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organo del partito comunista internazionale IL COMUNISTA N. 153 Maggio 2018- anno XXXVI www.pcint.org Tariffa Regime Libero: Poste Italiane Spa Spediz. Abb.Postale 70% - DCB Milano [email protected] DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia; alle battaglie di classe della Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e il collaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo.La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell'organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, a contatto con la classe operaia e la sua lotta di resistenza quotidiana alla pressione e all’oppressione capitalistiche e borghesi, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco, fuori di ogni forma di indifferentismo, di codismo, di movimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletaria che rompa la pace sociale e la disciplina del collaborazionismo interclassista; il sostegno di ogni sforzo di riorganizzazione classista del proletariato sul terreno dell’associazionismo economico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica. il comunista Bimestrale - la copia 2 Euro le prolétaire Bimestrale - la copia 2 Euro el proletario Periodico - la copia 1,5 Euro Programme communiste - 5 Euro cad El programa comunista - 4 Euro cad Proletarian - 1,5 Euro cad NELL'INTERNO • In continuità con il lavoro generale di partito, si ribadisce l'invariante impostazione teorica e programmatica che il partito si è data fin dalle sue origini- RG gennaio 2018 - Sulla guer- ra di Spagna 1936-1939 (2) • Le crisi capitalistiche dell'Ottocento e del Novecento • Premessa al testo: Quarant'anni di organica valutazione degli eventi di Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale (Re- print in spagnolo) • I capitalisti accumulano profitti. Gli operai? continuano a morire! • Anche Marx si rivolta nella tomba (Segue a pag. 2) ( Segue a pag. 9 ) Primo Maggio 2018 La classe dominante borghese e i suoi fiancheggiatori falsamente operai festeggiano un altro anno di alti profitti capitalistici mentre le grandi masse proletarie sono schiacciate nello sfruttamento più bestiale e nella miseria quotidiana Proletari! Non c’è bisogno di ricordarvi che le vostre condizioni di esistenza dipendono dal salario che i capitalisti vi concedono o che attraverso la lotta riuscite a strappar loro; non c’è bisogno di ricordarvi che da quando la razza operaia viene al mondo è condannata ad essere forza lavoro a dispo- sizione dei capitalisti, piccoli medi o grandi che siano, nelle imprese private o nel pub- blico impiego, perché il modo di sopravvi- vere che la società capitalistica vi offre è uno solo: vendere la vostra forza lavoro al capitalista che ha interesse a sfruttarla, che nello sfruttarla ci guadagna e ci guadagna sempre di più nella misura in cui organizza il vostro sfruttamento in modo sistematico e scientifico. Non c’è bisogno di ricordarvi che nella società capitalistica sono il denaro, il mer- cato, lo scambio di valori, la compravendi- ta, le categorie economiche che regolano i rapporti umani, e che i rapporti umani sono condizionati all’origine dai rapporti di pro- duzione: nella società divisa in classi, chi ha in mano il potere economico, quindi i mezzi di produzione, ha in mano il potere politico attraverso il quale – Stato, gover- no, partiti, forza militare – domina l’intera società e, in particolare, mantiene la classe proletaria, che è la classe produttiva per eccellenza, nella condizione di dipendere in tutto e per tutto dal salario, dunque dal Capitale che elargisce il salario solo contro una determinata quantità di lavoro di cui si impossessa quotidianamente. Non c’è bi- sogno di ricordarvi che ogni capitalista non solo ha interesse a sfruttarvi il più possibi- le – perché è dal vostro sfruttamento che ricava i suoi profitti – ma ha interesse ad alimentare tra di voi una spietata concor- renza (in parallelo alla spietata concorrenza che ogni capitalista fa a qualsiasi altro ca- pitalista) in modo da rendere molto difficile se non quasi impossibile la vostra organiz- zazione solidale in difesa dei vostri interes- si immediati. Che i vostri interessi immedia- ti siano del tutto opposti a quelli dei capita- listi è una realtà che emerge ogni volta che l’economia capitalistica, di cui ogni azien- da è partecipe, per ragioni di mercato e di concorrenza con altre aziende dello stesso settore entra in crisi. La prima cosa che il capitalista fa è di proteggere la sua azienda, la sua proprietà, i suoi profitti, le sue merci, le sue relazioni di mercato, e per questo sco- po è disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo, non ultimo rovesciare sulla sua manodope- ra le conseguenze della crisi, licenziando, dismettendo alcune produzioni o chiuden- do la fabbrica, adottando la cassa integra- zione, delocalizzando la produzione e gli operai, prepensionando, abbattendo i sala- ri e via di questo passo. Non c’è bisogno di ricordarvi che i ca- pitalisti, da soli, senza l’aiuto di tutta una serie di fiancheggiatori, di servi, di sgherri, non riuscirebbero a dominarvi anche sul piano politico e sociale. Ai capitalisti, per difendere i loro interessi e le loro proprietà, non basta possedere lo Stato, orientare le decisioni del governo, usare la forza milita- re in tutte le situazioni di tensione sociale. Dato che la classe operaia, nella storia delle lotte di classe che l’hanno vista combatte- re per i propri interessi sul terreno dell’an- tagonismo di classe, ha dimostrato, in de- terminati periodi storici, di essere in grado di sottrarsi all’influenza delle forze di con- servazione borghese e delle forze dell’op- portunismo e di organizzarsi non solo sul piano della difesa economica ma anche su (Segue a pag. 11) LA GRAN LOTTERIA NAZIONALE DELL’INTRALLAZZO ITALIANO Lo scorso 26 febbraio, in vista delle ele- zioni politiche italiane del 4 marzo, nella nostra presa di posizione, rivolgendoci ai proletari, scrivevamo: «che vinca la coali- zione di centro-destra o di centro-sinistra, che vinca il movimento 5 stelle o che non vinca nessuno e vi chiamino prima o poi a votare nuovamente, nulla sostanzialmente cambierà per voi! I poteri politici, economi- ci, finanziari e militari nazionali, pur lottan- do gli uni contro gli altri per accaparrarsi una fetta di potere più grande e intascare quote di profitto più consistenti, sono in realtà legati tra di loro da un unico grande interesse di classe che li spinge a difendere il modo di produzione capitalistico grazie al quale traggono i loro privilegi e i loro pro- fitti; che li spinge a difendere, tutti insieme, uno Stato e una società costruiti sullo sfrut- tamento del lavoro salariato, sullo sfrutta- mento sempre più intensivo del proletaria- to. Le differenze che separano un partito dall’altro riguardano soltanto i metodi e i programmi con i quali ognuno vuole garan- tire al capitalismo italiano le stesse cose: una più alta produttività, una più forte ca- pacità concorrenziale rispetto ai capitalismi delle altre nazioni, un maggior peso a livel- lo europeo e internazionale del capitalismo italiano, una più efficace governabilità e una più controllata e ordinata vita sociale». L’inganno congenito del metodo demo- cratico si basa su un concetto secondo il quale ogni persona, chiamata in quel deter- minato momento a diventare elettore, sia “libera di scegliere”, “libera di pensare” come se la sua “libertà personale” potesse astrarla dalla realtà materiale e sociale in cui è immersa non per sua “scelta”, non per sua “volontà”, ma semplicemente perché le condizioni materiali e sociali in cui ognuno nasce e cresce determinano la sua colloca- zione nella società, subendone direttamen- te e indirettamente gli effetti concreti e l’in- fluenza ideologica. Secondo il mito della democrazia, quest’ultima dovrebbe consen- tire al popolo elettore di esprimere, attra- verso la scheda elettorale, le sue convin- zioni e le sue aspettative indipendentemente dai partiti che si sono messi in gara per go- vernare il paese, e dare quindi al partito più eletto l’ufficialità di un sedicente “mandato popolare” a governare. Naturalmente, la democrazia prevede anche la possibilità di “cambiare opinione”, di cambiare “cavallo su cui puntare”, si tratti di un singolo “rap- presentante” o di un partito, o semplice- mente di astenersi dall’esprimere la famosa “scelta”, possibilità che dovrebbe contri- buire a mantenere la situazione già in esse- re o a cambiarla. Ogni elettore, perciò, è convinto che col suo voto possa favorire colui o coloro che appaiono come i migliori “difensori” dei “suoi” interessi, interessi che possono esser condivisi da molti o da pochi, ma che non escono mai dall’ambito di un vero e proprio mercato dei voti al quale l’elettore-consumatore può accede- re, ogni volta che viene chiamato alle urne dal potere politico e statale, per consegna- re all’organizzazione elettorale del momen- to il suo placet. Dopodiché egli perde del tutto le tracce della sua “scheda” che viene ingurgitata dalla complessa macchina man- gia-voti per finire in una statistica di cui l’elettore non avrà mai modo di verificare fino a che punto essa risponda esattamen- te alla votazione avvenuta e se tale vota- zione sia stata o meno inficiata da corruzio- ni di vario tipo o da brogli. Certo, ci sono luoghi e paesi in cui la borghesia si può permettere, data la bassa tensione sociale e la presenza di conflitti sociali a bassissi- ma intensità, come l’Italia di oggi, elezioni sostanzialmente corrette, legalmente a po- sto, anche se non mancano mai casi di voto di scambio; in altri luoghi e paesi, invece, pur sempre democratici, in cui i conflitti sociali si presentano violenti, le elezioni sono condizionate più o meno pesantemen- te da governi oppressivi, da fazioni econo- mico-finanziarie spietate, da fazioni militari o da fazioni mafiose estremamente minac- ciose, dimostrando così che la democrazia, rivendicata e propagandata da tutte le bor- ghesie del mondo, ha un grado di flessibili- straordinario, fino a piegarsi totalmente agli interessi dei gruppi economico-finan- ziari-militari più forti, rimanendo salva la for- malità legale e la retorica dell’appoggio del voto popolare. In realtà la democrazia liberale, la Demo- crazia con la D maiuscola, nella fase storica del monopolio economico e dell’imperiali- smo, non è più indispensabile alla classe dominante per difendere i suoi privilegi di classe: lo sviluppo economico del capitali- smo lo porta inevitabilmente a passare dalla fase della “libera concorrenza” e delle forme liberali del suo dominio politico alla fase monopolistica, centralistica, in cui grandi holding economiche e finanziarie condizio- nano i mercati e lo Stato funziona sempre più come il comitato d’affari della classe borghese, facendo in questo modo oggetti- vamente decadere le forme liberali del suo dominio politico per sostituirle con forme totalitarie di cui il fascismo è stato il modello più moderno. Questa tendenza storica dell’economia capitalistica non cancella, però, la necessità da parte della classe dominante borghese di vestire il suo potere politico con le vecchie vestigia della democrazia parlamentare poi- ché questa si è dimostrata molto efficace nell’imbrigliare la classe dei lavoratori sala- riati che le contraddizioni sempre più viru- lente del capitalismo spingono a lottare contro le forme dei rapporti di produzione e dei rapporti sociali in cui è costretta a vive- re. Il regime dello sfruttamento capitalisti- co del proletariato trova molto più conve- niente avere a disposizione una massa di schiavi salariati che crede di poter miglio- rare le sue condizioni di esistenza e di lavo- ro organizzandosi e utilizzando i mezzi e i metodi che la stessa classe dominante le fornisce – come appunto i mezzi e i metodi della democrazia – piuttosto che doverla affrontare in campo aperto come un eserci- to antagonista, organizzato in modo indi- pendente su piattaforme politiche di difesa dei suoi interessi di classe completamente opposti a quelli della borghesia. E non è un caso, infatti, che una parte considerevole delle risorse finanziarie nazionali venga in- vestita regolarmente nel sostenere appara- ti, gerarchie, burocrazie, organizzazioni, enti e istituzioni – dal parlamento agli enti di beneficienza, dai partiti parlamentari alla chiesa, dalle organizzazioni di volontariato alle istituzioni culturali ecc. – perché attra- verso di essi si diffonda capillarmente la funzione concreta della “partecipazione” del popolo alla “vita democratica”, e l’idea che attraverso l’attività di questi apparati la democrazia sia davvero uno strumento potenzialmente in mano a tutti i cittadini. Che tutto questo avvenga a vantaggio della classe dominante borghese è quasi inutile dirlo; ogni proletario che non si sia completamente rimbecillito sa perfettamen- te che i padroni non concedono niente per niente. Solo che in più di settant’anni di democrazia “post-fascista”, in cui questa democrazia non ha fatto altro che ereditare il metodo e l’organizzazione della collabo- razione fra le classi che il fascismo ha istitu- zionalizzato per primo, i proletari si ritrova- no del tutto sguarnititi sia sul piano dell’or- ganizzazione economica di classe, gestita da sindacati che sono stati sempre più inte- grati nello Stato borghese diventando del- le appendici tricolori dell’apparato di domi- nio borghese, sia sul piano del partito poli- tico di classe che, con la sconfitta subita a metà degli anni Venti del primo dopoguerra per mano dello stalinismo, è stato distrutto. Partiti ed elettori, come fornitori e consumatori Agli occhi del proletariato, data la sua attuale debolezza come forza sociale e la sua impotenza come forza di classe, sem- bra che non ci siano altre vie se non quelle concesse dalla classe dominante, ieri nelle forme del totalitarismo nazifascista, oggi nelle forme di una democrazia sempre più L'imperialismo americano all'attacco... ( Segue a pag. 3 ) Lo sviluppo del capitalismo, nella sua fase più avanzata, (Lenin, L’imperialismo...) porta inevitabilmente, come sua continuazione diret- ta, all’imperialismo capitalistico. In questa tra- sformazione, la qualità essenziale del capitali- smo, cioè la libera concorrenza, viene sostitui- ta dai monopoli capitalistici che sono esatta- mente il contrario della libera concorrenza, ma non la elimina: essi coesistono con questa, ge- nerando così varie contraddizioni molto pro- fonde e molto grandi, provocando conflitti, con- trasti. La grande industria sostituisce gran parte della piccola, ma non la elimina del tutto, e ciò genera contraddizioni e contrasti anche molto profondi non solo sul piano strettamente eco- nomico, ma sociale e politico; la concentrazione della produzione e del capitale, nella fase imperialista, raggiunge gradi elevatissimi for- mando cartelli, sindacati, trust, fondendo nel mo- nopolio la potenza di decine di banche che ma- nipolano miliardi. Il capitale finanziario prende così il sopravvento sul capitale industriale e commerciale decretando il dominio dei mono- poli. Lenin, nel suo “Imperialismo, ultima fase del capitalismo”, scrive: “L’imperialismo è il capitalismo nella sua fase di sviluppo in cui si è costituita la dominazione dei monopoli e del capitale finanziario; dove l’esportazione del ca- pitale ha acquistato grande importanza; in cui la divisione del mondo tra i grandi trust inter- nazionali ha avuto inizio; e dove la divisione di tutti i territori del pianeta fra grandi potenze capitalistiche è stata portata a termine” (1). Quali sono, dunque, i caratteri essenziali dell’imperialismo? Ancora Lenin: 1. La concentrazione della produzione del capitale che crea i monopoli, la cui funzione è decisiva nella vita economica. 2. La fusione del capitale bancario col ca- pitale industriale e la creazione, su questa base, del capitale finanziario, di una oligarchia finan- ziaria. 3. L’esportazione del capitale, diventata particolarmente importante, in contrapposto all’esportazione delle merci. 4. La formazione di monopoli capitalistici internazionali che si dividono il mondo. 5. La divisione territoriale del pianeta por- tata a termine dalle maggiori potenze capitali- stiche” (2). Da marxisti sappiamo che il vero obiettivo della produzione capitalistica è la valorizzazione del capitale, la produzione di capitale ed è que- sta esigenza fondamentale del modo di produ- zione capitalistico che fa entrare in contrasto la produzione di merci, ossia la produzione di pro- dotti (di valori d’uso), con la produzione di ca- pitale per la quale i prodotti (i valori d’uso) sono importanti solo perché e quando assumo- no la caratteristica di valori di scambio, nel ciclo costante della produzione capitalistica per cui la merce, venduta ed esportata nei mercati, si trasforma in denaro, in capitale. Nello sviluppo dell’economia capitalistica, il capitale, nella sua accumulazione e nella sua aumentata valorizzazione, diventa sempre più l’obiettivo generale di tutto il processo economico della società e di ogni paese, determinando le priorità politiche di ogni Stato. Se, da un lato la concen- trazione della produzione capitalistica crea i mo- nopoli, e lo sviluppo del capitalismo si svolge Morti sul lavoro: lavorare in regime capitalistico è come andare in guerra! L’ennesimo infortunio mortale sul lavoro ha colpito questa volta un giovane di 19 anni, Matteo Smoilis, schiacciato da un blocco di cemento di sei quintali, mentre lavorava alla Fincantieri di Monfalcone, la mattina del 9 maggio. Il giovane lavorava per una piccola ditta che da 40 anni ha appalti diretti nel cantiere, una ditta a conduzione familiare in cui lavoravano il padre e il fratello maggiore; quest’ultimo era fra l’altro il capo can- tiere (“il manifesto” del 10.5.2018). Nel cantiere si sta varando una nave da cro- ciera Msc; il blocco che lo ha colpito è un carico di manovra che serve a tenere in alto parti dello scafo e viene abbassato per muovere i pezzi stes- si. Appena sentito lo schianto è stato il padre ad accorrere, ma le condizioni erano già apparse di- sperate; ha tentato a lungo di praticargli un mas- saggio cardiaco fino a che è arrivato l’elicottero che lo ha trasportato all’ospedale di Cattinara di Trieste, ma poche ore dopo è morto proprio per le fratture troppo gravi riportate. Fim-Fiom-Uilm hanno proclamato uno scio- pero immediato nell’azienda e convocato una assemblea permanente per il giorno dopo con altre 8 ore di sciopero, l’Usb ha invece deciso di indire uno sciopero esteso a tutto il lavoro priva- to nel Friuli. Alla Fincantieri di Monfalcone i morti sul lavoro sono stati ben cinque negli ultimi dieci anni, l’ultimo poco più di un anno fa: il 2 marzo 2017 toccò ad un altro operaio degli appalti, sta- va portando avanti lavori edili (sempre da “il manifesto” del 10.5.2018). Secondo il segretario provinciale della Fiom, alla Fincantieri lavorano ogni giorno 10.000 per- sone di cui 8.500 sono delle ditte di appalto ester- ne. Ogni appalto è basato sistematicamente sul- l’abbattimento del costo del lavoro e sull’aumento della produttività. Ma la Fiom, come gli altri sin- dacati, non sanno far altro che puntare il dito sui controlli ridotti degli ispettori del lavoro e della medicina del lavoro dove si è tagliato sul perso- nale, anche lì per ridurre i costi… (dello Stato borghese in questo caso), come se la vera causa fosse da cercare soltanto sui mancati controlli, e non sul modo di produzione capitalistico che contiene, nelle sue stesse basi, le cause di ogni infortunio e di ogni morte sul lavoro: parliamo dello sfruttamento intensivo della forza lavoro salariata per ricavarne il maggior profitto possi- bile al raggiungimento del quale – per il capitale –

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 1

organo del partito comunista internazionale

IL COMUNISTAN. 153

Maggio 2018- anno XXXVIwww.pcint.org

Tariffa Regime Libero: Poste Italiane SpaSpediz. Abb.Postale 70% - DCB Milano

[email protected]

DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia; alle battaglie di classedella Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e lacontrorivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e ilcollaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo.La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell'organorivoluzionario per eccellenza, il partitodi classe, acontattocon laclasseoperaiae la sua lotta di resistenzaquotidianaallapressione eall’oppressionecapitalistichee borghesi, fuoridelpoliticantismo personale ed elettoralesco, fuoridi ogni forma di indifferentismo, di codismo,dimovimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletariacherompa lapacesociale e ladisciplinadelcollaborazionismo interclassista; il sostegnodi ognisforzodi riorganizzazione classistadelproletariatosul terrenodell’associazionismoeconomico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica.

il comunista Bimestrale - la copia 2 Euro

le prolétaire Bimestrale - la copia 2 Euro

el proletario Periodico - la copia 1,5 Euro

Programme communiste - 5 Euro cadEl programa comunista - 4 Euro cad

Proletarian - 1,5 Euro cad

NELL'INTERNO

• In continuità con il lavoro generaledi partito, si ribadisce l'invarianteimpostazione teorica e programmaticache il partito si è data fin dalle sueorigini- RG gennaio 2018 - Sulla guer-ra di Spagna 1936-1939 (2)• Le crisi capitalistiche dell'Ottocentoe del Novecento• Premessa al testo: Quarant'anni diorganica valutazione degli eventi diRussia nel drammatico svolgimentosociale e storico internazionale (Re-print in spagnolo)• I capitalisti accumulano profitti. Glioperai? continuano a morire!• Anche Marx si rivolta nella tomba

(Segue a pag. 2)

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Primo Maggio 2018

La classe dominante borghesee i suoi fiancheggiatori falsamente operaifesteggiano un altro anno di alti profitti

capitalistici mentre le grandi masse proletariesono schiacciate nello sfruttamento più bestiale

e nella miseria quotidiana

Proletari!Non c’è bisogno di ricordarvi che le

vostre condizioni di esistenza dipendonodal salario che i capitalisti vi concedono oche attraverso la lotta riuscite a strapparloro; non c’è bisogno di ricordarvi che daquando la razza operaia viene al mondo ècondannata ad essere forza lavoro a dispo-sizione dei capitalisti, piccoli medi o grandiche siano, nelle imprese private o nel pub-blico impiego, perché il modo di sopravvi-vere che la società capitalistica vi offre èuno solo: vendere la vostra forza lavoro alcapitalista che ha interesse a sfruttarla, chenello sfruttarla ci guadagna e ci guadagnasempre di più nella misura in cui organizzail vostro sfruttamento in modo sistematicoe scientifico.

Non c’è bisogno di ricordarvi che nellasocietà capitalistica sono il denaro, il mer-cato, lo scambio di valori, la compravendi-ta, le categorie economiche che regolano irapporti umani, e che i rapporti umani sonocondizionati all’origine dai rapporti di pro-duzione: nella società divisa in classi, chiha in mano il potere economico, quindi imezzi di produzione, ha in mano il poterepolitico attraverso il quale – Stato, gover-no, partiti, forza militare – domina l’interasocietà e, in particolare, mantiene la classeproletaria, che è la classe produttiva pereccellenza, nella condizione di dipenderein tutto e per tutto dal salario, dunque dalCapitale che elargisce il salario solo controuna determinata quantità di lavoro di cui siimpossessa quotidianamente. Non c’è bi-sogno di ricordarvi che ogni capitalista nonsolo ha interesse a sfruttarvi il più possibi-le – perché è dal vostro sfruttamento chericava i suoi profitti – ma ha interesse adalimentare tra di voi una spietata concor-renza (in parallelo alla spietata concorrenza

che ogni capitalista fa a qualsiasi altro ca-pitalista) in modo da rendere molto difficilese non quasi impossibile la vostra organiz-zazione solidale in difesa dei vostri interes-si immediati. Che i vostri interessi immedia-ti siano del tutto opposti a quelli dei capita-listi è una realtà che emerge ogni volta chel’economia capitalistica, di cui ogni azien-da è partecipe, per ragioni di mercato e diconcorrenza con altre aziende dello stessosettore entra in crisi. La prima cosa che ilcapitalista fa è di proteggere la sua azienda,la sua proprietà, i suoi profitti, le sue merci,le sue relazioni di mercato, e per questo sco-po è disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo,non ultimo rovesciare sulla sua manodope-ra le conseguenze della crisi, licenziando,dismettendo alcune produzioni o chiuden-do la fabbrica, adottando la cassa integra-zione, delocalizzando la produzione e glioperai, prepensionando, abbattendo i sala-ri e via di questo passo.

Non c’è bisogno di ricordarvi che i ca-pitalisti, da soli, senza l’aiuto di tutta unaserie di fiancheggiatori, di servi, di sgherri,non riuscirebbero a dominarvi anche sulpiano politico e sociale. Ai capitalisti, perdifendere i loro interessi e le loro proprietà,non basta possedere lo Stato, orientare ledecisioni del governo, usare la forza milita-re in tutte le situazioni di tensione sociale.Dato che la classe operaia, nella storia dellelotte di classe che l’hanno vista combatte-re per i propri interessi sul terreno dell’an-tagonismo di classe, ha dimostrato, in de-terminati periodi storici, di essere in gradodi sottrarsi all’influenza delle forze di con-servazione borghese e delle forze dell’op-portunismo e di organizzarsi non solo sulpiano della difesa economica ma anche su

(Segue a pag. 11)

LA GRAN LOTTERIA NAZIONALEDELL’INTRALLAZZO ITALIANO

Lo scorso 26 febbraio, in vista delle ele-zioni politiche italiane del 4 marzo, nellanostra presa di posizione, rivolgendoci aiproletari, scrivevamo: «che vinca la coali-zione di centro-destra o di centro-sinistra,che vinca il movimento 5 stelle o che nonvinca nessuno e vi chiamino prima o poi avotare nuovamente, nulla sostanzialmentecambierà per voi! I poteri politici, economi-ci, finanziari e militari nazionali, pur lottan-do gli uni contro gli altri per accaparrarsiuna fetta di potere più grande e intascarequote di profitto più consistenti, sono inrealtà legati tra di loro da un unico grandeinteresse di classe che li spinge a difendereil modo di produzione capitalistico grazie alquale traggono i loro privilegi e i loro pro-fitti; che li spinge a difendere, tutti insieme,uno Stato e una società costruiti sullo sfrut-tamento del lavoro salariato, sullo sfrutta-mento sempre più intensivo del proletaria-to. Le differenze che separano un partitodall’altro riguardano soltanto i metodi e iprogrammi con i quali ognuno vuole garan-tire al capitalismo italiano le stesse cose:una più alta produttività, una più forte ca-pacità concorrenziale rispetto ai capitalismidelle altre nazioni, un maggior peso a livel-lo europeo e internazionale del capitalismoitaliano, una più efficace governabilità e unapiù controllata e ordinata vita sociale».

L’inganno congenito del metodo demo-cratico si basa su un concetto secondo ilquale ogni persona, chiamata in quel deter-minato momento a diventare elettore, sia“libera di scegliere”, “libera di pensare”come se la sua “libertà personale” potesseastrarla dalla realtà materiale e sociale in cuiè immersa non per sua “scelta”, non persua “volontà”, ma semplicemente perché lecondizioni materiali e sociali in cui ognunonasce e cresce determinano la sua colloca-zione nella società, subendone direttamen-te e indirettamente gli effetti concreti e l’in-fluenza ideologica. Secondo il mito dellademocrazia, quest’ultima dovrebbe consen-tire al popolo elettore di esprimere, attra-verso la scheda elettorale, le sue convin-zioni e le sue aspettative indipendentementedai partiti che si sono messi in gara per go-vernare il paese, e dare quindi al partito piùeletto l’ufficialità di un sedicente “mandatopopolare” a governare. Naturalmente, lademocrazia prevede anche la possibilità di“cambiare opinione”, di cambiare “cavallosu cui puntare”, si tratti di un singolo “rap-presentante” o di un partito, o semplice-mente di astenersi dall’esprimere la famosa“scelta”, possibilità che dovrebbe contri-buire a mantenere la situazione già in esse-re o a cambiarla. Ogni elettore, perciò, èconvinto che col suo voto possa favorirecolui o coloro che appaiono come i migliori“difensori” dei “suoi” interessi, interessiche possono esser condivisi da molti o dapochi, ma che non escono mai dall’ambitodi un vero e proprio mercato dei voti alquale l’elettore-consumatore può accede-re, ogni volta che viene chiamato alle urnedal potere politico e statale, per consegna-re all’organizzazione elettorale del momen-to il suo placet. Dopodiché egli perde deltutto le tracce della sua “scheda” che vieneingurgitata dalla complessa macchina man-gia-voti per finire in una statistica di cuil’elettore non avrà mai modo di verificarefino a che punto essa risponda esattamen-te alla votazione avvenuta e se tale vota-zione sia stata o meno inficiata da corruzio-ni di vario tipo o da brogli. Certo, ci sonoluoghi e paesi in cui la borghesia si puòpermettere, data la bassa tensione socialee la presenza di conflitti sociali a bassissi-ma intensità, come l’Italia di oggi, elezionisostanzialmente corrette, legalmente a po-sto, anche se non mancano mai casi di votodi scambio; in altri luoghi e paesi, invece,pur sempre democratici, in cui i conflittisociali si presentano violenti, le elezionisono condizionate più o meno pesantemen-

te da governi oppressivi, da fazioni econo-mico-finanziarie spietate, da fazioni militario da fazioni mafiose estremamente minac-ciose, dimostrando così che la democrazia,rivendicata e propagandata da tutte le bor-ghesie del mondo, ha un grado di flessibili-tà straordinario, fino a piegarsi totalmenteagli interessi dei gruppi economico-finan-ziari-militari più forti, rimanendo salva la for-malità legale e la retorica dell’appoggio delvoto popolare.

In realtà la democrazia liberale, la Demo-crazia con la D maiuscola, nella fase storicadel monopolio economico e dell’imperiali-smo, non è più indispensabile alla classedominante per difendere i suoi privilegi diclasse: lo sviluppo economico del capitali-smo lo porta inevitabilmente a passare dallafase della “libera concorrenza” e delle formeliberali del suo dominio politico alla fasemonopolistica, centralistica, in cui grandiholding economiche e finanziarie condizio-nano i mercati e lo Stato funziona semprepiù come il comitato d’affari della classeborghese, facendo in questo modo oggetti-vamente decadere le forme liberali del suodominio politico per sostituirle con formetotalitarie di cui il fascismo è stato il modellopiù moderno.

Questa tendenza storica dell’economiacapitalistica non cancella, però, la necessitàda parte della classe dominante borghese di

vestire il suo potere politico con le vecchievestigia della democrazia parlamentare poi-ché questa si è dimostrata molto efficacenell’imbrigliare la classe dei lavoratori sala-riati che le contraddizioni sempre più viru-lente del capitalismo spingono a lottarecontro le forme dei rapporti di produzione edei rapporti sociali in cui è costretta a vive-re. Il regime dello sfruttamento capitalisti-co del proletariato trova molto più conve-niente avere a disposizione una massa dischiavi salariati che crede di poter miglio-rare le sue condizioni di esistenza e di lavo-ro organizzandosi e utilizzando i mezzi e imetodi che la stessa classe dominante lefornisce – come appunto i mezzi e i metodidella democrazia – piuttosto che doverlaaffrontare in campo aperto come un eserci-to antagonista, organizzato in modo indi-pendente su piattaforme politiche di difesadei suoi interessi di classe completamenteopposti a quelli della borghesia. E non è uncaso, infatti, che una parte considerevoledelle risorse finanziarie nazionali venga in-vestita regolarmente nel sostenere appara-ti, gerarchie, burocrazie, organizzazioni, entie istituzioni – dal parlamento agli enti dibeneficienza, dai partiti parlamentari allachiesa, dalle organizzazioni di volontariatoalle istituzioni culturali ecc. – perché attra-verso di essi si diffonda capillarmente lafunzione concreta della “partecipazione”

del popolo alla “vita democratica”, e l’ideache attraverso l’attività di questi apparatila democrazia sia davvero uno strumentopotenzialmente in mano a tutti i cittadini.

Che tutto questo avvenga a vantaggiodella classe dominante borghese è quasiinutile dirlo; ogni proletario che non si siacompletamente rimbecillito sa perfettamen-te che i padroni non concedono niente perniente. Solo che in più di settant’anni didemocrazia “post-fascista”, in cui questademocrazia non ha fatto altro che ereditareil metodo e l’organizzazione della collabo-razione fra le classi che il fascismo ha istitu-zionalizzato per primo, i proletari si ritrova-no del tutto sguarnititi sia sul piano dell’or-ganizzazione economica di classe, gestitada sindacati che sono stati sempre più inte-grati nello Stato borghese diventando del-le appendici tricolori dell’apparato di domi-nio borghese, sia sul piano del partito poli-tico di classe che, con la sconfitta subita ametà degli anni Venti del primo dopoguerraper mano dello stalinismo, è stato distrutto.

Partiti ed elettori,come fornitori e consumatori

Agli occhi del proletariato, data la suaattuale debolezza come forza sociale e lasua impotenza come forza di classe, sem-bra che non ci siano altre vie se non quelleconcesse dalla classe dominante, ieri nelleforme del totalitarismo nazifascista, ogginelle forme di una democrazia sempre più

L'imperialismoamericano

all'attacco...

( Segue a pag. 3 )

Lo sviluppo del capitalismo, nella sua fasepiù avanzata, (Lenin, L’imperialismo...) portainevitabilmente, come sua continuazione diret-ta, all’imperialismo capitalistico. In questa tra-sformazione, la qualità essenziale del capitali-smo, cioè la libera concorrenza, viene sostitui-ta dai monopoli capitalistici che sono esatta-mente il contrario della libera concorrenza, manon la elimina: essi coesistono con questa, ge-nerando così varie contraddizioni molto pro-fonde e molto grandi, provocando conflitti, con-trasti.

La grande industria sostituisce gran partedella piccola, ma non la elimina del tutto, e ciògenera contraddizioni e contrasti anche moltoprofondi non solo sul piano strettamente eco-nomico, ma sociale e politico; la concentrazionedella produzione e del capitale, nella faseimperialista, raggiunge gradi elevatissimi for-mando cartelli, sindacati, trust, fondendo nel mo-nopolio la potenza di decine di banche che ma-nipolano miliardi. Il capitale finanziario prendecosì il sopravvento sul capitale industriale ecommerciale decretando il dominio dei mono-poli. Lenin, nel suo “Imperialismo, ultima fasedel capitalismo”, scrive: “L’imperialismo è ilcapitalismo nella sua fase di sviluppo in cui si ècostituita la dominazione dei monopoli e delcapitale finanziario; dove l’esportazione del ca-pitale ha acquistato grande importanza; in cuila divisione del mondo tra i grandi trust inter-nazionali ha avuto inizio; e dove la divisione ditutti i territori del pianeta fra grandi potenzecapitalistiche è stata portata a termine” (1).

Quali sono, dunque, i caratteri essenzialidell’imperialismo?

Ancora Lenin:“1. La concentrazione della produzione del

capitale che crea i monopoli, la cui funzione èdecisiva nella vita economica.

“2. La fusione del capitale bancario col ca-pitale industriale e la creazione, su questa base,del capitale finanziario, di una oligarchia finan-ziaria.

“3. L’esportazione del capitale, diventataparticolarmente importante, in contrappostoall’esportazione delle merci.

“4. La formazione di monopoli capitalisticiinternazionali che si dividono il mondo.

“5. La divisione territoriale del pianeta por-tata a termine dalle maggiori potenze capitali-stiche” (2).

Da marxisti sappiamo che il vero obiettivodella produzione capitalistica è la valorizzazionedel capitale, la produzione di capitale ed è que-sta esigenza fondamentale del modo di produ-zione capitalistico che fa entrare in contrasto laproduzione di merci, ossia la produzione di pro-dotti (di valori d’uso), con la produzione di ca-pitale per la quale i prodotti (i valori d’uso)sono importanti solo perché e quando assumo-no la caratteristica di valori di scambio, nel ciclocostante della produzione capitalistica per cuila merce, venduta ed esportata nei mercati, sitrasforma in denaro, in capitale. Nello sviluppodell’economia capitalistica, il capitale, nella suaaccumulazione e nella sua aumentatavalorizzazione, diventa sempre più l’obiettivogenerale di tutto il processo economico dellasocietà e di ogni paese, determinando le prioritàpolitiche di ogni Stato. Se, da un lato la concen-trazione della produzione capitalistica crea i mo-nopoli, e lo sviluppo del capitalismo si svolge

Morti sul lavoro:lavorare in regime

capitalisticoè come andare in guerra!

L’ennesimo infortunio mortale sul lavoro hacolpito questa volta un giovane di 19 anni, MatteoSmoilis, schiacciato da un blocco di cemento disei quintali, mentre lavorava alla Fincantieri diMonfalcone, la mattina del 9 maggio. Il giovanelavorava per una piccola ditta che da 40 anni haappalti diretti nel cantiere, una ditta a conduzionefamiliare in cui lavoravano il padre e il fratellomaggiore; quest’ultimo era fra l’altro il capo can-tiere (“il manifesto” del 10.5.2018).

Nel cantiere si sta varando una nave da cro-ciera Msc; il blocco che lo ha colpito è un caricodi manovra che serve a tenere in alto parti delloscafo e viene abbassato per muovere i pezzi stes-si. Appena sentito lo schianto è stato il padre adaccorrere, ma le condizioni erano già apparse di-sperate; ha tentato a lungo di praticargli un mas-saggio cardiaco fino a che è arrivato l’elicotteroche lo ha trasportato all’ospedale di Cattinara diTrieste, ma poche ore dopo è morto proprio perle fratture troppo gravi riportate.

Fim-Fiom-Uilm hanno proclamato uno scio-pero immediato nell’azienda e convocato unaassemblea permanente per il giorno dopo conaltre 8 ore di sciopero, l’Usb ha invece deciso diindire uno sciopero esteso a tutto il lavoro priva-to nel Friuli.

Alla Fincantieri di Monfalcone i morti sullavoro sono stati ben cinque negli ultimi diecianni, l’ultimo poco più di un anno fa: il 2 marzo2017 toccò ad un altro operaio degli appalti, sta-va portando avanti lavori edili (sempre da “ilmanifesto” del 10.5.2018).

