La rassegna stampa di agosto di Oblique

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«La letteratura è qualcosa che si sente alla prima cucchiaiata» | Giorgio Bassani Alessandro De Nicola, «Libri in vendita: limiti agli sconti e alla libertà» Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2011 3 Nello Ajello, «Bassani e Vittorini, quando gli editori erano letterati» la Repubblica, 3 agosto 2011 4 Maurizio Bono, «Bookfood. Romanzi, vino e focaccia: ecco l’ultima ricetta delle gastro-librerie» la Repubblica, 4 agosto 2011 5 Mario Baudino, «Generazione Tq, la ribellione dei giovani Holden» La Stampa, 4 agosto 2011 7 Andrea Cortellessa, «Vogliamo sputare nel piatto in cui mangiamo» La Stampa, 4 agosto 2011 8 Vito Catalano, «Gallo Nero, storia di una giovane italiana che trionfa a Madrid» il Riformista, 4 agosto 2011 10 Massimo Gaggi, «L’èra delle nuove scritture» Corriere della Sera, 5 agosto 2011 12 Edoardo Petti, «L’ebook riconquista l’Italia con vendite superiori al 300 per cento» il Riformista, 5 agosto 2011 14 Stefania Parmeggiani, «Libri, la vita breve delle novità. Ora in cinque mesi arriva il tascabile» la Repubblica, 9 agosto 2011 15 Antonio Prudenzano, «I grandi gruppi si sfidano sul self-publishing. Da Mondadori a Gems» Affari italiani, 17 agosto 2011 16 Francesca Borrelli, «Protagonisti dell’editoria. Prima che un testo diventi libro» il manifesto, 19 agosto 2011 18 Antonio Franchini, «Un lavoro da samurai» il manifesto, 19 agosto 2011 19 Tim Parks, «L’illusione del romanzo mondo» Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2011 21 La rassegna stampa di agosto 2011 O blique

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“La letteratura è qualcosa che si sente alla prima cucchiaiata” Giorgio Bassani La rassegna stampa di agosto di Oblique. Cos'è successo nel mondo dell'editoria e della cultura ad agosto.

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«La letteratura è qualcosa che si sente alla prima cucchiaiata» | Giorgio Bassani

– Alessandro De Nicola, «Libri in vendita: limiti agli sconti e alla libertà» Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2011 3– Nello Ajello, «Bassani e Vittorini, quando gli editori erano letterati» la Repubblica, 3 agosto 2011 4– Maurizio Bono, «Bookfood. Romanzi, vino e focaccia: ecco l’ultima ricetta delle gastro-librerie» la Repubblica, 4 agosto 2011 5– Mario Baudino, «Generazione Tq, la ribellione dei giovani Holden» La Stampa, 4 agosto 2011 7– Andrea Cortellessa, «Vogliamo sputare nel piatto in cui mangiamo» La Stampa, 4 agosto 2011 8– Vito Catalano, «Gallo Nero, storia di una giovane italiana che trionfa a Madrid» il Riformista, 4 agosto 2011 10– Massimo Gaggi, «L’èra delle nuove scritture» Corriere della Sera, 5 agosto 2011 12– Edoardo Petti, «L’ebook riconquista l’Italia con vendite superiori al 300 per cento» il Riformista, 5 agosto 2011 14– Stefania Parmeggiani, «Libri, la vita breve delle novità. Ora in cinque mesi arriva il tascabile» la Repubblica, 9 agosto 2011 15– Antonio Prudenzano, «I grandi gruppi si sfidano sul self-publishing. Da Mondadori a Gems» Affari italiani, 17 agosto 2011 16– Francesca Borrelli, «Protagonisti dell’editoria. Prima che un testo diventi libro» il manifesto, 19 agosto 2011 18– Antonio Franchini, «Un lavoro da samurai» il manifesto, 19 agosto 2011 19– Tim Parks, «L’illusione del romanzo mondo» Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2011 21

La rassegnastampa di

agosto 2011

Oblique

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Raccolta di articoli pubblicati da quotidiani e periodici nazionali tra il primo e il 31 agosto 2011. Impaginazione a cura di Oblique Studio.

– Filippo La Porta, «L’italiano come scelta» Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2011 23– Massimiliano Parente, «Il vero Marshall McLuhan; aveva previsto (e odiato) tutto il nostro presente» il Giornale, 22 agosto 2011 25– Matteo Codignola, «Cerchiamo opere che parlino al nostro tempo» il manifesto, 23 agosto 2011 27– Stefania Vitulli, «Storie di (stra)ordinaria autopubblicazione» il Giornale, 23 agosto 2011 29– Martina Testa, «Al mercato offriamo emozioni e coraggio» il manifesto, 24 agosto 2011 31– Oliviero Ponte di Pino, «Come le mongolfiere, si vola ma si può cadere» il manifesto, 26 agosto 2011 33– Daniela Condorelli, «Piccoli grandi libri» l’Espresso, 27 agosto 2011 35– Daniele Balicco, «L’inflazione della narrativa necessita di sguardi critici» il manifesto, 28 agosto 2011 39– Gabriele Pedullà, «Scrittori, bisogna avere stile!» Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2011 41– Giuliano Vigini, «Il prezzo fisso salverà il libro?» Avvenire, 30 agosto 2011 43– Giovanni Carletti, «Il libro, dall’idea al magazzino» il manifesto, 30 agosto 2011 44

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Libri in vendita: limiti agli sconti e alla libertàAlessandro De Nicola, Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2011

Molti commentatori auspicano un governo di unitànazionale, o «tecnico», per far uscire il paese dalle sec-che della crisi. Presi dall’esasperazione per la miserabilefarsa offerta dalla classe politica (ultima, l’incredibile,dannosa approvazione al Senato della legge sul «pro-cesso lungo»), comprensibile che ci si eserciti su taleipotesi: forse tutti insieme i politici riusciranno a farequello che, per motivi di lotta politica e di pressionilobbistiche, a maggioranza non riescono a fare. Meglioallora unirsi e, in puro spirito bipartisan, procedere ascelte dolorose per entrambi gli elettorati. Almeno cosìdice la teoria. Perché in pratica quando lo spirito d’in-tesa aleggia nelle aule parlamentari produce leggi chesi piegano a microscopici gruppi di interesse svantag-giando l’interesse generale, l’economia, i consumatori.È il caso della norma approvata il 20 luglio dal Senato,con il consenso unanime delle forze politiche (salvo duecoraggiosi radicali), e che limita gli sconti sui libri; in par-ticolare, rispetto al prezzo di copertina stabilito dall’edi-tore, per la vendita dei libri ai consumatori finali «dachiunque e con qualsiasi modalità effettuata», compresala cessione per corrispondenza, anche per e-commerce(spezzeremo le reni ad Amazon!), è permesso uno scontomassimo del 15 per cento. Sono possibili promozioniper un solo mese all’anno (non dicembre, il migliore perle vendite) in cui lo sconto può arrivare al 25 per cento;il 20 per cento lo si potrà applicare alle fiere e manifesta-zioni internazionali tipo Il Salone di Torino. Sconti liberi,invece, per libri antichi, rari, fuori catalogo o pubblicatida almeno venti mesi. Saranno i comuni a vigilare sul ri-spetto della legge, la cui violazione sarà punita con severesanzioni pecuniarie. La bislacca normativa è ora allafirma del presidente Napolitano, sempre che egli non de-cida di tenere in conto un appello promosso da LiberLi-bri e dall’Istituto Bruno Leoni e firmato da migliaia dicittadini che gli chiedono di ripensarci.Vediamo i difetti della legge. Prima di tutto l’ambi-zione del legislatore di entrare in ogni più piccolo det-

taglio del mercato è sconcertante: promozioni, ma soloper un mese; sconto del 15 per cento lì, del 20 percento là e libero per i libri usati (bontà sua). Un edittoorwelliano alle vongole che se non fosse così dannosofarebbe sorridere. Il difetto fondamentale, natural-mente, è quello di emanare un diktat contro il consu-matore e l’efficienza economica. Nessuno con una fac-cia seria può affermare che obbligare per legge a tenerei prezzi più alti favorisce i compratori. Le tariffe obbli-gatorie, poi, deprimono anche il mercato nel suo com-plesso, perché diminuiranno le vendite e la diffusionedei libri, in barba alle finalità di protezione del «plura-lismo dell’informazione» e di «diffusione della cultura»sbandierati dai promotori della normativa.Inoltre, fatta la legge, trovato l’inganno. Sarà sufficienteregistrare un sito web di vendita di libri in Austria oSlovenia per vendere con sconti colossali. A meno chenon si pensi di far controllare dalla polizia postale tuttii pacchi contenenti libri per verificarne il prezzo, fer-mare una tale pratica sarà impossibile. Anzi, se qual-cuno ci tentasse, contravverrebbe al Trattato Ue, cheproibisce ogni restrizione al libero scambio tra gli Statimembri. Se l’intento è di violare la libertà fondamentaleeuropea del libero scambio, ecco un buon motivo peril Presidente della Repubblica di non firmare la legge.Anche la costituzionalità del provvedimento è dubbia.Si lede clamorosamente il principio della libertà di ini-ziativa economica senza che venga dimostrata l’utilità so-ciale se non con parole vaghe prive di supporti statisticio economici. Anzi, qui ci perdono tutti: grandi e piccolieditori (non a caso LiberLibri, Ibl libri, Facco editoresono contrarissimi), i consumatori, le catene di librerie,i supermercati, le librerie online. Il tutto per proteggerenegozi inefficienti che non sanno o non vogliono con-sorziarsi? I padri costituenti non avrebbero approvato.Una delle pratiche abusate nella Seconda Repubblica èquella dell’appello al Capo dello Stato a non firmareleggi sgradite all’opposizione. Qui siamo in presenza diun gruppo di persone libere e senza potere che con ri-spetto chiedono al Presidente di fare una riflessionesupplementare prima di promulgare una norma con-traria ai princìpi della Costituzione economica italianaed europea.

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Bassani e Vittorini, quando gli editori erano letterati

In un saggio di Gian Carlo Ferretti e Stefano Guerriero, la vicenda intellettualedello scrittore ferrarese e il suo complesso rapporto con il collega siciliano

C’è stato un tempo, può osservare un lettore non ado-lescente, in cui le scelte delle case editrici erano ope-razioni di alto profilo e a volte perfino di «culto». Sesi va in cerca di un saggio che illustri l’èra di cui par-liamo, eccolo qui. S’intitola Giorgio Bassani editore let-terato. L’hanno scritto Gian Carlo Ferretti e StefanoGuerriero (Manni editore). Bassani è un interpreteideale di quella vicenda e di quei tempi. Non tuttaviail solo. Non a caso il libro, nella parte scritta da Fer-retti, è una sorta di biografia a due facce: la secondaappartiene a un altro esemplare della genia dei lette-rati-editori: Elio Vittorini. Sulla metà del secolo scorsoquesta coppia di scrittori interpretava gli umori piùdrasticamente separati della critica militante in Italia.Non conta che le case editrici cui approdarono, Fel-trinelli e Einaudi, erano entrambe di sinistra e che essi,prima o in contemporanea con l’attività editoriale «dimacchina», avessero animato due riviste influenti:Bassani Botteghe Oscure e Vittorini Il Menabò. Fra diloro, le analogie si fermano qui, e cominciano le dif-ferenze. Quanto Vittorini era ingordo, pronto ad af-ferrare qualsiasi sintomo di novità si manifestasse nellelettere di mezzo mondo, così Bassani era – o dicevadi essere – tradizionalista, allergico a ogni ub bia spe-rimentale, legato semmai a una corrente datata, il de-cadenti smo europeo. A rendere inconcilia bili le ve-dute della coppia era soprat tutto la diffidenza con cuiil roman ziere ferrarese contemplava «la ne bulosa neo-realistica» allora in voga e tale da figurare tra le pas-sioni, maga ri provvisorie, del collega siciliano.

Benché a tratti minuzioso fino alla vertigine, il saggiodi Ferretti non manca di vivacità. Vi si riversa la con -tesa fra due modi di concepire la let teratura e i suoilegami con la vita ci vile, dando origine a episodi cheal lora parvero veementi. Parlo, ad esempio, della po-lemica sul Gatto pardo, la scoperta di maggior suc -cesso di Bassani: un libro che pare fosse sfuggito aVittorini. Il quale, forse anche per questo, continuòa non considerarlo un capolavoro. Un altro casusbelli, stavolta fra Bassani e il suo «patron» Giangia-como Fel trinelli, fu rappresentato dal Grup po ’63,un sodalizio di quei giovani della neoavanguardia chescesero in campo contro Bassani ricevendone rispostemolto acri. Feltrinelli, quei giovani li prediligeva. Ilcontra sto fra lui e lo scrittore ne causò l’u scita dallacasa editrice.Anche nella seconda parte del libro, redatta da Guer-riero e centrata soprattutto sui libri stranieri di cuiBassani promosse la pubblicazione, si ricostruisceuno scontro fra intel lettuali. L’origine fu il rifiuto diBas sani di pubblicare nella sua collana feltrinellianai Fratelli d’Italia di Al berto Arbasino. Ne conservo,per quello che vale, precisa memoria. Trovo nellestesse pagine una frase che invece non ricordavo, con-fidata dall’autore delle Storie ferraresi a Andrea Bar-bato per l’Espresso: «La letteratura», vi si legge, «èqualcosa che si sente alla prima cucchiaiata». Unafrase rapida e tagliente, di quelle con cui l’autore delleCinque storie ferraresi usava per rispondere a chi pro -vava a contraddirlo.

Nello Ajello, la Repubblica, 3 agosto 2011

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BookfoodRomanzi, vino e focaccia: ecco l’ultima ricetta delle gastro-librerie

Dopo le Coop anche Feltrinelli sceglie di trasformare trenta locali della catena unendo cibo di qualità e buoni testi

La nuova ricetta c’è già: ingredienti base romanzi,saggi, tascabili, formaggi, affettati, vino doc, focaccia,pasta, musica, incontri letterari ed eventi. Varia la pre-parazione, a seconda della fantasia di ogni chef, masoprattutto c’è ancora una forte incertezza sui tempidi cottura. Feltrinelli è in fresca partnership con l’An-tica Focacceria San Francesco (Effi 2005 è entratanell’azienda palermitana simbolo delle battaglie an -timafia con il 49 per cento del capitale lo scorso feb-braio). Le librerie Coop, con Eataly (partecipata dallecooperative al 40 per cento) da quasi tre anni sposanolibri e ristorazione nell’ex cinema Ambasciatori di Bo-logna, premio internazionale l’anno scorso per il retailpiù innovativo del mondo. E anche librai indipen-denti in tutta Italia, in piccolo ma con ambizioni diqualità sia letteraria che gastronomica, si sono messisulla scia della trasformazione annunciata: un casomolto citato nel passaparola di chi sta ragionando sulfuturo del libro è Liberrima di Lecce: bar-enoteca-ristorante-libreria fisica e online, tutto in un cortilebarocco, 14 persone nello staff, fatturato all’80 percento fatto dai libri, 20 per cento dal resto. Ma da Pa-lermo alle Langhe gli esempi sono tanti.La domanda cruciale non è «se», ma «quando» la ga-stro-libreria smetterà di essere un modello per provarea diventare uno standard. E il timing esatto, quelloche potrebbe garantire il miglior risultato di una ri-voluzione comunque complicatissima e onerosa sefatta su larga scala, dipende dalla velocità stimata dellacrisi del libro e delle sue forme di vendita tradizionali.

Che a sua volta si può misurare almeno in parte sulprogres so dell’ebook. Per questo l’ulti mo report del-l’Aap, l’associazio ne degli editori americani, rila sciatoa Washington il 21 luglio, è da alcuni giorni sui tavolidegli addetti ai lavori. Cifre crude: su due miliardi e48 milioni di dollari di vendite totali, i tascabili peradulti restano la prima voce (473 milioni) ma per-dono il 17,9 per cento in un anno, i libri in hard coverperdono il 23,4 per cento e passano da seconda a terzavoce, mentre le vendite degli ebook passano dai l50milioni di vendite del maggio 2010 ai 389,7 milionidi dollari del maggio di quest’anno (più 160 percento), superando gli hardcover e sfio rando il 20 percento del merca to librario trade (scolastici esclusi).L’America non è (ancora) l’Europa, certo, ma il mes-saggio è chiaro: per quanto si possa fre nare sul pianolegislativo e regolamentare lo sbarco annunciato delreader Kindle di Amazon, per quante norme a difesadelle li brerie si possano strappare (l’ul tima è la leggesui prezzi), l’atte sa del diluvio che negli Usa ha spazzatovia catene importanti e centinaia di punti vendita (dalpiccolo bookshop al supermercato del libri) non saràinfinita. L’idea per la salvezza è costruire un’arca chegli americani non hanno mai inventato (ci sono i caffè,non l’alta qualità del cibo) ma la fantasia italiana po-trebbe assemblare coi pezzi migliori della propria iden-tità: letteratura, buona tavola (vino incluso), piazza. Quel che accade negli altri mondi, in America e Au-stralia, assomiglia più alla costruzione di posti conprodotti eleganti e glamour: sono tanti gli store che

Maurizio Bono, la Repubblica, 4 agosto 2011

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Francesco: «Rea lizzare un concept di ristorazione amarchio Feltrinelli all’inter no delle librerie della ca-tena, che sviluppando la formula già ope rante nelleFeltrinelli di Largo Argentina e galleria Colonna diRoma e di piazza dei Martiri a Napoli realizzi un for-mat appli cato a trenta punti vendita in cinque anni».Si tratta di passare alla pratica passando per un re -styling architettonico che inte gri tavolini e scaffali,spazi d’in contro, cucine e banconi, per ar rivare allalogistica di una filiera di approvvigionamenti, ser-vizi, lavorazioni in grado di mettere a dura provaanche chi per me stiere distribuisce e muove mi lionidi volumi.Maurizio Guagnano, lo stratega in proprio di Liberri -ma a Lecce, sospira: «Con la mozzarella non c’è dirittodi resa e la data di scadenza è obbligata, altro che la vitabreve in libreria dei romanzi che vendono poco…». Luii conti li ha fatti tornare anche con un tocco di genio,il «Ce sto letterario»: un libro, un vino, due prodotti ti-pici del territorio, tutto spedito velocemente con Ubsa qualun que destinazione. «Con i tu risti, anche stra-nieri, ha un successo strepitoso. Abbia mo deciso di pro-teggere l’idea con un brevetto euro peo».

vendono insieme libri, oggetti stica e persino vestiti.Lo scorso anno a New York, nel West Villa ge, haaperto la prima Book marc, la libreria «firmata» MarcJacobs, dove accanto agli scaffa li dei libri ci sono quellidi gadget e borse griffate. Lo stilista di Vuitton pro-getta ora di fondare una vera e propria catena di bo-okstore con il suo marchio, da San Francisco a Mi-lano. Diverso l’approccio dell’In ghilterra dove lacatena di librerie Waterstone ha da poco aper to bar eristoranti nei suoi punti vendita affidandosi al gigantedel catering Elior. Per Romano Montroni, men te dell’operazione Coop-Eataly, una via tracciata da tempo: «Se è vero che lalibreria deve restare legata alla qualità della proposta,il binomio sarà con la cultu ra enogastronomica risco-perta da Slow food e il tessuto connet tivo la capacitàdi far diventare i negozi luoghi di evento cultura le, in-contro fisico tra autori e let tori e palestra di idee». Piùinde finiti i tempi della prossima tappa in cantieredopo l’Ambasciatori: «All’ex stazione Ostiense, trafine anno e la primavera 2012».Strategia definita anche per Feltrinelli, fin dal testodell’ac cordo societario con l’Antica Fo cacceria San

