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LA RIFORMA DEL LAVORO MERCATO DEL LAVORO: FLESSIBILITà E CONTRATTI GUIDA PRATICA RIFORMA: NOVITà E PRIME APPLICAZIONI a cura di Giampiero Falasca IN COLLABORAZIONE CON 12

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a cura di

giampiero falasca

IN COLLABORAZIONE CON

12

I manuali del Sole 24 ORE Settimanale N. 12/2012

Euro 9,90

La Riforma del Lavoro offre una serie di strumenti operativi per la comprensione delle numerose e importanti novità introdotte nel diritto e nel mondo del lavoro dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92.

La Riforma viene illustrata nei suoi risvolti di immediata applicabilità nell’attività quotidiana di professionisti e imprese.

La Riforma del Lavoro nasce dall’esperienza del Sole 24 Ore e dalla operatività del Sistema Frizzera 24 e fornisce soluzioni chiare e autorevoli.

Sia pure soltanto a distanza di pochi mesi dall’approvazione definitiva della Riforma del mercato del lavoro operata dalla legge 28 luglio 2012, n. 92 (e successive modifi-cazioni), è necessario delineare compiutamente le prime interpretazioni ufficiali della stessa, al fine di verificarne il livello di operatività e, soprattutto, le soluzioni offerte alle questioni più aperte e controverse.Il volume rivisita e puntualizza i più importanti istituti del rapporto di lavoro, all’in-domani dei primi significativi pronunciamenti giurisprudenziali succedutisi in materia di licenziamento e dei già numerosissimi chiarimenti amministrativi su alcuni aspetti operativi fondamentali relativi all’apprendistato, al contratto a tempo determinato, al lavoro intermittente, alla somministrazione di lavoro.

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LA RIFORMADEL LAVORO

GUIDA PRATICA RIFORMA:NOVITÀ E PRIME APPLICAZIONI

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I Manuali del Sole 24 ORE – Reg. Trib. di Milano n. 376 del 9-10-2012

Direttore responsabile: Roberto Napoletano

Il Sole 24 ORE S.p.A. – Via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano

Settimanale - N. 12/2012

Volume 12 – Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

© Il Sole 24 ORE a cura dell’Area Tax&Legal

Direttore: Paolo Poggi

Redazione: Claudio Pagliara - Ermanno Salvini

Progetto grafi co copertine: Marco Pennisi & C.

Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2012 presso:

Grafi ca Veneta – Via Malcanton, 2 – 35010 Trebaseleghe (PD)

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Capitolo 1

CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

La riforma Fornero apporta alcune modifi che alla normativa sul contratto a tempo deter-minato che non possono essere comprese se non sono collocate all’interno della disciplina generale del contratto. Per questo motivo, nel presente capitolo analizziamo compiutamente la disciplina del rapporto a termine, evidenziando, nelle parti interessate dalle nuove disposi-zioni, le novità introdotte dalla legge 92/2012.

1.1 Novità della riforma

Finalità della riforma - L’art. 1, commi da 9 a 13, legge 92/2012 apporta alcune rilevanti innovazioni al D.Lgs. 368/2001, che regola in maniera completa il contratto a termine. Le nor-me dedicate a questo contratto, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa alla rifor-ma, vogliono dare attuazione concreta alla direttiva europea 99/70/CE, rafforzando le norme di contrasto ad un’eccessiva reiterazione di rapporti a termine tra le stesse parti.

La fi nalità viene ben esplicitata nella norma che, pur non avendo portata direttamente pre-cettiva, mira ad orientare l’interprete verso una lettura restrittiva delle norme sul contratto a termine e, a tale scopo, inserisce nel comma 01 D.Lgs. 368/2001 la specifi ca che il contratto a tempo indeterminato “costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.

Analoga impostazione, in termini più generali, viene esplicitata nel comma 1 dell’art. 1, quando viene affermato che lo scopo dell’intero provvedimento legislativo è quello di contra-stare gli abusi dei contratti a termine (e non solo) e, contestualmente, orientare il mercato del lavoro verso l’utilizzo del lavoro a subordinato a tempo indeterminato. Questo approccio sem-bra eccessivamente rigido e ingiustamente punitivo verso un contratto che non merita di esse-re accostato a forme di lavoro sicuramente più precarizzanti e molto meno garantiste. Peral-tro, l’esigenza di un intervento restrittivo non era avvertita dal mercato del lavoro, se si considera che già prima della riforma Fornero il contratto a termine era inserito in un sistema di regole molto stringenti, che per opinione comune già attuava in maniera effettiva i principi della normativa comunitaria.

Limiti - Secondo la normativa già in vigore prima della riforma Fornero, il contratto a ter-mine era soggetto a ben tre limiti: un limite di durata (fi ssazione a 36 mesi di un tetto durata massima del rapporto, comprensivo di proroghe e rinnovi), un limite quantitativo (secondo quanto previsto dai contratti collettivi) e un limite sostanziale (l’obbligo di indicare la c.d. cau-sale e la facoltà per il Giudice di sindacare la validità del termine); questo sistema di controlli risultava ben più rigido di quello che avrebbe imposto la disciplina comunitaria e, quindi, ren-deva particolarmente ampia la tutela per il lavoratore.

La riforma Fornero mantiene in vita queste regole, ma evidentemente non le ritiene anco-ra suffi cienti e, per questo motivo, le inasprisce, in alcuni casi, oppure aggiunge altri limiti e nuovi limiti, in altri casi.

Successione di contratti - Alcune regole sembrano particolarmente inopportune, come

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2 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

quella che prevede l’allungamento del periodo minimo che deve passare tra un contratto a termine e l’altro. Nella nuova disciplina, il periodo di fermo tra un contratto e l’altro è fi ssato in 90 giorni (che scendono a 60 se durata iniziale non era superiore a 6 mesi). La misura avrà come unico effetto quello di creare una turnazione continua del personale, in quanto il datore di lavoro che dovrà aspettare 60 o 90 giorni per richiamare una persona sarà incentivata, nel caso in cui avesse bisogno di personale a termine in questo periodo, a chiamare nuovi lavora-tori, i quali poi saranno rimpiazzati da quelli precedenti. In questo modo, si verrà a creare un ricambio costante di personale che fi nirà per danneggiare proprio i lavoratori che si vorrebbe-ro proteggere.

RIFORMA DEL LAVORO: SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE E COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI 36 MESI

Ministero del lavoro - Risposta a interpello 19 ottobre 2012, n. 32

Sonia Colantonio e Alessia Di Benedetto

Successivamente al raggiungimento del limite di 36 mesi previsto per la successione di contrat-ti a termine con lo stesso lavoratore e per le stesse mansioni, l’azienda potrà utilizzare ugualmente il medesimo lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato.

Il Ministero del Lavoro affronta la problematica afferente alla corretta interpretazione del dispo-sto normativo ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. 368/2001, relativo al computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore in caso di successione di più contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti.

In particolare, l’istante ha chiesto chiarimenti in ordine alla possibilità per un’azienda, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi consentito dalla legge per fruire della fattispecie del contratto a termine, di utilizzare il diverso strumento della somministrazione a tempo determinato nei confronti del medesimo lavoratore.

Con la suddetta nota il Ministero ha puntualizzato quanto già chiarito con circolare 18/2012, nella parte in cui si sottolinea che la novità normativa introdotta dalla riforma Fornero a seguito della modifi ca dell’art. 5, comma 4 bis, risulta fi nalizzata a salvaguardare il rispetto della disciplina concernente il computo del limite massimo di trentasei mesi in caso di stipulazione di più contratti a termine.

La risposta ad interpello ribadisce, dunque, che a decorrere dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della L. 92/2012, “nel limite dei 36 mesi andranno computati anche i periodi di occupazione – sempre con mansioni equivalenti – formalizzati attraverso una somministrazione a tempo deter-minato”.

È stato, tuttavia, evidenziato che la soglia massima dei 36 mesi costituisce solo “un limite alla stipulazione di contratti a tempo determinato e non – invece - al ricorso alla somministrazione di lavoro”.

Ne consegue che in caso di successione di più contratti a termine, una volta trascorso il periodo massimo legalmente consentito, il datore di lavoro potrà utilizzare la fattispecie contrattuale della somministrazione a tempo determinato con il medesimo lavoratore per l’espletamento di mansioni equivalenti, trattandosi di strumenti fl essibili con caratteristiche del tutto differenti, così come con-fermato anche dalle disposizioni contenute nella direttiva comunitaria sul lavoro a tempo determi-nato (1999/70/CE).

L’interpello in esame richiama, inoltre, l’art. 22, comma 2, D.Lgs. 276/2003, ai sensi del quale “in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti” (nei quali è ricompreso il limite dei trentasei mesi di cui al comma 4 bis dello stes-so art. 5).

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

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- Segue - RIFORMA DEL LAVORO: SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE E COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI 36 MESI

Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato: forma comune di rapporto di lavoroLa Legge 92/2012 ha inciso in modo rilevante sulla disciplina del contratto a tempo determinato,

innovando in ordine a diversi aspetti del D.Lgs. 368/2001. In primo luogo, si sottolinea che attualmente l’art 1, comma 01, del medesimo decreto sancisce

che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” e non più, come nella precedente versione normativa, deve essere stipulato “di regola a tempo indeterminato”.

Il contratto a termine, dunque, non sembra costituire, come in passato, un’eccezione alla regola generale rappresentata dalla stipulazione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, quanto piut-tosto una forma “alternativa” rispetto a questi ultimi che continuano comunque ad essere conside-rati la consueta tipologia di rapporto di lavoro subordinato.

La Riforma, invece, non ha modifi cato l’art. 1, sopra indicato, nella parte in cui risulta ancora consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte della sussistenza del c.d. “causalone”, ovvero delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro.

In proposito, si precisa che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 ha disposto (con l’art. 28, comma 2) che “Le ragioni di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, si intendono sussistenti qualora il contratto a tempo determinato sia stipulato da una start-up innova-tiva per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa”.

Le novità della Riforma Fornero Come chiarito dalla circolare 18/2012, emanata proprio nel giorno dell’entrata in vigore della L.

n. 92, contenente primissime indicazioni di carattere operativo indirizzate al personale ispettivo, una importante modifi ca introdotta dalla novella normativa afferisce al primo rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato tra lavoratore e datore di lavoro/utilizzatore.

L’art. 1, comma 9, lett. b), della citata Legge, infatti, inserisce all’art. 1 del decreto n. 368 il comma 1 bis, ai sensi del quale nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, non è più richiesto il c.d.“causalone”.

In particolare, la formulazione della nuova disposizione normativa si riferisce esclusivamente al “primo rapporto a tempo determinato” tra lavoratore e datore di lavoro/utilizzatore per l’espleta-mento di qualunque tipologia di mansione, purché di durata non superiore a dodici mesi.

Alla luce del suddetto disposto, il causalone sarebbe, invece, richiesto laddove il lavoratore ven-ga assunto a tempo determinato o inviato in missione presso un datore di lavoro/utilizzatore con cui ha già intrattenuto un primo rapporto lavorativo di natura subordinata.

Alla luce delle semplifi cazioni introdotte dalla nuova legge, il primo contratto a termine acausa-le di durata non superiore a dodici mesi sembrerebbe assolvere ad una fi nalità analoga a quella perseguita dall’istituto del periodo di prova di cui all’art. 2096 c.c.

L’art. 1, comma 9, lett. b) stabilisce, altresì, che il contratto collettivo stipulato dalle parti socia-li comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possa prevedere discipline alternative entro determinati limiti e nello specifi co decidere che il contratto a termine non debba essere sor-retto dal causalone nelle ipotesi in cui l’assunzione avvenga nell’ambito di un processo organizzati-vo scaturito da un avvio di nuova attività, o di lancio di nuovi prodotti, ovvero negli altri diversi casi indicati all’art. 5, comma 3, D.Lgs. 368/2001, purché nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.

La contrattazione collettiva sembrerebbe in tal modo legittimata a predisporre una disciplina di tipo alternativo -“in luogo dell’ipotesi di cui al precedente periodo”- con esclusivo riferimento a real-tà imprenditoriali coinvolte nell’ambito di processi organizzativi.

Occorre puntualizzare, in linea con i chiarimenti forniti dalla circolare citata, che si deve, comun-que, trattare di contratti collettivi sottoscritti dalle parti sociali comparativamente più rappresentative

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4 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

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- Segue - RIFORMA DEL LAVORO: SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE E COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI 36 MESI

e l’intervento si può realizzare in una duplice modalità: in via diretta a livello interconfederale o di categoria, ovvero in via delegata ai livelli decentrati.

Periodo massimo di occupazione di 36 mesiUn’ulteriore novità della riforma, oggetto del quesito sollevato da Assolavoro, afferisce al com-

puto del periodo massimo di 36 mesi di occupazione del lavoratore nelle ipotesi di successione di contratti a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro, per lo svolgimento di mansioni equiva-lenti, ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. 368/2001.

La problematica approfondita nella risposta ad interpello, peraltro già esaminata nel corpo del-la circolare summenzionata, ribadisce che nel computo del periodo massimo di 36 mesi devono essere ricompresi anche i periodi di occupazione connessi ad una somministrazione a tempo deter-minato che involgono evidentemente l’espletamento di mansioni equivalenti.

La norma mira a scongiurare che, attraverso il ricorso alla somministrazione di lavoro, siano elusi i limiti all’utilizzo dello stesso lavoratore con mansioni equivalenti; ne consegue, pertanto,che nel limite dei 36 mesi andranno computati anche i periodi di occupazione – sempre con mansioni equivalenti – formalizzati attraverso una somministrazione a tempo determinato.

Con riferimento al computo del periodo massimo dei 36 mesi il Ministero, con circolare 13/2008, ha chiarito che devono essere conteggiati tutti i periodi di lavoro svolti dalle parti, a prescindere dalla durata delle interruzioni fra un rapporto ed un altro, “ciò in quanto la fi nalità perseguita dal le-gislatore è quella di impedire che le interruzioni possano produrre l’effetto di azzerare il conteggio dei periodi di attività rilevanti per l’individuazione della durata massima di più rapporti di lavoro a termine”.

La citata nota n. 13/2008 richiama alcune delle deroghe, previste dallo stesso D.Lgs. 368/2001, in ordine alla disciplina del limite dei 36 mesi.

Nello specifi co, ci si riferisce ai rapporti di lavoro dei dirigenti, per i quali vale il termine di dura-ta massima quinquennale, alle attività stagionali, di cui al D.P.R. 1525/1963, nonché ai rapporti di lavoro instaurati tra agenzia di somministrazione e lavoratore.

In ordine alla locuzione normativa “equivalenza delle mansioni”, appare utile richiamare le sen-tenze 425/2006 e 7351/2005 pronunciate dalla Corte di Cassazione, da cui si evince che la stessa non può tradursi in una mera corrispondenza del livello di inquadramento contrattuale tra le mansioni svolte precedentemente e quelle assegnate con il nuovo contratto, ma è necessaria verifi care in concreto delle attività effettivamente espletate dal lavoratore.

La Corte ha sostenuto, altresì, che l’equivalenza delle mansioni deve essere considerata anche “come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o … l’arricchimento del patrimo-nio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto”, tenendo presente inoltre il contenuto di eventuali clausole di fungibilità contemplate dal contratto collettivo di riferimento.

Contratto di somministrazione a tempo determinato successivo al raggiungimento del periodo massimo di 36 mesi di occupazione

La soluzione interpretativa avallata dall’amministrazione con l’interpello 32/2012 muove dalla considerazione che il contratto di somministrazione a tempo determinato ex D.Lgs. 276/2003 e la fattispecie del lavoro a termine di cui al D.Lgs. 368/2001 costituiscono due strumenti di fl essibilità connotati da differenti caratteristiche, nonché da distinti quadri regolatori.

In proposito, si precisa che l’art. 5, comma 4 bis, va ad incidere esclusivamente sulla disciplina del contratto a tempo determinato e non invece su quella della somministrazione di lavoro conte-nuta, peraltro, in un diverso testo di legge.

La soluzione interpretativa avallata dal Ministero trova conferma nella differente disciplina co-munitaria posta a fondamento delle due fattispecie contrattuali.

Al fi ne di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tem-po determinato, la direttiva comunitaria (1999/70/CE), recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs.

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

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- Segue - RIFORMA DEL LAVORO: SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE E COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI 36 MESI

368/2001, ha imposto agli Stati membri di introdurre misure restrittive anche in relazione alla durata massima dei contratti (clausola 5). La Direttiva richiamata esclude, tuttavia, nel preambolo, l’applicabilità dei principi contenuti nel corpo della stessa ai lavoratori a termine somministrati, ovvero messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale.

Ai sensi dell’art’art. 22, comma 2, del D.Lgs. 276/2003, infatti, in caso di contratti di sommini-strazione a tempo determinato, il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore è regolato, per quanto compatibile, dalla disciplina prevista dal D.Lgs. 368/2001, con esplicita esclusione delle disposizioni sancite dall’art. 5, commi 3 e seguenti, dello stesso Decreto.

Risulta, pertanto, esclusa dall’ambito della somministrazione di lavoro l’applicazione delle di-sposizioni concernenti la disciplina degli intervalli di 60 o 90 giorni che devono intercorrere tra due contratti a tempo determinato, quella sanzionatoria legata alle assunzioni a tempo determinato senza soluzione di continuità, il limite dei 36 mesi, nonché la regolamentazione sui diritti di prece-denza.

Si fa, comunque, presente che nell’ambito della somministrazione di lavoro trovano applicazio-ne le clausole limitatrici eventualmente predisposte dalla contrattazione collettiva.

L’interpello conclude ritenendo che “un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi, possa impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato”.

La disciplina in materia di intervalli tra un contratto ed un altroNell’ipotesi di stipulazione di nuovo contratto a termine con il lavoratore già precedentemente

impiegato a tempo determinato dal medesimo datore di lavoro, la L. n. 92/2012 modifi ca l’art. 5, D.Lgs. 368/2001, nella parte in cui richiede il rispetto di specifi ci intervalli temporali.

La precedente formulazione del D.Lgs. 368/2001 fi ssava, infatti, quali intervalli temporali i ter-mini di 10 o 20 giorni fra un contratto a tempo determinato ed il successivo – a seconda che la du-rata del primo rapporto di lavoro fosse inferiore, ovvero pari o superiore a 6 mesi; in caso di manca-to rispetto dei predetti termini la disposizione in esame sanciva la trasformazione del secondo rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

Il comma 3 del citato art. 5 – come modifi cato dall’art. 1, comma 9 lett. g), della Riforma – pre-vede che “qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’articolo 1, entro un periodo di sessanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fi no a sei mesi, ovvero novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato”.

L’ampliamento dei suddetti intervalli temporali risulta chiaramente volto a scongiurare un uti-lizzo reiterato e dunque distorto di questa tipologia contrattuale a fronte di situazioni che richiede-rebbero invece l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili.

Si precisa, inoltre, che ai sensi del novellato art. 5, comma 3, D.Lgs. 368/2001 “I contratti collet-tivi di cui all’articolo 1, comma 1 bis, possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fi no a venti giorni e trenta giorni nei casi in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato: dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un signifi cativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. In mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, ai sensi del precedente periodo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, decorsi dodici mesi dalla data di en-trata in vigore della presente disposizione, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, provvede a individuare le specifi che condizioni in cui, ai sensi del periodo precedente, operano le riduzioni ivi previste. I termini ridotti di cui al primo periodo trovano applicazione per le attività di cui al comma 4-ter e in ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappre-sentative sul piano nazionale”.

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6 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

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- Segue - RIFORMA DEL LAVORO: SUCCESSIONE DI CONTRATTI A TERMINE E COMPUTO DEL PERIODO MASSIMO DI 36 MESI

Ciò premesso, l’ampliamento, operato dalla Riforma, degli intervalli temporali tra un contratto a termine ed il successivo potrebbe sollevare la problematica di diritto intertemporale afferente all’applicazione dell’intervallo “lungo” previsto dalla nuova disciplina ovvero dell’intervallo “breve” contemplato dalla previgente disposizione normativa, qualora il primo contratto sia stato stipulato prima dell’entrata in vigore della Riforma e venga a scadenza successivamente al 18 luglio 2012.

Al riguardo, sembrerebbe opportuno considerare come riferimento ai fi ni della disciplina appli-cabile la data della riassunzione, ovvero quella di stipulazione del secondo contratto e non invece quella del primo contratto stipulato tra le stesse parti antecedentemente al 18 luglio 2012.

In altri termini, troverebbe applicazione lo stacco temporale più ampio di 60 e 90 giorni tra un contratto e l’altro.

La riassunzione involge, infatti, la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro e conseguente-mente implica una nuova e diversa manifestazione dell’autonomia negoziale delle parti. Una diffe-rente interpretazione potrebbe essere avallata esclusivamente laddove il legislatore avesse espres-samente previsto l’applicazione al nuovo contratto della precedente disciplina normativa in deroga ai principi generali che regolano la successione di norme nel tempo.

Guida al Lavoro 2.11.2012, n. 43 - Il Sole 24 ORE

Prosecuzione del rapporto - Per attenuare la rigidità della previsione, viene aumentato il periodo di possibile prosecuzione di fatto del rapporto, che può arrivare fi no a 50 giorni, ma il costo elevato di questa opzione non consentirà di usare con leggerezza questa facoltà. Inoltre, viene introdotto un obbligo di comunicazione preventiva al Centro per l’Impiego che renderà più pesante la gestione di questa fase, che invece era stata pensata dalla legge 196/1997 come un periodo in cui, senza formalità, era consentito sforare dal termine di scadenza del rapporto senza subire pesanti conseguenze.

Finanziamento ASPI - Molto penalizzante risulta anche l’incremento del costo contributivo, che dovrebbe servire a fi nanziare la nuova indennità di disoccupazione (Aspi). Ai rapporti a termine sarà applicata un’aliquota contributiva aggiuntiva pari all’1,4%, fatte salve alcune eccezioni (i lavoratori assunti in sostituzione di colleghi assenti, lavoratori stagionali, appren-disti), che sarà restituita in parte (fi no a 6 mensilità di contributo già pagato), in caso di trasfor-mazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. La misura si applicherà anche ai lavo-ratori somministrati, per i quali è previsto un apparente bilanciamento, in quanto viene ridotto dal 4% al 2,6% il contributo per la formazione che le imprese devono versare al Fondo bilate-rale di settore. Si tratta di un bilanciamento solo numerico, ma non qualitativo, in quanto l’in-vestimento in formazione viene penalizzato a scapito del pagamento di trattamenti di disoccu-pazione.

PARTE LA CORSA AL BONUS PER LE NUOVE ASSUNZIONI FONDI ASSEGNATI IN BASE ALLA DATA DI PRESENTAZIONE DELLA RICHIESTA

Giuseppe Maccarone e Antonino Cannioto

Disponibili gli aiuti economici per favorire assunzioni e stabilizzazioni di lavoratrici di qualunque età e lavoratori con meno di 30 anni. Da ieri è possibile inviare la relativa richiesta all’Inps a cui spetta il compito di distribuire gli incentivi che sono numericamente limitati in funzione delle risor-se economiche stanziate (232 milioni di euro).

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

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- Segue - PARTE LA CORSA AL BONUS PER LE NUOVE ASSUNZIONI FONDI ASSEGNATI IN BASE ALLA DATA DI PRESENTAZIONE DELLA RICHIESTA

L’accesso al bonus avviene nel rispetto di un ordine cronologico fi ssato non in base al momento in cui si effettua la stabilizzazione o l’assunzione bensì sulla data di presentazione all’Inps di una specifi ca istanza, per la quale c’è tempo al massimo fi no al 31 marzo 2013 (non ci sarà alcun click day). Per avere gli incentivi è stato predisposto (circolare Inps 122/2012) un modello denominato Don-Giov, collocato nell’applicazione DiResCo. L’inoltro all’Inps deve avvenire esclusivamente in modalità telematica ed è opportuno che i datori di lavoro presentino il modello tempestivamente per evitare di perdere posizioni nella graduatoria che verrà stilata. L’erogazione avverrà, con modalità da precisare, entro sei mesi dalle trasformazioni/stabilizzazioni/assunzioni. La fruizione dei benefi ci è subordinata al rispetto del regola-mento comunitario 1998/2006, in materia di aiuti di importanza minore “de minimis”.

Nel decreto nulla si dice rispetto al mantenimento in servizio dei lavoratori per cui l’azienda ha ottenuto il benefi cio, mentre nel modello Don-Giov, tra le condizioni di spettanza, fi gura un termine di conservazione del posto di almeno 6 mesi. Sembrerebbe che tale condizione operi a prescindere dalla motivazione che eventualmente dia luogo alla cessazione del rapporto di lavoro (dimissioni, licenziamento ecc). Riguardo alle nuove assunzioni a termine, vi è da rilevare che l’ammontare dell’incentivo varia in base alla durata del rapporto di lavoro. È previsto, infatti, un bonus di 3.000 euro per i contratti a termine con durata compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 18 mesi. L’agevolazione sale a 4.000 euro per i contratti di durata compresa tra i 19 e i 24 mesi e si eleva, ulteriormente, a 6.000 euro se il contratto a termine supera i 2 anni. Anche per queste nuove assun-zioni sembrerebbe che il rapporto debba essere mantenuto per almeno 6 mesi. Nulla si dice circa le motivazioni della cessazione del rapporto di lavoro e anche in questo caso, licenziamento e dimis-sioni parrebbero assimilati. Inoltre, sul punto, vi è da rilevare che nell’ipotesi in cui siano stipulati 3 contratti a tempo determinato di 12 , 19 e 30 mesi, laddove tutti cessassero dopo 6 mesi, si potrebbe fruire di incentivi differenziati, basati solo ed esclusivamente sul termine iniziale fi ssato dalle parti nel contratto, anche se, in sostanza, i tre rapporti si sono protratti per la medesima durata.

Un’ultima notazione riguarda il passaggio del decreto ministeriale in cui si afferma che «le pre-dette trasformazioni ovvero stabilizzazioni operano con riferimento a contratti in essere». Non viene precisata la data in cui i detti contratti devono risultare in essere. L’assenza di tale riferimento tem-porale potrebbe indurre ad assumere a tempo determinato (di breve durata) con conseguente tra-sformazione a tempo indeterminato prima del 31 marzo 2013 aprendo, così, la strada all’eventuale accesso ai benefi ci che, come ricordato dall’Inps, sono cumulabili con altre facilitazioni previsti dalla legislazione vigente.

Condizioni da rispettare– Rispetto del “de minimis”– Mantenimento in servizio per almeno 6 mesi– Rispetto del diritto di precedenza alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato da un rappor-

to a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine– Assenza di sospensioni dal lavoro connesse a crisi o riorganizzazione aziendale (fatte salve diver-

se professionalità)– Presenza di regolarità contributiva– Rispetto delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e dei contratti collettivi– A carico del datore di lavoro, non devono sussistere provvedimenti, amministrativi o giurisdizio-

nali, defi nitivi per gli illeciti penali o amministrativi, commessi dopo il 30 dicembre 2007, in ma-teria di tutela delle condizioni di lavoro (Dm 24ottobre 2007 articolo 9)

– Gli incentivi sono riconosciuti sino a un massimo di 10 assunzioni, trasformazioni, stabilizzazioni– Il bonus è concesso nei limiti delle somme stanziate allo scopo e sulla base di un ordine crono-

logico che tiene conto della data di presentazione delle istanze

Il Sole 24 ORE – Norme e tributi 19.10.2012

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8 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Altre misure - Viene ampliato il periodo di tempo entro il quale è possibile impugnare in via stragiudiziale il contratto, passando dagli attuali 60 a 120 giorni: una misura che va in senso opposto all’obiettivo di defl azionare il contenzioso. L’unico intervento che sembra au-mentare la fl essibilità del contratto è quello che prevede, per il primo rapporto a termine (che non può essere prorogato), l’esenzione dall’obbligo di scrivere la causale per i contratti di du-rata inferiore a 12 mesi.

1.2 Obbligo di indicazione della causale

Forma scritta del termine - L’art. 1, comma 2, D.Lgs. 368/2001 richiede che il termine ap-posto al contratto risulti da atto scritto. L’obbligo della forma scritta riguarda sia l’indicazione del termine, sia l’indicazione delle ragioni che ne giustifi cano l’apposizione; copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’i-nizio della prestazione (art. 1, comma 3). La legge non specifi ca se l’atto scritto debba essere contestuale al contratto, ed anzi precisa che l’apposizione del termine può risultare “diretta-mente o indirettamente” da un atto scritto (art. 1, comma 2). Secondo la Cassazione, tale di-sposizione rende ammissibile che la dichiarazione di volontà e l’apposizione del termine siano contenuti in documenti separati dal contratto di lavoro; anche in questo caso, tuttavia, è ne-cessario che la lettera di assunzione del datore di lavoro contenga anche la sottoscrizione del lavoratore apposta in un momento anteriore o, almeno, contemporaneo all’inizio del rapporto (Cass. n. 17674 dell’11 dicembre 2002).

Casi in cui non è richiesta la forma scritta - La scrittura non è necessaria quando la dura-ta del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a 12 giorni. La forma scritta non è richiesta, ai fi ni della validità, neanche per le eventuali proroghe apportate al contratto di lavoro a termine; anche in questa ipotesi trova applicazione il generale principio della libertà delle forme, anche se è consigliabile comunque formalizzare per iscritto la pro-roga, ai fi ni della prova della sussistenza della medesima.

Durata determinata o determinabile del termine - Il termine apposto al contratto di lavoro deve avere durata determinata (con riferimento ad una data certa di calendario) oppure de-terminabile (con riferimento ad un evento certo nel suo verifi carsi, ma incerto sul momento di realizzazione). Ad esempio, nel caso di assunzione per ragioni sostitutive, la scadenza può essere individuata con riferimento al momento del futuro rientro del lavoratore da sostituire.

Indicazione scritta e specifi ca delle causali - L’art. 1, comma 2, D.Lgs. 368/2001 non si li-mita a richiedere la forma scritta per l’apposizione del termine. Devono essere indicate per iscritto anche le ragioni giustifi catrici, di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitu-tivo, che consentono l’apposizione del termine al contratto. L’indicazione scritta delle causali deve essere, secondo la legge, specifi ca; l’onere di specifi cazione assolve la fi nalità di assicu-rare al lavoratore la cognizione della motivazione e di cristallizzare la causale, rendendola immodifi cabile in caso di successivo controllo giudiziale. La giurisprudenza interpreta in senso rigoroso l’onere di specifi cazione, osservando che le ragioni che giustifi cano l’apposizione del termine devono essere chiaramente esplicitate in modo preciso e suffi cientemente detta-gliato; non viene considerato suffi ciente il mero richiamo alle formule di legge, a ipotesi alter-native o comunque indicazioni di carattere generico, in quanto queste impediscono al giudice di verifi care la sussistenza delle ragioni addotte.

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Causale ed esigenze sostitutive - Il problema della specifi cazione si complica ulterior-mente nel caso in cui il contratto a termine sia stipulato per soddisfare un’esigenza di carat-tere sostitutivo. Per questa ipotesi, la disciplina previgente richiedeva l’espressa indicazione del nominativo della persona sostituita; il D.Lgs. 368/2001 non impone più questa indicazio-ne, ma la giurisprudenza (anche costituzionale) ritiene, in maniera prevalente, che l’onere di specifi cazione delle ragioni sostitutive non può ritenersi assolto con indicazioni generiche, ma solo ove sia possibile l’individuazione del personale che l’assunto a termine deve sostituire (individuazione resa possibile solo mediante il nominativo della persona sostituita).

Nozione di esigenze tecniche, organizzative, produttive e sostitutive - Il D.Lgs. 368/2001 non specifi ca il signifi cato che deve essere attribuito alle ragioni di carattere tecnico, organizza-tivo e produttivo che legittimano l’apposizione del termine; in mancanza di una esplicita nozione legislativa, le causali devono essere ricostruite in via interpretativa, con l’eventuale sostegno della giurisprudenza. In via generale, si può osservare che le ragioni di carattere tecnico parreb-bero consistere in esigenze connesse alla necessità dell’impresa di disporre di personale con qualifi che e specializzazioni diverse da quelle possedute dall’organico aziendale; possono invece essere considerate come produttive e organizzative quelle ragioni connesse, rispettivamente, alla necessità di far fronte a particolari situazioni o richieste di mercato (commesse, lavorazioni) o a esigenze proprie dell’organizzazione imprenditoriale. Le ragioni sostitutive paiono confi gura-bili in caso di assenza, per qualsiasi motivo, di lavoratori con contestuale esigenza dell’im-prenditore di disporre dell’intero organico aziendale. Il D.L.112/2008 ha specifi cato che queste esigenze possono riferirsi all’ordinaria attività dell’impresa; ciò signifi ca che non è vietato usare il contratto per mansioni comprese nel normale ciclo produttivo aziendale. Questa dizione con-sente di individuare delle esigenze connesse all’attività tipica e ordinaria dell’azienda, ma in ogni caso - secondo la giurisprudenza maggioritaria - non esonera dall’obbligo di individuare esigen-ze di durata temporanea; solo le esigenze momentanee, in altri termini, legittimano il ricorso al contratto, anche se sono connesse all’attività ordinaria dell’impresa.

Esenzione della causale: riforma Fornero - La legge Fornero non persegue l’obiettivo pe-nalizzare l’utilizzo del contratto a termine in sé, quanto piuttosto di scoraggiare l’uso ripetuto e reiterato del contratto per assolvere ad esigenze a cui, secondo il legislatore, si dovrebbe rispondere mediante il contratto a tempo indeterminato. Per dare concretezza a questo dise-gno, accanto alle norme che rendono più diffi cile la gestione dei rapporti a termine nel caso in cui il datore di lavoro intendere prolungare o ripetere l’esperienza lavorativa a tempo determi-nato, si prevede una disciplina di favore per i casi in cui il contratto a termine sia uno soltanto o, comunque, sia il primo della serie.

Questa misura, secondo l’impostazione teorica della riforma, dovrebbe bastare a compen-sare l’irrigidimento che viene apportato alle altre regole del contratto. La misura (che modifi ca l’art. 1 D.Lgs. 368/2001, introducendo un apposito comma 1-bis) si concretizza nella previsione che il primo contratto a termine stipulato tra un lavoratore e un’impresa per qualunque tipo di mansione non deve più essere giustifi cato attraverso la specifi cazione della c.d. causale, cioè di quelle esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo che neces-sariamente devono giustifi care l’apposizione del termine al contratto (art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. 368/2001, nuovo testo). Il riconoscimento della facoltà di non indicare la causale mira a rendere più facile la gestione del primo contratto a termine, in quanto spesso l’interpretazio-ne di questo elemento del contratto a termine produce contenzioso e può addirittura portare alla conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. Almeno per il primo contratto, il problema viene aggirato, in quanto la mancanza di causale consente di evitare ogni discus-sione sulla sua corretta redazione.

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10 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Condizioni per applicare l’esenzione - L’esenzione dall’obbligo di indicare la causale non è tuttavia indiscriminata, ma può applicarsi sono entro alcuni limiti specifi ci. Innanzitutto, il con-tratto a termine deve essere il primo stipulato tra quel datore di lavoro e quel lavoratore, qua-li che siano le mansioni affi date; è da ritenere che l’esenzione della causale non possa appli-carsi in ogni caso in cui tra le parti sia stata in precedenza instaurata una relazione lavorativa, anche tramite rapporti diversi dal contratto a tempo determinato. In secondo luo-go, il contratto a termine deve avere una durata iniziale non superiore a 12 mesi. Infi ne, il contratto privo di causale non può essere oggetto di proroga, anche nel caso in cui la durata iniziale sia inferiore ai 12 mesi previsti dalla legge come tetto massimo. Considerato che la prosecuzione di fatto del rapporto è, nella sostanza, una forma di proroga, è da ritenere esclu-sa la facoltà di applicare al contratto privo di causale la prosecuzione entro i 50 giorni succes-sivi alla sua scadenza. La legge chiarisce che l’esenzione dall’obbligo di redigere la causale vale anche per i rapporti di lavoro svolti in regime di somministrazione; la tecnica legislativa adottata è leggermente imprecisa, ma sembra suffi ciente a ritenere che l’esenzione dalla cau-sale vale sia per il contratto di lavoro che stipula l’Agenzia per il lavoro con il dipendente, sia per il contratto commerciale di somministrazione che stipula l’impresa utilizzatrice con l’A-genzia medesima. Se ragionassimo diversamente, la norma avrebbe una portata e un signifi -cato molto ridotti, in quanto nell’ambito della somministrazione di manodopera i problemi in-terpretativi che si creano con grande frequenza sono proprio quelli relativi alla causale inserita nel contratto commerciale.

LE PRIME INDICAZIONI MINISTERIALI SULLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Schiavone Rossella

In data 18 luglio 2012, giorno di entrata in vigore della legge n. 92/2012 (cd. Riforma del merca-to del lavoro), il Ministero del lavoro, con circolare n. 18, ha fornito le prime indicazioni operative al proprio personale ispettivo

La riforma del lavoro è appena entrata in vigore e già è pronto un emendamento da inserire nel decreto sviluppo; nel frattempo il Ministero del lavoro è intervenuto per fornire le prime indicazioni operative al proprio personale ispettivo, con la circolare n. 18 del 18.7.2012, su contratto a termine, apprendistato, lavoro intermittente, lavoro accessorio, collocamento disabili e dimissioni, riservan-dosi di ritornare su ciascun istituto con chiarimenti più esaustivi.

Contratto a tempo determinatoLa prima questione affrontata dalla circolare ministeriale n. 18/2012 in oggetto è relativa al

contratto a tempo determinato e, in particolare, a quello che è stato già defi nito “contratto a termi-ne acausale”.

Infatti, l’articolo 1, comma 9 della legge n. 92 del 28 giugno 2012 (cd. Riforma Fornero), entrata in vigore il 18 luglio 2012, ha inserito il comma 1-bis all’articolo 1 del Dlgs n. 368/2001, facendo entrare nel nostro ordinamento il già citato “contratto a termine acausale”, ovvero un contratto a tempo determinato che non necessita delle esigenze tecniche, produttive, organizzative e sostituti-ve anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro - ai fi ni della valida stipulazione del contratto.

Entrando ancora più nel merito della modifi ca legislativa, dal 18 luglio 2012 non è più richiesta la sussistenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive, per il “primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utiliz-zatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contrat-to a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del Dlgs 10 settem-bre 2003, n. 276”.

– continua –

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - LE PRIME INDICAZIONI MINISTERIALI SULLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Ed in merito a questa novità di non poco conto - che fa da contrappeso alla maggiore rigidità del contratto a termine che la riforma ha comportato con le ulteriori modifi che ai termini per i rinnovi e al calcolo del computo del limite massimo di trentasei mesi che renderanno questa tipologia con-trattuale meno appetibile per i datori di lavoro - la Direzione generale per l’attività ispettiva ha for-nito l’interpretazione di “primo rapporto” che avrebbe potuto far nascere dubbi interpretativi.

In defi nitiva è stato chiarito che il riferimento al “rapporto” e all’irrilevanza della “mansione” cui il lavoratore è adibito, porta a concludere che la deroga alla necessità delle ragioni sia applicabile “una ed una sola volta” tra due soggetti stipulanti il contratto a tempo determinato.

CONTRATTO ACAUSALE

Ammissibilità Termine Si applica la disciplina sulla scadenza del termine

� � � �Ammesso una sola volta tra due sogget-ti stipulanti il contratto a tempo deter-minato

Ammesso una sola volta tra utilizzatore e lavoratore nel caso di pri-ma missione n e l l’ a m b i t o del contratto di sommini-strazione a tempo deter-minato

Durata massima di dodici mesi ma non frazionabile

Se il rapporto di lavoro continua oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il 50° giorno negli altri casi, il contratto sarà considerato a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini

Disciplina alternativa al contratto acausale

�Ammessa solo in via diretta a livello interconfederale o di categoria, ed ai livelli decentrati solo se delegata

Nell’ambito di un processo organizzativo determinato da:– avvio di una nuova attività;– lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;– implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;– fase supplementare di un signifi cativo progetto di ricerca

e sviluppo;– rinnovo o proroga di una commessa consistente.In questi casi il limite massimo dei lavoratori assumibili è fi ssato nel 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva

Durata 36 mesi

�nel calcolo dei 36 mesi, i datori di lavoro dovranno tener conto anche dei periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione a tempo determinato stipulati a far data dal 18.7.2012

�raggiunto il limite dei 36 mesi con il medesimo lavoratore, i datori di alvoro potranno anche ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con il medesimo prestatore di lavoro

– continua –

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12 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - LE PRIME INDICAZIONI MINISTERIALI SULLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Quindi il Ministero del lavoro ha optato per l’interpretazione della norma in virtù della quale, il cd. “causalone” sarà obbligatorio qualora il medesimo lavoratore venga assunto a tempo determi-nato da un datore di lavoro o inviato in missione presso un utilizzatore, con cui abbia già intrattenu-to un primo rapporto lavorativo di natura subordinata.

A questo occorre aggiungere che, per il Ministero del lavoro, quando il legislatore ha posto il li-mite massimo di dodici mesi non prorogabili al contratto “acausale”, non intendeva che tale periodo costituisse una franchigia, né che fosse frazionabile, quindi, nel caso in cui venga stipulato un primo contratto a termine “acausale” della durata di anche soli tre mesi, l’eventuale secondo contratto a termine dovrà essere supportato da oggettive ragioni di tipo tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo.

Inoltre, chiarisce la circolare n. 18/2012, anche al “contratto a termine acausale” si applicano i nuovi termini sulla continuazione dei contratti a termine (ex art. 5, comma 2, Dlgs n. 368/2001, come modifi cato dalla legge n. 92/2012) per cui se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto sarà considerato a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

La seconda parte del nuovo comma 1-bis, Dlgs n. 368/2001, prevede l’intervento della contratta-zione collettiva “in luogo” del “contratto a termine acausale” già descritto e, in proposito, la circola-re ministeriale ritiene che ci si trovi dinanzi ad una disciplina alternativa che può utilizzare la con-trattazione collettiva posta in essere dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, in via diretta a livello interconfe-derale o di categoria, ovvero in via delegata ai livelli decentrati.

Quindi è esclusa la possibilità della contrattazione decentrata di introdurre una disciplina diver-sa da quella di legge se non espressamente delegata a livello interconfederale e di categoria (que-sto rappresenta un’inversione di tendenza rispetto all’intervento del legislatore del 2011 - art. 8 Dl n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011 - che ha dato il potere alla contrattazione di prossimità di derogare alla legge ed ai Ccnl anche se in presenza di determinate fi nalità e relativamente a specifi che materie).

Posto quanto sopra, il Ministero del lavoro specifi ca che la contrattazione collettiva potrà stabi-lire discipline alternative ed in particolare potrà stabilire che non necessitino obiettive ragioni tec-niche, organizzative, produttive e sostitutive, qualora l’assunzione a tempo determinato, o la missio-ne nell’ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato, avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato da:– avvio di una nuova attività;– lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;– implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;– fase supplementare di un signifi cativo progetto di ricerca e sviluppo;– rinnovo o proroga di una commessa consistente.

Tuttavia in questi casi il limite massimo dei lavoratori assumibili è fi ssato nel 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva.

Sempre con riferimento al contratto a tempo determinato, l’ultimo argomento di cui si è occu-pata la circolare n. 18/2012 è relativo al limite massimo previsto da comma 4-bis, articolo 5, Dlgs n. 368/2001, in forza del quale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgi-mento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavora-tore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipen-dentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla scadenza del predetto termine.

Il nuovo comma 4-bis, come modifi cato dalla riforma del mercato del lavoro, prevede che, ai fi ni del computo del periodo massimo di trentasei mesi si debba tenere conto anche dei periodi di mis-sione svolti in somministrazione a tempo determinato, aventi ad oggetto mansioni equivalenti e svolti fra i medesimi soggetti.

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - LE PRIME INDICAZIONI MINISTERIALI SULLA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Conseguentemente, nel calcolo dei sopra citati trentasei mesi, i datori di lavoro dovranno tener conto anche dei periodi di lavoro svolti in forza di contratti di somministrazione a tempo determina-to stipulati a far data dal 18 luglio 2012.

Ciò nonostante, la nota ministeriale sottolinea che il limite in questione è relativo alla stipula di contratti a tempo determinato e non costituisce un limite al ricorso alla somministrazione del lavo-ro, il che, in termini pratici, implica che, raggiunto il limite dei trentasei mesi con il medesimo lavo-ratore, i datori di lavoro potranno anche ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determi-nato con il medesimo prestatore di lavoro.

Guida al lavoro 27.7.2012 - n. 31, pag. 12

Disciplina applicabile dopo il primo contratto - Una volta esaurita la facoltà di assumere a termine (direttamente oppure mediante Agenzia per il lavoro), un datore di lavoro può ancora utilizzare quel lavoratore, ma torna ad applicarsi in maniera integrale la disciplina ordinaria. Pertanto, si applicheranno le regole sulle causale, quelle sulle proroghe e sui rinnovi, e var-ranno i limiti di durata complessiva del rapporto, entro i quali dovrà comunque essere con-teggiato anche il rapporto a termine già svolto senza l’indicazione della causale.

Rinvio alla contrattazione collettiva - I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sin-dacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale possono escludere l’obbligo di indicare la causale per le assunzioni a termine (oppure per le missioni di lavoratori sommi-nistrati) entro un limite del 6% dei lavorati occupati nell’unità produttiva (art. 1, comma 1-bis, ultimo periodo). I contratti collettivi possono scegliere questa modalità organizzativa solo in presenza di una delle seguenti situazioni: avvio di una nuova attività, lancio di un pro-dotto o servizio innovativo, introduzione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supple-mentare di un signifi cativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente. I contratti nazionali, chiarisce la norma, possono anche delegare i contratti azien-dali ad introdurre questo sistema; il secondo livello quindi non ha un potere di intervento au-tonomo, ma è attivabile solo se il contratto nazionale ha previsto tale facoltà.

Ulteriori ipotesi in cui non sono richieste le causali - L’esenzione introdotta dalla riforma Fornero non esaurisce il campo dei casi in cui il D.Lgs. 368/2001 considera legittima l’apposi-zione del termine al contratto, anche a rescindere dall’esistenza delle causali richieste dall’art. 1. In particolare, non è richiesta la presenza delle causali, nonostante il contratto sia piena-mente riconducibile al contratto a tempo determinato per i contratti stipulati ove ricorrano le seguenti condizioni:

– casi previsti dall’art. 8, comma 2, legge 223/1991 (assunzione o somministrazione di lavo-ratori iscritti nelle liste di mobilità);

– aziende di trasporto aereo o esercenti i servizi aeroportuali, per un periodo massimo di 6 mesi compresi tra aprile e ottobre e di 4 mesi per periodi diversamente distribuiti;

– esecuzione di servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo di passeggeri e di merci;– assunzione di lavoratori che hanno raggiunti i requisiti per la pensione di anzianità;– assunzione di lavoratori impiegati nel settore postale; in questo caso l’esistenza di una

causale specifi ca non è necessaria per un periodo massimo complessivo di 6 mesi, com-presi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distri-buiti e nella percentuale non superiore al 15% dell’organico aziendale, riferito al 1° genna-io dell’anno cui le assunzioni si riferiscono.

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14 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Esenzione causale e start-up - Le ragioni oggettive del contratto a termine si intendono sussistenti qualora il contratto a tempo determinato sia stipulato da una start-up innova-tiva per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa. Tale contratto a tempo determinato può essere stipulato per una durata minima di 6 mesi ed una massima di 36 mesi. Entro il predetto limite di durata massima possono essere sti-pulati, per lo svolgimento delle attività stesse, successivi contratti a tempo determinato senza l’osservanza dei termini di stacco tra un contratto e l’altro o anche senza soluzione di continuità. Qualora, per effetto di successione di contratti a termine stipulati in base ai precedenti criteri o in base alle regole generali il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di la-voro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi, comprensivi di proroghe o rinnovi, ed indipendentemente dagli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. A tali rapporti è inapplicabile il contributo aggiuntivo dell’1,4% previsto per i contratti temporanei.

La retribuzione dei lavoratori non può essere inferiore ai minimi tabellari e d’altra parte è costituita da una componente variabile collegata all’effi cienza o alla redditività di impresa.

(art. 28 D.L.179/2012).

Contratti di durata non superiore a 3 giorni - L’art. 10, comma 3, prevede una ulteriore disciplina derogatoria rispetto alle norme del D.Lgs. 368/2001, nel caso di contratti stipulati nei settori del turismo e dei pubblici esercizi, per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore ai tre giorni. Tali contratti devono considerarsi species del genere dei contratti a termine dai quali, però, si distinguono, in quanto presuppongono una diversa durata e diverse ipotesi di ammissibilità. Gli speciali servizi che, nei settori del turismo e dei pubblici servizi, giustifi cano l’assunzione diretta di manodopera per la durata non superiore a 3 giorni, non necessariamente debbono essere eccezionali ed imprevedibili ma possono essere anche pre-vedibili e programmabili, purché non quotidiani o con caratteristiche sempre uguali (Cass. 12 marzo 2004 n. 15946).

Casi di invalidità della causale - L’art. 1 D.Lgs. 368/2001 richiede l’utilizzo della forma scritta sia per l’indicazione del termine, sia l’indicazione delle ragioni che ne giustifi cano l’ap-posizione; il comma 2 specifi ca che in mancanza di atto scritto “l’apposizione del termine è senza effetto”. La forma scritta è quindi richiesta ad substantiam, e la mancata indicazione per iscritto del termine o delle ragioni che lo giustifi cano determinano la nullità del termine. Non incide, invece, sulla formazione del rapporto l’eventuale violazione della prescrizione dell’art. 1, comma 3, secondo cui, entro 5 giorni lavorativi, una copia dell’atto scritto deve es-sere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore; per questo adempimento non è prevista la sanzione specifi ca della nullità. Un altro aspetto connesso alla forma scritta concerne il requi-sito, imposto dall’art. 1, secondo il quale l’indicazione scritta delle causali deve essere speci-fi ca. Un’indicazione generica delle causali non sembra suffi ciente a soddisfare il requisito del-la specifi cità, e pertanto può produrre l’invalidità dell’atto: le concrete ragioni giustifi catrici debbono essere espresse in termini suffi cienti a consentire al giudice di poter accertarne la corrispondenza alla realtà fattuale ed escludere la loro pretestuosità e arbitrarietà.

Sindacato giudiziale - Secondo l’interpretazione maggioritaria della dottrina e della giuri-sprudenza, l’area della cognizione del Giudice deve essere confi nata solo alla effettiva esi-stenza delle ragioni, mentre deve escludersi la legittimità di un controllo di merito sulla ra-gionevolezza delle scelte organizzative del datore di lavoro, che sono insindacabili; in altre parole, il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produtti-ve che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve limitarsi ad accertare che

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vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le fi nalità tipiche dell’impresa. Tale controllo trova un preciso limite nel principio di libertà dell’iniziativa econo-mica privata, garantita dall’art. 41 Cost. e pertanto non può essere dilatato fi no a comprendere il merito della scelta operata dall’imprenditore. Pertanto, il Giudice può verifi care l’esistenza delle ragioni aziendali individuate nel contratto e la loro congruità rispetto al termine, men-tre non può spingersi a valutare nel merito l’opportunità del provvedimento, la sua idoneità o inevitabilità, o a contestare la scelta operata dal datore di lavoro rispetto a diverse ed egual-mente ragionevoli soluzioni organizzative. Questa lettura ha trovato conferma nell’art. 30 leg-ge183/2010 (c.d. Collegato lavoro) che ha espressamente sancito il principio.

Sanzioni per la nullità del contratto - Il D.Lgs. 368/2001, al contrario della normativa pre-vigente, e diversamente da quanto accade per la mancanza di forma scritta, non disciplina espressamente le conseguenze sanzionatorie derivanti dall’accertata inesistenza di una delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo indicate dal datore di lavoro per giusti-fi care l’apposizione del termine. È fuori di dubbio che l’insussistenza delle ragioni addotte come giustifi cazione del termine comporti l’invalidità della relativa clausola; per capire le conseguenze di tale invalidità, occorre fare ricorso ai principi generali in tema di invalidità negoziale. L’art. 1419, comma 1, c.c. prevede che “la nullità parziale di un contratto o la nulli-tà di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”. Alla luce di questi principi, si potrebbe ipotizzare l’estinzione del rapporto di lavoro, in quanto la nullità di una parte essenziale del contratto (la clausola con cui si appone il termine) travolgerebbe l’intero atto; in tale ipotesi, sarebbero fatti salvi solo gli effetti prodotti dal contratto nel “perio-do in cui il rapporto ha avuto esecuzione” (art. 2126 c.c.). Tuttavia, come in passato ha osser-vato anche Corte Cost. 210/1992, sarebbe palesemente irrazionale che dalla violazione di una norma imperativa posta al fi ne di tutelare il lavoratore, possa derivare la liberazione del dato-re di lavoro da ogni vincolo contrattuale; ciò accadrebbe in quanto con l’estinzione del contrat-to il datore di lavoro sarebbe libero da impegni con il lavoratore. Sembra, quindi, da escludere che l’apposizione del termine in violazione dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 368/2001 provochi l’e-stinzione del rapporto di lavoro; in tale evenienza, secondo l’orientamento maggioritario, sia in dottrina che in giurisprudenza, si dovrebbe fare ricorso al principio della conservazione degli effetti del contratto in ragione del quale la clausola nulla viene sostituita di diritto dalla norma imperativa di legge, secondo quanto previsto dall’art. 1419, comma 2, c.c. Pertanto, le clauso-le nulle sarebbero automaticamente sostituite dalla normativa generale che regola il rapporto a tempo indeterminato, con conseguente trasformazione ab origine del contratto in un rappor-to di lavoro a tempo indeterminato. In tale evenienza, secondo la Corte di Cassazione, non deriva automaticamente il diritto del lavoratore alle retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine illegittimamente apposto, atteso che tale diritto è correlato alla prestazione lavorativa. La retribuzione per tale periodo non spetta fi nché il dipendente non provvede ad offrire la prestazione al datore di lavoro, costituendo in mora il datore di lavoro (Cass. 22 gennaio 2004, n. 995 e Cass. 22 ottobre 2003, n. 15827).

1.3 Limiti di durata

Limiti di durata del rapporto prima della riforma Fornero - Sino all’approvazione della legge 247/2007, il contratto a tempo determinato non era soggetto ad alcun limite di durata (ad eccezione di ipotesi specifi che quali, ad esempio, il contratto dei dirigenti), né per quanto con-cerne la durata iniziale, né per il caso di successione di più contratti a termine stipulati, nel

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rispetto degli intervalli di legge, tra le medesime parti. L’unico limite di durata era quello pre-visto per il caso di proroga; in tal caso, la durata complessiva del rapporto a termine (primo rapporto più periodo di proroga) non poteva essere superiore a 3 anni. Questo limite di durata valeva solo per il caso della proroga, ma non costituiva un limite di durata generale al contrat-to. In linea teorica, avrebbe potuto avere anche una durata iniziale più lunga (ovviamente, senza possibilità di proroga, stante il limite triennale sopra ricordato). Questa disciplina è sta-ta modifi cata dalla legge 247/2007 che, in attuazione del c.d. Protocollo sul Welfare sottoscrit-to tra il Governo e le parti sociali il 23 luglio 2007, ha modifi cato l’art. 5 D.Lgs. 368/2001. La principale innovazione apportata riguarda l’introduzione di un limite di durata complessiva, pari ad un periodo di 36 mesi, per la stipula di contratti a termine sottoscritti fra lo stesso da-tore di lavoro e lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti (art. 5, comma 4-bis). Il limite ha una estensione omnicomprensiva, in quanto si applica sia nel caso il con-tratto sia prorogato (e di fatto ricalca il vincolo già esistente), sia nel caso di successione di contratti attuata nel rispetto degli intervalli di legge, indipendentemente dai periodi di interru-zione che intercorrono tra un con tratto e l’altro; questa ipotesi, prima svincolata da qualsiasi limite temporale, può oggi, quindi, essere realizzata solo fi no al momento in cui la sommatoria dei distinti contratti a termine non superi i trentasei mesi. Una volta raggiunto il predetto limi-te, l’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. 368/2001, nuovo testo, prevede la possibilità di rinnovare per una sola volta il contratto a termine fra gli stessi soggetti, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante sindacale. La violazione dei predetti limiti è sanzionata con la conversione del contratto a tempo indeterminato. La fi nalità sottesa a queste innovazioni è quella evitare che il contratto a termine venga utilizzato per un periodo eccessivamente lungo nei confronti dello stesso lavoratore, diventando di fatto la forma di impiego tipica del medesimo. Il D.L.112/2008 ha conferito alla contrattazione collettiva la facoltà di disciplinare diversamente la materia, prevedendo un limite di durata diverso dai 36 mesi.

Modifi ca del limite di durata con la riforma Fornero - La legge 92/2012 ha ristretto in ma-niera signifi cativa il periodo di durata massima, comprensivo di proroghe e rinnovi, durante il quale un’impresa può assumere un lavoratore con più contratti a termine. Questo risultato è stato estendendo al lavoro somministrato la regola generale introdotta dalla legge247/2007, secondo la quale tra la stessa impresa e lo stesso lavoratore la somma dei diversi periodi di lavoro a termine non può superare il periodo di 36 mesi (va ricordato che a contrattazione col-lettiva può tuttavia alzare questa soglia e, comunque, prevedere la facoltà di stipulare un ulte-riore contratto dopo la fi ne del periodo massimo). Secondo la riforma (art. 5, comma 4-bis, nuovo testo) ai fi ni della determinazione del periodo massimo di 36 mesi vengono computati anche eventuali periodi di lavoro somministrato a tempo determinato intercorsi tra il lavora-tore e il l’impresa utilizzatrice, qualora le missioni abbiano ad oggetto mansioni equivalenti a quelle svolte mediante i rapporti a termine diretti. Questo intervento si spiega poco, se si con-sidera che il contratto collettivo delle Agenzie per il lavoro già regola in maniera autonoma la fattispecie, prevedendo che al superamento della soglia di 42 mesi di rapporto continuativo tra lo stesso lavoratore, la stessa Agenzia e lo stesso utilizzatore, l’Agenzia stessa ha l’obbligo di assumere a tempo indeterminato il lavoratore. Questa norma ora si sovrappone in maniera confusa con la nuova disciplina della durata massima del contratto a termine, creando un si-stema particolarmente complesso da applicare e gestire. I periodi di lavoro che vengono inclu-si nel periodo di computo sono quelli aventi ad oggetti mansioni equivalenti a quelle per le quali il dipendente ha lavorato con il contratto a termine, e che sono stati svolti nell’ambito di un contratto commerciale di somministrazione a termine. C’è da chiedersi se il limite vale anche per le persone che, nell’ambito di una somministrazione a termine, sono dipendenti a tempo indeterminato di un’Agenzia per il lavoro. La relazione di accompagnamento alla legge

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chiarisce che per ragioni di coerenza sistematica rientrano nel conteggio solo i periodi di mis-sione svolti dai lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato dalle Agenzie di somministrazione, e non anche quelli svolti da lavoratori legati da un rapporto a tempo inde-terminato con le medesime. Nessun dubbio sussiste per i lavoratori impiegati nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), in quanto la legge (contrariamente a quanto prevedevano la prime bozze) non include le prestazioni rese nell’am-bito di questo schema contrattuale tra i periodi di lavoro che concorrono al raggiungimento della soglia dei 36 mesi.

Esclusioni - I limiti contenuti nei commi 4-bis e 4-ter dell’art. 5, nuovo testo, non si appli-cano al rapporto di lavoro dei dirigenti, alle attività stagionali defi nite dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifi che ed integrazioni, nonché a quelle attività individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Sanzioni per il mancato rispetto dei limiti di durata - L’art. 5 D.Lgs. 308/2001 prevede un limite di durata complessiva, pari ad un periodo di 36 mesi (oppure pari al diverso periodo previsto dal contratto collettivo nazionale); per la successione (comprensiva di proroghe e rin-novi) di contratti a termine sottoscritti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti. La norma prevede altresì la possibilità, una volta rag-giunto il predetto limite, di rinnovare per una sola volta il contratto a termine fra gli stessi soggetti, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione territoriale del lavoro com-petente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante sindacale. Il superamento del periodo di durata massima, a meno che non sia assistito dalla procedura di cui sopra, è san-zionato con la conversione del contratto a tempo indeterminato (art. 5, comma 4-bis).

1.4 Disciplina delle proroghe

Condizioni per la proroga - L’art. 4 D.Lgs. 368/2001 prevede che il termine apposto al con-tratto di lavoro può essere prorogato per una sola volta, ed entro il limite dei 3 anni comples-sivi di durata. La legge non prescrive l’osservanza di una particolare forma per la validità del consenso. Pertanto, il consenso espresso verbalmente dal lavoratore è valido, anche se la forma scritta risulta preferibile in quanto consente comunque di provare che il consenso stes-so è stato prestato dal lavoratore. La riforma Fornero lascia immutata la disciplina delle pro-roghe: pertanto, le parti potranno continuare a prorogare, almeno una volta, il contratto a termine, sottoscrivendo apposito accordo prima che il contratto stesso sia scaduto; l’unica eccezione a tale principio è il caso del contratto privo di causale che, per espressa previsione della legge, non è prorogabile.

Ragioni della proroga - La proroga è legittima quando, oltre ad essere pattuita con il con-senso del lavoratore, sia richiesta da ragioni oggettive; tale requisito costituisce una novità rispetto alla disciplina preesistente, la quale richiedeva ai fi ni della proroga la sussistenza di ragioni contingenti ed imprevedibili. La legge non specifi ca in cosa consistano le “ragioni og-gettive” su cui deve fondarsi la proroga. Si dovrebbe trattare di ragioni, anche diverse da quel-le che hanno determinato la stipulazione del contratto iniziale, di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che rendono oggettivamente necessaria la proroga. Tale ipotesi potrebbe verifi carsi nel caso in cui la realizzazione di un progetto slitti oltre il termine previsto

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a causa di fattori indipendenti dalla volontà del datore di lavoro, oppure qualora il lavoratore assente sostituito mediante un’assunzione a termine prolunghi il periodo di assenza oltre la data prevista. Inoltre, la proroga deve necessariamente avere ad oggetto lo svolgimento della stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato originariamente stipulato. Questa limitazione non deve essere interpretata nel senso che il lavoratore debba esercitare la stessa esatta mansione dedotta nel contratto iniziale, ma nel − diverso − senso che il tipo di esigenza che ha giustifi cato l’apposizione del termine originario debba coincidere con quello che ha reso necessaria la proroga.

Prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro prima della riforma Fornero - Il D.Lgs. 368/2001 tiene conto del fatto che l’impresa può avere bisogno di qualche giorno in più per completare le attività per le quali il contratto a termine è stato stipulato: a tal fi ne si prevede che il rapporto a termine può proseguire oltre la scadenza per soddisfare esigenze organizzative. Nella versione vigente prima della legge 92/2012, se il rapporto di lavoro continuava dopo la scadenza del ter-mine inizialmente fi ssato o successivamente prorogato, il datore di lavoro doveva corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rap-porto pari al 20% fi no al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore (art. 5, comma 1, D.Lgs. 368/2001). Se il rapporto di lavoro continuava oltre il ventesimo giorno in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il con-tratto si considerava a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

Termini di prosecuzione dopo la riforma Fornero - La riforma ha modifi cato questi termi-ni (art. 5, comma 2, D.Lgs. 368/2001 nuovo testo); la prosecuzione di fatto è stata portata a 30 giorni, nel caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi, ed a 50 giorni nel caso di contratti di durata superiore (nella disciplina previgente, il prolungamento di fatto dell’attività era con-sentito per un periodo massimo di 20 giorni, se la durata iniziale del contratto non aveva supe-rato i 6 mesi, e di 30 giorni, se il contratto iniziale aveva superato i 6 mesi di durata).

Obbligo di comunicazione - In relazione al prolungamento di fatto, la legge (art. 5, comma 2-bis) introduce un adempimento amministrativo che prima non era richiesto; in caso di pro-secuzione del rapporto, infatti, il datore di lavoro deve comunicare al Centro per l’Impiego, entro il termine di scadenza del termine inizialmente previsto, l’intenzione di proseguire il rapporto a termine e la data della nuova scadenza. Le modalità di comunicazione sono in vigo-re dal 25.11.2012 in virtù del D.M. attuativo del10 ottobre 2012 (v. D.M. 5 ottobre 2012 e nota ministeriale del 31 ottobre 2012 per le modalità compilative del UNILAV).

1.5 Rinnovi e successione contrattuale

Disciplina dei rinnovi prima della riforma Fornero - La legge non impedisce al datore di lavoro la possibilità di stipulare più contratti a termine, successivi tra loro, con lo stesso la-voratore. Ove ciascun contratto sia sorretto da reali esigenze di carattere tecnico, organizza-tivo e produttivo, quindi, il datore di lavoro può stipulare liberamente un contratto a termine con soggetti che ha già avuto alle proprie dipendenze. Gli unici limiti posti alla facoltà del da-tore di lavoro concernono la durata complessiva del rapporto che il datore di lavoro può intrat-tenere, anche mediante proroghe o rinnovi, con lo stesso lavoratore; tale durata, a seguito delle modifi che introdotte dal Protocollo sul Welfare, non può eccedere i 36 mesi (art. 5 D.Lgs. 368/2001, nuovo testo). Il secondo limite concerne gli intervalli di tempo minimi che devono

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essere rispettati tra la scadenza di un contratto e la stipula di quello successivo. La stipula del secondo o successivo contratto con lo stesso lavoratore è ammessa purché tra la fi ne del pre-cedente contratto e l’inizio del nuovo vi sia un intervallo minimo, che nella disciplina vigente prima della riforma Fornero era di 10 giorni; l’intervallo era elevato ad un periodo di 20 giorni, se il contratto precedente aveva una durata superiore a sei mesi (art. 5, comma 3, D.Lgs. 368/2001, vecchio testo).

Termini introdotti dalla riforma Fornero - La legge 92/2012 ha reso molto più restrittiva la disciplina dei rinnovi dei contratti a termine, modifi cando la durata degli intervalli minimi tra un contratto e l’altro prevista dall’art. 5 comma 3, D.Lgs. 368/2001; alla base di questo inter-vento c’è la convinzione del legislatore che il rinnovo del contratto a termine sia un fenomeno patologico, da contrastare mediante l’introduzione di limiti oggettivi che rendono diffi cile l’o-perazione. A tale scopo, l’intervallo di minimo tra un contratto e l’altro viene portato a 60 gior-ni, se il precedente contratto aveva una durata non superiore a 6 mesi, ed a 90 giorni, se il rapporto intercorso in precedenza aveva superato la durata di 6 mesi.

Casi di esclusione dell’obbligo di rispettare l’intervallo minimo - La legge di conversione (134/2012) del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 22 giugno 2012, n. 83) ha attenuato, almeno in parte, il rigore della disciplina contenuta nella riforma Fornero, con una doppia misura. Innanzitutto, è stata sancita l’esclusione del lavoro stagionale (come defi nito dal D.P.R.1525/1963 o dai contratti collettivi nazionali) dalla disciplina ordinaria degli intervalli minimi; per tale fattispecie, l’intervallo è pari a 20 giorni, se il precedente contratto non ha superato la durata di 6 mesi, o 30 giorni, se il contratto precedente ha avuto una durata superiore a 6 mesi (art. 5, comma 3, D.Lgs. 368/2001, nuovo testo). La stessa legge ha precisato che i termini ridotti di 20 o 30 giorni si applicano in ogni caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali compara-tivamente più rappresentative sul piano nazionale. (v. Min. lavoro, circ. 27 del 7 novembre 2012), siglati anche in data antecedente al 18 luglio 2012 (Min. lavoro, interpello n. 37 del 22 novembre 2012). In questo modo, pur senza abrogarla, è stata sostanzialmente cancellata la prima parte dell’art. 5, comma 3, che concedeva analogo potere ai contratti collettivi, ma solo in presenza delle stesse situazioni in cui è possibile introdurre un sistema alternativo di esenzione dalla causale. La legge considera anche l’ipotesi di mancata sottoscrizione di accordi collettivi in materia: in tale caso, si prevede un intervento sostitutivo del Ministero del lavoro, dopo che saranno decorsi infrut-tuosamente 12 mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme. In tale ipotesi, il Ministero del lavoro, sentite le parti sociali, potrà individuare quali sono le condizioni che consentono di applicare il minor periodo di 20 e 30 giorni, invece che quello ordinario di 60 o 90 giorni.

Sanzioni per violazione dell’intervallo minimo nei rinnovi - Il mancato rispetto dell’inter-vallo minimo tra un contratto e l’altro comporta conseguenze diverse secondo il momento in cui si concretizza la violazione. Se la riassunzione avviene dopo la fi ne del contratto ma prima che sia decorso l’intervallo minimo previsto dalla legge o dal contratto collettivo, il “secondo contratto si considera a tempo indeterminato” (art. 5, comma 4). Invece, nel caso in cui tra il primo ed il secondo contratto non vi sia nessun intervallo, il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato, dalla data di stipulazione del primo contratto.

1.6 Limiti quantitativi

Rinvio alla contrattazione collettiva - I contratti collettivi nazionali hanno il compito di de-

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terminare il limite massimo di lavoratori assumibili a tempo determinato (art. 10, comma 7, D.Lgs. 368/2001). Secondo il medesimo art. 10, la contrattazione collettiva non può tuttavia introdurre limitazioni quantitative per i contratti a tempo determinato stipulati nelle seguenti situazioni: – nella fase di avvio di nuove attività per i periodi defi niti dal CCNL con riferimento ad aree

geografi che o comparti merceologici; – per sostituire lavoratori assenti; – per attività di carattere stagionale; – con lavoratori di età superiore ai 55 anni; – quando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio defi niti o

predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale; – per specifi ci spettacoli ovvero specifi ci programmi radiofonici o televisivi.

La legge 247/2007 ha eliminato dalla versione originaria dell’art. 10 le ipotesi della intensi-fi cazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, e quella relativa ai contratti stipulati dopo un periodo di tirocinio o di stage; per questi, pertanto, la contrattazione colletti-va può introdurre limiti quantitativi.

Incidenza dei lavoratori a termine sull’organico aziendale - Lo Statuto dei lavoratori disci-plina, al titolo terzo (artt. 19-27), i diritti sindacali che devono essere garantiti sui luoghi di la-voro. Tali norme disciplinano i seguenti aspetti dell’attività sindacale: costituzione di rappre-sentanze sindacali aziendali; assemblea e referendum; trasferimento, permessi retribuiti e non retribuiti dei dirigenti delle Rappresentanze sindacali aziendali; diritto di affi ssione; con-tributi sindacali; locali delle rappresentanze sindacali aziendali. L’art. 35 dello Statuto prevede l’applicazione dell’intero titolo terzo alle sole imprese industriali e commerciali che, in ciascu-na sede, stabilimento, fi liale, uffi cio o reparto autonomo, occupano più di 15 dipendenti (in caso di imprese agricole, più di cinque dipendenti), ed alle imprese che nell’ambito dello stes-so comune occupano più di 15 dipendenti (per le imprese agricole, più di 5 dipendenti nel medesimo territorio, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non rag-giunge tali limiti).

Ai fi ni del computo di tale organico, e della conseguente applicazione delle norme del titolo terzo dello Statuto, il D.Lgs. 368/2001 stabilisce che devono essere considerati come parte dell’organico aziendale solo i contratti a termine di durata superiore a 9 mesi.

1.7 Impugnazione del contratto

Proposizione dell’azione prima della riforma Fornero - L’impugnazione del contratto per l’insussistenza delle causali giustifi catrici deve essere proposta prima in via stragiudiziale e poi con ricorso ex art. 410 c.p.c. avanti al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro, entro i termini previsti dall’art. 32 legge 183/2010, a pena di decadenza. Nella disciplina inizialmente contenuta nel collegato lavoro, il contratto doveva essere impugnato in via stragiudiziale entro 60 giorni dalla scadenza, e in via giudiziale nei successivi 270 giorni.

Termini di impugnazione dopo la riforma Fornero - La riforma (art. 1, comma 11) ha modifi cato i termini previsti dall’art. 32 legge 183/2010 in materia di impugnazione del con-tratto a termine. La norma ha portato il termine per impugnare il contratto in via stragiudi-ziale da 60 a 120 giorni, in modo da rendere più facile per il lavoratore la scelta se impugna-

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re o meno il contratto; per non allungare troppo la procedura di impugnazione, questo allungamento è stato bilanciato dalla riduzione a 180 giorni del termine per agire in giudi-zio. Sulla base di questi nuovi termini, la procedura di impugnazione deve essere completa-ta più celermente (nel precedente regime, durava complessivi 330 giorni, in questo arriva a 300 giorni), ma viene lasciato un tempo maggiore per decidere se proporre l’impugnazione stragiudiziale.

Regime transitorio - Il comma 12, art. 1, legge 92/2012 chiarisce che i termini di impugna-zione introdotti dalla riforma si applicano alle cessazioni di contratti a termine che si verifi ca-no a partire dal 1° gennaio 2013; per i contratti che scadono dopo l’entrata in vigore della legge (quindi, dopo il 18 luglio 2012) ma prima del 2013, invece, continua ad applicarsi il vec-chio testo del collegato lavoro (termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale, termine di 270 giorni per quella giudiziale).

Onere della prova - L’onere della prova della giustifi catezza del termine dovrebbe gravare, in conformità con la regola generale prevista dall’art. 2697 c.c., sulla parte interessata a farlo valere (il D.Lgs. 368/2001 ha soppresso la precedente norma che poneva l’onere della prova in capo al datore di lavoro). Invece, l’onere di provare l’obiettiva esistenza delle ragioni che giu-stifi cano la proroga è posto espressamente a carico del datore di lavoro, in virtù della previsio-ne di cui all’art. 4, comma 2 del decreto.

Qualifi cazione dell’azione - In merito all’azione con cui il lavoratore impugna il contratto, per la scadenza di un termine illegittimamente apposto, al fi ne di far valere la continuità del rapporto, la Cassazione ha osservato che essa ha come oggetto un mero accertamento dell’ef-fettiva situazione giuridica derivante dalla nullità del termine. Con riferimento all’azione volta a far valere i diritti patrimoniali consequenziali all’accertamento della permanenza in vita del rapporto, il lavoratore può ottenere soltanto il risarcimento del danno subito a causa della impossibilità della prestazione cagionata dal rifi uto ingiustifi cato del datore di lavoro (Cass. 22 ottobre 2003, n. 15827).

Indennità risarcitoria - Nel caso in cui il contratto a termine sia dichiarato illegittimo dal giudice, continua ad applicarsi la doppia sanzione: “conversione” a tempo indetermi-nato del contratto a termine, e riconoscimento al lavoratore di un’indennità sostitutiva del risarcimento di importo variabile compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima re-tribuzione globale di fatto (art. 32, comma 5, legge183/2010). Questa disciplina, nella par-te in cui limita il risarcimento del danno a un tetto massimo, è stata portata in Corte Co-stituzionale e la Consulta, con la sentenza 303/2011, ne ha riconosciuto la piena legittimità. Dopo la sentenza della Corte, si è posto un problema interpretativo connesso alla possibilità di riconoscere al lavoratore un indennizzo aggiuntivo, a copertura del pe-riodo intercorso tra la data di deposito del ricorso e la sentenza. Questa ipotesi, avallata da alcune sentenze molto creative, è stata più volte smentita dalla Corte di Cassazione; la legge 92/2012 (art. 1, comma 10) conferma ulteriormente la lettura della Suprema Corte, chiarendo che l’indennità riconosciuta in caso di conversione del rapporto a termine, es-sendo qualificata dalla legge come “onnicomprensiva”, copre tutte le conseguenze retri-butive e contributive derivanti dall’illegittimità del contratto a termine, senza la possibilità di riconoscere altri importi.

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22 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

1.8 Disciplina del rapporto di lavoro

Obbligo di parità di trattamento - L’art. 6 D.Lgs. 368/2001 sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di rispettare il principio di parità di trattamento fra il lavoratore a termine e il lavorato-re a tempo indeterminato. La norma precisa esplicitamente che al lavoratore a termine spetta “ogni trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratti a tempo indeterminato”; gli unici trattamenti che possono essere riconosciuti in maniera differenziata sono quelli la cui natura sia “obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine” (ad esempio le norme che garantiscono gli scatti di anzianità). Al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano, quindi, le ferie, la tredicesima mensilità, il trattamento di fi ne rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indetermi-nato inquadrati nello stesso livello di classifi cazione contrattuale ed in proporzione al periodo lavorativo prestato; nonostante le diffi coltà di calcolo e di erogazione, dovrebbero essere rico-nosciuti ai lavoratori a termine anche i premi di risultato, proporzionati all’apporto conferito.

Cessazione del rapporto - Il rapporto di lavoro a tempo determinato si risolve, in assenza di patologie, con il decorso del termine; prima dello scadere del termine, entrambe le parti possono recedere solo per giusta causa (è escluso quindi il recesso per giustifi cato motivo).

Malattia, maternità e disoccupazione - In caso di malattia al lavoratore a tempo determi-nato spetta la conservazione del posto fi no al termine di scadenza del contratto. Inoltre, il lavoratore ha il diritto di percepire durante tutto il periodo di malattia il trattamento di malattia riconosciuto dall’INPS ai lavoratori a tempo indeterminato, con la differenza che se il contrat-to scade quando il lavoratore è in malattia, o è in stato di infermità causato da infortunio, all’avvenuta scadenza verrà meno anche il relativo trattamento. I trattamenti previdenziali di malattia sono corrisposti per un periodo non superiore a quello di attività lavorativa prestata nei 12 mesi immediatamente precedenti l’evento morboso, enti i limiti massimi e di durata previsti dalle vigenti disposizioni di legge. Il lavoratore che nei 12 mesi immediatamente pre-cedenti non possa far valere periodi lavorativi superiori a 30 giorni, ha diritto al trattamento di malattia per un periodo massimo di 30 giorni nell’anno solare. In tal caso l’indennità è corri-sposta direttamente dall’INPS. Per quanto riguarda la maternità, la lavoratrice ha il diritto di ottenere il relativo trattamento assistenziale, che viene corrisposto direttamente dall’INPS. Infi ne, va ricordato che se in seguito alla scadenza del termine il lavoratore resta disoccupato, egli ha diritto all’indennità di disoccupazione; tale indennità spetta, però, solo in presenza di determinati requisiti imposti dalla legge.

Formazione - L’art. 7 D.Lgs. 368/2001 mira a garantire una formazione adeguata al lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro; la norma sancisce l’obbligo del datore di lavoro di erogare al lavoratore assunto con contratto a tempo determinato “una formazione suffi ciente ... al fi ne di prevenire rischi connessi all’esecuzione del lavoro”. I lavoratori a tempo determinato devono quindi ricevere una formazione suffi ciente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni ogget-to del contratto, al fi ne di prevenire rischi specifi ci connessi all’esecuzione del rapporto di lavoro. E’ rimessa alla contrattazione collettiva la previsione di modalità e strumenti diretti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata per aumen-tarne la qualifi cazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.

Informazione - L’art. 9 affi da ai contratti collettivi nazionali il compito di stabilire le moda-lità attraverso cui rendere edotti i lavoratori “circa i posti vacanti che si rendessero disponibili

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Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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nell’impresa, al fi ne di garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori”; i contratti collettivi defi niscono, altresì, modalità e contenuti delle informa-zioni da rendere alle rappresentanze dei lavoratori in merito al lavoro a tempo determinato nelle aziende. La norma ha l’evidente fi nalità di agevolare l’ingresso stabile ed a tempo inde-terminato dei lavoratori inizialmente assunti con il contratto a termine; a tal fi ne, a prescinde-re dal diritto di precedenza, si stabilisce il principio di massima circolazione delle informazioni sui posti disponibili. È chiaro, peraltro, che la portata di questa disposizione non va oltre l’in-formazione sui posti, mentre resta libera per il datore di lavoro la facoltà di scegliere i lavora-tori che più ritiene idonei per la copertura dei posti vacanti (fatta salva l’eventuale presenza di lavoratori aventi un diritto di precedenza azionabile).

Diritto di precedenza - Il comma 9, art. 10, D.Lgs. 368/2001, nella versione originaria, affi -dava ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rap-presentativi, il compito di individuare e disciplinare l’eventuale diritto di precedenza nella as-sunzione, presso la stessa azienda e con la medesima qualifi ca, a favore dei lavoratori che avessero già prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato. La norma, per agevolare il riconoscimento del diritto di precedenza, prevedeva che i lavoratori assunti in base al diritto di precedenza non concorre a determinare la base di computo per il calcolo della percentuale di riserva di cui all’art. 25, comma 1, legge 23 luglio 1991, n. 223. Il comma 10 specifi cava, inoltre, che il diritto di precedenza eventualmente riconosciuto si estingue en-tro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, e che il lavoratore poteva esercitar-lo a condizione che manifestasse in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso. Tale disciplina è stata abrogata e sostituita integralmente da quella contenuta nella legge 247/2007, che ha attuato il c.d. Protocollo sul Welfare (che ha introdotto l’art. 5, nuovo testo, del decreto legislativo). Con la novella, è stato riconosciuto un diritto di precedenza in favore del lavoratore che sia stato utilizzato con uno o più contratti a termine per un periodo superiore a 6 mesi, rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi e con riferimento alle mansioni già espletate (art. 5, comma 4-quater, D.Lgs. 368/2001). Un diritto simile è ricono-sciuto dal comma 4-quinquies per il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attivi-tà stagionali, il quale ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali. Il diritto di precedenza rico-nosciuto dai commi 4- quater e 4-quinquies può essere esercitato a condizione che il lavora-tore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro rispettivamente sei mesi e tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso; il medesimo diritto si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (art. 5, comma 4-sexies). La contratta-zione collettiva può modifi care la disciplina legale, prevedendo forme o condizioni di esercizio del diritto diverse da quelle appena ricordate (D.L.112/2008).

Divieti di apposizione del termine - L’art. 3 vieta il ricorso al lavoro a termine, anche ove sussistano esigenze in grado di legittimare il ricorso al contratto, in una serie di casi tassati-vamente elencati:– il primo gruppo di divieti riguarda la sostituzione di lavoratori che esercitino il diritto di

sciopero (art. 3, comma 1). Questa norma persegue l’evidente fi nalità di non frustrare i principi cardine della libertà dell’attività sindacale; l’eventuale utilizzo di lavoratori a termi-ne per rimpiazzare lavoratori scioperanti vanifi cherebbe uno degli strumenti principali con cui si esercita l’azione sindacale, e cioè lo sciopero. Il contratto a termine, inoltre, non può essere utilizzato - salva diversa disposizione degli accordi sindacali - da parte di aziende che, nei sei mesi precedenti, abbiano proceduto a licenziamenti collettivi, che abbiano ri-

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24 Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

guardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato (art. 3, comma 2). Il divieto può, tuttavia, essere rimosso mediante accordo sindacale; la legge non specifi ca quali siano i livelli contrattuali legittimati ad introdurre la deroga, e quindi la stessa potrebbe essere prevista sia mediante un accordo nazionale, sia mediante un accordo di secondo livello, territoriale o aziendale. Inoltre, il divieto non opera in presenza di situazioni specifi che; innanzitutto, esso non si applica quando il contratto abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;

– in secondo luogo, il divieto non opera nel caso in cui il contratto a termine sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti e qualora il contratto sia concluso con un lavoratore iscritto alle liste di mobilità, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 223/1991. Questa norma riconosce degli sgravi contributivi (in particolare, l’applicazione della contribuzione agevolata prevista per l’apprendistato) nel caso di assunzione di lavo-ratori in mobilità con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi; nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il benefi cio contributivo spetta per ulteriori 12 mesi;

– la terza situazione che impedisce la stipula del contratto a termine consiste nell’attuazione, da parte dell’azienda, di una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario con ricorso alla CIG o ai contratti di solidarietà, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si ri-ferisce il contratto di lavoro a tempo determinato. La quarta ed ultima ipotesi di divieto interes-sa le aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e successive modifi che; con tale disposizione il legislatore mira a penalizzare i datori di lavoro che non si rendono adempienti rispetto alle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro.

1.9 Disciplina previdenziale

Maggiorazione contributiva dopo la riforma Fornero - L’art. 2, commi 28-30, legge 92/2012, ha incrementato il costo contributivo dei rapporti di lavoro a termine, con un doppio scopo: fi nanziare la nuova indennità di disoccupazione e scoraggiare l’utilizzo di contratti con una durata determinata. Quest’ultima fi nalità è ulteriormente rafforzata dalla prospettiva di un parziale recupero della maggior spesa sostenuta, per i datori di lavoro che decidono di conver-tire a tempo indeterminato il precedente rapporto a termine. Questa fi losofi a ha trovato attua-zione nell’introduzione di un’aliquota contributiva aggiuntiva - pari all’1,4% - per tutti i lavora-tori non a tempo indeterminato. La nuova aliquota dovrebbe interessare tutte le tipologie contrattuali aventi una durata predefi nita, fatte salve solo le eccezioni espressamente previste dal progetto di riforma. Tra queste eccezioni sono previsti, in primo luogo, i lavoratori assunti in sostituzione di colleghi assenti. Tale ipotesi può verifi carsi sia nel caso di utilizzo di lavora-tori a tempo determinato, sia nel caso di impiego di lavoratori somministrati. Analoga esclu-sione è prevista per i lavoratori stagionali, come individuati dal D.P.R.1525/1963; è previsto anche un riferimento ai contratti collettivi, per estendere la nozione a quanto previsto dalle parti sociali. Restano poi esclusi dall’aliquota aggiuntiva gli apprendisti (anche se per questi rapporti si applica comunque una maggiorazione dell’1,31%).

Restituzione della maggiorazione - come ricordato, il maggior contributo dovrebbe servire

a fi nanziare il nuovo trattamento di disoccupazione (Aspi), ma in parte può essere recuperato dal datore di lavoro in caso di trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. Il recupero sarà tuttavia solo parziale, in quanto non potrà eccedere le 6 mensilità di aliquota aggiuntiva versata, e presumibilmente avverrà in proporzione alla durata.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Capitolo 2

SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

La L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro incide in misura signifi cativa sulla discipli-na della somministrazione di manodopera (artt. 20 e ss. D.Lgs. 10.9.2003, n. 276), fattispecie che, a discapito della sua idoneità a coniugare le esigenze di fl essibilità delle imprese con le necessarie tutele da doversi offrire ai lavoratori, pare essere ancora oggi vista con una certa diffi denza da parte del legislatore. Le modifi che introdotte dalla Riforma Fornero, infatti, tra-discono un atteggiamento del legislatore molto cautelativo verso lo strumento in questione, benché, nella prassi applicativa, esso riceva un’attenzione assai limitata da parte delle azien-de.

SOMMINISTRAZIONE E ORIENTAMENTICOMUNITARI – DIRETTIVA 104/2008

La Direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19.11.2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, ha introdotto alcuni innovativi principi nella materia. La Direttiva è vol-ta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale (art. 2). I principi della Direttiva - attuati nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 24/2012 - sono particolarmente importanti in quanto consentono di mettere in luce le pro-fonde differenze che sussistono tra la fattispecie del lavoro tramite agenzia e quella del contratto a termine (che viene regolamentato nella diversa e distinta Direttiva 70/1999), che spesso sono erroneamente accomunate.

Rilevanza strategica del lavoro tempora-neo

Il preambolo della Direttiva fornisce la cornice generale entro la quale viene collocato, nel diritto comunitario, il lavoro tramite agenzia. Di parti-colare rilievo risulta il considerando n. 11, il quale chiarisce che “il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo alle esigenze di fl essibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti”. Contribuisce pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato”. Questa formula sembra collocare il la-voro tramite agenzia entro una cornice di particolare favore, al contrario di quanto accade, ad esempio, con il lavoro a tempo determinato.

Riesame dei divieti e delle restrizioni

La Direttiva considera il lavoro tramite agenzia come una forma di oc-cupazione meritevole di una tutela speciale; il considerando n. 18 si spinge ad affermare che le restrizioni o i divieti imposti al ricorso al la-voro tramite agenzia interinale possono essere giustifi cati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. L’art. 4 ha una valenza fondamentale, perché tra-duce in un principio specifi co tale impostazione. La norma prevede che i divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agen-zie di lavoro interinale sono giustifi cati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul

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26 Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - SOMMINISTRAZIONE E ORIENTAMENTICOMUNITARI – DIRETTIVA 104/2008

lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. La norma amplifi ca la differenza tra la somministrazione a termine e il lavoro a tempo determinato: mentre per il lavoro a termine la Direttiva 70/1999 prevede come forma di contrasto dell’eccessiva reiterazione proprio la causale (in alternativa o in aggiunta ad altri strumenti), per il lavoro somministrato viene invocata la rimo-zione di limiti che non siano giustifi cati da ragioni di interesse generale.

Principio della parità di trattamento

La Direttiva, preambolo n. 14, si occupa della regola della c.d. parità di trattamento. Dopo aver confermato il principio generale secondo il quale le condizioni di base di lavoro e d’occupazione applicabili ai lavo-ratori tramite agenzia interinale dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro (con-siderando n. 14), si prevede la possibilità di introdurre delle deroghe a tale principio (considerando n. 17), a condizione che sia concluso un accordo dalle parti sociali a livello nazionale, e che sia previsto un livel-lo di tutela adeguato. Altra deroga, questa volta di carattere generale, è paventata dal considerando n. 15; la clausola afferma che nel caso dei lavoratori legati all’agenzia interinale da un contratto a tempo in-determinato, tenendo conto della particolare tutela garantita da tale contratto, occorrerebbe prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice. L’art. 5 Direttiva conferma questa impostazione: la norma prevede che per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occu-pazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro. Per quanto ri-guarda la retribuzione, tuttavia, gli Stati membri possono, previa con-sultazione delle parti sociali, prevedere una deroga al principio di pari-tà di trattamento, nel caso in cui i lavoratori tramite agenzia interinale che sono legati da un contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra. Inoltre, secondo il co. 3 la legge può affi dare alle parti sociali la facoltà di derogare al principio di parità di trattamento. Il co. 4 prevede poi che gli Stati membri che non possiedono né un siste-ma legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applica-bili, né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografi ca possono stabilire modalità alternative riguar-danti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in deroga al prin-cipio di cui al paragrafo 1. Tali modalità alternative possono prevedere un periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento.

Occupazione, attrez-zature collettive e formazione professio-nale

Secondo l’art. 6, i lavoratori tramite agenzia interinale devono essere informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affi nché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di la-voro a tempo indeterminato. Il co. 2 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affi nché siano dichiarate nulle o possano essere dichiarate nulle le clausole che vietano o che abbiano l’effetto d’impe-dire la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione. Il co. 3 ribadisce il principio di gratuità.

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Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - SOMMINISTRAZIONE E ORIENTAMENTICOMUNITARI – DIRETTIVA 104/2008

Le agenzie di lavoro interinale non possono richiedere compensi ai la-voratori in cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice o nel caso in cui essi stipulino un contratto di lavoro o avviino un rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice dopo una missione nella medesima.

Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale

Secondo l’art. 7, i lavoratori tramite agenzia interinale sono presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, per il cal-colo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappre-sentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un’agenzia interinale. Gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere, alle condizioni da essi defi nite, che i lavoratori tramite agenzia interinale siano presi in considerazione, in un’impre-sa utilizzatrice, come lo sono o lo sarebbero i lavoratori direttamente impiegati dall’impresa medesima per lo stesso periodo, per il calcolo della soglia sopra la quale si possono costituire gli organi rappresen-tativi dei lavoratori.

Informazione dei rap-presentanti dei lavo-ratori

Secondo l’art. 8, l’impresa utilizzatrice è tenuta a fornire informazioni adeguate sul ricorso a lavoratori tramite agenzia interinale all’interno dell’impresa all’atto della presentazione dei dati sulla propria situa-zione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori, istituiti conformemente alla normativa comunitaria e nazionale.

Clausola di non re-gresso

L’art. 9 fi ssa, come tutte le Direttive sul lavoro, la c.d. clausola di non regresso. In virtù di tale principio, in nessun caso l’attuazione della di-rettiva costituisce una ragione suffi ciente per giustifi care una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori rientranti nel suo am-bito d’applicazione.

Attuazione I principi contenuti nella Direttiva 104/2008 hanno trovato attuazione nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 24/2012. Il decreto non coglie ap-pieno lo spirito della Direttiva, rinunciando a rimuovere molti limiti e restrizioni, anche se compie qualche passo in avanti, eliminando per alcuni situazioni l’obbligo di indicare le causali. Per il resto, la Diretti-va contiene norme che non stravolgono la disciplina dell’istituto, ma si limitano a ridefi nire alcune parti dello stesso. Ad esempio, l’art. 2 de-creto introduce la nozione di “missione”, che viene defi nita come il pe-riodo in cui il lavoratore è messo a disposizione di un utilizzatore. Viene poi defi nito il concetto di “condizioni di base di lavoro e d’occupazione”, che indica le condizioni di lavoro e di occupazione in materia di orario di lavoro, retribuzione, protezione delle donne in stato di gravidanza e in materia di non discriminazione.

2.1 Contratto commerciale di somministrazione di lavoro

2.1.1 Rapporto giuridico di somministrazione

La fattispecie negoziale della somministrazione di manodopera si caratterizza per la pos-sibilità per una parte (somministratore) di obbligarsi, verso il corrispettivo di un prezzo, a

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28 Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

fornire ad un’altra (utilizzatore) prestazioni periodiche o continuative rese da terzi, senza che tra i lavoratori “forniti” e l’utilizzatore si insaturi un contratto di lavoro subordinato. Tale defi -nizione dal D.Lgs. 276/2003, che defi nisce la Somministrazione come la “fornitura professio-nale di manodopera, a tempo determinato o indeterminato, ai sensi dell’art. 20” (art. 2).

2.1.2 Rapporti contrattuali

La fattispecie della somministrazione racchiude in se due distinti rapporti contrattuali, quello – propriamente inquadrabile come “somministrazione” – di natura commerciale che intercorre tra l’Agenzia e l’utilizzatore, ed il contratto di lavoro che lega il lavoratore con l’Agen-zia. Il primo rapporto – il contratto di somministrazione – consiste in un contratto di scambio tra prestazioni periodiche e continuative e un corrispettivo economico; il secondo è un ordina-rio rapporto di lavoro che, salvo alcuni adeguamenti specifi ci richiesti dalle particolari moda-lità con cui si svolge il rapporto, è soggetto alla disciplina ordinaria.

2.1.3 Tipologie di somministrazione

Il D.Lgs. 276/2003, innovando rispetto alla previgente disciplina, contempla due tipologie di somministrazione, una maggiormente assimilabile al lavoro interinale, cioè la somministra-zione a tempo determinato, ed una, prima di allora non prevista nel nostro ordinamento, la somministrazione a tempo indeterminato (nota anche come staff leasing), utilizzabile solo per alcuni tipi di attività.

Somministrazione a tempo indeterminato – La somministrazione a tempo indeterminato è ammessa per lo svolgimento di una serie di attività (art. 20, co. 3, lett. a-h), relative a fasce professionali variegate. Le attività previste sono le seguenti:

a) servizi di consulenza e assistenza nel settore informativo, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di sof-tware applicativo, caricamento dati;

b) servizi di pulizia, custodia, portineria; c) servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e movimentazione di macchinari e

merci; d) gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato; e) attività di consulenza direzionale, assistenza alla certifi cazione, programmazione delle ri-

sorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;

f) attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; g) gestione di call-center, nonché avviamento di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree

Obiettivo uno di cui al regolamento (CE) n. 1260 del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;

h) costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti, installazioni e smontaggio di impianti e macchinari, particolari attività produttive, con specifi co riferimento alla cantieristica nava-le, le quali richiedono più fasi successive di lavorazione, l’impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa;

i) casi previsti dai contratti collettivi di livello nazionale, territoriale o aziendale, stipulai da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative;

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Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

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i-bis) servizi socio assistenziali e di cura alla persona;i-ter) utilizzo di apprendisti.

Utilizzo di apprendisti nell’ambito di rapporti di somministrazione di manodopera – Il Testo Unico dell’apprendistato ha riconosciuto la possibilità di utilizzare lavoratori apprendisti nell’ambito di un rapporto di somministrazione di lavoro (D.Lgs. 14.9.2011, n. 167). La Riforma Fornero è intervenuta sostituendo integralmente il co. 3, art. 2, D.Lgs. 167/2011, nel quale era stata sancita la piena legittimità di una fornitura di lavoratori assunti dall›agenzia di sommini-strazione con un contratto di apprendistato. In particolare l›articolo da ultimo citato, dopo le innovazioni contenute nel primo periodo - concernenti l›innalzamento del numero massimo di apprendisti che è possibile assumere, in precedenza pari al 100% dei lavoratori qualifi cati alle dipendenze del datore di lavoro e ora individuato in un rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestran-ze qualifi cate - contiene al secondo periodo una nuova previsione, ai sensi della quale “è in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato di cui all’art. 20, co. 4, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276” (art. 1, co. 16, lett. c, L. 92/2012).

Come si vede, dunque, la L. 92/2012 ha confermato la scelta adottata dal legislatore del 2011 circa la compatibilità tra somministrazione e apprendistato ma, con la disposizione in parola, ha inteso rendere esplicita la delimitazione, ai soli rapporti di somministrazione a tempo indeterminato, della possibilità di fornire lavoratori assunti con contratto di apprendi-stato.

Questa previsione deve essere completata con l’ulteriore modifi ca apportata dalla legge di conversione del D.L. 83/2012, che ha aggiunto una nuova lett. i-ter) al co. 3, art. 20, D.Lgs. 276/2003, nel quale sono elencate le ipotesi in cui è consentito instaurare rapporti di sommi-nistrazione a tempo indeterminato: secondo la nuova norma, la somministrazione a tempo indeterminato può essere utilizzata “in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato” (art. 20, co. 3, lett. i-ter D.Lgs. 276/2003). Per effetto di questa disposizione, risulta ora consentito stipulare contratti di somministrazione a tempo indeterminato liberamente, in assenza di qualsivoglia vincolo correlato alla natura delle attività o al settore di destinazione, qualora l’Agenzia per il lavoro vi dia esecuzione fornendo lavoratori assunti con contratto di apprendistato.

L’utilizzatore potrà benefi ciare degli sgravi contributivi di cui è portatore l’apprendista com-preso, per le imprese utilizzatrici con meno di 10 lavoratori (INPS, circ. 128/2012), lo sgravio totale per i primi 3 anni di contratto, previsto per le assunzioni intervenute fono al 31.12.2016.

Somministrazione a tempo determinato - Per individuare i casi in cui è utilizzabile la som-

ministrazione a tempo determinato, la legge utilizza una clausola generale, formulata in ter-mini simili a quelli del D.Lgs. 368/2001: la somministrazione di lavoro a tempo determinato, infatti, “è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitu-tivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore” (art. 20, co. 4); l’indicazione di queste esigenze, comunemente indicata come “causale”, è un fase essenziale per la validità del contratto.

Il primo decennio di applicazione della legge Biagi e, in particolare, della norma che subor-dina l’utilizzabilità del contratto di somministrazione a termine alla sussistenza della c.d. cau-sale ha dimostrato che la somministrazione di manodopera, pur subendo un contenzioso in-feriore rispetto ad altre forme di lavoro fl essibile, può essere affetta da problemi giudiziari quanto la causale stessa è scritta in maniera generica.

La giurisprudenza, con un approccio molto rigoroso e poco attento alle differenze tra la

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30 Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

somministrazione di lavoro e il contratto a termine, ha in sostanza applicato alla prima gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul secondo, con la conseguenza che i contratti di somministrazione che presentano una causale generica spesso vengono invalidati in giudizio, e il rapporto di lavoro si converte in un ordinario rapporto a tempo indeterminato con l’utiliz-zatore. Questo approccio presta il fi anco a molte critiche, in quanto la somministrazione di lavoro e il contratto a termine sono fattispecie diverse, talmente diverse che trovano la propria disciplina a livello comunitario all’interno di direttive distinte; la stessa giurisprudenza, seppu-re in misura minoritaria, inizia a leggere in maniera diversa la questione.

2.1.4 Eliminazione della causale per il primo rapporto in somministrazione

Di fronte alla crescita del contenzioso, il legislatore ha deciso di intervenire prevedendo alcune specifi che ipotesi nelle quali la causale non deve essere indicata nel contratto di somministrazione.

Disciplina delle causali nel D.Lgs. 24/2012 - Con il D.Lgs. 24/2012, che ha dato attuazione alla Direttiva 2008/104/CE in materia di somministrazione di manodopera, sono state indivi-duate tre ipotesi nelle quali non è necessario indicare le c.d. causali di ricorso al contratto di somministrazione:

– la prima situazione ricorre quando il lavoratore impiegato nell’ambito della somministra-zione è un soggetto che percepisce ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi. Questa ipotesi si va a sovrapporre, senza eliminarla, a quella già prevista nella fi nan-ziaria per il 2010, che riconosceva la facoltà di non indicare la causale o di utilizzare lo staff leasing fuori dai settori di legge, in casi di impiego di lavoratori assunti dalle liste di mobi-lità. La legge accoglie una nozione ampia di ammortizzatori sociali, e quindi potranno rien-trare dentro di essa tutti i sistemi di sostegno del reddito previsti dall’ordinamento, sia precedente che successivi al licenziamento;

– la seconda situazione riguarda il caso in cui siano utilizzati lavoratori defi nibili come ‘svantaggiati’ o “molto svantaggiati” ai sensi del regolamento CE n. 800/2008. Le catego-rie rientranti in queste defi nizioni sono molto numerose. Rientra tra i lavoratori svantag-giati chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, chi non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale, i lavoratori che hanno superato i 50 anni di età, gli adulti che vivono soli con una o più persone a carico, i lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato. Sono invece considerati come lavoratori “molto svantaggiati” tutte le persone prive di lavoro da almeno 24 mesi;

– la terza situazione in cui scompare la causale è rimessa alle parti sociali, che potranno defi nire mediante contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, territoriale oppure aziendale) i casi nei quali non è necessario indicare le ragioni di ricorso alla sommini-strazione. L’unica condizione che dovrà essere rispettata in questa ipotesi è che gli accor-di collettivi dovranno essere fi rmati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei dato-ri di lavoro comparativamente più rappresentative.

Ipotesi di esenzione della causale nella Riforma Fornero - A pochi mesi di distanza dall’approvazione del D.Lgs. 24/2012, il legislatore - con la Riforma Fornero - ha individuato casi ulteriori di esenzione dalla causale: in forza del nuovo co. 1-bis, art. 1, D.Lgs. 368/2001, inserito dall’art. 1, co. 9, lett. b), L. 92/2012, tale onere non è più richiesto nell’ipotesi del primo

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Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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contratto a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi; tale esenzione si applica anche in caso “di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministra-zione a tempo determinato ai sensi del co. 4, art. 20, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276”.

DUBBIO INTERPRETATIVO

A causa di una discutibile scelta lessicale adottata nella stesura della norma in questio-ne – che si riferisce al “primo rapporto a tempo determinato … concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore …” – risulta di diffi cile comprensione se l’esonero in commento si applichi al contratto di lavoro – così pare potersi intuire, a seguito di una sem-plice lettura del suo testo – oppure al contratto commerciale di somministrazione. Non è dato rinvenire casi in cui si sia dibattuto della legittimità delle ragioni indicate nel contratto di lavoro stipulato tra l’agenzia per il lavoro e il prestatore in regime di Somministrazione; pertanto, va da sé che, ove la norma in parola dovesse interpretarsi come volta a consentire l’omissione della causale nel contratto di lavoro stipulato dai soggetti sopra menzionati, la sua applicazione risulterebbe produttiva di ben pochi effetti. Diversamente, affi nché la di-sposizione in commento possa avere una utilità pratica, se ne impone una lettura che pre-veda l’applicazione del meccanismo di esenzione (anche e soprattutto) per il contratto com-merciale di Somministrazione, che l’agenzia per il lavoro sottoscrive con l’utilizzatore. Questa lettura sembra confermata dalla norma di raccordo inserita nel corpo del D.Lgs. n. 276/2003; il comma 4 dell’art. 20, come modifi cato dalla Riforma Fornero, dopo aver indi-cato la necessità di redigere la causale fa espressamente “salva la previsione di cui al co. 1-bis, art. 1, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368”, cioè la norma che consente di non indicare la causale.

Durata e proroga del contratto privo di causale - La possibilità di non indicare la causale può essere utilizzata solo nell’ambito di contratti di somministrazione aventi una durata non superiore a 12 mesi. Tale contratto ha una durata fi ssa, nel senso che “il contratto a tempo determinato di cui all’art. 1, co. 1-bis non può essere oggetto di proroga” (così dispone l’art. 1, co. 9, lett. d, L. 92/2012, che ha inserito un nuovo co. 2-bis all’art. 4 D.Lgs. 368/2001).

La legge, in realtà, sul piano testuale stabilisce il divieto di proroga solo per il contratto a termine; tuttavia, alla luce della fi nalità della norma, è probabile che la giurisprudenza riferirà il divieto di proroga anche alla somministrazione di manodopera.

Facoltà della contrattazione collettiva - La Riforma Fornero riconosce alla contrattazione collettiva il potere di individuare, in luogo dell’ipotesi dalla legge di cui si è detto, specifi ci casi in relazione ai quali prevedere che non operi il requisito della causale. Secondo la legge n. 92 di riforma, i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono prevedere, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentra-ti, un sistema alternativo a quello appena descritto. Prevede infatti l’art. 1, co. 1-bis, D.Lgs. 368/2001, nuovo testo, che i contratti collettivi possono escludere il requisito della causale quando l’inserimento lavorativo avvenga nel contesto di un processo organizzativo che sia oc-casionato “dall’avvio di una nuova attività; dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; dalla fase supplementare di un signifi cativo progetto di ricerca e sviluppo; dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente” (art. 5, co. 3, D.Lgs. 368/2001, nella nuova formulazione introdotta dalla lett. h, art. 1, co. 9, L. 92/2012).

La contrattazione collettiva dovrà tuttavia rispettare una precisa limitazione di carattere quantitativo: i contratti in cui è consentito omettere l’indicazione della causale non potranno

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

esorbitare dal limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’uni-tà produttiva.

CASI DI ESONERO DALLA CAUSALE NEI CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE

La Direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19.11.2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, ha introdotto alcuni innovativi principi nella materia. La Direttiva è vol-ta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale (art. 2). I principi della Direttiva - attuati nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 24/2012 - sono particolarmente importanti in quanto consentono di mettere in luce le pro-fonde differenze che sussistono tra la fattispecie del lavoro tramite agenzia e quella del contratto a termine (che viene regolamentato nella diversa e distinta Direttiva 70/1999), che spesso sono erroneamente accomunate.

Ipotesi Fonte normativa Requisiti Limiti e condizioni

a) Lavoratori iscritti nelle liste di mobilità

Art. 20, com-ma 5-bis, D.Lgs. 276/2003, introdot-to dall’art. 2, com-ma 142, lett. b), L. 191/2009

Il contratto di somministrazione deve prevedere l’utilizzazione di un lavoratore iscritto alle liste di mo-bilità di cui all’art. 8, comma 2, L. 223/1991

Contratto di durata non superiore a 12 mesi

b) Casi pre-visti dalla contrattazio-ne collettiva di prossimità

Art. 8, D.L. 138/2011, conv. in L. 148/2011

I contratti collettivi di lavoro sotto-scritti a livello aziendale o territo-riale possono specifi camente pre-vedere, tra l’altro, ipotesi specifi che di a-causalità del contratto di Som-ministrazione, come di quello di la-voro a termine

Come previsto da-gli accordi azien-dali o territoriali che introducono le ipotesi di a-causalità

c) Lavoratori svantaggiati o molto svantag-giati

Art. 20, comma 5-ter, D.Lgs. 276/2003, intro-dotto dall’art. 4, comma 1, lett. c), D.Lgs. 24/2012

Il contratto di Somministrazione deve prevedere l’utilizzazione di un lavoratore che alternativamente sia:a) percettore da 6 mesi di indennità

di disoccupazione ordinaria non agricola;

b) percettore di ammortizzatori so-ciali da 6 mesi, anche in deroga;

c) “ svantaggiato” o “molto svan-taggiato” (ai sensi dell’art. 2, nn. 18 e 19, Reg. CE n. 800/2008), ovvero: (i) sia pri-vo di impiego regolarmente retribuito da 6 mesi; (ii) sia in possesso di diploma di scuola media inferiore; (iii) abbia più di 50 anni; (iv) viva da solo con almeno una persona a carico; (v) sia occupato in un settore o

Si attende emana-zione D.M. che in-dividui i lavoratori di cui ai punti (i), (ii) e (v) della lett. c) che precede

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Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - CASI DI ESONERO DALLA CAUSALE NEI CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE

professione con tasso di disparità uomo-donna superiore del 25% al tasso medio e appartenga al genere sottorappresentato; (vi) sia membro di una minoranza nazionale; (vii) di-soccupato da 24 mesi.

d) Prima mis-sione (o primo contratto di la-voro a termine)

Art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. 368/2001, nel nu-ovo testo a seguito di riformulazione da parte della L. 92/2012

Non vi siano stati contratti tra utiliz-zatore e somministratore per il me-desimo lavoratore (ovvero tra datore e lavoratore in caso di contratto di lavoro a termine)

Contratto di lavoro in somministra-zione (ovvero con-tratto di lavoro a termine) di durata non superiore a 12 mesi

e) Casi previsti dal CCNL o da D.M. in alter-nativa alla ipo-tesi d)

Artt. 1, comma 1-bis e 5, comma 3, D.Lgs. 368/2001, nel nuovo testo a seguito di riformu-lazione da parte della L. 92/2012

• I CCNL ovvero, in mancanza, un Decreto ministeriale, possonolegittimare la a-causalità nell’am-bito di un processo organizzativo determinato dalle seguenti ragioni: “avvio di nuova attività”, “lancio di un prodotto o di un servizio inno-vativo”, “implementazione di un ri-levante cambiamento tecnologico”, “fase supplementare di un signifi ca-tivo progetto di ricerca e sviluppo”, “rinnovo o proroga di una commes-sa consistente”• La missione (o l’assunzione) av-vengano per una delle ragioni di cui sopra

Contratti di lavoro in somministrazio-ne (ovvero contratti di lavoro a termi-ne), nel limite mas-simo del 6% dei lavoratori occupati nell’unità produtti-va interessata

2.2 Rapporto di lavoro tra il somministrato e l’agenzia

2.2.1 Contratto di somministrazione e contratto di lavoro

Nell’ambito della complessa operazione sottesa al nome di Somministrazione sottostanno due distinti rapporti giuridici: uno, il contratto di somministrazione vero e proprio, intercor-rente tra l’Agenzia fornitrice e il soggetto utilizzatore; l’altro, il contratto di lavoro subordinato, intercorrente tra l’Agenzia stessa e il lavoratore.

L’art. 22 D.Lgs. 276/2003 prova a coordinare questi diversi rapporti contrattuali, stabilen-do quali contratti di lavoro si accoppiano alla Somministrazione a tempo determinato e quali sono utilizzabili nell’ambito della Somministrazione a tempo indeterminato; nel fare questo, la norma presenta alcune criticità, che devono essere risolte in via interpretativa.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

2.2.2 Durata del rapporto di lavoro in relazione al contratto commerciale di somministrazione

Prevede il co. 1, art. 22, D.Lgs. 276/2003 che “in caso di somministrazione a tempo indeter-minato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla disci-plina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali”; invece, stabili-sce il co. 2 che, nel caso di somministrazione a tempo determinato, “il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. 6.9.2001, n. 368…”.

Se leggessimo in senso letterale le due previsioni, dovremmo ritenere che la possibilità di assunzione a tempo indeterminato del lavoratore è consentita solo in caso di Somministra-zione a tempo indeterminato, mentre nell’ipotesi di somministrazione a termine sarebbe con-sentita solo l’assunzione a tempo determinato del lavoratore. Tale conclusione sarebbe pa-radossale, in quanto dovremmo ammettere che il legislatore abbia voluto introdurre in alcune circostanze un divieto di assunzione a tempo indeterminato nel caso di utilizzo della fattispecie delimitata temporalmente. Deve quindi ritenersi consentita l’assunzione a tempo indetermi-nato di un lavoratore impiegato in diversi e successivi contratti di somministrazione a termi-ne. La legge ammette anche l’ipotesi inversa: se sussistono i presupposti, è possibile utilizza-re un contratto di lavoro a termine nell’ambito di un contratto di Somministrazione commerciale a tempo indeterminato.

2.2.3 Durata massima della somministrazione a tempo determinato

La legge non fi ssa alcun tetto di durata massima del contratto commerciale di sommi-nistrazione a tempo determinato, mentre il contratto collettivo di settore delimita la possi-bilità di portare avanti un contratto di lavoro a termine sottoscritto dall’Agenzia con il lavo-ratore per un periodo massimo di 36 mesi. Una volta terminato questo contratto, in linea teorica l’Agenzia per il lavoro, se individua una causale valida, potrebbe stipularne un altro, con lo stesso lavoratore e la stressa impresa, per un nuovo periodo: in questo caso si an-drebbe contro due diverse tipologie di limiti che, indirettamente, contengono la durata del-la somministrazione a termine entro la soglia complessiva (non limitata, cioè, al singolo contratto) dei 36 mesi:

– obbligo di stabilizzazione previsto dal CCNL Agenzie per il lavoro. Il primo limite si applica al contratto di lavoro che stipula il lavoratore con l’Agenzia; secondo quanto prevede il CCNL di settore, quando una persona lavora per la stessa Agenzia, eseguendo le stesse mansioni in favore dello stesso utilizzatore, il rapporto deve essere trasformato a tempo indetermina-to, quando viene superata la durata di 36 mesi complessivi (che diventano 42, se cambia l’u-tilizzatore). L’obbligo di assunzione scatta a carico dell’Agenzia, mentre non opera a carico dell’utilizzatore (che tuttavia resta soggetto alle norme ordinarie che pongono a suo carico l’obbligo di assumere il lavoratore somministrato, se si verifi ca una “somministrazione irre-golare” ai sensi dell’art. 27 D.Lgs. 276/2003). Questa norma di fatto disincentiva le Agenzie per il lavoro a proseguire la somministrazione dopo che il contratto con lo stesso lavoratore ha raggiunto la soglia, a meno che il contratto commerciale con l’utilizzatore non abbia una durata tale da rendere profi ttevole l’assunzione a tempo indeterminato;

– obbligo di computo delle missioni nel limite dei 36 mesi. Il secondo limite è, anch’esso, indiretto, nel senso che si trova nella normativa che regola la durata massima del contatto a termine. Prevede il D.Lgs. 368/2001 che un rapporto di lavoro a termine con il medesimo prestatore, complessivamente considerato, qualora abbia per oggetto “per lo svolgimento

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di mansioni equivalenti”, non può superare un periodo di durata massima di 36 mesi, com-prensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione che intercor-rono tra un contratto e l’altro (art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001). La stessa norma, in caso di raggiungimento del limite dei 36 mesi, consente la sottoscrizione di un unico “ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti”, sempreché la sua stipulazione avven-ga presso la DTL competente per territorio, e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (la durata di questo contratto è fi ssata da avvisi comuni). La Riforma Fornero, pur lascian-do invariata la disciplina appena descritta, ha previsto che nei 36 mesi si deve tenere con-to anche dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti nell’ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato (art. 1, co. 9, lett. i, L. 92/2012, che ha modifi cato l’art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001). Pertanto, ogni volta che la Somministrazione a termine sarà utilizzata all’interno di una sequenza di rapporti a termine che prevede an-che l’utilizzo del contratto a tempo determinato, il limite di 36 mesi diventerà una barriera invalicabile, il cui superamento determinerà la conversione a tempo indeterminato del pri-mo dei contratti a termine utilizzati.

Tipologie contrattuali incluse nel computo - La legge non chiarisce se, ai fi ni del raggiun-gimento dei 36 mesi, vadano computati tutti i lavoratori in Somministrazione oppure solo co-loro che siano stati assunti a tempo determinato dall’Agenzia per il lavoro. Può accadere che un’Agenzia dia esecuzione un contratto di Somministrazione a tempo determinato, mediante la fornitura di lavoratori assunti a tempo indeterminato; in tale evenienza, sarebbe irrazionale conteggiare i periodi di missione ai fi ni del raggiungimento del tetto dei 36 mesi previsto dall’art. 5, co. 4-bis, D.Lgs. 368/2001, in quanto la norma persegue la fi nalità contrastare un uso distorto dei soli rapporti di lavoro a termine. Se la Somministrazione a termine viene ese-guita da lavoratori assunti a tempo indeterminato, non sussiste alcuna esigenza di conteni-mento, e quindi i relativi periodi non dovrebbero essere conteggiati; il dubbio, tuttavia, resta, perché il tenore letterale della norma non lascia tranquilli.

Contratti utilizzabili dopo il raggiungimento de 36 mesi - Il Ministero del lavoro con la circolare del 18.7.2012, con riferimento alla regola dei 36 mesi sopra descritta, ha in maniera sorprendente affermato che, una volta raggiunti i 36 mesi, tra le parti si potrà continuare ad usare il contratto di Somministrazione. Tale conclusione è sbagliata, per un semplice motivo: la legge dice chiaramente che, quando un’azienda usa le prestazioni di un lavoratore usando, nel tempo, almeno un contratto a termine diretto e almeno un contratto di Somministrazione a termine, i relativi periodi non possono superare i 36 mesi. La chiarezza del dato testuale non consente interpretazioni avventurose. La posizione ministeriale è stata confermata con la ri-sposta ad interpello n. 32 del 19 ottobre 2012.

Inapplicabilità del limite di durata - La norma che fi ssa il tetto massimo di 36 mesi è diretta a contenere entro questo periodo massimo la stipula di contratti a termine, o la com-binazione tra questa ultima fattispecie e le missioni svolte nell’ambito della Somministra-zione di manodopera a tempo determinato. La norma non si applica, invece, ai casi in cui il rapporto si svolge sempre e solo nell’ambito della Somministrazione a termine; pertanto tale rapporto, in linea del tutto teorica, potrebbe giungere fi no al tetto massimo, previsto dal CCNL Agenzie per il lavoro, di 36 mesi applicabile al singolo contratto, e poi ricominciare con una nuova causale. È un’ipotesi, come precisato, più che altro teorica, in quanto una durata eccessiva della Somministrazione a termine andrebbe in confl itto con il requisito cardine di tale fattispecie, cioè il fatto che serva a coprire esigenze temporanee e non strutturali

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dell’impresa (per le quali andrebbe usato lo staff leasing, se si vuole restare nell’area del lavoro tramite Agenzia).

2.2.4 Esercizio del potere direttivo e disciplinare

Le obbligazioni connesse al rapporto di lavoro che intercorre tra l’Agenzia di somministra-zione e il lavoratore subiscono particolari adattamenti in caso di somministrazione; questi adattamenti tengono conto della scissione tra titolarità giuridica del rapporto ed effettiva uti-lizzazione della prestazione che si verifi ca nella somministrazione. Così, rispetto allo schema tipico del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., il potere direttivo e disciplinare è soggetto ad una disciplina speciale, che tiene conto della necessità di includere nel loro esercizio non solo il datore di lavoro formale ma anche il soggetto utilizzatore; secondo quanto prevede l’art. 20, co. 2, per tutta la durata della Somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’inte-resse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Il datore di lavoro non viene tuttavia privato completamente del potere direttivo nei confronti del proprio dipendente; egli rimane titolare di tale potere nella fase di assegnazione all’utilizzatore e nelle fasi precedenti e suc-cessive allo svolgimento della prestazione.

Dovere di fedeltà e diligenza - Lo sdoppiamento del potere direttivo comporta per il lavo-ratore un obbligo di diligenza nei confronti sia del somministratore sia dell’utilizzatore, nei confronti del quale l’obbligo stesso è parametrato sui lavoratori comparabili dipendenti dall’u-tilizzatore. Anche il dovere di fedeltà trova attuazione nei riguardi tanto del somministratore che dell’utilizzatore. Nei confronti di quest’ultimo si sostanzia prevalentemente nell’obbligo di astenersi dal compimento di atti suscettibili di arrecare pregiudizio all’organizzazione produt-tiva; viceversa nei confronti del somministratore la fedeltà del lavoratore si concretizza essen-zialmente nell’obbligo di non concorrenza.

Potere disciplinare - Una particolare regolamentazione è prevista anche per il potere di-sciplinare, che pur restando formalmente incardinato in capo all’Agenzia datore di lavoro di fatto presuppone un indispensabile attività propulsiva dell’utilizzatore. Così, l’esercizio del po-tere disciplinare è riservato al somministratore, ma spetta all’utilizzatore il compito di comu-nicare al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione discipli-nare; l’utilizzatore, quindi, assolve ad un ruolo informativo essenziale, in quanto, seppure la valutazione del comportamento e l’eventuale irrogazione delle sanzioni rientra nella piena discrezionalità del datore di lavoro, tali atti non potranno prescindere dalla qualità e dalla quantità delle informazioni fornite dall’utilizzatore.

OBBLIGAZIONE RETRIBUTIVA

Anche l’obbligazione retributiva (ed i connessi obblighi contributivi) si atteggia in ma-niera particolare. Il soggetto obbligato nei confronti del lavoratore al pagamento della retribuzione e all’assolvimento degli obblighi contributivi è il somministratore (art. 21, co. 1, lett. h); ovviamente, il proposito questi deve necessariamente raccordarsi con l’utilizza-tore, il quale è tenuto a trasmettergli tutte le informazioni relative al trattamento retribu-tivo applicabile ai lavoratori da lui dipendenti che svolgono pari mansioni (art. 21, co. 1, lett. j). Una volta pagato, il somministratore ha diritto ad ottenere il rimborso dall’utilizza-tore degli oneri effettivamente sostenuti per retribuzioni e contributi (art. 21, co. 1, lett. i).

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Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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2.2.5 Trattamento economico e normativo del lavoratore somministrato

Il lavoratore somministrato ha diritto all’applicazione della “parità di trattamento” con i dipendenti dell’utilizzatore adibiti a mansioni analoghe a quelle svolte; tale obbligo si appli-ca rispetto al trattamento economico e normativo “complessivamente” non inferiore a quello dei dipendenti dell’utilizzatore. Il rinvio al trattamento complessivo lascia intendere che l’obbligo di parità non deve essere valutato con riferimento a singoli aspetti del rappor-to di lavoro, che possono anche non ricevere identica disciplina; ciò che è essenziale per la legge è che il trattamento globalmente riservato al lavoratore somministrato non sia infe-riore nel suo complesso a quello goduto dai dipendenti – comparabili con il lavoratore som-ministrato - dell’utilizzatore. Il legislatore non fornisce chiarimenti in ordine alla fonte dei trattamenti di cui deve essere garantita la parità. È ragionevole ritenere che oggetto della previsione legale siano i trattamenti applicati alla generalità dei dipendenti dell’utilizzatore perché previsti dal contratto collettivo (nazionale e integrativo), da regolamenti aziendali o dalla prassi aziendale, e non anche i trattamenti individuali attribuiti ad personam (es. su-perminimi), in quanto per questi, essendo differenziati a livello individuale, sarebbe impos-sibile operare delle comparazioni.

Deroghe al principio di parità di trattamento - La legge lascia aperta la possibilità di apportare delle deroghe al principio di parità; i contratti collettivi applicati dall’utilizzatore possono infatti stabilire modalità e criteri per la corresponsione della retribuzione variabile collegata al conseguimento di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa, potendo così prevedere criteri differenziati di calcolo della retribu-zione variabile. In questo caso, quindi, il minor importo della retribuzione variabile percepito dal lavoratore somministrato rispetto al dipendente dell’utilizzatore non dovrà essere inclu-so nelle voci su cui operare la valutazione comparativa.

2.2.6 Somministrazione lavoratori svantaggiati

Prima dell’approvazione della Riforma Fornero, l’art. 13 D.Lgs. 276/2003 prevedeva un caso di deroga al principio di parità di trattamento. La norma infatti riconosceva alle Agenzie di somministrazione di lavoro la possibilità di fornire alle imprese lavoratori svantaggiati (da intendersi come tali i lavoratori individuati dal Regolamento comunitario 800/2008) con un costo del lavoro ridotto rispetto a quello ordinario. Secondo la norma, le Agenzie per il lavo-ro avevano la possibilità, per contratti di almeno 6 mesi, di derogare al regime di parità di trattamento rispetto ai dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice (co. 1, lett. a) e, per contratti di durata tra 9 e 12 mesi, la possibilità di detrarre dalla retribuzione dovuta le som-me eventualmente percepite dal lavoratore stesso a titolo di ammortizzatore sociale; un meccanismo analogo era previsto per il profi lo contributivo (co. 1, lett. b).

La Riforma Fornero interviene in modo deciso su tale meccanismo disponendo, a mezzo dell’art. 1, co. 10, lett. a, L. 92/2012, la soppressione dell’inciso contenuto all’art. 13, co. 1, lett. a) e delimitato dalle parole “in deroga” e “ma”; inoltre, viene sancita l’abrogazione del co. 2, art. 23, D.Lgs. 276/2003, di cui si è detto sopra (art. 1, co. 10, lett. c, L. n. 92/2012). Pertanto, a seguito delle modifi ca intervenuta su questo tema, permane la possibilità, per le Agenzie per il lavoro, di attivare percorsi di inserimento o di reinserimento nel mercato del lavoro dei soggetti svantaggiati ma, essendo ora non consentito erogare a costoro tratta-menti retributivi inferiori rispetto a quelli riconosciuti al personale, di pari livello, assunto alle dipendenze dell’utilizzatore, aderire a simili iniziative risulterà senz’altro meno appeti-bile.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

2.2.7 Indennità di disponibilità

L’art. 22, co. 3, D.Lgs. 276/2003 riconosce, nel caso in cui il rapporto sia stato stipulato a tempo indeterminato, al lavoratore assunto a tempo indeterminato il diritto di percepire un’in-dennità di disponibilità per i periodi in cui rimane in attesa di assegnazione. La corresponsio-ne dell’indennità è dovuta al lavoratore in tutte le ipotesi in cui non svolga la prestazione pres-so un utilizzatore, indipendentemente dal fatto che la sua inattività sia dovuta ad una cessazione anticipata dell’assegnazione (ad esempio a causa di una risoluzione anticipata del contratto di somministrazione) ovvero consegua all’esaurimento della durata inizialmente convenuta della missione.

