LA RIFORMA DELLA SCUOLA E UN PARADIGMA DA...

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UNA LETTERA AI DOCENTI IL CURRICOLO VERTICALE: DALL’IDEA ALLA PRATICA “STUDENT VOICE”. NOTE A MARGINE DI UN CONVEGNO LO STUDIO DEL LATINO NELLA SCUOLA MEDIA LA RIFORMA DELLA SCUOLA E UN PARADIGMA DA CAMBIARE 1 SETTEMBRE 2015 Poste italiane S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Brescia Editrice La Scuola - 25121 Brescia Expédition en abonnement postal taxe perçue - tassa riscossa Pubblicazione mensile - Anno LXI -ISSN 0036-9861 La rivista professionale è uno strumento per l’autoformazione.

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  • UNA LETTERA AI DOCENTI IL CURRICOLO VERTICALE: DALL’IDEA ALLA PRATICA “STUDENT VOICE”. NOTE A MARGINE DI UN CONVEGNO LO STUDIO DEL LATINO NELLA SCUOLA MEDIA

    LA RIFORMA DELLA SCUOLA E UN PARADIGMA DA CAMBIARE

    1SETTEMBRE2015

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    003

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    La rivista professionale

    è uno strumento

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  • Sd

    editoriale

    1n. 1 • settembre 2015

    La riforma della scuola e un paradigma da cambiarePierpaolo Triani

    I primi giorni di luglio è stata approvata in via defi nitiva la legge “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Siamo in presenza, come avevo già avuto modo di osser-vare in un precedente editoriale, di un testo normativo All inclusive, non solo nella sostanza, ma anche nella forma in quanto nella sua veste defi nitiva si confi gura con un unico articolo suddiviso in ben 212 commi, molti dei quali a loro volta contenenti altri punti. La legge tocca perciò uno spettro molto ampio di temi, spazia infatti, per dare un’idea, dall’organico dell’autonomia all’e-dilizia scolastica, dalla formazione in servizio dei docenti all’istituzione del portale unico dei dati della scuola. Non si può, dunque, farne una lettura sommaria, ma occorre, al contrario, compiere un’analisi attenta che avvieremo nel pros-simo numero con una descrizione dell’impianto normativo nel suo complesso per proseguire poi, a partire dal numero 3 della rivista, con un commento di molti dei suoi contenuti, per metterne in luce i punti di novità, di forza e di problematicità.Non c’è dubbio che la legge appena approvata comporti alcuni cambiamenti rilevanti del sistema scolastico sul piano del funzionamento organizzativo, che toccano sul vivo la storia professionale dei docenti: la riforma del reclutamento con la cosiddetta chiamata diretta del dirigente scolastico; il riconoscimento economico agli insegnanti valutati dall’isti-tuzione scolastica di appartenenza come più meritevoli; la disponibilità di una somma individuale da investire nella for-mazione permanente. Si tratta di aspetti di cui si è discusso e si discuterà ancora molto, non privi al loro interno di elementi di criticità, la cui fattibilità e il cui reale impatto saranno sottoposti nei prossimi mesi alla prova dei fatti.Sul pianto dell’assetto ordinamentale e dell’impianto cur-ricolare l’intervento della riforma della ‘Buona scuola’ appare più contenuto. Per ora. Il testo infatti contiene numerose deleghe al governo che sebbene abbiano un confi ne più limitato rispetto al precedente disegno di legge, potranno modifi care notevolmente diversi aspetti del sistema, senza però un quadro unitario di riferimento. Una particolare attenzione andrà rivolta alle ben nove deleghe contenute nel comma 181, in una delle quali è prevista anche la revisione delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo.Nei 212 commi della legge sono state distribuite, con fre-

    quenza diversa, tutte le parole chiave dell’attuale pedagogia scolastica, ma il perno che sorregge il tutto sembra trovarsi con suffi ciente chiarezza già nei primi passaggi della legge alla fi ne del comma 1 quando si sottolinea che “la presente legge dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scola-stiche” e all’inizio del comma 2 dove si afferma che l’organiz-zazione delle scuole “è orientata alla massima fl essibilità, di-versifi cazione, effi cienza ed effi cacia del servizio scolastico...”.Rendere più funzionale la vita dei singoli istituti, sembra essere questo lo scopo fondamentale della legge e per rag-giungerlo essa punta su uno snellimento della procedura del reclutamento, su un maggior spazio di manovra dei dirigenti, su una più forte capacità di progettazione e di innovazione della scuola e dei suoi organismi collegiali, su una incentiva-zione del lavoro dei docenti secondo il principio del merito.Il funzionamento di un’organizzazione scolastica però dipende strettamente dalla cultura della professione inse-gnante che sta alla base. A me pare che senza una seria ri-forma prima culturale e poi operativa nel modo di intendere il lavoro docente non si tocchi un punto nevralgico della vita reale delle scuole. L’insegnamento è ancora visto come un lavoro sostanzialmente individuale ossia come ciò che il docente fa in classe individualmente con i suoi alunni. Se la scuola è un’istituzione educativa questo paradigma è insuffi ciente, l’insegnamento è una professione che richiede intrinsecamente un’azione collaborativa tra diversi docenti, che non può essere ridotta ad un aspetto marginale della professione. Non è indifferente assumere una visione indivi-dualistica oppure collaborativa dell’insegnamento: cambia il modo di gestire gli organi collegiali, di valorizzare le poten-zialità di ogni docente, di costruire ‘la squadra’. Nell’anda-mento generale che si snoda per i diversi commi la riforma sembra muoversi maggiormente nel solco di una visione tradizionale del docente, piuttosto che avere il coraggio di porre al centro un’identità professionale diversa, puntando sull’insegnamento come azione in cooperazione tra diverse adulti, singolarmente responsabili dentro un quadro comune che ha costanti momenti di confronto e co-progettazione.L’accenno al comma 3 della valorizzazione “della comu-nità scolastica con lo sviluppo del metodo cooperativo”, oltre ad essere concettualmente poco chiaro appare infatti molto debole nell’economia generale della legge. Occorre a mio parere, perciò, porre al centro un paradigma collaborativo, a partire dalla formazione in servizio.

  • sommario

    2 Sd n. 1 • settembre 2015

    1numerosettembre 2015 • anno LXI

    sito editore: www.lascuola.itsito rivista: scuolaedidattica.lascuola.it

    Editrice La ScuolaSd

    Mensile di problemi e orientamenti per la Scuola Se-condaria di I grado - Anno LXI - Direttore responsabile: Pierpaolo Triani - Autorizzazione del Tribunale di Brescia n. 100 del 3-10-1955.

    ISSN 0036-9861

    Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P.-D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Brescia.

    Direzione, Redazione, Amministrazione: EDITRICE LA SCUOLA S.p.A., 25121 Brescia, via A. Gramsci, 26 - Codice Fiscale e Partita I.V.A. n. 00272780172 - Tel. centr. 030 29 93.1 - Fax 030 29 93.299.

    Stampa: Vincenzo Bona 1777 S.p.A. - Torino.Contiene I.P.Uf cio Marketing: Editrice La Scuola, via A. Gramsci, 26, 25121 Brescia, tel. 030 2993290 - e-mail [email protected]

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    Direttore: Pierpaolo TrianiVicedirettore: Piero CattaneoCollaboratori proposte didattiche: Miriam Bertocchi, Emanuela Buizza, Monica Capuzzi, Evelina Chiocca, Francesco Cigada, Marina Cinconze,Samantha Cremonesi, Greta Del ni, Alesia De Martini, Luigi Fabemoli, Barbara Finato, Francesco Fornasieri, Paolo Nitti, Luciano Pace, Sonia Pase, Caterina Pavesi, Gabriella Salerno, Manuela Valentini.Curatrice lingua inglese: Amanda MurphyCuratore notiziario professionale: Mario FalangaRedazione: Giovanna Brotto, Annalisa Ballini Impaginazione: Elena Laura BrescianiSegreteria: [email protected] gra co: Studio Mizar, Bergamo Supporto tecnico area web: [email protected]. 0302993325In copertina: illustrazione di Monica Frassine

    La riforma della scuola e un paradigma da cambiare 1Pierpaolo Triani

    editoriale

    approfondimentiUna lettera ai docenti 5Gian Carlo Sacchi

    Il Curricolo verticale: dall’idea alla pratica 7Valentina Bazzardi

    Student Voice 12Vincenzo Cafagna

    Dal passato un ritorno? 15Marco Ricucci

    “Io sono se noi siamo” 22Sara Dallavalle

    Ridurre lo scarto tra apprendimenti attesi e risultati conseguiti 25Mario Mendica

    La programmazione 2014-2015

    Religione cattolica

    Luciano Pace

    Insegnare attraverso storie di vita 30

    Italiano

    Monica Capuzzi, Evelina Chiocca, Marina Cinconze

    “E riandammo a guardare le stelle” 33

    Italiano L2

    Paolo Nitti

    Indicazioni metodologiche 37

    Inglese

    Caterina Pavesi

    Ideas for the EFL classroom 40

    La proposta didattica

  • 3Sdn. 1 • settembre 2015

    nValutazione del dirigente scolasticoMario Falanga 87

    Ruolo del Collegio docenti e “Buona scuola”Cristina Lerede 89

    Verso una nuova governance? Maria Grazia Vinciguerra 91

    La gestione dei servizi a valenza educativaRemo Morzenti Pellegrini 94

    otiziario professionale

    Dsa/altri Bes: insieme a scuolaMarina Bottacini 83

    al passo di ciascuno

    Francese

    Emanuela Buizza

    Percorsi per la didattica del francese 42

    Tedesco

    Miriam Bertocchi

    Motivazione, consolidamento, potenziamento 45

    Spagnolo

    Paolo Nitti

    Proposte per la glottodidattica 48

    Storia

    Alesia De Martini

    Acquisire le competenze con la storia 52

    Geogra a

    Sonia Pase

    Abbracciare il mondo con un solo sguardo 55

    Matematica

    Greta Del ni

    Un modo per approcciarsi alla realtà 59

    Scienze

    Gabriella Salerno, Barbara Finato

    Se faccio, capisco 62

    Tecnologia

    Francesco Cigada

    Un anno di prodotti da costruire insieme 65

    Arte e immagine

    Francesco Fornasieri

    L’arte e la formazionedella persona 68

    Musica

    Luigi Fabemoli

    Viaggio nella musica 70

    Educazione sica

    Manuela Valentini, Samantha Cremonesi

    Corpo e psiche 74

    sapere di ScienzeL’utopia della LunaEva Filoramo 77

    z inetto digitaleE-book, mobile devices, App, cloud teaching, cloud learning... Maria Grazia Ottaviani 81