«La domanda cruciale non è “se”, ma “quando”la gastro-libreria smetterà di essere un modelloper provare a diventare uno standard»

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Mario Baudino, La Stampa, 4 agosto 2011

fax), gli scrittori Nicola Lagioia, Giorgio Va sta eMario Desiati e il linguista Giu seppe Antonelli abrandire Conrad. Alla prima riunione c’era, ad esem -pio, anche Antonio Scurati.Adesso Desiati si è defilato, e An tonelli ha pubblicatouna lettera in cui motiva il suo allontanamento dalleposizioni del manifesto ufficia le. «Denunciare, nel do-cumento sul l’editoria, “i deserti e le derive che il con-sumismo e il capitalismo han no prodotto”» scrive «si-gnifica da un lato dimenticare che altrove al tri sisteminon capitalisti hanno prodotto e producono censurae controllo su tutto ciò che viene scritto e pubblicato;dall’altro che la colpa difficilmente può essere at -tribuita al capitalismo in sé». C’è un problema di iden-tità politica. Il nuovo gruppo era stato molto criti catoda chi già aveva manifestato contrarietà alle recentelegge sul prezzo dei libri e sullo sconto massi mo pra-ticabile, e associato sul Giornale, come ha fatto AlbertoMingar di dell’Istituto Bruno Leoni, a una «ondata il-liberale». E Tq fa riferi mento in questo campo agliscritti di André Schiffrin, fiero avversario dell’editoriacommerciale. Tra le proposte, avanza con deci sionequella di far valere la «qualità». Ma come? VincenzoOstuni, poeta e editor di Ponte alle Grazie e tra i primipropugnatori, conferma che «non si parla di esteticama di politica», e che Tq «per il momento è un gruppodi la voratori della conoscenza, che però si apre ad altrecategorie, per cercare di cambiare qualcosa nelle poli-tiche cul turali del nostro paese». Sottolinea che nonesiste una poetica comune: «Una cosa è ragionare sullepoetiche, un’altra giudicare della qualità». È questo il

Andare oltre la linea d’om bra, con l’ovvio riferi mentoa Joseph Conrad, era stata la prima parola d’ordine,quando un gruppo di scrittori, critici, professo ri si erariunito a Roma nella libreria Laterza. Era il 29 aprilescorso. Da allora Generazione Tq, dove la sigla sta pertrenta-quaranta e individua l’età dei partecipanti, hacominciato a far parlare di sé. Si sono trovati in uncentinaio, si sono divisi, hanno di scusso, e alla fine,in cinquanta, han no lanciato il loro manifesto, nellosti le delle avanguardie novecentesche. Marinetti pub-blicò a proprie spese sul Figaro il primo manifesto delFu turismo. Il Gruppo ’63 (con Eco, Gu glielmi, Bale-strini), cui la nuova crea tura è stata spesso avvicinata,con fluì a Palermo in vagone letto, come si sottolineòall’epoca non del tutto benevolmente. I Tq hannoavuto meno problemi grazie a internet.Sul sito generazionetq.word press.com il loro pro-gramma è già tradotto in varie lingue, mentre si rac-colgono nuove adesioni e si vara no gruppi di lavorosui temi della cul tura. Il loro impegno è «contrastarei deserti e le derive che il consumi smo e il capitalismohanno prodotto nel campo della cultura». Non si sen -tono un’avanguardia letteraria o ar tistica che propugniuna sua poeti ca, ma un gruppo, forse un movi mento,di politica culturale o di politica tout court. Con unriferimento generazionale perché la loro è una rea-zione «a questo stato di cose e al l’esclusione di almenodue genera zioni di italiani dalla vita politica e produt-tiva». Come è sempre accadu to nella storia dei movi-menti cultu rali, si sono divisi presto. Ad aprile eranostati Alessandro Grazioli (della casa editrice minimum

Scrittori, intellettuali e precari lanciano un manifesto. C’è chi grida al nuovo movimento e chi li giudica puerili

Generazione Tq, la ribellione dei giovani Holden

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Sin dall’inizio il nuovo movimento ha dovuto subireun paragone impegnativo. Attenti: non sarà un nuovoGruppo ’63? Da un lato sottintendendo che chiprende la parola oggi non è all’altezza di chi l’avevafatto quella volta; dall’altro insistendo che la nuovaesperienza sarebbe marchiata da quelle medesime con-traddizioni. (Curioso, annoto per inciso, che a insi-stere con maggiore insistenza sul parallelo siano coloroche più vorrebbero liquidare quella stagione; segnoche proprio per loro resta quello, l’unico lavoro col-lettivo degno di nota nell’ultimo mezzo secolo.) Imeno livorosi dei parallelisti non hanno mancato dinotare, tuttavia, come mentre la neoavanguardia avevapuntato per lo più su parole d’ordine di poetica, è in

un’analisi e in una serie di proposte politiche che sisono raccolti gli autori e i lavoratori intellettuali in-contratisi a Roma in questa primavera-estate segnatadalle occupazioni del Teatro Valle e del Cinema Pa-lazzo – dove non a caso s’è tenuta la seconda, decisivaassemblea del 24 luglio. (In realtà chi conosce gli au-tori che si diedero convegno sino allo spartiacque del’68, sa bene che in comune – in sede estetica – ave-vano meno di quanto insieme rifiutassero; e che poli-tica, anche allora, era la sostanza del discorso).La differenza, com’è ovvio, sta tutta nel mezzo secoloche da allora è passato. Se il Gruppo ’63 da molto pre-sto ha potuto contare su canali editoriali e mediaticipronti a recepire le novità di cui si faceva portatore,

Vogliamo sputare nel piatto in cui mangiamoAndrea Cortellessa, La Stampa, 4 agosto 2011

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noti. «Alcuni sono più affermati» ribat te Ostuni «madal punto di vista lavora tivo si è “precari di lusso”.Anche chi ha successo è sociologicamente imparenta -bile ai coetanei precari». Oggi Tq è a quota 55 firma-tari, con 250 richieste di adesione. Bastano per direche è nata una «nuova cosa», o si tratta di un’entu siastanotte di mezza estate, una rivolta dei giovani Holden?I pareri sono discordi; il mondo della letteratura èpiccolo, ci si conosce tutti; si dosano silenzi e pole-miche. Un italiani sta come Massimo Onofri, che po-trebbe rientrare nella «generazione», è tutta via piut-tosto severo. «Ci sono fior di ta lenti, e molti beninseriti nelle istituzio ni; ma definire puerile il loroprogramma è persino eufemistico. Stiamo par landodi letteratura o di altro? Se di let teratura si tratta, lafanno gli individui, non i gruppi. Se invece non si di-scute di questo, a che cosa ci troviamo di fronte? Unpensatoio, un partito politico? In tal caso un datobiologico diventa un dato politico, e non mi pareconvincente». La conclusione è affidata maliziosa-mente a Benedetto Croce. Quando disse che i gio -vani hanno un solo dovere: invecchiare.

collante che tiene insieme storie ed esperienze diverse.Ma chi decide sulla qualità? «Tanti lo fanno, pensianche solo alle giurie dei premi letterari. Noi ad esem-pio guardiamo al modello norvegese, dove lo Statoogni anno compera un certo quantita tivo di copie ele distribuisce nelle biblioteche, sulla base di un giu-dizio di qualità». Ora, aggiunge, i gruppi di la voro de-vono elaborare analisi e in pro spettiva anche propostedi legge.Il programma è ambizioso, e intanto ha come pros-sima tappa la presentazio ne di un documento sullascuola, a set tembre. Sarà a Firenze, e per allora i nu-meri dovrebbe salire.«La nostra generazione porta su di sé, per la primavolta, il fardello di mu tamenti storici che riguardanotutti, e in particolare i più giovani», dice anco ra il loromanifesto. Una generazione precaria, emarginata. Si-curi? Molti Tq sono ben noti. A parte Vasta e La gioia,fra gli scrittori italiani più segui ti dalla critica, bastascorrere l’elenco dei primi aderenti per trovare perso -naggi come Andrea Bajani, Mattia Carratello, AndreaCortellessa, Ga briele Pedullà. Scrittori, editor, docenti

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«Quello che vogliamo, insomma, è proprio sputare nel piatto in cui mangiamo. Non c’è altropiatto, in effetti, in cui abbia senso sputare»

che più o meno tutti erano da tempo «entrati» (chi neimedia, chi all’Università, chi appunto nell’editoria). Ilche è vero altresì per la maggior parte dei Tq: questa èanzi per me l’unica giustificazione rimasta di un «ta-glio» generazionale, residuo della primitiva imposta-zione «antipolitica», dai più avvertito come respin-gente. Proprio perché già «dentro» la macchinaeditoriale abbiamo potuto articolare in un documento«tecnico» le proposte di correzione di rotta in questosettore, dando concretezza alle necessarie premesse po-litiche (cfr. il sito generazionetq.org). Ed è per questoche i documenti sono redatti da chi oggi ha trenta oquarant’anni, sì, ma sono rivolti in primo luogo a chidi anni magari ne ha venti e che nel mondo della co-municazione, dell’editoria e del lavoro intellettuale ingenere, al momento, può solo ambire a entrare.Quello che vogliamo, insomma, è proprio sputare nelpiatto in cui mangiamo. Non c’è altro piatto, in ef-fetti, in cui abbia senso sputare. Proprio perché cono-sciamo gli ingredienti utilizzati, le ricette impiegate,le condizioni di chi lavora in cucina e in sala, rivendi-chiamo il diritto-dovere di criticare gli orari di aper-tura, l’arredo dei locali, la composizione del menu. E,soprattutto, i prezzi delle portate.

le proposte dei nostri documenti, finché le abbiamoavanzate come singoli, non hanno mai trovato realeudienza. Ancorché giungano al culmine di un pro-cesso di standardizzazione che un maestro comeGianni Celati ha potuto definire «genocidio lettera-rio». In termini meno apocalittici: quella società cul-turale che negli anni Sessanta si stava entusiastica-mente aprendo, negli anni Zero – dopo lungoarmeggiare di chiavistelli – s’è finita di chiudere. E diquesto si sono accorti in tanti. L’attenzione che Tq hasollevato in questi giorni è anche la spia di un deficitdi discussione da tempo avvertito. Le pratiche dell’in-dustria culturale e della comunicazione, almeno da undecennio presentate come inconfutabili, sono ormaipercepite come inautentiche dai loro stessi «utilizza-tori finali», cioè i lettori.Oggi come cinquant’anni fa, le accuse che ci si senterivolgere sono fra loro opposte. Da un lato quella divoler occupare posizioni di potere, dall’altro quella dicriticare il sistema dal quale si ottengono favori. Cioè– con la brutalità della saggezza popolare – di sputarenel piatto in cui si mangia. Alla prima accusa UmbertoEco tante volte ha risposto che, se si guarda alle bio-grafie dei componenti del Gruppo ’63, ci si accorge

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Gallo Nero, storia di una giovane italiana che trionfa a Madrid

Donatella Iannuzzi racconta la sua esperienza in Spagna, dove arrivò nel 1999.Oggi, a 34 anni, ha fondato una casa editrice tutta sua

Vito Catalano, il Riformista, 4 agosto 2011

Arrivata a Madrid nel 1999 conuna borsa di studio, DonatellaIannuzzi, italiana di Matera, ini-ziò dopo non molto a lavorare nelmondo dell’edi toria innamoran-dosi nello stesso tem po della na-zione che la ospitava. Ri corda:«Mi ritrovai in un paese dina -mico, giovane e per niente classi-sta: di sera potevi ritrovarti a parlare nello stesso bar conun operaio e con un grande imprenditore. La società spa -gnola è molto più ingenua (forse per la sua giovinezza)rispetto alla logo ra società italiana, tutto mi sembrava piùdiretto e il sistema democratico sembrava che stesse vi-vendo ancora una specie di luna di miele. Oggi con lacrisi economica sono cambiate tan te cose, la Spagna sof-fre ma mi sor prende sempre il suo spirito positivo, è unpaese privo di arroganza e spero che presto si riprenda».Oggi Donatella Iannuzzi ha tren taquattro anni e hafondato in Spagna una casa editrice tutta sua: GalloNe ro. Fra i primi titoli La paura di Fe derico De Ro-berto e Atti relativi alla morte di Raymond Roussel diLeonardo Sciascia.

Lei è una donna italiana che vi ve a Madrid. Come hadeciso di fondare una casa editrice?

I libri sono sempre stati la miapassione. Nel 2006 a Madridiniziai a lavorare in una casa edi-trice, Gadir, specializzata in let-teratura ita liana. Tra i libri in ca-talogo c’erano titoli di Buzzati,Carlo Levi, Elsa Morante, Pi-randello… Dopo tre anni diesperienza e ap profittando di un

nuovo fenomeno nel panorama editoriale spagnolo,vale a dire la nascita di tante micro case edi trici concataloghi particolari e quasi tutte dedicate a riproporretitoli di menticati, ho pensato che i tempi fos sero ma-turi per proporre il mio pro getto al pubblico spagnolo.

Può dire qualcosa delle sue idee, del progetto editoriale?Il progetto editoriale è un proget to del tutto perso-nale, vale a dire che sto pubblicando i libri che mipiac ciono. Abbiamo tre collane: Picco la, un omaggioalla collana di Adelphi, raccoglie testi brevi, tantosaggi quanto racconti; poi c’è Narra tivas, un formatoun po’ più grande dove pubblichiamo romanzi maan che cronache; infine Gallographics, la nostra col-lana di graphic novels e libri illustrati. Non ci siamoproposti nessun limite geografico né temporale. Tuttorisponde al mio gusto personale.

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Quali difficoltà ha incontrato?In realtà avrei incontrato più diffi coltà in Italia dalmomento che non conosco così bene il panorama edi-to riale italiano. Non ho avuto grandi difficoltà, laSpagna è un paese dina mico e meno burocratico del-l’Italia, ci sono minori formalità pur non man candola serietà. Forse l’unica cosa che a volte mi crea disagio(in rela zione all’editing) è non essere di ma drelinguaspagnola. Pur avendo un li vello bilingue, a volte bi-sogna accet tare i propri limiti e seguire il consi glio deicorrettori. Con l’italiano non mi sarebbe successo.

Quanto la letteratura italiana è conosciuta dai lettorispagnoli? Chi sono gli autori italiani letti, sia fra i classiciche fra gli scrittori viventi?La letteratura italiana è molto co nosciuta in Spagna.Ci sono autori che sono stati molto tradotti negli an -ni Sessanta e Settanta anche se poi sono stati dimen-ticati. Negli ultimi dieci anni c’è stata una grande ri-sco perta della letteratura italiana grazie soprattutto acase editrici che hanno recuperato autori che nonerano tra dotti da tanto. In linea generale tutti gli au-tori del Ventesimo secolo sono stati ri scoperti da let-tori spagnoli più gio vani. Parliamo di Calvino, Buz-zati, Vittorini, Morante, Sciascia. Tra gli autoricontemporanei primo fra tutti c’è Camilleri che hauna schiera di lettori fedeli; poi ci sono i bestsel ler cheanche in Spagna hanno fun zionato: Moccia, che èstato nella classifica dei più venduti per molte setti-mane, soprattutto da quando Ca sillas, il portiere delReal Madrid, se l’è portato sotto l’ombrellone, Pao loGiordano, Saviano…

Ha da poco pubblicato un te sto di Sciascia, uno di DeRoberto, un libro a fumetti di Gianluca Maconi sul de-litto Pasolini. Per ché ha ritenuto di iniziare la sua av-ventura editoriale con questi tre titoli italiani?Perché, per quanto non viva più in Italia da diecianni, la letteratura ita liana la sento molto vicina, èparte di me. Tra l’altro è inevitabile che il lettore sco-pra prima o poi la mia nazio nalità ed è naturale perme proporre ti toli italiani, sempre e quando rientri -no nei miei gusti e nel profilo della ca sa editrice.

Può raccontare qualcosa sul suo lavoro, sulla scelta deititoli. Cosa è stato più apprezzato finora dal pubblico edalla critica? E quali novità ha in programma?Da quando ho aperto la casa edi trice non ho più orari,si lavora sem pre, tutti i giorni, fine settimana com -presi, e per il momento va bene così. Sono totalmenteassorbita, gestisco personalmente quasi tutto, ed èfon damentale. Ho le idee chiare e sono coinvolta intutto il processo: dall’ac quisto dei diritti alla produ-zione, dalla grafica delle copertine ai social network.La passione mi spinge a vi vere con un’idea fissa nellatesta, tutto per me ha relazione con la mia at tività, daun articolo brevissimo inizio a pensare a un possibiletitolo. La ri cerca dei titoli è la parte più eccitan te equella più creativa. Per quanto riguarda i titoli più ap -prezzati dal pubblico, c’è sicuramen te il libro di Scia-scia, ha avuto critiche su tutti i media culturali delpaese e soprattutto ha suscitato l’interesse di grandifirme e di un pubblico di letto ri colti. Enrique Vila-Matas, per esempio, autore che in Italia pubbli ca so-prattutto con Feltrinelli, scrisse una recensione su ElPais e lo stesso giorno mi arrivarono decine di mes -saggi chiedendomi notizie sul libro. Quando succedequesto strano feno meno con un libro è la massimasod disfazione: non posso chiedere di più.

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L’èra delle nuove scritture

La Rete sperimenta forme originali di narrativa, gli editori creano siti di consigli ai lettori. E la Columbia apre un «minimaster» sull’ebook

«Ne abbiamo parlato per anni. L’abbiamo evocata, im-maginata, esorcizzata. Adesso è qui. L’èra degli ebook,una tecnologia che esi ste da anni ma che fin qui avevaavuto un ruolo mar ginale nel mercato, è improvvisa-mente esplosa nel l’ultimo anno. E noi non potevamonon tenerne conto nel disegnare il corso di quest’annoche, infatti, per la prima volta è stato rivoluzionato».Lindy Hess, che da 24 anni organizza – nell’ultimo de-cen nio alla Columbia University di New York, mentreprima la sede era a Harvard, in Massachusetts – corsopostuniversitario per i giovani che vogliono andare alavorare nell’industria editoriale, è stanca ma soddi-sfatta. Il corso 2011 – appena sei settima ne, ma con unprogramma intensissimo – è finito pochi giorni fa. Consettimanali e riviste in crisi pro fonda, gli editori di libriche cercano faticosamente di adeguarsi a una realtà checambia alla velocità della luce e Borders, la seconda ca-tena di librerie d’America, svanita nel nulla pochi giornifa dopo il fallimento di tutti i tentativi di risanarla ovenderla, ci si poteva attendere un calo delle «voca-zioni». A vent’anni esatti dalla prima pagina web, messaonli ne il 6 agosto del 1991.In fondo corso, che si tiene presso la Scuola di giornali-smo, non è a buon mercato: settemila dollari per un mesee mezzo di lezioni. Un «minimaster» che apre la stradaverso le carriere di manager delle case librarie: esperti diproduzione, distribuzione, marketing e design editoriale.Incarichi interessan ti ma che all’inizio – nel difficile climaeconomico attuale – offrono retribuzioni non superioriai 30-35 mila dollari l’anno. Eppure stavolta il corso haregistrato il record delle richieste d’iscrizione, 475.Solo 101 giovani sono sati selezionati e hanno po tutopartecipare. «Più eccitati dai fatti nuovi che stanno cam-biando il panorama editoriale che spa ventati dalle con-

seguenze che questa rivoluzione potrà avere anche sui la-vori ai quali aspirano» rac conta la Hess nel suo ufficiomentre mi mostra con orgoglio le ricerche e i lavori gra-fici – soprattutto bozze assai fantasiose di copertine perlibri e riviste – prodotti in questi giorni dai suoi ragazzi.C’è di tutto, dai disegni delle novelle per l’infanzia al pro -getto per un libro autobiografico dello stilista Tom Ford.Ragazzi più o meno preparati e motivati di quelli didieci o vent’anni fa? «Sono molto determinati» spiegala Hess. «Vengono da buone università e san no chedovranno affrontare un mercato del lavoro molto piùduro, selettivo, rispetto al passato. Maga ri hannoavuto una preparazione di base diversa, rispetto allagenerazione precedente, ma si dimostra no più attivi».In sei settimane si sono succeduti alla cattedra molti deltop manager delle industrie editoriali americane chehanno sede proprio a New York, ma anche un gran nu-mero di studiosi e guru dei nuovi media. Cosa ha col-pito di più questi editori del futu ro? «Sicuramente i ra-gazzi si sono interessati molto alle imprese individualidegli autori che si sono au topubblicati e hanno esplo-rato con curiosità nuovi universi come quello della«long form narrative»: una sorta di libri brevi, saggi informato ridotto o racconti che si leggono molto rapi-damente proprio grazie agli strumenti elettronici che listanno rendendo popolari. Ne hanno parlato gli espertidi Harper Collins e anche Nicholas Callaway, il capodi un’azienda che produce proprio applicazioni digita lidi libri per lettori molto giovani. È un terreno strano,a cavallo tra il racconto lungo su una rivista e il ro-manzo breve. Un po’ come le novelle sul telefoni no deiragazzi giapponesi. Lì i ragazzi leggono, ma poi scri-vono anche sullo smartphone: è una modali tà di pro-duzione che abbiamo studiato anche noi».

