Inserto "Partito comunista" - Febbraio 2011

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I supplemento al numero 2 - Anno III - febbraio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org Premessa Con questo inserto voglia- mo iniziare a ricordare, an- zitutto (via via la critichere- mo anche), la grande storia del Partito Comunista in Italia. Inizieremo con brevi articoli su alcuni personag- gi ed eventi che hanno se- gnato con maggiore forza la storia del comunismo italiano. Lo scopo è quello di stimolare l’interesse e l’attenzione su questo te- ma imprescindibile nella storia del nostro paese e quindi anche nel nostro presente e per il nostro fu- turo. In successivi inserti procederemo a più accurati approfondimenti. A questo fine vogliamo sollecitare il contributo e la partecipa- zione di quanti siano in grado di apportare i propri ricordi, documenti e cono- scenze. Gli inserti, com’è stato sempre doverosa- mente chiarito, rispecchia- no la posizione ideologica dell’editore e quindi fanno esclusivamente capo alla sua responsabilità morale e, all’occorrenza, giuridica. Ciò non di meno anche gli inserti, come ogni altra ru- brica del giornale, sono aperti alla partecipazione e collaborazione di chiunque lo voglia e si faccia parte di- ligente nel farlo. La pagina si apre con la foto dei fon- datori del Partito Comuni- sta d’Italia sezione dell’In- ternazionale Comunista, avvenuta a Livorno il 21 gennaio del 1921. La storia del comunismo in Italia non nasce con quel- l’evento, né finisce con le leggi fasciste del 1926 che hanno sciolto (messo fuori legge) il PCd’I, né con il Congresso del 1991 che ha (di)sciolto il Partito Comu- nista Italiano, né tanto me- no con l’esperienza suicida dell’Arcobaleno bertinot- tiano. Del pari la storia del comunismo in Italia non corre solo dentro quella del partito che ne ha portato il nome e a volte (almeno per taluni e non pochi) non ne ha invece più interpretato le idee. L’universo del pen- siero e del movimento co- munista è assai più ampio, vasto e variegato. Nel pro- cedere degli inserti cerche- remo di dare conto anche di questo “altro” enorme patrimonio storico, “Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.” (Gramsci) Essere comunisti significa essere partigiani, significa avere deciso di stare con una parte e contro un’altra parte. Stare con la parte dei “più”, con la “maggioranza”, con le grandi masse di esseri umani che vivono, o comun- que vogliono vivere una vita sostenibile e dignitosa con il lavoro, con il proprio lavoro. Significa stare contro quei “meno”, quei “pochi”, quella “minoranza” che vive sulle spalle e sulla pelle della maggioranza. La Storia, con la “S” maiu- scola è storia di scelte di parte; chi non “parteggia”, chi non sceglie e partecipan- do non si espone non solo non fa la Storia, quella con la “S” maiuscola, ma non fa neppure la propria di storia, per quanto piccola sia co- munque parte dell’unica grande Storia dell’umanità, ma si limita a sopravvivere trascinato dalla corrente delle scelte degli altri. Per essere parte occorre parte- cipare e quindi divenire par- tigiani di una idea, di un progetto, di una speranza, di un diritto. E questo fa paura a coloro che vogliono governare le scelte (non scelte) degli altri. La storia ci ha insegnato due scenari (perfettamente intercambia- bili in relazione alle condi- zioni di contesto): il primo è quello di un divieto formale alla partecipazione che si esprime con la dittatura; il secondo è quello di una espropriazione surrettizia del diritto di partecipazione che si realizza con la così detta democrazia delegata. E’ in questo secondo scena- rio che emerge la figura, ir- ragionevole e antistorica, del “super partes”, di colui (coloro, persone fisiche o giuridiche, individui o col- lettività) che non si schiera con alcuna delle parti in campo e ciò non per affer- mare e difendere una pro- pria specifica parte, ma per neutralizzare tutte le altre. Ma se è possibile che vi sia- no realmente figure, istitu- zioni, funzioni o ruoli “su- per partes”, allora vuol dire che le parti in campo in real- tà tali non sono, non sono cioè antagoniste portatrici di differenti posizioni, ma semplici “frazioni”, “sette”, “club” di una stessa parte sostanziale. Giacomo Bro- dolini, il ministro al quale si deve lo Statuto dei Lavora- tori, non era il “Ministro del Lavoro”, ma lui stesso si de- finiva il “Ministro dei Lavo- ratori”; Cordero di Monteze- molo, semmai dovesse rico- prire quella stessa carica, parimenti non sarebbe il “Ministro del Lavoro”, ma il “Ministro dei datori di lavo- ro”, cioè dei padroni. Perché un Ministro del lavoro pos- sa qualificarsi tal quale sen- za ulteriori distinzioni, e dunque sentirsi o almeno affermarsi “super partes” ri- spetto al mondo del lavoro, occorre che lo stesso (o gli stessi sia che si chiamino Damiano o Sacconi) abbia già scelto di stare da una so- la parte e certamente non da quella dei lavoratori. Un partito raccoglie i parti- giani sostenitori delle istan- ze di una parte e se ne fa portatore collettivo. Ma se non ci sono più partigiani, perché è una sola parte ad esprimere le proprie istan- ze, allora i partiti non hanno più senso d’esistere nella lo- ro funzione e identità stori- ca. Nel 1991 la sinistra par- lamentare italiana ha inizia- to un percorso di “restyling” formale (che in verità svela- va una sostanziale mutazio- ne genetica già completata) che la ha portata dapprima a sostituire il termine “co- munista” con la più “moder- na” definizione di “demo- cratico”, poi a cancellare to- talmente il termine “partito” (PCI-PDS-DS), con ciò alline- andosi all’altra grande com- ponente della politica parla- mentare italiana che sin dall’immediato dopo guerra aveva “abiurato” il termine “partito” (popolare) per as- sumere una definizione “ecumenica”, aperta a tutti i credenti, Democrazia Cri- Partigiano, Partito, Comunista: Partito Comunista PARTITO COMUNISTA “Sono stato comunista non solo perché avevo in tasca una tessera di partito. E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito” (Diego Novelli) Il 21 gennaio del 1921 si con- suma la scissione della Frazio- ne Comunista dal Partito socia- lista italiano. Nello stesso gior- no nasce il Partito Comunista d Italia, sezione dell Internazio- nale Comunista. Livorno è la città che ospita il congresso del Partito socialista. Il teatro Gol- doni è lo scenario nel quale av- viene la clamorosa rottura che era da tempo nell aria. Sarà la minoranza comunista a lascia- re la sede del congresso per trasferirsi in un altro teatro, il San Marco. La minoranza del Partito socia- lista rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, faceva capo ad Amedeo Bordiga che guidò per primo il nuovo partito, al gruppo dell Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro To- gliatti, Umberto Terracini e An- gelo Tasca, e alla corrente mas- simalista di Andrea Marabini e Antonio Graziadei, con la stra- grande maggioranza della Fe- derazione giovanile socialista con il suo segretario, Luigi Po- lano, che qualche giorno dopo darà vita alla Federazione gio- vanile comunista. stiana. Gradualmente sono poi scomparse anche le indi- cazioni per così di orienta- mento (destra, sinistra, cen- tro), sostituite da immagini di vegetali o animali (querce, margherite, trifogli, asinelli, ecc.) o descrizioni più diver- se (alleanze, unioni, popoli, ecc.). Il tempo è passato e ha cancellato la memoria della definizione lessicale del ter- mine “partito” che oggi può riapparire (PD, PdL) ma non più per identificare una “parte”, un insieme di istan- ze e progetti di cambiamen- to o almeno di sviluppo del- la società, bensì per essere lui stesso la “parte”, non più antagonista ma semplice- mente alternativa ad un’al- tra “parte”. Partito Comunista identifi- ca un insieme di uomini e donne che hanno una loro storia, un loro presente e un loro progetto ben defini- to. Partito Comunista iden- tifica una comunità di parti- giani che propone una scel- ta antagonista e progetta il cambiamento rivoluziona- rio del futuro. Se quella co- munità di uomini e di donne sottomessi, sfruttati, esclusi ed emarginati non si è “dis- solta”, ed è evidente che non lo è, allora il ruolo e la fun- zione storica del Partito Co- munista non è cessata e il suo spirito vive immutato nei bisogni delle masse. Riaffiorerà!

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli" con sede a Foligno (PG)

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supplemento al numero 2 - Anno III - febbraio 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

PremessaCon questo inserto voglia-mo iniziare a ricordare, an-zitutto (via via la critichere-mo anche), la grande storiadel Partito Comunista inItalia. Inizieremo con breviarticoli su alcuni personag-gi ed eventi che hanno se-gnato con maggiore forzala storia del comunismoitaliano. Lo scopo è quellodi stimolare l’interesse el’attenzione su questo te-ma imprescindibile nellastoria del nostro paese equindi anche nel nostropresente e per il nostro fu-turo. In successivi insertiprocederemo a più accuratiapprofondimenti. A questofine vogliamo sollecitare ilcontributo e la partecipa-zione di quanti siano ingrado di apportare i propriricordi, documenti e cono-scenze. Gli inserti, com’èstato sempre doverosa-mente chiarito, rispecchia-no la posizione ideologicadell’editore e quindi fannoesclusivamente capo allasua responsabilità moralee, all’occorrenza, giuridica.Ciò non di meno anche gliinserti, come ogni altra ru-brica del giornale, sonoaperti alla partecipazione ecollaborazione di chiunquelo voglia e si faccia parte di-ligente nel farlo. La paginasi apre con la foto dei fon-datori del Partito Comuni-sta d’Italia sezione dell’In-

ternazionale Comunista,avvenuta a Livorno il 21gennaio del 1921.La storia del comunismo inItalia non nasce con quel-l’evento, né finisce con leleggi fasciste del 1926 chehanno sciolto (messo fuorilegge) il PCd’I, né con ilCongresso del 1991 che ha(di)sciolto il Partito Comu-nista Italiano, né tanto me-no con l’esperienza suicidadell’Arcobaleno bertinot-tiano. Del pari la storia delcomunismo in Italia noncorre solo dentro quella delpartito che ne ha portato ilnome e a volte (almeno pertaluni e non pochi) non neha invece più interpretatole idee. L’universo del pen-siero e del movimento co-munista è assai più ampio,vasto e variegato. Nel pro-cedere degli inserti cerche-remo di dare conto anchedi questo “altro” enormepatrimonio storico,