Secondo il segretario provinciale della Fiom,alla Fincantieri lavorano ogni giorno 10.000 per-sone di cui 8.500 sono delle ditte di appalto ester-ne. Ogni appalto è basato sistematicamente sul-l’abbattimento del costo del lavoro e sull’aumentodella produttività. Ma la Fiom, come gli altri sin-dacati, non sanno far altro che puntare il dito suicontrolli ridotti degli ispettori del lavoro e dellamedicina del lavoro dove si è tagliato sul perso-nale, anche lì per ridurre i costi… (dello Statoborghese in questo caso), come se la vera causafosse da cercare soltanto sui mancati controlli, enon sul modo di produzione capitalistico checontiene, nelle sue stesse basi, le cause di ogniinfortunio e di ogni morte sul lavoro: parliamodello sfruttamento intensivo della forza lavorosalariata per ricavarne il maggior profitto possi-bile al raggiungimento del quale – per il capitale –

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 20182

(dapag.1)

LA GRAN LOTTERIA NAZIONALEDELL’INTRALLAZZO ITALIANO

logora e corrotta, ma blindata, sempre pron-ta ad usare le forze di polizia per reprimeretutte le manifestazioni proletarie che infa-stidiscono il “regolare procedere degli af-fari”, davanti ai cancelli di una fabbrica,durante uno sciopero o una manifestazio-ne di piazza. E’ in questo clima sociale chei partiti tradizionali, per decenni, hannocostituito uno stabile punto di riferimentopolitico (come la DC, il PCI, il PSI, il MSI, ilPLI, il PSDI, il PRI ecc.), sono stati travoltidalla corruzione del loro stesso sistemaobbligando la classe borghese a riorganiz-zare le sue fazioni politiche con altri partiti,con altri raggruppamenti politici, ovvia-mente mantenendo il parlamentarismo el’elettoralismo al centro della vita politicasu cui si dovevano ricostituire.

Oggi, i vecchi arnesi della conserva-zione borghese e dell’opportunismo che sisono riciclati nei nuovi partiti e nella miria-de di organizzazioni politiche che assiepa-no l’orizzonte politico nazionale e locale, siaccompagnano a nuovi concorrenti inmodo tale che nel grande mercato dei voti– come nel mercato dei prodotti – si assi-ste ad una sovrapproduzione di movimen-ti, liste, coalizioni, partiti, gruppi, ognunodei quali si propone di rappresentare an-che una sola piccola fetta di interessi par-ziali e locali, tentando di “contare” final-mente qualcosa almeno nella cerchia dipersone conosciute e dare così una finalitàvicina, visibile, alla difesa dei propri inte-ressi immediati e, al proprio individualismo,la notorietà che la democrazia istiga a ricer-care. E’ oramai assodato che, al pari delgigantesco centro commerciale e del pic-colo mercato rionale, il partito politico conpiù risorse e più legami con i grandi inte-ressi economico-finanziari e il raggruppa-mento più piccolo e locale sono accomu-nati dalla legge del mercato: l’elettore è unconsumatore, il partito politico un fornito-re; l’elettore compra da questo o da quelfornitore (dandogli il suo voto) a secondadella convenienza che percepisce nell’of-ferta ricevuta. Sta di fatto che i nuovi forni-tori (i nuovi raggruppamenti politici) nonsi sono potuti far conoscere ancora nellaloro funzione concreta, se non in minimaparte; mentre i vecchi fornitori si sono fatticonoscere fin troppo bene ed è per questoche i loro vecchi partiti sono spariti, men-tre non sono scomparse le vecchie abitu-dini e attitudini a turlupinare gli elettori ead approfittare delle posizioni di potere rag-giunte per fare i propri affari. D’altra parte,quanti sono gli elettori che conoscono ap-profonditamente i programmi politici deidiversi partiti che si presentano alle elezio-ni, sulla base dei quali dovrebbero poter“scegliere” a chi dare il voto, quindi la pro-pria fiducia? Una minimissima parte anchedegli stessi addetti ai lavori. Così gli elet-tori, chiamati a “scegliere” tra i partiti chesi presentano per “rappresentarli” e perconcorrere potenzialmente alla formazionedel nuovo governo, si trovano di fronte aduna lotteria: puntano su questo o su quel-lo, per una parola detta, per un atteggia-mento visto in una determinata occasione,per simpatia o antipatia, ma senza sapereper che cosa davvero si batterà e che cosadavvero farà una volta eletto, e con la mi-sera speranza che, in cambio del voto, glivenga di ritorno qualche vantaggio... Al-l’intrallazzo più che sicuro nel quale si tuf-feranno i politici eletti, non corrisponderàun altrettanto sicuro vantaggio per la mas-sa dei loro elettori...

In ogni caso, i programmi, per i quali idiversi partiti partecipano alle elezioni, siain ambito pacifico e legalitario, sia in ambi-to autoritario, sostanzialmente sono moltosimili: tutti declamano l’intenzione di soste-nere l’economia nazionale e il suo svilup-po, la sicurezza del paese, la legalità, il con-trollo dell’immigrazione, la difesa degli in-teressi nazionali di fronte agli altri paesi,interessi nazionali che, per i paesi imperiali-sti, hanno limiti determinati soltanto dai rap-porti di forza fra Stati e che stabiliscono latenuta di certe alleanze o la necessità dicambiare alleanze.

Vecchi e nuovi arnesidel politicantismo elettoralesco

E’ ovvio che, nei paesi capitalistici avan-zati, come l’Italia, nei quali il proletariatocostituisce la grande maggioranza dellapopolazione, ogni partito che si presentaalle elezioni non può non rivolgere la pro-pria attenzione anche ad esso: per ottenerei suoi voti deve promettere di affrontare ilproblema della disoccupazione, del lavoroin generale, della sicurezza non solo socia-

le ma anche sui luoghi di lavoro, dei “dirittidei lavoratori”, del futuro delle giovani ge-nerazioni, delle pensioni e, ovviamente,delle tasse visto che queste pesano soprat-tutto sulle spalle dei lavoratori. Ma il prole-tariato, in più di settant’anni di pratichedemocratiche e di collaborazione con la clas-se dominante borghese, per la quale deveringraziare la costante azione opportunistadei partiti e dei sindacati operai “tricolori”,arriva alle elezioni ormai sfiduciato, sfian-cato, demoralizzato, oppresso dai problemiquotidiani di sopravvivenza, impotente areagire con altri mezzi e metodi che non sia-no quelli offerti dalla borghesia dominante,appunto i mezzi e i metodi di una democra-zia che però nel tempo, pur logorata, riesceancora ad attirarlo nelle sue trappole.

Che cosa è successo nelle elezioni del 4marzo? Non ha vinto nessun partito, nes-suna coalizione. Il dato generale indica chel’affluenza alle urne è stata la più bassa dal1948 (ha votato il 72,9% degli “aventi dirit-to”), dunque il disgusto per la gestionepolitica dei governi e dei partiti parlamenta-ri è in realtà aumentato, ma è aumentato,secondo le statistiche Ipsos, anche lo spo-stamento degli elettori, soprattutto del PD,verso il M5S e la Lega. Andiamo allora avedere un po’ di dati.

Il metodo previsto dalla nuova leggeelettorale chiede, al fine di garantire unamaggioranza parlamentare atta a formare ungoverno, che il partito “vincitore” raggiun-ga e superi il 40% dei voti, quota che non èstata raggiunta da nessuno. Il Movimento5 Stelle, pur risultando il partito singolo piùvotato (col 32,7%), è ancora lontano da queltraguardo, ed è seguito a grande distanzadal PD e dalle sue liste (18,7%), dalla Lega(17,6%), da Forza Italia- Berlusconi (ex PdL)(14,4%), da Fratelli d’Italia (exAN, ex MSI)(4,3%), da Liberi e Uguali (3,4%) e da altreformazioni politiche più piccole che, insie-me, rappresentano il restante 8,9%. Dal pun-to di vista del risultato per le coalizioni, il“vincitore” sarebbe il centro destra, ossiaLega + Forza Italia + Fratelli d’Italia, col 37%dei voti, ma anche questo risultato non èsufficiente da solo per formare un governo.D’altra parte il centro destra che, fino allescorse elezioni, faceva perno su Forza Ita-lia, e quindi su Berlusconi, ora si ritrova colperno spostato sulla Lega di Salvini che hasurclassato il partito di Berlusconi, ed èperciò che Salvini è stato investito dellafunzione di “portavoce” del centro destracome candidato-premier.

Tutti i media hanno sottolineato che i“veri vincitori” di queste elezioni sono statiil M5S e la Lega, cioè i due partiti, cosid-detti “populisti”, che hanno raccolto unnumero di voti molto più alto rispetto alleelezioni del 2013, mentre i “veri perdenti”sono stati il PD e Forza Italia. Secondo idati dell’Ipsos, rispetto al 2013, la Lega haguadagnato ben 4.271.333 voti, e il M5S neha guadagnati 1.925.679; invece Forza Ita-lia ne ha persi 2.768.475 e il PD 2.557.572,mentre gli astenuti sono aumentati di1.180.151. In queste elezioni si rileva ancheun altro dato curioso, che in parte ribadi-sce una tendenza già evidenziata nelle ele-zioni precedenti: tra gli astenuti è forte lapresenza dei giovani e si è alzata la percen-tuale degli ex elettori del PD, partito che,considerato “di sinistra”, votato per annidalla classe operaia e da una parte dellaclasse media, oggi si è decisamente confi-gurato come un partito che concorre a rap-presentare gli interessi della classe medio-alta, come fosse l’altra faccia di Forza Ita-lia. E non è un caso che Renzi e Berlusconiamoreggino da tempo più o meno in chia-ro, più o meno di nascosto; amore che, inverità, ha radici lontane visto che fin daitempi di D’Alema e poi di Bersani il PDS,poi PD, ha facilitato notevolmente Berlu-sconi, e il suo partito-azienda, nella difesadei suoi interessi privati nel campo deimedia televisivi, radiofonici e cartacei. Etutti sanno quanto siano importanti, e spes-so decisivi, i media per diffondere o na-scondere, esaltare o sminuire se non stra-volgere e falsare, fatti e notizie.Avere dallapropria parte, o perlomeno non contro, tv,giornali e radio fa certamente la differenzae questo è interesse sia per il PD che per laLega che, di fatto, per un verso o per l’al-tro, sono interessati a mantenere con il re-gno televisivo di Berlusconi rapporti benstretti, anche se negli ultimi anni, e soprat-tutto nei confronti delle giovani genera-zioni, sono i socialnetwork a prendere pia-no piano il sopravvento sui mezzi d’infor-mazione tradizionali.

Il M5S, ad esempio, nato come movi-mento “anti-casta”, “anti-sistema”, sullepiazze e nei teatri, non potendo approfitta-re dei tradizionali canali televisivi per rag-giungere “le masse”, ha trovato nel web, e

in particolare nei socialnetwork, i canali dipropaganda e diffusione delle proprie po-sizioni, utilizzando il web per qualsiasi tipodi rapporto tra aderenti e movimento comeil mezzo che più di ogni altro esalta l’indivi-duo, la sua “personalità”, la sua “opinio-ne”, decretandolo come la massima espres-sione della democrazia diretta, cioè di unademocrazia che si autorappresenta senzabisogno di specialisti della mediazione comei partiti tradizionali; ed è anche per questoche il M5S non si definisce “partito”, in-gannando in realtà se stesso e i suoi ade-renti poiché è un’organizzazione politicacon una gerarchia, con delle regole ben pre-cise per accogliere le adesioni, per rifiutarleo per espellere chi non le rispetta, e conambizioni di governo sia locale che nazio-nale: dunque è, in realtà, un partito che peròsi è travestito da movimento solo perché il“prodotto-movimento”, in tempi in cui ipartiti, in quanto organizzazioni politicheistituzionali, avevano perso in parte la loro“credibilità” a causa dei numerosi scandalie tangentopoli in cui erano tutti coinvolti,poteva essere venduto con più probabilitàdi successo in un mercato intasato dal “pro-dotto-partito”.

Dunque, il grande timore, ventilato daivecchi arnesi della politica borghese, se-condo cui bisognava fare di tutto per impe-dire che i cosiddetti “populisti” vincesserole elezioni (cosa che avrebbe portato il pae-se sull’orlo del disastro economico e socia-le), non è passato. Il M5S ha in effetti rac-colto una notevole somma di voti che, in-sieme a quelli della Lega, rappresentano piùdel 50% dei voti; entrambi hanno, fin dalleprimissime ore dopo la fine dello spogliodelle schede elettorali, deciso di parlarsi perverificare la possibilità di formare rapida-mente un governo. Molti sono i punti incomune, sull’euro, sull’UE, sulla sicurezza,sull’immigrazione, sul debito pubblico, su-gli incentivi alle piccole e medie imprese(che rappresentano una parte decisiva delloro elettorato), sul debito pubblico. Ma laLega ha un patto di alleanza molto strettocon Berlusconi, e Berlusconi non è graditoal M5S: questo rappresenta il vero scoglioche l’intesa fra “populisti” non riesce a su-perare. Dopo due mesi di meline, di con-fronti, di promesse sotto banco, di controf-ferte e di discussioni pubbliche e segrete, idue sedicenti “vincitori” delle elezioni nonsono giunti a nessun risultato. Sembravache l’accordo trovato per le elezioni del pre-sidente del Senato e della Camera (il primoè andato ad una berlusconiana di ferro, ilsecondo è andato ad un pentastellato mo-vimentista della prima ora) fosse il primopasso per un accordo successivo sul go-verno. Niente da fare.

In Italia non si ripete la situazione chesi era presentata in Germania, dove ci vol-lero 4 mesi di trattative tra il partito dellaCDU della Merkel e la SPD per giungere adun accordo di governo tra i due, ma erachiaro fin dai primi passi che quella tratta-tiva sarebbe andata in porto perché la gran-de borghesia tedesca, dato il suo peso inEuropa, data la situazione creatasi con laBrexit, data la sua ambizione di carattereinternazionale, non poteva restare senzagoverno per troppo tempo. L’Italia pesacertamente molto meno non solo della Ger-mania, ma anche della Francia; teoricamen-te, si potrebbe anche permettere di tirare inlungo le trattative per trovare un accordodi governo, ma le sue ambizioni di caratte-re internazionale e il fatto di essere il paeseeuropeo più importante, sia dal punto divista economico che per posizione geostra-tegica centrale, del bacino del Mediterra-neo, spinge la borghesia italiana a cercarein ogni modo un compromesso per “dareal paese” un governo “nel pieno delle suefunzioni” – come ripete continuamente ilpresidente della repubblica. Saltato, alme-no finora, un possibile accordo tra M5S eLega, o M5S e Centro-destra, il M5S haaperto un’altra trattativa, questa volta conil PD che, invece, fin dal dopo elezioni, su-bita la disfatta, si è dato il ruolo del princi-pale partito “di opposizione” – naturalmen-te “costruttiva” perché il “bene del paese”viene sempre prima di tutto!

Da questa trattativa non ne verrà fuoriniente di governabile: i due partiti sono inconflitto astioso da sempre, per storia e pertaratura politica e istituzionale. Un effettoperò questa trattativa potrebbe averlo ab-bastanza rapidamente: quello di spaccare ilPD, di provocare una rottura che è nell’ariada tempo, cosa che lo porterebbe a ridursi apartito relativamente marginale che si lan-cerebbe, per tornare a “contare” qualcosae raccogliere voti, in qualche alleanza o fron-te più o meno organici con altri piccoli par-titi, come è già successo ai suoi simili inFrancia, in Spagna, in Grecia. E il risultato

di spaccare il PD, facendo finta di proporlocome socio di governo, potrebbe essereaddirittura un obiettivo del M5S che, se nonriesce a costruire una maggioranza di go-verno in questa tornata, si prepara, in posi-zione molto più vantaggiosa, ad un ritornoalle urne. Lo stesso obiettivo, quello di farfuori il vecchio nemico PD, ce l’ha anche laLega che, infatti, continua a mantenere icontatti con il M5S, nonostante le dichiara-zioni di quest’ultimo sulla sua chiusura delle“trattative” per un eventuale governo.

La classe borghese dominanteitaliana, e i suoi politicanti,

restano sempre dei voltagabbana

Tutto questo gran da fare, da veri e pro-pri mercanti di voti, non è che l’ulterioredimostrazione delle tradizionali attitudinidella borghesia italiana all’intrallazzo e a tra-dire nonsolo i propri elettori e i propri adepti,ma anche gli alleati del momento. E la storiaitaliana è lì a confermarlo: basta rifarsi allaprima e alla seconda guerra mondiale, quan-do la classe borghese dominante da allea-ta, per pura convenienza, con la parte almomento più forte e che, in cambio, offrivaprotezione agli interessi “nazionali”, si tra-sformò in sua nemica giurata appena le vi-cende mondiali davano gli alleati di ieri,potenzialmente vincitori, come certamenteperdenti. E così la sua caratteristica piccoloborghese, da imperialismo straccione, lapresentava al mondo per quello che era: unpaese di camaleonti e voltagabbana.

Di questa storia nazionale fa parte,volente o nolente, anche il proletariato ita-liano che ha subìto in generale, fin dall’ini-zio, l’influenza dell’anarchismo e del socia-lismo riformista e piccoloborghese; ma conuna caratteristica in più: quella di saperestrarre dalle proprie condizioni di lavora-tori salariati e di produttori di ricchezza avantaggio esclusivo di una classe borghe-se bottegaia, infingarda e meschina, la for-za di opporvisi con i mezzi e i metodi dellalotta di classe dal respiro europeo, conti-nentale che, in particolare dalla Francia edalla Germania, soffiava verso la Russia el’Italia. In Italia il Partito socialista nacquetardi, ma, sull’onda delle dure lotte dei brac-cianti agricoli e degli operai delleprime gran-di industrie del Nord, in esso si formaronoposizioni che si differenziavano più netta-mente dal riformismo pacifista, dall’anticle-ricalismo intellettuale e dall’influenza mas-sonica. Non per caso, in Italia, il comuni-smo marxista nacque adulto e la corrente disinistra comunista fu quella che resistettedi più all’aggressione non solo anarco-sin-dacalista, riformista e massimalista, ma an-che a quella staliniana, permettendo allegenerazioni successive di ricollegarsi aduna tradizione sì vinta, ma mai cancellatadel tutto.

Resta il fatto che la sconfitta del prole-tariato nella sua lotta rivoluzionaria deglianni Venti del secolo scorso – sconfitta dicarattere europeo e mondiale, non “nazio-nale” – ha ricacciato nella palude del rifor-mismo e del collaborazionismo interclassi-sta non solo i proletariati che si batteronoper la rivoluzione in Russia, dove nel 1917vinse, e in Germania, in Ungheria, in Polo-nia, in Italia dove si erano create le condi-zioni meno sfavorevoli alla vittoria di clas-se, ma i proletariati di tutto il mondo. E nonè stato uno scherzo della storia il fatto cheproprio in Italia – dove il capitalismo piùcentralizzato si formò più tardi che in altripaesi d’Europa, ma con forme e aspirazionimolto più aggressive e voraci, e dove lalotta di classe del proletariato, guidata daun fermo e coerente partito comunista rivo-luzionario (alla Lenin), aveva fatto tremare ipolsi alla classe borghese dominante – siformò e si sviluppò il movimento fascista,un movimento che non ebbe bisogno dinascere sulla base di un corpo dottrinale“nuovo” perché il suo compito immediatoera «la controffensiva all’azione di classeproletaria, avente scopo non purametedifensivo, secondo il compito tradiziona-le della poliitca di Stato, ma distruttivo ditutte le forme autonome di organizzazionedel proletariato» (La classe dominante ita-liana ed il suo Stato nazionale, “Prometeo”,serie I, n. 2, agosto 1946). La borghesia ita-liana trovò nel movimento fascista la suarisposta alla minaccia rivoluzionaria: passòdalla fase della tolleranza riformista alla fase“fascista”, ossia alla fase in cui la soppres-sione degli organismi proletari di classe nonconveniva fosse attuata dai reparti armatistatali, ma da squadre armate d’azione edalle camicie nere, dunque da forze createdalla borghesia, ma “illegali”. Non è inutilericordare a che cosa furono dovute la vitto-ria fascista e la sconfitta proletaria; essefurono possibili per l’azione concomitantedi tre fattori:

«Il primo fattore, il più evidente, il piùimpressionante nelle manifestazioni esterio-ri, nelle cronache e nei commenti politici,nelle valutazioni in base a criteri conven-

zionali e tradizionali, fu appunto l’organiz-zazione fascista mussoliniana, con le suesquadre, i gagliardetti neri, i teschi, i pu-gnali, i manganelli, i bidoni di benzina, l’oliodi ricino e tutto questo truce armamentario.

«Il secondo fattore, quello veramentedecisivo, fu l’intiera forza organizzata del-l’impalcatura statale borghese, costituita daisuoi organismi. La polizia, quando la vigo-rosa reazione proletaria (così come da prin-cipio avveniva molto spesso) respingeva epestava i neri, ovunque interveniva, attac-cando e annientando i rossi vincitori, men-tre assisteva indifferente e soddisfatta allegesta fasciste quando erano coronate dasuccesso. La magistratura, che nei casi didelitti sovversivi e “agguati comunisti” di-stribuiva trentine di anni di galera ed erga-stolo in pieno regime liberale, assolvevaquei bravi ragazzi degli squadristi di Mus-solini, pescati in pieno esercizio di rivolu-zione e di assassinio. L’esercito, in base aduna famosa circolare agli ufficiali del mini-stro della guerra Bonomi, era impegnato adappoggiare le azioni di combattimento fa-scista; e da tutte le altre istituzioni e caste(dinastia, chiesa, nobiltà, alta burocrazia,parlamento) l’avvento dell’unica forza ve-nuta ad arginare l’incombente pericolo bol-scevico era accolta con plauso e con gioia.

«Il terzo fattore fu il gioco politico infa-me e disfattista dell’opportunismo social-democratico e legalitario. Quando si dove-va dare la parola d’ordine che all’illegali-smo borghese dovesse rispondere (nonavendo potuto o saputo precederlo e stron-carlo sotto le sporche vesti democratiche)l’illegalismo proletario, alla violenza fasci-sta la violenza rivoluzionaria, al terrore con-tro i lavoratori il terrore contro i borghesi ei profittatori di guerra fin nello loro case enei luoghi di godimento, al tentativo di af-fermare la dittatura capitalista quello di uc-cidere la libertà legale borghese sotto i col-pi di classe della dittatura proletaria, si in-scenò invece la imbelle campagna del vitti-mismo pecorile, si dette la parola della lega-lità contro la violenza, del disarmo contro ilterrore, si diffuse in tutti i modi tra le massela propaganda insensata che non si doves-se correre alle armi, ma si dovesse attende-re l’immancabile intervento dell’Autoritàcostituita dallo Stato, la quale avrebbe adun certo momento, con le forze della leggee in ossequio alle varie sue carte, garanzie estatuti, provveduto a strappare i denti e leunghie all’illegale movimento fascista» (Ibi-dem). Dunque, senza il gioco concomitantedi questi tre fattori il fascismo non avrebbevinto. Ma la vittoria del fascismo fu la vit-toria della borghesia capitalista contro ilpericolo che vincesse il proletariato rivolu-zionario, cioè se non avesse vinto il fasci-smo sarebbe proseguita la lotta proletarianella «marcia rivoluzionaria rossa e la finedel regime della classe dominante italiana».Questo, la borghesia dominante in tutte lesue sfaccettature, lo comprese molto beneed è perciò che plaudì freneticamente alsuo salvatore. Svoltasi l’intera fase dellasconfitta proletaria a livello mondiale, a par-tire dalla degenerazione dell’InternazionaleComunista e del partito bolscevico in Rus-sia e dalla successiva distruzione della vec-chia guardia bolscevica per mano stalinia-na, le borghesie di tutti gli Stati completa-rono il compito di difesa della conservazio-ne sociale a livello mondiale col secondomacello imperialistico, coinvolgendo i pro-pri proletariati nazionali a scannarsi sui fron-ti di guerra in difesa di patrie che non eranoe non sarebbero mai state “loro”.

Come a suo tempo la borghesia italianaplaudì alla vittoria fascista, così, cambiatala situazione mondiale e allontanato il peri-colo della rivoluzione proletaria per decen-ni, una volta deciso di cambiare alleato emontare sul cavallo vincente – quello dellademocrazia – non ebbe alcun ritegno a but-tare a mare il Duce e a plaudire alla demo-crazia post-fascista. I fascisti di ieri diven-tarono tutti democratici, parlamentari, pa-cifisti, giurarono sulla nuova costituzionerepubblicana che, naturalmente, al primoarticolo, proclama di fondarsi sul lavoro.Appunto, sul lavoro, non sui lavoratori,dunque sullo sfruttamento del lavoro sa-lariato, esattamente come nella fase fasci-sta dalla quale, d’altronde, eredita unabuona parte di leggi antioperaie (tenutein vita, anche se non applicate sistemati-camente, per i tempi in cui potrebberonuovamente servire...) e, soprattutto, ilmetodo grazie al quale il fascismo avevaottenuto l’appoggio da parte delle grandimasse lavoratrici: la collaborazione fra leclassi, basata sugli ammortizzatori socia-li. La fase della democrazia post-fascistanon ha inventato nulla, non ha innovatonulla: ha solo cambiato nome, mascheran-done l’origine, alle cose che il fascismoaveva fatto apertamente. Quel che è cam-biato, in peggio, è l’intrallazzo, è la diffu-sione della corruzione a tutti i livelli, è ilpoliticantismo personale e vigliacco ca-

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 3

ratteristico di una classe borghese anco-rata alla retorica del popolo di navigatori,poeti e santi, e alla vuotaggine del tradi-zionale parlamentarisno italiano.

La digressione sulla fase fascista dellaborghesia italiana ci è servita per dimostra-re – anche nell’uso delle stesse parole di“unità nazionale”, “economia nazionale”,“collaborazione tra le parti sociali” – unasua continuità, una sua tradizione nel mer-canteggiare la carne e il sangue dei lavora-tori salariati italiani al solo scopo di salvareuna posizione di privilegio e di dominio,sebbene vassalla di forze statali molto piùforti e potenti, alle quali offrire la vita, glisforzi, il lavoro della classe operaia italiana:prima a favore della guerra, poi a favore dellaricostruzione postbellica, e poi a favoredella ripresa economica dopo le diverse cri-si che hanno peggiorato sempre più le con-dizioni di esistenza delle classi proletariementre i profitti capitalistici hanno conti-nuato ad essere salvati.

Al di sopra dei politicanti, è lagrande borghesia che tira i fili

I vari interlocutori dei partiti, usciti vin-centi o bastonati dalle elezioni, continue-ranno a far finta di “trattare” per “il benedel paese” fino a quando troveranno uncompromesso, e poco importa che il com-promesso lo trovi direttamente il capo del-lo Stato per un governo cosiddetto “istitu-zionale” o “tecnico” o con i giochi sotto-banco fra i partiti. Si faccia o meno il gover-no con i partiti usciti dalle elezioni di mar-zo, o si indicano nuove elezioni, alla fine ilgioco cambia poco, è sempre una lotteria. Iproletari, che si sono fatti illudere a rivota-re i soliti politicanti o a votare i nuovi poli-ticanti, come contropartita avranno esat-tamente quello che la classe borghese do-minante ha già deciso da tempo – e che lachiusura delle fabbriche, il loro ridimensio-namento, le sentenze proborghesi nei pro-cessi contro i morti per l’amianto o l’uranioimpoverito, le sentenze a favore delle azien-de, come Ikea, Foodora ed altre, che strito-lano i propri dipendenti, o i propri falsi la-voratori autonomi, ed altre migliaia di casisimili di cui i grandi media non danno mainotizia – e cioè: lacrime e sangue! Il profit-to capitalista è fatto di denaro, di capitale,e i soldi non hanno odore e non hannocuore: il capitalista è servo del suo capita-le, anche se crede di essere lui a comanda-re, e in quanto servo del capitale o sta allalegge di mercato che la vince su ogni sin-golo capitalista, o ne viene triturato. E’ lapaura di essere triturato dal mercato chespinge il capitalista a sfruttare al massimopossibile la forza lavoro alle sue dipenden-ze; è questa paura che lo spinge a rispar-miare il più possibile per battere la concor-renza e non importa se questo risparmio illavoratore lo paga con la vita; è questapaura che lo spinge a cercare una soluzio-ne vantaggiosa per la sua azienda nellacollaborazione interclassista premendo suisindacati, sui partiti e sullo Stato affinchéquesta collaborazione sia efficace e benoliata. Ma l’interesse del singolo capitali-sta è in realtà interesse di tutti i capitalisti,della classe dei capitalisti, sebbene si fac-ciano concorrenza costantemente; a quel-l’interesse collettivo, di classe, ci pensa loStato borghese e lo difende in generaleanche se questa “difesa” può nuocere adalcuni capitalisti, perché difende il sistemaeconomico e sociale dal quale dipendonotutti i capitalisti e l’intera società. QuestoStato, il suo potere, il suo governo, puòmai difendere contemporaneamente gli in-teressi di classe dei borghesi, dei capitali-sti e quelli degli operai? La democrazia bor-ghese dice di sì, perché si basa sulla colla-borazione generale di tutti i “cittadini” eperché afferma che lo Stato è “al di sopradelle classi”, è lo Stato “di tutti”. La realtàdice una cosa del tutto diversa: lo Statoborghese è il difensore massimo, e armato,degli interessi capitalistici e in loro difesainterviene contro tutti coloro che li posso-no danneggiare; è al servizo del capitale, ebastano i colossali interventi a sostegnodelle banche che hanno imbrogliato milio-ni di “correntisti” con i titoli che loro stes-se hanno definito tossici, o gli interventidella polizia a difesa della proprietà privatae delle aziende sottoposte ad azioni di scio-pero, per dimostrare che lo Stato non è pernulla “al di sopra delle classi”! Il fatto chelo Stato sia democratico, e non fascista,non toglie che la sua attività costante siaquella di difendere gli interessi borghesi ese deve pestare, pesta sulla testa deglioperai. Ma questo gli operai lo sanno mol-to bene, soprattutto quelli che lottano eche si trovano di fronte non solo la polizia,la legge, la magistratura ma anche i sinda-cati e i partiti opportunisti i quali non sono

( da pag. 2 )

La gran lotteria nazionale dell’intrallazzo italiano

tutto è sacrificabile!«Dagli anni Ottanta, Fincantieri, ma non è la

sola, ha deciso di esternalizzare. Il motivo di-chiarato era la concorrenza asiatica». Oggi, finoall’80% del lavoro per costruire una nave vieneappaltato a grandi imprese che a loro voltasubappaltano. In questo ginepraio di continuipassaggi da un’azienda ad un’altra – ma è lalegge borghese stessa che lo prevede – è ovvioche anche i controlli si perdono: «Alla fine glioperai vengono assunti da società che spuntanocome funghi, spesso vengono dal sud, o magaridalla Romania»;« tra queste ci sono quelle cheassumono, ma verso la fine del contratto spari-scono e recuperare i soldi da una ditta romena èdura» (racconta Bruno Magnaro della Fiom-Cgildi Genova). Gli operai degli appalti esterni sonol’anello finale della catena; nella loro busta pagale voci previste dalla legge sembrano esserci, ilreddito che appare scritto è di 1.300 euro, ma sichiama “paga globale” e comprende tutto:tredicesima, indennità, tfr. Lo stipendio vero èpoco più della metà, inoltre le trasferte e le ferienon sono pagate e se si ammalano perdono illavoro (1).

D’altra parte, il collaborazionismo sindaca-le della Fiom-Cgil, insieme alla Fim-Cisl e allaUilm-Uil, invece di lottare contro questo siste-ma che riduce i costi aziendali e aumenta la con-correnza tra proletari, hanno manovrato sui con-tratti dei lavoratori fissi in pianta organica perrendere più flessibili gli orari di lavoro e legareuna parte sempre più consistente degli aumentidel salario all’aumento della produttività e alrispetto dei tempi di consegna delle navi. Infat-ti, tutta la loro propaganda attuale si svolge so-prattutto nel consigliare ai padroni di abbando-nare la strada degli appalti (che fanno lavoromeno qualificato) per prendere quello più quali-ficato da assumere in pianta organica che lorohanno contribuito a rendere molto più appetibile!

Va notato che il giorno dopo il Primo mag-gio, nel quale i sindacati tricolore hanno alzato iltono della voce gridando contro l’aumento degliinfortuni sul lavoro e soprattutto del numerodei morti (oltre 200 dall’inizio dell’anno), unoperaio delegato della Fiom-Cgil, e responsabiledella sicurezza (Rsu) della Socal Alluminio diCarisio (Vercelli), è stato licenziato perché de-nunciava pubblicamente le condizioni pericolo-se della fonderia dove lavorava: a seguito di un

grave infortunio subito da un operaio, che sbal-zato a terra subiva un trauma cranico e toracicosul posto di lavoro, aveva raccontato ai giornalile dinamiche dell’accaduto, sottolineando l’ine-sistente sicurezza in fabbrica. Inoltre, pochigiorni prima, aveva indetto uno sciopero per“sensibilizzare” l’azienda a intervenire in modopiù efficace sulle condizioni di lavoro all’inter-no dello stabilimento (da “il manifesto” del4.5.2018).

Evidentemente, aver indetto uno sciopero edato alla stampa una versione veritiera, e bendiversa da quella dell’azienda, non è stata unadimostrazione dello “spirito” collaborativo...come la pratica ultradecennale dei sindacati tri-colori gli insegnava. Ma questo è anche la dimo-strazione di quanto le aziende e il padronatopossano infischiarsene se la vita dei proletari èsempre più a rischio: ciò che a loro interessarealmente è innanzitutto il profitto!, un infortu-nio sul lavoro o un morto è una seccatura che va“risolta” nel più breve tempo possibile per poiriprendere la produzione e la corsa al profitto.

D’altronde, i sindacati tricolore oltre a regi-strare l’aumento degli infortuni e i morti sul la-voro non vanno; oltre a richiamare le aziende e ipadroni a una maggiore attenzione alla sicurez-za e indire qualche misera ora di sciopero a livel-lo aziendale o locale, non si sprecano; guai aindire uno sciopero a livello nazionale in mododa far pagare un prezzo più alto ai padroni intermini di mancato profitto… il sangue dei pro-letari caduti sul lavoro evidentemente, per i col-laborazionisti, non vale tanto!!!

Landini, ex segretario Fiom, ed ora della se-greteria Cgil, si è spinto a dire in televisione chein 10 anni ci sono stati 13 mila morti sul lavoro,una guerra… a parte il fatto che sicuramente ildato è sottostimato – vanno aggiunte infatti lemorti “silenziose”, cioè quelle dovute alle so-stanze respirate per anni sui posti di lavoro eche provocano malattie mortali (vedi l’amianto,Pvc, ecc. che si sviluppano dopo anni, quandoun operaio è vecchio ed uscito dalla fabbrica).

Ma, di fronte a una guerra di questo ge-nere, l’unica arma che i proletari possono edevono imbracciare per difendersi efficace-mente è l’unione nella lotta contro l’aumen-to del loro sfruttamento che li porta oltre illimite imposto loro dalla natura umana (nondalle leggi del capitale) e, quindi, a diventa-re carne da macello nella produzione capi-talistica.

I proletari devono lottare per un’organizza-zione autonoma e indipendente dal collabora-zionismo sindacale, lottare contro la concorren-za che viene loro imposta per ridurre il salario eaumentare i ritmi di lavoro, devono lottare con-tro l’aumento dei rischi e della nocività sul po-sto di lavoro facendo pagare un prezzo alto aipadroni bloccando la produzione fuori dalle com-patibilità e dalle pratiche che abitualmente i bonzisindacali hanno loro inoculato per decenni.

La lotta di classe è la via proletaria dariprendere: non ci sono alternative!

(1) https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/17/fincantieri-fantasmi-subappalto-zona-grigia-senza-regole/198133/

( da pag. 1 )

Morti sul lavoro:lavorare in regime capitalistico

è come andare in guerra!che portatori stipendiati della collaborazio-ne interclassista che si è dimostrata e sidimostra in ogni frangente elemento ad altatossicità.

L’inganno dell’elettoralismo, del parla-mentarismo, di una democrazia che scende“dall’alto” o che sale “al basso”, è sicura-mente percepito da una gran parte dellamassa proletaria. La percentuale non indif-ferente di astensionismo è certamente unsegnale, ma ciò non toglie che la speranzache “qualcuno” faccia il miracolo e, grazieal voto, vada a governare per migliorare,anche se di poco, la situazione sempre piùdrammatica di milioni di persone (se diamoretta alle statistiche, in Italia i poveri sonopiù di 6 milioni, quindi più del 10% dellapopolazione intera). La democrazia resistee ci vorranno scossoni economico-socialiben più gravi di quelli che ci sono statifinora perché una parte non indifferente diproletari cominci a prendere in mano diret-tamente le proprie sorti e rompa con i me-todi che finora hanno soltanto peggioratola loro situazione. Allora i proletari si ac-corgeranno che ci possono essere altre viee altri modi per difendere i propri interessiin modo efficace, ad esempio quelli delleantiche lotte operaie, quelli che i partiti e isindacati collaborazionisti hanno cercatodi cancellare dalla memoria e dalla storiadel movimento operaio, e in gran parte, fi-nora, ci sono riusciti.

