e la distruzione del modo di pro-duzione capitalistico al quale sostituire ilmodo di produzione comunistico, cono-scendo già il necessario sviluppo storicodella lotta fra le classi e il suo reale sbocco,trae dalla teoria tutte le indicazioni che ser-vono perché la lotta di classe del proleta-riato giunga al suo traguardo finale vitto-riosamente e prevede il comportamentomateriale delle classi sociali nel corso dellalotta di classe e nei modificabili rapporti diforza fra le classi, in senso favorevole osfavorevole alla rivoluzione. Le categorie:teoria – principi – fini – programma – tatti-ca, che separiamo per comprendere megliola differenza dei piani in cui si pongono idiversi problemi sociali e della lotta di clas-se, servono per inquadrare meglio la visio-ne necessariamente dialettica dello svilup-po della società e dello scontro fra le clas-si, e per inquadrare meglio l’azione del par-tito verso la società e, in particolare, versoil proletariato. Se, da questa separazioneconcettuale si passa ad una separazionefisica, alzando barriere tra teoria e prassi,tra teoria e programma, tra teoria e principi,tra principi e fini ecc., si abbandona il me-todo dialettico marxista e si abbraccia ilmetodo borghese secondo il quale l’ideo-logia è una cosa, e la pratica reale un’altra!

Una volta costituito su basi program-matiche certe e intangibili, con un’organiz-zazione che poggiava sulla tradizione de-cennale delle battaglie di classe della Sini-stra comunista, il Partito comunista di Li-vorno doveva affrontare il difficile compi-to di condurre a termine il trapasso dallavecchia alla nuova organizzazione; talecompito venne assolto nei primissimi mesidel 1921, “nonostante il doppio ostacolodel ripetersi delle scorrerie fasciste alla pe-riferia e del perdurare delle angherie poli-ziesche al centro”. Per avere un’idea dellasituazione basti ricordare qualche fatto: il9 febbraio era stata incendiata la sede delsecondo quotidiano del partito “Il Lavo-ratore” di Trieste e arrestata quasi tutta lasua redazione; il 27 febbraio, a Firenze erastato assassinato Spartaco Lavagnini, se-gretario regionale comunista del Sindaca-to ferrovieri e direttore del periodico locale“Azione comunista”; tale assassinio fu se-guito da numerosi altri fatti di violenza e disangue che portarono anche all’assassi-nio di un altro giovane dirigente comuni-sta, FerruccioGhinaglia, il 21 aprile, a Pavia;intanto il 20 e 21 marzo forze di polizia pro-tette da un reparto di bersaglieri perquisi-vano e occupavano la sede centrale delpartito a Milano (il casello daziario o “Pa-lazzina” di Porta Venezia, sede dell’organocentrale del partito, “Il Comunista”) arre-stando un gruppo di militanti soprattuttodella Federazione giovanile, sequestrandoparecchio materiale di propaganda e di la-voro; la sede fu restituita al partito oltredue mesi dopo, il 29 maggio. Il nerbo delladirezione del partito doveva così migrareda una via all’altra di Milano servendosi dimezzi di fortuna per riprendere e mantene-re i contatti con le sezioni, sottoposteegualmente alle incursioni delle squadraccenere, e impartire loro le necessarie direttive

in ogni campo di attività. Per i comunisti eraovvio non cadere nel vittimismo: la fase chesi stava attraversando era una fase di guer-ra civile, e andava affrontata con prepara-zione e consapevolezza politica senza farsiprendere dal panico o, peggio, senza abban-donarsi a piagnistei e manifestazioni di rav-vedimento. Tutti, nemici compresi, doveva-no sapere (vedi il comunicato del ComitatoEsecutivo del 23 marzo, pubblicato nell’Or-dine Nuovo) che “è assicurato il pieno fun-zionamento politico e amministrativo delpartito, e ciò in qualunqueattività, legalmenteo illegalmente, con o senza il beneplacitodel governo borghese […] e altrettanto devedirsi per gli organi della Federazione giova-nile”. La risposta del partito comunista gui-dato dalla Sinistra non è mai stata quella diinvocare il ristabilimento di “metodi di lottacivili” e di rivendicare il rispetto delle leggida parte di un avversario che dimostravacoi fatti di aver rotto con la legalità borghe-se non tanto per aver eretto ad unica regolal’azione “extra-legale” o “illegale” tout courtsotto la diretta protezione dello Stato demo-cratico, delle sue forze di polizie e dell’eser-cito, quanto per il fatto di utilizzare con estre-ma disinvoltura tutti i mezzi democratici esi-stenti, a seconda delle convenienze delmomento e, comunque, in contemporaneaalle “spedizioni punitive” e alla serienumerosissima di atti criminali. Le ragioni divita del partito comunista, in quanto orga-no della preparazione rivoluzionaria all’ab-battimento della presente società con tutti isuoi “valori”, le sue “leggi”, le sue “garan-zie”, non potevano essere dettate dal rispet-to delle istituzioni borghesi e delle sue leg-gi, a partire dallo Stato, dal parlamento, dal-la “contrapposizione pacifica e democrati-ca” tra forze egualmente “legittimate” a con-correre alla guida del governo. L’obiettivoera sempre quello di spezzare lo Stato bor-ghese con i metodi rivoluzionari, i soli ingrado di attuare il compito rivoluzionario pereccellenza della lotta politica del partito diclasse, e in quanto tale non poteva dipen-dere da metodi e mezzi che rispondevano aiprincipi della democrazia borghese.

La valutazione e l’azione che il Partitocomunista d’Italia, guidato dalla Sinistra,adottò fin dai suoi primi passi nei confrontidel nuovo fenomeno storico del fascismosono di basilare importanza e costituisconoun nodo vitale per l’azione del partito, allorae per il futuro, non solo a livello “italiano”ma a livello internazionale. Come ricordatosopra, e come si può approfondire nella Sto-ria della Sinistra comunista (13), il “movi-mento fascista” e la sua offensiva armata sipresentano e si scatenano non tanto per-ché l’abbattimento dello Stato borghese at-traverso la rivoluzione proletaria fosse im-minente, quanto perché lo Stato democrati-co, passato il biennio post-guerra di perico-loso avanzare della marea proletaria, avevala possibilità oggettiva di approfittare dellasituazione creatasi con il riflusso delle agi-tazioni operaie dopo la sconfitta del movi-mento di “occupazione delle fabbriche” del-l’autunno del 1920, per colpire alle spalle unproletariato inerme e senza guida politica,senza inquadramento “militare” adatto adaffrontare la “legale” repressione statale ele “illegali” azioni armate dei fascisti. In que-sta situazione di estrema debolezza del mo-vimento operaio italiano in cui l’aveva por-tato il riformismo politico e sindacale e ilmassimalismo sparafucilista ma sostanzial-mente legalitario (movimento operaio nonancora definitivamente vinto e perciò po-tenzialmente ancora pericoloso nel futuroprossimo), il fascismo è stato il metodo sco-vato dalla classe dominante borghese percolpire con la controrivoluzione preventi-va un movimento operaio non domato. Lesquadre fasciste venivano impiegate dallaclasse dominante borghese, e sotto la pro-tezione dello Stato democratico, non in unoscontro aperto e frontale con il proletariatoorganizzato; non vi è mai stato nulla di “eroi-co” e di “glorioso” nelle spedizioni fascisteche avevano invece il compito di colpire vi-gliaccamente alle spalle ed è per questa ra-gione che iniziarono le loro scorribande nel-le province agricole del Val Padana dove ibraccianti erano stati protagonisti di memo-rabili lotte classiste ma, per la loro oggettivadispersione nel vasto territorio, poteva es-sere colpiti isolatamente. Alla repressionestatale, alle spedizioni armate fasciste, il po-tere borghese democratico aggiunse una po-litica di riforme in parte realizzate – e che ilfascismo successivamente riorganizzerà eamplierà in una intelligente politica sociale– che fecero da base all’azione e alla propa-ganda riformista delle forze opportuniste delPSI.

Contro ogni deviazione opportunistica, contro il potere borghese e il suo Stato, per la rivoluzione proletaria e comunista

90 anni fa, a Livorno, nasceva il Partito Comunista d’Italia,sezione dell’Internazionale Comunista

IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 5

( da pag. 4 )

IL COMPITODEL PARTITO DI

CLASSE

E’ vero che non si possono fare rivolu-zioni su comando. Ma non né questo ildovere di un Partito socialista: il suo do-vere è dire in qualunque momento, senzapaura né rimorso, ciò che è; far vederealle masse in modo chiaro e soprattuttosenza sotterfugi, quali sono i loro compitiin una data situazione; bandire il pro-gramma di azione ed emettere parole d’or-dine che la situazione esige. Sapere se ein che momento le masse rivoluzionarie sisolleveranno non è compito del partitosocialista. Se questo ha assolto il suo do-vere nel senso più sopra indicato, contri-buirà potentemente a scatenare gli ele-menti rivoluzionari che la situazione com-porta e avrà fatto il necessario per acce-lerare il movimento delle masse. Ma an-che nell’ipotesi peggiore, anche se il so-cialismo non sembra fra altro che gridarenel deserto e le masse non lo seguono, indefinitiva si presenterà sempre e inelutta-bilmente una situazione sociale e politicadi cui raccoglierà centuplicati i fruttiquando l’ora storica sarà venuta.

Rosa Luxemburg

Il brano estratto da una delle “Lettere diSpartaco” scritte dalla prigione nel 1917, èin polemica contro quei socialisti che giu-stificavano l’abbandono e il rinnegamentodella lotta di classe (e in particolare dellalotta frontale contro l’imperialismo) con l’ar-gomento che “le rivoluzioni non si fannosu comando”, e ne traevano la giustifica-zione della rinuncia ad agitare il programmarivoluzionario. Naturalmente il partito so-cialista cui fa riferimento Rosa Luxemburgè il partito di classe, diventato poi “comu-nista”; oggi – visto l’uso degenerato e con-trorivoluzionario che se ne è fatto dallo sta-linismo in poi – il riferimento non può cheessere al partito comunista rivoluzionario,che noi abbiamo chiamato dal lontano 1965“partito comunista internazionale” per com-battere soprattutto il virus del nazionalismo,intendendo il partito di classe come orga-no della rivoluzione unitario e unico a li-vello mondiale.

Il Partito comunista d’Italia, guidato dallaSinistra, espresse con grande lucidità e de-terminazione la propria prospettiva di lotta:lotta contro lo Stato borghese democraticoe lotta contro il movimento fascista, rifiu-tandosi, come è doveroso per ogni partitoproletario degno di questo nome, di lottareper la legalità democratica contro l’illegali-tà fascista. Riconosciuta l’azione illegaledelle squadre fasciste come un ulterioremezzo della guerra di classe condotta dalpotere borghese contro il proletariato, e ri-conosciuto il movimento fascista non comeespressione di classi pre-borghesi (cometeorizzato da Gramsci) ma della borghesiapiù sviluppata, i comunisti non persero tem-po ad inseguire l’impotente politica delleriforme democratiche, ma proiettarono ilmassimo sforzo nella preparazione teorica,politica, pratica e anche militare degli stratipiù avanzati del proletariato italiano percontrastare con efficacia nel presente la re-azione fascista e per allenare il proletariatoalla guerra rivoluzionaria futura (14), por-tando nelle sedi internazionali del movimen-to comunista mondiale questa loro espe-rienza e questo fondamentale contributo(vedi, ad esempio, il Rapporto Bordiga sulfascismo al IV e al V congresso dell’Inter-nazionale Comunista).

Un’altra considerazione è necessaria,pur non ripercorrendo passo passo in que-sto articolo tutti gli eventi di quegli annicruciali, e per i quali rimandiamo, come giàdetto, alla Storia della Sinistra comuni-sta. Il fascismo prenderà saldamente il po-tere nelle proprie mani, in Italia, nel 1924,quattro anni abbondanti dopo l’inizio dellesue azioni armate contro le sedi delle Le-ghe, delle Camere del Lavoro, dei sindaca-ti, dei comuni amministrati dai socialisti, delpartito socialista, degli anarchici e poi delpartito comunista. Il fatto stesso che l’of-fensiva controrivoluzionaria abbia impiega-to tanto tempo a raggiungere gli obiettivipiù importanti del grande capitale – faretabula rasa delle organizzazioni di un pro-

letariato influenzato dal “bolscevismo” – eche per farlo abbia dovuto ricorrere alla for-za dello Stato centrale; che ogni volta cisiano volute le forze di polizia e l’esercitoper spianare agli squadristi fascisti la stra-da e per coprire loro la retroguardia e le riti-rate, dimostra che, nonostante la sconfittadell’occupazione delle fabbriche nell’autun-no del 1920 e l’euforia per le “vittorie” nelleelezioni amministrative del maggio 1921 (“Iproletari d’Italia hanno seppellito sotto unavalanga di schede rosse la violenza fasci-sta” gridava dalle sue colonne l’Avanti!), iproletari si batterono con grandissima de-cisione e spirito di lotta tanto più ammirevoliquanto più furono abbandonati dal PSI edalla CGL, che non fecero nulla per difen-derli sul piano organizzativo e militare e che,anzi, completarono la loro opera di pervica-ce disfattismo borghese non solo attraver-so un’insistente propaganda del legalitari-smo democratico, ma soprattutto attraver-so un vero e proprio disarmo politico, mo-rale e pratico di fronte ad un nemico in pie-no assetto di guerra!

I proletari italiani scrissero in quegli annipagine di autentico eroismo; la loro fu unaresistenza, e talvolta una controffensiva,spontanea ma densa di sforzi organizzativilocali; pagine che la storia ufficiale, mutua-ta dalla controrivoluzione staliniana, nonscriverà mai perché fu una storia soltantorossa. L’assenza di un’organizzazione cen-tralizzata con obiettivi e metodi omogenei eunivoci determinò l’impossibilità del prole-tariato italiano di avanzare sul cammino ri-voluzionario con esperienze fertili per le lot-te successive; soltanto il Partito comunistad’Italia, guidato dalla Sinistra, cominciòun’opera che avrebbe dovuto essere inizia-ta molto tempo prima e che il massimalismocentrista, di fatto, impedì, preparando alpotere borghese condizioni di estremo fa-vore per la sua opera di repressione e diannientamento del movimento proletario inItalia. Quando il movimento proletario ini-ziò finalmente ad avere, in Italia, una guidadecisa, solida teoricamente e tesa politica-

mente e praticamente alla sua preparazionerivoluzionaria, come il Partito comunistad’Italia, guidato dalla Sinistra, era purtrop-po tardi. Lenin ammonisce che, quando lecondizioni per sferrare l’attacco rivoluzio-nario al potere sono presenti, e tra questecondizioni vi è una adeguata preparazionerivoluzionaria del partito e degli strati piùavanzati del proletariato, anche solo pochis-simi giorni sono decisivi e che, se il partitonon sa approfittarne, lo svolto rivoluziona-rio può essere rimandato di anni; l’esempioè dato dall’Ottobre russo 1917. In Italia, nel1921 e negli anni successivi, era passatal’occasione storica per lo scatenamento ri-voluzionario, ciò non di meno il partito co-munista si doveva impegnare, e si impegnò,a svolgere fino in fondo il suo compito nel-la consapevolezza che il periodo storico ri-voluzionario apertosi con la vittoriosa ri-voluzione in Russia avrebbe potuto ripre-sentare una situazione favorevole alla lottarivoluzionaria (come in effetti la ripresentònel 1923 in Germania e nel 1926-27 in Cina ein Inghilterra, occasioni non colte soprat-tutto a causa delle deviazioni opportunisteche avevano cominciato a erodere le saldebarriere teoriche e politiche dell’Internazio-nale Comunista già in quegli anni).

Gli avvenimenti di quegli anni dimostra-vano che il conflitto sociale non era fra “de-mocrazia” e “antidemocrazia”, fra un meto-do di governo borghese ed un metodo digoverno borghese alternativo, ma fra tuttala classe borghese dominante e tutto ilproletariato. La controrivoluzione, soprat-tutto se armata, può e deve essere combat-tuta e vinta solo con metodi rivoluzionari,non ci sono altre strade, e la storia lo hatragicamente confermato. Nel 1924, in unarticolo della nostra corrente, pubblicato ne“Lo Stato operaio”, n. XVII del 22 maggio,prendevamo netta posizione: “Le condizio-ni della lotta proletaria al principio del1921 erano state ormai compromesse dal-le insufficienze del partito socialista, tan-to che non appariva possibile una offensi-va rivoluzionaria da parte di un partito,

Contro ogni deviazioneopportunistica, contro il potere borghesee ilsuo Stato, per la rivoluzione proletariae comunista

90 anni fa, a Livorno, nasceva il Partito Comunista d’Italia,sezione dell’Internazionale Comunista

(1) Cfr Storia della Sinistra comunista, III,edizioni il programma comunista, Milano 1986,cap. 3°, p. 105.

(2) Halle e Tours sono le due città dove sisono tenuti i congressi di fondazione del Partitocomunista unificato di Germania (Halle, 31/12/1918-1/1/1919) e del Partito comunista di Fran-cia (Tours, 25-30/12/1920) i due più grandi par-titi europei costituitisi in Germania prima dellafondazione dell’Internazionale Comunista e inFrancia dopo il suo II congresso, e le cui vicendesono state emblematiche di un corso generale,sostanzialmente analogo in Cecoslovacchia,Svizzera, Belgio, Spagna e Paesi scandinavi dovele sezioni nazionali europee dell’I.C. si sonoformate o con troppa facilità o con grandi diffi-coltà, dopo il II congresso mondiale del 1920.

(3) Cfr Lenin, Tre fonti e tre parti integrantidel marxismo, 1913, Opere complete, vol. XVI,pp. 349-353.

(4) La nostra corrente, già organizzatasi allafine del 1918 intorno al settimanale “Il Soviet”sul filo della lunga battaglia sostenuta durante laguerra sulle medesime posizioni di Lenin e dellaSinistra di Zimmerwald, si costituì in FrazioneComunista Astensionista ai primi di luglio del1919. L’aggettivo “astensionista” fu conservatoessenzialmente per distinguerla dalla frazioneserratiana, anch’essa proclamatasi “comunista”.

Baste leggere le Tesi della Frazione ComunistaAstensionista, approvate alla sua Conferenzanazionale tenuta nel maggio 1920 a Firenze (vediIn difesa del programma comunista, ed. il pro-gramma comunista, Firenze 1970), per capireche a qualificarla e definirla non era la questioneparticolare dell’astensionismo, bensì l’adesionetotale alla dottrina rivoluzionaria comunista ri-stabilita nella sua integralità dai bolscevichi, dicui i massimalisti italiani avevano un’idea estre-mamente confusa e completamente distorta.

(5) La SFIO, nata nel 1905 su sprone del-l’Internazionale socialista, era la Section Françai-se de l’Internationale Ouvrière; nel 1920, la com-ponente della SFIO che aveva aderito all’Inter-nazionale Comunista, diede vita alla SctionFrançaise de l’Internationale Comuniste, poidiventata Partito Comunista Francese.

(6) Vedi Storia della sinistra comunista, vol.III, cit., p. 106.

(7) Il massimalismo, corrente del PSI fon-data da Giacinto Menotti Serrati nel 1919, so-steneva di voler realizzare gli obiettivi “massi-mi” della rivoluzione socialista pur continuandonei fatti a muoversi nell’ottica riformista e par-lamentare. Corrente maggioritaria all’epoca nelPSI, al XVII congresso di Livorno del 1921 siscontrò con la corrente comunista intransigenterifiutandosi di espellere dal partito la corrente

come il nostro, di minoranza. Ma l’azionedel partito poteva e doveva prefiggersi diottenere la maggiore efficienza nella resi-stenza del proletariato alla sferrata offen-siva borghese e, attraverso tale resisten-za, conseguire il concentramento della for-za operaia nelle migliori possibili condi-zioni, intorno alla bandiera del partito, ilsolo che possedesse un metodo capace digarantire la preparazione di una riscos-sa” (15). Anche la controrivoluzione è mae-stra, come ricordavano Marx e Lenin, ecome la Sinistra comunista sottolineava inquel periodo sfavorevole all’offensiva ri-voluzionaria: la controrivoluzione armatapuò essere combattuta e battuta solo conmetodi rivoluzionari; gli altri metodi, legatialla difesa della “democrazia” e alla colla-borazione bloccarda tra le classi, invece dipreparare il proletariato a resistere nel tem-po e a sferrare la controffensiva al momen-to più favorevole nelle condizioni miglioripossibili, lo disarmano non solo politica-mente ma anche materialmente. Il fascismoera la chiara dimostrazione che la classe do-minante non aveva più la possibilità di uti-lizzare l’inganno democratico, ma dovevapassare brutalmente alla violenza cruda edichiaratamente antiproletaria. Era, dunque,altrettanto chiaro che la posta in gioco era:o dittatura controrivoluzionaria della bor-ghesia, o dittatura rivoluzionaria del prole-tariato. Il giovane partito comunista erapronto ad accettare la sfida ma con la con-sapevolezza che il proletariato non potevaessere mandato allo sbaraglio senza ade-guata preparazione politica e militare; per-ciò la parola d’ordine era di resistere masullo stesso terreno del violento scontro diclasse, senza illusioni legalitarie e democra-tiche, difendendosi con gli stessi metodidel nemico di classe, con le sue stesse armi,rispondendo colpo su colpo, organizzazio-ne contro organizzazione. Non c’era da“cambiare governo”, c’era da allenarsi al-l’aperta guerra di classe e in questa prepa-razione non poteva e non doveva mancarela lotta di resistenza quotidiana contro l’at-

tacco capitalistico alle condizioni di vita edi lavoro delle masse proletarie. Non a casola classe borghese dominante attaccava ilproletariato sui due fronti contemporanea-mente: sul fronte della repressione armata,sia legale che illegale, e sul fronte delle con-dizioni di lavoro e di vita proletarie peggio-randole pesantemente sul piano dei salari,dell’intensificazione dello sforzo lavorati-vo, dell’allungamento della giornata di la-voro, della crescente disoccupazione. Masu entrambi i fronti di lotta il proletariatoitaliano, e il partito di classe, trovavano unenorme ostacolo: l’opportunismo del PSI,delle sue correnti riformiste e massimaliste,che aveva ancora sulla maggioranza delproletariato una tenace influenza. Allora sicapisce il dramma che si presentò al Partitocomunista d’Italia quando dall’organo cen-trale dell’Internazionale Comunista venneimposta la tattica del fronte unico politico,poi svoltasi addirittura nella tattica dellafusione con quel PSI da cui con tante bat-taglie di chiarificazione teorica, politica,programmatica, tattica e d’azione i comuni-sti italiani si erano finalmente scissi.

Le condizioni generali di difficile prose-guimento della lotta rivoluzionaria in Euro-pa sull’onda della vittoriosa rivoluzionebolscevica in Russia, contribuirono a raf-forzare la ripresa del controllo sociale e po-litico da parte delle classi dominanti bor-ghesi; non è un azzardo sostenere che l’ope-ra sistematicamente disfattista dell’oppor-tunismo riformista e massimalista sul prole-tariato in Germania, in Italia, in Ungheria, inFrancia ha di fatto salvato il potere borghe-se in uno svolto storico che aveva dato alproletariato europeo la possibilità di abbat-terlo incendiando il mondo intero in unalotta per la vita o per la morte. Perciò, assie-me alla battaglia in difesa della teoria delmarxismo rivoluzionario, la Sinistra comu-nista d’Italia si è battuta sempre contro ognianche piccolo cedimento all’opportunismo,non solo sul piano politico generale ma,soprattutto, sul piano tattico e organizzati-vo poiché la storia ha insegnato che la sal-dezza teorica e programmatica del comuni-smo rivoluzionario è soprattutto da questipiani che viene corrosa e distrutta. Lo stali-nismo, con la sua teoria del “socialismo inun solo paese” ne è la più fulgida dimostra-zione storica.