“Vivo, sono partigiano. Perciòodio chi non parteggia, odiogli indifferenti.” (Gramsci)Essere comunisti significaessere partigiani, significaavere deciso di stare conuna parte e contro un’altraparte. Stare con la parte dei“più”, con la “maggioranza”,con le grandi masse di esseriumani che vivono, o comun-que vogliono vivere una vitasostenibile e dignitosa con illavoro, con il proprio lavoro.Significa stare contro quei“meno”, quei “pochi”, quella“minoranza” che vive sullespalle e sulla pelle dellamaggioranza.La Storia, con la “S” maiu-scola è storia di scelte diparte; chi non “parteggia”,chi non sceglie e partecipan-do non si espone non solonon fa la Storia, quella conla “S” maiuscola, ma non faneppure la propria di storia,per quanto piccola sia co-munque parte dell’unicagrande Storia dell’umanità,ma si limita a sopravviveretrascinato dalla correntedelle scelte degli altri. Peressere parte occorre parte-cipare e quindi divenire par-tigiani di una idea, di unprogetto, di una speranza,di un diritto. E questo fapaura a coloro che voglionogovernare le scelte (nonscelte) degli altri. La storia ciha insegnato due scenari(perfettamente intercambia-bili in relazione alle condi-

zioni di contesto): il primo èquello di un divieto formalealla partecipazione che siesprime con la dittatura; ilsecondo è quello di unaespropriazione surrettiziadel diritto di partecipazioneche si realizza con la cosìdetta democrazia delegata.E’ in questo secondo scena-rio che emerge la figura, ir-ragionevole e antistorica,del “super partes”, di colui(coloro, persone fisiche ogiuridiche, individui o col-lettività) che non si schieracon alcuna delle parti incampo e ciò non per affer-mare e difendere una pro-pria specifica parte, ma perneutralizzare tutte le altre.Ma se è possibile che vi sia-no realmente figure, istitu-zioni, funzioni o ruoli “su-per partes”, allora vuol direche le parti in campo in real-tà tali non sono, non sonocioè antagoniste portatricidi differenti posizioni, masemplici “frazioni”, “sette”,“club” di una stessa partesostanziale. Giacomo Bro-dolini, il ministro al quale sideve lo Statuto dei Lavora-tori, non era il “Ministro delLavoro”, ma lui stesso si de-finiva il “Ministro dei Lavo-ratori”; Cordero di Monteze-molo, semmai dovesse rico-prire quella stessa carica,parimenti non sarebbe il“Ministro del Lavoro”, ma il“Ministro dei datori di lavo-ro”, cioè dei padroni. Perché

un Ministro del lavoro pos-sa qualificarsi tal quale sen-za ulteriori distinzioni, edunque sentirsi o almenoaffermarsi “super partes” ri-spetto al mondo del lavoro,occorre che lo stesso (o glistessi sia che si chiaminoDamiano o Sacconi) abbiagià scelto di stare da una so-la parte e certamente nonda quella dei lavoratori.Un partito raccoglie i parti-giani sostenitori delle istan-ze di una parte e se ne faportatore collettivo. Ma senon ci sono più partigiani,perché è una sola parte adesprimere le proprie istan-ze, allora i partiti non hannopiù senso d’esistere nella lo-ro funzione e identità stori-ca. Nel 1991 la sinistra par-lamentare italiana ha inizia-to un percorso di “restyling”formale (che in verità svela-va una sostanziale mutazio-ne genetica già completata)che la ha portata dapprimaa sostituire il termine “co-munista” con la più “moder-na” definizione di “demo-cratico”, poi a cancellare to-talmente il termine “partito”(PCI-PDS-DS), con ciò alline-andosi all’altra grande com-ponente della politica parla-mentare italiana che sindall’immediato dopo guerraaveva “abiurato” il termine“partito” (popolare) per as-sumere una definizione“ecumenica”, aperta a tutti icredenti, Democrazia Cri-

Partigiano, Partito, Comunista: Partito Comunista

PARTITO COMUNISTA“Sono stato comunista non solo perché avevo in tasca una tessera di partito.E oggi non sono un ex comunista solo perché non ho in tasca una tessera di partito” (Diego Novelli)

Il 21 gennaio del 1921 si con-suma la scissione della Frazio-ne Comunista dal Partito socia-lista italiano. Nello stesso gior-no nasce il Partito ComunistadItalia, sezione dellInternazio-nale Comunista. Livorno è lacittà che ospita il congresso delPartito socialista. Il teatro Gol-doni è lo scenario nel quale av-viene la clamorosa rottura cheera da tempo nellaria. Sarà laminoranza comunista a lascia-re la sede del congresso pertrasferirsi in un altro teatro, ilSan Marco.La minoranza del Partito socia-lista rappresentava 58.783iscritti su 216.337, faceva capoad Amedeo Bordiga che guidòper primo il nuovo partito, algruppo dellOrdine Nuovo diAntonio Gramsci, Palmiro To-gliatti, Umberto Terracini e An-gelo Tasca, e alla corrente mas-simalista di Andrea Marabini eAntonio Graziadei, con la stra-grande maggioranza della Fe-derazione giovanile socialistacon il suo segretario, Luigi Po-lano, che qualche giorno dopodarà vita alla Federazione gio-vanile comunista.

stiana. Gradualmente sonopoi scomparse anche le indi-cazioni per così di orienta-mento (destra, sinistra, cen-tro), sostituite da immaginidi vegetali o animali (querce,margherite, trifogli, asinelli,ecc.) o descrizioni più diver-se (alleanze, unioni, popoli,ecc.). Il tempo è passato e hacancellato la memoria delladefinizione lessicale del ter-mine “partito” che oggi puòriapparire (PD, PdL) ma nonpiù per identificare una“parte”, un insieme di istan-ze e progetti di cambiamen-to o almeno di sviluppo del-la società, bensì per esserelui stesso la “parte”, non piùantagonista ma semplice-mente alternativa ad un’al-tra “parte”.Partito Comunista identifi-ca un insieme di uomini edonne che hanno una lorostoria, un loro presente eun loro progetto ben defini-to. Partito Comunista iden-tifica una comunità di parti-giani che propone una scel-ta antagonista e progetta ilcambiamento rivoluziona-rio del futuro. Se quella co-munità di uomini e di donnesottomessi, sfruttati, esclusied emarginati non si è “dis-solta”, ed è evidente che nonlo è, allora il ruolo e la fun-zione storica del Partito Co-munista non è cessata e ilsuo spirito vive immutatonei bisogni delle masse.Riaffiorerà!

II III

La FIOM, alla guida di 500mila operai metal-

meccanici, occupa le fabbriche del nord e da

vita ad esperimenti di autogestione

Ai Commissari di reparto delle

Officine Fiat Centro e Brevetti

Dalla Prima Internazionale fondata da Marx nel 1864

alla Terza Internazionale fondata da Lenin nel 1919

La storia del Biennio Rosso ini-

ziò a Torino il 13 settembre

1919 con la pubblicazione sulla

rivista Ordine Nuovo del mani-

festo “Ai commissari di repartodelle officine Fiat Centro e Bre-vetti”, nel quale si ufficializzava

l’esistenza e il ruolo dei Consi-

gli di fabbrica quali nuclei di ge-

stione autonoma delle indu-

strie da parte degli operai.

Già tre mesi prima Gramsci e

Togliatti avevano affrontato il

problema, sempre sulla stessa

rivista, in un articolo chiamato

“Democrazia operaia”.Torino, culla dell’industrializ-

zazione italiana, si prefigurava

così come il centro propulsore

del bolscevismo, in quanto la

struttura dei Consigli proposta

dagli ordinovisti ricalcava, sep-

pur con peculiarità proprie,

quella dei Soviet russi.

Le proteste iniziarono nelle

fabbriche di meccanica, per poi

continuare nelle ferrovie, tra-

sporti e in altre industrie, men-

tre i contadini occupavano le

terre. Le agitazioni si diffusero

anche nelle campagne della

pianura padana, innescando

duri scontri fra proprietari e

braccianti.

Nelle fabbriche di Torino e Mi-

lano gli operai, però, fecero

molto più che un’occupazione,

sperimentando per la prima

volta forme di autogestione

operaia: 500.000 metalmecca-

nici lavoravano e producevano

da se stessi e per se stessi.

Il fenomeno si estese rapida-

mente ad altre fabbriche del

Nord, coinvolse il movimento

anarchico ma venne solo in

parte appoggiato dal P.S.I., che

in quel momento era diviso tra

riformisti e massimalisti.

Gramsci avvertì l’incapacità dei

politici socialisti di fronte a

queste manifestazioni di auto-

governo proletario, e cercò di

dare sistemazione, teorica pri-

ma, e pratica poi, al movimento

operaio. Nulla potè, però, con-

tro la reazione degli industriali,

appoggiati dal governo e da

questo aiutati con migliaia di

militari in assetto di guerra.

Dal 28 marzo 1920 si delinea-

rono i due blocchi, da una parte

gli operai con lo sciopero ad ol-

tranza, dall’altra i proprietari,

che adottarono la serrata come

reazione alle richieste operaie.

Dopo alcuni mesi di trattative

sugli aumenti salariali, sempre

respinti dalla Confederazione

Generale dell’Industria, si alzò

il livello del conflitto con l’occu-

pazione armata delle fabbriche

da parte degli operai, il 30 ago-

sto del 1920.

Giolitti rifiutò di far interveni-

re la polizia e l'esercito nelle

fabbriche e aspettò che il mo-

vimento si esaurisse da sé, che

terminassero le scorte di mate-

rie prime nei magazzini delle

aziende occupate, che gli stes-

si operai si rendessero conto

che l'occupazione non poteva

durare più a lungo. Nello stes-

so tempo favorì le trattative

fra gli industriali e sindacati e,

praticamente, obbligò gli indu-

striali a concedere ai lavoratori

i miglioramenti di salario ri-

chiesti. Così all’inizio di otto-

bre del 1920 Giolitti riuscì a far

accettare un compromesso tra

le parti sociali, avendo anche

predisposto un progetto di

legge per controllo operaio su

fabbriche, mai attuato.

Le agitazioni operaie ebbero

risultati economici positivi: i

lavoratori ottennero migliora-

menti nel salario e nelle con-

dizioni di lavoro; la durata

massima della giornata lavo-

rativa passò da 11 ore a 8 ore.