La tradizione di classe delle lotte ope-raie si basava sul riconoscimento dell’an-tagonismo fra interessi proletari e interessiborghesi, su organizzazioni di difesa di soliproletari, indipendenti dalle istituzioni sta-tali e dalle associazioni padronali o religio-se, e su mezzi e metodi di lotta che rispon-devano esclusivamente a rivendicazioniunificanti degli operai, alla difesa della lot-ta stessa e combattevano contro una dellearmi più micidiali dei capitalisti: la concor-renza fra proletari. I sindacati opportunistihanno sostituito la lotta contro la concor-renza fra proletari con un movimento di so-stegno alla collaborazione di classe; han-no sostituito gli obiettivi classici della lot-ta operaia (riduzione drastica della giorna-ta di lavoro, aumento salariale per tutte lecategorie e maggiore per quelle peggiopagate, salario pieno ai licenziati e ai di-soccuppati, stessa mansione e stesso sa-lario, uguale per uomini e donne, autocto-ni e immigrati, no al cottimo, agli straordi-nari, al lavoro a chiamata ecc.) con gli obiet-tivi di difesa della produttività aziendale,della competitività della produzione, deiprofitti dell’azienda; hanno sostituito imezzi di lotta classici, cioè quelli che ten-dono a danneggiare gli interessi delle azien-de (sciopero senza preavviso e ad oltran-za, trattative con lo sciopero in piedi, lotteil più allargate possibile al settore e percategorie, lotta contro il crumiraggio el’asportazione dei macchinari dalle fabbri-che ecc.) con gli accordi di vertice, i nego-ziati a tavolino, scioperi superannunciati osolo minacciati e di durata la minima possi-bile e, soprattutto, che non danneggino gliinteressi delle aziende. Per non parlare deipartiti cosiddetti “operai” che hanno get-tato alle ortiche ogni pur pallida rivendica-zione di classe antiborghese per trasfor-marsi nei migliori difensori dello Stato, del-la costituzione repubblicana, dell’econo-mia nazionale, della patria e, naturalmente,degli interessi capitalistici non solo nazio-nali ma anche internazionali. D’altronde,chiamati al governo, che politica hannoadottato se non questa?

Per quanto la via della rinascita dellalotta di classe e di un movimento di classeproletario sia ardua, tortuosa, difficile e nonvicina nel tempo, è inevitabile che le con-traddizioni capitalistiche della società bor-ghese ad un certo punto rompano gli equi-libri mantenuti dalle forze di conservazio-ne sociale e dagli apparati del collabora-zionismo tricolore. Allora, il proletariatoavrà l’occasione per uscire dalla condizio-ne di asservimento in cui da decenni è sta-to costretto, e riprendere in mano il propriodestino. Allora, anche la democrazia bor-ghese avrà mostrato il suo sporco giocoingannatore, costringendo la classe domi-nante borghese a mostrare più chiaramen-te il suo vero volto, quello dittatoriale, to-talitario, come già in passato. Allora, alletornate elettorali, con cui la borghesia ten-terà sempre di imbrigliare, confondere edeviare i proletari dalla lotta di classe, ilproletariato dovrà rispondere con la suaguerra di classe e affidarsi non ai partitiparlamentari e opportunisti, ma al partitodi classe che non avrà timore di dichiarareapertamente gli obiettivi proletari, immedia-ti e storici, che si riassumono nella lotta diclasse generalizzata contro il potere bor-ghese per la conquista del potere da partedella classe proletaria che lo eserciterà, at-traverso il suo partito di classe, contro la

classe borghese e contro il capitalismo,quindi per rivoluzionare da cima a fondol’intera società.

Il cambiamento, di cui si riempiono labocca i partiti che agognano di andare oggial governo, è il tipo di cambiamento gatto-pardesco: cambiare tutto per non cambiarenulla. La rivoluzione, di cui parlano i comu-nisti rivoluzionari, non è mai un cambio dellaguardia: è la distruzione del potere borghe-se per sostituirlo con il potere proletario,l’unico che può effettivamente trasforma-re la società del capitale, la società divisain classi, in una società senza classi, in unasocietà di specie.

* * *

Mentre stiamo per andare in stampa, quan-do il presidente Mattarella, visto che i diversipartiti (in particolare MS5, Lega e la colazionedi centrodestra, e il PD) non hanno trovato al-cun accordo per la formazione del nuovo go-verno, stava per decidere di istituire un gover-no "di tregua" (o "istituzionale") per permette-re al "paese" di non tornare alle urne con lastessa legge elettorale che ha dato il risultatoche è sotto gli occhi di tutti, ecco che M5S eLega tornano a promettere di accordarsi - colbeneplacito di Berlusconi - per dar vita in unmodo o nell'altro al governo. Il tira e molla in-finito, che per 70 giorni ha continuato a dimo-strare che i partiti borghesi nell'Italia dell'intral-lazzo congenito hanno a cuore esclusivamenteprivilegi di parte mescolati con gli interessidelle fazioni di cui sono portavoce, non ha ter-minato il suo gioco. Parlano di "contratto digoverno", e tutti sanno che un contratto delgenere è carta straccia, come lo è stato il "con-tratto con gli italiani" di berlusconiana memo-ria. Gli elettori-consumatori vengono presi ingiro per l'ennesima volta sia che abbiano votatoper i partiti che hanno "£vinto" le elezioni, siaper i partiti che le hanno "perse"... ma che pro-mettono la solita trita e ritrita "opposizioneleale" in parlamento. Prima o poi uscirà dalcappello del prestigiatore il nuovo governo colsuo programma di lacrime e sangue, anche se locamufferanno per quel che "i cittadini chiedo-no"! Per i proletari non sarà mai troppo tardirimetteresi a lottare sull'unico terreno sul qualepossono finalmente ritrovarsi uniti negli inte-ressi comuni, di classe, dunque negli interessiesattamente opposti a quelli di tutti i borghesie dei loro tirapiedi.

Anche Marx si sta rivoltando nella tomba

Tra le tante notizie ricavate dai giornali sui200 anni dalla nascita di Karl Marx (5 maggio1818) riprendiamo questa che sinteticamentedà l'idea di come in questa putrescente emercificata società tutto si trasforma in artico-lo di commercio.

"Pneumatici, jeans, persino una carta dicredito: le parole e l'immagine del barbuto pa-dre del comunismo - che domani compie 200anni - sono state saccheggiate dalla pubblicità"(Cfr il Venerdì, 4.5.2018). Certo, i creativi dellapubblicità non hanno atteso la data fatidica delduecentesimo anniversario per saccheggiare leparole e l'immagine di Marx. Nel 1962, l'azien-da di autonoleggio Avis si presentò comenumero due del mercato citando il Manifesto diMarx-Engels, con lo slogan: "Numeri due ditutto il mondo, unitevi!". Di recente una cam-pagna del servizio sanitario inglese diceva: "daognuno secondo le sue possibilità, a ciascunosecondo i suoi bisogni"; la fonte non era cita-ta... ma era evidente il nesso con il famoso dettomarxista. E come non ricordare la copertina diSgt.Pepper dei Beatles, del 1967, con l'immagi-ne di Marx in bianco e nero che fa capolino traOliver Hardy e H.G. Wells. L'immagine diMarx, le sue parole e i suoi concetti - natural-mente tolti completamente dal loro contestosferzante e critico nei confronti della societàdel capitale - sono state strausate da tutti gliopportunisti di ogni epoca, e in particolare da-gli stalinisti, e poi dai maoisti, che dovevanofar passare l'introduzione e lo sviluppo del ca-pitalismo nazionale come fosse la realizzazionedel "socialismo", simboleggiando le loro teoriecon la sequenza delle immagini di Marx,Engels, Lenin e naturalmente Stalin e Mao. Mala creatività borghese non ha limiti nétantomeno pudore. Levi's, fabbricante di famo-si jeans, utilizzò Marx associando due eventi"storici" del 1883: i primi jeans color indaco ela morte di Marx. Anche la Omnitel, la compa-gnia di telefonia fondata dalla Olivetti, utilizzòl'immagine di Marx in una campagna pubblicita-ria della fine degli anni Novanta dal titolo "Laparola a chi lavora", mostrando Marx con il te-lefonino in pugno e barba colore del marchio.Le vicende pubblicitarie, nei normali alti e bassidei cicli commerciali, ogni tanto dimenticavanola faccia di Marx ma a cicli la riprendevano. Ecosì la si ritrovava, ora nella pubblicità dellaVespa Piaggio ("Gennaio, Febbraio, Marx,Aprile... i ragazzi diventano uomini e Vespacresce con loro"), ora nella carta di credito dellabanca Sparkasse di Chemnitz, città della Ger-mania orientale che dal 1953 al 1990 sichiamava Karl-Marx-Stadt, ora nella pubblicitàdella Dacia Station Wagon o di un'acqua mine-rale finlandese.

Ci si potevano aspettare cose del genere?Da una classe dominante come la borghesia,dedita costantemente a trasformare qualsiasi

elemento della natura organica e inorganica,qualsiasi elemento materiale e immateriale inmerce, in articolo di commercio, non ci si puòattendere che questo, se non peggio.

Che la borghesia, per continuare a influen-zare le menti delle vaste masse proletarie chesfrutta, martirizza, uccide quotidianamente perrimpinzarsi di profitti, tenti di esorcizzare lapaura della rivoluzione proletaria, della rivolu-zione comunista, è logico e comprensibile.Come ricorda Lenin, all'inizio del suo Stato eRivoluzione:"Accade oggi alla dottrina di Marxquel che è spesso accaduto nella storia alle dot-trine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delleclassi oppresse in lotta per la loro liberazione.Le classi dominanti hanno sempre ricompensa-to i grandi rivoluzionari, durante la loro vita,con implacabili persecuzioni; la loro dottrina èstata sempre accolta con il più selvaggio furo-re, con l 'odio più accanito e con le piùimpudenti campagne di menzogne e didiffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di tra-sformarli in icone inoffensive, di canonizzarli,per così dire, di cingere di una certa aureola digloria il loro nome , a 'consolazione' emistificazione delle classi oppresse, mentre sisvuota del contenuto la loro dottrina rivoluzio-naria, se ne smussa la punta, la si avvilisce. Laborghesia e gli opportunisti in seno al movi-mento operaio si accordano oggi persottoporre il marxismo a un tale 'trattamento'.Si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivo-luzionario della dottrina, la sua animarivoluzionaria. Si mette in primo piano e si esal-ta ciò che è o pare accettabile alla borghesia".Era il 1917. Oggi, a cent'anni dalla rivoluzionebolscevica che fece tremare i polsi ad ogni can-celleria imperialista, il trattamento di cuiparlava Lenin si è allargato non solo alla dottri-na e al nome dei grandi rivoluzionari, ma anchealla loro immagine. Trasformandoli in iconeinoffensive, in foto da pubblicare e in manife-sti da appendere, si tenta di scacciare anchesolo il ricordo della paura che le classi domi-nanti di tutto il mondo ebbero - con ragione! -per una decina d'anni, dalla rivoluzione del1917 in Russia alla rivoluzione cinese del 1927.Poi, la sconfitta del proletariato occidentale edella rivoluzione proletaria di Russia aprì leporte alla controrivoluzione che non ebbe alcu-no scrupolo nell'utilizzare tutto l'odio e laspietatezza di cui era capace, e tutti i mezzi,dai più brutali ai più raffinati, per strappare dalcuore e dalle menti dei proletari anche solo ilricordo della gloriosa lotta rivoluzionaria diquegli anni.

Ma le "icone inoffensive" non salverannoalcuna classe dominante, alcuna borghesia: lastoria è dalla parte della rivoluzione proletaria!La società delle merci, dei capitali, della pro-prietà privata, dello sfruttamento dell'uomosull'uomo è segnata: sarà seppellita dagli stessi

proletari sul cui sfruttamento si è arricchita.Marx morì il 5 maggio 1883. Engels, il 28

giugno dello stesso anno, dovette firmare dasolo la Prefazione all'ennesima edizione tedescadel Manifesto del partito comunista. La ripren-diamo perché sintetizza in modo chiaro e nettoil contenuto storico-dialettico del Manifesto, e ilruolo che ha avuto Marx ponendo in questomodo le basi anche dottrinali del comunismorivoluzionario, che chiamiamo tradizionalmen-te marxismo. Engels scrisse:

"Purtroppo debbo firmare io solo la prefa-zione della presente edizione. Marx, l'uomo alquale tutta la classe operaia d'Europa e d'Ame-rica deve più che a chiunque altro, Marx riposanel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba cre-sce già la prima erba. Dopo la sua morte, nonsi può più pensare, meno che mai, a unarielaborazione o a un completamento del Mani-festo. Ritengo tanto più necessario di stabilireesplicitamente ancora una volta quanto segue.

"L'idea fondamentale che compenetra di séil Manifesto, che la produzione economica, e lastruttura della società che da essa necessaria-mente consegue, forma, in ogni epoca dellastoria, il fondamento della storia politica e in-tellettuale di tale epoca; che quindi (dopo ildissolversi della antichissima proprietà del suo-lo da parte delle comunità) tutta la storia èstata storia di lotte fra le classi, lotte fra classisfruttate e sfruttatrici, dominate e dominanti, ein diversi stadi dell'evoluzione della società;che però tale lotta ha raggiunto ora uno stadionel quale la classe sfruttata e oppressa (il pro-letariato) non si può più emancipare dallaclasse che la sfrutta e l'opprime (la borghesia),se non liberando allo stesso tempo per sempretutta la società dallo sfruttamento, dalla op-pressione e dalle lotte fra le classi - questa ideafondamentale appartiene esclusivamente aMarx. Ho detto questo già molte volte; maproprio adesso è necessario che sia premessoanche al Manifesto stesso.

F.Engels Londra, 28 giugno 1883".

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 20184

IN CONTINUITA' CON IL LAVORO GENERALE DI PARTITO,SI RIBADISCE L'INVARIANTE IMPOSTAZIONE TEORICA E PROGRAMMATICA

CHE IL PARTITO SI E' DATA FIN DALLE SUE ORIGINI

RESOCONTO DELLA RIUNIONE GENERALE DI MILANO DEL 13-14 GENNAIO 2018Diamo seguito al resoconto del se-condo Rapporto tenuto alla RiunioneGenerale di Milano del 13-14 gennaioscorsi, sul tema relativo alla Guerra ci-vile di Spagna. Questa è la seconda par-te del rapporto sulla Guerra civile diSpagna iniziato nella RG del 2017.

Qui ci occupiamo delle cause, e delleconseguenze, relative all'assenza delpartito di classe in quello svolto storicoe della critica alle posizioni dellostalinismo e delle correnti ad esso affini

che sostenevano come l'assenza del par-tito proletario dipendesse soprattuttodall'arretratezza economica della Spa-gna (posizione smentita ante litteramdall'esistenza e dalla lotta del partitobolscevico nell'arretratissima Russia).

Continueremo poi con la parte dedi-cata al prosieguo del lavoro sulla Sto-ria del nostro partito e delle sue crisi.

In questo lavoro continuiamo il temaesposto alla RG del 2016. Allora abbiamotrattato la questione da un punto di vistagenerale circa i problemi principali che po-neva la guerra di Spagna, nella forma di tesie contro-tesi, attraverso le quali, da un lato,si mettevano in risalto le principali devia-zioni dal marxismo soprattutto sulle que-stioni centrali del periodo 1931-1937 e, dal-l’altro, si ribadivano, in opposizione, i fon-damenti della corretta valutazione marxistae del lavoro critico sui punti storicamentepiù confusi.

Anche adesso, come allora, non si trat-ta di esaurire il tema: non si pretende di fareun’esposizione esaustiva delle posizionimarxiste su tutti e su ognuno dei problemidi cui è necessario tener conto affinché laquestione della Guerra di Spagna, insiemeal precedente periodo di fortissima agita-zione proletaria sul terreno della lotta im-mediata e alle false aspettative poste in unmovimento “rivoluzionario” che in realtànon ci fu, non si trasformino in un autenti-co labirinto nel quale sarebbe impossibilefare chiarezza.

Questa mancanza di esaustività dipen-de soprattutto dalla mancanza di forze checi impedisce di raccogliere, riordinare edesporre tutto il materiale che sarebbe ne-cessario per dare a questo lavoro un’im-pronta completa tipica dei lavori di partito:il marxismo non è una corrente intellettua-le, non cerca di completare la critica di ogniquestione che si pone per passare, subitodopo, ai “compiti pratici”. Ci muoviamo, inquesto caso, sul terreno del bilancio stori-co della fase più critica dello sviluppo dellalotta della classe proletaria in Spagna, nellaprospettiva di un lavoro più ampio di assi-milazione teorico-politica indirizzata a raf-forzare teoricamente, politicamente, ma an-che organizzativamente, il partito, cosa chegli potrà permettere, nei futuri periodi diauge della lotta di classe, di mettere radiciin questa lotta, considerando che questoradicamento non dipenderà mai dalla “buo-na volontà”, ma soprattutto dal fatto diconcepire il partito sia come prodotto checome fattore del fermo determinismo che èpresente in tutto l’arco storico della lotta diclasse proletaria.

Per questa ragione procediamo senzacercare di creare un cerchio perfetto cheracchiuda assolutamente tutto, ma piutto-sto una spirale che, mentre avanza in unadirezione, percorre ripetutamente gli stessipunti, chiudendo sempre più i limiti diognuno dei punti che vengono continua-mente trattati.

Ciò che attraversa tutto il lavoro dellasezione del partito in questo campo è lostudio delle cause che hanno determinatola tragica assenza del partito di classe neglianni decisivi della lotta del proletariato spa-gnolo. Pertanto, delle condizioni che han-no dato origine a questa assenza e alle loroconseguenze. Ma né l’una né le altre pos-sono essere ridotte ad un riformismo di tipo“statistico” che, partendo da un materiali-smo completamente deformato, cerca di sta-bilire un rapporto di causalità meccanicatra lo sviluppo della società capitalista, lalotta di classe del proletariato e l’emergeredel suo partito. Per questa corrente di pen-siero, che generalmente appare comeun’escrescenza intellettuale dello stalini-smo, tutto il problema si riduce alla presen-tazione della seguente sequenza: lo svilup-po del capitalismo in Spagna è inferiore aquello del resto dei paesi europei; la classeproletaria è numericamente molto inferioreal resto dei paesi e la sua esperienza politi-ca è scarsa; per tutte queste ragioni il parti-to di classe non poteva formarsi in questasituazione. Questa asserzione, che si pre-tende marxista, è un’aberrazione assolutache, se accettata, distruggerebbe le basistesse del marxismo.

In primo luogo perché, come risultachiaro, annulla l’esperienza dell’Ottobrebolscevico in Russia, dove un proletaria- ( Segue a pag. 5)

Introduzione

to proporzionalmente minoritario comparein una società poco sviluppata in terminicapitalistici, ma decisamente feudale, se-guendo in modo compatto un partito co-munista, quello bolscevico, che guidòl’offensiva inizialmente trionfante control’aristocrazia feudale e la borghesia libera-le. Rispetto a questa situazione, quellaspagnola del 1931-1937 appare molto piùavanzata in termini sociali: forme socialiprevalentemente capitaliste, un proletaria-to urbano e rurale molto numeroso, unatradizione di lotta sindacale segnata daintense esplosioni e, indubbiamente, unpartito di classe completamente assente.Quindi, o il marxismo - se lo identifichiamocon la sequenza sopra esposta – sbaglia,oppure manca qualcosa nella spiegazio-ne. Questo “qualcosa”, che è la sua assen-za, è esattamente quello che deve esserespiegato, sia per confermare la vera naturadel marxismo come dottrina che spiega lecondizioni di emancipazione del proletaria-to, sia per rigettare le sue versioni adultera-te che cercano di giustificare la loro storia eil futuro che promettono ai proletari.

Ma, una volta respinta questa caricatu-ra del determinismo storico, non si devesostituire la vera concezione materialisticadella storia con una visione libertaria, cioèidealista, in cui l’assenza del partito rivolu-zionario del proletariato si spiega con l’ar-gomento della “specificità spagnola”. Que-sta versione, anarchica e molto vicina alla“singolarità della patria” che si trova all’ori-gine dell’ideologia del falangismo, affermache il patrimonio culturale spagnolo o unaparticolare mescolanza genetica avrebbereso il proletariato spagnolo completamen-te impermeabile al marxismo, mostrandoglila via anarchica o sindacalista come l’unicain grado di adattarsi alla natura della classeoperaia... dai Pirenei in giù.

Il nostro lavoro, come abbiamo detto,cerca di spiegare le cause e le conseguen-ze di questa assenza dal partito. E l’ideo-logia libertaria, in tutte le sue varianti, rien-tra nel capitolo delle conseguenze, nondelle cause, in cui non ha mai avuto unaparte; e si lancia a illustrare, da questa fal-sa spiegazione, le successive versioni de-gli eventi in Spagna che, pur pretendendodi aver superato l’anarchismo, ritornanoancora e ancora all’odioso compito di spie-gare questi eventi basandosi su nomi pro-pri, aneddoti individuali, gesta gloriose eterribili tradimenti.

Andiamo avanti fissando i punti nodalidello sviluppo della lotta tra le classi chesono, senza alcun dubbio, la capacità stori-ca delle classi di agire come “partito” checonduce sul terreno politico una lotta mor-tale contro ogni nemico per la difesa deisuoi interessi storici. Nella misura in cui ciòè stato realizzato esclusivamente dalla bor-ghesia, la sua vittoria appare come una veravittoria di classe, mentre la sconfitta delproletariato viene sempre più scomposta inuna somma di aneddoti personali.

Occupiamoci, quindi, degli elementi es-senziali che caratterizzano le convulsionisociali dal punto di vista del concentrarsiattorno ai poli storicamente antagonisti ditutte le forze disponibili. In questo caso,alle tendenze che conversero verso la for-mazione di una reazione contro il PartitoComunista diretto da Mosca. Cioè, se nellaparte del lavoro presentato alla scorsa RGsi è fatto un riassunto di tutte le “contro-tesi” erronee che definivano il carattereopportunistico delle diverse correnti politi-che che pretendevano di rappresentare gliinteressi della classe lavoratrice durante ilperiodo 1931-1936, ora andiamo ad appro-fondire il sottoinsieme di queste “contro-tesi” che furono avanzate come risposta alleposizioni del PCE e dell’IC di Stalin. Restainteso che parliamo di “contro-tesi” perchéle consideriamo in contraddizione con leposizioni del marxismo rivoluzionario. Ed èproprio nella misura in cui costituisconoquesta contraddizione che le studiamo ed

esponiamo come espressione della tragicaassenza del partito di classe, come reazio-ne “naturale” contro le deviazioni oppor-tunistiche del PCE che non cresce in terrafertile e che dà luogo a deviazioni se possi-bile più sconnessa (più “onesta” o no, nonha importanza; il marxismo è amorale e nonentra in tali considerazioni); in nessun caso,quelle deviazioni avrebbero potuto costi-tuire un passo verso la ripresa del filo sto-rico del marxismo rivoluzionario come fuinvece il caso di Lenin e della Sinistra co-munista d’Italia, e della loro rispettiva lottacontro la degenerazione della socialdemo-crazia e dello stalinismo.

Una delle più grandi falsità, che si fapassare comunemente come verità, riguar-do agli eventi della Spagna del periodo chestiamo trattando, è che ci sarebbe stata unareazione politica contro la degenerazionestaliniana del PCE e dell’IC paragonabile aquella che apparve in Italia sotto la guidadella Sinistra del PCd’I. Si parla quindi diuna Sinistra Comunista di Spagna per rife-rirsi a una presunta corrente teorica, politi-ca e organizzativa che avrebbe combattutolo stalinismo non solo sulla base del ripri-stino dei principi marxisti ma, soprattutto,fornendo un’alternativa pratica alla corni-ce organizzativa stalinista, riorganizzandogli elementi, che si dichiaravano anti-stali-nisti, attorno a una piattaforma comune diintervento politico sulla realtà spagnola, chenon solo ha accolto i comunisti spagnolima anche tutti quelli dal resto del mondoche cercavano rifugio nella Spagna “rivo-luzionaria”.

Di solito, il mito di questa riorganizza-zione politica della sinistra marxista è iden-tificato con il POUM e con le sue divisionimilitari internazionali durante la guerra. Laforza e la persistenza di questo mito, di fron-te alle critiche che la stessa realtà storicagetta su di esso, sta nel fatto che il POUMstesso è considerato come conclusione diun lavoro di critica teorica, politica e orga-nizzativa da parte degli elementi del Sini-stra spagnola, lotta che era iniziata, nel qua-dro di un lavoro frazionista all’interno delPCE, sia dai seguaci di Maurin che dai se-guaci di Trotsky.

Poste le cose in questo modo, se si cer-casse di fissare una linea che unisse le prin-cipali tappe non solo del “comunismo spa-gnolo”, ma anche del mondo, troveremmosotto sotto, in ordine cronologico, una li-nea che va dall’opera di Lenin e dei bolsce-vichi nella lotta contro la corruzione delmarxismo per mano della socialdemocraziainternazionale ... al Bloque Obrero y Cam-pesino di Maurin e la Sinistra comunistaspagnola di Andrés Nin. Non si tratta digiocare a stabilire un ordine formale per l’in-gresso nel pantheon di uomini illustri, masi deve capire il peso notevole che ha que-sta visione ridicola della storia, sia per com-prendere l’origine e lo sviluppo del partitodi classe in Spagna che semplicemente av-vicinarsi oggi al marxismo rivoluzionario inSpagna.

Quelli di noi che l’hanno fatto quandoeravam giovani e con i mezzi esclusivamen-te alla nostra portata, conoscono le impli-cazioni che hanno avuto l’ascesa delPOUM, di Nin e della “Divisione Lenin”.

In questo lavoro, affrontiamo l’espo-sizione e critica delle posizioni di questafalsa opposizione di sinistra, spiegandol’origine e la portata effettiva di queste po-sizioni nel corso di eventi che vanno dal1931 al 1939. Come detto sopra, non si trattadi fare una cronaca degli eventi, anche seè necessario fare affidamento su una cro-nologia di base, ma di esporre i punti cen-trali del problema con cui abbiamo a chefare. Ecco perché ricorriamo, più che a unresoconto degli avvenimenti, alle critichedei programmi politici, delle prese di posi-zioni riguardo a problemi concreti ecc., perdare una visione generale in grado di spie-gare, a sua volta, la ragione delle azioniintraprese.

D’altra parte, l’obiettivo è chiarire i puntiessenziali del mito della Sinistra comunistadi Spagna. Ad alimentare questo mito con-tribuiscono sia le origini sindacaliste-rivo-luzionarie del Blocco Operaio e Contadino,sia le posizioni sulla Spagna della frazionetrotskista. Tratteremo questi punti nellamisura in cui sono necessari per dare unamaggiore capacità esplicativa al nostro la-voro, ma senza dedicare uno sforzo ecces-sivo alla critica della corrente trotskista odel movimento rivoluzionario sindacalista.Analogamente, le deviazioni successive

apparse nel POUM, come la famosa “Cellu-la 72”, non vengono trattate, se non nellamisura in cui possono contribuire a ribadirel’assoluta impossibilità di considerare que-ste correnti come germi possibili di una cor-rente marxista rivoluzionaria.

1.Partire dall’idea che, nei terribili eventi

di Spagna la sconfitta della classe operaiafosse dovuta all’ “assenza del partito”, sen-za spiegare in termini esatti il perché di que-sta assenza, è un errore. “Il partito” nonmancava in Spagna. In effetti c’erano diver-si “partiti” che si dichiaravano come tali eche conquistarono una notevole influenzain ampi settori della classe proletaria. Senzafare riferimento al PCE e al PSOE, esisteva-no diverse organizzazioni che si dichiarava-no marxiste rivoluzionarie e, di conseguen-za, difendevano la necessità del partito diclasse come un organo della rivoluzione pro-letaria, invocando non solo la Rivoluzioned’Ottobre e filo rosso va da Marx a Lenin,ma anche, come fosse una continuazione diquesta, un preteso anti-stalinismo, una pre-sunta rottura con i dettami teorici, politici,tattici e organizzativi dell’IC stalinizzata eun ritorno alle posizioni rivoluzionarie che ilbolscevismo salvò dal naufragio con il suolavoro di restaurazione del marxismo sullesue basi corrette. Ci sono stati, quindi, di-versi partiti, correnti, organizzazioni chepretendevano di costituire una reazione disinistra contro la forza corruttrice tanto delpartito russo degenerato che dell’Interna-zionale. La cosa più importante, alla criticadelle quali posizioni è dedicato questo la-voro, è che queste sono note oltre i confinifisici e storici della Spagna ed è uso comu-ne, ancora oggi, fare riferimento ad essetrattando del periodo della Seconda Re-pubblica e della Guerra Civile, cercandoun’alternativa alle spiegazioni fornite dal-lo stalinismo (e da una qualsiasi delle suenumerose varianti attuali).

Nello stesso modo in cui non lavoriamosulla base di una critica agli individui cheerano al centro dell’uragano (e che, più chemai, non l’hanno né creato né diretto, masono stati colpiti e trascinati continuamen-te da questo urgano), non intendiamo crea-re una “archeologia” degli eventi associatia queste correnti e a questi partiti. Siamopienamente convinti che un’opera di que-sto tipo riuscirebbe solo a sostituire la criti-ca materialista per una ricostruzione ideali-stica della storia. Ma è essenziale dedicarealcune righe per chiarire brevemente i pro-blemi cronologici e terminologici in mododa non dover ritornare continuamente su diloro.

Alla fine degli anni ’20 del secolo scor-so, c’erano in Spagna, oltre al PSOE, il PCEe una serie di correnti interne in quelle chesaranno le protagoniste della “reazione disinistra” contro lo stalinismo. Va ricordatoche, dal 1923 al 1931, il regime politico spa-gnolo era rappresentato dalla dittatura mili-tare di Primo de Rivera. Nonostante la suacoincidenza nel tempo e alcuni suoi aspettiformali, non si deve pensare che questo re-gime possa essere assimilato al fascismo ita-liano: la dittatura di Primo de Rivera fu, inSpagna, un patto tra le diverse fazioni dellaclasse dominante nel contesto di una pro-fonda crisi sociale in cui, alle tensioni inter-ne provocate dal rapido sviluppo industria-le di alcune regioni del paese, si aggiunsel’ascesa della lotta sindacale del giovaneproletariato di fabbrica e la continua agita-zione dei braccianti della campagna andalu-sa. La dittatura ha unito la necessità di unadura repressione anti-operaia con un pro-gramma di inclusione delle organizzazionioperaie nella struttura dello Stato, provo-cando, insieme al boom economico deglianni Venti, una progressiva diminuzionedell’intensità della lotta proletaria. In que-sto contesto, la crescente opposizione allaleadership del PCE fu sviluppata da diversecorrenti che alla fine convergeranno, nel1935, nella formazione del POUM.

In particolare dal 1930, quando la cadutadella dittatura sembrava imminente e le con-seguenze della crisi capitalista nel 1929 di-venne insopportabile per la classe operaia,la politica del PCE fallisce, mostrando la suaincapacità completa e assoluta di effettuarecostantemente una politica di difesa degliinteressi della classe proletaria contro l’on-data di mobilitazioni capitalizzata dai partitirepubblicani. La cosiddetta “politica del ter-zo periodo”, comune al PCE e agli altri parti-ti dell’IC, era caratterizzata da un radicali-

smo formale privo di qualsiasi fondamentoteorico e politico dietro cui erano poste lerichieste che lo Stato russo aveva impostoai partiti completamente subordinati ai lorointeressi. In Spagna questa “politica delterzo periodo” è stata caratterizzata dal lan-cio dello slogan del “Governo operaio econtadino” che avrebbe dovuto esseresostenuto dal potere di soviet, in realtà ine-sistenti. La politica del PCE, riluttante aconsiderare l’agitazione operaia nei giustitermini e, di fatto, consistente nell’attende-re un lento risveglio della forza intorpiditadella classe operaia, ancora piena di illu-sioni democratiche dopo un decennio diprofonda recessione, dichiarò, sin dal 1930,che il potere era a portata di mano dellaclasse proletaria e che, per conquistarlo,bisognava respingere ogni agitazione, ognirichiesta sul terreno della lotta immediata,organizzazione e inquadramento delle for-ze proletarie e critica delle correnti liberta-rie e socialdemocratiche, dedicando i lorosforzi unicamente alla preparazione dellapresa del potere. La conseguenza di que-sta politica è stata la liquidazione praticadel piccolo partito, al posto del quale si die-de da fare una serie di tendenze che delrifiuto dei “metodi dittatoriali” della leader-ship guidata da Bullejos, fecero la propriapiattaforma politica con cui presentavanola propria candidatura a guidare la ricostru-zione del partito.

Tra queste correnti ne evidenziamo due,che in seguito avrebbero costituito la scis-sione “di sinistra”. La prima è la Federazio-ne Comunista Catalana-Baleari (FCCB), or-ganizzazione locale del Partito comunistain Catalogna e nelle Isole Baleari, ma haavuto una certa influenza anche su Valen-cia, nel nord di Castilla e su Madrid. Que-sta corrente, con l’avvento della crisi del1929, il cui fenomeno più notevole è statala crescita della disoccupazione operaia ela stagnazione della produzione agricola(che ha drasticamente impoverito i piccoliagricoltori provenienti da nord e nord-ovestdella Spagna), ha guadagnato una certaforza costituendo il principale bastione or-ganizzativo del PCE. Mentre questo acca-deva, il FCCB sviluppava una “propria ori-ginale” teoria, a detta dei suoi leader: laSpagna attraversava, con l’arrivo della Re-pubblica, una rivoluzione democratica, fat-to incompatibile, da un punto di vista teori-co e politico, con la consegna del PCE afavore del “Governo operaio e contadino”.Anche se la critica di queste posizioni è diper sé al centro di questo lavoro, e entrere-mo in profondità in seguito, va notato chela presunta opposizione di “sinistra” in re-altà ha rappresentato un passo a destra ri-spetto alla politica, quella del PCE, che diper sé non era proprio assimilabile a quelladella Sinistra. Le differenze che non eranoovviamente tanto teoriche o politiche mariguardavano la lotta per il controllo di unpartito fallimentare, hanno portato al-l’espulsione della FCCB. Questo poi ha for-mato un nuovo partito, la Federazione Co-munista Iberica, e una piattaforma destina-ta ai simpatizzanti, il Blocco Operaio e Con-tadino, nel quale inquadrare un certo nu-mero di sostenitori che si avvicinavano alnuovo partito attratti dal suo programmademocratico. Torneremo su questo punto;è sufficiente per ora sottolineare che, in re-altà, il nuovo partito fi conosciuto solocome Blocco Operaio e Contadino, un ter-mine che riflette meglio la vera natura diquesta organizzazione

La seconda corrente in ordine di impor-tanza era quella trotzkista. In questo lavoronon faremo una storia del trotskismo inSpagna, che in verità non ha nessuna im-portanza se non perché non c’è quasi nullache possa essere conosciuto con quelnome. Né entreremo nella cronaca delle di-vergenze tra Trotsky e la sua corrente inSpagna, se non nella misura in cui può aiu-tare a spiegare le posizioni che la sinistracomunista di Spagna in seguito difenderàcome organizzazione indipendente. Pertan-to, è sufficiente spiegare che la Frazionetrotskista ha la sua origine in alcuni ele-menti espulsi dal PCE di fronte ai quali sicollocò Andrés Nin quando, in fuga dallarepressione stalinista in Russia, arrivò inSpagna con l’esperienza di aver lavoratoper la Internazionale Sindacale Rossa e peril fatto di mantenere uno stretto rapportocon Trotsky.

La Frazione trotskista mostrò rapida-mente le sue divergenze interne, di nuovo

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 5

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quando la tensione sociale aumentò in Spa-gna, e la prospettiva di formare una cor-rente capace di influenzare strati significa-tivi del proletariato si concretizzò nell’alle-anza con il B.O.C. Così si formò la cosid-detta Sinistra Comunista di Spagna (ICE),cercando un’entità superiore a una sem-plice corrente del PCE e sviluppò progres-sivamente una teoria che giustificasse que-sta evoluzione che riprendeva l’idea dellarivoluzione democratica in Spagna (altri-menti presente anche nel trotzkismo) comeelemento centrale. Gli eventi dell’ottobredel 1934 nelleAsturie e in Catalogna preci-pitarono la rottura dell’ICE con Trotsky ela sua corrente, dando origine alla fusionetra ICE e BOC.

Porre “l’assenza del partito” in Spagnadurante i momenti chiave della lotta di clas-se del proletariato nel periodo 1931-1937 è,come abbiamo detto, qualcosa di astrattoche non riesce a toccare i punti essenzialidella assenza di un’avanguardia rivoluzio-naria che facesse “valere gli interessi co-muni di tutto il proletariato, indipendente-mente dalla nazionalità” e che difendesse“nelle diverse fasi di sviluppo della lottatra il proletariato e la borghesia, gli interes-si del movimento nel suo insieme” (Marx).Allo stesso modo, spiegare questa assen-za in termini esclusivamente formali, cioècome assenza generica, non storicamentedeterminata o con un carattere nazionale, èegualmente posizione anti-marxista.

