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10° Supplemento al numero 30 2012 di Monitor Trimestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali I QUADERNI DI Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale 70% - Roma LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI Elementi di analisi e osservazione del sistema salute

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10° Supplemento al numero 30 2012

10° Supplemento al numero 30 2012 di Monitor

Trimestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali

I QUADERNI DI

Poste Italiane SpASpedizione in Abbonamento Postale 70% - Roma

LA PRESA IN CARICO DEGLIANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI

Elementi di analisi e osservazione del sistema salute�

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I QUADERNI DI

Elementi di analisi e osservazione del sistema salute�

LA PRESA IN CARICODEGLIANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

Un contributo per conoscere e decidere

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Quaderno di Monitor n. 10

Elementi di analisie osservazionedel sistema salute

Trimestrale dell’Agenzia nazionaleper i servizi sanitari regionali

Anno XI Numero 30 2012

DirettoreFulvio Moirano

Direttore responsabileChiara Micali Baratelli

Comitato scientificoCoordinatore: Gianfranco GensiniComponenti:AldoAncona,Anna Banchero,Antonio Battista, Norberto Cau,Francesco Di Stanislao,Nerina Dirindin,Gianluca Fiorentini, Elena Granaglia,Roberto Grilli, Elio Guzzanti, Carlo Liva,Sabina Nuti, Francesco Ripa di Meana,Federico Spandonaro, FrancescoTaroni

EditoreAgenzia nazionaleper i servizi sanitari regionaliVia Puglie, 23 - 00187 ROMATel. 06.427491www.agenas.it

Progetto grafico,editinge impaginazione

Via V. Carpaccio, 1800147 Roma

StampaCecomBracigliano (Sa)

Registrazionepresso il Tribunale di Roman. 560 del 15.10.2002

Finito di stamparenel mese di settembre 2012

Periodico associatoall’Unione StampaPeriodica Italiana

L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali è un ente con personalità giuridica di diritto pub-

blico che svolge un ruolo di collegamento e di supporto decisionale per il Ministero della Salute e le Regio-

ni sulle strategie di sviluppo del Servizio sanitario nazionale. Questa funzione si articola nelle seguenti

specifiche attività: la valutazione di efficacia dei livelli essenziali di assistenza; la rilevazione e l’analisi dei

costi; la formulazione di proposte per l’organizzazione dei servizi sanitari; l’analisi delle innovazioni di

sistema, della qualità e dei costi dell’assistenza; lo sviluppo e la diffusione di sistemi per la sicurezza delle

cure; il monitoraggio dei tempi di attesa; la gestione delle procedure per l’educazione continua in medicina.

L’Agenzia oggi | Presidente Giovanni Bissoni Direttore Fulvio MoiranoConsiglio di amministrazione Francesco Bevere, Alessandro Cosimi, Domenico Mantoan, Giuseppe ZuccatelliCollegio dei revisori dei conti Francesco Alì (Presidente), Nicola Begini, Fabrizio FerriI settori di attività dell’Agenzia | Monitoraggio della spesa sanitaria • Livelli di assistenza • Organizzazione dei servizi sanitari •Qualità e accreditamento • Innovazione, sperimentazione e sviluppo • Formazione - Sistema nazionale di Educazione Continua in MedicinaECM • Documentazione, informazione e comunicazione • Affari generali e personale • Ragioneria ed economato

www.agenas.itSul sito dell’Agenzia sono disponibili tutti i numeri di

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EDITORIALELA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTIUN CONTRIBUTO PER CONOSCERE E DECIDEREGiovanni Bissoni ............................................................................................................5

IL NSIS E LA GESTIONE DELLE INFORMAZIONI DI SALUTEPER I PAZIENTI CRONICIRossana Ugenti ..............................................................................................................8

LA SPESA PER LONGTERM CAREFrancesco Massicci .........................................................................................................14

L’INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA: UN PERCORSO DA CONDIVIDEREIntervista a Maria Cecilia Guerra di Chiara Micali .................................................................22

L’ASSISTENZA AGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI IN ITALIAAngelo Lino Del Favero ..................................................................................................25

L’ASSISTENZA AGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI IN ITALIA:EVOLUZIONI E PROSPETTIVEElio Guzzanti ..............................................................................................................39

I SERVIZI PER GLI ANZIANIMarcoTrabucchi ............................................................................................................48

LA RETE DEI SERVIZI PER LA LONGTERM CAREGiovanni Fosti, Ornella Larenza, Francesco Longo,Andrea Rotolo ...............................................54

I SERVIZI RESIDENZIALI IN ITALIAEnrico Brizioli .............................................................................................................65

OLTRE IL “VUOTOASSISTENZIALE”Gianlorenzo Scaccabarozzi, Carlo Peruselli, Fabio Lombardi ......................................................72

I NODI DELLA LONGTERM CARE IN ITALIACristiano Gori, Laura Pelliccia..........................................................................................83

DIECI DOMANDE SULL’ASSISTENZA AGLI ANZIANINONAUTOSUFFICIENTI IN ITALIANetwork Non Autosufficienza (NNA) ..................................................................................97

I FONDI SANITARI E SOCIOSANITARI INTEGRATIVIIsabella Mastrobuono ....................................................................................................102

Sommario

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SOMMARIO

UNA SOLUZIONE RESIDENZIALE PER ANZIANIIl centro sociale di Lastra a SignaGavino Maciocco .........................................................................................................113

IL DISTRETTO NELLA TUTELA DELLA SALUTEDELLE PERSONE ANZIANE NONAUTOSUFFICIENTIPaolo Da Col,AntoninoTrimarchi, Gilberto Gentili ..............................................................124

LA RICERCA AGENASValutazione dell’efficacia e dell’equità di modelli organizzativi territorialiper l’accesso e la presa in carico di persone con bisogni sociosanitari complessi..............................................................................................................................143

LA RICERCA AGENAS - ALLEGATO 1IL CONTESTO REGIONALE DI RIFERIMENTO DELLE AREE DI STUDIO..............................................................................................................................184

LA RICERCA AGENAS - ALLEGATO 2ALGORITMO DI TRANSCODIFICA DELL’ASSE SANITARIO..............................................................................................................................208

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L’assistenza alle persone non autosuffi-cienti, prevalentemente (ma non esclu-sivamente) anziane, è, da tempo, unadelle emergenze sociali non adeguata-

mente affrontate nel nostro Paese, peraltro unodei Paesi più longevi al mondo, le risposte assi-stenziali sono inadeguate, sia per le risorse com-plessive disponibili, quanto per le modalità di or-ganizzazione e utilizzo delle stesse.Secondo l’ISTAT, sono circa due milioni gli an-ziani in condizione di disabilità che vivono in fa-miglia, ed oltre 300.000 gli anziani ospiti nellestrutture residenziali, un dato destinato ad au-mentare in modo cospicuo nei prossimi anni, inconseguenza dell’ulteriore invecchiamento dellapopolazione. Oggi vivono in Italia un milione e600 mila ultra85enni e si prevede che tra 10 an-ni saranno 2 milioni e 400 mila.Il percorso di presa in carico dell’anziano non au-tosufficiente riguarda una parte di questa popo-lazione e, in particolare, coinvolge tutte quellepersone che presentano un “bisogno assisten-ziale complesso”, ovvero non autosufficienti inalmeno una attività di base della vita quotidiana,fino alle persone allettate in modo permanente.Sempre secondo i dati Istat, sono oltre 900.000le persone coinvolte (circa l’8% della popolazio-ne anziana).Un bisogno che necessiterebbe di una correttavalutazione delle risposte, sia nella loro entità,quanto nella loro efficacia.Basti pensare che il nu-

mero delle badanti o assistenti famigliari si aggi-ra, secondo stime accreditate, intorno alle 800.000unità!Il Ministero dell’Economia e Finanze (MEF) sti-ma un rapporto della spesa pubblica per LongTerm Care (LTC) sul Pil dell’1,9% nel 2010, conuna componente sanitaria di circa il 46% dellaspesa totale, contro il 44% circa della spesa per in-dennità di accompagnamento. Le altre prestazio-ni socio-assistenziali coprono, invece, più o me-no il 10%.Al di là delle cifre nazionali, la genericità dei di-ritti, la diversa entità delle risorse destinate daRegioni e Autonomie locali, l’autonomia ge-stionale nell’organizzazione dei servizi resi, vedeun Paese estremamente diversificato fra buoneesperienze (comunque insufficienti) e assenza oquasi di servizi.Peraltro, la stretta finanziaria del Ssn, le difficol-tà economiche degli Enti locali, vedono il com-plesso dei servizi dell’intera area sociosanitariain condizioni di ulteriore debolezza e fragilità,di fronte agli imminenti processi di riorganizza-zione.Ci si indigna per le liste d’attesa, per le code alpronto soccorso,ma difficilmente si considera dipari livello il disagio per la mancanza di risposteai bisogni di una persona non autosufficiente.A fronte di questa situazione le persone e le fa-miglie si organizzano“come”possono e con“quan-to” possono.