  • È necessario che il sistema formativo si riappropri di un’autonoma capacità progettuale, interagendo e anche scontrandosi con gli altri sistemi in una dialettica positiva, e dunque prendendo posizione rispetto al sistema economico, a quello mass mediatico, politico…

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  • approfondimenti

    5Sdn. 1 • settembre 2015

    Una lettera ai docentiGian Carlo Sacchi

    È la prima volta che un Presidente del Consiglio si rivolge direttamente ai docenti. Una grossa apertura di credito non solo verso la ca-tegoria alla quale il premier vuole restituire prestigio sociale, ma un messaggio al singolo per instaurare un dialogo diretto. Dopo che il governo ha messo la scuola al centro del suo programma, ed anche questo è abbastanza una novità, si va all’asse portante della sua realizzazione: i docenti. La scuola è una grande comunità, interna, dove c’è bisogno di condivisione tra tutte le componenti per quanto riguarda l’offerta formativa, ed esterna, attra-verso la sua capacità di far crescere la società in cui opera. Il fi lo conduttore di tali funzioni è nelle mani di chi è contemporaneamente custode dei saperi, costrut-tore della prospettiva educativa, collaboratore nelle relazioni sociali.Il destinatario della lettera sembra essere dunque il do-cente al centro, che il governo stesso intende ascoltare e non agire nei suoi confronti in senso punitivo. La Buona scuola − dice Renzi − c’è già: “siete molti tra voi”. Un messaggio di fi ducia che però nasconde qualche insidia. Se un governo vuole investire nei do-centi sul piano etico prima ancora che economico non ha bisogno di fornire rassicurazioni, ma semplicemente deve indicare gli obiettivi da raggiungere e le direzioni dell’impegno. I molti tra voi infatti fa capire che c’è da scegliere prima di arrivare alla piena valorizzazione e ciò si collega con quanto il disegno di legge dirà poi circa il merito ed i relativi incentivi che resta un problema delicato per il funzionamento di una comunità come quella scolastica che non può vedere alti e bassi in una professione che resta collegiale ed il cui risultato è dovuto non tanto all’eccellenza del singolo quanto all’azione del team.Da parte del governo c’è ascolto, afferma il presidente, ma alla così detta base non restano che i risultati di una consultazione online che si dice abbiano ispirato un provvedimento legislativo che dalla centralità del docente si è spostato sulla centralità del dirigente sco-lastico, con ampio potere sull’attività professionale dei singoli insegnanti e con una minore considerazione del “collegio” di professionisti, consultati ma esclusi dalle decisioni fi nali che riguardano lo specifi co delle scelte pedagogico-didattiche. Nessuno nega che il dirigente

    sia un leader educativo ed anche se sembra di più il terminale dell’azione istituzionale ci si domanda dove sia fi nita la “leadership diffusa” che sembrava la mo-dalità più effi cace per garantire alla scuola un governo democratico e qualitativamente più rispondente alle proprie fi nalità comunitarie.È il dirigente che sceglie i suoi collaboratori, forma i team da impiegare a seconda del curricolo intra-preso, attribuisce loro incentivi per merito, valuta i neoassunti: i docenti quindi fi niscono al centro, ma di una battaglia competitiva che cerca di decimare coloro che non vengono ritenuti adatti, più che valorizzare l’insieme portato da un buon equilibrio tra le diverse componenti nell’azione educativa.La lettera insiste sul fatto che non si tratta di prendere o lasciare: si può discutere, ma è diffi cile cambiare, vedendo la rigidità del dibattito parlamentare e con le parti sociali; quasi vien da chiedersi se durante le tante assemblee svolte nelle scuole certe cose non fossero già uscite e come fossero state considerate nella redazione fi nale dei documenti di governo e del predetto disegno di legge.

  • approfondimenti

    6 Sd n. 1 • settembre 2015

    Bisogna rimettere in sesto la formazione iniziale dei docenti, il conseguimento dell’abilitazione, insito nel percorso accademico, e la revisione delle classi di concorso (per la scuola media ad esempio sarebbe ora di considerare l’accorpamento per aree discipli-nari); le modalità di reclutamento e l’anno di prova che sia un vero e proprio apprendistato alla cattedra con valutazione fi nale. Ma questo sembra far parte di un provvedimento delegato e quindi per tempi più lunghi.

    Sulla formazione in servizio il premier ha sorvolato, ma non si può non apprezzare l’idea che venga con-siderata obbligatoria. Il come “mantenersi in forma” però fa parte dell’autonomia professionale e deve es-sere lasciata alle decisioni dei docenti stessi. Pensare da un lato ad un voucher individuale e dall’altro ad un percorso formativo standard sembra un po’ contraddit-torio; per quanto riguarda le risorse economiche poi, come avveniva in passato, esse possono rientrare nella contrattazione. Si tratta di accompagnare l’attività didattica con la formazione, ma soprattutto con la ricerca, facendosi aiutare dalle attività online, senza dimenticare l’im-portanza della “documentazione”. La formazione non si applica alla professione, ma nasce da essa come esigenza del “professionista rifl essivo”. Forse sarebbe il caso di prevedere nella legge la presenza di “centri di documentazione educativa” a livello territoriale (reti di scuole o in collaborazione con agenzie del territorio).Tutto questo però ha bisogno di una rilettura nel senso di maggiore autodeterminazione della “libertà di inse-gnamento”, e qui l’autonomia del docente deve entrare in quella degli istituti scolastici che tanto a parole si vuole potenziare. Stiamo a vedere i fatti, che do-vranno intrecciarsi con i provvedimenti relativi alla governance, fi no ad arrivare alla riforma del titolo V della Costituzione attualmente in discussione.La parola magica sulla quale ovviamente la lettera ricerca il consenso degli insegnanti è l’assunzione dei precari. I numeri sono sempre molto fl uidi e le diffi -coltà fi nanziarie rischiano di non riuscire a porre fi ne all’annoso fenomeno del precariato. Sono sicuramente importanti le affermazioni sul reclutamento per con-corso e la conclusione con gli organici dell’autonomia del fenomeno della supplenza. Se è auspicabile che sul piano organizzativo questa situazione di perdurante anomalia della condizione docente venga superata sarebbe interessante sapere per quale scuola questo personale verrà reclutato. Per ora abbiamo di fronte una legge con più centri che come dice “Tuttoscuola” è priva di un’idea guida deci-samente innovativa.

  • 7Sd

    approfondimenti

    n. 1 • settembre 2015

    1 R. Massa, Cambiare la scuola, Laterza, Bari 1997, p. 163.2 Il percorso che si andrà a descrivere in questo articolo ha il pregio di aver provato a rispondere a quelle domande che come insegnanti continuiamo a porci, agendo sull’unico strumento a nostra disposizione: la programmazione verticale di Istituto.3 L’idea di Curricolo verticale nasce in questi ultimi anni, ma è frutto di un lungo percorso, iniziato già negli anni Settanta con la L. 517/77. Ponendo fi ne al dibattito tra comunità laica e co-munità cattolica nella querelle tra “educazione” ed “istruzione” che pretendeva di attribuire il primato all’uno o all’altro aspetto, questa legge defi nisce i caratteri di comunità sociale e professio-nale che l’istituzione scolastica deve vestire.Un percorso che continua negli anni Ottanta con i programmi che defi niscono la scuola elementare come il punto di raccordo tra la scuola materna e la scuola media. Un momento fondamen-tale che pone le basi dell’autonomia, grazie al riconoscimento dell’importanza dell’apertura della scuola al territorio. Sarà la L. 59/1997 a trasformare il dibattito attorno alla scuola in chiave “verticale”. Sebbene la “Grande riforma” non sia mai stata attuata, ad essa non possiamo non riconoscere l’importanza che ha assunto nel contesto comune, ridefi nendo l’idea di scuola sia in termini di unicum verticale, sia in termini di autonomia, riconosciuta formalmente dal D.P.R. 275/99.Passaggi chiave, quelli appena descritti, per approdare poi alle Nuove indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 che invitano le scuole dell’Infanzia e le scuole del Primo Ciclo a defi nire – insieme – un percorso educativo e formativo che accompagni i propri ragazzi in un percorso di vita importante.4 Sede e luogo della sperimentazione descritta.

    Il Curricolo verticale: dall’idea alla praticaValentina Bazzardi

    Suonano attuali le parole di Riccardo Massa, a chi la scuola la vive in prima linea: ogni giorno ci si con-fronta con problemi legati al lento funzionamento della macchina burocratica, alle classi inadeguate, agli stru-menti obsoleti, ai fondi che vengono sempre più a mancare, in un contesto che va ad incidere sulla spinta innovativa e progettuale che le scuole – proprio per loro natura – dovrebbero avere. Negli ultimi mesi il dibattito è tornato in auge: si parla di scuole belle, di scuole sicure, si parla di stabilità, di riforme. Noi insegnanti sappiamo che i problemi della scuola non riguardano solo le assunzioni o l’edilizia scolastica; molto più profondamente essi toccano la vita ed il percorso di crescita dei nostri alunni che, con i loro problemi e la loro storia, vivono quotidianamente in un contesto che spesso non è in grado di fornirgli ciò di cui hanno bisogno. È sempre più diffi cile tradurre in cambiamenti concreti, con reale valore politico e so-ciale, quanto dichiarato nelle sedi istituzionali ed una domanda emerge provocatoria: “Cosa possiamo fare per incidere realmente nel percorso dei nostri ragazzi?”. A prescindere da ogni ragionevole diffi coltà concreta, credo sia legittimo sostenere che per rispondere alle sfi de sempre più emergenti, sia necessario focalizzare il dibattito sull’unico modello che – in quanto inse-gnanti – possiamo concretamente realizzare: quello della scuola del Curricolo verticale2.Negli ultimi anni, gli Istituti comprensivi sono stati invitati a stendere una programmazione verticale: i docenti della scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo de-vono progettare un percorso comune, defi nendo com-petenze disciplinari e trasversali3.Indubbiamente la richiesta di programmazione ver-ticale è nuova, non è mai stata realizzata prima e rischia di divenire l’ennesimo ostacolo che si somma alle diffi coltà a cui accennavamo poc’anzi. Il rischio che corrono gli Istituti è quello di formalizzare una richiesta sulla carta, senza riuscire a realizzarla in atto.

    Il Curricolo verticale è certamente uno strumento di-dattico molto potente. Ma come passare da quello solo “dichiarato” a quello agito e realizzato? Come rendere la pratica didattica davvero effi cace?