Assai diverse furono invece le

conseguenze sul piano politico.

La mancanza di un forte partito

in grado di guidare gli operai e

i contadini verso la conquista

del potere politico non solo fe-

ce retrocedere il movimento,

ma di fatto aprì la porta alla

reazione padronale, industriale

e agraria, che a tal fine utilizzò,

sostenendolo e finanziandolo,

l’emergente fascismo.

Grandissima fu allora la re-

sponsabilità non solo dei libe-

rali (fu lo stesso Giolitti a favo-

rire l'ascesa del fascismo quan-

do, in occasione delle elezioni

del maggio 1921, cercando di

assorbire i fascisti nella norma-

le prassi parlamentare, li inserì

nei Blocchi nazionali), ma dello

stesso partito popolare di don

Sturzo che più preoccupato

dall’avanzata dei socialisti e co-

munisti sottovalutò il pericolo

del fascismo che poi, dopo il

Concordato con il Vaticano,

metterà fuori legge anche il

partito dei cattolici.

Compagni! La nuova formache la commissione internaha assunto nella vostra offici-na con la nomina dei commis-sari di reparto e le discussioniche hanno preceduto e ac-compagnato questa trasfor-mazione non sono passateinavvertite nel campo operaioe padronale torinese. Da unaparte si accingono a imitarvile maestranze di altri stabili-menti della città e della pro-vincia, dall'altra i proprietarie i loro agenti diretti, gli orga-nizzatori delle grandi impre-se industriali, guardano aquesto movimento con inte-resse crescente e si chiedono echiedono a voi quale può esse-re lo scopo cui esso tende,quale il programma che laclasse operaia torinese si pro-pone di realizzare. ... Il bisogno, l'aspirazione da cuitrae la sua origine il movi-mento rinnovatore dell'orga-nizzazione operaia da voi ini-ziato, sono, crediamo noi, nel-le cose stesse, sono una conse-guenza diretta del punto cui ègiunto, nel suo sviluppo, l'or-ganismo sociale ed economicobasato sull'appropriazioneprivata dei mezzi di scambioe di produzione. ... E se è vero che la società nuo-va sarà basata sul lavoro esul coordinamento delleenergie dei produttori, i luo-ghi dove si lavora, dove i pro-duttori vivono e operano incomune, saranno domani icentri dell'organismo socialee dovranno prendere il postodegli enti direttivi della so-cietà odierna. ... La massa operaia deve prepa-rarsi effettivamente all'acqui-sto della completa padronan-za di se stessa, e il primo pas-so su questa via sta nel suo

più saldo disciplinarsi, nell'of-ficina, in modo autonomo,spontaneo e libero. Né si puònegare che la disciplina checol nuovo sistema verrà in-staurata condurrà a un mi-glioramento della produzio-ne, ma questo non è altro cheil verificarsi di una tesi del so-cialismo: quanto più le forzeproduttive umane, emanci-pandosi dalla schiavitù cui ilcapitalismo le vorrebbe persempre condannate, prendo-no coscienza di sé, si liberanoe liberamente si organizzano,tanto migliore tende a diven-tare il modo della loro utiliz-zazione: l'uomo lavorerà sem-pre meglio dello schiavo. A coloro poi che obiettano chein questo modo si viene a col-laborare con i nostri avversa-ri, con i proprietari delleaziende, noi rispondiamo cheinvece questo è l'unico mezzodi dominio, perché la classeoperaia concepisce la possibi-lità di fare da sé e di fare be-ne: anzi, essa acquista di gior-no in giorno più chiara la cer-tezza di essere sola capace disalvare il mondo intiero dallarovina e dalla desolazione. ... Eletti da una maestranza nel-la quale sono ancora numero-si gli elementi disorganizzati,vostra prima cura sarà certa-mente quella di farli entrarenelle file dell'organizzazione,opera che del resto vi sarà fa-cilitata dal fatto che essi tro-veranno in voi chi sarà sem-pre pronto a difenderli, a gui-darli, ad avviarli alla vita del-la fabbrica. Voi mostrerete lo-ro con l'esempio che la forzadell'operaio è tutta nell'unio-ne e nella solidarietà coi suoicompagni.

Antonio GramsciOrdine Nuovo - 1919

Le Internazionali

Il Partito “intellettuale organico” delleclassi subalterneLa conquista del potere attraverso la con-quista dell’ “egemonia”“Le idee – scrive Gramsci -non nascono da altre idee, lefilosofie non sono partoriteda altre filosofie, esse sonol'espressione rinnovata dellosviluppo storico.” “Le forzemateriali non sarebbero con-cepibili storicamente senzaforma, e le ideologie sarebbe-ro ghiribizzi individuali sen-za le forze materiali.”Le idee nascono dallo svilup-

po storico del reale, ne sono

l'espressione, ma nello stes-

so tempo hanno il potere di

cambiare la storia. Ecco per-

ché le idee non sono figlie di

idee, ma nascono da rappor-

ti storici reali.

Nel momento in cui il capita-

lismo è entrato nella fase

monopolistica e le grandi

masse sulla scena della sto-

ria, il problema della sovra-

struttura diviene determi-

nante.

Prendere il potere significa,

innanzitutto, occupare le

"casematte dello Stato", cioè

quegli apparati della società

civile, come la scuola, i parti-

ti, i sindacati, la stampa, che

hanno il compito di inculca-

re nelle menti delle grandi

masse i valori della classe

dominante. La supremazia

di un gruppo sociale non

può attuarsi solo col domi-

nio e con la forza, deve avva-

lersi degli apparati egemoni-

ci della società civile, deve

evocare il consenso più am-

pio. Il potere non è dominio,

è egemonia, intesa essenzial-

mente come capacità di dire-

zione intellettuale e morale.

Ogni classe sociale tende a

produrre i propri intellettuali

organici connessi ai propri bi-

sogni e alla propria menta-

lità. Le masse dei lavoratori e

degli sfruttati debbono dotar-

si di una loro guida intellet-

tuale e l’ “intellettuale organi-

co” alle classi subalterne è il

partito comunista che, rap-

presentando la totalità degli

interessi e delle aspirazioni

della classe lavoratrice, si

configura come la sua guida

politica, morale ed ideale. Per

questa sua capacità unifica-

trice delle istanze popolari e

per il suo fermo tendere ver-

so un supremo fine politico,

Gramsci denomina il partito

comunista "moderno Princi-

pe", con l'avvertenza che,

mentre per Machiavelli esso

si identifica in un individuo

concreto, per i comunisti si

tratta di un organismo in cui

si concreta la volontà colletti-

va della classe rivoluzionaria.

In un sistema capitalistico or-

ganico e globalizzato la stra-

tegia rivoluzionaria non può

essere frontale, cioè alla "fac-

ciata dello Stato", deve invece

dirigersi in profondità, me-

diante una "snervante guerra

di posizione", contro le "for-

tezze" e le "casematte" del ne-

mico, ossia contro l'insieme

delle istituzioni della società

civile. Si tratta di logorare pro-

1919-1920 il “Biennio Rosso”, nascono i“Consigli di Fabbrica”, i “soviet” italiani

Nell'anno 1864 fu fondata a

Londra la prima Associazione

internazionale degli operai, la

Prima Internazionale. Negli

Statuti generali di quest'As-

sociazione internazionale de-

gli operai è detto che: a) l'e-

mancipazione della classe

operaia deve essere l'opera

della classe operaia stessa; b)

la lotta per l'emancipazione

della classe operaia non è una

lotta per privilegi di classe e

monopoli, ma per stabilire

eguali diritti e doveri e per

abolire ogni dominio di clas-

se; c) la soggezione economi-

ca del lavoratore a colui che

gode del monopolio dei mez-

zi di lavoro, cioè delle fonti

della vita, forma la base della

servitù in tutte le sue forme,

la base di ogni miseria socia-

le, di ogni degradazione spiri-

tuale e dipendenza politica;

d) di conseguenza, l'emanci-

pazione economica della

classe operaia è il grande fine

cui deve essere subordinato,

come mezzo, ogni movimen-

to politico; e) tutti gli sforzi

per raggiungere questo gran-

de fine sono finora falliti per

la mancanza di solidarietà tra

le molteplici categorie di ope-

rai di ogni paese e per l'as-

senza di un'unione fraterna

fra le classi operaie dei diver-

si paesi; e) l'emancipazione

degli operai non è un proble-

ma locale né nazionale, ma

un problema sociale che ab-

braccia tutti i paesi in cui esi-

ste la società moderna, e la

cui soluzione dipende dalla

collaborazione pratica e teo-

rica dei paesi più progrediti;

f) il presente risveglio della

classe operaia nei paesi indu-

strialmente più progrediti

d'Europa, mentre ridesta

nuove spe-

ranze ed è in

pari tempo

un serio am-

monimento a

non ricadere

nei vecchi er-

rori, esige l'u-

nione imme-

diata dei mo-

vimenti anco-

ra disuniti.

La Seconda

Internaziona-

le, che fu fon-

data nel 1889

a Parigi, s'im-

pegnò a pro-

seguire l'opera della Prima In-

ternazionale. Ma nel 1914, al-

l'inizio del massacro mondia-

le, subì un crollo completo.

Soffocata dall'opportunismo,

disgregata dal tradimento dei

dirigenti che erano passati

dalla parte della borghesia, la

Seconda Internazionale si

spezzò.

La Terza Internazionale co-

munista, fondata nel marzo

1919 a Mosca, capitale della

Repubblica socialista federa-

tiva sovietica russa, proclama

solennemente a tutto il mon-

do di assumere su di sé la

grand'opera iniziata dalla pri-

ma Associazione internazio-

nale degli operai, di volerla

continuare e portare a termi-

ne e per com-

piere, secon-

do le parole

di Lenin, il

primo passo

verso la Re-

pubblica in-

ternazionale

dei soviet e la

vittoria mon-

diale del co-

m u n i s m o .

Dopo questo

primo atto

formale di co-

s t i tuz ione ,

l'Internazio-

nale comuni-

sta tenne nel luglio-agosto

del 1920 il suo secondo con-

gresso, cui parteciparono de-

legazioni di trentasette paesi

e che tracciò le basi ideali e

programmatiche accogliendo

i ventuno punti proposti da

Lenin: i partiti che intendeva-

no aderire si impegnavano a

Il Partito Comunista d’Italia,

come peraltro molti dei nuovi

partiti comunisti occidentali,

nasce nel momento sbagliato.