Il 1936 non fu il 1917, come è evidente.Gli eventi che hanno accompagnato l’Ot-tobre rosso in Russia non sono paragona-bili a quelli della classe lavoratrice spagno-la, come abbiamo potuto spiegare nella pri-ma parte di questo lavoro. Ma le differenzetra i due momenti si spiegano, per i marxisti,tenendo conto degli stessi elementi e, par-tendo da lì, è possibile riprendere il filo chelega entrambe le date attraverso le vicendetortuose che ha attraversato il proletariatorusso, italiano, tedesco ... e spagnolo nel-l’arco di vent’anni.

La domanda centrale riguarda, sempre,il Partito. Ma il partito di classe del proleta-riato non è né un’utopia né un riflesso au-tomatico di ogni tipo di situazione. Lo svi-luppo della classe proletaria intesa comeuna classe che lotta, come formazione dilotta, che vive quando vive una dottrina eun programma nei quali si sintetizza l’inte-ro percorso della guerra di classe e i suoiobiettivi, dà origine a un modo non mecca-nico, alla selezione di una piccola parte diesso che collega in modo non spontaneo ocongiunturale i suoi sforzi a fini non imme-diati o contingenti. Pertanto, il partito comeunica espressione di una classe che altri-menti costituisce una massa amorfa e mal-leabile, sempre soggetta alle richieste di al-tre classi sociali, non dipende, per la suaesistenza, dal numero di proletari esistentiin un certo paese o regione del mondo nédalla violenza con cui determinati fenome-ni caratteristici delle società divisi in classisociali, colpiscono la massa. Dipende dal-l’esperienza della lotta che si accumula, at-traverso salti improvvisi, non in modo con-tinuo e regolare, nelle successive genera-zioni di proletari che, soffrendo le condi-zioni nelle quali sono costrette nel mondocapitalista, sono costretti a un processo didecantazione sociale in cui appaiono quel-le “scintille” che illuminano il percorso chedeve necessariamente essere percorso.Pertanto, la prima formulazione del partitoè quella temporale e, attraverso di essa, sirisolve il legame che unisce gli obiettivi piùimmediati, le limitate esplosioni sociali, itentativi rivoluzionari falliti, agli obiettivifinali, con l’estensione di conflitti parzialiverso un obiettivo finale, ecc

D’altra parte, il partito è essenzialmenteun collegamento di elementi diversi cheprovengono sia dalla classe proletaria siada quelle rare defezioni di altre classi socia-li, oltre i limiti che segnano la loro origine el’impronta originale che il mondo borghesedà loro. Il proletariato è solo formalmenteuna classe nazionale: il contenuto del mo-vimento storico diretto verso la societàdelle specie è internazionale. Ed è nel parti-to di classe che questa rottura con i limitilocali, regionali o nazionali tanto dei mili-tanti di partito quanto dei proletari che sonoi protagonisti della lotta della loro classe,

assume un’espressione chiara e nitida. È ladimensione spaziale del partito, che lottaper estendere l’organizzazione della classeproletaria oltre i limiti nei confronti dei qualisi scontra quotidianamente.

Se manca una di queste due dimensio-ni, se il partito non esiste come continuitàtemporale o spaziale della lotta di classe,formalmente non esiste; la sua esistenzarimane solo nel partito-storico, nel parti-to-programma. Se il partito non raccogliel’esperienza e il bilancio storico delle lottedi classe, la continuità generazionale, che èun fatto esclusivamente politico, viene in-terrotta. Se il partito non esprime in terminidinamici il †carattere internazionale dellalotta di classe, quindi la natura di questalotta come confronto contro l’intera classeborghese, la classe parassitaria del capitaleche è internazionale, il virus nazionalista,l’eccezionalità locale, ecc. corromperannoquesta lotta.

È solo in questo modo che la questionedell’assenza del partito in Spagna vienecorrettamente sollevata, tenendo presentei vincoli specifici che privarono ciascunodei gruppi che asserivano di essere “il par-tito” in questa doppia dimensione.

Nel migliore dei casi, come mostreremoin questo lavoro, alcuni di loro hanno cer-cato di trasporre il modello derivante dal-l’astrazione della successione degli eventidella Russia nel 1917 alla situazione spa-gnola. Intendeva generare, meccanicamen-te e idealmente, una continuità che non esi-steva a causa della mancanza di basi teori-che e di proiezione programmatica, tattica eorganizzativa.

Il partito bolscevico lottò, dal 1903, perporre il marxismo sulle sue basi corrette.Lo ha fatto combattendo contro la dege-nerazione delle presunte correnti marxistedell’Europa e dell’America e contro la suavariante russa. E lo fece sottoponendo allaprova di tre rivoluzioni il suo lavoro teori-co, politico e organizzativo di fronte al pro-letariato russo. La progressiva degenera-zione dei partiti socialisti, a partire daglianni ’90 del XIX secolo, accompagnava losviluppo imperialista delle principali nazio-ni europee e americana, cercando di pri-vare la dottrina di Marx ed Engels dei suoipunti essenziali sia in termini di studio sto-rico e economico come sul terreno squisi-tamente politico della questione dello Sta-to di classe. I bolscevichi non solo hannoaffrontato la critica di questo opportuni-smo di prima generazione ma hanno anchedimostrato come il corso della stessa sto-ria russa dava ragione al marxismo nonadulterato. Così, con la sua vittoria nel-l’Ottobre 1917, non cade solo il governoKerensky, ma anche il velo di menzogne†che la socialdemocrazia aveva cercato ditenere in piedi di fronte ai proletari sullanatura della lotta di classe e sulla rivolu-zione proletaria. Aspetti economici, stori-ci, ecc. della lotta che i bolscevichi aveva-no affrontato fin dalla loro nascita sottoli-neavano la validità fornita dalla confermasu larga scala del loro trionfo politico.

Quasi 20 anni dopo, nel 1936, il proble-ma non era di rivendicare questa esperien-za in modo generale. Una nuova ondataopportunistica, accompagnata dalla reazio-ne più brutale, aveva messo radici nuova-mente. Difendere Lenin e il partito bolsce-vico non consisteva nel lodare le vittorieraggiunte sul terreno teorico e politico, némostrare come la forza della controrivolu-zione si era abbattuta in modo particolar-mente duro su di loro. Il lavoro dell’esiguaminoranza marxista sopravvissuta alla de-bacle mantenendosi ferma sulle posizionimarxiste, ma consisteva nel fare il bilanciodi questa nuova sconfitta della classe ope-raia, e del movimento comunista interna-zionale, partendo dalla constatazione cheil suo partito di classe era stato annientatoa livello internazionale cancellando del tut-to le basi di teoria e di prassi su cui si eracostruito il trionfo di Ottobre e la formazio-ne dell’IC.

Il partito di classe mancava, quindi, aprescindere dalla forza numerica di coloroche rivendicavano di esserlo, nella misurain cui mancava questo bilancio e la neces-saria reaturazione della dottrina marxista.Questo bilancio lo ha potuto fare soltantola Sinistra comunista d’Italia collegandosiintransigentemente a tutto il percorso te-orico, politico, tattico e organizzativo svi-luppato dalla sua formazione all’innestocon l’Internazionale Comunista e alla lottacontro la sua degenerazione e contro ognitendenza opportunista e controrivoluzio-naria, combattendo ovviamente anchecontro i cedimenti e le deviazioni che col-pivano lo stesso movimento sotto la formi-dabile pressione controrivoluzionaria.

Il caso spagnolo, a proposito dell’in-comprensione del reale peso della controri-voluzione, è molto significativo in questosenso. La Spagna era l’unico paese al mon-do in cui, dieci anni dopo la crisi del partitorusso e dell’Internazionale, le correnti di

opposizione al PC ufficiale ottenevano unanotevole forza numerica e un’influenza nel-la classe proletaria superiore a quella di que-st’ultimo. Pertanto, “il partito” non manca-va in termini formali. Non mancava nemme-no l’autoproclamato partito anti-stalinista.Ma i limiti tra coloro che si trovavano rin-chiusi in queste correnti erano sufficiente-mente piccoli in termini politici, e soprattut-to teorici, per essere in grado di rimontareda soli la situazione di prostrazione in cui leforze rivoluzionarie erano cadute.

In realtà, le correnti di opposizione alPCE (BOC, ICE e successivamente POUM)ricorsero, per compensare le evidenti carenzein questo senso, ad una trasposizione mec-canica dell’esperienza russa, da cui potrevauscire solo la difesa proprio dei punti in cuiquesta esperienza non era immediatamenteapplicabile, o all’errore più profondo e tra-gico: diventare “innovatori” del marxismoe, partendo dalla difesa della libertà di ela-borazione dottrinale, cercare di fare tabularasa con il bilancio storico che il movimentocomunista doveva fare sulla successionedelle rivoluzioni e delle controrivoluzioni percreare una nuova teoria costruita espressa-mente per la situazione spagnola.

È facile seguire questo filo esplicati-vo dalla propria traiettoria politica di co-loro che hanno sollevato entrambe le ten-denze. L’origine nel sindacalismo, il pas-saggio attraverso il governo locale dellaCatalogna, la difesa del blocco antifasci-sta ... e persino l’attacco furioso controcoloro che criticavano i passi più con-traddittori. Ma il nostro compito è mo-strare che, dietro questi elementi, ci sonodeterminanti materiali indistruttibili e inap-pellabili e che si manifestano in ciò che èstato realmente realizzato da coloro chepretendevano di essere irraggiungibili. Inquesto modo, è importante spiegare lacrisi politica e organizzativa del proleta-riato internazionale come la soluzione cheBOC, ICE e POUM pretendevano darlenell’ultimo dei suoi bastioni; tanta impor-tanza deve essere data ai limiti della rot-tura di queste correnti con il PCE e l’ICcome il modo in cui hanno dovuto realiz-zare e giustificare la rottura.

Questioni come la natura democraticadella rivoluzione in Spagna, il problema del-la terra e delle nazionalità, il fronte unicoantifascista o la questione dello Stato solle-vato prima della guerra civile, sono le chiaviper mostrare la reale portata dell’infezioneopportunistica che ha danneggiato le cor-renti politiche a cui ci riferiamo.

2.Prendiamo una citazione dalle tesi della

III Conferenza politica dell’OpposizioneComunista Spagnola (OCE). L’OCE è la se-zione in Spagna della corrente trotskista,enucleata attorno a elementi provenienti dalPCE e che difendeva, nelle pagine della suarivista Comunismo, alcune divergenze ri-spetto alla posizione trotzkista ufficiale.Man mano che queste divergenze si appro-fondivano, la OCE si trasformerà in ICE e,infine, si fonderà col BOC, dando origine alPOUM.

Nel testo da cui è stata estratta la cita-zione, la prima parte è dedicata all’esamedel carattere socioeconomico della Spagna,indicando che si tratta di un paese eminen-temente industriale, scarsamente sviluppa-to e sottoposto al governo dei proprietariterrieri. Successivamente, si afferma:

“In realtà, la proclamazione della Re-pubblica è stata un tentativo disperatodella parte più lungimirante della borghe-sia di salvare i suoi privilegi. L’esperienzadei primi dieci mesi di esistenza del nuovoregime è arrivata a dimostrare ciò che icomunisti hanno sempre sostenuto: che laborghesia non può realizzare la rivoluzio-ne democratico-borghese, che questa ri-voluzione non può che essere opera delproletariato, appoggiandosi alle massecontadine attraverso l’instaurazione del-la sua dittatura. La Repubblica non ha ri-solto, né può risolvere, nessuno dei pro-blemi fondamentali della rivoluzione de-mocratica: il problema agrario, delle na-zionalità, dei rapporti con la Chiesa, del-la trasformazione dell’intero meccanismoburocratico-amministrativo dello Stato. Lasoluzione del problema religioso (soluzio-ne apparentemente radicale, poiché tuttoil potere economico della Chiesa è rima-sto in piedi), l’eventuale concessione diuna meschina autonomia alla Catalognae una timida riforma agraria che, alla fine,lascia intatti i diritti della grande proprie-tà, sono il limite estremo che la borghesiapuò raggiungere sulla via della rivoluzio-ne democratica”.

Successivamente, abbiamo estratto unparagrafo dalla rivista del BOC, un articolointitolato “I problemi della rivoluzione spa-gnola” e che riassume le posizioni di que-sta corrente sullo stesso argomento:

“I problemi posti oggi alla Spagnasono quelli inerenti a un paese che non ha

ancora fatto la sua rivoluzione democra-tico-borghese [...] Una cosa che apparecon tutta evidenza: che la Spagna, comela Russia del 1917, non sarà in grado disaltare questa tappa storica necessariadate le condizioni economiche e socialidel paese. La rivoluzione democratica, contutti i problemi che pone, è quindi all’or-dine del giorno in Spagna. Ma questa pro-va ci porta a un altro tema, già abbozzatoin precedenza: che non sarà la borghesiarepubblicana - o la piccola borghesia -che porterà avanti questa rivoluzione, mail proletariato, con l’alleanza dei conta-dini. In questo senso, la rivoluzione saràpermanente, sarà trasformata da democra-tica a socialista”.

Prima di continuare, va notato chel’identità di entrambi gli approcci è relativa:mentre la corrente trotskista sollevaun’estrapolazione automatica dell’esperien-za russa in Spagna, il BOC è molto più con-fuso al riguardo, parlando in altre occasio-ni della “Rivoluzione democratico-sociali-sta “ in cui i compiti economici e socialidelle rivoluzioni democratiche e socialisterisultano essere gli stessi ed entrambi, quin-di, identificabili. Questo è il risultato dellacomposizione sociale e ideologica del BOC,che, nonostante il suo presunto barlumecomunista, non costituisce, in molti luoghidel paese, qualcosa di diverso da un parti-to repubblicano radicale.

Superate queste differenze, i punti es-senziali sono gli stessi per entrambe le cor-renti: la rivoluzione democratica borgheseè in sospeso in Spagna.

Per rivoluzione borghese si intende, nelsenso che storicamente il marxismo ha dato,l’ascesa della classe borghese al potere, ilsuo controllo dello Stato, la liquidazione deirapporti feudali di produzione e, da lì, l’ela-borazione di una legalità che garantisca illibero sviluppo delle forze economiche delcapitalismo, che esisteva già sotto il feuda-lesimo e la cui collisione con le formule giu-ridiche di questo ha provocato l’ascesa ri-voluzionaria della classe borghese. Il mo-dello della rivoluzione borghese studiatoda Marx è stato l’inglese, proprio perchériunisce in modo chiaro tutti gli elementiche caratterizzano questo brusco cambia-mento sociale, la cui principale conseguen-za non è il raggiungimento di un sistemasocialmente stabile, ma il passaggio ad unafase più intensa della lotta tra classi socialie in cui la borghesia ha perso il suo caratte-

re rivoluzionario a favore della classe pro-letaria, che porta in sé il progresso umanoin tutti i campi.

Ma il modello britannico non si realizzain tutte le aree del mondo in cui è avvenutala rivoluzione borghese. La sua purezza ra-ramente si manifestò di nuovo, sebbenedappertutto la borghesia abbia finalmentetrionfato. Il caso spagnolo è solo un esem-pio di rivoluzione borghese realizzata dovesono assenti tutti gli aspetti tranne gli es-senziali (l’ascesa della borghesia al poteree lo sviluppo del modo di produzione capi-talistico). Infatti, se la fase politica della ri-voluzione borghese in Inghilterra era unfenomeno con le sue caratteristiche princi-pali chiaramente osservabili, in Spagna lafitta rete di progressi e battute d’arresto,l’assenza di una classe risoluta e l’insiemedelle particolarità regionali che apparivanoe scomparivano durante tutto il periododell’ascesa della borghesia al potere, rese ilperiodo in cui si sviluppò estremamentebuio.

Il 1808 ha dato l’inizio a detto periodo.L’invasione napoleonica della Spagna hadeterminato il crollo del vecchio stato no-biliare, che non era in grado, dalla Coronain giù, di difendere l’integrità territoriale delpaese. Inoltre, ha provocato la entrata inscena delle classi popolari sottomesse alleesazioni di Napoleone e dei suoi rappre-sentanti politici e intellettuali, elementi le-gati agli aspetti più minuti della vita econo-mica del paese, che fornirono, di fronte almalessere popolare, la forza che dà la coe-sione programmatica. Nel 1808, ma soprat-tutto nel 1810, la Spagna, come nazione,scomparve e fu solo la forza dei contadini,di alcune classi proto-proletarie e dei rap-presentanti illuminati delle classi mercanti-li, che combattero questo fatto. Le Cortesdi Cadice nel 1812, ubicate nell’ultima cittàlibera dal potere napoleonico e composteda rappresentanti popolari che non aveva-no alcuna legittimità democratica, svilup-parono quindi il doppio compito di difen-dere la nazione e di imposizione della nazio-ne contro le classi nobiliari. Idee senza azio-ne, le chiamò Marx, e furono il programmarivoluzionario borghese fino al 1868.

Durante questo periodo, la vita politicae sociale del paese si sviluppò come unalotta a morte contro il progetto rivoluziona-rio della borghesia e gli sforzi delle vecchieclassi dominanti per frenarlo. Ma questoscontro ebbe luogo in modi che non erano

Le crisi capitalistiche dell’Ottocentoe del Novecento

( Segue a pag. 7)

Senza andare troppo indietro nel tem-po, alle origini del capitalismo, e quindi alleorigini delle sue crisi – famosa la bolla deitulipani del 1637 (1) – basterà dare unosguardo alle grandi crisi capitalistiche del-l’Ottocento e del Novecento per compren-dere che il capitalismo, nel suo stesso co-stante sviluppo, non fa che confermare adogni crisi quanto sostenuto dal marxismofin dal Manifesto del 1848, ripreso da noicentinaia di volte: «Le forze produttive chesono a sua disposizione non servono più apromuovere la civiltà borghese e i rapportiborghesi di proprietà; anzi, sono divenutetroppo potenti per quei rapporti e ne ven-gono ostacolate, e appena superano que-sto ostacolo mettono in disordine tutta lasocietà borghese, mettono in pericolo l’esi-stenza della proprietà borghese. I rapportiborghesi sono divenuti troppo angusti perpoter contenere la ricchezza da essi stessiprodotta. Con quale mezzo la borghesiasupera le crisi? Da un lato, con la distruzio-ne coatta di una massa di forze produttive;dall’altro, con la conquista di nuovi mercatie con lo sfruttamento più intenso dei vec-chi. Dunque, con quali mezzi? Mediante lapreparazione di crisi più generali e più vio-lente e la diminuzione dei mezzi per preve-nire le crisi stesse».

Questi concetti vengono ripresi da Marxpiù volte nella sua opera maggiore, Il Capi-tale, come ad esempio nel Libro I: «L’enor-me capacità di espansione a grandi sbalzidel sistema di fabbrica, e la sua dipendenzadal mercato mondiale, hanno per effettonecessario una produzione febbrile e quin-di una congestione dei mercati, con la con-trazione dei quali subentra una paralisi. Lavita dell’industria si trasforma in una suc-cessione di periodi di vitalità media, pro-sperità, sovraproduzione, crisi e ristagno.L’insicurezza e l’instabilità, alle quali il si-stema di macchine condanna l’occupazio-ne e quindi le condizioni di esistenza del-l’operaio, diventano normali con questavariazione periodica del ciclo industriale.Tralasciando le fasi di prosperità, infuria trai capitalisti la lotta più violenta per la loroparte individuale di spazio sul mercato, parte

che è direttamente proporzionale al bassoprezzo del prodotto. Oltre alla rivalità, cosìscatenata nell’impiego di macchinario per-fezionato che sostituisce forza lavoro, e dinuovi metodi di produzione, interviene ognivolta un punto in cui si cerca affannosa-mente di ridurre il prezzo della merce me-diante forzata compressione del salario aldi sotto del valore della forza lavoro» (Li-bro I, cap. XIII, par. 7).

E ancora, sempre nel Capitale, Marxprecisa ulteriormente: «Si producono pe-riodicamente troppi mezzi di lavoro e troppimezzi di sussistenza per farli funzionarecome mezzi di sfruttamento degli operai aun certo tasso di profitto. Si producono trop-pe merci per poter realizzare e riconvertirein nuovo capitale il valore in esse contenu-to, e il plusvalore ivi incluso, nelle condi-zioni di distribuzione e di consumo date dallaproduzione capitalistica, cioè per compierequesto processo senza esplosioni costan-temente ricorrenti. Non si produce tropparicchezza. Ma si produce periodicamentetroppa ricchezza nelle sue forme capitalisti-che, antagonistiche» (Libro III, cap. XV, par.3).

Da questi brani non si può non dedurreche il destino della società borghese è se-gnato, e gli stessi borghesi, per quanto siarrampichino sugli specchi per trovare del-le soluzioni affinché le crisi economiche efinanziarie del capitalismo siano finalmentedomate, sono costretti ad ogni crisi a ripor-si il problema di quali strumenti adottareper far sì che la devastazione prodotta dallecrisi non si riproduca, ma devono ogni vol-ta ammettere che gli strumenti adottati nonrisolvono mai il problema. Allora comeuscirne? Continua il Manifesto, concluden-do il concetto sopra riportato: «Le armi cheson servite alla borghesia per atterrare ilfeudalesimo si rivolgono contro la borghe-sia stessa. Ma la borghesia non ha soltan-to fabbricato le armi che le porteranno lamorte; ha anche generato gli uomini cheimpugneranno quelle armi: gli operai mo-derni, i proletari» (2), che con la loro rivo-

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 20186

( da pag. 5 )

IN CONTINUITA' CON IL LAVORO GENERALE DI PARTITO,SI RIBADISCE L'INVARIANTE IMPOSTAZIONE TEORICA E PROGRAMMATICA

CHE IL PARTITO SI E' DATA FIN DALLESUE ORIGINI

( Segue a pag. 7 )

affatto evidenti, prima apertamente, poicome una lotta dinastica e, più tardi, comelotte civili-militari per concludere infinecome una lotta armata dopo la quale il peri-odo noto come la Restaurazione (1874) eratale solo in termini nominali.

In Spagna c’è stata una rivoluzione bor-ghese. E c’era nella misura in cui, per la for-tissima posta in gioco dei settori “liberali”della borghesia, sostenuta dal 1820 da unaaltrettanto forte mobilitazione popolare, siopponeva a un blocco controrivoluziona-rio che usava tutte le sue armi per non es-sere rovesciato. Ma, senza dubbio, lo fu.

Dal punto di vista politico, la storia delXIX secolo spagnolo è la storia di un pro-gressivo accomodamento del potere dete-nuto dalla nobiltà affinché la borghesiapotesse parteciparvi. Per ognuno dei movi-menti di quella presunta “rivoluzione bor-ghese fallita” (termini ricorrenti nei testi delBOC e dell’ICE), corrispondeva a una bat-tuta d’arresto delle classi dominanti, checedevano il terreno per evitare di essereespulsi da un potere la cui tenuta esigeva,a sua volta, un adattamento al cambiamen-to economico che lo sviluppo internazio-nale del capitalismo imponeva.

1.820-1823: Dopo 6 anni di restaurazio-ne assolutista dopo la Guerra di indipen-denza, il conflitto armato nelle colonie ame-ricane provocò il crollo della monarchia.Un esercito costellato di rappresentantidelle classi borghesi e contadine, insiemecon la mobilitazione della borghesia com-merciale delle città portuali, ripristina la Co-stituzione di Cadice e tutta la legislazionesussidiaria di questa: fine delle signorìecome forma giurisdizionale del potere laChiesa, risanamento delle finanze stataliattraverso politiche fiscali progressive,decentramento dell’apparato burocraticostatale. Forte agitazione popolare, graziealla quale appaiono i club politici e le so-cietà segrete che articolano il cosiddetto“partito fanatico” esplicito rappresentan-te della classe media urbana e difensore diun programma puramente democratico. Nelfrattempo, la parte più conservatrice dellaborghesia cerca formule di compromessocon la nobiltà. L’ordine assolutista si rista-bilisce solo attraverso l’intervento dellepotenze che firmarono il Patto di Vienna, laSanta Alleanza, con la Russia in testa e conla Francia, inviando di un esercito per re-staurare la monarchia assoluta.

1823-1839: la repressione assolutistaraggiunge soprattutto i settori fanatici, con-centrandosi sugli elementi borghesi a livel-lo locale e sui grandi leader militari a livellonazionale. Ma i problemi evidenziati dal-l’esperienza rivoluzionaria del precedentetriennio liberale costringono le classi nobi-liari a una transazione politica con la qualecercano una fusione con i grandi proprieta-ri agricoli. La borghesia commerciale e in-dustriale è ancora ai margini di questo ac-cordo, che porterà all’abolizione della leg-ge salica per consentire il regno di IsabellaII, regina dietro la quale si raggruppano isettori liberali. Inevitabilmente scoppia laguerra civile. Da un lato, lotta il partito gui-dato dai grandi proprietari terrieri, che ap-parivano come conseguenza della liquida-zione delle signorìe, una formula giuridicache li privava dei diritti politici sui comunima che inizia a dare loro tutte le loro terre,creando un importantissima concentrazio-ne della proprietà agraria come una massadi giornalieri espropriati, embrione del pro-letariato agricolo e urbano. Questo partitoraccoglie il sostegno sia delle classi po-polari borghesi e piccolo-borghesi, inte-ressate all’abolizione delle restrizioni sulcommercio e sulla proprietà, come dellegrandi corporazioni che limitavano lo svi-luppo dell’industria. Ottiene anche la neu-tralità della grande nobiltà, interessata amantenere il suo status quo nei terminisopra delineati.

D’altra parte, gli elementi della classenobile che sono stati influenzati dai cam-biamenti economici vedevano ridotto il loropotere. Il loro emblema è la restaurazionedinastica col principe Carlo (da qui il nomecarlismo) Insieme a loro, settori contadiniproprietari della terra e contadini legati allaterra in proprietà comunale (Catalogna,Navarra, Paesi Baschi) che vivono comeuna minaccia il fenomeno dell’espropriazio-ne della proprietà agraria e della sua con-centrazione. Questa reazione, tipicamente

feudale, non ha una base sociale al di fuoridi quelle regioni in cui il regime enfiteuticodella proprietà agraria (1) e il sistema di ter-re comunali hanno dato vita a un contadi-name benestante; una volta che gli eserciticarlisti cercano di superare la linea dell’Ebroverso sud, mostrano tutta la propria debo-lezza e vengono sconfitti. Il partito Cristino(da Maria Cristina, la madre di Isabella II eReggente di Spagna) da parte sua, inoltre,non ha una base sociale che permetta dicombattere la reazione feudale, che lo co-stringe invece a fare forti concessioni alleclassi subalterne che combattono sotto lasua bandiera. Questa guerra ha avuto con-notazioni rivoluzionarie, ma le forze del latoborghese non erano abbastanza grandi perimporsi definitivamente su quelle feudale;dovettero siglare un patto che salvò i privi-legi feudali dove questi corrispondevanodirettamente alle rimanenti relazioni socialipre-capitaliste e che non potevano essereestirpati direttamente. Pertanto, sono con-servati la tassazione speciale e il governofeudale per la regione di Navarra e i PaesiBaschi. In Catalogna, il rapido sviluppoeconomico che la guerra stessa ha favoritoha invece minimizzato l’impatto di questoaccordo. L’esercito fu innalzato al trono:Espartero, rappresentante della borghesiae dei proprietari terrieri, espulse la ReginaReggente e assunse direttamente la guidadello Stato. La disarticolata riforma agrariaha posto le basi per la nascita di una classesociale, quella dei grandi proprietari terrie-ri, che tuttavia non era abbastanza forte daprendere il potere con le proprie mani.

1839-1854. Il periodo della Reggenzadi Espartero e il successivo governo delGenerale Narváez costituiscono un perio-do di negoziati e patti tra le diverse classipossidenti. Mentre era ancora in piedil’edificio statale del 1823, il rapido emer-gere di una borghesia rurale, il consolida-mento della forma sociale mista della no-biltà terriera (mixata originalmente su basidi sangue e anche sulla proprietà privatanon feudale di vasti appezzamenti di terre-no, ma non per il suo contenuto che è giàcapitalista) e di un esercito che dirime iproblemi politici del paese, formando unasalvaguardia dell’ordine nazionale, tornala tensione sociale sul èiano delle lotte tracricche di potere (chiamate “famiglie”). Lecolonie americane sono state perse tranneCuba e Puerto Rico. Questa mancanza disostegno economico dell’Ancien Régimefece sì che la crisi della finanza pubblica sitrasformasse in crisi perenne, sboccandoin una nuova corrente alienante che liqui-da i beni comunali, consolida una classedi proprietari terrieri e apre la strada a in-vestimenti finanziari e industriali stranieri.A questo punto, si comincia a distinguereuna classe sociale che unisce proprietàagrarie e investimenti in titoli di Stato. E‘quello che divenne noto come l’oligarchialatifondista interessata a mantenere i go-verni dittatoriali sostenuti da unioni civili-militari che limitavano le libertà democrati-che (il suffragio, stampa, riunioni) per sop-primere le tendenze estremiste della pic-cola borghesia, che si manifestarono perla prima volta nel 1848 e come riflesso del-le convulsioni sociali dell’Europa.

1854-1868.Leforzesociali messeinmotodal lento ma inarrestabile smantellamentodell’Antico Regime sorsero con forza dovela concentrazione della prima industria die-de origine ai primi nuclei proletari. Il 1854ha dato origine alla spinta dei lavoratori allerichieste democratiche della piccola bor-ghesia urbana. Per la prima volta, la que-stione sociale è stata sollevata sotto formadi partecipazione dei lavoratori alle lottepolitiche (Marx). Ma questa lotta politica“democratica” non chiede più la liquidazio-ne dei rapporti di produzione pre-capitali-sta, che sono relegati a un ruolo seconda-rio praticamente in tutto il paese, ma puntaal culmine della rivoluzione borghese neisuoi aspetti puramente politici, che final-mente si raggiungono nel 1868. Con l’iniziodel Sessennio Rivoluzionario (1868-1874) laliquidazione della monarchia borbonica e,in breve, il trionfo della borghesia urbana eindustriale sull’oligarchia terriera, i terminidell’opposizione si chiarirono completa-mente : sulla base dei rapporti di produzio-ne capitalistici, la fusione della vecchia no-biltà con la nuova classe dei proprietari ter-rieri, cerca di imporre un regime politicoconservatore (che escludesse le altre clas-si sociali dalla partecipazione parlamenta-re, etc.) e protezionistico in economia, ap-poggiandosi anche alla produzione schia-

vistica a Cuba. Con questa politica si ripro-duce, ancora una volta, il fallimento dellefinanze pubbliche, che suppone una pres-sione straordinaria sui borghesi industrialie piccola borghesia urbana, ma anche for-za l’ingresso della capitale franco-britanni-co. D’altra parte, queste classi borghesi epiccolo-borghesi, con il forte sostegno deiprimi proletari urbani e rurali, cercano diportare fino in fondo la rivoluzione demo-cratica, liquidando i limiti alla partecipazio-ne politica e inserendo un modello econo-mico di libero mercato che favorisca il com-mercio non coloniale.

Questa lotta, che è già equivalente allalotta puramente borghese francese o tede-sca di venti anni prima, tra le diverse fazio-ni della stessa classe, tenderà allo sboccoin una nuova dittatura militare dopo l’in-surrezione cantonale del 1874. La base eco-nomica e sociale del repubblicanesimo nonera abbastanza forte da superare il cosid-detto “partito agrario”, mentre la situazio-ne internazionale derivante dalla sconfittadella Comune di Parigi ha permesso aglielementi conservatori che hanno guidatola rivoluzione del 1868 di cercare un’allean-za con questo “partito agrario “ e contro ilproletariato.

La rivoluzione borghese era finita. Larestaurazione borbonica consistette in unampio patto tra i settori che si erano affron-tati fino all’arrivo della Prima Repubblica(1873). Le classi industriali basche e cata-lane furono parzialmente escluse da que-sto patto. Lo scarso sviluppo economicospagnolo non ha impedito ai rapporti capi-talistici di produzione di dominare quasiesclusivamente e nemmeno, che la formastatale fossechiaramente borghese. Se que-sta forma di stato era controllata dalla bor-ghesia agraria con il sostegno della bor-ghesia schiavistica cubana, questo erasemplicemente la conseguenza di quelloscarso sviluppo di cui stavamo parlando.Dovremo aspettare per il 1898 e la sconfittadella Spagna di fronte alla potenza capitali-sta emergente, gli Stati Uniti, perché que-sta forma di Stato cominciasse a incrinarsi,ma lasciando inalterato il suo contenutopienamente borghese e cercasse un raffor-zamento nelle forze politiche ed economi-che della borghesia catalana.

Sostenerere, come fecero le forze se-dicenti di “sinistra” comunista, che nel1931 la rivoluzione democratica borgheseera ancora pendente in Spagna, è quindi oun adattamento iperformalistico di unarealtà equiparata al modello seguito inRussia o, come nel caso del BOC, una re-lazione dal carattere esclusivamente pic-colo borghese del partito. È vero che, nel1931, c’erano ancora alcuni aspetti propridella rivoluzione democratico-borghese darealizzare; come è vero che i compiti og-gettivamente imposti non sarebbero statiassunti dalla classe borghese. E, natural-mente, che il partito di classe del proleta-riato doveva tenerne conto. Ma senza di-menticare che la caratterizzazione politicae sociale della Spagna non era più quelladi un paese alla vigilia della sua doppiarivoluzione, ma quella di un paese arre-trato in termini capitalistici in cui si sareb-be svolta la battaglia principale tra il pro-letariato urbano e rurale e la classe domi-nante borghese. Questa distinzione nonsi basa su sottigliezze dottrinali, ma sulruolo che tanto la classe proletaria che ilsuo partito dovevano svolgere neglieventi convulsi degli anni ’30. La visionedell’ICE, come quella del BOC e successi-vamente quella del POUM, partendo dalloslogan della rivoluzione democratica, hasvolto un ruolo disorganizzante su tutti ipiani e dal quale ha avuto inizio la succes-siva deriva antifascista e governativa.

Ci sono due elementi che servirono dapilastro su cui appoggiare la teoria dellapendente rivoluzione democratica borghe-se: il problema nazionale e la questioneagraria. Il primo dei due, facendo riferimen-to alla posizione del partito sulle cosiddet-te questioni basca e catalana, è ben defini-to dagli articoli La questione delle nazio-nalità in Spagna (El programa comunista)e ora non scendiamo nei dettagli cui ap-portare qualche correzione ma che non pre-giudicherebbero l’essenziale. Basta quindidire che la ICE si è collocata in una posizio-ne del tutto astratta nella quale la “difesadel diritto di autodeterminazione” nascon-de il suo rifiuto di considerare la Spagnacome un paese borghese in cui il proleta-riato deve assumere compiti essenzialmen-te non democratici e, quindi, non aspettar-

si alcun aiuto da parte delle classi socialiesterne, che avevano già completamenteperso il loro carattere rivoluzionario. L’in-surrezione del 1934, con la proclamazionedella Repubblica catalana, mostrerà in chemisura la “oppressione nazionale” era unconcetto vuoto verso il quale il proletariatoha mostrato un disprezzo spontaneo formi-dabile. Da partedel BOC, l’affermazione cheil partito marxista dovesse essere un parti-to nazionalista (discorso Maurin, leader delBOC, presso l’Ateneo di Madrid nel 1932)è sufficiente a caratterizzare le posizioni chesi situavano sul terreno del repubblicane-simo borghese.

Una maggiore attenzione richiede, almomento, la questione agraria o, piuttosto,l’uso del predominio agrario nella strutturaeconomica spagnola come argomento perclassificare il paese come feudale.

Prendiamo, ancora, due citazioni, la pri-ma appartiene alle tesi della Seconda con-ferenza politica dell’OCE. La seconda è trat-ta da un altro articolo nella rivista teoricadel BOC:

Allo stesso tempo che si considera il“carattere semi-feudale della proprietàagraria” l’OCE afferma: “Il soggetto dellarivoluzione, il contadino, dato l’ambientein cui vive, incarna la tendenza individua-listica. Questa tendenza è accentuata nel-le regioni in cui la proprietà è più divisa.Ma c’è uno strato, il più numeroso (il brac-ciante salariato), che serve, in un certomodo, da contrappeso, sebbene più cheper la sua tendenza, per la sua condizionesociale. Nel campo soprattutto è dove sinota chiaramente come l’individuo sia unprodotto dell’ambiente. Alcuni tendono aconservare e altri a possedere, e in gene-rale il concetto di possesso è profonda-mente radicato in tutti, anche se la lorosituazione differisce a seconda delle cir-costanze, non nelle loro tendenze, ma nel-le loro azioni. È, quindi, un compito facileguadagnare al partito l’immenso stratodi salariati con una politica agraria giu-sta come condizione, naturalmente, che dàloro la sensazione che solo la rivoluzionecomunista possa fare la trasformazioneagraria che dà la terra a chi la lavora. Èun compito difficile, ma non impossibileda portare a termine con successo, anchequello di guadagnare l’ampio strato dipiccoli proprietari dando loro la certezzache la rivoluzione agraria comunista lilibererà dalle tasse, dagli affitti e dai ga-belli, e nella maggior parte dei casi au-menterà la superficie di terra che deve sfrut-tare. È inutile dire che gli altri strati, ilproprietario terriero e il contadino me-dio, ci interessano solo nella giusta pro-porzione del ruolo controrivoluzionarioche sono chiamati a svolgere.