Sotto il profi lo giuridico, l’indennità viene inquadrata dalla dottrina come il corrispettivo della disponibilità resa dal lavoratore al somministratore nei periodi di intervallo che separa-no successive assegnazioni; tale indennità dovrebbe inoltre avere natura retributiva, conside-rato che la stessa è assoggettata a prelievo contributivo, seppure in deroga al criterio del mi-nimale contributivo, secondo quanto previsto dall’art. 25, co. 1, D.Lgs. 276/2003.

La misura dell’indennità di disponibilità deve essere individuata dal contratto collettivo ap-plicabile al somministratore, anche se la sua misura minima, inderogabile in senso peggiora-tivo sia a livello individuale sia a livello collettivo, è stabilita e periodicamente aggiornata con decreto del Ministro del lavoro.

Va infi ne ricordato che l’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo; pertanto, in mancanza di diverse e più favorevoli indicazioni negoziali delle parti individuali o collettive, l’indennità non concorre al calcolo della retribuzio-ne parametro per la determinazione di voci retributive indirette o differite (tale disposizione vale a prevenire i ben noti problemi connessi al tema della c.d. onnicomprensività della retri-buzione).

2.2.8 Estinzione del rapporto di lavoro

Il D.Lgs. 276/2003 dedica all’estinzione del rapporto di lavoro i cc. 2 e 4, art. 20. Il co. 4, con riferimento ai lavoratori assunti a tempo indeterminato impiegati nella somministrazione a tempo indeterminato, prevede che nel caso di fi ne dei lavori connessi alla somministrazione a tempo indeterminato devono applicarsi l’art. 3, L. 604/1966 nonché l’art. 12 D.Lgs. 276/2003, mentre non si applica l’art. 4 L. 223/1991.

Il combinato disposto di questi rinvii comporta inoltre la qualifi cazione del recesso del somministratore come licenziamento plurimo per giustifi cato motivo oggettivo, e non come licenziamento collettivo; l’esclusione dell’art. 4 comporta l’inapplicabilità delle norme proce-durali per la dichiarazione di mobilità e delle ulteriori disposizioni della L. 223/1991 che a tali norme sono collegate (es. le previsioni in materia di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, di iscrizione nella lista di mobilità e di erogazione dell’indennità di mobilità). Il richiamo al recesso per giustifi cato motivo lascia intendere che il legislatore consideri l’estinzione del contratto di Somministrazione a tempo indeterminato di per sé idonea a giustifi care il recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Diversa è la disciplina dell’estinzione del rapporto dei lavoratori assunti a tempo indeter-minato nel caso di fi ne lavori connessi alla somministrazione a termine; per tale fattispecie non viene richiamata la disciplina ex art. 3 L. 604, e pertanto l’esaurimento del contratto di somministrazione non potrà costituire di per sé giustifi cato motivo di licenziamento. Ne con-segue che l’eventuale giusta causa o giustifi cato motivo di recesso dovranno consistere in fatti diversi o ulteriori dalla mera estinzione del contratto di Somministrazione. Infi ne, non è oggetto di specifi ca disciplina il recesso dal rapporto di lavoro a termine nel caso di Sommini-

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strazione a tempo indeterminato; in tale ipotesi dovrà quindi applicarsi disciplina comune del recesso dal contratto a termine contenuta nel D.Lgs. 368/2001, il quale consente il recesso ante tempus soltanto in presenza di giusta causa. Da notare che il CCNL delle Agenzie per il lavoro siglano nel 2008 prevede un particolare meccanismo applicabile al caso di fi ne lavori nella Somministrazione a tempo indeterminato, che prevede l’applicazione di misure di politi-ca attiva verso il lavoratore per un periodo di 6 mesi e, al termine di questo periodo, riconosce la possibilità di licenziare per giustifi cato motivo oggettivo.

2.2.9 Proroga del contratto di lavoro nella somministrazione

La disciplina delle proroghe del contratto di lavoro a tempo determinato del lavoratore coinvolto nella somministrazione contiene alcuni parziali correttivi rispetto alla disciplina ge-nerale contenuta nel D.Lgs. 368/2001, ed è differente a seconda che il rapporto di lavoro si colleghi ad un contratto di somministrazione a tempo indeterminato oppure ad un contratto di somministrazione a termine. Nel caso di contratto di lavoro a tempo determinato nell’ambito della somministrazione a tempo determinato, l’art. 22, co. 2, prevede che il termine inizial-mente posto al contratto può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal sommini-stratore (il CCNL Agenzie per il lavoro del 2008 prevede che il contratto può essere prorogato sino ad un massimo di 6 volte, per una durata massima di 36 mesi). In questa ipotesi la proro-ga è quindi sottratta ai limiti della legge sul contratto a tempo determinato (art. 4 D.Lgs. 368/2001) ed assoggettata a quelli previsti dal contratto collettivo applicato dal somministra-tore.

Nel caso di somministrazione a tempo indeterminato, la proroga del termine inizialmente apposto al contratto di lavoro è invece assoggettata alla disciplina comune prevista dall’art. 4 D.Lgs. 368/2001, secondo cui il termine “può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni”; tale proroga è ammessa una sola volta, e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.

2.2.10 Crediti del lavoratore

L’art. 23, co. 3, confermando uno dei principi cardine che reggevano la previgente disciplina del lavoro interinale, dispone la responsabilità solidale di somministratore e utilizzatore per la corresponsione dei trattamenti retributivi e contributivi dovuti ai lavoratori. Tale norma mira a rafforzare gli strumenti di tutela in favore del lavoratore e, a tal fi ne, estende in misura mol-to ampia la garanzia per il lavoratore; la responsabilità è illimitata sia temporalmente sia quantitativamente, nel senso che il lavoratore ha diritto di rivalersi fi no alla soddisfazione dell’intero credito, sia nei confronti del suo datore di lavoro sia nei confronti dell’utilizzatore.

Peraltro, il D.Lgs. 276/2003 sembra aver ampliato la tutela del lavoratore rispetto all’ana-loga disposizione (art. 6, co. 3) contenuta nella L. 196/1997. Tale norma prevedeva infatti che l’obbligo di solidarietà sorgesse per l’utilizzatore soltanto nel caso in cui non fosse capiente il deposito cauzionale o la fi deiussione bancaria predisposti dal somministratore a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei propri dipendenti.

2.2.11 Salute e sicurezza sul lavoro

La materia della salute e sicurezza del lavoratore è disciplinata dall’art. 23, co. 5, D.Lgs. 276/2003. Sulla base di tale disciplina, è fatto obbligo al somministratore di informare il lavo-

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ratore sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività produttiva in generale, nonché di formare e addestrare i lavoratori all’uso delle attrezzature necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa che debbono svolgere; è rimessa all’autonomia delle parti contraenti la possibilità di trasferire tali obblighi in capo all’utilizzatore mediante il contratto di Sommini-strazione, con l’unico limite di darne indicazione nel contratto di lavoro. In capo all’utilizzatore grava poi un obbligo di informazione specifi ca, nel caso di mansioni che richiedono una sorve-glianza medica speciale; lo stesso utilizzatore è anche tenuto all’osservanza nei riguardi del lavoratore somministrato di tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri di-pendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi.

2.3 Formazione e ammortizzatori sociali

Maggiorazione contributiva - La Riforma Fornero ha introdotto nell’ordinamento una nuo-va indennità mensile per il sostegno al reddito di quei lavoratori che abbiano perduto involon-tariamente la propria occupazione, denominata “Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI)”, che sostituisce la precedente indennità di disoccupazione (art. 2 L. 92/2012). Il fi nanziamento dell’ASpI è in parte garantito dal versamento, con effetto dall’1.1.2013, di un contributo ag-giuntivo nella misura dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fi ni previdenziali, da parte dei datori di lavoro che assumono personale a tempo determinato. Al fi ne di individuare i datori di lavoro soggetti a tale obbligo, l’art. 2, co. 28, L. 92/2012 si limita a prendere a riferimento co-loro i quali instaurino “rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato”. In forza di tale disposizione, pertanto, anche le Agenzie per il lavoro dovranno corrispondere, con effetto dalla medesima data, il contributo addizionale pari all’1,4%, calcolato sulla retribuzione utile alla determinazione degli oneri previdenziali.

Restituzione della maggiorazione - Come per gli altri datori di lavoro, anche per le Agen-zie per il lavoro vige il principio, sancito al co. 30, art. 2, L. 92/2012, per cui l’aliquota aggiunti-va versata a fi nanziamento dell’ASpI, “nei limiti delle ultime sei mensilità” è restituita al dato-re di lavoro, “successivamente al decorso del periodo di prova, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato”. Analogamente - prosegue la norma da ultimo citata - la restituzione spetta anche “qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di la-voro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente con-tratto a termine”. In tale ultimo caso, la disposizione in commento precisa che la restituzione avviene “detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine”.

Contributo per la formazione - L’art. 12 D.Lgs. 276/2003 impone alle Agenzie per il lavoro,

come condizione per il mantenimento dell’autorizzazione, l’obbligo di contribuire regolarmen-te ai fondi per la formazione e l’integrazione del reddito. Questo onere fi nanziario, noto come c.d. “contributo per la formazione”, fu introdotto dalla L. 196/1997 per alimentare la formazio-ne dei lavoratori temporanei e bilanciare così l’intermittenza del lavoro con un aumento della loro occupabilità sul mercato. Il contributo è destinato a specifi ci fondi bilaterali, apposita-mente costituiti come associazioni non riconosciute dalle parti stipulanti il contratto nazionale delle imprese di Somministrazione (art. 12, co. 4), anche nell’ambito di enti bilaterali; tali fon-di potranno essere attivati solo a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro. Sino all’ap-provazione della L. 92/2012 il contributo ammontava al 4% delle retribuzioni imponibili ai fi ni

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previdenziali. Tuttavia, per attenuare il peso fi nanziario della maggiorazione contributiva in-trodotta per fi nanziare l’ASpI, la Riforma Fornero ha previsto la contestuale riduzione del con-tributo, in misura pari al valore della maggiorazione di nuova introduzione. Infatti, il co. 39, art. 2, L. 92/2012 dispone che “a decorrere dall’ 1.1.2013 l’aliquota contributiva di cui all’art. 12, co. 1, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276, è ridotta al 2,6 per cento”. Questa scelta operata tradisce una cer-ta preferenza del legislatore verso le forme di tutela passiva del reddito, a scapito degli inve-stimenti in politiche attive, quali la formazione a favore dei lavoratori in somministrazione, da sempre unanimemente ritenuta strumento primario per scongiurare il pericolo, avvertito come particolarmente concreto, di una loro dequalifi cazione.

2.4 Regime sanzionatorio

2.4.1 Linee guida del sistema sanzionatorio

Il principio cardine del regime sanzionatorio applicabile alla somministrazione di manodo-pera (e disciplinato dal D.Lgs. 276/2003) è quello secondo cui la Somministrazione di manodo-pera è effettuabile lecitamente soltanto da parte dei soggetti a ciò esplicitamente autorizzati dall’ente pubblico investito di tale funzione, ed alle condizioni previste dalla legge. Fuori di questi casi, tutte le ipotesi in cui la messa a disposizione di prestazioni di lavoro in favore di un terzo avvenga senza i requisiti e le forme previsti dalle discipline della somministrazione, dell’appalto o del distacco, rifl uiscono nell’apparato sanzionatorio disciplinato dagli artt. 27 e 18 D.Lgs. 276/2003. Il decreto contempla un sistema graduale di fattispecie sanzionatorie, che parte dalla Somministrazione irregolare di cui all’art. 27, co. 1, passando per la somministra-zione abusiva di cui all’art. 18, co. 1, fi no alla fattispecie più grave di somministrazione fraudo-lenta.

Somministrazione irregolare - La fattispecie della somministrazione irregolare ricorre ogni volta che il contratto venga stipulato al di fuori dei casi ammessi dalla legge (es. in man-canza delle esigenze tecniche, organizzative e produttive, per la forma a tempo determinato, o in un settore non previsto tra quelli individuati dalla legge, per la forma a tempo indetermina-to) o comunque senza il rispetto dei requisiti di forma da questa previsti (es. in assenza della forma scritta). In particolare, la violazione si concretizza qualora la Somministrazione sia rea-lizzata in una delle seguenti ipotesi:

– in mancanza di autorizzazione (ipotesi, questa, sanzionata anche penalmente ex art. 18);– per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;– salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia

proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di Somministrazione ovve-ro presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una ridu-zione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavo-ratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;

– da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi;– in assenza di forma scritta;– senza l’indicazione di uno dei seguenti elementi: gli estremi dell’autorizzazione rilasciata

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al somministratore, il numero dei lavoratori da somministrare, i casi e le ragioni di carat-tere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, l’indicazione della presenza di even-tuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione.

La fattispecie, al contrario dell’esercizio abusivo e della somministrazione fraudolenta, non è coperta da una sanzione penale, e produce effetti solo sul piano dei rapporti tra le parti. In particolare, in tutte le ipotesi di somministrazione irregolare il lavoratore ha facoltà di chie-dere, ex art. 414 c.p.c. e mediante ricorso giudiziale, notifi cato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, “la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ul-timo, con effetto dall’inizio della somministrazione” (art. 27, co. 2). La norma specifi ca che il ri-corso può essere notifi cato “anche soltanto” all’utilizzatore; in tal modo, seguendo l’orienta-mento giurisprudenziale formatosi rispetto alla disciplina contenuta nella L. 1369/1960, si esclude il litisconsorzio necessario nei confronti del somministratore.

2.4.2 Effi cacia degli atti di gestione del rapporto

La legge prevede (art. 27, co. 2, D.Lgs. 276/2003), facendo chiarezza su un aspetto che ha dato luogo a diverse pronunce giurisprudenziali, che “nell’ipotesi di cui al co. 1, tutti i paga-menti effettuati dal somministratore a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgo-no a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispon-dente fi no a concorrenza della somma effettivamente pagata”. Si aggiunge che “tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”.

In virtù di questa disposizione, gli atti compiuti dal somministratore apparente, una volta accertata retroattivamente la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore, conservano ef-fi cacia a favore dell’utilizzatore, sia per quanto concerne gli adempimenti degli obblighi retri-butivi sia per quanto concerne la contribuzione previdenziale e gli oneri assistenziali. La dispo-sizione vale anche in senso inverso, attribuendo cioè in capo all’utilizzatore riconosciuto come datore di lavoro effettivo anche la responsabilità degli atti pregiudizievoli al lavoratore compiu-ti dal somministratore. Allo stesso modo, mantengono effi cacia gli atti di costituzione e gestio-ne del rapporto

Controllo giudiziale - Il co. 3, art. 27, D.Lgs. 276/2003 precisa infi ne che il controllo giudi-ziale sulle ragioni addotte per il ricorso alla somministrazione è limitato ad un accertamento c.d. di legittimità, ossia limitato all’effettiva esistenza delle ragioni giustifi catrici, e non esteso al merito delle scelte imprenditoriali sottese.

2.4.3 Esercizio abusivo di attività per cui è richiesta l’autorizzazione

L’art. 18 punisce con la pena dell’ammenda, variabile in relazione alla tipologia di attività posta in essere, i casi di esercizio abusivo di una o più delle attività per le quali è richiesta, ai sensi degli artt. 4 e 6 D.Lgs. 276/2003, l’autorizzazione ministeriale o regionali (pertanto, la somministrazione, generalista o speciale, l’intermediazione, la ricerca e selezione del perso-nale, il supporto alla ricollocazione professionale).

Ricorre la fattispecie ogni volta che un soggetto, senza il possesso del titolo abilitativo dell’autorizzazione, realizzi una delle attività per le quali l’autorizzazione è obbligatoria (som-ministrazione, ma anche intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ri-

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collocazione professionale), senza che assumano alcun rilievo le forme con cui la violazione stessa sia realizzata; anche il caso di un distacco di personale realizzato senza i requisiti di legge fi nisce per concretizzarsi una fornitura di personale la quale o è autorizzata, oppure costituisce esercizio abusivo dell’attività di somministrazione. La fattispecie viene confi gurata come un reato di tipo contravvenzionale (allo stesso modo della vecchia interposizione illecita di manodopera), a struttura unitaria, in quanto non si commettono tanti reati quanti sono i lavoratori coinvolti ma l’illecito penale resta unico (varia solo la sanzione pecuniaria); il reato si confi gura inoltre come una contravvenzione di pericolo, nel senso che la sua commissione non richiede l’esistenza di un danno specifi co, ma è completa nel momento stesso in cui l’at-tività sia realizzata senza le autorizzazioni ministeriali. Il D.Lgs. 251/2004, novellando l’art. 18, ha distinto dalla fattispecie dell’esercizio abusivo il reato di utilizzazione illecita (art. 18, co. 2, D.Lgs. 276/2003); tale reato è commesso dal soggetto che utilizza manodopera fornita da somministratori non autorizzati.

Somministrazione fraudolenta - Ricorre la fattispecie della somministrazione fraudolenta (art. 28) allorquando la somministrazione di lavoro sia posta in essere con la specifi ca fi nalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore; viene così severamente sanzionata una condotta caratterizzata dal dolo specifi co, fi nalizzato all’uti-lizzazione illecita della somministrazione. La legge confi gura la violazione come un reato che esige la sussistenza di un dolo specifi co, contraddistinto dalla preventiva rappresentazione e volizione della condotta vietata. In particolare, non viene in considerazione la sola intenziona-lità del reato, ma anche la specifi ca fi nalità cui esso deve essere diretto; questa dovrà quindi risultare da un accordo specifi co tra il somministratore e l’utilizzatore, o comunque dalla con-sapevolezza della condotta illecita.

Anche questo reato, come quello di esercizio non autorizzato, si confi gura come reato “di pericolo”, nel senso che esso si concretizza nel momento in cui viene perseguita la fi nalità elusiva, senza che venga in rilievo la sua effettiva riuscita.

2.4.4 Obblighi di comunicazione

SOMMINISTRAZIONE: IL CONTRATTO COLLETTIVO SPOSTA IL TERMINE PER LA COMUNICAZIONE AL SINDACATO

Mauro Marrucci – Consulente del Lavoro in Livorno

Il Ministero del lavoro, con risposta ad interpello 22 novembre 2012, chiarisce che la comunicazione di cui all’art. 24, comma 4, lett. b) del D.Lgs. n. 276/2003 può essere effettuata oltre il 31 gennaio di ogni anno, se previsto dalla contrattazione collettiva

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in risposta ad una richiesta di interpello avanza-ta dalla Federalberghi, ha fornito ulteriori indicazioni in merito all’applicabilità del regime sanzio-natorio di cui all’art. 18, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, come introdotto dall’art. 3, D.Lgs. n. 24/2012, nell’ipotesi di mancata o non corretta effettuazione della comunicazione periodica dei con-tratti di somministrazione di lavoro, precisando che la contrattazione collettiva può individuare un termine che vada oltre quello del 31 gennaio di ciascun anno.

L’ambito normativo comunitario e nazionaleL’articolato normativo che disciplina la somministrazione di lavoro - artt. da 20 a 28, D.Lgs. n.

276/2003 - ha recentemente subito diverse modifi cazioni ed integrazioni per mano del D.Lgs. n. 24/2012, in attuazione della direttiva 2008/104/Ce recante, tra l’altro, lo scopo di garantire la tutela

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44 Capitolo 2 - Somministrazione di manodopera

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SOMMINISTRAZIONE: IL CONTRATTO COLLETTIVO SPOSTA IL TERMINE PER LA COMUNICAZIONE AL SINDACATO

dei lavoratori “in affi tto”, migliorandone la qualità del lavoro nel rispetto del principio di parità di trattamento anche a fi ni occupazionali e di attuazione della fl essibilità.

Tra le altre disposizioni, l’art. 8 della Direttiva, ha imposto ai soggetti utilizzatori di fornire infor-mazioni adeguate sul ricorso a lavoratori tramite agenzia interinale all’interno dell’impresa all’atto della presentazione dei dati sulla propria situazione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori, istituiti conformemente alla normativa comunitaria e nazionale, invitando, al successivo art. 10, gli Stati membri a disporre misure idonee in caso di inosservanza della direttiva medesima da parte di agenzie interinali o imprese utilizzatrici, attraverso l’introduzione di un regime sanzionatorio effet-tivo, proporzionato e dissuasivo, applicabile alle violazioni delle disposizioni nazionali di attuazione.

La normativa nazionale ha già affi dato al sindacato una funzione di controllo – preventivo e con-suntivo - sull’utilizzo della somministrazione senza, tuttavia, prevedere uno specifi co regime sanzio-natorio in caso di inadempimento dei corrispondenti obblighi datoriali, se non quello genericamente rivolto alla repressione del comportamento antisindacale, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300/70.

Più in dettaglio, l’art. 24, comma 4, del D.Lgs. n. 276/2003 impone all’utilizzatore di comunicare alle rappresentanze sindacali o, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confede-razioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, una serie di informa-zioni preventive (lett. a) e, a consuntivo, ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifi ca dei lavoratori interessati” (lett. b).

Per l’omissione di tali obblighi, secondo le modifi che apportate all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003, con l’introduzione del comma 3bis, per mano dell’art. 3, D.Lgs. n. 24/2012, è stata prevista una san-zione amministrativa pecuniaria variabile da euro 250 ad euro 1250.

La prassi ministeriale: scadenza dell’adempimento e deroga contrattualeA ben vedere, tuttavia, il dettato normativo non fornisce alcuna indicazione sui termini di scadenza

della comunicazione consuntiva, prevedendo un generico riferimento ad una cadenza “ogni dodici mesi”. Per colmare la lacuna normativa e per dare certezza al regime sanzionatorio era intervenuto il Ministe-ro del Lavoro che, con nota del 3 luglio 2012, prot. n. 37/12187 (in Guida al Lavoro n. 29/2012, pag. 13), aveva fornito precisazioni in merito alla periodicità e ai contenuti della comunicazione consuntiva.

Secondo l’opzione interpretativa ministeriale, la periodicità della comunicazione riferita ad una ca-denza annuale “ogni dodici mesi” deve essere letta nell’accezione di anno solare, coincidente con il perio-do intercorrente tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre di ogni anno, fatta salva la sola fase transitoria circo-scritta al 2012, che interessa i contratti di somministrazione di lavoro conclusi nell’arco temporale compreso tra il 6 aprile 2012 - data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 24/2012 - e il 31 dicembre 2012.

La citata prassi ministeriale ha invece previsto nella data del 31 gennaio di ciascun anno la col-locazione del termine fi nale per l’adempimento, considerando che l’oggetto della comunicazione afferisce ad un periodo che si conclude alla fi ne dell’anno solare ed individuando così, quale prima scadenza, ai fi ni dell’assolvimento dell’obbligo, il 31 gennaio 2013. Entro questa data pertanto gli utilizzatori – anche per il tramite dell’associazione a cui aderiscano od abbiano conferito mandato – dovranno comunicare il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi nel periodo 6 aprile 2012 - 31 dicembre 2012, la durata degli stessi, il numero e la qualifi ca dei lavora-tori interessati.

Con la nota che qui commentiamo, il Dicastero è tornato sull’argomento, precisando in via ulte-riore che la contrattazione collettiva può stabilire un termine che vada oltre quello del 31 gennaio per adempiere agli obblighi di comunicazione di cui in argomento: in tal caso, la disposizione contrat-tuale opererà quale “scriminante” ai fi ni della applicazione del regime sanzionatorio indicato che, coe-rentemente con gli stessi interessi di tutela del sindacato condivisi in sede negoziale, verrà aziona-to unicamente nella circostanza in cui l’adempimento non venga effettuato entro il più ampio termine concordato tra le parti.

Guida al Lavoro 30.11.2012, n. 47, pag. 21

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Capitolo 3

APPRENDISTATO

3.1 Evoluzione normativa

Riforma Biagi - Per comprendere l’intervento attuato dalla Riforma Fornero in materia di apprendistato si deve necessariamente ripercorrere la vicenda normativa dell’apprendistato. Si tratta di un tormentato percorso che inizia nel 2003, quando la legge Biagi approva una in-cisiva riforma dell’apprendistato, con la quale il contratto viene articolato su tre diverse moda-lità: una, quello professionalizzante, fi nalizzata ad insegnare un mestiere, altre due (diritto dovere, alta formazione) pensate come forma di alternanza tra lavoro e scuola o università. Una buona idea, che si scontra subito con tutte le carenze del sistema italiano. La ripartizione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni non è chiara, e il rinvio che opera la stessa legge Biagi ai contratti collettivi e alle fonti regionali è oscuro. Il risultato di questa scarsa chiarezza è l’insorgere di un copio contenzioso davanti alla Corte Costituzionale, e una complicata stratifi -cazione di fonti, con leggi regionali, contratti collettivi e norme statali che si sovrappongono tra loro. In questa situazione, il contratto è diffi cilissimo da usare (la forma professionalizzante) oppure risulta del tutto inutilizzabile (le altre due forme).

Testo unico - La via d’uscita di questa situazione sembra arrivare lo scorso anno, quando viene approvato il nuovo Testo Unico dell’apprendistato (D.Lgs. 167/2011). Si tratta di una nor-mativa che ha una qualità indiscutibile: viene elaborata con il consenso di tutte le parti sociali, del Governo e delle Regioni. Questo consenso molto ampio permette di fare scelte coraggiose; con riferimento alla tipologia di apprendistato più diffusa, quello professionalizzante, si decide di individuare nel contratto collettivo la sede unica chiamata a regolare la formazione, per superare i precedenti confl itti tra Stato e Regioni. L’avallo delle Regioni consente, in particola-re, di forzare il riparto di competenze legislative previsto dall’art. 117 Cost.

Problemi attuativi - Nonostante le indubbie qualità del Testo Unico, riaffi orano ben presto dei problemi attuativi. La nuova disciplina impone alle parti sociali di attuare con appositi accordi collettivi (per il contratto professionalizzante) il nuovo apprendistato entro il 25.4.2012, subor-dinando al completamento di questo passaggio l’effettiva entrata in vigore della riforma; analogo impegno viene previsto per le Regioni, che devono attuare il contratto qualifi cante con norme regionali e il contratto di alta formazione con apposite convenzioni. Questa fase viene trascurata da tutti gli attori chiamati a fare la loro parte, con il risultato che fi no all’inizio del mese di aprile non succede nulla: nessuna Regione approva le norme regionali e gli accordi collettivi si contano sulle dita di una mano. Il rischio di un blocco di sistema viene evitato solo all’ultimo minuto: pochi giorni prima della scadenza del 25 aprile, vengono approvati gli accordi per i settori produttivi numericamente più importanti, come il commercio, l’artigianato e l’industria, e per altre cate-gorie altrettanto rilevanti sul piano economico (la cooperazione, le Agenzie per il lavoro, gli studi professionali, ecc.). Più complessa è la situazione per l’apprendistato qualifi cante e per quello di alta formazione, che richiedono un intervento delle Regioni: le esperienze attuative sono po-chissime, e quindi al momento queste tipologie sono quasi del tutto inutilizzabili.

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46 Capitolo 3 - Apprendistato

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Riforma Fornero - Rispetto a questo assetto normativa, la riforma Fornero, nonostante gli annunci contenuti nelle dichiarazioni programmatiche che aprono il testo legislativo (dove ad-dirittura viene individuata la fi nalità di far diventare l’apprendistato il contratto di ingresso prevalente nel mercato del lavoro), si limita ad apportare pochi correttivi alla disciplina del Testo Unico. È una scelta saggia che, tuttavia, mette in luce le contraddizioni del nostro siste-ma legislativo: per mesi si è discusso intorno a un tema che non richiedeva alcuna defi nizione legislativa, mentre si è trascurato di fare quello che veramente serviva, l’attuazione da parte dei contratti collettivi o delle Regioni.

MODIFICHE INTRODOTTE DALLA RIFORMA FORNERO IN MATERIA DI APPRENDISTATO

Limiti assunzione Per assumere nuovi apprendisti un datore di lavoro deve aver mantenuto in servizio, nei 36 mesi prece-denti la nuova assunzione, almeno il 50 per cento degli apprendisti già assunti non si computano i rapporti cessati per mancato superamento della prova, per dimissioni o per li-cenziamento per giusta causarientrano nel computo gli apprendisti licenziati per giustifi cato motivo, soggettivo oppure oggettivoil divieto di nuove assunzioni non è assoluto: il da-tore di lavoro può comunque assumere un ulterio-re apprendista che si aggiunge a quelli confermati ovvero un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi

Regime transitorio Per un periodo di 36 mesi, decorrente dalla data di entrata in vigore della riforma, la percentuale di apprendisti che devono essere mantenuti in servizio è fi ssata nella misura del 30 per cento

Sanzione in caso di violazione del divieto gli apprendisti sono considerati lavoratori su-bordinati a tempo indeterminato sin dalla data di assunzione

Limiti quantitativi Un datore di lavoro può assumere apprendisti fi no al raggiungimento del rapporto di 3 a 2 con le maestranze specializzate e qualifi catedivieto di assunzione di apprendisti per l’esclu-sione di contratti di somministrazione a tempo determinato

Regime transitorio La nuova disciplina dei limiti quantitativi si ap-plica alle assunzioni effettuate a partire dal 1 gennaio 2013

Durata durata minima di 6 mesi per il contratto di ap-prendistatodurata massima di 3 anni per il contratto di ap-prendistato professionalizzante

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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3.2 Disciplina della formazione

3.2.1 Apprendistato qualifi cante

L’apprendistato qualifi cante costituisce una evoluzione del precedente contratto di appren-distato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione, disciplinato prima dell’approvazione del Testo Unico (D.Lgs. 167/2011) nell’art. 48 D.Lgs. 276/2003. Il contratto trova la sua disciplina nell’art. 3 Testo Unico; nella norma viene disciplinata solo la parte for-mativa del rapporto, in quanto la parte relativa agli obblighi contrattuali e lavorativi delle parti è disciplinata, come per le altre tipologie di apprendistato, secondo le norme comuni contenute nell’art. 2 Testo Unico e, ove compatibili, con le norme ordinarie sul rapporto di la-voro a tempo indeterminato. L’apprendistato qualifi cante è un contratto di apprendistato che prevede lo svolgimento di un percorso formativo che porta al conseguimento di una qualifi ca o del diploma professionale; questi percorsi possono essere anche inseriti all’interno del ciclo di studi necessari per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione. La legge (art. 3, co. 2) precisa che la qualifi ca e il diploma professionale dovranno essere defi niti ai sensi del D.Lgs. 17.10.2005, n. 226. Il contratto può essere stipulato in tutti i settori di attività, e possono esse-re assunti come apprendisti solo i soggetti che abbiano compiuto almeno 15 anni di età. Il contratto, quindi, è l’unico rapporto di lavoro specifi camente pensato per i minorenni.

L’età massima per cui può essere instaurato il rapporto è la data di compimento del venti-cinquesimo anno di età: oltre questa data, il contratto non può essere sottoscritto.

APPRENDISTATO E MOBILITÀ: CHIARIMENTI DEL MINISTERO

Quintavalle Rossella – Consulente del lavoro in Roma

Con due interpelli del 1° agosto 2012, n. 21 e n. 25, il Ministero del lavoro ha chiarito alcuni dubbi sorti in merito al contratto di apprendistato e alla mobilità

Apprendistato: assunzione di lavoratori in mobilitàCon l’interpello n. 21 il Ministero, in risposta al quesito posto dall’Ancl, ha confermato la possibilità di assunzione di lavoratori in mobilità tramite contratto di apprendistato a prescindere dal rispetto dei limiti di età fi ssati per le tre tipologie contrattuali di cui agli articoli da 3 a 5 del decreto legislativo n. 167/2011. Ricorda il Ministero che la disposizione che consente di assumere con contratto di apprendistato i la-voratori iscritti nelle liste di mobilità, costituisce una disciplina speciale che prescinde, pertanto, da alcune delle regole generali previste per le tre tipologie già previste dal nuovo Testo unico.Il comma 4 dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 167/2011 inserisce infatti una novità assoluta pre-vedendo la possibilità di assumere con contratto di apprendistato, ai fi ni della loro qualifi cazione o riqualifi cazione professionale, lavoratori posti in mobilità destinatari o meno della relativa indennità. Tra le diverse regole che caratterizzano questa nuova possibilità di assumere in apprendistato, insiste proprio la particolarità dell’esclusione dai limiti di età dei lavoratori assumibili che, per le tre tipologie di apprendistato in disciplina, varia tra i quindici e i venticinque anni di età (ventiquattro anni e trecen-tosessantaquattro giorni) per l’assunzione fi nalizzata al conseguimento di una qualifi ca o di un diploma professionale, e tra i diciotto e i ventinove anni di età (ventinove anni e trecentosessantaquattro giorni) per l’apprendistato professionalizzante e quello di alta formazione e ricerca.Per questa speciale modalità di assunzione in contratto di apprendistato non esiste dunque il requisito del limite di età all’atto dell’assunzione.Il Dicastero inoltre sottolinea che, trattandosi di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, anche il regime contributivo subisce un trattamento differente da quello previsto per l’ordinario contratto di apprendi-stato, di conseguenza:

– continua –

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48 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - APPRENDISTATO E MOBILITÀ: CHIARIMENTI DEL MINISTERO

trovano applicazione il regime agevolato previsto all’articolo 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e l’incentivo di cui all’articolo 8, comma 4 della stessa legge:– si applicano dunque le regole previdenziali previste per gli assunti dalla mobilità, compreso l’e-

ventuale benefi cio legato all’indennità percepita dai lavoratori nel caso ne siano destinatari, fi no al termine previsto per la speciale categoria e nessun’altra agevolazione dopo i 18 mesi.

In caso di lavoratore rientrante nei limiti di età previsti per le tre tipologie “normali” di apprendi-stato, resta comunque in capo al datore di lavoro la scelta sulla modalità di assunzione attraverso un’attenta valutazione di convenienza tra l’assunzione di un lavoratore in mobilità, in considera-zione dell’eventuale più ristretto periodo contributivo agevolativo e delle deroghe alla disciplina generale, e l’assunzione in regime di apprendistato facente parte delle prime tre tipologie poste nella nuova disciplina.Il datore di lavoro valuterà in base ai seguenti elementi:• i lavoratori in mobilità assunti quali apprendisti non sono soggetti ai limiti di età;• i lavoratori in mobilità non sono tra i soggetti computabili nei limiti numerici previsti da leggi o da

contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti;• a tali soggetti si applicano le regole previdenziali previste per gli assunti dalla mobilità, compre-

so l’eventuale benefi cio legato all’indennità percepita dai lavoratori nel caso ne siano destinatari, fi no al termine previsto per la speciale categoria:

– 18 mesi con aliquota agevolata del 10%, ai sensi dell’art. 25, comma 9, della legge n. 223/1991;– per i soggetti assunti a tempo pieno (prorogati a 24 mesi per gli over 50 e a 36 mesi se l’as-

sunzione avviene nel Mezzogiorno), un incentivo economico per un massimo di 12 mesi pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, legge 223/1991;

– nessun’altra agevolazione dopo i 18 mesi.• il benefi cio contributivo non si applica ai premi dovuti all’Inail (nota Inail n. 1100 del 15.2.2012);• anche ai lavoratori in mobilità è applicabile l’eventuale sottoinquadramento o percentualizzazio-

ne della retribuzione.Per tali lavoratori, inoltre, il contratto di lavoro è a tempo indeterminato a trecentosessanta gradi, non essendo prevista la possibilità di interrompere il rapporto alla fi ne del periodo formativo come invece disciplinato per le tre tipologie previste dal nuovo Testo unico.Al termine del rapporto formativo il contratto prosegue e non può essere rescisso se non per giusta causa o giustifi cato motivo; non è altresì possibile fruire del regime agevolato previsto nei dodici mesi successivi alla trasformazione del contratto a tempo indeterminato.Rimane comunque certa la possibilità di prescindere dai limiti di età previsti per le altre tipologie anche perché diversamente, continua il Ministero, non avrebbe avuto alcun signifi cato l’inseri-mento di una nuova modalità di assunzione in apprendistato destinata a lavoratori disoccupati che il più delle volte hanno un’età superiore ai ventinove anni e proprio per questo diventano soggetti particolarmente deboli con minori possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro; sarebbe sta-ta una novità rivolta ad un numero molto limitato di soggetti impedendone invece, così come vuole la norma, un diffuso utilizzo.

Apprendistato: licenziamento e mobilitàLa risposta all’interpello n. 21 dà ancor più vigore alla prima grande concretezza emersa nel nuovo Testo unico sull’apprendistato: l’aver fi nalmente e uffi cialmente qualifi cato tale tipologia di con-tratto formativo, uno speciale rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fi nalizzato alla formazio-ne e all’occupazione dei giovani.Il contratto di apprendistato è ora defi nito di tipo indeterminato, rescindibile quindi solamente per giusta causa o giustifi cato motivo e come tale rientrante in qualsivoglia norma includa i titolari di contratto a tempo indeterminato, se non escluso esplicitamente.La caratteristica del “termine” dunque rimane esercitabile solo nel momento in cui il contratto formativo volge alla scadenza per via della facoltà delle parti di poter recedere dal rapporto nel rispetto del periodo di preavviso.

– continua –

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - APPRENDISTATO E MOBILITÀ: CHIARIMENTI DEL MINISTERO

Con l’interpello n. 25 il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, ha inteso conoscere il parere del Ministero in ordine alla possibilità di iscrizione per i lavoratori apprendisti licenziati, nella lista della cd. mobilità non indennizzata.L’iscrizione alla lista della cd. piccola mobilità è concessa ai lavoratori, titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, licenziati per giustifi cato motivo oggettivo, da datori di lavoro (imprenditori e non) che occupano anche meno di quindici dipendenti.La norma è contenuta nell’articolo 4 del decreto legge n. 148/1993, convertito in legge n. 236/1993 ulti-mamente modifi cata dalla legge di stabilità 2012 che al primo comma statuisce: “nella lista di cui all’arti-colo 6, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, possono essere iscritti i lavoratori licenziati da impre-se, anche artigiane o cooperative di produzione e lavoro, che occupano anche meno di quindici dipendenti per giustifi cato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro, quale risulta dalla comunicazione dei motivi intervenuta ai sensi dell’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dall’articolo 2, comma 2, della legge 11 maggio 1990, n. 108.Possono essere altresì iscritti i lavoratori licenziati per riduzione di personale che non fruiscano dell’in-dennità di cui all’articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223”.L’iscrizione a tale lista (da richiedersi entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento, ov-vero dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale, alla competente sezione circoscrizionale per l’impiego), sebbene non dia titolo alla riscossione dell’indennità di mobilità di cui all’articolo 7, legge n. 223/1991, concede ai lavoratori licenziati una speranza in più di essere riassunti da altri datori di lavoro in quanto consente a chi li assume di fruire di particolari agevolazioni contributive.Per l’iscrizione nella lista di mobilità, quindi, uno dei requisiti essenziali è costituito proprio dall’essere stato titolare di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (sia a tempo pieno che a tempo parziale), come in effetti è oggi indiscutibilmente considerato il contratto di apprendistato, in forza del comma 1 dell’articolo 1 del nuovo Testo unico.Il lavoratore, anche apprendista, per poter accedere alla lista di mobilità dunque deve trovarsi nelle con-dizioni di:– licenziato per giustifi cato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività

o di lavoro come indicato nella lettera di licenziamento;– dimesso per giusta causa.Stante dunque la defi nitiva qualifi cazione del contratto di apprendistato in speciale rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la locuzione di “lavoratori dipendenti” utilizzata dal legislatore, conclude il Mini-stero, non vi è dubbio che anche i lavoratori apprendisti siano iscrivibili nella lista di cui all’articolo 4 del decreto legge n. 148/1993.

Apprendistato e mobilità

Requisiti dei lavoratori in mobilità, da assumere con contratto di apprendi-stato ai fi ni della qualifi cazione o riqua-lifi cazione professionale. (comma 4, art. 7 Dlgs n. 167/2011)

1) Iscrizione nelle liste di mobilità con e senza indennità;

2) Nessun limite di età.�

Apprendistato e mobilità

- Contratto a tempo indeterminato- i lavoratori in mobilità assunti quali apprendisti non sono soggetti ai limiti di età;- tali lavoratori in qualità di apprendisti non sono tra i soggetti computabili nei limiti numerici

previsti da leggi o da contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti;

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50 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - APPRENDISTATO E MOBILITÀ: CHIARIMENTI DEL MINISTERO

Apprendistato e mobilità

- al termine del rapporto formativo il contratto prosegue e non può essere rescisso se non per giusta causa o giustifi cato motivo;

- non è previsto il regime agevolato nei dodici mesi successivi alla trasformazione del contratto a tempo indeterminato;

- trovano applicazione il regime agevolato previsto all’articolo 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e l’incentivo di cui all’articolo 8, comma 4, della stessa legge; si applicano infatti a tali soggetti le regole previdenziali previste per gli assunti dalla mobilità, compreso l’eventuale benefi cio legato all’indennità percepita dai lavoratori nel caso ne siano destinatari, fi no al termi-ne previsto per la speciale categoria e nessun’altra agevolazione dopo i 18 mesi:

- usufruiscono per 18 mesi dell’aliquota agevolata del 10%;- gli assunti a tempo pieno godono di un incentivo economico per un massimo di 12 mesi pari al

50% dell’incentivo economico dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavora-tore (i 12 mesi slittano a 24 per gli over 50 e a 36 mesi se l’assunzione avviene nel Mezzogiorno);

- il benefi cio contributivo non si applica anche ai premi dovuti all’Inail (nota Inail n. 1100 del 15 febbraio 2012);

- eventuale sotto-inquadramento o percentualizzazione della retribuzione.

Requisiti dei lavoratori per l’iscrizione nelle liste di mobilità senza indennità (art. 4 legge n. 236/1993)- Titolarità di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato anche a tempo parziale e

in apprendistato;- licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazio-

ne di attività o di lavoro come indicato nella lettera di licenziamento ad opera di datori di lavoro che occupano anche meno di 15 dipendenti;

- dimissione per giusta causa.

Guida al Lavoro 31.8.2012, n. 34, pag. 22

La legge fi ssa un limite massimo di durata, pari a 3 anni in generale, elevabile a 4 anni nel caso di diploma quadriennale regionale. In ogni caso, la legge prevede che la durata del con-tratto deve essere determinata in considerazione della qualifi ca o del diploma da conseguire. Durante questo periodo, l’apprendista dovrà svolgere un monte ore di formazione. Questo monte ore, secondo l’art. 2, com. 3, lett. b) Testo Unico, dovrà essere defi nito da ciascuna Re-gione, nell’ambito delle normative di propria competenza, in modo da essere congruo rispetto al conseguimento della qualifi ca o del diploma professionale. Il monte ore dovrà rispettare gli standard minimi formativi defi niti ai sensi del D.Lgs. 17.10.2005, n. 226. Le ore di formazione potranno essere interne o esterne all’azienda: la legge nulla dice circa la ripartizione tra que-sti due momenti e, pertanto, è da ritenersi rimessa alla valutazione discrezionale delle Regio-ni la scelta circa il peso di ciascuno di essi. Il co. 2 art. 3 defi nisce il processo di regolamenta-zione della parte formativa del contratto. Secondo la norma, tale disciplina deve essere adottata dalle singole Regioni (e dalla Province Autonome di Trento e Bolzano), sulla base di un preventivo accordo raggiunto in Conferenza permanente Stato-Regioni. Infi ne, i contratti collettivi di lavoro stipulati a qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale) possono disci-plinare le modalità di erogazione della formazione aziendale. Questa formazione dovrà co-munque rispettare gli standard generali fi ssati dalle Regioni e potrà essere erogata anche all’interno degli enti bilaterali.

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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3.2.2 Apprendistato professionalizzante

Il contratto di apprendistato professionalizzante è la tipologia più comune di apprendistato. Questo perché il percorso formativo che accompagna il rapporto di lavoro non deve concludersi mediante l’acquisizione di un titolo di studio formale ma, molto più semplicemente, è fi nalizzato al conseguimento di una qualifi ca professionale. In altri termini, mediante questo contratto un apprendista impara a svolgere una determinata attività professionale (non a caso il legislatore defi nisce il contratto anche come .apprendistato di mestiere, per dare l’idea delle caratteristiche proprie di questo percorso di apprendimento). Anche se non si concretizza in un titolo di studio, la qualifi ca professionale che consegue l’apprendista al termine del rapporto deve trovare una ri-spondenza nel contratto collettivo applicato. In altri termini, il percorso formativo deve consentire l’acquisizione di un complesso di competenze che deve per forza di cose rientrare nel patrimonio di una specifi ca qualifi ca prevista dal contratto collettivo di settore. La legge (co. 5) lascia aperta anche la possibilità che il contratto si concluda con il riconoscimento della qualifi ca di maestro artigiano o di mestiere; affi nché tale qualifi ca possa essere riconosciuta, dovranno essere rispet-tate le modalità defi nite alternativamente dalle Regioni oppure dalle associazioni di categoria dei datori di lavoro di settore. Il contratto di apprendistato professionalizzante può essere utilizzato in tutti i settori di attività. La legge specifi ca che il contratto può essere utilizzato anche nei settori pubblici: viene meno, quindi, la limitazione contenuta nella riforma Biagi, la quale vietava il ricorso al nuovo apprendistato (e, più in generale, alle forme di contratti fl essibili da essa regolati) alle Pubbliche Amministrazioni. Il Testo Unico ha cambiato i limiti di durata minima (2 anni, inizial-mente, e poi nessun limite) e massima (6 anni) del periodo formativo previsti dalla riforma Biagi. Nella nuova disciplina contenuta nell’art. 4, co. 2, Testo Unico, viene confermata la scelta di non prevedere una durata minima del rapporto (ma la riforma Fornero interverrà in seguito su questo aspetto), mentre viene stabilito un periodo di durata massima pari a 3 anni.

Durata minima del periodo formativo - La riforma Fornero ha aggiunto all’art. 2, co. 1, la lett. a-bis), la quale introduce una durata minima di 6 mesi per il contratto di apprendistato. Tale vincolo è coerente con l’esigenza di dare concretezza alla parte formativa del contratto: una durata troppo breve non consente di svolgere un periodo adeguato di formazione. Da notare che il legislatore è stato sin troppo benevolo, se si considera che la legge Biagi introdusse un limite di durata minima di 2 anni, anche se tale scelta durò molto poco, e fu ben presto revocata. Il limite di durata minima non si applica agli apprendisti stagionali, per i quali – unico caso – è possibile frammentare il contratto sulla base di tanti micro rapporti di durata anche inferiore, in un arco temporale molto ampio previsto dai contratti collettivi (il CCNL Turismo prevede un arco temporale di 48 mesi).

Durata massima del periodo formativo - La durata massima del periodo formativo sale a 5 anni per le fi gure professionali dell’artigianato; il compito di individuare quali sono le fi gu-re soggette a questo limite di durata è assegnato alla contrattazione collettiva del settore ar-tigiano. Nell’ambito di questa scarna disciplina legislativa, viene affi data una delega molto ampia alla contrattazione collettiva, cui viene affi dato il compito di delineare le caratteristiche dell’intero periodo di formazione. In particolare, la contrattazione collettiva dovrà stabilire, innanzitutto, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione dei profi li professionali stabiliti nei sistemi di classifi cazione e inquadramento del personale. Questa durata potrà essere mo-dulata in ragione dell’età dell’apprendista e del tipo di qualifi cazione contrattuale da consegui-re. Da notare che la legge affi da tali compiti agli accordi interconfederali oppure ai contratti collettivi, senza indicare il livello negoziale: questo signifi ca che la disciplina della formazione potrà essere adottata non solo a livello nazionale ma anche a livello territoriale o aziendale.

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52 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Apprendistato e artigianato dopo la tiforma Fornero - La legge Fornero ha modifi cato l’art. 4, co. 2, che fi ssa il limite massimo di durata per periodo di apprendistato professiona-lizzante a 3 anni. La norma, nella nuova versione, consente di portare questo limite a 5 anni per i profi li professionali “caratterizzanti la fi gura dell’artigiano”, e rinvia alla contrattazio-ne collettiva di riferimento il compito di individuare tali profi li. La versione previgente della norma parlava di “fi gure professionali dell’artigianato”: la novella ha, probabilmente, lo sco-po di chiarire che il limite di 5 anni si applica a mansioni di tipo artigianale, anche ove queste siano regolate da CCNL diversi da quello proprio del settore (come ad esempio accade nel commercio).

Monte ore di formazione annua - Con il Testo Unico scompare qualsiasi riferimento al monte ore minimo di formazione che deve essere svolta annualmente. La fi ssazione di monte ore minimo annuo di formazione da svolgersi all’esterno dell’impresa era una delle grandi novità della L. 196/1997 (c.d. Pacchetto Treu), poi confermata dalla riforma Biagi, che si limitò a consentire una maggiore fl essibilità nella scelta delle modalità di svolgimento del periodo formativo, anche all’in-terno dell’azienda. Queste previsioni sono venute meno con l’approvazione del Testo Unico, che ha compiuto una scelta molto coraggiosa, rimettendo integralmente alla contrattazione collettiva (e alle Regioni, per la parte di offerta integrativa che possono promuovere e organizzare) la decisione circa il monte ore di formazione da svolgere durante il periodo di apprendistato. Questa attività formativa può essere defi nita come formazione aziendale, in quanto la legge stabilisce chiara-mente che si svolge sotto la responsabilità dell’azienda (art. 4, co. 3). Accanto alle ore di formazio-ne aziendale, disciplinate dal contratto collettivo di settore, la legge prevede la possibilità di sotto-porre l’apprendista a un ulteriore percorso formativo, aggiuntivo ed eventuale rispetto a quello sopra descritto. Ciascuna Regione, infatti, può integrare l’attività di formazione aziendale prevista dal contratto collettivo, organizzando una proposta formativa (da attuarsi all’interno o all’esterno dell’azienda) che preveda la acquisizione di competenze di base e trasversali; la proposta formati-va dovrà essere strutturata tenendo conto e dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’ap-prendista. Questo tipo di offerta formativa non è solo organizzata dalle Regioni, ma è anche disci-plinata da tali soggetti; nell’adozione delle rispettive discipline (che, nel silenzio della legge, potranno essere adottate sia mediante leggi regionali, sia mediante atti subordinati, quali le deli-bere di Giunta), le Regioni dovranno consultare le parti sociali. La possibilità di svolgere questa attività formativa è meramente eventuale: le Regioni, infatti, possono proporre tali cataloghi, così come possono scegliere di non realizzare nulla. Nel caso in cui una Regione predisponga un cata-logo formativo, è da ritenere che la partecipazione alle relative iniziative debba essere obbligatoria per l’apprendista (anche se la legge tace sul punto). In ogni caso, l’art. 4 Testo Unico fi ssa un tetto orario di attività formativa regionale: questa non può superare un monte complessivo di centoven-ti ore per la durata del triennio.

APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E DURATA DELLA FORMAZIONE

Schiavone Rossella

Il Ministero del lavoro, con risposta ad interpello 19 ottobre 2012, n. 34, chiarisce che la durata della formazione nell’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere non può essere ridotta dalla contrattazione collettiva solo in funzione della validazione del Piano formativo indivi-duale (Pfi ) da parte dell’Ente bilaterale o dell’adesione allo stesso EnteL’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere - disciplinato dall’art. 4 del Tu dell’ap-prendistato (Dlgs n. 167/2011) - può essere utilizzato in tutti i settori di attività, sia pubblici che privati, per assumere soggetti aventi un’età compresa tra i 18 ed i 29 anni.

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E DURATA DELLA FORMAZIONE

Tuttavia, grazie a questa tipologia di apprendistato è possibile conseguire, esclusivamente, una qualifi ca professionale ai soli fi ni contrattuali e, quindi - a differenza dell’apprendistato per la qualifi ca e per il diploma professionale e dell’apprendistato di alta formazione e ricerca - non è possibile ottenere alcun titolo di studio.Per quanto concerne l’età massima (29 anni) - stante l’indirizzo del Ministero del lavoro chiarito con la circolare n. 30 del 15.7.2005 - il contratto di mestiere può essere di fatto stipulato fi no al giorno antecedente al compimento del trentesimo anno di età.Inoltre, per espressa previsione legislativa, per i soggetti in possesso di una qualifi ca professiona-le, conseguita ai sensi del Dlgs n. 226/2005, il contratto in questione può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età.

La formazionePosto che l’apprendistato professionalizzante è, come tutte le tipologie di apprendistato, un con-tratto a tempo indeterminato, lo stesso, per la sua componente formativa, non può essere su-periore a tre anni; gli anni diventano cinque per i profi li professionali caratterizzanti la fi gura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento (testo modifi cato dalla legge n. 92/2012).In merito si segnala che la nuova formulazione legislativa sembra concordare con l’interpretazio-ne ministeriale, data con la risposta all’interpello n. 40/2011, a favore dell’estensione della durata massima quinquennale a tutti i comparti, ovvero a tutti quei soggetti che operano nel campo arti-giano e che non sono identifi cabili nelle sole fi gure individuate dalla contrattazione degli artigiani, bensì nelle fi gure previste nell’ambito dei diversi contratti collettivi i cui contenuti competenziali sono omologhi e contrattualmente sovrapponibili a quelli delle fi gure artigiane.Il comma 2, art. 4, Dlgs n. 167/2011, prevede che spetti agli accordi interconfederali ed ai contratti collettivi stabilire, in ragione dell’età dell’apprendista e del tipo di qualifi cazione contrattuale da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle compe-tenze tecnico-professionali e specialistiche in funzione dei profi li professionali stabiliti nei sistemi di classifi cazione ed inquadramento del personale, nonché la durata - anche minima - del contrat-to, fermo restando la durata massima per la sua componente formativa.Il successivo comma 3, stabilisce che la formazione svolta sotto la responsabilità dell’azienda va integrata da una formazione pubblica, nei limiti delle risorse annualmente disponibili - che può essere sia interna che esterna all’azienda - fi nalizzata all’acquisizione di competenze di base e tra-sversali per un monte complessivo non superiore a 120 ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista.Infi ne, il comma 4, riconosce la possibilità, alle Regioni ed alle associazioni di categoria dei datori di lavoro, di defi nire, anche nell’ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifi ca di maestro artigiano o di mestiere.

Il ruolo degli Enti bilateraliGià con la risposta all’interpello n. 16 del 14 giugno 2012, il Ministero del lavoro si era occupato del ruolo degli Enti bilaterali nella disciplina dell’apprendistato ed aveva chiarito che:- con riferimento alla defi nizione del Piano formativo individuale (Pfi ), il ruolo degli Enti bilaterali è

eventuale e non necessario ai fi ni della valida stipulazione del contratto di apprendistato;- per quanto attiene all’art. 4 del Dlgs n. 167/2011 - che disciplina il contratto di apprendistato

professionalizzante o di mestiere e rispetto al quale la contrattazione collettiva assume un ruolo assolutamente predominante - non è dato rintracciare un esplicito riferimento ad un ruolo “au-torizzativo “ degli Enti bilaterali, limitandosi la previsione normativa ad assegnare agli accordi interconfederali o ai contratti collettivi (di qualsiasi livello) il compito di defi nire i soli aspetti ri-feriti alla “durata e modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali o specialistiche in funzione dei profi li professionali stabiliti nei sistemi di classifi cazione e inquadramento del personale”.

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54 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E DURATA DELLA FORMAZIONE

La risposta al su citato interpello, in sintesi, non nega che la contrattazione collettiva possa asse-gnare legittimamente un ruolo fondamentale agli Enti bilaterali il quale, tuttavia, non può confi -gurarsi come condicio sine qua non di carattere generale per una valida stipulazione del contratto di apprendistato.

Concludeva il Ministero affermando che:- per i datori di lavoro non iscritti alle organizzazioni stipulanti il contratto collettivo applicato,

non vi è un obbligo di sottoporre il Pfi all’Ente bilaterale di riferimento salvo, per i contratti di apprendistato per la qualifi ca e il diploma professionale, ove tale passaggio sia previsto dalla legislazione regionale;

- è in ogni caso escluso l’obbligo di iscriversi all’Ente bilaterale per ottenere il parere di conformità.

La previsione del Ccnl TurismoA seguito del Dlgs n. 167/2011, la contrattazione collettiva ha disciplinato l’apprendistato nei vari settori, anche con riguardo alla durata della formazione nell’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere.In particolare, l’accordo del 17.4.2012 per la disciplina contrattuale dell’apprendistato nel settore del turismo, all’art. 14 prevede che, ai sensi e per gli effetti del Testo unico dell’apprendistato, la durata della formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche cambi a seconda del livello di inquadramento, con le seguenti modalità:

Livello di inquadramento Ore medie annue

2, 3 80

4, 5, 6S 60

6 40

L’accordo prevede, inoltre che, per i rapporti di apprendistato stagionale e per i rapporti di appren-distato la cui durata non coincide con l’anno intero, l’impegno formativo annuo deve essere deter-minato riproporzionando il monte ore annuo in base all’effettiva durata di ogni singolo rapporto di lavoro.Tuttavia, lo stesso accordo prevede, altresì, una sorta di “sconto” per l’impresa che si avvalga dell’Ente bilaterale per la verifi ca del piano formativo individuale: in tal caso l’impegno formativo riportato nel riquadro sopra, viene ridotto di un quarto, previo accertamento dell’integrale appli-cazione delle disposizioni del contratto, ed in particolare di quelle relative ad assistenza sanitaria integrativa, previdenza complementare, Enti bilaterali e formazione continua.

Riduzione della formazionePosto quanto sopra, il Consiglio nazionale dell’ordine dei Consulenti del lavoro ha avanzato una nuova istanza di interpello al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per capire se una previsione con-trattuale come quella illustrata - ovvero riduzione della formazione per l’apprendistato professionaliz-zante nel caso in cui l’impresa faccia verifi care il Pfi all’Ente bilaterale e sempre che la stessa azienda applichi integralmente le disposizioni del contratto, ed in particolare quelle relative ad assistenza sa-nitaria integrativa, previdenza complementare, Enti bilaterali e formazione continua - sia legittima.La risposta ministeriale è questa volta molta secca: nella disciplina dell’apprendistato professio-nalizzante, ai sensi dell’art. 4, comma 2, Dlgs n. 167/2011, le parti sociali hanno il compito di indi-viduare la durata della formazione solo in funzione dell’età dell’apprendista e del tipo di qualifi ca-zione contrattuale da conseguire.Quindi, la durata delle ore di formazione potrà, eventualmente, essere ridotta se l’apprendista è più avanti con gli anni (ad esempio 29 anni, invece di 18) o qualora abbia già avuto esperienze pro-fessionali analoghe a quelle oggetto del contratto di apprendistato.

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E DURATA DELLA FORMAZIONE

Quindi - poiché la riduzione del monte ore di formazione basata solo su elementi estranei all’età dell’apprendista o al fabbisogno formativo utile al raggiungimento della qualifi ca, non è in linea né con il Testo unico dell’apprendistato, né con i principi costituzionali di parità di trattamento, né con quelli comunitari sulla libera concorrenza - qualora gli ispettori dovessero trovarsi dinanzi ad un caso simile, potranno ordinare un’integrazione del Piano formativo individuale e delle formazione non effettuata - utilizzando l’istituto della disposizione ex art. 14 del Dlgs n. 124/2004.

Osservazioni conclusiveDalla lettura combinata delle risposte agli interpelli n. 12/2012 e n. 34/2012, si può concludere che, per il Ministero del lavoro:- una forma di controllo sui profi li formativi del contratto da parte dell’Ente bilaterale rappresenta

sempre una valida opportunità e una garanzia circa la corretta declinazione del Pfi - tanto che il coinvolgimento dell’Ente può costituire un elemento signifi cativo anche in relazione al giudizio che il personale ispettivo dovrà effettuare in ordine al corretto adempimento dell’obbligo formativo;

- in caso di richiesta di parere di conformità, le modifi che o le integrazioni richieste dall’Ente al Pfi rappresentano, per gli ispettori, un elemento da recepire nel provvedimento di disposizione da adottare in sede di controllo sull’adempimento agli obblighi formativi;

- per l’apprendistato professionalizzante, le parti sociali devono individuare la durata della for-mazione ma, la riduzione della formazione prevista solo in funzione della validazione del Pfi da parte dell’Ente bilaterale o all’adesione allo stesso Ente, non è legittima per cui, in un caso del genere, il personale ispettivo potrà, con provvedimento di disposizione, ordinare un’integrazione del Piano formativo individuale e delle formazione non effettuata.

Guida al Lavoro 2.11.2012, n. 43, pag. 16

3.2.3 Apprendistato di alta formazione e ricerca

Il terzo tipo di apprendistato − definito di alta formazione e ricerca dall’art. 5 Testo Uni-co − è finalizzato al conseguimento di alcuni titoli di studio superiori. In particolare, il contratto può essere abbinato all’attività lavorativa quando è preordinato al conseguimen-to di un diploma di istruzione secondaria superiore, al conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Il contratto può essere anche finalizzato alla specializzazione tecnica superiore (disciplinata dall’art. 69 L. 17.5.1999, n. 144), e con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializ-zazione tecnologica degli istituti tecnici superiori (disciplinati dall’art. 7 D.P.C.M. 25.1.2008). L’apprendistato di alta formazione può essere utilizzato anche per il praticantato per l’ac-cesso alle professioni ordinistiche o per esperienze professionali, e per lo volgimento di attività di ricerca. Il contratto può essere utilizzato in tutti i settori di attività, e da parte di tutti i datori di lavoro, compresa la Pubblica Amministrazione. Pertanto, come per le altre tipologie di apprendistato, viene meno qualsiasi limitazione e differenza di regole tra pubblico e privato.

Possono essere assunti con questi tipo di apprendistato i giovani di età compresa tra i 18 anni e i 29 anni. La legge non fi ssa come data ultima quella in cui il giovane compie il ventino-vesimo anno di età, e quindi si deve ritenere che il contratto possa essere stipulato sino al giorno antecedente alla data di compimento dei 30 anni. Per soggetti in possesso di una qualifi ca professionale conseguita ai sensi del D.Lgs. 226/2005, il contratto di apprendistato di alta formazione può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età.