(1 – continua)

riformista di Turati come chiedeva l’Internazio-nale Comunista. Nel 1922, la corrente riformi-sta di Turati e Matteotti fu espulsa dal PSI efondò il Partito Socialista Unitario (uno dei pro-motori dell’Aventino). Nel 1923, parte dei com-ponenti della corrente massimalista (tra cui lostesso Serrati) confluì nel Partito Comunista,segnando di fatto la scomparsa della corrente.

(8) Vedi Storia della sinistra comunista, vol.I, edizioni il programma comunista, Milano 1964.

(9) Bologna, ottobre 1919, XVI congressodel PSI, in Storia della Sinistra comunista, vol.II, pp. 51-99; Mosca 1920, II congresso del-l’Internazionale Comunista, in Storia della Di-nistra comunista, vol. II, pp, 545-733; Livorno1921, XVII congresso del PSI, scissione e con-gresso di fondazione del Partito Comunista d’Ita-lia, sezione dell’Internazionale Comunista, inStoria della Sinistra comunista, vol. III.

(10) Il Soviet, settimanale della sinistra co-munista fondato a Napoli nel dicembre 1918; viscrive e lo dirige A. Bordiga; nel 1919 è espres-sione della Frazione Comunista Astensionista epoi, a Partito comunista d’Italia nato, è un orga-no di questo partito; esce fino al 1922. IlComunista,bisettimanale, organo della FrazioneComunista del PSI, nato nel novembre del 1920in corrispondenza del convegno di Imola in cuile varie correnti del PSI che concordavano con le

condizioni di ammissione dell’IC e con le suetesi decidono di unirsi riconoscendosi nella mo-zione e nel programma che presenteranno a Li-vorno al XVII congresso del PSI e che farannoda base politica alla costituzione del PartitoComunista d’Italia, sezione dell’InternazionaleComunista. “Il Comunista”, dall’ottobre 1921diventa il quotidiano del partito.

(11) Cfr. i capitoli VII e IX della Storia dellaSinistra comunista, II volume, con relative ap-pendici.

(12) Vedi R. Martinelli, Il Partito comunistad’Italia, 1921-1926. Politica e organizzazione,Editori Riuniti, Roma 1977.

(13) Verso il Partito comunista, è un artico-lo di Amadeo Bordiga pubblicato ne “il Comu-nista” del 19 novembre 1920, e successivamen-te sull’Avanti!, come contributo alla discussioneprecongressuale, del 23 novembre 1920.

(14) Cfr. il lavoro di partito intitolato Il Par-tito di classe di fronte all’offensiva fascista 1921-1924 (RG di Firenze e Milano, 1967, in “il pro-gramma comunista” 1967, nn. 16,17,18,21,22 e1968, nn. 1,2,3; www.pcint.org

(15) Vedi la Storia della Sinistra comunista,vol. III, cit., p. 412; l’articolo si intitola Postillealle tesi della Sinistra.

(16) Vedi Comunismo e fascismo, Quaderniinternazionalisti, Editing, Torino 1994.

derati al pari di tutti i lavoratori. Essi sannomolto bene che lo scopo delle leggi di con-tenimento degli immigrati e soprattutto sulreato di clandestinità sono leggi che nondifendono la cosiddetta stabilità economi-ca e sociale italiana, e tanto meno il cosid-detto ordine sociale: sono leggi che acutiz-zano la divisione tra proletari, che aumenta-no la pressione della concorrenza tra prole-tari e che, intimidendo i proletari immigrati,hanno lo scopo di intimidire indirettamenteanche i proletari italiani per non far sì chesolidarizzino con i loro veri fratelli di classe!

I proletari immigrati che sono scesi dal-la gru a Brescia dopo 17 giorni di lotta diresistenza a dure condizioni hanno indica-to ai proletari italiani che la condizione pro-letaria sotto il dominio del capitale accomu-na tutti i lavoratori salariati, non solo per-ché appunto sono salariati, e quindi la lorovita dipende da un salario, ma anche per-ché possono essere colpiti in vari modi macontemporaneamente: chi con il pretestodella “clandestinità”, inventata apposita-mente per schiacciare ancor più nell’emar-ginazione consistenti strati proletari, chicon la emarginazione nel lavoro precario,

nell’insicurezza più totale del lavoro e per-ciò della vita. La risposta spontanea deiproletari in un paese che si considera civilee democratico è quella di rivendicare il dirit-to al lavoro, il diritto alla casa, alla riunionedella famiglia, ad una vita dignitosa. Maquesto diritto, sebbene vergato con tutti icrismi che la legislazione borghese preve-de nella costituzione repubblicana, nellarealtà dei fatti è carta straccia: o viene ri-vendicato e sostenuto con la lotta che laclasse proletaria scatena contro il vero ne-mico sociale – che non sono gli immigrati,ma i borghesi – e che pone come sua carat-teristica inconfondibile il rifiuto di immer-gere i propri interessi immediati di soprav-vivenza con gli interessi di sopravvivenzadelle aziende e, quindi, dei capitalisti, op-pure, per quante lotte, per quanti giorni enotti passati in cima a una gru, a un tetto oa una torre, quel diritto tanto rivendicatoverrà sistematicamente calpestato da leggimolto più forti e decisive in questa societàche sono quelle che si riferiscono alla leg-ge del profitto capitalistico, alla legge delladifesa di un sistema sociale che è fondatosullo sfruttamento sempre più bestiale dimasse sempre più vaste di proletari, di sen-za riserve!

Possono i proletari, che per decennisono stati abituati a “lottare” nelle più osce-ne compatibilità degli interessi capitalisticimistificati per interessi comuni (“del pae-se”, “dell’economia nazionale”, per interessialla “crescita economica”), spezzare la for-midabile rete di protezione che i capitalisti ei collaborazionisti sindacali e politici al loroservizio hanno costruito intorno a loro rin-chiudendoli in una specie di campo di con-centramento in cui vivere diventa semprepiù un caso fortunato? Possono i proletari,che per decenni sono stati intossicati dallademocrazia che illudeva di garantire un pro-gresso sempre crescente, un benessere sem-pre più diffuso e la fine degli antagonismisociali e dei conflitti di guerra, rompere laspessa coltre sotto la quale soffocano inuna condizione di insicurezza totale, di ne-gazione degli elementari bisogni di vita, dirischio continuo di precipitare nella mise-ria, nella fame, negli incidenti sul lavoro enella morte?

Sì, i proletari, e soltanto i proletari pos-sono sconvolgere l’ordine capitalistico, l’or-dine di una società che incasella ogni uomonella disperazione individuale e in una lottapersa in partenza poiché a ogni “diritto” diogni singolo proletario, dichiarato e scrit-

to, corrisponde l’obbligo forzato a sotto-mettersi alla legge ferrea del profitto capita-listico. Chi non lavora non mangia!, è unadurissima realtà nella società borghese per-ché “lavorare” significa essere obbligatinella condizione di schiavo salariato. Masono proprio gli schiavi moderni, gli schia-vi salariati che hanno in mano la soluzionedi tutte le contraddizioni sociali che impe-discono alla stragrande maggioranza degliesseri umani di vivere in modo armonioso edi lavorare con gioia; gli schiavi moderni,gli schiavi salariati hanno dalla loro una for-za storica sconosciuta in qualsiasi altra so-cietà precedente: essere senza riserve, sen-za proprietà da difendere contro altre classisfruttandone le energie vitali e, nello stes-so tempo, essere la forza motrice della pro-duzione materiale, della produzione che ser-ve per la vita e la prosperità dell’intero ge-nere umano. La lotta che i proletari immi-grati hanno fatto sulla gru a Brescia, sullatorre a Milano, che hanno fatto a Rosarno ea Castel Volturno, la lotta che i proletari ita-liani, francesi, spagnoli, tedeschi, serbi eamericani, cinesi e russi, palestinesi e bra-siliani, fanno per non soccombere sotto lapressione dello sfruttamento capitalistico,è una lotta che si inserisce nel grande alveo

( da pag. 3 )

( Segue a pag. 9)

Operai immigrati che protestano in cima alle gru a Brescia o alle torri a Milano

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 20116

Sahara Occidentale: Massacro nell’accampamento saharawi di Gdaim Izikpor

La mano assassina è marocchina, ma la indirizzano gli imperialisti europei e americani!Lotta di classe in sostegno dell’autodeterminazione saharawi

e contro le borghesie di casa nostra!

Lunedì 8 novembre, le truppe marocchine entravano nell’accampamento saharawi di GdaimIzikpor, situato alla periferia della “capitale” Laayoune, per distruggerlo e uccidere gran parte deisuoi abitanti: decine di morti, centinaia di feriti e di scomparsi, violenze di ogni tipo e, infine,l’incendio dell’accampamento. Nelle ultime settimane gli abitanti di questo accampamento - affolla-tisi da quando 35 anni fa la Spagna aveva abbandonato il territorio del Sahara Occidentale e ilMarocco, insieme alla Mauritania, lo invasero mettendolo a ferro e fuoco – stavano protestandovigorosamente per le condizioni di vita in cui sono costrette le masse saharawi vessate sia dai paesiconfinanti più forti, sia dalle potenze imperialiste che hanno interessi nell’area.

Il Sahara Occidentale è costituito da un territorio di circa 300 mila kmq con una popolazione dicirca 400mila abitanti (una densità di abitanti per kmq tra le più basse al mondo) dei quali, secondoalcune statistiche dell’Onu, l’88% è costituito da coloni marocchini, mentre circa 200mila saharawifuggiti dalla repressione ed esiliati vivono nei campi di Tindouf nella vicinaAlgeria. La sua importan-za deriva sia dai ricchi giacimenti di fosfati, che si trovano in particolare nella zona vicina a Laayoune,sia per la rilevanza che questo territorio costituisce per le potenze imperialiste occidentali e per ipaesi del Nord Africa come porta d’ingresso verso il centro e il sud del continente: la Francia(principale protettore, insieme agli Stati Uniti, del Marocco), Spagna eAlgeria si disputano da più diun secolo il dominio su questo territorio per la sua caratteristica di funzionare come testa di pontegrazie alla quale controllare una buona parte del settentrione del continente africano.

Durante il secolo XX e nella misura in cui l’industria dell’estrazione del fosfato si andavasviluppando e il territorio desertico veniva occupato dalla potenze europee, la popolazione nomade(araba e berbera) del Sahara Occidentale si rendeva relativamente più stabile. A partire dal 1975,quando la Spagna cede alle pressioni del regno del Marocco che, spalleggiato dagli Stati Uniti,minacciava di scatenare una guerra contro un paese in cui lo Stato stava affrontando un processo diristrutturazione accelerata (per superare il regime franchista) e che non desiderava assolutamentevedere ripetersi nel proprio territorio il processo che la guerra in Angola aveva scatenato nel Porto-gallo dei “garofani”, concedendo quindi al governo alauita il dominio del Sahara Occidentale, lapopolazione saharawi è concentrata in grandi campi di rifugiati, privata dei suoi mezzi di sopravvi-venza tradizionali e sottoposta a spaventose condizioni di esistenza che sono quelle in cui le potenzeimperialiste costringono quelle popolazioni che, in molti casi, non sono nemmeno utili come mano-dopera visto che l’interesse che muove le potenze imperialiste nella regione non è tanto economicoquanto geostrategico e militare: prova di questa terribile esistenza è il muro di separazione che loStato marocchino costruì per impedire i movimenti dei saharawi nelle zone desertiche e che isola lezone produttive da quelle che semplicemente hanno un valore strategico.

La resistenza contro l’occupazione imperialista, iniziata già nel 1973 quando il Fronte Polisarioappare come organizzazione armata per lottare contro l’esercito spagnolo soffrendo una dura repres-sione fatta di arresti, torture ed esecuzioni sommarie dei suoi dirigenti, si sviluppò nella forma dellalotta armata guerrigliera fino al decennio degli anni ’90. L’appoggio dell’Algeria agli insorti saharawi– col quale essa pretendeva di contrastare l’influenza di Marocco e Mauritania nella regione – segnòuna lotta che si nutriva di disperazione nella quale si vedevano precipitare le masse popolari e ilproletariato saharawi. Essi, dagli accampamenti dei rifugiati passavano ad ingrossare le file deicombattenti per l’indipendenza e contro la durissima repressione terrorista che il regno marocchinoesercitava indiscriminatamente. Dopo qualche decennio di guerra civile il Fronte Polisario depose learmi e, come direzione politica della lotta, puntò tutto sull’appoggio che avrebbero potuto dare lepotenze occidentali e l’ONU perché si potesse tenere un referendum col quale la popolazione fosseconsultata sull’indipendenza del Sahara Occidentale. Col cosiddetto “Piano Baker” delle NazioniUnite, rimandato più volte, ha rappresentato il fondamento della farsa democratica con la quale ilnazionalismo, sempre borghese e necessariamente pronto a zoppicare politicamente di fronte aqualsiasi tentativo di compromesso fra gli imperialisti in lizza, si intendeva sprofondare il proletaria-to e le masse proletarizzate saharawi nella rassegnazione e nell’accettazione delle terribili prospetti-ve di esistenza riservate loro dal capitalismo.

La situazione degli abitanti del Sahara è particolarmente intollerabile: alle abituali condizioni disfruttamento sofferte nel mondo capitalista e che in queste regioni si aggravano come in genere intutto il continente africano nella forma della fame, della sete, delle epidemie mortali, della mancanza

di lavoro… si aggiunge la situazione di sottomissione coloniale che soffrono da parte del Marocco.Questa oppressione coloniale non consiste in una illusoria perdita di identità in quanto popolo, comesostengono i nazionalisti, ma in una serie di misure molto concrete e materiali che esacerbano lasituazione già difficile: controllo militare della popolazione, affollamento nei campi di rifugiati,repressione quotidiana ecc.

Il diritto di autodeterminazione del Sahara occidentale non giungerà da nessun organismo pretesoneutrale come l’ONU, che in realtà costituisce un covo dove i banditi imperialisti che oggi lacerano ilSahara discutono su come ripartirsi il bottino; di fatto, l’ONU riconosce sì questo dirittoall’autodeterminazione del Sahara occidentale, ma gli stessi paesi che vi fanno parte impediscono chequesta autodeterminazione sia effettiva a causa dell’occupazione militare. E non giungerà nemmenoattraverso i negoziati tra i pretesi rappresentanti saharawi e i governanti marocchini (ci si puòdomandare dov’è il Fronte Polisario ora che l’esercito aluita massacra i ribelli dei campi di concentra-mento, dove sono le sue armi per difendere le masse saharawi attaccate frontalmente per aver lottatoper un miglioramento delle loro condizioni vita!). Quel che i moti di Gdaim Izikpor e la repressioneche ne è seguita mostrano è che l’unica via per uscire dall’abominevole situazione in cui versano lemasse proletarizzate del Sahara occidentale passa attraverso l’aperta lotta contro la doppia oppres-sione: nazionale ed economica.

Oggi, ottant’anni di controrivoluzione continuata hanno fatto dimenticare le lezioni storiche dellerivoluzioni proletarie. La classe proletaria ha perso uno dei più grandi insegnamenti del periodorivoluzionario apertosi nel 1917: le Tesi di Bakù del 1920 nelle quali la Terza Internazionale plasmòla natura della lotta rivoluzionaria nei paesi oppressi da parte delle potenze imperialiste e i compitiche spettavano al proletariato delle metropoli. La difesa incondizionata del dirittoall’autodeterminazione delle nazioni oppresse, il sostegno materiale alle lotte nazionalrivoluzionarie,l’unità del proletariato del paese dominante col proletariato del paese oppresso riconoscendo che, ilprimo avversario, è la propria borghesia che pretende invece l’alleanza del suo proletariato nellaguerra contro le nazioni insorte. Il proletariato marocchino, schiacciato dalla sua borghesia e legatoalla macina del nazionalismo, deve rompere l’unione sacra nazionale a favore dei suoi fratelli di classesaharawi.

La controrivoluzione staliniana ha fatto passare come solidarietà classista contro l’oppressionenazionale il piagnucolio umanitario a favore di un’astratta e borghesissima carità con i più deboli. Lemanifestazioni in Spagna, in solidarietà con il Sahara occidentale alle quali hanno partecipato tutti ipolitici dell’arco democratico e tutti gli artisti, cercano di far vedere che esiste un’uscita all’estrema-mente grave situazione delle masse e del proletariato saharawi, uscita che passerebbe attraverso lamediazione democratica degli imperialismi implicati, attraverso la fiducia nello Stato borghese… Soloed unicamente la lotta classista intransigente che riconosca gli interessi comuni fra i proletari europeie i loro fratelli africani può farla finita con la terribile situazione che questi proletari vivono, persegui-tati dalla fame, dall’esercito marocchino e dalla presa in giro degli opportunisti.

- Contro l’oppressione nazionale della popolazione e del proletariato saharawi!- Per il diritto all’autodeterminazione effettiva della popolazione saharawi!- Per la libertà immediata di tutti i prigionieri saharawi nelle carceri marocchine!- Per il ritiro immediato di tutte le truppe d’occupazione!- Per la lotta dei proletari marocchini unirti ai proletari saharawi, rompendo l’unione

sacra fra proletari e borghesi!- Solidarietà di classe dei proletari dei paesi imperialisti, in particolare europei, con

le masse proletarizzate del Sahara Occidentale e per la lotta contro il proprio imperialismo!- Il nemico del proletariato e delle masse diseredate, oppresse ed espulse dalla loro

terra è sempre la propria borghesia che utilizza la combattività e lo spirito di sacrificio dellemasse proletarizzate al solo fine di ripartirsi con le altre borghesie i profitti derivati dallosfruttamento del lavoro salariato!

- Per la lotte di classe del proletariato al di sopra di tutti i confini!

15 novembre 2010 Partito comunista internazionalewww.pcint.org

APPUNTI SULLA POPOLAZIONEDEL SAHARA OCCIDENTALE

E SULLA SUA AUTODETERMINAZIONE.

I comunisti lottano contro ogni oppressionee quindi anche contro l’oppressione nazionale.

L’oppressione nazionale, attuata da partedei paesi più forti verso i paesi e i popoli piùdeboli, è parte integrante del dominio borghesesulla società. Perciò i comunisti inquadrano lalotta contro l’oppressione nazionale nella piùampia e generale lotta proletaria di classe e riv-oluzionaria.

L’obiettivo dei comunisti, nei paesi in cui ipopoli lottano contro l’oppressione nazionaleesercitata da altri popoli, non è l’indipendenzanazionale in sé, ma la rivoluzione proletaria con-tro ogni oppressione borghese o preborghese;storicamente, la rivoluzione borghese – che pre-vede lo sviluppo economico capitalistico con-tro le forme preborghesi e, quindi, l’indipen-denza politica che permette lo sviluppo del mer-cato nazionale e del dominio borghese nazionale– è un passo avanti sia dal punto di vista econo-mico che politico. Ma l’obiettivo dei comunisti,anche nelle aree in cui è all’ordine del giorno larivoluzione borghese, resta la rivoluzione pro-letaria per lo sviluppo della quale il proletariatolotta insieme, ma come classe indipendente, conla borghesia per abbattere il potere feudale; lot-ta che, una volta eliminato il vecchio potere feu-dale, apre la strada alla lotta diretta contro ilpotere politico borghese: è la rivoluzione in per-manenza di Marx.

Concluso storicamente il grande periodo delleguerre per l’indipendenza nazionale nell’Euro-pa occidentale e inAmerica – che datiamo con laComune di Parigi del 1871 – resta aperto unaltrettanto grande periodo di guerre per lo svi-luppo economico capitalistico e contro l’op-pressione nazionale di popoli dell’immenso ter-ritorio eurasiatico balcanico-russo che si chiudecol il 1917 bolscevico e che, a sua volta, aprenelle vaste aree continentali dell’Asia e dell’Afri-ca un successivo periodo di guerre di sistema-zione nazionale. In linea di massima, possiamofar concludere questo ulteriore periodo di guer-re borghesi per l’indipendenza nazionale e losviluppo dell’economia capitalistica con il 1975-76, ossia con l’indipendenza nazionale raggiun-ta dalle guerre anticoloniali inAngola e Mozam-bico. Rischiando di essere un po’ tropposchematici, potremmo dire che tutti i popoliche non sono riusciti ad ottenere, armi alla mano,l’indipendenza nazionale entro questo ciclo sto-rico di guerre anticoloniali, rappresentano na-zioni “fottute dalla storia”, ossia nazioni chenon hanno avuto la forza storica di conquistareanche se solo formalmente l’indipendenza poli-

tica sul proprio territorio: è il caso dei palestinesi,è il caso dei curdi, è il caso dei saharawi.

Indiscutibilmente, ognuno di questi popoliha una storia diversa e motivazioni diverse chepossono spiegare la loro storica debolezza, maresta il fatto che il destino della loro indipenden-za politica, anche se cercato con le armi in mano,non rappresenta più un vero passo avanti nellastoria anche perché non si tratta di grandi paesiche possono trainare gli altri in uno sviluppostorico. Questo aspetto del problema fa da basealla posizione settaria, ad esempio del nuovo“programma comunista”, che nega la validità perla tattica comunista odierna del “dirittoall’autodeterminazione” per questi popoli so-stenendo invece che non c’è altra prospettiva senon quella della rivoluzione proletaria in tuttal’area geopolitica interessata e in tutto il mondo(l’esempio è dato dalla “questione palestinese”).D’altra parte, sappiamo perfettamente che l’in-dipendenza politica che i popoli delle ex coloniehanno conquistato è condizionata, e sempre piùcondizionata, dal peso dei rapporti di forza coni paesi imperialistici più forti dai quali dipendo-no le sorti delle loro economie nazionali.

In verità, se è ben vero quanto detto quisopra, è anche vero che l’oppressione nazionalenon è per nulla scomparsa, anzi: con lo sviluppodei contrasti interimperialistici si rafforza ilmilitarismo da parte di ogni potenza imperialistae, a cascata, seguendo le linee di influenzaimperialista nelle diverse aree geopolitiche, daparte dei paesi di seconda, terza o quarta gran-dezza nella misura in cui essi sono in grado diimporre interessi propri e interessi dei loro pro-tettori imperialisti su altri territori e su altrepopolazioni più deboli ancora.

L’esempio del popolo saharawi è emblem-atico: il territorio del Sahara occidentale è grandequanto l’Italia continentale, con una popolazio-ne saharawi di 250/270.000 abitanti (secondo idati raccolti da fonti ufficiali come l’ONU). Visono risorse minerarie importanti (come i fosfa-ti), di pesca, e sotto la sabbia desertica è proba-bile che vi siano giacimenti importanti di petro-lio: quanto basta per spingere i paesi confinanti– soprattutto il Marocco – ad impossessarsi delterritorio usando la forza militare e cacciandodal loro “deserto” i saharawi che si sono rifugia-ti, infatti, in Algeria.

Siamo qui di fronte ad un piccolo popolo,semicontadino e seminomade, che ha combattu-to armi alla mano per la propria indipendenzadalla Spagna, prima, ottenendo nel 1976 l’indi-pendenza riconosciuta dall’ONU, ma mai di fat-

to esercitata perché impedita dall’occupazionemilitare di Marocco e Mauritania (sostenuti so-prattutto dagli USA) qualche mese dopo la di-chiarazione della nuova Repubblica Democrati-ca del Sahara Occidentale. La popolazionesaharawi, di fatto, in gran parte rifugiata nelSahara algerino, è ridotta nello stato di soprav-vivenza precarissima, proletarizzata nel sensopuro del termine – senza riserve – e dipendentedalla protezione e dalle sovvenzioni dell’ONUe dell’Algeria che la “ospita”. Nel territorio delSahara occidentale, secondo fonti ufficiali del-l’ONU, su 400mila abitanti attuali (ultimi dati2004), circa350.000 sarebbero coloni marocchini;il Polisario, l’organizzazione politica e militaredella RDSO, è anch’esso rifugiato a Tindouf, inAlgeria, dove ha stabilito il suo governo in esi-lio, e da anni, deposte le armi, tenta la via diplo-matica per ottenere un riconoscimento di “so-vranità” anche dal Marocco nel suo territoriooriginario. L’impotenza della popolazionesaharawi e del Polisario è del tutto evidente.