Massimo Gaggi, Corriere della Sera, 5 agosto 2011

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Ma a lasciare senza fiato gli studenti è stata so prattuttola responsabile delle vendite di Random House, Ma-deline McIntosh, che ha descritto in mo do molto vivole avventure di un’industria che or mai viaggia sui binaridelle montagne russe, sballot tata a tutta velocità, co-stretta a bruschi cambiamen ti di rotta. «Ci si preoc-cupa, e i ragazzi con i quali mi sono confrontato io unpo’ preoccupati lo erano quando si guarda alle nuovetecnologie come a qual cosa di misterioso e imprevedi-bile, comunque altro da noi», racconta al Corriere EvanSchnittman, di rettore generale della casa editrice bri-tannica (con ramificazioni Usa) Bloomsbury. «Ma nonè più così: ho raccontato loro che il prossimo post sulmio blog editoriale, “Black Plastic Glasses”, si intitolerà“Il giorno in cui il digitale è morto”. Nel senso che nonè più separabile dall’editoria tradizionale, è di ventatouna fibra vitale dell’industria libraria».Una tesi che non convince Carolyn Pitts, vicepre sidentedi Harper Collins con la responsabilità delle strategiecommerciali, che replica: «La maggiore at tenzione pergli ebook è innegabile. Ma non sono d’accordo con chidice che siamo a un punto di svol ta culturale. Il mododi operare degli editori rimane in gran parte legato allaprint economy. C’è grande attenzione per le nuove tec-nologie, certo, ma così come il digital marketing misembrano giocattoli luccicanti che abbagliano molti. Ve-dremo chi li use rà per fare che cosa. E, soprattutto, seserviranno ad aumentare le nostre vendite».I segnali del mercato, comunque, sembrano ine -quivocabili, anche se fare confronti in termini omogeneiè difficile in questo settore: Amazon ha con fermato cheormai vende più ebook che libri fisici acquistati dai suoiclienti online e recapitati a domi cilio. Quanto all’interomercato nazionale, anche se i libri cartacei, pur se in fles-sione, ancora prevalgo no, in primavera le vendite di testidigitali negli Stati Uniti hanno superato quelle di volumiin paper back, le edizioni economiche.È poi sopraggiunto il crollo di Borders che ha let -teralmente mutato i connotati, il panorama del mercatolibrario. La seconda catena di distribuzione do po Bar-nes & Noble (anch’essa in crisi) aveva già di chiaratobancarotta qualche mese fa. In amministra zione con-trollata, protetta dai creditori, aveva chiu so più di un

terzo dei suoi 642 megastore, cercando di salvarne 400da cedere al più presto a qualche operatore economico.Ma nessuno si è fatto avanti, nemmeno per rilevare leattività migliori della cate na. Che, così, ha dovuto chiu-dere tutto, licenziando i suoi 10.700 dipendenti.La sparizione di Borders, dipesa anche dal ritar do colquale il gruppo ha affrontato il problema dello sviluppodi un business digitale, ha messo nei guai le grandi caseeditrici alle prese non solo con conti non pagati per de-cine di milioni di dollari, ma anche con la necessità dicalcolare quante copie di libri fisici stampare in menoin seguito alla scom parsa di chilometri e chilometri discaffali sui quali avrebbero dovuto essere venduti.La chiusura di molte librerie sta comportando un altroproblema per gli editori: non solo diminui scono i puntivendita, ma viene meno il luogo in cui i lettori vengonoa contatto in modo casuale con una pluralità di prodottieditoriali. Il luogo in cui i librai capiscono l’evoluzionedel gusto dei lettori dal comportamento dei clienti, dalmodo in cui sfogliano anche ciò che non acquistano.Con le vendite online si può salvare una parte del fattu-rato, ma non si può influenzare il lettore o interpretaremeglio quello che ha nella testa, visto che, in genere, vain Rete per acquistare un prodotto specifico. «Problemache» racconta la Hess «tre grosse case (Simon & Shuster,Penguin e Hachet te) hanno deciso di affrontare con Boo-kish.com, un nuovo sito che viene lanciato proprio inquesti gior ni di mezza estate per dare consigli ai lettori.Ma anche per ricreare digitalmente una comunità dellibro, un luogo d’incontro tra lettori, autori e edito ri».Tempi difficili ma di grande interesse, insomma. Glistessi editori, che nel campus della Columbia hanno par-lato senza censurarsi troppo, hanno ammesso che stannoancora cercan do di capire perché un certo autore tira inversione digitale, mentre un altro funziona solo su carta.I dati dicono che ad essere scaricati in formato ebooksono soprattutto thriller e romanzi sentimen tali. Ma nes-suno ha ancora capito bene i meccanismi. L’unica cosachiara è che, negli Stati Uniti, l’aggiunta di un’offerta di-gitale alte ra il ciclo del libro fisico riducendo, in qual checaso addirittura a cinque mesi, il tempo tra la pubblica-zione della prima edizione hardcover di un’opera e la suaversione in collana economica.

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L’ebook riconquista l’Italia con vendite superiori al 300 per centoNel primo semestre del 2011 gli acquisti di libri elettronici hanno raggiuntoquota 40 mila, rispetto ai diecimila dello stesso periodo dell’anno passato

Fino allo scorso anno analisti e os servatori del mercatoeditoriale de nunciavano la crisi irreversibile dell’e bookin Italia, e annunciavano il suo inevitabile abbandonoda parte dei let tori in un breve arco di tempo. Ora illibro elettronico sembra prendersi la sua rivincita. Èl’Osservatorio Ebook, istituto di rilevazione legato allacasa editrice Bruno, leader nel settore, a evidenziare chenel primo semestre del 2011 le vendite dei volumi infor mato digitale hanno raggiunto la quo ta di 40 mila,rispetto alle diecimila dello stesso periodo dell’anno pas-sato: un incremento pari al 300 per cento. Ed è Gia-como Bruno a spiegare che «su una platea di 200 milautenti, con un solo punto vendita telematico e un unicomarchio editoriale, gli acquisti complessivi ammontanoa 133 mila li bri, di cui 80 mila solo nell’ultimo an no».Altro dato significativo che emer ge dall’indagine è il pro-filo del «letto re elettronico», che per il 70 per cen to è unuomo di età fra i 25 e i 55 an ni, interessato soprattuttoa manuali di formazione. L’intenzione della casa editriceora è quella di «sviluppare una nuova piattaforma, chepartirà a otto bre, per la vendita di volumi di ogni generee di tutti gli editori, assieme a un partner importante».Partner il cui nome resta al momento riservato.Nonostante i dati indubbiamente incoraggianti, in Ita-lia questa nuova frontiera del mercato editoriale stentaancora a decollare se paragonata al re sto del mondo oc-cidentale. La ragione del persistente divario sta nel fattoche i nostri connazionali, profondamente legati al gior-nale e alla rivista cartacei, orientano decisamente la pro-pria at tenzione e curiosità verso prodotti tecnologicicome smartphone e tablet piuttosto che sugli ebook.Il percorso verso la diffusione dell’ebook nel consumoculturale del l’opinione pubblica sembra comunque av-

viato. Lo conferma la rileva zione compiuta in prece-denza dalla society Edigita, creata a fine set tembre 2010da Messaggerie Italiane, Rcs Libri e Feltrinelli, che si oc-cupa della distribuzione degli ebook italia ni. Oltre aimarchi dei suoi fondatori, Edigita diffonde testi di 30case edi trici: l’obiettivo è creare un fronte co mune peraffermare i propri titoli sul mercato e moltiplicare l’of-ferta libra ria verso il grande pubblico. Il risul tato è lu-singhiero: sono stati oltre centomila i libri venduti at-traverso 24 negozi online, il triplo di quelli di stribuitinel primo mese di attività e il doppio rispetto a dicembre2010. Un quadro che non sorprende Marco Be nedetto,già amministratore delegato del Gruppo Espresso, chealcuni an ni fa ha puntato sulla nuova frontiera dell’in-formazione elettronica, pro muovendo uno dei princi-pali aggre gatori di informazione on line, Blitz Quoti-diano. «La crescita degli ebook, di cui io stesso sono unlettore, era un fenomeno ampiamente prevedibile: bastaconsultare un catalogo Amazon per acquistare e consul-tare buoni libri in formato elettronico».Ma l’iniziativa più rilevante nel settore dell’editoria elet-tronica riguar da Rcs, che ha sottoscritto un accordo conGoogle, grazie al quale il catalogo del gruppo diretto daPaolo Mieli sarà disponibile in formato elettronico suGoogle Books. Il patrimonio di opere letterarie interna -zionali e italiane della casa editrice po trà così essere facil-mente acquistato da chiunque. Si tratta di un repertoriodi oltre 12 mila volumi, costituito da marchi come Riz-zoli, Bompiani, Bur, Fabbri, Sansoni, Etas, Archinto,Mar silio, Adelphi, Skirà. Grazie a Google Books, i lettori,dopo aver trovato le anteprime dei titoli, potranno com-pra re le copie presenti in commercio, sia in formato car-taceo sia elettronico, collegandosi al sito LibreriaRizzoli.it.

Edoardo Petti, il Riformista, 5 agosto 2011

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Libri, la vita breve delle novità. Ora in cinque mesi arriva il tascabileCosì l’edizione economica sfida i prezzi alti e il successo dell’ebook

In America le lancette hanno cominciato a girare cosìveloce mente da consegnare al mercato la versione eco-nomica di un ro manzo cinque mesi dopo la pri ma edi-zione. E in Italia, come spesso accade, in molti si sonogià adeguati. Quando negli Sta tes sugli scaffali è com-parso il ta scabile di Swamplandia!, fortu nato esordio let-terario di Karen Russel, si è capito che il ciclo di vi ta deilibri era stato alterato per sempre: fino a poco tempo fanessuna opera diventava tasca bile prima di un anno e seil ro manzo era di successo i lettori non avevano scelta, olo compra vano a caro prezzo in hardcover – rilegato concopertina rigida – o si rassegnavano a una lunga attesa.Gli esperti non hanno tar dato a rintracciare il colpevole:l’ebook, che dopo anni di lenta crescita ai margini delmercato, è esploso fino a rappresentare il 25 per centodelle vendite. A quel punto gli editori hanno compresoche il prezzo della carta non era più competitivo e cheper dare nuo va vita al libro era necessario puntare sullow cost. In Italia gli ebook non raggiungono nean chel’uno per cento dei lettori, eppure il ciclo di vita del librosembra ugual mente alterato. A gennaio è usci to Tua, in-tenso romanzo sulla società americana della scrittri ce ar-gentina Claudia Pineiro. Ot to mesi dopo Feltrinellipensa già a una pubblicazione nella colla na economica.I due principali gruppi editoriali italiani, Mon dadori eRcs, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro hanno lan -ciato due marchi simili, Nume ri primi e Vintage, chepubbli cano tascabile di qualità ma più costosi della edi-zione economi ca, tra i 12 e i 15 euro. In catalogo nonsolo classici, ma romanzi con robustissime vendite comeAcciaio della Avallone o Il cimite ro di Praga di UmbertoEco, usci to appena dieci mesi fa.Cosa sta accadendo? «Siamo in una situazione moltodiversa da quella americana dove la casa editrice che

pubblica il libro rile gato non è la stessa del tascabile»spiega Stefano Mauri, presi dente del gruppo Gems. «InIta lia un tascabile esce quando si ri tiene che l’hardcoverabbia esaurito le sue potenzialità». «E questo accadesempre più velo cemente, capita che libri di suc cessovengano proposti in tasca bile dopo sette, otto mesi» pre-ci sa Raffaello Avanzini della New ton Compton. «Finoa qualche anno fa Feltrinelli passava dalla prima edi-zione all’economica dopo due anni, ora i tempi si sonodimezzati», spiega il direttore editoriale Gianluca Foglia,che individua tre cause: «La vita ri dotta di un libro sugliscaffali, la memoria corta del mercato e la crisi econo-mica che rende il lettore più sensibile ai prezzi».Ogni anno sessantamila titoli, più di 160 al giorno, in-vadono le librerie con il risultato che alcune novità spa-riscono dagli scaffali dopo un mese. O magari cadononell’oblio. Pubblicare in edizio ne economica significa,quindi, allungare la vita di un libro, ma anche assecon-dare la tendenza del low cost, oggi più florida che mai:nel 2010, il 18,1 per cento delle ven dite è stata rappre-sentata dai ta scabili, con un aumento rispetto all’annoprecedente del 10,8 per cento. Le edizioni rilegate, in-vece, sono cresciute appena dell’uno per cento.«Abbiamo pensato a una fase intermedia tra l’hardco vere il paperback per rispondere alle esigenze dei lettori forti»,spiega Antonio Riccardi, diretto re di catalogo delle caseeditrici del gruppo Mondadori. «Media mente si passadalla prima edi zione al tascabile in un arco che va dai 12ai 24 mesi» precisa Massimo Turchetta, direttore generaleRcs libri. «Vintage si inserisce in una fase intermedia, in-teressante anche per il futuro». Cioè quando gli ebookavranno un peso. «Tra due o tre anni» conclude Foglia«ag giungeremo una nuova variabile al ciclo di vita dei libridi carta, l’influenza sul mercato dei libri elettronici».

Stefania Parmeggiani, la Repubblica, 9 agosto 2011

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Antonio Prudenzano, Affari italiani, 17 agosto 2011

«Il self-publishing, l’autopubblicazione, è un elementofondamentale, imprescindibile per gli editori. Untempo pubblicarsi da solo un libro, pagando di tascapropria, era una cosa da poveretti, roba un po’ triste.Oggi è fondamentale. Ma non basta fare un sito consu scritto: “Autopubblicatevi!”. Bisogna costruire modidiversi di self-publishing e noi li stiamo studiando. Traqualche mese vedrete delle sorprese… Nel prossimofuturo, un editore che non sarà coinvolto nel self-pu-blishing non avrà autori…». In una recente intervistaal mensile Prima Comunicazione Riccardo Cavallero,direttore generale Libri Trade del gruppo Mondadori,ragiona sugli scenari futuri dell’editoria libraria. E ag-giunge: «Il punto è creare una comunità di lettori/scrit-tori che definisca un sistema di rating stabilendo ciòche vale. Ci sono case editrici come HarperCollins,Penguin e Random House che lo fanno. C’è Amazon,c’è Google+». Questo per quanto riguarda il self-pu-blishing. Ma Caval lero spiega anche che «con il digitalenon conta più tanto la pressione di cui è capace un edi-tore, conta la comunità dei lettori. […] Ora torniamoal lavoro artigianale dove è premiante il rapporto edi-tor/autore anche se poi il libro ha una vita media ditre, quattro mesi…». Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato diGems, con il suo gruppo editoriale organizza il torneoletterario (non solo) online «Io Scrittore», giunto alla se-conda edizione. Nella prima, oltre 1500 storie sono statesottoposte al vaglio degli stessi partecipanti che, investitidel doppio ruolo di scrittore e critico, hanno espressopiù di 20 mila giudizi mettendoli a disposizione di ogni

«Pubblicarsi da solo un libro, pagando di tasca pro-pria, era una cosa da poveretti. Ora non più. L’auto-pubblicazione è un elemento imprescindibile per glieditori. Stiamo studiando modi diversi di self-publi-shing. Nel prossimo futuro, un editore che non saràcoinvolto nel self-publishing non avrà autori». In-tervistato da Prima Comunicazione, Riccardo Caval-lero, direttore generale Libri Trade del gruppo Mon-dadori, ha annunciato sorprese in arrivo per il suogruppo sul versante self-publishing. Stefano Mauri,presidente e ad di Gems, con il suo gruppo organizzail torneo letterario «Io Scrittore», che già rappresentauna possibile evoluzione del self-publishing. E ad Af-faritaliani.it spiega: «Se uno pensa che il lavoro del-l’editore sia prendere un manoscritto e pubblicarlocosì com’è, fa bene a ritenere di non essere più ne-cessario in futuro. Viceversa, se uno pensa che l’edi-tore faccia compiere all’opera l’ultimo fondamentalemiglio che la porta al successo, come le nostre caseeditrici dimostrano ogni anno portando in classificadecine di esordienti, ha ragione a pensare di avereun mestiere anche per il futuro e che il self-publi-shing sia solo una opzione in più e naturalmentebenvenuta». E aggiunge: «Bob Young, il presidentedi lulu.com (la più grande operazione di self-publi-shing online del mondo: pubblicano diecimila no-vità al mese) a maggio mi ha detto: “Se in dieci annidi attività non ci è capitato nessun bestseller esplo-sivo mentre sono esplosi tanti bestseller pubblicatida editori, significa che gli editori con il loro me-stiere fanno la differenza”…».

Intervista a Stefano Mauri

I grandi gruppi si sfidano sul self-publishing. Da Mondadori a Gems

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«Se uno pensa che l’editore faccia compiereall’opera l’ultimo fondamentale miglio che laporta al successo, […], ha ragione a pensaredi avere un mestiere anche per il futuro e cheil self-publishing sia solo una opzione in più e naturalmente benvenuta»

il self-publishing sia solo una opzione in più e natu-ralmente benvenuta. Ma i lettori dai nostri marchi siaspettano testi di qualità perciò dobbiamo continuarea essere selettivi e ad assistere gli autori nel loro lavoro.Anche i buoni agenti aggiungono valore al lavoro del-l’autore e non si limitano a negoziare l’anticipo. La-sciano all’editore e all’autore l’ultima parola sul «come»pubblicare, ma aiutano a inquadrare l’opera.