Al contrario di quanto accade per le altre tipologie di apprendistato (qualifi cante e profes-sionalizzante), la legge non stabilisce un tetto di durata massima del periodo formativo per

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

la tipologia di alta formazione e ricerca. La durata massima di questo periodo potrà quindi essere stabilita dalle fonti competenti (le intese regionali, di cui parliamo di seguito) senza dover rispettare un vincolo legale. La legge non stabilisce alcun monte ore di formazione minimo che deve essere attuato nell’ambito di questa forma di apprendistato, così come non defi nisce in alcun modo le caratteristiche del percorso formativo. Questi aspetti dovranno essere compiutamente disciplinati nelle intese regionali cui viene demandata la possibilità di regolare l’istituto. Per quanto riguarda questa tipologia contrattuale viene confermato l’impianto previsto dalla riforma Biagi che, al contrario di quanto accaduto con l’apprendi-stato professionalizzante, ha dato luogo ha sperimentazioni interessanti e non ha prodotto la sostanziale inutilizzabilità del contratto. Pertanto, come nella precedente disciplina viene affi dato alle Regioni il compito di disciplinare la durata e le modalità di svolgimento del pe-riodo di formazione. La legge (art. 5, co. 2) non defi nisce lo strumento con cui deve essere adottata la disciplina regionale. Si può trattare, quindi, di una legge o di un atto subordinato. Peraltro, il riferimento al raggiungimento di un accordo con altri soggetti lascia aperta la possibilità di regolare l’istituto mediante semplici convenzioni, come già sperimentato nel periodo di vigenza della riforma Biagi. L’accordo appena accennato è una condizione per l’approvazione di qualsiasi disciplina. La legge stabilisce infatti che la regolamentazione re-gionale deve essere defi nita in accordo con una serie molto lunga di soggetti. In primo luogo, le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’intesa con le parti sociali non basta. La legge include nell’elenco le Università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca. La norma non stabilisce se le intese regionali debbano prevedere la contestuale presenza di tutti questi soggetti. L’esperienza applicativa ha dato luogo a intese che, secon-do gli ambiti di operatività, non sempre vedevano la presenza di tutti i soggetti elencati dalla norma. Tra le istituzioni formative con cui si deve raggiungere l’accordo rientrano anche quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aven-ti come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico. L’art. 5, co. 3, Testo Unico si preoccupa di stabilire un meccanismo che consenta di utilizzare il contratto anche in caso di inerzia delle singole Regioni. Secondo la norma, in mancanza di una disciplina regionale l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e pro-fessionali e le istituzioni formative o di ricerca. La norma precisa che queste intese possono essere raggiunte senza nuovi o maggiori oneri a carico della fi nanza pubblica. Tale disposi-zione riproduce fedelmente la formulazione dell’art. 50 D.Lgs. 276/2003 introdotta dall’art. 23, cc. 3 e 4, L. 133/2008, la quale ha superato il vaglio della Corte Costituzionale. In parti-colare la Consulta, con sentenza n. 176 del 14.5.2010, ha respinto le questioni di legittimità costituzionale proposta da alcune Regioni, rilevando che la previsione di un meccanismo sostitutivo per i casi di inerzia regionale non lede alcuna prerogativa legislativa delle mede-sime Regioni.

3.3 Rapporto di lavoro dell’apprendista

3.3.1 Durata del rapporto di lavoro

Nel contratto di apprendistato convivono due rapporti, che seguono regole diverse e con-correnti:

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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• il rapporto di lavoro è un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sog-getto alla regole ordinarie (fatti salvi alcuni elementi di specialità che servono ad adattare il rapporto alle peculiari caratteristiche del lavoratore apprendista), • il rapporto apprendistato è un rapporto di durata determinata soggetto a regole speciali, che

variano secondo il percorso di formazione svolto (qualifi cante, professionalizzante, di alta for-mazione).

Prima dell’approvazione del Testo Unico, la qualifi cazione dell’apprendistato come rappor-to a termine oppure rapporto a tempo indeterminato aveva dato luogo a interpretazioni diffor-mi, ma questi problemi ricostruttivi sono ampiamente superati dal Testo Unico. Il decreto, con maggiore precisione terminologica rispetto alla disciplina previgente, distingue chiaramente la durata del contratto di lavoro − che è a tempo indeterminato, art. 1, co. 1 − dalla durata del periodo di formazione − che ha una durata predeterminata (art. 2, co. 1, lett. m); quando si parla di durata dell’apprendistato, quindi, si fa riferimento solo alla durata del periodo forma-tivo, e non alla durata del contratto di lavoro. La durata del periodo formativo, peraltro, varia in funzione della tipologia di apprendistato utilizzata dalle parti (artt. 3, 4 e 5 Testo Unico), e non è fi ssata direttamente dalla legge, che si limita a individuare la fonte competente e un eventuale tetto massimo (e minimo, dopo la riforma Fornero) di durata. L’idea di fondo che sta dietro a questa costruzione è che la durata dei contratti viene defi nita in funzione della disci-plina della formazione che viene data dai soggetti deputati a tale compito, e quindi tiene conto di questo percorso.

3.3.2 Disdetta e periodo di preavviso

Il rapporto di lavoro dell’apprendista, pur essendo a tempo indeterminato, può essere risolto, al termine del periodo di preavviso, mediante una semplice disdetta. La riforma For-nero ha inserito nell’art. 1, co. 1, Testo Unico una frase nella lett. m), con la quale si chiarisce che durante il periodo in cui viene esercitata la disdetta continua ad applicarsi la discipli-na dell’apprendistato. La precisazione è utile in quanto il datore di lavoro può decidere di recedere dall’apprendistato quando il relativo periodo è terminato, entro il periodo di preav-viso previsto dai contratti collettivi. Può sorgere il dubbio se, durante questo periodo, l’ap-prendista sia soggetto alle regole ordinarie oppure restino in vita quelle speciale; il chiari-mento legislativo consente di risolvere tale dubbio in favore della seconda opzione. Se il datore di lavoro non comunica al lavoratore la disdetta, entro il termine di scadenza del periodo formativo, il rapporto prosegue secondo le regole ordinarie (Ministero lavoro nota 13 luglio 2012). A tale proposito dal 10.1.2013 è stata aggiunta una voce nel sistema di Co-municazioni al collocamento relativa alla “data fi ne del periodo formativo . Min. lavoro nota 19 novembre 2012).

3.3.3 Limite all’assunzione dopo la riforma Fornero

La riforma Fornero ha introdotto nel corpo del Testo Unico sull’apprendistato (D.Lgs. 167/2011) una norma, il co. 3-bis art. 2, che subordina la possibilità di assumere nuovi ap-prendisti al mantenimento in servizio di una parte dei lavoratori assunti in precedenza con il contratto di apprendistato. In particolare, precisa la norma che per assumere nuovi ap-prendisti un datore di lavoro deve aver mantenuto in servizio, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, almeno il 50% degli apprendisti già assunti. La nozione di mantenimento

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58 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

in servizio fa riferimento alla decisione del datore di lavoro di esercitare, al termine del pe-riodo di formazione, la facoltà di recedere dal rapporto senza dover dare una motivazione, a lui riconosciuta dall’art. 2 Testo Unico. Nel computo degli apprendisti confermati e non con-fermati non devono essere considerati quei rapporti cessati per motivi diversi dalla sem-plice disdetta del datore di lavoro: pertanto, non si computano i rapporti cessati per man-cato superamento della prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Rientrano invece nel computo gli apprendisti licenziati per giustifi cato motivo, soggettivo oppure oggettivo: evidentemente il legislatore ritiene che tali fattispecie, essendo legate a fatti di minore gravità o addirittura estranei al comportamento dell’apprendista (come il li-cenziamento economico) siano legati a una scelta datoriale e, in quanto tali, debbono essere considerati ai fi ni del rispetto del limite minimo di conferme in servizio. Se il datore di lavoro non rispetta la percentuale sopra ricordata (conferma di almeno il 50% degli apprendisti) il divieto di nuove assunzioni non è assoluto: egli può comunque assumere un nuovo appren-dista che si aggiunge a quelli confermati (tale facoltà viene riconosciuta anche se nessuno degli apprendisti precedenti viene confermato). La sanzione per i casi di violazione del divie-to è molto rigida: gli apprendisti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indetermi-nato sin dalla data di assunzione; da notare che gli apprendisti sono già da considerare come lavoratori a tempo indeterminato, e quindi la sanzione deve intendersi nel senso che si per-dono tutte quelle regole speciali tipiche del rapporto di apprendistato (possibilità di sottoin-quadramento, obbligo formativo, sgravi contributivi, facoltà di disdetta ecc.). Infi ne, va ricor-dato che la legge esclude dall’obbligo di conferma le imprese che occupano meno di 10 dipendenti; per queste, quindi, la facoltà di assumere apprendisti è svincolata da qualsiasi conteggio sulle conferme pregresse.

Limiti quantitativi dopo la riforma Fornero - L’art. 1 Testo Unico è stato modificato dalla riforma Fornero al co. 3, che disciplina i limiti quantitativi in materia. La disciplina introdotta con la L. 92/2012 prevede che un datore di lavoro può assumere apprendisti fino al raggiungimento del rapporto di 3 a 2 con le maestranze specializzate e qualifica-te (la disciplina precedente fissava un rapporto di 1 a 1, e quindi con la modifica viene ampliato il numero di apprendisti che possono essere assunti). La modifica non vale per i datori di lavoro che occupano meno di 10 dipendenti, per i quali il rapporto resta fissato ad 1 a 1.

3.3.4 Apprendistato e somministrazione. Riforma Fornero e Decreto Sviluppo

La riforma Fornero ha introdotto il divieto di assunzione di apprendisti per l’esclusione di contratti di somministrazione a tempo determinato. In seguito, la legge di conversione del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 84/2012) ha precisato che, se si usano apprendisti, la somministrazione a tempo indeterminato può essere usata in qualsiasi settore produttivo.

3.3.5 Regime transitorio delle riforma Fornero

L’art. 1, co. 18, L. 92/2012 defi nisce la data di entrata in vigore delle disposizioni in mate-ria di apprendistato. Prevede la norma che la disciplina dei limiti quantitativi contenuta nell’art. 2, co. 3, Testo Unico si applica alle assunzione effettuate a partire dall’1.1.2013; alle assunzione effettuate prima, invece, continuerà ad applicarsi il precedente regime (che fi ssa il tetto massimo di apprendisti in misura pari al personale qualifi cato). Stesso sorte dovreb-be toccare al divieto di usare apprendisti nell’ambito della somministrazione a termine, es-sendo il divieto medesimo inserito nel corpo dell’art. 2, co. 3. Il co. 19 prevede poi una rego-

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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la transitoria per quanto riguarda gli obblighi di conferma in servizio. Per un periodo di 36 mesi, decorrente dalla data di entrata in vigore della riforma, la percentuale di apprendisti che devono essere mantenuti in servizio è fi ssata nella misura del 30% (invece che del 50, come previsto a regime).

3.4 Regime sanzionatorio

3.4.1 Perdita degli incentivi

Il riconoscimento degli incentivi di carattere economico e normativo ai datori di lavoro che utilizzano il contratto di apprendistato trova giustifi cazione solo se viene realizzato un effettivo addestramento professionale del lavoratore, mediante il pieno e integrale rispetto degli ob-blighi formativi previsti dalla legge e dal contratto collettivo. Il mancato rispetto di questi ob-blighi costituisce, quindi, il momento centrale del regime sanzionatorio del contratto di ap-prendistato, che si articola secondo fattispecie diverse, la cui gravità varia in relazione alla diversa gravità degli obblighi formativi violati. L’art. 7, co. 1, Testo Unico esplicita questo con-cetto, specifi cando che la violazione degli obblighi formativi comporta per il datore di lavoro l’obbligo di versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi al-tra sanzione per omessa contribuzione. In altri termini, se l’apprendistato è irregolare per mancata erogazione della formazione, il datore di lavoro deve ricostruire la storia contributiva del dipendente, assegnando ab origine l’inquadramento nel livello fi nale cui tendeva il contrat-to, e pagando i contributi previdenziale in relazione a tale livello. Da tale somma devono esse-re sottratti i contributi agevolati già pagati per l’apprendistato, e la somma risultante da que-sto calcolo deve essere raddoppiata. Questa sanzione esclude l’applicazione di ogni altra sanzione per omessa contribuzione.

3.4.2 Presupposti della sanzione

La mancata esecuzione degli obblighi formativi da luogo alla sanzione sopra indicata solo in presenza di due presupposti:

• deve impedire la realizzazione delle fi nalità formative della tipologia contrattuale applicata, • deve dipendere dalla esclusiva responsabilità del datore di lavoro.

Il primo elemento serve a selezione solo le violazioni gravi degli impegni formativi, ed escludere l’applicabilità della sanzione per i casi in cui, pur essendo riscontrate delle violazio-ni, queste non hanno compromesso l’attuazione delle fi nalità formative del contratto.

3.4.3 Responsabilità del datore di lavoro

La legge tiene conto del fatto che la mancata erogazione della formazione può non

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

dipendere da un comportamento elusivo del datore di lavoro; dal momento in cui è stato posto (con l’art. 16 L. 196/1997, poi con il D.Lgs. 276/2003, e ora con il Testo Unico, nelle parti in cui prevede un’offerta integrativa regionale e nelle eventuali discipline collettive che saranno approvate) l’obbligo di erogare una parte del percorso formativo all’esterno dell’impresa, l’adempimento dell’obbligo stesso dipende anche dall’effettiva organizza-zione ed erogazione dei corsi di formazione da parte delle competenti strutture pubbli-che. In altri termini, in tutti i casi in cui la formazione deve essere erogata all’esterno dell’impresa, l’obbligo del datore di lavoro non può più essere adempiuto mediante l’ero-gazione diretta dell’addestramento professionale, ma si sostanzia nell’onere di cooperare con i competenti uffici pubblici al fine di agevolare la partecipazione degli apprendisti ai corsi di formazione organizzati e gestiti da questi uffici. In questa ipotesi, ben può acca-dere che le strutture non adempiano il proprio compito, nonostante non vi sia stato un comportamento elusivo del datore di lavoro. Al fine di dare rilievo a queste situazioni, già l’art. 52 D.Lgs. 276/2003 prevedeva l’applicazione delle sanzioni di legge solo ai casi in cui dell’inadempimento sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro. Questa sanzione, che è stata integralmente riproposta dal Testo Unico, costituiva una evoluzione del mec-canismo di imputazione di responsabilità previsto nell’art. 16 L. 196/1997. Secondo la norma del Pacchetto Treu, i datori di lavoro perdevano le agevolazioni contributive con-nesse all’utilizzo del contratto qualora gli apprendisti non avessero partecipato alle atti-vità proposte formalmente dall’amministrazione Pubblica competente; con questa previ-sione si limitava la sanzione della perdita degli sgravi alle sole ipotesi in cui la mancata erogazione della formazione fosse addebitabile alla responsabilità del datore di lavoro, e non della Pubblica Amministrazione. Il riferimento all’esclusiva responsabilità vale ad escludere l’applicazione della sanzione alle ipotesi in cui l’erogazione della formazione non sia stata possibile per responsabilità non attribuibili al datore di lavoro, come nel caso in cui la Pubblica Amministrazione competente abbia omesso di predisporre i corsi di formazione professionale per gli apprendisti. Sotto la vigenza della riforma Biagi, il Ministero del lavoro (circ. 40/2004) aveva chiaro che l’inadempimento formativo imputa-bile al datore di lavoro era valutabile sulla base del percorso di formazione previsto all’in-terno del piano formativo e sulla base delle previsioni della disciplina regionale. L’ina-dempimento, secondo la stessa interpretazione ministeriale, poteva configurarsi nella mancanza di un tutor aziendale avente competenze adeguate, oppure nell’erogazione di una quantità di formazione, anche periodica, inferiore a quella stabilita nel piano forma-tivo o dalla regolamentazione regionale o, infine, nella grave inadempienza del datore di lavoro nell’obbligo formativo.

Criteri giurisprudenziali - Anche la giurisprudenza ha provato a definire i criteri di riconoscimento dell’inadempimento formativo. E’ stato giudicato illecito un rapporto di apprendistato che aveva ad oggetto lo svolgimento di attività “assolutamente elementari e routinarie, non integrate da un effettivo apporto didattico e formativo di natura teorica e pratica” (Cass. 11.5.2002, n. 6787); con lo stesso criterio, è stato giudicato illegittimo an-che un contratto di apprendistato in cui non era stato fornito l’insegnamento necessario a far diventare il dipendente lavoratore qualificato nel campo di attività al quale si riferiva l’apprendistato stesso, in quanto il dipendente era stato impiegato in altri compiti (Trib. Milano 13.3.2002). Sulla base dei medesimi principi, è da escludersi l’attivazione di qual-siasi responsabilità in capo al datore di lavoro quando il mancato svolgimento della forma-zione è dovuto a carenza o inattività dell’offerta formativa pubblica (Min. lav., circ. 27/2008, Trib. Monza 7.2.2008) ma anche in caso di comprovato rifiuto del lavoratore a svolgere il percorso formativo. In questa ipotesi, inoltre, si potrà procedere al licenziamento per giu-sta causa dell’apprendista. In ogni caso, sembra che il datore di lavoro abbia diritto al ri-

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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conoscimento degli incentivi contributivi previsti per il contratto di apprendistato (v., per l’apprendistato alto, Min lav., circ. 2/2006, punto 7).

3.4.4 Ispettori di vigilanza

L’art. 7 Testo Unico assegna un ruolo di intervento rilevante agli ispettori di vigilanza, che possono intervenire durante il rapporto di apprendistato per correggere eventuali deviazioni dal piano formativo individuale. La norma prevede infatti che gli ispettori, se rilevano rispetto a un contratto in corso l’inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, possono adottare un provvedimento di disposizione, ai sensi dell’art.14 D.Lgs. 23.4.2004, n. 124. Mediante questo provvedimento, gli ispettori assegnano un congruo termine al datore di lavoro per adempiere.

3.4.5 Inadempimento obblighi formativi

Il co. 2, art. 7, Testo Unico prevede una fattispecie sanzionatoria diversa da quella, descrit-ta nel co. 1, collegata all’inadempimento degli obblighi formativi. La norma, infatti, prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa specifi ca per ogni violazione delle norme dei contratti collettivi che danno attuazione ai principi previsti dall’art. 2, co. 1, lett. a), b), c) e d). È utile riepilogare quali sono questi principi:

• la forma scritta del contratto, del patto di prova e del piano formativo individuale (lett. a), • il divieto di retribuzione a cottimo (lett. b), • il sotto inquadramento (lett. c),• la presenza di un tutore o referente aziendale (lett. d).

Per ciascuna violazione delle norme collettive che regolano questi aspetti, la legge prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro. In caso di recidiva la sanzione am-ministrativa pecuniaria varia da 300 a 1500 euro. Questa sanzione non si cumula con quella prevista dall’art. 1, se sono concomitanti gli illeciti, in quanto la sanzione per la mancata for-mazione assorbe., essendo più grave, tale fattispecie.

3.4.6 Conversione del rapporto

Alle sanzioni specifi camente previste per la violazione degli obblighi formativi, se ne ag-giunge un’altra, non menzionata espressamente dal Testo Unico ma ricavabile dai principi generali civilistici. L’art. 1428 c.c. dispone la nullità del contratto la mancanza di un elemen-to essenziale, e la conseguente − eventuale − conversione dello stesso in un diverso contrat-to del quale contenga i requisiti di forma e sostanza (art. 1424 c.c.). In virtù di tali principi, il contratto di apprendistato può essere trasformato dal giudice in un contratto di lavoro su-bordinato a tempo indeterminato, ove il rapporto in concreto si sia svolto con le caratteristi-che tipiche di tale fattispecie. La nullità del contratto di apprendistato comporta la preclu-sione della possibilità di continuare il rapporto di apprendistato con lo stesso soggetto e per l’acquisizione della medesima qualifi ca o qualifi cazione professionale (Min lav., circc. 40/2004 e 2/2006).

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62 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

3.5 Regime contributivo applicabile

Apprendistato - Cosi’ la contribuzione dal 1° gennaio 2013 (fi no al 31.12.2012 le tabelle vanno applicate escludendo la contribuzione ASpI/formazione) (INPS, circ. 128/2012)

APPRENDISTATO “ORDINARIO”: DATORI DI LAVORO FINO A 9 DIPENDENTI

Tipologia di apprendistato

Ripartizione della contribuz-ione

Primo anno

Secondo anno

Terzo anno

Quarto/quinto anno (solo pro-fessionalizzante) (**)

Per 12 mesi dopo la conferma al termine del perio-do di formazione

Per la qualifi ca e per il diploma professionaleProfessionaliz-zante o contrat-to di mestiereAlta formazione e ricerca

Datore di lavo-ro - Contributo ASpI/formazio-ne (***)

1,61% 1,61% 1,61% 1,61% 1,61%

Datore di lavoro - Contributo Ap-prendisti ridotto

1,50% 3,00% 10,00% 10,00% 10,00%

Lavoratore 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% 5,84%

Totale 8,95% 10,45% 17,45% 17,45% 17,45%

Sgravio (*) 1,50% 3,00% 10,00% 0,00% 0,00%

Totale 7,45% 7,45% 7,45% 17,45% 17,45%

(*) Occorre il rispetto della normativa sugli aiuti di stato “de minimis”. Il datore di lavoro deve presentare apposi-ta dichiarazione in tal senso all’Inps (Circ. INPS 128/2012). Il benefi cio si applica per tutte le nuove assunzioni ef-fettuate dal 1° gennaio 2012 e fi no al 31 dicembre 2016 per i primi tre anni di contratto (art. 22, c. 1, L. 183/2011).(**) Profi li professionali caratterizzanti la fi gura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva, anche diversa da quella dell’artigianato.(***) 1,31% per l’ASpI più 0,30% per i fondi interprofessionali per la formazione.

APPRENDISTATO “ORDINARIO”: DATORI DI LAVORO CON ALMENO 10 DIPENDENTI

Tipologia di apprendistato

Ripartizione della contribuz-ione

Primo anno

Secondo anno

Terzo anno

Quarto/quinto anno (solo pro-fessionalizzante) (*)

Per 12 mesi dopo la conferma al termine del perio-do di formazione

Per la qualifi ca e per il diploma professionaleProfessionaliz-zante o contrat-to di mestiereAlta formazione e ricerca

Datore di lavo-ro - Contributo ASpI/formazio-ne (***)

1,61% 1,61% 1,61% 1,61% 1,61%

Datore di lavoro - Contributo Ap-prendisti ridotto

10,00% 10,00% 10,00% 10,00% 10,00%

Lavoratore 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% (**)

– continua –

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue- APPRENDISTATO “ORDINARIO”: DATORI DI LAVORO CON ALMENO 10 DIPENDENTI

Per la qualifi ca e per il diploma professionaleProfessionaliz-zante o contrat-to di mestiereAlta formazione e ricerca

Totale 17,45% 17,45% 17,45% 17,45% 17,45%

Sgravio 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%

Totale 17,45% 17,45% 17,45% 17,45% 17,45%

(*) Profi li professionali caratterizzanti la fi gura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva, anche di-versa da quella dell’artigianato.(**) Per le aziende destinatarie del contributo per la CIGS, l’aliquota a carico del lavoratore sale di 0,30 punti per-centuali, attestandosi al 6,14% (aliquota complessiva 17,75%)(***) 1,31% per l’ASpI più 0,30% per i fondi interprofessionali per la formazione.

APPRENDISTATO DALLA MOBILITÀ: DATORI DI LAVORO FINO A 9 DIPENDENTIA) ETÀ DEL LAVORATORE CHE RIENTRA NEI LIMITI DI ETÀ ORDINARI DELL’APPRENDISTATO: OPZIONE DEL DATORE DI LAVORO PER UNA TIPOLOGIA ORDINARIA DELL’APPRENDISTATO (PER LA QUALIFICA, PROFESSIONALIZZANTE, DI ALTA FORMAZIONE)

Tipologia di apprendistato

Ripartizione della contribuz-ione

Primo anno

Secondo anno

Terzo anno

Quarto/quinto anno (solo pro-fessionalizzante) (**)

Per 12 mesi dopo la conferma al termine del perio-do di formazione

Per la qualifi ca e per il diploma professionaleProfessionaliz-zante o contrat-to di mestiereAlta formazione e ricerca

Datore di lavo-ro - Contributo ASpI/formazio-ne (***)

1,61% 1,61% 1,61% 1,61% 1,61%

Datore di lavoro - Contributo Ap-prendisti ridotto

1,50% 3,00% 10,00% 10,00% 10,00%

Lavoratore 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% 5,84%

Totale 8,95% 10,45% 17,45% 17,45% 17,45%

Sgravio (*) 1,50% 3,00% 10,00% 0,00% 0,00%

Totale 7,45% 7,45% 7,45% 17,45% 17,45%

(*) Occorre il rispetto della normativa sugli aiuti di stato “de minimis”. Il datore di lavoro deve presentare apposi-ta dichiarazione in tal senso all’Inps (Circ. INPS 128/2012). Il benefi cio si applica per tutte le nuove assunzioni ef-fettuate dal 1° gennaio 2012 e fi no al 31 dicembre 2016 per i primi tre anni di contratto (art. 22, c. 1, L. 183/2011).(**) Profi li professionali caratterizzanti la fi gura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva, anche diversa da quella dell’artigianato.(***) 1,31% per l’ASpI più 0,30% per i fondi interprofessionali per la formazione.

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64 Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

APPRENDISTATO DALLA MOBILITÀ: DATORI DI LAVORO CON ALMENO 10 DIPENDENTIB) ETÀ DEL LAVORATORE CHE RIENTRA NEI LIMITI DI ETÀ ORDINARI DELL’APPRENDISTATO: OPZIONE DEL DATORE DI LAVORO PER UNA TIPOLOGIA ORDINARIA DELL’APPRENDISTATO (PER LA QUALIFICA, PROFESSIONALIZZANTE, ALTA FORMAZIONE)

Tipologia di apprendistato

Ripartizione della contribuz-ione

Primo anno

Secondo anno

Terzo anno

Quarto/quinto anno (solo professiona-lizzante) (*)

Per 12 mesi dopo la conferma al ter-mine del periodo di formazione

Per la qualifi ca e per il diploma professionaleProfessionaliz-zante o contrat-to di mestiereAlta formazione e ricerca

Datore di lavo-ro - Contributo ASpI/formazio-ne (***)

1,61% 1,61% 1,61% 1,61% 1,61%

Datore di lavoro - Contributo Ap-prendisti ridotto

10,00% 10,00% 10,00% 10,00% 10,00%

Lavoratore 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% 5,84% (**)

Totale 17,45% 17,45% 17,45% 17,45% 17,45%

Sgravio 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%

Totale 17,45% 17,45% 17,45% 17,45% 17,45%

(*) Profi li professionali caratterizzanti la fi gura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva, anche diversa da quella dell’artigianato.(**) Per le aziende destinatarie del contributo per la CIGS, l’aliquota a carico del lavoratore sale di 0,3 punti per-centuali, attestandosi al 6,14% (aliquota complessiva 17,75%).(***) 1,31% per l’ASpI più 0,30% per i fondi interprofessionali per la formazione.

APPRENDISTATO DALLA MOBILITÀ (ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO): TUTTI I DATORI DI LAVORO (FINO A 9 E CON ALMENO 10 DIPENDENTI)C) A PRESCINDERE DA ETÀ APPRENDISTA (L’AMMISSIONE AL BENEFICIO DEVE ESSERE PRECEDUTA DA SPECIFICA DICHIARAZIONE DI RESPONSABILITÀ)

Tipologia di apprendistato

Ripartizione della contribuzione

Primi 18 mesi

Dal 19° mese in poi (*)

Contributo di mobilità Note

Assunto dalle liste di mobilità, apprendistato per la riqualifi -cazione profes-sionale

Datore di lavoro - Contributo ASpI/formazione

0,00 Contribuzione Per ogni mensilità di retribuzione corrispo-sta, contributo, per le assunzioni a tempo pie-no, pari al 50% dell’in-dennità di mobilità (residua) che sdarebbe stata erogata al lavora-tore per un periodo non superiore a 12, 24 o 36 mesi a seconda dell’età del lavoratore e della zona (***)

Il recesso al termine del periodo di formazione è possibile solo per giu-sta causa o per giustifi -cato motivo oggettivo o soggettivo

Datore di lavoro – Contributo equiva-lente a quello degli apprendisti (pieno)

10,00% (**)

ordinaria

Lavoratore 5,84% 5,84%

Totale 15,84%

Sgravio 0,00%

Totale 15,84%

– continua –

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Capitolo 3 - Apprendistato

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - APPRENDISTATO DALLA MOBILITÀ (ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO): TUTTI I DATORI DI LAVORO (FINO A 9 E CON ALMENO 10 DIPENDENTI)C) A PRESCINDERE DA ETÀ APPRENDISTA (L’AMMISSIONE AL BENEFICIO DEVE ESSERE PRECEDUTA DA SPECIFICA DICHIARAZIONE DI RESPONSABILITÀ)

(*) Anche se la contrattazione collettiva individua un durata del periodo formativo più elevata dei 18 mesi.(**) Non comprende i premi INAIL che devono essere versati applicando i tassi ordinari.(***) Il contributo non sarà più utilizzabile da quando l’ attuale istituto della mobilità cesserà la sua effi cacia per effetto dell’entrata in vigore, anche per le procedura di mobilità, dell’assicurazione ASpI. (parzialmente dal 2016; totalmente dal 2017).N.B. – Se il lavoratore è in possesso dei requisiti anagrafi ci e soggettivi previsti dalla disciplina a sostegno delle tre tipologie di apprendistato ordinarie, occorre aver inserito nel contratto di assunzione la clausola di rinuncia alla facoltà di recesso al termine del periodo di formazione.

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Capitolo 4

PART TIME, LAVORO INTERMITTENTEE LAVORO ACCESSORIO

4.1 Part time

4.1.1 Nozione

Il lavoro a tempo parziale consiste in una particolare modalità di esecuzione del lavoro subordinato, che si caratterizza per il fatto che l’orario di lavoro pattuito tra le parti è inferiore all’orario normale di lavoro. Il patto con cui le parti concordano lo svolgimento di un orario ridotto rispetto all’orario normale può essere stipulato da qualsiasi categoria di lavoratori (dirigenti inclusi), ed in qualsiasi momento del rapporto di lavoro (sia all’atto della costituzione del rapporto; sia nel corso della sua esecuzione); il patto infi ne può essere apposto anche ad un contratto di durata determinata.

Evoluzione normativa - La prima legge organica con cui è stato disciplinato nel nostro ordinamento il lavoro a tempo parziale è stata la L. 19.12.1984, n. 863. Dopo l’approvazione della legge, l’istituto del part time è stato organicamente disciplinato, per molti anni, dalla contrattazione collettiva; dopo questa lunga fase di regolazione esclusivamente contrattua-le, a partire dalla fi ne degli anni novanta l’istituto è stato oggetto da ripetuti interventi legi-slativi, accomunati dall’intento di promuovere il rapporto di lavoro a tempo parziale, con tecniche diverse.

Accordo europeo e direttiva 81/1997 - Il processo di riforma legislativa del part time è stato avviato dall’accordo sindacale europeo sottoscritto da Unice, Ceep e Ces il 16.6.1997, poi seguito dalla Direttiva CE 15/12/1997 81/97 che ne ha ribadito i passaggi essenziali (prin-cipio di non discriminazione, principio del pro-rata temporis). L’ordinamento italiano ha dato attuazione alla Direttiva comunitaria con il D.Lgs. 25.2.2000, n. 61; pochi anni dopo, il legi-slatore è intervenuto nuovamente nella materia con il D.Lgs. 276/2003 (riforma Biagi), con l’intento di rendere più fl essibile il ricorso al part time. L’art. 46 D.Lgs. 276/2003 ha modifi -cato sensibilmente la disciplina del rapporto a tempo parziale: le principali novità hanno riguardato il testo dell’art. 3 D.Lgs. n. 61/2000, che disciplinava il ricorso al lavoro supple-mentare e alle cosiddette clausole fl essibili o elastiche. Le innovazioni apportate dalla rifor-ma Biagi hanno fatto molto discutere; la nuova disciplina del part time è stata criticata in quanto avrebbe conferito un potere troppo ampio al datore di lavoro di modifi care l’orario ridotto pattuito con il lavoratore.

Protocollo welfare - Queste critiche hanno trovato risposta nel Protocollo sul Welfare 23 luglio 2007: con il provvedimento legislativo che ha dato attuazione al Protocollo (L. 247/2007), la disciplina del part time è stata nuovamente riformata, mediante l’introduzione di signifi cative innovazioni in materia di clausole fl essibili ed elastiche ed in materia di

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

diritto di precedenza. Questi interventi normativi sono stati accomunati dalla continua ri-cerca, da parte del legislatore, del punto di equilibrio tra l’esigenza del datore di lavoro di disporre del lavoratore part time in maniera fl essibile, potendo cioè in determinate situa-zioni variare l’orario ridotto pattuito, e l’esigenza del lavoratore di avere la certezza che l’orario ridotto inizialmente pattuito resti tale nel tempo. La linea di confi ne tra questi due interessi contrapposti è stata fi ssata in misura diversa dalla riforma Biagi, dal D.Lgs. 61/2000 e dal Protocollo sul Welfare. Questi ultimi due provvedimenti danno priorità all’e-sigenza di garantire il diritto del lavoratore a modifi care l’orario ridotto solo in situazioni eccezionali e solo ove ciò sia consentito dall’autonomia collettiva; al contrario, la riforma Biagi riteneva prioritario consentire al datore di lavoro di disporre in maniera fl essibile dell’orario ridotto, pur in un quadro di garanzie volte a consentite al lavoratore di far valere il proprio consenso individuale.

Legge di stabilità 2012 - Il processo di rivisitazione normativa dell’istituto è proseguito con la L. 183/2011 (c.d. legge di stabilità per il 2012). La legge, infatti, ha nuovamente cambiato le regole relative alle clausole fl essibili che le parti possono inserire nel contratto di lavoro a tempo parziale, ripristinando le norme inizialmente previste dalla riforma Biagi e a suo tempo abrogate dal Protocollo Welfare.

Riforma Fornero - La riforma Fornero (L. 92/2012) ha modifi cato la disciplina applicabile rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale, introducendo, all’interno del complesso siste-ma di regole che disciplinano tale fattispecie, taluni correttivi al funzionamento delle c.d. clau-sole fl essibili ed elastiche, nell’ottica di consentire al lavoratore di revocare il consenso in ipotesi prestato all’operatività di dette clausole. L’intervento è stata abbastanza limitato, e non ha cambiato la disciplina sostanziale vigente in materia di rapporti di lavoro a tempo parziale, limitandosi a rendere più agevole, per il lavoratore, la possibilità di salvaguardarsi da modifi -che unilaterali del proprio orario di lavoro ridotto, per effetto di siffatte clausole, concordate in precedenza con il proprio datore di lavoro.

4.1.2 Forme di lavoro part time

Il contratto di lavoro a tempo parziale può assumere diverse forme, in relazione alle moda-lità con cui il lavoratore fruisce dell’orario di lavoro inferiore a quello normale. Il part time è defi nito orizzontale, quando la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazio-ne all’orario normale giornaliero di lavoro (art. 1, co. 2, lett. c, D.Lgs. 61/2000). In questa for-ma, quindi, l’attività è prestata nelle normali giornate lavorative, ma con orario ridotto; si trat-ta ad esempio dell’attività prestata da un lavoratore per cinque giorni la settimana, dal lunedì al venerdì, per 4 anziché 8 ore. Il part time è defi nito verticale, quando il lavoratore svolge la propria attività a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della set-timana, del mese o dell’anno (art. 1, co. 2, lett. d, D.Lgs. 61/2000). È il caso del lavoratore che, ad esempio, si obbliga a svolgere la normale prestazione giornaliera di lavoro per 2 giorni a settimana, 2 settimane al mese oppure per 6 mesi all’anno. Infi ne, il part time è defi nito come misto quando l’orario ridotto viene fruito tramite una combinazione delle due tipologie sopra descritte. Questa forma di part time si caratterizza per l’esecuzione di un orario pieno durante alcuni giorni o periodi del mese o dell’anno, e di un orario ridotto nei restanti giorni (art. 1, co. 2, lett. e, D.Lgs. 61/2000). In questa forma di part time, l’attività può essere organizzata ad esempio mediante l’alternanza di trimestri di lavoro ad orario giornaliero ridotto, con trimestri caratterizzati da prestazione piena, ma soltanto nel week-end (modalità adatta ad attività ca-ratterizzate da intensifi cazione stagionale, come nel settore turistico).

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

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Forma dell’accordo relativo al part time - Il patto con cui il datore di lavoro ed il lavo-ratore concordano l’esecuzione di un orario ridotto è stipulato in forma scritta, e deve contenere sia l’indicazione della durata della prestazione lavorativa che dell’orario di la-voro (con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno). Il patto può essere stipulato contestualmente all’instaurazione del rapporto di lavoro, ma può essere concor-dato anche in seguito, nel corso dello svolgimento del rapporto stesso. Non è previsto un numero minimo di ore al di sotto delle quali non sia possibile operare la riduzione oraria, anche se la normativa previdenziale penalizza i regimi di orario inferiori alle 12 ore setti-manali. La forma scritta dell’accordo relativo all’orario ridotto è richiesta dalla legge (art. 8 D.Lgs. 61/2000) non ai fini della validità dell’accordo, ma solo ai fini di prova del patto di riduzione oraria.

4.1.3 Trattamento del lavoratore part time

Il lavoratore a tempo parziale ha diritto di ricevere un trattamento del tutto analogo rispet-to a quello del lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello del lavoratore part time (art. 4, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000). L’applicazione di questo principio (c.d. principio di parità e non discriminazione) comporta, ai sensi dell’art. 4, co. 2, che il lavoratore a tempo parziale ha il diritto di benefi ciare dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile, per quanto riguarda i seguenti trattamenti:

• importo della retribuzione oraria, • durata del periodo di prova e delle ferie annuali, • durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, • durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, • tutela per gli infortuni sul lavoro, disciplina delle malattie professionali.

Conseguenze dl principio di non discriminazione - Deve essere garantita al lavoratore che svolge un orario di lavoro ridotto l’applicazione integrale delle norme volte alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nonché l’accesso ad iniziative di formazio-ne professionale organizzate dal datore di lavoro, l’accesso ai servizi sociali aziendali, l’appli-cazione dei criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collet-tivi di lavoro. Analogo principio si applica ai diritti sindacali, che devono essere fruiti in maniera piena, ivi compresi quelli di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori.

Principio pro rata temporis - L’art. 4 riconosce peraltro la particolarità del lavoro a tem-po parziale e prevede che il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Tale riproporzionamento interes-sa, in particolare, l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infor-tunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma, tuttavia, la possibilità per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi di prevedere che gli emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, siano corrisposti in misura più che propor-zionale. La legge non chiarisce se il riproporzionamento di questi trattamenti deve essere effettuato sulla base dell’orario effettivamente svolto ovvero sulla base dell’orario contrat-

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tuale; in genere la contrattazione collettiva rinvia all’orario contrattuale, e non a quello ef-fettivo.

Periodo di prova - Lo svolgimento di un orario di lavoro inferiore a quello normale si ri-fl ette sulla durata del periodo di prova; l’art. 4, co.2, punto a), D.Lgs. 61/2000 riconosce ai contratti collettivi la possibilità di modulare la durata di questo periodo (e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia), qualora l’assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale. La norma, quindi, esclude la possibilità di prevedere una durata diversa da quella ordinaria nel caso di part time orizzontale, mentre considera legittima tale previsione nel caso del part time verticale; la legge nulla dice in merito al part time misto, ma la dottrina propende per la possibilità di riproprozionare il periodo di prova anche per questa fattispecie.

Periodo di comporto - Anche in materia di periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di assenza per malattia (comporto), l’art. 4, co. 2, D.Lgs. 61/2000 riconosce alla con-trattazione collettiva la possibilità di individuare periodi ridotti rispetto a quelli ordinari. In particolare, nel caso di ricorso al part time orizzontale, il periodo di comporto ha la stessa durata di quello previsto per il lavoratore a tempo pieno; invece, in caso di utilizzo del part time verticale, il periodo di comporto è suscettibile di ridimensionamento, in relazione alla particolare distribuzione e concentrazione del tempo di lavoro. In difetto di regolamentazio-ne da parte del contratto collettivo, la giurisprudenza ha ammesso la legittimità dell’inter-vento del giudice per determinare, avvalendosi del potere conferitogli dall’art. 2110 c.c., in via equitativa un periodo di comporto più breve rispetto a quello ordinario. Infi ne, con riferi-mento al contratto part time misto valgono considerazioni analoghe a quelle svolte sopra in materia di patto di prova.

Computo dei lavoratori part time - L’art. 6 D.Lgs. 61/2000 prevede che in tutte le ipotesi in cui la legge preveda, quale condizione di applicabilità di una determinata disciplina, il superamento di una soglia numerica di dipendenti, i lavoratori a tempo parziale devono es-sere computati pro quota rispetto al tempo pieno. Il computo dei lavoratori part time deve essere effettuato sulla base dell’orario effettivo e non già su quello contrattuale, con l’inclu-sione quindi anche dell’eventuale lavoro supplementare ovvero di quello prestato in virtù di clausole elastiche; analoga disciplina è contenuta nell’art. 18 Statuto dei lavoratori, in rela-zione ai criteri di computo del numero dei lavoratori.

4.1.4 Lavoro supplementare

L’istituto del lavoro supplementare ha trovato la propria originaria disciplina nella con-trattazione collettiva, che lo ha confi gurato come il lavoro prestato oltre l’orario pattuito, fi no al raggiungimento dell’orario a tempo pieno. Tale istituto trova oggi una disciplina legi-slativa nell’art. 3, co. 3 e ss. D.Lgs. 61/2000 (come modifi cati dall’art. 46 D.Lgs. n. 276/2003); la norma ammette il ricorso al lavoro supplementare per il solo part-time di tipo orizzontale. Il datore di lavoro ha il potere di chiedere l’esecuzione di prestazioni di lavoro supplementa-re anche laddove questo non sia regolamentato dal contratto collettivo; il consenso del lavo-ratore è richiesto solo ove la contrattazione collettiva non disciplini i casi che consentono al datore di lavoro di richiedere il lavoro supplementare. La legge specifi ca che il rifi uto da parte del lavoratore non può integrare giustifi cato motivo di licenziamento; ciò signifi ca che il rifi uto può invece costituire motivo per l’adozione di provvedimenti disciplinari diversi dal-la sanzione espulsiva.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Compenso per lavoro supplementare - L’art. 3, co. 4, D.Lgs. 61/2000, come modifi cato dall’art. 46 D.Lgs. 276/2003, consente che le ore di lavoro supplementare siano retribuite come ore ordinarie, e dunque senza alcuna maggiorazione (l’art. 46 ha eliminato l’obbligo di riconoscere la maggiorazione, in mancanza di accordi collettivi sul punto, nella misura del 50%). La norma riconosce tuttavia la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere una percentuale di maggiorazione sull’importo della retribuzione oraria globale di fatto, do-vuta in relazione al lavoro supplementare. I contratti collettivi possono altresì stabilire che l’incidenza sugli istitutivi retributivi indiretti e differiti della retribuzione per le ore supple-mentari, sia calcolata ed erogata attraverso una maggiorazione forfetaria della quota oraria di retribuzione.

Lavoro straordinario - Il lavoro straordinario è defi nito dall’art. 5 D.Lgs. 66/2003 come la prestazione di attività eccedente l’orario normale di lavoro. Lo straordinario si confi gura, nell’ambito del part time, solo per le ore di lavoro svolte oltre l’orario normale svolto dai lavoratori a tempo pieno; sino al raggiungimento di questo orario, le ore di lavoro svolte in aggiunta rispetto all’orario ridotto inizialmente pattuito devono essere qualifi cate come la-voro supplementare, e non come lavoro straordinario. L’art. 3, co. 5, D.Lgs. 61/2000, come modifi cato dall’art. 46 D.Lgs. 276/2003, riconosce la possibilità di svolgere lavoro straordi-nario sia nell’ambito del part time verticale, sia nell’ambito del part time di tipo misto. Al lavoro straordinario si applica la disciplina contrattuale e legale vigente per i dipendenti a tempo pieno. In coerenza con la disciplina generale del codice civile, non è richiesta alcuna forma esplicita per l’acquisizione del consenso del lavoratore allo svolgimento del lavoro supplementare.

Clausole elastiche e fl essibili - Al fi ne di perseguire una gestione più effi ciente del rap-porto di lavoro a tempo parziale, la legge fornisce al datore di lavoro taluni strumenti con-trattuali che gli consentono di assicurarsi in anticipo la possibilità di esigere, in futuro, che la prestazione lavorativa sia resa in termini diversi rispetto all’orario di lavoro dedotto nel contratto, in vista dell’eventuale sorgere di esigenze che richiedano un più duttile svolgi-mento del rapporto. In particolare, datore di lavoro e lavoratore possono pattuire che, dietro richiesta del primo, la prestazione lavorativa sia resa da quest’ultimo, limitatamente a de-terminati periodi di tempo:– in misura superiore all’orario giornaliero di lavoro ridotto pattuito (c.d. clausola elastica), – secondo una diversa collocazione temporale (c.d. clausola fl essibile);

Il datore di lavoro, in presenza di una di queste clausole, può esigere dal lavoratore - salvo un preavviso non inferiore di regola a 2 giorni e con le dovute maggiorazioni retributive - lo svolgimento della prestazione lavorativa nei diversi termini sopra ricordati rispetto a quelli stabiliti inizialmente nel contratto (art. 3, co. 8, D.Lgs. 61/2000).

Accordo scritto - La facoltà di spostare o allungare la prestazione di lavoro in maniera unilaterale deve essere consacrata in un accordo scritto con il lavoratore, che può perfezio-narsi anche contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro; il lavoratore può legittimamente opporre il suo rifi uto alla fi rma della clausola, senza che ciò possa costituire giustifi cato motivo di licenziamento, e la può siglare con l’assistenza di un rappresentante sindacale (art. 3, co. 9, D.Lgs. 61/2000).

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE

Luogo e data …………………………..Al lavoratore.....Con la presente, facendo seguito alle intese verbali intercorse, Le comunichiamo la Sua assunzione a tempo indeterminato alle nostre dipendenze dal giorno..... .

La sede di lavoro è in................................., dove Ella è destinata attualmente a prestare la Sua attività presso l’unità produttiva..... .

Le Sue mansioni all’inizio del rapporto saranno le seguenti:................................., con possibilità di succes-siva assegnazione a diverse mansioni a esse equivalenti.

Ella viene inquadrata nella categoria……………....., con la qualifi ca di...................... del CCNL ……………………..

Ella sarà tenuta a osservare il seguente orario di lavoro:A) se contratto di lavoro part time di tipo Orizzontale dalle ore...................... alle ore.......................... di tutti i giorni lavorativi.B) se contratto di lavoro part time di tipo Verticale e Misto

Le sue prestazioni saranno rese con esclusivo riferimento ai seguenti alcuni periodi dell’anno (ovvero: della settimana; ovvero: del mese) e, precisamente, dal……………..... al……………......., e dal…………..... al..................... di ciascun anno (ovvero nei giorni di…………….... di ciascuna settimana; ovvero nei giorni di…………..... di ciascun mese).

La Sua prestazione, secondo quanto consentito dalla normativa vigente, con particolare riferimento a quanto stabilito dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, sarà quantitativamente ridotta rispetto a quella prevista, per il lavoro a tempo pieno, dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto. In con-seguenza di ciò Le verrà corrisposto il seguente trattamento retributivo:....., risultante dal riproporzio-namento al ridotto orario lavorativo del trattamento economico stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro della categoria, e precisamente dal CCNL......................... e successive modifi cazioni.

Resta inteso che il riproporzionamento verrà effettuato su tutti gli istituti retributivi, sia diretti, che indi-retti ovvero differiti.

Ella è tenuta all’osservanza del regolamento aziendale e di ogni altra disposizione e direttiva affi sse nei locali aziendali ovvero impartite dai superiori gerarchici ai quali è chiamata a rispondere.

Per tutto quanto non espressamente previsto nella presente scrittura, si intende pacifi camente richia-mata la normativa legale e contrattuale applicabile.

Vorrà sottoscrivere copia della presente per ricevuta e per integrale accettazione del contenuto.

Firma del datore di lavoro ............................................................

per ricevuta e accettazione …………....., il......................................

Firma del lavoratore ………………………………......

4.1.5 Autonomia collettiva

All’autonomia collettiva è riconosciuto il potere di incidere fortemente sull’operatività delle clausole fl essibile o elastiche, sebbene la loro stipulazione sia interamente rimessa alle parti del contratto individuale di lavoro, non risultando il loro inserimento subordinato alla previa

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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disciplina da parte del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. Infatti, ai sensi del co. 7, art. 3, D.Lgs. 61/2000, i contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, possono intro-durre previsioni - non modifi cabili attraverso accordi individuali dal contenuto peggiorativo - volte a individuare specifi che “condizioni e modalità” che regolino l’esercizio, da parte del da-tore di lavoro, del potere di cui trattasi, non da ultimo i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa (art. 3, co. 7, nn. 1-3).

4.1.6 Nuova disciplina delle clausole fl essibili ed elastiche nella riforma Fornero

Proprio sul terreno delle clausole fl essibili ed elastiche, inerenti al contratto di lavoro a tem-po parziale, si innesta l’intervento del legislatore della riforma Fornero. Prima di tale riforma, la legge conferiva alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare le modalità e i limiti entro cui la facoltà del datore di lavoro, di modifi care unilateralmente l’orario lavorativo ridotto dedotto nel contratto individuale di lavoro, potesse esplicarsi; potere che, si ricorda, trova sempre la sua fonte nel consenso liberamente già prestato dal lavoratore in tal senso. Da tale assetto norma-tivo discendeva che, ove datore e prestatore di lavoro avessero pattuito una o entrambe le clau-sole in oggetto, queste sarebbero state eliminabili, dal contratto individuale di lavoro, di regola unicamente in forza di un mutuo consenso espresso dalle sue parti, salvo diversamente pattuito dalle stesse o dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. Le innovazioni apportate dalla L. 92/2012, proprio su questo assetto normativo, rivelano il chiaro intento del legislatore di incentivare un impiego virtuoso dell’istituto in parola, attraverso l’introduzione, seppur indiretta-mente per opera della fonte contrattuale collettiva, di meccanismi volti a contrastare un eserci-zio distorto della facoltà riconosciuta al datore di lavoro. In particolare, nell’ottica di consentire nuovamente al lavoratore di esercitare un diritto di ripensamento al consenso previamente prestato all’operatività di tali clausole, è stato in primo luogo introdotto un nuovo n. 3-bis all’art. 3, co. 7, D.Lgs. 61/2000 - nel quale sono individuati i compiti rimessi alla contrattazione collettiva circa la determinazione del contenuto delle clausole elastiche e fl essibili - del seguente teno-re letterale: “3-bis) condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazio-ne ovvero la modifi ca delle clausole fl essibili e delle clausole elastiche stabilite ai sensi del presente comma” (art. 1, co.20, lett. a), L. 92/2012).

4.1.7 Casi di revoca del consenso introdotti dalla riforma Fornero

L’ulteriore innovazione apportata dalla riforma Fornero in tema di rapporti di lavoro a tem-po parziale è contenuta nella successiva lett. b), ai sensi della quale viene aggiunto al co. 9, art. 3, D.Lgs. 61/2000, il seguente periodo: “Ferme restando le ulteriori condizioni individuate dai contratti collettivi ai sensi del co. 7, al lavoratore che si trovi nelle condizioni di cui all’art.12-bis del presente decreto ovvero in quelle di cui all’art. 10, primo comma, L. 20.5.1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il predetto consenso”. In forza di questo duplice intervento, pertanto, viene dapprima assegnato ai contratti collettivi - accanto al potere di individuare condizioni, modalità e limiti per l’esercizio della facoltà in oggetto - anche il compito di stabi-lire i presupposti in presenza dei quali il lavoratore, che abbia in precedenza convenuto con il proprio datore di lavoro l’inserimento di clausole elastiche o fl essibili nel proprio contratto di lavoro, possa revocare, in tutto o in parte, la precedente manifestazione di volontà in tal senso espressa. In secondo luogo, in aggiunta ai casi individuati dalle parti sociali in cui il lavoratore avrà facoltà di richiedere l’eliminazione o la modifi ca delle clausole fl essibili ed elastiche pat-tuite, vengono introdotte per legge alcune ipotesi specifi che, in cui il lavoratore potrà revocare

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74 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

il consenso già manifestato a tali clausole, a prescindere dalla loro previsione nel contratto collettivo o meno. In particolare, tale potere spetta ex lege al lavoratore qualora sia genitore convivente con fi gli di età non superiore agli anni tredici, sia affetto da patologie oncologiche per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, ovvero tali patologie oncologiche riguardino il coniuge, i fi gli o i genitori, ovvero conviva con familiari portatori di handicap. Il potere spetta anche nel caso in cui il lavoratore sia anche uno studente.

4.1.8 Lavoro a tempo parziale e “doppio lavoro”

lo svolgimento del lavoro a tempo parziale può rispondere a diversi fabbisogni; tali fabbiso-gni possono consistere nell’esigenza di curare la vita personale e familiare, oppure nella vo-lontà del lavoratore di intrattenere un altro rapporto di lavoro con un datore di lavoro diverso da quello con cui si è stipulato il contratto di lavoro part time. La dottrina e la giurisprudenza si sono più volte poste la domanda se sia possibile per un lavoratore stipulare più contratti di lavoro a tempo parziale; la risposta è sempre stata positiva, per più di un motivo. In primo luogo, lo stesso legislatore in passato consentiva espressamente tale ipotesi (art. 5 L. 863/1984), riconoscendo la facoltà del lavoratore di cumulare il tempo lavorato nell’ambito di diversi rapporti contrattuali; la stessa riforma Biagi indica chiaramente la possibilità per il lavoratore di svolgere altra attività lavorativa per integrare il reddito derivante dal contratto part time (art. 46, co. 1, D.Lgs. 276/2003). Più in generale, tale ipotesi è legittima in quanto non esiste nell’ordinamento alcun principio che vieta al lavoratore di intrattenere due o più rappor-ti di lavoro. Ciascun lavoratore può quindi intrattenere più rapporti di lavoro con diversi datori di lavoro, con l’unico limite − imposto in generale a tutti i lavoratori − di rispettare il vincolo di fedeltà che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 2105 c.c. Inoltre, le prestazioni del lavoratore non potranno in alcun caso eccedere i limiti all’orario di lavoro gior-naliero e settimanale e gli obblighi di riposo settimanale fi ssati dalla legge: l’orario di lavoro cumulativo dovrà essere contenuto nelle 12 ore e 50 giornaliere e nelle 77 ore settimanali e, comunque, nel limite delle 48 ore medie settimanali nel periodo di riferimento (quadrimestra-le o superiore). Sul piano pratico, peraltro, potrebbe accadere che i due rapporti di lavoro in-trattenuti dal lavoratore interferiscano, in quanto l’orario parziale pattuito nell’ambito dell’uno o dell’altro rapporto viene modifi cato in ragione di clausole elastiche e fl essibili. In questa evenienza, il lavoratore non potrebbe giustifi care l’assenza dall’uno o dall’altro lavoro con l’e-sistenza di un diverso impegno lavorativo, restando così integralmente a suo carico le conse-guenze dell’assenza medesima.

Trasformazione del rapporto - il rapporto di lavoro a tempo pieno può essere trasformato in un rapporto a tempo parziale, e viceversa, in qualsiasi momento, previo accordo scritto tra il datore di lavoro e il lavoratore. La trasformazione può essere anche temporanea, con la previ-sione di una clausola cosiddetta di reversibilità, che prevede il ritorno alla modalità originaria dopo il decorso di una scadenza; non vi sono limiti al numero di trasformazioni effettuabili nel corso del rapporto. La trasformazione da tempo parziale a tempo pieno avviene mediante accor-do delle parti e non richiede particolari adempimenti. In particolare, la trasformazione del con-tratto da tempo pieno a tempo parziale non richiede più la preventiva convalida, da parte della Direzione Territoriale del lavoro, dell’effettiva volontà del lavoratore. L’art. 4-noviesdecies L. 183/2011 (c.d.. legge di stabilità per il 2012), infatti, ha modifi cato l’art. 5, co. 1, .D.Lgs. 61/2000 ed ha abolito l’obbligo di convalida dell’accordo. Nulla invece è cambiato in ordine alla previsio-ne, dello stesso art. 5 D.Lgs. 61/2000, che per la trasformazione sia necessario l’accordo delle parti, risultante da atto scritto. Il rifi uto da parte del lavoratore a trasformare il proprio rapporto da tempo pieno a parziale (e viceversa) non costituisce giustifi cato motivo di licenziamento.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Diritto soggettivo alla trasformazione del rapporto - Un’ipotesi particolare di trasforma-zione del regime di orario da tempo pieno a tempo parziale è prevista dall’art. 12-bis D.Lgs. n. 61/2000 (come introdotto dalla riforma Biagi). La norma riconosce ai lavoratori affetti da pato-logie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effet-ti invalidanti di terapie salvavita, il diritto di conseguire la trasformazione del rapporto a tempo pieno in uno a tempo parziale, sia di tipo verticale che orizzontale. La legge assegna a questi lavoratori un vero e proprio diritto unilaterale ad ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale. L’ottenimento della trasformazione è condizionato esclusivamente all’acquisizione, ed alla conseguente allegazione a supporto della domanda di trasformazione, di un apposito accertamento da parte di una commissione medica istituita presso l’azienda sanitaria locale territorialmente competente. La stessa norma riconosce analogo diritto ad ottenere la trasformazione del rapporto dal tempo parziale al tempo pieno, a seguito di una nuova specifi ca domanda; questa ipotesi non è soggetta ad alcun onere di al-legazione di documentazione sanitaria.

Diritto di priorità nell’accesso al Part time - A seguito dell’approvazione della L. 247/2007, che ha dato attuazione al c.d. Protocollo sul Welfare, nel testo dell’art. 12-bis D.Lgs. 61/2000 è stato aggiunto un inciso che riconosce un diritto di priorità nella trasformazione del rappor-to da tempo pieno a tempo parziale in presenza di una delle seguenti situazioni:

• patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i fi gli o i genitori del lavoratore;• nel caso in cui il lavoratore assista una persona convivente con totale e permanente inabilità

lavorativa, che assuma connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, co. 3, L. 5.2.1992, n. 104, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%, con necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita (D.M. 5.2.1992);

• lavoratore con fi glio convivente di età non superiore agli anni tredici o con fi glio convivente por-tatore di handicap ai sensi dell’art. 3 L. 5.2.1992, n. 104.

In presenza di queste ipotesi, non sussiste il diritto ad ottenere la trasformazione del rap-porto, ma viene solo riconosciuto il diritto ad essere anteposti ai lavoratori che, avendo pre-sentato analoga domanda di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, non versano in una delle situazioni sopra ricordate.

Diritto di precedenza nella trasformazione a tempo pieno - La legge disciplina anche l’i-potesi inversa a quella appena considerata, e cioè il caso in cui si voglia ottenere la trasforma-zione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno. A seguito delle modifi che introdotte dalla riforma Biagi (sfociate nella modifi ca dell’art. 12 D.Lgs. 61/2000), il datore di lavoro, a differen-za di quanto avveniva in precedenza, non era tenuto a motivare il proprio rifi uto a trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Parimenti, il D.Lgs. 276/2003 ha eliminato l’ob-bligo di convertire il contratto di lavoro dei lavoratori che ne hanno fatto richiesta da part-time a tempo pieno, in caso di nuove assunzioni a tempo pieno, a meno che ciò non sia espressa-mente previsto nel contratto individuale. Tale disciplina si limitava a prevede la possibilità che il contratto individuale a tempo parziale riconoscesse, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in atti-vità presso unità produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione. In que-sto modo, non veniva riconosciuto alcun diritto di precedenza dei lavoratori part-time alla trasformazione del rapporto a tempo pieno, ma si subordinava l’esistenza di tale diritto ad una apposita pattuizione sottoscritta tra le parti del contratto di lavoro (art. 5, co. 3). Tale disciplina è cambiata a seguito dell’approvazione della legge attuativa del Protocollo sul Welfare, che ha inserito nel testo del D.Lgs. 61/2000 il nuovo art. 12-ter. La nuova norma riconosce al lavora-tore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale un diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espleta-mento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

Computo dei lavoratori a tempo parziale - Ai sensi dell’art. 6 D.Lgs. 61/2000, come modi-fi cato dalla riforma Biagi, in tutte le ipotesi in cui si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori in proporzione all’orario svolto, in rapporto proporzionale all’orario osservato normalmente dai colleghi a tempo pieno (co. 1). La norma prevede inoltre che, ai fi ni applicativi, l’arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente ad unità intere di orario a tempo pieno. In concre-to si dovrà quindi procedere alla sommatoria degli orari svolti da tutti i lavoratori part- time, e poi raffrontare questo risultato con l’orario complessivo osservato dagli altri lavoratori a tem-po pieno, con arrotondamento all’unità superiore della sola frazione eccedente la somma come metà come sopra individuata e superiore alla metà dell’orario pieno.

PART TIME: COME ERA, COME DIVENTA

Istituto Come era Come diventa

Clausole fl essi-bili ed elastiche

Si tratta di quelle pattuizioni che con-cernono rispettivamente la possibilità di variare la distribuzione dell’orario di lavoro ovvero, limitatamente all’ambi-to dei rapporti a tempo parziale di tipo verticale o misto, di variare in aumento della durata della prestazione.

Si tratta di quelle pattuizioni che con-cernono rispettivamente la possibilità di variare la distribuzione dell’orario di lavoro ovvero, limitatamente all’ambi-to dei rapporti a tempo parziale di tipo verticale o misto, di variare in aumento della durata della prestazione.

Stipulazione Datore di lavoro e prestatore di lavo-ro possono concordare direttamente l’adozione della clausola, nel rispetto della disciplina eventualmente previ-sta dal contratto collettivo applicato.Oltre alla regolamentazione degli aspetti retributivi connessi alla presta-zione resa fuori dall’orario dedotto nel contratto, alla contrattazione collettiva è rimessa l’individuazione di:condizioni e modalità di operatività delle clausole;limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavora-tiva.

Datore di lavoro e prestatore di lavo-ro possono concordare direttamente l’adozione della clausola, nel rispetto della disciplina eventualmente previ-sta dal contratto collettivo applicato.Oltre alla regolamentazione degli aspetti retributivi connessi alla pre-stazione resa fuori dall’orario dedotto nel contratto, alla contrattazione col-lettiva è rimessa l’individuazione di:condizioni e modalità di operatività delle clausole;limiti massimi di variabilità in aumen-to della durata della prestazione lavo-rativa.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - PART TIME: COME ERA, COME DIVENTA

Istituto Come era Come diventa

Modifi ca e/o re-voca

Salvo diversa previsione delle parti o del contratto collettivo applicato, sono in generale subordinate al mu-tuo consenso del datore e del presta-tore di lavoro.

Alla contrattazione collettiva è at-tribuito il potere di disciplinare spe-cifi che “condizioni e modalità” per l’esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di revoca o modifi ca delle clausole, salve naturalmente previsioni contrattuali più favorevoli al lavoratore.Indipendentemente da quanto pre-visto dal contratto collettivo appli-cato, nei seguenti casi il lavoratore può sempre porre nel nulla la clau-sola elastica o fl essibile:a) convivenza con fi gli di età non superiore agli anni tredici, di pre-senza di patologie oncologiche, an-che se riguardanti il coniuge, i fi gli o i genitori del lavoratore, ovvero di convivenza con familiari portatori di handicap;b) lavoratori studenti.

