La Radice 30 luglio 2006

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“Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 DCI Sicilia, Prov. CL” ORGANO DI FORMAZIONE CIVICA E DI INFORMAZIONE DELLA COMUNITÀ VALLELUNGHESE Anno VII - N. 45-46-47 (3+22) 30 luglio 2006 Per le P.I. anno V num. 2 D al G.di S. del 5 Luglio 2006 rubrica “La Cu- riosità” - Titolo dell’arti - c o l o : Il Barbagianni sceglie Vallelunga per nidificare ( e…russare) di Valerio Cimino. Mi sarebbe piaciuto riportare l’intero artico- lo, ma per questione di spazio e perché ho voglia di dire quello che l’articolo mi ha suscita- to, ne riporterò il sunto. Una coppia di barbagianni sceglie il Palazzo Gugino per nidificare. Si tratta di quel palazzo di Via Garibaldi a Vallelunga, dove abitava, quando veniva per qualche giorno, il Prof. Eduardo Gugino, titolare di cattedra di Meccanica Razionale presso l’Università e Presidente del Circolo di S abato 20 Maggio 2006, alle ore 17, nella Sala Teatro del Plesso Scolastico “Sorrentino” di Vallelunga si è svolta la cerimonia di premiazione del 7° Concorso Letterario e 6° Concorso di Pittura “La Radice” dedicata CONCORSO Lettera al Direttore Criccu, Cruaccu e Manicu di Sciascu 2 (La dinastia di Manicu di Sciascu) Sant’Aligi L ungo le strade da cui doveva passare la processione, le donne avevano fatto tutto quello che c’era da fare per agevolare il disaccidentato procedere del santo, che quella domenica era Sant’Aligi, detto anche Sant’Alò, protettore dei fabbriferrai e degli animali da soma: rimosse e trasferite altrove tutte le gabbie con le gal- line, le mandorle distese sulle coperte ad asciugare al sole, le botti che stazionavano in cura davanti alle porte in L ’articolo su “ P i e t r a d u r a ” , pubblicato nel- l’ultimo numero di questo giornale, mi ha indotto a scrivere di un episodio avvenuto cinquant’anni or sono nel nostro paese e che vede padre Calcedonio Ognibene protagonista suo mal- grado. Fino al 1956, sia la navata centrale che le navate laterali della nostra Chiesa madre, vero e proprio contenitore di “memorie storiche”, ospitavano lapidi e monumentini commemorativi contenenti delle iscrizioni: si trattava di cenotàfi, eretti da alcune famiglie vallelunghesi per com- memorare un loro defunto, pur se non seppellito fisica- mente in Chiesa (il nostro cimitero entrò in funzione solo Cenotàfi APPELLO PER RIUNIRE UNA “COLLEZIONE DISPERSA” di Alessandro Barcellona (segue a pagina 2) (segue a pagina 5) (segue a pagina 11) (segue a pagina 3) del prof. Salvatore Nicosia Il numero UNO di Criccu, Cruaccu e Manicu di Sciascu è stato pubblica- to nel N. 19/20 del 25 Dicembre 2001. Le illustrazioni dei personaggi e quel- li della dinastia di Manicu di Sciascu sono stati realiz- zati liberamente dal piccolo Giuseppe Puletto. (segue a pagina 7) Palma di Montechiaro, 27 maggio 2006 Carissimo Pino, con tanta gioia ricevo “La Radice”, organo di forma- zione civica e informazione della comunità di Vallelunga e per questo desidero ringraziare te e tutto il comitato di redazio- ne. Trovando a casa di mia mamma la copia relativa all’8 dicembre 2004, mi ha colpito particolarmente lo spazio dedicato alla signori- na Orsolina Criscuoli, definita “figlia benemerita di Vallelunga”. Caro Pino, anch’io la definisco tale, perché con la sua vita umile e pia ha saputo testimoniare l’amore di Dio a tutte le persone di Ninetta Gargano di Angela Polizzano (segue a pagina 6) di Pino Piraino Barbagianni di Pino Piraino (segue a pagina 4) Pur riconoscendo la straordi- naria saggezza contenuta generalmente in tante massi- me latine, mai come in que- sto caso sono stato in così antitetico disaccordo. Sarà la formazione ricevuta, saranno le convinzioni maturate nel corso degli anni, di fatto ogni volta che sento questa antica espressione avverto un’irre- frenabile senso di rigetto e mi ripeto continuamente: no, non può essere, non è possibi- le. E tuttavia la mia indignazione rimane circoscritta, con- SI VIS PACEM, PARA BELLUM (Se vuoi la pace, prepara la guerra) di Loreto Noto C ome tutti quelli della mia classe, classe ’49, ho fre- quentato le elementari a 'u Palazzu di scoli , con un'uni- ca maestra tutti i cinque anni, laureata, poi emigrata a Torino. Ho saputo che è ancora in vita e in salute ma la stessa vita non mi ha più concesso, purtroppo, di rivederla. Una maternità, la seconda mi pare, l'ha allontanata dalla classe per qualche mese, nel quale subentrò come supplente un maestro, anch'esso di Vallelunga. Mi sia, anche qui, permesso di non farne il nome, sebbene sia, invece, defunto da tanti anni. Per la testimonianza di quanto vengo rievocando mi basta quella di qualche compagno non emigrato, e, se necessa- ria, quella della vittima, residente, però, a Genova, dove subi- …a ‘u palazzu (segue a pagina 6) del prof. Calogero Giambelluca L’assessore D’Antona, la Presidente dell’Associazione e i ragazzi premiati

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“Poste Italiane - Spedizione inabbonamento postale art. 2comma 20/c legge 662/96 DCISicilia, Prov. CL”

ORGANO DI FORMAZIONE CIVICA E DI INFORMAZIONE DELLA COMUNITÀ VALLELUNGHESEAnno VII - N. 45-46-47 (3+22) 30 luglio 2006 Per le P.I. anno V num. 2

D al G.di S. del 5Luglio 2006rubrica “La Cu-

riosità” - Titolo dell’arti -c o l o: Il B a r b a g i a n n isceglie Vallelunga pernidificare ( e…russare)di Valerio Cimino.Mi sarebbe piaciutoriportare l’intero artico-lo, ma per questione dispazio e perché hovoglia di dire quello chel’articolo mi ha suscita-to, ne riporterò il sunto.Una coppia di barbagiannisceglie il Palazzo Guginoper nidificare.

Si tratta di quel palazzo di Via Garibaldi a Vallelunga,dove abitava, quando veniva per qualche giorno, il Prof.Eduardo Gugino, titolare di cattedra di MeccanicaRazionale presso l’Università e Presidente del Circolo di

Sabato 20 Maggio 2006, alle ore 17, nella Sala Teatrodel Plesso Scolastico “Sorrentino” di Vallelunga si èsvolta la cerimonia di premiazione del 7° Concorso

Letterario e 6° Concorso di Pittura “La Radice” dedicata

CONCORSO Lettera al Direttore Criccu, Cruaccu e Manicu di Sciascu 2(La dinastia di Manicu di Sciascu)

Sant’Aligi

Lungo le strade da cui doveva passare la processione,le donne avevano fatto tutto quello che c’era da fareper agevolare il disaccidentato procedere del santo,

che quella domenica era Sant’Aligi, detto ancheSant’Alò, protettore dei fabbriferrai e degli animali dasoma: rimosse e trasferite altrove tutte le gabbie con le gal-line, le mandorle distese sulle coperte ad asciugare al sole,le botti che stazionavano in cura davanti alle porte in

L’articolo su“ P i e t r a d u r a ” ,pubblicato nel-

l’ultimo numero diquesto giornale, mi haindotto a scrivere diun episodio avvenutocinquant’anni orsono nel nostro paesee che vede padreCalcedonio Ognibeneprotagonista suo mal-grado.Fino al 1956, sia lanavata centrale che lenavate laterali della

nostra Chiesa madre, vero e proprio contenitore di“memorie storiche”, ospitavano lapidi e monumentinicommemorativi contenenti delle iscrizioni: si trattava dicenotàfi, eretti da alcune famiglie vallelunghesi per com-memorare un loro defunto, pur se non seppellito fisica-mente in Chiesa (il nostro cimitero entrò in funzione solo

CenotàfiAPPELLO PER RIUNIRE UNA “COLLEZIONE DISPERSA”

di Alessandro Barcellona

(segue a pagina 2)

(segue a pagina 5)

(segue a pagina 11)

(segue a pagina 3)

del prof. Salvatore Nicosia

Il numero UNO diCriccu, Cruaccu eManicu di Sciascuè stato pubblica-to nel N. 19/20del 25 Dicembre2001.Le illustrazioni deipersonaggi e quel-li della dinastia diManicu di Sciascusono stati realiz-

zati liberamente dal piccolo GiuseppePuletto.

(segue a pagina 7)

Palma di Montechiaro,27 maggio 2006

Carissimo Pino,con tanta gioia ricevo “LaRadice”, organo di forma-zione civica e informazionedella comunità diVallelunga e per questodesidero ringraziare te etutto il comitato di redazio-ne. Trovando a casa di miamamma la copia relativaall’8 dicembre 2004, mi hacolpito particolarmente lospazio dedicato alla signori-na Orsolina Criscuoli,

definita “figlia benemerita di Va l l e l u n g a ”. Caro Pino,anch’io la definisco tale, perché con la sua vita umile e piaha saputo testimoniare l’amore di Dio a tutte le persone

di Ninetta Garganodi Angela Polizzano

(segue a pagina 6)

di Pino Piraino

Barbagiannidi Pino Piraino

(segue a pagina 4)

Pur riconoscendo la straordi-naria saggezza contenutageneralmente in tante massi-me latine, mai come in que-sto caso sono stato in cosìantitetico disaccordo. Sarà laformazione ricevuta, sarannole convinzioni maturate nelcorso degli anni, di fatto ognivolta che sento questa anticaespressione avverto un’irre-frenabile senso di rigetto e mi

ripeto continuamente: no, non può essere, non è possibi-le. E tuttavia la mia indignazione rimane circoscritta, con-

SI VIS PACEM, PARA BELLUM(Se vuoi la pace, prepara la guerra)

di Loreto Noto

Come tutti quelli della mia classe, classe ’49, ho fre-quentato le elementari a 'u Palazzu di scoli, con un'uni-ca maestra tutti i cinque anni, laureata, poi emigrata a

Torino. Ho saputo che è ancora in vita e in salute ma la stessavita non mi ha più concesso, purtroppo, di rivederla.

Una maternità, la seconda mi pare, l'ha allontanata dallaclasse per qualche mese, nel quale subentrò come supplente unmaestro, anch'esso di Vallelunga. Mi sia, anche qui, permessodi non farne il nome, sebbene sia, invece, defunto da tantianni. Per la testimonianza di quanto vengo rievocando mibasta quella di qualche compagno non emigrato, e, se necessa-ria, quella della vittima, residente, però, a Genova, dove subi-

…a ‘u palazzu

(segue a pagina 6)

del prof. Calogero Giambelluca

L’assessore D’Antona, la Presidente dell’Associazionee i ragazzi premiati

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Matematica di Palermo.Per l’occasione, ilBarbagianni, emette unostrano soffio che somigliaal russare di un uomo.La credenza popolare aVallelunga vuole che lapresenza del noto uccel-lo localmente chiamato

“Varvaianni chiddru ca runfulia”, e runfuliaper chiamare chi deve chiamare o sola-mente per farsi compagnia, sia portatore dimorte. Pertanto la gente del vicinato si eragià organizzata per restituire pan per focac-cia.Ma i vicini del palazzo Gugino non ave-vano fatto i conti con la nostra amicaSantina Savaia che oltre a curare gli atleti

della “Drago Team” con perizia e bravurariportando sempre ottimi risultati nellevarie competizioni provinciali, regionali enazionali, ha anche la passione, d i c eValerio Cimino, della “natura locale”, epresto detto, invita a Vallelunga il delegatoprovinciale della LIPU (Lega ItalianaProtezione Uccelli), Ing. Amedeo Falci.L’Ingegnere delegato Lipu spiega al vicinato diPalazzo Gugino l’importanza del Barbagianniche sceglie, per nidificare, luoghi salubri, puli -ti e non avvelenati dalle diavolerie delle indu -strie e dei loro prodotti chimici largamenteusati in agricoltura, e sostiene che Vallelungadeve ritenersi fortunata perché anche altriuccelli la scelgono per la sua vivibilità comeper esempio l’Assiolo (altro rapace nottur -no), quello che noi chiamiamo “Chiò”, ilBalestruccio (noto come la Rondine di

città), il Rondone e la Rondine che rara -mente nidifica nei centri urbani, mentre aVallelunga è frequente.