Quindi in futuro il self-publishing non metterà a rischiola sopravvivenza delle case editrici di qualità…Bob Young, il presidente di lulu.com (la cui versioneitaliana, guarda caso, è quella che fattura di più rispettoalle altre nel mondo, ndr), la più grande operazione diself-publishing online del mondo (pubblicano dieci-mila novità al mese) a maggio mi ha detto: «Se in diecianni di attività non ci è capitato nessun bestselleresplosivo mentre sono esplosi tanti bestseller pubblicatida editori (ad esempio Harry Potter, Dan Brown, Ste-phenie Meyer e Stieg Larsson) significa che gli editoricon il loro mestiere fanno la differenza». Dopo di che«Io Scrittore» è un esperimento pioniere e visto che ilnostro gruppo di case editrici è quello in più forte cre-scita da che Nielsen censisce il mercato, cioè dal 2007,è logico che le nostre innovazioni vengano osservate estudiate con attenzione dal settore. Comunque allafine in questo mestiere la differenza la fanno semprele persone e non le grandi strategie. Per questo c’è sem-pre spazio per un buon libro, per un bravo editore, peruna buona idea.

concorrente. Attraverso due manche e una graduatoriafinale stabilita esclusivamente sulla base dei votiespressi, si è arrivati a 25 opere pubblicate in ebook edi 6 in edizione cartacea (per i marchi Gems). «IoScrittore» rappresenta quindi una possibile evoluzionedel self-publishing, con gli editor di un grande gruppoeditoriale coinvolti nella fase di pubblicazione dei testivincitori, che vengono «rivisti» insieme all’esordientedi turno, come accade normalmente in tutte le caseeditrici.

Il gruppo Mondadori, come ha spiegato Riccardo Caval-lero, sta preparando delle «sorprese» in merito alla co-struzione di «modi diversi di self-publishing». Voi diGems, invece, con le possibili evoluzioni dell’autopubbli-cazione vi siete già mossi da un paio d’anni.Sì, certo, già lo facciamo attraverso «Io Scrittore». Perme e per le nostre direzioni editoriali internet è semprestata una fonte in più. Non è l’unica, ovviamente, mastiamo già investendo da tempo in questa direzione.Non si illuda nessuno, però, che questa modalità so-stituisca il lavoro dei bravi agenti e dei bravi editori.Se uno pensa che il lavoro dell’editore sia prendere unmanoscritto e pubblicarlo così com’è fa bene a riteneredi non essere più necessario in futuro. Viceversa, seuno pensa che l’editore faccia compiere all’opera l’ul-timo fondamentale miglio che la porta al successo,come le nostre case editrici dimostrano ogni anno por-tando in classifica decine di esordienti, ha ragione apensare di avere un mestiere anche per il futuro e che

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Francesca Borrelli, il manifesto, 19 agosto 2011

materici e formali con i quali un testo si presenta alsuo pubblico sono anch’essi veicoli potenti di signifi-cati, dunque influiscono sull’inconscio della lettura,ma chi ha concepito questi dispositivi è destinato arestare in ombra. Se molti autori, italiani e stranieri,si affezionano a un editore, il merito è anche degli uf-fici stampa che prendono a cuore le sorti dei loro libri,tollerano le loro intemperanze narcisistiche, e a volteli scarrozzano dall’alba alla notte nelle città che ospi-tano le presentazioni dei loro libri, restando sempredietro le quinte.A tutte queste figure sono dedicate le pagine che usci-ranno da oggi alla fine di agosto, pagine raccontatedai protagonisti di un lavoro che è ancora in grado dismobilitare parole come passione, senso, entusiasmo,persino idealismo, sebbene temperato a volte crudel-mente dalla fatica. È soprattutto grazie a loro che, no-nostante le profezie di McLuhan, la Galassia Guten-berg resiste orgogliosamente ancora.

Queste pagine inaugurano una serie dedicata al lavoroeditoriale, il cui intento è quello di rendere visibili al-cuni tra i passaggi fondamentali che stanno dietro lapubblicazione di un libro, facendoli raccontare da chine è protagonista. Se la scrittura implica generalmentesolitudine, la conversione di un testo in libro richiedeil coinvolgimento di una piccola collettività la cui esi-stenza è insospettabile per chi non ha dimestichezzacon l’industria editoriale: agenti letterari, editor, redat-tori editoriali, grafici, revisori delle traduzioni, ufficistampa sono tra i principali responsabili della fortunadi un’opera, eppure i loro nomi non compaiono mai.La qualità dei cataloghi è il frutto di scelte i cui autorisono quasi sempre votati alla invisibilità. Tra la con-segna di un testo e la sua pubblicazione si consumanospesso interventi fondamentali che investono la scrit-tura, e persino l’architettura di un testo, di cui sonoautori persone il cui nome è previsto che rimangaignoto. La veste grafica e, più in generale, gli aspetti

Prima che un testo diventi libro

Protagonisti dell’editoria

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se potrebbe rivelarne aspetti che nessuna analisi esternasarà in grado di cogliere. E comunque è vero che, pas-sato qualche anno, quei dettagli si confondono, la me-moria quando non scompare si altera, ogni testimonediventa inattendibile. Quando ho sentito me stesso edue miei colleghi dare tre versioni diverse del lancio diuna collana avvenuta non trenta, ma dieci anni fa, misono dovuto rendere conto che la superiorità conferitada un certo sapere, se c’è, dura poco.Alla fine, se, come nella parabola buddhista dei ciechi,la letteratura fosse un elefante, è vero che ciascuno lainterpreta a partire da quel pezzo che tocca: le zampe,la proboscide, la coda. E noi, come i critici, gli storici,i linguisti, raramente vediamo al di là della prospettivache il nostro ruolo ci assegna.La labilità della memoria introduce un altro elementoimportante: il peso immenso del fattore umano. Sa-rebbe confortante pensare che gli strumenti di analisidel mercato si affinano al punto da ridurre gli errori eottimizzare gli sforzi, e in parte questo è anche suc-cesso e ancora di più succederà, eppure ogni volta checonsulto qualche opera storica sull’editoria del passatocapita sempre che resto là stupito e mi dico maguarda, questo l’avevano già fatto ottanta, sessanta,cinquanta anni fa!Non che qualcuno la ritenesse una trovata originale,ma aver partecipato a una riunione per decidere conquale viaggio premiare il libraio che avrebbe allestitola miglior vetrina e leggere per caso, soltanto qualchegiorno dopo, che Arnoldo Mondadori, negli anniTrenta, aveva organizzato una gita in battello sul lagodi Como per motivare il libraio più abile nella stessaperformance, qualche pensiero te lo fa venire.Il peso del fattore umano è il limite intrinseco e il fa-scino profondo del mestiere dei libri. Io ci lavoro daquasi trent’anni e ancora non mi sono abituato, peresempio, a rifiutare un’opera a cuor leggero. È una

Pochi lavori intellettuali sono così vari e richiedonocompetenze così dissimili e addirittura contrastanticome i mestieri dell’editoria. È l’unico ambito in cuialle persone che fanno marketing si chiede di leggerelibri fino al punto da farsene coinvolgere nel profondodell’anima e agli editor di affinare la propria sensibilitàal mercato fino al punto di non fidarsi più del propriogusto. Anche se – ed ecco il primo paradosso di questomondo variegato e impuro – non è mai così fino infondo, perché mortificarsi, tradirsi, farsi cinici è ilmodo migliore per fallire.Gli editori che non credono in un sogno non durano.Una simile somma di competenze eterogenee in vistadi un fine ambiguo, sempre sospeso tra il culturale eil mercantile, tra l’ideale e l’utilitaristico, a qualcunopotrà sembrare una macchinazione subdola, un in-sieme di tecniche elaborate per abolire le complessità,smussare le punte più acuminate dello stile, spianareil senso estetico dei lettori. E difatti, da qualche annoa questa parte, si è andata sviluppando una sorta dicritica dell’editoria che, limitandosi a volte all’obiet-tivo di inquadrare le strategie degli editori, altre voltesi sostituisce alla critica letteraria tout court, tanto checapita di leggere critiche agli scrittori che in realtàsono prima di tutto critiche agli editori che li hannopubblicati.Molti editor, da parte loro, hanno spesso una sorta diatteggiamento di superiorità nei confronti del resto delmondo che ruota attorno ai libri, come se il loro essereal centro del sistema, il fatto di avere assistito alla na-scita delle opere e al successo di qualche iniziativa piùmemorabile conferisse loro una innegabile superiorità.Per qualche tempo anch’io l’ho sospettato, se non pro-prio creduto, ma, come molte presunzioni, anche que-sta è ingiustificata. Gli editor non sono più smart deglialtri e chi ha «lanciato» un’opera non ne sa di più ri-spetto a coloro che quell’opera la studieranno, anche

Antonio Franchini (direttore editoriale della narrativa Mondadori), il manifesto, 19 agosto 2011

Un lavoro da samurai

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«Gli editori che non credono in un sogno non durano»

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romanzo scritto da un anziano signore. Se funzionanole storie di famiglia, vuol dire che forse il mondo làfuori è pronto ad accogliere le prodezze di un eroe so-litario. Se il pubblico ama storie con protagonisti ty-coon e finanzieri, è ora di emozionarci davanti aun’epopea di straccioni e di andare a rivedere che cosafanno nelle fabbriche gli operai.Non molti anni fa, in un comitato editoriale, sentiidire – si parlava di Anne Rice, scrittrice americana spe-cializzata in storie di vampiri – che, tanto, in Italia «ivampiri non hanno mai venduto e mai venderanno».E l’osservazione mi sembrò assolutamente logica.E invece le leggi bronzee sono tali fino a prova con-traria, mentre bisognerebbe non essere mai dove unosi aspetta di trovarci, stare sempre altrove. Ma anchequesta, come tutte le affermazioni del genere, suonacome una sciocchezza nel momento in cui è formu-lata. Soltanto alle opere riuscite è consentito mandaremessaggi, emanare radiazioni senza sembrare stupide.L’editoria, al suo più alto livello di complessità, è co-munque un mestiere ancillare. Rispetto all’opera,l’editore è come un samurai di fronte al daimyo, il si-gnore. Nel senso etimologico del termine samurai:colui che serve.

cosa che devo fare e che mi costa. Non ci devo pen-sare, ma, quando ci penso, c’è sempre un attimo incui mi sembra di scrivere un rifiuto a me stesso.Sono passati trent’anni e ancora non riesco a prescin-dere dalla simpatia o dall’irritazione che alternativa-mente mi procurano certi modi di porsi e di proporsi.Non dovrebbe essere così, uno dovrebbe imparare aprescindere, ma non si impara mai fino in fondo.La lettura, poi, non dovrebbe mai essere umorale, maa volte apri un inedito nella disposizione di un asse-tato che aspetta la pioggia e altre volte ti senti comeun otre gonfio a cui solo il pensiero di un liquido dàuno sbocco di nausea.La definizione migliore di un lettore editoriale l’hosentita esprimere una volta da un mio collega chedisse: è come essere un lettore molteplice. Leggi e tidici però, come mi piacerebbe questo romanzo se fossiuna donna di mezza età, uno studente universitario,uno che lavora in borsa. E in quel momento non seiuna specie di irritante essere superiore che ora indossauna maschera e ora un’altra, sei veramente una donna,un ragazzo o un broker.E poi: che cosa va e che cosa non va? Se tutti cercanoil giovane esordiente ti devi augurare di imbatterti nel

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Tim Parks, Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2011

diverse realtà nazionali sta vano diventando superiorialle differen ze», quasi ci fosse una linea netta tra dif -ferenza assoluta e somiglianza totale, con un punto disvolta superato il quale i romanzi non racconterannopiù la loro terra di provenienza, non è molto convin-cente. Dire che «stava avvicinandosi il momento incui una vicenda ambientata a Berlino non sarebbestata troppo dissimile da una ambientata a Lisbona»fa pensare che lo scrittore si limiti a riporta re fedel-mente le vicende senza che sia lui a decidere se radi-carle o meno in un am biente particolare. Un romanzoche rac contasse per davvero la politica calabre se dioggi troverebbe personaggi e vicen de molto diversi dauno ambientato nel parlamento norvegese.Citando Coetzee, Coletti fa notare co me, man manoche i romanzieri sudame ricani, africani e asiatici sisono aggrega ti alla Repubblica mondiale delle lettere,è emerso il fenomeno di chi racconta non più per ilproprio pubblico nazionale, ma per una readership piùestesa e tenden zialmente liberale. Dice Coetzee: «Il romanzo inglese è scritto in primoluogo dagli inglesi per gli inglesi. È questo a farne ilromanzo ingle se. Il romanzo russo è scritto dai russiper i russi. Ma il romanzo africano non è scritto dagliafricani per gli africani. Ma gari i romanzieri africaniscrivono dell’Africa, di esperienze africane, ma misembra che mentre scrivono non faccia no altro cheguardarsi alle spalle, con un occhio agli stranieri cheli leggeranno».Questo sì che è convincente, e va ben oltre la lettera-tura africana. È evidente che le opere recenti di Pamuk

Il romanzo si è staccato dalla sua terra nativa e si prestaa lanciarsi nel vortice della circolazione globale. Que-sta la tesi principale di Romanzo mondo di VittorioColetti. I grandi romanzi del passato – Orgoglio e pre-giudizio, Madame Bovary, Delitto e castigo – erano sal-damente radicati nel loro territorio e nella lingua lo-cale. Anzi, più ne facevano parte, più riuscivanoprofondi e avevano la possibilità, dopo un’afferma-zione nazionale, di attrarre un pubblico anche inter-nazionale. Così, nonostante le differenze di lingua ecultura, la nazione non è mai stata una scatola a chiu-sura stagna. Gli scrittori si facevano influenzare daicapolavori di altri paesi – Sterne da Rabelais, Stendhalda Fielding, Joyce da Flaubert – tanto che far studiarele letterature nazionali come fossero a sé stanti è statouno sbaglio. Ma se una piccola parte della produzioneletteraria circolava anche all’estero, i territori stessi ri-manevano ben diversi; i romanzi erano radicati inquei territori («Emma Bovary trasferita a Roma nonsolo non funzionerebbe come emblema della piccolaborghesia ottocentesca, ma semplicemente non po-trebbe darsi») e soprattutto gli scrittori indirizzavanole loro opere a un pubbli co nazionale; erano coinvoltiin un dibat tito con chi li circondava. Nel secondo Novecento tutto ciò è cam biato. Si trattadi un’evoluzione lunga, complessa, ancora in atto, enon sorpren de che Coletti stenti a mettervi ordine.Anche con la forte tendenza di culture ed economiead allinearsi, rimangono diffe renze importanti tra unposto e l’altro, tra una lingua e un’altra, tra le persone,le tradizioni, i mercati. Dire che «le somi glianze fra le

La letteratura si sta globalizzando come suggerisce un saggio di Vittorio Coletti?È vero che oggi gli scrittori si rivolgono sempre più spesso a un pubblico internazionale. Ma questo non significa che le loro opere diventino apolidi

L’illusione del romanzo mondo

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non si ri volgono più in modo marcato a un pub blicoturco, mentre quelle di Rushdie non erano mai rivoltea un popolo indiano. Anzi, dire che il romanzo ingleseè scritto dagli inglesi per gli inglesi sem bra almeno inparte anacronistico; già dieci anni fa, Kazuo Ishiguro,di origini giapponesi ma considerato uno dei mi glioriscrittori inglesi, spiegò che il suo stile estremamentespoglio era pensato proprio per facilitare la traduzionee la circolazione globale dei suoi romanzi. E incorag-giava gli altri scrittori inglesi a fare altrettanto.Tornando (adesso) alle differenze e so miglianze traBerlino e Lisbona, notiamo un cambiamento comunea tutte e due le città, anzi a tutti i paesi occidentali.Che mentre ancora nel primo Novecento il ro manzoaveva un certo peso culturale e po litico in loco, fa-cendo del romanziere una persona importante nelladinamica del paese e nella costruzione di un’identi tànazionale, questo non è più vero.Oggi la narrativa non è più centrale all’identità col-lettiva, anche perché il pubblico sta leggendo tantaletteratura straniera. Laddove invece un romanzoabbia davvero un effetto politico, è spes so un inci-dente di percorso. Rushdie ha più volte spiegato cheI versetti satanici doveva essere un romanzo molto pri-va to, e che non aveva previsto una violenta reazionemusulmana. Anzi, avvertito che il romanzo poteva su-scitare proteste se pubblicato in India, ha credutotroppo cauti i suoi consiglieri. I tumulti che sono poiscoppiati hanno indicato quanto po co quest’autorecapisse del mondo di cui si era fatto rappresentanteper un Occi dente assettato di esotismo.Venuta meno la possibilità di un ruolo importantenel proprio paese, diventa sempre più forte il ri-chiamo di una cele brità internazionale resa possibiledalla ormai rapidissima e pressoché globale distri-buzione di un romanzo. Anzi, in mol ti casi sarà pro-prio il successo internazio nale a conferire allo scrit-tore un presti gio, se non un’influenza, in patria.Ricor do una conversazione con il romanziere sudti-rolese Josef Zoderer, che si dannava perché non eratradotto in inglese. Più re centemente, l’olandese Ed-zard Mik, autore di otto romanzi, mi ha spiegatoche la sua più grande ambizione è farsi tradur re in

inglese. «Altrimenti avrò fallito, co me scrittore». Se-duto al suo computer, senz’altro online e in contattovia Facebook con tutto il mondo, il romanziere nonaccetta più i limiti di un pubblico nazionale che nongli concede poi tanta im portanza.Coletti è bravo nel far capire come la nuova vocazioneinternazionale del ro manzo cambi i suoi contenuti etenda ad aumentare la confusione tra alta lettera turae letteratura di genere. Azzeccato il paragone tra Il co-dice da Vinci di Dan Brown e Il pendolo di Foucault diEco, do ve la differenza di qualità sta non tanto nelprogetto stesso – tutti e due i libri presentano la storiacome una vasta cospirazione internazionale – manell’ele ganza ed erudizione dell’esecuzione. Ef ficacepure l’analisi di un Baricco che evo ca puntualmente«un’atmosfera lettera ria senza lasciar riconoscere epo-che e posti precisi».Il libro per bambini, ci spiega Coletti, il giallo, il fan-tasy e il romanzo di fantascien za sono tutti generi chesi prestano a una rapida commercializzazione in di-versi pae si. Nel giallo in particolare, l’ambientazio nelocale può essere recuperata, non come fattore deter-minante nel puzzle del delitto, ma come esotismo perincuriosire il lettore straniero – «il particolare è il co-lore necessario per diversificare prodotti analoghi».Per uno di quegli strani casi della vita, ho letto il librodi Coletti in viaggio per l’Olanda dove, come partedi un progetto di ricerca dell’Università Iulm su let-tera tura e globalizzazione, ho passato un mese a par-lare con scrittori olandesi e a leg gere i loro romanzi(in traduzione ingle se, francese o italiana). Nono-stante il mo mento di intenso scontro politico inOlanda, la preoccupazione di tutti gli scrittori era dinon chiudersi nella vita nazionale ma di far partedella comunità letteraria più estesa che si va for-mando. E malgrado la mia nostalgia per i roman zi dialtri tempi, le opere di Arnon Grun berg, ChristiaanWeijts, Jan van Mersber gen, Anton Valens e TommyWieringa mi hanno convinto che si può anche scri -vere una buona narrativa senza che il lettore vi per-cepisca la benché minima par ticolarità nazionale.Detto questo, ho tro vato l’Olanda molto, molto di-versa dall’Italia…

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L’italiano come scelta

«La mia cosa è dove sono» di Igiaba Scego fa riflettere sulle opere degli autori figli di emigrati nel nostro Paese