    Il Curricolo dichiaratoL’Istituto canossiano “Annunciata Cosi”4 ha sede a Rovato, in provincia di Brescia ed è gestito dalla Fa-miglia delle Figlie della Congregazione della Carità Canossiana. Ospita la scuola dell’Infanzia “Maddalena di Canossa” composta da 4 sezioni; la scuola Primaria formata da 6 classi con una doppia sezione al V anno e la scuola Secondaria di I grado con 3 classi con una sezione per anno. I docenti che lavorano all’interno dell’Istituto sono 24: 5 alla scuola dell’Infanzia, 9 alla scuola Primaria e 10 alla scuola Secondaria. Le classi sono formate principalmente da bambini e ragazzi residenti a Rovato o nei comuni limitrofi . All’interno

    “(...) La scuola non può che essere il rifl esso dell’agire sociale (...). Essa fa parte della realtà. Non può che riprodurre al proprio interno i limiti, le contingenze, le durezze e le crudeltà della condizione umana. Le battaglie della vita sociale”1.

  • approfondimenti

    8 Sd n. 1 • settembre 2015

    5 I dati in questione sono riferiti all’a.s. 2014/2015. Tuttavia, non si registrano signifi cativi cambiamenti dall’a.s. 2011/2012 in cui prende il via la sperimentazione. 6 Nell’a.s. 2011/2012 il percorso legato ai saperi disciplinari inte-ressò in modo particolare i docenti della scuola Primaria e della scuola Secondaria di primo grado, con la collaborazione del prof. Triani. La Commissione Continuità scuola dell’Infanzia-scuola Primaria si confrontò invece sulla realizzazione del documento “In viaggio versa la scuola Primaria” un protocollo che, ai tempi, defi niva gli step nel passaggio tra i due ordini di scuola.7 In modo particolare fu esaminato il curricolo delle discipline dei due ordini di scuola.8 M. Muraglia, Curricolo. Discipline, modelli, apprendimenti, Tecnodid, Napoli 2011, pp. 73-74. Vengono indicate tre ragioni esplicative nel diffi cile matrimonio tra competenze e scuola. La prima si ritrova nello “iato profondo che esiste tra apprendere scolastico e apprendere nella vita reale”; in seconda istanza ab-biamo “ragioni di ordine professionale, in quanto un approccio per competenze indica una sorta di rivoluzione copernicana per il docente nel ripensare il proprio ruolo e la propria azione”; ed infi ne troviamo ragioni di ordine istituzionale poiché “i più recenti cambiamenti introdotti nel sistema scolastico (..) ten-dono ad andare in direzione opposta rispetto alle esigenze di un approccio per competenze e a mortifi care l’impegno dei docenti in questa direzione”.

    della popolazione scolastica sono presenti alunni di-versamente abili e alunni stranieri (quest’ultimi sono il 7%, distribuiti soprattutto tra scuola dell’Infanzia e scuola Primaria)5.Ogni ordine di scuola è formato da un Collegio Docenti con un proprio coordinatore di riferimento. I tre coor-dinatori delle scuole formano il Consiglio di Direzione, mentre i docenti riuniti formano il Collegio Docenti Congiunto.Ruolo chiave, all’interno delle dinamiche che favori-scono lo scambio tra docenti, lo svolge la Commissione continuità: istituita nell’a.s. 2008/2009 è formata da insegnanti provenienti da ordini diversi con il compito di elaborare la documentazione di riferimento nel pas-saggio tra i diversi ordini di scuola. Se è vero, come sostiene Castoldi, che “la costruzione di un curricolo inizia guardandosi indietro” è corretto affermare che il lavoro svolto dalla Commissione conti-nuità negli anni 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011 ha posto i presupposti necessari per realizzare il Curricolo verticale di istituto. Fu durante l’a.s. 2011/2012 che, in seguito ad alcune sollecitazioni pervenute da parte dei docenti presenti

    nella Commissione continuità, il Consiglio di Direzione decise di intraprendere un percorso per rendere verti-cale ed omogeneo l’agire didattico quotidiano6.L’inizio del percorso non fu privo di diffi coltà: furono i docenti della scuola Primaria e della scuola Secondaria ad incontrare gli ostacoli maggiori. Inizialmente, infatti, il gruppo di insegnanti decise di analizzare il materiale prodotto negli anni precedenti7: l’obiettivo era quello di uscire dai confi ni defi niti dalle discipline e dai diversi ordini di scuola per approdare ad un percorso omogeneo e verticale. Si desiderava mettere in campo nuove metodologie, ricercando uno strumento in grado di rispondere al contempo a due esigenze: da un lato la necessità di trasmettere un sa-pere legato ai contenuti, dall’altro la trasferibilità dello stesso nella realtà di tutti i giorni.Tuttavia, più si proseguiva nella ricerca di un percorso disciplinare condiviso, maggiore era la sensazione di non riuscire a far collimare contenuti e competenze secondo la visione di base. Nelle discussioni che hanno animato gli incontri di quel periodo, come docenti spe-rimentammo quello che Muraglia defi nisce il diffi cile matrimonio tra scuola e competenze8.La soluzione per uscire da questo circolo vizioso ar-rivò nel momento in cui spostammo il baricentro della discussione dai contenuti didattici ai destinatari del nostro agire: gli alunni. Ci chiedemmo:

    • “Che tipo di cittadino desideriamo si formi nel nostro Istituto?” • “Quali caratteristiche hanno le discipline affi nché si possa favo-rire la promozione e la realizzazione di questa persona?”

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    approfondimenti

    n. 1 • settembre 2015

    Pro lo dello studenteFu la stesura del Profi lo dello studente a porre le basi per la costruzione del Curricolo verticale di Istituto. Il Profi lo dello studente divenne il frutto di un confronto nato attorno ad alcune importanti questioni educa-tive che come insegnanti non potevamo prescindere. Ognuno di noi, infatti, aveva l’occasione di osservare come una serie di fattori, quali la frammentazione so-ciale, la miriade di esperienze spesso senza una fi nalità progettuale, la poca propensione ad interrogarsi sulle emozioni e sulle scelte che i nostri alunni si trovavano a vivere quotidianamente rischiavano di svuotare di senso e di signifi cato la fi nalità dell’azione didattica disciplinare.Diveniva prioritario, quindi, elaborare un quadro di interventi in grado di sollecitare gli alunni a maturare esperienze scolastiche importanti, al fi ne di valorizzare le proprie potenzialità, ma anche le altrui molteplicità e maturare le competenze chiave di cittadinanza.Se da un lato la stesura del Profi lo dello studente defi nì l’orizzonte verso cui tendere, dall’altro divenne spon-taneo chiedersi come poter camminare verso questo traguardo. All’interno del gruppo di lavoro dei docenti nacque così l’esigenza di delineare una metodologia didattica condivisa, un quadro comune a cui far riferi-mento nella pratica quotidiana. Per fare questo, i docenti si suddivisero in tre gruppi (uno per ogni area disci-plinare: linguistico-espressiva; matematico-scientifi ca; antropologica) e, attraverso la compilazione prima, e la sintesi poi, di alcuni strumenti guida che andavano ad indagare il valore formativo delle discipline, furono elaborati i Principi ispiratori della didattica. Anche questo passaggio fu un momento chiave: in-terrogarsi formalmente e verticalmente sul senso del nostro agire generò un signifi cato profondo all’interno del gruppo docenti. J. Rifkin sostiene che una vera comunità è basata sull’empatia9. A ragione sostengo che siano la parte-cipazione emotiva, il senso di appartenenza profonda a rendere viva e concreta la proposta curricolare di un istituto. È in questo modo che la comunità di pratica dei docenti (che è anche comunità professionale) su-pera i confi ni del sé e, stabilendo legami, può realiz-zare pienamente il progetto professionale che ha per i suoi alunni.È a partire da questa visione ricca di sfaccettature che diviene più facile anche per la scuola proporsi come comunità del cambiamento, nella quale ognuno è considerato come “persona” e, in quanto tale, ha di-ritto a crescere, a sperimentare e a delineare il proprio progetto di vita.Una volta defi nito l’orizzonte e il mezzo con cui intra-prendere il viaggio, divenne più semplice interrogarsi

    a livello disciplinare sui contenuti, le abilità e le com-petenze da promuovere. Il Profi lo dello studente e i Principi ispiratori della didattica permisero al gruppo di lavoro di cambiare la domanda: da “Come fare scuola?” si passò a chiedersi “Come essere scuola?”. È così che il Curricolo verticale, nella sua parte dedicata alle discipline, riuscì a defi nire linee guida ed obiettivi condivisi divenendo un canovaccio nel lavoro dei sin-goli insegnanti.Il documento esprime la volontà di dare importanza e valore all’originalità di ogni singola materia, la quale può divenire uno strumento per arricchire ogni persona, in un contesto nel quale la verticalità del percorso ri-fl ette la verticalità del vivere il proprio progetto di vita.L’anno scolastico 2011/2012 si chiuse con la formaliz-zazione del Curricolo dichiarato che andò a raccogliere la documentazione elaborata in questo lungo percorso tra i docenti dell’istituto realizzandosi nel documento: “Accompagnare il percorso: una mappa di rifl essioni per la realizzazione del curricolo verticale”10.

    Il Curricolo agitoLa stesura formale del Curricolo verticale di istituto non è che il punto di partenza: da quel momento in avanti la sfi da per le comunità dei docenti diviene quella di porre in essere sperimentazioni che consen-tano di realizzare concretamente quanto dichiarato sulla carta.Durante l’a.s. 2012/2013 l’istituto continuò a lavorare per ordini di scuola suddivisi: da un lato i docenti della scuola dell’Infanzia e della scuola Primaria analizza-rono e discussero le ricadute del progetto “In viaggio verso la scuola Primaria”, cercando di modifi care in itinere i punti deboli di tale percorso ed elaborando al contempo un documento che andasse a certifi care le competenze in uscita dalla scuola dell’Infanzia, in linea con quanto dichiarato dal Profi lo dello studente. Contemporaneamente i docenti della scuola Prima-ria e della scuola Secondaria continuarono a lavorare suddivisi nelle tre aree disciplinari elaborando percorsi didattici, prove in uscita dalla classe V e griglie di certifi cazione delle competenze, sia disciplinari che trasversali. Un aspetto molto importante, sul quale convennero i docenti dei tre ordini di scuola durante le riunioni di programmazione, fu quello di non limitare il passaggio di consegne alla sola compilazione delle griglie, ma di creare momenti di confronto diretto per la descrizione delle stesse.