Ora, come stabilire questa politica agra-ria giusta, quali dovrebbero essere le suelinee generali? Senza dubbio, se il contadi-no salariato sarà da incitare, in termini astrat-ti, a prepararsi a prendere possesso dellaterra, e gli diciamo, senza specificare nécondizionare il senso del possesso, che larivoluzione comunista darà la terra che glimanca, lo comvertiremo in una forza rivolu-zionaria espansiva di formidabile effettoimmediato, ma è indiscutibile che il giornodopo dovremmo entrare in lotta con lui, nelpreciso momento in cui inizieremo a fare iprimi passi verso la collettivizzazione dellecampagne. Il fattore rivoluzionario si sareb-be trasformato in fattore controrivoluzio-nario e, nei momenti più critici, sicuramen-te, della rivoluzione. La collettivizzazioneagraria, partendo dal principio fondamen-tale dell’industrializzazione della campagna,modificherebbe sostanzialmente il luogo e itermini di questo problema; ma questo, pre-visto in modo meditato nella nostra rivolu-zione, non ha importanza se non come pro-spettiva. L’urgente, il non rimandabile è unapolitica agraria,di carattere immediato, cheincorpori il contadino al piano del partito elo trasformi in una forza ausiliaria di prim’or-dine del proletariato.

“La Spagna ha bisogno di una rivo-luzione agraria, come quella della Fran-cia della fine del XVIII secolo, come quel-la della Russia all’inizio del secolo at-tuale, che la scuoti su tutti e quattro ilati, rimuovendo tutto e non lasciandopietra su pietra. Basta privilegi, bastalatifondi, basta mezzadria, basta rabas-sa morta! [formula giuridica con cui si con-cede l’usufrutto della terra al produttoredi vino durante la vita di una vite, circaottanta anni, in cambio di una parte delprodotto sotto forma di reddito agrario per

il proprietario di detta terra, tipico dellaCatalognaNDR] Tutte questi sopravviven-ze feudali devono essere brutalmente estir-pate dall’aratro della Rivoluzione agra-ria. La terra per chi lo lavora! Cioè, na-zionalizzazione della terra e usufruttogratuito per coloro che lavorano [...]”.

Controlliamo, ancora una volta, l’equi-parazione pratica di entrambe le posizioni.Quella della corrente trotskista si concen-trava, sempre, nei termini dell’estrapolazio-ne della doppia rivoluzione in Russia. IlBOC, pieno di concetti confusi e sbagliati.Ma in entrambi la stessa idea: la rivoluzio-ne democratica, che ha sempre una compo-nente di mobilitazione contadina fondamen-tale; in Spagna, quindi, il problema agrario,per loro, si pone puramente in termini bor-ghesi, essendo indispensabile rispettarel’esigenza dei contadini nella distribuzionedella terra, la sua parcellizzazione o munici-palizzazione. Anche se è evidente la pro-fonda ignoranza mostrata dalla posizionedel BOC sul carattere delle passate rivolu-zioni borghesi riguardo la campagna, il tonodi fondo non è alterato: limiti borghesi allarivoluzione agraria, e quindi il proletariatoagricolo considerato come appendice delpiccolo proprietario e le critiche della Re-pubblica per non essere in grado di portarea termine questo programma.

È necessario, ancora una volta, indica-re i limiti di questa concezione in cui l’ar-gomento della Spagna feudale costituisceun fattore decisivo di smobilitazione e didivisione tra il proletariato agricolo e quel-lo industriale.

La caratteristica essenziale della campa-gna spagnola, visibile ancor’oggi, è la gran-de differenza che esiste tra i sistemi di pro-prietà in ciascuna delle regioni del paese. Legrandi proprietà latifondiste che coprono learee di Andalusia, Estremadura e La Man-cha, contrastano con l’estensione del mini-fondo galiziano, cantabrico, asturiano e ba-sco; che, a loro volta, differiscono notevol-mente dalla piccola proprietà castigliana,catalana e valenciana sia per le dimensionidella proprietà che per i diversi tipi di pro-dotti e le formule di proprietà terriera.

Fino al 1812 tutte queste caratteristichecoesistevano senza essere decisive sottoun sistema di proprietà non proprio feudalema assimilabile a questo modello: la terraera di proprietà individuale, coltivata daunità familiari caratteristiche della societàpre-borghese con un grande peso di pro-prietà comunale La nobiltà aveva la propriaterra che coltivavano anche piccole unitàfamiliari contadine e, soprattutto, con dirittigiurisdizionali sul complesso di comuni incui si sviluppava la vita contadina (Marx)del 1812 che portò all’abolizione di questoregime signorile dal punto di vista dei privi-legi politici: sia i diritti giurisdizionali chequelli economici, emanati dai primi (decime,ecc.) furono soppressi dai tribunali di Cadi-ce, lasciando ai comuni l’obbligo di discer-nere in tribunale se la proprietà nobiliare dila terra era tale o se esistevano semplice-mente diritti ematti sul suo prodotto dal do-minio politico.

Così, la signorìa giurisdizionale (aboli-ta) fu separata dalla signorìa sulla terra (tra-sformata in diritto di proprietà sulla terrada regolare tra contadini e nobili). La con-seguenza fu che, dove c’era un sistema dipiccole proprietà contadine che dovevanorendere tributi alla nobiltà, questa proprie-tà era libera da ogni restrizione; dove inve-ce predominava il regime della mezzadria(la Catalogna, per esempio), il contadinoera legato al proprietario mediante il paga-mento di una rendita stabilita per contrat-to. Infine, dove c’erano vasti possedimen-ti di dubbia proprietà, la proprietà passòinteramente nelle mani della nobiltà e il con-tadiname ne fu espropriato. Tre tipi di evo-luzione che daranno origine a tre tipi so-ciali: il piccolo proprietario contadino, ilpiccolo inquilino contadino e il proletariodel campo (il bracciante). L’ultimo è unaforma tipicamente capitalista, con grandeconcentrazione della proprietà e in essogoverna la relazione salariale. La sussisten-za di alcune norme feudali in alcune areedel paese costituirà quindi un problemaminore di quello posto dall’emergere di unavasta classe proletaria che è stata privatadella terra e dei mezzi di produzione.

C’era, dunque, un campo semi-feudalein Spagna? No. La rivoluzione borgheseha dato origine proprio all’esproprio deicontadini che, per la maggior parte, hannoingrossato le fila del proletariato agricolo e

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 7

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urbano. Se la produttività della società agri-cola media in Spagna era molto bassa o sei piccoli proprietari erano affetti da pro-blemi fiscali o finanziari, a questo non sipuò opporre, come soluzione, a una distri-buzione della terra (sintetizzata nella for-mula repubblicana della Riforma Agraria).L’idea che una più equa distribuzione del-la proprietà terriera avrebbe risolto il pro-blema agrario, che era il problema dellosviluppo del capitalismo nelle campagne,presuppone una concezione romanticapiccolo-borghese dietro la quale non sipuò nascondere un programma marxista.E, ovviamente, questa “soluzione” nonpoteva essere considerata come una esi-genza della transizione verso il socialismoperché era il capitalismo stesso che lo ave-va di fatto già superato.

L’ICE, il BOC e, più tardi, il POUM siallinearono, con sfumature diverse ma fer-mamente, dietro un’esigenza retrograda. Èlo stesso BOC che fornisce queste cifre perla popolazione attiva nella campagna:

Contadini (piccoli proprietari):occupati 2.000.000Operai agricoli: occupati 2.500.000.

A ciò si aggiunga che la popolazioneattiva della Spagna era allora di 7.038.000lavoratori. Di questi 1.700.000 costituivanola popolazione lavorativa urbana. Quindi,abbiamo il 50% di proletari puri tra campa-gna e città, il che rappresenta una percen-tuale molto alta che mostra quello che era ilvero conflitto di classe nel 1931.

Le agitazioni, chiamate “contadine”,che colpiscono la Spagna dal 1931 e origi-nate in parte dalla disoccupazione dei la-voratori del campo e, in parte, dalla più for-te pressione dei grandi proprietari terrierisui mezzadri, mostrano un’effervescenzasociale di grande importanza. Di fronte aquesti fatti, che spingono i villaggi proleta-ri di campagna nel sud della Spagna a ridi-ventare dei veri baluardi della lotta di clas-se, la risposta del BOC e successivamentedel POUM, è stata quella di creare una “al-leanza operaia e contadina”, vale a dire, vin-colare il proletariato agricolo puro alle esi-genze del “contadino” (piccolo e medioproprietario) a parità di condizioni. Di persé il “partito operaio e contadino” suppo-ne un rifiuto frontale della dottrina marxistache, senza negare la necessità per il prole-tariato della campagna e della città di neu-tralizzare la forza potenzialmente controri-voluzionaria del piccolo contadino proprie-tario attraverso la propaganda che lo sepa-ra dall’influenza dei grandi proprietari ter-rieri, afferma sempre che in ogni momento ilproletariato esiste come classe quando esi-ste il proprio partito, indipendente dal re-sto delle classi e dalla loro influenza politi-ca. Ma questo, inoltre, in un paese dove,sia dal punto di vista della mera statisticasociale come da quello più importante dellalotta politica, esiste una classe proletariacon una lunga tradizione di lotta anti-pa-

dronale (e non anti-signorìa, come è acca-duto sotto il feudalesimo) porta il proleta-riato, mani e piedi legati, sotto il dominiodella borghesia e delle correnti politiche re-pubblicane.

Il fallimento dell’anarchismo insurrezio-nale dopo le rivolte contadine del 1932 e del1933 fu il canto del cigno di una classe pro-letaria rurale che il BOC e l’ICE abbandona-rono anche nei più piccoli termini organiz-zativi. Nel 1936 l’offensiva militare liquidòquesto settore della classe proletaria, get-tando le basi per la successiva sconfitta delproletariato urbano.

3.Abbiamo sottolineato l’assenza di una

base teorica e dottrinale che giustifichi lapossibilità di parlare di una Sinistra Comu-nista Spagnola. Lo abbiamo dimostrato sot-tolineando i punti fondamentali di questaassenza, cioè la sua concezione dei compitidel partito di classe nella Spagna degli anni’30 come essenzialmente democratica e ilsuo rifiuto di riconoscere il vero conflittotra il proletariato e la borghesia che esiste-va nelle campagne spagnole, fatto diprim’ordine in un paese in cui il 40% dellaforza lavoro era impegnato in attività agri-cole. Nessuna possibilità del PCE e dell’IC,quindi, di rappresentare una rottura solidacon lo stalinismo e, di conseguenza, la pos-sibilità di intervenire in senso marxista neiconfronti della classe proletaria. Dunque,su entrambe le questioni abbiamo: il cate-gorico rifiuto di considerare i problemi dellarivoluzione spagnola come una questionedi ordine internazionale e, di conseguenza,la giustificazione delle loro deviazioni comeesigenze della specificità spagnola. La vocedi Trotsky era completamente sommersaperché in esse risuonavano, appunto, gliechi di un’impostazione internazionalista.

In questo lavoro ci limitiamo a sottoli-neare i “vizi d’origine” che condizionaronol’emergere di una corrente di “sinistra” co-munista in una classe proletaria che nonandò mai oltre i limiti del tradeunionsimo. Ilcorso degli eventi storici mostra come l’ori-gine di tutti gli “errori” del POUM (parteci-pazione al governo della Generalitat, resadurante le Giornate di Maggio del 1937) vacercata precisamente nel totale e assolutodisarmo teorico-politico delle correnti chelo costituirono.

Nel 1935 il POUM fu costituito dalla fu-sione dell’ICE e del BOC. Dietro a questafusione c’è l’abbandono da parte dell’ICEdell’influenza trotskista riguardo la difesaintransigente dei principi marxisti di base,ma il posizionamento politico, tattico e or-ganizzativo è stato condizionato dai gravierrori dell’ICE dal suo III Congresso Inter-nazionale. Perché tale fusione avesse suc-cesso, cioè perché l’abbandono delle ulti-me tracce del marxismo dell’ICE fosse com-pletato e si attuasse la sua capitolazione alrepubblicanesimo radicale del POUM, do-veva emergere l’idea di realizzare una certainfluenza tra settori del movimento operaioche abbandonavano l’influenza anarchica.Questa idea è apparsa con gli eventi del-l’ottobre 1934.

Per riassumere brevemente il ruolo delBOC e dell’ICE, prima e dopo questi even-ti: nel 1933 si creò l’Alleanza Operaia, unapiattaforma d’azione comune del PSOE, delBOC, dell’ICE, della USC (Unione Sociali-sta Catalana, corrente piccolo borghesecatalana ), i piccoli coltivatori [rabassaires](piccoli proprietari agricoli) e i sindacati diopposizione espulsi dalla CNT perché con-trastavano il dominio che la FAI esercitavasu di esso. Il contesto di questa piattafor-ma coincide, da un lato, con il declino dellalotta di classe del proletariato, ormai sfian-cato nelle città e praticamente arresosi nel-le campagne, dopo aver seguito per dueanni la politica insurrezionalista della FAI,e, dall’altro lato, con l’auge delle formazio-ni di estrema destra che combattevano instrada contro i movimenti di sciopero. Que-sta alleanza non ha avuto il sostegno dellaCNT se non nelle soleAsturie, dove la pre-dominanza storica tra i minatori del PSOE-UGT lo rendeva inevitabile.

Nel 1934, la salita al governo del partitomonarchico CEDA, fa sì che il PSOE dial’ordine dell’insurrezione, con l’obiettivodi tornare alla situazione del 1932, con ilPSOE al potere, e ripristinare la legalità re-pubblicana. Il proletariato asturiano pren-de le armi e, per quindici giorni, si opponeal governo repubblicano, ma alla fine vienesconfitto dall’intervento dell’esercito. InCatalogna la CNT non sostiene la convo-cazione, i partiti piccolo-borghesi dirigonoil movimento verso la proclamazione dellaRepubblica catalana, mentre arrestano iproletari più conosciuti per la loro militan-za sindacale. Due colpi di cannone del-l’esercito sono stati sufficienti perché ilsedicente “Govern Catalá” si arrendesse.In entrambe le regioni (così come in altreregioni dove i proletari insorsero) la repres-sione fu feroce, l’Alleanza si mostrò inca-pace di fare qualcosa di diverso dal disper-dere le energie del proletariato mettendoleal servizio dei partiti repubblicani. Ma laconclusione del BOC e dell’ICE è chel’esperienza è stata soddisfacente e che èpossibile raggrupparsi politicamente sullesue basi.

Nel 1935 nasce quindi il POUM.

Ad eccezione della gloriosa insurrezio-ne delle Asturie, il proletariato spagnolonon ha compreso la necessità della con-quista del potere. Laddove il Partito socia-lista godeva di maggiore influenza, la clas-se operaia non ha ricevuto gli insegnamentisecondo cui il partito rivoluzionario delproletariato ha l’obbligo di infiltrarsi nellacoscienza delle masse popolari. Gli anar-chici non appoggiavano il movimento acausa del suo “carattere politico” e perchénon facevano distinzione tra Gil Robles,Azaña e Largo Caballero. Pertanto è statonecessario un partito che, interpretando ilegittimi interessi della classe operaia, sisforzasse di costituire preventivamentedegli organismi del fronte unco allo scopodi conquistare attraverso le Alleanze Ope-raie, la maggior parte della popolazione.All’esercito rivoluzionario mancava unostato maggiore con capi capaci, eruditi ed

esperti.SENZA PARTITO RIVOLUZIONA-RIO,NONC’ÈRIVOLUZIONETRIONFAN-TE. Questa è l’unica vera causa della scon-fitta dell’insurrezione di ottobre. Questo fal-limento non è da attribuire al tradimentodegli anarchici, sui quali non si poteva con-tare, né alla defezione dei contadini, mala-mente contattati dalla propaganda, né al tra-dimento evidente dei nazionalisti baschi ecatalani, timorosi della piega che prende-vano gli eventi che superavano le loro aspet-tative democratiche. Il partito rivoluziona-rio della classe operaia ha l’obbligo di pre-vedere queste contingenze, al fine di agire,come è necessario, prima e dopo della loroattuazione.

Nonostante tutto, questo fallimentonon significa che il movimento operaio siastato liquidato. La classe operaia è statavinta, ma non eliminata, con la particolari-tà che il movimento è rimasto intatto nellamaggior parte delle popolazioni spagnole,perché la classe operaia è rimasta di riser-va senza esaurirsi. Il proletariato spagno-lo si è arricchito di un’esperienza in più,che, se analizzata in tutti i suoi aspetti inmodo critico e senza cercare di giustificareatteggiamenti fallimentari, tornerà con pro-fitto alla causa rivoluzionaria, così comedimostrerà il fallimento di due ideologie chehanno le stesse radici economiche: il rifor-mismo e lo stalinismo, come ideologie del-la piccola borghesia burocratica.

Andrés Nin, Le lezioni dell’insurrezio-ne di ottobre (La Estrella Roja 1/12/1934)

Questo è il bilancio che l’ICE ha trattodagli eventi dell’ottobre asturiano. È perfet-tamente coerente con le posizioni che ab-biamo esposto in precedenza:

A. La questione politica e programma-tica che è al centro dell’esistenza stessadel partito di classe, è trattata solo comeun problema formale: il partito era assente.Ma, abbiamo visto, il partito non mancavanei termini meccanicistici coi quali parlal’articolo. Mancava perché mancava unadottrina, un programma, una lotta politicamarxista, una tattica e un’organizzazioneche non sono inventate da “capi capaci,eruditi ed esperti”.

Mancava il partito nella misura in cui nonmancava la volontà, ma una forza storica,quella del proletariato costituito in classe,che non può essere creata dal giorno allanotte e che non è semplicemente un riflessodell’agitazione operaia. Mancò il partito ingran parte perché la sedicente sinistra spa-gnola non svolse il compito – ma non pote-va nemmeno svolgerlo – di criticare fra i pro-letari le posizioni del PSOE e delle correntipiccolo-borghesi che si trovano nel movi-mento, come in precedenza mancava la criti-ca delle posizioni repubblicane e democrati-che, lasciate a parte nel tentativo di conqui-stare adepti presentandosi come un partito“adeguato alle circostanze”.

B. La concezione democratico-borghe-se o democratico-socialista dei compiti delpartito di classe, alla quale si aggiunse l’as-sunzione di posizioni antifasciste che equi-

paravano il “fascismo” spagnolo alla “rea-zione feudale”, ha portato a prospettare l’al-leanza con la borghesia e la piccola bor-ghesia in un fronte unico. La diserzione dientrambe le classi sociali dallo scontro vaintesa come un “tradimento” degli obblighiche questa rivoluzione borghese, tanto at-tesa, imponeva. Il partito dovrebbe soloprevedere questa diserzione “per agirecome è necessario”.

Perché, storicamente, dice Nin, fu ob-bligato a fare questa alleanza.

C. La lotta “antifeudale” dei proletariagricoli si evidenzia nell’affermare che la“cattiva propaganda”, secondo Nin, li haportati all’indifferenza. Non si trattò dimancanza di propaganda, ma di una pro-paganda sbagliata che legò sempre le esi-genze immediate e finali del proletariatorurale ad obiettivi superati dall’azione del-la stessa classe borghese. Mentre i prole-tari agricoli scioperavano, ICE e BOC or-ganizzavano i piccoli proprietari catalaniinsieme al proletariato urbano, mettendole loro richieste sullo stesso piano e la-sciando al loro destino i lavoratori del suddella penisola (numericamente la massapiù importante del paese).

D. Il proletariato non trasse “una lezio-ne” dall’Ottobre asturiano e catalano. Soloun anno dopo si vedranno il PSOE e i partitirepubblicani firmare il patto del Fronte Po-polare e le cosiddette organizzazioni di clas-se, fra le quali il POUM, correre alla portadel Fronte Popolare. Nel 1936, dopo l’arre-sto del colpo di stato, i proletari si diresse-ro alle loro organizzazioni politiche e sinda-cali e ottennero da queste le vere lezioniche queste avevano tratto nel mese di otto-bre: †inchinarsi davanti al governo bor-ghese del Fronte Popolare, partecipare alleistituzioni locali di questo governo, difen-dere la Repubblica che ha massacrato i pro-letari delleAsturie.

Il 1934 non fu solo il punto che segnòla sconfitta della classe proletaria, nella mi-sura in cui lo pose alla coda dei partiti re-pubblicani e antifascisti. Il 1934 fu anchela fine delle illusioni di una presunta rea-zione della sinistra “spagnola” contro lostalinismo. Dopo l’ottobre, l’appello all’“unità” riguardava sia i proletari che la clas-se borghese in nome della difesa della Re-pubblica, dell’ICE e del BOC, che abban-donarono ogni velleità di sinistra per for-mare un nuovo partito al quale pretende-vano di unire, al principio, il PSOE e il PCE,per poi aderire al Fronte popolare, al go-verno della Generalitat e al governo diMadrid quando quest’ultimo diede l’ordi-ne di disarmare i proletari.

(1) Enfitèutico, da enfitèusi: diritto realesu un fondo altrui, in base al quale il titolare(enfitèuta) gode del dominio utile sul fon-do stesso, obbligandosi però a migliorarloe a pagare al proprietario un canone annuoin denaro o in derrate.

(dapag.5)Le crisi capitalistiche dell’Ottocento

e del Novecento

( Segue a pag. 8 )

luzione atterreranno finalmente il capitali-smo, aprendo il cammino storico al supera-mento definitivo di ogni società divisa inclassi.

Le crisi periodichedel capitalismo– scri-vevamo, ad esempio, nel rapporto alla riu-nione generale di partito del maggio 1975(3) – non sono dunque “accidentali” nellavita del capitale: le sono inerenti e neces-sarie come la respirazione alla vita dell’uo-mo. Esse mandano regolarmente in fumotutti i vantaggi che il capitale pretendeva di“garantire” alla classe operaia nei periodidi espansione: fanno dell’incertezza e del-l’instabilità la situazione normale della clas-se operaia e ne aggravano periodicamentele condizioni di vita perché si concludonosempre nell’invio sul lastrico di una partedei proletari e nella riduzione del salario peril loro insieme. Questi semplici brani di Marxvibrano solenni ceffoni a tutti gli opportu-nisti, i quali vorrebbero fra credere che ilcapitale ed il suo Stato possano “garanti-re” alcunché alla classe lavoratrice o chesia interesse di quest’ultima “difenderel’economia nazionale” o “l’azienda”, men-tre le economie nazionali e le aziende si di-fendono proprio a colpi di licenziamenti ebassi salari.

Le crisi capitalistiche dell’Ot-tocento

Il XX secolo, dopo che già per ben 13volte la crisi del sistema capitalistico avevaaccompagnato il suo sviluppo nel secoloXIX, si aprì con la crisi del 1907 (nota comePanico del 1907), crisi che è stata prece-duta da una fitta serie di crisi, in particolare

negli Stati Uniti, di cui può essere utile fareun breve quadro.

1857 (bolla speculativa delle impreseferroviarie statunitensi); 1866 (bancarottadella banca britannica Overend, Gurney andCompany); 1873 (inizio della grande depres-sione del XIX secolo, iniziata con la crisidella borsa di Vienna, rimbalzata negli StatiUniti col fallimento della grande bancanewyorkese Jay Cooke & Company e poidiffusasi in Gran Bretagna, Francia e Ger-mania); 1884 (siamo nel periodo della de-pressione 1882-1885, quando in Europa era-no esaurite le riserve d’oro e il Dipartimen-to del tesoro degli Stati Uniti bloccò gli in-vestimenti in tutto il paese, mandando infallimento importanti società di investimen-to e moltissime aziende); 1890 (crisi econo-mica e finanziaria che ha colpito l’Argenti-na, dovuta ad un eccesso di credito irresti-tuibile che mandò in crisi il Banco Nacionale la filiale argentina della Barings Bank col-legata alla Banca d’Inghilterra); 1893 (negliStati Uniti, 500 banche chiuse, 15.000 im-prese fallite, disoccupazione al 25% in Pen-

nsylvania, al 35% a New York, al 43% nelMichigan e, in contemporanea crollo delprezzo del grano causato dalla crisi argen-tina del 1890); 1893 (crisi bancaria in Au-stralia dove nei due/tre anni precedenti af-fluirono montagne di capitali, soprattuttodall’estero, attratte da interessi e profittistrabilianti, tanto che questa esuberanzadi capitale disponibile produsse un movi-mento generale di speculazione bancaria,mineraria e soprattutto fondiaria).

In tutti i trattati di economia si rilevache il capitalismo, verso gli ultimi decennidell’Ottocento, in particolare negli StatiUniti che, all’epoca, insieme alla Germania,stavano entrando nel mercato internazio-nale con capacità produttive mai riscontra-te prima, si infilò in un periodo di crisi par-ticolarmente lunga a cui venne dato il nomedi Grande Depressione, cioè del periodoche va dal 1873 al 1896. Si trattò in effetti diuna crisi le cui conseguenze modificaronogli equilibri precedenti: nel decennio 1870-1880 il predominio economico inglese, ba-sato sul cosiddetto “imperialismo del libe-

ro commercio”, finisce e, nello stesso tem-po, come detto poco sopra, Stati Uniti eGermania, grazie all’aumentata capacità pro-duttiva, invadono i mercati esteri con le pro-prie merci, aumentando considerevolmentela concorrenza con le potenze capitalistichepiù vecchie, Gran Bretagna e Francia, men-tre nel mercato cominciavano a pesare an-che altri paesi, ad industrializzazione più len-ta ma significativa, come l’Italia, la Russia eil Giappone. L’aumento della produttivitàindustriale lo si deve al concentrarsi, in unbreve periodo, di innovazioni e scoperte tec-nologiche fondamentali per l’economia;dopo il 1870 si è sviluppata l’età dell’accia-io, dell’elettricità, del petrolio, della chimica,settori che richiedevano alta intensità tec-nologia e cospicui capitali, e il cui sviluppopoggiava su una produzione costante e dimassa scientificamente organizzata per ot-tenere il massimo risultato di produttività aicosti minimi. Ma tale sviluppo industrialerichiedeva un fabbisogno sempre crescen-te di capitale che non poteva essere soddi-sfatto se non attraverso il finanziamentobancario diretto o il ricorso alla borsa che èil luogo in cui si contrattano i titoli, privati opubblici che siano. Le aziende tendono cosìa concentrarsi, a diventare società per azio-ni, azioni che vengono vendute in borsa perfinanziare le imprese; aumenta inevitabilmen-te il peso del capitale finanziario controllatodalle banche che, a loro volta, imposses-sandosi dei pacchetti azionari di maggioran-za, determinano il successo o l’insuccesso

delle imprese. Il capitale finanziario prendecosì sempre più il predominio sul capitaleindustriale, agricolo e commerciale, e talecapitale finanziario, essendo meno sotto-posto ai tempi obbligati della produzioneindustriale o agricola, richiedendo più ve-locità di circolazione e, quindi, di valorizza-zione, si predispone a passare con velocitàcrescente da un settore di investimento adun altro, da un paese all’altro, da una borsaall’altra, da una speculazione all’altra, au-mentando in questo modo i fattori di rischioe di crisi; insieme alla sovraproduzione dimerci si assiste così ad una sovraproduzio-ne di capitali. Il mondo borghese, costrettonelle maglie del capitalismo e delle sue leg-gi, mentre progredisce tecnologicamente escientificamente in un settore, produce nel-lo stesso tempo fattori di crisi a tutti i livelli– industriale, agricolo, commerciale, valu-tario, finanziario, sociale – che non sonoaltro che crisi di sovraproduzione nelle quali«la società si trova all’improvviso ricondot-ta a uno stato di momentanea barbarie –come si legge nel Manifesto del 1848! (4) –; sembra che una carestia, una guerra gene-rale di sterminio le abbiano tagliato tutti imezzi di sussistenza; l’industria, il commer-cio sembrano distrutti. E perché? Perché lasocietà possiede troppa civiltà, troppi mez-zi di sussitenza, troppa industria, troppocommercio»: troppa civiltà, troppi mezzi disussitenza, troppa industria, troppo com-mercio per un mercato mondiale che nonriesce ad assorbire, ai prezzi che garanti-scano un tasso medio di profitto ai capitali-sti, tutte le merci e tutti i capitali che il capi-talismo produce. Il problema non sta nelprogresso tecnologico e scientifico, sta nel

(1 ) La bolla dei tulipani nel 1637 fu laprima grande crisi finanziaria innescata dal-l’utilizzo di strumenti finanziari con finalitàspeculative e coinvolse tutto il sistema eco-nomico europeo di quei tempi. All’epoca siar rivò a considerare il bulbo del tulipanocome un solido investimento, in quanto rap-presentava un “concentrato di fiori futuri”;venne quindi utilizzato come un’embrionalefo rma d i “ fu ture” sul t ulipano . Vedi

www.consob. i t /web/ investo r-educat ion/la-bolla-dei-tulipani.

(2 ) Cfr. Marx-Engels, Manifesto del par-tito comunista, I. Borghesi e proletari, GiulioEinaudi Editore, Torino 1962, p. 108.

(3 ) Cfr. Corso dell’imperialismo e crisi ,Riunione Generale del 17-18 maggio 1975,in “i l programma comunista” n. 16/1975.

(4 ) Marx-Engels , Manifesto , citato, pp.10 7-10 8 .

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 20188

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Vecchie pubblicazioni di partitodisponibili del sito

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- Il programma comunista (1952-1983)- Prometeo (1946-1952)- Travail de groupe (1956-197)- Der Faden de Zeit (anni 1960)- Internationale Revolution (1969-1970)- El comunista (1974-1983)- Kommunistisches Programm (1974-1981)- Suppl. Suisse à le prolétaire (1974-2001)- Communist Program (1975-1981)- Proletarier (1978-1982)- El proletario (América Latina) (1978-1982)- El Oumami (1978-1982)

- Hefte zur Kritik der Politischen Ökonomie(1978-1979)

- Proletário (Brazil) (1981-1982)- Enternasyonalist Proleter (turco) (1981-1983)

fatto che questo progresso è costretto nel-le maglie delle leggi economiche e politichedel capitalismo.

Dal 1873 al 1896, dicevamo, si sviluppa-no in pratica tre fasi di recessione econo-mica derivanti da quel fenomeno cheil marxi-smo aveva già individuato, e che la stessaborghesia dovrà ammettere, chiamato crisidi sovraproduzione. 1873-79, 1882-1884,1890-1896, sono tre periodi, a breve distan-za uno dall’altro, in cui si verificarono incontemporanea sia una crisi industriale cheuna crisi agricola. Crisi industriale: deter-minata da un enorme aumento della capaci-tà produttiva e un mercato che non riescead assorbire la quantità di merci prodotte;quindi, ad un eccesso di produzione corri-sponde un forte squilibrio tra l’offerta e ladomanda, provocando un abbattimento deiprezzi, un calo dei profitti delle grandi indu-strie, fallimenti in serie e aumento della di-soccupazione nei maggiori paesi industria-lizzati. Crisi agricola: la elevata produttivitàagricola non solo nei paesi di vecchio capi-talismo, ma soprattutto nei paesi a capitali-smo più giovane (Stati Uniti, Argentina,Australia, Nuova Zelanda), e il miglioramen-to dei trasporti navali e ferroviari, fannoaffluire sul mercato europeo ingenti quan-tità di cereali a basso costo; si assiste per-ciò ad un forte calo dei profitti dei prodotticerealicoli europei, a insistenti richieste diintervento statale in economia e a protezio-ne dei mercati interni e, quindi, alla fine delliberoscambismo e all’inizio di un marcatoprotezionismo da parte della maggioranzadei paesi europei. Queste crisi, per conse-guenza, provocano un gigantesco flussomigratorio dai paesi europei verso i paesid’oltreoceano (soprattutto Stati Uniti, Ca-nada, Argentina, Brasile). Le crisi, ovvia-mente, non toccano soltanto le merci e icapitali, ma anche le classi meno abbienti eproletarie che, spinte dalla necessità di so-pravvivere, sono costrette a spostarsi ver-so i paesi in cui, all’epoca, appariva più pro-babile soddisfare quelle necessità. D’altron-de, è esattamente quello che succede daglianni ’80 del Novecento in poi ad intere po-polazioni africane e asiatiche che, perdipiù,non cercano soltanto di fuggire dalla famema, molto più spesso, dalle guerre e dalleloro devastazioni.

Le crisi capitalistichedel Novecento

e la Grande Depressione

Dal 1896 al 1906 si assiste ad un perio-do di generale ripresa economica, grazie allaquale i diversi Stati stabiliscono una seriedi accordi con i quali tentavano di control-lare lo sviluppo del capitalismo per noncadere più nelle crisi conosciute nel secoloXIX. Ma la crisi del 1907 porta nuovamentein evidenza le sempre più forti contraddi-zioni del sistema economico capitalistico.

La crisi finanziaria del 1907 negli StatiUniti, conosciuta anche come Panico deibanchieri del 1907, scoppia all’interno diun periodo di recessione economica tra ilmaggio 1907 e il giugno 1908 in cui la lungacontrazione economica presentava un -11%per la produzione, un -26% nelle importa-zioni, mentre la disoccupazione saliva dal3%all’8% eperfino l’immigrazione, che rap-presentava un vantaggio per un’economiaaffamata di braccia da sfruttare, scese a750.000 persone nel 1909 rispetto al milionee 200 mila del 1907. Nell’ottobre del 1907fallisce un tentativo di manipolazione delprezzo della azioni della United CopperCompany; le banche che avevano prestatoil denaro per la speculazione subirono unavera e propria corsa agli sportelli da partedei correntisti, corsa che si diffuse ad altrebanche e società fiduciarie affiliate, portan-do in una sola settimana al collasso la terzafiduciaria di New York per dimensione, laKnickerbocker Trust Company. Il panico sidiffuse rapidamente in tutta la nazione, mal’intervento del finanziere J.P. Morgan (giàintervenuto in soccorso del Dipartimentodel Tesoro durante la crisi del 1893), cheimpegnò grandi somme di sua personaleproprietà e convinse altri banchieri a fare lostesso, riuscì a salvare il sistema banca-rio. Non esisteva ancora una banca cen-trale in America, ma l’anno dopo, sotto lapresidenza di Roosevelt, fu istituita e preseil nome di Federal Reserve.

Nel 1910, una serie di operazioni specu-lative nel mercato azionario di Shanghai lomandarono in crisi. Queste speculazioni ri-guardavano le azioni della gomma. L’indu-stria automobilistica mondiale stava cre-scendo, e i due paesi che primeggiavanonell’esportazione della gomma, gli Stati Uniti(57 milioni di $ nel 1908, 70 milioni di $ nel1909)e laGranBretagna (840mila £nel1908,1,41 mln di £ nel 1909), stimolarono i prezzidella gomma. La grande richiesta di gommaper le industrie automobilistiche sollecitògli speculatori di borsa, e così anche il mer-

Le crisi capitalistiche dell’Ottocentoe del Novecento

cato azionario di Shanghai relativo alle ri-serve di gomma fu investito da questo ven-to di facili guadagni e le banche comincia-rono a prestare capitali per acquisirne i tito-li. Ma a metà anno gli Stati Uniti adottaronouna politica di blocco del consumo di gom-ma, a giugno il prezzo della gomma calò dra-sticamente sul mercato internazionale facen-do fallire, a luglio, tre banche cinesi. All’ini-zio del 1910 a Shanghai c’erano 91 banchecinesi; questa crisi finanziaria ne fece fallire48; nell’importante provincia di Zhejiangchiusero 18 banche e cinque società finan-ziarie su sei. Il prezzo della gomma non risalìpiù, nemmeno alloscoppio della prima guerramondiale.

Ma è la grande crisi scoppiata nell’ot-tobre del 1929 che è stata considerata datutti i governi imperialisti, e dagli econo-misti di grande o piccola fama, come la cri-si capitalistica mondiale di riferimento,quella che ogni Stato teme e deve temere eche perciò cerca di “scongiurare”: i poteriborghesi riconoscono in essa la micidialedevastazione di risorse produttive, econo-miche, finanziarie e umane che quella crisiprovocò, non solo negli Stati Uniti – per laquale ripresero la denominazione di Gran-de Depressione usata per il periodo di fineOttocento – ma in tutto il mondo capitali-stico sviluppato. I dati che riprendiamo quidi seguito sono ricavati da alcuni studiaccennati in nota (5).

La causa fondamentale della crisi del1929 è la stessa che ha prodotto le crisi ca-pitalistiche precedenti: la sovraproduzionedi merci e di capitali. Ma quella del 1929assume caratteristiche decisamente partico-lari in quanto le sue cause e i suoi effettifurono immediatamente mondiali. Tutte lecosiddette “grandezze economiche” chedefiniscono lo stato di progresso o di re-gresso dell’economia di un paese (produ-zione, occupazione, redditi, salari, consu-mi, investimenti, risparmi) si ridussero no-tevolmente e non solo negli Stati Uniti, main tutti i paesi capitalistici avanzati. Il crollodella borsa di Wall Street nel famoso giove-dì nero (il 24 ottobre 1929), seguito da unvenerdì nero, da un lunedì nero, da un mar-tedì nero ecc. ecc., non è stato che un fortesegnale dei fattori di crisi che si erano accu-mulati negli anni precedenti. Dal 24 ottobre,in cui ben 13 milioni di azioni vennero ven-dute a prezzi molto più bassi di quelli d’ac-quisto, al 29 ottobre (il famoso martedìnero), in cui le azioni vendute a bassissimoprezzo sono state 16 milioni: in neanche unasettimana, il crollo di Wall Street accese lamiccia per il crollo di tutte le borse mandan-do in crisi l’economia mondiale, con effettiche non potevano certo risolversi in pocotempo; infatti la crisi economica generaledurò fino al 1933, quando l’economia mon-diale cambiò direzione con una ripresa chenon sarebbe durata a lungo visto che nel1939 le grandi potenze imperialiste si scon-trarono nuovamente nella seconda guerramondiale.