Paradossalmente l’ala rivolu-

zionaria del partito socialista

si stacca e si costituisce in

partito autonomo nel mo-

mento in cui la spinta rivolu-

zionaria che ha aveva scon-

volto grande parte dell’Euro-

pa occidentale all’indomani

della fine del massacro della

prima guerra mondiale, an-

che sull’emozione del succes-

so della rivoluzione russa, si

stava esaurendo e veniva re-

pressa sempre più violente-

mente, mentre si stavano

aprendo le porte alle nuove

dittature fascista e nazista,

ma anche a forti irrigidimenti

antidemocratici negli altri

grandi paesi europei. La fine

dell’ottocento, grazie anche

alla prima esperienza di go-

verno popolare della Comune

di Parigi del 1870, ma soprat-

tutto in seguito alla forte in-

dustrializzazione che aveva

interessato quasi tutti gli Sta-

ti europei, Russia inclusa,

creando la nuova classe ope-

raia, aveva visto una crescita

esponenziale dei partiti e dei

movimenti socialisti. Era que-

st’ultimo un magna assai ete-

rogeneo che includeva com-

ponenti fortemente rivoluzio-

narie, ma anche buona parte

della nuova borghesia indu-

striale e cittadina che ambiva

a conquistare, dopo quello

economico, anche il potere

politico, liquidando i residui

della vecchia aristocrazia ter-

riera e parassitaria.

La guerra mondiale aveva for-

temente incrementato la in-

dustrializzazione, inevitabil-

mente anche in funzione bel-

lica, aumentando nello stesso

tempo il peso della nuova

classe capitalista e la dimen-

sione di massa di quella ope-

raia. In molti Stati, Russia in-

clusa, erano i nuovi partiti so-

cialisti o socialdemocratici ad

avere messo in discussione il

potere delle vecchie oligar-

chie facendo base anche sulla

nuova classe dei lavoratori

dell’industria e delle città.

In Russia era però avvenuto

un “salto”. Con la rivoluzione

d’ottobre, che segue di pochi

mesi quella di febbraio che

aveva portato al potere la

borghesia socialdemocratica

costringendo lo zar alla abdi-

cazione ai propri poteri asso-

luti, la “massa di manovra”, la

classe operaia prende lei stes-

sa l’iniziativa e scalza la bor-

ghesia assumendo tutto il po-

tere politico.

L’evento è culturalmente de-

vastante per le nuove classi

capitaliste dell’occidente in-

dustrializzato, persino più

grave della stessa guerra

mondiale che aveva bensì vio-

lentemente opposto una bor-

ghesia nazionale a un’altra,

ma mai messo in discussione

il sistema di potere economi-

co, cioè di dominio sulle clas-

si lavoratrici. Non farà in tem-

po a finire la prima guerra

mondiale con la disfatta degli

imperi centroeuropei, che le

nazioni vincitrici, consapevo-

li del pericolo del “contagio”

bolscevico, passeranno ad ag-

gredire la neonata Unione So-

vietica sostenendo, finan-

ziando e in taluni casi anche

con interventi diretti, le di-

verse “armate bianche” che

per tre anni semineranno per

l’immenso territorio russo le

devastazioni di una violentis-

sima guerra civile.

L’esistenza e la sopravviven-

za dell’Unione Sovietica, il

primo grande Stato governa-

to dai lavoratori, svolge quin-

di un ruolo di grandissima

importanza nel provocare la

nascita dei partiti comunisti

nell’Europa occidentale, ma

anche nel condizionarne le

loro strategie politiche.

La principale chiave di lettu-

ra va ricercata proprio nella

costituzione della Terza In-

ternazionale, voluta da Lenin

e poi sempre diretta dall’U-

nione Sovietica. L’internazio-

nale Comunista nasce con

una chiara intenzione, sanci-

ta dai 21 punti del secondo

Congresso di Mosca del

1920, di creare una rete di

partiti gerarchicamente lega-

ti a un organismo unitario

centralizzato, il Comintern,

sostanzialmente costruito a

baluardo dello Stato proleta-

rio. Per alcuni anni, si usa di-

re dopo alla morte Lenin ma

è forse assai più corretto dire

ancora vivente Lenin, ci sarà

un aspro dibattito, sia all’in-

terno dell’Unione Sovietica

che negli Stati e nei partiti oc-

cidentali, sul modo di inter-

pretare il termine “difesa”.

Per le correnti più estreme,

che poi lo stesso Lenin chia-

merà “estremiste” definendo

con tale termine una “malat-

tia infantile” del comunismo,

la difesa veniva intesa in for-

ma “aggressiva”, attraverso

l’espansione mondiale dell’e-

sperienza rivoluzionaria rus-

sa. Per altre correnti, che poi

si definiranno almeno nella

storia del PCdI “il centro”, la

difesa ben presto verrà inter-

pretata esattamente al con-

trario, nel senso della prote-

zione dell’Unione Sovietica.

Nella “vulgata” comune la

prima tesi viene riferita a

Trotskj, la seconda a Stalin,

ma, come sopra accennato, è

da credere che già Lenin, do-

po il fallimento di talune ri-

volte pre-rivoluzionarie, qua-

li ad esempio il movimento

Spartachista in Germania e i

Consigli di Fabbrica in Italia,

avesse compreso la impossi-

bilità della “ripetizione” pura

e semplice dell’esperienza ri-

voluzionaria russa negli altri

Stati capitalisti europei e,

quindi, avesse lui stesso con-

diviso la necessità di una

scelta strategica prioritaria-

mente difensiva dell’Unione

Sovietica.

D'altronde è lo stesso Lenin

che vara la NEP, Nuova Poli-

tica Economica, restituendo

temporaneamente parte del

potere economico alla clas-

se borghese e contrattando

con gli industriali occiden-

tali (emblematico il caso

della Ford che costruisce un

proprio stabilimento di trat-

tori nell’Unione Sovietica),

assumendo la priorità della

ricostruzione dell’econo-

mia, soprattutto industriale,

russa distrutta dalla guerra

mondiale prima e da quella

civile poi.

Non stupisce quindi che sarà

proprio Gramsci, ben prima o

comunque in piena condivi-

sione con Togliatti (poi segre-

tario del Cominter), a fare

proprie, con le tesi del Con-

gresso di Lione del 1926 (ove

verrà liquidata la componete

più estremista di Bordiga), le

strategie dei “fronti uniti”

con i partiti socialisti, del par-

lamentarismo democratico,

ecc., richieste dall’Unione So-

vietica a tutti i partiti comuni-

sti dell’occidente.

L’Unione Sovietica ricono-

scerà il primo governo Mus-

solini e il PCdI parteciperà al-

le ultime elezioni politiche li-

bere, anche se totalmente

truccate da un sistema di “su-

perpremio” maggioritario (as-

sai simile a quello oggi in vi-

gore), dissociandosi poi dalla

sterile opposizione dell’

“Aventino” piegata sulla spe-

ranza dell’intervento di un re

oramai votato alla subordina-

zione fascista, cercando di re-

sistere in Parlamento alla de-

riva dittatoriale che poi met-

terà fuori legge tutti i partiti,

non solo i comunisti di Gram-

sci, ma anche popolari di Don

Sturzo e liberali di Giolitti.

Alcuni anni più tardi, nel

1939, l’Unione Sovietica ne-

gozierà il trattato Molotov-

Ribbentrop di non aggressio-

ne con la Germania nazista,

cercando di allontanare il

tempo di una aggressione co-

munque certa per meglio pre-

parare le proprie difese.

Certamente, dunque, i partiti

comunisti dell’occidente fu-

rono fortemente condizionati

dalla priorità della difesa del-

la “cittadella assediata”, ma

in quella “cittadella” trovaro-

no tutti, italiani, francesi, te-

deschi, spagnoli, ecc., rifugio

dalle persecuzioni del loro

Paesi e spazi e strumenti per

riorganizzare i loro partiti

clandestini e prepararsi a

rientrare nelle rispettive na-

zioni una volta finita la guer-

ra e cadute le dittature.

Yalta non cambierà queste lo-

giche, ma assai più grande

sarà lo spazio di difesa dei

popoli sfruttati del Mondo.

E’ dentro questo complesso

scenario geo-politico che oc-

corre valutare quella che vie-

ne “incoltamente” definita la

dittatura stalinista, ma su

questo “difficile” tema torne-

remo prossimamente.

Il tempo “sbagliato”I partititi comunisti e la difesa dell’URSS

darsi una struttura analoga a

quella del Partito comunista

sovietico, a sostenere l'Urss, a

rispettare le direttive del Co-

mintern, a lottare contro la

socialdemocrazia per favori-

re la nascita di autonomi par-

titi rivoluzionari. A dirigere

l'Internazionale venne desi-

gnato un comitato esecutivo

permanente, con sede a Mo-

sca, il cui primo presidente fu

G.E. Zinov'ev. Negli anni suc-

cessivi il Comintern risentì

pesantemente dei conflitti in-

terni al gruppo dirigente del

Partito comunista dell'Urss,

che condizionò le scelte poli-

tiche subordinando in più di

un'occasione agli interessi

nazionali sovietici le esigenze

dei partiti comunisti dei vari

stati, soprattutto negli anni

di Stalin e della sua teoria del

socialismo in un solo paese.

Anche lo scioglimento del-

l'organizzazione, nel maggio

1943, maturò come conse-

guenza della politica estera

sovietica che, durante la

guerra contro il nazismo,

volle lanciare agli alleati oc-

cidentali un segnale di ricon-

ciliazione accantonando,

con l'Internazionale, il pro-

getto della rivoluzione mon-

diale di cui questa doveva

essere lo strumento operati-

vo.

gressivamente la supremazia

di classe della borghesia, con-

quistando i punti strategici

della società civile, e ponen-

do così le premesse per la

conquista del potere e la rea-

lizzazione della propria ege-

monia. La conquista dello

Stato borghese deve avvenire

dunque dall'interno della so-

cietà, attraverso una "batta-

glia delle idee" e sulla base di

una prospettiva sociale, eco-

nomica, politica, intellettuale

e morale, che sia in grado di

ottenere il consenso delle

masse.