LA PRESA IN CARICO DEGLIANZIANI NON AUTOSUFFICIENTIUn contributo per conoscere e decidere

di Giovanni BissoniPresidente Agenas - Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali

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Un sostegno fondamentale è arrivato dalla rispo-sta privata delle assistenti famigliari, una rispostache, peraltro, andrà comunque valorizzata anchenell’ambito di auspicabili ed implementabili po-litiche pubbliche.Consapevoli di ciò, nella prima bozza di decretolegge “recante disposizioni urgenti per promuovere losviluppo del Paese mediante un più alto livello di tu-tela della salute” del 27 agosto 2012, proposta dalMinistro Balduzzi, uno specifico articolo preve-deva un “Programma nazionale per la non auto-sufficienza”, quale insieme di misure coordinatee di azioni che Stato, Regioni,Autonomie loca-li si impegnavano ad erogare, in forma integrata,a favore delle persone non autosufficienti.In sintesi, il Programma prevedeva:�una ricognizione precisa delle risorse finanzia-rie complessive e disponibili, ripartite fra spesastatale, spesa regionale, spesa locale;

� la riforma dell’indennità di accompagnamento,trasferita alla competenza regionale ed articola-ta sulla base della gravità della persona, fatti sal-vi i diritti acquisiti;

� l’integrazione istituzionale ed organizzativa fraRegioni edAutonomie locali, fra Aziende sani-tarie e servizi sociali;

�modalità condivise ed omogenee sul territorionazionale per la valutazione della non autosuf-ficienza;

� la presa in carico individuale sociosanitaria, con-seguente alla valutazione multidimensionale;

� le prestazioni assicurate, da quelle domiciliari aquelle residenziali, con erogazione integrata del-le stesse.Obiettivi condivisibili e sensati, quanto le preoc-cupazioni che le Regioni hanno manifestato fi-no allo stralcio dell’articolo, rilevando il rischiodi accreditare nuovi diritti assistenziali, in presen-za di risorse che, anche se frammentate e spessomale organizzate, sono comunque universalmen-te riconosciute come inadeguate.Il Programma, infatti, si sarebbe dovuto svolgeredentro al rigoroso tetto delle risorse oggi dispo-nibili.

Sono del parere che quel percorso – fuori daitempi e dagli spazi ristretti di un decreto – vadaripreso, con l’obiettivo di giungere ad un accor-do generale Stato-Regioni-Autonomie locali, fi-nalizzato a dare comunque, pur nel rispetto del-le competenze organizzative di Regioni e Co-muni, certezza di diritti e risorse finanziarie ade-guate a quanto previsto dal Servizio sanitario na-zionale, pur nell’ambito di un processo graduale.In questo processo potrà offrire un valido con-tributo il lavoro di Agenas, che è da tempo im-pegnata su queste tematiche e collabora con ilMinistero della salute e le Regioni in diversi pro-getti di ricerca e attività al fine di sviluppare e spe-rimentare politiche a sostegno delle persone nonautosufficienti.L’obiettivo della ricerca Agenas, i cui risultati pre-sentiamo in questa pubblicazione, è coerente conlo scopo della Comparative Effectiveness Research,che è quello di migliorare l’efficacia e l’appro-priatezza delle prestazioni, delle procedure e deiservizi, sviluppando e disseminando informazio-ni “evidence-based” ai pazienti, ai clinici e agli altridecisori, così che si evidenzino gli interventi piùefficaci e più adatti ai singoli pazienti nelle spe-cifiche circostanze in cui si trovano.L’ambizione della ricerca, e il suo aspetto più in-novativo, ha riguardato la metodologia messa apunto, poiché utilizza in modo integrato, attra-verso procedure di record linkage, i dati ammini-strativi derivanti dai flussi informativi Nsis, siaquelli più tradizionali (flussi relativi alle Schededi Dimissione Ospedaliera e alle attività di Pron-to Soccorso) sia quelli di più recente attivazioneafferenti al territorio (flusso Siad sull’assistenzadomiciliare e flusso Far sull’assistenza residenzia-le e semiresidenziale).Un lavoro che mira a evidenziare i bisogni e lerichieste di una persona anziana che diventa nonautosufficiente, tenendo conto delle fasi essenzia-li del processo assistenziale (accesso, valutazionemultidimensionale e piano di assistenza indivi-duale, coordinamento operativo,monitoraggio erivalutazione).

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La ricerca effettuata ha consentito di evidenziarele grandi potenzialità conoscitive di un utilizzointegrato dei flussi informativi correnti e, quindi,già disponibili. La definizione e l’utilizzazione diprecisi indicatori può offrire ai programmatori ditutti i livelli informazioni utili per il governo deiservizi, consentendo di compiere scelte anche for-temente innovative, basate su evidenze.Questa pubblicazione di Agenas intende rappre-sentare un contributo ai decisori per affrontare iltema della presa in carico degli anziani non au-tosufficienti, in un momento in cui il Paese sta

attraversando una crisi economica e finanziariasenza precedenti, che si vuole comunque affron-tare nell’equilibrio dei bilanci pubblici,ma senzarinunciare alla salvaguardia di quello Stato socia-le che qualifica l’intera esperienza europea.Anche la non autosufficienza deve entrare nell’a-genda politica del Paese, se non vogliamo che unaconquista di civiltà come una più lunga aspetta-tiva di vita sia accompagnata da troppe situazio-ni di difficoltà, che le persone sono costrette adaffrontare nella solitudine di situazioni individualie famigliari di sofferenza.

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aumento dell’incidenza delle patologiecronico degenerative rende oggi sem-pre più necessaria l’individuazione dimodalità innovative di supporto assi-

stenziale, attraverso le quali rispondere in modoefficace ai bisogni di salute della popolazione per-seguendo, contestualmente, la sostenibilità del Ser-vizio sanitario nazionale (Ssn).All’interno del concetto di patologia cronica affe-riscono, in realtà, molteplici aspetti per i quali sirende necessaria una risposta complessiva ed inte-grata ai bisogni del paziente, che sono di natura sa-nitaria, socio-sanitaria ed assistenziale. In questosenso, il territorio diventa l’ambito elettivo di in-tervento per la gestione delle cronicità,nella misu-

ra in cui l’assistenza territoriale consente al pazien-te, da un lato,di ricevere l’assistenza di cui necessi-ta, rimanendo nel proprio ambiente e mantenen-do le proprie abitudini quotidiane,e,dall’altro,con-sente una riduzione del tasso di ospedalizzazione eun più appropriato impiego delle risorse del Ssn.Con la finalità di fornire una risposta completa aibisogni di salute e assistenza dei pazienti cronici,numerose Regioni stanno progressivamente im-plementando diversi modelli assistenziali innova-tivi che, con modalità differenti, mirano a gestirela presa in carico del paziente cronico con un ap-proccio trasversale alla cura. Fondamentale a talifini è il coinvolgimento di differenti professiona-lità e la definizione di percorsi assistenziali che

IL NSIS E LA GESTIONEDELLE INFORMAZIONI DI SALUTEPER I PAZIENTI CRONICI

di Rossana UgentiDirezione Generale del sistema informativo e statistico sanitario - Ministero della salute

FIGURA 1 - Interrelazione tra aspetti programmatici e gestionali resa possibile dalla disponibilità di contenuti informativirelativi alla presa in carico ed alla gestione del paziente cronico

PRESA IN CARICOE GESTIONE

DEL PAZIENTE CRONICO

Individuazionedei bisogni sanitari,socio- sanitarie assistenziali

Monitoraggiodell’adeguatezzadell’offerta rispettoai bisogni individuati

Individuazionee attivazione diforme innovative diassistenza territoriale

Valutazione dellaqualità, dell’efficaciae dell’efficienza deiservizi erogati

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pongono il cittadino al centro di un sistema assi-stenziale sul quale convergono le risposte multi-disciplinari degli operatori sanitari coinvolti.Nel contesto illustrato (fig.1), riveste particolare im-portanza l’ICT, dal momento che l’informatizza-zione dei processi clinico-assistenziali risulta fun-zionale a favorire un approccio integrato alla curadel paziente cronico.L’informatizzazione di tali pro-cessi consente la produzione e la condivisione del-le informazioni prodotte da parte dei singoli atto-ri coinvolti, e abilita la gestione integrata dei per-corsi diagnostico-terapeutici e assistenziali. I con-tenuti informativi prodotti grazie all’informatizza-zione dei processi clinico-assistenziali hanno ancheuna rilevanza gestionale, in quanto sono di supportoalla misurazione e alla valutazione della qualità,del-l’efficacia e dell’efficienza dell’assistenza prestata.La disponibilità dei contenuti informativi gene-rati dai singoli attori coinvolti nell’ambito dei per-corsi diagnostico-terapeutici e assistenziali, con-sente di supportare un approccio “deterministi-co” alla programmazione e alla definizione dellepolitiche sanitarie ai diversi livelli del Ssn. D’al-tro canto, la capacità di lettura e analisi dei feno-meni sanitari in chiave programmatica, resa pos-sibile dalla disponibilità di contenuti informativirelativi ai bisogni e all’assistenza erogata ai pazienticronici consente, da un lato, di supportare un’or-

ganizzazione dei servizi territoriali che sia con-cretamente in grado di rispondere ai bisogni ri-levati e, dall’altro, di rendere sistematici quei pro-cessi di presa in carico e di gestione del pazientecronico che sono in grado di massimizzare la qua-lità e l’efficacia dell’assistenza erogata.