Come dicevamo, l’origine della crisi ge-nerale scoppiata nell’ottobre del 1929 vacercata nel periodo del primo dopoguerra.La prima guerra imperialista mondiale ave-va di fatto sconvolto tutti gli equilibri inte-rimperialisti precedenti; d’altra parte, comesottolineava Lenin, la guerra mondiale nonera che lo scontro tra gli interessi mondialidellepiù forti economie imperialisteper spar-tirsi il mondo: i vincitori avrebbero dettatole nuove condizioni della spartizione, i vintiavrebbero dovuto subirle, ma nella consa-pevolezza di entrambi che quelle condizionisarebbero state rimesse in discussione ne-gli anni successivi, in ragione dello stessosviluppo del capitalismo e della modifica-zione dei rapporti di forza tra i diversi paesiimperialisti.

Fino allo scoppio della prima guerramondiale, la Gran Bretagna era stata il “ban-chiere del mondo” e la sua sterlina era statail pilastro del sistema monetario internazio-nale: infatti tutti i prodotti era prezzati insterline. La Gran Bretagna, proprio per lasua posizione economica e finanziaria ri-spetto a tutti gli altri paesi, era anche il prin-cipale centro assicurativo del mondo (i fa-mosi Lloyds di Londra) e, grazie alla suaenorme flotta mercantile, era anche al cen-tro del mercato dei noli. Ma con la guerra, ilpaese, per essere all’altezza dei compiti didominio mondiale che intendeva mantene-re, dava fondo a tutta la sua potenzialitàeconomica e finanziaria per prepararsi allaguerra che non si sarebbe svolta soltantoin Europa – anche se inevitabilmente l’Eu-ropa era al centro di tutti i maggiori contra-sti interstatali – ma avrebbe colpito tutti imercati mondiali sui quali i paesi imperiali-sti più aggressivi, come gli Stati Uniti e ilGiappone stavano conquistando spazi

sempre più importanti; paesi che, a diffe-renza della Gran Bretagna, rivelavano unincremento maggiore in tecnologia, in in-novazioni applicate ai processi industriali eall’apparato produttivo complessivo, il cheli poneva come i suoi maggiori concorrentisul mercato mondiale. In Europa, d’altraparte, era la Germania a rappresentare il piùtemibile concorrente che, nel frattempo, raf-forzata la sua economia e la sua alleanzacon l’Austria e l’Italia, per sopravvivere eper sviluppare le sue ambizioni imperialistedoveva forzatamente opporre alle potenzeche da ovest e da est avrebbero potutoschiacciarla, e spartirsela, il massimo dellasua aggressività economica e militare.

A parte la minaccia rappresentata dalmovimento rivoluzionario del proletariato,che in Russia con la vittoria dell’Ottobre1917 aveva dato il via ad un corso storicomondiale che avrebbe potuto cancellare persempre non solo il dominio delle maggioripotenze capitalistiche in Europa, ma il capi-talismo stesso come sistema di produzionee organizzazione sociale, resta il fatto chel’economia capitalistica, pur precipitata nel-la crisi economica e di guerra, dimostrò tut-ta la sua formidabile resistenza al declino ealla morte. La guerra stessa, con le sue de-vastazioni e la distruzione di enormi massedi prodotti, di capitali e di uomini, potevaessere l’occasione storica, vista la rinasci-ta del movimento comunista internazionalesotto la guida del partito bolscevico e del-l’Internazionale Comunista, per trasforma-re in ogni paese – secondo la prospettivalanciata da Lenin – la guerra imperialista inguerra civile, in guerra rivoluzionaria. Quel-l’occasione fu colta solo in parte: la rivolu-zione in Russia, l’instaurazione della ditta-tura proletaria esercitata dal partito bolsce-vico di Lenin, la spinta e l’appoggio almovimento proletario in Europa e nel mon-do perché avanzasse nella preparazionedella rivoluzione comunista, erano effetti-vamente indirizzati verso la rivoluzione in-ternazionale – rivoluzione che mise in motoanche le popolazioni dei paesi arretratissi-mi che all’ordine del giorno avevano innan-zitutto la rivoluzione antifeudale e anti-dispotismo asiatico, prima ancora che la ri-voluzione proletaria, ma che con il loro mo-vimento contribuivano a mettere in serissi-ma difficoltà le potenze imperialiste che ledominavano –; spinta e appoggio che fu-rono fermati non solo dagli aperti e dichia-rati nemici di classe, i poteri borghesi chedecuplicarono la loro forza economica, so-ciale, politica e militare di resistenza, maanche dalle forze dell’opportunismo social-sciovinista e collaborazionista che, lavoran-do dall’interno dei proletariati di ogni pae-se e dei partiti che stavano alla loro testa,rappresentarono un micidiale cancro chesvuotò sistematicamente le loro organizza-zioni del contenuto di classe che le caratte-rizzava, trasformandole in organizzazioni diaperto sostegno della politica di conserva-zione borghese o eliminandole se resiste-vano a questo attacco controrivoluziona-rio.

E uno degli esempi di rinascita della vi-rulenza imperialista, grazie alla guerra mon-diale, lo diedero proprio gli Stati Uniti che,tra l’altro, non avevano subito le distruzio-ni che invece subirono tutti i paesi europei.La vittoria contro gli Imperi centrali, mentreaveva comunque indebolito Gran Bretagnae Francia, pose gli Stati Uniti in una situa-zione di estremo vantaggio. La partita cheaveva in palio il dominio sul mondo si gio-cava in particolare tra la Gran Bretagna e gliStati Uniti, alleati in guerra ma sul mercatomondiale concorrenti agguerritissimi. LaGran Bretagna, alla fine della guerra, si ri-trovò più debole sul piano produttivo maanche su quello finanziario, mentre gli StatiUniti, cresciuti notevolmente sul piano eco-nomico e finanziario, da paese “debitore”erano diventati un paese “creditore” del-

l’Europa (gli Stati Uniti, tra il 1924 e il 1929,investirono 6.400 miliardi di dollari all’este-ro, ma soprattutto in Germania e nell’Euro-pa dell’est). Fenomeno, quest’ultimo, chesi ripresentò anche alla fine della secondaguerra imperialistica. Wall Street, il mercatofinanziario di New York, si poneva così inalternativa alla Borsa di Londra, facendolentamente perdere forza a quest’ultima,soprattutto sul piano del credito. Nel 1920la sterlina si era svalutata rispetto al dollarostatunitense intorno al 22% e le politichemonetarie adottate da Londra non riusciro-no a riportare la sterlina ai valori prebellici,anzi facilitarono la caduta dei prezzi internie dei tassi di profitto e di interesse rispettoa quelli esteri, indebolendo le esportazionie, ovviamente, facendo aumentare le impor-tazioni. L’economia britannica andò versouna crisi molto grave che ebbe conseguen-ze sul piano sociale in termini di disoccupa-zione, abbattimento dei salari, restrizionedelle “garanzie” normative precedentemen-te ottenute dai sindacati; da qui la reazioneproletaria con il lungo sciopero dei minato-ri del 1926, e quelli di solidarietà dei portualie di molti altri settori; scioperi che però nonfavorirono la ripresa della lotta di classe fi-nalizzata alla rivoluzione come sarebbe sta-to negli auspici dell’Internazionale Comu-nista di Lenin, ma che furono invece devia-ti nelle infinite negoziazioni tra i vari sinda-cati di categoria e il governo, e nel collabo-razionismo.

Gli Stati Uniti, al contrario, registraronoun vero e proprio boom economico fino al1929. La macchina produttiva statunitensesi sviluppava freneticamente in diversi set-tori: nell’edilizia e nelle industrie collegate;nell’automobile e nelle industrie collegatedel petrolio, dell’acciaio, della gomma; nel-le infrastrutture stradali e nei trasporti sugomma; nell’industria elettrica (la cui pro-duzione raddoppiò tra il 1923 e il 1929). Glistessi processi produttivi subirono una ra-zionalizzazione che determinava uno sfrut-tamento più scientifico della manodoperasalariata, abbattendo i cosiddetti “tempimorti” (il famoso “taylorismo”) e riducen-do al massimo i movimenti da parte dei la-voratori, movimenti ritenuti inutili (un esem-pio su tutti: la catena di montaggio cheHenry Ford adottò nella sua industria au-tomobilistica). Nel 1920 gli Stati Uniti pro-ducevano 2,3 milioni di automobili, e nel1923 salivano a 3,7 milioni di veicoli; la Fran-cia, che nel 1920 era il secondo produttoredi auto al mondo, ne produceva 40.000; l’au-to, mentre in Europa era un prodotto dilusso, in America era già un prodotto dimassa (nel 1929, il 55% delle famiglie ameri-cane ne possedeva una). E così per gli ap-parecchi radio, i frigoriferi, le lavatrici, i ven-tilatori: tra il 1922 e il 1929 questi elettrodo-mestici passavano da 60.000 a 10 milioni e250 mila. E la cinematografia americana, at-traverso le grandi case produttrici di Hol-lywood, conquistava una vera supremazianel mondo, diffondendo il messaggio cheormai era l’american way of life, il faro perlo “stile di vita” moderno...

Il reddito nazionale negli Stati Uniti (os-sia il valore dell’intero prodotto di un annodel sistema economico di un paese, ossiaproduzione, distribuzione, servizi, consu-mi, risparmi, investimenti ecc.) tra il 1923 e il1929 aumentò del 23%, contro un aumentodella popolazione del 9% e della forza lavo-ro dell’11%. La disponibilità di capitali eraenorme e gli Stati Uniti la usarono per con-cedere prestiti non solo ai paesi europei che,usciti dalla guerra in condizioni pessime,avevano estremo bisogno di capitali freschiper riattivare le loro macchine produttive,ma anche al Canada, ai paesi dell’AmericaLatina e dell’Asia. Tra il 1925 e il 1929 gliStati Uniti prestarono all’estero circa 3 mi-liardi di dollari e siccome le monete eranotornate ad ancorarsi all’oro, e il dollaro fun-zionò comemoneta equiparabileall’oro, granparte dell’oro del mondo si concentrò a FortKnox, che nel 1929 aveva nei suoi forzieri il38% dell’oro del mondo.

La Germania, paese vinto nella guerramondiale, ma dalla civiltà industriale ed eco-nomica di prima categoria, fu il paese euro-peo che più di tutti beneficiò dei prestitiamericani, grazie ai quali potè riprendersidal crollo economico nel dopoguerra. Mol-ti dei capitali americani prestati alle indu-strie e alle banche tedesche, investiti per-ciò nell’economia tedesca, furono utilizzatinon solo per riattivare l’apparato produtti-vo tedesco, ma come in ogni economiaavanzata, furono reinvestiti nella più attra-ente borsa del mondo, quella di New York(tra il 1924 e il 1925, il numero dei valoriscambiati raddoppiò); è così che i capitalispeculativi, confidando nel ritmo e nell’in-tensità dello sviluppo statunitense, furono

sorpresi dal crollo di Wall Street nell’otto-bre1929.

In realtà, l’eccezionale sviluppo del cre-dito, generalmente erogato da banche pri-vate e quindi legato solo a calcoli di profit-to immediato, serviva all’economia statuni-tense sia per poter piazzare nel proprio mer-cato interno il massimo dell’enorme quanti-tà di prodotti fabbricati, sia per aumentarecon virulenza le esportazioni soprattuttoverso il mercato europeo; e quando, suquesto versante, i capitali prestati non riu-scivano a valorizzarsi secondo le aspettati-ve delle banche prestatrici di denaro, pren-devano inevitabilmente la via della specu-lazione borsistica: solo nel 1928 il volumedei titoli in movimento nella Borsa di NewYork passò da 433 a 757 milioni, portando ilvalore globale delle quotazioni in Borsa da27 a 67 miliardi. Insomma, la grande capaci-tà produttiva, abbinata alla grande dispo-nibilità di capitali da investire, porta l’eco-nomia americana ad un eccesso di offerta –come l’hanno chiamata gli economisti – chemette in crisi tutti i mercati che non riesco-no ad assorbirla e, quindi, a dare continuitàal ciclo di valorizzazione dei capitali. L’ec-cesso di offerta non è che sovraproduzio-ne: la crisi di sovraproduzione, prevista daMarx fin dal 1848, si ripresentò, ma questavolta con una potenza molto più elevata diquanto non fosse accaduto negli ultimi cin-quant’anni dell’Ottocento, provocando unacrisi che durò dal 1929 al 1932 con effettidevastanti su tutte le economie del mondo.Non poteva non succedere: il capitalismostatunitense non esportò solo merci e capi-tali nel mondo, ma anche la crisi. Negli USAil PIL in quegli anni calò del 47%, in Italia ilcalo fu del 33%, in Francia del 28%, in Ger-mania, il paese europeo più colpito, del47%. I grandi paesi che non furono toccatidirettamente, e con gli stessi effetti, da que-sta crisi furono l’URSS, data la sua chiusu-ra al mercato internazionale, chiusura cheperò terminò con la sua partecipazione allaseconda guerra imperialista mondiale, e ilGiappone, in cui i capitali americani non era-no ancora particolarmente presenti.

L’economia internazionale praticamen-te era tenuta in piedi dall’economia ameri-cana e dal capitalismo finanziario america-no, e nel momento in cui gli Stati Uniti, acausa del crollo di Wall Street, comincia-rono a richiamare i capitali prestati a brevetermine per far fronte alla crisi nel propriopaese, sottraendoli alle attività in cui era-no stati investiti, sia nel mercato naziona-le che nel mercato internazionale, la crisi sidiffuse in tutto il mondo. La crisi finanzia-ria si propagò rapidamente sull’economiareale, in tutti i paesi, e nel triennio succes-sivo, tra il 1930 e il 1932, la crisi toccò livel-li mai visti prima.

I dati riportati qui di seguito possonodare un’idea della portata della crisi mon-diale di allora.

Posta uguale a 100 la produzione indu-striale del 1929, ecco la situazione nei paesipiù sviluppati al 1932: Stati Uniti 53; Germa-nia 53; Canada 58; Polonia 63; Cecoslovac-chia 64; Italia 67; Belgio 69; Francia 72,Ungheria e Romania 82, Gran Bretagna eOlanda 84; Svezia 89; Norvegia 93; Giappo-ne 98; URSS 183.

Anche il dato della disoccupazione dàun segnale ben preciso della crisi socialeinnestata dalla crisi economica: nel 1929 inGran Bretagna il tasso di disoccupazionesupera il 10%, in Germania il 13,4%, negliStati Uniti intorno al 20%, ossia dai 2 milio-ni circadel 1929agli oltre13 milionidel 1932.I salari americani diminuirono in media del40%, i prezzi del 20%; le importazioni pas-sarono dai 4400 mln di dollari del 1929 ai1323 mln di dollari nel 1933 e le esportazio-ni, nello stesso periodo, da 5240 a 1610 mlndi dollari.

Come reagirono gli Stati Uniti alla crisi?“Difendendo” prima di tutto la propria eco-nomia: rimpatriarono massicciamente i cre-diti erogati all’estero, danneggiando soprat-tutto Germania e Austria, oltre che la GranBretagna, paesi in cui avevano maggiormen-te esportato i propri capitali; istituironoun’alta tariffa doganale sulle importazioni,inasprendo in questo modo il protezioni-smo, inducendo gli altri paesi a fare altret-tanto e, imponendo molti limiti alle variecategorie di merci importate, colpirono leeconomie di tutti gli altri Stati nello stessomomento in cui, attraverso le vendite nelmercato più ricco del mondo, avrebberopotuto far fronte, se non estinguere del tut-to, i propri debiti in dollari. Ovviamente larisposta protezionista da parte degli altriStati non si fece attendere: iniziarono Ger-mania e Francia, seguì la Gran Bretagna chenel 1931 impose anch’essa dazi del 50% sudiverse categorie di merci, e via via gli altripaesi. Ogni paese tendeva a chiudersi neipropri confini e a mantenere i rapporti com-merciali internazionali nei limiti ritenuti ne-cessari, adottando al proprio interno politi-che di dura contrazione dei salari e, quindi,

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dei consumi, ma tentando di compensarequeste politiche con la più larga collabora-zione tra capitalisti e operai dando in cam-bio alcune “garanzie” alle masse lavoratricisul piano sociale (l’Italia fascista, per pri-ma, adottò la politica degli “ammortizzatorisociali” che poi divenne la caratteristicadelle politiche sociali non solo nella Ger-mania hitleriana, e in parte nella Russia sta-liniana, ma, dopo la seconda guerra impe-rialista mondiale, in tutti i paesi capitalistidel mondo). Tra il 1929 e il 1933 il commer-cio mondiale registrò una forte contrazio-ne, il 61% circa. Lo scontro economico efinanziario tra gli Stati Uniti e il resto delmondo aumentò di forza ogni anno chepassava e, inevitabilmente, si preparavanoi fattori di crisi militare che nel 1939 porta-rono allo scoppio della seconda guerra im-perialista mondiale.

Negli Stati Uniti, gli effetti della crisiportarono la classe dominante borghese aripensare profondamente la propria politi-ca economica e finanziaria. Allo sfrenatoliberalismo, che aveva spinto gli ambientieconomici e finanzari di punta a lanciarsinel vortice delle attività speculative attra-verso le quali accumulare rapidamente fa-cili guadagni, non poteva che esserci unarisposta tendenzialmente opposta che pre-se il nome di New Deal (Nuovo corso), conil quale gli Stati Uniti, sotto la presidenza diT.D. Roosevelt, tra il 1933 e il 1938, avviaro-no un processo di riforma economica con ilquale tentarono di affrontare e “risolvere” iproblemi posti dalla Grande Depressionedel 1929-1932. Questo nuovo corso consi-steva in pratica nel caratterizzare l’econo-mia del paese con un deciso intervento econtrollo da parte dello Stato; né più némeno di quello che tentarono di fare il fa-scismo in Italia e il nazismo in Germania.«Tutta l’economia capitalistica nel periodosuccessivo alla prima guerra mondiale –scrivevamo nel 1946 (6) – si è orientata ver-so forme generalizzate di intervento e dicontrollo statale, e l’esperimento totalita-rio nazifascista ha, allo stesso modo del-l’esperimento americano del New Deal, as-solto la funzione di permettere e favorirel’accumulazione capitalistica e di controbi-lanciare le forze determinanti della cadutatendenziale del saggio del profitto in unafase caratterizzata dal succedersi di violen-te crisi economiche e perciò dalla ricorren-te minaccia di altrettanto violente crisi so-ciali». Il tentativo, quindi, era di dimostrareagli stessi capitalisti e alle classi lavoratriciche dalla crisi economica e sociale in cui il

sistema li aveva precipitati si poteva usciregrazie a politiche economiche e sociali piùrigorose e per le quali i capitalisti stessidovevano avere “meno libertà” nell’accu-mulare ricchezze affidandosi soltanto aglialti e bassi del mercato. I provvedimenti delNew Deal possono essere sintetizzati così:avvio di una vasta serie di lavori pubblici,allo scopo di ridurre la disoccupazione; sus-sidi agli agricoltori perché diminuissero laproduzione o perché distruggessero unaparte del raccolto per evitare la caduta deiprezzi; rilancio industriale affidato ad unEnte nazionale per la ripresa industriale (unasorta dell’IRI fascista) e controllo dei prezziattraverso dei codici di “concorrenza leale”per la quale si stabilivano per legge minimisalariali e un numero fisso di ore lavorativesettimanali; l’espansione della spesa stata-le provocava un inevitabile aumento deldebito pubblico, perciò fu eliminato il pa-reggio del deficit statale rispetto agli introi-ti e si stampò carta moneta oltre al rapportoprecedente con le riserve auree, svalutan-do il dollaro cosa che facilitò le esportazio-ni; si fissarono indennità per la disoccupa-zione, per l’invalidità e le pensioni di vec-chiaia; imposte progressive sui redditi; ri-conoscimento giuridico dei sindacati. Dun-que, l’aperta politica di collaborazione tra leclassi veniva in questo modo decretata uf-ficialmente anche negli Stati Uniti, aprendoanche in questo grande paese l’epoca delWelfare State, dello Stato assistenziale.

«L’interventismo statale – scrivevamonel 1981 a proposito della politica econo-mica borghese in tempo di crisi, tipo quel-la del 1929 (7) – quello che impropriamen-te si chiamò il “capitalismo organizzato”,“organizzando” entro certi limiti le econo-mie nazionali, rinviò senza dubbio la cri-si. Ma la generalizzò, nella misura in cui laposta in gioco era la lotta per la sopravvi-venza di interi capitali nazionali impe-gnati a riversare sui fratelli-nemici la pro-pria sovrabbondanza di merci e a difende-re interessi estesi a tutto il pianeta. Ora –anche a prescindere da antagonismi poli-tici e strategici – è inevitabile che tuttociò sfoci in un conflitto mondiale destina-to a non potersi più svolgere su un pianopuramente economico. E’ dunque la stes-sa struttura economica dell’imperialismoche rende ineluttabile la guerra imperia-listica mondiale. E questa guerra completala massiccia distruzione di capitale e, an-che, di forze lavoro, di cui il capitalismo

ha bisogno per rigenerarsi».Quella specifica politica del New Deal

poteva risolvere la crisi di sovrapproduzio-ne? Ovviamente no, visto che ogni capita-lismo nazionale tendeva a scaricare suglialtri la propria sovraproduzione di merci edi capitali. L’aumento del deficit statale nonpoteva non portare con sé altri fattori dicrisi; negli anni stava aumentando troppoe perciò nel 1937 il governo di Washingtoncominciò a restringere la spesa statale e,con essa, cominciarono ad indebolirsi an-che gli ammortizzatori sociali instaurati nel1933 e i capitalisti stessi tendevano a ri-prendersi un po’ del terreno perduto sulpiano delle proprie “libertà” di movimentoarrivando addirittura ad uno “sciopero bian-co del capitale” (come venne definito), checonsistette in un decremento consistentedegli investimenti. Aumentò nuovamentela disoccupazione e il governo ricorse nuo-vamente, per evitare tensioni sociali trop-po forti, ad un aumento della spesa pubbli-ca. 1938: siamo alla vigila della secondaguerra mondiale, Germania e Giappone rap-presentavano una seria minaccia per gli al-tri paesi europei e per gli Stati Uniti, perciòWashington avviò un forte incremento dellespese per gli armamenti, cosa che all’imme-diato ridusse la disoccupazione ma in pre-visione di un massacro mondiale. «La con-correnza internazionale – continua l’artico-lo appena citato – aveva raggiunto un talegrado di asprezza, che a poco a poco tuttele nazioni erano passate, prima, al protezio-nismo, poi ad una più o meno radicale au-tarchia. Il commercio mondiale si era rapi-damente rattrappito, l’economia mondialesi era frantumata in più blocchi ognuno rac-colto intorno ad una enorme potenza impe-rialistica e caratterizzato da numerosi aspettisemi-autarchici. Erano sorte zone economi-

che che prendevano nome dall’imperialismoin esse dominante: blocco della sterlina,blocco del dollaro, blocco dello yen ecc.;ognuna di esse cercava di mobilitare le ri-serve nazionali, di creare una domanda arti-ficiale mediante una politica di spese a lar-go raggio e, quindi, di indebitamento delloStato, di sostenere interi rami d’industriapericolanti; ognuna di esse lanciava ambi-ziosi programmi pubblici di assorbimentodella disoccupazione, fissava prezzi e sala-ri, cartellizzava l’economia, varava pianieconomici pluriennali. Fu la politica da allo-ra indissolubilmente legata al nome di Key-nes», il quale però «si era limitato a teoriz-zare quella che era ormai da tempo una real-tà – la mobilitazione di tutte le risorse deicapitali nazionali, per mettersi economica-mente e anche militarmente in grado di di-fendersi e togliere di mezzo i concorrenti.La politica economica del fascismo tede-sco o italiano e quella del governo statuni-tense (il New Deal) non sono perciò che ilsimbolo di una tendenza generale». Que-sto lo scrivevamo nel 1981, ma non è che lalettura della realtà imperialistica per come siè svolta, e per come si svolge tuttora, nelcorso delle sue crisi che dal piano econo-mico (economico nel senso più ampio) ten-dono inevitabilmente a svilupparsi sul pia-no sociale, politico e infine militare. La pro-paganda borghese, in generale, tende aconsiderare la mobilitazione di guerra comeun fatto separato dalla crisi economica, «inrealtà, la guerra mondiale non è che la pro-iezione su un piano macroscopico di tutti icontrasti d’interessi fra capitali organizza-ti nazionalmente, ma agenti internazional-mente» (8). L’”uscita dalla crisi”, dunque,come volevasi dimostrare, si attuò precipi-tando il mondo nella seconda guerra impe-rialistica mondiale.

Erano passati appena vent’anni dallafine della prima guerra imperialista mondia-le e di nuovo il capitalismo internazionale siritrovò a fronteggiare la sua ennesima crisimondiale con il mezzo più catastrofico a suadisposizione: la guerra. La crisi capitalisti-ca non aveva vie d’uscita se non quelle, daun lato, di distruggere la massa più impo-nente possibile di prodotti che l’elevatacapacità produttiva, non solo degli StatiUniti, ma, sulla loro scia, di tutti gli altri pa-esi capitalisti avanzati, rovesciava su unmercato mondiale che non riusciva più adassorbire; dall’altro, di stabilire un nuovoordine mondiale sulla base dei rapporti di

forza tra i diversi Stati imperialisti che laguerra mondiale avrebbe decretato. E cosìfu. L’immane distruzione di cose e di uomi-ni che rappresentò la seconda guerra impe-rialista mondiale, fu, per la classe operaiadel mondo e per buona parte delle popola-zioni europee e asiatiche, un bagno di san-gue senza fine; per il capitalismo mondialefu, invece, un bagno di giovinezza che gliconsentì di affrontare i decenni successivialla fine della seconda guerra mondiale conmaggiori stimoli e con una fame di profittoancor più vorace.

E’ noto che la seconda guerra mondia-le è stata fatta passare come uno scontrotra due supposti sistemi politici ed econo-mici opposti, uno democratico e l’altro fa-scista, uno liberista e l’altro statalista ecentralizzatore. Sebbene sul piano istitu-zionale e politico la democrazia e il fasci-smo abbiano sovrastrutture differenti, labase materiale, economica, su cui poggia-no è esattamente la stessa: è il modo diproduzione capitalistico, il capitalismo.L’intervento statale in economia, come nelNew Deal, lo ritroviamo sia in un paesedemocratico come gli Stati Uniti, che in unpaese fascista come l’Italia o la Germaniadi quel tempo. Non è il Capitale ad essersiassoggettato allo Stato, ma è lo Stato cheè stato assoggettato al Capitale. L’inter-ventismo, il dirigismo, la gestione statale(che poi non sono altro che le ricette delriformismo classico) «sono aspetti comu-ni di ogni regime politico borghese nellafase di massima esasperazione dei suoicontrasti interni, espressioni convergentisul piano internazionale della politica diconservazione capitalistica» (9). In realtà,quindi, il New Deal non è che una di quelleforme che «segnano un passo avanti nellaspietata dominazione di classe della bor-ghesia, un’esaltazione dello sfruttamentodella forza lavoro ad opera del Capitale»(10). Ciò che il fascismo ha lasciato in ere-dità alla democrazia, come abbiamo da sem-pre sostenuto, al di là della sua sconfittamilitare, è proprio questa forma di spietatadominazione della classe borghese, una dit-tatura capitalista e imperialista nascosta

(5 ) Vedi ad es. J.K.Galbraith, Il GrandeCrol lo , Boringhier i, Torino 1972; E. DeSimone, Storia Economica , Franco Angeli,Milano 2012; Luigi De Rosa, La crisi econo-mica del 1929, Le Monnier, Firenze 1979; C.P.Kindleberge, La grade depressione nel mondo1929-1939 , Etas, Milano 1982. Vedi anchewww.consob.it/crisi-del-29.

(6 ) Cfr. Le nazionalizzazioni arma del ca-pitalismo, in “Prometeo”, n. 4, dicembre 1946.

(7 ) Vedi L’apprendista stregone sulla viadella guerra mondiale. Polit ica economicaborghese in tempo di crisi: 1929-1981 , in “ilprogramma comunista , n. 22 del 1981.

(8 ) Ibidem .

(9 ) Cfr. Il New Deal, o l’interventismo sta-tale in difesa del grande capitale , in “Pro-meteo”, n. 3-4, luglio-settembre 1952.

(10) Ibidem .

Le crisi capitalistiche dell’Ottocento e del Novecento( da pag. 8 )

( da pag. 1 ) L'IMPERIALISMO AMERICANO ALL'ATTACCO...nell’apertura e nella conquista dei mercati inter-nazionali, dall’altro è lo stesso mercato interna-zionale che, in un certo senso, richiede la pre-senza dei monopoli, la presenza di grandi po-tenze economiche e finanziarie sostenute da gran-di potenze statali. All’esportazione di merci siaffianca l’esportazione di capitali che, nello svi-luppo capitalistico, diventa l’obiettivo princi-pale di ogni grande potenza. Il mercato mondia-le subisce una divisione territoriale fra le grandipotenze capitalistiche, necessariamente spintea lottare le une contro le altre non solo per man-tenere gli sbocchi delle proprie merci e dei pro-pri capitali, ma per conquistarne altri.

E, quanto alle manifestazioni principali delcapitalismo dei monopoli, Lenin ne descrive sin-teticamente quattro:

“1. Il monopolio è nato dalla concentrazio-ne della produzione a un livello molto alto disviluppo di quest’ultima” (alla creazione del qualehanno contribuito le forti tariffe protettive, comeinizialmente in Germania e America, e più tardiin Inghilterra).

“2. I monopoli hanno portato alla conqui-sta delle fonti più importanti di materie prime,soprattutto per l’industria principale, la più ac-centrata della società capitalistica: quella delferro e del carbone. L’esercizio del monopoliodelle fonti più importanti di materie prime haspaventosamente aumentato il potere del gran-de capitale e acuito l’antagonismo tra la produ-zione coalizzata e quella non coalizzata”.

“3. Il monopolio è il prodotto delle banche.Queste, invece di essere delle modeste interme-diarie tra le imprese, sono diventate le monopo-lizzatrici del capitale finanziario. (...)L’oligarchia finanziaria che impone una strettadipendenza, assicurata a un’infinità di legani, atutte le istituzioni economiche e politiche dellasocietà borghese contemporanea senza eccezio-ne: tale è la manifestazione più notevole di que-sto monopolio”.

“4. Il monopolio è derivato dalla politicacoloniale. Ai numerosi ‘vecchi’ arnesi della po-litica coloniale, il capitale finanziarioha aggiuntola lotta per le fonti di materie prime, per l’espor-tazione del capitale, per le sfere d’influenza, cioèper le zone d’affari, di concessioni, di utili mo-nopolizzati, ecc., e, infine, per il territorio eco-nomico in generale” (3).

Come abbiamo scritto più volte, al periododi espansione capitalistica seguito alledevastazioni della seconda guerra mondiale, si èaperto un lungo periodo di disordine mondiale,durante il quale sono pian piano emerse, a fiancodelle grandi potenze imperialistiche tradizionali(Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti,Russia, Giappone), altre potenze capitalistichecon aspirazioni imperialistiche di notevole por-tata, tra cui primeggia la Cina. Gli USA, che conla fine del secondo macello imperialistico si rive-larono indiscutibilmente la maggiore potenzaimperialistica mondiale, hanno iniziato – in par-ticolare sul finire del Novecento e all’inzio deglianni 2000 – a subire la concorrenza economica epolitica sul piano internazionale di due forti ri-vali, uno vinto in guerra ma non atterrato, laGermania, e uno, emerso inaspettatamente dallenebbie estremo-orientali di un falso comunismoma di reale capitalismo giovane e molto aggressi-vo, la Cina. Ciò non significa che gli Stati Uniti

d’America non abbiano la forza di intervenire,come già negli anni Cinquanta del secolo scorso,in qualsiasi punto del pianeta per difendere ipropri interessi imperialistici se messi in seriopericolo, ma la presenza e l’attività forsennatadi concorrenti/avversari in campo internaziona-le come la Germania, la Cina e lo stesso quieto esemisilenzioso Giappone, ma anche di una Rus-sia “risorta” dopo il crollo degli anni Novanta,tesa ad accaparrarsi una zona di influenza nellostrategico Medio Oriente, mettono gli Stati Unitinelle condizioni di dover riconquistare a livellomondiale un peso politico messo relativamentein ombra da un atteggiamento molto più pru-dente in politica estera, assunto soprattutto dopol’attacco del 2001 alle Torri Gemelle di NewYork (attacco che ha, di fatto, dimostrato che ilsacro territorio patrio poteva essere violato,come mai fino allora, addirittura da un’organiz-zazione terroristica, oltretutto ben conosciutadai servizi segreti).

Molte cose sono state dette, e continueran-no ad essere dette, su Trump e sui suoi modibizzarri di interpretare e svolgere la funzione dipresidente degli Stati Uniti d’America, ma nonva mai dimenticato che, come in qualsiasi paesecapitalista, i presidenti e i governi non sono al-tro che l’espressione degli interessi dei grandimonopoli e dei grandi trust, contingenti e dura-turi, sia nell’economia nazionale che nei territorieconomici di loro influenza sparsi nel pianeta.E’ d’altra parte certo che le crisi che si sonosusseguite dagli anni Ottanta del secolo scorsofino ad oggi, l’ultima delle quali – quella scatena-ta dai subprime americani – ha colpito duro tut-te le economie delle maggiori potenzeimperialistiche del mondo, hanno disordinatoancor più i precedenti “equilibri” mondiali, inparticolare in Europa (vedi la Brexit e le tenden-ze nazionalistiche sempre più accese dei mem-bri della UE), ma non solo. Nel tormentatissimoMedio Oriente, in situazione di accumulo dicontraddizioni esasperate che le cosiddette “pri-mavere arabe” misero in evidenza, e di crollodegli equilibri assicurati per decenni dai vari clandei Mubarak, dei Ben Alì, dei Gheddafi, unaguerra regionale è seguita all’altra, dalle due Guer-re del Golfo alla guerra scatenata in Siria e, piùrecentemente, inYemen: guerre che vedono coin-volte direttamente e indirettamente le potenzeimperialistiche, e nelle quali la posta in gioconon è solo la difesa dei pozzi petroliferi e dellegrandi compagnie internazionali interessate acontrollarne il flusso mondiale, ma anche il con-

trollo contemporaneamente del Mediterraneo,del Golfo Persico e del collegamento con l’Oce-ano Indiano. A queste “zone delle tempeste” siaggiunge da tempo un’altra area estremamenteproblematica, l’Asia centrale con l’Afghanistanmai “pacificato” e, nell’Estremo Oriente, la spi-na nel fianco di tutte le potenze imperialisticheinteressate alla zona, la Corea del Nord.

Nell’ultimo anno la Corea del Nord, con illancio dei suoi missili a gettata sempre più lun-ga, ha messo in difficoltà le cancellerie diWashington, di Pechino, di Tokio e di Seul, an-che perché la provocazione di Kim Jong-un sta-va nella minaccia di dotare i missili di testatenucleari; che Pyeongyang abbia, da almeno quin-dici anni, continuato a gestire la sua politica “este-ra” alternando gesti distensivi a provocazionicome quella ora ricordata, è cosa nota; come ènota la forte influenza della Cina su Pyeongyang,dovuta ovviamente alla “protezione” che Pechi-no esercita sulla Corea del Nord riguardo i paesidel mondo e, in particolare, riguardo la Corea delSud (che ha una quarantina di basi militari ame-ricane, con la presenza di quasi 30.000 soldatiamericani) e il Giappone (anch’esso con diversebasi militari americane e con più di 50.000 sol-dati americani). I tentativi di stabilire dei rap-porti diplomatici ed economici tra le due Coreesono in corso dal 2000 con alti e bassi, ma sem-bra che quest’anno – come dimostrato dalla par-tecipazione alle recenti Olimpiadi di un’unicasquadra coreana che rappresentava le due partidella penisola, e dai negoziati in direzione delristabilimento di rapporti “normali” tra i duepaesi capitalistici – le tensioni si attenuino tan-to da permettere addirittura al presidente Usa diincontrare il leader supremo Kim Jong-un peravviare una “distensione” tra i due paesi e i ri-spettivi alleati.