Il Partito “intellettuale orga-

nico” deve ricucire la frattu-

ra tra cultura e vita, tra cul-

tura e masse, operata dall'in-

tellettuale tradizionale mem-

bro di una casta separata dal

popolo-nazione e, dunque,

deve essere portatore di una

"cultura nazional-popolare"

che rappresenta il cemento

del rapporto tra dirigenti e

diretti, tra governanti e go-

vernati. Solo se riesce ad ot-

tenere il consenso di tutte

masse subalterne e sfruttate,

il partito comunista può

creare un sistema di alleanze

di classe che gli permetta di

mobilitare contro lo Stato

borghese la maggioranza

della popolazione lavoratri-

ce e diventare classe dirigen-

te e dominante.

Medaglia commemorativa della

FIOM delle occupazioni del 1920

II III

La FIOM, alla guida di 500mila operai metal-

meccanici, occupa le fabbriche del nord e da

vita ad esperimenti di autogestione

Ai Commissari di reparto delle

Officine Fiat Centro e Brevetti

Dalla Prima Internazionale fondata da Marx nel 1864

alla Terza Internazionale fondata da Lenin nel 1919

La storia del Biennio Rosso ini-

ziò a Torino il 13 settembre

1919 con la pubblicazione sulla

rivista Ordine Nuovo del mani-

festo “Ai commissari di repartodelle officine Fiat Centro e Bre-vetti”, nel quale si ufficializzava

l’esistenza e il ruolo dei Consi-

gli di fabbrica quali nuclei di ge-

stione autonoma delle indu-

strie da parte degli operai.

Già tre mesi prima Gramsci e

Togliatti avevano affrontato il

problema, sempre sulla stessa

rivista, in un articolo chiamato

“Democrazia operaia”.Torino, culla dell’industrializ-

zazione italiana, si prefigurava

così come il centro propulsore

del bolscevismo, in quanto la

struttura dei Consigli proposta

dagli ordinovisti ricalcava, sep-

pur con peculiarità proprie,

quella dei Soviet russi.

Le proteste iniziarono nelle

fabbriche di meccanica, per poi

continuare nelle ferrovie, tra-

sporti e in altre industrie, men-

tre i contadini occupavano le

terre. Le agitazioni si diffusero

anche nelle campagne della

pianura padana, innescando

duri scontri fra proprietari e

braccianti.

Nelle fabbriche di Torino e Mi-

lano gli operai, però, fecero

molto più che un’occupazione,

sperimentando per la prima

volta forme di autogestione

operaia: 500.000 metalmecca-

nici lavoravano e producevano

da se stessi e per se stessi.

Il fenomeno si estese rapida-

mente ad altre fabbriche del

Nord, coinvolse il movimento

anarchico ma venne solo in

parte appoggiato dal P.S.I., che

in quel momento era diviso tra

riformisti e massimalisti.

Gramsci avvertì l’incapacità dei

politici socialisti di fronte a

queste manifestazioni di auto-

governo proletario, e cercò di

dare sistemazione, teorica pri-

ma, e pratica poi, al movimento

operaio. Nulla potè, però, con-

tro la reazione degli industriali,

appoggiati dal governo e da

questo aiutati con migliaia di

militari in assetto di guerra.

Dal 28 marzo 1920 si delinea-

rono i due blocchi, da una parte

gli operai con lo sciopero ad ol-

tranza, dall’altra i proprietari,

che adottarono la serrata come

reazione alle richieste operaie.

Dopo alcuni mesi di trattative

sugli aumenti salariali, sempre

respinti dalla Confederazione

Generale dell’Industria, si alzò

il livello del conflitto con l’occu-

pazione armata delle fabbriche

da parte degli operai, il 30 ago-

sto del 1920.

Giolitti rifiutò di far interveni-

re la polizia e l'esercito nelle

fabbriche e aspettò che il mo-

vimento si esaurisse da sé, che

terminassero le scorte di mate-

rie prime nei magazzini delle

aziende occupate, che gli stes-

si operai si rendessero conto

che l'occupazione non poteva

durare più a lungo. Nello stes-

so tempo favorì le trattative

fra gli industriali e sindacati e,

praticamente, obbligò gli indu-

striali a concedere ai lavoratori

i miglioramenti di salario ri-

chiesti. Così all’inizio di otto-

bre del 1920 Giolitti riuscì a far

accettare un compromesso tra

le parti sociali, avendo anche

predisposto un progetto di

legge per controllo operaio su

fabbriche, mai attuato.

Le agitazioni operaie ebbero

risultati economici positivi: i

lavoratori ottennero migliora-

menti nel salario e nelle con-

dizioni di lavoro; la durata

massima della giornata lavo-

rativa passò da 11 ore a 8 ore.

Assai diverse furono invece le

conseguenze sul piano politico.

La mancanza di un forte partito

in grado di guidare gli operai e

i contadini verso la conquista

del potere politico non solo fe-

ce retrocedere il movimento,

ma di fatto aprì la porta alla

reazione padronale, industriale

e agraria, che a tal fine utilizzò,

sostenendolo e finanziandolo,

l’emergente fascismo.

Grandissima fu allora la re-

sponsabilità non solo dei libe-

rali (fu lo stesso Giolitti a favo-

rire l'ascesa del fascismo quan-

do, in occasione delle elezioni

del maggio 1921, cercando di

assorbire i fascisti nella norma-

le prassi parlamentare, li inserì

nei Blocchi nazionali), ma dello

stesso partito popolare di don

Sturzo che più preoccupato

dall’avanzata dei socialisti e co-

munisti sottovalutò il pericolo

del fascismo che poi, dopo il

Concordato con il Vaticano,

metterà fuori legge anche il

partito dei cattolici.

Compagni! La nuova formache la commissione internaha assunto nella vostra offici-na con la nomina dei commis-sari di reparto e le discussioniche hanno preceduto e ac-compagnato questa trasfor-mazione non sono passateinavvertite nel campo operaioe padronale torinese. Da unaparte si accingono a imitarvile maestranze di altri stabili-menti della città e della pro-vincia, dall'altra i proprietarie i loro agenti diretti, gli orga-nizzatori delle grandi impre-se industriali, guardano aquesto movimento con inte-resse crescente e si chiedono echiedono a voi quale può esse-re lo scopo cui esso tende,quale il programma che laclasse operaia torinese si pro-pone di realizzare. ... Il bisogno, l'aspirazione da cuitrae la sua origine il movi-mento rinnovatore dell'orga-nizzazione operaia da voi ini-ziato, sono, crediamo noi, nel-le cose stesse, sono una conse-guenza diretta del punto cui ègiunto, nel suo sviluppo, l'or-ganismo sociale ed economicobasato sull'appropriazioneprivata dei mezzi di scambioe di produzione. ... E se è vero che la società nuo-va sarà basata sul lavoro esul coordinamento delleenergie dei produttori, i luo-ghi dove si lavora, dove i pro-duttori vivono e operano incomune, saranno domani icentri dell'organismo socialee dovranno prendere il postodegli enti direttivi della so-cietà odierna. ... La massa operaia deve prepa-rarsi effettivamente all'acqui-sto della completa padronan-za di se stessa, e il primo pas-so su questa via sta nel suo

più saldo disciplinarsi, nell'of-ficina, in modo autonomo,spontaneo e libero. Né si puònegare che la disciplina checol nuovo sistema verrà in-staurata condurrà a un mi-glioramento della produzio-ne, ma questo non è altro cheil verificarsi di una tesi del so-cialismo: quanto più le forzeproduttive umane, emanci-pandosi dalla schiavitù cui ilcapitalismo le vorrebbe persempre condannate, prendo-no coscienza di sé, si liberanoe liberamente si organizzano,tanto migliore tende a diven-tare il modo della loro utiliz-zazione: l'uomo lavorerà sem-pre meglio dello schiavo. A coloro poi che obiettano chein questo modo si viene a col-laborare con i nostri avversa-ri, con i proprietari delleaziende, noi rispondiamo cheinvece questo è l'unico mezzodi dominio, perché la classeoperaia concepisce la possibi-lità di fare da sé e di fare be-ne: anzi, essa acquista di gior-no in giorno più chiara la cer-tezza di essere sola capace disalvare il mondo intiero dallarovina e dalla desolazione. ... Eletti da una maestranza nel-la quale sono ancora numero-si gli elementi disorganizzati,vostra prima cura sarà certa-mente quella di farli entrarenelle file dell'organizzazione,opera che del resto vi sarà fa-cilitata dal fatto che essi tro-veranno in voi chi sarà sem-pre pronto a difenderli, a gui-darli, ad avviarli alla vita del-la fabbrica. Voi mostrerete lo-ro con l'esempio che la forzadell'operaio è tutta nell'unio-ne e nella solidarietà coi suoicompagni.

Antonio GramsciOrdine Nuovo - 1919

Le Internazionali

Il Partito “intellettuale organico” delleclassi subalterneLa conquista del potere attraverso la con-quista dell’ “egemonia”“Le idee – scrive Gramsci -non nascono da altre idee, lefilosofie non sono partoriteda altre filosofie, esse sonol'espressione rinnovata dellosviluppo storico.” “Le forzemateriali non sarebbero con-cepibili storicamente senzaforma, e le ideologie sarebbe-ro ghiribizzi individuali sen-za le forze materiali.”Le idee nascono dallo svilup-

po storico del reale, ne sono

l'espressione, ma nello stes-

so tempo hanno il potere di

cambiare la storia. Ecco per-

ché le idee non sono figlie di

idee, ma nascono da rappor-

ti storici reali.

Nel momento in cui il capita-

lismo è entrato nella fase

monopolistica e le grandi

masse sulla scena della sto-

ria, il problema della sovra-

struttura diviene determi-

nante.

Prendere il potere significa,

innanzitutto, occupare le

"casematte dello Stato", cioè

quegli apparati della società

civile, come la scuola, i parti-

ti, i sindacati, la stampa, che

hanno il compito di inculca-

re nelle menti delle grandi

masse i valori della classe

dominante. La supremazia

di un gruppo sociale non

può attuarsi solo col domi-

nio e con la forza, deve avva-

lersi degli apparati egemoni-

ci della società civile, deve

evocare il consenso più am-

pio. Il potere non è dominio,

è egemonia, intesa essenzial-

mente come capacità di dire-

zione intellettuale e morale.