    9 J. Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, Milano 2010, pp. 165.10 www.canossianerovato.it

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    Quest’ultimo punto in particolare pone in evidenza il motivo per cui la scuola del Curricolo verticale è la scuola del nostro tempo: agire il curricolo signifi ca re-alizzare azioni didattiche che sappiano creare momenti che siano educativi per la comunità. Mentre la scuola si interroga sulla sua mission e defi nisce un percorso per i suoi studenti, educa un intero territorio.Anche per l’a.s. in corso12, accanto a momenti di for-mazione condivisi da tutti i docenti dell’istituto, conti-nuiamo a mantenere una progettazione didattica ver-ticale. Il tema scelto dai docenti è “Nutriamo il mondo: cibo, cultura, valori”13. Nell’anno di EXPO, obiettivo dell’isti-tuto è quello di porre l’attenzione sulle molteplici realtà che servono a nutrire la vita dell’uomo. I docenti dei tre ordini di scuola si trovano mensil-mente per programmare percorsi condivisi, mentre le classi della scuola Primaria lavorano su progetti riferiti al tema trasversale, sia con gli alunni iscritti all’ultimo anno della scuola dell’Infanzia sia con i ragazzi della scuola Secondaria di I grado. I prodotti culturali elabo-rati saranno presentati alla città di Rovato in una gior-nata nella quale gli studenti – contemporaneamente – usciranno sul territorio e apriranno al territorio le porte della loro scuola.

    Criticità e potenzialità del percorso L’azione didattica fi n qui descritta non manca di criti-cità. Agire un curricolo non è semplice, nemmeno per chi è stato l’autore dello stesso curricolo dichiarato. Da un questionario somministrato agli insegnanti du-rante l’a.s. 2013/2014 emerge come, pur ritenendo ar-ricchente la programmazione verticale dal punto di vista didattico, i docenti ancora fatichino a realizzare, nella propria pratica quotidiana, Unità di Apprendi-mento che guardino principalmente alle competenze espresse nel Profi lo dello studente. Da più parti, emer-gono inoltre le diffi coltà che genitori e territorio dimo-strano nel comprendere profondamente il nuovo volto che la scuola dovrebbe assumere.Tuttavia penso che il percorso descritto racchiuda an-che alcuni meriti. In linea con la normativa vigente, l’istituto Canos-siano ha destrutturato alcune rigide visioni – che per molti anni hanno caratterizzato gli ordini di scuola – in favore di un’idea verticale di scuola che ha come

    Un punto debole nella programmazione verticale re-stava la netta suddivisione tra scuola dell’Infanzia e scuola Primaria da una parte e scuola Primaria e scuola Secondaria di I grado dall’altra. Se da un lato, infatti, essa veniva percepita come “naturale” (la program-mazione disciplinare è un aspetto proprio del I ciclo), dall’altro questa frammentazione era avvertita dai do-centi come un limite per la progettazione di istituto. Un aiuto importante lo fornì Matteo Corradini che se-guì tutti i docenti dell’istituto in un corso di formazione verticale a settembre 2013. Durante questo corso gli insegnanti scelsero un tema trasversale da affrontare durante l’a.s. 2013/2014 e progettarono un percorso verticale e interdisciplinare che permise al gruppo degli insegnanti di lavorare sulla promozione delle compe-tenze in uscita espresse dal Profi lo dello studente. Ciò che si è riusciti a realizzare come istituto è peculiare. Innanzi tutto si è concretizzato un percorso di vertica-lità agita tra gli studenti: i percorsi ideati, infatti, preve-devano proposte di lavoro per classi aperte e verticali. In secondo luogo scuola Primaria e scuola Secondaria di I grado hanno iniziato a progettare per gruppi misti, favorendo il potenziamento di una didattica interdi-sciplinare.Infi ne, un modus operandi di questo tipo ha permesso all’istituto di elaborare prodotti culturali spendibili sul territorio: gli alunni, chiamati ad avere un rapporto diretto ed immediato con i saperi disciplinari, devono essere in grado di mettere in atto quelle competenze chiave di cittadinanza (imparare a dialogare, imparare a discutere11, imparare ad imparare, ecc.) necessarie per la scelta dei contenuti, per la collaborazione con i compagni, per la gestione del tempo e dello spazio da cui dipenderà tutta la riuscita del lavoro che sarà presentato all’intera città di Rovato.

    11 Ivi, p. 114: “Il saper discutere (...) è utile non solo indi-vidualmente ma anche collegialmente per costruire campi di conoscenza cumulativi e progressivi”. La competenza è un’in-tegrazione di queste componenti, per questo si dice che sia complessa ed evolutiva. 12 L’anno scolastico in cui si scrive è il 2014/2015.13 www.canossianerovato.it

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    obiettivo la formazione e l’educazione di ogni singolo alunno e vede nella didattica verticale e interdiscipli-nare il mezzo per la sua realizzazione. L’elaborazione di prodotti culturali induce i ragazzi a trasformare in pratiche laboratoriali ciò che hanno ap-preso in forma teorica. La didattica verticale è un ponte tra la rifl essione e la sperimentazione, tra il sapere teorico e le sue ricadute nella vita quotidiana. Pregio del Curricolo verticale è la possibilità di strutturarsi in una visione antropocentrica che non mette l’alunno al servizio del mondo del lavoro o della produttività, ma invita i suoi studenti a compiere un percorso di crescita e di sperimentazione, nel quale si avrà la possibilità di mettersi in gioco, sotto l’attenta guida dei docenti.Infi ne, vi è l’aspetto riguardante il momento valuta-tivo. La valutazione del Curricolo verticale diventa peculiare, poiché guarda alla crescita del ragazzo e alla sua trasformazione nel corso del tempo, valutando i progressi fatti in un’ottica di tipo personalizzato. La logica che fonda il Curricolo verticale non ragiona solo su prove di tipo oggettivo, ma anche sulle strategie, sull’atteggiamento, sulle modalità che un ragazzo ha imparato nel tempo ad utilizzare. Essa prevede un ra-gionamento che tenga in considerazione sia lo sviluppo del ragazzo sia il percorso da lui intrapreso. Perciò, pur contemplando test e prove di verifi ca come momenti valutativi, è in grado di contestualizzarli, di spiegarli e di interpretarli, ponendo i docenti dei diversi ordini di scuola in costante dialogo.

    ConclusioniSappiamo che la scuola italiana non gode di ottima salute: come dichiara il rapporto Nazionale OCSE/PISA 2012, gli studenti italiani si collocano sotto la media dei loro coetanei residenti in altri Paesi anche se, rispetto agli anni passati, si registrano miglioramenti14.

    Viene spontaneo chiedersi se questi miglioramenti siano dovuti ad un progressivo adeguamento della pratica didattica alle prove Invalsi o se invece vi sia un reale progresso nell’acquisizione delle competenze disciplinari. Tale affermazione ha un senso poiché il malessere della scuola italiana non è dato solo da problematiche di tipo statistico: abbiamo detto di come le cronache tendano a rilevare solo gli aspetti avversi legati al mondo scolastico, troppo spesso causati dai continui cambiamenti di rotta che la scuola – e chi in essa opera – deve sopportare. Al di là delle novità dell’ultimo minuto, credo ferma-mente che gli ultimi anni abbiano contribuito molto alla crescita dell’istituzione scolastica. La scuola del Curricolo verticale, che fi nalmente va delineandosi anche all’interno delle normative, è la rappresenta-zione di qualcosa che non solo è nuovo, ma è anche migliorativo.Essa è desiderosa di formare cittadini educati ed istruiti e deve riacquistare la sua importanza e riaffermare la sua centralità nell’agire sociale. Così facendo, essa può divenire luogo di umanizzazione, di cittadinanza, di impegno nei confronti del territorio.In questo continuo movimento dialettico di crescita e di miglioramento, la scuola del Curricolo verticale consegna agli insegnanti, ai dirigenti, alla comunità educante una grande possibilità: quella di prendere in mano le redini del futuro per provare ad indirizzare il proprio cammino, ritrovando all’interno della Costi-tuzione e dei valori che accomunano le nostre città, i punti di riferimento verso i quali dirigersi.

    14 http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/fo-cus031213, i dati sono riferiti agli studenti quindicenni della scuola Secondaria di II grado, ma evidentemente non prescin-dono il percorso di studi precedente.

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    Student VoiceNote a margine di un convegnoVincenzo Cafagna*

    Questo passo, tratto da un libro del 1994 giunto in Francia alla sua ottava edizione e di cui è in prepa-razione l’edizione italiana (Cafagna, 2015), introduce bene la questione fondamentale che è stata al centro del convegno “Student Voice. Prospettive internazio-nali e pratiche emergenti in Italia”2, tenutosi a Bari il 9 aprile dello scorso anno, organizzato e coordinato da Chiara Gemma, docente di Didattica generale presso l’Università di Bari, con il coinvolgimento della Società Italiana di Pedagogia, dell’Apred e dell’Irase Bari.A partire da quanto emerso nel corso di quel convegno, svolgiamo di seguito alcune brevi rifl essioni. La questione della Student Voice può essere riformulata e proposta in questi termini: può l’insegnamento, oggi, sia in vista del processo di comprensione e formalizza-zione della sua natura sia nell’ottica del miglioramento

    delle pratiche didattico-educative, focalizzarsi solo sui contenuti da trasmettere, sulla considerazione delle infl uenze del contesto ambientale e sull’imprescindibi-lità dell’insegnante e della sua formazione (aspetti tutti rilevantissimi), escludendo però il ruolo dello studente come protagonista attivo, coinvolto e responsabile?Secondo Alison Cook-Sather, coordinatrice internazio-nale del movimento Student Voice e presente al conve-gno con un video-intervento dalla Pennsylvania, tale questione è legittimata nella sua ragion d’essere da una constatazione: vi è “qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel costruire e ricostruire un intero sistema senza prestare mai ascolto a coloro per i quali verosi-milmente tale sistema viene edifi cato” (Cook-Sather, 2002, p. 3). A corroborare questa forma di legittima-zione intrinseca intervengono, inoltre, alcuni esiti di ricerca ormai acquisiti: “quando gli studenti sentono che le loro storie, culture e aspirazioni vengono igno-rate, disconosciute o denigrate dalla scuola e dal cur-ricolo, essi sviluppano ostilità verso la scuola come istituzione” (Smyth, 2006, p. 279), mentre “quando i ragazzi ritrovano le loro realtà e i loro discorsi sulla scuola rifl essi nel curricolo, essi si impegnano mag-giormente nello studio e ottengono maggiori successi scolastici” (Shields, 2003, p. 122).È interessante qui, oltre che doveroso, a nostro av-viso, inquadrare questa legittimazione, e in tal modo rafforzarla ulteriormente, all’interno delle nuove linee tracciate dalla ricerca didattica nell’ultimo trentennio. È in esse, infatti, che la Student Voice affonda, almeno parzialmente, le sue radici, mostrando di avere, oggi, pieno diritto di cittadinanza. Indubbiamente, fra gli altri aspetti, essa è legata alla centralità che il concetto di pratica viene assumendo, sul fi nire degli anni Set-tanta, nell’ambito della ricerca didattica e pedagogica;

    * Università degli Studi “Aldo Moro”, Bari.