Decorrenza della nuova normativa

N/A Data di entrata in vigore della L. 92/2012.

4.1.9 Mancato rispetto della forma scritta

La rilevanza assegnata dalla legge all’utilizzo della forma scritta per la pattuizione del tempo parziale è mutata nel tempo. La forma scritta era richiesta a pena di nullità dall’art. 5, secondo comma, L. 863/1984 (c.d. forma ad substantiam), il D.Lgs. 61/2000, come modifi cato dal D.Lgs. 276/2003, ha mutato questa impostazione specifi cando, all’art. 8, co. 1, che nel con-tratto di lavoro a tempo parziale la forma scritta è richiesta a fi ni di prova. La stessa norma precisa che qualora la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni nei limiti di cui all’art. 2725 c.c.

In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su ri-chiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accer-tata. Resta fermo il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese ante-cedentemente alla data suddetta.

Mancanza o indeterminatezza delle indicazioni sull’orario: le parti del contratto di lavo-ro a tempo parziale hanno l’obbligo di specifi care per iscritto la durata della prestazione lavorativa, oppure la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla setti-

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mana, al mese e all’anno; la mancata indicazione di tali elementi, tuttavia, non comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale (art. 2, co. 2). Tale obbligo deve essere at-tuato in senso rigoroso e non può essere derogato; la giurisprudenza ha evidenziato l’inde-rogabilità dell’obbligo, sancendo la nullità delle clausole del contratto collettivo che preve-dano la possibilità di inserire i lavoratori part time in turni avvicendati, legittimando, così, il datore di lavoro a operare una continua variazione dei turni per ciascun lavoratore in tutto l’arco della giornata lavorativa.

L’art. 8, co. 2, D.Lgs. 61/2000 disciplina le conseguenza derivanti dalla mancanza o inde-terminatezza di queste indicazioni.

Qualora l’omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavo-ratore può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale. Qualora invece l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi o, in mancanza, con valutazione equitativa. Nel fare questo il giudice deve tenere conto, in particolare, delle responsabilità familiari del lavoratore inte-ressato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo par-ziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulte-riore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa. Nel corso del successivo svolgimento del rapporto, è fatta salva la possibilità di concordare per iscritto clausole elastiche o fl essibili.

4.1.9 Svolgimento di prestazioni elastiche o fl essibili “di fatto”

Ai sensi dell’art. 8, co. 2-bis, D.Lgs. 61/2000, la richiesta di svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili senza il rispetto delle previsioni di legge comporta a favore del lavo-ratore il diritto, oltre alla retribuzione dovuta, un ulteriore emolumento a titolo di risarci-mento del danno.

In sostanza, la legge prevede una sanzione specifica nel caso in cui il datore di lavoro violi il patto con cui è stato definito l’orario ridotto e, senza poter disporre di clausole ela-stiche o flessibili previamente concordate con il lavoratore, decida unilateralmente di cambiare l’orario di lavoro, allungando l’impegno giornaliero o spostando la sua colloca-zione oraria (o comunque senza rispettare il periodo di preavviso previsto dalla legge, in caso di esistenza di clausole elastiche o flessibili). In questa ipotesi, il datore di lavoro è tenuto sia a pagare la retribuzione dovuta in ordine alla prestazione effettivamente esple-tata, sia a riconosce al lavoratore un ulteriore trattamento di natura risarcitoria, destinato a compensare il disagio subito a seguito dell’imposizione di una flessibilità non contem-plata dalla normativa collettiva o altrimenti richiesta senza aver acquisito il consenso del dipendente.

Violazione del diritto di precedenza - L’art. 8, co. 3, D.Lgs. 61/2000 dispone che il lavora-tore che lamenti la lesione della sua aspettativa alla trasformazione in tempo pieno, ha il diritto al risarcimento del danno, forfetariamente quantifi cato nella misura corrispondente alla differenza fra l’importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio a tempo pieno nei mesi successivi a detto passaggio. Un’analoga previsione sanzionatoria non è invece riscontrabile nell’ipotesi inversa di man-cata trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, ciò in ragione del fatto che è diffi cile

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

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riscontrare un danno differenziale nei confronti di un lavoratore che abbia mantenuto il tem-po pieno.

4.2 Lavoro intermittente

4.2.1 Nozione

Il contratto di lavoro intermittente (noto anche come lavoro “a chiamata”) è stato introdotto dagli artt. 33 e ss. D.Lgs. 276/2003. Tale tipologia contrattuale si caratterizza per il fatto che associa alla subordinazione la caratteristica della discontinuità della prestazione, che deve essere resa solo nei casi in cui sia richiesta dal datore di lavoro. Questa marcata discontinuità delle prestazioni lavorative ha attirato numerose critiche verso questa fattispecie contrattuali, accusata di essere eccessivamente precarizzante per i lavoratori coinvolti.

Abrogazione temporanea - Il provvedimento legislativo di attuazione del Protocollo sul Welfare (L. 247/2007) aveva abrogato la disciplina prima ricordata (in particolare, erano stati abrogati gli artt da 33 a 40 D.Lgs. 276/2003). Tale abrogazione, tuttavia, era solo parziale, in quanto lo stesso provvedimento riconosceva la possibilità, in presenza di esigenze di utilizzo di personale per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo, di utilizzare la fattispecie nel settore del turismo e dello spettacolo. In seguito, il D.L. 112/2008 (L. 133/2008) ha ripristi-nato la disciplina originaria contenuta nel D.Lgs. 276/2003.

4.2.2 Casi di legittimo ricorso al lavoro intermittente prima della riforma Fornero

L’art. 33 D.Lgs. 276/2003 individuava, nella disciplina vigente prima delle riforma Fornero, tre ipotesi specifi che che legittimano la stipula di questo contratto:

• la prima ipotesi concerneva lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o inter-mittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;

• la seconda ipotesi concerneva l’utilizzo del contratto in periodi predeterminati nell’arco del-la settimana. Al fine di agevolare l’esatta individuazione di questi periodi, l’art. 37 affidava alla contrattazione collettiva il compito di definire nel tempo i periodi predeterminati;

• la terza ed ultima ipotesi riguardava l’utilizzo del contratto per prestazioni rese soggetti con meno di 25 anni di età o lavoratori con più di 45 anni di età, anche pensionati. In questa ipo-tesi, scaturente da una modifica introdotta con il Decreto competitività (L.15.5.2005, n. 80) e con la Finanziaria 2010 (L. 191/2009) all’impianto originario del D.Lgs. 276/2003, l’unico requisito, necessario e sufficiente per la stipula del contratto, era quello dell’età.

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4.2.3 Innovazioni introdotte dalla riforma Fornero

LAVORO INTERMITTENTE: L’ATTUAZIONE DOPO LA RIFORMA

Delle Cave Mariano

Gli interventi del Ministero a seguito delle novelle sulla disciplina del lavoro a chiamata

Ministero del lavoro - Nota 13.8.2012Ministero del lavoro - Nota 9.8.2012, prot. n. 11779Ministero del lavoro Circolare 1.8.2012, n. 20

Dopo la circolare n. 18 del 18 luglio 2012, che conteneva una generale panoramica di tutti gli istituti contrattuali oggetto della Riforma del Lavoro legge n. 92/2012), il Ministero del lavoro è intervenuto più volte nel corso del mese di agosto non solo per chiarire l’ambito e la portata del novellato lavoro intermittente, ma anche per puntualizzare le modalità di comunicazione ai pubblici uffi ci in caso di instaurazione del relativo rapporto:tutto ciò prima con la circolare n. 20 del 1° agosto 2012, poi con una nota del successivo 9 agosto (nota n. 11779), successivamente con una email istituzionale dell’11agosto della Direzione Generale di rettifi ca alla precedente nota ed infi ne con una notizia apparta sul sito web dello stesso Ministero il giorno 13 agosto.Ma andiamo con ordine.

La circolare del Ministero n. 20/2012: l’inquadramento giuridico L’inquadramento giuridico del lavoro intermittente è quello di una tipologia di rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’espletamento di prestazioni di lavoro a carattere intermittente e discontinuo nel rispetto dei limiti e delle condizioni individuati dagli artt. 3340 del decreto legislativo n. 276/2003, come riformato dall’art. 1 della legge n. 92/2012, in vigore dallo scorso 18 luglio.La prestazione può essere considerata discontinua o intermittente anche laddove sia resa per un periodo di durata signifi cativa, la quale, tuttavia, non comporti una coincidenza tra la durata del contratto e la durata della stessa prestazione.Ed è proprio questa sfasatura ovvero una non esatta coincidenza tra durata del contratto (che può essere a tempo indeterminato o determinato) e durata della prestazione, che costituisce la prima peculiarità di questo istituto:cioè periodi lavoro intervallati da periodi di inattività.

Segue: l’ambito di applicazione – La stipulazione del lavoro intermittente è possibile nel rispetto della causale oggettiva quanto di quella soggettiva:il mancato rispetto di queste, come dei divieti in seguito elencati, comporta la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo pieno, come ha ancora ribadito la circolare n. 20/2012.Quanto alla causale oggettiva, il lavoro intermittente, secondo il novellato art. 34 del D.lgs. n. 276/2003, è consentito per le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.Secondo la circolare ministeriale, l’art. 34 è da intendersi che anche per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno il lavoro intermittente deve essere consentito dai contratti collettivi. È un’interpretazione di tipo sistematico dell’istituto, che, secondo il Ministero, giustifi ca tale conclusione che ci appare, a nostro modesto avviso, una interpretazione corretta.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

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- segue - LAVORO INTERMITTENTE: L’ATTUAZIONE DOPO LA RIFORMA

Infatti, l’art. 40 del Dlgs n. 276/2003, che non è stato modifi cato dalla Riforma del Lavoro, aveva investito il Ministero del lavoro di individuare con decreto le ipotesi di ricorso al lavoro intermit-tente in caso di assenza di disciplina collettiva ed il Ministero vi aveva provveduto con il DM del 23 ottobre 2004. Inoltre, come pure ha ribadito la circolare n. 20, l’art. 37 del D.lgs. n. 276/2003 rimane abrogato, laddove consentiva direttamente la stipulazione per i weekend, le ferie estive, le vacanze natalizie o pasquali, nonché in ulteriori ambiti previsti dalla contrattazione collettiva.In conclusione quindi il nuovo lavoro intermittente sotto il profi lo oggettivo è consentito, allo stato, solo se previsto dalla contrattazione collettiva o nelle ipotesi che si desumono dal DM del 23 ottobre 2004 che rinviava, a sua volta, al regio decreto del 6 dicembre 1923, n. 2657 contente la tabella delle occupazioni che richiedono lavoro discontinuo o di semplice attesa.Rimane fermo, inoltre, il divieto di utilizzo del lavoro intermittente:– per sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;– presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti

collettivi;– presso imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della vigente norma-

tiva in materia di sicurezza lavoro. La valutazione dei rischi in azienda (DVR) costituisce, secondo il Ministero, una condizione essenziale per la validità del contratto e la stessa deve essere “at-tuale” e adeguata alla costante realtà aziendale.

Sotto il profi lo soggettivo, la Riforma, novellando l’art. 34 acconsente il ricorso al lavoro intermitten-te solo per lavoratori con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tal caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età (ventiquattro anni e 364 giorni). Al riguardo, il Ministero precisa che il lavoro intermittente, proprio per gli attuali requisiti anagrafi ci previsti dalla legge, può essere sti-pulato anche da lavoratori pensionati.

Obblighi e forme di comunicazione: l’art. 35, comma 3-bis Il nuovo comma 3-bis dell’art. 35 del Dlgs n.276/2003 prevede l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’inizio dell’attività lavorativa alla Direzione territoriale del lavoro competente, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore ai trenta giorni. La comunicazione può essere effettuata anche il giorno stesso ma sempre prima dell’inizio della prestazione e potrà riguardare anche cumulativamente più lavoratori.La comunicazione di inizio lavoro può essere modifi cata o annullata utilizzando gli stessi mezzi, sempre prima dell’inizio della prestazione o entro le quarantotto ore successive al giorno in cui la prestazione doveva essere resa se il lavoratore non ha preso servizio. Senza la comunicazione di modifi ca, il datore di lavoro rimane obbligato al pagamento delle prestazioni indicate nell’iniziale comunicazione.In merito alla comunicazione da effettuarsi per un “ciclo integrato di prestazioni di durata non supe-riore a trenta giorni” il Dicastero offre un’interpretazione abbastanza fl essibile.I 30 giorni possono essere considerati conteggiando gli effettivi giorni di chiamata di ciascun lavora-tore e non come arco temporale massimo all’interno del quale individuare i periodi di attività dello stesso. Pertanto si potranno effettuare comunicazioni che riguardino archi temporali più lunghi purché all’interno di essi la prestazione non superi i trenta giorni per ciascun lavoratore.Qualora infi ne la prestazione lavorativa superi i trenta giorni, occorrerà effettuare più di una comu-nicazione.

Le (altalenanti) indicazioni del Ministero sulle modalità di comunicazione Riguardo ancora alle modalità di comunicazione, vi è ancora da precisare che la concreta attuazione delle previsioni contenute nell’art. 35, comma 3-bis, è stata affi data all’emanazione di un decreto interministeriale del Ministero del lavoro e di quello della pubblica amministrazione.Ciò nonostante, con una nota (prot. n. 39/0011779) del 9 agosto 2012, il Ministero ha fornito le prime istruzioni tecnicooperative per effettuare la comunicazione di “chiamata” prevista.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - LAVORO INTERMITTENTE: L’ATTUAZIONE DOPO LA RIFORMA

L’utilizzo delle modalità fax, email, in particolare, sono subordinate alla compilazione di un modello creato appositamente per tale istituto.Le nuove modalità tecniche, messe a punto per dare possibilità ai datori di lavoro di adempiere agli obblighi previsti dalla legge n. 92/2012, sono state previste secondo queste tempistiche:Fax a partire dal 13 agosto 2012 al numero 848800131 Sms a partire dal 17 agosto 2012 Email a partire dal 17 agosto 2012 ad un indirizzo del Ministero del lavoro On line a partire dal 1° ottobre 2012.Pertanto, secondo quanto inizialmente previsto dalla nota del 9 agosto 2012, a partire dal suc-cessivo 13 agosto 2012, ai fi ni dell’adempimento in questione, i datori di lavoro avrebbero dovuto utilizzare esclusivamente le modalità indicate nella suddetta nota e non inviare più alcuna mail agli indirizzi di posta certifi cata delle Direzioni territoriali del lavoro, come indicato nella circolare n. 18 del 18 luglio 2012.La nota ha, tuttavia, precisato che la comunicazione di “chiamata” non sostituisce in alcun modo la comunicazione preventiva di assunzione, effettuata secondo quanto previsto dal Dm del 30 ottobre 2007, ma costituisce un ulteriore elemento informativo che completa l’informazione del rapporto di lavoro intermittente comunicato per mezzo dell’Unilav.Immediatamente dopo, con una mail dell’11 agosto 2012, la Direzione generale ha previsto che le comunicazioni per il lavoro a chiamata fi no al 15 settembre 2012 potranno continuare ad essere effettuate agli indirizzi di posta elettronica, di posta certifi cata e fax alle Direzioni territoriali del lavoro.Ed infi ne, con una notizia apparsa il 13 agosto 2012 sul proprio sito istituzionale, il Ministero, a parziale correzione di quanto aveva previsto con la nota del 9 agosto, ha ritenuto ancora valide fi no al 15 settembre 2012 le comunicazioni per fax e posta elettronica non certifi cata delle Direzioni Territoriali competenti.Pur apprezzando tali ultimi ravvedimenti (ci riferiamo alla mail dell’11 agosto ed alla notizia del successivo 13), si resta invero perplessi sulla circostanza che il Ministero si sia precipitato nel mese di agosto, che è notoriamente un mese “caldo” anche per tali tipologie contrattuali, per nuove indi-cazioni operative sulla comunicazione:senza adottare un decreto come invece previsto dalla legge.La circostanza non è solo formale perché da un non corretto adempimento degli obblighi di comu-nicazione scaturiscono anche sanzioni da 400 a 2.400 euro come previsto dal nuovo comma 3-bis dell’art. 35 del Dlgs n. 276/2003.

Guida al Lavoro 31.8.2012 - n. 34, pag. 10

La riforma Fornero apporta alcuni correttivi su tre aspetti rilevanti della disciplina del la-voro intermittente, con lo scopo dichiarato di rendere più diffi cile il suo utilizzo:

• la procedura di utilizzo del lavoratore, • la lista dei casi in cui si può utilizzare il contratto, • la platea dei soggetti che possono stipulare rapporti intermittenti.

Procedura di utilizzo - Quanto al primo aspetto - la procedura che deve essere seguita ogni volta che un datore di lavoro vuole utilizzare prestazioni di lavoro intermittente - viene introdotto l’obbligo (a carico del medesimo datore di lavoro) di inviare una comunicazione preventiva alla Direzione territoriale del lavoro competente, mediante la quale lo stesso

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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deve comunicare l’intenzione di avvalersi di lavoro intermittente. Questa comunicazione deve essere fatta ogni volta che si chiama il lavoratore, non solo al momento della stipula del contratto, come era previsto in precedenza, e il mancato adempimento viene punito con una sanzione amministrativa e pecuniaria (da 400 a 2400 euro per ciascun lavoratore).

Per attenuare il carico amministrativo e burocratico connesso a questo adempimento, la legge prevede che la comunicazione può essere unica nel caso in cui il lavoratore debba svolgere un ciclo integrato di prestazioni per una durata non superiore a 30 giorni.

Si tratta di una semplifi cazione solo apparente, in quanto impone una pianifi cazione su un arco temporale che, rispetto a prestazioni meramente accessorie e legate a eventi speci-fi ci e imprevedibili, può risultate diffi cile da compiere. La comunicazione può essere esegui-ta via fax, tramite posta elettronica oppure via sms, secondo la procedura che sarà defi nita da un apposito decreto del Ministero del lavoro.

LAVORO INTERMITTENTE E SANZIONI PER OMESSA COMUNICAZIONE ALLA DTL

Santoro Carmine

Il Ministero del lavoro, con nota 12 ottobre 2012, prot. n. 37/0018271, interviene sulla competenza all’irroga-zione della sanzione amministrativa per omessa comunicazione preventiva all’utilizzo di prestazioni di lavoro intermittente, di cui all’articolo 35, comma 3-bis, D.lgs. n. 276 del 2003

La nuova sanzione prevista per le comunicazioni di prestazioni intermittentiCom’è noto, l’art. 35, comma 3-bis, D.lgs. n. 276/2003, norma introdotta nell’ordinamento dalla leg-ge n. 92/2012, prevede l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’inizio dell’attività lavorativa alla Direzione territoriale del lavoro competente, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore ai trenta giorni.Tale comunicazione può essere espletata anche il giorno stesso, purché prima dell’inizio della pre-stazione. In caso di violazione dell’obbligo di comunicazione in discorso la medesima norma stabili-sce, in maniera in verità assai rigorosa, la sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, e non ammette il trasgressore alla procedura di diffi da di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 124/2004. Circa la competenza ad accertare ed a irrogare la detta sanzione, la legge nulla prevede, con la conseguenza che deve essere l’interprete a colmare la lacuna ricorrendo ai principi generali.Il Ministero si è occupato della riforma del lavoro intermittente, dapprima con la circolare n. 18/2012, che illustra in generale la portata della riforma impostata dalla legge n. 91/2012 (cd. rifor-ma Fornero), ed in seguito dedicando una rifl essione specifi ca alla fi gura contrattuale in argomento con la circolare n. 20/2012. Tuttavia, neanche il Ministero, in tali circolari, ha delimitato l’ambito di competenza ad applicare il nuovo regime sanzionatorio.In tale contesto, l’Inail ha rivolto un quesito al Ministero in merito all’organo competente ad irrogare la sanzione per omessa comunicazione, chiedendo se l’attribuzione dovesse essere estesa al per-sonale ispettivo degli enti previdenziali, o se fosse circoscritta agli ispettori del lavoro.Il parere ministerialeIl Ministero riscontra il quesito, rammentando che la legge prevede come destinatari della comunica-zione le Direzioni territoriali dello stesso Ministero; ne deriva che, in assenza di disposizioni specifi che sul punto, la competenza ad irrogare la sanzione amministrativa di cui all’art. 35, comma 3-bis debba essere attribuita, in via esclusiva, al personale di vigilanza in servizio presso i suddetti uffi ci.Il Dicastero si premura di puntualizzare, peraltro, che l’organo ispettivo previdenziale avrà il diverso compito di adottare atti di recupero contributivo, ove le omesse comunicazioni dovessero essere con-nesse non a semplici dimenticanze, bensì ad inadempimenti di obblighi contributivi, e cioè a prestazioni lavorative non registrate sul Libro unico del lavoro. Si può aggiungere che, in virtù della presa di posi-zione del Dicastero, dovrà essere cura di tale organo trasmettere gli atti alla Direzione territoriale per l’adozione del verbale di accertamento e notifi cazione della violazione in esame.

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84 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - LAVORO INTERMITTENTE E SANZIONI PER OMESSA COMUNICAZIONE ALLA DTL

L’orientamento ministeriale appare in linea con l’analoga situazione della competenza accertativa pre-vista per la violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva di assunzione, da sempre pacifi camente ritenuta riservata alle Direzioni territoriali del lavoro, ex art. 35, comma 7 della legge n. 689/1981.Il testo della nota ministeriale

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Nota 12 ottobre 2012, prot. n. 18271Oggetto: Contratto di lavoro intermittente - art. 1, commi 21-22, L. n. 92/2012 - c.d. Riforma Fornero - richiesta parere.Con riferimento alla problematica sollevata da codesto Istituto, concernente la competenza ad irro-gare la sanzione amministrativa per omessa comunicazione preventiva dell’utilizzo di prestazioni di lavoro intermittente di cui al comma 3 bis, art. 35 D.Lgs. n. 276/2003, per i profi li di stretta compe-tenza si ritiene opportuno formulare le seguenti precisazioni. A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero), come evidenziato da questo Ministero con circolare n. 20/2012, alla disposizione normativa di cui all’art. 35 del D.Lgs. n. 276/2003 è stato aggiunto il comma 3 bis, che prevede un obbligo di comunicazione, da parte del datore di lavoro, circa l’utilizzo di prestazioni di natura intermittente alla Direzione del lavoro com-petente per territorio.In particolare, la norma citata dispone l’assolvimento del suddetto obbligo prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, mediante fax o posta elettronica, anche non certifi cata, utilizzando gli indirizzi istituzionali delle Direzioni territoriali ovvero quelli appositamente creati dalle medesime (attualmente risulta in via di implementazione l’ulteriore modalità di trasmissione della comunicazione mediante SMS).Alla luce di quanto sopra, essendo gli Uffi ci territoriali di questo Ministero i soli destinatari della comunicazione in esame nonché in ragione dell’assenza di previsioni di senso contrario, si ritiene che la competenza ad irrogare la sanzione amministrativa di cui al comma 3 bis, nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo, debba essere attribuita in via esclusiva al personale di vigilanza in servizio presso i suddetti Uffi ci.Resta forma l’adozione, da parte del personale di vigilanza degli Istituti, di provvedimenti di recupe-ro contributivo qualora risaltino premiazioni di lavoro non “registrate” e rispetto alle quali non siano stati assolti i relativi obblighi di natura previdenziale.

Guida al Lavoro 26.10.2012 - n. 42, pag. 20

Modifi ca dei casi in cui è ammessa la stipula del contratto - Quanto alla seconda area di intervento, quella relativa ai casi in cui è possibile stipulare il contratto, la nuova disciplina delimita l’utilizzabilità del lavoro intermittente ai soli casi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale; viene invece abolita la possibilità, prima prevista (art. 37 D.Lgs. 276/2003, vecchio testo), di usare il contratto durante i periodi festivi o i week end (tale fattispecie potrebbe tuttavia essere ripristinata dai contratti collettivi).

L’intento del legislatore era quello di abolire completamente ogni ipotesi di utilizzo di-versa da quelle previste dai contratti collettivi o consentite in quanto rientranti nelle soglie di età; tuttavia, una cattiva tecnica legislativa ha lasciato in piedi, nel corpo dell’art. 34, la facoltà di usare il contratto, in aggiunta a queste ipotesi, anche “per periodi predetermi-nato nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”.

Il Ministero del lavoro (circ. 18/2012), ha provato a mascherare questa situazione, so-stenendo che tali periodi dovranno essere comunque individuati dai contratti collettivi, ma il testo letterale della norma dice altro, in quanto consente di usare il contratto senza la mediazione collettiva, per questi periodi.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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LAVORO INTERMITTENTE NEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI

Di Benedetto Alessia e Colantonio Sonia

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con risposta a interpello 14 settembre 2012, n. 28, affronta la problematica relativa alla possibilità di utilizzare la tipologia contrattuale del lavoro intermittente o a chiamata per l’espletamento di prestazioni afferenti ai servizi di media audiovisivi, con particolare riferi-mento alle attività di live streaming, webcasting ovvero a quelle concernenti servizi via internetLa nota ministeriale, in via preliminare, esamina le norme costituenti il quadro regolatorio dell’isti-tuto del lavoro intermittente così come novellate dalla legge n. 92/2012, cd. Riforma lavoro, nonché le disposizioni di cui agli artt. 1 e 2, D.lgs. n. 177/2005, Tu radiotelevisione, alla luce delle modifi che introdotte dal D.lgs. n. 44/2010, cd. decreto Romani.La risposta ad interpello, in considerazione del Rd n. 2657/1923, nella parte in cui fa espresso ri-ferimento al possibile utilizzo del lavoro intermittente per le attività svolte da operai addetti agli spettacoli televisivi (n. 43), operando mediante una lettura sistematico/estensiva delle nuove defi ni-zioni di cui al Tu radiotelevisione, perviene alla conclusione favorevole alla fruibilità della fattispecie contrattuale in esame anche nel caso di servizi di media audiovisivi.

La disciplina del lavoro intermittenteIl contratto di lavoro intermittente di cui agli artt. 33 e ss., D.lgs. n. 276/2003, integra una partico-lare tipologia di rapporto di lavoro subordinato che si caratterizza per l’espletamento di prestazioni discontinue legate a contingenti esigenze imprenditoriali.I vantaggi connessi all’utilizzo di tale tipologia contrattuale, dal lato del datore di lavoro, consistono nella possibilità di poter “calibrare” la prestazione del dipendente, sulla base delle mutevoli necessità produttive, senza obbligo di retribuzione in caso di mancata effettuazione della chiamata. Per altro verso, al lavoratore viene garantito un rapporto di lavoro presidiato dalle tutele fondamentali del con-tratto di natura subordinata, in misura proporzionale all’orario di lavoro effettivamente svolto.Si ricorda altresì che, ai sensi delle disposizioni normative sopra citate, il contratto in esame può essere stipulato sia a termine che a tempo indeterminato, con o senza previsione del diritto all’in-dennità di disponibilità nella misura in cui il lavoratore assuma o meno l’obbligo di risposta alla chiamata effettuata dal datore di lavoro, nel rispetto del termine di preavviso non inferiore ad un giorno lavorativo (art. 35, comma 1, lett. b), Dlgs n. 276/2003).Nell’ipotesi in cui dal contratto risulti l’obbligo di risposta alla chiamata, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere un’”indennità economica di disponibilità “ per il periodo in cui il lavoratore resta in attesa della chiamata. Si rappresenta, altresì, che laddove sia sottoscritto un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato lo stesso non rientra nell’ambito di applicazione del lavoro a termine disciplinato dal D.lgs. n. 368/2001.In proposito, si ricorda, infatti, quanto già chiarito da questo Ministero con circ. n. 4/2005, qualora il contratto venga stipulato a tempo determinato ovvero “non è applicabile la disciplina del de-creto legislativo n. 368/2001, che infatti non è espressamente richiamata dal decreto legislativo n. 276/2003 (...). Peraltro, anche le ragioni che legittimano la stipulazione del contratto a termine sono, in questo caso, espressamente indicate dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva per cui sarebbe inappropriato il richiamo all’articolo 1 del decreto legislativo n. 368/2001 come condizione per la legittima stipulazione del contratto di lavoro intermittente”.

Modifi che dell’istituto a seguito della riforma Fornero legge n. 92/2012)A seguito delle innovazioni introdotte dalla legge n. 92/2012, risulta possibile utilizzare la tipologia con-trattuale del lavoro a chiamata in virtù del rispetto delle seguenti causali di natura oggettiva e soggettiva.

Causale oggettivaIn relazione alla causale di natura oggettiva, come precisato da questa amministrazione nella circolare n. 18/2012, si sottolinea che l’art. 34, comma 1 del Dlgs citato demanda alla contrat-tazione collettiva nazionale o territoriale il compito di individuare le esigenze di ciascun settore produttivo, tali da giustifi care la stipulazione di contratti di lavoro intermittente, nonché i periodi

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86 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - LAVORO INTERMITTENTE NEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI

predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno con riferimento ai quali è possibile fare ricorso all’istituto.Si ricorda altresì che, ai sensi dell’art. 40 del D.lgs. citato, laddove la contrattazione collettiva di settore non sia intervenuta a disciplinare le ipotesi sopra menzionate, occorre far riferimento, in via sostitu-tiva, a quanto disposto dal DM 23 ottobre 2004, relativamente alle attività - consistenti principalmen-te nell’espletamento di mansioni di attesa e custodia - elencate nella tabella approvata con il Rd n. 2657/1923.Si sottolineano, in merito all’enucleazione delle suddette attività, i chiarimenti forniti da questo Mini-stero con risposte ad interpello n. 46/2011, n. 38/2011, prot. n. 3252/2006, prot. n.1566/2006.Sulla falsariga di quanto evidenziato con gli interpelli da ultimo menzionati, si colloca anche la nota in commento, concernente la fruibilità del contratto di lavoro intermittente nell’ambito dei servizi di media audiovisivi.Causale soggettivaIn ordine alla causale soggettiva/anagrafi ca, la legge n. 92/2012 è intervenuta riformulando l’ambito di applicazione dell’istituto, prevedendo un abbassamento dell’età minima utile ai fi ni della stipulazione del contratto da 25 a 24 anni - ferma restando la possibilità di rispondere alla chiamata per svolgere la prestazione sino al giorno antecedente al compimento del venticinquesimo anno di età - ed innal-zando al contempo quella massima da 45 a 55 anni di età.

Obblighi di comunicazioneLa riforma lavoro ha inciso profondamente in tema di obblighi di comunicazione posti a carico dei datori di lavoro.Il nuovo comma 3-bis dell’art. 35, D.lgs. n. 276/2003 impone, infatti, al datore di lavoro un obbligo di comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio prima dell’inizio della pre-stazione lavorativa, ovvero prima di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni.Al riguardo, il Ministero ha chiarito che, in considerazione delle caratteristiche di fl essibilità proprie dell’istituto, le prescritte comunicazioni, anche se effettuate lo stesso giorno della prestazione lavora-tiva, dovranno intervenire prima dell’inizio della stessa ovvero prima dell’inizio di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, con riferimento al quale sarà necessario indicare le date di svolgimento delle singole prestazioni (cfr. circ. n. 20/2012).

Il lavoro intermittente per servizi di media audiovisiviLa fattispecie sottesa al quesito sottoposto all’amministrazione involge l’ipotesi in cui, in mancanza di una specifi ca indicazione da parte della contrattazione collettiva di settore in ordine alla disciplina dell’i-stituto, risulta possibile l’utilizzo del lavoro intermittente alla luce di quanto contenuto nel Dm del 2004, con riferimento alle attività elencate nel Rd n. 2657/1923, tra le quali al n. 43 sono indicate quelle esple-tate dagli “operai addetti agli spettacoli (...) televisivi”.Al fi ne di interpretare correttamente la clausola fi ssata al n. 43 del Rd citato, la risposta ad interpello in esame sottolinea che il quadro giuridico dell’intero settore televisivo è stato modifi cato in maniera signifi cativa in virtù delle disposizioni di cui al Dlgs n. 44/2010, cd. decreto Romani, laddove in particolare quest’ultimo ha ampliato l’ambito di applicazione oggettivo del Tu della radiotelevisione di cui al D.lgs. n. 177/2005, declinando il concetto di servizio di media audiovisivo.Nello specifi co, il D.lgs. n. 44/2010, in attuazione della direttiva 2007/65/Ce relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, ha introdotto rilevanti novità nel corpo del D.lgs. n. 177/2005, coniando la nozione di “servizi di media audiovisivi e radiofonici”, in luogo della formulazione di “radiotelevisione “, ed intervenendo su diversi aspetti della relativa disciplina quali le trasmissioni transfrontaliere, la fi ssa-zione di alcune garanzie per gli utenti, le sponsorizzazioni, la tutela dei minori, la produzione audiovisiva europea.

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - LAVORO INTERMITTENTE NEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI

Fondamentale ai fi ni della soluzione della questione sollevata, appare il rinvio alle disposizioni del Tu, così come novellato.In particolare, si fa riferimento all’art. 1, comma 1, lett. a), ai sensi del quale il settore in esame è gover-nato dai “principi generali per le prestazioni di servizi di media audiovisivi e radiofonici, tenendo conto del processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazioni, quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica ed internet in tutte le sue applicazioni “, nonché al disposto di cui all’art. 2, lett. a) che defi nisce il servizio di media audiovisivo come quello comprensivo della “(...) radiodiffusione televisiva (...) la televisione analogica e digitale, la trasmissione continua in diretta quale il live streaming, la trasmissione televisiva su internet quale il webcasting (...)”.La nota ministeriale conclude sposando una lettura in chiave sistematico/estensiva del concetto di ser-vizi espletati dagli operatori addetti agli spettacoli televisivi menzionato nel n. 43 del Rd del 1923, nel senso di ricomprendere in tale ambito anche i servizi di live streaming, webcasting, ovvero i servizi pre-stati su internet, e, di conseguenza, riconoscendo in tali ipotesi la possibilità di utilizzo dello schema contrattuale dell’intermittente ex artt. 33 e ss., Dlgs n. 276/2003, a fronte di attività di natura discontinua nel rispetto delle condizioni sopra richiamate.Da ultimo, appare opportuno puntualizzare che la caratteristica della discontinuità o intermittenza nell’espletamento delle suddette attività risulta riscontrabile nella misura in cui siano individuabili una o più interruzioni, ovvero non vi sia un’esatta coincidenza tra la durata del contratto e la durata della prestazione (cfr. circ. n. 20/2012).

Le attività per le quali è possibile l’utilizzo del lavoro intermittente

REGIO DECRETO 6.12.1923, N. 2657 Oggetto: Approvazione della tabella indicante le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1 del Rdl 15 marzo 1923, n. 692.Tabella indicante le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1, Rdl 15.3.1923, n. 692 (art. 3, Rdl 15.3.1923, n. 692, e art. 6 del regolamento 10.9.1923, n. 1955)1. Custodi.2. Guardiani diurni e notturni, guardie daziarie.3. Portinai.4. Fattorini (esclusi quelli che svolgono mansioni che richiedono un’applicazione assidua e continua-

tiva), uscieri e inservienti. L’accertamento che le mansioni disimpegnate dai fattorini costituiscono un’occupazione a carattere continuativo è fatta dall’Ispettorato del lavoro.

5. Camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, car-rozze letto, carrozze ristoranti e piroscafi , a meno che nelle particolarità del caso, a giudizio dell’I-spettorato dell’industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all’art. 6 del regolamento 10 set-tembre 1923, n. 1955.

6. Pesatori, magazzinieri, dispensieri ed aiuti.7. Personale addetto all’estinzione degli incendi.8. Personale addetto ai trasporti di persone e di merci; personale addetto ai trasporti di persone e di

merci; personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’Ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità.

9. Cavallanti, stallieri e addetti al governo dei cavalli e del bestiame da trasporto, nelle aziende com-merciali e industriali.

10. Personale di treno e di manovra, macchinisti, fuochisti, manovali, scambisti, guardabarriere delle ferrovie interne degli stabilimenti.

11. Sorveglianti che non partecipano materialmente al lavoro.12. Addetti ai centralini telefonici privati.

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88 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - LAVORO INTERMITTENTE NEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI

13. Personale degli ospedali, dei manicomi, delle case di salute e delle cliniche, fatta eccezione per il personale addetto ai servizi di assistenza nelle sale degli ammalati, dei reparti per agitati o sudici nei manicomi, dei reparti di isolamento per deliranti o ammalati gravi negli ospedali, delle sezioni specializzate per ammalati di forme infettive o diffusive, e, in genere, per tutti quei casi in cui la limi-tazione di orario, in relazione alle particolari condizioni dell’assistenza ospedaliera, sia riconosciuta necessaria dall’Ispettorato dell’industria e del lavoro, previo parere del medico provinciale.

14. Commessi di negozio nelle città con meno di cinquantamila abitanti a meno che, anche in queste città, il lavoro dei commessi di negozio sia dichiarato effettivo e non discontinuo con ordinanza del prefetto, su conforme

Guida al Lavoro 28.9.2012 - n. 38, pag. 18

Modifi ca delle soglie di età - L’unico caso in cui si potrà utilizzare il contratto anche in as-senza di previsione collettiva è quello in cui siano utilizzate - come specifi ca la riforma, con una disposizione in parte innovativa - persone di età superiore ai 55 anni, anche pensionati (la disciplina previgente prevedeva una soglia di 45 anni) oppure con meno di 24 anni (in tale ulti-mo caso, le prestazioni lavorative in regime di lavoro intermittente possono svolgersi solo fi no al giorno in cui si compie l’età di 25 anni).

Per tali soggetti, il rapporto potrà essere avviato anche fuori dai casi previsti dai contratti collettivi (v. Min. Lav., circ. 20/2012).

CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE SENZA E CON INDENNITÀ DI DISPONIBILITÀ

Luogo e data …………………………..Al lavoratore Signor ……………………

Con la presente, facendo seguito alle intese verbalmente intercorse, Le confermiamo la Sua assun-zione alle nostre dipendenze a partire dal giorno.................... ai sensi dell’art. 33 e seguenti del D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276.

Il rapporto di lavoro sarà regolato come di seguito descritto:

1) la norma di riferimento è costituita dal CCNL .....;2) l’oggetto del contratto è costituito dalle seguenti prestazioni di carattere discontinuo o intermit-

tente: .....;3) il contratto avrà la seguente durata: .......................;4) il datore di lavoro si impegna a effettuare la chiamata con un preavviso minimo pari a giorni

........... di calendario;5) la chiamata dovrà avvenire presso il seguente recapito, come da lei comunicatoci: …………………….....;6) la chiamata verrà formulata con le seguenti modalità: ……………….....;

A) senza indennità di disponibilità, aggiungere la seguente clausola:7) Ella non è obbligata a rispondere alla chiamata e, pertanto, non Le verrà corrisposta l’indennità

di disponibilità;OVVERO

B) con indennità di disponibilità, aggiungere le seguenti clausole:7 bis) l lavoratore si impegna a rispondere alla chiamata regolarmente e tempestivamente effettua-

ta ai sensi delle modalità sopra descritte;7 ter) al lavoratore verrà altresì corrisposta una indennità di disponibilità pari a euro …….... lordi mensili;

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

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- segue - CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE SENZA E CON INDENNITÀ DI DISPONIBILITÀ

7 quater) tale indennità non avrà valore ai fini di ogni istituto di legge o di contratto;

8) la retribuzione sarà corrisposta in ragione della prestazione effettivamente eseguita e verrà calcolata secondo i seguenti criteri: .....;

9) il trattamento economico, normativo e previdenziale verrà riproporzionato, a ogni effetto di leg-ge, in ragione della prestazione di lavoro effettivamente resa;

10) la corresponsione della retribuzione avverrà in base alle seguenti modalità: …………...;11) il datore di lavoro si impegna a garantire il rispetto di tutte le misure di sicurezza e di protezio-

ne della salute del lavoratore;12) il datore di lavoro si impegna a rispettare il principio della parità di trattamento rispetto agli

altri lavoratori dipendenti;13) al rapporto di lavoro si applicano, per quanto non regolato espressamente dal presente con-

tratto, tutte le disposizioni di legge e del CCNL ..................... sopra richiamato, in quanto com-patibili con la particolare natura del rapporto.

Firma del datore di lavoro ….…………………….

Firma del lavoratore ……...……………………....

4.2.4 Entrata in vigore della riforma

La riforma individua anche una regola transitoria. I contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della nuova normativa (18.7.2012) cesseranno di ave-re effi cacia entro 12 mesi dalla data medesima.

4.2.5 Forme di lavoro intermittente

Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato sia a tempo determinato, sia a tempo indeterminato. Inoltre, esso può assumere due forme diverse: con obbligo di risposta, senza obbligo di risposta. Nel primo caso, il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispon-dere alla chiamata del lavoro del datore, e come controprestazione ha diritto ad un’indennità di disponibilità mensile, in aggiunta alla retribuzione maturata per le ore di lavoro effettiva-mente prestato. Tale indennità deve essere divisibile in quote orarie, nella misura stabilita dai contratti collettivi, e comunque in misura non inferiore alla misura prevista da un apposito Decreto ministeriale. Sull’indennità di disponibilità devono essere versati i contributi per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contribu-tivo (art. 36, co. 2); l’indennità è esclusa dal computo di tutti gli istituti di legge o contratto collettivo (co. 3). In caso non sia pattuito l’obbligo di risposta, al lavoratore non spetta l’inden-nità di disponibilità e, correlativamente, egli non è obbligato a rispondere alla chiamata.

4.2.6 Ruolo della contrattazione collettiva

L’art. 36 D.Lgs. 276/2003 rimette alla contrattazione collettiva o, in mancanza, al contratto individuale la defi nizione dei seguenti aspetti:

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - COME FUNZIONA IL LAVORO INTERMITTENTE

DivietiIl ricorso al lavoro intermittente è vietato: - per la sostituzione di lavoratori in sciopero; - salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive in cui si sia proceduto, nei sei

mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario con diritto all’integrazione salariale, se il contratto di lavoro intermittente si riferisce a lavora-tori da adibire alle medesime mansioni svolte da lavoratori licenziati, sospesi o ad orario ridotto;

- da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa vigente in materia di igiene e sicurezza del lavoro.

Forma e contenuto del contrattoIl contratto di lavoro a chiamata, che può essere stipulato anche a tempo determinato, deve avere forma scritta ai fi ni della prova e deve contenere una serie di elementi espressamente indicati dal legislatore.Preavviso minimoIl datore di lavoro può chiamare il lavoratore secondo le proprie esigenze, con il solo limite di un preavviso minimo (un giorno, o il maggiore termine previsto dal contratto individuale).Obbligo di rispostaSe il lavoratore si impegna contrattualmente a rispondere alla chiamata: - ha diritto ad una “indennità di disponibilità” non inferiore al 20 per cento della retribuzione pre-

vista dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato;- è obbligato a rispondere; - il rifi uto ingiustifi cato di rispondere può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione

della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifi uto ingiustifi cato non-ché il risarcimento del danno;

Se il lavoratore non si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata:– percepisce unicamente il compenso per il lavoro eventualmente prestato – ha piena facoltà di rispondere o no alla chiamata.Forma e contenuto del contrattoIl contratto di lavoro a chiamata, che può essere stipulato anche a tempo determinato, deve avere forma scritta ai fi ni della prova e deve contenere una serie di elementi espressamente indicati dal legislatore.

Trattamento economico e normativo del lavoratoreIl trattamento economico e normativo per il periodo effettivamente lavorato: - non può essere complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità

di mansioni svolte- deve essere riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in

particolare per quanto riguarda la retribuzione globale e le relative componenti, le ferie, i tratta-menti per malattia, infortunio sul lavoro e malattia professionale, maternità e congedi parentali.

Altre disposizioni- Il lavoratore intermittente è computato nell’organico dell’impresa ai fi ni dell’applicazione di nor-

mative di legge in proporzione all’attività svolta nell’arco di ciascun semestre- per il periodo durante il quale il lavoratore intermittente non presta attività non ha alcun diritto

riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun trattamento economico e normativo, salvo, eventualmente, l’indennità di disponibilità secondo le previsioni normative

Il datore di lavoro deve comunicare la richiesta di lavoro intermittente alla DTL, includendo la pro-grammazione die successivi 30 giorni.

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92 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

4.3 Lavoro accessorio

4.3.1 Lavoro accessorio nella riforma Biagi

Alcune prestazioni aventi carattere di occasionalità possono essere rese senza l’instaura-zione di un rapporto di lavoro, mediante l’utilizzo del lavoro accessorio. Con tale schema con-trattuale, secondo la disciplina inizialmente prevista dalla riforma Biagi (D.Lgs. 276/2003) e poi tempo per tempo integrata da norme specifi che, potevano essere rese le seguenti “attività lavorative di natura meramente occasionale” (così l’art. 70 D.Lgs. 276/2003): lavori domestici; insegnamento privato supplementare; piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manu-tenzione di edifi ci e monumenti; realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di solida-rietà; collaborazione all’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c.; in qualsiasi settore, per lavori svolti da giovani con meno di 25 anni, se iscritti ad un ciclo di studi; attività agricole stagionali; pensionati, in qualsiasi settore di attività; consegna porta a porta dei giornali; lavo-ro presso maneggi e scuderie.

4.3.2 Lavoro accessorio dopo la riforma Fornero

La riforma Fornero (L. 92/2012) ha profondamente riscritto le condizioni di utilizzo del contratto. Secondo la nuova versione dell’art. 70 D.Lgs. 276/2003, il lavoro accessorio si può utilizzare per “attività di natura meramente occasionale”, entro specifi ci limiti quantitativi.

Limite applicabile al lavoratore - un primo limite è di carattere soggettivo: nessuna perso-na può percepire compensi da lavoro accessorio per un importo superiore ai 5.000 euro an-nui, rivalutati secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo. Questo signifi ca che ciascun com-mittente deve verifi care se il prestatore di lavoro accessorio può ancora svolgere attività di quella natura o, invece, ha superato il tetto massimo.

Limite applicabile al committente - il secondo limite si applica al soggetto che dà l’incari-co di lavoro accessorio; secondo l’art. 70 D.Lgs. 276/2003, come modifi cato dalla legge Forne-ro, i committenti che siano imprenditori commerciali o professionisti non possono erogare verso ciascun prestatore di lavoro accessori un compenso superiore a 2.000 euro annui, riva-lutati annualmente; per chi non rientra nella defi nizione, si applica solo la soglia generale (5.000 euro annui). Min. lav., circ. 18/2012 suggerisce di interpretare la nozione di imprendito-re commerciale in senso estensivo, includendovi ogni soggetto che opera in un mercato. Si tratta di una lettura non condivisibile, in quanto forza il dato letterale che sembra chiaro, che potrebbe creare qualche problema in sede applicativa, in quanto sono prevedibili contenziosi da parte di soggetti che non sono imprenditori commerciali e, quindi, non ritengono di dover applicare la soglia dei 2.000 euro.

4.3.3 Lavoro accessorio in agricoltura

Per l’agricoltura l’art. 70, co. 2, D.Lgs. 276/2003, come modifi cato dalla riforma Fornero, prevede una disciplina speciale. Il contratto si può usare per le attività agricole stagionali, se il lavoratore è un giovane studente di età inferiore a 25 anni oppure un pensionato. Nel

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Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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caso degli studenti, il contratto si può usare solo quando le scuole sono chiuse, a meno che non si tratti di universitari, e allora è utilizzabile durante tutto l’anno. Inoltre, il contratto si può usare verso i soggetti di cui all’art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972 cioè agli agricoltori con basso volume di affari (non superiore a 7.000 euro annui) che non possono, tuttavia, essere svolte da persone iscritte, nell’anno precedente, negli elenchi anagrafi ci dei lavoratori agricoli.

4.3.4 Committenti pubblici

L’art. 70, co. 3, D.Lgs. 276/2003 riconosce espressamente la facoltà per gli enti pubblici – di qualsiasi natura, considerato che la norma usa un’espressione molto ampia (“commit-tenti pubblici”) – di usare lavoro accessorio, ma a condizione che siano rispettate le norme che fi ssano i limiti di spesa in materia di lavoro e quelle del patto di stabilità interno, ove applicabili.

4.3.5 Percettori di ammortizzatori sociali

La legge di conversione del D.L. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo) ha aggiunto, tra i casi di possibile utilizzo del lavoro accessorio, anche il caso di impiego di titolari di prestazioni di so-stegno al reddito per sospensione o interruzione del lavoro (quindi, sia percettori di indennità di disoccupazione, a qualunque titolo percepite, sia i percettori delle varie forme di cassa inte-grazione guadagni). Questi soggetti possono essere usati in qualsiasi settore, compreso quel-lo pubblico, fi no a un valore massimo di 3 mila euro di corrispettivo per l’anno solare. La legge prevede che i versamenti contributivi effettuati per il lavoro accessori vengano usati dall’INPS per ridurre l’onere connesso all’erogazione dei trattamenti in godimento. La fatti-specie è applicabile solo per il 2013.

4.3.6 Pagamento delle prestazioni

Una rilevante peculiarità del contratto di lavoro accessorio consiste nella modalità con cui le prestazioni debbono essere retribuite; è previsto un sistema che prevede la consegna da parte del committente di buoni di valore predeterminato che dovranno essere riscossi auto-nomamente dal lavoratore. Ciascun committente deve acquistare presso le rivendite autoriz-zate uno o più carnet di buoni; il valore nominale di questi buoni è fi ssato con decreto del Mini-stro del lavoro, tenendo conto dei suggerimenti delle parti sociali e del costo delle lavorazioni affi ni a quelle accessorie. I buoni devono essere numerati in maniera progressiva e datati, per evitare gli abusi. ll lavoratore accessorio, una volta ricevuti in pagamento i buoni, deve recarsi dal concessionario del servizio che provvede al loro pagamento; tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fi scale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del presta-tore di lavoro accessorio. Il concessionario trattiene una quota del buono, con la quale effettua il versamento per conto del lavoratore dei contributi per fi ni previdenziali all’INPS, alla gestio-ne separata di cui all’art. 2, co. 26, L. 335/1995 (in misura pari al 13% del valore nominale del buono) e per fi ni assicurativi contro gli infortuni all’INAIL (in misura pari al 7% del valore no-minale del buono); il medesimo trattiene un’ulteriore percentuale a titolo di rimborso spese. In caso di prestazioni rese nell’ambito dell’impresa familiare, trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.

4.3.7 Rideterminazione delle aliquote

La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali può essere periodica-

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94 Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

mente rideterminata con decreto interministeriale «in funzione degli incrementi delle ali-quote contributive per gli iscritti alla Gestione separata dell’INPS» (art. 72, co. 4, D.Lgs. 276/2003).

4.3.8 Lavoro accessorio e reddito degli immigrati

L’art. 70, co. 4, come riscritto dalla riforma Fornero, prevede che i compensi percepiti dal lavoratore per le prestazioni di lavoro accessorio devono essere computati «ai fi ni della deter-minazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno». La previsione parifi ca il reddito da lavoro accessorio al reddito che deve essere valutato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione ai fi ni della capacità economica del lavoratore per il pro-prio sostentamento o per quello della sua famiglia.

LAVORO ACCESSORIO: SINTESI DELLE NOVITÀ NELLA RIFORMA FORNERO

Limiti di utilizzo- possono considerarsi prestazioni di lavoro accessorio soltanto le attività lavorative di natura me-

ramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a com-pensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare

- nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, il lavoro accessorio può essere instaurato a favore di ciascun committente per compensi non superiori a 2.000 euro

Utilizzo in agricoltura- nelle attività di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di

età - a favore di agricoltori con basso volume di affari (non superiore a 7.000 euro annui), tranne che

per persone iscritte, nell’anno precedente, negli elenchi anagrafi ci dei lavoratori agricoli.

Voucher- i limiti di utilizzo dei voucher o buoni lavoro sono rivalutati annualmente sulla base dell’indice

ISTAT dei prezzi al consumo - i carnet dei buoni lavoro devono essere orari, numerati progressivamente, e datati Compensi- i compensi percepiti dal lavoratore per le prestazioni di lavoro accessorio devono essere compu-

tati ai fi ni della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno

- la percentuale relativa ai contributi previdenziali è rideterminata con decreto interministeria-le in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps

4.3.9 Lavoro accessorio e obblighi di sicurezza

Nei confronti dei lavoratori occasionali andranno ottemperati tutti gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 compresi, quindi, quello di informare e formare il lavoratore, di dotarlo dei disposi-tivi di protezione individuale (sulla base della valutazione dei rischi), sottoporlo a sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla legislazione vigente (Min. lavoro risposta a faq del 14.9.2012).

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Capitolo 5

LAVORO A PROGETTO, PARTITE IVA, ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E APPALTI

5.1 Lavoro a progetto

5.1.1 Evoluzione normativa

Dalla collaborazione al lavoro a progetto – Il contratto di collaborazione coordinata e con-tinuativa ha vissuto a partire dagli anni novanta una crescita esponenziale, dovuta sia alle ra-pide evoluzioni del mercato del lavoro, sia alla fl essibilità gestionale ed al ridotto costo contri-butivo che esso assicura; la rapida diffusione di questa tipologia contrattuale è stata accompagnata anche da una crescita di fenomeni elusivi, caratterizzati da un suo utilizzo in situazioni che richiederebbero l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato. Al fi ne di tentare di reprimere questi fenomeni, la riforma Biagi (D.Lgs. 276/2003) ha introdotto alcuni requisiti, non previsti in passato, che devono necessariamente presentare i rapporti di collabo-razione.

Progetto e programma di lavoro nella riforma Biagi – L’innovazione più rilevante della ri-forma Biagi è la previsione, contenuta nell’art. 60, secondo cui il contratto di collaborazione coordinata deve essere riconducibile a uno o più progetti specifi ci, oppure ad uno o più pro-grammi di lavoro (o loro fasi) determinati dal committente (da qui il nome di lavoro a progetto). Questa disposizione assegna un rilievo prioritario, ai fi ni della qualifi cazione del rapporto, all’esistenza di un progetto, o di un programma di lavoro, o di una loro fase, cui sia possibile ricondurre il rapporto stesso. L’importanza di queste defi nizioni richiede un approfondimento sul loro signifi cato; l’operazione non è tuttavia agevole, in quanto mancano precedenti norma-tivi o giurisprudenziali che consentano di ancorarle a concetti solidi. Certamente, ricorrendo al signifi cato lessicale delle espressioni usate dal legislatore, potrebbe intendersi per progetto un’attività di tipo creativo o comunque provvista di un signifi cativo contenuto professionali; il programma di lavoro potrebbe essere inteso come un’attività in cui questi tratti siano meno accentuati.

Lavoro a progetto e riforma Fornero – Sin dalla sua introduzione, il contratto di collabora-zione a progetto è stata la tipologia contrattuale più discussa, ma anche una delle più utilizza-te nel mercato. Gli interventi della riforma Fornero sono, quindi, fi nalizzati a favorire limitazio-ni nell’uso di tale forma contrattuale, rendendo particolarmente rigide le regole che consentono di svolgere - legittimamente - il lavoro a progetto. Per scoraggiare l’uso di questa pratica e “smascherare” i veri contratti di lavoro subordinato, pertanto, la riforma ha introdot-to una serie di deterrenti prevedendo, tra le altre, una più stringente defi nizione del concetto di contratto a progetto che non potrà essere una semplice riproposizione dell’oggetto sociale della committente.

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96 Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

5.1.2 Disciplina del rapporto

Abolizione del programma di lavoro – L’art. 1, co. 23, L. 92/2012 interviene sul progetto e sul programma rendendo particolarmente diffi coltoso eludere le nuove disposizioni. Il rappor-to di collaborazione non può più essere ancorato a un programma di lavoro (art. 61, D.Lgs. 276/2003, nuovo testo) o a una fase di esso, ma è necessario che nel regolamento contrattua-le le parti individuino uno specifi co progetto da realizzare.

Divieto di mansioni rispettive o coincidenti con l’oggetto sociale – Ferma l’autonomia di gestione del collaboratore per lo svolgimento dell’attività dedotta in contratto, la L. 92/2012 precisa il progetto non può consistere nello svolgimento di un’attività che ripropone, nella sostanza, l’oggetto sociale del committente né in compiti meramente esecutivi o ripetitivi che saranno individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativa-mente più rappresentative sul piano nazionale (art. 61 D.Lgs. 276/2003, nuovo testo).

Disciplina del compenso prima della riforma Fornero – Il committente è tenuto a corri-spondere al collaboratore un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro ese-guito. La determinazione del compenso deve essere effettuata tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto; tale criterio, previsto dall’art. 63 D.Lgs. 276/2003, è stato integrato dalla legge Finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 772), che ha specifi cato che il compenso deve essere quanti-fi cato anche ”tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento.”.

Disciplina del compenso nella riforma Fornero – Innovando rispetto all’originaria formula-zione dell’art. 63, D.Lgs. 276/2003, la riforma rievoca, anche per il collaboratore a progetto, il principio sancito dall’art. 36 Cost. della “giusta retribuzione” una volta richiamato solo con rife-rimento al rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, pur senza garantire le medesime tutele assistenziali e previdenziali del lavoro subordinato, riducendo il confi ne tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, con l’approvazione delle riforma Fornero il corrispettivo non può più essere inferiore ai minimi stabiliti, per ciascun settore di attività, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappre-sentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati. In mancanza di specifi ca contrattazione collettiva, “a parità di estensione tem-porale dell’attività oggetto della prestazione”, il collaboratore avrà comunque diritto a percepire un compenso non inferiore alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento in favore delle fi gure professionali.

Durata – Il contratto a progetto deve avere una durata determinata o determinabile (art. 62, co. 1, lett. a); l’esclusione della durata a tempo indeterminato costituisce una rilevante novità rispetto alla disciplina preesistente, ed è coerente con la natura del contratto. Se la collabora-zione può essere stipulata solo in funzione della realizzazione di un progetto, è naturale che il progetto medesimo debba avere una scadenza (se la sua realizzazione non fosse neanche pre-vedibile, allora verrebbe meno il progetto stesso). Per questo motivo la legge consente l’indica-zione della scadenza anche mediante il rinvio ad un evento certo nel verifi carsi, ma incerto nel quando: le parti possono pattuire che il contratto si risolve, invece che alla scadenza di un termi-ne prefi ssato, al momento della realizzazione del progetto che ne costituisce l’oggetto.

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Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Recesso prima e dopo la riforma Fornero – Secondo la disciplina originaria del D.Lgs. 276/2003, le parti potevano recedere, prima della scadenza del termine, solo in presenza di una giusta causa, oppure di una delle causali o modalità eventualmente stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale. Le parti potevano quindi prevedere liberamente, nel contratto individuale, causali o modalità di recesso anticipato dal contratto diverse dalla giusta causa (art. 67, co. 2). La riforma Fornero ha modifi cato la norma. È rimasta ferma l’automatica riso-luzione del rapporto al momento della realizzazione del progetto, e la facoltà di recedere per giusta causa; inoltre, con l’art. 1, co, 23, lett, e) della riforma è stata introdotta la facoltà per il committente di esercitare il recesso ante tempus per oggettiva inidoneità professionale del collaboratore tale da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, con preavviso, solo ove tale facoltà sia espressa-mente prevista dal contratto. Infi ne, viene abrogata la facoltà, prima concessa alla parti, di introdurre nel contratto clausole individuali che consentissero il recesso del committente anche prima della scadenza del termine ed anche in mancanza di una giusta causa.

Forma e contenuto del contratto – Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, ai fi ni probatori, e deve contenere necessariamente l’indicazione dei seguenti elementi:

– durata, – descrizione del contenuto caratterizzante del progetto, – quantifi cazione del corrispettivo e dei criteri per la sua determinazione, – tempi e modalità di pagamento, – disciplina dei rimborsi spese.

Devono altresì essere specifi cate nel contratto le forme con cui il lavoratore a progetto dovrà coordinarsi al committente per l’esecuzione della prestazione lavorativa (compresa la scansione temporale della prestazione), nonché le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.

Forma del progetto – La L. 92/2012 è intervenuta anche sui requisiti di forma del contratto. Permanendo l’obbligo della forma scritta e dell’indicazione della durata - determinata o de-terminabile - della prestazione che il collaboratore si impegna a svolgere, la riforma Fornero modifi ca il co. 1, art. 62, lett. b), imponendo alle parti una puntuale descrizione del progetto, introducendo l’obbligo di individuare il contenuto che lo caratterizza e, soprattutto, il risultato fi nale che si intende realizzare con tale tipologia contrattuale.

5.1.3 Clausole particolari

Riservatezza e fedeltà – La legge pone in capo al collaboratore a progetto degli specifi ci obblighi di fedeltà che, in parte, ricalcano gli analoghi obblighi previsti dagli artt. 2104 e ss. c.c. per i lavoratori subordinati, seppure tengono conto della natura autonoma che caratterizza il rapporto di collaborazione a progetto. In virtù di questa natura autonoma, viene espressa-mente prevista la possibilità per il collaboratore di svolgere la sua attività a favore di più committenti, salvo diverso accordo tra le parti (art. 64, co. 1). Tuttavia, il co. 2 precisa il colla-boratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti né, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.

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98 Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Invenzioni del collaboratore – Nel caso in cui il collaboratore a progetto produca un’inven-zione, la legge sancisce espressamente il diritto del medesimo di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto (art. 65, co. 1). I diritti scaturenti dall’in-venzione e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi speciali che regolano le invenzioni realizzate nell’ambito del lavoro subordinato, compreso quanto previsto dall’art. 12-bis L. 22.4.1941, n. 633, e successive modifi cazioni.

5.1.4 Tutele del collaboratore

Malattia e infortunio – Una delle innovazioni più rilevanti della riforma Biagi consiste nella previsione di uno specifi co regime di tutela della continuità della prestazione nel caso di even-ti che impediscano al collaboratore lo svolgimento della prestazione stessa, quali malattia, infortunio e gravidanza. In proposito, l’art. 66 specifi ca che gravidanza, malattia ed infortunio non comportano l’estinzione del rapporto; in presenza di questi eventi, il rapporto rimane sospeso, senza diritto alla percezione del corrispettivo. Solo ove la sospensione si protragga per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto (quando essa sia determinata), ovvero per un periodo superiore a trenta giorni (quando la durata è determina-bile) il committente può recedere dal rapporto (art. 66, co. 2; si introduce, con questa disposi-zione, una sorta di periodo di comporto). Salva diversa pattuizione, malattia ed infortunio non comportano la proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza; in caso di gravidanza è prevista invece una proroga del contratto per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.

Sostengo del reddito in caso di gravidanza – Va ricordato che le tutele riconosciute ai col-laboratori ed alle collaboratrici a progetto in caso di gravidanza sono anche di carattere eco-nomico. Infatti, la Finanziaria per il 2007 ha riconosciuto ai collaboratori iscritti alla gestione separata INPS (quindi, tutti i collaboratori coordinati e continuativi) non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria il diritto alla percezione di un trattamento economico per congedo parentale, in relazione agli eventi di parto, nonché nei casi di adozione o affi damento per ingressi in famiglia. Il trattamento economico spetta per un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, ed il suo importo è pari al 30% del reddito preso a riferimento per il calcolo dell’indennità di maternità.