Ogni classe sociale tende a

produrre i propri intellettuali

organici connessi ai propri bi-

sogni e alla propria menta-

lità. Le masse dei lavoratori e

degli sfruttati debbono dotar-

si di una loro guida intellet-

tuale e l’ “intellettuale organi-

co” alle classi subalterne è il

partito comunista che, rap-

presentando la totalità degli

interessi e delle aspirazioni

della classe lavoratrice, si

configura come la sua guida

politica, morale ed ideale. Per

questa sua capacità unifica-

trice delle istanze popolari e

per il suo fermo tendere ver-

so un supremo fine politico,

Gramsci denomina il partito

comunista "moderno Princi-

pe", con l'avvertenza che,

mentre per Machiavelli esso

si identifica in un individuo

concreto, per i comunisti si

tratta di un organismo in cui

si concreta la volontà colletti-

va della classe rivoluzionaria.

In un sistema capitalistico or-

ganico e globalizzato la stra-

tegia rivoluzionaria non può

essere frontale, cioè alla "fac-

ciata dello Stato", deve invece

dirigersi in profondità, me-

diante una "snervante guerra

di posizione", contro le "for-

tezze" e le "casematte" del ne-

mico, ossia contro l'insieme

delle istituzioni della società

civile. Si tratta di logorare pro-

1919-1920 il “Biennio Rosso”, nascono i“Consigli di Fabbrica”, i “soviet” italiani

Nell'anno 1864 fu fondata a

Londra la prima Associazione

internazionale degli operai, la

Prima Internazionale. Negli

Statuti generali di quest'As-

sociazione internazionale de-

gli operai è detto che: a) l'e-

mancipazione della classe

operaia deve essere l'opera

della classe operaia stessa; b)

la lotta per l'emancipazione

della classe operaia non è una

lotta per privilegi di classe e

monopoli, ma per stabilire

eguali diritti e doveri e per

abolire ogni dominio di clas-

se; c) la soggezione economi-

ca del lavoratore a colui che

gode del monopolio dei mez-

zi di lavoro, cioè delle fonti

della vita, forma la base della

servitù in tutte le sue forme,

la base di ogni miseria socia-

le, di ogni degradazione spiri-

tuale e dipendenza politica;

d) di conseguenza, l'emanci-

pazione economica della

classe operaia è il grande fine

cui deve essere subordinato,

come mezzo, ogni movimen-

to politico; e) tutti gli sforzi

per raggiungere questo gran-

de fine sono finora falliti per

la mancanza di solidarietà tra

le molteplici categorie di ope-

rai di ogni paese e per l'as-

senza di un'unione fraterna

fra le classi operaie dei diver-

si paesi; e) l'emancipazione

degli operai non è un proble-

ma locale né nazionale, ma

un problema sociale che ab-

braccia tutti i paesi in cui esi-

ste la società moderna, e la

cui soluzione dipende dalla

collaborazione pratica e teo-

rica dei paesi più progrediti;

f) il presente risveglio della

classe operaia nei paesi indu-

strialmente più progrediti

d'Europa, mentre ridesta

nuove spe-

ranze ed è in

pari tempo

un serio am-

monimento a

non ricadere

nei vecchi er-

rori, esige l'u-

nione imme-

diata dei mo-

vimenti anco-

ra disuniti.

La Seconda

Internaziona-

le, che fu fon-

data nel 1889

a Parigi, s'im-

pegnò a pro-

seguire l'opera della Prima In-

ternazionale. Ma nel 1914, al-

l'inizio del massacro mondia-

le, subì un crollo completo.

Soffocata dall'opportunismo,

disgregata dal tradimento dei

dirigenti che erano passati

dalla parte della borghesia, la

Seconda Internazionale si

spezzò.

La Terza Internazionale co-

munista, fondata nel marzo

1919 a Mosca, capitale della

Repubblica socialista federa-

tiva sovietica russa, proclama

solennemente a tutto il mon-

do di assumere su di sé la

grand'opera iniziata dalla pri-

ma Associazione internazio-

nale degli operai, di volerla

continuare e portare a termi-

ne e per com-

piere, secon-

do le parole

di Lenin, il

primo passo

verso la Re-

pubblica in-

ternazionale

dei soviet e la

vittoria mon-

diale del co-

m u n i s m o .

Dopo questo

primo atto

formale di co-

s t i tuz ione ,

l'Internazio-

nale comuni-

sta tenne nel luglio-agosto

del 1920 il suo secondo con-

gresso, cui parteciparono de-

legazioni di trentasette paesi

e che tracciò le basi ideali e

programmatiche accogliendo

i ventuno punti proposti da

Lenin: i partiti che intendeva-

no aderire si impegnavano a

Il Partito Comunista d’Italia,

come peraltro molti dei nuovi

partiti comunisti occidentali,

nasce nel momento sbagliato.

Paradossalmente l’ala rivolu-

zionaria del partito socialista

si stacca e si costituisce in

partito autonomo nel mo-

mento in cui la spinta rivolu-

zionaria che ha aveva scon-

volto grande parte dell’Euro-

pa occidentale all’indomani

della fine del massacro della

prima guerra mondiale, an-

che sull’emozione del succes-

so della rivoluzione russa, si

stava esaurendo e veniva re-

pressa sempre più violente-

mente, mentre si stavano

aprendo le porte alle nuove

dittature fascista e nazista,

ma anche a forti irrigidimenti

antidemocratici negli altri

grandi paesi europei. La fine

dell’ottocento, grazie anche

alla prima esperienza di go-

verno popolare della Comune

di Parigi del 1870, ma soprat-

tutto in seguito alla forte in-

dustrializzazione che aveva

interessato quasi tutti gli Sta-

ti europei, Russia inclusa,

creando la nuova classe ope-

raia, aveva visto una crescita

esponenziale dei partiti e dei

movimenti socialisti. Era que-

st’ultimo un magna assai ete-

rogeneo che includeva com-

ponenti fortemente rivoluzio-

narie, ma anche buona parte

della nuova borghesia indu-

striale e cittadina che ambiva

a conquistare, dopo quello

economico, anche il potere

politico, liquidando i residui

della vecchia aristocrazia ter-

riera e parassitaria.

La guerra mondiale aveva for-

temente incrementato la in-

dustrializzazione, inevitabil-

mente anche in funzione bel-

lica, aumentando nello stesso

tempo il peso della nuova

classe capitalista e la dimen-

sione di massa di quella ope-

raia. In molti Stati, Russia in-

clusa, erano i nuovi partiti so-

cialisti o socialdemocratici ad

avere messo in discussione il

potere delle vecchie oligar-

chie facendo base anche sulla

nuova classe dei lavoratori

dell’industria e delle città.

In Russia era però avvenuto

un “salto”. Con la rivoluzione

d’ottobre, che segue di pochi

mesi quella di febbraio che

aveva portato al potere la

borghesia socialdemocratica

costringendo lo zar alla abdi-

cazione ai propri poteri asso-

luti, la “massa di manovra”, la

classe operaia prende lei stes-

sa l’iniziativa e scalza la bor-

ghesia assumendo tutto il po-

tere politico.

L’evento è culturalmente de-

vastante per le nuove classi

capitaliste dell’occidente in-

dustrializzato, persino più

grave della stessa guerra

mondiale che aveva bensì vio-

lentemente opposto una bor-

ghesia nazionale a un’altra,

ma mai messo in discussione

il sistema di potere economi-

co, cioè di dominio sulle clas-

si lavoratrici. Non farà in tem-

po a finire la prima guerra

mondiale con la disfatta degli

imperi centroeuropei, che le

nazioni vincitrici, consapevo-

li del pericolo del “contagio”

bolscevico, passeranno ad ag-

gredire la neonata Unione So-

vietica sostenendo, finan-

ziando e in taluni casi anche

con interventi diretti, le di-

verse “armate bianche” che

per tre anni semineranno per

l’immenso territorio russo le

devastazioni di una violentis-

sima guerra civile.

L’esistenza e la sopravviven-

za dell’Unione Sovietica, il

primo grande Stato governa-

to dai lavoratori, svolge quin-

di un ruolo di grandissima

importanza nel provocare la

nascita dei partiti comunisti

nell’Europa occidentale, ma

anche nel condizionarne le

loro strategie politiche.

La principale chiave di lettu-

ra va ricercata proprio nella

costituzione della Terza In-

ternazionale, voluta da Lenin

e poi sempre diretta dall’U-

nione Sovietica. L’internazio-

nale Comunista nasce con

una chiara intenzione, sanci-

ta dai 21 punti del secondo

Congresso di Mosca del

1920, di creare una rete di

partiti gerarchicamente lega-

ti a un organismo unitario

centralizzato, il Comintern,

sostanzialmente costruito a

baluardo dello Stato proleta-

rio. Per alcuni anni, si usa di-

re dopo alla morte Lenin ma

è forse assai più corretto dire

ancora vivente Lenin, ci sarà

un aspro dibattito, sia all’in-

terno dell’Unione Sovietica

che negli Stati e nei partiti oc-

cidentali, sul modo di inter-

pretare il termine “difesa”.

Per le correnti più estreme,

che poi lo stesso Lenin chia-

merà “estremiste” definendo

con tale termine una “malat-

tia infantile” del comunismo,

la difesa veniva intesa in for-

ma “aggressiva”, attraverso

l’espansione mondiale dell’e-

sperienza rivoluzionaria rus-

sa. Per altre correnti, che poi

si definiranno almeno nella

storia del PCdI “il centro”, la

difesa ben presto verrà inter-

pretata esattamente al con-

trario, nel senso della prote-

zione dell’Unione Sovietica.

Nella “vulgata” comune la

prima tesi viene riferita a

Trotskj, la seconda a Stalin,

ma, come sopra accennato, è

da credere che già Lenin, do-

po il fallimento di talune ri-

volte pre-rivoluzionarie, qua-

li ad esempio il movimento

Spartachista in Germania e i

Consigli di Fabbrica in Italia,

avesse compreso la impossi-

bilità della “ripetizione” pura

e semplice dell’esperienza ri-

voluzionaria russa negli altri

Stati capitalisti europei e,

quindi, avesse lui stesso con-

diviso la necessità di una

scelta strategica prioritaria-

mente difensiva dell’Unione

Sovietica.

D'altronde è lo stesso Lenin

che vara la NEP, Nuova Poli-

tica Economica, restituendo

temporaneamente parte del

potere economico alla clas-

se borghese e contrattando

con gli industriali occiden-

tali (emblematico il caso

della Ford che costruisce un

proprio stabilimento di trat-

tori nell’Unione Sovietica),

assumendo la priorità della

ricostruzione dell’econo-

mia, soprattutto industriale,

russa distrutta dalla guerra

mondiale prima e da quella

civile poi.