A conferma di quanto spiegato,l’Ingegnere chiude la spiegazione e ValerioCimino chiude l’articolo con la seguentenota : << In Inghilterra, dove la presenza di

questa specie negli edifici è considerata moti -vo di vanto, per agevolare la sua nidificazionesi posizionano nidi artificiali o si lasciano delleaperture negli abbaini o nei sottotetti>>. Quindi altro che portatori di morte! Premetto che un vero e sentito plauso vaalla nostra amica Santina Savaia dellaquale sconoscevamo la nobile passione perla natura e per la fattività che ha dimo-strato anche in questo campo.Ringraziamo anche l’Ing. Amedeo Falcidella Lipu e il giornalista Valerio Ciminodel quotidiano “La Sicilia”. Per prima, il mio pensiero va alBarbagianni che avendolo rivisto nellafoto riportata dal giornale, mi sono ricor-dato quante volte lo avevo osservato neilontani anni cinquanta e fino ai primissi-mi degli anni sessanta quando per me eranormale fare le scorribande, assieme aimiei amici o cugini, nelle campagne diGiglio o di Baronia, limitrofe all’abitato.Malgrado la presenza umana, lui, ilBarbagianni, non si scomponeva e silasciava osservare. Veramente brutto con isuoi grandi occhiacci oscuri e quella suaterrificante nomea di portatore di morte:Forse per questo noi ragazzi lo lasciavamovivere nella speranza che lui non venisse arunfuliari sul tetto di casa nostra e perpaura che se lo avessimo ucciso con lenostre “frecce”, lui, “Il Barbagianni”, sisarebbe rivolto dall’aldilà ai suoi amici e liavrebbe mandati a “russare” vicino lenostre abitazioni. Quindi la filosofia era:“Ti lascio vivere e vai dove vuoi, ma nonvenire da me!..“.

La casa Gugino. Anche questa fotografatasul giornale, così come è, e così come io soche è dentro: un cumulo di macerie, diescrementi di topi grossi e piccoli, di “cam-marasale” - tutte belle grosse, robuste epanciute, escrementi di colombe e vari tipidi altri uccelli. Escrementi a quintali…e…dire che nelle pareti piene di muffa,in una di quelle pareti, una volta facevabella mostra di se in una cornice doratauna lettera datata 13 ottobre 1932 cheAlbert Einstein aveva scritto al ProfessoreEduardo. In un angolino della cornice lafoto in bianco e nero di Einstein e Guginoaccanto al piedistallo di un monumento diBerlino. E … dire che… in quelle stanzepiene di “filinii”, di escrementi di topi e dicolombe, c’erano uno studio stile rinasci-mento in legno massello, un salotto Luigi

XVI a foglia oro, tappetiorientali, ingresso especchiere siciliane conintarsi in madreperla,vetrina a giorno e conso-les stile Carlo X, piano-forti, biblioteca con libridi Matematica, diMeccanica, di Medicina,di Diritto del secolodiciottesimo, una colle-zione di libri in miniatu-ra del secolo diciassette-simo, étagere, collezionedi ricami pregiati e diporcellane e altro…ealtro…. Forse anche unlibro che il professore

stava scrivendo e che doveva trovarsi sullascrivania. E…. alla fine…., quella, si e no,diecina di persone che accompagnavano ilferetro del Professore al cimitero nel 1963.E….. infine…. la rabbia di non aver potu-to fare niente, per lasciare intatto quelpatrimonio di cultura che rappresentavaquella casa e le alte personalità che l’ave-

vano abitata come lo zio Giuseppe, profes-sore di storia del diritto romano e più volte

preside e rettore dell’università di Palermo(autore di ben quaranta pubblicazioni didiritto!).Da quel miserabile funerale in poi nessu-n’altro ha abitato quella casa. Ci sonoentrati soltanto gli sciacalli che hannotutto razziato e distrutto.Vallelunga come luogo salubre e vivibi-le…va bene, ma troppo salubre e troppovivibile come lo è un luogo incontamina-to non sfiorato dalla cosiddetta civiltà,come quelli dell’entroterra dell’Americadel sud o quelli nel cuoredell’Africa…va bene! Eracosì anche negli ultimiistanti di quella civiltàcontadina che era duratadiecimila anni…ed io hopotuto osservare da vicinoil Barbagianni, il grano, lemandorle, il vino…lostemma di Vallelunga conil grappolo di uva e le spi-ghe, gli stazzuna, l’argilla.Eravamo settemila…mapoi… la valigia con lospago!….ora siamo appe-na tremilaottocento esalubri e vivibili in com-

pagnia di una coppia di Barbagianni…Un colpo, bene assestato, di reni per tra-

sformare la nostra agricoltura in sensomoderno di produzioni scelte e speciali?Un colpo, bene assestato, di reni perconiugare la salubrità del luogo con ilmuseo della Civiltà contadina dove abbia-mo imbalsamato le nostre “radici”? Con“La Tomba di Vallelunga” a Tanarizzi? Coni resti dell’insediamento romano aCasabella distante appena un chilometrodal paese? E quindi illuderci di poter crea-re un flusso turistico di persone affamate diaria pulita? (segue a pagina 12)

DALLA PRIMA PAGINA

Assioloquello che fa “chiò”

Balestruccio

Rondone

Rondine

Palazzo Gugino, via Garibaldi, Vallelunga

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PAGINA 3

DALLA PRIMA PAGINA

nel 1838 e da quel-la data fu vietato,per motivi essen-zialmente igienici,seppellire all’inter-no delle chiesecome si era fattoper secoli: inoltre,l’epidemia di coleradel 1837 avevadato la spinta fina-le alla decisione dierigere un cimiterosuburbano).Proprio nel 1956 il

parroco di allora, don CalcedonioOgnibene, su espressa richiesta del vesco-vo di allora, Mons. Giovanni Iacono, sitrovò a dirigere alcuni lavori di restauronella chiesa parrocchiale. L’alto prelatoconsigliò caldamente il nostro parroco dirifare ex novo la pavimentazione, sostituen-do il vecchio pavimento parzialmente “ascacchi” bianco e grigio di Carrara perden-do così traccia di un eventuale ingresso

alla cripta (che gli anziani del paese ricor-dano larga ben quattro metri ed estesaquanto buona parte della navata centralecon un’altezza che varia fra il metro eottanta e i due metri), e si trovò costrettoa “sgomberare” le navate da tutti quei vec-chi marmi che non avrebbero consentitoun adeguato posizionamento dei nuovibanchi (prima vi erano solo sedie e i postierano rigorosamente divisi fra uomini edonne, nelle navate laterali i primi, inquella centrale le donne, opportunamentedivisi da paratie in legno posizionate lungole arcate!). Illuminatamente però, non lidistrusse, semplicemente -quando possibi-le- li “restituì” ai discendenti di quelledonne e di quegli uomini commemorati.Con il disseppellimento dell’abateTommaso Papè-Garofalo, IV duca di PratoAmeno, sotto il pregiatissimo altare dellaSantissima Trinità (vi era, come segnale,

una lapide orizzontale con l’iscrizione “P”),venne rinvenuto qualche osso e una pre-ziosissima spada dall’elsa cesellata, finita inmano dei tanti monelli che giocavano perstrada. Una delle due acquasantiere sei-centesche dalla tipica forma a conchiglia,“distrattamente” poste all’esterno fra i cal-cinacci, è finita con l’adornare oggi ungiardino privato.L’elenco di questi cenotafi da me ricostrui-to rimanda a ben sedici posizionati neltempio maggiore, altri due nella Chiesadelle Anime Sante e altrettantinell’Oratorio della Madonna del Rosario.Una terza chiesa, nel passato, era provvistadi sepolture: infatti, un documento dell’ar-chivio diocesano di Cefalù datato 1611 cirivela di una Chiesa dedicata allaSantissima Annunciazione (“ E c c l e s i aSanctissimae Nuntiatae”), ma di questastruttura non è rimasta nessuna traccia inpaese tranne il nome di un intero quartie-re, la “nunziateddra” appunto.Ebbene, con il presente scrittodesidero fare un appello, sostenu-

to dal consenso e dall’auspicio delparroco don Giuseppe Zuzzé erivolto non solo ai possessori, maanche a chi avesse notizie di que-sti cenotafi: con gli imminentirestauri alla Chiesa vi è l’intenzio-ne di ricollocarli, opportunamenterestaurati, a ricordo perenne di unperiodo di storia locale. Q u e s t irestauri avranno ad oggetto sia l’internoche l’esterno della chiesa in un restylinggenerale: il progetto prevede la ricolloca-zione delle “piastrelle a squama di pesce”(“pavè”) sulla cupola, che davano sempreproblemi d’infiltrazioni di acqua piovana ei parroci che si susseguivano erano semprecostretti a eseguire lavori di manutenzione:l’ultimo intervento, prima dello smantella-mento totale del 1956, risaliva alla secon-da metà del 1948.Di questi oggetti, alcuni semplici lapidi

iscritte da posizionare a parete, ma altriveri e propri monumenti, di pregio esteti-co e valore artistico, allego l’elenco com-pleto (credo fino ai primi tre decenni del1900), con l’indicazione di nome, cogno-me, data di nascita e morte dei soggetticommemorati, essenziali notizie biografi-che e nome del coniuge, nonché l’origina-ria collocazione.

* Parrocchia Chiesa Madre Santa Mariadi Loreto *

1) GIUSEPPE SINATRA 1761-1829Grande proprietario terriero e affittuariodel feudo VicarettoDecurione nel 1829Cavaliere dell’ordine della Coronad’Italiao o Vincenza AmentaNessuna notizia del cenotafio.

2) FRANCESCO GUAGENTI ****-1830Aromatario (farmacista)Secondo eletto a Decurione nel 1829Sindaco vicarioMastro Notaro della corte civileSeppellito ai piedi dell’altare dellaMadonna di FatimaNessuna notizia del cenotafio.

3) VINCENZO MOSCATI 1802-1864Medico Cancelliere archiviario (segretario comu-nale)o o Marianna TrainaOriginale lapide in terracotta, attualmente alcimitero.

4) CARLOTTA AUDINO1850-1872Figlia di don Enrico Audino o o Antonino Guccione di AliaComplesso marmoreo attualmente smontatoin possesso della parrocchia.

5) ROSARIO PENSOVECCHIO1845-1872Figlio del dott. Calcedonio Nessuna notizia del cenotafio.6) NICOL0’ AUDINO

1798-1875“Don Cocò” affittuario del feudo diCastelbeliciDetto anche “Baruni frumentariu”Restauratore della Chiesa del Crocifisso diBeliciSindaco 1840-44 e 1851-52oo Vincenza Giarrizzo da PietraperziaComplesso marmoreo composto da un basa -mento quadrangolare interamente in marmocon iscrizione (attualmente smontato) e daun pregevole busto in marmo opera dello scul -tore B. Civiletti, eseguito sul calco in cera delsuo viso dopo il decesso. Sul basamento vi èl’alto rilievo di un putto che abbraccia unmazzo di spighe a ricordo della professione diDon Cocò, detto “Baruni frumentariu” allecui gambette si legavano delle corde quandooccorreva “parare” la chiesa per alcune ricor -renzeEra collocato a sinistra della navata centrale,fra il transetto e la prima arcata.

7) GIUSEPPINA TRAINA 1852-1881Ultima esponente della famiglia Traina oo Notaio Ferdinando CriscuoliMaria Pia Criscuoli, sua discendente, l’ha giàceduto alla Parrocchia.Era collocato di fronte al precedente, lungo lanavata centrale.

8) ENRICO AUDINO GIARRIZZO 1826-1883Figlio di don Cocò Audino e di VincenzaGiarrizzoPossidente, filoborbonicooo Rosalia Di MartinoComplesso marmoreo attualmente smontatoin possesso della parrocchia: il bassorilievo conil suo viso si trova all’interno della tomba gen -tilizia Audino al Cimitero.

9) GIOVANNI ALESSI1843-1884Avvocato Sindaco 1873-79 Vice pretore di Villalbaoo Giovannina CipollaComplesso marmoreo attualmente al cimite -ro, all’interno della tomba gentilizia Alessi.

(segue a pagina 4)

Monumento “a sarcofago”in memoria della baronessaVincenza Audino Giarrizzo(1788-1867). Va l l e l u n g a ,Chiesa delle Anime Sante.

Documento datato 14 gen-naio 1658 e custodito pressol’archivio diocesano diCefalù: vi è contenuto uncertificato di morte cheriguardava un nostro com-paesano deceduto il 10aprile 1623 e seppellito nellacripta dell’Ecclesia SubctaeMariae Annunciationis d iVallelunga. L’ubicazione diquesta chiesa (non una sem-plice cappella, dal momentoche era provvista disepoltura) è stata oggetto diun dibattito fra diversi stu-diosi, fra chi sostiene che sitrattasse di una precedente aquella dedicata al SS.Crocifisso delle Grazie, e chisostiene che fosse più omeno nel posto dove orasorge la cappella dedicataall’Annunciazione su viaAlessandro Volta. L’ u n i c odato certo è che ha dato ilnome ad un intero quartieredi Vallelunga, la nunziated -d r a.