Ciò non toglie che la popolazione saharawisoffra l’oppressione nazionale da partemarocchina, oppressione che si attua non soloimpedendo agli esuli di tornare in “patria”, nonsolo alzando un muro di 2500 km nel desertoproprio per impedire contatti tra gli esuli e iresidenti, ma anche attraverso l’affamamento ela repressione militare (come in novembre nelmassacro della tendopoli di Laayoune, con di-verse decine di morti, centinaia di feriti, centina-ia di scomparsi, violenze, stupri e incendi).

I comunisti, di fronte ad un’ennesima dimo-strazione della dittatura repressiva della borghe-sia e del massacro di una popolazione inerme,hanno il dovere non solo di denunciare la repres-sione e il massacro, ma di propagandare, verso ilproletariato dei paesi oppressori - marocchinoin particolare, ma anche maritano e spagnolo- il“diritto all’autodeterminazione” del popolosaharawi, denunciando allo stesso tempo la bor-ghesia saharawi di un’impotenza congenita chela spinge ad abbandonare il “proprio popolo”alla mercé della soldataglia marocchina, e lan-ciando la prospettiva della lotta di classeinternazionalista alla quale sono interessati og-gettivamente tutti i proletari toccati direttamen-te dalla “questione del sahara occidentale”, i pro-letari marocchini, mauritani, algerini, e natural-mente spagnoli vista la precedente oppressionecoloniale esercitata dalla borghesia di Madrid.

Dunque, sostenere “il dirittoall’autodeterminazione” del popolo saharawi daparte nostra non significa lottare per il ricono-

scimento concreto di una indipendenza nazio-nale già formalizzata nel 1976, ma lottare control’unione sacra fra proletariato marocchino e bor-ghesia marocchina, come lottare contro il falsointeresse comune alla patria saharawi fra bor-ghesia e proletariato saharawi; sapendo però chei proletari saharawi non si fideranno mai dei pro-letari marocchini se questi non romperanno lacollaborazione di classe con la propria borghe-sia, come non si fideranno mai dei proletarimauritani, algerini, spagnoli se questi non lotte-ranno contro l’oppressione nazionale esercitataoggi dalla borghesia marocchina, come ieri daquella mauritana e, soprattutto, dalla borghesiaspagnola.

E’ d’altra parte evidente, per noi, che ilsuperamento di ogni oppressione, da quella na-zionale a quella femminile a quella salariale, puòessere avviato soltanto dalla vittoriosa rivolu-zione proletaria e dalla tenuta della dittatura diclasse fino alla trasformazione economica dellasocietà con la distruzione del modo di produ-zione capitalistico sostituendolo con il modo diproduzione socialista e, infine, comunista. Ciònon toglie che, di fronte alla persistente oppres-sione e repressione nazionale da parte dellaborghesia marocchina (spalleggiata, non dimen-tichiamolo, dagli Stati Uniti, dalla Francia e dallaSpagna, particolarmente interessati alle risorseminerarie del territorio sahariano-occidentale),la posizione dei comunisti deve unire in un arcostorico l’attualità della lotta contro l’oppressio-ne nazionale e la prospettiva della rivoluzioneproletaria internazionalista, posizione necessar-iamente dialettica: verso il proletariatomarocchino, e gli altri proletari dei paesi interes-sati all’oppressione nazionale dei saharawi, so-stegno della parola d’ordine del “dirittoall’autodeterminazione del popolo saharawi”nella prospettiva della lotta rivoluzionaria delproletariato di tutta l’area contro le borghesiearabo-berbere; verso il proletariato e i contadinipoveri saharawi la rivendicazione della lotta in-dipendente proletaria di classe contro la propriaborghesia venduta alle potenze imperialisticheconcorrenti degli Usa dalle quali ottiene una cer-ta protezione politica ed economica; verso ilproletariato spagnolo, europeo e statunitense larivendicazione del “dirittoall’autodeterminazione” del popolo saharawicome di qualsiasi altro popolo oppresso nazio-nalmente è accompagnata strettamente alla ri-vendicazione della lotta di classe proletaria con-tro le rispettive borghesie imperialiste che so-stengono, a seconda dei propri interessiimperialisti, ora la borghesia massacratricemarocchina contro i saharawi, ora quella israe-liana contro i palestinesi, ora quella turca controi curdi ecc.

Sostanzialmente, il “dirittoall’autodeterminazione per i popoli oppressi”non è per i comunisti un principio, ma una ri-vendicazione tattica che ha senso solo se inqua-

drata nel disegno tattico più ampio e complessobrevemente richiamato sopra. Questa specificarivendicazione, se non è legata al quadro tatticodescritto, e se non è legata ad una lotta armata dicarattere nazionalrivoluzionario del popolo op-presso, resta una semplice (e illusoria) rivendi-cazione democratico-borghese, pacifista e legal-itaria, che nasconde una situazione di assolutaimpotenza non solo della borghesia nazionalema dello stesso proletariato.

I comunisti avanzano e sostengono il “dirit-to all’autodeterminazione dei popoli oppressi”non solo, rivolgendosi alle popolazioni oppres-se, per dimostrare di essere contro ogni oppres-sione, ma soprattutto, rivolgendosi ai popoliche opprimono altri popoli, per indirizzare iproletari dei paesi oppressori verso la presa incarico del dovere politico di classe di lottare per-ché questo “diritto” sia riconosciuto realmentedalle proprie classi borghesi dominanti. Solo inquesto modo i proletari dei popoli oppressipotranno distinguere nettamente la borghesia dalproletariato del paese oppressore, riconoscen-do il proletariato del paese oppressore come ilvero alleato di classe contro ogni borghesia, quin-di anche contro la propria borghesia che mira,invece, ad ottenere dalla borghesia più forte eoppressiva una certa “indipendenza politica” alsolo scopo di accaparrarsi una sua quota di sfrut-tamento del “proprio” proletariato.

Non a caso parliamo di “dirittoall’autodeterminazione”: è un “diritto” che avan-ziamo in modo incondizionato ma sul terreno diclasse, perché un domani, preso il potere politi-co, il potere proletario è tenuto a garantire que-sto diritto in pratica ma, nello stesso tempo, ètenuto anche a sostenere la prospettiva diun’unione tra i popoli al di sopra dei confininazionali che la borghesia ha eretto ed erige sem-pre, per la quale prospettiva il potere proletarioagisce per una reale fratellanza tra proletari dellediverse nazionalità continuando – da una posi-zione di forza data dalla vittoria rivoluzionaria edall’esercizio della dittatura di classe – le stesseposizioni e azioni internazionaliste che hannopreceduto la rivoluzione. La solidarietà che icomunisti esprimono verso le vittime dell’op-pressione nazionale (che per la maggior partesono sempre proletari e contadini poveri) fa partedella lotta che il proletariato del paese oppres-sore deve attuare materialmente, in modo aper-to, sabotando le azioni repressive della propriaborghesia dimostrando così che la prospettivadella lotta internazionalista di classe e della ri-voluzione proletaria mondiale è una prospetti-va reale per la quale ci si batte senza se e senzama.

Questa rivendicazione ha un ruolo tatticoeffettivo nel quadro della lotta proletaria in pre-parazione della rivoluzione, per vincere le divi-sioni nazionali fra proletari. Ma dopo la rivolu-zione, a conquista del potere proletario avvenu-ta, essa inevitabilmente prenderà un altro pesoperché la borghesia lancerà senza alcun dubbioquesta stessa rivendicazione contro il potereproletario. Le risposte che il potere proletariodovrà trovare saranno inevitabilmente molto dif-ficili perché dipenderanno dall’andamento dellalotta rivoluzionaria internazionale, dai rapportidi forza che il proletariato vittorioso in uno opiù paesi riuscirà a stabilire in alleanza con iproletariati degli altri paesi e degli altri popoli(oppressori od oppressi) nei confronti delleborghesie imperialiste più potenti, dallamaturazione reale dei fattori favorevoli alla ri-voluzione nei paesi capitalistici più avanzati,dall’andamento della guerra di difesa del potererivoluzionario contro gli attacchi concentrici deipaesi imperialisti. Le priorità tattiche cambie-ranno necessariamente, perché la difesa del po-tere proletario raggiunto sarà l’obiettivo da cuidipenderanno le decisioni tattiche nei confrontidi tutti i vari tentativi di restaurazione borghesee per prevenire la formazione e lo scoppio diVandee controrivoluzionarie, preparandosi a re-primere tempestivamente e senza esitazione ognipericolo di questo tipo per il potere proletario;da questo punto di vista, se necessario, anche ilborghese “diritto all’autodeterminazione” verràmesso da parte rispetto al rivoluzionario dirittodi difesa del potere proletario.

PROLETARIANNr. 6 - Ottobre 2010

Summary- The proletarian class party and the

current economic crisis of global capi-talism

- Amadeo Bordiga: The TrotskyQuestion

- State Terrorism and Massacres:constant Characteristics of the Policy ofthe Israeli Bourgeoisie

- On the expulsion of the Roma inFrance. The government is isncreasingrepression and fanning racism. Workersmust respond with solidarity and classstruggle!

- Italy. The revolt of the immigrantwoekers in Rosarno

- Greece: Blood and tears for the pro-letariat! That's the remedy to all thebourgeoisies of the world against thecrisis!

- Capitalismi has an overwhelmingresponsability in the disaster provokedby the earthquake in Haiti!

- Russia Burne- Trotskysts and the class nature of

the URSS. The Charlatanry of theSpartacists

Our Internet Site: www.pcint.orgOur e-mail addresses:proletarian @pcint.orgPrice: £ 1 / US$ 1,5 / 1,5 euro

IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 7

Invistadel2°CongressodelSindacatoLavoratori inLotta -per il sindacatodiclasse

Il burocratismo dei vertici dimostra per l’ennesima volta ilsuo opportunismo: la piattaforma di lotta propostadai disoccupati del SLL non viene nemmeno discussa!

Il secondo congresso del Sindacato deilavoratori in lotta (SLL) giunge a quattroanni da quello della sua fondazione.

L’impostazione di tipo burocratico ecorporativo del primo congresso ha inevi-tabilmente fatto arretrare questa organizza-zione (ex Movimento di lotta per il lavoro)fino a precipitarla nell’ opportunismo, omo-logandola nei fatti ai tanti sindacatini giàpresenti sul territorio nazionale . Questi rac-colgono il malcontento di quella parte deilavoratori che hanno abiurato definitiva-mente i metodi palesemente antioperai deisindacati maggiori CGIL,CISL e UIL. Lapaventata conquista di “più democrazia”nelle loro forme organizzative di questi sin-dacati cosiddetti alternativi, é il loro caval-lo di battaglia, illudendo larghe masse dilavoratori su di un recupero di forme di lot-ta più efficaci e concrete, e magari, perchéno, anche di classe. Ma la direzione che staprendendo l’SLL é un po’ diversa. Qui lafunzione dell’opportunismo e’ quella dineutralizzare fino a far scomparire l’orga-nizzazione stessa.

Il bagaglio di esperienza dell’ex “Movi-mento di lotta per il lavoro” é troppo pre-zioso e pericoloso per lasciarlo a disposi-zione dei compagni e della piazza. Per lenuove generazioni non deve esistere ne-anche il ricordo della lotta dura ed intransi-gente che questo movimento ha simboleg-giato per anni a Napoli.

Ma questo attacco era inevitabile in unafasecome l’attuale in cui l’azzeramento dellelotte e delle conquiste passate dei lavora-tori viene annullata. E ci meravigliamo comealcuni compagni, cui stimiamo ancora, nonriescono ad accorgersi di ciò che sta avve-nendo. L’isolamento delle quattro societàmisteAstir, Arpac-multiservizi, Napoli ser-vizi e Sis, corona una lunga strategia del-l’assessorato locale che ha spinto alla divi-sione delle lotte. Lotte sterili perché parcel-lizzate e isolate non solo dagli altri lavora-tori ma anche tra i lavoratori della stessaorganizzazione. La cancellazione di decinedi iscritti dimostra la volontà, deviata, dellaricerca di nuove strategie. Anche lo scio-pero, una delle armi più potenti della classeoperaia, é diventato tabù. L’adesione for-male agli scioperi dei sindacati tricolore él’adesione a lotte sterili che fanno terra bru-ciata delle vere lotte dei lavoratori e chenon porteranno mai a nulla. La scarsa ade-sione, nello specifico, lo dimostra ampia-mente. Né tanto meno possiamo parlare diunità sindacale. La vera tattica dell’unitàsindacale e quella di praticarla con la basedi queste organizzazioni mettendo in risal-to l’opportunismo dei loro vertici, compre-so la FIOM.

Di fronte a questo disarmo l’assesso-rato locale ha posto una seria ipoteca sulfuturo di questi lavoratori.

I sempre meno e sfiduciati disoccupatiche resistono tra le fila SLL avrebbero po-tuto dare nuova linfa alle lotte essendomeno imbrigliati da democraticismo e falsitatticismi. Questi in assenza di una piatta-forma di lotta non fanno altro che gridarelavoro in modo astratto e generico. Giun-gendo a farsi comunque imbrigliare effica-cemente dalle illusioni disfattiste dei porta-borse di palazzo. Corsi di orientamento, diformazione e progetto B.R.O.S. ( ex Proget-to I.S.O.L.A.) senza una finalizzazione sonosolo una presa in giro, non solo per l’SLL,ma anche per le altre organizzazioni di di-soccupati che raccolgono tutte insieme mi-gliaia di proletari.

E’ per questo che noi non abbiamo maismesso di mettere in guardia l’SLL e con-tinuare a lavorare al suo interno anche sein discordanza con il direttivo. Sembra pro-prio che in questo momento siano proprio idisoccupati ad avere più orecchie rispettoagli altri iscritti ed accorgersi finalmente di

dovere dare un cambio ad una strategia chee’ soltanto sterile. Si può partire benissimodalla vertenza dei disoccupati al fine di coin-volgere gradualmente tutti gli iscritti inun’unica strategia di lotta che possa esse-re finalmente classista. Ed é per questo cheavevamo accettato l’aiuto richiestoci daldirettivo dei disoccupati di redigere unabozza di piattaforma di lotta. Questa eragiunta dopo ampia discussione in cui unnostro netto rifiuto evitava anche solo diipotizzare un’ennesima scissione interna. Enon ci siamo tirati indietro! Ma la piattafor-ma andava prima discussa e poi approvatacon le eventuali modifiche.

Attraverso una riunione apposita lanostra bozza veniva letta da uno stesso di-soccupato, discussa ed approvata all’una-nimità. Ma non era finita lì. Su nostra indi-cazione la piattaforma doveva essere pre-sentata per correttezza al direttivo SLL echiederne una discussione al fine di pre-sentarla come mozione al summenzionatocongresso. Cosi e’ stato fatto.

Ma discussione non c’é stata. Anzi lapiattaforma veniva rifiutata anche solo perdiscuterla perché era in disaccordo con lelinee guide del sindacato. Il direttivo dei

IL PROLETARIOfoglio di indirizzo e di intervento sul terreno immediato del Partito Comunista Internazionale perla riorganizzazione operaia indipendente e per la ripresa della lotta di classe

DISTINGUE LA NOSTRA ATTIVITA’: La tradizione storica delle lotte dei comunisti rivoluzionari a sostegno degli obiettivi, dei metodi e dei mezzi dellalotta di classe, in difesa degli esclusivi interessi immediati del proletariato industriale e agricolo contro ogni cedimento al riformismo e all’opportunismosindacale che favoriscono la pratica, la condotta e la linea di collaborazione con gli apparati del padronato e dello Stato borghese; contro ogni forma diassoggettamento degli obiettivi, dei metodi e dei mezzi della lotta operaia agli interessi dell’economia aziendale o nazionale, siano presentati nelle formedella conciliazione pacifista e legalitaria o nelle forme della repressione giudiziaria e poliziesca. Il sostegno di ogni attività classista che favorisca unrinascente associazionismo di tipo economico, indipendente dagli apparati padronali, statali e religiosi, che tenda ad unificare i proletari senza distinzionedi età, sesso, nazionalità, categoria, occupati e disoccupati o in cerca di prima occupazione, a partire dai luoghi di lavoro e dai luoghi di aggregazione sociale.Il sostegno di ogni azione classista che contrasti i soprusi, le vessazioni, le discriminazioni, le umiliazioni che colpiscono i proletari, in particolare i giovani,le proletarie e gli immigrati. La lotta contro la concorrenza fra proletari, quindi contro il lavoro nero, lo sfruttamento bestiale degli immigrati clandestini,la crescente nocività, la mancanza di misure di prevenzione delle malattie e degli incidenti sui posti di lavoro.

PERUN CONFRONTO-DIBATTITOURGENTE SULLEPROBLEMATICHEDEIDISOCCUPATI

Napoli, settembre 2010I disoccupati aderenti al “Sindacato la-

voratori in lotta per il sindacato di classe”intendono aprire un confronto-dibattitourgente con gli organi costitutivi SLL inmerito alle problematiche maturate nel cor-so della loro vertenza.

L’apertura delle iscrizioni ai disoccupa-ti e’ stato un momento positivo per un’or-ganizzazione che si prefiggeva di classe.Ma l’impostazione strategica delle lotte nonha prodotto risultati concreti sia in terminidi crescita, sia in termini di conquista diobbiettivi concreti, anche se parziali, acco-dandoci di fatto alle organizzazioni oppor-tuniste presenti sul territorio ed avallandoquindi la loro politica di lista fatta di corpo-rativismo e quindi di contrapposizione traproletari, a tutto vantaggio dell’assessora-to e del governo. I malumori non mancanoe rischiano di provocare un’ulteriore scis-sione che sarebbe solo controproducentein questa fase. L’SLL deve saperci ascolta-re e recepire le nostre istanze.

E’ un dato di fatto, oramai inconfutabi-le, che le cosiddette “politiche del lavoro”adottate dalle istituzioni locali non hannoprodotto e non produrranno risultati tangi-bili per i disoccupati, sia per quelli avviatinel progetto BROS, che quelli aderenti alprogetto ORIENTAe PRIORITA’.

Queste iniziative si sono rivelate solouna presa in giro e servono essenzialmenteper il controllo della piazza, facendo terrabruciata delle vere lotte dei disoccupati.Esse non porteranno mai ad un vero sboc-co occupazionale. Soprattutto in questafase di crisi acuta oramai mondiale. Questemisure fittizie stanno solo calpestando lanostra dignità.

I pochi mesi di proroga all’ex progettoISOLA ci inducono a credere che l’asses-sorato sarà sempre meno disposto a con-

La piattaforma di lotta dei disoccupati iscrittial SLL-per il sindacato di classe

Ripubblichiamo ben volentieri la piat-taforma di lotta che i disoccupati di Na-poli aderenti al "SLL-per il sindacato diclasse" hanno presentato al direttivo SLL

disoccupati a questo punto non se l’e’ sen-tita di improntare una battaglia interna e,dopo aver isolato di fatto il loro rappresen-tante, ulteriormente scoraggiato, si e’ fattoda parte.

La piattaforma che sarà presentata alcongresso sarà quella già confezionata edistribuita anticipatamente dal direttivoSLL. Le eventuale modifiche che sarannoapportate non cambieranno lo spirito della“loro” piattaforma che purtroppo farà rical-care l’andamento delle lotte dei precedentiquattro anni.

A questo punto abbiamo pensato di darevoce ai disoccupati rendendo pubblica lapiattaforma da loro stessi approvata e cheerano pronti a dibatterla. Aprire un dibatti-to con i disoccupati significa portarli allaloro crescita. Come stavamo cercando difare all’inizio quando ci fu proposto di diri-gere l’apertura delle iscrizioni dei senza la-voro. E non abbiamo smesso di farlo anchequando ne siamo stati estromessi con l’ac-cusa che i disoccupati non ci volevano.Evidentemente quelli che non ci volevanonon erano i disoccupati. Ci sentiamo in do-vere di portare avanti la voce dei senzala-voro perché é la voce soffocata dei prole-tari che cercano di rialzare la testa, soffoca-ti da un opportunismo, riformismo e demo-craticismo borghese ancora forte. E’ que-sto lo spirito della piattaforma che inneggiaal diritto a vivere lavoro o non lavoro, nellospirito di unificazione delle lotte e al gridodi battaglia che accomuna tutti i proletari:Salario da lavoro o salario di disoccupazio-ne!

chiedendo una discussione - che non c'èmai stata prima - intorno ad essa e annun-ciando di volerla presentare al congressoche si sarebbe tenuto due mesi dopo circa.

cedere altre proroghe considerandole puroassistenzialismo. Ma i veri assistiti sono loroche percepiscono stipendi d’oro a dannodei proletari.

E’ tempo di cambiare strategia.Pensiamo che le lezioni acquisite con le

lotte passate non devono andare perse. Ilvecchio “Movimento di lotta per il lavoro”avrebbe potuto insegnarci tanto. Ma cre-diamo che i vecchi combattenti abbianooramai messo in soffitta il loro passato fat-to di intransigenza, coerenza e determina-zione. Il loro sogno di allargare la lotta allealtre realtà sta per affondare nel corporati-vismo e nella burocrazia. Proprio ora che iproletari iniziano a lottare autonomamente,purtroppo senza nessun punto di riferimen-to.

Ma noi non demordiamo e pensiamo direcuperare quel patrimonio e portarlo avantiper continuare la nostra e la vostra lotta.

La nostra tattica sarà di classe e quindilotteremo solo ed essenzialmente per i no-stri interessi senza preoccuparci dei palettiistituzionali e senza cadere nella trappoladel “pochi e non per tutti”. Lo Stato è unitoe compatto contro di noi. Noi oggi siamodivisi e in concorrenza tra di noi, in baliadella volontà delle istituzioni.

E’ giunto il momento di riconoscere cheil nostro compito prioritario è quello di do-tarci di una piattaforma di lotta che non con-senta alla controparte di mettere il cappelloal nostro movimento.

Innanzitutto dobbiamo comprendereche i disoccupati non sono un’anomalia delsistema, ma parte integrante del modo diproduzione capitalistico. Per il capitalismola classe operaia è una merce e come tale,quando è in eccesso, costa di meno. Per ilcapitalismo i disoccupati sono merce in ec-cesso da gettare ai margini del mercato dellavoro e servono solo per tenere sotto ri-

catto i loro fratelli occupati (vedi la vicendadella Fiat di Pomigliano e poi l’annullamen-to del contratto metalmeccanici 2008).

Il primo punto della piattaforma è: di-ritto a campare lavoro o non lavoro,

e chiediamo quindi alle istituzioni

1) Un piano concreto per il lavoro pertutti i disoccupati, nel frattempo o in man-canza di ciò,

2) Un salario di disoccupazione per vi-vere

Contro il rischio dell’aumento delladisoccupazione:

3) Trasformazione dei contratti precariin contratti a tempo indeterminato

Contro le mistificazioni e le frasi vuote

4) Finalizzazione al lavoro dei progettiBROS, ORIENTAe PRIORITA’

Allo scopo di portare avanti con la lot-ta, unitariamente e con determinazione, que-ste rivendicazioni, chiediamo

> che la sede dei disoccupati sia quelladi tutti gli iscritti senza discriminazioni, perconsentire la centralizzazione delle informa-zioni con assemblee periodiche dei delega-ti, di tutti i disoccupati e con le altre realtà

> che si mantenga l’apertura permanen-te delle iscrizioni a tutti i proletari compresigli immigrati.