Non stupisce quindi che sarà

proprio Gramsci, ben prima o

comunque in piena condivi-

sione con Togliatti (poi segre-

tario del Cominter), a fare

proprie, con le tesi del Con-

gresso di Lione del 1926 (ove

verrà liquidata la componete

più estremista di Bordiga), le

strategie dei “fronti uniti”

con i partiti socialisti, del par-

lamentarismo democratico,

ecc., richieste dall’Unione So-

vietica a tutti i partiti comuni-

sti dell’occidente.

L’Unione Sovietica ricono-

scerà il primo governo Mus-

solini e il PCdI parteciperà al-

le ultime elezioni politiche li-

bere, anche se totalmente

truccate da un sistema di “su-

perpremio” maggioritario (as-

sai simile a quello oggi in vi-

gore), dissociandosi poi dalla

sterile opposizione dell’

“Aventino” piegata sulla spe-

ranza dell’intervento di un re

oramai votato alla subordina-

zione fascista, cercando di re-

sistere in Parlamento alla de-

riva dittatoriale che poi met-

terà fuori legge tutti i partiti,

non solo i comunisti di Gram-

sci, ma anche popolari di Don

Sturzo e liberali di Giolitti.

Alcuni anni più tardi, nel

1939, l’Unione Sovietica ne-

gozierà il trattato Molotov-

Ribbentrop di non aggressio-

ne con la Germania nazista,

cercando di allontanare il

tempo di una aggressione co-

munque certa per meglio pre-

parare le proprie difese.

Certamente, dunque, i partiti

comunisti dell’occidente fu-

rono fortemente condizionati

dalla priorità della difesa del-

la “cittadella assediata”, ma

in quella “cittadella” trovaro-

no tutti, italiani, francesi, te-

deschi, spagnoli, ecc., rifugio

dalle persecuzioni del loro

Paesi e spazi e strumenti per

riorganizzare i loro partiti

clandestini e prepararsi a

rientrare nelle rispettive na-

zioni una volta finita la guer-

ra e cadute le dittature.

Yalta non cambierà queste lo-

giche, ma assai più grande

sarà lo spazio di difesa dei

popoli sfruttati del Mondo.

E’ dentro questo complesso

scenario geo-politico che oc-

corre valutare quella che vie-

ne “incoltamente” definita la

dittatura stalinista, ma su

questo “difficile” tema torne-

remo prossimamente.

Il tempo “sbagliato”I partititi comunisti e la difesa dell’URSS

darsi una struttura analoga a

quella del Partito comunista

sovietico, a sostenere l'Urss, a

rispettare le direttive del Co-

mintern, a lottare contro la

socialdemocrazia per favori-

re la nascita di autonomi par-

titi rivoluzionari. A dirigere

l'Internazionale venne desi-

gnato un comitato esecutivo

permanente, con sede a Mo-

sca, il cui primo presidente fu

G.E. Zinov'ev. Negli anni suc-

cessivi il Comintern risentì

pesantemente dei conflitti in-

terni al gruppo dirigente del

Partito comunista dell'Urss,

che condizionò le scelte poli-

tiche subordinando in più di

un'occasione agli interessi

nazionali sovietici le esigenze

dei partiti comunisti dei vari

stati, soprattutto negli anni

di Stalin e della sua teoria del

socialismo in un solo paese.

Anche lo scioglimento del-

l'organizzazione, nel maggio

1943, maturò come conse-

guenza della politica estera

sovietica che, durante la

guerra contro il nazismo,

volle lanciare agli alleati oc-

cidentali un segnale di ricon-

ciliazione accantonando,

con l'Internazionale, il pro-

getto della rivoluzione mon-

diale di cui questa doveva

essere lo strumento operati-

vo.

gressivamente la supremazia

di classe della borghesia, con-

quistando i punti strategici

della società civile, e ponen-

do così le premesse per la

conquista del potere e la rea-

lizzazione della propria ege-

monia. La conquista dello

Stato borghese deve avvenire

dunque dall'interno della so-

cietà, attraverso una "batta-

glia delle idee" e sulla base di

una prospettiva sociale, eco-

nomica, politica, intellettuale

e morale, che sia in grado di

ottenere il consenso delle

masse.

Il Partito “intellettuale orga-

nico” deve ricucire la frattu-

ra tra cultura e vita, tra cul-

tura e masse, operata dall'in-

tellettuale tradizionale mem-

bro di una casta separata dal

popolo-nazione e, dunque,

deve essere portatore di una

"cultura nazional-popolare"

che rappresenta il cemento

del rapporto tra dirigenti e

diretti, tra governanti e go-

vernati. Solo se riesce ad ot-

tenere il consenso di tutte

masse subalterne e sfruttate,

il partito comunista può

creare un sistema di alleanze

di classe che gli permetta di

mobilitare contro lo Stato

borghese la maggioranza

della popolazione lavoratri-

ce e diventare classe dirigen-

te e dominante.

Medaglia commemorativa della

FIOM delle occupazioni del 1920

La “svolta” del compromessostorico voluta da Enrico Ber-linguer non ha rappresentatouno dei passaggi di maggiorerilevanza nella storia del co-munismo italiano ed europeo,tuttavia la sua vicinanza neltempo, il perdurare delle con-seguenze del suo fallimento e,soprattutto, il persistere dellecondizioni del contesto geo-politico che ebbero allora aprodurla, rendono ancoraquanto mai attuale la sua ana-lisi. Occorreranno però duepremesse molto importanti:una di lessico, la seconda diidentificazione politica che,come si vedrà, sono unite dauno stretto legame dialettico.Il lessico riguarda l’interpre-tazione della parola “svolta”che, nelle vicende del partitocomunista, viene usata in mo-do del tutto improprio. Svoltain lingua italiana significa“mutamento di direzione”,ebbene non ci sono e non sisono mai stati mutamenti didirezione nella oramai seco-lare vicenda dal partito co-munista, anche inteso comeun unico movimento mon-diale. La storia del partito co-munista si è sempre mossalungo un percorso lineare chemuovendo dalla prima defini-zione scientifica di Marx edEngels del 1848 si è natural-mente arricchita nel suo pro-cedere con innumerevoli con-tributi teorici e pratici in coe-renza con la sua natura discienza, né dogmatica, né fi-deistica. Dalla prima teoriz-zazione scientifica di Marx al-l’arricchimento anche empiri-co di Lenin, un’unica linea co-stante e coerente ha legatoGramsci a Togliatti a Longosino a Berlinguer. Questo in-troduce al secondo punto di

identificazione politica: Berlin-guer non è stato soltanto il pa-ladino dell’etica nella politica,caratteristica “ordinaria” perun comunista, Berlinguer èstato l’ultimo segretario di unpartito comunista, formatosialla scuola di Togliatti e diLongo, che si erano a loro vol-ta formati con Gramsci allascuola di Lenin. Berlinguer eraun marxista-leninista, cioè uncomunista rivoluzionario cheperseguiva il progetto di rivo-luzionamento delsistema di dominiocapitalista; altre de-finizioni non ce nesono. Il compro-messo storico,dunque, non è sta-ta una “svolta”, maun passaggio di at-tualizzazione stori-ca del percorso li-neare del comuni-smo che “aboliscelo stato di cose pre-sente” (Marx) intra-preso da Gramsci eproseguito dal suoultimo allievo (co-me segretario delpartito che ne por-tava ancora il no-me). Erano gli inizidegli anni ’70 e ungrande partito co-munista, il più grande mai esi-stito nell’occidente, forte delcontrollo di un grande sinda-cato e dialetticamente conte-stato ma anche arricchito daun fiorire di movimenti e or-ganizzazioni minori comuni-ste, aveva forse conquistatoquell’egemonia politica, eticae culturale prefigurata daGramsci. La cultura, la scien-za, l’arte, l’amministrazione, lecompetenze in ogni discipli-na, l’onestà e la dirittura mo-

rale erano allora patrimonioindiscusso del partito comu-nista italiano. Come scrivevaPasolini il partito comunistaera un paese eccellente in unpaese squalificato. Indipen-dentemente dalla percentualedel consenso elettorale il par-tito comunista italiano era al-lora in grado, non solo di in-fluire sulla politica nazionale,ma anche di condizionarne si-gnificativamente le scelte. Era-no gli anni dell’affermazione

dei diritti civili, dei diritti deilavoratori, del diritto alla salu-te, dello stato sociale in gene-re, della istruzione e dellaespansione della cultura nelsenso più ampio e vasto. Maerano anche gli anni del col-lasso economico degli US Ache con Nixon annullarono laparità del dollaro con l’oro e dilì a poco perderanno la guerradel Vietnam; ma anche dellaquasi speculare implosionedel sistema sovietico ingessa-