Il bello e felicemente spiazzante li bro di Igiaba ScegoLa mia casa è do ve sono, tra diario interculturale e me-moir di formazione, ci permette di fare una più me-ditata riflessione sui cosiddetti «migrant writers» e,inoltre, di cominciare a decostruire la stucchevole re-torica delle «radici».La realtà della «letteratura migrante» nasce da noi in-torno al 1990, in ritardo rispetto ad altri paesi (felixculpa, dato che non disponia mo di un importantepassato coloniale, ben ché, come qui si ricorda, anchegli italiani ab biano ucciso, depredato e umiliato «ipopoli con cui sono venuti in contatto»). Dopo unafase pionieristica, in cui prevaleva l’aspetto del docu-mento antropologico, della testimonian za e della de-nuncia, i romanzi migranti (o «ita lofoni»: tutte eti-chette più o meno imprecise) hanno acquisito pienamaturità letteraria, esi bendo una qualità stilistico-espressiva di asso luto rilievo (cito solamente OrnelaVorspi, Cri stina Ali Farah, e il poeta Gezim Hajdari).E, forse contagiati da una italianissima tradizione,tendono a preferire i toni più leggeri della com mediae dell’autoironia (Ahmara Lakous, Laila Wadia, IngyMubiayi, Igiaba Scego) a quelli del lamento e dellaprotesta civile.La letteratura migrante, scritta in una lin gua diversadalla madre lingua, abbraccia in Italia, secondo l’ul-timo censimento, oltre 400 autori. Ma è giusto conti-nuare a parlarne co me di un fenomeno a parte, un ge-nere o sotto genere letterario, cui riservare collane, saggie premi letterari specifici? O, peggio, proiettare sui mi-granti un nostro bisogno di risarcimen to, assumendoli

come figure di resistenza e utopia o magari chieden-dogli di rivitalizzare – con i loro creativi scarti dallanorma – la nostra lingua burocratico-televisiva? Oc-corre cam biare prospettiva. Come sottolinea ArmandoGnisci, che ne è il principale studioso, siamo entratitutti in un orizzonte migratorio plane tario (a partiredalla Grande Migrazione degli anni Ottanta), che ri-definisce lingue, culture, codi ci, identità. E tutti cimuoviamo entro una lette ratura globale. In un certosenso oggi qualsiasi scrittore, a qualsiasi latitudine, sisente un po’ sradicato dalla propria tradizione (gli ita-liani capiscono i loro classici con sempre più diffi coltà)e un po’ migrante. Nessuno è assoluta mente «immo-bile» o «autoctono».A un certo punto la Scego, nata a Roma nel 1974 daun ex ministro degli Esteri somalo in esilio, dice disentirsi un «crocevia», «uno svin colo», sospesa tra duepaesi e due lingue: all’inizio impara l’italiano, mentreil somalo è riservato a fiabe (prevalentemente splatter)e filastrocche, è insomma l’idioma dei cantasto rie. Apiazza Santa Maria della Minerva la sta tua dell’elefan-tino africano, lontano dal luogo natio, confonde tuttele certezze di Igiaba, con la sua angoscia dell’esule e ildesiderio di storie che possano redimerlo. Quandomuoiono in mare tredici somali, per il naufragio diun barcone, il funerale viene celebrato in Campido-glio. Ma lei nota che sarebbe stata più adatta la sta-zione Termini, nello spiazzo tra biglietteria, negoziodella Nike e libreria Borri, l’unico luogo (o non luogo)che a Roma ha accolto fraternamente i somali. Il librosi presenta come l’autobiogra fia di un io preso nella

Filippo La Porta, Il Sole 24 Ore, 21 agosto 2011

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vissuti diversi, e an che con un tasso di sofferenza e di-sagio perso nale sensibilmente diverso (chi proviene daun altro paese si percepisce «alieno» e incontra diffi-coltà assai maggiori), oggi siamo tutti, al meno cultu-ralmente, «pellegrini». Cosi dice Virgilio alle animespaesate appena sbarcate sulla spiaggia del Purgatorio:«[…] voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; /ma noi siam peregrini come voi siete».Come ci ricorda il titolo del libro, la mia casa è esat-tamente lì dove mi trovo: le stesse «radi ci», di cuitanto si blatera, non hanno a che fare con il sangue eil suolo, con il territorio e le ori gini, ma sono il risul-tato di una scelta cultura le: una costruzione più omeno consapevole dell’immaginario (vedi EdwardSaid). Potrem mo replicare, lievemente parafrasandola,la suggestiva dedica della Scego: «Alla Somalia, do-vunque essa sia». Nel senso che a quella esperienzaoggi pervasiva di sradicamento e di esilio corrispondepur sempre in ciascuno di noi la nostalgia di una pa-tria ideale, che però ogni giorno dobbiamo reinven-tare e ricreare, «dovunque essa sia».

diaspora, sempre in bili co tra mondi diversi, una spe-cie di toponoma stica della memoria, scandito da mol-teplici tap pe che corrispondono ad altrettante piazzee strade e monumenti romani. Il gusto narrati vo del-l’autrice si libera gioiosamente, più e me glio che in unromanzo. Ci racconta di quando la «fede» romanista,vissuta con vera compe tenza calcistica, la salvò dal-l’ansia per la provvi soria scomparsa della madre a Mo-gadiscio; e di quando scoprì che avere l’Africa dentro«è come toccare i piedi degli arcangeli»; e ancora dicome si sentì amata «in egual misura» da due linguemadri… A un certo punto troviamo poi una paginaabbagliante, quasi di urbanisti ca metafisica, che rie-voca la stele di Axum, en tro la piazza da cui è stataprelevata: «Oggi in quel posto non c’è niente. C’è ilnulla. Avanzo cieca in questo abisso. Le macchine pernon perdersi d’animo fanno un girotondo intorno aquel vuoto…». Girando intorno a quel vuoto cia-scuno di noi, nel presente dell’esodo plane tario, si co-struisce la propria identità sempre più meticcia, com-posta di frammenti e pulvi scoli dispersi. Benché con

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tribale. Nel 1962, quando nonc’erano il world wide web nécellulari né computer porta tiliné smartphone né iPad, e face-va no la loro comparsa le primecalcola trici elettroniche, Mar-shall scrisse: «Invece che ten-dere a diventare una gigantescabiblioteca di Alessandria, il

mondo è diventato un computer, un cervello elettro-nico molto simile a quello di un racconto di fanta-scienza per bambini. E men tre i sensi vanno fuori dinoi, il Gran de Fratello entra in noi. Così, se non riu-sciremo a renderci canto di que sta dinamica, ci ritro-veremo im provvisamente in una fase di terrori panici,assolutamente appropriata ad un piccolo mondo ditamburi tri bali, di totale interdipendenza e di coesi-stenza imposta dall’alto». Mentre in Italia si dibattevatra apocalittici e integrati, Marshall aspettava una verae propria apocalisse bi blica che sarebbe stata portatadall’ avvento della tecnologia e dell’«uomo disincar-nato». Un uomo vir tuale, che preferisce vivere tra fan-ta sia e sogno, che è contemporanea mente in ogniluogo e nessuno, sen za più barriere tra conscio eincon scio e senza più neanche una vera identità. Sa-rebbe inorridito nel ve derci dipendenti da Facebook,

In genere, quando lo si sentenominare, ci si ricorda della ce-lebre interpretazione di séstesso in Annie Hall di WoodyAllen. Oppure pensiamo che ilme dium è il messaggio. Op-pure, sba gliando, lo ricordiamocome maître à penser dei massmedia, un entusia sta guru dellatecnologia. In realtà Marshall McLuhan odiava la mo -dernità, era un passatista al cui con fronto MassimoFini è un seguace di Steve Jobs, e rimpiangeva ilmondo contadino, quando non c’era la tv e i libri sileggevano in chiesa. Tutta via, come spesso succede,fece del suo odio un’ossessione, lo racconta bene Dou-glas Coupland in un libro appena uscito e intitolatoMarshall McLuhan: la biografia pop del l’uomo cheaveva previsto il futuro (Isbn, pagg. 198, euro 19).È vero, Marshall aveva previsto molto, ma non perchéle sparasse come Nostradamus. Neppure per ché eraquel genio assoluto che cre de Coupland, esagerandola porta ta delle due arterie, anziché una, che Marshallaveva alla base del cra nio. Ciò nonostante molte in-tuizio ni sono impressionanti, per esem pio immaginaqualcosa di molto si mile a internet, una specie di mo -stro virtuale che avrebbe riportato l’uomo allo stato

Massimiliano Parente, il Giornale, 22 agosto 2011

Dalla Rete al virtuale: lo studioso canadese che ha inventato la scienza dei mass media era avanti di trent’anni. Una biografia ci spiega perché

Il vero Marshall McLuhan: aveva previsto (e odiato) tutto il nostro presente

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capo all’altro dell’Arizona usando i segnali di fumo. Ametà della conversazione la Commissione per l’energiaatomica fa detonare una bomba e quando il nuvolonea fungo si disperde, il primo indiano manda all’altroun segnale di fumo che dice: “Accipicchia, magaril’avessi detto io!”». Se fosse nato artista e più cinico sa-rebbe stato Andy Warhol, e probabilmente parte delsuo successo è dovuto allo stesso equivoco che deter-minò il successo iniziale della Pop Art. «I mass mediaadoravano Marshall» scrive Cou pland, «perché le sueintricate posi zioni teoriche riuscivano al tempo stessoa confonderli e a lusingarli. Al l’inizio degli anni Ses-santa non esi stevano corsi di studio sui media, li in-ventò letteralmente Marshall». Alla fine, nell’arco di unventennio, fondò il Centro per la cultura e la tec -nologia, divenne una star mondiale, e qualsiasi stron-zata passasse il palinsesto televisivo avrebbe avutoun’importanza relativa perché si poteva sempre rispon-dere che il me dium è il messaggio. Ma già sul fini re deiSettanta non se lo filava più nessuno, e nel 1979 solosei studenti seguivano il suo corso. Morì l’anno dopo,in conseguenza di un ictus che gli tolse la possibilità dileggere, scrivere e parlare, lasciandolo in gra do di pro-nunciare solo tre parole: «Yes», «No», e soprattutto «Ohboy, oh boy, oh boy».

App Store e iTunes, ma forse sarebbe ri masto anchesorpreso di come que sto sistema terribile «impostodal l’alto» viene invece visto, perfino po liticamente,come una risorsa «dal basso». O forse, a maggior ra-gione, ne avrebbe tratto un’ulteriore pro va di una tri-balizzazione collettiva. Cat tolico fervente, attaccava lesocietà senza Dio, e quindi coerentemente il marxi-smo e il capitalismo, e non come i religiosi di oggi,che coniuga no felici il cristianesimo con il libero mer-cato. Ce l’aveva anche con l’omosessualità, «ormaifuori con trollo».Intanto, mentre attendeva l’apocalisse del villaggioglobale, gli fu tro vato un grosso tumore al cervello.Ne sopravvisse, pur con l’handicap di fermarsi nelmezzo delle frasi per diversi secondi, a volte minuti disi lenzio, anche durante le lezioni, per poi, a differenzadi Celentano, ri prendere il concetto esattamente dovelo aveva lasciato. Comunque sia Marshall fu, in defi-nitiva, il pri mo critico moderno a studiare i mas smedia e il primo a passare di moda, superato daLacan, Foucault, Bau drillard, Derrida e compagniabel la, i quali dicevano le stesse cose ma in maniera piùfrancese.Una delle sue barzellette preferi te era questa: «Due in-diani Navajo si stanno facendo una chiacchiera ta da un

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subito, ma a metà trattativa Canongate ci aveva scrittoesprimendo il dubbio che il libro fosse adatto al nostrocatalogo. Seguiva richiesta di una dimostrazione(scritta anch’essa) del nostro genuino interesse perl’autore, la sua storia, i suoi temi.Non ricordo di avere redatto lettere molto più imba-razzanti. La prima parte era una dichiarazione più omeno giurata della nostra fascinazione per tuttoquanto attenesse alla sfera del sesso, in senso lato e na-turalmente in quello editoriale. Al termine dell’arringachiamavo a deporre una persona per definizione in-formata dei fatti, e cioè Nell Kimball, le cui Memoriedi una maitresse americana erano state non solo unodei primi titoli pubblicati da Adelphi, ma anche unodei suoi long seller. Alla fine il libro siamo anche riu-sciti a prenderlo, ma per un attimo ricordo di averpensato che avrei fatto meglio a seguire i consigli diXaviera, che quella sera sedeva alla cassa e sbigliettava.Dopo avermi strappato di mano una banconota dacento, comunicandomi che teneva il resto come fi-nanziamento alla compagnia, Xaviera mi aveva pas-sato una copia del suo libro più celebre, The HappyHooker. Pubblica questo, mi aveva detto, se vuoi te lovendo anche stasera.

Questi traffici hanno un loro coefficiente di intratte-nimento, ma ammetto che non aiutano a risponderealla domanda iniziale in modo più articolato. Ci in-teressano i libri, e tutto sommato non è poco – piùpassa il tempo, più è bene non dare quella parolina,«libro», per acquisita. Bene, ma quali libri? Oh, libri molto lontani fra loro. So benissimo comesi immagina che passiamo il tempo, alla Adelphi: sfo-gliando vecchi cataloghi, e scegliendo titoli – non rie-sco neanche a scriverlo – sofisticati, elitari, snob, pos-sibilmente di autori defunti. Ora, mi piacerebbe

«Che genere di libri vi interessa?». Alle prime Bu-chmesse cui partecipi capita di incontrare editori oagenti che non conosci, o non conoscono te. E in ge-nere, dopo il sinistro schiocco della pinzatrice con cuiil tuo biglietto da visita viene incorporato nel quader-netto dello sconosciuto, la domanda che ti senti rivol-gere è questa. Ovviamente non si sa cosa rispondere,o almeno non ho mai saputo cosa rispondere io.Credo di non essere mai andato oltre un illuminante«libri», incoraggiando così il mio dirimpettaio (piùspesso una dirimpettaia) a scorrere il nostro catalogo,alzare un sopracciglio, e dire qualcosa come, «Ho unostraordinario reportage dall’Iraq, il primo di unadonna soldato. C’è tutto, guerra, sesso, commedia,anche scrittura. Negli Stati Uniti è considerato il librodell’anno, però non penso che faccia per voi».Non ho tenuto il conto, ma credo di avere speso unaparte considerevole della mia vita lavorativa a tentaredi convincere vari interlocutori che sì, un certo librofaceva per noi (al contrario di altre proposte, tipoquella che pochi anni fa mi era stata descritta comedi estremo interesse: «Autore tedesco, morto da poco.Conchiglie. Simboli. A Roma. Perfetto per voi, no?»).

In alcune circostanze questo corpo a corpo con la pro-pria immagine ha assunto connotati paradossali. Annifa avevamo deciso di comprare il breve libro di me-morie di un giovane attore off americano, che per unanno della sua vita, a Los Angeles, aveva esercitato ilmestiere più antico del mondo. Il racconto era diver-tentissimo, e l’autore – che avevo conosciuto ad Am-sterdam insieme alla produttrice dello spettacolotratto dal libro, Xaviera Hollander – sarebbe stato fe-lice di venire da noi. Il problema era il suo editorescozzese, Canongate, col quale peraltro siamo in rap-porti piuttosto stretti. Sulla cifra ci eravamo accordati

Matteo Codignola (editor e ideatore della collana Minima per Adelphi), il manifesto, 23 agosto 2011

Cerchiamo opere che parlino al nostro tempo

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«Cerchiamo libri che comunque parlino al tempo in cui vengono pubblicati, magari in un modo che a quello stesso tempo non suoni troppo ovvio»

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e al suo leader – decine di milioni di elettori, e nes-suno confesso: nel caso della rivista i consensi eranounanimi ed entusiastici, solo che nessuno trovavasbocco nel banale atto dell’acquisto.In una situazione del genere un editore non masochi-sta prende l’unica decisione possibile, e cioè sospendele pubblicazioni. Lo abbiamo fatto, ma ci dispiacevarinunciare a questi testi brevi – e, di nuovo, diversis-simi fra loro. Quasi senza che ci fosse bisogno di di-scuterne, è quindi nata l’idea di trasformarli in piccolilibri: dando forma di libro a qualcosa che non cel’aveva.

Per capire cosa intendo basta guardare il primo nu-mero della collana Minima, e cioè gli Appunti sul ni-chilismo europeo di Nietzsche. In origine si trattava diun brevissimo – ma altrettanto importante – taccuinoengadinese. Oggi è un volume che riproduce il testomanoscritto in anastatica, nella sua versione originalee in traduzione: e lo correda di un rispettabile appa-rato critico. Il tutto in sessanta pagine di piccolo for-mato. Per puro caso, ho visto i libri arrivare in libreria. Spac-chettando i primi cinque titoli della serie, il libraio miha chiesto, nell’ordine, cosa diavolo erano, e dove po-teva metterli. Al solito, non avevo risposte, o meglioavevo solo la risposta di Francoforte. Che però, nellacircostanza, era abbastanza adatta: «Libri. Sono libri.Perché non li mette sul bancone?».

molto fosse vero, perché significherebbe che tutti igiorni parteciperei a dialoghi del tipo «Hai letto X?».«Sì, è buono, ma cosa vuoi che ti dica, non mi sembraabbastanza elitario. Poi scusa, ho saputo (pausa dicontrizione, o smorfia di ribrezzo) che l’autore è vivo».Spiace sempre sfatare una leggenda, ma purtroppo– ripeto, purtroppo – non accade nulla del genere.Alla Adelphi cerchiamo libri scritti oggi come negliultimi secoli (e in qualche caso millenni), ma sel’uomo produce testi da tempo immemorabile nonci sentiamo di farcene una colpa. Cerchiamo libriche comunque parlino al tempo in cui vengono pub-blicati, magari in un modo che a quello stesso temponon suoni troppo ovvio. Dal punto di vista delle sin-gole scelte, sappiamo che il nostro è un mestiere ca-duco – e non è detto che sia un male. Su un altropiano, quello della forma, lottiamo invece per unacerta permanenza.