I CONTENUTI INFORMATIVIA SUPPORTODELLA PROGRAMMAZIONE E MISURAZIONEDELLA CAPACITÀ DI RISPOSTAAI BISOGNIDEI PAZIENTI CRONICI: IL NUOVO SISTEMAINFORMATIVO SANITARIO (NSIS)La disponibilità e la capacità di lettura integratadi fonti informative qualitativamente affidabili,attraverso le quali poter ricostruire i processi dicura, di presa in carico e di gestione del pazientecronico, consentono di analizzare e valutare l’ef-ficacia dei modelli organizzativi territoriali, la qua-lità dell’assistenza erogata e, più in generale, la ca-pacità del servizio sanitario nel suo complesso dirispondere ai bisogni di natura sanitaria, socio-sa-nitaria e assistenziale dei pazienti cronici (fig. 2).A livello nazionale, il Nuovo sistema informati-vo sanitario costituisce lo strumento di riferi-mento per le misure di qualità, efficienza ed ap-propriatezza del Servizio sanitario nazionale. IlNsis trova il suo fondamento normativo nell’ar-ticolo 87 della legge 23 dicembre 2000, n. 388

Il NSIS e la gestione delle informazioni di salute per i pazienti cronici

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FIGURA 2 - Prospettive di lettura rese possibili dalla disponibilità e dall’integrazione di fonti informative relative aiprocessi di cura,presa in carico e gestione del paziente cronico

Prospettive di letturadelle fonti informative

BISOGNI DEI PAZIENTIConsente di individuare i bisogni sanitari, socio-sanitari e

assistenziali dei pazienti cronici

SERVIZI EROGATIAI PAZIENTIConsente di monitorare i processi di presa in carico edi gestione dei pazienti cronici e di valutare la qualità e

l’efficacia dei servizi erogati

OFFERTADI SERVIZIConsente di monitorare l’adeguatezza dell’offerta

rispetto ai bisogni individuati e di individuare e attivareforme innovative di assistenza territoriale

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(legge finanziaria 2001) ed è attuato attraversol’Accordo Quadro tra lo Stato, le Regioni e leProvince Autonome di Trento e di Bolzano del22 febbraio 2001. In base a tale Accordo, il Nsisha la finalità di consentire ad ogni livello orga-nizzativo del Ssn il conseguimento, tra gli altri,dei seguenti obiettivi di governo:�monitoraggio dello stato di salute della popola-zione;

�monitoraggio dell’efficacia ed efficienza del si-stema sanitario;

�monitoraggio dell’appropriatezza dell’erogazio-ne delle prestazioni in rapporto alla domandadella salute;

�monitoraggio della spesa sanitaria.Le funzioni di indirizzo, coordinamento e con-trollo per la realizzazione del Nsis sono state at-tribuite, dall’anzidetto Accordo, ad un organismoparitetico Stato-Regioni, denominato “Cabina diregia per la realizzazione del Nsis”.Il conferimento dei contenuti informativi al Nsisda parte delle Regioni avviene secondo modali-tà e tempistiche stabilite per ciascun flusso infor-mativo da appositi decreti del Ministro della sa-lute, adottati previa condivisione con le Regio-ni in sede di Cabina di Regia e in sede di Con-ferenza Stato-Regioni. Il conferimento dei con-tenuti informativi al Nsis, da parte di ciascuna Re-gione, è condizione abilitante per l’accesso al mag-gior finanziamento di cui all’Intesa Stato-Regio-ni del 23 marzo 2005.

I flussi informativi Nsis già disciplinati consen-tono di monitorare, una volta a regime, le pre-stazioni sanitarie a livello nazionale corrispon-denti a circa l’85% dei costi relativi all’assisten-za erogata (tab 1).I flussi informativi Nsis mettono a disposizioneinformazioni relative all’assistenza erogata al pa-ziente cronico nei diversi setting assistenziali, chespaziano dall’emergenza-urgenza e dal ricoveroospedaliero, alle prestazioni di specialistica ambu-latoriale e assistenza farmaceutica convenzionata,fino all’assistenza erogata presso le principali strut-ture dislocate sul territorio.Tra i flussi informati-vi sopra rappresentati sono di particolare rilievo,ai fini dell’analisi dei processi di presa in carico egestione dei pazienti cronici, i seguenti:�Sistema informativo per l’assistenza residenziale e se-miresidenziale (Far): è finalizzato al monitoraggiodelle prestazioni residenziali e semiresidenzialiper anziani o persone non autosufficienti in con-dizioni di cronicità e/o relativa stabilizzazionedelle condizioni cliniche, erogate in strutture ac-creditate nei confronti di cittadini residenti enon residenti in un determinato ambito terri-toriale;

�Sistema informativo dell’assistenza domiciliare (Siad):rileva gli interventi sanitari e socio-sanitari ero-gati in maniera programmata da parte di opera-tori sanitari nell’ambito dell’assistenza domici-liare a favore di cittadini residenti e non residentiin un determinato ambito territoriale.

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TABELLA 1 - Quadro di sintesi dei flussi informativi disponibili o di prossima attivazione nell’ambito del NSIS

Flusso Riferimenti normativi Periodo di rilevazione NoteSchede Dimissioni Ospedaliere (SDO) DM 26/07/93 e s.m.i Mensile A regimeAssistenza specialistica ambulatoriale Art. 50, legge n. 326 del 24/11/2003 e s.m.i. Mensile A regimeAssistenza farmaceutica convenzionata Art. 50, legge n. 326 del 24/11/2003 e s.m.i. Mensile A regimeDistribuzione Diretta e per conto DM 31/07/07 e s.m.i. Mensile A regimeAssistenza domiciliare (SIAD) DM 17/12/08 Mensile A regimeEmergenza Urgenza (EMUR) 118 e PS DM 17/12/08 Mensile A regimePrestazioni residenziali e semiresidenziali (FAR) DM 17/12/08 Trimestrale A regimeConsumo medicinali in ambito ospedaliero DM 04/02/09 Mensile A regimeConsumi dei dispositivi medici DM 11/06/10 Trimestrale In fase di messa a regimeDipendenze (SIND) DM 11/06/10 Annuale In fase di avvioSalute mentale (SISM) DM 15/10/10 Semestrale (attività)

Strutture e personale (annuale) In fase di avvioHospice DM 06/06/12 Trimestrale In fase di avvio

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I contenuti informativi dei summenzionati flussisono stati definiti nell’ambito del progetto “Mat-toni Ssn”.Tale progetto, approvato in Conferen-za Stato-Regioni nella seduta del 10 Dicembre2003, è stato avviato con l’obiettivo di definire ecreare un linguaggio comune a livello nazionaleper garantire la confrontabilità delle informazio-ni condivise nel Nsis, attraverso la definizione dimetodologie e l’utilizzo di classificazioni e codi-fiche condivise. Il progetto si è articolato in 15diverse linee progettuali, nell’ambito delle qualisono state elaborate metodiche con l'intento dirispondere alle esigenze informative del Nsis.Conriferimento all’assistenza territoriale, il ProgettoMattoni ha cercato di omogeneizzare i moltepli-ci sistemi di rilevazione, codifica delle prestazio-ni, valutazione e classificazione dello stato di sa-lute dei pazienti presenti sul territorio nazionale.In particolare, i Mattoni 12 “Assistenza residen-ziale e semiresidenziale” e 13 “Assistenza prima-ria e prestazioni domiciliari” sono stati finalizza-ti a definire una base informativa comune per ilmonitoraggio delle prestazioni erogate in regimedi assistenza residenziale, semiresidenziale, prima-ria e domiciliare. Le evidenze emerse dai risulta-ti prodotti nell’ambito dei due “Mattoni” hannocontribuito alla definizione dei flussi informativiFar e Siad, precedentemente descritti.Il percorso evolutivo del Nsis è volto all’attiva-zione di nuovi e ulteriori flussi informativi e al-l’utilizzo di metodologie sempre più avanzate dianalisi e comprensione dei fenomeni sanitari aifini del governo del Ssn, del monitoraggio dei Leae della valutazione della capacità del servizio sa-nitario di rispondere, in modo economicamentesostenibile, ai bisogni di salute espressi dalla po-polazione. Il progressivo arricchimento del pa-trimonio informativo Nsis consente una misura-zione sempre più completa delle prestazioni re-lative ai Lea erogati e, parallelamente, consente dirafforzare la capacità di leggere longitudinalmen-te tali informazioni, aspetto fondamentale per po-ter sviluppare analisi integrate dei diversi livelli diassistenza.Queste analisi consentono di effettua-