IV

Enrico Berlinguerun marxista-leninista rivoluzionario

ne del sud America dall’impe-rialismo USA. Il primo esperi-mento venne represso dai car-ri armati della Russia di Brez-niev, il secondo dal colpo distato organizzato, finanziatoe diretto dagli USA. Era l’11settembre 1973, il giorno incui, con il bombardamento delpalazzo della Moneda di San-tiago del Cile e l’assassinio delpresidente democraticamenteeletto Salvador Allende, ap-parve chiaro che non era pos-sibile cambiare le regole delladivisione del mondo sancitenegli accordi di Yalta e chenon sarebbe mai stato con-sentito a un partito comunistadi assumere il governo di unpaese capitalista, anche con lamaggioranza dei voti demo-craticamente espressi. Il per-corso della conquista del po-tere per via parlamentare an-dava dunque interrotto e que-

sto ha fatto Berlin-guer con la “svolta”del compromessostorico. Non si trat-tava più di inseguirela conquista dellemasse dei lavoratoricattolici alla fiduciae alla guida del par-tito comunista, madi negoziare conl’altra parte, conl’avversario, cioè di“compromettere”.Individuare gli inter-locutori del com-promesso nel mag-ma della cupola de-mocristiana non fudifficile per Berlin-guer: da un lato lacosì detta sinistracristiana sociale epopolare, dall’altro

la componente storicamenteantiamericana e anti israelia-na, quella legata alla chiesa ro-mana; Moro e Andreotti i dueinterlocutori disponibili. Ilprogetto sembrava avere avu-to successo e il PCI giunse sinoa dare l’appoggio esterno a ungoverno monocolore presie-duto da Andreotti. Sembravama non era così. Il 16 marzo1978 gli americani e i loroesecutori italiani fecero se-questrare Aldo Moro da sedi-

centi Brigate Rosse e poi, no-nostante l’opposizione delPapa romano, lo condannaro-no a morte. Il messaggio erainequivoco: neppure il com-promesso storico era pratica-bile in un paese sotto il domi-nio degli USA. Berlinguer, chepure aveva compreso la lezio-ne del Cile, non volle arren-dersi, oppure non fu più ca-pace di “arretrare” il partito,di ricondurlo nell’unico ruoloe spazio politico possibile digrande e forte partito di op-posizione, in grado di condi-zionare dall’esterno le sceltedi un governo al quale nonaveva diritto di accesso.Il partito comunista si eraoramai “votato” al potere, an-che perché infiltrato da unostuolo di non comunisti, co-munisti pentiti, “mai” comu-nisti, opportunisti in genereche avevano intravisto la pos-sibilità di utilizzarlo comeveicolo per la conquista delloro potere personale. Lamorte di Berlinguer, l’ascesaalla guida del partito comuni-sta di una nuova generazionepoliticamente incolta e mo-ralmente compromessa, for-tunosamente aiutata dal crol-lo di quel che restava dellosclerotizzato regime sovieti-co, aprì allora la strada allamutazione genetica di unpartito non più comunista,cioè non più antagonista, masolo alternativo in un condivi-so sistema di potere capitali-sta. Ci sarà infine anche l’ “al-leanza” ma non tra le massepopolari, bensì tra le caste (ilPD). Riservandoci di tornarecon maggiore profondità suquesto importante passaggiodella vicenda del comunismoitaliano, riportiamo di seguitoun estratto del primo articolopubblicato da Berlinguer sul-la rivista Rinascita all’indo-mani del colpo di stato in Cileche così recita: “trarre dallatragedia politica del Cile utiliinsegnamenti relativi a un piùampio e approfondito giudiziosia sul quadro internazionale,sia sulla strategia e tattica delmovimento operaio e demo-cratico in vari paesi, tra i qualiil nostro.”

to nella senilità politica, cultu-rale e morale brezneviana, an-ch’essa affondata nel pantanodella guerra afghana. La“guerra fredda” era finita per-ché erano entrati in crisi am-bedue i contendenti; si apriva-no allora, o almeno sembrava-no aprirsi nuovi scenari di li-berazione del mondo, tanto inoccidente quanto in oriente.I comunisti, marxisti-leninisti-gramsciani (la Cina era ancoramolto lontana dal far sentire il

suo peso politico e ideologico)erano pronti ad assumere ilgoverno anche in sistemi eco-nomici capitalisti, in occidentecome in oriente. Ad orientenel 1968 i comunisti cecoslo-vacchi avevano intrapreso conDubcek un tentativo di rivolu-zione del così detto sociali-smo reale. In occidente nel1970 il fronte di Unità Popola-re di Salvador Allende avevavinto le elezioni in Cile è postomano al progetto di liberazio-

Enrico BerlinguerRinascita, 28 settembre 1973

Gli avvenimenti cileni sono sta-ti e sono vissuti come un dram-ma da milioni di uomini sparsiin tutti i continenti. Si è avver-tito e si avverte che si tratta diun fatto di portata mondiale,che non solo suscita sentimentidi esecrazione verso i respon-sabili del golpe reazionario edei massacri di massa, e di so-lidarietà per chi ne è vittima evi resiste, ma che propone in-terrogativi i quali appassiona-no i combattenti della demo-crazia in ogni paese e muovo-no alla riflessione. Non giovanascondersi che il colpo gravis-simo inferto alla democraziacilena, alle conquiste sociali ealle prospettive di avanzatadei lavoratori di quel paese èanche un colpo che si ripercuo-te sul movimento di liberazio-ne e di emancipazione dei po-poli latino-americani e sull’in-tero movimento operaio e de-mocratico mondiale; e cometale è sentito anche in Italia daicomunisti, dai socialisti, dallemasse lavoratrici, da tutti i de-mocratici e antifascisti.Ma come sempre è avvenuto

di fronte ad altri eventi di taledrammaticità e gravità, i com-battenti per la causa della li-bertà e del socialismo non rea-giscono con lo scoramento osolo con la deprecazione e lacollera, ma cercano di trarreun ammaestramento. In que-sto caso l’ammaestramentotocca direttamente masse ster-minate della popolazionemondiale, chiamando vastistrati sociali, non ancora con-quistati alla nostra visione del-lo scontro sociale e politico cheè in atto nel mondo di oggi, ascorgere e intendere alcuni da-ti fondamentali della realtà.Ciò costituisce una delle pre-messe indispensabili perun’ampia e vigorosa parteci-pazione alla lotta volta a cam-biare tali dati.Anzitutto, gli eventi cileniestendono la consapevolezza,contro ogni illusione, che i ca-ratteri dell’imperialismo, e diquello nord-americano in par-ticolare, restano la sopraffa-zione e la jugulazione econo-mica e politica, lo spirito di ag-gressione e di conquista, la ten-denza a opprimere i popoli e aprivarli della loro indipenden-za, libertà e unità ogni qualvol-

ta le circostanze concrete e irapporti di forza lo consenta-no. In secondo luogo, gli avve-nimenti in Cile mettono in pie-na evidenza chi sono e dovestanno nei paesi del cosiddetto«mondo libero», i nemici dellademocrazia. L’opinione pub-blica di questi paesi, bombar-data da anni e da decenni dauna propaganda che additanel movimento operaio, nei so-cialisti e nei comunisti i nemicidella democrazia, ha oggi da-vanti a sé una nuova lampan-te prova che le classi dominan-ti borghesi e i partiti che le rap-presentano o se ne lasciano as-servire, sono pronti a distrug-gere ogni libertà e a calpestareogni diritto civile e ogni princi-pio umano quando sono colpitio minacciati i propri privilegi eil proprio potere.Compito dei comunisti e di tuttii combattenti per la causa delprogresso democratico e dellaliberazione dei popoli è di farleva sulla più diffusa consape-volezza di queste verità per ri-chiamare la vigile attenzionedi tutti sui percoli che l'impe-rialismo e le classi dominantiborghesi fanno correre alla li-bertà dei popoli e all’indipen-

denza delle nazioni, e per svi-luppare in masse sempre piùestese l’impegno democratico erivoluzionario per modificareulteriormente, nel mondo e inogni paese, i rapporti di forzaa vantaggio delle classi lavora-trici, dei movimenti di libera-zione nazionale e di tutto loschieramento democratico eantimperialistico. Gli avveni-menti del Cile possono e devo-no suscitare, insieme a un pos-sente e duraturo movimento disolidarietà con quel popolo, unpiù generale risveglio delle co-scienze democratiche, e so-prattutto una azione per l’en-trata in campo di nuove forzedisposte a lottare concreta-mente contro l’imperialismo econtro la reazione. A questo fi-ne è indispensabile assolvereanche al compito di una atten-ta riflessione per trarre dallatragedia politica del Cile utiliinsegnamenti relativi a un piùampio e approfondito giudiziosia sul quadro internazionale,sia sulla strategia e tattica delmovimento operaio e demo-cratico in vari paesi, tra i qualiil nostro [...]Il nostro partito ha sempre te-nuto conto del rapporto impre-scindibile tra questi due piani.Da una parte, come ci ha abi-tuato a fare Togliatti, abbiamocercato di valutare fredda-mente le condizioni complessi-ve dei rapporti mondiali e il

contesto internazionale in cui ècollocata l’Italia. Dall’altra par-te ci siamo sforzati di indivi-duare esattamente lo stato deirapporti di forza all’interno delnostro paese.In particolare abbiamo sem-pre dato il dovuto peso in tuttala nostra condotta al dato fon-damentale costituito dall’ap-partenenza dell’Italia al bloccopolitico-militare dominato da-gli Usa e agli inevitabili condi-zionamenti che ne conseguo-no. Ma la consapevolezza diquesto dato oggettivo non ciha certo portato all’inerzia ealla paralisi. Abbiamo reagitoe reagiamo con la nostra ini-ziativa e con la nostra lotta.Tutti i tentativi di schiacciarcio di isolarci li abbiamo respin-ti. La nostra forza e la nostrainfluenza fra le masse popola-ri e nella vita nazionale sonoanzi cresciuti. Su questa stra-da si può e si deve andareavanti. Dunque, anzitutto, sitratta di modificare gli internirapporti di forza in misura ta-le da scoraggiare e renderevano ogni tentativo dei gruppireazionari interni e internazio-nali di sovvertire il quadro de-mocratico e costituzionale, dicolpire le conquiste raggiuntedal nostro popolo, di spezzar-ne l’unità e di arrestare la suaavanzata verso la trasforma-zione della società. [...]Gli avvenimenti cileni ci solleci-

tano a una riflessione attentache non riguarda solo il qua-dro internazionale e i problemidella politica estera, ma anchequelli relativi alla lotta e allaprospettiva della trasforma-zione democratica e socialistadel nostro paese. Non devonosfuggire ai comunisti e ai de-mocratici le profonde differen-ze tra la situazione del Cile equella italiana. Il Cile e l’Italiasono situati in due regioni delmondo assai diverse, qualil’America latina e l’Europa oc-cidentale. Differenti sono an-che il rispettivo assetto sociale,la struttura economica e il gra-do di sviluppo delle forze pro-duttive, così come sono diversiil sistema istituzionale (Repub-blica presidenziale in Cile, Re-pubblica parlamentare in Ita-lia) e gli ordinamenti statali.Altre differenze esistono nelletradizioni e negli orientamentidelle forze politiche, nel loropeso rispettivo e nei loro rap-porti. Ma insieme alle differen-ze vi sono anche delle analo-gie, e in particolare quella chei comunisti e i socialisti cileni sierano proposti anch’essi diperseguire una via democrati-ca al socialismo. Dal complessodelle differenze e delle analo-gie occorre dunque trarre mo-tivo per approfondire e preci-sare meglio in che cosa consi-ste e come può avanzare la viaitaliana al socialismo.

Imperialismo e coesistenzaalla luce dei fatti cileni

Il “Compromesso Storico”Le ragioni della “svolta” e le conseguenze del suo fallimento