Non ho lo spazio per elencare ciò che fa di un libroun libro: la decenza (se non la bellezza) tipografica, lepagine cucite anziché incollate, una gamma di coper-tine che comprenda altri soggetti, oltre a un volto ocorpo di femmina su uno sfondo di acqua o di nuvolein viaggio. Però voglio concludere con un piccoloesempio di cosa intendiamo, dal punto di vista edito-riale, per permanenza. Qualche anno fa facevamo unarivista, Adelphiana che suscitava un fenomeno oppo-sto a quello da sempre associato al partito di governo

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Stefania Vitulli, il Giornale, 23 agosto 2011

che, grazie alla Rete, oggi è possibile diventare unoscrittore facendo a meno degli editori e a costo se nonproprio zero, di certo non paragona bile a quello dellatradizionale edi toria a pagamento. E siccome il self-publishing si è ormai fatto strada an che in Italia, tantoche è di questi giorni l’annuncio da parte di Riccar doCavallero, direttore generale Li bri Trade del gruppoMondadori, dell’apertura nei prossimi mesi di un ca-nale strutturato di autopubbli cazione, è bene provarea orientar si tra le offerte possibili.La prima cosa che è bene sapere è che autopubblicareun ebook è una modalità alterativa di pubblicazionerispetto a quella dell’editoria tra dizionale e anche delcosiddetto pay per publishing, ovvero dell’editoria apagamento, che qui da noi, e non senza motivo, è dasempre guardata con sospetto. A meno che non sitratti di consolidati marchi editoriali o di collane set-toriali di editoria scientifica, infatti, spesso le case edi-trici che accettano di pub blicare libri di esordientidietro compenso propongono contratti capestro incui il neo scrittore è co stretto a scucire dai mille aitremila euro di anticipo per un acquisto di copie ob-bligatorio (dalle cento alle 300 di media) e per unapresunta distribuzione e promozione attraverso canalia volte fantasma.Il self-publishing è cosa molto diversa: quando l’au-tore ha pronto il proprio manoscritto, può avvalersidi una serie di «service», per pubbli carlo online in unformato che sia acquistabile, scaricabile e leggibile at-traverso i più comuni e-reader. Ciascuno di questi edi-tori virtuali ha un’identità e offerte precise. La più

Si chiama John Locke, da Louisville, Kentucky, e lasua storia, come si suol dire, ha fatto il giro del mon -do. Scrive storie western e thriller, ha un’ottima retedi contatti su twit ter e un sito fatto benino. Decidedi autopubblicarsi usando, tra i primi, il Kindle DirectPublishing. No agenti, no ufficio stampa, no marke -ting – nonostante sia un uomo d’af fari. Solo passapa-rola e un piccolo segreto: accettare di vendere i suoilibri a 99 cent la copia invece che a dieci dollari dimedia. In un anno diventa l’uomo da un milione diebook, con otto titoli nella Top 50 di Amazon e gua-dagni paragonabili, negli Usa, a quelli di Stieg Larssone Michael Connelly.Anche più consolidato il caso di successo di AmandHocking. La si gnora passa una primavera frustrantenel 2010, cercando un edito re tradizionale che la vo-glia pubbli care. Poi decide di passare al self-pu blishhige mette online i suoi roman zi paranormali per youngadult nel le vetrine virtuali di Amazon, Bar -nes&Noble, Smashwords e Apple.Centosessantaquattromila copie vendute prima dellafine dell’anno, un milione di copie a oggi. Il che lefrutta un contratto da due milioni di dollari con la StMartin’s Press, che se la disputa al l’asta, per la suanuova quadrilogia.Negli Usa è boom: un paio di setti mane fa il NYT harivelato che dal 2009 al 2010 i libri autopubblicatigrazie alla piattaforma di Amazon CreateSpace sonoaumentati dell’80 per cento. Forse il nostro mercatonon sarà promettente come quello ame ricano, ma èfuori di dubbio che al cuni casi sembrano dimostrare

In America c’è che vi vende milioni di copie sul web facendo tutto da solo. E i nostri editori? Si stanno muovendo

Storie di (stra)ordinaria autopubblicazione

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«Grazie alla Rete, oggi è possibile diventareuno scrittore facendo a meno degli editori e a costo se non proprio zero, di certo non paragona bile a quello della tradizionale edi toria a pagamento»

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stanno investendo è una «terza frontiera», che prevedeun self-publishing che integra i servi zi editoriali tradi-zionali con l’auto nomia dell’ utente scrittore. L’auto re,in questo caso, esegue (e otterrà così royalties più ele-vate) o fa ese guire a professionisti proposti dal l’editoreediting, correzione bozze, traduzione. E l’editore vir-tuale, ga rante di un prodotto di qualità, si ri serva di «se-lezionare» i file che diventeranno ebook. Poi distribuiràle royalties al netto di Iva, anche sui mercati stranieri,pari all’incirca al 25 per cento del prezzo di vendita.Spiega Dario Tonani, che ha pubblicato all’ inizio del2011 Cardanica con 40K: «Due sono i fattori che mihanno en tusiasmato. I tempi, ovvero la possi bilità discrivere ed essere pubblica to in qualche settimana. E ilfeed back immediato dei lettori. Ho autoripubblicatoin ebook una raccolta di fantascienza uscita anni fa egra zie ai post ho costruito un sequel. Da cui alla fine ènata addirittura una trilogia».

semplice di cui avvalersi, e in cui è stato pioniere inItalia Narcis sus, è la conversione dei file del mano-scritto in un forma to leggibile dal futuro utente e lacu ra della transazione commerciale. Il tutto avvienegratuitamente: non ci devono essere «gettoni diingres so» o anticipi da sborsare. L’editore virtuale trat-tiene a compenso la per centuale concordata sul ven-duto. È il meccanismo che mette in atto an che Ama-zon. Tuttavia, anche solo in questo caso «base», larivoluzio ne è chiara: autori e lettori si incon trano e siscelgono, senza interme diari, per la prima volta. E loscritto re diventa editore di sé stesso. Uno dei primiclamorosi casi di self-publishing «vip» accadde l’estatedi undici anni fa: Stephen King annun ciò che avrebbeautopubblicato The Plant sul suo sito, «divorzian do»di fatto dal suo editore.Quella su cui gli editori virtuali più avanzati, come lapiccola 40K, nata dall’esperienza di Bookrepublic,

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senzialmente adolescenziale ed emotivamente intensa:scegliere i libri da pubblicare ogni anno è come mettereinsieme canzoni su una cassetta – o in una playlist – daregalare a una persona cara o da far girare fra gli amici.È un atto di libera espressione di sé e dei propri gusti(questi sono pezzi che amo, questi sono pezzi di me),un tentativo di condivisione (a me piacciono, se piac-ciono anche a te saremo più vicini e meno soli) e ungesto vagamente didattico (ti faccio conoscere qualcosadi nuovo e di bello).

Come nel creare un mixtape si sceglie con cura l’or-dine dei brani, valutando l’effetto di ciascuno rispettoall’insieme, così per me una buona collana letterarianon è un’accozzaglia di titoli ma un collage armonico,che abbia una personalità, un’atmosfera riconoscibilepur nella varietà delle storie e degli stili. Come igruppi che scopriamo da soli sono spesso quelli cheamiamo di un amore particolare, e che non rinne-ghiamo mai, così – senza nulla togliere al contributodegli agenti letterari e dei consulenti che aiutano uneditor a districarsi nell’enorme massa di materiale fracui pescare (alcune delle nostre canzoni preferite ce lefa sempre scoprire qualcun altro!) – il momento perme più prezioso è quello della ricerca attiva e auto-noma, che si compie perlustrando gli scaffali delle li-brerie straniere, leggendo riviste letterarie e blog,scambiandosi idee con i colleghi e gli autori di altripaesi. Come dei gruppi che ci piacciono davvero nonci piace mai una sola canzone, così io tendo a selezio-nare non singoli titoli, ma autori: anche se significascartare un testo che in sé potrebbe «funzionare»quando non sono convinta che la voce dello scrittoreabbia abbastanza personalità e solidità da restare rile-vante nel tempo, o pubblicare titoli dallo scarso po-tenziale commerciale pur di continuare a sostenere unautore in cui credo fortemente.

Da una decina d’anni lavoro come editor della nar-rativa straniera per una casa editrice indipendente,minimum fax, di cui sono oggi anche direttore edi-toriale. Ciò comporta un ruolo di supervisione, in-dirizzo e coordinamento di molte diverse attività; maè della mia mansione originaria e più specifica di edi-tor che vorrei parlare qui. Dello spirito con cui faccioquesto lavoro e con cui vorrei continuare a farlo.A differenza di un editor di narrativa italiana, chespesso affianca in prima persona l’autore nella rifini-tura del testo, un editor di narrativa straniera sele-ziona romanzi e racconti già allo stato definitivo, egià pubblicati in un’altra lingua. Per questo, in ge-nere, vive il rapporto con gli autori in modo moltopiù disteso e sereno: niente discussioni sull’opportu-nità di un taglio o di una riscrittura, niente telefonateisteriche nell’imminenza dell’uscita; bensì lunghecene e bevute e chiacchierate in occasione di festivalletterari o di tour di presentazione del libro – quandonon rocamboleschi giri in motorino per la città, epi-sodi di ubriachezza molesta dopo la cena in una trat-toria di paese, o fine serata in angusti gay bar con poledancer di taglia XXXL: l’aneddotica in materia è sem-pre ricca e gustosa, ma è, tutto sommato, solo un gra-dito corollario.

In realtà, la parte più rilevante del lavoro di un editordella narrativa straniera consiste nell’attività di ricercae valutazione di opere letterarie di cui proporre all’edi-tore l’acquisto dei diritti di traduzione; una volta andataa buon fine la trattativa, l’editor ha spesso il compitodi seguire da vicino la realizzazione del libro (assegnarela traduzione, a volte rivederla, collaborare all’ideazionedella copertina, scrivere i testi delle bandelle…): cosìfacendo, nel corso degli anni contribuisce a costruire ilcatalogo della casa editrice. Da sempre, vivo tutto que-sto come l’equivalente di un’attività creativa quintes-

Martina Testa (editor della narrativa straniera e direttore editoriale minimum fax), il manifesto, 24 agosto 2011

Al mercato offriamo emozioni e coraggio

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«Scegliere i libri da pubblicare ogni anno è come mettere insieme canzoni su una cas-setta – o in una playlist – da regalare a unapersona cara o da far girare fra gli amici»

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società di distribuzione, catena di librerie, a tutto svan-taggio dell’editoria indipendente, che ne resta schiac-ciata; vuoi per la vera e propria catatonia intellettuale acui è ridotta buona parte della popolazione, sempre piùspesso ciò che si richiede a un editor è l’opposto di unacompilation personale; assomiglia alla playlist di unaradio commerciale, dove il dj non seleziona e non mixanulla: al massimo, annuncia il titolo del pezzo o lanciala pubblicità.

Alcuni editor non se ne scandalizzano: sostengonoanzi che il senso del lavoro che facciamo sia propriooperare un compromesso fra i nostri gusti e il mer-cato. Ma quando le forze in campo sono impari, com-promesso è solo sinonimo di cedimento. Io vorrei, in-vece, che questo stato di cose cominciasse a venirpercepito con insofferenza; che l’editor smettesse divedere il mercato come uno scenario già dato con cuifare i conti, ma lo affrontasse come un contesto da ri-orientare sulla base dei propri valori e dei propri gusti.Che all’editor venisse voglia di lottare, se serve, per ri-portare al centro del proprio lavoro l’orgoglio, l’emo-zione, il coraggio e l’impegno con cui si mettono in-sieme una manciata di canzoni da regalare a unapersona che ci sta a cuore

Si può registrare una compilation di soli successi delmomento, ma forse tra un anno la persona a cui è de-stinata avrà già smesso di ascoltarla. Oppure si puòmettere insieme una compilation di vecchie hit e chic-che rare – e in effetti una collana che recuperi titolidel passato è una sana reazione al frenetico viavai dellenovità editoriali che non durano più di una stagione.Ma, per quanto mi riguarda, la sfida più grande perun editor di narrativa letteraria è ancora diversa, fattadi fiuto e preveggenza: riuscire a scegliere, fra le novitàdi oggi, quelle che fra venti o quarant’anni parlerannoancora ai lettori. Creare la compilation perfetta, in-sieme attuale e senza tempo.

C’è un aspetto, però, in cui la similitudine non tiene.Da che mondo è mondo, la compilation di brani as-sortiti da te è un regalo. (Ancora oggi, sui blog e sulleriviste online, i mixtape di mp3 si scaricano gratis.) Ilibri di una collana invece vanno venduti; e in Italia,oggi, vanno venduti in un mercato editoriale in pro-fonda crisi di fatturato e di idee. L’intraprendenza, lalibertà, la creatività dell’editor vengono ostacolate. Vuoiper la logica industriale che guida le grandi aziende edi-toriali; vuoi per il frequente concentrarsi, sotto unastessa proprietà, di casa editrice, rete di promozione,

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la direzione commerciale e poi gli ordini dei librai, in-terpellati uno per uno: sorretti da una enorme fiducianella capacità di editori e distributori di rifornire unlibro all’istante, se «esplode», spesso preferiscono li-mitare i rischi. La tiratura finale, decisa sulla base diquesti feedback, per la gran parte degli editori ormaiè pari al totale delle prenotazioni, più quel che serveall’ufficio stampa e per i primissimi rifornimenti. Inutile esagerare con le scorte: se il libro funziona, losi ristampa. Se non funziona, c’è l’incubo delle rese.Perché il libraio ha diritto di restituire all’editore – nelmomento che ritiene più opportuno, dopo un giornoo dopo un anno – i volumi che non ha venduto, e chesaranno destinati al magazzino. Purtroppo, malgrado queste cautele, gli errori ci sono.Inevitabili. A volte clamorosi. La regola l’aveva giàenunciata Denis Diderot, mentre lavorava a ungrande successo editoriale come l’Encyclopédie. Sudieci libri, spiegava Diderot, «ce n’è uno – ed è giàmolto – che ha successo, quattro che recupererannole spese in tempi lungi, e cinque che restano in per-dita». La regola di Diderot, per un bravo editore, restavalida. Gli editori meno bravi, inguaribili entusiasti,fanno peggio. Anche perché (non soltanto nell’edito-ria) il ciclo di vita di un prodotto si è accorciato, e itempi lunghi non esistono più, salvo rare eccezioni.E poi non basta indovinare la tiratura giusta: per unadistribuzione perfetta e senza rese, bisognerebbe in-dovinare quante copie di quel libro verranno vendutein ogni libreria, in ogni supermercato, in ogni sta-zione… Altrimenti da qualche parte andrà prestoesaurito, mentre altrove la pila delle copie resterà alta– fino al momento delle rese. Che non risparmianonemmeno i libri di successo, quelli che vengono ri-stampati più volte: a un certo punto entra in vigoreun’altra delle «leggi di Murphy per l’editoria»: l’ultimaristampa è sempre sbagliata (e dunque torna in resa).

Se non ci fosse quella giornata, una volta all’anno, la-vorare nell’editoria sarebbe il paradiso. Progetti entusiasmanti, autori ricchi di fascino, fuochid’artificio di idee, scenari inediti… Volendo proporreuna novità editoriale, lo spettro è molto ampio: si vada un estremo – «di questo argomento non ha ancoraparlato nessuno. Sarà un successone!» – all’altro – Èproprio come Harry Potter, anzi è moooooolto meglio.Sarà un successone!». (Oppure: «l’autore lo conosconotutti, gli vogliono bene. Sarà un successone!»). Si discute della copertina, del titolo, del risvolto…Mille dubbi, le decisioni, altri mille dubbi. Ogni det-taglio dev’essere perfetto, impeccabile. All’uscita, lepresentazioni, le partecipazioni ai festival, le recen-sioni, persino le apparizioni in televisione, forse la vin-cita di un premio…Tutto questo rischia di non contare (quasi) nulla. Per-ché arriva il giorno fatidico: la riunione in cui, ognianno, in casa editrice si decide di fare alcuni libri cherestano invenduti e giacciono tristi in magazzino. Per-ché a distruggere i libri, più che l’Inquisizione o lecensure, sono gli stessi editori che li hanno pubblicatie lanciati con tutte le speranze, l’attenzione e l’amoredel mondo. I libri sono la loro passione, e soprattuttoil loro pane. In un mondo perfetto, i magazzini degli editori do-vrebbero essere vuoti. O meglio, dovrebbero custodirebrevemente solo copie che un editore è sicuro di ven-dere. Per raggiungere questo obiettivo, si è sedimen-tato un meccanismo complesso e raffinato, che scattaogni volta che si decide di stampare un nuovo libro.Una prima idea la deve avere l’editore, o l’editor chedecide di pubblicarlo: in base alla sua sensibilità edesperienza, un libro può aspirare a vendere millecopie, oppure centomila, a seconda dell’argomento,del nome dell’autore, della qualità… Ma un solo pa-rere non basta. Ad affinare la previsione intervengono

Oliviero Ponte di Pino (direttore editoriale Garzanti), il manifesto, 26 agosto 2011

Come le mongolfiere, si vola ma si può cadere

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Insomma, è fisiologico. Ogni anno l’editore deve al-leggerire il magazzino, lasciando uno stock ragione-vole. E – purtroppo – ne fanno le spese i libri «che re-stano in perdita». Una casa editrice è come una mongolfiera, leggera efragile. Il vento del successo la fa volare e la porta inalto, ma c’è una zavorra che la attira verso terra. Tenerein magazzino ampie scorte di invenduto (e invendi-bile) è peggio che inutile: costa, dopo qualche anno lecopie si deteriorano, l’argomento perde di attualità, ilettori vengono distratti dal flusso delle novità…Così le copie di quel libro così bello, importante, ge-niale – ma incompreso – devono essere drasticamenteridotte. Quel successo garantito – grazie all’autoreamatissimo da grandi e piccini, per lo scandalo cheavrebbe suscitato, in virtù del tema di scottante attua-lità – finisce al macero oppure sulle bancarelle del se-condo mercato. È il momento forse più doloroso perchiunque ami i libri, la loro concretezza, il loro signi-ficato. Gli editori sanno meglio di altri quante spe-ranze, quanta fatica, quanto denaro costi «fare» unlibro… Che quelle stesse persone debbano distruggereil frutto di tanto lavoro, oppure svenderli (se qualcunoli vuole), è un paradosso e insieme è un atto di fiducianel futuro.

È una lezione di realismo o di cinismo? Il mercato im-pone la sua dura legge anche alla cultura, con il co-rollario della «distruzione creativa»? È la teoria del-l’evoluzione applicata alla cultura o l’ennesimopromemoria dell’imperfezione umana? Per favorirel’incontro tra autore e lettore, l’editoria libraria hafunzionato a lungo in questo modo. È un meccani-smo che comporta certo alcuni sprechi, ma per orarappresenta il punto d’equilibrio «meno peggio» deglialtri. Se il mondo fosse perfetto, se gli editori e i libraiavessero la sfera di cristallo, se i lettori avessero unafame infinita di libri, i maceri non esisterebbero.Forse…Ora, sotto la spinta del print-on-demand e degliebook che promettono di eliminare le scorte, la si-tuazione potrebbe cambiare (anche se finora, almenoin Italia, gli effetti sul consumatore sono quasi irrile-vanti – salvo un ulteriore aumento dei libri stampatie presumibilmente non venduti). Quest’anno ci è an-data molto bene. La giornata che qualche settimanafa abbiamo dedicato ai maceri è stata difficile e dolo-rosa, ma non troppo: alla Garzanti stiamo stati attentia non esagerare con le tirature, e soprattutto abbiamoportato diversi libri in classifica. Per il futuro, sivedrà.

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«Una casa editrice è come una mongolfiera,leggera e fragile. Il vento del successo la favolare e la porta in alto, ma c’è una zavorrache la attira verso terra»

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Piccoli grandi libriSono loro i lettori forti d’Italia: i giovanissimi che spaziano dal fantasy alla scienza. Così, ancora una volta, il mondo sarà salvato dai ragazzini

Leggono. Sorprendentemente, contro ogni previsione easpettativa, leggono. Hanno tra gli 11 e i 14 anni e, lodice l’Istat, sono loro i lettori forti: il 65,9 per cento haletto, l’anno scorso, almeno un libro che non fosse discuola. Poco? Niente af fatto, se si pensa che a 35 anni lapercen tuale si assesta al 50 per cento. Per poi precipitare.Ad averci sempre creduto sono i pro tagonisti di quelmondo di autori, edito ri, librai, organizzatori di festivale pre mi, che gira intorno alla letteratura per ragazzi,l’unica che non arranca. Ci ha creduto Alice Bigli, cheinsieme a Elena e Serena, ha puntato tutto su quest’età:una libreria, Viale dei Ciliegi 17 a Rimini, punto di ri-ferimento per club di let tori 11-18; un festival, Maredi libri, dedicato alle proposte per gli over 11; ga re dilettura tra le classi; ore spese a imbrigliare i giovanissiminella passione per i romanzi. Passione è il comune denominatore quando chiedi aun preadolescente l’in grediente del libro amato. EliaCrippa, 12 anni, sceglie romanzi di avventura e mi steri.Lei lo spiega così: «Devi continuare a leggere, qualcosain sospeso ti eccita, non pensi ad altro finché non giripagina». «Quel meccanismo per cui le pa gine girano dasole», lo definisce David Almond, tra i più amati scrit-tori per ra gazzi, autore di La storia di Mina e vin citore,con Skellig (Salani) del Nobel per la letteratura per ra-gazzi, il prestigio so Andersen che ogni anno premia imi gliori autori, per fasce d’età (premioan dersen.it).