re la verifica del corretto bilanciamento delle pre-stazioni erogate tra ospedale e territorio.Questotipo di verifica risulta particolarmente rilevanteper quanto attiene la gestione del paziente croni-co, per il quale frequentemente si riscontra unnon sempre appropriato ricorso all’assistenza ospe-daliera.Al fine di supportare la continuità assistenziale,soprattutto con riferimento ai cronici, e svilup-pare un’offerta di servizi sempre più vicina alleesigenze dei cittadini, appare fondamentale inte-grare il patrimonio informativo Nsis con dati ri-guardanti gli eventi socio-sanitari.A questo proposito, il decreto legge 9 febbraio2012, n.5, recante “Disposizioni urgenti in mate-ria di semplificazione e di sviluppo” prevede, al-l’articolo 16, comma 3, che, con modalità attua-tive che saranno opportunamente disciplinate, leinformazioni trasmesse all’Inps dagli enti pubbli-ci responsabili dell'erogazione e della program-mazione di prestazioni e di servizi sociali e socio-sanitari attivati a favore delle persone non auto-sufficienti, sono trasmesse dallo stesso Inps in for-ma individuale, ma anonima, tra gli altri, al Mi-nistero della salute, al fine di rendere più efficienteed efficace la presa in carico, e la relativa spesa,della persona non autosufficiente.La disponibilità, nell’ambito del Nsis, di un pa-trimonio informativo sempre più completo con-sentirà di rendere utilizzabili, nell’ambito dellostesso, strumenti di fruizione dei dati raccolti sem-pre più avanzati, sviluppati per garantire la possi-bilità di effettuare analisi comparative tra le real-tà regionali e confronti sistematici con i dati eco-nomico-finanziari, al fine di supportare il moni-toraggio del bilanciamento Lea – Costi.

I SISTEMI DI SUPPORTO DELLA PRESA INCARICO DEL PAZIENTE CRONICO: ILFASCICOLO SANITARIO ELETTRONICOIl Nuovo sistema informativo sanitario ed il Fa-scicolo sanitario elettronico rappresentano duefacce della stessa medaglia. Entrambi i sistemi so-no infatti interessati a una lettura integrata del-

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l’assistenza erogata ai pazienti nel loro passaggioattraverso i diversi setting assistenziali, il primocon la finalità di monitorare i Lea erogati e veri-ficare la coerenza tra le prestazioni erogate e i re-lativi costi, il secondo con l’obiettivo di suppor-tare la cura del paziente.Il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) è finaliz-zato a fornire ai medici, e più in generale ai cli-nici e agli operatori del territorio, una visioneglobale e unificata dello stato di salute dei sin-goli cittadini; rappresenta il punto di aggrega-zione e di condivisione delle informazioni e deidocumenti clinici afferenti al cittadino, generatidai vari attori del sistema sanitario. Esso contie-ne eventi sanitari e documenti di sintesi, orga-nizzati secondo una struttura gerarchica pazien-te-centrica, che permette la navigazione fra i do-cumenti clinici in modalità differenti a secondadel tipo di indagine.Nell’ambito della sanità in rete, la realizzazionedel Fse rappresenta un salto culturale di notevo-le importanza, il cui elemento chiave risiede nelconsiderarlo non solo uno strumento necessarioa gestire e supportare i processi operativi,ma an-che un fattore abilitante al miglioramento dellaqualità dei servizi e al contenimento significati-vo dei costi.Il soggetto cui il Fse si riferisce è sempre il singo-

lo cittadino mentre l’orizzonte temporale di rife-rimento è l’intera vita di un cittadino.All’internodel Fse, inoltre, è fondamentale che sia contenutauna sintesi della storia clinica del paziente, il pa-tient summary, in modo da rendere fruibili in ma-niera ottimale le informazioni necessarie.La gestione dei processi di presa in carico e ge-stione del paziente cronico attraverso l’utilizzo delFse consente di incidere in maniera significativasull’efficacia dell’assistenza in termini di appro-priatezza clinica e organizzativa, oltre che sull’ef-ficienza dei processi sanitari, socio-sanitari ed as-sistenziali. Tale strumento fornisce un rilevantesupporto per la realizzazione, in termini clinici ge-stionali e organizzativi, di modelli assistenziali in-novativi finalizzati a favorire forme di integrazio-ne tra ospedale e territorio che risultano indi-spensabili per la gestione delle patologie croniche.Il Fse favorisce infatti la realizzazione di modelliassistenziali basati sulla cooperazione tra gli attoricoinvolti e sulla gestione integrata dei percorsi dicura e assistenza del paziente cronico (fig. 3).Poiché i dati contenuti nel Fse sono dati perso-nali del cittadino, è necessario che all’interno delFse siano previsti strumenti che consentano al cit-tadino di consultare, integrare ed eventualmenteoscurare parti di essi. La realizzazione di un’in-frastruttura di rete rappresenta un prerequisito al-

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FIGURA 3 - La gestione integrata del percorso di cura ed assistenza del paziente cronico

RICOVERO AMBULATORIO

PERCORSOASSISTENZIALE

FARMACI VACCINI RSA

ASSISTENZADOMICILIARE ...

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la realizzazione del Fse che, contenendo o refe-renziando informazioni sanitarie personali e per-ciò sensibili, pone al contempo problemi di sicu-rezza dell’informazione e necessità di tutela deidati. Nel nostro Paese, il Fascicolo sanitario elet-tronico non risulta essere disciplinato da normeaventi carattere unitario, sebbene ad oggi sianochiaramente definiti presupposti normativi di ca-rattere generale e diverse Regioni si siano attiva-te per istituire sistemi di Fse.Il Ministero della salute ha intrapreso moltepliciiniziative il cui denominatore comune è suppor-tare uno sviluppo armonico e coerente a livellonazionale di Sistemi di Fse che siano in grado diassicurare adeguati livelli di sicurezza nonché ilrispetto della normativa vigente in materia di pri-vacy. Rientrano in questo ambito le Linee guidanazionali per la realizzazione del Fascicolo Sani-tario Elettronico, sulle quali la Conferenza Stato-Regioni ha sancito Intesa in data 10 febbraio 2011e il cui recepimento sarà valutato in sede di adem-pimenti Lea.

CONCLUSIONIAl fine di disporre di una capacità di lettura ana-litica dei processi di cura, presa in carico e ge-stione del paziente cronico e al contempo deglistrumenti necessari alla messa in atto di modelliassistenziali basati sulla cooperazione tra gli atto-ri coinvolti e sulla gestione integrata dei percor-si di cura ed assistenza, è necessario indirizzarecorrettamente gli sforzi progettuali ai diversi li-velli del Servizio sanitario nazionale. Per quantoattiene la realizzazione dei sistemi informativi, èfondamentale che tali sforzi progettuali sianocoerenti con un insieme di priorità ben delinea-to tra cui, in primis, le seguenti:� realizzazione di sistemi a supporto del governo delSsn: è fondamentale aumentare la capacità, ai di-versi livelli del Ssn, di bilanciare il fabbisogno diassistenza con quello economico/finanziario;

� realizzazione di sistemi a supporto della cura del pa-

ziente: è necessario abilitare nuove modalità diinterazione sia tra il cittadino ed il Ssn, sia tra idiversi nodi/attori della rete del Ssn. Ciò affin-ché possano essere attuati modelli innovativi dierogazione delle cure ai cittadini, volti a conse-guire obiettivi di efficienza, efficacia, qualità edappropriatezza delle stesse;

� realizzazione di sistemi per le strutture sanitarie e so-cio-sanitarie situate sul territorio: trasversale alle duedirettrici precedenti è la diffusione sul territoriodi sistemi in grado di generare, secondo linguaggicomuni e livelli di interoperabilità crescente, idati “elementari” necessari alla cura del pazien-te e al governo del Ssn.Dalle considerazioni espo-ste emerge che il territorio rappresenta l’areamaggiormente strategica dell’assistenza sanitariadel futuro. Per tale ragione è necessario dispor-re di dati relativi alle prestazioni erogate a que-sto livello assistenziale.Attualmente si rileva, so-prattutto con riferimento alla gestione dei pa-zienti cronici, che l’offerta di soluzioni gestiona-li risulta ancora poco sviluppata.Questo insieme di priorità ha, quale cornice stra-tegica di riferimento a livello nazionale, il Nuo-vo sistema informativo sanitario. Il Nsis in parti-colare, attraverso la realizzazione del Sistema diintegrazione delle informazioni sanitarie indivi-duali, si trova in una fase di transizione nella qua-le, a partire dalla massimizzazione del dato ag-gregato, sta procedendo alla progressiva raccolta,su base nazionale, di una pluralità di informazio-ni correlate agli eventi che caratterizzano i con-tatti del singolo individuo con i diversi nodi del-la rete di offerta del Ssn.Tutto ciò con l’obietti-vo di mettere a disposizione, nel pieno rispettodella normativa vigente in materia di privacy, stru-menti di lettura dei contenuti informativi atti asupportare, da un lato, una capacità di risposta ef-ficace ai bisogni sanitari, socio-sanitari ed assi-stenziali della popolazione e, dall’altro, di incide-re sui fattori di spesa, con l’obiettivo di persegui-re la sostenibilità del Ssn.