Arc. RosarioAudino Ferranti

(1797/1880)

GiuseppinaTraina Criscuoli

Audino (1852/1881)

Avv. GiovanniAlessi

(1852/1881)

Don CocòAudino (1798/1875)

FrancescoCerasa(deceduto 1897)

DomenicoCipolla Maltese(1839/1893)

al centro in alto:Enrico Audino Giarrizzo (1826/1883)

al centro in basso:Arc. Calcedonio Ognibene (Pietradura - Protagonista della vicenda)

Ritratti di persone relative ai Cenotafi

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PAGINA 4

DALLA TERZA PAGINA

Era collocato al lato del -l’altare di Sant’Anna(oggi Santa Lucia).

10) CALCEDONIOPENSOVECCHIO 1810-1885Medico dal 1837Capo medico del laz-zaretto provinciale di

Magazzinaccio durante il colera di quell’an-no.Medaglia di bronzo come benemerito dellasalute pubblicaPoeta dialettale e in lingua italiana.Presidente del comitato per la costruzionedella linea ferroviaria di Vallelunga. oo Rosaria TrainaNessuna notizia del cenotafio.

11) DOMENICO CIPOLLA MALTESE1839-1893Farmacista oo Loreta OliveriEra collocato al lato dell’altare di Sant’Anna(oggi Santa Lucia), se ne sono perse letracce.

12) FRANCESCO CERASA***-1897Calzolaio Sovrintendente scolasticoPadre di Ignazio, segretario comunale eintellettualeoo Carmela AlessiNessuna notizia del cenotafio.

13) GIUSEPPE VILARDI FIORELLA1848-1905Maestro elementareoo Angelina MiceliGrande lapide attualmente al cimitero.

\14) ROSARIO AUDINO FERRANTI 1797-1880Sacerdote, detto “Patri don Sasà”Parroco di Vallelunga (1835-1880)

Grande benefattore, direttore dei restauridella Chiesa madreEra collocato al lato destro dell’altare di SanGiuseppe, lungo il transetto.Nessuna notizia dell’attuale collocazione.

15) CATERINA CORRENTI MICELI1881-1908Si tratta di una lapide attualmente in cimitero.

16) IGNAZIO CERASA ALESSI1863-1910Amministrativista e segretario comunale dilungo corso nel nostro comune Fu un vero e proprio studioso del dirittoamministrativo autore di numerose pubblicazioniSi tratta di un monumentale ed imponente bas -sorilievo di pregiata fattura a firma di “F.Sorgi”.E’ stato restituito di recente alla parrocchiadall’ultimo possessore.

* Chiesa delle Anime Purganti *

1) VINCENZA GIARRIZZO1788-1867Baronessa di Pietraperzia, grande benefattri-ce della Chiesa delle Anime Santeoo Nicolò AudinoGià collocato in situ, lungo la parete destraaccanto alla porta di ingresso, nella ricolloca -zione sulla parete opposta è stato rimontato conle parti architettoniche recuperate che lo ren -dono simile ad un sarcofago.

2) GAETANO AUDINO1820-1889Figlio di Don Cocò e di Vincenza GiarrizzoBenefattore della Chiesa delle AnimeSanteoo Domenica CriscuoliGià collocato in situ, lungo la parete destra,accanto alla porta di ingresso, privo degli ele -menti architettonici che si trovano fra le mace -rie all’interno della cripta. (segue in ultima)

vista della vendemmia imminente, si erano date a spaz-zare freneticamente, e a lavare dove possibile, ciascunadavanti alla porta di casa sua, e tutte assieme per le particomuni, fino a rendere la strada irriconoscibile, tanto erapulita e accogliente, e persino cosparsa di abbondantipetali di rose; poi avevano disteso alle finestre lenzuoliricamati e coperte di ciniglia dai fiori lucidi e sgargian-ti, in onore del santo; infine avevano slegato da un latotutti i fili di ferro (li curdina) che attraversavano la stra-da da una finestra all’altra, da un balcone a quello difronte, per stendervi la biancheria, e li avevano arroto-lati tutti da un lato in cerchi concentrici, in attesa di

ridistenderli l’indomani; perché dovevano passare stendardi altissimi, e la stessa sta-tua di gesso del santo era di alta statura, per giunta accresciuta da una imponentetiara (doveva essere un vescovo, o comunque un alto prelato). Via dunque tutti i cor-dini, che costituivano unintralcio: via tutti, trannequello di Saruzza “la catti-va”. Che veramente “cat-tiva”(cioè vedova) nonera, ma la chiamavanocosi perché il marito se neera andato in Etiopia ven-t’anni prima, lasciandolasola con cinque figli pic-coli, mentre voci prove-nienti di laggiù lo davanofelicemente accasato conuna faccetta nera. Quelgiorno, come gli altri diquel periodo, era andatadunque a guadagnarsi ilpane a Rahaliali, dove siraccoglievano le mandor-le, senza pensare al curdi -nu disteso, e senza che levicine se ne accorgessero.

Tra canti, rosari, gia-culatorie e tamburi, nelbuio profondo della seraappena rischiarata dallaluce della luna, la proces-sione arrivò al fatale cur -dinu: troncata di netto, latesta di Sant’Aligi rotolòlungo il bordo della vara esi frantumò a terra, inmille pezzi. Lo sgomentofu totale. Qualche prete siabbattè sulle ginocchia,chinando il capo, qualchealtro rivolse al cielo losguardo a implorareimprobabili direttivecelesti, le pie donne dopoaver frignato e pigolatoun po’, si risolsero per unrosario collettivo, intona-to a voce alta e lugubremente cadenzata, i “varisti” non sapevano se abbandonare ilpercolo là dov’era o riprendere la mesta processione al santo decollato. Dopo uninterminabile quarto d’ora il santo fu fatto riparare di corsa, senza seguito e senza ceri-moniale, nella vicina chiesa, in attesa di reintegrazione.

Ci furono quell’anno, varie sciagure collettive, grandinate, siccità, pidocchi digrano, peronospora, raccolto misero e stento: come ogni anno, del resto: ma quel-l’anno, almeno, a differenza degli altri, si credette di individuare la causa di tantoaccanimento.

Al momento del dramma, i più risoluti, gli unici a capire intuitivamente il dafarsi, erano stati i bambini: lanciatisi repentinamente, e all’unisono, tra i piedidella gente, avevano recuperato, fino all’ultima scaglia, i frammenti della testa diSant’Aligi. Un occhio intero, completo di pupilla azzurra e di cornea bianca, fucollocato in bell’evidenza, tra tazzine, ninnoli e bomboniere, nella vetrina di casamia: dove ancora oggi, vitreo e corrusco, sembra minacciare sfracelli a quanti,ignari della sua provenienza, si trovino a posare lo sguardo su di esso senza la com-punzione e la devozione dovute alla sua originaria, e armai antica, sacertà.

Roma, 14 Luglio 2006

Caro Direttore,Vorrei approfittare dell'uscita del prossimo numero de "La Radice" persegnalare ai lettori del nostro giornale, sia in paese che all'estero che" Tanarizzi" luogo del ritrovamento della ormai famosa "Tomba diVallelunga", stà tornando, piano piano, alla vita dopo decenni di abbando -no: dal 2002 ad oggi ci sono molte piccole e grandi novità, e questo luogostorico, fiore all'occhiello della storia di Vallelunga, è accudito con atten -zione e cura, con amore e passione.

Vorrei segnalare, inoltre, che è stato creato un sito, ancora in parte in alle -stimento, che contiene anche una pagina di comunicazioni per poterci con -tattare:

www.tanarizzi.itGli amici, i lettori, gli emigrati, sono invitati a visitare il sito e a mettersi incontatto con noi e venirci a trovare, previo appuntamento telefonico pressoi nostri uffici di

Tanarizzi: 0934 - 814663Oppure presso l'associazione

La Radice: 0934 - 814744

Cordialissimi saluti.

Rosemarie Tasca d'Almerita

Lettera al Direttore

I raggi uscenti dall’oc-chio sono stati ottenutiposizionando l’occhionel centro di un por-tacenere di cristallo.

Sant’Eligio, VescovoStatua risalente al 1952, interamente in legno,in sostituzione della precedente “decollata” 2anni prima. Vallelunga Chiesa delle AnimeSante.Nota curiosa: in quell’occasione un bambinochierichetto recuperò l’anello pastorale. Quelchierichetto è oggi il parroco di Vallelunga,Don Giuseppe Zuzzè

Si ringraziano gli amici sostenitori:RIGGI CENZINA BICCHIERI - CivitavecchiaANTONINO GERVASI - Bargagli (Genova)UN AMICO CHE DESIDERA MANTENERE L’ANONIMATO - Vallelunga

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ai ragazzi delle Scuole Elementarie Medie dei comuni diVallelunga e Villalba. Il tema diquest’anno è stato: “Prendendospunto da fatti e personaggi deltuo paese, inventa un raccon-to”, per la prosa. Mentre per lapittura: “Osserva un angolo, unastrada, una parte qualsiasi deltuo paese che non ti piace, dipin-gila come vorresti che fosse”.Riporto un brano del mio inter-vento con cui è stata aperta lacerimonia per esplicitare qualisono i motivi del nostro operare:“Con queste scelte si sono volutisensibilizzare i ragazzi su temi cul -turali di rilevanza locale. Sembra

che il tempo non sia passato, macon il Concorso 2006 “La Radice”sono ben sette concorsi organizzati ededicati interamente ai ragazzi dellescuole elementari – medie – supe -riori. Quest’anno quello per lesuperiori è stato organizzato a parteperché molto impegnativo. La pre -miazione sarà effettuata non primadel mese di ottobre/novembre. Èprevista anche la pubblicazione diun libro che conterrà tutti gli elabo -rati dei ragazzi partecipanti e gliinterventi della giuria.

Ogni anno, anche se molto collabo -rata da tutti i soci dell’Associazione“La Radice” che ringrazio per laloro disponibilità, dico a me stessa:questo sarà l’ultimo concorso cheorganizzo, perché richiede moltoimpegno e molto tempo, ed io ditempo ne ho poco o niente. Poi arri -va il giorno della premiazione eleggo nei volti dei ragazzi tanta gioiaper essere arrivati tra i primi classi -ficati, e così dimentico la stanchezza

e tutto il resto. L’anno successivo siripete la stessa cosa, si prepara ilbando ecc. In tutto questo, la cosapiù importante è che questa iniziati -va serve a stimolare i ragazzi a tira -re fuori le proprie tendenze poeticheed artistiche, a tradurre con le paro -le e con i colori le proprie sensazio -ni. In controtendenza alla velocissi -ma cultura dell’immagine, si vuoleeducare all’introspezione, all’ascol -to di se stessi e all’esternazione deipropri pensieri, gusti e sentimenti.Perciò il tempo lo si deve assoluta -mente trovare.Agli Insegnanti va il ringrazia -

mento dell’Associazione per l’impe -

gno assunto nell’incoraggiare iragazzi a partecipare al concorso.”Sono intervenuti alla manifesta-zione: l’Assessore Provincialealla Cultura Giuseppe D’Antonaa cui va il ringraziamentodell’Associazione “La Radice”per aver donato a tutti i ragazzipremiati una medaglia dellanostra Provincia con incisione, euna targa ricordo donata allaPresidente Angela Polizzano anome suo e del Presidente dellaProvincia, Prof. F. Collura.Hanno presenziato la cerimoniala Dirigente Scolastica Prof.ssaRosa Pia Raimondi, il Sindaco diVallelunga Dott. Antonino Patti,l’Assessore alla Cultura delComune di Villalba GiuseppeFavata. Sono tutti intervenuticon parole di plauso e di incorag-giamento.La manifestazione ha ricevuto

contributi dai seguenti sponsor:oreficeria “P.L. di L. Piraino”,oreficeria “Zuzzè di L. Scibetta”,

cartolibreria “Suggerimenti” diA Ognibene, sanitaria di“Rosaria D’Anna”, mobili“ Vacanti”, elettrodomestici“Carmisciano”, Bazar “Alessi”,merceria “Modica-Baudo”, abbi-gliamento “Ministeri”, lavorazio-ne in ferro di “Loreto Rizzuto”,elettrodomestici di “Sansone”.Ad allietare il pubblico presentealla manifestazione con uno stac-co musicale, è stata RitaOgnibene, età otto anni, nota

come la bambina più piccolanella storia della banda musicale“V. Bellini” di Vallelunga e forseanche di tutte le bande musicalid’Italia. Rita si è esibita con ilsuo grande sassofono suonandouna marcia militare dal titolo“topolina”. A lei vanno i miglio-ri auguri per un ottimo futuro dimusicista.Dopo un attento e paziente lavo-ro di valutazione, le giurie, com-poste rispettivamente : per la pit-tura- i pittori Salvatore Audino eFernando Alessi, lo scultoreMichele Valenza; per la prosa-Dott.ssa Rosaria Geraci, Prof.ssaRosalia Marchese, Prof.Calogero Giambelluca, Prof.Antonio Guarino, Dott.Alessandro Barcellona - hannodato i seguenti risultati:

Prosa Scuola Media: I^ classificata – “Il viaggiodell’Uccellaio” di PierlucaPelagalli – Vallelunga2^ classificata – “L’Aciddaru” diMariavincenza Cavarretta –Vallelunga3^ classificata – “Il diario diPaolo” di Elisabetta Castellana –Vallelunga– menzione speciale –“Origine di un modo di dire vil-lalbese”di Federica Amico diVillalba “Il Fantasma del cozzo” di LoretoSalamone - Vallelunga

Prosa Scuola Elementari:1^ classificata – “ Fra’ CalòVizzini” di Rossella Valenza –Villalba2^ classificata – “Pinuzzu è ditutti” di Flaminia Dentico –Vallelunga

3^ classificata – “Un avveni-mento di tanti anni fa: la nascitadelle Tanarizzi” di Paola La

Paglia – VallelungaPittura Scuola Media:1^ classificata – “Dalla finestradella memoria aperta al presentee al futuro! La mia chiesa, lamia piazza…. Vorrei restasserosempre così” di Paola Musarra -Villalba 2^ classificata – “Piazza conoleandri” di Andrea Noto –Vallelunga3^ classificata ex-aequo – “Parcogiochi dall’alto” di Calogero Malta

e “Angolo del vecchio forno deimattoni” di Elisabetta Castellana– entrambi di Va l l e l u n g a

***Riportiamo i testi delle prosepremiate Primi Classificati:

Il Viaggio dell’Uccellaio–––– di Pier Luca Pelagalli –––

Anni fa viveva a Vallelunga unuomo, detto l’Uccellaio. Egli erapovero, e veniva chiamatoUccellaio perché ogni anno aCarnevale si vestiva di penne vario -pinte, a mò di uccello, e andava ingiro per il paese su di un carro trai -nato da un mulo facendo scherzialla gente e cantando un ritornelloche divenne leggenda in paese.Questo uccellaio mi incuriosivamolto, quindi decisi di fare unaricerca su di lui. Purtroppo non tro -

vai niente sull’argomento, così chie -si al bibliotecario dove trovare qual -che indizio. Come se m’avesse lettonel pensiero, o come se sapesse ciòche stavo per domandargli, comin -

ciò a raccontare alcuni momenti divita dell’uccellaio (non sapevo comefaceva a conoscere certi avvenimen -ti, ma ero interessato e ascoltavorapito). Ci fu una storia che ascol -tai con più interesse delle altre e cheancora oggi mi affascina: la storiadel perché della maschera di piume,tipica icona dell’uccellaio. In giovi -nezza l’Uccellaio si era imbarcatoper l’America in cerca di fortuna.Durante il viaggio però una violentatempesta dirottò la nave a sud,verso il Brasile. Tu t t a v i al’Uccellaio, credendo di essere negliStati Uniti, lasciò l’equipaggio dellanave, che nel frattempo si eraaccampato, e si diresse verso l’igno -ta foresta. Cercando di arrivarepresto a New York si perse e passòla notte in una palude. La mattinadopo riprese il viaggio e si imbattè inun centopiedi, un pitone, dei caima -ni e una miriade di zanzare enormi.Verso sera capì di non star bene edistrattamente cadde nelle sabbiemobili. Sarebbe morto se non fossestato per un gruppo di Indigeni chelo condussero nel loro villaggio.L’uccellaio si ritrovò prigionierodegli Indigeni, che volevano offrirlocome tributo per un rito che preve -deva il sacrificio di sangue umano.L’uccellaio, in un disperato tentati -vo di salvarsi, si mise a ballare latarantella siciliana. Gli Indigeni,scambiando quella folle danza perun presagio degli dei, lo liberarono.Purtroppo era solo un ritardare ildestino perché era debole, affetto dauna forma grave di febbre gialla edrogato dagli indigeni in preparazio -ne del rito; inoltre la giungla erapiena di pericoli e decine di occhifamelici lo scrutavano.All’improvviso però si manifestò alui una bestia, probabilmente miti -ca, con delle piume iridescenti diuna infinità di colori. Lo toccò, el’uccellaio si risvegliò in tutta salute.Credendo di aver sognato, o di averbevuto o di essere ancora sotto l’ef -fetto della droga, non disse nullasulla bestia alla squadra di soccorri -tori che lo riportarono a Vallelunga.

Ma restò comunque affascinato daquel mistico animale e per ricordar -lo si travesti da uccello, ogni carne -vale, finchè ebbe vita.

(segue in ultima

da sinistra: Calogero Malta, Elisabetta Castellana,Andrea Noto e Paola Musarra

Elisabetta Castellana, Mariavincenza Cavarretta, Pierluca Pelagalli, LoretoSalamone, Federica Amico, il Dirigente Scolastico Rosa Pia Raimondi

LA GIURIA. Da sinistra: Fernando Alessi, Salvatore Audino, MicheleValenza, Rosalia Marchese, Rosaria Geraci, Calogero Giambelluca,Antonio Guarino, Alessandro Barcellona, Angela Polizzano

IL PUBBLICO. Prima fila: Vicaria Rosa Maria Scarlata,Dirigente Scolastico Rosa Pia Raimondi, Sindaco Dott.Antonino Patti.

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che hanno avuto la fortuna diesserle state vicino. Con la pre-sente lettera desidero testimonia-re il rapporto affettivo che mi halegato a lei fino all’ultimo istantedella sua vita e per dire, inoltre,tutto quello che non le ho maidetto verbalmente.La signorina Orsolina era la miamadrina di battesimo. Per me,essere stata la sua figlioccia èsempre stato motivo d’orgoglio eprivilegio. Fin da bambina hosempre visto in lei una grandedama, semplice, umile ma altret-tanto importante; col suo sorrisosoave, il suo viso pudico riuscivaa conquistare chiunque le stessevicino, e io forse più di altrianche perché abitavo di frontecasa sua. Questa vicinanza di abi-tazione mi ha consentito un rap-porto frequente dentro la suacasa, vi entravo e uscivo piùvolte al giorno e il suo portone dilegno rimaneva aperto l’interagiornata e chiuso solo la seradalla signorina Ciccineddra, suadama di compagnia. I gradinidavanti a quel portone eranosempre occupati da picciotti chevi passavano rancati di tempo perscambiarsi confidenze, racconta-re barzellette, giocare con i bot-toni o figurine, ridere e scherzare.Io me li ricordo ancora quei pic -ciotti a cui ogni tanto scappavaqualche parolaccia… Quando mirecavo a casa sua mi regalavasempre una manata di caramelle

e cioccolatini che ricordo anco-ra, rotonde e di vari colori.La signorina Orsolina fu sempreattenta alla crescita morale e spi-rituale dei ragazzi di Vallelunga ea casa sua teneva incontri perio-dici di catechismo per farci cono-scere la figura di Gesù e di SanFrancesco e per prepararci a rice-vere degnamente i sacramenti.Le sedie non bastavano mai acasa sua per cui c’era chi rimane-va in piedi e chi prendeva postosui gradini che portavano al ser-vizio igienico nella prima grandestanza d’ingresso della sua casa.In quella casa tutto mi parlavadella presenza di Dio: le statuedei santi, i tanti crocifissi sparsiper tutta la casa, i quadri appesialle pareti, il profumo di fiori fre-schi davanti alla grande statuadella Madonna di Loreto, l’ingi-

nocchiatoio di legno col cuscinodi velluto, le foto dei suoi genito-ri e dei suoi antenati. Come mipiacerebbe toccare in questomomento il manto dellaMadonna, da lei sempre curatocon ricami e ori luccicanti peressere raggiunta dalla sua forzae dal suo coraggio! Alla fine diogni incontro, la signorinaCiccineddra usciva dalla grandis-sima cucina con un cestino inmano per darci le famose cara-melle. Le lezioni apprese a casasua riuscivano a iniettare deisemi buoni nelle nostre coscienzee così la sua opera contribuivamolto positivamente alla nostraformazione umana, morale esociale, mentre noi inconsape-volmente crescevamo giornodopo giorno. Grazie parrina cara!Quando venne il momento didecidere il mio futuro, la signori-na Orsolina, su richiesta dei mieigenitori, presentò tutta la docu-mentazione necessaria allaRegione Siciliana per il mio rico-vero in Istituto e avere così lapossibilità di studiare e consegui-re un titolo: assieme a dozzine diragazzi vallelunghesi ottenni cosìun retta mensile dalla regioneper ben sette anni per studiare al“Maria Santissima del Rosario” diPalermo dove ha studiato anchetua sorella Cenzina, lei a paga-mento, però. Dopo avere conse-guito la licenza media proseguiigli studi a Trapani all’I s t i t u t oSacro Cuore conseguendo lamaturità magistrale, infine, appe-na diplomata, ma’ parrina m iconsigliò di frequentare la scuolasuperiore di Servizio Sociale diPalermo e mi ritrovai assistentesociale realizzando così una suaaspettativa e rendendola orgo-gliosa di me. Grazie p a r r i n a,anche a nome di tutti coloro chehanno usufruito di questo benefi-cio! Quando mi sono fidanzata,22 anni fa, con il mio attualemarito, inizialmente lo confidaialla signorina Orsolina e per orele raccontai tutto di lui. Dopo treanni decidemmo di sposarci escelsi la mia madrina come testi-mone il giorno della promessa alcomune, rendendola felice di ciò,perché in questo modo confer-mai la scelta fatta dai miei geni-tori in occasione del mio battesi-mo.Ricordo la gioia della mia madri-na quando le comunicai la miaimmissione a ruolo nella scuolaelementare e con gli occhi che lebrillavano mi augurò di “adem-piere il ruolo di insegnantecome una missione - professio-ne”. Adesso, dopo 25 anni dilavoro, giorno dopo giorno, sco-pro quella “missione” perché inogni alunno vedo nascosto untesoro da custodire, da amare,da rispettare, da accompagnare,da far crescere con amoresapiente e dedizione massima.Grazie madrina cara!Concludo la presente lettera conl’augurio che l’opera culturale de“La Radice” prosegua nella suaedizione nel tempo perché viassicuro che è un’opera gradita ealtamente formativa.Grazie per avermi ascoltato, carisaluti a tutta la redazione.Ninetta Gargano, figlia di Vallelunga.

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to dopo la quinta è definitivamenteemigrato con tutta la famiglia. Non ricordo il reato. Ricordo la puni-zione:il lancio a distanza (a stùarnu) del luc-chetto (catinazzu) che chiudeva il cas-setto del tavolo-cattedra. Non potevaessere di quelli moderni, di pesanteottone, dagli spigoli vivi, ma riuscì lostesso ad aprirgli un taglio (acchìättu)sul sopracciglio, da cui un fiotto di san-

gue subito sgorgato invase il viso, tingendovi una maschera rossa- Vìäni cca!È l'ordine che seguì al mio compagno che, senza toccarsi la faccia, sialzò e raggiunse la cattedra.- Va’ chiam’a ssa matri!Il secondo ordine in direzione di un altro compagno di prima fila (ilprimo era dell'ultima in fondo a sinistra). Abitava, quel mio compagno, proprio vicino al palazzo e la mammafece il suo ingresso nell'aula dopo qualche minuto. Aveva le manichedella veste arrotolate sugli avambracci e le mani intrise fino ai polsi dicrusca (caniglia) impastata: stava preparando il pastone alle galline. Adistanza di 45 anni ne conservo ancora intatta l'immagine: ben messa(accippata), le grandi mammelle unite formanti tutt'una buttrina, spet-tinata, disordinata, sciatta e volgare: una lafannaria.- Chi ccuminasti, aah, chi ccuminasti?! Per istinto attribuendo al figlio (eravamo in quinta) la responsabilità diqualsiasi cosa fosse accaduta e senza chiedere, o chiedersi, se avesse atti-nenza col sangue che intanto aveva invaso la regione della bocca e delmento, e, senza aspettare risposta o spiegazioni dal maestro, appenagiunto a tiro, gli mollò un ceffone - al figlio non al maestro! - uno solo,anche questo, ma ben assestato, anche questo, che sparse di più il san-gue sul viso proiettandone alcuni schizzi sulla cattedra. Il ragazzo si raddrizzò e si ricompose da quella maschia manata mater-na, come certi pupazzi a molla, tornando a fissare il vuoto davanti a sé,combattendo, zitto, con uno sforzo incredibile, il pianto che tentava diesplodere agli angoli della bocca... Non ricordo più gli sviluppi della cosa, ma suppongo, a questo punto,che non servano.Sono quasi cinquant'anni ormai che vivo nella scuola, da allievo e dainsegnante, e mi sento di sostenere senza esitazione alcuna e senzaalcun timore di esagerazione, che l'alunno di oggi passa il propriotempo in classe a rifarsi di tutto quello che ha subito da alunno il suoinsegnante, che adesso passa il proprio a schermirsi dai soprusi e dallevessazioni di una generazione di molluschi, viziati dal benessere, dai geni -tori e dalla scuola (Oriana Fallaci), inveleniti dalla scolarizzazione forza-ta e ringalluzziti dalla promozione obbligatoria, e, fuori classe, a difen-dersi dagli attacchi dei loro genitori e del loro massimo referente, il pre-side, promosso da qualche anno al rango di dirigente, garante della tra-sparenza, a senso unico, verso l'utenza.