Gravidanza a rischio – Si prevede che, con decreto interministeriale, venga disciplinata l’applicazione, ai collaboratori, degli artt. 17 e 22 D.Lgs. 151/2001 (Testo Unico Maternità e Paternità), che si riferiscono, rispettivamente, all’astensione anticipata dal lavoro in caso di gravidanza a rischio e al relativo trattamento economico e normativo. Ai collaboratori si appli-cano anche le norme di cui al D.Lgs. 81/2008, ma soltanto quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente.

Misure di sostegno del reddito – L’art. 2, co. 51 della riforma Fornero prevede la stabilizza-zione delle misure a sostegno del reddito già sperimentalmente introdotte dall’art. 19 D.L. 185/2008 in favore dei collaboratori a progetto. Si tratta del pagamento di una somma una tantum versata esclusivamente in favore di coloro che risultino iscritti esclusivamente alla Gestione Separata INPS. Sono ammessi al trattamento a sostegno del reddito solo i collabo-rati che abbiano operato, nell’anno precedente, in regime di monocommittenza e che abbiano percepito, nell’anno precedente, un reddito lordo complessivo soggetto a imposizione fi scale non superiore a 20 mila euro, annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice Istat e che, nell’anno di riferimento. Ulteriori condizioni sono:

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– aver accreditato, presso la Gestione separata Inps, almeno una mensilità, – aver avuto un periodo di disoccupazione ininterrotto di almeno due mesi nell’anno pre-

cedente, – aver accreditato nell’anno precedente almeno quattro mensilità presso la predetta Ge-

stione separata.

L’indennità una tantum è pari a un importo del 5% del minimale annuo di reddito ai fi ni con-tributivi moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate nel corso dell’anno pre-cedente e quelle non coperte da contribuzione. La somma, così come calcolata, sarà liquidata in un’unica soluzione se pari o inferiore a 1.000 euro. Se superiore, invece, sarà corrisposta al collaboratore in acconti mensili pari od inferiori a 1.000 euro.

Regime contributivo – Sempre al fi ne di disincentivare il lavoro autonomo ed ottimizzare l’avvi-cinamento alle aliquote applicare al lavoro subordinato, dal 18.7.2012 aumentano i contributi pre-videnziali INPS per i lavoratori a progetto. Sul versante contributivo, infatti, la legge di riforma ha previsto un progressivo aumento delle aliquote contributive INPS di 1 punto % per ogni anno e sino al 2018. A tale data, quindi, le aliquote contributive dovranno essere a regime e pari al saran-no pari al 33% per coloro che non sono iscritti ad altre forme pensionistiche obbligatorie ed al 27% per coloro che, invece, lo sono e per i titolari di un trattamento pensionistico. L’incremento è rile-vante se si considera che nel 2012, le aliquote massime sono, rispettivamente, del 27% e del 18%.

5.1.5 Esclusioni e regimi particolari

Collaborazioni occasionali – La riforma Biagi, con una disposizione confermata dalla rifor-ma Fornero, esclude dalle disposizioni applicabili in materia di lavoro a progetto le prestazio-ni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5.000 euro (art. 61, co. 2, D.Lgs. 276/2003), i quali sono regolamentati dall’apposita disciplina contenuta nello stesso provvedimento. Per-tanto vengono fi ssati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che ser-vono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e con-tinuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto.

Professionisti iscritti ad albi – Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disci-plina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è neces-saria l’iscrizione in appositi albi (art. 69-bis, co. 3, D.Lgs. 276/2003, come introdotto dalla rifor-ma Fornero). L’esclusione vale tuttavia solo se il professionista svolge attività rientranti nelle sue competenze; se invece svolge prestazioni che non rientrano in quelle tipiche del proprio ordinamento professionale, è soggetto alla disciplina ordinaria.

Esclusioni – La normativa sul lavoro a progetto non si applica a tutte le collaborazioni; la tipologia contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa continua a sopravvivere nel nostro ordinamento per tutte quelle fattispecie escluse dalla predetta disciplina del la-voro a progetto. L’obbligo di defi nire nel contratto il progetto o un programma di lavoro non sussiste per le seguenti categorie (art. 61 D.Lgs. 276/2003):

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– professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data del 24.10.2003 (entrata in vigore del D.Lgs. 276/2003);

– rapporti e attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utiliz-zate a fi ni istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affi liate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI (cfr. art. 90 L. 27.12.2002, n. 289);

– componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e partecipanti a collegi e Commissioni;

– pensionati di vecchiaia; – rapporti di pubblico impiego; – collaborazioni occasionali.

La legge di conversione del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 82/2012) ha stabilito che per gli operatori dei call center che lavorano in modalità outbound la stipula del contratto a progetto è consentita se sono rispettati i limiti di compenso previsti dai contratti collettivi (art. 61, co. 1, D.Lgs. 276/2003, nuovo testo). Si tratta di un’ipotesi di esenzione alquanto oscura, in quan-to non si comprende se la previsione metta al riparo queste collaborazioni dall’obbligo di ri-spettare i limiti previsti in generale per le altre forme di collaborazione.

5.1.6 Regime sanzionatorio

Presunzione di subordinazione – Con il co. 23, lett. g), art. 1 la legge Fornero, sostituendo integralmente il testo dell’art. 69, co. 2, D.Lgs. 276/2003, introduce una presunzione – relativa – di subordinazione (con effetto retroattivo). Salvo prova contraria a carico del committente, infatti, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono conside-rati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione, ove l’attività del collaborato-re sia svolta con modalità analoghe a quelle dei dipendenti del committente. Fanno eccezio-ne a tale regola le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresenta-tive sul piano nazionale.

Conversione del rapporto in caso di mancanza di progetto – L’art. 69, co. 1, D.Lgs. 276/2003 (non modifi cato dalla riforma Fornero) prevede un secondo caso di conversione del rapporto a progetto. Stabilisce la norma che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instau-rati senza l’individuazione di uno specifi co progetto “sono considerati rapporti di lavoro subor-dinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.

5.2 Collaborazioni rese da titolari di partita IVA

5.2.1 Partite IVA e Riforma Fornero

Contratto d’opera – La forma più comune di lavoro reso da titolari di partita IVA si svolge sulla base del contratto d’opera. L’art. 2222 c.c. defi nisce il contratto d’opera come il negozio

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con cui “una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del commit-tente”. Mediante tale contratto un soggetto, denominato prestatore d’opera, si obbliga al com-pimento di un’opera o di un servizio in favore di un altro soggetto, denominato committente, in cambio del pagamento di un corrispettivo. Nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione non consiste in un facere, cioè nella messa a disposizione delle energie lavorative che saranno utilizzate secondo le direttive del datore di lavoro (come ad esempio accade nel lavoro subor-dinato), ma consiste nella produzione, con mezzi propri ad autonoma organizzazione, di un opus (un’opera o un servizio).

Novità introdotte dalla Riforma Fornero – in materia di prestazioni di lavoro autonomo, la riforma Fornero ha introdotto una nuova disciplina fi nalizzata precipuamente a defi nire e qua-lifi care - attraverso criteri che operano in via presuntiva - la natura del rapporto di lavoro (che può esplicarsi nelle tre forme della subordinazione, della para-subordinazione e dell’autono-mia), identifi cando dunque la normativa applicabile alle collaborazioni professionali le quali, laddove ne venga accertata la “genuinità”, continuano ad essere regolate dalle norme conte-nute nel Titolo III, Capo I (contratto d’opera - artt. 2222 ss.) e Capo II - (professioni intellettua-li - artt. 2229 ss.) c.c. In materia di collaborazioni professionali, la riforma del lavoro non è pertanto intervenuta a modifi care la disciplina sostanziale previgente, che rimane immutata, quanto piuttosto a stabilire i criteri in base ai quali tale normativa possa concretamente trova-re applicazione nella regolamentazione di un rapporto di prestazione di lavoro autonomo.Il testo della nuova legge contiene evidenti indicatori della volontà del legislatore di combattere la tendenza a utilizzare la “partita IVA” non già come libera manifestazione di lavoro autonomo - e quindi come uno dei volani dello sviluppo e della crescita - bensì come percorso elusivo per ridurre il costo della manodopera e per evadere gli obblighi contributivi.

Norma di contrasto agli abusi – In particolare, l’intervento del legislatore si è concretizza-to nell’inserimento di una nuova norma nel testo del D.Lgs. 276/2003 avente ad oggetto “altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo”. I criteri presuntivi di “falsa auto-nomia” fi nalizzati a contrastare gli abusi derivanti dall’illegittimo ricorso alle collaborazioni rese da titolari di partita IVA sono oggettivizzati in funzione dell’emersione degli indici che denotano l’esistenza di forti vincoli di subordinazione con il benefi ciario della prestazione la-vorativa. In nucleo centrale della norma è rappresentato dal suo primo comma che dispone la presunzione che tali prestazioni siano da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:

a) che la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi per due anni consecutivi; b) che il montante complessivo dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal

collaboratore nell’arco di 2 anni solari consecutivi - anche se derivante da più rapporti che tuttavia denotino un unico centro di imputazione di interessi - superi la misura del 80% dei compensi annui complessivi; a tale riguardo, è agevole ritenere che il commit-tente a scopo cautelativo debba richiedere al collaboratore il rilascio di una attestazio-ne che certifi chi il livello dei corrispettivi percepiti nell’arco dello stesso anno solare, da poter esibire ai servizi ispettivi in caso di contestazioni;

c) che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fi ssa di lavoro presso il com-mittente (anche se utilizzata in via non esclusiva).

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Natura della presunzione – Non si tratta di una presunzione assoluta iuris et de iure (che non ammette la prova contraria), quanto - soluzione più logica - di una presunzione iuris tan-tum che stabilisce una inversione dell’onere della prova ma che è vincibile qualora la stessa sia stata fornita. Il committente può pertanto dimostrare - con ogni mezzo - la genuinità del rapporto di lavoro autonomo, pur in presenza degli indicatori di para-subordinazione fi ssati inderogabilmente dalla norma.

Esclusioni – Al nucleo centrale della norma si affi anca un corpo di disposizioni che intro-duce specifi che deroghe al sistema delle presunzioni attraverso l’indicazione tassativa delle ipotesi in cui la presunzione di legge non opera. Le deroghe, invero, non sempre consentono di individuare con esattezza interpretativa le ipotesi in cui la prestazione lavorativa possa ritener-si non rientrante nelle ipotesi presuntive previste dalla norma.

Competenze di grado elevato – Dubbi infatti possono legittimamente sorgere in rela-zione alla prima delle due circostanze derogatorie indicate dal legislatore che è rappre-sentata dallo svolgimento di “prestazioni lavorative connotate da competenze tecniche di grado elevato, acquisite attraverso significativi percorsi formativi, o da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di atti-vità”. Il testo della legge, su questo punto, è senz’altro piuttosto generico, non specifican-do quali debbano essere considerate le elevate competenze che dovrebbero rendere regolare la collaborazione con partita IVA. Lo scopo della norma sembra, tuttavia, chiaro: salvaguardare alcune professioni emergenti di alto profilo, come le attività di consulenza aziendale o quelle prestate nel mondo della moda, del design e dei servizi che, quasi sem-pre, rappresentano una necessità per le imprese o sono svolte in maniera flessibile per volontà dello stesso lavoratore.

Soglia di compenso – Quanto alla seconda circostanza derogatoria, la sua identifi cazione è rimessa all’applicazione di un criterio matematico reddituale che non consente interpretazio-ni soggettive. Il legislatore, infatti, attribuisce rilevanza al reddito percepito dal prestatore di lavoro che esclude l’operatività della presunzione laddove non risulti inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fi ni del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 1, co. 3, L. 2.8.1990, n. 233. Attraverso il riferimento di legge, per l’anno 2012 tale livello minimo imponibile si ottiene moltiplicando per 312 il minimale giornaliero stabilito per gli operai del settore artigianato e commercio, che per il 2012 l’INPS fi ssa a € 45,70 ed aggiungendo al pro-dotto l’importo di Ð 671,39 così come disposto dall’art. 6 della legge 31 dicembre 1991, n. 415. Ne consegue che il requisito di legge potrà ritenersi soddisfatto nei limiti in cui il prestatore di lavoro abbia un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a Ð 18.663,00. Anche in tale caso, è agevole rilevare come il committente a scopo cautelativo debba richiedere al collabo-ratore il rilascio di una attestazione in cui venga dichiarato che lo stesso presume di produrre per il periodo di imposta 2012 un reddito di lavoro autonomo superiore a Ð 18.663,00 (da ag-giornare di anno in anno).

Condizioni di applicazione dell’esenzione – La legge non chiarisce se le condizioni di esen-zione devono sussistere insieme oppure hanno confi gurazione autonoma. Pur nell’incertezza del testo legislativo, sembra potersi affermare che ai fi ni dell’esclusione della riqualifi cazione del rapporto di lavoro autonomo in uno subordinato o para-subordinato, ciascuno dei requisiti sopra richiamati ha natura autonoma.

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Attività professionali – Sono esclusi dall’obbligo di assunzione i titolari di partita IVA che svolgono prestazioni lavorative nell’esercizio di attività professionali per le quali è ri-chiesta l’iscrizione ad un ordine professionale, o registri, albi, ruoli o elenchi. La ricogni-zione di queste attività è demandata ad un decreto del Ministero del lavoro, da emanarsi entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma, sentite le parti sociali. È, tuttavia, opportuno precisare - come indicato dalla nuova normativa - che il solo fatto che il titolare di partita IVA sia iscritto all’Albo non determina automaticamente l’esclusione dal campo di applicazione delle nuove regole. L’esclusione riguarda infatti le sole collabo-razioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del Capo I, Titolo VII, D.lgs. 276/2003.

Conseguenze della violazione di legge – Le conseguenze della presunzione di illegitti-mità dell’uso della partita IVA assumono una diversa confi gurazione a seconda delle carat-teristiche formali e sostanziali del rapporto di lavoro in cui viene riqualifi cata la “falsa” pre-stazione di lavoro autonomo. La mancanza dei requisiti di genuinità della prestazione autonoma determina, infatti, come effetto naturale, l’applicazione delle norme che discipli-nano il contratto di collaborazione coordinata e continuativa contenute nel Titolo VII, Capo I, D.Lgs. 276/2003:

– se il rapporto è riconducibile a uno o più progetti specifi ci e soddisfa le condizioni indi-cate all›art. 61, co. 1, D.Lgs. 276/2003, ovvero la prestazione è classifi cabile tra quelle occasionali ex art. 61, co. 2, D.Lgs. 276/2003, ovvero - infi ne - il prestatore di lavoro rientra tra i soggetti indicati all›art. 61, co. 3, D.Lgs. 276/2003, troverà applicazione il regime legale, fi scale e previdenziale previsto per le collaborazioni coordinate e conti-nuative ex art. 409, n. 3 c.p.c.;

– se il rapporto non è riconducibile a uno o più progetti specifi ci e non soddisfa le con-dizioni indicate all’art. 61, co. 1, D.Lgs. 276/2003, ovvero la prestazione non è classi-fi cabile tra quelle occasionali ex art. 61, co. 2, D.Lgs. 276/2003, ovvero - infi ne - il prestatore di lavoro non rientra tra i soggetti indicati all’art. 61, co. 3, D.Lgs. 276/2003, troverà applicazione il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69, co. 1, D.Lgs. 276/2003 con conseguente imposizione del regime legale, fi scale e previdenziale previsto per il lavoro dipendente ex art. 2094 c.c. e dunque dovrà essere disposta la trasformazione della collaborazione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Decorrenza – Le disposizione della riforma Fornero decorrono immediatamente per tutti i rapporti di lavoro instaurati successivamente alla data di effi cacia della nuova legge (18.7.2012), mentre per i rapporti in corso a tale data è prevista una fase transitoria di un anno, che con-sentirà ai committenti di adeguarsi alle nuove regole.

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Istituto Come era Come diventa

Tipologia contrattuale

Contratto d’opera (artt. 2222 ss. c.c.); e contratto per pre-stazione professionale (artt. 2229 ss. c.c.)• Si presume la natura au-

tonoma del rapporto, ma è fatta salva la prova della natura subordinata del rap-porto di collaborazione;

• La prova della subordina-zione è a carico del presta-tore di lavoro.

Contratto d’opera (artt. 2222 ss. c.c.); e contratto per prestazione professionale (artt. 2229 ss. c.c.)• Si presume la natura di rapporto para-

subordinato / subordinato in presenza di almeno 2 dei seguenti presupposti:

– durata complessiva della collabora-zione > 8 mesi annui per due anni consecutivi;

– corrispettivo > 80% dei corrispettivi annui complessivamente percepi-ti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;

– esistenza di una postazione fi ssa di lavoro presso una delle sedi del com-mittente.

• La prova contraria volta a vincere la pre-sunzione è a carico del committente.

Deroghe alla disciplina

N/A La presunzione non opera qualora la pre-stazione lavorativa:• è connotata da competenze teoriche

di grado elevato ovvero da capacità tecnico-pratiche;

• è svolta da soggetto con reddito annuo minimo superiore ad una soglia prestabilita (attualmente circa € 18.000,00);

La presunzione non opera altresì:• per le prestazioni lavorative svolte

nell’esercizio di attività professionali (con iscrizione ordini professionali, re-gistri, albi, ruoli o elenchi professiona-li qualifi cati).

Decorrenza dellanuova normativa

N/A • immediatamente per tutti i rapporti di lavoro instaurati successivamente alla data di effi cacia della nuova legge;

• dopo un anno dalla data di entrata in vigore della nuova legge per i rapporti in corso a tale data.

5.2.2 Disciplina del contratto d’opera nel codice civile

Natura personale – L’art. 2222 c.c. richiede che l’opera o il servizio siano eseguiti dal pre-statore con lavoro prevalentemente proprio; pertanto il prestatore d’opera deve essere una persona fi sica, mentre non può mai coincidere con un imprenditore (art. 2082), che normal-mente è una persona giuridica (pubblica o privata) o comunque un soggetto giuridico distinto dalle singole persone che lo compongono.

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Differenza con il lavoro subordinato – La prestazione di un’opera o servizio, per conto di altri e previo compenso, viene eseguita senza vincolo di subordinazione, ed in condizioni di assoluta indipendenza. Inoltre, nel contratto d’opera, la prestazione di colui che si è obbligato a compiere l’opera non comprende solo lo svolgimento di un’attività lavorativa, ma anche la produzione del risultato utile promesso.

Corrispettivo – Il contraente del contratto d’opera si obbliga a compiere l’opera o il servizio dietro il pagamento di un corrispettivo. Il compenso per l’opera o il servizio dedotto nel con-tratto è determinato liberamente tra le parti. Nel determinare l’entità del compenso, le parti non sono soggette al vincolo della necessaria proporzionalità e suffi cienza posto dall’art. 36 Cost. con riferimento alla retribuzione. La dottrina maggioritaria e la giurisprudenza costante escludono l’applicabilità della norma costituzionale al contratto d’opera, ritenendo che essa sia dettata con riferimento esclusivo al lavoro subordinato, e avuto riguardo alle primarie esi-genze di tutela del lavoratore dipendente. Qualora le parti non provvedano alla fi ssazione del compenso nel contratto, l’art. 2225 c.c. prevede tre fonti integrative del contratto: le tariffe professionali, gli usi integrativi e, in mancanza “… è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo” (art. 2225 c.c.).

Potere di controllo – Il prestatore d’opera si differenzia dal lavoratore subordinato per la spiccata autonomia che ne caratterizza la prestazione; egli non è soggetto al potere direttivo, organizzativo o disciplinare del committente, ma ha il solo obbligo di rendere l’opera o il servizio nelle forme dedotte nel contratto. Al fine di assicurare che l’opera o il servizio sia conforme a quelle desiderate, l’art. 2224 c.c. pone in capo al prestatore d’ope-ra l’obbligo di eseguire l’opera secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, cioè secondo le regole della tecnica e dell’esperienza, con la diligenza qualificata del buon lavoratore, ai sensi dell’art. 1176, co. 2, c.c. In caso l’esecuzione non sia confor-me a questi canoni, il committente può fissare un congruo termine, entro il quale il presta-tore d’opera deve conformarsi a tali condizioni; se entro il termine fissato dal committen-te, il prestatore d’opera non si conforma alle istruzioni impartite, il committente può recedere anticipatamente dal contratto, chiedendo la restituzione del corrispettivo già versato e il risarcimento del danno. Il committente, quindi, ha diritto di impartire le diret-tive per lo svolgimento dell’attività diretta alla produzione del risultato, non solo al mo-mento della conclusione del contratto, ma anche durante l’esecuzione di esso, senza che i risultati delle verifiche effettuate siano per lui vincolanti al momento dell’accettazione dell’opera ex art. 2226 c.c. Questa norma pone un limite all’autonomia che caratterizza l’attività del prestatore d’opera, attribuendo al committente il potere di controllare che l’attività sia svolta a regola d’arte, ma in ogni caso le direttive impartite non possono esse-re così penetranti da risolversi in un comando tale da snaturare la natura del rapporto, trasformandolo in un rapporto subordinato caratterizzato dalla costante e completa sog-gezione del lavoratore ai poteri direttivi del datore di lavoro.

Durata del contratto d’opera – Il contratto d’opera deve contenere il termine iniziale e il termine fi nale assegnati al prestatore d’opera per l’esecuzione della stessa. In assenza di espressa pattuizione per quanto riguarda il termine iniziale, si considera applicabile l’art. 1183, co. 1, c.c., per cui il prestatore d’opera deve iniziare a svolgere l’attività dedotta nel con-tratto immediatamente. Invece, qualora il contratto non provveda alla fi ssazione del termine fi nale per l’esecuzione dell’opera o del servizio, il committente può richiedere l’intervento del Giudice, il quale procede alla fi ssazione del termine tenendo conto del risultato concordato in contratto e dell’attività normalmente necessaria per conseguirlo.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Luogo dell’adempimento – Il luogo dell’adempimento viene definito liberamente dalle parti nel contratto. Se le parti non dispongono nulla in proposito, il luogo di adempimento deve essere rinvenuto facendo ricorso alle norme che disciplinano le obbligazioni in gene-rale. Pertanto, l’obbligazione di consegnare la cosa dedotta nel contratto va adempiuta nel luogo in cui la cosa si trovava al momento in cui l’obbligazione è sorta (art. 1182, co. 2, c.c.).

Responsabilità del prestatore d’opera per vizi e difformità – Nell’esecuzione della pre-stazione, il prestatore d’opera deve tenere un comportamento diligente ai sensi dell’art. 1176, co. 2, c.c.; tale obbligo non è generico, deve essere adempiuto tenendo conto del ri-sultato dedotto nel contratto. Tale obbligo trova come conseguenza naturale quanto previsto dall’art. 2226 c.c., secondo il quale il prestatore d’opera risponde per gli eventuali vizi e dif-formità che dovesse presentare l’opera o il servizio. Con la nozione di difformità si fa riferi-mento alla mancata corrispondenza dell’opera o del servizio alle prescrizioni contrattuali; il vizio consiste invece nel difetto derivante da particolari caratteristiche di esecuzione, richieste dalla valutazione normale o dalle regole dell’arte. La dottrina maggioritaria quali-fi ca la responsabilità per vizi o difformità come responsabilità contrattuale per inadempi-mento, sussistente solo in caso di dolo o colpa. Tale responsabilità non sussiste nel caso in cui il committente accetti, tacitamente o espressamente, l’opera o il servizio, ed al momen-to dell’accettazione i vizi erano noti al committente o facilmente riconoscibili (purché non siano stati dolosamente occultati). Qualora invece il committente non intenda accettare l’o-pera affetta dalle difformità o dai vizi, esso deve, a pena di decadenza, denunziare le diffor-mità e i vizi occulti al prestatore entro otto giorni dalla scoperta. L’azione si prescrive entro un anno dalla consegna. Secondo la giurisprudenza, la scoperta del vizio occulto dell’opera, al fi ne della decorrenza del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di responsabili-tà di cui all’art. 2226 c.c. non può ricondursi all’insorgenza di un semplice sospetto, ma presuppone la sopravvenienza di fatti oggettivi percepibili e tali da rendere manifesta al committente, senza l’ausilio di particolari cognizioni tecniche, ma sulla base della sola co-mune esperienza, l’esistenza del vizio. Va infi ne ricordato che ai vizi ed alle difformità del contratto d’opera si applica quanto previsto dall’art. 1668, co. 1, c.c., in materia di appalto; la norma prevede che “il committente può chiedere che le difformità e i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore”.

Estinzione del contratto – Il contratto d’opera si estingue in maniera naturale al momento dell’adempimento delle obbligazioni che gravano sulle parti: il compimento dell’opera o del servizio e il pagamento del corrispettivo. Il rapporto si può estinguere anche prima di questo momento, in caso di recesso del committente (art. 2227 c.c.). La facoltà di recesso dal con-tratto può essere esercitata dal committente, una volta iniziata l’esecuzione dell’opera, solo a condizione che egli tenga indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno; il prestatore d’opera manuale (al contrario del professionista intellettua-le) non ha una facoltà di recesso analoga a quella consentita al committente. Per spese soste-nute devono intendersi tutte quelle spese che non siano state conglobate nella prestazione già eseguite; per lavori eseguiti devono intendersi le parti di opera già completate, valutate in base ai prezzi contrattuali.

Infine, per mancato guadagno deve intendersi l’utile netto che il prestatore avrebbe conseguito se avesse completato l’opera, pari alla differenza tra il prezzo contrattuale an-cora da eseguire e l’ammontare delle spese che sarebbero state necessarie per la sua esecuzione. Con il riconoscimento del diritto del prestatore d’opera al pagamento di tali somme, la legge bilancia l’ampio potere di recesso riconosciuto al committente, garanten-

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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do al prestatore sia il diritto di non subire perdite, sia quello di ottenere il guadagno che avrebbe ricavato se il contratto avesse ricevuto regolare e completa esecuzione. Il contrat-to si estingue anche in caso di impossibilità sopravvenuta di esecuzione dell’opera; ai sen-si dell’art. 2228 c.c. “se l’esecuzione dell’opera diventa impossibile per causa non imputa-bile ad alcuna delle parti, il prestatore d’opera ha diritto ad un compenso per il lavoro prestato in relazione all’utilità della parte dell’opera compiuta”. Va notato che in questo caso, al contrario di quanto previsto per il recesso del committente, il prestatore d’opera non ha il diritto di vedere compensata l’opera in proporzione alla prestazione eseguita, ma solo nella – diversa − misura in cui la medesima sia utile al committente. Il motivo di que-sta differente disciplina è che nel primo caso il committente è il soggetto che determina l’estinzione del contratto, e quindi deve rifondere in misura più ampia il prestatore d’ope-ra, rispetto alla seconda ipotesi, che è estranea alla sua volontà. In caso di impossibilità totale, si applicano i principi generali previsti dall’art. 1463 c.c. Pertanto, il contratto si risolve automaticamente e per intero: il prestatore non ha diritto a ricevere alcun compen-so per l’opera svolta, e deve restituire quello eventualmente percepito, in quanto questo diviene privo di causa.

Prestazione di opera intellettuale – La disciplina del contratto d’opera è soggetta a re-gole particolari nel caso in cui l’oggetto del contratto sia costituito da una prestazione di opera intellettuale; in questo caso, le norme sul contratto di opera si applicano in quanto compatibili (art. 2230 c.c.). Sono comprese nella categoria le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, seppure rientrano nella nozione anche le prestazioni aventi natura diversa. Nella prima ipotesi, quando cioè l’esercizio di un’attività professionale è condizionato alla iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribu-zione (art. 2331 c.c.). La cancellazione dall’albo o elenco risolve il contratto d’opera even-tualmente in corso, salvo il diritto del prestatore d’opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all’utilità del lavoro compiuto.

Il prestatore d’opera intellettuale deve eseguire personalmente l’incarico assunto (art. 2332 c.c.), ma può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausilia-ri, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione. Le parti concordano liberamente il compenso per l’opera intel-lettuale, analogamente a quanto accade nel contratto d’opera comune. Se tuttavia il com-penso non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale cui il professioni-sta appartiene; in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione (art. 2233 c.c.). Per la prestazione di opera intellet-tuale vigono regole particolari in merito alla responsabilità del professionista. In particolare, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale diffi coltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave (art. 2236 c.c.); la legge quindi esclude la responsabilità del professionista in caso di colpa lieve del medesi-mo, quando l’oggetto della prestazione richieda cognizioni specifi che. Anche in materia di recesso vigono alcune regole particolari, diverse da quelle previste per l’ordinario contratto d’opera. Il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta (art. 2237 c.c.). Il professionista invece può recedere dal contratto per giusta causa; in tal caso egli ha diritto al rimborso delle spe-se fatte e al compenso per l’opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Il recesso del prestatore d’opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.

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5.3 Associazione in partecipazione con apporto di lavoro

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Decorrenza

Decorrenza 18 luglio 2012: i contratti di associazione in partecipazione sti-pulati fi no a tale data sono fatti salvi fi no alla loro cessazione a condizione che siano stati certifi cati ai sensi degli articoli 75 e seguenti del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (si ritiene che tale disposizione riguardi solamente i rapporti non più in linea con la nuova disciplina del modifi cato articolo 2549 codice civile). Tutti quelli stipulati a partire dal 18 luglio 2012 devono risulta-re conformi alla nuova disciplina come risultante dalla Riforma del mercato del lavoro.

Nozione Defi nizioneCon il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determi-nato apporto, sia esso di lavoro, di capitali o mezzi ovvero misto.

Fonti

Legge Articoli da 2549 a 2554 del codice civile; articolo 1, comma 28 - 30, Legge 28 giugno 2012, n. 92

Circolari Min. Lav., circolare 21 agosto 2008, n. 20

Contratti collettivi Nessuna particolarità: trattasi di una tipologia contrattuale di la-voro autonomo, come tale normalmente non interessata dall’in-tervento e dalla regolamentazione della contrattazione collettiva

Condizioni di miglior favore

Nessuna particolarità, salvo eventuali clausole migliorative eventualmente previste, rispetto alla disciplina di legge, diret-tamente ad opera delle parti d’accordo tra loro.

Parti del rapporto

Datori ammessi In questa fattispecie contrattuale di lavoro autonomo,la fi gu-ra chiave è costituita dall’associante, ovvero da colui al quale spetta la gestione dell’impresa o dell’affare (art. 2552 cod. civ.) I terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’associante (art. 2551 cod. civ.).

Datori esclusi In linea di principio nessuno. Riferendosi l’art. 2549 codice civile agli utili dell’impresa o di uno o più affari è dubbio che un rap-porto di associazione in partecipazione possa essere stipulato da parte di un professionista (associante). Il contratto di associazione in partecipazione nasce sull’accor-do delle parti e nel rispetto di quanto previsto dal codice civile. All’associato che apporta lavoro, pur collaborando con l’intera organizzazione aziendale, non può essere assegnato il ruolo di tutor nei confronti di un apprendista, poiché la sua posizione non è tra quelle che abilita all’attribuzione di questo incarico, ossia quelle di lavoratore subordinato, titolare, socio o familiare coadiuvante (Min. lav., Nota 5 giugno 2009, n.49 ).

Lavoratori ammessi

In linea di principio tutti. L’apporto dell’associato, che è un lavo-ratore autonomo, può consistere in una somma di denaro, nella cessione o nel godimento di un bene oppure nella prestazione di un’opera o di un servizio. Il suddetto apporto può riguardare tanto beni mobili, sia materiali che immateriali, quanto beni immobili.

– continua –

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Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Lavoratori esclusi In linea di principio nessuno (sono fatti salvi i principi generali come la capacità d’agire ecc.).

Numero massimo lavoratori

Per tutti i contratti di associazione in partecipazione stipulati sino al 17 luglio 2012 ma non certifi cati ovvero stipulati a de-correre dal 18 luglio 2012, nel caso in cui l’apporto dell’associa-to consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associan-ti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affi nità entro il secondo (art. 2549 cod. civ., così come modifi cato dalla legge n. 92/2012).

Contratto

Forma Ai fi ni della validità del contratto di associazione in partecipa-zione non è necessaria la forma scritta, la quale può tuttavia risultare utile ai fi ni della prova soprattutto in caso di contenzio-so. Si rammenta poi l’opportunità dell’utilizzo della forma scrit-ta soprattutto quando il contratto abbia come oggetto proprietà immobiliari o diritto reali.

Mancanza della forma

Possibilità di provare la natura del contratto mediante altri ele-menti: altri documenti, testimonianze eccetera.

Contenuto 1. Il contratto di associazione in partecipazione deve stabilire: 1) le modalità con le quali l’associato può esercitare il proprio controllo sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta; 2) le modalità di partecipazione agli utili e alle perdite.

Periodo di prova Il patto di prova non è applicabile al contratto di associazione in partecipazione in quanto non si tratta di un rapporto di lavoro subordinato.

Requisiti essenziali

Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta. In ogni caso l’associato ha di-ritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno (art. 2552 cod. civ.). Salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto (art. 2553 cod. civ.).

Durata La durata è liberamente stabilita ad opera dell’associante e dell’associato in accordo tra loro.

Proroghe Una volta che il contratto sia scaduto, la proroga è possibile se entrambi le parti concordano.

Rinnovi Un eventuale rinnovo del contratto di associazione in parteci-pazione è sempre possibile in base al libero accordo dell’asso-ciante e dell’associato.

Certifi cazione Al fi ne di ridurre il contenzioso in materia di qualifi cazione dei contratti di lavoro, le parti possono ottenere la certifi cazione del contratto (art. 75 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276).

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110 Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

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- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Contratto

Certifi cazione La presenza di tale atto è necessario al fi ne di consentire, fi no alla loro defi nitiva cessazione, la prosecuzione dei contratti di associazione in partecipazione stipulati prima dell’entrata in vi-gore della legge 28 giugno 2012, n. 92, e non più in linea con i nuovi requisiti.

Orario di lavoro

Pattuizione originaria

Non ricadendosi nell’ambito del lavoro subordinato, di norma non è applicabile alcuna previsione di durata massima, se non quella volta alla tutela della salute e dell’integrità fi sica dell’as-sociante che apporta solamente o anche una prestazione di la-voro.

Variazioni Nel caso in cui l’apporto dell’associato consista anche o sola-mente in una prestazione di lavoro, la modifi ca delle condizioni pattuite in precedenza richiede un nuovo accordo tra le parti, anche per fatti concludenti, tramite la reciproca accettazione delle nuove modalità di svolgimento del rapporto.

Modalità di svolgi-mento della prestazione

Luogo di lavoro Spesso presso la sede dell’associante. E’ anche possibile che tale tipologia contrattuale venga conclusa con riguardo alla ge-stione di punti di vendita (specialmente monomarca) cui l’asso-ciante conferisce la propria merce affi dandola a un associato (che è quindi di fatto un imprenditore) che gestisce con la pro-pria attività il punto vendita.

Subordinazione/Collaborazione

Il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, se correttamente attuato, non confl uisce nell’area del lavoro subordinato.

Mansioni Le attività svolte dall’associato sono quelle identifi cate dal con-tratto in base all’apporto che dal medesimo deve essere fornito per il buon andamento dell’impresa o dell’affare.

Proprietà strumenti di lavoro

L’associato può apportare, oltre alla propria attività di lavoro, anche denaro, strumenti e mezzi di cui abbia la proprietà ovvero il possesso a qualunque titolo.

Svolgimento altra attività

Il divieto di svolgimento di altra attività in capo all’associato è eventualmente regolato in base a quanto previsto dal contratto stipulato tra le parti.

Divieto di concorrenza

Salvo patto contrario, l’associante non può attribuire partecipa-zioni per la stessa impresa o per lo stesso affare ad altre persone senza il consenso dei precedenti associati (art. 2550 cod. civ.).

Assenze

Malattia Per quanto riguarda l’indennità di malattia per le giornate di ricovero, l’erogazione dovrà essere effettuata secondo i criteri e le modalità applicati agli altri lavoratori iscritti alla Gestione Separata. L’indennizzabilità riguarda solo quegli eventi in rela-zione ai quali sia accertata la sussistenza del requisito contri-butivo previsto ai fi ni del riconoscimento del diritto alla presta-zione in esame (Inps, circolare 10 agosto 2005, n. 99).

Maternità Ai fi ni dell’erogazione dell’indennità di maternità e/o paternità, si applicano i criteri e le modalità previsti per gli altri lavoratori iscritti alla Gestione Separata (Inps, circolare 10 agosto 2005, n. 99).

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Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

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- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Assenze

CIG e CIGS Non applicabile

Disoccupazione Non applicabile

Disoccupazione speciale edilizia

Non applicabile

Altre assenze La disciplina deve essere concordata tra le parti nel contratto di associazione in partecipazione.

Remunera-zione

Determinazione e misura

Salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stes-sa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto (art. 2553 cod. civ.); inoltre la partecipazione agli utili spettante al pre-statore di lavoro è determinata in base agli utili netti dell’impre-sa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato (articoli 2102 e 2554 cod. civ.). Non è ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, pena la conversione in rapporto di lavoro subordinato (Cass. 21.2.2012, n. 2496).

Altre somme e rimborsi spese

Le parti, in accordo tra loro, possono concordare l’erogazione di ulteriori somme e rimborsi spese. L’associato può percepire l’assegno per il nucleo familiare secondo i criteri previsti per gli altri lavoratori iscritti alla Gestione separata (Inps, circolare 10 agosto 2005, n. 99).

Organico: computo

Art. 18 L. 300/70 L’associato in partecipazione “genuino” non rileva ai fi ni del calcolo della base occupazionale. Nel caso di superamento del numero massimo di associati consentiti dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, si ha la trasformazione degli associati in lavora-tori subordinati e, conseguentemente, l’aumento dell’organico complessivo dell’impresa, ciò che potrebbe condurre all’appli-cazione della disciplina di cui all’art.18, legge n. 300/1970.

Comuni-cazioni e scritture obbligatorie

Assunzione Se il contratto prevede l’apporto di lavoro, l’associante è tenuto, entro il giorno antecedente l’inizio dell’attività con l’associato, a comunicare l’avvenuta conclusione del contratto al Centro per l’impiego in via telematica.

Variazioni Se il contratto prevede l’apporto di lavoro, l’associante è tenuto, entro i 5 giorni successivi alla scadenza del contratto origina-riamente stipulato con l’associato, a comunicare al Centro per l’impiego l’avvenuta proroga del contratto.

Cessazioni Se il contratto prevede l’apporto di lavoro, l’associante entro 5 gior-ni deve comunicare la cessazione del contratto al CPI, se questa data è diversa da quella che era stata originariamente stabilita.

Altri adempi-menti

Nessuna particolarità, se non la possibilità di far certifi care il contratto dalle commissioni che sono state costituite: presso gli enti bilaterali, le Direzioni territoriali del lavoro, le università e gli ordini provinciali dei consulenti del lavoro.

Libro unico lavoro

Come precisato da parte del Ministero del Lavoro, nel caso di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, sul Libro

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- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Comuni-cazioni e scritture obbligatorie

Libro unicolavoro

Unico del Lavoro devono essere indicati: 1) il nome e cognome; 2) il codice fi scale; 3) la qualifi ca e il livello di inquadramento contrattuale (nei casi in cui ricorrono); 4) la retribuzione base; 5) l’anzianità di servizio; 6) le relative posizioni assicurative e previdenziali. Quanto alle registrazioni obbligatorie, esse devo-no ricomprendere: 1) le somme a titolo di rimborso spese; 2) le trattenute a qualsiasi titolo effettuate; 3) le detrazioni fi scali; 4) i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare; 5) le presta-zioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Il libro unico del lavoro, inoltre, deve contenere il calendario delle presenze (non è previsto per gli associati con apporto di lavoro). Inoltre, vanno esclusi dalle registrazioni nel libro unico del lavoro tutti quegli associati che svolgano tale attività in forma imprenditoriale o quale parte della propria attività di impresa o lavoro autonomo (Min. Lav., circolare 21 agosto 2008, n. 20).

Sindacato Normalmente non esiste alcuna previsione particolare in rela-zione a eventuali obblighi di consultazione e informazione delle organizzazioni sindacali.

Contributi, Premi, Imposte e Agevola-zioni

Contributi Gli associati in partecipazione, che apportano attività di lavoro e non siano iscritti ad albi professionali, devono iscriversi iscritti alla Gestione separata gestita dall’INPS entro 30 giorni dall’ini-zio dell’attività lavorativa, tramite l’apposito modello, indicando, oltre ai dati anagrafi ci: 1) la data inizio attività; 2) la descrizione dell’attività; 3) i dati anagrafi ci dell’associante; 4) la copia del contratto sottoscritto. La misura del contributo è quella previ-sta per gli altri iscritti alla Gestione Separata Inps ed è modu-lata come segue:a) non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria: 27%

fi no al 31 dicembre 2013; poi 28% per il 2014; 30% per il 2015; 31% per il 2016; 32% per il 2017 e 33% dal 1° gennaio 2018 in poi. A tale aliquota va sommato lo 0,72% per le assistenze.

b) iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria: 18% fi no al 31 dicembre 2012; 20% per il 2013; 21% per il 2014; 22% per il 2015; 24% dal 1° gennaio 2016.

La contribuzione è posta per il 55% a carico dell’associante e per il 45% a carico dell’associato. Il contributo è calcolato sul reddito imponibile ai fi ni fi scali, cioè sul compenso “lordo”, in quanto la contribuzione trattenuta all’associato può essere og-getto di deduzione solo in sede di dichiarazione dei redditi e non in sede di attribuzione del compenso. Il versamento è effettuato sugli importi erogati all’associato, anche a titolo di acconto sul risultato della partecipazione, salvo conguaglio in sede di de-terminazione annuale dei redditi.

Assicurazione infortuni

Nel caso in cui l’associato apporti una prestazione di lavoro e svolga attività soggetta a rischio INAIL l’assicurazione infortuni è obbligatoria. L’associante è tenuto al calcolo e al versamen-to dei premi speciali unitari contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali con il sistema dell’autoliquidazione. Per l’anno 2012 si veda quanto precisato da parte dell’Inail con la circolare 27 marzo 2012, n. 16.

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Capitolo 5 - Lavori a progetto, Partite IVA, associazioni in partecipazioni e appalti

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- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Contributi, Premi, Imposte e Agevola-zioni

Imposte

Il regime di tassazione dipende dalla natura dell’apporto effet-tuato dall’associato. I redditi prodotti rappresentano: 1) redditi da lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 53 co. 2 lett. c) TUIR, se l’associato apporta solo lavoro; 2) redditi da capitale, ai sensi dell’art. 44 co. 1 lett. f) TUIR, se l’associato apporta solo capitale o capitale e lavoro (apporto misto). Quanto corrisposto all’asso-ciato: a) di capitale o misto è indeducibile in capo all’associante; b) all’associato che apporta lavoro, è computato in diminuzione del reddito dell’esercizio di competenza, indipendentemente dall’imputazione al conto economico (D.Lgs. 344/2003; AE, ris. 62/E/2005). Infi ne, per le prestazioni di lavoro degli associati è dovuta una ritenuta d’acconto del 20%.

Agevolazioni Nessuna particolarità, se non l’estrema fl essibilità di questo tipo di prestazione e l’evidente risparmio in termini di contribu-zione dovuta rispetto a quanto previsto per il lavoro dipendente.

Uniemens Esposizione La denuncia dei contributi dovuti avviene con le stesse moda-lità previste per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata tramite trasmissione telematica delle denunce contributive con il modello UniEmens.

Conse-guenze della vio-lazione dei requisiti di legge

Conversione in contratto di lavo-ro subordinato

In caso di violazione del divieto del numero massimo di asso-ciati impiegabili in una medesima attività, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato (nuova formulazione art. 2549 cod. civ.). Ancora per opera della Riforma del mercato del lavoro, vengono poste in essere due presunzioni legali, in base alle quali è possibile che i rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro si pre-sumano, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La presunzione opera in presenza delle seguenti fattispecie:1) mancanza di un’effettiva partecipazione dell’associato agli

utili dell’impresa o dell’affare, ovvero omessa consegna del rendiconto previsto ex art. 2552 c.c.;

2) nel caso in cui l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’articolo 69-bis, co. 2, lett. a), del D.Lgs. 10.9.2003, n. 276, introdotto dal comma 26 dell’art. 1 della L. 28.6.2012, n. 92. La norma richiamata prevede che la presunzione che, in re-altà si tratti di lavoro dipendente non opera qualora la prestazi-one lavorativa sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso signifi cativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rile-vanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività.

Inoltre, in base ai principi generale del diritto, la trasformazione del contratto in lavoro subordinato è sempre possibile qualora il rapporto si svolga secondo i caratteri della subordinazione, con pieno ed effettivo assoggettamento dell’associato al potere diret-tivo, gerarchico e disciplinare dell’associante - datore di lavoro.

Conversione in rapporto di altra tipologia

Non prevista, salvo quanto detto sopra nel caso di superamento del numero massimo di associati.

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Risoluzione del rapporto

Dimissioni/Risoluzione per iniziativa del lavoratore o col-laboratore

L’associato può recedere dal contratto di associazione in par-tecipazione secondo quanto sia stato eventualmente previsto nell’accordo concluso con l’associante.

Giusta causa Stante l’assenza di qualsivoglia previsione normativa in proposito, associato e associante possono concordare tra loro alcune fattispecie che confi gurano la giusta causa di risoluzione del contratto; al contrario non trova applicazione la disciplina prevista in materia per quanto concerne il rapporto di lavoro subordinato.

Giustifi cato mo-tivo soggettivo

La disciplina prevista per quanto concerne il rapporto di lavoro subordinato non è applicabile al contratto di associazione in partecipazione: in questo caso il recesso è regolato esclusiva-mente in base all’accordo delle parti.

Giustifi cato mo-tivo oggettivo

La disciplina prevista per quanto concerne il rapporto di lavoro subordinato non è applicabile al contratto di associazione in partecipazione: in questo caso il recesso è regolato esclusiva-mente in base all’accordo delle parti.

Risoluzione con-sensuale

Possibile in qualunque momento in base al libero accordo delle parti. L’accordo dovrebbe regolare anche gli aspetti economici, ovvero stabilire se debba essere corrisposto un emolumento residuo e con che misura e modalità.

Risoluzione auto-matica

La risoluzione automatica del contratto è possibile, in base al li-bero accordo delle parti, per esempio dopo che sia decorso un de-terminato termine ovvero in seguito alla conclusione di un affare.

Altre cause di risoluzione del contratto

Il rapporto di estingue anche nel caso in cui si verifi chi il decesso del collaboratore oppure in caso di fallimento dell’associante. In caso di fallimento dell’associato le decisioni spetteranno al curatore fallimentare (prosecuzione del rapporto o meno).

Impugna-zione del contratto

Forma Qualora si chieda la costituzione di un rapporto di lavoro sub-ordinato, la cessazione del contratto deve essere impugnata in forma scritta ad substantiam

1° termine 60 giorni dalla ricezione della lettera di cessazione del contratto di associazione, a pena di decadenza

2° termine 180 giorni dall’impugnazione (1° termine), a pena di ineffi cacia

3° termine 60 giorni dal rifi uto o dalla mancata riuscita del tentativo di con-ciliazione o di arbitrato, a pena di decadenza

Rapporti collegati

Contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; Contratto di lavoro a pro-getto; Lavoro autonomo a Partita IVA

5.3.1 Finalità della Riforma Fornero

La riforma Fornero è intervenuta in materia di contratto di associazione in partecipazione

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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attraverso una modifi ca della disciplina sostanziale dettata dal codice civile. L’obiettivo perse-guito dal legislatore è ancora una volta quello di porre un argine alle elusioni della disciplina protettiva del lavoratore attraverso la simulazione di un rapporto di lavoro subordinato sotto l’apparenza di un rapporto di associazione in partecipazione. A tal fi ne, vengono introdotti stringenti limiti al numero degli associati che forniscano - in via esclusiva o in concorso con il capitale - un apporto di lavoro, con relativa presunzione assoluta di subordinazione in caso di loro inosservanza. La riforma pone altresì l’accento sulle corrette modalità di instaurazione e attuazione del contratto di associazione in partecipazione, ponendo una presunzione di su-bordinazione relativa per le ipotesi di carenza delle medesime.

Nozione – L’associazione in partecipazione viene defi nita dall’art. 2549 c.c. come il contrat-to con il quale l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua im-presa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. L’apporto fornito dall’associato può dunque consistere esclusivamente in capitale, in lavoro oppure in entrambi.

5.3.2 Caratteristiche della disciplina introdotta dalla Riforma Fornero

La L. 92/2012 - al fi ne di porre un argine all’abuso dell’istituto - introduce un ulteriore com-ma all’art. 2549 c.c. Secondo la nuova disposizione, “Qualora l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima at-tività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affi nità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato”. La disposizio-ne citata, dunque, ha un campo di applicazione limitato alle ipotesi in cui l’apporto dell’asso-ciato sia esclusivamente di lavoro, e alle ipotesi di conferimento sia di capitale che di lavoro, con esclusione, invece, delle sole ipotesi di conferimento esclusivo di capitale. La novità più rilevante introdotta consiste nella previsione di rigidi limiti numerici e di severe conseguenze in caso di superamento dei predetti limiti. Con riferimento al primo aspetto, la riforma dispone che il numero degli associati impegnati nella medesima attività - intendendosi per tale la me-desima prestazione lavorativa - non potrà essere superiore a tre e ciò a prescindere dal nume-ro degli associanti.

Limiti numerici – Il rigore e la fi nalità repressiva dell’utilizzo improprio del contratto in esame che caratterizzano la disciplina si manifestano soprattutto con riferimento al secondo aspetto, ossia alle conseguenze del superamento dei sopra descritti limiti numerici; il rap-porto con tutti gli associanti il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro, infatti, sarà considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in assenza di qualsivo-glia possibilità per l’azienda di fornire la prova contraria. Esulano invece dal campo di applica-zione della novella legislativa le ipotesi in cui tra l’associante e l’associato sussista un rappor-to coniugale ovvero un legame di parentela entro il terzo grado o di affi nità entro il secondo.

Instaurazione del rapporto – La riforma Fornero incide anche su un ulteriore aspetto del-la disciplina civilistica dell’associazione in partecipazione. L’art. 1, co. 30, infatti, dispone che “I rapporti di associazione in partecipazione instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effet-tiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall’art. 2552 c.c., si presumono, salvo prova contraria, rapporti di la-voro subordinato a tempo indeterminato. La predetta presunzione si applica, altresì, qualora l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’art. 69-bis, co. 2, lett. a), D.Lgs. 10.9.2003

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

n. 276, introdotto dal co. 26 del presente articolo”. La previsione legislativa, dunque, si concen-tra sulla effettiva sussistenza degli elementi tipici del contratto di associazione in partecipa-zione, individuabili nell’effettiva partecipazione dell’associato agli utili ovvero nella consegna del rendiconto dell’affare o della gestione dell’impresa; la conseguenza della carenza degli elementi sopradetti sarà la presunzione - questa volta relativa, con conseguente possibilità per l’azienda di fornire prova contraria - della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. Scompare, quindi, la precedente disciplina contenuta nell’art. 86, co. 2, D.Lgs. 276/2003 - coerentemente abrogato dall’art. 1, co. 31, L. 92/2012 - che individuava, quali indici della genuinità del contratto di associazione in partecipazione, una effettiva partecipa-zione e adeguate erogazioni a chi lavora e, quale sanzione per la carenza dei suddetti elemen-ti, il diritto del lavoratore ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrisponden-te posizione secondo il contratto di settore analogo. La medesima presunzione relativa di subordinazione viene altresì introdotta per le ipotesi in cui l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui all’art. 69-bis, co. 2, lett. a) D.Lgs. 276/2003, ossia nelle ipotesi in cui la presta-zione lavorativa non sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraver-so signifi cativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico pratiche acquisite attraverso rile-vanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività.

Entrata in vigore – Le novità legislative troveranno applicazione al momento di entrata in vigore della legge di riforma, ossia a far data dal 18.7.2012. Sono fatti salvi, per espressa di-sposizione legislativa, fi no alla loro cessazione, i contratti in essere che, alla data di entrata in vigore della legge, siano stati certifi cati ai sensi degli artt. 75 e ss. D.Lgs. 276/2003

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE. SINTESI DELLE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA RIFORMA FORNERO

1. Campo di applicazione • Apporto con conferimento di lavoro;• Apporto con conferimento di lavoro e di capitale.

2. Limiti numerici • Il numero degli associati non può essere superiore a 3;• La limitazione concerne la medesima attività, ossia la na-

tura della prestazione lavorativa, indipendentemente dal luogo di esecuzione;

• Il suddetto limite opera a prescindere dal numero degli as-socianti.

� Conseguenze inosservanza limite numerico

� Presunzione assoluta della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto.

� Eccezione ai limiti numerici Associato e associante legati da:• Rapporto coniugale;• Rapporto di parentela entro il III grado;• Rapporto di affi nità entro il II grado.

3. Elementi tipici del contrat-to di associazione in parte-cipazione

• Effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impre-sa o dell’affare;

• Consegna del rendiconto.

� Conseguenze carenza degli elementi tipici

� Presunzione relativa della natura subordinata a tempo in-determinato del rapporto.

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4. Entrata in vigore • Il nuovo regime si applicherà a partire dall’entrata in vigo-re della legge.

5. Regime transitorio � Sono esclusi dalla nuova disciplina - fi no alla loro scaden-za naturale - i contratti di associazione in partecipazione certifi cati.

5.4 Appalto

5.4.1 Nozione

L’art. 1655 c.c. defi nisce l’appalto come “il contratto col quale una parte assume, con orga-nizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. La norma individua come elementi tipici della fattispecie innanzitutto l’organizzazione dei fattori produttivi; l’appaltatore deve poter di-sporre e coordinare una complessa organizzazione dei fattori produttivi dei quali non deve necessariamente avere la proprietà, ben potendo procurarseli da terzi tramite fi nanziamenti e locazioni mobiliari e provvedere, successivamente, all’organizzazione degli stessi con la ma-nodopera occorrente. Un altro elemento fondamentale per qualifi care l’appalto come genui-no è l’assunzione del rischio economico. L’appaltatore deve, inoltre, essere dotato di un ampio margine di autonomia rispetto al committente: il concetto di autonomia deve essere posto in correlazione con la capacità e, soprattutto, la discrezionalità dell’appaltatore di predisporre e coordinare l’organizzazione dei fattori produttivi idonei al raggiungimento del risultato dedotto nel contratto. In sostanza, l’organizzazione materiale dei fattori produttivi da parte dell’appal-tatore deve sottrarsi all’ingerenza del committente: ingerenza che, comunque, non esclude il diritto di questo ultimo di verifi care e controllare che l’esecuzione dell’opera proceda a regola d’arte.

5.4.2 Appalto lecito

La delimitazione dei confi ni di liceità dell’appalto costituisce storicamente un tema molto controverso che, nonostante la natura squisitamente commerciale del contratto, interessa di-rettamente il diritto del lavoro. Il riconoscimento della illiceità di un contratto di appalto com-porta infatti, tra le numerose conseguenze, la costituzione di un rapporto di lavoro tra l’effet-tivo utilizzatore della manodopera e il lavoratore.

Elementi tipici dell’appalto lecito – Dalla defi nizione del codice civile si evince che costitu-iscono elementi tipici dell’appalto lecito innanzitutto l’organizzazione dei fattori produttivi; l’ap-paltatore deve poter disporre e coordinare una complessa organizzazione dei fattori produttivi dei quali non deve necessariamente avere la proprietà, ben potendo procurarseli da terzi trami-te fi nanziamenti e locazioni mobiliari e provvedere, successivamente, all’organizzazione degli stessi con la manodopera occorrente. Un altro elemento fondamentale, per qualifi care l’appalto come genuino, è l’assunzione del rischio economico; l’appalto è lecito solo se il soggetto che lo esegue è un vero imprenditore, che come tale assume il rischio derivante dall’esecuzione dell’o-pera o del servizio. L’appaltatore deve, inoltre, essere dotato di un ampio margine di autonomia rispetto al committente: il concetto di autonomia deve essere posto in correlazione con la capa-

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cità e, soprattutto, la discrezionalità dell’appaltatore di predisporre e coordinare l’organizzazione dei fattori produttivi idonei al raggiungimento del risultato dedotto nel contratto. In sostanza, l’organizzazione materiale dei fattori produttivi da parte dell’appaltatore deve sottrarsi all’inge-renza del committente: ingerenza che, comunque, non esclude il diritto di questo ultimo di veri-fi care e controllare che l’esecuzione dell’opera proceda a regola d’arte.

Criterio distintivo dell’appalto lecito nella legge Biagi – L’art. 29 D.Lgs. 276/2003 ha defi -nitivamente eliminato la presunzione contenuta nella L. 1369/1960, secondo la quale l’appalto si considerava senz’altro illecito nel caso in cui l’appaltatore impiegasse capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltante. Sulla base dell’art. 29 citato, gli elementi che contraddi-stinguono l’appalto genuino sono, “la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appal-tatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizza-ti nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”, senza riferimento esplicito ad un divieto di utilizzo di mezzi dell’appaltante. Ciò non signifi ca che l’appaltatore possa essere privo di mezzi propri, ma piuttosto che tali mezzi pos-sono essere anche immateriali (l’esempio più diffuso è quello del know how).

5.4.3 Regime di responsabilità solidale del committente

La crescente diffusione del contratto di appalto come strumento di decentramento produt-tivo ha spinto il legislatore ad introdurre una serie di principi volti a garantire i diritti dei lavo-ratori utilizzati con questo strumento contrattuale. Tali principi sono accomunati dall’utilizzo della tecnica della responsabilità solidale; in virtù di tale tecnica, l’adempimento di alcune obbligazioni gravanti in capo al datore di lavoro (l’appaltatore) può essere richiesto, da parte dei lavoratori o dei terzi, anche al committente, che sarà tenuto ad adempiere come obbligato solidale (fermo restando il suo diritto di regresso nei confronti dell’obbligato principale). Il motivo per cui il legislatore ha utilizzato questa tecnica normativa per regolare le obbligazioni nascenti dal contratto di appalto risiede nella scelta di accollare in capo al committente una sorta di rischio sociale conseguente alla scelta, dallo stesso operata, di ricorrere ad un model-lo di produzione decentrata. In sostanza il legislatore non vieta la frammentazione del proces-so produttivo al di fuori dell’impresa, ma − mediante le norme sulla responsabilità solidale − mantiene ferma in capo all’impresa stessa la responsabilità per le eventuali patologie che emergessero nei confronti dei lavoratori coinvolti. Per attuare questa linea di politica legisla-tiva, il legislatore, a partire dal 2003, ha progressivamente attribuito in capo al committente delle responsabilità tipiche del datore di lavoro, la cui applicazione in alcune circostanze pre-scinde dall’eventuale responsabilità del committente circa l’eventuale inadempimento delle obbligazioni gravanti in capo all’appaltatore.

Responsabilità solidale per i crediti retributivi e previdenziali – L’art. 29 D.Lgs. 276/ 2003 prevede che “in caso di appalto di opere o di servizi” il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali e assicurativi dovuti. Il regime di solidarietà opera anche per le obbligazioni delle imprese su-bappaltatrici (l’estensione alle imprese subappaltatrici Ë stata introdotta dalla L. 27.12.2006, n. 296; la stessa legge ha portato a due anni il limite temporale della responsabilità solidale, prima fi ssato in un anno). La responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappal-tatori è sempre operativa nei confronti dei lavoratori; il committente non può invocare il suo mancato coinvolgimento nell’inadempimento delle obbligazioni retributive. L’elemento costi-

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tutivo dell’obbligazione solidale è costituito dall’esistenza del contratto di appalto, e dal fatto che il lavoratore abbia reso prestazioni di lavoro per dare esecuzione a quel contratto; in que-sto senso, questo tipo di responsabilità solidale si confi gura come una particolare forma di responsabilità oggettiva. La responsabilità solidale del committente non ha un limite di impor-to, ma sussiste per l’ammontare complessivo del credito; l’unico limite di questa responsabi-lità è di carattere temporale, nel senso che l’azione verso il committente può essere promossa solo entro due anni.

Il vincolo della solidarietà tutela tutti i “lavoratori”, dunque non solo i lavoratori subordina-ti ma anche quelli impiegati nell’appalto con altre tipologie contrattuali (ad es. collaboratori a progetto), nonché quelli in nero, purché impiegati direttamente nell’opera e nel servizio ogget-to dell’appalto (Inail circ. 54/2012).

Responsabilità solidale per debiti fi scali – L’art. 35, co. 34, L. 4.8.2006, n. 248, ha introdot-to un ulteriore meccanismo di responsabilità solidale in materia di appalto , per i debiti fi scali relativi al personale impiegato nell’appalto. La norma è cambiata più volte, da ultimo con l’art. 13-ter della legge di conversione del D.L. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo). Secondo la discipli-na risultante da questo intervento, in caso di appalto di opere o di servizi, l’appaltatore rispon-de in solido con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del ver-samento all’erario delle ritenute fi scali sui redditi di lavoro dipendente e del versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore all’erario, in relazione alle presta-zioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto. La norma consente all’appaltatore di adottare dei comportamenti chef anno venire meno la responsabilità solidale. In particolare, questi può liberarsi della responsabilità se verifi ca, acquisendo la documentazione prima del versamento del corrispettivo, che gli adempimenti fi scali scaduti alla data del versamento, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore. L’attestazione dell’avvenuto adempi-mento degli obblighi di cui al primo periodo può essere rilasciata anche attraverso un’asseve-razione resa da parte di professionisti e soggetti abilitati. L’appaltatore può sospendere il pa-gamento del corrispettivo fi no all’esibizione da parte del subappaltatore della documentazione attestante il corretto adempimento degli obblighi fi scali. La norma prevede poi che gli atti che devono essere notifi cati entro un termine di decadenza al subappaltatore sono notifi cati entro lo stesso termine anche al responsabile in solido; la previsione si giustifi ca con la fi nalità di agevolare il controllo dell’appaltatore. Il regime appena descritta si applica all’appaltatore e all’eventuale subappaltatore; diversa la disciplina dei rapporti tra il committente e l’appaltato-re, per la quale si applica il comma 28-ter della norma. Secondo tale disposizione, il commit-tente provvede al pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore previa esibizione da parte di quest’ultimo della documentazione attestante che gli adempimenti fi scali scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dall’appaltatore e dagli eventuali subappaltatori. Il committente può sospendere il pagamento del corrispettivo fi no all’esibizione da parte dell’appaltatore della predetta documentazione. La legge pone a carico del committente un obbligo di sorveglianza che è sanzionato con una pena pecuniaria (diver-samente di quanto accade per l’appaltatore, che viene invece assoggettato a responsabilità solidale); si prevede, in particolare, che l’inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000. Questo regime non si applica ai committenti di appalti pubblici.