Il NSIS e la gestione delle informazioni di salute per i pazienti cronici

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no dei temi di maggiore rilevanza so-ciale, legato al progressivo invec-chiamento della popolazione e alcambiamento nella struttura per età

della popolazione, è il rischio di non autosuffi-cienza e l’assistenza a lungo termine delle perso-ne non autosufficienti. Generalmente, si defini-scono non autosufficienti i soggetti non in gradodi compiere con continuità gli atti quotidiani del-la vita senza un aiuto esterno. L’assistenza a lun-go termine delle persone non autosufficienti olong term care (LTC) è definita dall’Ocse come“ogni forma di cura fornita, a persone non autosuffi-cienti, lungo un periodo di tempo esteso, senza data ditermine predefinita”1.La domanda di prestazioni per LTC è strettamentecorrelata al livello di disabilità, il quale, a sua vol-ta, risulta fortemente correlato con l’età. Secon-do i dati Istat dell’indagine multiscopo del 2007sulle “Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorsoai servizi sanitari”2, la quota di persone condisabilità è pari al 4,8% della popolazione italia-na di 6 e più anni, nel 2005. Con l’avanzare del-l’età aumenta la quota di persone con disabilità,che passa dal 9,7% nella fascia di età 70-74 annial 44,5% tra le persone di 80 anni e più. Le dif-

ferenze di genere evidenziano una percentuale didisabili pari al 6,1% delle donne contro un 3,3%per gli uomini.Dati più recenti, sempre di fonte Istat, desunti dal-l’indagine EU-SILC (European Statistics on Inco-me and Living Conditions)3 confermano la fortecorrelazione fra l’età e l’incidenza della disabili-tà. Sulla base dei risultati di tale indagine relativial 2009, i tassi di disabilità aumentano, per gli uo-mini, dall’1,5% della fascia di età 15-19 al 34%della fascia di età 85 ed oltre; per le donne i cor-rispondenti valori vanno dallo 0,3% al 40% (fi-gura 1).Analoghe indicazioni emergono dai dati Inps re-lativi alle indennità di accompagnamento, eroga-te a favore di soggetti affetti da severe limitazio-ni psicofisiche, che ne compromettono la condi-zione di autosufficienza.Anche in questo caso, ipercettori di indennità al 1° gennaio 2011 passa-no, in termini di popolazione residente, dall’1%nella fascia di età fino a 65 anni, al 5% nella fascia66-80 e al 29% nella fascia degli ultraottantenni.Nella distinzione per genere, le corrispondentipercentuali risultano essere: 1%, 5% e 22% per imaschi, e 1%, 6% e 33% per le femmine.Essendo l’incidenza della disabilità fortemente

LA SPESA PER LONG TERM CARE

di Francesco MassicciIspettorato generale per la spesa sociale - Ministero dell’economia e delle finanze

1 In particolare,“The term ‘long-term care services’ encompasses the organisation and delivery of a broad range of services and assistance to people who are limited in theirability to function independently on a daily basis for an extended period of time” (www.oecd.org/dataoecd/1/23/37808391.pdf).

2 L’indagine non include le persone istituzionalizzate e i minori di 6 anni.3 Nell’ambito del progetto EU-SILC, l’Istat dal 2004 effettua una rilevazione campionaria su “ Reddito e condizioni di vita” delle famiglie i cui risultati confluiscono nei rapporti

periodici dell’Unione Europea sulla situazione sociale e sulla diffusione della povertà nei Paesi dell’Unione (www.istat.it/it/archivio/4152).

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correlata all’età, ne consegue che il processo diinvecchiamento demografico atteso nei prossimidecenni determinerà una marcata espansione del-la domanda di servizi socio-assistenziali. Infatti,aumenterà il peso della popolazione anziana, ca-ratterizzata da un’elevata incidenza della disabili-tà e, conseguentemente, aumenterà il volume deibisogni assistenziali da soddisfare. Come è noto,l’aumento della popolazione anziana in Italia, co-sì come negli altri Paesi ad economia avanzata,dipende sostanzialmente da due fattori: 1) il con-tinuo incremento della speranza di vita, che si tra-duce in un allungamento del periodo medio percui si richiede assistenza e 2) la transizione de-mografica, cioè il processo di invecchiamento del-le generazioni del baby boom che progressiva-mente varcheranno la soglia dei 65, collocandosinelle fasce di età caratterizzate da elevati bisognisocio-assistenziali.Occorre, tuttavia, precisare che gli effetti sui co-sti del sistema socio-assistenziale dipendenti dal-le suddette trasformazioni demografiche assumo-no una rilevanza qualitativamente diversa rispet-to a quelli prodotti dai fattori non demografici,quali ad esempio, il miglioramento qua-li/quantitativo del servizio offerto.Tale diversitàrileva sotto un duplice profilo: la sistematicità del-l’azione esercitata dal quadro demografico sulla

domanda per prestazioni assistenziali e le impli-cazioni di policy.Riguardo al primo aspetto, occorre segnalare chel’evoluzione della struttura demografica e, in par-ticolare, la dimensione della popolazione anzia-na, è caratterizzata da una forte componente iner-ziale in quanto dipende in misura rilevante dallastruttura iniziale della popolazione. Pertanto, glieffetti finanziari dell’invecchiamento demografi-co sul sistema socio-assistenziale sono destinati aprodursi in maniera sistematica e relativamentecerta nei prossimi decenni, a differenza degli ef-fetti indotti dai fattori esplicativi non demogra-fici.In secondo luogo, l’espansione della spesa socio-assistenziale dovuta all’invecchiamento demogra-fico non si accompagna ad alcun miglioramentonel livello di assistenza accordato al singolo indi-viduo, come potrebbe essere, ad esempio, nel ca-so di maggiori costi indotti dal progresso tecno-logico, ma misura solamente l’aumento dei con-sumi imputabile alla ricomposizione della popo-lazione nelle fasce di età caratterizzate da più ele-vati tassi di disabilità e, quindi, maggiori bisogniassistenziali. Pertanto, eventuali politiche di con-tenimento potranno operare solo tramite una ri-duzione delle risorse mediamente destinate al sod-disfacimento dei bisogni socio-assistenziali dei

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FIGURA 1 -Tassi di disabilità per sesso e classe di età -Anno 2009

Fonte: Istat (2011) – Dati EU-SILC

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singoli individui, con implicazioni politiche e so-ciali ben diverse rispetto ad interventi volti a con-trastare gli effetti indotti dai fattori di crescita nondemografici, caratterizzati da un’espansione qua-li-quantitativa dell’offerta.