    1 P. Perrenoud, Métier d’élève et sens du travail scolaire, ESF, Paris 2013, p. 26, (traduzione nostra).2 Il convegno in oggetto è stato preceduto di qualche mese dalla signifi cativa pubblicazione: V. Grion, A. Cook-Sather (a cura di), Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia, Guerini Scientifi ca, Milano 2013.

    “In una classe in cui il silenzio non è regola sovrana, venti volte al giorno, l’insegnante interrompe le conversazioni dei bambini per invitarli a parlare. Egli interrompe una comunicazione motivata e motivante per cercare di instaurarne un’altra, su di un tema sicuramente più legittimo ai suoi occhi e, soprattutto, all’interno di una rete nella quale egli occupa la posizione centrale. Se il suo intento è, giustamente, quello di stimolare la comunicazione e l’espressione orale, la sua strategia lascia a desiderare...”1.

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    così come è legata al nuovo ruolo che, a partire da questa centralità, vengono a rivestire i soggetti diret-tamente coinvolti nel processo didattico, un ruolo più attivo e costruttivo anche rispetto al sapere; e infi ne, in modo ancor più particolare, è legata ad un concetto esso pure profondamente rivisitato rispetto al passato: intendiamo il concetto di “testimonianza” (cfr. Lockey, Sosa, 2006; Lackey, 2008; Vassallo, 2011).Come è noto, benché sia evidentemente rilevantissimo il ruolo giocato dalla testimonianza nell’avanzamento della conoscenza scientifi ca, nonché, più in generale, nelle nostre principali e più vitali attività quotidiane, per secoli e secoli le teorie epistemologiche hanno pri-vilegiato in via esclusiva come fonti della conoscenza la ragione o la percezione dei sensi. Ancora fi no a qualche decennio fa, pochissimi erano gli approcci epistemologici che affi ancavano a queste due fonti più consultate – e comunque imprescindibili – il ruolo della testimonianza, cominciando così a mostrare una certa consapevolezza dell’importanza che essa riveste nei processi di costruzione della conoscenza. Oggi, nel solco di questa nuova impostazione, non pochi studiosi guardano sempre più fondatamente alla testimonianza non più come ad un qualcosa da cui si è costretti a dipendere, e quindi da limitare, da circoscrivere al massimo, ma come ad una fonte di conoscenza auto-suffi ciente e tutt’altro che secondaria. Sul piano della ricerca didattica ciò ha signifi cato l’apertura ad un’in-terpretazione dell’insegnamento fondata anche sulla testimonianza delle fi gure coinvolte: gli insegnanti in-nanzitutto (cfr. Damiano, 2006; Laneve, 2005, 2009), ma anche, più recentemente, gli studenti (cfr. Gemma, 2010, 2011, 2012; Laneve, Gemma, 2013).Ora, rispetto a questa ricostruzione, la Student Voice compie un ulteriore passo avanti: non si tratta solo di ascoltare gli studenti, in qualità di testimoni, ov-vero di fonti primarie della ricerca didattica, ma anche di conseguire una loro partecipazione collaborativa e responsabile. A livello internazionale, infatti, la pro-spettiva Student Voice – che, ricordiamo, in ambito anglosassone sperimenta i suoi primi approcci negli anni Settanta per consolidarsi nel corso degli anni No-vanta – appare attualmente concentrata sulla delicata fase di passaggio dall’ascolto degli studenti ad una loro piena e attiva partecipazione e collaborazione (partnership), fondata e al contempo fi nalizzata ad una loro corresponsabilizzazione. Insomma a quella che, nel corso del convegno citato, è stata più volte defi nita “leadership condivisa”. La questione cruciale che qui sembra emergere è, a nostro avviso, la seguente: quali sono i presupposti, teorici, pratici e istituzionali, su cui fondare tale relazione collaborativa e a pari responsa-bilità tra insegnanti e studenti?

    Per quanto riguarda l’Italia molto c’è da lavorare e non poche criticità da affrontare, alcune di carattere più ge-nerale, altre più peculiari della situazione scolastica e giovanile italiana. Intanto, però, il convegno barese ha costituito senz’altro il primo momento fondamentale per la Student Voice italiana, sotto il profi lo istituzio-nale ed anche operativo: istituzionale, perché l’occa-sione ha visto, alla presenza di Simonetta Ulivieri, pre-sidente della Siped, il riconoscimento presso la Società Pedagogica Italiana di un Gruppo di ricerca “Student Voice”, coordinato da Chiara Gemma e Valentina Grion (Università di Padova); operativo, perché le due coor-dinatrici – dinanzi ad un nutrito pubblico composto da ricercatori, insegnanti, dirigenti scolastici, ma anche e soprattutto da studenti – hanno concretamente dato il via ai lavori proponendo alle scuole una serie di pro-getti percorribili nella prospettiva Student Voice.Dicevamo delle non poche criticità da affrontare. Due in particolare, a nostro avviso. La prima è rappresen-tata dalla corresponsabilizzazione degli studenti nel ripensare e ricostruire il curricolo scolastico attraverso la negoziazione. Più che una criticità, questa – che è l’autentica richiesta di Student Voice: un’assunzione di responsabilità dell’essere studente – costituisce una sfi da molto impegnativa, in quanto responsabilizzare non è semplicemente decidere di attribuire una respon-sabilità, ma è far avvertire una responsabilità, il che richiede una non facile operazione di coinvolgimento e di motivazione degli studenti rispetto a cui la pur ferrea volontà dei singoli insegnanti e persino delle scuole coinvolte potrebbe rivelarsi insuffi ciente. La seconda criticità, invece, argomentata da Cosimo Laneve nel

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    Riferimenti bibliografi ci

    • A. Cook-Sather (2002), Authorizing Students’ Perspectives: Toward Trust, Dialogue, and Change in Education, “Educational Researcher”, 31 (4), pp. 3-14.• E. Damiano (2006), La nuova alleanza. Temi, problemi, prospet-tive della nuova ricerca didattica, Editrice La Scuola, Brescia.• C. Gemma (2010), Quando il silenzio diventa parola: scritture dal banco, “Quaderni di didattica della scrittura”, 10, pp. 45-59.• C. Gemma (2011), Scrittura e memoria. La parola allo studente, Erickson, Trento.• C. Gemma (2012), Lo sguardo dello studente. Fotogrammi di vita scolastica, Pensa Multimedia, Lecce.• V. Grion, A. Cook-Sather (a cura di) (2013), Student Voice. Prospettive internazionali e pratiche emergenti in Italia, Guerini Scientifi ca, Milano.• J. Lackey (2008), Learning from Words: Testimony as Source of Knowledge, Oxford University Press, Oxford.• J. Lackey, E. Sosa E (eds.) (2006), The Epistemology of Testimony, Clarendon Press, Oxford.• C. Laneve (2005), Analisi della pratica educativa. Metodologia e risultanze della ricerca, Editrice La Scuola, Brescia.• C. Laneve (2009), Scrittura e pratica educativa. Un contributo al sapere dell’insegnamento, Erickson, Trento.• C. Laneve, C. Gemma (2013), Raccontare dalla cattedra e dal banco. Un contributo alla formazione e all’analisi dell’insegna-mento, Mimesis, Milano.• P. Perrenoud (2013), Métier d’élève et sens du travail scolaire, Esf, Paris.• P. Perrenoud (2015), Mestiere di studente e senso del lavoro scolastico, Cafagna Editore, Barletta.• C.M. Shields (2003), Dialogic Leadership for Social Justice: Overcoming Pathologies of Silence, “Educational Administrative Quarterly”, 11 (1), pp. 111-134.• J. Smyth (2006), “When Students have Power”: Student Engagement, Student Voice, and the Possibilities for School Reform around “Dropping Out” of School, “International Journal of Leadership in Education: Theory and Practice”, 9 (4), pp. 285-298.N. Vassallo (2011), Per sentito dire, Feltrinelli, Milano.

    corso del convegno, riguarda la necessità di una costru-zione della Student Voice. Essa, infatti, non è innan-zitutto un sapere, quanto piuttosto un saper-fare, un saper-dire, da costruire all’interno di una prospettiva di ricerca, che in Italia fatica ad affacciarsi, centrata più ampiamente sulla vita dello studente (Student Life). È certo necessario che lo studente venga ascoltato, ma non è suffi ciente: bisogna, prima di tutto, che egli apprenda a saper-dire. E tale apprendimento è l’esito di un concorso di fattori “endogeni”, ma anche e so-prattutto “esogeni” rispetto alle dinamiche scolastiche. Ecco perché Student Voice, in Italia, è senz’altro uno scommettere sugli studenti e sulle scuole, ma coin-volgendo necessariamente le istituzioni e le politiche educative e giovanili del nostro Paese.

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    Dal passato un ritorno?Lo studio del latino nella scuola MediaMarco Ricucci*

    PremessaI tempi moderni, per citare il titolo di un celebre fi lm di Charlie Chaplin, riportano alla ribalta cose antiche come la lingua latina: da ultimo, in questo confronto tra antichità e modernità, si segnala un argomentato contributo di Ivano Dionigi, classicista e Magnifi co Rettore dell’Ateneo bolognese, apparso su “La Repub-blica” del 22 dicembre 2014: egli spiega perché sarebbe meglio, a livello linguistico, “twittare” in latino invece che in inglese... senza addentrarci in questa querelle intellettualistica degna di un elzeviro che non stenterei a defi nire in lingua inglese “witty”, interpreto, invece, questo fatto all’interno di una temperie culturale che caratterizza i tempi in cui viviamo: come a volere dire, nel caso nostro, che anche il latino, azzoppato nel 1962 in Italia e abolito nel 1977 in modo – quasi – defi nitivo dalla legislazione scolastica inerente la scuola media, “resuscita” negli anni Duemila1 fi no a diventare una questione di interesse nazionale grazie all’interessa-mento della Consulta Universitaria degli Studi Latini, come vedremo, proprio per una nuova vitalità della lingua morta nella scuola Secondaria di primo grado.Se è possibile sintetizzare con una domanda-slogan “latino perché? latino per chi?”2 il confronto tra gli addetti ai lavori, nell’opinione pubblica che non deve mai essere sottovalutata, la querelle è, ulteriormente semplifi cata, anzi semplicisticamente congegnata, in questi termini: “latino sì, latino no”. Due esempi di questo atteggiamento massmediatico sono altamente eloquenti, a cominciare dalla posizione di un notissimo e seguitissimo giornalista televisivo, Bruno Vespa, il quale, nel 2012, auspicava l’abolizione dello studio del greco antico, insegnato come materia obbligatoria e fondante per quattro ore alla settimana (solo lingua) al biennio e per tre ore alla settimana (letteratura e lingua) al triennio del liceo classico, per il fatto di costituire una grande diffi coltà per i giovani dei nostri giorni3.Il giornalista Stefano Bartezzaghi, dal canto suo, nel 2013, ha risposto a una lettera inviata a “La Repub-blica”, uno dei maggiori e più autorevoli quotidiani italiani a tiratura nazionale, da un lettore, il signor Chiassarini, che da padre lamentava lo studio della lingua latina come inutile per la formazione del proprio

    fi glio iscritto al primo anno di un liceo scientifi co, dove la lingua ciceroniana viene insegnata “appena” per tre ore a settimana a vantaggio di matematica, scienze e chimica e fi sica. Ma la cosa sorprendente era che era proprio il fi glio a “difendere” il latino nei confronti del padre, triste perché il fi glio “ama l’inutile latino”4!