Responsabilità del committente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro – Un altro ambito nel quale opera un regime di responsabilità solidale tra il committente, l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori è quello della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare, l’art. 26 D.Lgs. 81/2008, pone in capo al committente una responsabilità solidale per gli infor-

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tuni sul lavoro dei lavoratori utilizzati nell’ambito dell’appalto. La norma prevede che “l’im-prenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli even-tuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro”. La norma estende il regime di solidarietà passiva anche agli infortuni sul lavoro dei dipendenti dell’appaltatore e del subappaltatore; questi potranno richiedere al committente il risarcimento di tutti i danni subiti nel corso dell’e-secuzione dell’appalto e non indennizzati dall’INAIL. Il presupposto per l’applicazione di que-sta responsabilità è il medesimo di quello richiesto dall’art. 29 D.Lgs. 276/2003, e cioè l’ese-cuzione da parte del lavoratore di prestazioni di lavoro nell’ambito del contratto di appalto stipulato tra committente ed appaltatore; pertanto, una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio, il committente sarà responsabile in solido con esso per l’inte-ra somma dovuta a titolo di risarcimento.

Obblighi del committente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro – La legge non si limita a stabilire un principio di responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subap-paltatori nella materia della salute e sicurezza sul lavoro. Al fi ne di rafforzare l’effettività degli obblighi di prevenzione, sussistono norme che regolano in maniera specifi ca gli obblighi che deve adempiere il committente nel caso di utilizzo di lavoratori dipendenti da soggetti terzi. L’art. 26 D.Lgs. 81/2008 pone in capo al committente l’obbligo di verifi care l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi di cui si avvale, ed a fornire loro “dettagliate informazioni” sui rischi specifi ci esistenti nell’ambiente in cui sono desti- nati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate. Un altro obbligo è quello di coordinare l’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi che possono ricadere sulle attività oggetto dell’appalto cui sono esposti i lavoratori. Tale obbligo deve essere adem-piuto mediante l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze tra le diverse imprese coinvolte, fatti salvi i rischi specifi ci propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.

Responsabilità solidale nella riforma fornero – La riforma Fornero interviene a soli di due mesi di distanza da un precedente intervento legislativo sul regime di responsabilità solidale del committente e degli appaltatori, in caso di appalto di servizi. In particolare, la L. 92/2012 iscrive il co. 2, art. 29, D.Lgs. 276/2003, riformando il contenuto della delega ai contratti col-lettivi e rivedendo, nel contempo, quel complesso meccanismo processuale che era stato in-trodotto dall’art. 21 D.L. 5/2012 (poi convertito con modifi cazioni dalla L. 35/2012).

RINVIO alla CONTRATTAZIONE COLLETTIVA – La nuova disciplina riconosce la possibilità, ai contratti collettivi nazionali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori com-parativamente più rappresentative del settore, di individuare metodi e procedure di controllo e di verifi ca della regolarità complessiva degli appalti, al fi ne di derogare alla disciplina della responsabilità solidale. I contratti nazionali, quindi, potranno stabilire delle procedure di verifi ca e controllo che devono essere applicate dal committente, il quale – se le rispetta – può consegui-re il premio dell’esonero dalla responsabilità solidale. Questo rinvio alla contrattazione collet-tiva trova un precedente nella lett. c), art. 8, D.L. 138/2011 (così come convertito con modifi cazio-ni dalla L. 148/2011). Tale norma, che voleva potenziare i c.d. contratti di prossimità, consentiva ai contratti di secondo livello di regolare regime della solidarietà negli appalti; considerato che la previsione non è stata abrogata, ne viene fuori un sistema nel quale la responsabilità solidale negli appalti può essere derogata sia dai contratti collettivi nazionali sia da quelli di prossimità.

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NUOVO REGIME PROCESSUALE – La L. 92/2012 ritocca il regime processuale della responsa-bilità solidale in caso di appalti, nonostante tale regime fosse già stato interessato da un intervento normativo pochi mesi prima. La novità più importante è il litisconsorzio necessario di tutti i re-sponsabili solidali; il committente dovrà quindi essere convenuto in giudizio insieme all’appaltato-re e agli eventuali ulteriori subappaltatori, senza che il ricorrente possa scegliere autonomamente quale debitore attaccare. Si tratta di una deroga ai principi generali delle obbligazioni solidali, i quali prevedono che il creditore possa agire verso qualsiasi responsabile per l’intero debito (art. 1292 c.c.), che si spiega con la volontà di amplifi care il coinvolgimento di tutta la fi liera dell’appalto ed evitare che il committente sia chiamato a rispondere per i debiti dell’appaltatore.

ECCEZIONI del COMMITTENTE – Ulteriore novità della riforma è la riscrittura del complesso meccanismo processuale introdotto dall’art. 21 D.L. 5/2012, il quale dettava le regole processua-li applicabili seconda che il committente fosse convenuto in giudizio da solo o congiuntamente all’appaltatore. Nella nuova disciplina, si prevede che se il committente nella prima difesa ec-cepisce il benefi cio della preventiva escussione dei debitori principali, il giudice, dopo aver ac-certato la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, dovrà provvedere ad escutere il patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori prima di intentare l’azione esecutiva nei con-fronti del committente. Viene meno l’obbligo per il convenuto di indicare «i beni del patrimonio dell’appaltatore sui quali il lavoratore può agevolmente soddisfarsi», come condizione per poter eccepire la preventiva escussione; la scomparsa di questo requisito è quanto mai opportuna, essendo un onere troppo complesso da applicare. Altra novità della norma consiste nell’aver inserito un esplicito riferimento anche agli «eventuali ulteriori subappaltatori»; l’inclusione di tali soggetti nel regime della norma era pacifi co, ma un rinvio espresso è sempre positivo.

APPALTO. SINTESI DELLE NOVITÀ NELLA RIFORMA FORNERO– il meccanismo di responsabilità solidale negli appalti può essere derogato dai con-

tratti collettivi nazionali – in caso di azione del lavoratore: (i) devono essere convenuti anche l’appaltatore e gli eventuali ulteriori subappaltatori; (ii) nella prima difesa il committente può sempre richiedere che il giudice, dopo aver

accertato la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, provveda ad escutere il patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori prima di intentare l’azione esecutiva nei propri confronti;

(iii) la responsabilità solidale vincola anche i subappaltatori

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Capitolo 6

LICENZIAMENTI INDIVIDUALI E COLLETTIVI E IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

6.1 Licenziamenti individuali

6.1.1 Obbligo di specifi cazione dei motivi

La Riforma Fornero introduce l’obbligo di specifi care i motivi che hanno determinato il li-cenziamento contestualmente alla comunicazione del provvedimento (art. 2 L. 604/1966). Viene pertanto cancellata la precedente impostazione, la quale prevedeva la possibilità per il lavoratore di chiedere al datore di lavoro i motivi che hanno determinato il recesso entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento, con conseguente obbligo del datore di lavoro, a pena di ineffi cacia del licenziamento, di fornirli entro i successivi 7 giorni.

L’obbligo di contestuale specifi cazione dei motivi assume un importante rilievo nel nuovo impianto sanzionatorio, il quale trova applicazione con riferimento alla categoria alla quale il licenziamento viene ascritto e, pertanto, non può prescindere da una rigorosa motivazione dello stesso.

Revoca del licenziamento - Un’ulteriore novità è rappresentata dall’introduzione della di-

sposizione che consente al datore di lavoro che revochi il licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione dello stesso di evitare le conseguenze sanzionatorie previ-ste dalla nuova normativa. In tal caso il rapporto si intenderà ripristinato senza soluzione di continuità con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca. La norma pone fi ne all’orientamento giurisprudenziale esistente che attribuiva la fa-coltà al lavoratore illegittimamente licenziato di non riprendere servizio preferendo l’eventua-le tutela offerta dalla legge all’esito del giudizio.

Effi cacia temporale - La legge tace con riguardo alla decorrenza delle nuove norme previ-ste dall’art. 18. Nell’attesa di un chiarimento interpretativo, e in assenza di norme transitorie, è da ritenere che le nuove regole abbiano carattere sostanziale e, come tali, siano applicabili soltanto ai licenziamenti intimati successivamente all’entrata in vigore della riforma (con-fermato da Trib. Milano, ordinanza 14 novembre 2012).

PROCESSO DEL LAVORO E RITO SPECIALE: LA PRIMA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI MILANO

Angelo Zambelli, Avvocato in Milano, Grimaldi Studio Legale

Il rito speciale introdotto dalla Riforma Fornero in tema di licenziamenti non trova applicazione quando debba essere preliminarmente risolta la questione della titolarità del rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal formale datore di lavoro

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124 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - PROCESSO DEL LAVORO E RITO SPECIALE: LA PRIMA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI MILANO

Tribunale di Milano, ordinanza 25 ottobre 2012Ricorso ex art. 1, comma 47 e ss., Legge 28 giugno 2012, n. 92 – Reintegrazione ai sensi dell’art. 18 S.L. - Domanda svolta nei confronti di un soggetto diverso dal formale datore di lavoro – Inammissibilità del ricorso – SussistenzaLa controversia avente ad oggetto l’accertamento del diritto del lavoratore alla reintegra presso un datore di lavoro diverso da quello da cui lo stesso è stato formalmente assunto non rientra fra quelle ricomprese nell’art. 1, comma 47 e 48, L. n. 92/2012, ed il ricorso presentato deve quindi essere dichia-rato inammissibile, presupponendo le citate disposizioni normative l’identità del rapporto di lavoro dedotto in giudizio con quello per cui si chiede la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav., ed essendo altresì l’indagine istruttoria relativa all’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro diverso da quello dedotto in causa incompatibile con la sommarietà del rito prescelto.L’ordinanza in commento, a quanto consta la prima di contenuto processuale resa dal Tribunale di Milano con riferimento al rito speciale introdotto dall’art. 1, comma 47 e seguenti, della Legge 28 giugno 2012, n. 92 (la cd. Riforma Fornero), affronta l’interessante questione dell’ammissibilità del ricorso presentato dal lavoratore per veder dichiarata l’illegittimità del licenziamento intima-togli, con la conseguente richiesta di condanna alla reintegrazione ex art. 18 S.L. di un soggetto diverso dal proprio formale datore di lavoro, previo accertamento della titolarità in capo al primo del proprio rapporto di lavoro.La soluzione accolta dal Giudicante – a nostro avviso correttamente – è per l’inammissibilità del ricorso, in considerazione di un’interpretazione restrittiva dell’art. 1, comma 47, della citata no-vella legislativa, imposta dalla «specialità del rito in oggetto».Per comprendere appieno la decisione in esame, è opportuno accennare seppur brevemente alle principali caratteristiche che connotano tale nuovo rito.

Il rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti introdotto dalla legge n. 92/2012 Come ormai noto, l’art. 1, comma da 47 a 68, della Legge 92/2012 ha introdotto uno specifi co rito per i contenziosi in tema di impugnazione dei licenziamenti rientranti nell’ambito di applicazione del novellato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.Di fatto il Legislatore, dopo aver previsto con la Legge 183/2010 (cd. Collegato Lavoro) un rigido regime decadenziale con un preciso intento defl attivo del contenzioso, vi ha affi ancato un rito pro-cessuale speciale caratterizzato da particolare celerità, che trova applicazione «alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge», cioè successi-vamente al 18 luglio 2012.Il procedimento si articola essenzialmente in due fasi: la prima, tesa a garantire al lavoratore una tutela urgente e che dovrebbe in ipotesi iniziare e concludersi in un’unica udienza con l’acco-glimento o il rigetto della domanda, ha carattere necessario, nel senso che rappresenta lo stru-mento processuale prescelto dal Legislatore per dirimere le controversie in tema di licenziamenti rientranti nell’ambito della cd. tutela reale.1 2

La seconda fase, solo eventuale, prende avvio con l’opposizione all’ordinanza di accoglimento o di rigetto, che si propone «con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di proce-dura civile», ovvero secondo le forme sin qui “ordinarie” del rito del lavoro.

1 Così A. DE VIVO, Il nuovo processo per i licenziamenti dopo la riforma lavoro, in Guida al lavoro, n. 38/2012, pagg. 26 e ss.; P. COSMAI, L’impugnazione del licenziamento: limiti al sindacato giurisdizionale e specialità del rito. Primi spunti di rifl es-sione, in Commentario alla Riforma Fornero, supplemento a DPL n. 33/2012, pagg. 22 e ss.; ci sia consentito il richiamo anche a A. ZAMBELLI, Licenziamenti individuali e collettivi, pagg. 129 e ss. in La riforma del lavoro, vol. 1, edita dal quotidiano IlSole24Ore.2 Si segnala che i Giudici della Sezione Lavoro del Tribunale di Firenze, nelle linee-guida emanate «all’esito della riunione di Sezione, tenutasi in data 17 ottobre 2012», hanno ritenuto di assumere l’orientamento interpretativo secondo cui «è facoltà della parte intraprendere un giudizio di impugnativa di licenziamento rientrante nell’art. 18 L. 300/70 con il rito previsto dalla riforma Fornero. Infatti è la parte attrice che deve valutare se nel caso concreto sia più utile procedere con tale nuovo rito o se sia più confacente agli interessi del cliente un ricorso ex art. 414 c.p.c. (ad esempio perché la domanda si associa ad ulteriori richieste afferenti il rapporto di lavoro, come ad esempio differenze retributive, diverso inquadramento, ecc.)».

– continua –

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - PROCESSO DEL LAVORO E RITO SPECIALE: LA PRIMA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI MILANO

Per quanto qui di specifi co interesse, occorre sottolineare che, ai sensi del citato comma 47 oggetto di interpretazione da parte del Giudice milanese, possono accedere al rito speciale non soltanto le dispute riguardanti «l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300», bensì anche quelle che comportino – in uno con il recesso – la necessità di risolvere «que-stioni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro».Proprio sulla scorta di tale previsione, da interpretarsi in senso restrittivo attesa la specialità della disci-plina sottoposta al vaglio giudiziale, il Tribunale di Milano ha ritenuto che nell’ambito del nuovo rito non possano ricomprendersi le controversie che impongano l’esame «di tutte le domande, anche preliminari e incidentali, relative all’accertamento della costituzione di diversi e ulteriori rapporti di lavoro con soggetti terzi rispetto al formale datore di lavoro»: in altri termini, la tutela urgente non può essere invocata nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del rapporto stesso.Fattispecie, questa, che ricorre tipicamente nei casi di somministrazione irregolare (art. 27, comma 1, D.Lgs. 276/2003), contratto di appalto non genuino (art. 29, comma 3bis, D.Lgs. 276/2003) e distacco illecito (art. 30, comma 4bis, D.Lgs. 276/2003).I motivi della decisione La posizione assunta dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in commento risulta condivisibile sotto mol-teplici profi li.In primo luogo, dall’interpretazione letterale del richiamo alle «questioni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro» consegue del tutto correttamente l’inapplicabilità del nuovo rito alle controversie che implichino la risoluzione di “questioni relative alla titolarità del rapporto di lavoro”.Infatti, i primi commentatori della novella legislativa in esame ritengono che il comma 47 dell’art. 1, Legge 92/2012, faccia pacifi camente riferimento alle ipotesi in cui rapporti di lavoro formalmente autonomi dissi-mulino in realtà rapporti di natura subordinata (si pensi ai rapporti di collaborazione, anche a progetto, o a quelli intercorrenti con soggetti titolari di partita IVA).Tuttavia, altro è il caso in cui non si controverta in tema di qualifi cazione giuridica del rapporto intercorso tra le parti, bensì in materia di accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal datore di lavoro.Distinzione, questa, che non è affatto ignota al nostro Legislatore: basti considerare che nell’art. 32 della Legge 183/2010 si fa esplicito riferimento, al comma 3, lettera a), «ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro», mentre al successivo comma 4, lettera d), ai casi «in cui … si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto».Pertanto, se nella disciplina processuale in esame si fossero volute far rientrare anche le fattispecie as-similabili a quella affrontata dall’ordinanza in commento, la disposizione di cui al comma 47 ben avrebbe potuto farne espresso richiamo, utilizzando la medesima formulazione da ultimo riportata.Anche un’interpretazione sistematica del nostro sistema processuale conduce alla conclusione assunta dal Tribunale di Milano. Se è vero, infatti, che la tutela urgente introdotta dalla Riforma Fornero si diffe-renzia nettamente dal procedimento cautelare disciplinato dall’art. 700 c.p.c., per non essere l’esperibilità della prima «più rimessa … allo scrutinio giudiziale della verifi ca dei presupposti di ammissibilità e fon-datezza sotto il duplice profi lo del fumus boni juris e del periculum in mora»3, è altrettanto vero che i due procedimenti sono accomunati dalla loro natura di giudizi a cognizione sommaria.Proprio in considerazione di tale peculiare natura, che rende inammissibile l’utilizzo del procedimento ex art. 700 c.p.c. ogniqualvolta la domanda svolta implichi la necessità di compiere un’approfondita attività istruttoria inconciliabile con la sommarietà del procedimento stesso – ipotesi senz’altro ricorrente nei casi in cui debba essere accertata, in via principale o anche solo incidentale, la titolarità del rapporto di lavoro in capo ad un soggetto distinto dal formale datore di lavoro –, non si può che aderire alla valutazione del Giudicante il quale, nel motivare la reiezione del ricorso proposto, ha appunto evidenziato come «l’indagine istruttoria relativa all’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro diverso da quello dedotto in causa appare in ogni caso incompatibile con la sommarietà del rito prescelto».

3 P. COSMAI, ibidem, pag. 23.

Guida al Lavoro 9.11.2012, n. 44, pag. 13

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126 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

6.1.2 Riforma articolo 18

La Riforma Fornero modifi ca in profondità la disciplina dei licenziamenti individuali (L. 20.5.1970, n. 300 e L. 15.7.1966, n. 604), introducendo distinti regimi sanzionatori in funzione della natura del licenziamento illegittimo, il quale potrà essere discriminatorio, disciplinare (intimato per giusta causa o giustifi cato motivo soggettivo) o per motivi economici (giustifi cato motivo oggettivo). Signifi cativa per quest’ultima categoria è l’introduzione di una procedura di comunicazione preventiva da parte del datore di lavoro alla competente Direzione Territoriale del Lavoro.

Ambito di applicazione - Va subito evidenziato che resta invariato l’ambito applicativo del-la norma statutaria, la quale, ad eccezione del licenziamento per motivi discriminatori, con-tinuerà a trovare applicazione soltanto per i datori di lavoro, imprenditori e non, che occupano alle loro dipendenze più di quindici lavoratori (cinque se si tratta di imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, fi liale, uffi cio o reparto autonomo o nell’ambito dello stesso co-mune nel quale ha avuto luogo il licenziamento ovvero sessanta lavoratori su scala nazionale. Resta dunque immutata la disciplina per i datori di lavoro che occupano fi no a quindici dipen-denti per i quali continuerà a trovare applicazione l’art. 8 L. 15.7.1966, n. 604 (co. 8, art. 18, St. Lav.). Restano altresì invariati i criteri di computo del personale ai fi ni dell’applicazione della norma con la sola eliminazione del riferimento ai contratti di formazione e lavoro ormai estin-ti (co. 9, art. 18, St. Lav.).

NUOVA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI

Licenziamento discriminatorio(art. 18, commi 1, 2 e 3, nuovo testo)

Defi nizioneLicenziamento intimato per motivi discriminatori

Presupposti per l’annullamentoLicenziamento intimato in uno dei seguenti casi:- violazione art. 3 legge 108/1990- in costanza di matrimonio,- violazione delle norme del Testo Unico Maternità e Paternità- nullo per espressa previsione legge - motivo illecito determinante- licenziamento orale

SanzioneReintegrazione sul posto di lavoro, a prescindere dal motivo formalmente addotto e dal numero di dipen-denti. Il lavoratore può chiedere, in alternativa alla reintegra, ed entro 30 giorni dal deposito della sentenza (o dall’invito a riprendere servizio) un’indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, e la richiesta determina la risoluzione del rapporto; la somma non è soggetta a contribuzione previdenziale.In aggiunta alla reintegra o all’indennità sostitutiva, spetta un’indennità risarcitoria di importo pari all’ul-tima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reinte-gra, dedotto quanto percepito da altre occupazioni (c.d. aliunde perceptum).L’indennità risarcitoria non può mai essere inferiore a 5 mensilità.Il datore di lavoro dovrà pagare i contributi previdenziali e assistenziali sulle somme riconosciute al di-pendente.

– continua –

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - NUOVA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI

Ambito di applicazioneDatori di lavoro anche non imprenditori, imprese di qualsiasi dimensione, dirigenti, lavoratori subordinati.

Ripresa del lavoroDopo l’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito datoriale (a meno che non eserciti la facoltà di chiedere l’inden-nità sostitutiva della reintegra).

Licenziamento disciplinare a) con reintegra

(art. 18, comma 4, nuovo testo)Defi nizioneLicenziamento intimato all’esito di una procedura disciplinare.Presupposti per l’annullamentoIl licenziamento è intimato sulla base di un giustifi cato motivo soggettivo o di una giusta causa, ma il Giudice ritiene che non ricorrono gli estremi per uno dei seguenti motivi:- insussistenza del fatto contestato;- il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo quanto prevedono

i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili.

SanzioneReintegra sul posto di lavoro.In aggiunta alla reintegra, pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribu-zione globale di fatto, detratto quanto il lavoratore ha percepito per altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum) e quanto avrebbe potuto percepire cercando con diligenza una nuova occupa-zione (c.d. aliunde percipiendum).L’indennità non può superare l’importo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Ripresa del lavoroDopo l’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito datoriale (a meno che non eserciti la facoltà di chiedere l’inden-nità sostitutiva della reintegra).

ContributiIl datore di lavoro deve pagare i contributi previdenziali e assistenziali dovuti dal giorno del li-cenziamento fi no a quello di effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi legali ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo tra la contribuzione che sarebbe stata versata se il rapporto fosse proseguito e quella che è stata già accreditata al lavoratore per lo svolgimento di altre attività (se le gestioni previden-ziali sono diverse, i contributi sono accreditati alla gestione cui era iscritto il lavoratore licenziato, con addebito dei costi a carico del datore di lavoro).

Licenziamenti per motivi fi sici(art. 18, comma 7, nuovo testo)

Defi nizione Licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo intimato per inidoneità fi sica del lavoratore.Presupposti per l’annullamentoSono annullabili i licenziamenti intimati:- inesistenza del motivo oggettivo addotto circa l’inidoneità fi sica o psichica del lavoratore.- in violazione dell’art. 2110 c.c.

Disciplina applicabilePer questi casi si applica integralmente la disciplina prevista per il licenziamento disciplinare con reintegra (comma 4).

– continua –

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128 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

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- segue - NUOVA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI

Licenziamento disciplinareb) senza reintegra

(art. 18, comma 5, nuovo testo)

Presupposti per l’annullamentoIl giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustifi cato motivo soggettivo o della giusta cau-sa, per ragioni diverse da quelle che consentono la reintegra (insussistenza del fatto, illecito punito espressamente con una sanzione conservativa).

SanzionePagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.L’indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti; il Giudice deve motivare l’applicazione di tali criteri.

Licenziamento affetto da vizi formali(art. 18, comma 6, nuovo testo)

Presupposti per l’annullamentoVizio di motivazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, legge n. 604/1966.Vizio della procedura disciplinare ai sensi dell’art. 7 dello Statuto o dell’art. 7 della legge n. 604/1966.

SanzionePagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 6 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.Non c’è reintegra. L’indennità viene calcolata in relazione alla violazione formale o procedurale commessa; il Giudice deve motivare l’applicazione di tale criterio.

Conversione del licenziamentoSe il Giudice accerta che, oltre ai vizi formali, sussiste anche un vizio di giustifi cazione del licenziamen-to, applica le tutele previste dai commi 4, 5 o 7.

Licenziamento c.d. economico(art. 18, comma 7, nuovo testo, art. 7 legge n. 604/1996, nuovo testo)

Defi nizioneLicenziamento intimato per ragioni connesse all’andamento economico dell’impresa o per motivi di carattere organizzativo.

Presupposti per l’annullamentoIl Giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustifi cato motivo oggettivo.

SanzionePagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. L’indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti; il Giudice deve motivare l’applicazione di tali criteri.Inoltre, il Giudice deve tenere conto delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione, e del comportamento tenuto dalle parti nell’ambito della procedura di esame preventivo.

ConversioneSe il licenziamento è “manifestamente infondato” si applica la disciplina del licenziamento disciplinare assistito da reintegra.Se durante il giudizio emerge che il licenziamento era determinato da ragioni discriminatorie o disci-plinari, si applicano i relativi regimi sanzionatori.

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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6.1.3 Licenziamento discriminatorio

Si fa comunemente riferimento al solo licenziamento discriminatorio quale motivo di appli-cazione del più rigido dei regimi sanzionatori, che di fatto coincide con la precedente discipli-na. In realtà, il legislatore, a prescindere dal requisito numerico di lavoratori alle proprie dipendenze, ha previsto l’applicazione della massima sanzione per una serie più ampia di casi elencati nel primo comma del nuovo art. 18:

• licenziamento discriminatorio ai sensi dell’art. 3, L. 11.5.1990, n. 108 (determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato, razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali);• licenziamento della lavoratrice intimato in concomitanza con il matrimonio (vale a dire nel pe-

riodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo la celebrazione, fatta eccezione per i casi di colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa, cessazione dell’attività aziendale, ultimazione delle prestazione per la quale ha avuto luogo l’as-sunzione o risoluzione del rapporto per scadenza del termine);• licenziamento della lavoratrice madre (nel periodo intercorrente tra l’inizio della gravidanza

fi no al compimento di un anno del bambino e nel periodo di fruizione del congedo parentale o per malattia del bambino - quest’ultima disposizione applicabile anche al lavoratore padre - ec-cetto per i casi di colpa grave della lavoratrice/lavoratore costituente giusta causa, cessazione dell’attività aziendale, ultimazione della prestazione per la quale ha avuto luogo l’assunzione o risoluzione del rapporto per scadenza del termine, esito negativo della prova);• licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge;• licenziamento per motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c.;• licenziamento dichiarato ineffi cace perché intimato in forma orale.

Sanzione per il licenziamento discriminatorio - Il Giudice, conseguentemente all’accerta-mento che il licenziamento del lavoratore è riconducibile a una delle predette fattispecie, ne dichiara la nullità ordinando al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore e stabilendo un risarcimento del danno in favore del lavoratore commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fi no a quello dell’effettiva reintegra, il quale non potrà essere inferiore a cinque mensilità, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali relativi a tale periodo (co. 2, art. 18, St. Lav.).

Differenze con la disciplina precedente - Rispetto alla vecchia disciplina, il legislatore in-troduce esplicitamente la possibilità per il datore di lavoro (invero già prevista dalla giurispru-denza) di dedurre dall’indennità risarcitoria quanto percepito dal lavoratore nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum) (com. 2, art. 18, St. Lav.). Esattamente come previsto anche prima dell’entrata in vigore della riforma, fermo restando il diritto al risarcimento, il lavoratore avrà la possibilità di chiedere in sostitu-zione della reintegra un’indennità pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto da ultimo percepita. Si noti che la nuova versione dell’art. 18 stabilisce espressamente che tale indennità non è soggetta al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, così colmando un vuoto legislativo (co. 3, art. 18, St. Lav.).

Indennità sostitutiva della reintegra - Un’ulteriore novità è stata introdotta dal legislatore ri-spetto alla richiesta di indennità risarcitoria da parte del lavoratore in alternativa della reintegra,

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130 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

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ponendo fi ne ad un orientamento giurisprudenziale non sempre uniforme in relazione all’effi cacia reale od obbligatoria di tale richiesta. In base alla nuova disciplina la richiesta dell’indennità di quindici mensilità in sostituzione della reintegrazione da parte del lavoratore determina co-munque la risoluzione del rapporto (co. 3, art. 18, St. Lav.). Cambiano leggermente anche i ter-mini entro i quali poter chiedere tale indennità sostitutiva della reintegrazione, che diventano 30 giorni dalla data antecedente tra l’invito del datore a riprendere servizio e la comunicazione del deposito della sentenza, decorsi i quali il rapporto si intende risolto (co. 1 e 3, art. 18, St. Lav.).

Licenziamento discriminatorio dei dirigenti - L’impianto sanzionatorio relativo ai casi di licenziamento discriminatorio si applica, per espressa previsione di legge, anche ai dirigenti (co. 1, art. 18, St. Lav.).

LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

FATTISPECIE DI LICENZIAMENTO

NUOVA TUTELA PRECEDENTE TUTELA AMBITO DI APPLICAZIONE

• determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato, razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o ba-sata sull’orientamento sessuale o sulle convin-zioni personali

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tutte le retribuzioni per-se con un minimo di cinque mensilità, detratti i redditi per-cepiti altrovein alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, in-dennità pari a quin-dici mensilità

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tutte le retribuzioni perse con un minimo di cin-que mensilitàin alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, inden-nità pari a quindici mensilità

tutti i datori di lavo-ro a prescindere dal numero di dipendenti alle loro dipendenzedirigenti licenziati

• intimato in concomi-tanza con il matrimonio

• intimato nel periodo intercorrente tra l’i-nizio della gravidanza fi no al compimento di un anno del bambino e nel periodo di fruizio-ne del congedo paren-tale o per malattia del bambino

• riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge

• per motivo illecito de-terminante ai sensi dell’art. 1345 c.c.

• intimato in forma orale

6.1.4 Licenziamento disciplinare

Muta radicalmente il quadro normativo in relazione alle tutele previste nelle ipotesi del c.d.

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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licenziamento disciplinare, vale a dire il licenziamento intimato per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. ovvero per giustifi cato motivo soggettivo ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966, a seguito del procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 Stat. Lav. È possibile riferire questa categoria a 3 differenti gruppi di fattispecie ai quali fanno capo altrettanti blocchi sanzionatori:

a) insussistenza del fatto contestato ovvero il fatto contestato rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa;

b) altre ipotesi fuori da quelle descritte sub (a) nelle quali non ricorrono gli estremi di giusta causa e giustificato motivo soggettivo;

c) vizi della procedura di cui all’art. 7 Stat. Lav.

Reintegrazione sul posto di lavoro sommata a indennità risarcitoria - La nuova norma preve-de che la reintegra del lavoratore possa essere disposta dal giudice nei soli casi in cui venga ac-certata l’insussistenza del fatto contestato che ha determinato la sanzione espulsiva comminata dal datore di lavoro ovvero il fatto contestato rientri tra le condotte punibili con una sanzione con-servativa sulla base delle previsioni dal contratto collettivo o dal codice disciplinare applicabili (co. 4, art. 18, St. Lav.). Per Trib. Bologna del 15 ottobre 2012, per “fatto” si intende il fatto giuridico, nella sua componente oggettiva e nella sua componente inerente all’elemento soggettivo, e non invece il solo “fatto materiale”Nei casi sopradetti il giudice annulla il licenziamento, condanna il datore di lavoro alla reintegra e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto in misura non superiore a dodici mensilità (co. 4, art. 18, St. Lav.). L’introduzione di un tetto massimo per l’indennità risarcitoria accessoria alla reintegra alleggeri-sce notevolmente la posizione del datore di lavoro che abbia illegittimamente licenziato un lavora-tore per giusta causa o giustifi cato motivo soggettivo, essendo tale indennità in precedenza colle-gata alla lunghezza del processo e dunque indeterminabile. Scompare altresì l’obbligo di corrispondere un minimo di cinque mensilità a titolo di indennità risarcitoria, attribuendo al giudi-ce ampia discrezionalità per la quantifi cazione del risarcimento al lavoratore.

RIFORMA FORNERO: LA PRIMA PRONUNCIA SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Paolo Pizzuti - Associato di diritto del lavoro - Avvocato in RomaIl Tribunale di Bologna, con ordinanza 15 ottobre 2012, interviene sulle nuove regole introdotte dalla ri-forma Fornero in materia di licenziamento disciplinare, esaminando gli aspetti più dibattuti dell’istitutoIl fatto storico che ha dato origine al licenziamento disciplinare consiste in uno scambio di e-mail tra un superiore gerarchico e il ricorrente, scambio che - dopo la promessa del dipendente di consegnare un lavoro entro una certa data (“confi do per martedì 24 luglio di avere i rilievi con le tempistiche di modifi ca dei programmi”) - si concludeva con un botta e risposta polemico tra le parti (il superiore gerarchico re-plicava nel seguente modo: “Non devi confi dare. Devi avere pianifi cato l’attività, quindi se hai dato come data il 24.7, deve essere quella la data di consegna dei dati. Altrimenti indichi una data diversa, che non è confi dente ma certa, per favore”; ed il lavoratore replicava che “Parlare di pianifi cazione nel Gruppo è come parlare di psicologia con un maiale, nessuno ha il minimo sentore di cosa voglia dire pianifi care una minima attività in questa azienda. Pertanto, se Dio vorrà, per martedì 24.7.2012, avrai tutto quello che ti serve”). Seguiva il licenziamento per giusta causa e poi il relativo contenzioso.Nell’ordinanza in commento, il Tribunale di Bologna rileva preliminarmente che “la qualifi cazione e la va-lutazione di tale fatto, come di qualunque fatto storico, richiede la contestualizzazione del fatto medesimo e la sua collocazione nel tempo, nello spazio, nella situazione psicologica dei soggetti operanti, nonché nella sequenza degli avvenimenti e nelle condotte degli altri soggetti che hanno avuto un ruolo nel fatto storico in esame e nelle condotte anteatte e nelle condotte post factum dei protagonisti “, e conclude, proprio basandosi sulla valutazione complessiva del fatto storico in questione, per la “scarsa rilevanza offensiva” ed il “modestissimo peso disciplinare” dell’episodio.

– continua –

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Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - RIFORMA FORNERO: LA PRIMA PRONUNCIA SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

In particolare, nell’effettuare tale valutazione, il Tribunale prende in considerazione una serie di elementi, quali: la mancanza di precedenti disciplinari del lavoratore; la circostanza che la sua risposta non era stata “pronunciata a freddo, in maniera pensata e deliberata, nell’ambito di un’aggressione verbale preordinata e fi nalizzata a ledere il prestigio aziendale “ bensì “in un evidente momento di disagio” conseguente allo stress lavorativo; infi ne, la circostanza che tale frase era stata scritta a fronte e nell’immediatezza della mail del superiore gerarchico, il cui contenuto sarebbe stato, secondo il Tribunale, “palesemente ed inutilmente denigratorio e contenutisticamente offensivo della professionalità del soggetto cui era diretta”.Il giudice, quindi, ha accolto il ricorso e - come si vedrà infra - ha disposto la reintegrazione del lavoratore ai sensi della nuova disciplina dell’art. 18, comma 4, St. lav.Le problematiche del licenziamento disciplinare nel nuovo art. 18 St. lav.La cd. riforma Fornero ha modifi cato, tra le altre cose, le sanzioni per il licenziamento disciplinare privo di giustifi cazione, prevedendo che il giudice disponga la reintegra soltanto nell’ipotesi di “insussistenza del fatto contestato” o qualora “il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili “; in tutti gli altri casi, invece, è previ-sta una sanzione indennitaria (art. 18, comma 5, St. lav.) (1).Il nuovo art. 18 St. lav., a distanza di pochi mesi dall’entrata in vigore, ha già sollevato un vivace dibattito (2), ed è stato sottoposto a critiche severe da una parte della dottrina (3).Ad ogni modo, ragionando de iure condito, appare chiara l’intenzione del legislatore di modulare la sanzione in base al grado di responsabilità del datore di lavoro che ha adottato il licenziamento, punendo con la reintegrazione soltanto chi agisce con mala fede o colpa grave (4). La tutela reale, infatti, viene prevista quando il comportamento contestato è “insussistente”, cioè non vero in pun-to di fatto (5) o comunque pretestuoso (6). Viceversa, si applica l’indennità risarcitoria quando il fatto viene accertato ma non risulta di gravità tale da fondare la sanzione espulsiva (che risulta quindi sproporzionata rispetto all’infrazione).In altre parole, non vi è reintegrazione quando il datore di lavoro è caduto in errore nel valutare la gravità del fatto addebitato al dipendente. Peraltro, tale errore non può rilevare se dovuto a colpa grave (o addirittura a dolo), sicché il fatto privo di rilevanza disciplinare o comunque manifesta-mente insuffi ciente a giustifi care il licenziamento deve essere equiparato al fatto insussistente (7).

(1) Come è noto, tale disciplina riguarda soltanto le aziende che ricadono nell’area di applicazione dell’art. 18 St. lav., mentre per le aziende minori l’apparato sanzionatorio in caso di licenziamento ingiustifi cato non è mutato.(2) Sono già numerosi i contributi dottrinali sull’argomento: A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Torino, Giappichelli, p. 41 ss.; Id., L’ingiustifi catezza qualifi cata del licenziamento: fattispecie e oneri probatori, in Dir. rel. ind., 2012, n. 3, p. 621 ss.; A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifi che dell’art. 18 statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p. 1 ss.; F. Carinci, Complimenti, dottor Frankenstein: Il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in Lav. giur., 2012, p. 529 ss.; Id., Il legislatore e il giudice: l’imprevidente innovatore e il prudente conservatore, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, Il dibattito sulla riforma italiana del mercato del lavoro, 2012, unict.it; F. Liso, Le norme in materia di fl essibilità in uscita nel disegno di legge Fornero, ivi; M. Papaleoni, Prime considerazioni critiche sul progetto di riforma del mercato del lavoro: “Mons tre-muit, et mus parietur”, ivi; B. Caruso, Per un ragionevole, e apparentemente paradossale, compromesso sull’art. 18: riformarlo senza cambiarlo, ivi; S. Magrini, Quer pasticciaccio brutto (dell’art. 18), in Arg. dir. lav., 2012, p. 535 ss.; P. Ichino, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, Relazione al Convegno del Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano”, Pescara, 11 maggio 2012, in http://www.pietroichino.it/?p=21020; C. Cester, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime rifl essioni, in Arg. dir. lav., 2012, p. 547 ss.; C. Pisani, L’ingiustifi catezza qualifi cata del licenziamento: convincimento del giudice e onere della prova, in Mass. giur. lav., 2012, p. 741; M. Marazza, L’art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Arg. dir. lav., 2012, p. 622; V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p. 521 ss.(3) V. in particolare le incisive osservazioni di S. Magrini, op. cit., 535 ss. e di F. Carinci, Il legislatore e il giudice, cit., p. 1 ss.(4) Cfr. A. Vallebona, L’ingiustifi catezza qualifi cata..., cit., p. 621-622, secondo cui la tutela reale è prevista solo quando il da-tore di lavoro “abbia resistito in giudizio con mala fede o colpa grave appunto nella consapevolezza del proprio torto (art. 96 c.p.c.)”.(5) Cfr. A. Vallebona, La riforma..., cit. 57.(6) V. A. Maresca, op. cit., p. 23, secondo cui le ipotesi in cui si applica la tutela reale “si caratterizzano per un tratto unifi cante individuabile nell’assoluta pretestuosità del licenziamento, poiché il fatto materiale che lo avrebbe dovuto giustifi care si pale-sa del tutto inesistente o, quanto meno, è tale da dover essere ricondotto, con sicurezza, tra quelle infrazioni punibili con una sanzione conservativa per espressa previsione”.(7) A. Vallebona, La riforma.., cit., p. 57: “Se il fatto contestato risulta vero, ma è manifestamente insuffi ciente (appunto il”torto marcio” di cui si è detto) a giustifi care il licenziamento, ad esempio intimato per un vero ritardo di pochi minuti, ricorre un caso di frode alla legge (art. 1344 c.c.) per eludere la tutela reale sancita per l’ipotesi di fatto insussistente, con la conseguente applicazione di questa tutela appunto prevista dall’art. 18, comma 4”. V. anche C. Pisani, op. cit., p. 744.

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

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- segue - RIFORMA FORNERO: LA PRIMA PRONUNCIA SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

La medesima logica sembra sottesa alla disposizione che stabilisce l’applicazione della tutela reale quando “il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili “. Qui, infatti, l’errore di valutazione del datore di lavoro non è scusabile “proprio perché è stato risolto a monte il problema del collegamento tra il comportamento del dipendente e la sanzione applicabile” (8). Ne consegue logicamente che l’applicazione della sanzione aggravata dovrebbe presupporre “la sicura e certa conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoro, della tipizzata insuffi cienza del fatto a giustifi care il licenziamento” (9).Il che induce ad escludere la possibilità di effettuare interpretazioni estensive o analogiche della disciplina del contratto collettivo o del codice disciplinare.Infatti, se l’infrazione non è prevista direttamente dal contratto ma viene ricondotta in via inter-pretativa (dal giudice) in una ipotesi da esso tipizzata, l’errore del datore di lavoro che non ha compiuto correttamente tale processo interpretativo torna ad essere scusabile, con la conse-guente applicazione della tutela indennitaria (e non di quella reale) (10).I motivi della decisioneCome si è visto, nel caso in esame, a fronte di un fatto storico documentato e non contestato (consistente nello scambio di mail tra le parti, ed in particolare nell’ultima risposta polemica del lavoratore), il giudice riteneva non fondata la giusta causa di licenziamento e conseguentemente sproporzionata la sanzione espulsiva infl itta al dipendente.A questo punto, sembrava naturale che il Tribunale di Bologna, verifi cata la “sussistenza del fat-to contestato “ e la sua insuffi cienza a supportare il licenziamento, applicasse de plano la nuova tutela indennitaria prevista dal comma quinto dell’art. 18 St. lav.Ed invece, il giudice ha ritenuto che, nel caso di specie, sussistessero entrambe le ipotesi di in-giustifi catezza qualifi cata previste dallo stesso art. 18 (comma 4) per l’applicazione della tutela reale.Quanto alla “insussistenza del fatto contestato”, si legge nell’ordinanza che la previsione nor-mativa farebbe “necessariamente riferimento al cd. Fatto giuridico, inteso come il fatto global-mente accertato, nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo “; viceversa, una interpretazione che facesse riferimento al solo “fatto materiale” sarebbe “palesemente in violazione dei principi generali dell’ordinamento civilistico, relativi alla diligenza ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo “ (anche perché, prosegue la decisione, potrebbe condurre ad applicare la sanzione indennitaria nel caso di com-portamenti privi dell’elemento psicologico o addirittura dell’elemento della coscienza e volontà dell’azione). Il fatto, quindi, dovrebbe considerarsi “insussistente” non soltanto quando non si è materialmente verifi cato, ma anche quando non presenta rilevanza disciplinare per mancanza dell’elemento soggettivo da parte del lavoratore (11).Tuttavia, si può osservare che, nel caso di specie, è stato lo stesso Tribunale ad attribuire al fatto contestato un “peso disciplinare”, peso considerato “modestissimo”, ma soltanto all’esito di una valutazione complessiva che ha tenuto conto di diversi fattori contingenti (la mancanza di prece-denti disciplinari e, soprattutto, lo stato psicologico del lavoratore, sottoposto a forte pressione per le incombenti scadenze lavorative ed esposto al comportamento asseritamente offensivo da parte del superiore gerarchico).Dunque il fatto contestato, pur tenendo conto della sua componente soggettiva (che qui ha at-tenuato la gravità dell’infrazione), diffi cilmente poteva essere apprezzato come “insussistente”, anche perché sempre il Tribunale lo ha valutato sussistente immediatamente dopo, collocandolo nella ipotesi di insubordinazione (lieve) prevista dal contratto collettivo applicato (v. infra).

(8) Così A. Maresca, op. cit., p. 30.(9) A. Vallebona, L’ingiustifi catezza qualifi cata..., cit., p. 623.(10) Anche in questo caso, peraltro, l’errore non deve essere dovuto a colpa grave (o dolo) del datore di lavoro, sicché si applicherà la tutela reale quando tra il fatto contestato e quello previsto dal contratto collettivo (o dal codice disciplinare) vi sono soltanto differenze di contorno.(11) In questo senso v. V. Speziale, op. cit., p. 552-553.

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134 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - RIFORMA FORNERO: LA PRIMA PRONUNCIA SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Più in generale, si può osservare che se la scelta del legislatore è stata quella di modulare la san-zione per il licenziamento ingiustifi cato in base al grado di responsabilità del datore di lavoro (pu-nendo con la reintegra soltanto i casi di insussistenza del fatto contestato), la valutazione circa tale responsabilità implica certamente di “allargare l’occhio al contesto di supporto, cioè al quando, dove e come si svolge, non potendo pensarlo come un qualcosa sospeso nel nulla” (12).Tuttavia, ciò non autorizza a scambiare gli elementi oggettivi e soggettivi necessari per valutare la sussistenza della giusta causa (e la proporzionalità del licenziamento rispetto all’infrazione) con i presupposti che il legislatore individua per stabilire il tipo di sanzione da irrogare; ond’è che la semplice ingiustifi catezza del recesso, per mancanza di proporzionalità, non consente di applicare la sanzione della reintegra se non ricorre il requisito (più grave) della insussistenza del fatto con-testato (13) (opinando diversamente, si rischia, come ha avvertito la dottrina, di “produrre la madre di ogni incertezza, quale data dalla delegittimazione della stessa fonte regolativa”) (14).Né appare fondato il timore di una violazione “dei principi generali dell’ordinamento civilistico”, poiché nel nostro sistema la sanzione della reintegrazione non è costituzionalmente obbligata, sicché - salva la regola della giustifi cazione necessaria del licenziamento - è nella facoltà del legi-slatore ordinario di modulare le tutele in base ai criteri normativi ritenuti più opportuni (15).Quanto, infi ne, alla questione della tipizzazione dell’infrazione nel contratto collettivo, il Tribunale ha ritenuto che il fatto in questione rientrasse nella norma del Ccnl Metalmeccanici 2008 che re-gola la fattispecie della cd. “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori”.Tale posizione si espone alle osservazioni critiche svolte in precedenza sul punto, poiché il con-tratto collettivo non prevede una precisa tipizzazione del comportamento che ha motivato il reces-so. Di conseguenza, il datore di lavoro per sussumere tale comportamento nell’ipotesi astratta del contratto collettivo avrebbe dovuto effettuare tutte le valutazioni di fatto e di diritto poste in essere dal giudice, anche in merito all’elemento soggettivo della condotta del dipendente, e concludere eventualmente per l’irrogazione di una sanzione conservativa. In questa situazione, però, la nuova normativa sembra sanzionare l’errore di valutazione del datore di lavoro non mediante la reinte-grazione del lavoratore bensì con la corresponsione di un’indennità risarcitoria.

(12) F. Carinci, Il legislatore e il giudice..., cit., p. 4, il quale aggiunge che “...ridurlo a fatto materiale costituisce un autentico non-sense, dato che come tale non esiste in rerum natura”; v. anche Id., Complimenti..., cit., p. 19. Ad esempio, non si esclude che il fatto contestato possa essere considerato del tutto pretestuoso anche qualora il datore di lavoro, pur conoscendoli, non tenga in considerazione i motivi che giustifi cano un certo comportamento del dipendente (ad esempio, il lavoratore che non si presenta al lavoro per condurre in ospedale un parente coinvolto in un sinistro). Al riguardo si v. le osservazioni di C. Cester, op. cit., p. 21, secondo cui “Al di là delle incertezze che la formula normativa inevitabilmente lascia dietro di sé, l’idea di fondo sembra comunque suffi cientemente chiara: il comma 4 e la reintegrazione si applicano quando la procedura disciplinare risulti imbastita sul nulla, o su grossi equivoci, più o meno imputabili al datore di lavoro ma in ogni caso non troppo diffi cilmente accertabili”.(13) Il percorso logico che distingue l’accertamento della giusta causa o del motivo soggettivo rispetto alla verifi ca dei pre-supposti per l’applicazione della tutela reale è illustrato da A. Maresca, op. cit., p. 24 ss. Sul punto v. però la posizione di V. Speziale, op. cit., p. 550 ss.(14) Sono le parole di F. Carinci, Il legislatore e il giudice..., cit., p. 1, nel commentare proprio l’ordinanza del Tribunale di Bo-logna in epigrafe.(15) Corte Cost. 7 febbraio 2000, n. 46, in Foro it., 2000, I, 699.

Guida al Lavoro 2.11.2012, n. 43, pag. 12

Aliunde perceptum e aliunde percipiendum - Dall’indennità risarcitoria potrà essere de-dotto quanto percepito dal lavoratore nel periodo di estromissione per lo svolgimento di al-tre attività lavorative nonché gli importi che il lavoratore avrebbe potuto percepire dedi-candosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (co. 4, art. 18, St. Lav.). Rispetto al licenziamento per motivi discriminatori viene previsto un criterio supplementare di quantifi cazione dell’aliunde perceptum, tale per cui l’inerzia colpevole del lavoratore nel cercare un nuovo lavoro nelle more del processo potrà infl uire sulla misura dell’indennità risarcitoria.

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Contributi previdenziali e assistenziali - Nonostante l’introduzione di un massimale di ri-sarcimento per i due casi sopradetti (insussistenza del fatto contestato e previsione di una sanzione conservativa per lo stesso), il datore di lavoro sarà comunque obbligato al versamen-to dei contributi previdenziali e assistenziali maturati dalla data del licenziamento a quello della reintegra maggiorati dell’interesse legale. Viene tuttavia espressamente esclusa in que-sto caso l’applicazione delle sanzioni per omessa o ritardata contribuzione (co. 4, art. 18, St. Lav.). L’importo dei contributi che il datore di lavoro dovrà versare sarà pari alla differenza tra i contributi che sarebbero maturati nel corso del rapporto illegittimamente risolto e la contri-buzione accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegra (co. 4, art. 18, St. Lav.). La norma precisa che qualora i contributi accreditati dal lavoratore per altre attività lavorative afferisca-no a un’altra gestione, questi verranno imputati direttamente all’attività lavorativa svolta dal dipendente a spese del datore di lavoro (co. 4, art. 18, St. Lav.).

Mancata ripresa del servizio - Come nei casi di licenziamento per motivi discriminatori, il rapporto di lavoro si intenderà risolto qualora il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro a seguito della sentenza che ha disposto la reintegra, salvo il caso in cui lavoratore abbia chiesto l’indennità sostitutiva della reintegra (co. 4, art. 18, St. Lav.).

Reintegra in assenza di norme collettive - Un primo problema interpretativo di questo blocco sanzionatorio si pone di fronte alla possibilità di disporre la reintegrazione del lavora-tore da parte del giudice nel caso in cui il datore di lavoro non applichi nessun contratto collettivo. In tal caso il giudice potrà verosimilmente ricorrere al solo criterio giurisprudenzia-le della proporzionalità della sanzione rispetto al fatto commesso ai fi ni dell’applicazione del corretto regime sanzionatorio. Analoghe diffi coltà potranno sorgere laddove il contratto collet-tivo applicabile, come spesso accade, preveda un’elencazione del tutto esemplifi cativa e sommaria delle condotte punibili con una determinata sanzione ovvero non disponga nulla a tale riguardo. In ogni caso, di fatto la norma rimette alle parti stipulanti i contratti collettivi (nonché alla stessa azienda attraverso il codice disciplinare) un potere molto ampio costituito dalla facoltà di poter tipizzare le fattispecie che possono determinare il licenziamento disci-plinare. Quel che è certo è che la norma sarà tanto più effi cace quanto riceverà supporto dalla contrattazione collettiva. In attesa di trovare un assetto, l’interpretazione giurispruden-ziale sulla possibilità di ascrivere una determinata condotta a una fattispecie tipizzata dal con-tratto collettivo o dal codice disciplinare giocherà un ruolo fondamentale.

Indennità risarcitoria senza reintegra sul posto di lavoro - Fuori dai casi di cui al co. 4, art. 18, St. Lav non potrà invece disporsi la reintegra qualora il giudice accerti che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustifi cato motivo soggettivo addotti dal datore di lavoro a so-stegno della legittimità del licenziamento intimato (co. 5, art. 18, St. Lav.). In tali casi, il giudice dichiarerà risolto il rapporto con effetto dalla data del licenziamento condannando il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata dal giudice da un minimo pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e un massimo di venti-quattro (co. 5, art. 18, St. Lav.) in relazione all’anzianità del lavoratore. Nella determinazione della misura dell’indennità risarcitoria entro i limiti predetti, il giudice dovrà tenere conto dei seguenti parametri con obbligo di specifi ca motivazione al riguardo (co. 5, art. 18, St. Lav.):

• numero dei dipendenti occupati;• dimensioni dell’attività economica;• comportamento e condizioni delle parti.

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136 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Tra le evidenti diffi coltà interpretative della norma vi è sicuramente quella di comprendere quali casi possano determinare l’applicazione di questo ulteriore blocco sanzionatorio. Fatte sal-ve le fattispecie di cui al nuovo co. 4, art. 18, Stat. Lav., sembrerebbe potersi applicare alle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare sia stato comminato in violazione dei principi giurisprudenziali di tempestività della contestazione e proporzionalità della sanzione ovvero qualora il fatto com-messo non costituisca di per sé un illecito disciplinare, ove tuttavia il legislatore non abbia inteso ricomprendere quest’ultima categoria nella fattispecie identifi cata come “insussistenza del fatto contestato” prevista dal co. 4. È palese il benefi cio che il datore di lavoro potrà trarre dall’applica-zione di questa norma dal momento che viene esclusa la reintegrazione del lavoratore e ricono-sciuta l’effi cacia del recesso dal giorno del licenziamento con relativa assenza dell’obbligo di dover versare i contributi successivamente alla data di risoluzione del rapporto.

Licenziamento affetto da vizio procedurale - Un regime diverso è previsto nel caso in cui il li-cenziamento venga dichiarato ineffi cace dal giudice per un vizio della procedura ex art. 7 Stat. Lav. (co. 6, art. 18, St. Lav.). In tali circostanze, il giudice dichiarerà risolto il rapporto alla data del licen-ziamento condannando il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, determinata discrezionalmente in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale con onere di motivazione (co. 6, art. 18, St. Lav.). È previsto che il presente regime sanzionatorio abbia carattere esclusivamente residuale rispetto agli altri regimi in quanto, nell’i-potesi in cui il giudice accerti un difetto di giustifi cazione del licenziamento, applicherà le tutele previste dai co. 4, 5 e 7. Signifi cativo è l’impatto della norma sul ruolo del giudice del lavoro, il quale sarà chiamato a pronunciarsi nel merito delle ragioni giustifi catrici del licenziamento an-che quando riscontri prima facie un difetto di forma o di procedura.

Vizio di motivazione - Le tutele previste dal co. 6 si applicano altresì al licenziamento per violazione del requisito di motivazione previsto dal nuovo art. 2, co. 2, L. 604/1966. Si noti che il riferimento non è soltanto al licenziamento disciplinare ma a ogni categoria di licenziamen-to, salva, anche in questo caso, l’applicazione del relativo regime sanzionatorio in luogo del presente in caso di difetto di giustifi cazione del licenziamento. Con tale disposizione sembra che il legislatore abbia voluto distinguere tra il licenziamento privo di giustifi cazione, e dunque rientrante in una delle tre categorie descritte (discriminatorio, disciplinare o per motivi econo-mici), e il licenziamento che, seppur giustifi cato, sia carente di idonea motivazione. Non es-sendo ben delineato il confi ne tra difetto di giustifi cazione e difetto di motivazione, è probabile che la norma produca in futuro problemi interpretativi e applicativi

- segue - LICENZIAMENTO “DISCIPLINARE”FATTISPECIE DI LICENZIAMENTO

NUOVA TUTELA PRECEDENTE TUTELA A CHI SI APPLICA

• insussistenza del fatto contestato ovvero il fat-to contestato rientra tra le condotte punibili con una sanzione conserva-tiva

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a mas-simo 12 mensilità, detratti i redditi per-cepiti altrove o che il lavoratore avrebbe potuto percepire de-dicandosi con diligen-za alla ricerca di una nuova occupazione

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tutte le retribuzioni perse con un minimo di cin-que mensilità

Datori di lavoro, im-prenditori o non imprenditori, che nell’ambito dello stes-so comune occupano più di 15 dipendenti

– continua –

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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- segue - LICENZIAMENTO “DISCIPLINARE”FATTISPECIE DI LICENZIAMENTO

NUOVA TUTELA PRECEDENTE TUTELA A CHI SI APPLICA

• altre ipotesi nelle quali non ricorrono gli estre-mi di giusta causa e giu-stifi cato motivo sogget-tivo

solo indennità di im-porto variabile tra le 12 e le 24 mensilità

in alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, inden-nità pari a quindici mensilità

Imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti

• vizi della procedura di cui all’ art. 7, Stat. Lav.

solo indennità varia-bile tra le 6 e le 12 mensilità in relazione alla gravità della vio-lazione formale

Datori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze più di 60 dipendenti sul territo-rio nazionale

6.1.5 Licenziamento per motivi economici

La terza categoria di misure sanzionatorie viene comunemente riferita ai licenziamenti “per motivi economici” in quanto comprende le tutele relative ai licenziamenti per giustifi cato motivo oggettivo, vale a dire per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e, dunque, indipendenti dalla condotta del lavora-tore.

Qualora nei casi sopra elencati il giudice accerti il difetto di giustifi cazione del licenziamen-to applicherà le tutele previste dal co. 5. In tali circostanze, il giudice pertanto dichiarerà risolto il rapporto con effetto dalla data del licenziamento condannando il datore di lavoro al pagamen-to di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva da un minimo pari a dodici mensilità dell’ulti-ma retribuzione globale di fatto e un massimo di ventiquattro in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto dei criteri espressamente previsti dal co. 5 (co.5 e 7, art. 18, St. Lav.).

Quali criteri aggiuntivi per la determinazione della misura dell’indennità, diversamente dal caso dei licenziamenti disciplinari, la norma precisa che il giudice terrà conto altresì delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 L. 604/1966 (co. 7, art. 18, St. Lav.).

Manifesta insussistenza - Si noti che il legislatore, correggendo il tiro rispetto alle prime bozze della riforma, ha previsto che, qualora sulla base della domanda formulata dal lavora-tore il giudice nel corso del giudizio determini che il licenziamento è manifestamente insussi-stente, oppure è stato intimato per ragioni discriminatorie o disciplinari (e che dunque l’attri-buzione del motivo oggettivo è meramente fi ttizia) applicherà le tutele previste dall’art. 18 per le rispettive categorie (co. 7, art. 18, St. Lav.).

Nel prevedere tale disposizione il legislatore ha inteso evitare strumentali motivazioni di licenziamento da parte del datore di lavoro volte a ottenere l’applicazione della più lieve disci-plina sanzionatoria. La norma non indica tuttavia a quale delle parti spetti l’onere della prova.

Dal contenuto letterale della norma “qualora nel corso del giudizio, sulla base della do-manda formulata dal lavoratore…” sembrerebbe il lavoratore a dover dimostrare la fondatez-za di tale pretesa. La “riqualifi cazione” del licenziamento rimane in ogni caso un esclusivo potere del giudice rappresentando un’alea la quale molto probabilmente verrà affrontata dai lavoratori licenziati per motivi oggettivi al fi ne di cercare di ottenere una maggiore tutela.

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138 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

LICENZIAMENTO “PER MOTIVI ECONOMICI”FATTISPECIE DI LICENZIAMENTO

NUOVA TUTELA PRECEDENTE TUTELA A CHI SI APPLICA

• motivo oggettivo con-sistente nell’idoneità fi sica o psichica dei la-voratori• licenziamento intimato

in violazione dell’art. 2110 cod. civ. • insussistenza del fatto

posto a base del licen-ziamento per giustifi ca-to motivo oggettivo

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a mas-simo 12 mensilità, detratti i redditi per-cepiti altrove o che il lavoratore avrebbe potuto percepire de-dicandosi con diligen-za alla ricerca di una nuova occupazione

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tutte le retribuzioni perse con un minimo di cin-que mensilità

Datori di lavoro, im-prenditori o non imprenditori, che nell’ambito dello stes-so comune occupano più di 15 dipendenti

• altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustifi cato motivo og-gettivo

solo indennità di im-porto variabile tra le 12 e le 24 mensilità

in alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, inden-nità pari a quindici mensilità

Imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti

• vizi della procedura di cui al nuovo art. 7, legge 604/1966• insuffi ciente motiva-

zione ex art. 2, legge 604/1966,

solo indennità varia-bile tra le 6 e le 12 mensilità in relazione alla gravità della vio-lazione formale

Datori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze più di 60 dipendenti sul territo-rio nazionale

Conciliazione preventiva obbligatoria - L’introduzione della presente procedura rappre-

senta forse l’innovazione più signifi cativa e discussa della nuova disciplina dei licenziamenti. La procedura di conciliazione preventiva si applicherà a tutti i casi di licenziamento per giu-stifi cato motivo oggettivo intimato dai datori di lavoro aventi i requisiti dimensionali di cui al co. 8, art. 18, St. Lav. (co. 1, art. 7, L. 604/1966). Il datore di lavoro che intenda licenziare un lavoratore per giustifi cato motivo oggettivo dovrà inviare una comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera e al lavoratore, conte-nente la dichiarazione di voler procedere al licenziamento per motivi oggettivi e l’indicazione delle relative motivazioni. Il datore di lavoro dovrà indicare altresì le eventuali misure di as-sistenza e ricollocazione del lavoratore interessato (co. 1 e 2, art. 7, L. 604/1966).

Termine per l’espletamento della procedura - Entro 7 giorni (termine perentorio) dalla ricezione della richiesta, la DTL convocherà le parti dinnanzi alla competente commissione di conciliazione territoriale (co. 3, art. 7, L. 604/1966). La convocazione della DTL si intende va-lidamente effettuata se recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o altro domicilio che questi abbia comunicato la datore di lavoro, ovvero consegnata a mani al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta (co. 4, art. 7, L. 604/1966). Le parti potranno farsi assistere avanti alla commissione di conciliazione dalle OO.SS. cui abbiano conferito mandato, da un rappresentante delle RSA/RSU, da un proprio legale di fi ducia ovvero da un consulente del lavoro (co. 5, art. 7, L. 604/1966). Durante la procedura si esamineranno solu-zioni alternative al recesso (co. 6, art. 7, L. 604/1966). Non viene prevista pertanto la possibili-tà in tale sede di entrare nel merito delle motivazioni a sostegno del licenziamento, avendo

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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tale procedura l’unico scopo di valutare eventuali misure che possano evitare o attutire l’im-patto del licenziamento, anche attraverso la promozione della risoluzione consensuale del rapporto. La procedura si concluderà entro 20 giorni dal giorno in cui la DTL ha trasmesso la convocazione o anche prima se le parti di comune accordo riterranno di non dover proseguire la consultazione (co. 6, art. 7, L. 604/1966).

Esito della procedura - In caso di esito positivo della procedura che preveda la risolu-zione consensuale del rapporto, il lavoratore potrà avere accesso all’Aspi. Le parti potran-no altresì prevedere l’affidamento del lavoratore a un’agenzia di cui all’art. 4, co. 1, lett. a) e b), D.Lgs. 10.9.2003, n. 276 al fine di favorirne la ricollocazione professionale (co.7, art. 7, L. 604/1966). In caso di mancato raggiungimento di un accordo per comune volontà delle parti o, in ogni caso, decorso il termine di sette giorni senza che la DTL abbia con-vocato le parti, il datore di lavoro potrà intimare il licenziamento al lavoratore (co. 6, art. 7, L. 604/1966).