Non si sa come procederà questa “disten-sione”, voluta certamente anche dalla Corea delSud e dalla Cina e, probabilmente, anche dalGiappone visti anche gli importanti rapporti diimport-export di quest’ultimo paese con Cina,Stati Uniti e Corea del Sud, rapporti che, se nonmessi in difficoltà dalle tensioni militari locali,possono solo “migliorare”. Ciò però non ha im-pedito a Trump di lanciare una sfida, sul pianodella concorrenza diretta, sia all’UE (ma leggisoprattutto Germania) che alla Cina sulla que-stione dei dazi. Il 9 marzo scorso, Trump firma-va l’atto per introdurre i tassi sull’importazionedi acciaio (al 25%) ed alluminio (al 10%), con-fermando l’esenzione per Canada e Messico,

paesi confinanti e con i quali gli USA evidente-mente non intendono rendere pesanti i rapportidi import-export; il Canada e il Messico sono ilprimo e il secondo paese per l’export statuni-tense, e sono il secondo e terzo paese perl’import statunitense; col Messico la questionedegli immigrati “clandestini” è però un puntomolto dolente e rischia di diventare motivo digravi tensioni tra i due paesi. Per ammorbidire itoni, e perché la questione dei dazi non si tra-sformi in una dichiarazione di guerra commer-ciale – almeno a parole e nei fatti immediati –Trump ha annunciato che “con i paesi amici cisarà grande flessibilità e coooperazione”, flessi-bilità e cooperazione con i “veri amici che citrattano equamente sia sul piano commercialeche militare”, citando come esempio l’Australiacon la quale, guarda caso, gli Stati Uniti hannoun’eccedenza commerciale (vi esportano per 21,7mld di dollari, contro un import di 8,7 mld didollari - dollari Usa, ovviamente - dati 2016).Cosa che non avviene né con la Cina né con laGermania, che sono i veri bersagli di questa po-litica dell’amministrazione Trump. A 481,7 mi-liardi di dollari ammontano le importazioni sta-tunitensi dalla Cina, mentre gli USA vi esporta-no per 115,8 miliardi di dollari (dati 2016); quantoalla Germania, le importazioni Usa da questopaese ammontano a 116,4 miliardi di dollari,mentre le esportazioni statunitensi superano dipochissimo i 49 miliardi di dollari (dati sempredel 2016). E’ evidente il deficit commerciale de-gli Usa rispetto a questi due paesi, un deficit cheTrump intende se non rovesciare almeno atte-nuare in modo consistente.

Si sa che la Cina è il primo produttore mon-diale d’acciao con 808,4 mln di tonn. (dato sem-pre del 2016), e che l’eccesso di produzioneprende la via dell’export, e che la produzioned’acciaio in Cina è sovvenzionata dallo Stato;mentre il secondo produttore mondiale d’accia-io è il Giappone con “soli” 104,8 mln di tonn.,seguito dall’India (95,6 mln di tonn,.) e dagliUSA (78,6 mln di tonn.). Quanto all’alluminio,è sempre la Cina il primo produttore mondialecon 31 mln di tonn., seguita a grande distanza daRussia (3,6 mln tonn.), Canada (3,2 mln tonn.)India (2,7 mln tonn.) EmiratiA.U. (2,4 mln tonn.)e Stati Uniti (2,3 mln tonn.). I dazi americanisull’acciaio e l’alluminio, perciò, tendono a col-pire la Cina, ma il piano “contro Pechino” pre-vede una serie di dazi su molti altri prodotti, daitech alle telecomunicazioni, dalla robotica aisemiconduttori, dai veicoli elettrici al tessile ealle scarpe. La Cina ovviamente minaccia“un’adeguata risposta”.

(Segue a pag. 12)

Nei cent’anni e passa di vitadell’imperialismo capitalistico, ed essendo por-tata a termine fin dall’inizio del secolo XX ladivisione territoriale del pianeta tra le maggiori

potenze capitalistiche, come dimostrato daLenin e dagli economisti da lui citati, come èpossibile che il pianeta sia ancora sottopostoad un'ulteriore divisione territoriale, e che allemaggiori potenze imperialistiche del 1914-1918si siano aggiunte altre potenze imperialistiche?In realtà lo sviluppo del capitalismo, proprioperché ineguale a livello mondiale, non è maistato realmente pacifico; basta dare un’occhia-ta all’aggressione colonialista delle maggiori po-tenze del mondo nei secoli XVIII e XIX, e alledue guerre mondiali del Novecento, oltre alleguerre regionali che hanno costantemente ca-denzato il passare degli anni dal 1945 in poi. Laconcorrenza capitalistica si è sempre svoltacome concorrenza tra Stati visto che ogni Statonon è altro che il comitato d’affari della borghe-sia nazionale dotato della più alta concentra-zione di forza militare, politica ed economica, eche ogni borghesia nazionale lotta costantemen-te contro tutte le altre borghesie straniere. Cer-to, la lotta tra borghesie è inizialmente e so-prattutto lotta di concorrenza economica, maquesta concorrenza, ad un certo grado di eleva-ta tensione e contraddizione, risolve i propricontrasti solo sul piano della forza. “Il capitalefinanziario e il trust, – sottolinea Lenin – inve-ce di attenuare, aumentano le differenze tra larapidità di sviluppo di svariati elementi del-l’economia mondiale. Quando le correlazionidelle forze si sono mutate, dove può essere, inregime capitalistico, la soluzione delle contrad-dittorie antinomie, se non nella forza?” (4).

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 201810

Premessa al testo«Quarant’anni di organica valutazione degli eventi di Russianel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale»

Riprendendo i diversi materiali di par-tito dedicati alla Rivoluzione d'Ottobre e,quindi, alla Russia, nell'ambito del cente-nario della rivoluzione bolscevica e del-l'avvio di un processo rivoluzionario mon-diale che avrebbe potuto aprire in Euro-pa e nel mondo la via all'emancipazionedella classe proletaria e alla società so-cialista, si è deciso di proseguire il lavo-ro di traduzione in altre lingue, iniziatodal partito fin dal 1957, relativo a moltitesti che uscirono originariamente in ita-liano. Molte traduzioni sono state fatte,controllate e messe a disposizione dei com-pagni e di tutti coloro che sono interessa-ti ad approfondire le posizioni della no-

stra corrente. Uno dei vecchi testi, tra itanti, ma sempre di grande attualità, chemancava all'appello, era quello di cui cioccupiamo ora e che è finalmente dispo-nibile in lingua spagnola e che pensiamodi rimettere a disposizione per gli interes-sati anche in italiano nella forma solitadei Reprint.

Pubblichiamo di seguito la premessa.

Premessa al testo

Il testo Quarant’anni di organica va-lutazione degli eventi in Russia nel dram-matico svolgimento sociale e storico in-ternazionale è stato pubblicato nell’alloragiornale di partito, “il programma comuni-sta”, n. 21 del 1957. Dalla vittoria dell’Otto-bre rosso erano passati quarant’anni e ipartiti stalinisti commemoravano la vittoriadel proletariato rivoluzionario in Russiacome l’inizio della falsissima costruzione delsocialismo in un solo paese, vantando unainesistente continuità del partito bolscevicoin Russia, al potere nei primi anni della vit-toria rivoluzionaria sotto la guida di Lenin,e gli anni successivi, in particolare dal 1926in poi, sotto la guida di Stalin. L’intento delpartito non era di “commemorare a nostromodo” la rivoluzione d’Ottobre, ma di riba-dire i cardini della nostra valutazione deglieventi di Russia dal punto di vista stretta-mente marxista e rivoluzionario, cogliendol’occasione in cui l’attenzione dei proletariveniva catturata dagli inni alla Russia fal-samente socialista che, dopo aver portatoper trent’anni al settimo cielo Baffone-Stalin, tentava di ripulirsi di tutto l’odiosoretaggio che ricordava l’epoca di Stalin, ini-ziando una “destalinizzazione” che fu, semai fosse stato possibile, con la sua sem-pre più brigantesca politica imperialista emilitarista, peggio della “stalinizzazione”precedente.

Questo testo fa parte, come del restoogni altro testo di partito, del lavoro col-lettivo di partito che si dedicò, dalla suaricostituzione nel secondo dopoguerra,all’opera di restaurazione della dottrinamarxista completamente calpestata e stra-volta dallo stalinismo, e all’opera di bi-lancio della controrivoluzione cheaffossò non solo la rivoluzione proleta-ria in Russia, in Europa e nel mondo, maanche il partito bolscevico di Lenin e l’In-ternazionale Comunista.

Le nostre posizioni sulla “costruzionedel socialismo in un solo paese”, e per dipiù in Russia, paese capitalisticamente mol-to arretrato, sono note e, comunque, sonorintracciabili in moltissimi studi, testi e tesidi partito pubblicati in tutti i decenni che ciseparano dal 1946, ossia da quando si pub-blicò il primo testo organico relativo ad unprimo bilancio della controrivoluzione, ilTracciato di impostazione (1) e che fece dabase per tutto il lavoro successivo di re-staurazione teorica.

Uno dei punti-chiave da cui partire, ri-badito con forza, è stato questo: la rivolu-zione di Ottobre va considerata «non inrapporto a mutamenti immediati o rapi-dissimi delle forme di produzione e dellastruttura economica, ma come fase dellalotta politica internazionale del proleta-riato». E su questo punto il partito svolseuna sistematica e vigorosa battaglia politi-ca contro tutte le interpretazioni che vole-vano, da un lato, confinare la rivoluzioned’Ottobre nella sola Russia, considerandole sue caratteristiche come una particolareeccezione dovuta alla storia specifica dellaRussia zarista e non come caratteristichegenerali e universali della rivoluzione pro-letaria a livello mondiale – leggasi, soprat-tutto, la conquista violenta del potere poli-tico, l’instaurazione della dittatura proleta-ria esercitata monopolisticamente dal solopartito comunista rivoluzionario, il terrorerosso –; da un altro lato, sempre basandasisulle particolarità russe, considerare la ri-voluzione in Russia come l’avvio della tra-sformazione non solo politica e sociale delpaese, ma anche della trasformazione eco-nomica in socialismo, pur in assenza dellavittoria rivoluzionaria in paesi capitalistica-mente avanzati, come ad esempio in Germa-nia; e, per conseguenza, interpretare l’av-vio del capitalismo in Russia – come nelledichiarazioni di Lenin fino alla sua morte –come l’avvento del socialismo nella solaRussia che, in questo modo, doveva rap-presentare il “modello” per tutti gli altripaesi. Un “modello” che non escludeva,anzi, al contrario, prevedeva che, in ognialtro paese, il corso rivoluzionario per giun-gere al socialismo dovesse tener conto del-le particolarità nazionali che – guarda

caso – erano la leva principale di ogni ten-denza opportunista. E così la libertà, la de-mocrazia, il pacifismo, la coesistenza paci-fica, l’emulazione divennero il sale di ognipiatto offerto dai falsi partiti comunisti inEuropa e nel mondo.

La battaglia teorica e politica condottadal nostro partito, fin dai suoi primi passidopo la sua ricostituzione nel secondo do-poguerra, è stata inevitabilmente condizio-nata dalle conseguenze disastrose che ilcorso controrivoluzionario in Russia e nelmondo produsse sul movimento comuni-sta internazionale e sul movimento operaiodi ogni paese. Non si trattava soltanto direstaurare la dottrina marxista – come do-vette fare Lenin di fronte al riformismobernsteiniano e al revisionismo del rinne-gato Kautsky –, ma lo si dovette fare in unperiodo storico in cui il movimento operaioeuropeo, e americano, era stato completa-mente asservito alla conservazione borghe-se attraverso la lotta antifascista per la de-mocrazia, e in cui la sconfitta dei tentativirivoluzionari in Europa e la degenerazionedel partito bolscevico e, con lui, di tutti ipartiti dell’Internazionale Comunista, ave-vano quasi del tutto azzerato le potenzialitàdi rinascita di un movimento comunistamarxista degno di questo nome.

L’opera di restaurazione della dottrinamarxista e della ricostituzione dell’organopolitico della classe proletaria mondiale, ilpartito comunista rivoluzionario, condottadal partito comunista internazionale èrintracciabile in tutti gli scritti contenuti neigiornali, nelle riviste e nei volumi che ab-biamo pubblicato in più di settant’anni, edall’attività svolta in tutti questi decenni.Non nascondiamo, e non abbiamo mai na-scosto, che nella sua attività il partito è an-dato incontro ad errori, a deviazioni e a scis-sioni: il partito è un organismo vivo cheagisce contro la società capitalistica, ne-cessariamente dal suo interno, pur rappre-sentandone la fine e il suo superamento; èun organismo che vive nelle contraddizio-ni di questa società e ne subisce la pressio-ne e le conseguenze, ma conoscendonenon solo gli effetti, ma soprattutto le causee, perciò, a differenza di qualsiasi altro or-ganismo politico esistente, il partito di clas-se, il partito marxista, può formalmente ca-dere, deviare, morire, ma dal punto di vistastorico e teorico è sempre vivo, perché ilmarxismo affonda le sue radici nella storiadelle società umane e del loro materialisti-co divenire. Ecco dunque, che anche unapiccola e infinitesima collettività politica, operfino un uomo, come in determinati peri-odi è successo per Marx, Engels, Lenin,Bordiga, hanno la possibilità reale, ad uncerto punto del corso storico, di rianimareun’attività teorica e politica rivoluziona-ria. Ebbene, è quel che è avvenuto alla cor-rente della Sinistra comunista d’Italia, di-strutta e dispersa, ma non seppellita persempre, dagli attacchi dello stalinismo, delfascismo, dell’opportunismo di ogni spe-cie, della democrazia, ossia da parte di tuttele tendenze politiche, sociali e ideologicheemanate dal capitalismo e dal potere bor-ghese nella sua fase imperialista. La Sini-stra comunista d’Italia ha rappresentato, erappresenta, la potenziale rinascita del mo-vimento rivoluzionario del proletariato per-ché ha rappresentato, e rappresenta, l’ope-ra di restaurazione della dottrina marxista edella ricostituzione del partito politico del-la rivoluzione proletaria internazionale.

L’opera di ridefinizione dei punti crucialidella storia delle lotte di classe, delle rivo-luzioni e delle controrivoluzioni, è stata edè in continuo divenire, ma la sua forza ètratta dall’intransigenza nel difenderel’invarianzadel marxismoe nell’agiredi con-seguenza. Fa parte di questa attività anchequesto testo intitolato, non a caso, Qua-rant’anni di un’organica valutazione de-gli eventi in Russia nel drammatico svol-gimento sociale e storico internazionale.In questo, come in qualsiasi testo di parti-to, non vi sono nuove “scoperte”, nuove“tesi” per comprendere la storia della rivo-luzione in Russia e della sua sconfitta: vi siapplica il materialismo dialettico e storico,

come richiede la teoria marxista, inserendo ifatti, le vicende storiche, le loro tendenze ele loro controtendenze, seguendo la lineastorica delle lotte di classe, dello sviluppodelle forze produttive e quello delle formedella produzione e, di conseguenza, delleclassi che rappresentano –rivoluzionariamente all’inizio,riformisticamente poi e reazionariamente in-fine – il corso storico dello sviluppo dellesocietà divise in classi. La rivoluzione d’Ot-tobre va considerata come fase della lottapolitica del proletariato internazionale, ab-biamo affermato poco sopra; ma anche lasua sconfitta, e la vittoria dellacontrorivoluzione, va considerata come unafase della lotta politica del proletariato in-ternazionale nella quale il proletariato è sta-to battuto. Una fase, non un’era geologica.

I quarant’anni che separano il 1917 dal1957, vengono suddivisi dal testo in quat-tro fasi, definite sinteticamente così: A) LaRussia contro l’Europa nell’Ottocento; B)Le prospettive del tramonto dell’ultimofeudalismo; C) L’incancellabile epopearusssa della rivoluzione proletaria mondia-le; D) Parabola sinistra della rivoluzionestroncata. La rivoluzione borghese in Rus-sia, tanto attesa da Marx ed Engels, in unperiodo in cui il capitalismo in Europa ave-va già storicamente dimostrato di aver pro-dotto la classe rivoluzionaria per eccellenza– il proletariato – continuava a tardare inquel potente bastione della reazionefeudalista che era l’Impero zarista e che co-stituiva una grande forza repressiva dei ten-tativi rivoluzionari del proletariato in Euro-pa. La grande visione di Lenin consiste nelfatto di aver sognato per la Russia quel cheMarx aveva sognato per la Germania in unperiodo storico precedente: la rivoluzionein permanenza, una rivoluzione nella qualeil proletariato non solo avrebbe costituitouna forza antizarista determinante, ma an-che la forza antiborghese, passando dagliobiettivi antifeudali agli obiettiviantiborghesi in un processo rivoluzionariosenza soluzione di continuità. La grandevisione di Lenin andò anche oltre, proprioperché la rivoluzione proletaria in Russianon poteva che essere una fase della rivo-luzione proletaria internazionale: la rivolu-zione e la dittatura proletarie vittoriose inRussia dovevano aprire – e aprirono – unprocesso rivoluzionario mondiale nel qua-le, da un lato, i poteri feudali e arcaici del-l’Asia venivano fatti crollare, liberando inquesto modo lo sviluppo delle loro forzeproduttive, e, dall’altro lato, il proletariatodei paesi capitalistici avanzati d’Europaavrebbero seguito l’esempio bolscevico,abbandonando le illusioni democratiche,riformiste e pacifiste, e dando alle loro lottedi classe la spinta rivoluzionaria per abbat-tere i poteri borghesi esistenti. In Russia, iltemprato e teoricamente solido partitobolscevico, guidò il proletariato alla vittoriae alla dittatura di classe; vinse lacontrorivoluzione armata e ricostituì l’Inter-nazionale proletaria e comunista. In Euro-pa, la maggior parte delle correnti di sinistrache si scissero dai partiti socialdemocraticie socialisti che aderirono alla guerraimperialista parteggiando ciascuno per laclasse dominante borghese “del propriopaese”, non riuscirono a liberarsi completa-mente delle influenze e delle abitudiniriformistiche (salvo la corrente della Sini-stra comunista d’Italia), cosa che impedì lorodi costituire per il proletariato quel motorepolitico indispensabile alla preparazione ri-voluzionaria e alla guida solida e certa dellarivoluzione.

La rivoluzione proletaria in Russia, inassenza dell’apporto decisivo della rivolu-zione in Europa, si trovò a dover difendersida sola e, sul piano economico, a dover li-mitarsi al compito borghese: sviluppare ca-pitalismo nella forma più controllabile pos-sibile dal potere politico proletario, in atte-sa della ripresa della lotta di classe e rivolu-zionaria in Europa. Non venne la ripresadella lotta rivoluzionaria in Europa, vennela controrivoluzione che riuscì, anche gra-zie all’arretratezza economica e sociale dellaRussia, ad isolarla e a soffocarla.

«Come è una dottrina della rivoluzionecosì, dalla sua prima scrittura, il marxismo èuna teoria delle controrivoluzioni; come èuna previsione della rivoluzione socialistaunitaria e mondiale, così è dal primo mo-mento una sicura e non pavida attesa dicontrorivoluzioni in serie, ripetute, diffuse,incrociate nello spazio e nel tempo». Così èscritto in un “filo del tempo” del 1951 (2), ein forza di questa caratteristica esclusiva delmarxismo, e della coerente e intransigentedifesa del marxismo portata avanti, fin dallasua formazione, dalla corrente della Sinistracomunista d’Italia contro ogni cedimento

opportunista, il partito ha assunto il compi-to della restaurazione della dottrina marxistae della valutazione dei principali eventi sto-rici, come dimostra la serie numerosissimadi rapporti, riunioni, testi e tesi prodotta neidecenni dal 1946 in poi (3).

Nel testo Quarant’anni di una organi-ca valutazione degli eventi di Russia... –che esce dopo la pubblicazione dei “fili deltempo” dedicati alla questione russa, ilDialogato con Stalin, il Dialogato coimorti, Russia e rivoluzione nella teoriamarxista, ed esce in contemporanea conl’inizio della lunga trattazione intitolataStruttura economica e sociale della Rus-sia d’oggi – si riprendono i punti cardinalidella rivoluzione e della controrivoluzionein Russia, riunendoli sinteticamente nel bi-lancio che il partito stava facendo sulla“questione russa”, e inserendoli in una va-lutazione dinamica dei fatti storici e nellaprospettiva di una ripresa rivoluzionariadella lotta di classe proletaria che, all’epo-ca, in forza dei dati economici dello svilup-po delle crisi capitalistiche, si poteva ipo-tizzare intorno al 1975, anno in cui effettiva-mente scoppiò la crisi capitalistica a livellomondiale, ma non seguì la crisi rivoluziona-ria che avrebbe potuto avere, comeepicentro, i paesi dell’Europa centrale (Ger-mania ovest ed est, Polonia, Cecoslovac-chia) nei quali si sarebbe sviluppata unapotente ripresa delle forze produttive e neiquali il movimento insurrezionale proleta-rio avrebbe influenzato e attirato iproletariati di Francia e d’Italia, facendo fi-nalmente apparire la rivoluzione proletariae comunista nel cuore del vecchio capitali-smo europeo, e da qui in Inghilterra, inAmerica, in Giappone.

Fantasie da marxisti visionari? Marx,Engels, Lenin, tutti i marxisti hanno spessoatteso la rivoluzione prima che la storia ef-fettivamente la ponesse all’ordine del gior-no; basta ricordare il 1848, ma lo stesso1917. Le grandi visioni rivoluzionarie sonofeconde anche quando la storia ne rinvial’attuazione, ribadiamo nel testo che pub-blichiamo; ma sono feconde se dalle rivo-luzioni e, soprattutto, dallecontrorivoluzioni, il partito di classe trae unbilancio storico e politico corretto che fac-cia da base per la successiva preparazionerivoluzionaria e sappia collegarsi, nel tem-po e nello spazio, al filo storico che uniscela lotta di classe dei primi gruppi proletari aisuccessivi tentativi rivoluzionari di assaltoal cielo, che sono passati per la Comune diParigi del 1871 fino alla rivoluzione d’Otto-bre in Russia, all’epoca che si concluse conla vittoria della controrivoluzione stalinianae borghese. La storia non agisce secondole fasi della vita media degli individui o se-condo i calendari dei cicli economici o se-condo l’andamento dei listini di borsa; agi-sce attraverso avanzate tremende e rinculidrammatici di fatti economici, sociali, politi-ci, militari che si intersecano e si influenza-no vicendevolmente, ma sempre, alla fin fine,sul terreno della lotta fra le classi. Ed è conlo sviluppo della lotta fra le classi, nella qualead un certo punto emerge il proletariato nonpiù come classe per il capitale, ma classeper sé, che si giocano i destini della societàcapitalistica e della rivoluzione proletaria.E’ esattamente di questo che la classe bor-ghese ha paura, perché nella sua “coscien-za di classe” si è depositato il terrore dellasollevazione rivoluzionaria del proletariatonel mondo, e quindi della fine del suo pote-re e della sua società.

I cent’anni che oggi ci separano dal-l’Ottobre russo possono apparire a molticome la definitiva sepoltura dello svolto ri-voluzionario; al capitalismo col suo porta-to di miseria, di fame, di guerre, di degene-razione sociale, sembra non vi siano alter-native: capitale, lavoro salariato, merce,denaro, appaiono come i piloni di qualsiasisocietà immaginabile, e l’unica possibilitàper combattere la miseria, la fame, la guerra,la degenerazione sociale che impestanoogni paese al mondo sembra essere quelladi “smussare gli angoli”, di “ammorbidire icontrasti”, di “rinunciare ognuno a qualco-sa”, di “riformare” questo o quell’aspettodella vita sociale, o semplicemente di “ri-mettersi nelle mani di Dio” e sperare chequalcosa cambi...

Noi marxisti i visionari? La propagandaborghese e opportunista, tra cui hanno pri-meggiato senza dubbio gli stalinisti, ha so-stenuto per quasi settant’anni che in Rus-sia era stato “edificato” il socialismo, che ilmondo era diviso in due “campi”, quellocapitalista occidentale e quello “socialista”orientale, e che il pericolo per la pace deipopoli derivava dal contrasto fra questi duecampi, per cui la “soluzione” doveva esse-re una “coesistenza pacifica” di due siste-

mi diversi, ...naturalmente basata sull’equi-librio del terrore, ossia su armamenti ato-mici equiparabili. Ma non ci fu bisogno chea Mosca si confessasse apertamente chequel che costruivano non era socialismoma capitalismo. Ci pensò il mercato interna-zionale e lo sviluppo dei contrastiinterimperialistici a smontare completamentel’orrendo castello di menzogne costruito sulmassacro della vecchia guardia bolscevicae sulla distruzione del movimento comuni-sta internazionale. Con il crollo dell’URSS,tra il 1989 e il 1991, e del suo “imperoeuroasiatico”, i borghesi di tutto il mondoinneggiarono alla sconfitta definitiva del“comunismo” e alla vittoria dell’economiadi mercato e della società capitalistica co-struita su di essa. In realtà l’impero sovieti-co, che è sempre stato capitalista e solocapitalista, è crollato proprio a causa delleinesorabili contraddizioni dell’economiacapitalistica e dei contrasti inevitabili sulmercato internazionale con poli capitalisti-ci e imperialistici economicamente molti piùpotenti – leggi Stati Uniti d’America, Euro-pa nella quale primeggiava la Germania,Giappone, ossia le prime economie del mon-do – scontrandosi con i quali ha semplice-mente perso la capacità di mantenere il con-trollo coloniale sui paesi dell’Europa del-l’Est e i paesi dell’Asia centrale, controlloereditato dalla spartizione delle aree di in-fluenza in seguito alla vittoria della secon-da guerra imperialistica mondiale. L’ondalunga provocata dalla crisi mondiale del1975 e dalle crisi capitalistiche successive,ha eroso a tal punto il famoso “muro” chedivideva l’impero sovietico dal resto delmondo da far implodere il potere di Moscae consegnarlo molto più apertamente alleoscillazioni del mercato internazionale. Ul-teriore dimostrazione che in Russia, e tan-to meno nel cosiddetto “campo socialista”,Cina compresa, non c’è mai stata la tra-sformazione economica da capitalismo asocialismo, ma solo impianto e sviluppodel capitalismo con tutto il suo corredo dibrutale sfruttamento del lavoro salariato,contraddizioni sociali, repressioni, guer-re. La ripresa della lotta rivoluzionaria pro-letaria è solo rimandata.

(1) Il Tracciato di impostazione è statopubblicato nel n. 1 di “Prometeo”, rivista men-sile del partito comunista internazionalista,luglio 1946. Per ribadire che tutto ciò che ilpartito pubblica è il risultato di un lavoro col-lettivo ed impersonale, nel dichiarare che que-sto scritto non contiene la dimostrazione diquanto afferma, ma si limita a fissare i cardiniprincipali cui si riferisce l’intero lavoro di par-tito, nelle prime righe di premessa allo scrittoci si preoccupa di evidenziare che si tratta diun “lavoro impersonale di una avanguardia deigruppi sociali che enuclea e rende evidenti leposizioni teoriche verso cui i singoli sonoportati, assai prima di averne coscienza, dallereali comuni condizioni in cui vivono. Il meto-do dunque è antiscolastico, anticulturale,antilluministico”. Questo scritto è contenuto,insieme ad un altro testo fondamentale diimpostazione delle posizioni teoriche intito-lato I fondamenti del comunismo rivoluziona-rio….., anche nel volumetto n. 1 dei “testi delpartito comunista internazionale”, pubblica-to dal partito nel 1974, pp. 7-23.

(2) Cfr. La controrivoluzione maestra,settantottesimo articolo della serie “Sul filo deltempo”, pubblicato nel n. 18 del 1951, del gior-nale di partito di allora, “battaglia comunista”.

(3) Tra i tanti, in particolare la lunga seriedei “Fili del tempo” dedicati alla critica di tuttele tendenze opportunistiche che hanno infesta-to il movimento proletario, i testi Proprietà ecapitale e Forza, violenza e dittatura nella lottadi classe, oltre il Dialogato con Stalin e ilDialogato coi Morti, Russia e rivoluzione nellateoria marxista, Struttura economica e socialedella Russia d’oggi, Fattori di razza e nazionenella teoria marxista, Il programma rivoluzio-nario della società comunista elimina ogni for-ma di proprietà del suolo, degli impianti di pro-duzione e dei prodotti del lavoro, ecc. Consul-tando il nostro sito www.pcint.org, alla sezio-ne Testi e tesi, si trova un elenco completodelle pubblicazioni di partito.

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IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 11

( da pag. 1 )

quello della lotta politica e rivoluzionaria,la classe borghese ha tratto delle lezioni digrande importanza per il mantenimento delsuo potere politico ed economico. Una diqueste lezioni è stata quella, non solo ditollerare le organizzazioni economiche diclasse del proletariato su cui poggiava lalotta degli operai contro i capitalisti, ma dipenetrare in esse per orientarle in sensoriformistico e pacifista fino a stravolgernegli obiettivi originari di difesa esclusivadegli interessi di classe e a trasformarle instrumenti vitali di conservazione socialesu cui il capitalismo potesse contare so-prattutto nei periodi di crisi economica edi regime.

Proletari!I sindacati operai che, nel tempo, ave-

vano maturato una grande tradizione di clas-se, al pari dei partiti operai, potevano rap-presentare un elemento decisivo nella lottadi classe rivoluzionaria del proletariato equesto la classe dominante borghese nonpoteva permetterselo; perciò, dovevanoessere conquistati alla conservazione so-ciale e ci pensarono le forze opportuniste,le forze che vestivano i panni operai madirigevano le masse in appoggio ai valoridell’economia aziendale, dell’economia na-zionale, della patria, della democrazia, inappoggio a tutto ciò che serviva al capita-lismo nazionale per superare le proprie crisie rimettere in marcia la macchina dello sfrut-tamento operaio generale. E laddove lemasse proletarie non si erano sufficiente-mente piegate alle esigenze del capitalismo– come di fronte alla prima guerra mondialee al primo dopoguerra – quelle stesse forzeopportuniste erano chiamate ad indebolir-le e a sfiancarle in modo tale che, se fossestato necessario schiacciarle con la forzadistruggendo i suoi partiti e le sue organiz-zazioni economiche sindacali, questo com-pito fosse attuabile. Il fascismo italiano,prima, e il nazionalsocialismo tedesco, poi,dimostrarono che la classe borghese domi-nante dei diversi paesi può farsi la guerratutte le volte che la crisi economica e politi-ca del loro sistema sociale lo richieda, mala sua guerra storica principale era ed èsempre stata la guerra contro il proleta-riato organizzato, il proletariato che lottasul terreno di classe guidato dal partitocomunista rivoluzionario per la conquistadel potere politico e per farla finita una vol-ta per tutte con ogni borghesia, con ognisistema di sfruttamento capitalistico.

Gli anni della prima guerra mondiale edel primo dopoguerra, dal punto di vistadella lotta del proletariato contro le borghe-sie di ogni paese, poggiando le proprie spe-ranze e le proprie prospettive di emancipa-zione dalla schiavitù salariale sulla formi-dabile vittoria della Rivoluzione d’Ottobrein Russia e sul movimento rivoluzionarionei paesi imperialisti più importanti, rappre-sentarono per ogni borghesia un periododi grande paura, ben più grande di quellache raggelò i polsidelle aristocrazie nobi-liari del 1789. La posta in gioco, storica-mente, era la vittoria del proletariato rivolu-zionario contro la borghesia imperialista inEuropa e nel mondo: si apriva un periodostorico in cui le classi dominanti borghesiavrebbero effettivamente potuto essere ab-battute, un periodo in cui la classe proleta-ria internazionale avrebbe guidato la riscos-sa di classe non solo per se stessa ma an-che per tutte le popolazioni ancora schiac-ciate dal colonialismo imperialista e dall’ar-retratezza economica.

Quell’occasione storica non fu colta,nonostante le grandi lotte dei proletari rus-si, tedeschi, ungheresi, polacchi, italiani,inglesi, francesi: le forze opportuniste chesi concentrarono poi nello stalinismo, siacome ideologia falsamente socialista e co-munista, sia come prassi politica e socialenazionalista e tricolore, riuscirono ad infet-tare tutti i partiti rivoluzionari, a iniziare dalpartito bolscevico, riportando il movimen-to proletario mondiale indietro di ventenni;esse contribuirono, in modo sostanziale, apiegare i proletari di ogni paese, prima alleesigenze di guerra del capitalismo e poi alleesigenze di ricostruzione capitalistica post-bellica facendo passare la posizione secon-do cui il nemico di classe non era rappre-sentato dalla classe borghese nel suo in-sieme, in tutte le sue frazioni, ma solo dallaclasse borghese del paese nemico, del pae-se “fascista”, e che la via d’uscita dallaguerra, dalla violenza, dall’orrore stava nel-l’appoggiare e nel combattere solo per lademocrazia, per il ripristino delparlamentarismo e di una vita politica e so-ciale non inquadrata dal totalitarismo fa-scista. I partiti “operai” divennero le co-lonne portanti delle nuove istituzioni de-mocratiche; i sindacati “operai” divennerole organizzazioni economiche della classeoperaia atte a collaborare alla ricostruzionepostbellica e alla rinascita economica delpaese: in conclusione, il proletariato di ogni

Primo Maggio 2018

La classe dominante borghese e i suoi fiancheggiatori falsamente operaifesteggiano un altro anno di alti profitti capitalistici mentre le grandi

masse proletarie sono schiacciate nello sfruttamento più bestialee nella miseria quotidiana

paese, dopo aver perso il proprio partitocomunista rivoluzionario, distrutto e sfigu-rato dallo stalinismo, perse anche le proprieorganizzazioni sindacali col risultato chequalsiasi associazione politica e sindacaleche si riferiva al proletariato giurava sullastabilità capitalistica anche se, oltre cortina,etichettava questa stessa economia come“socialista”.

Soltanto una piccolissima schiera di co-munisti rivoluzionari che non piegarono latesta di fronte allo stalinismo, che non ven-dettero la propria militanza rivoluzionaria peruna posizione di carriera, ma che mantenne-ro alta la coerenza e la continuità politicacon il marxismo – la Sinistra comunista d’Ita-lia – uscì dal disastro mondiale della dege-nerazione dell’Internazionale Comunista edello stalinismo sulle posizioni sempre dife-se fin dalla costituzione del Partito Comuni-sta d’Italia. Questa corrente politica, chenon ha nulla a che vedere con coloro cheappiccicano a se stessi la targa di partitocomunista e che del marxismo autentico han-no fatto strage, oggi, rappresentata da po-chissimi elementi che mantengono in vitaanche la continuità organizzativa, è del tut-to sconosciuta alle grandi masse proletarie.Ma questo, data la situazione di generaledepressione del movimento di classe delproletariato, è un dato che non ha mai spa-ventato i marxisti: la storia si legge non at-traverso i grandi o piccoli personaggi, nonattraverso il successo numerico del tale otal altro partito o le folate di moda alla ses-santottina, ma attraverso le contraddizioniche si muovono nel sottosuolo della socie-tà, attraverso forze che le stesse contraddi-zioni economiche e sociali del capitalismoproducono e alimentano costantemente eche, ad un certo punto di tensione generale,esplodono come un vulcano. I proletari stes-si, destinati storicamente a diventare i pro-tagonisti della rivoluzione più tremenda erisolutiva della storia delle società umane,non ne hanno alcuna coscienza: essi pos-seggono oggettivamente, materialmente,come classe sociale del moderno capitali-smo, la forza storica atta a superare ognisocietà divisa in classi di cui la società capi-talistica è l’ultima in ordine di tempo. Essi, alcentro dei rapporti di produzione sociali ca-pitalistici, rappresentano contemporanea-mente una delle forze di conservazione so-ciale grazie alla forza lavoro che la borghe-sia sfrutta allo scopo di valorizzare il capita-le e, dialetticamente, l’unica forza rivoluzio-naria in grado di chiudere la serie storicadelle società divise in classi – la preistoriaumana, come affermava Engels - ed aprireall’umanità la via per una società di specie,per una società non più basata sullo sfrut-tamento dell’uomo sull’uomo, sul denaro,sulla merce, sul capitale e sul lavoro salaria-to; in sintesi, per il comunismo.

La classe dei lavoratori salariati, dei pro-letari, dei senza riserve, è fondamentale perla sopravvivenza del capitalismo: lo sfrutta-mento del lavoro salariato da parte dei capi-talisti consiste nell’obbligo di lavoro da par-te dei senza riserve se vogliono sopravvi-vere, e nel fatto che il salario che il capitali-sta dà al lavoratore contro la giornata di la-voro non corrisponde al reale e totale tem-po di lavoro da cui il capitalista trae il suoguadagno, ma solo ad una sua parte – quel-la che corrisponde ai mezzi di sussistenzache l’operaio deve comprare al mercato –mentre l’altra parte di tempo di lavoro gior-naliero non pagata costituisce un valoresupplettivo, il plusvalore appunto, che ilcapitalista si appropria direttamente e inte-ramente. Nella misura in cui i lavoratori sala-riati rimangono nella condizione di lavora-tori salariati sotto il dominio della borghe-sia, e vivono la loro schiavitù salariale gior-no per giorno senza mettere in discussionei rapporti di produzionee sociali imposti dallasocietà capitalistica, essi costituiscono laclasse per il capitale. Ma il proletariato nonè stato soltanto bestia da soma; esso è sta-to coinvolto dalla borghesia nella sua lottacontro il feudalesimo, contro le aristocrazienobiliari, partecipando alla distruzione delpotere politico feudale e del modo di produ-zione feudale per liberare la società dai suoilimiti e dai suoi vincoli economici, sociali epolitici, aprendo in questo modo la via al-l’esaltante progresso economico e socialeche la rivoluzione borghese ha storicamen-te rappresentato. Ma il capitalismo, pur conil formidabile progresso tecnico e produtti-vo che ha portato con sé, ha nello stessotempo – e non poteva fare diversamente –sostituito una società divisa in classi, fram-mentata e chiusa, con una società divisa inclassi più semplice e aperta al mondo;universalizzando il sistema economico ca-

pitalistico, imponendo la legge del capita-le su tutto il globo terracqueo, il capitali-smo ha trasformato buona parte delle gran-di masse popolari di contadini e piccoloborghesi in puri proletari, espropriandoterre e attività lavorative, generalizzando irapporti di produzione e sociali capitalisti-ci e, quindi, le condizioni di esistenza deisenza riserve, erigendo una società in cuiuna piccola minoranza di capitalisti domi-na sulle grandi masse proletarie eproletarizzate.