    * Dottore di ricerca, è docente di ruolo nella scuola Media. Collabora con l’USR per la Lombardia al progetto della

    Certifi cazione Linguistica Latina.

    1 Per esempio vedi i seguenti articoli giornalistici: http://ar-chiviostorico.corriere.it/2004/marzo/15/Svolta_nelle_scuole_alle_medie_co_7_040315050.shtml; http://milano.repubblica.it/dettaglio/effetto-tagli-nella-scuola-media-lora-di-latino-si-pa-ghera-70-euro/1647064.2 Lapalissiano è il riferimento: A. Traina, Latino perché? Latino per chi?, “Nuova Paideia” 5, 1983, pp. 44-48, poi in A. Traina, P. Perini, Propedeutica al latino universitario, Patron, Bologna 1992.3 Bruno Vespa, giornalista della RAI e scrittore, conduce da anni un talk-show di grande audience e ha scritto un editoriale su una nota rivista italiana: “la lingua greca è troppo ostica per la mag-gior parte degli studenti perché possano mai assaporare davvero in originale i versi di Omero, i Dialoghi di Platone, le commedie di Aristofane, le favole di Esopo (...) non hanno senso gli studi immutabili nel tempo. Sostituire lo studio della lingua greca con quello di una lingua moderna può essere soltanto di giovamento ai nostri ragazzi. E approfondire lo studio della matematica e delle scienze anche al classico è sempre più indispensabile. I miei compagni di liceo di una bellissima classe sono diventati avvocati e professori di lettere, ma anche ottimi medici, chimici, fi sici, ingegneri. La scuola deve aggiornarsi e Omero non ce ne vorrà se lo studiamo solo nelle splendide traduzioni disponibili”. (B. Vespa, Fuori Porta, “Panorama”, 7/02/2012, p. 31).4 S. Bartezzaghi, ‘Pater optime, ubi est mensa pauperorum?’ Il latino e l’opinione pubblica contemporanea, “Latinitas”, 1, 2013, pp. 179-185.

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    Cenni storici sul dibattito

    Se la lingua latina con la sua cultura aveva una in-dubbia valenza formativa, con quale altra materia si sarebbe potuta sostituire?Da una parte si schierarono le forze progressiste (Par-tito Repubblicano, Socialdemocratico e Comunista) per destinare l’insegnamento del latino solo nella scuola Superiore, mentre le forze conservatrici (Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Movimento Sociale Italiano) sostenevano il mantenimento del latino come materia alla scuola media, nel timore di un livellamento al ri-basso della cultura e della civiltà della nazione.Divampò, allora, un lungo e articolato dibattito sull’in-segnamento del latino a scuola tra latinisti e peda-gogisti che assunse anche connotati politici, facendo “schierare” i partiti: il centro-destra si pose su una li-nea di difesa del latino, rappresentando una tradizione che voleva conservare ciò che dell’impianto gentiliano aveva lasciato inalterato, la riforma Bottai del 1939; la sinistra, invece, con qualche dissenso all’interno, ne

    5 F. Waquet, L’impero di un segno (XVI-XX secolo), Milano 2004, pp. 251-254.6 Per una sintesi sul dibattito pedagogico e l’iter legislativo sul latino e l’istituzione della scuola Media unica: E.M. Bruni, Greco e Latino. Le lingue classiche nella scuola italiana (1860-2005), Armando, Roma 2005, pp. 131-154.

    “Dal Rinascimento agli anni centrali del Novecento, la storia della cultura occidentale può essere scritta nel segno del latino. La stessa lingua regnò nella scuola, si fece sentire nella chiesa, almeno nei paesi cattolici, e sino al XVIII secolo fu il veicolo principale del sapere nelle sue forme dotte. Anche quando il la-tino perdette di importanza, per esempio nella scuola degli anni intorno 1950, rimase comunque, e dappertutto, un elemento del contendere (...). A questo punto si pone in tutta evidenza una domanda: a che scopo il latino? Se la padronanza della lingua non era il vero obiettivo da raggiungere, per quali ragioni si pro-seguì, e per un lungo periodo, a studiarlo? Cosa ci si attendeva da questo studio, e come lo si giustifi cò? Al di là degli effetti indotti dal suo insegnamento, quale fu il ruolo assegnato alla lingua di Roma nella società moderna? Insomma, tra funzionamento e ra-gion d’essere, tra pratiche e discorsi, tra realtà e rappresentazioni, che legittimità aveva ormai il latino? Il ‘problema del latino’, lo si sarà capito, non può essere risolto nel solo dibattito pedagogico. Converrà a questo punto cambiare prospettiva, se si vuole cogliere pienamente ciò che, nel mondo occidentale, volle dire il latino”5.

    Tale questione si pose con tutta la sua forza in Italia proprio in quegli anni, centrali, sopra menzionati...Tra la fi ne della Seconda guerra mondiale e gli inizi degli anni Sessanta, infatti, l’alunno italiano, uscito da cinque anni di scuola elementare, aveva di fronte a sé un bivio: la scuola Media e la scuola di Avviamento, e questa scelta molto spesso era fatta a partire dal censo sociale della famiglia.In quegli anni c’era un dibattito non solo a livello pe-dagogico tra cattedratici e docenti, ma anche a livello politico, perché le forze di sinistra e progressiste dell’I-talia alimentavano l’idea di dare maggiore compimento al disegno egalitario della Costituzione italiana: la Re-pubblica, nata uffi cialmente il 1 gennaio 1948 sulle ceneri del Regno di Italia che aveva visto in poco più di cento anni l’unifi cazione territoriale, la instaurazione di una monarchia costituzionale, la dittatura del regime fascista, lo stato totalitario.

    “Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i ca-merieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presuppo-sto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente. La lingua latina e greca si imparava secondo grammatica, meccanicamente; ma c’è molta ingiustizia e improprietà nell’accusa di meccanicità e di aridità. Si ha a che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza anche fi sica, di concentrazione psichica su determinati soggetti, che non si possono acquistare senza una ripetizione meccanica di atti disci-plinati e metodici”.

    Si voleva quindi eliminare la scuola di Avviamento, permettendo al cittadino di domani una formazione omogenea e non socialmente selettiva, in base al det-tato costituzionale che proclamava l’obbligo scolastico per otto anni, universale e gratuita.Ma la questione, dunque, per il momento, in attesa di ulteriori sviluppi più coraggiosi con una situazione politica più matura, si poneva in questi termini: il la-tino doveva essere parte del curricolo scolastico della Media unica6?Nella generazione di uomini e donne uscite dal con-fl itto mondiale, nutrita dal latte della Lupa fascista fatto di ideologie di un neoimperialismo romano, era chiara, per contrappasso, la rifl essione di Antonio Gramsci:

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    auspicava l’eliminazione come per esempio l’illustre latinista Concetto Marchesi, che fu anche deputato della Repubblica. Questa “spaccatura” era il rifl esso di visioni diverse di più ampio orizzonte: la prima, am-bendo a una scuola selettiva, denunciava il rischio di un appiattimento che sarebbe derivato da una scuola Media unica, senza considerare determinante il fatto che per lo più la selezione funzionava nella realtà sulla base di differenze sociali che in ogni modo continua-vano; la seconda aveva come scopo una scuola media di base uguale per tutti i cittadini, senza valutare gli effetti potenziali ma realistici di tale scelta (il livello culturale non poteva essere mantenuto alto per tutti).Gli anni Sessanta segnano grandi cambiamenti per l’Italia e il mondo.Ci fu un ripensamento delle metodologie per l’insegna-mento delle lingue classiche nella volontà di ravvivare la cultura classica in una società in velocissima tra-sformazione sociale, economica e tecnologica in cui il latino pareva, in un certo senso, una lingua veramente morta, un retaggio del passato spazzato via da due guerre mondiali. Nello stesso periodo cadde anche l’ultima “roccaforte del latino”: sebbene papa Giovanni XXIII il giorno 22 febbraio 1962 avesse fi rmato, durante una solenne cerimonia, la Costituzione apostolica Vete-rum Sapientia, sopra la tomba dell’apostolo Pietro, per ribadire l’importanza dello studio della lingua antica e della sua cultura classica, il Concilio Vaticano II, con 2.147 voti contro 4, approvò la Costituzione Sacrosan-ctum Concilium, promulgata dal papa il 4 dicembre 1963: agli articoli 36 e 53 la Chiesa non rinunciava ma preferiva, per varie ragioni, le lingue “volgari” cioè nazionali al plurisecolare latino per la liturgia7.La discussione sul “latino sì, latino no” si ebbe an-che quando un governo di destra, ma appoggiato dal centro-sinistra, decise l’istituzione di una scuola Media unica, raggiungendo un compromesso per il latino8: la lingua ciceroniana era inserita nel programma di II media ed era facoltativa in III, riservata cioè a coloro che sceglievano di proseguire gli studi.Il latino, nell’opinione comune, continuava a rimanere uno status symbol in quanto coloro che sceglievano l’insegnamento facoltativo del latino si prefi guravano già élite destinata alla prosecuzione degli studi fi no ai livelli più alti, poiché fi no alla promulgazione della L. 910/1969, nata sull’onda delle proteste dei movimenti giovanili del cosiddetto Sessantotto9, l’accesso a tutte le facoltà universitarie era garantito dal diploma del solo liceo classico10. Ma la riforma della scuola Media unica non determinò un cambiamento reale, perché essa “non fu recepita nel suo signifi cato da una classe docente del tutto impreparata e sul piano didattico e sul piano metodologico”11.