Questa statua è in possesso della famiglia Criscuoli fin dalla sua realizzazione,nella prima metà del 1800. Rappresenta il bozzetto preparatorio di quella posi-zionata nell’altare maggiore della nostra chiesa parrocchiale in sostituzione delquadrone oggi ubicato sul fonte battesimale. Fu commissionata dall’allora eco-nomo curato, sacerdote e abate Vincenzo Criscuoli, antenato della signorinaOrsola Criscuoli che l’ha ospitata a casa sua in piazza Iolanda Margherita finoalla sua morte. Oggi, sua sorella Serafina Criscuoli-Oliveri, attuale proprieta-ria, la fa esporre nel transetto sinistro della madrice il giorno della festa dellaMadonna di Loreto la quarta domenica di settembre.E’ alta circa 120 centimetri, realizzata in ebano, le corone sono in argento asbalzo e il manto è di taffetas di seta color avorio con ricami a oro a filo elamella.

(segue in ultima)

Orsolina Criscuoli

Dopo novant’anniPer concessione del Museo Archeologico “PaoloOrsi” di Siracusa, una parte dei reperti dell’ormaifamosa “Tomba di Vallelunga” rinvenuti nel 1915dal Dott. Luigi Moscati, detto “Dutturi Gigiu” nellacollina “Tanarizzi” a nord di Vallelunga, sono statiesposti presso l’ex plesso scolastico “F.P. Perez”dal 18 maggio al 18 giugno di quest’anno vicinissi-mo a quella che fu l’abitazine del Dott. Moscati diVia Trento e Trieste. I reperti sono ritornati al luogodi origine dopo novant’anni.

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C r i c c u era arrivato inanticipo rispetto all’ora-rio e si era messo a guar-dare i pesciolini che nuo-tavano senza eccessivafretta nell’acqua dellafontana dei Tritoni. Ognitanto qualcuno ci provava:comprava i pesciolini

rossi, quelli che si vendono in un sacchet-to di plastica pieno d’acqua e li buttavanella fontana nella speranza di vederlicrescere. Per qualche giorno gli portavanole molliche di pane e poi se ne dimentica-vano. Regolarmente, qualche altro, di notte, liandava a pescare, con le mani, non c’eraneanche bisogno di canna, e se li mangiavaarrostiti sulla graticola. Criccu guardava i pesciolini ma non li vede-va, era corrucciato per i fatti suoi e quan-do era così diventava scontroso e di catti-vo umore. Gli “zzirrichiniavanu” nel cervel-lo alcuni pensieri che non riusciva a chiari-re e a “spidugliari” . Correva, così, dietrole sue considerazioni che non trovavanouna logica, quando una “paccata” dietro lespalle lo avvisò che era arrivato anche “sacumpari Cruaccu” e non si era ancorariavuto del tutto dalla “botta”, che dall’o-ratorio “di lu Signuri” di Via Cavour,sopraggiungeva anche “Manicu diSciascu” con la sua camminata sbandata,una volta a sinistra e una volta a destra,che non si decideva a trovare mai il giustoequilibrio.- Salutamu Cumpà - disse Manicu diSciascu.- Salutamu - risposero in una sola voceCriccu e Cruaccu.Si misero in posizione: Manicu di Sciascua centro. Scesero (dico scesero perché lapiazza rispetto alla strada è rialzata dialmeno quindici centimetri) sulla ViaGaribaldi e puntarono la prua verso Nord,“mpicati dritti, dritti” verso la Casermadei Carabinieri dove finiva la via Garibaldi,perpendicolarmente sulla Statale 121. Finoa questo incrocio nessuno parlava: Criccuera ritornato sui suoi foschi pensieri,Cruaccu assaporava l’aria mite e frescadelle cinque del pomeriggio e già sentivache la vescica voleva svuotarsi, mentreManicu di Sciascu cercava di aggiustarepiù che poteva la direttiva di marcia estava attento a non pestare i piedi ai suoicompari. Stare nel mezzo tra i due gli ser-viva proprio per obbligarsi a migliorare lasua andatura ma anche per una questionedi rango: Lui, non si chiamava soltanto“Manicu”, c’era, infatti quel “Di Sciascu”che ne denotava una certa provenienza dicasato sopraffino. Ma diciamolo subito“Manicu Di Sciascu” apparteneva ad unafamiglia, catanannu, nonno e padre, diesperti mietitori. Sapevano maneggiare lafalce come nessuno sapeva fare in quelleinterminabili giornate di Giugno, Luglio edAgosto con il sole sulla testa, tra le spighee la “fratta”, “all’uacchiu di lu suli” dove la

temperatura raggiungeva non meno di set-tanta gradi e il sangue cominciava a bolli-re nelle vene. Infilati nei pantaloni rigidi di velluto e conil fazzoletto rosso a palline nere, gigante,attaccato sulla testa e cascante sullespalle a coprire il collo e le orecchie, cami-cia chiara abbottonata fino al collo e lemaniche lunghe ben strette ai polsi, di teladoppia, quasi di olona, “pidunetta” di coto-ne da rammendare con la “zzaccurafa” ,colorate, lunghe fino ai ginocchi e scarpo-ni a “trunchetta” cioè alti fino a coprireinteramente “l’osso pizziddru”, “cannola dicanne” infilate nel mignolo, nell’anulare enel medio della mano sinistra per non farsifottere le dita dai dentini affilati dallafalce. Tutto per non bruciarsi e difender-si dalla calura, dalla stessa falce e daglisteli delle spighe mozzate a venti centi-metri dal suolo che, altrimenti, avrebberoferito gli stinchi e il polpaccio dellegambe. Vestiario e relativa sistemazioneereditati direttamente dai nostri antena-ti Arabi che in fatto di calura avevanoesperienza millenaria.

Tuttavia noi avevamo perfezionato questadifesa nel momento più pericoloso e cioèquando il sole “stiddriava”. Infatti, nonerano tutte queste precauzioni a fareresistere i mietitori al caldo soffocantedi sole arroventato. Il vero aiuto lo rice-vevano dal “Sciascu”, naturalmente pienodi vino al mattino e regolarmente vuoto la

sera. Sembra un assurdo in quanto è noto-rio che il vino riscalda, ma non è così. Percapirci, è necessario fare una brevedescrizione del “Sciascu”: intanto è diterracotta, una specie di bottiglia panciu-ta a tre quarti di altezza e che in totalenon supera i trenta centimetri (almenoquelli che usavano la famiglia di “Manicu DiSciascu”). Possono essere più grandi econtenere oltre due litri di vino. Questi dicui parliamo, ne contenevano al massimo un

litro . Il collo corto e sottilissimo imme-diatamente strozza la pancia, due maniciricurvi ad occhiello fanno appena in tempoad attaccarsi sotto il boccaglio, parte ter-minale del collo, localmente chiamata “lafungia” .

La “fungia”, parte terminale del collostrettissimo, si allarga a conca. Per avereun’idea di quanto fosse stretto il buco,basta pensare che se si metteva sottoso-pra “ lu sciascu chinu” e senza tappo, nonusciva neanche una goccia di vino. La “fun -gia” era smaltata e si puliva agevolmenteanche con il palmo della mano, certo se lamano era pulita! La pulitura, tuttavia, sieffettuava con la mano, pulita o sporcache fosse. Non erano problemi, questi, sucui, a quei tempi, si stava tanto a sottiliz-zare. E poi, veramente, “lu sciascu” erauna cosa personalissima come la pipa,come lo zufolo, come il clarinetto. Che fa,uno presta la pipa, lo zufolo o il clarinettoad un’altra persona? Per fare uscire ilvino, si prendeva “ lu sciascu” con due dita(l’indice e il medio) della mano destra osinistra infilati nel minuscolo “manicu”, unodei due, si alzava adagiandolo tra l’avam-braccio e il braccio piegato e si innesta-vano le labbra sulla “fungia” lasciando unfilino di corridoio per prendere aria dall’e-sterno. Quindi si succhiava energicamen-te. Soltanto cosi si riusciva a bere il vino.Ma la parola bere è un modo di dire, inquanto quella decina di grammi di vino cheuscivano fuori non arrivava neanche nel“cannarozzo” perché si disintegrava pervia del forte risucchio, polverizzandosinel cavo orale impregnandolo fino allaradice dei denti.Si aveva , così, la sensazione di averebevuto chissà quanto vino. Per una buonamezz’ora lasciava soddisfatti e quindi sitornava a replicare l’operazione. Dava dun-que quei cinque, dieci minuti di dolce elieve euforia: il sole non sembrava sole eil caldo era appena tepore ma il cervellonon veniva assolutamente disturbato. Lacombinazione vincente era quindi: l’esiguaquantità di vino che si riusciva a tirarefuori con il massimo dello sforzo di risuc-chio che ne provocava la polverizzazione,espandendosi per tutto il cavo orale e l’i-nizio dell’esofago, esattamente comeavviene dentro il motore diesel ad operadell’iniettore quando polverizza il gasolioche giunge dalla pompa di iniezione a fortepressione. Il cervello riceveva appena unimpulso e non si scatenavano tutti queimeccanismi che portano allo stato di“ebbrezza” o come si dice da noi allo statodi “brillo” e pertanto lontanissimi dallostato di “ubriaco”.Inoltre, date le piccole dimensioni del“sciascu”, la specialità dell’argilla della“Pirrera”(parete verticale artificiale delcolle Tanarizzi che cade a strapiombosulla fila di case sorte sul lato nord dellastatale 121, proprio alle spalle della caser-ma dei Carabinieri, nata in tanti secoli di

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Giuseppe Puletto

da sinistra:Criccu, Manicu di Sciascu

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DALLA SETTIMA PAGINA

estrazione diargilla), rea-lizzato ecotto alla per-fezione daartigiani dis e c o l a r eesperienza nein u m e r o s i

“stazzuna” del paese, difficil-mente si rompeva, anche per-ché ben vigilato e protetto. Qualche volta, ma raramente,si rompevano i manici, e anchequando se ne rompeva unorimaneva sempre l’altro(comunque, ne ho visti funzio-nare alla perfezione anchesenza manici, ma si dovevanousare entrambe le mani) il chenon alterava per niente la fun-zione della “sursata”. L’argillacotta teneva fresco il vino epertanto “lu sciascu” diventavaun amico inseparabile. Nelgergo familiare assumevadiversi nomi e nomignoli. In casa “Manicu di Sciascu” ilpadre si esprimeva così primadi addormentarsi, in sostitu-zione della preghiera e rivoltoalla moglie Rosina: - <<Rusinè,priparami un “Manicu di scia -scu”>>, per dire: “Rosina nondimenticare di riempirmi il fia-sco di vino”. Impresa, questa,per niente facile soprattuttose non si possedeva un imbutofatto apposta dallo “stagnata -ru”, lu zzi Cnaziu Valenza opuru don Cinuzzu ‘u quadararu,con la conca ampia ma il conosottile, con l’avvertenza di nontenerlo infilato nel “sciascu”ma appena appena rialzato perfargli prendere aria.Altrimenti l’operazione si bloc-cava. Il tono, usato dal maritonei confronti della moglie, eradeciso ed esprimeva chiara-mente che non gli importavatanto la colazione da portarein campagna, normalmentecostituita di patate, uovo,cipolle crude, quelle lunghe licipuddretti, che sono una deli-zia, o le sarde salate, questeultime preferite durante lavendemmia, o le fave “ a frit -teddra” o “ pizzicate” o “ spic -chiati a du voti”, purché aves-se avuto il suo inseparabile“sciascu”, manco a dirlo, pieno.