> che la propaganda a mezzo volantini emanifesti sia costante e puntuale senza ri-serve di tempo.

> che i delegati siano scelti da tutti idisoccupati e revocabili in qualsiasi momen-to.

> che il rapporto con le altre organizza-zioni proletarie e di lotta sia solo tattico,privilegiando esclusivamente il dialogo conla base e denunciando la politica opportu-nista dei loro vertici.

Chiediamo che questa ipotesi di piatta-forma venga discussa e messa ai voti alprossimo iter congressuale.

Fiduciosi di un vostro riscontro aspet-tiamo risposte.

Fraterni salutiIl direttivo dei disoccupati

IL PROLETARION. 9 - novembre 2010- In vista del 2° Congresso del Sindacato

Lavoratori in Lotta - per il sindacato di clas-se: L'opportunismo dei vertici SLL si dimo-stra, ancora una volta, nell'impedife che laPiattaforma di lotta proposta dai disoccupa-ti venga discussa e messa ai voti al congres-so!

- Per un confronto-dibattito urgente sul-le problematiche dei disoccupati

-Il direttivo SLL presenta una piattafor-ma condizionata pesantemente da una lineapolitica corporativa e ultimatista

N. 8 - giugno 2010FIAT DI POMIGLIANO: PREPARA-

RE LE CONDIZIONI PER LARIORGANIZZAZIONE CLASSISTA EPER RIPRENDERE LALOTTARICONO-SCENDO CHE NON VI SONO INTERES-SI CONCILIABILI TRA CAPITALISTI EPROLETARI!

N. 6 - gennaio 2010ROSARNO: LA RIVOLTA DEI PRO-

LETARI AFRICANI IMMIGRATI NEL-LE TERRE DELLE MAFIE CALABRESIINSEGNA AI PROLETARI ITALIANICHE AL CENTRO DELLA LOTTA OPE-RAIA CI DEVE ESSERE NON SOLO ILBISOGNO ECONOMICO MA ANCHELA DIGNITà DI VITA DI OGNI LAVO-RATORE!

N.5 - agosto/settembre 2009SALARIO DA LAVORO O SALARIO

DI DISOCCUPAZIONE

N. 3 - marzo 2009SINDACATO DEI LAVORATORI IN

LOTTA: FACILITARE LACONCORREN-ZA TRA PROLETARI O RIGUADAGNA-RE IL TERRENO DELLA LOTTA UNI-TARIA DI CLASSE

N. 2 - luglio 2008IL “SINDACATO DEI LAVORATORI

IN LOTTA PER IL SINDACATO DICLASSE” E IL PERICOLO DI OPPORTU-NISMO

La forza lavoroè una merce

(da: K.Marx, Salario prezzo e profitto)

(...) Ciò che l'operaio vende non è diretta-mente il suo lavoro, ma la sua forza lavoro, cheegli mette temporaneamente a disposizione delcapitalista.Ciò è tanto vero che la legge (...) fissail massimo di tempo durante il quale un uomopuò vendere la sua forza lavoro. Se fosse per-messo all'uomo di vendere la sua forza lavoroper un tempo illimitato, la schiavitù sarebbe dicolpo ristabilita. Una tale vendita, se fosse con-clusa, per esempio, per tutta la vita, farebbesen'altro dell'uomo lo schiavo a vita del suo im-prenditore. (...) "Il valore di un uomo è, comeper tutte le altre cose, il suo prezzo: cioè è queltanto che viene dato per l'uso della sua forza".Se partiamo da questo principio, saremo in gra-do di determinare il valore del lavoro come de-terminiamo quello di ogni altra merce.

(...) Che cos'è, dunque, il valore della forzalavoro? Come per ogni altra merce, il suo valoreè determinato dalla quantità di lavoro necessarioper la sua produzione. la forza lavoro di un uomoconsiste unicamente nella sua poersonalità vi-vente. Affinché un uomo possa crescere e con-servarsi in vita, deve consumare una determina-ta quantità di generi alimentari. Ma l'uomo, comela machina, si logora, e deve essere sostituito daun altro uomo. In più della quantità di oggettid'uso corrente, di cui egli ha bisogno per il suoproprio sostentamento, egli ha bisogno di un'al-tra quantità di oggetti d'uso corrente, per alleva-re un certo numero di figli, che debbono rim-piazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare larazza degli operai. Inoltre, per lo sviluppo dellasua forza lavoro e per l'acquisto di una certaabilità, deve essere spesa ancora una nuova som-ma di valori (...) allo stesso modo che i costi diproduzione di forza lavoro di diversa qualitàsono diversi, così sono diversi i valori delle for-ze lavoro impiegate nelle diverse industrie. Larichiesta dell'uguaglianza dei salari è basatadunque su un errore, su un desiderio vano chenon verrà mai appagato. Essa scaturisce da quelradicalismo falso e superficiale che accetta dellepremesse ma tenta di evitare le conclusioni. Sul-la base del sistema del salario il valore dellaforza lavoro viene fissato come quello di qua-lunque altra merce. E poiché diverse specie diforza lavoro hanno un diverso valore, richiedo-no cioè diverse quantità di lavoro per la loroproduzione, esse debbono avere un prezzo di-verso sul mercato del lavoro. Richiedere, sullabase del sistema salariale, una paga uguale oanche soltanto equa è lo stesso che richiedere lalibertà sulla base del sistema schiavistico. (...)

Comperando la forza lavoro dell'operaio epagandone il valore, il capitalista, come qualsia-si altro compratore, ha acquistato il diritto diconsumare o di usare la merce ch'egli hacomperato. Si consuma o si usa la forza lavorodi un uomo facendolo lavorare, allo stesso modoche si consuma o si usa una macchina mettendo-la in movimento. Comperando il valore giorna-liero o settimanale della forza lavoro dell'opera-io, il capitalista ha dunque acquistato il diritto difare uso della forza lavoro, cioè di farla lavorareper tutto il giorno o per tuttala settimana. (...)

Il valore della forza lavoro è deterrminatodalla quantità necessaria per la sua conservazio-ne o riproduzione, ma l'uso di questa forza lavo-ro trova un limite soltanto nelle energie vitali enella forza fisica dell'operaio. Il valore giorna-liero o settimanale della forza lavoro è una cosacompletamente diversa dall'esercizio giornalie-ro o settimanale di essa, allo stesso modo chesono due cose del tutto diverse il foraggio di cuiun cavallo ha bisogno e il tempo per cui essopuò portare il cavaliere. la quantità di lavoro dacui è limitato il valore della forza lavoro del-l'operaio non costituisce in nessun caso un limi-te per la quantità di lavoro che la sua forza lavo-ro può eseguire. Prendiamo l'esempio del nostrofilatore. Abbiamo visto che, per rinnovaregironalmente la sua forza lavoro, egli deve pro-durre un valore giornaliero di tre scellini, al cheegli perviene lavorando sei ore al giorno. Ma ciònon lo rende incapace di lavorare dieci o dodici opiù ore al giorno. Pagando il valore giornaliero osettimanale della forza lavoro delò filatore, ilcapitalista ha acquistato il diritto di usare que-sta forza lavoro per tutto il giorno o per tutta lasettimana. Perciò, egli lo farà lavorare, suppo-niamo, dodici ore al giorno. Oltre le sei ore chegli sono necessarie per produrre l'equivalentedel suo salrio, cioè del valore della sua forzalavoro, il filatore dovrà dunque lavorare altre seiore, che io chiamerò le ore di sopralavoro, equesto sopralavoro si incorporerà in un plusva-lore e in un sopraprodotto.(...) Poiché egli havenduto la sua forza lavoro al capitalista, l'inte-ro valore, cioè il prodotto da lui creato, appar-tiene al capitalista che è, per un tempo determi-nato, il padrone della sua forza lavoro. Il capita-lista, dunque, anticipando tre scellini otterrà unvalore di sei scellini (...). Se egli ripete questoprocesso quotidianamente il capitalista anticipaogni giorno tre scellini e ne intasca sei, di cui unametà sarà nuovamente impiegata per pagare nuo-vi salari e l'altra metà formerà il plusvalore, peril quale il capitalista non pasa nessun equivalen-te. E' su questa forma di scambio tra capitale elavoro che la produzione capitalistica o il siste-ma del salariato è fondato, e che deve condurre ariprodurre continuamente l'operaio come ope-raio e il capitalista come capitalista.

Il saggio del plusvalore dipenderà, restan-do uguali tutte le altre circostanze, dalò rappor-to fra quella parte della gioornata di lavoro ne-cessaria per riprodurre il valore della forza lavo-ro e il tempo di lavoro supplementare osopralavoro impiegato per il capitalista. Essodipenderà quindi dalla misura in cui la giornatadi lavoro verrà prolungata oltrte il tempo du-rante il quale l'operaio per mezzo del suo lavororiproduce unicamente il valore della sua forzalavoro, cioè fornisce l'equivalente del suo sala-rio. (1-continua)

Leggete e diffondete

«il proletario»

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 20118

“sinistra”, poiché entrambe rispondonoesattamente alle stesse esigenze di fondodella valorizzazionedel capitale; la differenzasta semmai nei tempi che la “sinistra” vor-rebbe più lunghi per abituare gradualmentei proletari al loro impoverimento culturalegeneralizzato e alla loro costanteemarginazione dalla vita politica e sociale,mentre la “destra” tende a tagliar corto perguadagnare tempo secondo il famoso det-to borghese: il tempo è denaro!

E si sono mossi, ultimamente, anche glistudenti universitari in Gran Bretagna che,verso la fine di novembre e l’inizio di que-sto dicembre, hanno messo a dura proval’ordine pubblico a Londra. Ci sono andatidi mezzo anche l’erede al trono e signorache, incautamente, credevano di poter pas-sare in automobile tranquillamente per lestrade del centro di Londra, trasformatisiinvece per qualche minuto in uno dei tantibersagli della rabbia dei manifestanti. InGran Bretagna, gli studenti universitari sisono ribellati alla triplicazione delle tasseuniversitarie decisa dal governo con la ridi-cola scusa di dover provvedere agli stu-denti “meritevoli” di proseguire gli studi percapacità individuali ma che non hanno sol-di; in realtà, anche la borghesia inglese staaccelerando lo stesso tipo di processo di“riforma” per cui i gradi superiori di istru-zione non sono più disponibili per le grandimasse.

I media sostengono che manifestazionicosì numerose, partecipate e dure a Londranon si vedevano dai tempi della Thatcher edelle manifestazioni contro la famosa poll-tax. Ma gli studenti universitari si sono ri-bellati anche perché gli attuali governantiavevano promesso, in campagna elettora-le, che non avrebbero toccato le tasse sco-lastiche… La realtà capitalistica non è maiquella che viene dipinta nelle campagne elet-

torali; le promesse elettorali sono l’ormaitradizionale presa in giro degli elettori checontinuano ad andare a votare sapendo diessere ingannati 99 volte su 100 e che spe-rano di incappare in quell’1% di differenzatra l’inganno e il non-inganno come fosseuna lotteria. La realtà capitalistica è moltopiù dura e pesante e ne sanno qualcosa ilavoratori salariati che sono costretti a su-bire condizioni di vita sempre peggiori nonsolo perché lo sfruttamento capitalisticoinevitabilmente aumenta con l’aumentaredella concorrenza mondiale e imperialistica,ma anche perché le conseguenze delle crisifinanziarie ed economiche vengono getta-te con sempre maggiore immediatezza sullespalle delle grandi masse e, in specie, suquelle della classe proletaria.

Mentre i governanti di Westminster fan-no passare le draconiane leggi “anti-crisi”,e i laburisti non sono in grado di accennarenemmeno ad una formalmente dura oppo-sizione, gli strati di piccola e media borghe-sia si mobilitano rabbiosi per non esserepiù protetti e garantiti dalla grande borghe-sia che ha in mano i cordoni della borsa. Ildisagio sociale è reale, ma le manifestazionistudentesche contro la scomparsa di “ga-ranzie” che fino a ieri li rassicuravano neiloro sogni di promozione sociale, mettonodrammaticamente in evidenza la paralisi diuna classe operaia narcotizzata da decennidi democratica attesa di un benessere chenon è mai arrivato e non poteva arrivareperché il capitalismo si regge sulle crude eviolente leggi del profitto che non “garan-tiscono” nemmeno i singoli capitali, figu-riamoci se garantiscono i singoli salari!

E’ la fregata paura di precipitare nellecondizioni di vita proletarie che spinge glistrati studenteschi liceali e universitari adesprimere la loro rabbia contro i simboli con-tingenti del “potere politico” che li avrebbe“traditi”. Ed è il radicamento ideologico nelleprospettive borghesi di “professionalità”,

di “specializzazione”, di “eccellenza” checostituiscono il nucleo di una cultura vota-ta inesorabilmente a servire le esigenze delcapitalismo, e del grande capitale in parti-colare, a spingere gli studenti a far propriele rivendicazioni di “maggiore democrazia”,di maggiori investimenti nella “scuola pub-blica”, di partecipare insieme ai docenti aipiani di studio e alla gestione della scuola,di sviluppare la “ricerca” a 360° ecc. Gli stu-denti, in questo modo, non uscendo di unmillimetro dal quadro delle leggi oggettivedel capitalismo, non fanno che ribadire quel-lo stesso impianto culturale e scolastico chetrasmette una fondamentale conservazio-ne della società borghese e capitalistica; inperiodo di espansione capitalistica o di cri-si capitalistica, la scuola resta sempre unaspetto della società basata sul modo diproduzione capitalistico e segue inevitabil-mente l’andamento oscillante delle ripreseeconomiche e delle recessioni fino a preci-pitare, come ogni altro aspetto sociale, nel-le contraddizioni più acute che le crisi eco-nomiche della società moderna non fannoche intensificare ed ampliare nel corso deltempo.

Con lo sviluppo del capitalismo nellafase imperialistica, e con l’incedere ciclicodi crisi economiche e sociali sempre più gra-vi, come la produzione di beni materiali –sottoposta alle ferree leggi del sistema ca-pitalistico – non sfugge alla crisi di sovrap-produzione materiale, così la produzioneintellettuale (scientifica, umanistica, cultu-rale, artistica ecc.) non sfugge alla crisi disovrapproduzione culturale. Il capitalismo“regola” il suo sviluppo attraverso il mer-cato, e in periodo di sovrapproduzione tut-ti i “beni”, siano essi materiali e immateriali,entrano in crisi, non vengono cioè assorbi-ti dal mercato, stazionano invenduti neimagazzini perdendo ovviamente di valoreo finiscono semplicemente distrutti. Chi nefa le spese fin dall’inizio è la forza lavoro

GRAN BRETAGNA, GRECIA, ITALIA

Le lotte degli studenti mostrano un crescente disagiosociale che colpisce in particolare i giovani.

Il futuro non sta in una diversa e garantita cultura universitaria,ma nella distruzione della cultura borghese attraversol’abbattimento del potere politico della classe borghese

e la distruzione del modo di produzione capitalistico.Il futuro non sta nel “rinnovamento”

della società divisa in classi, ma nella sua distruzionesostituendola con la società senza classi, la società di specie!

salariata che viene espulsa dalla produzio-ne, materiale o immateriale che sia, andan-do ad aumentare quel famoso esercito diriserva di cui il capitalismo si nutre da quan-do è nato; i salari spariscono o vengonoabbassati in modo consistente, e quantitàsempre più grandi di lavoratori (dall’opera-io manovale al docente universitario) ven-gono semplicemente emarginati dal mitico“mondo del lavoro” capitalistico.

Come per i proletari non vi sarà soluzio-ne alla disoccupazione e al peggioramentodelle loro condizioni di esistenza se non at-traverso la lotta di classe e rivoluzionaria alfine di abbattere il potere politico borgheseche difende con ogni mezzo – perché ne èl’espressione diretta – il modo di produzio-ne capitalistico, così per i lavoratori deditialla produzione intellettuale e alla cultura ingenerale non vi sono vie alternative a quel-la della lotta di classe proletaria poiché lacultura non è che il riflesso ideologico esovrastrutturale della produzione economi-ca capitalistica. Gli studenti, in quanto tali,non sono mai stati e mai saranno una com-ponente differenziata della società, una“classe” né nel senso sociologico borghe-se né, tanto meno, nel senso marxista deltermine. Essi, quando si agitano come intanti periodi passati, e non solo nel fatidico’68, e come attualmente, non fanno cheesprimere un malcontento contro la societàcapitalistica presente; le loro agitazioni con-tribuiscono a mettere in luce il marciumedella moderna e opulenta borghesia che alzail vessillo della cultura e della scienza comefossero beni “inalienabili” mentre le ha sem-pre asservite alle proprie esigenze di profit-to. Non è “ristrutturando” e “riformando”la scuola in questa società, lasciando intat-ti il modo di produzione capitalistico e leleggi del mercato che la crisi della scuolapotrà essere anche solo avviata a risoluzio-ne; e nemmeno privilegiando la scuola pub-blica piuttosto che quella privata, che inrealtà si dividono compiti economici e clien-telari (a parte la specifica funzione di imbot-timento dei crani di cultura conservatrice)allo stesso modo dell’industria pubblicapiuttosto che l’industria privata.

I comunisti marxisti, convinti da sempreche la scuola borghese non è altro che unorganismo in putrefazione che attende solola ventata storica della rivoluzione proleta-ria per essere spazzata via dalla faccia dellaterra, assieme a tutti gli organismi di cui si èdotata la società borghese per difendere ildominio di classe che consente alla bor-ghesia di perpetuare lo sfruttamento capi-talistico della forza lavoro salariata, non sisono mai disinteressati e non si disinteres-sano delle agitazioni studentesche proprioper il profondo malcontento sociale cheesse esprimono, ma al tempo stesso dichia-rano apertamente che il futuro che i giovanicercano non sta in una scuola riformata e in

studi universitari più garantiti, semplice-mente perché un futuro di questo genere,cioè il futuro del capitalismo, è già statocondannato dalla storia in quanto non fache ribadire un’oscena spirale in cui l’am-pliata concorrenza capitalistica e l’intensi-ficato sfruttamento del lavoro salariato nonporta che a crisi economiche inesorabilmen-te più acute e mondiali, fino a trasformarel’aumentata concorrenza mercantile in urtodi guerra: il mercato è mondiale, la guerracapitalistica è mondiale, ed è questo il fu-turo che il capitalismo offre non solo ai gio-vani di oggi ma all’intero genere umano.

I comunisti marxisti, in linea con le granditradizioni di classe e rivoluzionarie del mo-vimento proletario e comunista, ribadisco-no che solo la classe del proletariato nellasua ripresa di classe in una lotta senza quar-tiere per la vita o per la morte, abbattendoviolentemente il regime borghese possibil-mente prima che il regime borghese porti legrandi masse proletarie nella sua guerraguerreggiata; che solo il proletariato nellasua riorganizzazione classista sul terrenodella lotta immediata e sotto la guida delsuo partito di classe per essere diretto confermezza e sicurezza al fine di distruggereuna società che divora sistematicamente ipropri figli, può rappresentare l’unico polodi aggregazione in grado di ridare un signi-ficato storico e umano alla parola futuro.

Noi lavoriamo e lottiamo per la costitu-zione del proletariato in classe, quindi inpartito: per il partito politico di classe chenon può essere altro che il partito comuni-sta rivoluzionario. Noi lavoriamo e lottia-mo per la preparazione rivoluzionaria delpartito comunista e del proletariato nellemani del quale soltanto sta la forza di spez-zare una volta per tutte la micidiale e op-pressiva macchina dello Stato borghese.Noi lavoriamo e lottiamo perché la lotta diclasse del proletariato trascresca in lotta ri-voluzionaria e lanci la sfida storica alla clas-se dominante borghese: o rivoluzione oguerra, e perché il proletariato si costitui-sca, a vittoria rivoluzionaria avvenuta, inclasse dominante avviando in questo modoquel processo di trasformazione sociale edeconomico che solo potrà, come ricorda En-gels nell’Antidhüring, reprimendo dittato-rialmente ogni tentativo borghese di restau-rare il suo dominio e le sue leggi politicheed economiche, “riformare” l’intera societàfino a trasformarla da società divisa in clas-si antagonistiche in una società di specie.

12 novembre 2010

Partito ComunistaInternazionale

il comunista – le prolétaire –programme communiste –el programma comunista –proletarian– www.pcint.org

(dapag.1)

Fiat-Mirafiori: con l’accordo del 23 dicembre, il collaborazionismo sindacalesi piega ancor più alle leggi della competitività aziendale

Come ormai tutti sanno, le condizioniposte dalla Fiat ai lavoratori dello stabili-mento di Mirafiori con un “Accordo” da“prendere o lasciare” sono state accettatedalle organizzazioni sindacali Fim, Uilm, Fi-smic, UGL Metalmeccanici e dall’Associa-zione Capi e Quadri Fiat nell’incontro del23 dicembre 2010. Questa “accordo” stran-gola-operai è passato con il referendum del14 gennaio scorso con il 54% dei sì (cui hacontribuito in modo determinante il votodegli impiegati, dei capi e quadri Fiat) con-tro il 46% di no.Andiamo a vedere un po’ indettaglio che cosa è stato fatto ingoiare aiproletari con il ricatto del posto di lavoro,visto che la Fiat si propone di estenderequeste condizioni agli stabilimenti di Melfie di Cassino, e visto che sono molti gli im-prenditori che lo prenderanno come esem-pio per ricattare anche i propri operai!

Questo “Accordo” inizia subito con ilmettere sotto un vincolo preciso tutte lesigle sindacali che lo firmano e i loro dele-gati in fabbrica perché nel momento in cuisi riscontra “il mancato rispetto” da partedi un singolo delegato e nel caso in cui siriscontrino “comportamenti individuali ocollettivi dei lavoratori” valutabili comeostacoli alla realizzazione del “Piano” con-cordato, questi fatti “liberano l’Aziendadagli obblighi” contrattuali in materia dicontributi sindacali, permessi sindacali re-tribuiti degli organi direttivi delle Organiz-zazioni Sindacali e permessi sindacali ag-giuntivi oltre le ore previste dallo Statutodei Lavoratori. In pratica, i sindacati firma-tari, attraverso i loro delegati, devono ado-perarsi perché tutto proceda senza ostacolial “Piano” stabilito, altrimenti “pagano”perdendo i privilegi di carattere sindacalefino ad ora goduti.

A proposito dei “contratti individuali di

lavoro”, le clausole dell’Accordo di Mira-fiori vanno ad integrare la loro regolamen-tazione in modo tale da prevedere che “laviolazione da parte del singolo lavorato-re di una di esse costituisce infrazione di-sciplinare di cui agli elenchi, secondo gra-dualità, degli articoli contrattuali relati-vi ai provvedimenti disciplinari, conser-vativi e non”; l’ipotesi che si può fare sul-l’applicazione di queste “clausole integra-tive”, in previsione dell’assunzione da par-te delle nuove società Fiat degli operai li-cenziati dalle vecchie società, facendo lorofirmare, uno per uno, l’accordo individual-mente, è che tutti gli operai – e non solo inuovi assunti in Fiat – piomberebbero difatto sotto la regolamentazione dei contrat-ti individuali di lavoro sottoposti ai prov-vedimenti disciplinari fino al licenziamen-to se il lavoratore “ostacola” in qualchemodo (ad esempio con lo sciopero?) il fa-moso Piano produttivo (licenziamento pre-visto, di fatto, fino ad oggi, nei contrattiindividuali di lavoro che sono temporanei eperciò contengono strutturalmente il licen-ziamento alla loro scadenza).