Proletari!La condizione di schiavi moderni voi la

vivete ogni minuto di ogni giorno dellavostra vita. Dovete supportare sacrifici diogni genere per dar da mangiare ai figli,per abitare in una casa decente, per ripa-rarvi dal freddo o dal caldo, per curare lemalattie che il più delle volte sono provo-cate dallo stesso modo di produzione cosìfrenetico e opprimente; subite sistemati-camente l’insicurezza del posto di lavoro,e quindi del salario, mentre l’agognatoposto di lavoro si trasforma, prima o poi,nella causa dei vostri infortuni, delle vo-stre morti, delle vostre malattie incurabili.Siete esposti sempre più all’insicurezzadella vita e siete messi nelle condizioni nonsolo di subire impotenti questa situazione,ma anche di non poter fare nulla di decisi-vo per migliorare complessivamente le vo-stre condizioni di esistenza. Nella societàcapitalistica, sotto il dominio della classeborghese, voi dipendete totalmente dagliinteressi del capitale: siete niente di piùche classe per il capitale, alla sua mercè;voi rappresentate un enorme bacino di forzalavoro dal quale ogni capitalista pesca ilavoratori che gli servono, preferendo ov-viamente quelli che si sottomettono al suocomando senza tante storie. Per i capitali-sti voi siete la razza operaia, ma, siccomeogni schiavo prima o poi si ribella, voi co-stituite, nello stesso tempo, la forza lavoronecessaria per valorizzare il capitale e laforza lavoro eccedente rispetto al ciclo divalorizzazione del capitale messo in motoazienda per azienda. Perciò oggi trovatelavoro, ma domani potete venire licenziati.E in questa giostra orribile in cui masseumane, di qualsiasi nazionalità, età, gene-re, provenienza, sono costrette a migrareda una città all’altra, da un paese all’altro,da un continente all’altro soltanto perchécercano di sopravvivere in condizioni menopeggiori dalle quali sfuggono, voi, prole-tari, senza riserve e senza patria, avete difronte una sola via d’uscita: la lotta controle condizioni di schiavitù salariale alle qualisiete costretti fin dalla nascita.

La lotta per la vostra sopravvivenzase non si trasforma in lotta di classe – ilcui primo stadio è la difesa degli interessidi classe più generali, è l’organizzazioneindipendente di classe riconoscendo l’an-tagonismo esistente tra capitale e lavorosalariato, è la solidarietà di classe fra la-voratori salariati, è l’unità nella lotta –sarà sempre condizionata dall’interesseche i capitalisti hanno o meno a “salvar-ne” qualcuno lasciando alla sorte peg-giore tutti gli altri. La lotta di classe èl’unica vera risposta della classe proleta-ria ai problemi di sopravvivenza, ai pro-blemi della disoccupazione, ai problemidei salari da fame, ma non può decollaree svilupparsi se i proletari non combatto-no decisamente contro la principale armache la borghesia usa contro di loro: laconcorrenza fra proletari.

Come proletari voi subite gli effetti deirapporti di produzione e sociali imposti dalcapitalismo, e per combattere questi effettinon avete alternative: o vi unite nella lottadi classe indipendente da ogni istituzioneborghese, da ogni partito borghese, daogni organizzazione collaborazionista, osarete continuamente manovrati per raffor-zare – anche quando un sindacato tricolo-re vi chiama alla “lotta”, quando proprionon può più farne a meno, pena la cadutarovinosa della sua influenza – lo stessosistema economico sociale e politico che èla causa della vostra miseria, delle vostrecondizioni inumane di sopravvivenza.

La lotta di difesa degli interessi imme-diati proletari che utilizza i mezzi e i metodidella lotta di classe è il primo stadio dellarinascita del movimento operaio; il secon-do stadio è costituito dalla lotta politica diclasse, la lotta nella quale il proletariato siriconosce non soltanto come classe per ilcapitale che vuole ottenere migliori condi-zioni di vita e di lavoro, ma come classe persé, classe protagonista della storia, classeche attraverso la sua lotta politica e rivolu-

zionaria può cambiare completamente la so-cietà, seppellendo alla fine il modo di pro-duzione capitalistico e la sua difesa reazio-naria. In questo cammino, i proletari si scon-treranno non solo con i nemici dichiarati,borghesi e piccoloborghesi, ma anche con-tro altri proletari che si sono fatti attrarre einquadrare nelle forze di conservazione so-ciale. E’ inevitabile che ciò avvenga, perchéla classe borghese non cederà di un millime-tro sul piano del suo dominio e dei suoi in-teressi: essa userà tutti i mezzi a sua dispo-sizione, legali e illegali, pacifici, e violenti,economici, politici e religiosi; essa useràtutte le forze opportuniste che nel tempo sisono formate, dai vecchi arnesi riformisti esocialdemocratici ai nuovi arnesi operaisti,movimentisti, lottarmatisti come ha già fattoin passato; e ne inventerà di nuovi, comeall’epoca del fascismo. Tutto questo puòspaventare e paralizzare le masse proletarie,ma la lotta di classe alla quale le masse ope-raie vengono ad un certo punto spinte ma-terialmente non è il frutto di un piano più omeno diabolico di un gruppo di cospiratori:è lo sbocco di tutte le contraddizioni socialiche si sono sommate nel tempo e che, comeil magma vulcanico, esplodono con virulen-za straordinaria. Perché questo movimentotellurico della società non vada esaurendo-si in mille scosse isolate, il proletariato habisogno di organizzare le sue forze per po-terle indirizzare su obiettivi ben precisi nonsolo immediati, ma storici. Ed è qui che emer-ge evidente la necessità di una coscienza diclasse in grado non solo di indirizzare ilmovimento di classe del proletariato, nei di-versi paesi, nella lotta specifica contro lapropria borghesia, ma di convogliare le for-ze proletarie verso gli obiettivi massimi, ri-voluzionari, che non possono essere cheinternazionali. La coscienza di classe è rap-presentata dal partito politico di classe, dalpartito comunista rivoluzionario, findai tempidel Manifesto di Marx ed Engels; da un par-tito che prevede tutto il percorso storicodelle lotte sociali e di classe e che, sulla basedella teoria del comunismo rivoluzionario(che altro non è che il marxismo), nelle lottedell’oggi rappresenta gli scopi storici didomani e che, mettendosi alla guida delmovimento di classe, è l’unico a poter dareal proletariato di tutti i paesi un’unica dire-zione, quella rivoluzionaria.

Oggi il proletariato non è pronto nem-meno a lottare in modo efficace sul terrenodella elementare difesa dei suoi interesi im-mediati, e questo lo si deve a più di no-vant’anni di stalinismo che ha corrotto par-titi e organizzazioni proletarie in tutto il mon-do, e a più di settant’anni di politica e prati-ca collaborazioniste da parte dei partiti co-siddetti comunisti e da parte dei sindacati“operai”. La collaborazione tra le classi è lapolitica della classe borghese nella faseimperialista, è la politica che ha ideato e pra-ticato il fascismo e che è stata ereditata paripari dalle democrazie post-fasciste. Essa rap-presenta la corruzione più profonda che in-fetta il proletariato, ma la sua resistenza neltempo dipende dal livello di concorrenza cheesiste tra proletari. Combattendo contro laconcorrenza tra proletari si combattecontemporanemente contro la corruzionedella collaborazione tra le classi, e si difen-de in modo molto più efficace l’indipenden-za di classe delle organizzazioni proletarie.

Il Primo Maggio, molti anni addietro, nonera un giorno di festa, ma un giorno in cui iproletari di tutti i settori, di tutte le catego-rie, di tutti i paesi proclamavano la volontà ela decisione di lottare uniti contro lo sfrutta-mento capitalistico e contro il potere bor-ghese che poggia sullo sfruttamento del la-voro salariato. Oggi il Primo Maggio è ormaidiventata un’occasione di festa, di concer-ti, di pacificazione tra le classi: è un inno allacollaborazione tra le classi, è la festa dei ca-pitalisti che si sono impossessati di una gior-nata che un tempo, come giornata di lottainternazionale, li faceva tremare.

Proletari!Non c’è nulla da festeggiare! Mentre

masse di migranti muoiono nella traversatedel mare, vengono ammassati in campi diconcentramento, sfruttati, torturati, violen-tati, ammazzati; mentre la disoccupazionedilaga nei paesi del mito del benessere, l’in-tensità di lavoro sulle masse occupate au-menta sempre più e il lavoro diventa semprepiù precario aumentando inevitabilmentel’insicurezza della vita; mentre le stragi suiposti di lavoro non smettono mai e tendonoad aumentare, ed aumentano le malattie“professionali” a causa della mai controlla-ta nocività delle lavorazioni (come i casi sem-pre più frequenti di morti per amianto dimo-

strano); mentre i salari in generale vengo-no abbattuti rispetto al costo della vita chetende ad alzarsi e la concorrenza tra prole-tari arriva a livelli di spietatezza mai visti.Mentre succede tutto questo, in un quadrointernazionale in cui le guerre di rapina daparte delle potenze imperialiste non hannomai smesso di essere al centro delle vicen-de politiche e militari, le condizioni di esi-stenza proletarie peggiorano sempre più!

I sindacati collaborazionisti declamanola loro “preoccupazione” per questa situa-zione e si appellano ai governi affinché adot-tino qualche riforma che attenui il peggio-ramento generale delle condizioni dei lavo-ratori. Come sempre è successo da quandosi sono organizzati dopo la fine della se-conda guerra mondiale, i sindacati collabo-razionisti seguono una scala di priorità nel-la difesa degli “interessi”: prima di tuttovengono la patria, la nazione, la repubblicae la sua costituzione, dunque l’economianazionale; poi la difesa dell’italianità delleaziende e la loro competitività; poi la pro-duttività del lavoro che si affianca alla ne-cessità della ripresa economica; poi la sal-vaguardia dei posti di lavoro, non importacon quale salario, compreso il cosiddetto“salario di solidarietà” con il quale i lavora-tori si tassano per consentire il manteni-mento del posto di lavoro a compagni dilavoro minacciati di licenziamento; poi icontratti nazionali e di categoria, che nelfrattempo non vengono rinnovati da tre-cinque-dieci anni; poi i salari, ma per i qualinon si possono chiedere aumenti decentiperché la crisi economica ha colpito i pro-fitti di tutte le aziende, compreso lo Stato;poi la disoccupazione giovanile, come pro-blema generale ma per la quale ci vuole lasolita riforma...; poi, se proprio non se nepuò fare a meno, occuparsi, ma solo ideal-mente, dei lavoratori più disagiati, comequelli della logistica e dei lavoratori immi-grati. Insomma i sindacati collaborazionistidimostrano ormai costantemente che gliinteressi che difendono e per i quali mobili-tano, o paralizzano, i propri iscritti, sono gliinteressi del capitale e non del lavoro. Inquanto sindacati tricolori, sindacati colla-borazionisti, non c’è da meravigliarsi. Ma,dato che ogni tanto, o le associazionipadronali, o il governo, rilasciano qualchebriciola da dare alle masse, queste burocra-zie sindacali, che possono contare sull’ap-poggio costante dello Stato e delle forzepolitiche borghesi, continuano a mantene-re una certa influenza sul proletariato, purperdendo credibilità nel tempo.

Ma ai proletari, per difendere le pro-prie condizioni di esistenza, servono or-ganizzazioni di classe, organizzazioni cherappresentino decisamente gli interessiproletari immediati contro gli interessi bor-ghesi. Queste organizzazioni di classe nonnascono dal nulla, nascono dalla lotta deiproletari, da una lotta che rompe i millelacci che li tengono avvinti agli interessidell’azienda, della produttività, dellacompetitività, agli interessi dell’economianazionale. Se non oggi, sarà domani, masaranno le stesse condizioni materiali disopravvivenza divenute insostenibili chespingeranno gruppi proletari a reagire, arompere la pace sociale, a reimpossessarsidei mezzi e dei metodi della lotta classistache mette al centro esclusivamente la dife-sa degli interessi proletari.

Da comunisti rivoluzionari sappiamoche le contraddizioni sociali della societàcapitalistica non basteranno a far muoverela classe proletaria e ad indirizzare la suaforza contro i baluardi politici, sindacali,organizzativi e militari della sociatà borghe-se. Ma se non avviene questa rottura so-ciale, i proletari saranno destinati a subirecontinuamente una schiavitù salariale chetende a peggiorare le loro condizioni gene-rali. Ci vorrà, perciò, un orientamentodi clas-se, un indirizzo di classe grazie al quale iproletari si ricollegheranno alla loro storiadi classe, e questo orientamento ed indiriz-zo di classe è stato tenuto vivo in tutti que-sti decenni dal partito comunista interna-zionale che continuerà in quest’opera cheoggi appare priva di risultati immediati, mache nel tempo si dimostrerà vitale per lostesso proletariato.

Viva il Primo Maggio rosso!

27 aprile 2018Partito comunista internazionale

E' disponibile il Folletos nr. 2 dei Textosdel partido in spagnolo, Marzo 2017:

PARTIDO Y CLASE1. Partido y clase en la doctrinamarxista- Tesis sobre el papel del partidocomunista (1920)- Partido y clase (1921)- Partido y acción de clase (1921)

[email protected]

Page 12: organo del partito comunista internazionalepcint.org/40_pdf/02_IlC-pdf/ilc_153-w.pdf · 2018. 5. 27. · IL COMUNISTA N° 153- Maggio 2018 1 organo del partito comunista internazionale

IL COMUNISTA N° 153- Maggio 201812

Il programma del Partito comunista internazionaleIl Partito Comunista Internazionale è co-

stituito sulla base dei seguenti principi stabilitia Livorno nel 1921 alla fondazione del PartitoComunista d’Italia (Sezione della Internazio-nale Comunista).

1. Nell’attuale regime sociale capitalisti-co si sviluppa un sempre crescente contrastotra le forze produttive e i rapporti di produ-zione, dando luogo all’antitesi di interessi edalla lotta di classe fra proletariato e borghe-sia dominante.

2. Gli odierni rapporti di produzione sonoprotetti dal potere dello Stato borghese che,qualunque sia la forma del sistema rappresen-tativo e l’impiego della democrazia elettiva,costituisce l’organo per la difesa degli interessidella classe capitalistica.

3. Il proletariato non può infrangere némodificare il sistema dei rapporti capitalisti-ci di produzione da cui deriva il suo sfrutta-mento senza l’abbattimento violento del po-tere borghese.

4. L’organo indispensabile della lotta rivo-luzionaria del proletariato è il partito di classe.Il partito comunista, riunendo in sé la parte piùavanzata e decisa del proletariato, unifica glisforzi delle masse lavoratrici volgendoli dallelotte per interessi di gruppi e per risultati con-tingenti alla lotta generale per l’emancipazionerivoluzionaria del proletariato. Il partito ha ilcompito di diffondere nelle masse la teoria

rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materialid’azione, di dirigere nello svolgimento della lottala classe lavoratrice assicurando la continuitàstorica e l’unità internazionale del movimento.

5. Dopo l’abbattimento del potere capita-listico il proletariato non potrà organizzarsiin classe dominante che con la distruzione delvecchio apparato statale e la instaurazionedella propria dittatura, ossia escludendo daogni diritto e funzione politica la classe bor-ghese e i suoi individui finché socialmentesopravvivono, e basando gli organi del nuovoregime sulla sola classe produttiva. Il partitocomunista, la cui caratteristica programmaticaconsiste in questa fondamentale realizzazio-ne, rappresenta organizza e dirigeunitariamente la dittatura proletaria. La ne-cessaria difesa dello Stato proletario controtutti i tentativi controrivoluzionari può esse-re assicurata solo col togliere alla borghesia edai partiti avversi alla dittatura proletaria ognimezzo di agitazione e di propaganda politica econ la organizzazione armata del proletariatoper respingere gli attacchi interni ed esterni.

6. Solo la forza dello Stato proletario potràsistematicamente attuare tutte le successive mi-sure di intervento nei rapporti dell’economiasociale, con le quali si effettuerà la sostituzioneal sistema capitalistico della gestione collettivadella produzione e della distribuzione.

7. Per effetto di questa trasformazioneeconomica e delle conseguenti trasformazio-

ni di tutte le attività della vita sociale, andràeliminandosi la necessità dello Stato politi-co, il cui ingranaggio si ridurrà progressiva-mente a quello della razionale amministra-zione delle attività umane.

* * *

La posizione del partito dinanzi alla situa-zione del mondo capitalistico e del movimentooperaio dopo la seconda guerra mondiale si fon-da sui punti seguenti.

8. Nel corso della prima metà del secoloventesimo il sistema sociale capitalistico è an-dato svolgendosi in campo economico con l’in-troduzione dei sindacati padronali tra i datoridi lavoro a fine monopolistico e i tentativi dicontrollare e dirigere la produzione e gli scambisecondo piani centrali, fino alla gestione stata-le di interi settori della produzione; in campopolitico con l’aumento del potenziale di poli-zia e militare dello Stato ed il totalitarismo digoverno. Tutti questi non sono tipi nuovi diorganizzazione sociale con carattere di transi-zione fra capitalismo e socialismo, né tantomeno ritorni a regimi politici pre-borghesi: sonoinvece precise forme di ancora più diretta edesclusiva gestione del potere e dello Stato daparte delle forze più sviluppate del capitale.

Questo processo esclude le interpretazio-ni pacifiche evoluzioniste e progressive del di-venire del regime borghese e conferma la previ-

sione del concentramento e dello schieramentoantagonistico delle forze di classe. Perché pos-sano rafforzarsi e concentrarsi con potenzialecorrispondente le energie rivoluzionarie del pro-letariato, questo deve respingere come sua ri-vendicazione e mezzo di agitazione il ritorno alliberalismo democratico e la richiesta di garan-zie legalitarie, e deve liquidare storicamente ilmetodo delle alleanze a fini transitori del parti-to rivoluzionario di classe sia con partiti bor-ghesi e di ceto medio che con partiti pseudo-operai a programma riformistico.

9. Le guerre imperialiste mondiali dimostra-no che la crisi di disgregazione del capitalismo èinevitabile per il decisivo aprirsi del periodo incui il suo espandersi non esalta più l’incremen-to delle forze produttive, ma ne condizional’accumulazione ad una distruzione alterna emaggiore. Queste guerre hanno arrecato crisiprofonde e ripetute nella organizzazione mon-diale dei lavoratori, avendo le classi dominantipotuto imporre ad essi la solidarietà nazionalee militare con l’uno o l’altro schieramento diguerra. La sola alternativa storica da opporre aquesta situazione è il riaccendersi della lottainterna diclasse finoalla guerracivile delle masselavoratrici per rovesciare il potere di tutti gliStati borghesi e delle coalizioni mondiali, con laricostituzione del partito comunista interna-zionale come forza autonoma da tutti i poteripolitici e militari organizzati.

10. Lo Stato proletario, in quanto il suo

apparato è un mezzo e un’arma di lotta in unperiodo storico di trapasso, non trae la sua for-za organizzativa da canoni costituzionali e daschemi rappresentativi. La massimaesplicazione storica del suo organamento è sta-ta finora quella dei Consigli dei lavoratori ap-parsa nella rivoluzione russa dell’Ottobre 1917,nel periodo della organizzazione armata dellaclasse operaia sotto la guida del partitobolscevico, della conquista totalitaria del pote-re, della dispersione dell’assemblea costituen-te, della lotta per ributtare gli attacchi esternidei governi borghesi e per schiacciare all’inter-no la ribellione delle classi abbattute, dei cetimedi e piccolo borghesi e dei partiti dell’op-portunismo, immancabili alleati della controri-voluzione nelle fasi decisive.

11. La difesa del regime proletario dai peri-coli di degenerazione insiti nei possibili insuc-cessi e ripiegamenti dell’opera di trasformazio-ne economicae sociale, la cui integrale attuazionenon è concepibile all’interno dei confini di unsolo paese, può essere assicurata solo da uncontinuo coordinamento della politica dello Sta-to operaio con la lotta unitaria internazionaledel proletariato di ogni paese contro la propriaborghesia e il suo apparato statale e militare,lotta incessante in qualunque situazione di paceo di guerra, e mediante il controllo politico eprogrammatico del partito comunista mondialesugli apparati dello Stato in cui la classe opera-ia ha raggiunto il potere.

dal velo ideologico della democrazia e daapparati, come il parlamento, che servonoesclusivamente per confondere e ingan-nare il proletariato portandolo ad impegna-re la sua forza sociale contro i propri inte-ressi di classe facendogli credere che lasoluzione dei suoi problemi quotidiani efuturi va cercata solo nella collaborazioneinterclassista.

La differenza tra democrazia e fascismo,o, se vogliamo, tra rooseveltismo e fasci-smo, ha le sue radici solo nei diversi rap-porti di forza tra le classi. In Italia, comesuccessivamente in Germania, il fascismo èstata la «risposta ad una minaccia rivolu-zionaria diretta del proletariato: la suaestrinsecazione fu dunque essenzialmentepolitica e si tradusse nel pacifico abbando-no delle forme democratiche e nel violentoe aperto esercizio della dittatura di classeche, partendo dall’obiettivo primo di liqui-dare con la forza le organizzazioni di classedel proletariato, doveva concludersi perlogica conseguenza – per la necessità cioèdi opporre alla minaccia unitaria del prole-tariato un fronte altrettanto e più compatto– nella soppressione del pluripartitismo edel parlmentarismo borghesi». Il New Deal,e dunque il rooseveltismo, invece «nascecome risposta non ad una pressione rivo-luzionaria diretta del proletariato, ma all’im-mediato cataclisma di una crisi economicasenza precedenti: ai fini della risoluzione diquesta crisi, mentre la terapia economica si

svolgerà sul binario classico dell’interven-tismo fascista, il mantenimento delle formepolitiche democratiche e la conservazionedegli organismi sindacali operai non costi-tuiva una remora, ma permetteva manovredi conservazione più elastiche e ramificate,che sventavano i possibili contraccolpi so-ciali e politici della crisi con metodi, anzichédi coazione, di corruzione, la classica corru-zione democratica». Ecco perché il corso disviluppo del fascismo e del rooseveltismosono stati, fin dall’inizio, diversi. Infatti,continua l’articolo: «Non stupisce perciòche il fascismo abbia trovato la sua “viaeconomica” solo al termine di una lungaesperienza di dominio politico, conseguen-te e privo di esitazioni, questo, come incer-ta e contraddittoria, quella (il primo fasci-smo mussoliniano è perfino ortodosso incampo economico, e con movenze liberiste),mentre il New Deal si presenta di colpo comestrumento di difesa economica e, in un cer-to senso, serve di paradigma mondiale allenuove esperienze di interventismo statalenell’economia, proprie dei regimi totalitaridel decennio 1930-1940, come alle più con-sumate tecniche di sfruttamento delle for-me politiche democratiche ai fini della dife-sa sociale, proprie delle democrazie di oggi»(11).

Il proletariato ridotto ancoraa classe per il capitale

Che fine aveva fatto il movimento prole-tario di classe? Che fine avevano fatto il

movimento comunista e l’InternazionaleComunista?

La sconfitta della rivoluzione e del po-tere proletario e comunista in Russia, se-guita alla sconfitta del movimento proleta-rio e comunista europeo negli anni 1918-1923, lasciò il proletario non solo russo edeuropeo, ma mondiale, senza la guida rivo-luzionaria che lo aveva portato alla vittorianell’Ottobre 1917 e alla costituzione dell’In-ternazionale Comunista nel 1919. La vitto-ria delle classi borghesi sui proletariati diGermania, di Francia, d’Italia, d’Ungheria,di Polonia non fu dovuta a vittorie militariin campo aperto.

I poteri borghesi più forti al mondo, al-leati con le forze della reazione zarista, ten-tarono di rovesciare militarmente il poterebolscevico in una lunga guerra civile chenel 1921 terminò, ma con la vittoria dell’ar-mata rossa sugli eserciti bianchi: il potereproletario e comunista non fu battuto sulterreno militare; a batterlo furono le forzedell’opportunismo che prese il nome di sta-linismo e che condensò l’azione più chedecennale dell’opportunismo riformista esciovinista grazie al quale il proletariatoeuropeo, che poteva avere nel proletaritotedesco la sua più alta espressione di forzasociale ed economica antiborghese, fu de-viato dal suo percorso rivoluzionario e de-bilitato politicamente e organizzativamen-te. La crisi del 1929 e degli anni successivi,preceduta dal grande sciopero dei minatoridel 1926 in Gran Bretagna (sabotato dai sin-dacati inglesi capeggiati dai riformisti aiquali, per “ragioni di Stato”, il potere so-vietico in mano alla destra del partito bol-scevico, al fine di mantenere con la GranBretagna un rapporto economico ritenuto

( da pag. 9 )

Le crisi capitalistiche dell’Ottocentoe del Novecento

indispensabile visto il completo isolamen-to a livello mondiale, continuò a dare tuttoil suo appoggio), e dal tentativo rivoluzio-nario da parte del proletariato cinese del1927 (verso il quale la tattica stalinista del-l’I.C., con la direttiva data al partito comu-nista cinese di aderire al controrivoluziona-rio Kuomintang, contribuì alla sua cocentesconfitta) avrebbe potuto essere un’ulte-riore occasione per la ripresa rivoluzionariadelle classi proletarie del mondo, dando alleparole di Lenin sulla volontà del partitocomunista di resistere al potere anche pervent’anni in attesa del risveglio di classedei proletari d’Europa, un significato con-creto ed una conferma storica non solo del-la necessità della rivoluzione proletaria alfine di avviare la trasformazione generaledella società capitalistica in una società so-cialista, ma della reale guerra di classe delproletariato moderno contro le borghesiedi ogni paese in continuità storica con laComune di Parigi del 1871 edella Rivoluzio-ne d’Ottobre del 1917.

Grazie certamente alla forza di resisten-za delle classi borghesi capitalistiche deipaesi più industrializzati, capaci comunquedi adottare politiche economiche e socialiin grado di mantenere il controllo politico esociale nonostante le forti tensioni provo-cate dalla profondità delle crisi del loro si-stema economico, e grazie all’apporto deci-sivo per la conservazione sociale da partedelle forze opportuniste che dedicarono tut-te le loro energie perché la politica della col-laborazione tra le classi avesse successo, iproletariati dei paesi capitalisti furono ri-condotti sul terreno della complicità con leproprie classi dominanti, dopo che il terre-no dello scontro di classe e della rivoluzio-

L'IMPERIALISMO AMERICANO ALL'ATTACCO...( da pag. 9 )

Ma Trump, usando la sua aggressività come“strumento nazional-popolare” al fine di strap-pare concessioni sia agli avversari che ai partner(come sostiene Il Sole-24 Ore del 15.3.2018),aggiunge un’altra seria minaccia, che colpirebbein particolare la Germania, e cioè di aumentare idazi agli autoveicoli dell’industria tedesca.Indiscutibilmente le case automobilistiche tede-sche hanno un peso notevole non solo “in pa-tria” (il settore auto rappresenta il 20% dell’in-tera industria manifatturiera tedesca) ma ancheall’estero, e negli USA in particolare dove pro-ducono direttamente i propri veicoli. Secondo idati riportati dal Sole-24 Ore del 12.3.2018, ilsettore automotive tedesco nel 2017 ha espor-tato negli USA 494.000 veicoli (il 25% in menorispetto al 2013) ma ne ha prodotti negli stessiUSA 804.000 (+180.000 rispetto al 2013); l’in-dustria tedesca dà lavoro negli Stati Uniti a36.500 addetti diretti e ad oltre 80.000 lavora-tori tra l’indotto e i fornitori. In realtà ¼ delleauto tedesche esportate nel mondo provienedagli USA contro una quota dell’8% delle ven-dite di auto tedesche sul totale del mercato ame-ricano. In sostanza, gli USA pesano 3 volte tan-to rispetto a quanto la Germania non pesi negliUSA. Il 40% dei marchi tedeschi prodotti negliUSA è venduto negli stessi USA, il resto è espor-tato. Nel 2010 era l’opposto. I marchi di autotedesche più venduti sono ovviamente MercedesBenz, Volkswagen e BMW, e tutte e tre le caseautomobilistiche hanno impianti negli Stati Uni-ti, ma quel che sembra aver dato recentementepiù fastidio a Trump, e alle case automobilisti-che americane che lo sostengono, è il fatto che laBMW ha in programma di aprire nel 2019 unnuovo impianto – in particolare per i SUV serieX che vanno per la maggiore – in Messico.

Naturalmente alle minacce dell’amministra-zione Trump i paesi europei dell’UE insiemeagli altri paesi dell’ex patto commercialetranspacifico (il Tpp) rispondono proponendodi istituire una nuova associazione per abbassa-re i dazi reciprocamente. Ad esempio, 11 paesi,compresi quelli che Trump avrebbe al momento“esentato” dall’applicazione dei dazi su acciao ealluminio, e cioè:Australia, Brunei, Canada, Cile,Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda,Perù, Singapore e Vietnam, hanno costituito laCptpp (Comprehensive and ProgressiveAgreement for Trans-Pacific Partnership). Nel-l’accordo che questi paesi hanno sottoscritto,l’obiettivo principale è di tagliare le tariffe com-merciali tra i paesi membri. Gli USA facevanoparte del Tpp, ma lo scorso anno Trump avevaritirato il proprio paese, e così il gruppo di paesirimasto, di fronte alla nuova politica dei dazi diTrump, ha deciso di difendersi in qualche mododal protezionismo americano. Essi rappresenta-no insieme un mercato di mezzo miliardo di per-sone e che vale il 13,5% dell’economia globale(5); non si può certo pensare che questo gruppodi paesi formi un’unità economica e finanziariareale, ma qualche problema agli USA lo può si-curamente creare. La “guerra commerciale”, inquesto frangente lanciata dagli Stati Uniti so-prattutto ai partner commerciali di prima gran-dezza, trova al momento delle risposte moltoprudenti, e le cancellerie di Berlino, di Tokio, diParigi e di tutte le altre capitali interessate stan-no esplorando le diverse possibilità, ognuna persé, di concordare in negoziati mirati misure di“protezione” reciproche “accettabili” senza do-versi lanciare in una vera e propria guerra com-merciale senza esclusione di colpi. Nessun pae-se imperialista, oggi, è davvero pronto a rischia-re una guerra militare per difendere i propri inte-ressi nazionali e internazionali e i propri territo-

ri economici; ma la guerra commerciale, in regi-me capitalistico, porta inevitabilmente prima opoi allo scontro militare. La guerra, come dicevaVon Clausevitz, è la continuazione della politi-ca, con altri mezzi, appunto con i mezzi milita-ri. I contrasti interimperialistici che non solo leguerre regionali, in Medio Oriente, inAfrica, inAsia centrale, ma anche le politiche sempre piùaggressive di potenze imperialistiche di primagrandezza, come gli Stati Uniti, la Russia e laCina – politiche applicate direttamente o perinterposto paese – dimostrano che le crisi capi-talistiche, che la borghesia affronta con i mezziche la sua stessa organizzazione economica esociale le consente, vengono temporaneamentesuperate «da un lato con la distruzione coatta diuna massa di forze produttive; dall’altro con laconquista di nuovi mercati e con lo sfruttamen-to più intenso dei vecchi. Dunque, con qualimezzi? Mediante la preparazione di crisi piùgenerali e più violente e la diminuzione dei mez-zi per prevenire le crisi stesse» (6). Parole diMarx ed Engels, scritte centosettant’anni fa nelManifesto del partito comunista, tuttora limpi-de e preveggenti. Con lo sviluppo della grandeindustria, con lo sviluppo dei monopoli e dellaconcentrazione capitalistica, e con l’inevitabilesviluppo delle crisi del capitalismo sempre piùviolente, «vien tolto di sotto ai piedi della bor-ghesia il terreno stesso sul quale essa produce esi appropria i prodotti. Essa produce anzituttoi suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoriadel proletariato sono del pari inevitabili» (7).

La storia delle lotte di classe, della forma-zione e dello sviluppo delle società divise inclassi antagoniste, non si è mai lasciata piegaredalla volontà dei potenti delle diverse epoche;tantomeno avverrà per opera dei borghesi, perquanti sforzi e per quante guerre facciano permantenere il dominio di classe il più a lungo

possibile. La loro sorte come classe dominanteè segnata, come lo è stata quella dei poteri feu-dali e dell’antica società schiavista. Sarà il pro-letariato internazionale, la moderna classe de-gli schiavi salariati, a seppellire l’ultima dellesocietà divise in classi, la società capitalistica,attraverso la più tremenda e radicale rivoluzio-ne della storia umana.

(1) Cfr. Lenin, L'imperialismo ultima fase

ne proletaria era stato stravolto e inquinatopesantemente dallo stalinismo, e dopo chelo stalinismo – vera arma “segreta” dellacontorivoluzione borghese – eliminata fisi-camente la vecchia guardia bolscevica eschiacciati sotto una terribile repressionegli strati proletari che resistevano sul terre-no di classe e rivoluzionario, aveva riporta-to la piena vittoria nel paese che aveva co-nosciuto gli anni gloriosi della rivoluzioneproletaria e comunista internazionale. Que-sta sconfitta ha avuto effetti negativi sututto il corso storico successivo del prole-tariato mondiale, ben più vasti e prolungatinel tempo di quanto non ebbe la sconfittadella prima dittatura proletaria al mondo,quella della Comune di Parigi. Ne risentia-mo gli effetti ancor oggi.

(11) Ibidem.

IN SOSTEGNODELLA NOSTRA STAMPA

Lista 2018Milano: alla riunioneAD 50, RR 100, Ri 50,Ro 20, Lu 20, Lucy 20, resti 10; Livorno:Giovanni L. 50; Milano: alla spedizione delgiornale: Lu 500, RR 20, AD 10, resti 8,50;Treviso: Tullio 20; Napoli: Massimo 50;Cologne: Giovanni 10; San Fele: Antonio10; S. Martino Valle Caudina: Giuseppe20; Milano: RR 100, AD 50, resti 22,50;Seregno: Gianni 15; Milano: AD 50, RR100, sottoscrizione straordinaria 200, perposta 13,90, in francobolli 13,10+8,00, W4,35; Varese: Giuseppe 50; San Donà diPiave: Lu 500.

Sempre florida l'industria degli armamentiI dati più recenti forniti dal Sipri di

Stoccolma (International Peace ResearchInstitute) stimano la spesa mondiale per gliarmamenti in 1.686 miliardi di dollari nel 2016,con una crescita annua del 5% (ilsecoloxix.it).Gli USA restano il paese che spende più ditutti in armamenti: nel 2016 la spesa militare èstata di 611 mld $ (+1,7% sul 2015); al secon-do posto c'è la Cina, con 215 mld di $ (+5,4%sul 2015), al terzo posto la Russia con 69,2mld $ (+5,9% sul 2015); al quarto posto l'Ara-bia Saudita con 63,7 mld $ sebbene nel 2016vi sia stato un calo del 30%; al quinto postol'India, con 55,9 mld $ (+8,5% sul 2015). Imaggiori produttori di armi, neanche a dirlo,sono statunitensi: il primo in assoluto è laLockheed Martin con un fatturato di 40,8 mld$ (da cui l'Arabia Saudita ha acquistato per 15mld $ il sistema di difesa missilistica Thaad).In classifica seguono la Boeing e la Raytheon,con fatturati rispettivi di 29,5 e 22,9 mld $. LaRaytheon produce i missili Patriot di cui neha venduto 100 agli Emirati Arabi. Tra le pri-me dieci industrie belliche del mondo 9 sonoamericane e una europea (la Airbus Group,

con un fatturato di 12,5 mld $) in settimaposizione. Anche in Europa è aumentata laspesa militare, portata a 334 mld $, e si di-stingue l'Italia che guida gli incrementi deipaesi europei con l'11% del 2016 sul 2015!Evidentemente gli ottimi rapporti tra l'indu-stria degli armamenti italiana e il governo riem-piono di profitto le casse dell'industria bellicanazionale che esporta soprattutto aeromobili,bombe, siluri, razzi, missili e accessori perun valore complessivo di 10 mld di euro. Lespese militari complessive dell'Italia nel 2016sono state di 27,9 mld $, ponendola all'11posto nella classifica mondiale delle spesemilitari.

Armi per la "difesa nazionale" e per la"guerra" agli altri paesi: l'importante è accu-mulare profitti. Il capitale non chiede altro!

Alle solite parole di pace, di fratellanzatra i popoli, di solidarietà, di cooperazione, diogni governo e di ogni chiesa, i fatti della real-tà capitalistica rispondono con la violenza, laguerra, i massacri, le distruzioni in attesa di"ricostruire" per tornare a far profitto nell'or-renda spirale di morte!

del capitalismo, Minuziano Editore, Milano1946, cap. VII, p. 160.

(2) Ibidem, p. 160.(3) Ibidem, cap. X, pp. 204-206.(4) Ibidem, pp. 169-170.(5) Cfr. Quotidiano.Net, 8/3/2018, "Trump

firmerà i dazi su acciao e alluminio. Unidicipaesi si accordano senza Usa".

(6) Cfr. Marx-Engels, Manifesto del partitocomunista, Giulio Einaudi Editore, Torino1962, p. 108.

(7) Ibidem, pp.116-7.