Comunicazione del licenziamento - La norma non specifi ca se la comunicazione del licen-ziamento possa essere inviata soltanto successivamente al decorso dei 20 giorni o anche pri-ma qualora venga formalizzato un mancato accordo, facendo genericamente riferimento al momento in cui “fallisce il tentativo di conciliazione”. Nonostante la poco chiara defi nizione di un aspetto così rilevante, in sede di prima interpretazione sembra potersi affermare che il datore di lavoro potrebbe intimare il licenziamento anche prima del decorso dei 20 giorni a seguito di un’intesa con il lavoratore sull’inutilità della prosecuzione delle trattative. Tuttavia, è bene considerare l’ipotesi più prudenziale nell’attesa che un defi nitivo orientamento si con-solidi.

Comportamento delle parti - La norma introduce un riferimento al comportamento che dovranno tenere le parti in sede di conciliazione, desumibile dal verbale redatto dalla commis-sione di conciliazione, nonché dalla proposta conciliativa da questa avanzata, il quale dovrà essere valutato dal giudice in sede giudiziale ai fi ni della determinazione dell’indennità di cui al co. 7, art. 18, St. Lav. e per la condanna alle spese ex artt. 91 e 92 c.p.c. (co. 8, art. 7, L. 604/1966).

Sospensione della procedura - La norma prevede che la procedura possa essere sospesa per un massimo di 15 giorni soltanto nel caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro presso la commissione provinciale di conciliazione (co. 9, art. 7, L. 604/1966).

Effi cacia del licenziamento - La nuova legge ha infi ne previsto che il licenziamento intimato all’esito della procedura di cui all’art. 7 St. Lav. ovvero all’esito della procedura di conciliazione preventiva ex art. 7 L. 604/1966, produrrà i suoi effetti retroattivamente dal giorno della comuni-cazione con cui la procedura è stata avviata, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o all’indennità sostitutiva ai fi ni del quale verrà computato anche il periodo di lavoro svolto durante la procedura (art. 41, L. 28.7.2012, n. 92). L’effetto sospensivo si produrrà invece nei soli casi di maternità della lavoratrice e infortunio sul lavoro. La disposizione rappresenta un correttivo all’impianto normativo originario volta ad evitare che il lavoratore possa mettersi in malattia al fi ne di impedire il perfezionamento del licenziamento nelle more della procedura di consultazione.

Dirigenti - La procedura di conciliazione preventiva non si applica ai dirigenti.

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140 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO E TENTATIVO DI CONCILIAZIONE EX RIFORMA FORNERO Direzione regionale del lavoro Lombardia – Nota 12 ottobre 2012, n . 12886Oggetto: Tentativo di conciliazione ex art. 7, legge n. 604/1966 come modifi cato dall’art. 1, comma 40, legge del 28.6.2012, n. 92. Licenziamento per superamento del periodo di comportoCon riferimento alla problematica rappresentata con la nota, in allegato, prot. n. 8358 dell’1 ottobre 2012 di codesta Dtl, in ordine alla ipotizzata non riconducibilità del licenziamento determinato da «supera-mento del periodo di comporto» alla disciplina dei licenziamenti per giustifi cato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della legge 15 luglio 1966, n. 604, con la conseguente non assoggettabilità della suddetta ipotesi di recesso alle procedure previste per i licenziamenti per giustifi cato motivo og-gettivo dall’articolo 7 della legge n. 604/1966, come modifi cato dall’articolo 1, comma 40 della legge del 28 giugno 2012, n. 92, si rileva quanto segue. L’articolo 7 della legge n. 604/1966, come novellato dall’articolo 1, comma 40 della legge del 28 giugno 2012, n. 92, nel riformare la disciplina dei licenzia-menti individuali, prevede al comma 1 che “ferma l’applicabilità per il licenziamento per giusta causa e per giustifi cato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modifi cazioni deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore”. Nell’ambito della disciplina concernente la giustifi cazione necessaria del licenziamento individuale il legislatore, all’articolo 1 della legge n. 604/1966 ha previ-sto che nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile o per giustifi cato motivo. La medesima legge - all’articolo 3 - provvede a defi nire il giustifi cato motivo, riconducendolo ad un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (articolo 3, prima parte - cd. motivo soggettivo) ovvero a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (articolo 3, seconda parte - cd. motivo oggettivo). Con riguardo alla tematica posta in evidenza da codesta Dtl, si è del parere che il legislatore, con l’articolo 7 della legge n. 604/1966, novellato dall’articolo 1, comma 40 della legge del 28 giugno 2012, n. 92 - nel riferimento alle nuove procedure introdotte per lo svolgimento del tentativo di conciliazione innanzi alle competenti Commis-sioni di conciliazione istituite ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile presso le Direzioni territoriali del lavoro - rinviando espressamente alle ipotesi di licenziamento disciplinate dall’articolo 3, seconda parte, della legge n. 604/1966, abbia inteso circoscriverne l’ambito di applicazione esclusi-vamente a quei licenziamenti intimati per esigenze prettamente aziendali connesse a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.A detto proposito ed al fi ne di sottolineare lo specifi co ambito applicativo (socio-economico-aziendale) che si ritiene caratterizzi le nuove norme, si evidenzia che, limitatamente alle sole ipotesi di licenzia-mento per giustifi cato motivo oggettivo, il novellato articolo 7, comma 2 della legge n. 604/1966 ha pre-visto che il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva da inviare alla Direzione territoriale del lavoro, oltre a dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo ed indicare i motivi del licenziamento medesimo, è tenuto ad individuare le eventuali misure di assistenza alla ri-collocazione del lavoratore e l’articolo 7, comma 7 della medesima legge ha previsto che, nel caso in cui la «conciliazione» abbia esito positivo e si concluda con la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, trovano applicazione le disposizioni riguardanti le nuove misure di sostegno al reddito costituite dall’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) e le eventuali iniziative di sostegno alla ricollocazione pro-fessionale, con affi damento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Ciò precisato, in concordanza con l’orientamento generale espresso sul tema da codesta Dtl e tenuto conto delle specifi che fi nalità della norma, si è del parere che l’ipotesi di recesso determinata dal «superamento del periodo di comporto», espressamente disciplina-to dall’articolo 2119 del codice civile, non integri la fattispecie del licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo così come sopra descritta e non siano, pertanto, da applicare le regole e le procedure previste dalla norma citata in oggetto. In altri termini, l’esame svolto dalle parti, con la partecipazione attiva della Commissione, secondo l’evidente intento del legislatore, deve riguardare essenzialmente l’organizza-zione del lavoro e l’attività produttiva e non già questioni attinenti alla persona del lavoratore. Salvo di-verso avviso della Direzione generale in indirizzo, la presente nota assume valore di indirizzo operativo.

Guida al Lavoro 30.11.2012, n. 47, pag. 27

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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CONCILIAZIONE PREVENTIVA PER LICENZIAMENTO ECONOMICOCONTENUTO DELLA COMUNICAZIONE

SVOLGIMENTOE TERMINI

CONCLUSIONE AMBITO DI APPLICAZIONE

• Il licenziamento “economico” deve essere preceduto da una comunicazione preventiva alla DTL dove ha sede l’uni-ta produttiva, con la quale il datore di la-voro:• comunica l’intenzio-

ne di procedere al licenziamento per motivo oggettivo• indica i motivi del li-

cenziamento• illustra le eventuali

misure di ricolloca-zione in favore del dipendente

DTL convoca le parti en-tro un termine di 7 gior-ni dalla comunicazioneDurante l’incontro pres-so la DTL le parti, con l’eventuale assistenza delle rispettive associa-zioni sindacali, o di un avvocato o di un consu-lente del lavoro, esami-nano eventuali soluzio-ni alternative al recessoLa procedura si con-clude entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione ad opera della DTL, salvo il caso in cui le parti non chie-dano una proroga per arrivare ad un accordoSe il lavoratore ha un legittimo impedimento, la procedura può esse-re sospesa per un mas-simo di 15 giorni

Il licenziamento può essere intimato dopo che è decorso il termi-ne di conclusione del-la procedura o, in ogni caso, se il tentativo di conciliazione fallisceSe la conciliazione si conclude con la riso-luzione consensuale del rapporto, il lavora-tore ha diritto di acce-dere all’ASPI; inoltre, le parti possono pre-vedere l’attivazione di misure di outplace-mentIl licenziamento inti-mato al termine della procedura ha effi cacia dal giorno di avvio del-la procedura stessa, salvo il diritto al pre-avviso o alla indennità sostitutiva, ma i giorni di lavoro svolti si con-siderano come preav-viso lavorato (è fatto salvo l’effetto sospen-sivo delle norme sulla maternità e paternità e quello dovuto agli infortuni sul lavoro)Il comportamento tenuto dalle parti in sede di procedura è valutato dal Giudice ai fi ni della determi-nazione dell’indennità risarcitoria spettante al lavoratore a ai fi n della quantifi cazione delle spese legali

Licenziamento per giu-stifi cato motivo ogget-tivo intimato da:datori di lavoro, im-prenditori o non imprenditori, che nell’ambito dello stes-so comune occupano più di 15 dipendentiimprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendentidatori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze più di 60 dipendenti sul territo-rio nazionale

7.1.6 Licenziamento per motivi fi sici

Nel regime applicabile ai licenziamenti disciplinari con reintegra ricadono anche i licen-ziamenti per motivo oggettivo connessi all’idoneità fi sica o psichica di lavoratori. In particola-

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142 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

re, rientrano nella predetta disciplina i licenziamenti dei lavoratori divenuti inabili allo svolgi-mento delle proprie mansioni a seguito di infortunio o malattia nel caso in cui possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori, ovvero quando a seguito di un aggrava-mento delle condizioni di salute o di signifi cative variazioni nell’organizzazione del lavoro il disabile abbia richiesto l’accertamento della compatibilità delle sue mansioni con il proprio stato di salute, in assenza dell’accertamento della commissione circa la defi nitiva impossibili-tà di reinserire il disabile all’interno dell’azienda (co. 4, art. 4 e co. 3, art. 10, L. 12.3.1999, n. 68). Sempre allo stesso regime, afferiscono i licenziamenti intimati in violazione dell’art. 2110 c.c. (durante la vigenza del periodo di comporto). Per tutti questi licenziamenti, qualora sia accertata la sussistenza di in vizio, si applicano le sanzioni sopra ricordate per i licenziamen-ti disciplinari con reintegra.

LICENZIAMENTO PER MOTIVI FISICI

Defi nizione Licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo intimato per inidoneità fi sica del lavoratore.Presupposti per l’annullamentoSono annullabili i licenziamenti intimati:- inesistenza del motivo oggettivo addotto circa l’inidoneità fi sica o psichica del lavoratore.- in violazione dell’art. 2110 c.c.Sanzione - reintegra sul posto di lavoro.- in aggiunta alla reintegra, pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retri-

buzione globale di fatto, di importo non superiore a 12 mensilità, detratto quanto il lavoratore ha percepito per altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum) e quanto avrebbe potuto percepire cercando con diligenza una nuova occupazione (c.d. aliunde percipiendum).

- pagamento della differenza tra contributi previdenziali e assistenziali dovuti dal giorno del licen-ziamento e quelli già pagati dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività.

6.1.7 Licenziamento affetto da vizi procedurali

Un’altra tipologia di licenziamenti interessata dall’intervento di riforma è quella relativa ai recessi illegittimi non per motivi sostanziali, ma solo a causa di violazione della procedura prevista dall’art. 7 L. 604/1966. Se il giudice accerta che il licenziamento è affetto da questa tipologia di vizio, dichiara risolto il rapporto alla data del licenziamento condannando il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria omnicomprensiva tra un mini-mo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, determi-nata discrezionalmente in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale con onere di motivazione (co. 6, art. 18, St. Lav.). Analogamente al caso di vizio del procedimento disciplinare ex art. 7 Stat. Lav. e di insuffi ciente motivazione ex art. 2 L. 604/1966, è previsto che nell’ipotesi in cui il giudice accerti un difetto di giustifi cazione del licenziamento si appli-cheranno le tutele previste dai co. 4, 5 e 7.

6.1.8 Comunicazione al collocamento

Fermo restando la regola in base alla quale in caso di risoluzione del rapporto il datore di lavoro deve darne comunicazione al Centro per l’impiego entro 5 giorni, la nota ministeriale del 12 ottobre 2012 ha fatto alcune precisazioni:

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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1) in caso di licenziamento per motivi economici e attivazione della procedura conciliativa pre-ventiva i 5 giorni decorrono dalla data di effettiva risoluzione del rapporto e non da quando il licenziamento ha effetto;

2) nel modulo di comunicazione va indicata anche la data di inizio della procedura, sia quella conciliativa preventiva che quella disciplinare.

6.2 Licenziamenti collettivi

Nozione - Il licenziamento collettivo coinvolge contestualmente una pluralità di lavoratori e comporta una soppressione dei posti di lavoro conseguente a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro. Il licenziamento collettivo, quindi, si fonda su ragioni oggetti-ve, che prescindono completamente da eventuali responsabilità del lavoratore. La fattispecie si differenzia dal licenziamento individuale (disciplinato nella L. 15.7.1966 n. 604) e trova una disciplina completa nella L. 23.7.1991, n. 223. Questa legge è stata approvata a seguito di due condanne della Corte di Giustizia Europea con le quali la Corte aveva contestato la mancata attuazione della direttiva CEE 129/1975. Il D.Lgs. 26.5.1997 n.151, emanato in attuazione della direttiva CEE 56/1992, concernente il riavvicinamento della legislazione degli Stati membri relativa ai licenziamenti collettivi, ha parzialmente modifi cato la L. 223/1991. In seguito, il D.Lgs. 8.4.2004, n. 110 ha esteso la disciplina dei licenziamenti collettivi anche ai datori di lavo-ro non imprenditori. La riforma Fornero ha lasciato inalterata la struttura e la procedura del licenziamento, limitandosi ad apportare alcuni correttivi su alcuni specifi ci aspetti che hanno dato luogo a problemi applicativi o contenziosi giudiziali.

Differenza con il licenziamento individuale per giustifi cato motivo oggettivo - Il licenzia-mento collettivo si distingue radicalmente dal licenziamento individuale intimato per giustifi -cato motivo oggettivo. A differenza di questo ultimo, con cui ha in comune il fatto di essere causato da motivi non inerenti la persona del lavoratore, il licenziamento collettivo si fonda su presupposti di natura numerica e temporale. Da ciò deriva che il licenziamento viene irrogato senza il rispetto dei presupposti legali e non può essere ricondotto alla fattispecie del licenzia-mento individuale plurimo, ma si confi gura come ipotesi illegittima di licenziamento collettivo (Cass. 15.1.2003, n. 535 e Cass. 6.7.2000 n. 9045). Inoltre, il licenziamento collettivo si distin-gue dal licenziamento individuale per giustifi cato motivo oggettivo per essere caratterizzato dall’indispensabile controllo preventivo di parte sindacale rispetto al ridimensionamento del-la struttura aziendale operato dall’impresa datrice di lavoro (Cass. 13182/2003).

Ambito di applicazione - La L. 223/1991 si applica solo alle imprese che occupano più di 15 dipendenti. Per evitare elusioni e frodi al requisito dimensionale dei 15 dipendenti, si aggiunge anche un requisito temporale. L’organico da prendere come riferimento non è quello presente al momento dell’intimazione del licenziamento, ma è quello occupato in media nel semestre precedente la data di avvio della procedura.

Comunicazione preventiva - Il licenziamento collettivo costituisce il momento fi nale di una procedura complessa a formazione progressiva, che risulta essere composta da una serie di atti

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in sequenza legale, defi nita negli artt. 4 e 24 L. 223/1991. Il primo di questi atti è la comunicazio-ne preventiva e per iscritto da parte del datore di lavoro alle rappresentanze sindacali azienda-li, costituite ai sensi dell’art. 19 Stat. Lav., e alle rispettive associazioni di categoria, dell’intenzio-ne di procedere a licenziamenti collettivi. Tale comunicazione deve essere inviata anche alle rappresentanze sindacali unitarie, laddove costituite. In mancanza, la comunicazione deve es-sere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappre-sentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effet-tuata per il tramite dell’associazione dei datori di lavoro alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato. Nell’ipotesi in cui in azienda siano costituite solo alcune RSA (o, addirittura, una sol-tanto), l’obbligo della comunicazione può ritenersi assolto con l’effettuazione delle relative co-municazioni, senza necessità dell’inoltro delle stesse alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative. La comunicazione deve, necessariamente, avve-nire in forma scritta e ha come obiettivo quello di rendere integralmente informate le organizza-zioni sindacali circa la situazione prospettata dal datore di lavoro, per permettere loro di propor-re eventuali iniziative atte ad evitare o a limitare gli esiti della crisi aziendale.

Contenuto della comunicazione - Il co. 3, art. 4, L. 233/1991 dispone che la comunicazione deve indicare i seguenti elementi:

LICENZIAMENTO PER MOTIVI FISICI

• motivi che determinano la situazione di eccedenza;• motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non potere adottare misure idonee

a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento;• numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente, nonché del per-

sonale abitualmente impiegato;• tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; • eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione

del programma medesimo;• calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigen-

te e dalla contrattazione collettiva (da intendersi come esposizione di criteri oggettivi per even-tuali erogazioni aggiuntive ai lavoratori in esubero, in modo da escludere eventuali successive scelte arbitrarie).

La comunicazione alle organizzazioni sindacali non può essere generica ma deve contene-re dettagliate indicazioni. Non è previsto un particolare metodo di invio o di consegna della comunicazione che, pertanto, può avvenire con le modalità più diverse (consegna a mano, raccomandata a/r, ecc.); in caso di contestazione, resta in capo al datore di lavoro l’onere di provare l’avvenuto recapito ai destinatari (Cass. 12.11.2001, n. 14014).

Comunicazione incompleta prima della Riforma Fornero - Prima dell’approvazione del-la riforma Fornero, la mancata indicazione di alcuni (o anche di uno soltanto) dei punti sopra elencati poteva infi ciare la validità della procedura. Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, la comunicazione corrispondeva a un preciso obbligo preventivo che non poteva es-sere sanato a posteriori (Cass. 9.9.2003, n. 13196; Cass. S.U. 15.10.2002, n. 14616; Cass. S.U. 13.8.2002, n. 12194; Cass. 18.7.2001, n. 9743; Cass. 13.11.2000, n. 14679).

Possibilità di sanare i vizi della comunicazione dopo la Riforma Fornero - Al fi ne di atte-nuare il rigore formale, la L. 92/2012 ha precisato che gli eventuali vizi della comunicazione

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preventiva possono essere sanati mediante accordo collettivo, siglato in corso di procedura. Questa precisazione consentirà di superare gli orientamenti sopra ricordati, impedendo di in-validare la procedura qualora le parti sociali hanno deciso di sanare eventuali vizi, formali o sostanziali, della comunicazione di avvio.

Versamento INPS - Alla comunicazione di avviso deve essere allegata copia della ricevuta del versamento all’INPS a titolo di anticipazione della somma pari a 9 volte il trattamento iniziale di sostegno al reddito per ciascun lavoratore che si intende licenziare. Le imprese non soggette al regime della cassa integrazione guadagni straordinaria, diverse da quelle edili, sono escluse da tale forma di pagamento. Ai sensi del co. 4, art. 4, L. 233/1991 copia della comunicazione e della ricevuta di versamento devono essere contestualmente inviate alla Direzione del Lavoro presso la Regione. È importante precisare che l’omesso pagamento di tale anticipazione non è causa di sospensione della procedura. Il co. 3, art. 4, L. 233/1991 precisa, infi ne, che l’importo dovuto è ridotto a 3 volte (al posto di 9) nell’ipotesi di accordo sindacale, mentre il co. 5, art. 5, L. 233/1991 prevede, per le imprese che reperiscano offerte di lavoro a tempo indeterminato a favore di lavo-ratori in esubero, l’esonero del pagamento delle rate non ancora scadute.

Esame congiunto - Il co. 5, art. 4, L. 233/1991 dispone che, entro 7 giorni dalla data di rice-vimento della comunicazione, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle ri-spettive associazioni, si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e la possibilità di utiliz-zazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme fl essibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione del personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualifi cazione e la riconver-sione dei lavoratori licenziati. Il D.Lgs. 151/1997 ha dato facoltà ai rappresentanti sindacali di farsi assistere, in sede di esame congiunto, da esperti. La procedura di esame congiunto deve ispirarsi a principi di correttezza e buona fede; pertanto nel corso degli incontri, devono esse-re fornite informazioni complete e precise (Cass. 19.2.2000, n. 1923; Cass. 23.9.1999, n. 10368). L’esame congiunto può avvenire anche in forma orale, e non esiste un obbligo di verbalizzazio-ne. Il co. 6, art. 4, L. 233/1991 prevede che la procedura di esame congiunto deve essere esau-rita entro 45 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione dell’impresa (ridotti alla metà, ai sensi del co. 8, art. 4, L. 233/1991 qualora il numero dei lavoratori interessati dalla procedura di licenziamento sia inferiore a 10). I termini di durata massima della consultazione sono stabiliti nell’interesse del datore di lavoro che, qualora lo ritenga necessario, può prolun-garli senza infi ciare i successivi, eventuali, licenziamenti (Cass. 3.3.2001, n. 3125).

Comunicazione dell’esito dell’esame congiunto - L’impresa, ai sensi del co. 6, art. 4, L. 233/1991 deve comunicare per iscritto alla Direzione del Lavoro presso la Regione il risultato della consultazione e i motivi del suo eventuale esito negativo. Analoga comunicazione scritta può essere inviata alle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Per l’assolvimento di tale onere, non è previsto alcun termine. La comunicazione di esito negativo fatta al sindacato non solleva il datore di lavoro dall’onere regionale (Cass. 30.10.1997, n. 10716), mentre il raggiungimento dell’accordo rende irrilevante l’eventuale omessa comunicazione (Cass. 20.11.1996, n. 10187).

Mancato accordo - Ai sensi del co. 7, art. 4, L. 233/1991, qualora non sia stato raggiunto l’accordo, la Direzione del Lavoro presso la Regione deve convocare le parti al fi ne di un ulte-riore esame, anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo. Tale ulteriore esame deve comunque esaurirsi entro 30 giorni (ridotti a 15, nell’ipotesi in cui i licenziamenti

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previsti sono meno di 10) dal ricevimento da parte della Direzione del Lavoro della comunica-zione dell’impresa di esito negativo del primo incontro.

Contenuto dell’eventuale accordo - L’eventuale accordo sindacale può prevedere il rias-sorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, e può stabilire, anche in deroga al secondo comma, art. 2103 c.c., la loro assegnazione a mansioni diverse o inferiori da quelle svolte. Può inoltre prevedere, ai sensi dell’art. 8 L. 236/1993, il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad un’altra per una durata temporanea (disposizione, questa ultima, richiamata e fatta salva dall’art. 30, co. 4, D.Lgs. n. 276/2003). I lavoratori interessati possono rifi utare il demansionamento, ma si espongono ad un possibile licenziamento.

Fine lavori - La procedura sopra descritta (comunicazione, esame congiunto ed eventuale accordo) non trova applicazione, ai sensi del co. 14, art. 4, L. 233/1991 nel caso di eccedenze determinate da fi ne lavori nelle imprese edili e nelle attività stagionali o saltuarie, nonché per lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato.

Criteri di scelta - Ai sensi dell’art. 5, co. 1, L. 223/1991, l’individuazione dei lavoratori da licenziare è riservata al datore di lavoro, che deve effettuarli in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai con-tratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4, co. 2, L. 233/1991, ovvero, in mancanza, nel rispetto dei seguenti criteri legali, in concorso tra loro, cioè i carichi di famiglia, l’anzianità e le esigenze tecnico-produttive ed organizzative. In conseguenza di tale previsione, si può affermare che nel licenziamento collettivo, a differenza di quanto avviene nel licenziamento per giustifi cato motivo oggettivo (anche plurimo), l’identità dei lavoratori da licenziare non è conosciuta fi n dall’inizio, poiché la scelta di tali lavoratori avviene sul personale indistintamen-te considerato ed individuato in base a tali criteri.

Onere della prova sulla corretta applicazione dei criteri di scelta - Ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere della prova della corretta applicazione dei criteri di scelta grava sul datore di lavoro. Sull’applicazione di tale principio esistono però, in giurisprudenza, vari orientamenti. Secondo una prima tesi, l’onere probatorio si attiva a seguito della semplice contestazione da parte del lavoratore circa la corretta applicazione dei criteri di scelta (Cass. 20.11.2000, n. 14968). Sulla base di un’opposta interpretazione, è il lavoratore che deve elencare gli elementi fattuali a lui inerenti, precisando i nominativi dei lavoratori a lui illegittimamente preferiti (Cass. 6.7.2000, n. 9045). Secondo una interpretazione intermedia spetta al datore di lavoro allegare i criteri di scel-ta utilizzati e dimostrare la concreta applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati; grava, invece, sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illegittimità della scelta, indicando i lavoratori in relazione ai quali tale applicazione risulti illegittima (Cass. 15.2.2001, n. 2188; Cass. 26.9.2000, n. 12711). Sull’applicazione dei criteri di scelta, infl uiscono alcune norme di legge, che tutelano specifi che categorie di lavoratori. Devono essere, infatti, presi in considerazione:

LICENZIAMENTO PER MOTIVI FISICI

• l’art. 15 Stat. Lav., che vieta il licenziamento dovuto alle ragioni ideologiche elencate dalla norma;• l’art. 10, co. 4, L. 68/1999, secondo cui il licenziamento per riduzione del personale esercitato nei

confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente è annullabile qualora, cessato il rapporto di lavoro, il numero dei lavoratori occupati obbligatoriamente rimasti in servizio sia inferiore alla quota di riserva;

– continua –

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- segue - LICENZIAMENTO PER MOTIVI FISICI

• l’art. 54 D.Lgs. 151/2001, che vieta nel periodo protetto il licenziamento delle lavoratrici, rispet-tivamente, gestanti e puerpere, nubendi e neo-coniugate;• l’art. 6, co. 5-bis, L. 236/1993 (che ha aggiunto il periodo finale del co. 2, art. 5 L. 223/1991), in

base al quale l’impresa non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale della stessa manodopera occupata in riferimento alle mansioni prese in consi-derazione.

In ogni caso comunque, ai sensi dell’art. 8, co. 2, L. 236/1993, nell’attuazione dei licenzia-menti collettivi devono essere garantiti i principi di non discriminazione diretta ed indiretta, di cui alla L. 125/1991.

Intimazione del licenziamento - Ai sensi del co. 9, art. 4, L. 233/1991 dopo aver raggiunto l’accordo sindacale o dopo che si è esaurita negativamente la procedura dell’esame congiunto (che può durare, come visto, non più di 82 giorni, 7 più 45 più 30), il datore di lavoro può proce-dere con la comunicazione per iscritto dei licenziamenti, nel rispetto dei termini di preavviso.

Comunicazione alla regione prima e dopo la Riforma Fornero - Prima dell’approvazione della Riforma Fornero, la legge poneva in capo al datore di lavoro l’obbligo di inviare alla Dire-zione Regionale del Lavoro, alla Commissione regionale permanente tripartita di cui all’art. 5 D.Lgs. 469/1997 e alle associazioni sindacali, contestualmente alle lettere di licenziamento, l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifi ca, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scel-ta. L’adempimento di questo obbligo era inteso in senso molto rigoroso dalla giurisprudenza, che spesso ha invalidato delle procedure di licenziamento in caso di ritardo anche limitato a un solo giorno. La L. 92/2012, per ridurre l’impatto di questo vizio meramente formale, modifi ca i tempi di invio all’uffi cio pubblico del lavoro della lista dei lavoratori licenziati. La nuova nor-ma assegna all’impresa un termine di 7 giorni dalla data di comunicazione del licenziamento per inviare la lista del personale licenziato, in modo da evitare queste problematica.

Sanzioni per il licenziamento collettivo ingiustifi cato - La Riforma Fornero coordina alcu-ne norme della L. 223/1991 con il nuovo regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti individuali.

Assenza di forma scritta - Il licenziamento intimato all’esito di una procedura di riduzione del personale, senza forma scritta, è soggetto alle regole del licenziamento discriminatorio (art. 5, co. 3), e quindi è sanzionato con la reintegra e il pagamento di un risarcimento pari a tutte le retribuzioni che sarebbero spettate dal recesso sino alla ripresa del lavoro.

Violazione criteri di scelta - Invece, in caso di violazione dei criteri di scelta, si applica il regime del licenziamento disciplinare con reintegra (art. 5, co. 3), e quindi il lavoratore ha diritto di ottenere sia riammissione nel posto di lavoro, sia il pagamento di un’indennità di importo non superiore a 12 mensilità.

Vizio di procedura - Meno rigida è la sanzione per i casi in cui il licenziamento sia viziato a causa del mancato rispetto di una o più procedure di licenziamento collettivo; in tale ipotesi, si

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applica il regime del licenziamento disciplinare senza reintegra (art. 5, co. 3), e quindi al la-voratore spetta solo un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti; il Giudice deve motivare l’applicazione di tali criteri.

SANZIONI PER LICENZIAMENTI COLLETTIVI ILLEGITTIMIFATTISPECIE NUOVA TUTELA PRECEDENTE TUTELA AMBITO DI APPLICAZIONE

• non osservanza del-la forma scritta

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tutte le retribuzioni perse con un minimo di 5 men-silità, detratti i redditi percepiti altrovein alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, indennità pari a 15 mensilità

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a tut-te le retribuzioni perse con un mini-mo di 5 mensilità

in alternativa alla reintegra, a scelta del lavoratore, indennità pari a 15 mensilità

datori di lavoro con più di 15 dipendenti che ef-fettuino almeno 5 licen-ziamenti nell’arco di 120 giorni in conseguenza di una riduzione o trasfor-mazione di attività o di lavoro

• violazione delle procedure previste dall’art. 4, legge 223/91

solo indennità di im-porto variabile tra le 12 e le 24 mensilità

• violazione dei criteri di scelta

Reintegrazione sul posto di lavoro e in-dennità pari a mas-simo 12 mensilità, detratti i redditi per-cepiti altrove o che il lavoratore avrebbe potuto percepire de-dicandosi con dili-genza alla ricerca di una nuova occupa-zione.

6.3 Impugnazione dei licenziamenti

6.3.1 Impugnazione stragiudiziale

Impugnazione stragiudiziale dei licenziamenti individuali - L’art. 6 L. 604/1966 pone in capo al lavoratore che intenda contestare la legittimità del licenziamento l’onere di manife-stare espressamente la volontà di impugnare il recesso datoriale, nel termine di 60 giorni dalla comunicazione del recesso. Tale volontà si deve esplicare attraverso un’impugnazione scritta del provvedimento che deve pervenire, a pena di decadenza, al datore nel termine di 60

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giorni dalla ricezione del provvedimento che dispone il licenziamento. Il mancato utilizzo del-la forma scritta non consente di ritenere validamente proposta l’impugnazione, con la conse-guenza che questa risulta ineffi cace al fi ne di evitare la decadenza (c.d. forma scritta ad sub-stantiam). Oltre alla forma scritta, la legge non prescrive altre formalità; pertanto, l’impugnativa può essere proposta sia in sede giudiziale che stragiudiziale. Non sono, inoltre, richiesti particolari oneri circa il contenuto della contestazione, che deve limitarsi a far com-prendere con chiarezza la volontà del lavoratore di impugnare il provvedimento di licenzia-mento adottato dal datore di lavoro.

IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

raccomandata a/rdata

Spett. [datore di lavoro]….

Con la presente impugno il licenziamento comunicatomi con lettera del ....., da me ricevuta il suc-cessivo ....., in quanto infondato e/o ingiustifi cato (ovvero intimato in violazione della procedura ex art. 7, legge 604/66) e, comunque, illegittimo.

Vi invito a revocare senza ritardi il suddetto provvedimento comunicando la mia disponibilità a riprendere servizio con effetto immediato.

Distinti saluti

Firma del lavoratore

.....

Impugnazione stragiudiziale dei licenziamenti collettivi dopo la Riforma Fornero - La L. 92/2012 ha modifi cato l’art. 5, co. 3, L. 223/1991, stabilendo che il licenziamento collettivo deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della sua co-municazione in forma scritta, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a ren-dere nota la volontà del lavoratore di contestare la validità del licenziamento, anche attra-verso l’intervento dell’organizzazione sindacale di appartenenza o cui conferisce mandato; nei successivi 180 giorni, il recesso collettivo deve essere impugnato in giudizio, sempre a pena di decadenza.

Decadenza - La mancata impugnazione del licenziamento nel termine di 60 giorni dall’in-timazione preclude al lavoratore la possibilità di chiedere ed ottenere le tutele apprestate dalla L. 604/1966 e dallo Statuto dei lavoratori (quindi, a seconda della disciplina applicabile, la tutela reale o la tutela obbligatoria). Ciò non signifi ca, tuttavia, che il licenziamento non impugnato entro il termine di decadenza sia da considerare necessariamente legittimo. Il la-voratore che incappa nella decadenza può sempre esperire una normale azione risarcitoria, in base ai principi generali della responsabilità contrattuale o extra- contrattuale, facendo valere i relativi presupposti, necessariamente diversi da quelli previsti dalla normativa sui licenzia-menti. Egli dovrà pertanto dimostrare di avere subito un danno derivante da fatto illecito o da inadempimento del datore di lavoro; ove fornisca tale prova, potrà ottenere il risarcimento del danno subito (Cass. 10.1.2007, n. 245).

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Natura recettizia dell’impugnazione - L’impugnazione ha natura giuridica di atto unilate-rale ricettizio e, pertanto, produce i suoi effetti solo quando viene portato a conoscenza del datore di lavoro. Tuttavia, secondo un principio fondamentale del nostro ordinamento, desumi-bile dai principi sulla mora credendi, nonché dall’art. 1335 c.c. e dall’art. 138 c.p.c., il rifi uto di ricevere la comunicazione da parte del lavoratore non può risolversi a danno del datore di la-voro; per cui l’eventuale rifi uto di ricevere l’atto scritto di licenziamento non impedisce il per-fezionarsi della relativa comunicazione (Cass. 12.11.1999, n. 12571).

Acquiescenza - L’acquiescenza alla risoluzione del rapporto e la rinuncia a impugnare il licenziamento non possono essere desunte dal fatto che il lavoratore abbia rilasciato quietan-za a saldo di ogni diritto conseguente alla risoluzione del rapporto di lavoro, risolvendosi tale atto in una dichiarazione di scienza priva di qualsiasi valore negoziale (Cass. 26.7.1996, n. 6759). Allo stesso modo, la mera accettazione del trattamento di fi ne rapporto, non accom-pagnata da alcuna riserva, non può essere interpretata come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dall’illegittimità del licenziamento. Infatti, non sussiste alcuna incompatibilità logica e giuridica tra l’accettazione del trattamento di fi ne rapporto e la volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, al fi ne di conseguire l’ulteriore diritto alla rias-sunzione o al risarcimento del danno (Cass. 21.3.2000, n. 3345).

Soggetti legittimati a proporre l’impugnazione - Secondo l’impostazione prevalente della giurisprudenza, l’impugnazione rappresenta un tipico atto di natura personale e deve recare, a pena di nullità, la sottoscrizione del lavoratore stesso. La legge prevede che l’impugnazione possa essere presentata anche da un rappresentante sindacale, appartenente all’organizza-zione cui lo stesso lavoratore aderisca, all’uopo autorizzato ex lege. Si discute circa la validità dell’impugnazione proposta dal solo legale del licenziato. In tal caso è richiesta dalla legge la necessaria sussistenza di una procura scritta, in assenza della quale trova applicazione la di-sciplina del falsus procurator con possibilità, quindi, per il lavoratore di ratifi care l’operato dello stesso legale.

6.3.2 Impugnazione giudiziale

Termine per l’esperimento dell’azione giudiziale dopo la Riforma Fornero - Una volta osservato il termine previsto dall’art. 6 L. 604/1966, con l’impugnazione stragiudiziale del li-cenziamento, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo deve essere proposta (a pena di effi cacia dell’impugnazione originaria) entro un ulteriore ter-mine. Questa termine di decadenza è stato introdotto dalla L.183/2010 che ha modifi cato il co. 2, art. 6, L. 604/1966, ed è stato modifi cato dalla riforma Fornero. In base alla L. 92/2012, l’impugnazione del licenziamento è ineffi cace se non è seguita entro 180 giorni (il precedente termine era di 270 giorni) dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del lavoro ov-vero dalla richiesta di tentativo di conciliazione e arbitrato introdotto dalla L. 183/2010 (co. 2, art. 6, L. 604/1966). Alternativamente il lavoratore potrà, sempre nei successivi 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale, comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conci-liazione o arbitrato; nel caso in cui la conciliazione o l’arbitrato siano rifi utati o non si sia rag-giunto l’accordo, il lavoratore potrà presentare ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro entro, a pena di decadenza, 60 giorni dal rifi uto o dal mancato accordo.

Licenziamenti fondati su questioni relative alla qualifi cazione del rapporto - I termini di cui sopra si applicano anche qualora il licenziamento presuppone la risoluzione preventiva di questioni relative qualifi cazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

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al contratto. Tale disposizione trova applicazione in relazione alla cessazione dei contratti a tempo determinato verifi catesi a decorrere dall’1.1.2013 (art. 1, co. 12, L. 92/2012); per le cessazioni intervenute prima, continua ad applicarsi la vecchia regola.

Rito accelerato per l’impugnazione dei licenziamenti - Al fi ne di dare completezza alla revisione della disciplina in materia licenziamenti, la riforma Fornero ha introdotto una im-portante novità nell’ambito della procedura processuale da seguire in caso di controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 20.5.1970, n. 300 anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro. Il nuovo testo legislativo ha dato così vita all’interno del rito del lavoro, già per sua natura rito speciale rispetto all’ordinario rito processuale regolante il processo civile ordina-rio, ad un rito speciale applicabile solo in caso di impugnativa di licenziamenti e per questio-ni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro. Le ragioni che hanno portato a tale inno-vazione processuale sono state individuate dal Governo nella necessità di accelerare e snellire il processo del lavoro in caso di licenziamenti nell’interesse tanto del lavoratore che del datore di lavoro. La L. 92/2012 almeno formalmente ha cercato di raggiungere tale obiettivo senza ledere in alcun modo le prerogative proprie del processo del lavoro, da sempre legato all’ac-certamento della verità materiale, consentendo di realizzare in ogni caso una istruzione vera e propria della causa, eliminando solamente le formalità non essenziali all’instaurazione di un pieno contraddittorio e accorciando le tempistiche processuali.

Proposizione della domanda - Il nuovo processo del lavoro si apre con la proposizione della domanda, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento o questioni relative alla qualifi cazione del rapporto di lavoro, tramite ricorso, avente tutti i requisiti previsti dall’art. 125 c.p.c., al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro (art. 1, co.48, L. 92/2012). Questa fase non costituisce un percorso alternativo per il lavoratore che intende procedere all’impugnativa giudiziale del licenziamento ma rappresenta, al contrario, una strada obbligata per il lavora-tore seppur a carattere preferenziale.

Differenza con il ricorso d’urgenza - Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina il lavoratore che intendeva impugnare un licenziamento poteva decidere se percorrere la via del processo “ordinario” del lavoro o quella alternativa del procedimento di urgenza ex art. 700 e ss. del codice di procedura civile dovendo in tal caso dimostrare, per potervi accedere, la presenza nel caso specifico dei requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris. Oggi, invece, il lavoratore che intende impugnare giudizialmente un licenzia-mento ha un’unica e vantaggiosa possibilità che ha le caratteristiche del procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c ma che consente al ricorrente di accedervi senza la necessità di dimostrare il requisito del periculum in mora. Il periculum, che sottende, insieme al fumus, all’accoglimento del provvedimento di urgenza, nel caso che ci occupa è già stato valutato dalla legge; l’urgenza è stata infatti considerata intrinseca alla materia del contendere. In altre parole il legislatore ha considerato l’urgenza come un elemento caratterizzante del-le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 20.5.1970, n. 300 e questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavo-ro; ritendo quindi l’urgenza in re ipsa in tali controversie il legislatore l’ha considerate meritevoli di usufruire di una via privilegiata che consente di addivenire ad una pronuncia certa in tempi rapidi. Per il Tribunale di Bari (ord. 17 ottobre 2012) il nuovo giudizio som-mario abbrevia i termini del procedimento ordinario e quindi, pur non essendo incompati-bili con quelli cautelari (art. 700 c.p.c.), il giudice dovrà valutare con maggiore attenzione l’accoglimento di una domanda cautelare.

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152 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Avvio e svolgimento del rito sommario - Il rito sommario inizia con il deposito di un ricor-so al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro che, nella prima fase di urgenza, “deve avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c.”. La norma infatti non fa altro che richiamare la necessità che il ricorso possegga quegli elementi che sono comuni a tutti gli atti giudiziali, senza nulla ag-giungere. Ci si chiede se il ricorso debba possedere anche i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c.; qualora la risposta fosse negativa non si capisce come, nel caso in cui le parti non abbiano indicato in modo specifi co i mezzi di prova, il giudice possa procedere alla prima udienza agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti.

Fissazione della prima udienza - In seguito alla presentazione del ricorso il Giudice al quale viene assegnata la causa fi ssa con decreto la data per l’udienza di comparizione delle parti. Tale prima udienza, in un’ottica di celerità del processo, deve essere fi ssata non oltre 40 giorni dal deposito del ricorso. Con il decreto di fi ssazione dell’udienza il Giudice assegna alla parte ricorrente un termine non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza per la notifi ca alla controparte del ricorso e del decreto stesso e assegna alla resistente un termine non inferio-re a 5 giorni prima dell’udienza ai fi ni della sua costituzione.

Costituzione del convenuto - Il convenuto, in assenza di indicazioni, probabilmente dovrà costituirsi in giudizio redigendo una memoria ai sensi dell’art. 416 c.p.c.

Notifi ca del ricorso - Per quanto riguarda le modalità con le quali la parte ricorrente può effettuare la notifi ca alla controparte, la nuova normativa, sempre al fi ne di snellire il proces-so, dispone che la notifi ca può essere perfezionata anche per mezzo di posta elettronica cer-tifi cata.

Adempimenti di cancelleria - Altra novità che viene introdotta parallelamente alla riduzio-ne dei termini per la fi ssazione dell’udienza e per la costituzione è legata proprio alla necessi-tà di consentire allo stesso tempo alla parti di velocizzare gli adempimenti burocratici presso le cancellerie per ottenere copia dei documenti allegati rispettivamente al ricorso e alla me-moria di costituzione. A tal fi ne la nuova normativa dispone che qualora le parti, in allegato ai rispettivi atti, producono dei documenti, questi devono essere allegati in duplice copia al mo-mento del deposito.

Svolgimento della prima udienza - Compiuti tutti gli adempimenti necessari per la costituzio-ne, il Giudice, alla prima udienza, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al con-traddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richie-sti dalle parti o disposti d’uffi cio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c. (art. 1, co. 49, L. 92/2012).

Ordinanza - Al termine di tale prima fase del giudizio di primo grado il Giudice provvede con una ordinanza immediatamente esecutiva all’accoglimento o al rigetto della domanda. L’ordi-nanza emessa dal Giudice ha effi cacia esecutiva e non può essere sospesa o revocata fi no alla eventuale pronuncia della sentenza con cui, come si vedrà meglio in seguito, il Giudice della seconda eventuale fase del primo grado di giudizio defi nisce la controversia innanzi allo stesso proposta (art. 1, co. 50, L. 92/2012). Qualora invece l’ordinanza non venga impugnata, la stessa passa in giudicato tra le parti divenendo in tal modo defi nitiva.

Opposizione contro l’ordinanza che ha deciso il ricorso sommario - Contro l’ordinanza pronunciata dal Giudice della prima fase del giudizio di primo grado, può essere proposta

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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opposizione con ricorso, contenente tutti i requisiti richiesti dall’art. 414 c.p.c., allo stesso Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto (art. 1, co. 51, L. 92/2012). Il ricorso deve essere presentato a pena di decadenza entro 30 giorni dalla notifi cazione dell’ordinanza op-posta o dalla sua comunicazione qualora questa sia anteriore. Con tale ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle relative ai licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/1970 anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualifi cazio-ne del rapporto di lavoro, salvo che le stesse domande siano fondate su identici fatti costituiti-vi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si in-tende essere garantiti.

Fissazione udienza di discussione - Una volta depositato il ricorso il Giudice fi ssa con de-

creto l’udienza di discussione non oltre i successivi 60 giorni e assegna all’opposto un termine per costituirsi fi no a 10 giorni prima dell’udienza. Il ricorso e il decreto di fi ssazione dell’udien-za devono essere notifi cati dall’opponente all’opposto almeno 30 giorni prima della data fi s-sata per la sua costituzione; sempre nell’ottica di velocizzare e semplifi care il processo, la notifi ca può essere effettuata per mezzo di posta elettronica certifi cata (art. 1, co. 52, L. 92/2012).

Costituzione del convenuto - Ricevuta la notifi ca, l’opposto si costituisce in giudizio me-diante il deposito in cancelleria della memoria di costituzione redatta a norma dell’art. 416 c.p.c. e nel rispetto delle decadenze nello stesso previste. Qualora poi l’opposto intenda chia-mare in causa un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella memoria di co-stituzione (art. 1, co. 53, L. 92/2012).

Chiamata del terzo e domanda riconvenzionale - In tale ultimo caso e nell’ipotesi in cui il giudice disponga la chiamata in causa del terzo, lo stesso fi ssa una nuova udienza entro i suc-cessivi 60 giorni e dispone che siano notifi cati al terzo, ad opera delle parti, il provvedimento di fi ssazione dell’udienza, il ricorso introduttivo e l’atto di costituzione dell’opposto entro 30 giorni prima della data fi ssata per la costituzione del terzo stesso (art. 1, co. 54, L. 92/2012). Il terzo chiamato in causa deve a sua volta costituirsi non meno di 10 giorni prima dell’udienza depositando la sua memoria di costituzione redatta ai sensi dell’art. 416 c.p.c. (art. 1, co. 55, L. 92/2012). Nel caso in cui invece la domanda riconvenzionale non sia fondata su fatti costitutivi identici a quelli posti alla base della domanda principale il giudice disporrà la separazione dei giudizi.

Prima udienza - Compiuti tutti gli adempimenti necessari alla costituzione delle parti, il Giudice alla prima udienza, sentite la parti e omessa ogni formalità non essenziale al contrad-dittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rile-vanti richiesti dalle parti nonché disposti d’uffi cio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c. (art. 1, co. 57, L. 92/2012). Prima dell’udienza di discussione il Giudice può, qualora lo ritenga opportuno, asse-gnare alle parti un termine fi no a 10 giorni prima dell’udienza per il deposito di note difensive.

Sentenza - Conclusa la seconda fase del primo grado di giudizio, il Giudice provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda. Sempre nel rispetto dei principi che hanno ispirato l’introduzione di questo rito speciale, la nuova normativa dispone che il Giudice deve depositare in cancelleria la sentenza completa di motivazione entro 10 giorni dall’udien-za di discussione. Tale sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce altresì titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 1, co. 57, L. 92/2012).

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154 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

Reclamo in Corte di Appello: Entro 30 giorni dalla comunicazione o notifi cazione della sentenza di primo grado se anteriore è ammesso reclamo, da presentarsi con ricorso, innanzi alla Corte d’Appello; in mancanza invece di comunicazione o notifi cazione della sentenza si applicano i termini di cui all’art. 327 c.p.c. (art. 1, co. 58 e 61, L. 92/2012).

Mezzi di prova - In questo secondo grado di giudizio, non sono ammessi nuovi mezzi di prova o nuovi documenti salvo che il Collegio, anche d’uffi cio, li ritenga indispensabili per la decisione ovvero la parte dimostri di non averli potuti proporre in primo grado per causa alla stessa non imputabile (art. 1, co. 59, L.92/2012).

Fissazione e svolgimento udienza - In seguito alla presentazione del ricorso la Corte d’Appello, con decreto, fi ssa l’udienza di discussione nei successivi 60 giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fi no a 10 giorni prima dell’udienza (art. 1, co. 60, L. 92/2012). Il ricorso e il decreto di fi ssazione dell’udienza devono essere notifi cati dall’opponente all’op-posto, anche a mezzo di posta elettronica certifi cata, almeno 30 giorni prima della data fi ssa-ta per la sua costituzione. Alla prima udienza la Corte d’Appello può sospendere l’effi cacia della sentenza oggetto di reclamo qualora ricorrano dei gravi motivi; successivamente sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritie-ne più opportuno agli atti di istruzione ammessi e se lo ritiene necessario assegna termine alle parti per il deposito di note difensive fi no a 10 giorni prima dell’udienza di discussione (art. 1, co. 60, L. 92/2012).

Sentenza conclusiva dell’appello - La Corte d’Appello al termine del giudizio di secondo grado provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda e, sempre nel rispet-to del principio di celerità del processo che governa l’intervento di riforma, tale sentenza deve essere depositata in cancelleria, completa di motivazione, entro 10 giorni dall’udienza di di-scussione.

Ricorso in Cassazione - Contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello può essere pro-posto ricorso davanti alla Corte di Cassazione entro, a pena di decadenza, 60 giorni dalla co-municazione della stessa o dalla notifi cazione se anteriore, in mancanza, invece, di comunica-zione o notifi cazione della sentenza si applicano i termini di cui all’art. 327 c.p.c. (art. 1, co. 62 e 64, L. 92/2012). La Corte di Cassazione, sempre al fi ne di accelerare la defi nizione del giudi-zio, è tenuta a fi ssare l’udienza di discussione non oltre 6 mesi dalla proposizione del ricorso (art. 1, co. 63, L. 92/2012).

Sospensione sentenza - La sospensione dell’effi cacia della sentenza emessa dalla Corte d’Appello, ai sensi del co. 62, art. 1, L. 92/2012 deve essere richiesta alla stessa Corte d’Appel-lo, che la concede qualora ricorrano gravi motivi. Come è facile osservare, il fatto che sia as-segnata alla stessa Corte d’Appello la decisione sulla sospensione dell’effi cacia di una senten-za dalla stessa emessa, rende ancora più rigoroso, per la parte che la richiede, l’onere di provare la presenza di quei “gravi motivi” che sottendono alla concessione della stessa.

Entrata in vigore del nuovo rito - Al fi ne di evitare di creare una sovrapposizione di norma-tive con conseguente confusione per le parti, i loro difensori e gli stessi organi giudicanti, la legge Fornero prevede espressamente che le novità dalla stessa introdotte in ambito proces-suale si applicano esclusivamente alle controversie instaurate successivamente alla data di entrate in vigore della legge (art. 1, co. 67, L. 92/2012).

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Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

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Misure volte a garantire l’effettività del nuovo rito - Risolto espressamente dalla norma-tiva il problema dell’effi cacia delle novità processuali si pone poi la questione relativa al con-trollo sulla effettiva applicazione delle innovazioni introdotte; proprio per risolvere tale pro-blematica e scongiurare le conseguenze negative per l’amministrazione della giustizia e per le parti che potrebbero derivare dalla scarsa o non corretta applicazione della normativa, la L. 92/2012 prevede espressamente che i capi degli uffi ci giudiziari sono tenuti a vigilare sull’os-servanza delle nuove regole e in particolare sulla applicazione del nuovo rito a tutte le contro-versie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge stessa. Inoltre, sempre al fi ne di realizzare gli obiettivi di celerità processuale, la Riforma prevede che alla trattazione delle controversie relative ai licenziamenti devono essere riservati particolari gior-ni nel calendario delle udienze; anche in questo caso la vigilanza sull’effettivo rispetto di tale disposizione normativa è devoluta ai capi degli uffi ci giudiziari (art. 1, co. 65 e 66, L. 92/2012).

NUOVO PROCESSO DEL LAVOROFASI E GRADI DEL PROCEDIMENTO

COME, QUANDO E A CHI SI PROPONE LA DOMANDA

FISSAZIONE DELL’UDIENZA E TERMINI PER LE PARTI

PROVVEDIMEN-TO DELL’ORGANO GIUDICANTE

EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO

Prima fase di ur-genza del giudi-zio di primo gra-do

La domanda si propone con ri-corso, avente i requisiti di cui all’art, 125 c.p.c., al Tribunale in funzione di Giudi-ce del Lavoro

Il Giudice fi ssa l’udienza en-tro 40 giorni dal deposito del ri-corso e assegna al ricorrente un termine per la notifi ca del ri-corso non inferi-re a 25 giorni pri-ma dell’udienza e un termine non inferiore a cin-que giorni prima dell’udienza per la costituzione del resistente.

Il Giudice provve-dere con ordinan-za.

L’ordinanza è im-mediatamente esecutiva e non può essere so-spesa o revocata fi no alla pro-nuncia emessa dal Giudice della seconda fase del primo grado di giudizio.

Seconda fase eventuale del giudizio di primo grado

Contro l’ordinan-za emessa dal Giudice della fase d’urgenza può essere proposta opposizione, din-nanzi allo stesso Tribunale che ha emesso il provve-dimento opposto, entro 30 giorni dalla notifi cazione dello stesso o dal-la comunicazione se anteriore.

Il Giudice fi ssa con decreto l’u-dienza di discus-sione nei suc-cessivi 60 giorni dal deposito del ricorso e asse-gna all’opposto termine per co-stituirsi fi no a 10 giorni prima dell’udienza. Il ricorso e il de-creto devono es-sere notifi cati al

Il Giudice provve-de con sentenza. La sentenza, completa di mo-tivazione, deve essere deposita-ta in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza di di-scussione.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costi-tuisce titolo per l’iscrizione di ipo-teca giudiziale.L’effi cacia di tale sentenza può es-sere sospesa in caso di reclamo in Corte d’Appello, dalla stessa Corte qualora sussista-no gravi motivi.

– continua –

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156 Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento

Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni

- segue - NUOVO PROCESSO DEL LAVORO

FASI E GRADI DEL PROCEDIMENTO

COME, QUANDO E A CHI SI PROPONE LA DOMANDA

FISSAZIONE DELL’UDIENZA E TERMINI PER LE PARTI

PROVVEDIMEN-TO DELL’ORGANO GIUDICANTE

EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO

L’opposizione si propone con ri-corso ai sensi dell’art. 414 c.p.c.

dall’opponente all’opposto al-meno 30 giorni prima della data fi ssata per la sua costituzione.

Il Reclamo innan-zi alla Corte d’Ap-pello

Contro la sen-tenza del Giudi-ce della seconda fase del giudizio di primo grado è ammesso recla-mo innanzi alla Corte d’Appello. Il reclamo si propo-ne con ricorso da depositare a pena di decadenza en-tro 30 giorni dalla comunicazione o notifi cazione della sentenza se anteriore.

La Corte d’Ap-pello fi ssa con decreto l’udienza di discussione entro nei suc-cessivi 60 giorni dal deposito del ricorso e as-segna termine all’opposto per costituirsi fi no a 10 giorni prima dell’udienza. Il ricorso e il de-creto devono es-sere notifi cati al dall’opponente all’opposto al-meno 30 giorni prima della data fi ssata per la sua costituzione.

La Corte d’Appel-lo provvede con sentenza. La sentenza, completa di mo-tivazione, deve essere deposita-ta in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza di di-scussione.

L’effi cacia della sentenza emes-sa dalla Corte d’Appello potrà essere sospesa dalla stessa Cor-te d’Appello qua-lora venga pre-sentato ricorso in Cassazione e sussistano gravi motivi.

Ricorso in Corte di Cassazione

Contro la senten-za emessa dalla Corte d’Appello può essere pro-posto ricorso in Cassazione. Il ri-corso deve esse-re depositato, a pena di decaden-za, entro 60 gior-ni dalla comu-nicazione della sentenza o dalla notifi cazione se anteriore.

La Corte fi ssa l’udienza di di-scussione entro 6 mesi dal depo-sito del ricorso.

La Corte di Cas-sazione provvede con sentenza.La L. 92/2012 non fi ssa un termine per il deposito della sentenza e delle motivazioni.

L’effi cacia della sentenza è defi -nitiva.

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GUIDA PRATICA RIFORMA: NOVITÀ E PRIME APPLICAZIONI

INDICE GENERALE

di Giampiero Falasca

pag. pag.

Capitolo 1 - Contratto a tempo determinato .......11.1 Novità della riforma ...............................11.2 Obbligo di indicazione della causale .....81.3 Limiti di durata ....................................151.4 Disciplina delle proroghe.....................171.5 Rinnovi e successione contrattuale .....181.6 Limiti quantitativi .................................191.7 Impugnazione del contratto ................201.8 Disciplina del rapporto di lavoro .........221.9 Disciplina previdenziale .......................24

Capitolo 2 - Somministrazione di lavoro ...........252.1 Contratto commerciale di somministrazione di lavoro .................27

2.1.1 Rapporto giuridico di somministrazione ...................272.1.2 Rapporti contrattuali .................282.1.3 Tipologie di somministrazione ....282.1.4 Eliminazione della causale per il primo rapporto in somministrazione ...................30

2.2 Rapporto di lavoro tra il somministrato e l’agenzia ................33

2.2.1 Contratto di somministrazione e contratto di lavoro ....................332.2.2 Durata del rapporto di lavoro in relazione al contratto commerciale di somministrazione ..................342.2.3 Durata massima della somministrazione a tempo determinato ..................342.2.4 Esercizio del potere

direttivo e disciplinare ...............362.2.5 Trattamento economico e normativo del lavoratore

somministrato ...........................372.2.6 Somministrazione lavoratori

svantaggiati ...............................372.2.7 Indennità di disponibilità .............382.2.8 Estinzione del rapporto di lavoro ....38

2.2.9 Proroga del contratto di lavoro nella somministrazione ... 392.2.10 Crediti del lavoratore .................392.2.11 Salute e sicurezza sul lavoro .....39

2.3 Formazione e ammortizzatori sociali ..402.4 Regime sanzionatorio ..........................41

2.4.1 Linee guida del sistema sanzionatorio .............................41

2.4.2 Effi cacia degli atti di gestione del rapporto ...............42

2.4.3 Esercizio abusivo di attività per cui è richiesta l’autorizzazione ..........................42

2.4.4 Obblighi di comunicazione ..........43

Capitolo 3 - Apprendistato .................................453.1 Evoluzione normativa ..........................453.2 Disciplina della formazione .................47

3.2.1 Apprendistato qualifi cante .........473.2.2 Apprendistato professionalizzante ...513.2.3 Apprendistato di alta formazione e ricerca ...................55

3.3 Rapporto di lavoro dell’apprendista ....563.3.1 Durata del rapporto di lavoro ......563.3.2 Disdetta e periodo di preavviso ..573.3.3 Limite all’assunzione dopo

la riforma Fornero .....................573.3.4 Apprendistato e

somministrazione. Riforma Fornero e Decreto Sviluppo ......58

3.3.5 Regime transitorio delle riforma Fornero ........................58

3.4 Regime sanzionatorio ..........................593.4.1 Perdita degli incentivi ................593.4.2 Presupposti della sanzione ........593.4.3 Responsabilità del datore di lavoro ......................................593.4.4 Ispettori di vigilanza ....................613.4.5 Inadempimento obblighi formativi .....................................613.4.6 Conversione del rapporto ..........61

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Page 161: LA RIFORMA DEL LAVORO - osservatoriolavoro.it · Guida Pratica Riforma: novità e prime applicazioni Capitolo 1 CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO La riforma Fornero apporta alcune modifi

IV

– segue – INDICE GENERALEpag. pag.

3.5 Regime contributivo applicabile ..........62

Capitolo 4 - Part time, lavoro intermittente e lavoro accessorio .....................67

4.1 Part time ..............................................674.1.1 Nozione .....................................674.1.2 Forme di lavoro part time ..........684.1.3 Trattamento del lavoratore part time ...................................694.1.4 Lavoro supplementare ...............704.1.5 Autonomia collettiva ..................724.1.6 Nuova disciplina delle clausole fl essibili ed elastiche nella riforma Fornero ........................................734.1.7 Casi di revoca del consenso introdotti dalla riforma Fornero ................734.1.8 Lavoro a tempo parziale e “doppio lavoro” .......................744.1.9 Mancato rispetto della forma scritta ......................774.1.9 Svolgimento di prestazioni elastiche o fl essibili “di fatto” .....78

4.2 Lavoro intermittente ............................794.2.1 Nozione .....................................794.2.2 Casi di legittimo ricorso al lavoro intermittente

prima della riforma Fornero ......794.2.3 Innovazioni introdotte dalla riforma Fornero .........................80

4.2.4 Entrata in vigore della riforma ...894.2.5 Forme di lavoro intermittente ....894.2.6 Ruolo della contrattazione collettiva ....................................894.2.7 Divieti di ricorso al lavoro intermittente ..............................90

4.3 Lavoro accessorio ................................924.3.1 Lavoro accessorio nella riforma Biagi ......................924.3.2 Lavoro accessorio dopo la riforma Fornero .............924.3.3 Lavoro accessorio in agricoltura 924.3.4 Committenti pubblici .................934.3.5 Percettori di ammortizzatori sociali ........................................934.3.6 Pagamento delle prestazioni ......934.3.7 Rideterminazione delle aliquote 934.3.8 Lavoro accessorio e reddito degli immigrati ..........................944.3.9 Lavoro accessorio e obblighi di sicurezza ................94

Capitolo 5 - Lavoro a progetto, partite iva, associazione in partecipazione e appalti ...........95

5.1 Lavoro a progetto .................................955.1.1 Evoluzione normativa ..................955.1.2 Disciplina del rapporto ................965.1.3 Clausole particolari .....................975.1.4 Tutele del collaboratore ..............985.1.5 Esclusioni e regimi particolari ....995.1.6 Regime sanzionatorio ..................100

5.2 Collaborazioni rese da titolari di partita IVA.......................................100

5.2.1 Partite IVA e Riforma Fornero ......1005.2.2 Disciplina del contratto d’opera nel codice civile ............104

5.3 Associazione in partecipazione con apporto di lavoro .........................108

5.3.1 Finalità della Riforma Fornero ....1145.3.2 Caratteristiche della disciplina introdotta dalla Riforma Fornero ..............115

5.4 Appalto ...............................................1175.4.1 Nozione .....................................1175.4.2 Appalto lecito .............................1175.4.3 Regime di responsabilità solidale del committente ...........118

Capitolo 6 - Licenziamenti individuali e collettivi e impugnazione del licenziamento ..123

6.1 Licenziamenti individuali ...................1236.1.1 Obbligo di specifi cazione dei motivi ..................................1236.1.2 Riforma articolo 18 .................1266.1.3 Licenziamento discriminatorio 1296.1.4 Licenziamento disciplinare .....1306.1.5 Licenziamento per motivi economici ...............................1377.1.6 Licenziamento per motivi fi sici .........................1416.1.7 Licenziamento affetto da vizi procedurali ...............................1426.1.8 Comunicazione al collocamento ........................142

6.2 Licenziamenti collettivi ......................1436.3 Impugnazione dei licenziamenti ..............................148

6.3.1 Impugnazione stragiudiziale .....1486.3.2 Impugnazione giudiziale ..........150

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NOTE

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