Chi sono e che cosa leggonoI lettori di cui parla l’Istat sono un gruppo eterogeneo,fatto di tredicenni capaci di infiammarsi per Ammaniti,

Baricco o D’Avenia, ma più spesso di aspettare conansia l’uscita dell’ultimo Rick Riordan, inventore diuna saga che li catapulta in una nuova mitologia.Quella che ha convinto per esempio Alessandro Co-lombo, poco più che un dicenne, ad assicurare che luiandrà al liceo classico («per studiare greco anti co») dopoaver divorato tutti i volumi di Percy Jackson disponibili(Mondadori). Riordan è anche uno dei più amati autoridella fortunata serie Le 39 chiavi di Piemme (il quintoesce il 13 settembre). Ed è l’avventura per eccellenza,quella di Ulisse, a catturare Anita, tredi cenne del Clubdei lettori di Rimini. «Io ho scoperto la lettura in se-conda elementare, grazie a Storie della storia del mondodi Laura Orvieto (Giunti ju nior). E da allora non homai smesso, passando dai romanzi storici ai classici, daifantasy alle storie romantiche», rac conta. L’ultimo libroletto? Vango, di Thimotée de Fombelle (San Paolo), au-tore che ha già affascinato migliaia di lettori con il mi-nuscolo Tobia.

I generiÈ ancora il fantasy ad andare per la maggiore, in tuttele sue sfaccettature: dal magico puro al paranormalesenti mentale. Protagonisti: vampiri, angeli caduti,maghetti e unicorni. Tra i teena ger ha preso piede ildistopico, o antiu ropico: il genera che dipinge un fu-turo crudele, fatto di guerre e carestie. Uno per tutti:Hunger Games di Mondadori. Moda o esigenza? A ri-spondere all’Espresso è una della regine del fan tasy,Licia Troisi, autrice di Cronache del mondo emerso(Mondadori), un bestseller da due milioni di copie.

Daniela Condorelli, l’Espresso, 27 agosto 2011

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«Nel fantasy la singola persona può creare la diffe-renza», spiega. «I teenager hanno bisogno di crederci.Io mi sento vicina a loro, ho cominciato a scrivere avent’an ni e ricordo bene l’adolescenza. Le mie prota-goniste cercano un posto nel mon do, proprio come imiei lettori». Lettori che le scrivono su liciatroisi.it, lemanda no disegni, racconti con i personaggi dei suoiromanzi e aspettano la nuova saga, Il regno di Nashira,prevista per no vembre. Il successo del fantasy vienespiegato così da Maria Grazia Mazzitel li, direttore edi-toriale Salani: «Descrive un mondo “altro” dove tuttoè possibi le. Dove la lotta tra il bene e il male è mol tonetta». Non conta soltanto questo: «Pensiamo alla fu-sione sorprendente di elementi che convivono nellasaga di Harry Potter: la scuola, il coraggio a ognicosto, la maledizione, la perdita dei ge nitori, l’intro-iezione del male».

Intrecci multimedialiMa non di solo fantasy vivono i preado lescenti. Daglianni Ottanta la rivista LiBeR e il portale liberweb.itdocumentano tutto il pubblicato e mettono online

sondaggi sulle preferenze di prestito di centinaia dibi blioteche e librerie italiane. «I gusti sono condizio-nati dalla catena multimediale», riferisce DomenicoBartolini, responsabi le di LiBeR. Ovvero? «L’uscitadella ver sione cinematografica rilancia successi d’altritempi: così Roal Dahl torna ai ver tici delle classifichedopo l’interpretazione di Johnny Depp in La fabbricadi ciocco lato». E quando web, libro e film si rin -forzano a vicenda, gli autori arrivano a essere citatida Time tra i Cento Uomi ni più influenti del Globo.È successo a Jeff Kinney, ragazzone americano che haven duto 50 milioni di copie (anche alle figlie diObama, che lo adorano) con il suo Diario di unoschiappa (Salani) nato prima su funbrain.com, blogda 70 mila visitatori al giorno. Il protagonista dellaserie, Greg, goffo e imprevedibile ragazzi no dellemedie, racconta la quotidianità del preadolescentecon esilarante arguzia. Tanto da meritarsi l’Andersencome per sonaggio dell’anno. Da luglio e agosto sonoin sala i film tratti dai primi due libri, mentre il pros-simo volume uscirà in Italia a metà febbraio. Jeff Kin-ney descrive così all’Espresso il successo del suo Greg:

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«I bambini lo amano perché è autentico: non hannola sensazione che sia stato creato da un adulto. Loroapprezzano lo humour e gli piace scoprire personaggie situazioni in cui si ritro vano».Spiega Renata Gorgani, editor Il Castoro e direttri cedelle librerie per ragazzi di Mi lano, Monza e Brescia:«È un li bro che avvicina alla lettura i più restii perchénon spaventa, coin volge anche gli adulti. Genitori efigli ne parlano». Negli Stati Uniti è stato acclamatocome libro «bridge», un ponte verso la lettura per chiancora non ne ha scoperto il piacere. «Li definiscono“lettori riluttanti”», interviene Kinney. «Io però nonpenso che lo siano, credo si tratti invece di bambini acui non è stato proposto il libro giusto». Sulla falsarigadelle avventure di Greg, ma al femmini le, I diari diNikki la frana. E ancora: appassionano grandi e bam-bini i raccon ti di Il mio mondo a testa in giù di Ber nardFriot (Il Castoro), in cui il protago nista, novello Gian-burrasca combina guai, avvince con humor e sagacia.

Scienza, che passione«Ci sono anche altri tipi di lettori», in terviene PaoloCandi, responsabile della Libreria per ragazzi diMonza: «Sono quelli catturati non tanto dalla narra-tiva ma dalla divulgazione scientifica, che ri spondealla loro curiosità naturale». A fare la parte del leoneè Editoriale scien za, con Ecco come funziona o la col-lana Lampi di genio del pluripre miato Luca Novelli.I Lampi non sono solo libri, ma una trasmissione tv(le ul time puntate su lampidigenio.it) e un blog (lam-pidigeniointv.blogspot.com). Ottime vendite per Lafisica del Miao o del Bau e l’ultimo, La fisica delle ra -gazze di Monica Marelli. «I ragazzi che ho incontratosono lettori attenti, sedot ti dalla figura dello scrittore»,sottolinea l’autrice. «Fanno mille domande, su co menascono le idee, come si pubblica. Questa curiositàvorace li accomuna allo scienziato». E così la fisica di-venta un gioco: perché il gelato si scioglie e la piz za siraffredda piano? E ancora: per la voglia di esplorare cisono i MiniDar win, di cui è appena uscito il terzo vo -lume, ambientato in Amazzonia: una spedizione digiovanissimi sulle orme del naturalista. Perché, spiegaBigli, sono lettori onnivori. «Partono da una ba se

“specialistica” – fantasy, thriller, giallo, sentimentale –poi si aprono ad altro. Senza disdegnare i classici».

I giovani per i giovaniProfondo conoscitore dei gusti dei ra gazzi e tra gli au-tori più amati grazie alla serie di Ulysses Moore(Piemme) tradot ta in 24 lingue, Pierdomenico Bac-calario inaugura un modo nuovo di fare letteratu raper ragazzi: giovani autori mettono in comune idee,possibilità e metodo di lavo ro. Si fanno chiamare«scrittori immergen ti» (immergenti.com) e pubbli-cano, tra gli altri, nella collana Carta Bianca,inaugura ta dalle edizioni EL per colmare il vuoto edi-toriale 12-14 anni. Una collana di gio vani per giovani,che strizza l’occhio ai na tivi digitali con plot avvin-centi e avventu rosi come Il libero regno del ragazzi diDavide Morosinotto, o il recente L’estate delle falenedi Mario Pasqualotto, dove si intrecciano Facebook estorie di briganti. «I ragazzi cercano un fratello, unaperso na di cui fidarsi, un alleato che parli il loro lin-guaggio», spiega all’Espresso Bacca lario, che nei suoiromanzi lascia sempre spazi liberi: c’è qualcosa da fare,sembra suggerire, e lo puoi fare tu. «Gli autori troppocompleti e le storie troppo spiega te», è convinto, «nonpermettono ai ragaz zi di metterci del proprio».

Come scelgonoTra fantasy, avventura, gialli e scienza, il potere dellacopertina ha la meglio anche sui lettori forti. «Fac-cioni e occhi am miccanti catturano sempre l’atten-zione» sottolinea Simone Piccinini, dell’associazionedi promozione alla lettura ha melin.net che portanelle scuole il progetto Xanadu, «comunità per lettoriostinati». «La nostra idea è diversificare», intervieneEmilio Varra di Hamelin: «Inutile opporsi ai filonidi moda, ma bisogna integrarli con titoli che i ragazzinon incontrerebbero; ricordando che alla loro età sipongono le stesse domande che un tempo ci siamoposti noi». Xanadu propone un concorso di let turaper la terza media e il biennio delle superiori. Ognianno, a settembre, esce la bibliografia con 25 titoli,dal fumetto alla poesia al romanzo. «La sto ria contamolto», continua Piccinini: «Deve rappresentare la

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vita, fare da am plificatore ai timori, allora colpiscenel segno». Come è successo per Grimpow (Monda-dori) una sorta di Nome della rosa per ragazzi e, piùdi recente, con Genesis (Rizzoli), Auslander (Feltri-nelli) o The Giver (Giunti), tanto diversi tra loroquanto amati dai quattordicenni. Perché vi trovanoqual cosa che li riguarda, analogie, risposte. Così a 13anni ci si chiede se c’è futuro, se tutto è deciso dagliadulti (The Gi ver), si sperimentano crisi di identità(The Auslander).

Gare di letturaI ragazzi che partecipano alla gara di lettura di Xa-nadu, quest’anno quattromila, si suddividono i com-piti: ognuno deve leggere almeno tre titoli e alla finevotare online il più amato. «Non è che vinci, di ci latua», precisa Varra. Con buona pace del fantasy diturno, può capitare che Ci me tempestose arrivi se-condo. Intanto le scuole acquistano la bibliografiaproposta e rinnovano la biblioteca interna. Che cisiano amanti dei classici lo conferma il quattordicenneNicola, che al Circolo di lettura di Rimini chiamano«Il Rettore». Lui cita Il Conte di Montecristo e L’idiota,ma fino a qualche anno fa ap prezzava Il Signore degliAnelli e Eragon. Anche a Varese, Torino e Verona cisono gare di lettura, promosse da Alice Bigli: una lista

di dieci libri e poi si gioca a squadre. Da settembre laLibre ria dei ragazzi di Milano parte con l’av venturadel club: «Per non far sentire so lo chi ama leggere, coc-colarlo con qual che privilegio come incontrare inesclusi va gli scrittori preferiti o scoprire le ante prime»,spiega Gorgani. Un’esperienza che Eros Miari di Equi-libri sta facendo con i «club dei fuorilegge», detti«avam posti», disseminati per la penisola (per trovarlibasta cliccare su fuorilegge.it). Stanno insieme, discu-tono, partecipano a festival di libri, fanno recensioni.Succede così che il libro crei comunità.

ComunitàFiammetta Giorgi, editor Mondadori ragazzi, non acaso descrive così questi lettori adolescenti: «Informa-tissimi, in contatto continuo, hanno notizie di pri mamano anche sugli autori stranieri pri ma che venganotradotti; ne parlano sui blog, discutono, fanno son-daggio. Que sto giovane lettore si è tolto di dosso l’eti-chetta di secchione con il naso sempre nei libri ed èdiventato uno con una marcia in più. Come confidaElia, che fa la se conda media: «La maggior parte deimiei compagni di classe non legge. Non han no fan-tasia, non riescono a capire il senso del libro. Invecequando leggi sei in un altro mondo. Ti liberi. E se hailitigato con un’amica non ci pensi più».

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Daniele Balicco, il manifesto, 28 agosto 2011

Critici letterari, psicoanalisti, an tropologi, storici, sisono messi loro stessi a scrivere romanzi. Basti un ti -tolo: Il nome della rosa. Ovvio che anche i politici sidessero da fare: L’inizio del buio di Walter Veltroni(Rizzoli, 2011) e Daccapo di Dario Franceschini (Gar-zanti, 2011), usci ti entrambi quest’anno, sono solo leultime due di una lunga serie di fatiche narrative re-datte da politici nostrani in questi ultimi decenni. Maanche Caligola e Nerone, in fon do, amavano scrivereversi per i sudditi che politicamente tormentavano.Politicus nascitur, poeta fit.

È passata l’età del giudizio? Dialogando con Abraham Yeho shua, Berardinellimette a fuoco la tesi di fondo di questa sua nuova rac-colta di scritti: se il romanzo na sce a metà del Sette-cento, «accompagnando e incoraggiando la crescitadelle idee democratiche», appena la democrazia siconsolida, la vitali tà narrativa di questo genere lette -rario si spegne. Di qui la tesi: la de mocrazia realizzataostacola la scrittura romanzesca. Se questo ra -gionamento fosse almeno parzial mente condivisibile(come temo non sia) non potrebbe spiegare a contrarioqualcosa della nuova vita lità della narrativa italiana?Berardi nelli, da liberale scettico e corsivi sta del Foglio,infastidito scuotereb be la testa. E risponderebbe così,come scrive nel volume: «Legga chi vuole quello chevuole». L’età della critica e del giudizio di valore la -sciamola alle glorie del passato. Se da queste prese diposizione idio sincratiche, come dai saggi che pre -tendono pose teoretiche, Berardi nelli quasi sempre

Secondo una stima fatta dal supplemento libri delSole 24 Ore, in Italia ci sarebbero circa cinquantascrittori promettenti sot to i quarant’anni. Se siesclude il li mite d’età, la quantità verosimilmenteraddoppia e si supera il limi te del centinaio. Partedalla consta tazione di questo dato di fatto, l’ulti molibro di Alfonso Berardinelli, e il suo titolo minac-cioso suona come una vera e propria ammonizione:Non incoraggiate il romanzo!La tesi è netta: di romanzi, in Ita lia, se ne pubblicanotroppi. Delle centinaia usciti in questi ultimi ven-t’anni, pochissimi resistono al tempo. Tuttavia, stra-namente, que sti ultimi decenni hanno capovol to unaantica diagnosi. Secondo Berardinelli, la forma ro-manzo sof focherebbe per una sorta di patolo gia del-l’obesità e non certo per ine dia e rarefazione, comeancora si credeva, e lui stesso aveva creduto, a metàdegli anni Sessanta. Oggi la scrittura narrativa trionfanell’edi toria senza rivali temibili. Un po’ perché glieditori sanno molto be ne che il romanzo è l’unicoogget to editoriale capace di non spaventare il lettore:«Se solo potessero gli editori darebbero il nome di ro -manzo a tutti i libri che pubblica no». Un po’ perché,rivitalizzata dal successo degli scrittori sudame ricanialla fine degli anni Sessanta, la forma romanzo è tor-nata a oc cupare il centro del campo edito riale e a in-vadere, molto rapida mente, territori contigui. Pro-prio a partire da quegli anni, infatti, la cultura delnarrare ha iniziato a sporcare sempre più gli studi disto ria, di psicoanalisi, di filosofia, di antropologia.Non solo.

Berardinelli per Marsilio e una raccolta di interventi per Codice

L’inflazione della narrativa necessita di sguardi critici

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provoca ma ra ramente persuade, non altrettanto av-viene con gli articoli e gli scritti brevi, perché da questisi impara sempre moltissimo.Secoli di gioventù di Eraldo Affi nati, diventa, nelle suemani, un pretesto per ragionare sulla debo lezza del-l’identità maschile: «Si di rebbe che in tempi di pace,i giova ni maschi, gli uomini, molto più che le donne,non sappiano che co sa fare di sé stessi. Non riesconoa trovare una forma di impiego delle proprie energie.Anche il lusso, il consumo, il benessere, l’abulia el’inerzia prendono un carattere agonistico, aggressivo,sadomasochisti co». Con Rosa Tiepolo, di Roberto Ca-lasso, è il particolare modo di co noscere degli italiania essere magi stralmente interpretato: «In Italia la mas-sima capacità di pensiero e di espressione artistica si èmanifesta ta nelle arti visive e nella pittura. Se nonguardiamo e non vediamo co lori e splendori, noi ita-liani faccia mo fatica a capire. La nostra più profondae sottile saggezza è anche superficiale, senza gioie epiaceri dell’occhio nessuna comprensione ci si apre».Sono solo due esempi utili a rendersi conto di comeBerar dinelli, in questi ultimi anni, sia riu scito a por-tare molto vicino alla per fezione estetica quella formasag gio di cui resta uno dei più impor tanti studiosi ita-liani. E, tuttavia, la tesi di fondo del libro è sfuocata.Bisognerebbe anzitutto discute re quale realtà di fattoillumini, oggi, il termine democrazia. E poi ca pire perquale ragione il giudizio di valore dovrebbe essere perforza consegnato al passato, proprio in un periodo sto-rico che di selezione e di critica ha bisogno come nonmai prima. Una risposta provviso ria e parziale a Be-rardinelli può ve nire da un recente libro intitola to pre-cisamente Democrazia: cosa può fare uno scrittore?(edito da Codice), piccolo assaggio dalla Bienna le diDemocrazia organizzata a To rino nel 2009.Per discutere su «cosa può fare uno scrittore per la de-mocrazia» gli organizzatori hanno scelto Antonio Pa-scale e Luca Rastello. Il primo, molto amato da Be-rardinelli, è autore di alcuni romanzi, spesso notevolie ben fatti: Passa la bellezza (Ei naudi 2006) e La ma-nutenzione de gli affetti (Einaudi 2007), per esem pio.Ma anche di una serie ininter rotta di agguerriti e di-menticabili pamphlet sull’Italia di oggi.

Di tutt’altro nitore etico e narra tivo è invece il lavorodi Luca Ra stello: da Piove all’insù (Bollati Boringhieri,2006), affascinante e po tente romanzo sul trauma delli cenziamento, al suo primo saggio La guerra in casa(Einaudi 1998) fi no a Io sono il mercato (Chiarelettere,2009) e al Dizionario per un la voro da matti (Ancoradel Mediter raneo 2010), Rastello indaga con preci-sione, sobrietà e sguardo tra gico i disastri del nostrotempo. E così, mentre Antonio Pascale eser cita in que-sto patinato incontro pubblico la funzione di letteratoci vile per continuare la sua battaglia pro Ogm e proNucleare, Luca Ra stello difende precisamente il sen sodel mestiere di narratore pro prio contro l’evento di cuiè ospite. Le sue parole ruotano intorno al concetto di«lavoro-ombra» elabo rato da Ivan Illich.

Smontare con lo sguardoCon l’avvento della produzione in dustriale di infor-mazione, indivi dui e società sarebbero indotti, se-condo Illich, a una enorme mole di lavoro forzatomentale. Il fine è quello di produrre il desiderio di vi-vere dentro il meccanismo domi nante, nonostante glieffetti di struttivi che scatena sulle loro stes se vite.Questo lavoro forzato mentale si nutre di narrazionie «in par ticolare della riduzione a narrazio ne dei valorilegati all’organizza zione della convivenza». Come bentestimonia l’appuntamento che ha indotto Rastello aparlare. Del resto, continua lo scrittore to rinese, «cul-tura» oggi non signifi ca tanto accesso alla formazione,quanto inclusione nella sfera del consumo: «Nonposso mandare mia figlia all’università, ma alme nonessuno le negherà un bel festi val sulle discipline cheavrebbe do vuto studiare». Per questa ragio ne, «moltecose può fare, il nostro “scrittore” per la democrazia,in quanto cittadino. Ma in quanto narratore farà benea tacerne per dedicarsi al lavoro che gli compe te: la vi-visezione». Un compito lo attende: smontare, scom-porre, complicare gli sguardi sul mondo.