L’AGGREGATO DI SPESA PER LTC IN ITALIANel nostro Paese, il sistema degli interventi assi-stenziali si incardina su più livelli di governo, af-fida l’erogazione delle prestazioni ad una molte-plicità di soggetti pubblici e privati, prevede unapluralità di fonti di finanziamento, impone ilcoordinamento degli interventi assistenziali conle politiche sanitarie e le altre politiche di setto-re.Tutti questi aspetti necessitano, ovviamente, diun quadro unitario che garantisca la coerenza in-terna delle attività di progettazione ed attuazio-ne delle politiche sociali poste in essere dai di-versi soggetti istituzionali coinvolti. La legge qua-dro per il sistema integrato di interventi e servi-zi sociali (L. 328/2000) affida tale compito uni-ficante alla programmazione, o più precisamente,ai diversi livelli di programmazione previsti a li-vello nazionale, regionale e locale fra loro coor-dinati secondo un rapporto di inclusione.La definizione di spesa pubblica per LTC,coerentecon i criteri concordati in ambito Ocse e adot-tata a livello europeo per l’analisi della sostenibi-lità delle finanze pubbliche, include componentidi spesa accomunate solo sotto il profilo della fi-nalità perseguita.Tale aggregato comprende es-senzialmente tre macrovoci di spesa che corri-spondono a prestazioni di natura generalmentediversa e riconducibili ad altrettanti livelli di go-verno e ambiti di competenza: la componente sa-nitaria della spesa per LTC, le indennità di ac-compagnamento e i servizi socio-assistenziali ero-gati a livello locale dai Comuni singoli o associa-ti (altre prestazioni per LTC).La componente sanitaria per LTC include l’in-sieme delle prestazioni sanitarie erogate a perso-

ne non autosufficienti che necessitano di assistenzacontinuata. Si tratta, in particolare, di assistenzaterritoriale (residenziale, semi-residenziale, do-miciliare e ambulatoriale) agli anziani e ai disabi-li, assistenza psichiatrica, assistenza rivolta ad al-colisti e tossicodipendenti e assistenza ospedalie-ra in regime di lungodegenza.Le indennità di accompagnamento e di comuni-cazione sono prestazioni monetarie assistenzialierogate a favore di invalidi civili, ciechi civili esordomuti. Il riconoscimento di queste presta-zioni è dovuto al solo titolo della minorazionepsicofisica ed è indipendente dal reddito. L’ero-gazione è subordinata esclusivamente all’accerta-mento delle condizioni psicofisiche richieste peril riconoscimento del diritto e possono benefi-ciarne i cittadini italiani, i cittadini dell’UE resi-denti in Italia ed i cittadini extracomunitari inpossesso di permesso di soggiorno CE.È incom-patibile con il ricovero presso un istituto con pa-gamento della retta a carico dello Stato o di En-te pubblico.Vale la pena, tuttavia, sottolineare la differenza trale indennità di accompagnamento e le pensionidi invalidità che generalmente vengono accomu-nate, impropriamente, in un insieme di presta-zioni omogenee. In realtà, le due tipologie di pre-stazioni assolvono a funzioni profondamente di-verse: le indennità di accompagnamento, comesopra ricordato, sono prestazioni assistenziali a fa-vore di anziani non autosufficienti; le pensioni diinvalidità, invece, sono prestazioni di sostegno alreddito di soggetti che presentano una riduzionedella capacità lavorativa4.L’aggregato Altre prestazioni LTC, raccoglie un in-sieme di prestazioni eterogenee, prevalentementein natura, erogate a livello locale per finalità socio-assistenziali rivolte ai disabili e agli anziani non au-tosufficienti. Tali prestazioni sono erogate in viaprincipale, se non esclusiva, dai Comuni singoli oassociati e sono rivolte agli anziani non autosuffi-

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4 In caso di invalidità totale viene corrisposta la pensione di inabilità, in caso di invalidità parziale, con una percentuale compresa tra il 74% ed il 99%, viene corrisposto l’assegnomensile di inabilità.

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cienti, ai disabili, ai malati psichici e alle personedipendenti da alcool e droghe. Le prestazioni innatura possono essere di tipo residenziale o semiresidenziale. Le prime vengono erogate in istituticome, ad esempio, le residenze socio sanitarie peranziani o le comunità socio riabilitative, le secon-de si riferiscono alle prestazioni erogate in strut-ture semi residenziali come i centri diurni e i cen-tri di aggregazione o direttamente presso l’abita-zione dell’assistito (assistenza domiciliare).Come si può vedere dalla tabella 1, la spesa pub-blica complessiva per LTC ammonta in Italiaall’1,86% del Pil nell’anno 2010, di cui oltre i 2/3è erogata a soggetti con più di 65 anni.La componente sanitaria è pari allo 0,86% del Pil(circa il 12% della spesa sanitaria complessiva) edè suddivisa tra l’assistenza sanitaria agli anziani(0,55%), l’assistenza a tossicodipendenti, alcolistie malati psichiatrici (0,25%) e l’ assistenza ospe-daliera per lungo degenza (0,06%).La spesa per indennità di accompagnamento è pa-ri allo 0,81% del Pil. Essa è fortemente correlatacon l’età: per oltre i 3/4 è erogata a favore di sog-getti con età superiore ai 65 anni.La spesa per l’insieme delle prestazioni LTC dinatura non sanitaria e non riconducibili alle in-dennità di accompagnamento è stimata pari allo0,19% del Pil, di cui il 61% riferibile a prestazio-ni di natura non residenziale, il 23% a prestazio-ni di natura residenziale ed il rimanente 16% atrasferimenti in denaro.In termini relativi, la componente sanitaria rap-presenta circa il 46% della spesa totale per LTCcontro il 44% circa della spesa per indennità di ac-compagnamento. Le altre prestazioni assistenzialicoprono, invece, più o meno il 10%.Tale distribu-

zione mette in evidenza alcuni aspetti peculiari delnostro sistema di interventi socio-assistenziali a fa-vore dei soggetti disabili non autosufficienti:� in primo luogo,mostra la forte incidenza degli in-terventi monetari,definiti a livello centrale,che co-prono oltre i 2/5 della spesa complessiva per LTC;

� inoltre, evidenzia che gran parte degli interven-ti in natura, erogati sottoforma di servizi (assi-stenza domiciliare, residenziale, semi-residenzia-le) rientrano nella spesa sanitaria e sono gestitidal Servizio sanitario nazionale;

� in ultimo, conferma che gli interventi e servizisocio-assistenziali erogati a livello locale dai Co-muni a favore dei soggetti non autosufficientirappresentano una quota minoritaria della spe-sa complessiva per LTC.Se si analizzano i dati relativi al confronto con iPaesi europei (figura 2), emerge che la spesa perLTC in Italia, inclusiva dell’indennità di accompa-gnamento, si attesta in termini di Pil su valori ab-bastanza simili a quelli di Belgio e Francia,ma no-tevolmente inferiore rispetto a quelli dei Paesi delNord Europa (Svezia,Olanda), che rappresentanoi modelli più avanzati in materia di tutela dei sog-getti non-autosufficienti (oltre il 3% del Pil). InGermania, il valore della spesa per LTC si attestasu un livello piuttosto contenuto (0,9% del Pil),evidenziando probabilmente l’assenza di alcunecomponenti di spesa non incluse nell’aggregato.Nel raffronto europeo va, però, tenuta presente ladiversità dei modelli organizzativi nella program-mazione e gestione degli interventi di assistenzaagli anziani e disabili non autosufficienti: quelli deiPaesi del Nord Europa, ad esempio,presentano unaspesa elevata e costituita prevalentemente di servi-zi (prestazioni in natura); quelli dell’Europa conti-

TABELLA 1 - Spesa per LTC in rapporto al PIL per componente - Stima anno 2010

+65 TotaleIndennità di accompagnamento 0,62% 0,81%Componente sanitaria 0,51% 0,86%Altre prestazioni LTC 0,15% 0,19%Totale 1,28% 1,86%

Fonte: Mef- RGS (2011), Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario – Rapporto n. 12

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nentale presentano, invece, una spesa meno signi-ficativa con una componente monetaria (cash be-nefit) più consistente. La minore spesa formale èlegata essenzialmente alla presenza di assistenza in-formale, essenzialmente ad opera delle famiglie,ol-tre al fatto che alcune spese per LTC possono ri-sultare incluse in aggregati di spesa diversi.

LA SOSTENIBILITÀ DELLA SPESA PER LTCNEL MEDIO-LUNGO PERIODOCome ricordato in precedenza, i tassi di disabilità, equindi la domanda per prestazioni di LTC,sono for-temente correlati con l’età. Pertanto, il forte pro-cesso di invecchiamento della popolazione attesoper i prossimi decenni, determinerà un’espansionedella domanda di assistenza dei soggetti non auto-sufficienti, con una corrispondente pressione sui co-sti del sistema.Al fine di valutare l’effetto potenzia-le di crescita di tali costi derivante dalle trasforma-zioni demografiche, da diversi anni, sia in ambitonazionale che europeo,vengono elaborate previsio-ni di medio-lungo periodo delle componenti di spe-sa pubblica age-related sul Pil.Fra queste, la spesa perLTC assume un ruolo rilevante. Infatti, nonostantel’entità di risorse coinvolte sia nettamente inferiorerispetto a quella delle altre componenti di spesa (ri-

manente parte della spesa sanitaria,pensioni), la spe-sa per LTC presenta una dinamica di crescita assaipiù marcata, in tutti i Paesi europei, in relazione al-l’invecchiamento demografico.La tabella 2 mostra la previsione della spesa pub-blica per LTC in rapporto al Pil ottenuta con loscenario nazionale base5. Il rapporto passa dall’1,9%del 2010 al 3,2% del 2060, con un aumento pres-soché uniforme nel periodo considerato.Nel 2060l’incremento risulta pari a circa il 70% del livelloiniziale.L’evoluzione della spesa presenta lievi effetti redi-stributivi a livello di componente e più marcati perfascia di età. Infatti, in relazione alla struttura peretà si registra un aumento della spesa destinata agliultraottantenni dal 45% del 2010 a quasi il 70%del 2060 a discapito della spesa relativa alla fasciadi età 0-64 anni.Allo stesso tempo, aumenta il pe-so delle indennità di accompagnamento e quellodelle altre prestazioni a discapito della componentesanitaria per LTC che mostra un aumento più con-tenuto dovuto alla presenza di prestazioni che nonsono strettamente legate all’invecchiamento (ma-lati psichici e dipendenti da alcol e droghe).Con riferimento alle singole componenti di spesa inrapporto al Pil, la componente sanitaria per LTC pas-