E’ prevista una Commissione Pariteticadi Conciliazione formata da un componeteper ogni organizzazione sindacale firmata-ria e un numero pari dei rappresentanti deipadroni, che esaminerà “eventuali specifi-che situazioni…sul mancato rispetto de-gli impegni”; questa Commissione puòessere convocata dai padroni entro 48 ore,deve esaminare entro e non oltre 4 giornidalla data di convocazione la questione, ese non c’è una “valutazione congiuntadelle Parti”, l’Azienda sarà comunque li-bera di procedere secondo quanto previ-sto dalla “clausola di responsabilità” (cioèin materia di permessi e contributi sindaca-li).

Insomma, se ci dovesse essere qualche

problema, c’è untempobreveper discuter-ne al termine del quale l’Azienda se valutache la situazione determinatasi sia ineren-te alla produzione e ai suoi interessi, bene,altrimenti procede con la “punizione”.

Nella nuova Organizzazione del Lavorosi prevede l’applicazione definitiva del si-stema “Ergo-UAS” dal 4Aprile 2011 in tut-te le lavorazioni, dopo che questo era giàstato sperimentato fin dal luglio 2008. Si trat-ta di un sistema che dovrebbe fare una va-lutazione ergonomica del sovraccaricobiomeccanico relativo a tutto il corpo diogni singolo lavoratore, valutando il caricostatico, il carico dinamico, le applicazioni diforza, le vibrazioni e la movimentazionemanuale dei carichi, e di conseguenza lecondizioni di lavoro in relazione alle opera-zioni/cicli di lavoro e alle posture degli ad-detti: in pratica è una valutazione fatta percalcolare quanto sforzo, per un certo cari-co, per un certo periodo di tempo, con qua-le intensità di lavoro, in una certa posizionedi lavoro, mediamente un lavoratore può“reggere” senza andare incontro a rischi epatologie fisiche nell’immediato. Questi dativengono poi integrati nella “Metrica delLavoro”, cioè in un sistema che ha lo sco-po di determinare il tempo necessario al-l’esecuzione di un dato lavoro. Si parte daquello che viene definito: “il rendimentonormale del 100%” descritto come “il ren-dimento di un uomo mediamente ben alle-nato, che conosce bene il lavoro e che dàun costante rendimento senza stancarsi”,per stabilire poi tutta una serie di condizio-ni tecniche ottimali tali da permettere ilraggiungimento di quell’obiettivo, con tem-pi che verranno assegnati di volta in voltapiù stretti per ogni operazione/ciclo.

“I reclami e le controversie riguardantile applicazioni dei tempi base o del tempostandard della postazione” da parte del-

l’Azienda devono seguire una procedura:a) il lavoratore fa reclamo al proprio respon-sabile, il quale lo esamina e richiede unaverifica all’Ente di stabilimento che control-lerà il tempo, di norma entro 7 giorni lavora-tivi; questo Ente, tramite il capo responsa-bile, comunica al lavoratore la eventualevariazione o la conferma documentata deltempo; b) il lavoratore, qualora non si ri-tenga soddisfatto, fa reclamo scritto agliEnti preposti tramite la Rappresentanza Sin-dacale dei lavoratori che lo rappresenterànella discussione della controversia, il cuiesame si esaurirà entro 7 giorni dalla pre-sentazione del reclamo scritto; c) in ognicaso, qualora la controversia non trovi so-luzione concordata tra le Parti, la questionepotrà essere sottoposta ad una Commis-sione specifica (Comissione Paritetica Sin-dacati/Padroni) che la esaminerà entro i 5giorni successivi, ma in ogni caso durantetutto questo periodo le Parti si devonoastenere da intraprendere iniziative uni-laterali, e comunque sino alla definizionedella controversia, il reclamo non sospen-de l’esecutività dei tempi assegnati.

Tornando sul capitolo dell’Organizza-zione del Lavoro, si sostiene che le “solu-zioni migliorative ergonomiche”, grazieall’applicazione del sistema Ergo-UAS, per-mettono, sulle linee a trazione meccanizzatacon scocche in movimento continuo, unregime di tre pause di 10 minuti ciascuna,fruite in modo collettivo, nell’arco del tur-no di lavoro, al posto delle attuali tre pausedi cui però due da 15 minuti e una da 10. I 10minuti di incremento della prestazione la-vorativa saranno monetizzati in una voceretributiva specifica denominata “indenni-tà di prestazione collegata alla presen-za”.

In pratica, ai lavoratori che subisconoil carico snervante principale della produ-

zione non solo si tolgono 10 minuti di pau-sa collettiva, ma i 10 minuti che lavoreran-no in più saranno retribuiti solo a chi èpresente inproduzione; inoltre tale impor-to (0,1877 euro lordi/ora) non farà da baseper il calcolo del Trattamento di Fine Rap-porto (ex liquidazione).

Nel capitolo “Abolizione VociRetributive”, a partire dal mese di Aprile2011, viene tolta tutta una serie di incentivicome: paghe di posto, indennità disagio li-nea, premio mansione e premi speciali, cheviene trasformata in una voce “superminimoindividuale non assorbibile”, il che signi-fica che queste indennità – risultato dellelotte passate per avere un salario più alto inconseguenza di lavorazioni o mansioni par-ticolarmente dure – vengono trasformatein una voce che, di norma, una volta, era adiscrezione del padrone (cioè veniva datao tolta proprio per mettere in concorrenza ilavoratori tra di loro), quindi non sarannopiù legate ad una particolare lavorazione.

Nel capitolo “Assenteismo”, l’applica-zione della nuova regolamentazione sul trat-tamento per malattia non riguarderà i lavo-ratori che avranno un ricovero ospedalieroo particolari malattie gravi e invalidanti elen-candone alcune specificatamente, come: la-voratori sottoposti a emodialisi, affetti dalmorbo di Cooley, neoplasie, epatite B e C,gravi malattie cardiocircolatorie, affetti daTBC, patologie gravi richiedenti terapiesalvavita, cioè i lavoratori che hanno giàseri problemi nel mantenere la propria vitaoltre che una presenza discontinua in fab-brica; in esso si stabiliscono delle percen-tuali di assenteismo “tollerabili” al di sopradelle quali non si pagano i primi giorni dimalattia al lavoratore (ricordiamo che l’INPSinizia a pagare dal 4° giorno in poi la malat-tia, mentre i primi tre giorni sono a caricodell’azienda; la copertura di questo perio-do è stato ottenuto con le lotte per via con-trattuale). Dunque un’altra CommissioneParitetica (Sindacato/Padroni) avrà proprio

( Segue a pag. 9 )

IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 9

della futura lotta di classe anticapitalistica,ma che per iniziare ad avere adeguata forzadi resistenza contro la pressione dello sfrut-tamento capitalistico deve diventareespressione di organizzazioni proletarie didifesa classista che associano i proletari perloro stessi e soltanto per loro stessi, perdifendere esclusivamente gli interessi im-mediati proletari. E’ su questa strada che siottiene il risultato più importante per il fu-turo dell’emancipazione dal lavoro salaria-to: la solidarietà di classe, in cui nessunabarriera di categoria o di settore, di sesso odi nazione, di razza o di religione, di età o diposizione nel processo produttivo potràsbarrare il cammino al movimento proleta-rio di classe spinto allo scontro generale edecisivo contro tutte le forze di conserva-zione sociale che da più di centocin-quant’anni opprimono il proletariato e lemasse diseredate in tutti i paesi del mondo.

La solidarietà di classe è il risultato del-la lotta senza quartiere contro la concor-renza tra proletari, la lotta in cui i proletari siriconoscono componenti di un’unica clas-se internazionale in grado di ricongiunger-si con una tradizione di lotta e di lotta rivo-luzionaria che si è già radicata nella storiapassata e che deve rigermogliare in unanuova stagione in cui il proletariato ridàsenso storico all’emancipazione dal capita-lismo. Su questa strada il proletariato, ritro-vando se stesso come classe rivoluziona-ria, ritrova il suo programma politico, il suopartito di classe, la sua guida sicura senzala quale nessun progresso storico è possi-bile.Allora, tutti i tentativi che oggi, in peri-odo ancora profondamente controrivoluzio-nario, piccoli gruppi di proletari fanno perliberarsi delle tremende catene ideologichee pratiche che li legano al carro borghese ecapitalista, avranno avuto un senso positi-vo e le sconfitte di oggi si potranno mutarein vittorie di domani. Uscire dal pantano, incui la controrivoluzione ha gettato il prole-tariato di tutto il mondo e nel quale le forzedell’opportunismo democratico e pacifistalo mantengono, è una necessità obiettivama ha un prezzo: rompere con il collabora-zionismo, rompere con l’ideologia e la pra-tica della democrazia, rompere con tutte lerivendicazioni che discendono dall’interes-se comune del paese, rompere con i mezzi ei metodi della conciliazione fra le classi. Sen-za questa rottura sociale il proletariato èdestinato, come è già successo più voltenel passato, a passare dell’essere sfruttatocome bruta forza lavoro all’essere sfruttatocome carne da cannone!

( da pag. 5 )

Operai immigrati cheprotestano in cima alle gru aBrescia o alle torri a Milano

il compito di monitorare l’andamento del“fenomeno assenteismo per malattia” ini-ziando in questo modo: a luglio 2011 verifi-cherà che nei 6 mesi precedenti la percen-tuale media sia inferiore al 6%; se questapercentuale viene superata, allora a tutti idipendenti, a partire dal 1° luglio 2011, chesi assentano per malattie di durata non su-periori ai 5 giorni che precedono o seguo-no le festività o le ferie o il giorno di ripososettimanale, in caso di assenze ripetute nel-l’arco dei precedenti 12 mesi per oltre duevolte e per eventi giustificati come “malat-tia” e caratterizzate da identiche modalità(cioè verificatesi nelle giornate che prece-dono o seguono le festività o le ferie o ilgiorno di riposo settimanale di durata nonsuperiore ai 5 giorni) non verrà loro rico-nosciuto per il primo giorno d’assenza al-cun trattamento economico a carico del-l’azienda. Successivamente, sempre la stes-sa Commissione, nel gennaio 2012 verifi-cherà che nel secondo semestre 2011 il tas-so di assenteismo sia sceso al di sotto del4%; in caso contrario, i giorni d’assenzanon pagati diventeranno due, ma dal 2012in poi il tasso dovrà essere inferiore al 3,5%perché i primi due giorni tornino ad esse-re pagati. In sostanza, l’Azienda, con la col-laborazione dei sindacati firmatari l’accor-do, spinge i dipendenti a lavorare anche incondizioni precarie di salute, penalizzando-li nel salario, punendoli se tentano di allun-gare feste o ferie e riposi già stabiliti con lamalattia, e se non riuscirà ad impedire que-sto tipo di assenze perché le dure condizio-ni di lavoro portano gli operai a difendersimettendosi in malattia, essa comunque ciguadagnerà risparmiando sul salario dapagare!

Nel capitolo “Cassa Integrazione Gua-dagni”, si prevede di ricorre - a partire dal14 febbraio 2011 - alla cassa integrazionestraordinaria per un anno e, a seconda del-le esigenze dell’azienda e sulla base delleesigenze tecnico-organizzative della produ-zione di determinati modelli di auto attual-mente in produzione, si potrà richiamare omeno il personale necessario a quella pro-duzione.

E’ presente un altro elemento di pres-sione sui lavoratori, visto che precede l’av-vio del “nuovo modello di produzione”con la Joint Venture con la Chrysler. Infattinel capitolo “Formazione”, a fronte di unprevisto investimento dell’Azienda per pre-parare i lavoratori e metterli in condizioni di“operare” con corsi specifici, l’Azienda pre-vede l’obbligatorietà della frequenza a que-sti corsi di formazione: il rifiuto immotivatoe la mancata frequenza ai corsi, oltre ad es-sere perseguita per legge, costituirà com-portamento disciplinare perseguibile, anchese l’azienda non darà alcuna integrazioneal salario dei lavoratori in cassa integrazio-ne che saranno chiamati a frequentare que-sti corsi.

Glioperai, quindi, dovranno obbligato-riamente imparare le nuove metodologiedel loro maggiore sfruttamento nell’inte-resse dell’azienda ma a salario ridotto!

Nel capitolo “Orario di Lavoro” (addet-ti e collegati alla produzione) vengono de-finiti degli schemi di orario da applicare aseconda delle esigenze della produzione,che comportano l’adozione di 15 turni set-timanali e oltre, di 8 ore di utilizzo degli im-pianti sino a 6 giorni alla settimana.

· Il primo schema è quello dell’utiliz-zo degli impianti per 24 ore al giorno per 5giorni a settimana, 15 turni con 3 turni gior-nalieri di 8 ore ciascuno, a rotazione, conorario settimanale individuale di 40 ore (èquello previsto già dai contratti collettivinazionali vigenti).

· Il secondo schema prevede l’utiliz-zo degli impianti per 24 ore giornaliere per 6giorni a settimana, comprensivi del sabatodunque, con una turnazione articolata su18 turni. Fermo restando la durata media di40 ore dell’orario di lavoro individuale set-timanale, è previsto però che una settimanasi lavori 6 giorni e un’altra 4 giorni. Quindianche se l’orario medio rimane 40 ore au-menta la flessibilità dell’operaio per farfunzionare lo schema.

Nel momento in cui si dovesse passaredai 15 ai 18 turni, si è disposto anche, perun periodo non inferiore a 12 mesi, l’even-tuale “sperimentazione” di uno schema diorario che utilizzi gli impianti per 6 giornialla settimana per 12 turni settimanali (cioè10 ore al giorno per 2 turni al giorno). Inpratica, ciò significherebbe che gli impiantivengono utilizzati per 20 ore al giorno per 6giorni alla settimana, l’operaio lavora 10 oreal giorno per 4 giorni e poi ha 2 giorni diriposo a scorrimento, con l’orario del primoturno che va dalle 6 alle 16 e il secondo

dalle 20 alle 6 (con la mezzora retribuita perla mensa all’interno del turno).

L’allungamento dell’orario giornaliero dilavoro, come in questi casi, è un altro colpoe ancora più duro alle condizioni di lavoroesistenti, e lo è anche rispetto al lavoro aturni che già era conosciuto dagli operaicome massacrante soprattutto nel turno dinotte.

Nel capitolo “Lavoro StraordinarioProduttivo” - che si lega direttamente aglischemi previsti nelle varie turnazioni - “sirichiede esplicitamente che per far frontealle esigenze produttive di avviamenti,recuperi o punte di mercato, l’Aziendapotrà far ricorso al lavoro straordinarioper 120 ore annue pro capite, senza nes-sun preventivo accordo sindacale, da ef-fettuare a turni interi, in caso di utilizzoimpianti a 10 e 15 turni settimanali nellegiornate di sabato a due turni e negli altrischemi di orario nelle giornate di riposo.In particolare, nel caso dell’organizzazio-ne dell’orario di lavoro sulla rotazione a18 turni, il lavoro straordinario potrà es-sere effettuato a turni interi nel 18° tur-no”. L’azienda comunicherà con 4 giorni dianticipo la necessità dello straordinario al-l’operaio, dopo di che terrà conto delle sue“esigenze personali” entro il limite del20% sostituendolo con personale volonta-rio. Inoltre, visto che comunque i vecchicontratti prevedevano un massimo di 200ore di straordinario pro capite, le altre 80ore potranno essere richieste sempre peresigenze produttive questa volta peròprevio accordo sindacale.

Insomma, l’azienda potrà avere da unminimo di 10 oremensili a un massimo di 16in più di lavoro per operaio rispetto all’ora-rio “normale” di lavoro a scapito del suotempo di riposo, risparmiando su nuoveassunzioni e pagando una miseramaggiorazione prevista per l’orario straor-dinario.

Nel capitolo dove si parla della “Mez-zora retribuita per la Refezione” si prevedeche in futuro, fatta eccezione per il lavorocon lo schema a 12 turni settimanali (10 oreal giorno per 2 turni giornalieri), dove lamezz’ora retribuita per il pasto rimane al-l’interno del turno, negli schemi a 15 e 18turni la mezz’ora verrà collocata alla fine diciascun turno di lavoro.

Attualmente, lamezzora, secondoi vec-chi contratti, è prevista all’interno del tur-no.Conquesto“accordo” l’aziendaha pen-sato bene di recuperare efficienza ancheintornoall’orariodimensa: gli operai pen-sino prima di tutto a lavorare senza “pesinello stomaco” per tutto il loro turno dilavoro con un rendimento migliore e sen-za perdere minuti preziosi tra lo staccodal lavoro per andare inmensa e la ripresadel lavoro dopoaver mangiato, con eviden-tecalodellaprestazione; poipotrannopurerifocillarsi - una volta prodotto ilquantitativo stabilito - quando dovrannouscire dalla fabbrica per andare a casa;per quelli che avranno il turno di 10 orenonpotrà pretendere la stessa cosa… per-ché c’è la possibilità che non riescano astare in piedi durante il turno senza man-giare… come se otto ore filate possonopassare lavorandosenza metterenulla nel-lo stomaco!

Nel capitolo “Indennità di prestazionecollegato alla presenza” si stabilisce che, ailavoratori addetti alle linee a trazionemeccanizzata con scocche in movimentocontinuo, sarà erogata una “indennità diprestazione” che sarà pagata solo per leore effettivamente lavorate(vengono esclu-se tutte le ore di inattività, la mezzora per larefezione, le assenze retribuite che per leg-ge o contratto sarebbero parificate alla pre-stazione lavorativa), indennità che risultaessere di 0,1877 euro lordi/ora per i lavora-tori che operano sui turni di 8 ore, e di 0,2346euro lordi/ora per quelli che operano su turnidi 10 ore; anche queste “indennità” sonoescluse dalla base di calcolo per il TFR (exliquidazione).

Si evidenzia, anche in questo caso,come sulla base dell’incentivo individualealla presenza, e al produrre effettivamen-te, venga legato un eventuale aumento disalario, esasperando la concorrenza tralavoratori.

Nell’allegato 1 “Sistema delle RelazioniSindacali” c’è una “premessa” dove si diceche “le Parti devono riconoscersiinterlocutori stabili per un corretto siste-ma di relazioni teso a valorizzare le risor-se umane, ampliare i momenti di dialogo ea ridurre le occasioni conflittuali, al finedi affrontare i problemi di comune inte-resse in modo costruttivo”; il testo conti-nua precisando che il metodo partecipativodeve assumere l’impegno a prevenire il con-flitto, e avere obiettivi comuni nel coinvol-

gere i lavoratori e migliorare le condizioniper difendere la competitività dell’Azien-da. A questo scopo viene creata una seriedi Organismi congiunti (Commissioni) com-posti da rappresentanti della Direzione edelleOrganizzazioni sindacali firmatarie delpresente accordo; la Rappresentanza sin-dacale dei lavoratori deve operare secon-do un’articolazione, competenze e modali-tà riportate nell’accordo:

· Commissione Paritetica di Concilia-zione: è quella che dovrà esaminare il man-cato rispetto degli impegni assunti dalleOrganizzazioniSindacali firmatarie il presen-te accordo, nonché dare l’operatività delleconseguenze previste nei confronti dellestesse Organizzazioni (mancato versamen-to di contributi sindacali e l’erogazione deipermessi sindacali retribuiti), fermo restan-do che in assenza di valutazione congiun-ta l’Azienda sarà libera di procedere co-munque secondo quanto previsto dallaclausola di responsabilità inclusa nell’ac-cordo.

· Commissione Pari opportunità: do-vrebbe, in “teoria”, promuovere pari op-portunità nell’accesso al lavoro, nelle con-dizioni di impiego e formazione professio-nale, evitando ogni forma di discriminazio-ne delle donne: cioè studiare fattibilità, pro-porre iniziative, esaminare eventuali con-troversie, occuparsi della questione dellemolestie, del reinserimento dopo la mater-nità, dell’accessibilità al tempo parziale dilavoro, ecc.

· Commissione Prevenzione e Sicu-rezza del Lavoro: tutta tesa a migliorare ilcoinvolgimento dei rappresentanti dei la-voratori nelle iniziative volte a diffonderela “cultura” della prevenzione e della sicu-rezza.

· Commissione Organizzazione e Si-stemi di Produzione: questa ha lo scopo dioperare con finalità precise cioè favorirela messa in opera di iniziative volte a rag-giungere obiettivi condivisi per“ottimizzare” il posto di lavoro, relativa-mente a 1) aspetto ergonomico; 2) funzio-nalità delle attrezzature e degli impianti; 3)razionalizzazione delle attività lavorative.Inoltre, migliorare l’efficienza dei macchi-nari relativamentea guasti, attrezzaggi, inat-tività, velocità di trasformazione; identifi-care tutte le procedure suscettibili di mi-glioramento. In sintesi, questo è il vero or-ganismo dal quale dipendono tutti gli altrie nei quali l’azienda intende inquadraretutte le relazioni di carattere sindacale.

· Commissione ServiviAziendali: avràcompetenze di attività di controllo nei lo-cali della cucina, nel verificare il rispettodelle norme di legge in materia di igiene,conservazione e preparazione degli alimen-ti. Verifica della congruità del sistema di tra-sporto pubblico, in relazione agli orari deiturni dei lavoratori; nel sensibilizzare gli EntiPubblici competenti al fine di assicurare ilmiglior servizio possibile. Verifica dellapossibilità di portare all’interno della fab-brica punti di accesso a servizi come: ban-che, assicurazioni ed uffici anagrafici (ècerto infatti che gli operai avranno “pocotempo” per svolgere queste operazioni fuoridalla fabbrica, le potranno fare lì… magarisaltando la mensa…).

· Commissione VerificaAssenteismo:deve monitorare l’andamento del tasso diassenteismo per malattia ed esaminare casispecifici a cui non applicare quanto previ-sto dal presente accordo in relazione allanon copertura retributiva a carico del-l’azienda di particolari casistiche di assen-za giustificata come malattia.

Per quanto riguarda poi il capitolo dei“Diritti Sindacali” all’art. 1, “Costituzione etutele delle Rappresentanze sindacaliaziendali” si ritorna in pratica alle RSA cioèalle rappresentanze sindacali in fabbricapreviste dallo Statuto dei Lavoratori (leg-ge n. 300 del 20 maggio 1970) dove all’art.19 si recita «che possono essere costituitead iniziativa dei lavoratori in ogni unità pro-duttiva, nell’ambito: a) delle associazioniaderenti alle Confederazioni maggiormen-te rappresentative sul piano nazionale; b)delle associazioni sindacali, non affiliatealle predette Confederazioni che sianofirmatarie di contratti collettivi nazionali oprovinciali di lavoro applicati nell’unità pro-duttiva». In pratica, i delegati in fabbricavengono nominati dai sindacati firmataril’accordo, mentre viene stracciato l’accor-do del 23 luglio 1993 dove Cgil-Cisl-Uil in-sieme a padronato e governo stabilivanola costituzione delle RSU (rappresentanzesindacali unitarie) nel quale anche chi nonfirmava i contratti o non faceva parte deisindacati “ufficiali” aveva diritto a parteci-pare alle elezioni per l’RSU raccogliendo

almeno il 5% di firme dei lavoratori. Anchese i sindacati stipulanti i CCNL avevano co-munque nell’ambito del numero dei compo-nenti dell’RSU la possibilità di designarne1/3 direttamente, mentre gli altri 2/3 veniva-no eletti in base al maggior numero di votipresi dai lavoratori, di fatto, chi non facevaparte dei sindacati “ufficiali” rimaneva unaminoranza, ma anche se avesse potuto “con-quistare” la maggioranza dell’RSU avrebbedovuto “negoziare in azienda secondo le di-sposizioni di legge e di contratto” (almenoquesto prevedeva il regolamento di Cgil-Cisl-Uil sui compiti delle RSU). Quindi dalmomento che la Fiom-Cgil non ha firmatol’ultimo contratto dei metalmeccanici nel2009 sottoscritto daFim-Cisl, Uilm-Uil e Ugl,(ma riteneva ancora valido il contratto fir-mato nel 2008 che scadeva a fine 2011, pron-tamente disdetto da Federmeccanica nel no-vembre scorso) e non ha firmato il presenteaccordo, di fatto il ritorno da parte dell’azien-da alle RSA sembra una mossa fatta appo-sta per lasciare “fuori” la Fiom-Cgil o co-munque qualsiasi organizzazione di carat-tere sindacale che non assuma un compor-tamentoancorapiùstrettamente legatoalleesigenze di perseguire gli obiettiviaziendali collaborando alla massima effi-cienza dell’apparatoproduttivo e per otte-nere la migliore competitività dell’aziendasul mercato, ossia il sistema più efficace disfruttare la forza lavoro salariata.