    Ci fu infatti chi continuò a insegnarlo come prima, e c’è chi lo abbandonò del tutto, a detrimento degli studenti che avrebbero proseguito gli studi alla scuola Superiore, che, non riformata, pretendeva una pre-parazione pregressa che non veniva più offerta con certezza. Nel 1977 l’insegnamento del latino venne completa-mente abolito nella scuola Media inferiore e vennero introdotte nuove materie come Educazione tecnica e musicale. Per il latino, si parlò del “rafforzamento dell’educazione linguistica attraverso un più adeguato sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana — con riferimenti alla sua origine latina e alla sua evoluzione storica — e delle lingue straniere” (L. 16 giugno 1977, n. 348, art. 2), come poi verrà specifi cato nei pro-grammi della scuola Media nel 1979: “In una prospet-tiva del genere prenderà forma e sviluppo il riferimento all’origine latina dell’italiano, pur non costituendo più il latino materia di specifi co insegnamento. Nel conte-sto della evoluzione dell’italiano, il latino andrà visto, cioè, come il momento genetico della nostra lingua; andrà, anzi, considerato come la sua componente mag-

    7 F. Waquet, op. cit., 102-108.8 Per “seguire” il dibattito sulla riforma della scuola Media unica dal punto di vista dell’iter legislativo e in particolare sul ruolo dell’insegnamento del latino vedi il seguente link, dove sono raccolti i pdf degli articoli di quell’anno pubblicati sul quoti-diano “La Stampa”: http://www.insegnareonline.it/fuverame-dia/norme-e-opinioni/30/1335019547/la-stampa-cronaca-una-riforma-1962.html9 Il latino, in quegli anni, “divenne una bandiera su cui si scari-carono anche tensioni ideologiche e politiche. La difesa del latino venne spesso identifi cata con il desiderio di conservare antiche strutture classiste e di perpetuare secolari privilegi, mentre la sua abolizione fu vista come una conquista di modernità ...” (N. Flocchini, Insegnare latino, La Nuova Italia, Firenze 1999, p. 57).10 Sulla storia del liceo classico: A. Scotto di Luzio, Il liceo clas-sico, Il Mulino, Bologna 1999.11 G. Pittanò, Didattica del latino, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1978, p. 23.

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    giore, presente e riscontrabile nel lessico, nelle strut-ture, nella tradizione popolare e dotta, nella lingua scientifi ca, ecc. Si terrà anche conto che il latino è all’o-rigine di altre lingue moderne ed elemento costitutivo nella formazione e nella realtà della cultura europea” (D.M. 9 febbraio 1979, sub voce Italiano).

    Il latino nel terzo millennioIn un convegno svoltosi il 20 marzo 2003, “Il latino alle Medie: problemi, proposte, esperienze, prospet-tive”12, promosso congiuntamente da AESPI, CNADSI, IRRE-Lombardia, Prisma, Zetesis e Centrum Latinitatis Europae, è stato fatto il punto della situazione di una querelle di antica data nel panorama pedagogico e le-gislativo del nostro Paese13. Nell’incontro se, da un parte, si sottolinea il latino nella costruzione costitutiva dell’identità dell’Italia, dall’altra parte si constata che, in quegli anni, ci sono buone prassi per l’insegnamento della lingua latina in singole scuole o sotto la guida scientifi ca dell’IRRE. Nonostante la complessità delle numerose questioni trattate, tutti i relatori concordano che mantenere una presenza del latino a partire dalla scuola media sia un fatto altamente positivo e utile ad alzare il livello culturale di un intero Paese non solo per la storia e la letteratura, ma per lo stimolo e per il potenziamento sulla rifl essione metalinguistica della lingua italiana, di cui il latino può essere considerato il fulcro. Per tenere desta l’attenzione degli studenti preadolescenti, è bene far leva sulla curiosità attraverso la storia della lingua: se dunque l’italiano è la naturale continuazione del la-tino per certe strutture grammaticali e per il signifi cato delle parole, la consapevolezza di ciò contribuisce alla generale educazione linguistica degli alunni. Il pro-blema sarebbe trovare modalità logistico-organizzative compatibili con l’attuale assetto dell’ordinamento sco-lastico, per cui il latino potrebbe essere esteso anche agli alunni che non frequenteranno un liceo. Se dun-que il latino non è contemplato nel novero delle mate-rie scolastiche, nemmeno come materia facoltativa, è pur vero che ci sono corsi di latino, sia pure opzionali, in numerose scuole.Attualmente almeno il 25% delle scuole Medie di I grado organizza corsi opzionali di avviamento alla lin-gua latina destinati prevalentemente agli studenti che frequenteranno un liceo14. A livello politico, si registra che i deputati del PDL, Mancuso e Barani, presenta-rono un’interrogazione al ministro Gelmini nel 2011 per proporre la reintroduzione di un’ora di insegnamento del latino nelle materie di studio degli studenti della Secondaria di I grado: “Premesso che la grammatica e la sintassi della lingua latina sono la culla della lingua italiana moderna, conoscere i rudimenti della lingua

    latina signifi ca potersi orientare nel mondo dialettico delle scienze e del diritto, poter studiare almeno i rudimenti della lingua latina durante le scuole medie aiuterebbe ad appassionare i giovani alla sapienza e allo studio”; infatti i due onorevoli rilevano che “l’in-troduzione del latino tra le materie della scuola me-dia aiuterebbe molti ragazzi nell’orientamento e nella scelta della scuola superiore da frequentare e lo studio della lingua e della cultura latina diffonderebbe anche la cultura dei valori di onore e dignità tipici del mondo antico”15.In mancanza di una risposta formale da parte del Mi-nistro dell’Istruzione, l’On. Centemero (PDL, ora Forza Italia) propose una risoluzione per “impegnare il Go-verno a porre in essere le iniziative di propria compe-tenza perché lo studio della lingua latina torni a far parte del curriculum delle scuole secondarie di primo grado almeno nella misura di un’ora settimanale”16.Infi ne, agguerrito propugnatore dell’insegnamento delle basi della lingua latina nella scuola Media è don Romano Nicolini, sacerdote di Rimini che si batte con grande energia per questo scopo: egli ha redatto un manualetto che distribuisce gratuitamente a chi ne faccia richiesta (fi nora sono state regalate 20.000 copie in tutta Italia17).

    Il latino per l’educazione linguistica nel liceoL’educazione linguistica ha l’accezione “stretta” di in-segnamento della lingua italiana, grazie allo sviluppo della ricerca glottodidattica; il senso si è però esteso a “quella parte dell’educazione generale che include l’in-segnamento dell’italiano come lingua nazionale, delle

    12 Non sono stati pubblicati atti o cronache di questo incontro. Vedasi una sintesi al seguente link: http://www.centrumlatini-tatis.org/cle_it/chisiamo/Milano/LatinoMedie.htm13 I relatori erano: Moreno Morani (Università di Genova): Lingua, cultura e civiltà; Giulia Regoliosi (direttore responsabile di “Zetesis”): Il latino alle Medie? Rilevazioni critiche; Ema-nuela Po (insegnante scuola media San Tommaso Moro, Milano): Un’esperienza in atto; Filippo Franciosi (membro del Comitato Direttivo del CNADSI): Proposte di metodo; Giuliana Boirivant (Irre-Lombardia): Per un curricolo continuo di latino: progetti dell’IRRE Lombardia; Rainer Weissengruber (Liceo Aloisianum di Linz, Direttore del CLE): Esperienze di insegnamento del latino in paesi di lingua tedesca.14 M. Ricucci, Le Olimpiadi di Cultura Classica. Intervista alla dott.ssa Carmela Palumbo, Direttore generale degli Ordinamenti Scolastici e dell’Autonomia Scolastica del MIUR, “La Ricerca” 4, 2013, p. 79. http://www.laricerca.loescher.it/la_ricerca_4/sorgenti/assets/basic-html/page79.html15 http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_13607_1616 http://parlamento16.openpolis.it/atto/documento/id/9458017 http://www.oggi.it/posta/2014/08/27/il-latino-sta-scompa-rendo/

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    lingue materne diverse dall’italiano (dai dialetti alle lingue minoritarie), delle lingue straniere e di quelle classiche”18.Tullio De Mauro scrive nel 2001: “Educazione lingui-stica altro non è che la proiezione sul piano del linguag-gio verbale di quelle idee che altri hanno elaborato sul terreno della educazione matematica: non ripetizione di teoremi, non capacità calcolistica da calcolatrice [...] ma capacità di schematizzazione e integrazione tra schemi, lógos, come lógos è il linguaggio, è operatività e prassi”19.Flocchini20, proponendo di rivedere il quadro delle fi nalità dell’insegnamento della lingua latina nel liceo italiano dopo la riforma Gelmini, sottolinea il suo ruolo nell’ambito dell’educazione linguistica intesa “come educazione alla comunicazione in ricezione e in pro-duzione in una società complessa, cioè nella società in cui deve vivere un giovane di oggi”.Così sintetizza i tratti salienti del latino nell’educazione linguistica nella pratica didattica:

    Il valore della comparazione grammatica-lessicoNaturalmente nella scuola Secondaria di I grado non sarebbero pienamente realizzabili gli obiettivi didat-tico-educativi sopra menzionati, in quanto la lingua latina non è una materia curricolare e di solito il corso di latino viene erogato in via elettiva a studenti di terza media che frequenteranno il liceo. Una gramma-tica “descrittiva” della lingua italiana è differenziata da una grammatica “normativa”, poiché mentre la seconda tende a prescrivere e proscrivere forme usa-bili più o meno correttamente, la prima è fi nalizzata a promuovere la comprensione di alcuni meccanismi fondamentali delle lingue e di una lingua. La gram-matica descrittiva mira a comprendere in primo luogo le regolarità della lingua, quelle in cui di solito non si sbaglia: quelle che si impiegano senza nemmeno

    18 P. Balboni, Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Gelmini, Torino 2009, pp. IX-X.19 T. De Mauro, Apprendere nella società complessa, in Minima scholaria, Laterza, Bari 2001, p. 165.20 N. Flocchini, Studio del latino ed educazione linguistica, in AA.VV., Il Quaderno di latino. Quale didattica della lingua latina?, “Nuova Secondaria Ricerca” 2008, pp. 4-13. http://www.edu.lascuola.it/riviste/NS/NsRicerca/13-14/09/03%20fl occhini.pdf