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FIGURA 2 - Spesa LTC nei Paesi UE –Valori sul PIL –Anno 2007

Fonte: Commission services, EPC

5 L’ipotesi del pure ageing scenario assume che la struttura dei consumi sanitari specifici per età, sesso e tipologia di prestazione resti costante per l’intero periodo di previsione,mentre ilconsumo pro-capite standardizzato (il valore del consumo unitario) evolva in linea con il Pil pro-capite.Tale ipotesi implica che il rapporto spesa sanitaria per LTC/Pil vari esclusivamente infunzione della struttura della popolazione. Le ipotesi demografiche per il periodo 2010-2050 sono quelle dello scenario centrale Istat con base 2007 e assumono una crescita del tasso difecondità da 1,37 a 1,58, una speranza di vita che aumenta fino a 84,5 anni per gli uomini e 89,5 anni per le donne e un flusso netto di immigrati di poco inferiore a 200mila unità annue.

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sa dallo 0,9% del 2010 all’1,3% del 2060,con un in-cremento di 0,5 punti percentuali.L’indennità di ac-compagnamento mostra una crescita costante in rap-porto al Pil fino a raggiungere circa l’1,5% nel 2060rispetto ad un livello iniziale di 0,8%. Infine, l’inci-denza della spesa perAltre prestazioni LTC sul Pil rad-doppia all’incirca nell’intero periodo di previsioneattestandosi poco al di sotto dello 0,4% nel 2060.

PRESTAZIONI SOCIO-ASSISTENZIALI PERLTC EROGATE A LIVELLO LOCALECome ricordato in precedenza, in Italia, il sistemadegli interventi assistenziali si incardina su più li-velli di governo. In tale contesto i Comuni sonotitolari delle funzioni amministrative concernentigli interventi sociali a livello locale.A essi spetta laprogrammazione di dettaglio orientata agli assettiorganizzativi degli interventi e l’erogazione dei ser-vizi sociali nell’area territoriale di competenza.Dunque,appare interessante analizzare gli interven-ti di natura socio-assistenziale erogati a livello loca-le in relazione a condizioni di disabilità cronica e,quindi, in ultima istanza riconducibili al concetto diLTC.Tale ricognizione risulta adesso possibile gra-zie ai risultati dell’indagine censuaria degli interventie servizi sociali erogati sul territorio dai Comunisingoli e associati che, dal 2003, la RGS (Ragione-ria Generale dello Stato) conduce in collaborazio-ne con l’Istat e altri soggetti istituzionali (Ministerodel lavoro e delle politiche sociali,CISIS,Centro In-terregionale per i Sistemi Informatici Geografici eStatistici,organo tecnico della Conferenza delle Re-gioni e delle ProvinceAutonome).Tale indagine na-

sce, appunto, con lo scopo di sopperire alla carenzadi informazioni nel settore degli interventi e servi-zi socio-assistenziali erogati a livello locale e, in talmodo,concorrere alla costruzione di una base di da-ti funzionale alla definizione ed al monitoraggio deiLiveas come previsto dalla L.328/2000.L’indagine rileva aspetti qualitativi (tipologie diservizi erogati) e quantitativi (dati finanziari e sta-tistici) delle attività socio-assistenziali dei Comu-ni adottando una nomenclatura e criteri di clas-sificazione condivisi a livello nazionale. I quesitisono strutturati per funzione (anziani, disabili,mi-nori e famiglie, dipendenze, immigrati, disagioadulti e multiutenza) e tipologia di prestazioneraggruppate in tre macro-aree: interventi e servi-zi, trasferimenti monetari, strutture. Per ciascunadelle combinazioni fra prestazione e funzione,viene rilevato il dato di spesa a cui è generalmenteassociato, se significativo, un indicatore della do-manda (numero di utenti, di interventi, ecc.).Con riferimento ai risultati dell’indagine, indica-zioni quantitative più analitiche circa gli interventierogati a livello locale per LTC possono essere de-sunte dai valori relativi alle funzioni “disabili”,“di-pendenze” e “anziani”, che approssimano gli in-terventi di spesa riconducibili alle finalità di assi-stenza a soggetti disabili non autosufficienti.Talidati sono illustrati in forma grafica nella figura 3.Essi mostrano, innanzitutto, una tendenza alla cre-scita della spesa pro capite per i suddetti interventinel triennio 2006-2008; nell’ultimo anno di osser-vazione, il valore pro capite si attesta poco al di sot-

TABELLA 3 - Spesa per LTC in % del PIL per fascia d’età - Pure ageing scenario

Spesa LTC/PIL 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 2055 2060Indennità di accompagnamento 0,8 0,8 0,9 0,9 1,0 1,1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5Componente sanitaria 0,9 0,9 0,9 1,0 1,0 1,0 1,1 1,2 1,2 1,3 1,3Altre prestazioni LTC 0,2 0,2 0,2 0,2 0,3 0,3 0,3 0,3 0,3 0,4 0,4Totale 1,9 1,9 2,0 2,1 2,2 2,4 2,5 2,7 2,9 3,1 3,2Distribuzione per età0-64 31,1 29,2 27,3 25,6 23,4 21,2 18,9 17,1 15,7 14,9 14,665-79 23,9 22,5 21,4 21,8 21,8 22,7 23,2 21,9 19,5 17,1 15,780 e più 45 48,3 51,3 52,5 54,8 56,2 57,9 61 64,8 68 69,8Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: RGS – Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario – Rapporto 2011

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FIGURA 3 - Spesa pro capite per interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati per le funzioni“Disabili”,“Dipendenze” e“Anziani” –Anni 2006,2007,2008

Fonte: Istat - Indagine sugli interventi e servizi sociali dei Comuni.

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to dei 50 euro annui. Si evidenzia anche una fortedifferenziazione territoriale, dove le Regioni delCentro-Nord presentano mediamente valori signi-ficativamente superiori alla media, mentre le Re-gioni del Sud si collocano generalmente al di sotto.Si nota, inoltre, che la spesa procapite risulta note-volmente più elevata nelle Regioni a statuto specia-le (Valle d’Aosta, FriuliVenezia Giulia, Sardegna) enelle ProvincieAutonome diTrento e Bolzano,do-ve si attesta su un livello pari a circa 3 volte il datomedio nazionale.Fra le Regioni con i valori più bas-si si collocano il Molise e la Calabria, con una spesapro capite pari a circa un quarto di quello medio.Sarebbe, tuttavia, non corretto ritenere che i dif-ferenziali nella spesa sanitaria pro capite a livelloregionale riflettano esclusivamente il diverso livel-lo di risorse destinate ai sevizi socio-assistenzialioppure al grado di efficienza nella produzione ederogazione degli stessi.È indubbio, infatti, che unaparte di tali differenze sono dovute al diverso sta-to di avanzamento del processo di invecchiamen-to nelle diverse realtà territoriali, che si traduce inlivelli di fabbisogno pro capite differenziati.Infatti, la forte correlazione fra età e incidenza del-la disabilità non rileva solo in un’ottica tempora-le, come evidenziato dalle previsioni di medio-lun-go periodo della spesa per LTC in termini di Pil.Essa rileva anche in un’ottica spaziale in quanto lamedesima offerta di prestazioni socio-assistenziali,a parità di classe di bisogno, si traduce automatica-mente in differenti livelli di spesa pro capite se ca-lata in realtà territoriali caratterizzate da un diver-so stadio del processo di invecchiamento.