L’accordo Fiat Mirafiori è una confermaulteriore che i sindacati tricolore hanno acuore, e opera con tutte le loro forze, esclu-sivamente il benessere delle aziende, quindidel capitale. Piegati fin dalla loro nascita alleesigenze delle aziende e della concorrenzasul mercato, essi non potevano che abbrac-ciare in tutto e per tutto il diktat delMarchionne di turno. Col pretesto della cri-si di mercato i capitalisti usano senza scru-poli il ricatto del posto di lavoro e acutizzanobrutalmente la concorrenza fra proletari, delnord e del sud Italia come d’Italia e di Serbiao di Polonia. I sindacati collaborazionisti,sempre pronti a “gestire” per conto del pa-drone di turno il controllo sulle masse lavo-ratrici, oggi, di fronte all’aggressività deipadroni della Fiat, si sono trovati nella si-tuazione di smascherare rapidamente la lorofunzione andando dritti a cavalcare il ricattoFiat contro tutti i lavoratori e anche i propriiscritti. La Fiom non ha ceduto, formalmen-te, al ricatto Fiat, mentre cede regolarmentead ogni ricatto capitalistico in moltissimealtre fabbriche delle quali i media nazionali einternazionali in genere non si interessano.La Fiom si è presa sulle spalle un’altra fun-zione: mentre i sindacati Cisl, Uil, Ugl si sonopresi il compito di “rappresentare” i proleta-ri indecisi e arretrati, impauriti dalla situazio-ne di crisi e della prospettiva della disoccu-pazione ma non predisposti alla lotta, la Fiomsi è presa il compito di “rappresentare” i pro-letari più decisi, predisposti alla lotta e che,in situazione di più alta tensione, potrebbe-ro sfuggire al controllo delle organizzazionisindacali ufficiali; li “rappresenta” ma conl’intento di attenuare la tensione, di spegne-re la spinta alla lotta deviando la protestasul piano della pacifica contrapposizione del“diritto al lavoro” rispetto al “ricatto delposto di lavoro” e comunque pronta a fir-mare qualsiasi accordo strangola-operai(come ha fatto in centinaia di accordi conaltre aziende) alla condizione di essere con-siderata un’organizzazione sindacale con cui“si deve” negoziare, alla condizione di es-sere considerata “prima” tra le “controparti”mantenendo in questo modo il prestigio dicui si vanta da decenni. Ma questa volta ipadroni della Fiat hanno colto l’occasioneper dare un colpo duro sia al burocratismosindacale che allo stesso burocratismoconfindustriale: la concorrenza sul mercatomondiale preme, spinge i capitalisti a pren-dere decisioni rapide circa le condizioni sa-lariali e di lavoro dei propri operai dai qualihanno bisogno di ottenere sacrifici più con-sistenti di quanti già non ne abbiano otte-nuti finora, soprattutto nei paesi ricchi. I sin-dacati collaborazionisti devono piegarsi ve-locemente alle esigenze modificate delleaziende; se non lo fanno rischiano di esseremessi ai margini delle trattative, come è suc-cesso alla Fiom.

I proletari, da questi sindacati, se già neidecenni scorsi non riuscivano ad essereorganizzati in una difesa efficace dei propriinteressi immediati, oggi ci riescono ancormeno! La pratica del collaborazionismointerclassista ha una sua parola inesorabile:mentre rafforza il fronte borghese padronale,di cui lievita l’arroganza con la crisi capitali-stica che divora i profitti, indebolisce il fron-te proletario, facendolo precipitare semprepiù nella melma della concorrenza fra operaie nell’individualismo. La forza sociale pro-

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Fiat-Mirafiori: con l’accordo del 23 dicembre, il collaborazionismo sindacalesi piega ancor più alle leggi della competitività aziendale

letaria non potrà però sopportare oltre uncerto limite di essere schiacciata nel tormen-to del lavoro, della miseria, della disoccu-pazione; la caldaia nella quale il magma so-ciale si sta accumulando prima o poi scop-pia, facendo tremare l’intera società del pro-fitto capitalistico. E’ questa tremenda pro-spettiva che fa paura ai collaborazionisti diogni risma, e che teme la stessa borghesiadominante. Ma è la prospettiva alla quale ilproletariato, al contrario, deve guardare coninteresse e speranza, e per la quale le sueavanguardie sono chiamate a far tesorodelle esperienze negative di questi ultimidecenni e di cui l’accordo Fiat non è che unulteriore punto a favore dei capitalisti; fartesoro per imboccare la via della ripresa dellalotta di classe, l’unica via nella quale la for-za sociale proletaria da forza virtuale diven-ta finalmente forza viva e dirompente. Allo-ra, la lotta per l’emancipazione dal lavorosalariato, dalla produzione capitalistica,dalla società borghese, sarà un fiume di lavain piena, inarrestabile.

IN SOSTEGNO

DELLA NOSTRA STAMPA

Maccagno: Cristina 8; Milano: alla RGdiottobre: Mdd-Ni120,RR72,AD34,Lu+Lu14+14, Pino 50, Ri+Ro 64+64, spiccioli 10,San Donà 150+500, sottoscrizione speciale140; San Fele: Antonio, testi + sottoscri-zione 60; Reggio Emilia: Claudio 30,50;Milano: pro-spese 76,70, RR 100,AD 100,posta 5,35; Napoli: Massimo 50; Cesena:Massimo 25; Este: Sergio 25; Milano:sottoscr. 7 + 37; Cerano: Isidoro 20 SanDonà: Lcy80; Genova: Claudio6,50, Ettore6,50. FineLista 2010.

Lista 2011Milano: RR100,AD50, alla riunione del

15 genn. 49,60; Besançon: Laurent 40; S.MartinoV. Caudina: Giuseppe15; SanFele:Antonio 6,50; Treviso: Tullio 30.

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 201110

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si più o meno illuminati alla piccola borghe-sia urbana e ai contadini poveri, si sonoaffratellati per cacciare “il faraone”, stannofinendo lasciando il posto all’esercito “fi-glio del popolo” che si è guadagnato stimae rispetto per non aver sparato un colpocontro nessun manifestante, sia anti chepro Mubarak, ma che è pronto ad interve-nire arrestando e reprimendo nel caso la“transizione” richiedesse velocemente or-dine e vita quotidiana normalizzata (laBorsa ha perso parecchio in questi giorni,così come la produzione, il commercio, ilturismo). Il caos sociale, finché è favorevo-le a frazioni borghesi di peso la cui prospet-tiva vicina è il cambio della guardia alle levedel potere, può anche essere sopportato,ma se la perdita di profitto si dovesse co-niugare con la perdita di controllo politicoallora l’azione dell’esercito per ripristinarel’ordine! diventa prioritaria. E se guardia-mo la storia dell’Egitto è esattamente quel-lo che è successo nel 1954 con Nasser dopoladetronizzazione di re Faruke nel1981 dopol’assassinio di Sadat al quale è succedutoHosni Mubarak.

La “transizione” al dopo-Mubarak po-trà anche avere qualche ritinteggiatura de-mocratica di facciata, qualche riforma concui tacitare all’immediato i bisogni più im-pellenti delle masse proletarie e diseredate,ma sostanzialmente non cambierà in megliole condizioni di sfruttamento e di immiseri-mento delle grandi masse lavoratrici per-ché la crisi, che ha gettato una parte consi-derevole di giovani e non solo giovani nel-la condizione di vita estremamente preca-ria, si ripresenterà di qui a qualche annocon effetti ancora più acuti e peggiorativi.Il capitalismo non si fa piegare alle esigen-

ze di vita della maggioranza della popola-zione; sono queste esigenze di vita dellamaggioranza della popolazione che vengo-no piegate agli interessi del capitalismo, edè relativo che sul ponte di comando vi siaun “faraone” come Mubarak o un “demo-cratico” come El Baradei: comandano in re-altà le leggi del capitalismo, le leggi del pro-fitto capitalistico e della concorrenza capi-talistica.

Al proletariato d’Egitto o di qualsiasialtro paese in cui queste rivolte sociali han-no risvegliato aspirazioni di emancipazionedal gioco della dittatura borghese, la demo-crazia borghese non può che riproporre laprospettiva di un regime borghese che mo-difichi il proprio atteggiamento repressivoallargando gli spazi di “libertà” nella vitaquotidiana e concedendo qualche riformasociale che non scalfisca in nulla la produ-zione di profitto capitalistico; la democra-zia borghese non è che la veste parlamen-tare ed elezionista della dittatura di classedella borghesia. Lo è in modo più raffinatonei paesi capitalistici più vecchi, lo è inmodo più rozzo nei paesi capitalistici piùgiovani, ma di fatto non potrà mai dare allemasse lavoratrici una prospettiva se non dimaggiore sfruttamento, maggiore miseria,maggiore fame e maggiore repressione.L’unica e vera prospettiva che il proletaria-to e le masse povere possono avere è stori-camente la prospettiva della rivoluzioneanticapitalistica, della rivoluzione proleta-ria contro il potere borghese, nella quale farconvergere tutte le forze sociali che soffro-no economicamente, politicamente e social-mente sotto il dominio della borghesia ca-pitalistica. Ma la rivoluzioneproletaria, comescrive Marx nelle Lotte di classe in Fran-

cia, “è possibile solamente in periodi in cuientrambi questi fattori, le forze modernedi produzione e le forme borghesi di pro-duzione, entrano in conflitto tra di loro”(2), ossia quando il proletariato organizza-to e diretto dal suo partito di classe si solle-va contro i rapporti sociali borghesi; e sisolleva armi alla mano perché di contro sitrova l’intera struttura armata dello Statoborghese a difesa della proprietà privata edell’appropriazione privata dell’intera pro-duzione sociale. La rivoluzione proletaria,d’altra parte, è in ogni caso il coronamentodel processo di lotte di classe che condu-cono un acerrimo conflitto contro le formeborghesi della produzione, forme che poli-ticamente possono essere le più varie, dal-le monarchie costituzionali alle repubblichemonarchiche, dalledemocrazie presidenzialie plebiscitarie alle democrazie parlamentari,alle dittature militari o fasciste. Ed è storica-mente assodato che a tale conflitto socialevi concorrono fattori di carattere interna-zionale, perché internazionale è il capitali-smo, internazionale è la concorrenza capi-talistica, internazionali sono i legami eco-nomici, politici, diplomatici e militari tra gliStati capitalisti, sebbene ogni classe bor-ghese nazionale abbia e difenda propri in-teressi nazionali contro ogni altra classeborghese nazionale; e perché il proletariatoè l’unica classe internazionale che non hanulla da difendere della e nella nazione incui viene sistematicamente sfruttato, immi-serito e, quando la sua forza lavoro è so-vrabbondante rispetto alle esigenze di pro-fitto capitalistico, distrutto.

Le rivolte sociali, di cui abbiamo parla-to, non sono nemmeno lontanamente unaanticipazione della rivoluzione proletaria; in

realtà non sono nemmeno l’anticipazionedella ripresa della lotta di classe proletaria.Sono però un segnale importante di unmalcontento generalizzato che inizia adesprimere una mobilitazione fisica che nonteme la repressione, che non teme l’aggres-sione mortale delle forze dell’ordine, chetrova la forza di resistere nel fatto stesso dimobilitarsi. Data la mancanza di un puntodi riferimento di classe che solo il proleta-riato organizzato in associazioni economi-che classiste e in partito politico può dare,è inevitabile che queste mobilitazioni rivol-tose esprimano negli atteggiamenti e nellerivendicazioni “politiche” degli obiettividemocratici, che sono obiettivi borghesi;come è inevitabile che i momenti di fratel-lanza di tutte le classi che hanno caratteriz-zato le manifestazioni a Tunisi, adAlgeri, alCairo, siano momenti destinati a cedere benpresto nuovamente il passo alle contraddi-zioni sociali e agli antagonismi di classe: ilproletario sarà sempre uno schiavo salaria-to, il contadino povero sarà sempre stroz-zato dagli usurai ma sarà sempre avvinghiatoal suo fazzoletto di terra, il bottegaio e ilpiccolo borghese della città continuerà adoscillare tra la grande borghesia e il prole-tariato a seconda della modificazione deirapporti di forza, e il borghese continueràad ingannare i proletari sulla possibilità divivere in un capitalismo “dal volto umano”e pacificamente.

Può sembrare, ancor oggi, tanto è lon-tano il proletariato sia dei paesi capitalistiavanzati che dei paesi capitalisti arretratidal diventare il vero protagonista dei con-flitti sociali, che la rivoluzione proletaria siaun miraggio, un’utopia, un innamoramentoidealistico che non potrà mai concretizzarsi

in realtà storica. Ma è lo stesso corso stori-co del capitalismo a dimostrare che la suasocietà, così gonfia ormai di contraddizionie di antagonismi sociali, non ha alcuna pos-sibilità di mantenere la promessa ideologi-ca fatta nell’epoca gloriosa della sua rivo-luzione borghese: liberté, égalité fraterni-té. L’armonia sociale non sarà mai data dalcapitalismo che, per mantenersi in vita esvilupparsi, ha bisogno di divorare in quan-tità sempre più gigantesche lavoro vivo dalquale estorcere il massimo possibile di plu-slavoro, e quindi di plusvalore. La società,dal punto di vista economico, è più chepronta per finirla con il capitalismo e supe-rarlo definitivamente; le forze produttivemoderne entrano in conflitto regolarmentecon le forme borghesi di produzione, maall’appello manca l’iniziativa di classe delproletariato. Le rivoluzioni non avvengonosu ordinazione, né a comando, ma tra i fat-tori determinanti ci deve anche essere unproletariato che abbia maturato esperienzadi lotta classista a tal punto da poter con-tendere alla borghesia il potere politico eun partito proletario di classe che abbiaavuto l’opportunità di influenzare in manieradeterminante gli strati proletari d’avanguar-dia. E sono in genere proprio le situazionidi crisi economica generalizzata che fannoavanzare il processo di maturazione dei fat-tori oggettivi della lotta di classe e rivolu-zionaria del proletariato, e, come affermaMarx, è più probabile che tali fattori si pre-sentino prima alle estremità del corpo bor-ghese prima che al cuore, anche se saràovviamente decisivo colpire al cuore il ca-pitalismo per poterlo vincere definitivamen-te.

Salutiamo perciò le esplosioni sociali neipaesi della sponda africana e mediorientaledel Mediterraneo non per le rivendicazionidi democrazia che lanciano, ma per il mal-contento generalizzato di cui sono portatri-ci, base materiale per lo sviluppo della lottadi classe, e rivoluzionaria, del loro giovanee coraggioso proletariato.

1) Vedi K. Marx, Le lotte di classe inFrancia, 1848-1850, Opere, vol. X, EditoriRiuniti, Roma 1977, pp. 134-5.

2) Ibidem, p. 135.

Tunisi,Algeri, Il Cairo…

Le mobilitazioni di massa, partite da un malcontento generalizzatoper la crisi economica ma prigioniere delle illusioni democratiche, nazionali e pacifiste, fanno

cadere qualche governante ma non cambiano il corso del dominio capitalistico e delle

manovre imperialistiche che temono solo una cosa:

la lotta di classe proletaria, indipendente e internazionalista

Direttore responsabile: RaffaellaMazzuca / Redattore-capo : RenatoDePrà / Registrazione Tribunale MilanoN. 431/1982 / Stampa : Print Duemilas.r.l., Albairate (Milano)

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La rivolta delle masse disoccupate e affamate, dalla Tunisia e Algeria, si estendeall’Albania, e si scontra con la repressione poliziesca.

Le masse proletarie possono avere una prospettiva solo nella lotta di classee contro ogni illusione democratica!

Il giorno dopo lo scoppio delle mani-festazioni di piazza a Tirana, uscivamo conla presa di posizione che pubblichiamoqui di seguito. Mentre esce il giornale lasituazione in Albania non è cambiata, ri-mane molto tesa e il governo Berisha, no-nostante le richieste dei governi europei,e dell'Italia in particolare, perché sospen-da la repressione violenta contro i mani-festanti, respinge le accuse di corruzionee di malaffare e accusa a sua volta gli av-versari politici "socialisti" di tentato gol-pe. E mentre le fazioni borghesi si conten-dono le leve del potere politico albanese,le masse proletarie continuano a soprav-vivere nella miseria e sotto la repressionepoliziesca.

A Tirana, ieri 21 gennaio, il gravissimodisagio sociale, che con la crisi capitalisti-ca ha gettato nella disoccupazione e nellamiseria più di 1 milione di albanesi (su 3,2milioni di abitanti), si è espresso attraversouna manifestazione che, iniziata con unaprotesta pacifica contro il malgoverno diBerisha chiedendone le dimissioni, si è svi-luppata in violenti scontri con la poliziaschierata in assetto antisommossa a difesadel palazzo del governo.Alla fine degli scon-tri, i giornali danno notizia di 3 morti uccisida colpi di pistola sparati a bruciapelo, piùdi 60 feriti alcuni dei quali gravissimi, e unatensione altissima che nei prossimi giornipuò nuovamente trasformarsi in violentiassalti ai simboli del potere.

La crisi capitalistica che ha colpito imaggiori paesi del mondo in questi ultimitre anni, ha colpito i paesi più deboli conmaggior violenza rispetto alla quale solo ilpugno di ferro di regimi borghesi autoritariha potuto mantenere “l’ordine” e il “con-trollo sociale”. Contro la dilagante disoc-cupazione e la crescente miseria di massesempre più vaste, le fazioni borghesi al po-tere in Tunisia come in Albania, in Algeriacome in Marocco, in Libia o in Egitto comenei paesi della ex Jugoslavia, non trovanodi meglio che schiacciare ancor di più lemasse proletarie e contadine in condizionidi incerta sopravvivenza. Come succedesempre, in assenza della lotta di classe delproletariato, le masse reagiscono ai dram-

matici effetti della crisi economica a “scop-pio ritardato” e con rozza violenza indivi-duando però, con spontanea immediatez-za, la causa del loro disagio nel potere cor-rotto dei propri governanti.

InAlbania, la presenza dell’imprendito-ria italiana è massiccia; l’Italia è infatti pri-ma per numero di imprese installatesi, daigrandi marchi della distribuzione, dell’ener-gia, dell’edilizia, delle infrastrutture, dell’ali-mentare e dell’estrazione e stoccaggio deiminerali ad una miriade di piccole e medieimprese dell’edilizia ecostruzioni, dell’agro-alimentare, del tessile-calzature, della mec-canica, del legno, dei servizi; e non manca-no ovviamente le banche. L’Italia è il primopartner commerciale dell’Albania: esportaper quasi 1 miliardo di euro (40% dell’im-port albanese) e importa per circa 700 milio-ni di euro. Insomma, per l’Italia, l’Albaniarappresenta una seconda Romania, un ba-cino di manodopera a basso costo alle por-te di casa, e una vera piattaforma balcanicastrategicamente piazzata nel Corridoio 8(rete ferroviaria e autostradale di collega-mento tra Europa e Mar Nero) e del busi-ness energetico e commerciale del futuroprossimo. E’ evidente l’interesse dell’impe-rialismo italiano verso l’Albania come èevidente che uno sconvolgimento socialenel Paese delleAquile avrebbe effetti dele-teri non solo per il debole capitalismo d’Al-bania ma anche per il capitalismo italiano. Ilsostegno da parte dei governi italiani, didestra e di sinistra, ai corrotti governi alba-nesi (“socialista” alla Nano o “democrati-co” alla Berisha) è sempre stato giustifica-to propagandisticamente dall’impianto diuna difficile “democrazia” in un paese (mafalsamente) ex “socialista”; in realtà sonosempre stati molto presenti interessi impe-rialistici ben precisi da parte di Roma.

La rivolta delle masse contadine pove-re e proletarie albanesi contro il governoBerisha è stata presentata dai media di tut-to il mondo come una manifestazione di pro-testa pacifica organizzata dall’opposizionesocialista ma, alla fine, degenerata nei vio-lenti scontri perché la polizia impediva aimanifestanti di avvicinarsi al palazzo delgoverno; in realtà, l’opposizione socialista,che accusa Berisha di brogli nelle elezioni

del 2009, sta cavalcando la rabbia delle mas-si albanesi per tornare a governare il paesecon gli stesso obiettivi di Berisha… ma conun po’ di corruzione in meno… Tutte le fra-zioni borghesi sono interessate a continuarea sfruttare le masse proletarie e ad appog-giare ogni interesse capitalistico nazionalee, soprattutto, straniero, che dà loro mododi accumulare profitti e privilegi sulle spalledei proletari e dei contadini poveri. Il “cam-bio della guardia” a gran voce richiesto daidemocratici “di sinistra” non è che un falsoproblema: non diminuirà l’oppressione ca-pitalistica sulle masse albanesi, e non spa-rirà la repressione poliziesca di fronte allasollevazione delle masse che rivendicanocondizioni di vita meno intollerabili, se algoverno ci saranno nuovamente i “sociali-sti” di Edi Rama al posto dei “democratici”di Berisha.

I proletari albanesi che, a causa dellacrisi dei regimi precedenti hanno già dovu-to subire la tragedia dell’emigrazione forza-ta con le drammatiche carrette del mare ne-gli anni Novanta, si ritrovano di fronte allastessa situazione di difficile sopravvivenzadi allora. Ma, per non farsi schiacciare dauno sfruttamento inevitabilmente più acu-to e da una dilagante miseria, essi dovran-no affrontare il proprio futuro prossimo conmeno illusioni democratiche e con più forzadi classe. Essi dovranno organizzarsi in as-sociazioni economiche immediate classiste,fuori e contro ogni dipendenza da apparatiborghesi e di conciliazione fra le classi; edovranno imboccare la strada della lotta diclasse verso la propria emancipazione dalgiogo del capitale, sulla cui strada trove-ranno il partito di classe che ha il compitodi portare la lotta di classe fino alle ultimeconseguenze, fino alla rivoluzione antica-pitalistica.

La violenta rabbia con la quale oggistanno esprimendo le proprie drammatichecondizioni di vita e di lavoro, rabbia che ifalsi socialisti di oggi tentano di sfruttare abeneficio della propria carriera politica e digoverno e che i democratici di destra, nelleelezioni del 2009, hanno tentato di non faresplodere promettendo 160mila posti di la-voro e aumenti dei salari e delle pensioni –mai visti! – morirà in uno sfogo tempora-

neo senza portare alcun cambiamento so-stanziale se rimarrà prigioniera delle illusio-ni democratiche; potrebbe invece essere ilsegnale di una rottura sociale con tutto loschieramento borghese, di destra, di sini-stra o di centro, se sull’onda di questa e dialtre rivolte che inevitabilmente si ripresen-teranno in Albania come nel nord Africa onei paesi balcanici, il proletari prendesseroin mano direttamente la propria lotta orga-nizzandola a difesa dei propri esclusi inte-ressi di classe!