Ebbene una di queste innume-revoli volte, “Rusinèddra” cheaveva lavato per bene i piedi asuo marito, e “a pezzi”, cioèprima la faccia e la testa, poi ilpetto e via così fino ai piedi, gli

aveva fatto, si direbbe oggi“una doccia”, a puntate, masempre doccia è, lo avevaaccompagnato a letto trasci-nandolo, perché mezzo addor-mentato e quasi sfinito da unagiornata di fauci a”dai ca dai”.“Rusinèddra” si era fermata aguardarlo e “ ‘un ci dicìa l’ar -ma” di andare a sparecchiare.Lei, la tavola, non l’aveva mailasciata con i piatti le posate ei bicchieri sporchi: “non si samai qualche cosa di notte!”, epoi la gente che cosa avrebbedetto che “ R u s i n e d d r a ” e r a“lorda”? Mai! Ma quella sera non si decidevaad andarsene. Veramente,

mentre lavava suo maritoaveva notato che, per la primavolta, non aveva storto il nasoa quell’odore di sudore misto apolvere accumulato e, anzi,aveva provato un senso di pia-cere, e quasi, se non fossestato assurdo e inspiegabile, loavrebbe lasciato sporco conquell’odore forte, penetranteda maschio. Aveva sussultatoed esclamato tra sé: “Madonnadi Luritu, ma chi haiu ‘stas i r a ? ”. Ferma, imbambolatastava seduta sul letto. Eracome se avesse visto suo mari-to per la prima volta mezzonudo. Scorreva lo sguardolento lungo il corpo e con losguardo lo accarezzava. Levenivano visioni di colori vario-pinti di fiori, margherite gialle,rose, ginestre, macchie dipapaveri nei campi sterminatidi grano ondeggiante, rose inquantità, bianche, rosse epetali da tutte le parti. Ilrespiro si faceva sempre piùaffannoso e sentiva i battitidel suo sangue nelle orecchie: “Beddra Matri santissima per -d o n a t e m i ! ” C’era un silenzio

rotto soltanto dai cri…cri deigrilli alcuni continui, altri a sin-ghiozzo, intervallati dal “Chiò”,“Chiò” dell’assiolo, cadenzato,profondo e soddisfatto, ed unaluna in alto, grande grande,quanto una padella, che entra-va dalla finestra di quella stan-za metallizzando quel corposeminudo esaltandone i musco-li e la carne bruna arrostita dals o l e:” Sugnu ‘na disgraziata.Senza russuri sugnu. Matri miaperdonatimi!”…Così pensando si denudava,mentre le tempie le pulsavanoe le sentiva pulsare. Toccava suo marito e sentivache ancora il sangue non aveva

smesso di bollire. Sotto le suemani la pelle rosea liscia comequella di un bambino e i musco-li contratti e duri e ad un certopunto cominciò a sentire unforte odore di zagara mentreun venticello le accarezzava leciocche di capelli corvini. Eratutta un fremito e si scioglievacome neve al sole. Ebbe iltempo di dirsi ancora unavolta” mio Dio”, sciolse i dubbi,sciolse le incertezze , abban-donò completamente i freni,“accrastò” quel maschio e deci-se lei per tutti e due. Infine rimase piegata in posi-zione fetale con gli occhi chiu-si per un buon quarto d’ora. Sialzò sorridendo, e felice, pre-parò il vino, lo versò lentamen-te nel “sciascu” e decise che…lo avrebbe chiamato “ Manicudi Sciascu” (certamente non ilvino!). Fu così che “Manicu diSciascu” si chiamò “Manicu diSciascu”. Crescendo tirò fuorile sue caratteristiche di stra-lunato, strampallato e di equili-brio sbandato. Il mattino seguente mentre ilpadre di “Manicu di Sciascu”

salutava “Rusineddra” esclamò,guardandola teneramente: -<<“Rusinè, t’avevo detto di pre-pararmi soltanto “un manico disciascu!”… “Comunchi! Tuttubuanu è binidittu!>>… E scappòvia prima che il sole si mettes-se a “cannariari”.Le gote pronunciate di Rosinasi erano pervase di un leggerorosa come quello delle pescheappena mature: inusuale e inso-lita affermazione della propriafemminilità. Lui non se ne eraaccorto. Lui non si accorgevamai di niente, mentre Rosina loguardava scomparire nel chia-roscuro e avrebbe desideratoche si voltasse per salutarloancora una volta. Tuttavia alzòil braccio, distese la manougualmente come se lui sifosse girato a guardarla.Il nonno di “Manicu diSciascu”, invece, era un“omone” alto, robusto, con ibaffi alla tedesca, cioè duerettangoli di peli brizzolaticorti che scendevano dallenarici fin sopra le labbra supe-riori, colorate di giallo sfuma-to, per via del tabacco cheprendeva a pizzicate con il pol-lice e l’indice da una tabacchie-ra di legno bombata che anda-va, giusta giusta, nel taschinodel gilè. Se lo portava sotto lenarici e lo respirava, una voltae due. Era conosciuto perchésotto uno “scialluni”, si direbbeoggi “plaid” da cui non si sepa-rava neanche nei mesi di Luglioe Agosto, teneva “lu sciascu”agganciato all’ascella. In occa-sione della venuta in paese delpescivendolo, che era sempreun avvenimento, molti si preci-pitavano di buon mattino adandare a comprare o le sarde o“lu maccarruniaddru” entrambipreferiti, prima perché erano ipesci che costavano e costanodi meno e poi perché eranorichiesti da tutto il paese e…basta! La pescheria era vicinola piazza in via Cavour. Luiscendeva “di lu chianu di l’armisanti”, la stessa via fino allapiazza e si metteva a passeg-giare sotto la fontana dei tri-toni dalla parte dove si mette-vano “li iurnatara”, insommaquelli di basso rango, perchél’altra metà della piazza, cioèdalla fontana alla cancellatadella Chiesa Madre, era riser-vata a quelli di alto rango, peròsenza che nessuno lo avesseimposto. Allora era così e…

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Giuseppe Puletto

Rusineddra e il papà di

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basta!Era andatosubito nellapescheria edaveva memo-rizzato iprezzi e leq u a n t i t à :dieci, dodici

cassette coperte di ghiaccio edi alghe, provenienti o da PortoEmpedocle o da TerminiImerese. Ogni tanto tiravafuori “lu sciascu” e faceva “‘nas u r s a t a ” , ogni tanto tiravafuori dal taschino del suo “gilé”la tabacchiera bombata e siinfilava due pizzicate di tabac-co nelle narici. Dopo un paio diore andava a dare un’occhiataalla pescheria e ritornava poi apasseggiare dalla Via Cavouralla Via Garibaldi e sempre allostesso posto sulla piazza rial-zata, tra le due strade. Ilpescivendolo, ormai, lo sapevae male lo sopportava, soprat-tutto non sopportava quellevisite ispettive, ma sapeva chequell’ “omone” era più forte dilui e sapeva che anche quellavolta avrebbe vinto e avrebbeimposto lui il prezzo. Per quan-to riguarda la quantità non c’e-rano problemi, lo avrebbepreso tutto. La mattina, ipesci, costavano, per esempio,quattro soldi al chilo, versomezzogiorno costavano tresoldi, verso l’una era il momen-to del nostro “omone”: si avvi-cinava e cominciava a criticarele sarde che avevano, dicevaLui, “lo sguardo spento”, men-tre “lu maccarruniaddru” eramolle e quasi sfatto. Il pescivendolo lo faceva par-lare, tanto sapeva dove volevaarrivare. Ma fino all’una e trequarti, si teneva fermo a tresoldi e senza cedimenti.Poverino non sapeva chi davatanta resistenza a quell’uomo!Lui era costiero, sapeva di sal-mastro e di onde del mare. Chene sapeva del “sciascu”? Alledue la battaglia era vinta.Tutto quello che rimaneva a unsoldo, oppure poteva riportar-selo indietro che poi significa-va andarlo a buttare, se già oraper raggiungere TerminiImerese o Porto Empedocle civogliono un’ora e mezza imma-ginate a quei tempi! Di solitoera una cassetta o una casset-ta e mezza di pesce assortito,l’omone ci metteva sopra “ lus c i a s c u ”, prendeva il tuttosotto il braccio e coperto dallo

“scialluni”, partiva a razzoverso casa.Ma chi aveva dato lustro alcasato, era lo zio di “Manicu diSciascu”, Michiluzzu. A diffe-renza del padre che era un“omone” e del fratello, il mari-to di Rusineddra, Michiluzzuera bassino, secco e tuttonervi. Non stava mai fermo ese fermo doveva stare, si don-dolava, accendeva un’Alfa easpettava in piazza qualcunoche lo prendesse per lavorarel’indomani. Era, manco a dirlo,“iurnataru”, ma non uno qual-siasi e proprio “iurnataru” nonsi poteva dire. Era cercato datutti perché la sera verso l’AveMaria lo prendevano, ad esem-pio, per pulire una “favata”, el’indomani mattina quando ilpadrone del fondo andava incampagna trovava il lavorobello e fatto ed ultimato allaperfezione. Quindi Michiluzzu,sebbene “iurnataru”, lavoravadi notte, al chiaro di luna.Partiva da casa alle due dinotte con la zappa e due “scia -

s c h i ” pieni di vino rosso.Arrivava sul fondo da zapparee ne posizionava uno all’iniziodel primo filare e l’altro allafine del primo ma all’inizio delsecondo filare, quindi dava una“sursata” al primo e lo riponevaall’inizio del terzo filare sotto-stante. Il pensiero che dall’al-tra parte lo aspettava un altro“ s c i a s c u ” lo faceva correrecome una lepre e la zappafaceva scintille. Ad un certo

punto anche se la luna momen-taneamente doveva offuscarsidietro una nuvola passeggera,il ferro della zappa che entra-va e usciva senza tregua dalterreno, risplendeva di lucepropria e si espandeva peralmeno un metro, tanto quantobastava a Michiluzzo per vede-re dove assestare le zappate. Non si salvava neanche un’er-baccia, tenera o “gerfa” chefosse, lasciando le radici nudeanche quando erano contorna-te di terra, perché Michiluzzule afferrava “per i capelli”-diceva lui - e li batteva sulmanico della zappa facendo-gliela frantumare tutta.Partenza: stappata la fungiadel primo sciascu, “Sursata”,r i t a p p a t a, deposizione “scia-scu” nella fila sottostante e viadentro il filare, dove zappa,Michiluzzu ed erbe diventava-no una sola cosa, lasciando die-tro polvere e “minnitta”, quasidegno antenato del motozappa. Arrivo: stappata del secondosciascu, “ ‘nciuciata”, ritappa -ta, deposizione “sciascu” nellafila sottostante e via in sensoopposto, più svelto e lucido diprima.. Quello che gli altrifacevano in una diecina di oreLui lo faceva in cinque ore ealle sette di mattina ritornavaa casa con i due “ s c i a s c h i ”vuoti e la zappa incandescente.Andava di filato a letto e sialzava alle due per mangiare:rinvigorito e “ ‘ m p i p i r i d d r a t u ”come sempre, come se nonavesse mai lavorato e come senon avesse mai bevuto. Poi quello che faceva di pome-riggio fino all’Ave Maria non loso e neanche quello che facevadopo. So soltanto che dovevaavere un suo modo speciale disucchiare il vino dal “sciascu”perché, intanto, uno non glibastava, e poi perchè sapevacalibrare talmente bene il“risucchio” ovverosia “sursata”o “ ‘nciuciata”, che dir si voglia,da adattarla all’estensionedella “favata” che aveva davan-ti, piccola o grande che fosse.Nel primo caso “sursava” piùvigorosamente e nel secondocaso, invece, “ ‘nciuciava” a ral-lentatore. E’ certo, comunque,che i due “sciaschi” ritornava-no a casa sempre vuoti e illavoro veniva svolto a regolad’arte.Tornando ai nostri tre compa-ri, Criccu, Cruaccu e “Manicu diSciascu”, erano arrivati davan-

ti la Caserma e iniziavano agirare a destra sulla Nazionalecon destinazione “La Fiured-dra”.Criccu, distendendo le rughesulle sopracciglia, comincia aroteare le labbra, segno chestava per iniziare a parlare eche finalmente aveva messo apunto i suoi arruffati pensieriche lo avevano tenuto angu-stiato per tutto quel tempo,ma i due compari non se neaccorgevano, e quando gli sem-brò d’avere preso la giusta rin-corsa di causa ed effetto,sparò: “C u m p à, sapiti chi vidicu? Cristo ha fatto bene anascere dove è nato!”Manicu di Sciascu non riuscì amantenere la falcata ed,esterrefatto da quella mitra-gliata, andò a posarsi con tuttoil suo peso sul piede di Criccu ilquale allungò il muso alzando latesta in aria e si fermò appenain tempo dal nominare invanoproprio quel Cristo sintesi deisuoi pensieri, ma strinse identi e succhiando aria a tuttospiano arrivò a dire: Puarcud i……… C r u a c c u, invece, sifermò di botto e rimasefermo, indietro di almeno unmetro rispetto ai suoi compari,nell’intento di capire che cavo-lo voleva dire quella afferma-zione, e sarebbe rimasto anco-ra lì fermo paralizzato se i duecompari non si fossero fermatie girati, brandendo entrambi,ognuno il proprio avambracciodestro, dal basso verso l’alto,con le dita della mano allunga-te e riunite alle estremità in unsolo punto, e che aveva super-giù questo significato: Cumpà,chi minghia aviti? Chi statimali?Cruaccu, pertanto, sollecitatodal richiamo gestuale, si sve-gliò e dirigendosi verso i due,puntò i suoi occhi su quelli diCriccu dicendo:Cumpà, spidugliati, chi buadiri? Dammi ‘na spiegazioni! Chibua diri?-Cumpà - rispose Criccu - sesiamo nel 2004 e “avi duiMillenni ca vinni Cristu nni laterra e nni ssa gnuni, propriaunni nascì Cristu, si scannanucomu li puarci “ immaginaticome si “scannavanu prima cavinissi Cristu”! Ecco perché,penso io, che il Padreterno“s’incazzà” talmente “ca pigliàa Cristu e ci dissi di iri anasciri nni ss’agnunata pi