    1) capire come “funziona” una lingua (o meglio, un “sistema lin-guistico”) e di conseguenza conoscere e controllare i meccanismi della comunicazione verbale. Lo studio delle lingue classiche (cioè di sistemi linguistici indeformabili e irriformabili), costituisce l’u-nica occasione che la scuola offre ai giovani per cogliere la lingua come “sistema”, per metterli in condizione di studiarne i mecca-nismi, di capire cioè attraverso quali modalità il pensiero si fa parola e può quindi essere comunicato; 2) acquisire la consapevolezza che esiste uno stretto rapporto fra una lingua e la civiltà che l’ha espressa, e quindi imparare a capire, e quindi a rispettare, la diversità evitando di omologare tutto alle strutture culturali e valoriali di chi riceve il messaggio;3) acquisire la consapevolezza che il latino rappresenta la madre-lingua dell’italiano. Studiare il latino per uno studente italiano signifi ca studiare la radice della sua lingua materna e quindi ren-dersi conto dei rapporti di derivazione e al tempo stesso delle grandi trasformazioni intercorse fra latino e italiano sul piano morfosintattico e semantico;4) migliorare la capacità di comunicare nella lingua materna sia in trasmissione (capacità di formulare messaggi complessi e di usare i linguaggi del sapere), sia in ricezione (capacità di decodifi care);5) accedere più facilmente ai linguaggi settoriali, a quei linguaggi cioè che consentono di assimilare, elaborare e trasmettono il sa-pere organizzato;6) saper comunicare in una realtà sociale e culturale complessa. Comprendere il senso di un testo latino o greco e ricodifi carlo nell’italiano di oggi comporta una serie di complesse operazioni mentali che sviluppano e affi nano numerose competenze che dall’ambito ristretto del latino si trasformano poi in “disposizioni permanenti” dell’animo, particolarmente importanti in una società come la nostra, caratterizzata dalla disponibilità di una massa impressionante di informazioni, che rende spesso diffi cile capire ciò che è importante e ciò che non lo è, distinguere il messaggio che intende veramente informare e quello che ha invece come fi ne quello di persuadere (si pensi al linguaggio degli spot pub-blicitari).

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    averne piena coscienza. La conoscenza, anche a un livello elementare della grammatica latina, favorisce lo sviluppo di abilità cognitive di un ragazzo che si avvia a frequentare la scuola superiore, poiché il confronto tra lingua italiana e lingua latina persegue proprio questo obiettivo. Nel dibattito tra gli studiosi della didattica della lingua latina, in considerazione del fatto che i cosiddetti metodi “naturali” o “diretti”21 non possono essere applicati alle lingue storicamente concluse come il latino di cui non esiste più nes-sun parlante latino, un recente orientamento non vede la grammatica latina solo come un mezzo per la comprensione globale del testo, ma ritiene lo stu-dio di essa come un’occasione di una vera e propria “scienza”, capace non solo di descrivere il come, ma anche di trovare in modo sempre più rigoroso il perché dei fenomeni grammaticali. Recentemente, il tentativo di applicare in chiave di-dattica lo studio della grammatica latina in prospet-tiva generativo-trasformazionale si è concretizzato in un corso di latino pensato per studenti universitari22 e nell’elaborazione di una nuova descrizione grammati-cale del latino secondo il metodo “neo-comparativo” fra lo studio grammaticale delle lingue classiche e delle lingue moderne, nella convinzione che “se si svuota lo studio della grammatica del suo interesse scientifi co, non si potrà poi difenderne il valore scien-tifi co. La grammatica è per sua natura una teoria: la negazione dell’interesse teorico fi nisce inevitabil-mente per condurre all’abbandono della grammatica stessa, intesa come rifl essione critica e creativa, in favore dello sviluppo di automatismi da memorizzare supinamente”23.

    Adottando una metodologia comparativa all’insegna-mento della grammatica, oltre a quella pratica di im-pararla per leggere i testi letterari, essa può contribuire a migliorare una conoscenza consapevole della lingua madre e delle lingue straniere da parte degli studenti, all’interno di una rifl essione linguistica più ampia, e a produrre risultati positivi anche sulla loro compren-sione e produzione24.La rifl essione metalinguistica su una lingua storica-mente conclusa, ma vitale nella lingua italiana come è quella del latino potenzia le abilità cognitive per il problem solving: la conoscenza esplicita è un fattore determinante per l’elaborazione linguistica nel codice scritto, poiché è un fi ltro tra quanto si scriverebbe senza “pensare” alle regole grammaticali.Infi ne, superfl uo sarebbe sottolineare l’apporto del les-sico latino alla lingua italiana, anche a un livello di base: la povertà del linguaggio dei ragazzi delle Medie potrebbe essere arricchito da un continuo lavoro su etimologie delle parole italiane.Ma scrive Adriano Colombo circa la lingua italiana:

    21 P. Benincà, R. Peca Conti, Didattica delle lingue classiche e linguistica teorica, “Università e Scuola”, 8, 2003, pp. 38-53. 22 M.T. Camilloni, Corso di latino, Kappa, Roma 1993.23 R. Oniga, Il latino. Breve introduzione linguistica, FrancoAn-geli, Milano 2007, p. 19.24 M. Ricucci, Per un apprendimento linguistico secondo il me-todo neo-comparativo: note storico-concettuali, “Lingue antiche e moderne”, 2, 2013, pp. 55-78; M. Ricucci, Sulla via del metodo neocomparativo: il latino nella scuola e nella società plurilingue, “Babylonia”, 1, 2014, pp. 80-85; M. Ricucci, Oltre i confi ni di Babele; rifl essioni per una didattica della grammatica latina con il metodo neocomparativo, “Euphrosyne”, 42, 2014, pp. 225-243.25 A. Colombo, Per un curricolo verticale di rifl essione sulla lin-gua, “Grammatica e didattica”, 4, 2012, pp. 13-14.

    “il lessico contiene una buona fetta della sintassi, come molte correnti della linguistica contemporanea ci vanno insegnando. A un livello più avanzato, le presupposizioni lessicali potrebbero costituire un interessante spazio di rifl essione. (...) Qui mi limito a osservare che la nostra scuola sembra ancora ben lontana dal comprendere l’importanza del lessico. (...) Nella scuola secondaria di primo e secondo grado impera il mito dell’importanza di adde-strare all’uso del dizionario, ma resta da stabilire se questo rifl etta una pratica corrente o un rimorso per una pratica poco praticata; in ogni caso il dizionario è concepito come lo strumento per la so-luzione di problemi ortografi ci o di signifi cato (come se non fosse noto che le defi nizioni dei dizionari sono di regola più diffi cili del defi nito), mai o quasi come uno strumento per l’esplorazione del lessico e delle relazioni che lo strutturano”25.

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    A livello operativo, la Consulta Universitaria degli Studi Latini ha rivolto la propria attenzione al “fenomeno” dei corsi di avviamento alla lingua latina nella scuola Secondaria di I grado.Per l’a.s. 2014/2015 Emanuela Andreoni dell’Univer-sità “La Sapienza” di Roma, con la collaborazione di docenti tra cui lo scrivente, ha deciso di avviare una prima campagna informativa per una ricognizione di

    26 M.C. Nussbaum, Non per profi tto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011.27 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repub-blica/1993/11/27/studiando-studiando.html28 Sull’istruzione classica da ultimo si sono svolti i convegni internazionali: “Langues anciennes et mondes modernes, re-fonder l’enseignement du latin et du grec” (Parigi, 31 gennaio e 1 febbraio 2012); “Disegnare il futuro con intelligenza antica. L’insegnamento del latino e del greco in Italia e nel mondo” (Torino-Ivrea,12-14 aprile 2012); “Lingue antiche e moderne dai licei all’università” (Udine, 23-24 maggio). Per gli Atti dei due Convegni italiani: L. Canfora, U. Cardinale (a cura di), Disegnare il futuro con intelligenza antica. L’insegnamento del latino e del greco antico in Italia e nel mondo, Bologna 2013. R. Oniga, U. Cardinale (a cura di), Lingue antiche e moderne dai licei all’uni-versità, Bologna 2012.

    “La storia politica dell’Italia post-romana non ci ha dato motivi di orgoglio nazionale, o una identità di cui essere fi eri come è suc-cesso a quasi tutte le altre nazioni europee. Ma la cultura latina è stata di importanza fondamentale per una frazione notevole dell’Europa, e per quella parte della storia culturale italiana di cui possiamo essere più orgogliosi, il Rinascimento, che ne è una fi liazione diretta. Vi è abbastanza ‘noblesse’ nella cultura latina che essa ci ‘oblige’ a non dimenticarla. È bene quindi continuare lo studio della sua lingua in profondità non solo per il suo apporto intellettuale, ma anche per quello di natura emotiva”27.

    Scenari futuri per una lingua “morta”Una delle grandi sfi de che pone la globalizzazione e la tecnocrazia è la supremazia degli studi del “profi tto” a discapito degli studi umanistici come ben denuncia la fi losofa americana Nussbaum26.Inoltre c’è un discorso tutto italiano di cui scrive bene Luca Cavalli Sforza, genetista e professore emerito all’Università di Stanford in California, dopo essersi reso conto, negli anni Novanta, del “miraggio” delle scuole americane (tanta partecipazione e creatività, poco studio!):

    quel 25% di scuole Medie che organizza corsi di latino mediante un apposito questionario. Tale “mappatura”, che si basa sul lavoro volontario dei docenti, per ora è limitato ad alcune regioni, ma auspicabilmente verrà esteso all’intero territorio nazionale: ciò contribuirà a una rifl essione più matura su che cosa sia il latino oggi, a cinquanta anni dalla sua abolizione, per valorizzare meglio le buone prassi a scuola e rendere più chiaro un fenomeno altrimenti sommerso nel dibattito dell’i-struzione classica28.Lo studio della lingua latina a livello elementare e una lettura e discussione di qualche passo della letteratura antica, naturalmente in traduzione italiana, contribuirà allo sviluppo della personalità e del senso critico di chi si affaccia sulla soglia dell’adolescenza, a chiusura di un ciclo scolastico, anzi di un primo ciclo di vita: discimus non scholae sed vitae.

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    “Io sono se noi siamo”Un progetto pluriennale di educazione alla legalitàSara Dallavalle

    Nell’anno scolastico 2013/14, grazie al contributo del Servizio formazione scuola e giovani del Comune di Piacenza, prende il via il progetto “Io sono se noi siamo”, una proposta di educazione alla legalità desti-nata alle scuole Secondarie di I grado. Il progetto, articolato su più anni di attività, ha lo scopo di far comprendere e sperimentare la legalità come principio basato primariamente sul rispetto dell’altrui persona, non solo sul rispetto della legge, ma anche sul rispetto di norme di correttezza e di educazione. Si è cercato di predisporre interventi che aiutassero le classi coinvolte a cogliere nel rispetto dell’altro il punto di partenza per diventare dei buoni cittadini e la necessità di dotarsi di regole al fi ne di vivere bene assieme. Il progetto muove dall’importanza della partecipazione responsabile e intende consolidare una cultura della le-g