La lotta di classe è la sola efficace ri-sposta che i proletari possono dare sia al-l’esigenza di difendere le proprie condizio-ni di vita e di lavoro, sia per contrastareefficacemente la pressione e la repressioneborghese! Il falso socialismo di Enver Ho-xha durato fino agli anni Ottanta ha resoinviso alle masse proletarie non solo il ter-mine di socialismo o di comunismo, ma lostesso concetto di classe proletaria distin-ta antagonisticamente da ogni altra classesociale, nobilitando invece concetti come“democrazia”, “popolo”, “elezioni” e, di fat-to, seppellendo ogni aspirazione di eman-cipazione proletaria dallo sfruttamento ca-pitalistico reso, in questo modo, normaleed eterno. Ma la realtà economica profon-da della società borghese, con le sue crisicicliche nelle quali il proletariato viene get-tato sempre più in condizioni di vita peg-giorate, e le violente reazioni delle masseproletarie a queste condizioni sono lì a di-mostrare che il tormento del lavoro salaria-to, della disoccupazione e della miseria cre-scente può essere affrontato con forza solose la classe proletaria si sottrae alle illusio-ni democratiche e imbocca la strada dellalotta di classe: alla violenza economica, so-ciale, politica e poliziesca della borghesia, iproletari, se vogliono uscire dalla situazio-ne di impotenza e di completa sudditanzaagli interessi dei capitalisti, devono rispon-dere con determinazione e forza adottandoi metodi e i mezzi della lotta di classe, rom-pendo non solo episodicamente la pacesociale ma una volta per tutte con le prati-che e le politiche della conciliazione fra leclassi. La polizia, e talvolta l’esercito, sparacontro i manifestanti perché ha il compitodi difendere esclusivamente gli interessi

della classe borghese al potere e, spesso,come succede in Tunisia e in Albania, perdifendere gli interessi di clan borghesi cor-rotti e voraci che succhiano il sangue deilavoratori fino all’ultima goccia. La repres-sione poliziesca dimostra che la borghesianon concilia mai i suoi interessi!

I proletari albanesi, come i proletari tu-nisini, algerini o egiziani, e come i proletaridi tutti i paesi della periferia dell’imperiali-smo, con le loro rivolte di piazza stanno lan-ciando un grido d’aiuto che nessun gover-no borghese “democratico” darà e potràdare, tanto è distante e contrario l’interes-se borghese da quello proletario. Questogrido d’aiuto può essere raccolto solo daiproletari dei paesi ricchi, dei paesiimperialisti che aggiungono all’oppressio-ne capitalistica della borghesia nazionaledi quei paesi anche la propria pressione,aggiungendo forza allo strangolamentodelle masse proletarie albanesi, tunisine,romene, bulgare, egiziane e di tutti i paesidominati dalle potenze imperialistiche.

I proletari italiani, se non vogliono es-sere complici del bestiale sfruttamento im-posto ai proletari albanesi che oggi si ribel-lano contro la disoccupazione e la famecome ieri si sono ribellati i proletari in Tuni-sia e in Algeria, e come domani si ribelle-ranno i proletari di un qualsiasi altro paeseal quale l’imperialismo di casa nostra som-ministra dosi massicce di schiavitù salaria-le, devono essi stessi reagire e lottare con-tro il capitalismo di casa propria, solidariz-zando con le lotte dei proletari albanesi,doppiamente sfruttati dal capitalismo na-zionale albanese e dal capitalismoimperialista italiano. Solo così i proletari ita-liani, lottando per i propri interessi imme-diati e di classe in casa propria contro lapropria classe dominante borghese, pos-sono dimostrare ai fratelli di classe dei pae-si in cui l’imperialismo di casa ha affondatoi propri artigli di essere solidali con loro e dinon partecipare col proprio silenzio e conla propria collaborazione al loro ignobilesfruttamento!

22 gennaio 2011PARTITOCOMUNISTAINTERNAZIONALE(ilcomunista)

IL COMUNISTA N° 119 - Dic. 2010 - Genn. 2011 11

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le distruzioni di guerra. La tradizione di lot-ta classista del proletariato italiano, negliscioperi del 1943 e 1944, in piena guerra,aveva già dato segni di ripresa; una voltascardinato l’apparato repressivo e di con-trollo del fascismo, vinto militarmente nellaguerra imperialista, con la caduta di que-st’ultimo la tradizione di lotta classistaavrebbe potuto riguadagnare gli strati pro-letari più combattivi e riprendere nel tempovigore; l’azione politica e organizzativa delsindacalismo tricolore e del politicantismostaliniano avevano, perciò, il compito dichiudere a tenaglia le masse proletarie chesi ribellavano all’intenso sfruttamento ri-chiesto dalla borghesia nel lungo periododi ricostruzione postbellica, e laddove ilpompieraggio sindacale e politico non erasufficiente a tenere a bada per conto deicapitalisti gli strati più ribelli del proletaria-to, ci pensava la polizia del nuovo Statodemocratico a reprimere gli scioperi e i mo-vimenti di lotta non limitandosi ai manga-nelli ma usando spesso e volentieri il fucile.

Tra le grandi fabbriche del capitale pri-vato, la Fiat è sempre stata fin da allora unafabbrica dove il sindacalismo tricolore eraparticolarmente piegato ai voleri e alle esi-genze del padrone, tanto che per molto tem-po un sindacato come la Cgil non avevapraticamente propri iscritti all’interno deglistabilimenti. La tradizione del corporativi-smo fascista, all’interno della Fiat, si pro-lungava nel dopoguerra non attraverso isindacati tricolore formalmente indipenden-ti dal padronato come la Cgil, ma attraversoi sindacati dichiaratamente padronali. In uncerto senso, in Fiat si svolgeva un giocopolitico simile a quello più generale del fa-scismo e dell’antifascismo democratico: lapolitica democratica antifascista aveva “bi-sogno” di mobilitare le masse contro il “fa-scismo” o il “pericolo fascista” per poteringannare meglio e più a lungo le masseproletarie; così, la politica collaborazioni-sta del sindacalismo “democratico” e “in-dipendente” dai padroni “ha bisogno” dimobilitare le masse contro il sindacato “pa-dronale”. Sull’onda delle lotte operaie del1968 e, soprattutto del 1969 (“l’autunnocaldo”), il sindacalismo tricolore targatosoprattutto Cgil, ma non solo, si è liberatodelle vecchie e supercorrotte CommissioniInterne per “entrare” nelle fabbriche connuovi organismi imposti dalle lotte operaiespontanee, i Consigli di Fabbrica, ottenen-do, con appositi accordi con le associazio-ni padronali e con i governi, nuove leggisulle rappresentanze sindacali e tutta unaserie di agevolazioni inerenti l’attività sin-dacale all’interno delle aziende (sale appo-sitamente predisposte, permessi pagati persvolgere quell’attività, ore dedicate alle as-semblee ecc.). Il collaborazionismo sinda-cale otteneva in questo modo un suggelloulteriore al ruolo di mediazione della forzalavoro nei confronti delle direzioni azienda-li, diventandone in pratica il gestore perconto delle aziende: nei negoziati tra orga-nizzazioni sindacali e direzioni aziendali gliaspetti inerenti alla produttività, all’inno-vazione dei processi lavorativi, alla orga-nizzazione del lavoro, alla competitività dellemerci prodotte ecc. – ossia gli aspetti cuierano interessati soltanto i padroni – pre-dominavano sempre più relegando in se-condo e terzo piano gli aspetti legati alladifesa delle condizioni salariali e di lavorodegli operai. Quest’opera del collaborazio-nismo sindacale non poteva aver successopresso gli operai se non con il sostegnodiretto e dichiarato delle associazioni pa-dronali e dei governi i quali, trattando sol-tanto con i rappresentanti dei sindacati uf-ficialmente riconosciuti come “contropar-te”, costringevano le stesse lotte operaie,per rimanere nella legalità e per non andareincontro a sanzioni di legge e a licenzia-mento “per giusta causa”, a ridurre le pro-prie spinte nei margini voluti dai sindacaticollaborazionisti, precipitando sempre piùspesso, inevitabilmente, nell’impotenza enella demoralizzazione.

Ma dal 1975 in poi, ossia dalla primagrande crisi di sovrapproduzione del secon-do dopoguerra, scoppiata simultaneamen-te in tutti i grandi paesi capitalisti, le classidominanti borghesi hanno iniziato, ora inun paese ora in un altro, a rivedere il tipo direlazione che avevano stabilito coi sinda-cati nel trentennio precedente. La loro ope-

ra, cioè, doveva rispondere in modo più in-cisivo per far passare nel proletariato di cia-scun paese non più l’idea e la speranza diun benessere lento, difficile da raggiunge-re ma in ogni caso raggiungibile, ma l’ideadi dover fare sacrifici a causa della crisi eco-nomica e di doverne fare sempre di più adogni crisi che si sarebbe successivamentepresentata poiché la concorrenza mondialesi sarebbe sempre più acutizzata. La gestio-ne della forza lavoro in vista di possibilimiglioramenti economici e di vita lavorati-va si trasformava così in gestione della for-za lavoro che non solo non poteva aspirarea miglioramenti, ma doveva aspettarsi ungenerale peggioramento, un’aumentataconcorrenza tra proletari a causa non solodi una disoccupazione in aumento ma an-che dell’immissione nei paesi capitalisticiavanzati di masse proletarie immigrate chepremevano sempre più ai loro confini. D’al-tronde, le stesse innovazioni tecniche adot-tate nei diversi settori produttivi, e nell’in-dustria automobilistica mondiale hannoavuto un impatto devastante dal punto divista dell’occupazione; esse contribuiva-no ad aumentare il potenziale produttivo ela produttività con molti meno operai di pri-ma. La Fiat, che ancora negli anni Ottantadel secolo scorso, nei suoi stabilimenti con-tava circa 120.000 dipendenti, e nella solaMirafiori ne aveva circa 60.000, oggi aMirafiori ne ha 5.500, e in tutta Italia nonarriva a 60.000 pur avendo assorbito altrefabbriche automobilistiche come l’AlfaRomeo, la Lancia, l’Autobianchi, la Ferrarie altre minori.

Senza il contributo notevole dato daisindacati e dai partiti “operai” collabora-zionisti in tutti questi decenni, la Fiat nonavrebbe superato con profitto le varie fasidel suo sviluppo multinazionale, e le suecrisi, ottenendo in più vantaggi economicie investimenti di soldi pubblici praticamen-te “a perdere”. Le dure lotte che portarononel 1962 ai fatti di Piazza Statuto a Torino,quando gli operai ribellatisi ai ritmi massa-cranti e a salari da fame venivano repressidalla polizia e trattati come “teppisti” e “de-linquenti” per aver rotto le vetrine dei ne-gozi delle vie centrali della città, o che por-tarono al famoso sciopero ad oltranza dei35 giorni nel 1980, in concomitanza con igrandi scioperi degli operai dei cantieri diDanzica in Polonia, se avessero potuto con-tare su organizzazioni sindacali di classe,avrebbero certamente potuto segnare una“svolta storica” alla lotta operaia non soloa Torino ma in tutta Italia. Così non fu per-ché da quelle lotte non rinacque l’associa-zionismo operaio di tipo classista, come nonè il caso nemmeno oggi ad oltre trent’annidi distanza. Le vicende storiche che hannogenerato la forza del collaborazionismo in-terclassista vanno lette nella sconfitta delmovimento rivoluzionario comunista in Eu-ropa, e nel mondo, a causa soprattutto del-l’ondata opportunista stalinista; quest’ul-tima non poteva che rafforzare il dominiodella classe borghese sulla società e spin-gere il proletariato in un reale e drammaticoarretramento dalle posizioni classiste cheavevano caratterizzato il suo movimentopolitico e di difesa immediata fino a metàdegli anni Venti del secolo scorso. Perciò,lotte come quelle del 1962 e del 1980, e cometantissime altre non solo alla Fiat, anchemolto dure ma assenti sul terreno dell’aper-to e riconosciuto antagonismo di classe tracapitale e lavoro, non sono bastate per ra-dicare – nelle generazioni operaie che sisono succedute – vitali lezioni non solonella conduzione pratica di una lotta masoprattutto nell’inquadrare politiche, prati-che e comportamenti di tipo collaborazioni-sta come micidiali per la stessa lotta ele-mentare di difesa immediata. Ciò non toglieche i veri alleati dei proletari di un’aziendao di un paese non sono i padroni e i bor-ghesi che vivono dello sfruttamento ope-raio ma i proletari degli altri paesi e dellealtre aziende, nonostante la concorrenza traproletari alimentata, fomentata, sostenutada ogni borghesia nazionale.

Oggi, la “svolta storica”, di cui si van-tano Fiat e tutto il fronte borghese, che con-sisterebbe nell’aver piegato platealmente isindacati alla legge della massima produtti-vità e del massimo sfruttamento della forzalavoro, significa un ulteriore arretramen-to del proletariato non solo dalle posizioniclassiste degli anni Venti sopra ricordate,ma dalle stesse posizioni riformiste di lotta

di difesa immediata. Come già in moltissimiepisodi precedenti, e in ogni settore indu-striale, la lotta condotta coi metodi del col-laborazionismo sindacale per “salvare ilposto di lavoro” non ha mai garantito glioperai, né anziani né assunti da poco: tut-t’al contrario, quei metodi hanno aggiuntosempre un punto in più a favore del padro-nato e della sua “libertà” di trattare la forzalavoro operaia a proprio piacimento, disin-teressandosi completamente dei bisogni divita degli operai e delle loro famiglie. Nellostesso tempo, il clima di cedimento del mo-vimento operaio sul terreno della difesa deisuoi interessi immediati e vitali ha facilitatolo sgretolamento – lento ma inesorabile – diquel complicato castello di ammortizzatorisociali che servì, nei decenni di ricostruzio-ne postbellica e di sviluppo forsennato del-l’industrializzazione in Italia, a tener legatele masse proletarie alla sorte del capitalismonazionale e dei suo arrembaggi nel mercatomondiale. L’aumentata precarietà del postodi lavoro in questi ultimi decenni si accom-pagna all’aumentata precarietà degli ammor-tizzatori sociali e, mentre aumenta la disoc-cupazione attraverso i licenziamenti e lanon-occupazione giovanile, diminuisconodrasticamente le “difese” che tendenzial-mente rappresentavano gli ammortizzatorisociali lasciando masse sempre più nume-rose completamente nude di fronte ai vitalibisogni della vita quotidiana. La violenzasistematica del sistema capitalistico che fadipendere la sopravvivenza della stragrandemaggioranza degli uomini dallo sfruttamen-to del lavoro salariato, si accompagna al-l’ulteriore violenza dello stesso sistema chesi regge sull’esistenza permanente di mas-se numerose di disoccupati utilizzate comevero e proprio esercito industriale di riservaper alimentare ed aumentare la concorrenzafra proletari. E queste violenze si attuanoquotidianamente tanto in ambiente demo-cratico quanto in ambiente autoritario e dit-tatoriale; dal che non è difficile dedurre chela democrazia borghese non contribuisceper nulla ad un tenore di vita migliore dellemasse proletarie rispetto ad un regime nondemocratico: il potere della classe borghe-se capitalistica adotta metodi di governoche, nei periodi dati e negli ambiti delle alle-anze imperialistiche di cui si fa parte, rispon-dono meglio alla difesa degli interessi capi-talistici nazionali e al controllo delle massedi schiavi salariati spremute a dovere perestrarre dallo sfruttamento della loro forzalavoro il massimo di “produttività capitali-stica”, cioè il massimo di profitto possibile.

E’ enorme la responsabilità del collabo-razionismo dei sindacati e dei partiti cosid-detti “operai”, quindi non solo della Fiom, ela corresponsabilità dei sindacati cosiddet-ti “alternativi” tipo Cobas, nel mantenere iproletari nell’alveo del rispetto della demo-crazia e dei meccanismi negoziali legalitariche sono studiati appositamente per infila-re le lotte operaie nei meandri del burocrati-smo e dell’impotenza parolaia. Gli operai, dadecenni sono in realtà lasciati soli a doversopportare i continui attacchi alle loro con-dizioni di vita e di lavoro, costretti a contra-stare questi attacchi non con la forza collet-tiva di una classe, ma con la debolezza delsingolo individuo che si trova di fronte laclasse borghese organizzata e difesa da ap-parti economici, politici, sociali emilitari. Ri-dotti ad essere non una collettività che hainteressi comuni da difendere e che è orga-nizzata per questa strenua ed esclusiva di-fesa dalla micidiale pressione del capitaleche usa ogni possibile arma – politica, so-ciale, religiosa, culturale, militare – perschiacciarne a proprio vantaggio le condi-zioni di vita e di lavoro, i proletari sono co-stretti ad affrontare il peso di una organiz-zazione sociale potente come quella capita-listica completamente disarmati: senzaun’associazione economica di classe, indi-pendente dalle esigenze del capitale e dagliapparati dello Stato borghese, senza unatradizione recente di lotta di classe ma conla presenza soffocante di una miriade di or-ganizzazioni opportuniste che li paralizzanoimprigionandoli con i mille invisibili fili delleillusioni democratiche.

Non si può dire che gli operai di Pomi-gliano o di Mirafiori non abbiano tentato direagire al ricatto della Fiat, ma che poteva-no fare nella posizione di abbandono in cuisono stati gettati per anni dalle organizza-zioni sindacali collaborazioniste? Il ricattodel posto di lavoro è uno dei ricatti più effi-

caci, e perciò più usati dai padroni. La com-plicità stretta che ha sempre legato gli ap-parati del collaborazionismo sindacale conle direzioni aziendali – complicità sostan-ziale, anche se formalmente lo “scontro”poteva in alcuni casi sembrare forte e de-terminato, ma in genere soltanto in funzio-ne di una “credibilità” da mantenere fra glioperai per avere peso nei negoziati col pa-drone – è stato in realtà il lubrificante per-ché questo ricatto apparisse come qualco-sa che si doveva “accettare”, alla quale nonconveniva reagire duramente con la lottapiù ampia e continua possibile perché sa-rebbe stato peggio…e ci sarebbero andatidi mezzo tutti mentre…negoziando e accet-tando condizioni peggiori si potevano sal-vare i posti di lavoro, se non tutti almenouna parte. Con questa politica la disoccu-pazione è forse diminuita? No. Quanti po-sti di lavoro sono stati salvati nei decennitrascorsi? Ben pochi rispetto ai licenziati,ai precarizzati, ai disoccupati cronici!

Gli operai di Mirafiori, e prima di loro aPomigliano, possono dire oggi di aver “sal-vato il posto di lavoro”: ma a quali condi-zioni salariali e di lavoro e per quanto tem-po? La precarietà del posto di lavoro, e quin-di del salario, è ormai una costante del ca-pitalismo; basta vedere che cosa succedealle giovani generazioni di oggi. Lottare permantenere il posto di lavoro, ossia contro illicenziamento, è fondamentale per ognioperai occupato; come è fondamentale lot-tare per la diminuzione della giornata lavo-rativa, contro l’intensificazione del lavoro,dei ritmi, delle mansioni; come è fondamen-tale lottare per l’aumento del salario-baseal di fuori degli incentivi di produttività, econtro l’allungamento della giornata di la-voro, quindi contro lo straordinario; comeè fondamentale lottare contro la concorren-za fra operai diversi per età, sesso o nazio-nalità. La lotta operaia, se mette al centro ladifesa delle condizioni di vita e di lavorooperaie, riconoscendo la comunanza di in-teressi fra tutti gli operai, si svolge su que-ste rivendicazioni e adotta metodi e mezzidi lotta che corrispondono alla difesa daun attacco che è già in atto da parte delpadrone e degli apparati statali e perifericiche ne difendono gli interessi, quindi me-todi e mezzi della lotta di classe come losciopero senza preavviso e ad oltranza, lasospensione immediata del lavoro di fron-te ad ogni incidente, sopruso o mancanzadi sicurezza sul lavoro. La lotta operaia è,appunto, lotta: azione che contrastaun’azione contraria, azione che nel difen-dere gli interessi degli operai tende a fer-mare l’attacco avverso e a danneggiare gliinteressi dei capitalisti e dei loro complici eservitori. Ma la lotta operaia di classe nonsi dimentica dei disoccupati, degli operaiche sono stati espulsi dalle fabbriche o chenon trovano lavoro e che sono costretti asubire i ricatti più tremendi per non moriredi fame! La visione di classe della lotta ope-raia mette al centro dell’azione di difesaimmediata i proletari in quanto lavoratorisalariati – che un qualsiasi datore di lavoroli abbia o no assunti nella propria azienda –superando i recinti delle fabbriche nei qualii capitalisti rinchiudono i “propri” operai ecombattendo una delle cause principali del-la disgregazione operaia e dell’influenza delcollaborazionismo interclassista: la concor-renza tra operai. Ecco perché, tra le rivendi-cazioni di classe sul terreno della lotta didifesa immediata, nonostante sia una riven-dicazione difficile da comprendere oggi pergli stessi operai, noi comunisti rivoluziona-ri mettiamo questa: salario da lavoro o sala-rio di disoccupazione!

Oggi, la Fiat ha interesse a costruirsiuna posizione di forza in Italia per ottenerein Borsa il massimo vantaggio finanziariopossibile; l’operazione iniziata con la sud-divisione societaria in new co. separate èandata esattamente in questa direzione; haanche interesse a dimostrare ai sindacatiamericani della Crhysler, diventati azionistidella fabbrica automobilistica accettandocondizioni di lavoro per i nuovi assuntimolto peggiorative (a cominciare dalla metàdel salario orario dei vecchi dipendenti), eal governo di Washington che ha versatomilioni di dollari perché la fabbrica non chiu-desse, che il management attuale (leggiMarchionne e suoi stretti collaboratori) èin grado di risollevare le sorti economichedel gruppo automobilistico e di far fronteall’enormedebito acceso inAmerica a quello

scopo. La Fiat, d’altra parte, ha anche inte-resse – ma vi è in buona misura obbligataeffettivamente dalle condizioni generali cri-tiche in cui versa l’industria automobilisti-ca mondiale – a “cambiare marcia” rapida-mente nelle cosiddette “relazioni industria-li”; ad esempio in Italia, costringendo nonsolo i sindacati, ma la stessa Confindustria,a quella che Marchionne stesso ha chiama-to “svolta storica”, ossia a chiudere con lepratiche del burocratismo negoziale, ormaistantio e di procedura troppo lenta non piùsopportabile in una situazione di concor-renza mondiale che accelera tanto le “op-portunità di profitto” nel mercato mondialequanto le perdite. Il tempo è denaro, diceun vecchio motto capitalista; ma è tantopiù vero in situazione di crisi economica.D’altronde, le parole di Marchionne sonotutto sommato chiare: o la Fiat in Italia tor-na ad essere fonte di profitto, per cui tuttele parti interessate devono accettare le con-dizioni immediate perché questo succeda(la Confindustria deve accettare la fuoriu-scita del gruppo privato più importanted’Italia facendo buon viso a cattiva sorte, isindacati devono accettare di ridimensio-nare notevolmente il loro peso e il loro ruo-lo di semi-indipendenza formale dal capita-le e dallo Stato assoggettandosi velocemen-te e pubblicamente alle esigenze di profittodell’azienda, gli operai devono accettarecondizioni salariali e di lavoro che il padro-ne, di volta in volta, decide di offrire, penala perdita del posto di lavoro); oppure laFiat in Italia ridimensionerà drasticamentela sua presenza – sempre legata alla possi-bilità effettiva di far profitto – e andrà a fab-bricare auto in altri stabilimenti dove le con-dizioni per far profitto sono più vantaggio-se e rapidamente attuabili.