DALLA OTTAVA PAGINA

Giuseppe Puletto

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bidiri d’ag -giustari lap a r t i t a ” .N s u m m a ,Cumpà - con-tinuò Criccu -ti lu immaginiCristu ca veni

a nasciri ‘nItalia? ‘Un poessiri, picchì nuatri truvamusempri ‘na via d’accuamudu! Epua, ccu minghia si sonna dimettirisi ‘na curria di bummi‘nni la panza e farisi satari‘nnall’aria? Ia dicu ca ‘ssagenti su caini prima di nasci -ri, pensa dopu quannu nasci -nu!A Cruaccu, ormai, che nonsentiva più neanche la spintadella vescica, perché gli sierano fermate tuttele attività fisichee mentali, quelleparole sembra-vano averlo fuci-l a t o . G u a r d a v asuo compare manon lo vedeva, esat-tamente come s u ocompare aveva guarda-to i pesciolini dellafontana dei Tritoni,senza vederli. Sentivache non aveva poi tutti itorti, ma gli sfuggivanotutti quei risvolti e le motiva-zioni che lo avevano portato aquella determinazione ecomunque non riusciva ancora amettere a fuoco bene il ragio-namento.

Anzi si era completamenteperso quando aveva dedottonella sua mente, ma senza dirlo: .. <<Anche Cristo era ebreo !Allora che fà, puru Cristo…?Mah! staiu bastimiannu !.. Eraebreu? Ma nascì ‘npalestina, eallura era puru palestinese?Cristu era ebreu o palestine -se? Era ebreu-palestinese? Ih!E chi era puru arabu? Ebreu-palestinese-arabu? Matri san -tissima chi casinu! E Allà d’unniera? Chi era Arabu? Capacicaera puru ebreu-Palestinese.Arabu-Ebreu-Palestinese?… E’miagliu ca ‘nun parru ! Nunl’haiu tanta chiara la cosa!Basta: si scannanu? Peggiu ppiiddri! A ura di ssi cosi è miagliu‘un si ci ammiscari ca c’è tuttudi perdiri e nenti di guadagna -ri! Ma porca buttana!, ora ca miricuardu, ‘st’arabi dicica fuarupuru ccà pi duciantucinquan -

t’anni. Ih!, ammittiamu ca, cu laprima generazioni si ‘nni mari -taru cincu su deci cu liSiciliani. Di la secunna genera -zioni, appriassu, chi successiun macellu!? Ammittiamu ca ‘nagenerazioni è di 30 anni.Duciantucinquanta divisu tren -ta fannu uattu e passa genera -

zioni. All’urtima generazioni,perciò, sicuru ca eramu tuttiarabi! A ‘nsumma, chi siamuarabi puru nuatri? ‘Nni sti vinic’è sicuru anchi sangu arabu,sangu ebreu e sangu palestine -se. Tuttu ammiscatu! Ebbivasta minghia! E’ miagliu ca ‘nunparru!>>

Pertanto, poiché era ormaiarrivato il momento di espri-mersi, in quanto, in fondo infondo, suo compare una moti-vazione l’aveva espressa, giu-sta o sbagliata, chiara o aggro-vigliata l’aveva comunqueespressa, e non sapendo comee dove buttarsi esclamò periniziare, ma anche e soprat-tutto per concludere: -<<MMMah!>>.Allora intervenne “Manicu diSciascu” : <<Cumpà, sapiti chi vidicu? Vuatri viditi troppa tele -visione e stati cuminciannu aparrari strammi!- L’autra sira,per esempiu- continuò “Manicudi Sciascu”- u sapiti chi dissirua la televisioni?Chi dissiru Cumpà?- ChieseroCriccu e Cruaccu ad una solavoce.

-Dissiru ca l’Americani tortu -ravanu li prigionieri ‘nni lu car -ceri a Baghidaddi. Ora, è maipossibili? Iddri (la televisione)puannu diri chiddru chi vuannu!Ia arraggiunu cu la testa mia!Un puapulu accussì civili ca ìfina ddrà ppi sarvalli diSaddammi e pi darici la demo -razia e la civiltà, ca si metti atorturari!?…Ia ‘un ci cridu!Bah! Chi vinni pari? Ia - ‘ un -ci - cri - du -, ora no,ia..’un…ci…cri…du.Criccu e Cruaccu, che avevanoseguito, e come, la faccenda, in

tutti i telegiornali, siguardarono negli occhie si dissero con gliocchi, scuotendo la

testa lentamente adestra e a sinistra, con il musoallungato in avanti entrambi,ma quello di Cruaccu un pòstorto a sinistra e leggermen-te rialzato e senza parlare:Cumpà, ca ma fari? C’i am’a cri -diri o ‘un c’i am’a cridiri? <<Dobbiamo crederci o non dob-biamo crederci?>>Che si fossero fatti entrambi

quella domanda si evincedallo sguardo che meglio

sarebbe a questo punto chia-mare “Taliatura”, con le palpe-bre semichiuse cioè “ C ul’uachhi a panpineddra”. Che aquella domanda la risposta èimplicitamente negativa, ecioè: “non dobbiamo crederci”si evince dallo scuotere latesta leggermente a destra e asinistra e il muso dritto allun-gato in avanti.

Il particolare, invece, piùimportante fu l’allungamentoleggero del muso verso l’alto, asinistra, di Cruaccu, perché hail seguente significato, ma cer-cate di seguirmi attentamente,se no, non ci capirete proprioniente. Pazienza i Siciliani sonodi difficile interpretazione, sisa, prendere o lasciare. Allora!Andiamo avanti : intanto il latoè quello dalla parte opposta diCriccu, proprio, quindi, pertenere nascosto il muso, equindi il particolare descrittoera e restava noto soltanto achi lo aveva fatto e cioè a sestesso, cioè a Cruaccu.Perché? Perché Cruaccu nonvoleva rivelare a Criccu qualeera il suo vero pensiero sullafaccenda. Insomma Criccudoveva rimanere convinto chesuo compare la pensava comelui e cioè che non avrebbe mai

creduto che gli Americaniavessero violato le norme piùelementari della convenzionedi Ginevra nel trattamento deiprigioneri. Se no, che portato-ri di civiltà e di democraziasarebbero stati? Cruaccu, inverità, non aveva molta stimadi Criccu, ma non la stimacomune, quella era fuori dis-cussione, ma di una sorta distima “intellettuale”. InsommaCruaccu si credeva superiore epiù “allittratu” perché leggevapiù di Criccu, perché pensavadi capire di più e che sarebbestato inutile rivelargli il suovero pensiero. Lui, Cruaccu,aveva in più “lu cuacciu di la lit -tra”, e questo, lo aveva porta-to, in occasione di quel famoso“Undici Settembre” a vedercila mano di “Dio”, il quale, dopo5 6 anni, aveva loro (agliAmericani) restituito pane perfocaccia, e sicuramente inmodo molto più attenuato se siconfronta il danno che “loro”avevano fatto a “Nasachi” e“ R o s c ì m a ” . Questa cosa nonera mai andata giù a Cruaccu!:<<Ammazzari? Va beni. Fari ‘nastragi? Va beni. Fari scumpari -ri ‘na razza? Va beni. Ma, min -ghia, cangiari lu generi umanocu la bumma tomica, chistu no.Nun si po suppurtari ca di nafimmina nasci “natra cosa” anzica l’ “Omu”.!…>>.E tuttavia si era sempre ben

guardato dall’esprimere il suopensiero ad altri, nè tantomeno ai suoi compari che nonavrebbero capito sicuramenteo si sarebbero rifiutati di cre-dere o avrebbero pensato cheil loro compare si era “ appan -zicatu” di cacuacciuli, di favi edi mazzareddri, matina, men -ziuarnu e sira. Causa ed effetto, corsi ericorsi , Cruaccu, profonda-mente, aveva maturato la con-vinzione che o la guerra siesclude in partenza (e nel casosi porge l’altra guancia) o nes-suno venga a raccontarecoglionate che si può uccideregentilmente o chirurgicamentee che, se si è in guerra non sitortura. Ci siamo? E’ chiaro orail discorso? Ecco allora lededuzioni di Cruaccu confessa-te solo a se stesso:“Si tortura,… si tortura,… ecuamu!”;“Si fannu,… si fannu,…e cuamu!,sperimenti gnobili pi l’umanitàe contru la natura;

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DALLA NONA PAGINA

Michiluzzu lo ziodi Manicu di Sciascu

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finata neimiei pensie-ri. Spessoapprezzo leposizioni dip e r s o n a g g ipolitici odella culturache condan-nano senza

mezzi termini l’uso della violenza, l’e-sibizione dei muscoli, il facile ricorsoalle armi, la guerra come soluzionedei mali; mi rallegro tanto nel vedereche larghi strati di opinione pubblicae di giovani manifestano per la pace,un po’ meno quando gli stessi, che ladomenica affollano le curve deglistadi, esternano i loro sentimentisportivi con gli insulti e le spranghedi ferro.

“Si vis pacem, para bellum”. Leggoin un dizionario che questa massimaancor oggi viene ripetuta per afferma-re l’opportunità per uno stato di esi-bire la forza militare al fine di dissua-dere eventuali aggressori da atti osti-li, oppure per una persona (o un’isti-tuzione) la necessità di mostrarsi fortie agguerriti per garantirsi ordine estabilità.

Mi viene quasi spontaneo pensare acerti animali che, per difendere ilproprio territorio di pertinenza daeventuali aggressori, assumono stranesembianze, alcuni alzano la cresta,altri rizzano la coda o il pelo. Uncomportamento assolutamente natu-rale e istintivo.

L’uomo in fondo, lo hanno detto intanti, non è poi tanto diverso daglianimali nei suoi comportamenti. In

più ha solamente l’indiscutibile capa-cità di ragionare più in profondità suisuoi atti e di dosare i suoi istinti, enon è poco.

Eppure, malgrado queste grandidoti, risulta a volte totalmenteincomprensibile il suo comportamen-to. Qui l’elenco del bestiario umanosi farebbe lungo, spazierebbe dallaviolenza negli stadi alla pedofilia,dalle orrende pratiche mutilatoriealla pena di morte, dal cieco terrori-smo alla guerra.

Mi chiedo dove sia andata a finirela ragione.

Spesso anche le affermazioni piùovvie e pacifiche vengono stravoltenel loro significato originario e fini-scono col dire tutto il contrario diquello che vorrebbero attestare.Quante volte ad esempio abbiamocondiviso l’espressione che “preveni-re è meglio che curare”! Ebbene afuria di magnificare la cultura dellaprevenzione, abbiamo financo giusti-ficato la “guerra preventiva”. Altroche legittima difesa dinanzi all’ag-gressore! No, bisogna invece aggredi-re l’altro prima che questi si sogni diaggredire te. Non è più sufficientefare la guardia, stare all’erta. Oggi ilsospetto è diventato una certezza eautorizza a passare all’azione.Onestamente non è una bella culturaquesta che si va diffondendo e ciòvale ovviamente a tutti i livelli e inqualsiasi ordine della vita sociale edindividuale. Non è giusto colpevoliz-zare una persona prima ancora che sudi essa venga espresso un giudiziodefinitivo come non è giusto a mag-gior ragione accanirsi contro unpopolo intero prima ancora che ven-gano a galla le colpe reali di alcunisoltanto.