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Scrittori, bisogna avere stile!

Ormai gli autori si compiacciono di non averne uno particolare. Ma se l’opera letteraria non si giudica mai per via estetica, forse è in pericolo la nozione stessa di «valore»

In un amore felice (Adelphi), l’ultimo li bro di GuidoCeronetti, esibisce un sottotitolo apparentemente bi-slac co: «Romanzo in lingua italiana». La replica sioffre spontanea già tra gli scaffali della libreria: e inquale altra lingua dovrebbe mai esprimersi un narrato -re cresciuto a sud delle Alpi? Ma ovviamente si trattadi una provocazione. Ceronetti ci sta dicendo che lui,a differenza di tanti connazio nali, continua a scriverenell’idioma del suo paese e non in una simil-lingua,senza stile e senza musica, che ricorda piuttosto le cat-tive traduzioni dall’inglese.Beninteso, la battaglia in difesa di una pro sa sontuosa,in cui si serbi memoria della tra dizione letteraria e cisi diverta a giocare con le parole per scovare nuovi si-gnificati, non ha nulla di particolarmente originale. IlNove cento, per esempio, ha sperimentato in tutte lesue asprezze la lotta tra quelli che Tomasi di Lampe-dusa chiamava gli «scrittori grassi» e gli «scrittorimagri». Si tifava per gli uni o per gli altri, con la me-desima passione con cui si sosteneva un partito poli-tico. Eppure – gaddiani o hemingwayani, rondisti oespres sivisti, asiani o atticisti – tutti, ma proprio tutti,sapevano che di opzioni stilistiche sempre e comun-que si trattava. Inutile scappare. Lo stile poteva farsiinvisibile, promettere una presunta oggettività comesinonimo di visio ne diafana e assenza di pregiudizi:ma lo face va, appunto, in quanto stile. Se c’è anziun’idea che il Ventesimo secolo ha combattu to conspeciale veemenza, questa è stata pro prio la convin-zione che lo stile fosse un abito con cui di volta involta rivestire un corpo già formato. Niente più forma

& contenuto, in somma: se non come coppia di fratellisiame si, inoperabili perché provvisti di un solo cuo ree di un unico apparato respiratorio.Come ci sono i sostenitori dello «stato minimo», cosìsono esistiti sempre i fautori dello «stile minimo». Manelle loro dichiarazioni di poetica «lo stile non mi in-teressa» non vole va dire altro che «non ho bisogno difuochi d’artificio, il vero stilista lavora nel profondo,proprio dove lo si vede meno». Il contesto nel qualesi colloca la battuta polemica di Cero netti appare in-vece, per la prima volta, muta to. Da qualche tempo,infatti, l’affermazione che lo stile non ha alcuna im-portanza per giu dicare del valore di un romanzo ri-corre sem pre più spesso nelle recensioni di criticiauto revoli. Lo afferma la celebre anglista a propo sitodell’ultimo bestseller su commissione e lo ripete ilgiovane intellettuale impegnato per parlare del gothicnovel di un coetaneo. Ma si tratta, a ben vedere, diun atteggiamen to più generale, quasi una vox populi(che, co me le promette il proverbio, aspira a tramu -tarsi in una vox Dei): l’impressione che, nella rice-zione di un libro, lo stile stia diventando semplice-mente irrilevante.Il tratto più vistoso di questa tendenza è che, mentrenel Novecento i narratori anti stilisti si riconoscevanoper lo stile minimo, i loro eredi esibiscono piuttostoun espressio nismo forzato e volontaristico. Metaforeaz zardate, similitudini sgradevoli pensate per cattu-rare al volo l’attenzione di chi legge, con tinue ridon-danze al limite del pleonasma… Lo si nota partico-larmente con i romanzieri di genere (gli anti-stilisti

Gabriele Pedullà, Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2011

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per eccellenza, se ba diamo alle loro dichiarazioni dipoetica), i quali nel Novecento si attenevano a unapro sa quanto più semplice possibile, per non stancareil lettore, mentre oggi non fanno che sovraccaricarela pagina di fuochi d’artificio. Con l’obiettivo, èchiaro, di inseguire un pub blico distratto e un pocofrettoloso, forse nel la speranza di tenere testa allaiperstimolazio ne dello spettatore che da trent’anni ca-ratte rizza il cinema contemporaneo.Qualcuno potrà persino rallegrarsi di tale mutamento,che è anche un ritorno al passa to. Prima del culto ro-mantico del genio e dell’eccesso, per secoli lo stile èstato innanzi tutto sinonimo di controllo, e i granditeorici della retorica hanno sempre temperato la vec -chia massima secondo cui «lo stile è l’uomo» con laconstatazione che ogni scrittore pro vetto deve anzi-tutto saper dominare i propri strumenti e adattare iltono alla situazione. Una pratica che, appunto, ri-chiede per prima cosa quella autodisciplina di cui pro-prio gli anti-stilisti di oggi sembrano difettare.Questo vale per gli scrittori. Nei critici l’in consueta di-sponibilità a disfarsi della nozio ne di stile ha inveceuna diversa origine. Qui si direbbe che l’estetica lette-raria stia sempli cemente entrando nell’orbita delle artivisive. Il pregiudizio antistilistico sembra nascere in -fatti dalla tendenza a interpretare la pubblica zione diun’opera letteraria con le stesse cate gorie con cui giu-dicheremmo una performan ce, vale a dire un purogesto estetico, senza produzione (se non, al limite, nellaforma sur rettizia del video o delle fotografie che la do-cu mentano): un gesto che si esaurisce in sé stes so e chepunta tutt’al più a suscitare scandalo nel circuito della

comunicazione. Ma che per questo, a condizione chequalcuno reagisca, può prescindere completamentedallo stile.Consapevolmente o inconsapevolmente, la ridefini-zione del campo artistico messa in atto negli anni Ses-santa è giunta oggi a in fluenzare anche la letteratura.Se un roman zo e un poema sono solo un gesto, è inu-tile interrogarsi troppo sul loro stile: il loro signi ficatosarà tutto nel progetto che li sorregge, o al massimonella loro sintomaticità sociale, secondo la formulaben nota per cui a tanto maggiore scandalo (o, nelcaso della letteratu ra, a tante più copie vendute) devecorrispon dere necessariamente tanto maggior valore.Lo straordinario culto contemporaneo di Pasolini siispira non sorprendentemente alla medesima logica.Qui non contano le sue pellicole (la musica di Bachper accompagna re la periferia desolata di Roma, l’in-sistere sui volti scavati degli attori, il bianco e nero diTonino Delli Colli), come non conta la musicali tà delfriulano de La meglio gioventù o l’intelli genza dei saggidi Descrizioni di descrizioni. Conta soltanto il perso-naggio: il polemista, il provocatore, alla luce delle cuiinvettive e profezie viene riletta un’opera ridotta ormaia po co più di una nota a piè di pagina nella biogra fiadel gran suscitatore di scandali di Casarsa.Forse la vera posta in gioco è proprio qui: rinnegarelo stile vuol dire – automatica mente – cominciare arinnegare il valore delle opere. E questo, come scrit-tori, è meglio non dimenticarcelo mai. Se non vo-gliamo trasformarci nei performer di noi stessi o ne -gli ospiti fissi, magari ben retribuiti, di un talk shownotturno.

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«Da qualche tempo, infatti, l’affermazioneche lo stile non ha alcun a importanza per giu dicare del valore di un romanzo ricorresem pre più spesso nelle recensioni di criticiauto revoli»

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Il prezzo fisso salverà il libro?Giuliano Vigini, Avvenire, 30 agosto 2011

Dal primo settembre entra in vigore la legge che fissaalla percentuale del 15 per cento lo sconto massimopossibile sul prezzo di vendita dei libri. In questi mesise ne è discusso molto e se ne continua a discutere, insenso generalmente positivo, pur non mancando le po-sizioni contrarie. Personalmente, ho già avuto mododi esprimermi a favore, considerando l’equità di unalegge che cerca di conciliare in modo equilibrato inte-ressi diversi, senza penalizzare troppo nessuno. Vorreiricordare che, ai tempi della Commissione nazionaledel libro (1997), le posizioni in merito allo scontomassimo da applicare erano tra il 10 per cento (Asso-ciazione librai italiani, Associazione italiana piccoli edi-tori) e il 20 per cento (Associazione italiana editori).Come già in via sperimentale per un anno, tra il 2001e il 2002, ora si è arrivati al traguardo di un soddisfa-cente punto di compromesso, il cui scopo è soprattuttoquello di salvaguardare i piccoli (librai e editori) chenon hanno possibilità di concedere sconti superiori auna determinata soglia, come possono fare invece igruppi, le catene, la grande distribuzione, le librerie ininternet… È pur vero che la situazione del libro nelsuo complesso resta disomogenea in Europa perché,pur applicando gran parte dei paesi dell’Unione euro-pea il regime del prezzo fisso, per legge o per effetto diaccordi tra associazioni di categoria (in Danimarca findal 1837, in Germania dal 1888), gli sconti consentitivariano poi da paese a paese, perfino da settore a set-tore. Del resto, sono diversi i contesti, le situazioni dimercato, l’Iva applicata ai libri rispetto agli altri pro-dotti (dallo zero per cento di Regno Unito, Irlanda eNorvegia, al 4 per cento di Italia, Spagna e Grecia, finoal 25 per cento di Danimarca e Svezia), i margini diredditività eccetera. In realtà, se lo sconto in eccessoera un problema, il vero nodo per l’Italia è la più volteverificata impossibilità di riuscire a creare per l’editoriaun quadro di riferimento organico nel quale tutti gli

attori della filiera del libro possano trovare le condi-zioni di base del loro sviluppo e nel quale, al tempostesso, la lettura riesca a espandersi in misura signifi-cativa su tutto il territorio. Sono due linee d’interventoche devono procedere insieme, dato che non si trattadi vendere occasionalmente più libri. Si tratta soprat-tutto di allargare la base del mercato, ossia aumentarei lettori e renderli stabili. I numeri parlano chiaro. Sesoltanto il 46,8 per cento degli italiani dai sei anni insu ha letto nel tempo libero almeno un libro nel corsodell’ultimo anno, già in Francia (dai quindici anni insu) quella percentuale sale al 70 per cento. Per nonparlare degli altri paesi – nordici in particolare – chehanno livelli di lettura ancora più alti. Verrebbe da direche l’editoria, per come l’Italia è messa nella lettura eper come è difficile riuscire a promuoverla in modosolido sui tempi lunghi, fa già miracoli. A cambiare inmeglio le cose ci hanno provato in tanti. A leggere lecronache librarie di fine Ottocento e d’inizio Nove-cento, si resta impressionati dal constatare come i pro-blemi di oggi siano gli stessi di allora. Senza tornareindietro a quando eravamo bambini, in tempi più re-centi si è tentato, con i lavori preparatori e poi con laConferenza nazionale del libro di Torino (20-21 no-vembre 1997), di indicare alcune essenziali «linee d’in-tervento per lo sviluppo dell’editoria e della lettura».Ma tutto è rimasto lettera morta, così come le succes-sive proposte di legge avanzate da vari deputati o lapiù recente (2009) proposta dei librai di detrarre fi-scalmente le spese dei libri di testo e degli altri mate-riali scolastici. Qualcuno potrebbe osservare che, intempi di vacche magre – anzi anoressiche –, è difficiletrovare per i libri quello che non si trova per altri set-tori. E anche questo è vero. Salvo considerare chel’istruzione e la cultura – che per fortuna passano an-cora per i libri – hanno un peso non indifferente nellosviluppo civile ed economico di un paese, come am-piamente dimostrano anche gli ultimi 150 anni dellanostra storia editoriale. Il che significa che non biso-gna abbandonare la speranza (e l’impegno) di potervedere, prima o poi, qualche risultato importante edurevole.

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Il libro, dall’idea al magazzino

Giovanni Carletti, il manifesto, 30 agosto 2011

Mettiamo che sia un giovedì di fine marzo. Il libro èin programma per luglio, ancora non esiste una ver-sione definitiva in mano alla redazione ma l’autore haormai completato sette capitoli su dieci. Una granparte di questi li abbiamo rivisti assieme, eliminandointeri periodi, spostando paragrafi, cancellando e ag-giungendo. Oggi, però, ci sarà la riunione redazionaleper decidere il titolo definitivo e la copertina. All’in-contro, che riguarda tutti i libri in uscita a giugno eluglio, sono presenti l’editore, il direttore commer-ciale, la direttrice della comunicazione, la responsabiledel programma, tutti gli editor, la caporedattrice, ilcapo ufficio stampa e la responsabile dei diritti esteri.Sarà una lunga giornata. Cominciamo. Su una mensola vengono sistemate cin-que o sei prove di copertina. Tutti abbiamo in manola scheda che riguarda il libro e che sarà poi utilizzatanella brochure che i promotori porteranno ai libraiper raccogliere le prenotazioni. Gli editor prendonola parola a turno per raccontare e spiegare le caratte-ristiche del libro che hanno seguito, i punti di forza equelli di debolezza, le qualità dell’autore e la sua effi-cacia alla radio, alla tv o sui giornali. L’attenzione sisposta sulle copertine, alcune vengono scartate im-mediatamente, finiamo per concentrarci sempre sudue alternative sulle quali i pareri divergono piuttostoradicalmente. La discussione rischia di farsi infinita.Votiamo. A questo giro mi è andata piuttosto bene. L’immaginedi copertina mi convince, mi pare rispecchi abba-stanza quello che spero sarà il libro. Abbiamo soltantoaumentato il corpo del carattere con il quale era pre-sentato il nome dell’autore, che altrimenti rischiavadi essere illeggibile. Il titolo è sembrato efficace, adattoalla collana, si spera che «parli» a chi lo recensirà, alnostro lettore più tradizionale e a quello più occasio-nale, a chi acquista d’impulso.

La riunione è finita, prendo il telefono e descrivo al-l’autore la nostra scelta. Silenzio dall’altro capo. Spe-disco una mail con il pdf della copertina per chiarirela scelta dei colori e della composizione di testo e im-magine. Suona il telefono: «Ci ho ripensato. Mi pareche funzioni… e poi siete voi gli esperti». L’entusia-smo non è alla stelle ma ci siamo. Ormai sono i primi di maggio, la prossima settimana inmolti saremo a Torino per il Salone. È lunedì e la capo-redattrice è infuriata: le avevo promesso la consegna deltesto definitivo per la fine della settimana scorsa, l’uscitarischia di saltare. I capitoli sono tutti pronti ma c’è unaconclusione ancora da sistemare, manca un passaggioforte, un esempio che permetta di chiudere con efficaciail libro. È da diversi giorni che ci stiamo accapigliando,io per una strada, l’autore per un’altra. Mi promette leultime pagine per martedì sera. Arriveranno venerdì,poco prima della chiusura dell’ufficio, dopo molte maile diverse telefonate. Però raggiungono lo scopo, non silimitano a un banale compromesso, funzionano. Siamo alla fine di giugno, a Roma il caldo si fa sentire.Mancano quindici giorni all’arrivo in libreria. Oggiriceviamo le copie finite, quelle che poi andranno airecensori e ai media.Scendo in magazzino e prendo in mano il libro per laprima volta. Cominciano a saltarmi agli occhi le im-perfezioni, mi tornano i dubbi sul titolo. Non era me-glio quello che A. aveva proposto all’inizio? Si sarannoricordati di cambiare quel paragrafo che avevamo so-stituito in bozze? Che effetto farà a chi se lo trova sulbancone? E se la libreria decide di metterlo nel settore«Viaggi» invece che «Attualità»? Risalgo alla mia scrivania. L’autore mi chiama, è con-tento, vede finalmente la forma del suo lavoro. Leaspettative ora sono molto alte. Ci crede, lotterà persostenerlo. Ma l’ansia per il pezzo che non esce arri-verà anche quella, e la presentazione andata a vuoto…

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Oblique Studio | Rassegna stampa agosto 2011

Tutto era cominciato diversi mesi prima, in una gior-nata già autunnale, vicino alla Stazione Centrale diMilano. Allora non avevo mai visto l’autore. L’appun-tamento era per parlargli di un’idea che già da tempomi girava per la testa. Nella saggistica molto spessosono gli editor a commissionare il libro, o quanto-meno a orientare gli autori verso una certa direzione.Raramente ci sono dattiloscritti già pronti o abbozzatida valutare o su cui intervenire. Al massimo c’è unprogetto, un indice + una cartella di presentazione,per farsi un’opinione e giudicare interesse e potenzia-lità. L’autore è contento dell’incontro. Perché ho pen-sato a lui? La scelta lo ha un po’ spiazzato («come? lacasa editrice di Croce?») ma il progetto lo interessa.Vorrebbe dargli una direzione un po’ diversa, più sua.Ne parleremo a lungo, anche al telefono, nei giornisuccessivi. Studieremo e confronteremo gli altri vo-lumi giù usciti sull’argomento. Lo schema del lavoro gira tra gli altri editor, fioccanole obiezioni. In quale collana lo facciamo uscire? Chedimensioni avrà? Un taglio del genere è in linea conil nostro catalogo e la nostra impostazione? SecondoA. l’indice non è sufficientemente coerente e struttu-rato. B. e C. pensano che sia necessario aggiungere uncapitolo finale. Mi rendo conto di essermi affezionatoall’idea ma di avere sorvolato su molte altre questioni. Ridiscutiamo a fondo il progetto con l’autore e lo ri-calibriamo. In riunione all’editore piace. Ma quale saràil titolo? L’autore non è molto soddisfatto dell’anticipo

che gli propongo. Ci crediamo veramente? Quantecopie ci aspettiamo di venderne? Alla fine però l’ac-cordo lo troviamo. Finalmente si parte. Il primo capitolo non funziona, il tono non è giusto,in alcuni punti i passaggi sono troppo bruschi e inaltri si scende in dettagli inutili. Da un lato l’autoreha scelto una scrittura letteraria, quasi da romanzo, edall’altro inciampa in vezzi accademici. Provo a dareindicazioni, elimino frasi e chiedo integrazioni. Leg-gono anche gli altri editor, le perplessità sono comuni.L’autore si blocca. Ci rivediamo a casa sua e lavoriamoassieme tutto il giorno. Poi di nuovo al tavolino di unbar. È preoccupato dai tempi stretti, un po’ deluso daicommenti, li trova troppo duri. Per due mesi silenzio.Risposte secche ai messaggi, poche telefonate, blanderassicurazioni. Temo che tutto possa saltare. Poi, all’improvviso, arrivano settanta pagine. Stampoe porto a casa. Sorpresa. Non è come lo avevo imma-ginato, è molto personale e forse proprio per questomi appassiona. Ci sono imperfezioni, frasi da elimi-nare, errori, sviste. Però è buono, per nulla banale. Fi-nalmente sta prendendo senso, sta prendendo forma.Non ne ho scritto una parola ma in qualche modo miappartiene. È un «mio» libro. Sì, ma già mi chiamanoin riunione per le uscite di settembre, e bisogna ri-spolverare quella idea che non sappiamo a chi affidare,e valutare il nome proposto da uno dei redattori.Niente male in effetti quel nome, e se lo sentissimosubito?

«Non era meglio quello che A. aveva propostoall’inizio? Si saranno ricordati di cambiarequel paragrafo che avevamo sostituito inbozze? Che effetto farà a chi se lo trova sulbancone? E se la libreria decide di metterlonel settore “Viaggi” invece che “Attualità”?»

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