L’accordo strangola-operai di Mirafio-ri, sull’onda dell’accordo di Pomigliano,sarà esteso anche agli stabilimenti di Cas-sino e di Melfi: era prevedibile fin dall’ini-zio delle discussioni intorno alla chiusura omeno di Termini Imprese e di Pomigliano. Il“piano industriale” sul quale si sono scor-nati Marchionne e la Fiom è semplice: laFiat, alla stessa stregua di qualsiasi altraazienda, investe se ha possibilità di far pro-fitto in tempi ragionevoli; il paese in cui in-vestire i suoi capitali, sia l’Italia, la Polonia,la Serbia, il Brasile e domani la Russia ol’India, è problema relativo poiché l’impor-tante è che vi siano le condizioni economi-che, politiche, sindacali, ambientali e dimercato che facciano fruttare gli investimen-ti. Questi sono problemi che ogni imprendi-tore si pone e deve porsi, ma sono problemisuoi. Se il sindacato “operaio” o il partito“operaio” si interessano di quei problemi e,addirittura, danno il loro sostegno alle esi-genze aziendali di sfruttare la forza lavoropiù intensamente estraendone maggioreproduttività – come è normale per tutti i sin-dacati e i partiti operai tricolore – significache quelle organizzazioni cosiddette ope-raie raccolgono sì adesioni e voti dagli ope-rai ma per fare gli interessi dei capitalisti: ilcollaborazionismo consiste esattamente inquesto!

La lezione che gli operai presto o tardidovranno tirare dalle vicende della Fiat edalla “svolta storica” di Marchionne, sulpiano della lotta immediata, è sostanzialmen-te questa:

- ROMPERE drasticamente con lepratiche e le politiche del collaborazioni-smo sindacale e politico, dunque con la po-litica della conciliazione fra le classi

- LOTTARE sul terreno dell’apertoantagonismo di classe tra capitalisti e lavo-ratori salariati, adottando mezzi e metodidella lotta di classe

- DIFENDEREesclusivamentegli in-teressi immediati operai contro ogni at-tacco alle proprie condizioni di vita e di la-voro

- COMBATTERElaconcorrenzatraproletari riconoscendosi membri della stes-sa classe salariata al di là dell’età, del ses-so, delle convinzioni religiose, dell’appar-tenenza politica, della nazionalità, della tem-poranea o permanente occupazione o di-soccupazione

- RIVENDICAREobiettivi unificantii proletari delle diverse aziende, dei diversisettori di produzione e di distribuzione, pri-vilegiando la solidarietà di classe rispettoal localismo e all’aziendismo

- RIORGANIZZAREle proprie for-ze sul terreno della lotta di classe avendocome obiettivo la riconquista di un asso-ciazionismo operaio classista, dunque in-dipendente da ogni apparato dello Statoborghese o delle associazioni padronali

Risalire dal drammatico indietreggia-mento dalle posizioni di classe avvenuto intutti questi decenni non sarà cero facile;non basterà lottare intorno a rivendicazioniesclusivamente operaie e non basterà lot-tare con metodi e mezzi che non si sottrag-gono allo scontro di classe. Riconquistare

(Segue a pag. 12)

Fiat Mirafiori: Passa l’accordo strangola-operaiche verrà esteso anche a Cassino e Melfi.

Solo la lotta operaia sul terreno dell’aperto scontro di classe,contro ogni ricatto padronale e sindacal-collaborazionista,

può contrastare la micidiale gragnola di peggioramenti destinata a colpire glioperai della Fiat e di tutte le altre fabbriche!

IL COMUNISTA N° 119 Dic. 2010 - Genn. 201112

Il programma del Partito comunista internazionaleIl Partito Comunista Internazionale è costi-

tuito sulla base dei seguenti principi stabiliti aLivorno nel 1921 alla fondazione del Partito Co-munista d’Italia (Sezione della InternazionaleComunista).

1. Nell’attuale regime sociale capitalistico sisviluppa un sempre crescente contrasto tra leforze produttive e i rapporti di produzione, dan-do luogo all’antitesi di interessi ed alla lotta diclasse fra proletariato e borghesia dominante.

2. Gli odierni rapporti di produzione sonoprotetti dal potere dello Stato borghese che, qua-lunque sia la forma del sistema rappresentativoe l’impiego della democrazia elettiva, costitui-sce l’organo per la difesa degli interessi dellaclasse capitalistica.

3. Il proletariato non può infrangere né mo-dificare il sistema dei rapporti capitalistici diproduzione da cui deriva il suo sfruttamentosenza l’abbattimento violento del potere bor-ghese.

4. L’organo indispensabile della lotta rivo-luzionaria del proletariato è il partito di classe.Il partito comunista, riunendo in sé la parte piùavanzata edecisa del proletariato, unifica gli sfor-zi delle masse lavoratrici volgendoli dalle lotteper interessi di gruppi e per risultati contingentialla lotta generale per l’emancipazione rivolu-zionaria del proletariato. Il partito ha il compitodi diffondere nelle masse la teoria rivoluzionaria,di organizzare i mezzi materiali d’azione, di di-

rigere nello svolgimento della lotta la classe la-voratrice assicurando lacontinuità storica e l’uni-tà internazionale del movimento.

5. Dopo l’abbattimento del potere capitali-stico il proletariato non potrà organizzarsi inclasse dominante che con la distruzione del vec-chio apparato statale e la instaurazione dellapropria dittatura, ossia escludendo da ogni di-ritto e funzione politica la classe borghese e isuoi individui finché socialmente sopravvivono,e basando gli organi del nuovo regime sulla solaclasse produttiva. Il partito comunista, la cuicaratteristica programmatica consiste in questafondamentale realizzazione, rappresenta orga-nizza e dirige unitariamente la dittatura proleta-ria. La necessaria difesa dello Stato proletariocontro tutti i tentativi controrivoluzionari puòessere assicurata solo col togliere alla borghesiaed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ognimezzo di agitazione e di propaganda politica econ la organizzazione armata del proletariatoper respingere gli attacchi interni ed esterni.

6. Solo la forza dello Stato proletario potràsistematicamente attuare tutte le successive mi-sure di intervento nei rapporti dell’economia so-ciale, con le quali si effettuerà la sostituzione alsistema capitalistico della gestione collettiva del-la produzione e della distribuzione.

7. Per effetto di questa trasformazione eco-nomica e delleconseguenti trasformazioni di tuttele attività della vita sociale, andrà eliminandosi

la necessità dello Stato politico, il cui ingranag-gio si ridurrà progressivamente a quello dellarazionale amministrazione delle attività umane.

* * *

La posizione del partito dinanzi alla situa-zione del mondo capitalistico e del movimentooperaio dopo la seconda guerra mondiale si fon-da sui punti seguenti.

8. Nel corso della prima metà del secoloventesimo il sistema sociale capitalistico è an-dato svolgendosi in campo economico con l’in-troduzione dei sindacati padronali tra i datori dilavoro a fine monopolistico e i tentativi di con-trollare e dirigere la produzione e gli scambi se-condo piani centrali, fino alla gestione statale diinteri settori della produzione; in campo politi-co con l’aumento del potenziale di polizia emilitare dello Stato ed il totalitarismo di gover-no. Tutti questi non sono tipi nuovi di organiz-zazione sociale con carattere di transizione fracapitalismo e socialismo, né tanto meno ritornia regimi politici pre-borghesi: sono invece pre-cise forme di ancora più diretta ed esclusivagestione del potere e dello Stato da parte delleforze più sviluppate del capitale.

Questo processo esclude le interpretazionipacifiche evoluzioniste e progressive del dive-nire del regime borghese e conferma la previsio-ne del concentramento e dello schiramento

antagonistico delle forze di classe. Perché pos-sano rafforzarsi e concentrarsi con potenzialecorrispondente le energie rivoluzionarie delpro-letariato, questo deve respingere come sua ri-vendicazione e mezzo di agitazione il ritornoal liberalismo democratico e la richiesta di ga-ranzie legalitarie, e deve liquidare storicamen-te il metodo delle alleanze a fini transitori delpartito rivoluzionario di classe sia con partitiborghesi e di ceto mediochecon partiti pseudo-operai a programma riformistico.

9. Le guerre imperialiste mondiali dimo-strano che la crisi di disgregazione del capitali-smo è inevitabile per il decisivo aprirsi delperiodo in cui il suo espandersi non esalta piùl’incremento delle forze produttive, ma ne con-diziona l’accumulazione ad una distruzionealterna e maggiore. Queste guerre hanno arre-cato crisi profonde e ripetute nella organizza-zione mondiale dei lavoratori, avendo le classidominanti potuto imporre ad essi la solidarie-tà nazionale e militare con l’uno o l’altroschieramento di guerra. La sola alternativa sto-rica da opporre a questa situazione è ilriaccendersi della lotta interna di classe finoalla guerra civile delle masse lavoratrici per ro-vesciare il potere di tutti gli Stati borghesi edelle coalizioni mondiali, con la ricostituzionedel partito comunista internazionale come for-za autonoma da tutti i poteri politici e militariorganizzati.

10. Lo Stato proletario, in quanto il suo ap-parato è un mezzo e un’arma di lotta in un perio-do storico di trapasso, non trae la sua forza orga-nizzativa da canoni costituzionali e da schemi rap-presentativi. La massima esplicazione storica delsuo organamento è stata finora quella dei Consiglidei lavoratori apparsa nella rivoluzione russa del-l’Ottobre 1917, nel periodo della organizzazionearmata della clsse operaia sotto la guida del parti-to bolscevico, della conquista totalitaria del pote-re, della dispersione dell’assemblea costituente,della lotta per ributtare gli attacchi esterni dei go-verni borghesi e per schiacciare all’interno la ri-bellione delle classi abbattute, dei ceti medi e pic-colo borghesi e dei partiti dell’opportunismo, im-mancabili alleati della controrivoluzione nelle fasidecisive.

11. La difesa del regime proletario dai pericolidi degenerazione insiti nei possibili insuccessi eripiegamenti dell’opera di trasformazione econo-mica e sociale, la cui integrale attuazione non èconcepibile all’interno dei confini di un solo pae-se, può essere assicurata solo da un continuo coor-dinamento della politica dello Stato operaio con lalotta unitaria internazionale del proletariato di ognipaese contro la propria borghesia e il suo apparatostatale e militare, lotta incessante in qualunque si-tuazione di pace o di guerra, e mediante il controllopolitico e programmatico del partito comunistamondiale sugli apparati dello Stato in cui la classeoperaia ha raggiunto il potere.

CORRISPONDENZA

Per l’Italia:ILCOMUNISTA,cas. post. 10835 -20110 - [email protected]

Per la Francia:nuovo indirizzo

PROGRAMME,BP 57428,69347 - [email protected]

Per la Svizzera:EDITIONS PROGRAMME,Ch. De la Roche 3,1020 - [email protected]

Per la lingua inglese:[email protected]

Per la lingua spagnola:[email protected]

E' a disposizione il

SUPLEMENTO N. 11AL N. 48 DE

«EL PROGRAMA COMUNISTA»

-POR LA ESPAÑA -SEPTIEMBRE 2010

-La crisis económica en Españay el proletariado

-Por una actividad internacio-nal del partido coherente y conti-nua

-Contra las medidas antio-breras del gobierno socialista ¡De-fensa intransigente de los intere-ses de clase proletarios!

-Trabajadores de Correos-La austeridad impuesta a los

trabajadores griegos debe ser unaadvertencia para los proletariosde otros países

-Grecia: ¡Lágrimas y sangrepara el proletariado! ¡He aquí lareceta que predica la burguesíamundial contra la crisis!

-Grecia: el KKE contra la luchade clases

-Vida de Partido

il terreno della lotta di classe e la tradizioneclassista delle generazioni proletarie pas-sate è comunque un passaggio obbligatoper i proletari di oggi e di domani se voglio-no avere la possibilità di contrastare effica-cemente la pressione e la repressione capi-talistica.

In prospettiva, lo sviluppo del capitali-smo in Italia e in tutti i paesi del mondo,soprattutto in quelli più avanzati industrial-mente, supererà anche stavolta la crisi cheha colpito l’economia mondiale, ma alla con-dizione di far pagare alle masse proletarieun prezzo sempre più alto in termini nonsoltanto di precarizzazione del lavoro e del-la vita, ma di vero e proprio affamamento diuna parte consistente della popolazionemondiale preparando i proletariati di tutti ipaesi ad immolarsi domani in una terza guer-ra imperialistica mondiale per la salvezza delcapitalismo come modo di produzione ecome sistema sociale universale. Lo svilup-po capitalistico è ormai storicamente incep-pato da continue e cicliche crisi di sovrap-produzione: si producono più merci di quan-to il mercato possa assorbire, fino a quan-do la crisi di sovrapproduzione non è più“superabile” se non con la guerra genera-lizzata, come è già avvenuto per ben duevolte, con una vasta e gigantesca distru-zione di prodotti-merci e di lavoratori-mer-ci; sì, perché alla sovrapproduzione di pro-dotti-merci parallelamente vi è una sovrap-produzione di lavoratori salariati che, a dif-ferenza delle merci invendute accatastatein qualche luogo e immobili – al massimo

inquinano – i lavoratori salariati non occu-pati hanno la “cattiva abitudine” di muo-versi, di cercare una qualsiasi soluzione allapropria sopravvivenza radunandosi a bran-chi e rendendosi spesso turbolenti e vio-lenti andando così a spezzare la pace so-ciale tanto perseguita dai poteri borghesi.

In prospettiva, quindi, i proletari nonpotranno non ribellarsi al continuo e sem-pre più pesante peggioramento delle lorocondizioni di vita e di lavoro; da schiavisalariati, se non vorranno morire di fame odi guerra, dovranno rialzare la testa e lotta-re per la vita o per la morte. La morte è ilcapitalismo, la morte è rappresentata dalpotere borghese che si regge sul capitali-smo e che ne difende il sistema perché daesso trae i propri privilegi accaparrandosicon la forza l’intera ricchezza sociale. Lavita è rappresentata dalla lotta del proleta-riato che si vuole sottrarre alla morte ga-rantita che diffonde il capitalismo, dalla lot-ta per l’emancipazione dal capitalismo e peruna società in cui lo sfruttamento dell’uo-mo sull’uomo sarà finalmente finito e su-perato per sempre. Ma perché i proletariabbiano la forza di lottare per obiettivi cosìalti come l’emancipazione dal capitalismo,devono saper lottare per gli obiettivi imme-diati legati alla sopravvivenza quotidianain una lotta di resistenza quotidiana che,nei fatti, svolge il ruolo di “scuola di guerradi classe” del proletariato contro la bor-ghesia; lotta che incontrerà inevitabilmen-te situazioni in cui proletari più avanzati ecombattivi dovranno scontrarsi con prole-tari più arretrati e facilmente manovrabilidalla borghesia, situazioni in cui la stessa

riorganizzazione classista sul terreno del-la difesa immediata può deviare facilmen-te in senso localistico, burocratico ecorporativo aumentando, invece di con-trastare, la divisione fra proletari; situa-zioni in cui l’attacco della repressione bor-ghese può raggiungere livelli di grandis-sima violenza come è già avvenuto in moltipaesi anche solo prendendo in conside-razione gli anni del secondo dopoguerra(a cominciare dalla repressione della rivoltadi Berlino del 1953 e di Budapest nel 1956,per andare poi alla Grecia dei colonnelli,alle dittature militari sudamericane o estre-mo-orientali per non parlare del MedioOriente o del Corno d’Africa, dei Balcanio dei recentissimi fatti di Tunisia e d’Al-geria).

Si dirà: che c’entra la vicenda Fiat el’accordo Mirafiori con quello che è suc-cesso tanti anni fa nell’est europeo o inAmerica Latina e con quello che succedein Medio Oriente o in NordAfrica? Lo dicelo stesso Marchionne: il mercato globaleha spinto i grandi gruppi industriali a glo-balizzare la propria attività,ad andare adinvestire i grandi capitali in paesi in cui èpiù facile sfruttare la forza lavoro conmeno regole e meno resistenze rispettoad altri. Ma questo non succede solo ne-gli ultimi anni, succede da quando il capi-talismo è entrato nella sua ultima fase disviluppo, quella imperialistica (come di-ceva Lenin, dal 1915,durante la prima guer-ra imperialistica mondiale) e che è conti-nuata attraverso la seconda guerra im-perialistica mondiale e che continua at-tualmente in preparazione di una terzaguerra imperialistica mondiale. E’ questainevitabile, e prevista dal marxismo, inter-nazionalizzazione del capitalismo con laquale le sorti di un paese sono sempre piùlegate alle sorti degli altri paesi – e quindile sorti di un’azienda dipendono semprepiù dalle vicende del mercato mondiale edella concorrenza che vi si svolge – che

pone il proletariato di un’azienda, di unpaese, di fronte ad un orizzonte che è sem-pre più il mondo. La concorrenza tra pro-letari non si limita più, come nell’Ottocen-to, al paese in cui sono situate le aziendema si estende a tutti i paesi del mondo daiquali i capitalisti attirano nelle proprieaziende proletari a costi inferiori o nei qualii capitalisti vanno ad impiantare proprieaziende. Si dimostra una volta di più comeil marxismo ha letto la storia nel modo giu-sto già da più di centosessant’anni, indi-cando la classe del proletariato, proprioper la sua caratteristica di essere senzariserve e di essere la sola classe dal cuilavoro, applicato al capitale, si producericchezza sociale, come l’unica classe chein questa società non ha nulla da guada-gnare (se non sfruttamento e morte) mache ha tutto un mondo da guadagnare ro-vesciando il potere della classe borgheseche domina l’intera società con la forza indifesa della proprietà privata e dell’appro-priazione privata del prodotto sociale.L’unica cosa che possiede il proletariatocome classe storica, quindi come partitodi classe, in questa società è la teoria ri-voluzionaria, il marxismo, dunque il pro-gramma di un movimento rivoluzionarioche la classe proletaria è storicamente chia-mata ad attuare perché è lo stesso svilup-po del capitalismo che porta l’intera so-cietà al bivio storico: o un salto di qualitàin avanti, ed è la rivoluzione proletaria, ola persistenza centenaria di un sistema chevia via incancrenisce sempre più ma chenon può fermare il corso della storia men-tre può allungare la tremenda agonia diuna società che da tempo non ha più nul-la da offrire alla specie umana se non crisieconomiche devastanti e olocausti al diocapitale.

18 gennaio 2011PARTITO COMUNISTAINTERNAZIONALE (il comunista)

(dapag.11)

Fiat Mirafiori: Passa l’accordostrangola-operai che verrà esteso anche

a Cassino e Melfi.

«Sulla formazione

del partito di classe»Sommario

- Sulla questione della formazione delpartito dopo la crisi esplosiva del 1982-84 del «partito comunista internazionale--/--programma comunista», in Italia e altripaesi- Appendice: Il vecchio Bruno Maffi sen’è andato ( Prezzo : 3 Euro)

Alluvioni e Frane: la politica capitalisticadella “sciagura”!

All’inizio di novembre 2010 il maltemposferza mezza Italia. Si accanisce al Nord.Frane, smottamenti, allerta fiumi, città alla-gate soprattutto in Veneto, Lombardia, Friu-li, Liguria e Toscana. Migliaia di cittadinisfollati, centinaia di interventi di soccorso,un treno deraglia, ci sono tre morti. Riemer-ge la questione della messa in sicurezza delterritorio tanto più che sei milioni di italianivivono in zone considerate ad elevato ri-schio idrogeologico. In Toscana dove unafrana in provincia di Massa Carrara, a La-vacchio, si è abbattuta su una casa ucci-

dendo una donna con suo figlio, il gover-natore della regione sottolinea che: «Oc-correrebbe un piano nazionale per la messain sicurezza del territorio con adeguati fi-nanziamenti, invece anche questo settore èstato penalizzato dalla politica dei tagli» (“laRepubblica” del 2.11.2010).

Ad ogni tragedia di questo tipo si sentesempre lo stesso “ritornello”. In realtà nonè un risparmio che lo Stato capitalista e suoivari governi borghesi - si dicano di “de-stra” o di “sinistra” - tentano di fare sullapelle dei malcapitati di turno; si tratta della

natura stessa dell’interesse che le impresecapitalistiche, e il sistema capitalistico ingenerale, hanno nella “coltivazione” dellesciagure piuttosto che nella loro preven-zione:

1) Politica dell’abbandono da partedello Stato borghese nelle opere di manu-tenzione dei corsi d’acqua in previsione diabbondanti e intense ondate di maltempo.

2) Urbanizzazione, cementificazione,impermeabilizzazione di vaste aree vicinoai corsi d’acqua per favorire soprattutto ilcapitale immobiliare.

3) Politica dell’emergenza con conse-guente stanziamento di quantità di denarimolto superiori dallo Stato borghese (ri-spetto a quelli necessari ad una manuten-zione ordinaria), sulla quale le imprese pri-

vate o pubbliche guadagnano enormi pro-fitti.

In tutto il paese, e in tutti i paesi, impe-ra l’economia della “sciagura”, la specia-lizzazione dello Stato borghese nella ge-stione dell’emergenza che diventa quasi“ordinaria” negli stanziamenti finanziari.Il lavoro passato (opere di arginatura, ca-nali, fiumi, rete fognarie, rimboschimento,ecc.), invece di essere funzionale con lamanutenzione continua e con minore di-spendio di energie lavorative, deve esse-re “spazzato” via per poter sfruttare unamaggior quantità di lavoro “vivo”, per laperenne voracità del capitale di un sem-pre maggior plusvalore (da cui deriva ilprofitto) che, come un vampiro insaziabi-le, succhia dal lavoro salariato per vivere.

A proposito di soppressione dello Stato e di democrazia"Discutendo sullo Stato si cade abitual-

mente nell'errore contro il quale Engels mettequi in guardia e che noi abbiamo già primasegnalato di sfuggita: si dimentica cioè chela soppressione dello Stato è anche sop-pressione della democrazia, e che l'estin-zione dello Stato è l'estinzione della demo-crazia. A prima vista questa affewrmazionepare del tutto strana e incomprensibile: al-cuni potrebbero forse persino temere chenoi auspichiamo l'avventio di un ordina-

mento sociale in cui non verrebbe osserva-to il principio della sottomissione della mi-noranza alla maggioranza; perché in defini-tiva che cos'è la democrazia se non il rico-noscimento di questo principio?

No! La democrazia non si identifica conla sottomissione della minoranza alla mag-gioranza. La democrazia è uno Stato chericonosce la sottomissione della minoranzaalla maggioranza, cioè l'organizzazione del-la violenza sistematicamente esercitata da

una classe contro un'altra, da una parte dellapopolazione contro l'altra. Noi ci assegnia-mo come scopo finale la soppressione del-lo Stato, cioè di ogni violenza organizzata esistematica, di mogni violenza esercitatacontro gli uomini in generale. Noi nonauspichiamo l'avvento di un ordinamentosociale in cui non venga osservato il prin-cipio della sottomissione della minoranzaalla maggioranza. Ma, aspirando al sociali-smo, noi abbiamo la convinzione che essosi trasformerà in comunismo, e che scom-parirà quindi ogni necessità di ricorrere ingenerale alla violenza controp gli uomini,

alla sottomissione di un uomo a un altro,di una parte della popolazione a un'altra,perché gli uomini si abitueranno a osser-vare le condizioni elementari della convi-venza sociale, senza violenza e senza sot-tomissione. Per mettere in risalto questoelemento di consuetudine, Engels parladella nuova generazione, 'cresciuta incondizioni sociali nuove, libere' e che sarà'in grado di scrollarsi dalle spalle tutto ilciarpame statale', ogbni forma di Stato,compresa la repubblica democratica".

(Lenin, Stato e Rivoluzione, agosto 1917)