Prima dell’intervento armato inIraq in molti la pensavamo così,abbiamo protestato e manifestatodemocraticamente ma le bombe inquella antica parte del mondo sonopiovute lo stesso e non erano di quel-le ‘intelligenti’ che distruggono sol-tanto gli arsenali chimici e lascianoin vita il bambino che gioca per lastrada, al contrario gli ordigni eranodi quelli che non riuscivano a trova-re le armi chimiche da distruggerepoiché non c’erano ed invece trova-vano e distruggevano in grandeabbondanza la vera forza di ognipopolo che sono le sue donne e i suoibambini con il semplice ma pericolo-sissimo risultato di aver pestato lacoda al gatto.

In molti si sono ricreduti e hannoaffermato che è stato un errore inter-venire, anche gli USA hanno ridi-mensionato le loro posizioni iniziali.Risultato: centinaia di migliaia dimorti, una nazione e una storiadistrutti, un paese sprofondato in unaguerra civile senza sbocchi, un terro-rismo sempre più sguinzagliato inogni parte del mondo e forze multi-nazionali impegnate chissà fino aquando a cercare di far credere alpopolo iracheno che l’Occidentedopo aver pesantemente distrutto oravorrebbe pacificamente ricostruire.

Ma purtroppo ad alcuni le esperien-ze fatte non servono a dare insegna-menti e così ciecamente si buttano in

altre avventure ancora più pericolo-se.

Il nuovo scenario che comincia aprospettarsi all’orizzonte è l’Iran conil suo sviluppo di programmi nuclea-ri. E siamo alle solite. Invece di cer-care un dialogo e spingere per unapolitica di disarmo graduale di tuttiindistintamente, la migliore soluzio-ne sono le minacce e gli ultimatum,perché Golia deve essere armato finoai denti mentre il povero Davidedeve fare affidamento soltanto sullasua fionda. Non auguro a nessuno inquesto caso specifico il prosieguodella storia biblica ma è chiaro chequesta logica contiene in se stessa unprincipio tale di disuguaglianza chenon può nei fatti essere mantenuto alungo se non a prezzi elevatissimi.Chi, per qualsivoglia motivo, si senteoppresso e umiliato, coverà semprenel suo cuore il desiderio di ribellarsialle ingiustizie.

I grandi della terra ci diranno sem-pre che noi non conosciamo le dina-miche e le logiche attuali che gover-nano il mondo. E’ vero non le cono-sciamo e non vorremmo nemmenotanto sforzarci di conoscerle. La sto-ria però la conosciamo bene e sappia-mo che esistono tanti metodi perdirimere le questioni, basta averacume per scegliere quello giusto.Spessissimo a metodi sbagliati sonoseguiti risultati disastrosi.Semplicemente non vorremmo arri-vare all’irrimediabile.

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30 Luglio 2006

Direttore ResponsabileGIUSEPPE PIRAINO

Comitato di RedazioneA. BARCELLONA

ROSEMARIE TASCA d’A.C. GIAMBELLUCA - A. POLIZZANO

Autorizzazionedel Tribunale di CaltanissettaN° 165 del 19 Gennaio 1999

Stampato pressoTipografia “RS”

VIA CIRCONVALLAZIONE SUDSAN GIOVANNI GEMINI (AG)

TEL. 0922.909774 - FAX 0922.904820www.rsartigrafiche.it

“si dirottano,… si dirot -tano,…e cuamu!, apparec -chii a carricu chinu digenti, e si fannu sbattericontro li torri, e poco‘nteressa si su gemelli ono;

Si scatinanu,… si scati -nanu,… e cuamu!, li guerri, e li motivi nunsu mai chiddri ca si dicinu, picchì la poli -tica è farfanti e la verità si canusci sem -pri dopo armenu cinquant’anni o puru nunsi canusci ppi tutta l’eternità!“Si tortura,… si tortura,… e cuamu!”.

Intanto erano arrivati alla “Fiureddra” eognuno si cercò il proprio posto per lafunzione di rito: svuotamento ad oltranzadella vescica. Quando erano piccoli, si mettevano in filalaterale e bene allineati, gomito a gomito,e facevano a gara a chi la faceva arrivarepiù lontano, dopo averla trattenuta a limi-te estremo e liberata, infine, di schianto.Ormai, però, erano grandi e giudiziosi equelle cose non si facevano più. Mancu chistu Cainu s’amparà! Cainu era eCainu arristà!

Terminata la funzione con prolungatisospiri di soddisfazione e sollievo e concolpi bene assestati di “scutulamiantu” erelativa chiusura di “saracinesca”, comin-ciarono a risalire verso il paese senzaparlare.

DALLA PRIMA PAGINA DALLA DECIMA PAGINA

(segue in ultima)(segue in ultima)

Seconda Rassegna TeatraleIstituto Comprensivo

CampofrancoIns. Rosalia Fraterrigo

In occasione della Seconda RassegnaTeatrale, promossa dall’IstitutoComprensivo di Campofranco, gli

alunni dell’Istituto Comprensivo diVallelunga: Marianna Virga, RiccardoDentico, Vincenzo Anzalone, FlaminiaDentico, Francesca Notaro, GaetanoMistretta, Lorena La Duca, Andrea Notohanno partecipato a tale rassegna direttidalla sottoscritta, portando in scena il rac-conto “Il villaggio di Raja” di GiuseppeAudino, primo classificato al ConcorsoLetterario “Tanarizzi” 2003, organizzatodalla signora Rosemarie Tasca d’Almeritacon la collaborazione dell’AssociazioneCulturale “La Radice”.Il racconto narra la storia fantastica dellafamosa “Tomba di Vallelunga”, il cui cor-redo è stato rinvenuto nella collina“ Tanarizzi” nel 1915 dal Dott. LuigiMoscati detto “Dutturi Gigiu” risalente a3800 anni fà.La scena è intercalata da musica celtica,indiana e balli.È stato un successo! Il 20 maggio 2006siamo stati premiati con una coppa e laseguente motivazione: “Premio per l’ori-ginalità della scena, dei costumi, della

musica, della danza e dell’inter-pretazione”.La soddisfazione più grande, perme, è stata quella di avere tra-smesso, attraverso il teatro equesta semplice interpretazioneun pizzico di storia del nostropassato.

da sinistra: Marianna Virga, Lorena LaDuca, Riccardo Dentico, FrancescaNotaro.

da sinistra: Flaminia Dentico, RiccardoDentico, Gaetano Mistretta, MariannaVirga, Lorena La Duca, Andrea Noto,Giuseppe Falletta, Vincenzo Anzalonee l’insegnante Rosalia Fraterrigo.

Page 12: La Radice 30 luglio 2006

PAGINA 12

DALLA PRIMA PAGINA

1) GIOVANNI CRISCUOLO1803-1848MedicoPresidente del comitato insurrezionalenel 1848oo Rosalia TrainaGià collocato nella parete di sinistra dell’o -

ratorio della porta di ingresso.2) FORTUNATO BONASERA 1800-1849Possidenteoo Carmela SalamoneIn possesso della parrocchia, era collocatonella parete a destra del portale di ingresso.

7 Ottobre 1948. La cupola della chiesa madre rivestita da piastrellemaiolicate color verde acqua posizionate a squama di pesce. Fu l’ultimointervento di restauro e di ripristino di questa copertura in quanto, nel1956, vennero smantellate e sostituite con lastre di rame. Se conoscete qualcuno in questa foto fatelo sapere. Grazie!

Oppure,…. Oppure non rimane che “la runfu -liata“ del Barbagianni per richiamare la suafemmina o semplicemente per farsi compagnianelle notti tiepide d’estate. Ma a questo puntonessuno potrebbe dire che non sia vera la suamacabra “nomina” di portatore di morte, tantopiù che i segni di una avanzata agonia sono evi-dentissimi: l’annata agraria appena conclusaha visto qualche contadino lasciare attaccataalle viti l’uva, molti di più quelli che hannolasciato sugli alberi le olive, il prezzo dell’olioneanche a cinquemilalire il litro e moltissimihanno aggiunto altri recipienti di olio, a quellidegli anni precedenti, a stazionare nelle alcove. Non parliamo del grano che ormai è conve-niente vendere per alimentare le caldaie deitermosifoni perché il prezzo è minore di quel-lo della sansa e della legna.

Prof. Eduardo Gugino

* Oratorio della Madonna del Rosario *

Fra’ Calò Vizzini–––– di Rossella Valenza ––––

Frà Calogero Vizzini era un monaco vissuto nel settecento cheviveva da solo in un monastero, situato su una montagna altis -sima delle serre e si diceva che c’erano i fantasmi.Quel monastero era circondato da alberi altissimi che impedi -vano al sole di illuminarlo. Frà Calogero era un uomo che soloa guar -darlo tre -m a v a n otutti dallap a u r a ,p o i c h éa v e v auna barbal u n g h i s s i -ma e unos g u a r d om i n a c c i o -so. Intor-no al mo-n a s t e r oaveva sca -vato dellebuche perfar caderedentro i bambini che ogni giorno andavano a giocare lì con lapalla, se questa andava dentro la recinzione il frate prendeva ilbastone e inseguiva i ragazzini. Frà Calogero era un uomo soli -tario e non voleva vedere proprio nessuno. I bambini, quindi,non andarono più a giocare vicino al monastero perché teme -vano le persecuzioni del monaco. Ma a questo punto successeuna cosa imprevista, il frate si sentiva sempre più triste eabbandonato perché aveva compreso che i bambini schiamaz -zanti, sembravano disturbarlo, ma in realtà gli tenevano com -pagnia. Dopo aver riflettuto, Frà Calogero scese a Villalba acercarli e disse loro che potevano andare al monastero a gioca -re e chiamò pure alcuni dei loro papà momentaneamente disoc -cupati e li invitò ad andare a lavorare nei terreni appartenential monastero e da quel momento Frà Calogero diventò l’uomopiù generoso del mondo.

Il pubblico. In prima fila: l’assessore D’Antona,Pino Piraino, avv. Pelagalli.

da sinistra: Flaminia Dentico, Paola LaPaglia, Rossella Valenza e il SindacoDott. Antonino Patti.

RITA OGNIBENE

Soltanto “Manicu di Sciascu”, canticchiava unafrase che sapeva fin da bambino. Nessuno gliel’a-veva insegnata. La sapeva e basta! Ora nessunopiù la cantava:

<<Apparecchiu americà, etta bummi e si ‘nni và !>><<Apparecchiu americà, etta bummi e si ‘nni và !>><<Apparecchiu americà, etta bummi e si ‘nni và!>><<…………… ………, …. …….. .. .. …. !>>

E così fino alla “fontana dei Tritoni” dove si salu-tarono e ognuno andò a casa sua e per conto suo.

Una cosa sento in tuttacoscienza di poter affer-mare e senza la preoccu-pazione di apparire reto-rico: non possono esiste-re guerre giuste, ne guer-re sante, ne guerre pre-ventive; sarebbero da evi-tare pure, se possibile, leguerre di difesa. Perchéchiamala come vuoi masempre di guerra si tratta.

Ho provato a ribaltarela celebre massima di cuisopra e devo dire che aimiei orecchi suona moltomeglio. Con buona pacedegli antichi e sapientiromani: “Si non vis bel -lum, para pacem”.

“SI VIS PACEM, PARA BELLUM”Se vuoi la pace, prepara la guerraI risultati li abbiamo visti e li vediamo!!!

“SI NON VIS BELLUM, PARA PACEM”Se non vuoi la guerra, prepara la pace

e... speriamo che i risultati siano diversida quelli che abbiamo visto e vediamo!!!

La gente è stata abituata a pensare che la scuola sia un'istitu-zione altra dalla società, con la funzione di corregge-

re tutte le disfunzioni della prima, e abituatacosì bene che anche davanti alla puntua-

le smentita, nel bisogno, naturale, dispiegarsi il fenomeno dell'analfabe-tismo dei propri figli, del loro statoimbelle, la pigrizia, la passività, illassismo, il mammismo, la noia el'apatia, la repulsione o fobia per i

libri e la carta scritta, la totaledipendenza dalle immagini,

invece che nel sistema, lacausa, cerca nella scuola, lostrumento, il capro espiato-rio, e ve lo trova in quelloche è divenuto l'anello piùdebole e indifeso dellagerarchia sociale: l'inse-gnante. Sarà la Cina, inmarcia verso il mondo, adarci una regolata..

GIUSEPPE PULETTOnato a Palermo il 19/07/1994 deve farela 2ª media - autore dei disegni diquesto racconto