CONCLUSIONILa componente di spesa per LTC presenta unaforte correlazione con l’invecchiamento della po-polazione. Le previsioni ufficiali sia in ambito na-zionale che in ambito europeo indicano per i pros-simi 50 anni un incremento pari ad oltre 2/3 del

livello iniziale, dovuto esclusivamente alla modi-ficazione della struttura della popolazione. L’in-cremento della domanda di prestazioni socio-as-sistenziali per LTC indotte dal processo di invec-chiamento della popolazione e la diversificazio-ne territoriale delle strutture demografiche po-tranno creare una pressione sia in relazione al vin-colo delle risorse compatibili con gli obiettivi difinanza pubblica sia con riferimento ai criteri chesottendono all’assetto distributivo.L’effetto dell’invecchiamento demografico sulladomanda di prestazioni socio-assistenziali è am-piamente superiore a quella riscontrabile per larestante parte della spesa sanitaria, dove la pre-senza di interventi acuti non necessariamente cor-relati a condizioni di disabilità permanente e, so-prattutto, la concentrazione dei costi nell’ultimoanno di vita (death related costs) limitano significa-tivamente l’impatto sulla domanda derivante dal-l’allungamento della vita media.La struttura per età e per sesso della popolazione,nonché il processo di invecchiamento, assumonocaratteristiche differenziate anche a livello terri-toriale. Ciò condiziona, a parità di ogni altro fat-tore, i livelli di spesa pro capite per area geogra-fica. Una regione ‘più vecchia’ dovrà soddisfareuna domanda di servizi ed interventi sociali me-diamente più ampia di una regione ‘più giovane’,in ragione della concentrazione dei soggetti nel-le fasce di età più elevate.Inoltre, le esigenze di assistenza collegate alla nonautosufficienza potrebbero crescere in futuro nonsoltanto a causa dell’impatto diretto dei fattori de-mografici sulla domanda di prestazioni (invecchia-mento della popolazione),ma anche in ragione del-la modifica della struttura delle famiglie (aumenta-no le famiglie con un solo componente, riduzionedel numero medio dei figli), della crescita del tassodi attività femminile e dell’aumento dell’età pen-sionabile che riducono la possibilità di fornire as-sistenza informale agli anziani in ambito familiare.

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La crescita della non autosufficienza ci pone,di fatto, di fronte alla necessità di identifica-re elementi di equità validi per tutto il terri-torio nazionale, anche in presenza di scelte

autonome delle Regioni che nell’ultimo decennio han-no spesso identificato risorse e politiche proprie a favo-re dei soggetti non autosufficienti. L’integrazione socio-sanitaria e la presa in carico della fragilità e della nonautosufficienza, in particolare degli anziani è, ormai,una necessità evidente, un tema che sta particolarmen-te a cuore ai cittadini e alle famiglie e, per questo mo-tivo, nel nostro Paese come in tutti i Paesi avanzati, siricercano soluzioni organizzative appropriate.In Italia il fenomeno coinvolge circa tre milioni di per-sone, una cifra in aumento secondo le proiezioni Istat.Per fare il punto sulla situazione e sulle strategie chevengono oggi messe in atto dal governo su questo tema,abbiamo raccolto le considerazioni del sottosegretario diStato, professoressa Maria Cecilia Guerra.

Professoressa Guerra, la presa in carico del-la non autosufficienza, in particolare deglianziani, è un fenomeno che coinvolge (e af-fligge) la maggior parte delle famiglie ita-liane. Se ne parla da anni, a che punto è ildibattito su questo tema?Concordo pienamente sul fatto che il problemadella non autosufficienza sia, tra le priorità socia-li, un tema molto sentito non solo perché ognu-

no di noi, per esperienza personale, conosce ledifficoltà da affrontare quando ci dobbiamo oc-cupare di un parente o di un genitore anziano,ma perché esiste,ormai, nel nostro Paese la con-sapevolezza che si tratti di un’urgenza condivisaa livello sociale, una necessità che ho riscontratoanche negli incontri che ho continuamente conle parti sociali, con le associazioni, con i livelli digoverno decentrati.Il progetto generale che stiamo mettendo a pun-to prevede la condivisione di questo problema an-che con altri ministeri, prima di tutto, ovviamente,il Ministero della salute, per delineare un percor-so che possa facilitare l’accesso ai servizi socio sa-nitari, intercettare tempestivamente il bisogno edindividuare i coordinamenti organizzativi e le mo-dalità di erogazione dell’assistenza di lunga dura-ta, secondo una visione unitaria programmata chegarantisca continuità assistenziale ed integrazio-ne degli interventi sociosanitari.Quello dell’integrazione sociosanitaria è il veronodo da sciogliere, poiché, attualmente, la rispo-sta che viene offerta è sostanzialmente di tipo sa-nitario, mentre i bisogni della persona non auto-sufficiente comprendono anche necessità di ac-cudimento quotidiano, azioni di aiuto per lavar-si, per mangiare, ecc, che poco hanno a che farecon gli aspetti di cura derivanti da patologie, chepure spesso sono presenti. Ci troviamo di fronte

L’INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA:UN PERCORSO DA CONDIVIDEREIntervista a Maria Cecilia Guerra,sottosegretario Ministero del lavoro e delle politiche sociali

di Chiara Micali

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ad una situazione molto differenziata nelle Re-gioni, per la presenza o meno di organizzazione,sul territorio, di una rete a cui appoggiare l’of-ferta di servizi.Occorre perciò identificare un or-ganismo presente ovunque, e stiamo operando inquesto senso; il livello distrettuale potrebbe esse-re il luogo deputato a far coesistere i due aspettidel problema, quello sanitario – penso alle Asl –e quello di competenza dei Comuni.È possibile che il progetto su cui state la-vorando si possa attuare in un contesto co-me quello attuale, di razionalizzazione econtenimento della spesa pubblica?Il progetto che abbiamo in mente è sicuramenteambizioso, prevede un’azione comune, come di-cevo, una collaborazione fattiva tra vari livelli digoverno e sappiamo bene che lo dobbiamo at-tuare in presenza di risorse molto limitate. Cio-nonostante, sia pure in presenza di finanziamen-ti scarsi, stiamo operando per una riqualificazio-ne degli interventi. Parte della riflessione coin-volge la riforma dell’indennità di accompagnamento ecostituirebbe un importante passo avanti nel rac-cordo tra le esigenze di equità nell’accesso e disostenibilità del sistema. L’indennità di accompa-gnamento, infatti, viene ora erogata senza tenerconto della diversa gravità del bisogno, attraversouna somma uguale per tutti. Per quanto riguardal’aspetto sanitario, dobbiamo prendere atto chel’assistenza sanitaria viene chiamata ad offrire ri-sposte a richieste che sarebbero invece di perti-nenza del sociale, attraverso ricoveri spesso inap-propriati, che sono, tra l’altro anche più costosi,o in strutture non adeguate al bisogno.Per ovviare a questi inconvenienti, il progetto sucui stiamo lavorando prevede diverse fasi: primadi tutto viene messa a punto una valutazione del-la persona non autosufficiente che tenga conto dientrambi gli aspetti, quello sanitario e quello so-ciale.Viene poi individuato un “budget di salu-te” che, successivamente, dà luogo ad un proget-to personalizzato che combina insieme sia gliaspetti legati al bisogno sanitario, sia quelli piùprettamente sociali, considerando anche la pre-

senza o meno di un care giver familiare.Certo le risorse sono scarse e per questo stiamo la-vorando anche con il ministro Barca, che ha desti-nato una quota significativa di finanziamento, 330milioni, dei fondi europei alla non autosufficienzanelle 4 regioni della convergenza (Calabria,Cam-pania, Sicilia,Puglia). In queste stesse Regioni vor-remmo testare il progetto di cui parlavo, con l’o-biettivo di arrivare ad una classificazione del biso-gno che unifichi norme e disposizioni che si sonosuccedute nel tempo e consenta di snellire e av-viare un programma unitario.Fermo restando,na-turalmente, che laddove i servizi non ci sono, re-sta il trasferimento monetario, sotto forma di vou-cher, per far fronte alle necessità delle famiglie.Come procedono i lavori per la riforma del-l’Indicatore della situazione economicaequivalente (Isee) a tutela dell’equità nel-l’accesso delle famiglie italiane alle presta-zioni sociali agevolate per le persone nonautosufficienti?Per quanto riguarda la riforma Isee in generale,stiamo lavorando per farne uno strumento piùequo, in grado di valutare la condizione econo-mica delle famiglie e tener conto anche dei loropatrimoni. Per quanto attiene, in particolare, lacondizione della non autosufficienza sono previ-sti tre distinte modalità per la definizione del nu-cleo familiare. Per i minori con disabilità si fa ri-ferimento al nucleo standard, per gli adulti al so-lo assistito, per gli adulti sposati al nucleo ristret-to costituito da coniuge e figli.Un ulteriore ele-mento qualificante di questa operazione riguar-da la modifica che viene applicata alla definizio-ne della non autosufficienza e della disabilità chevengono distinte in tre categorie, disabilità me-dia, disabilità grave e non autosufficienza vera epropria, facilitando così una valutazione appro-priata dei costi sostenuti dal nucleo di apparte-nenza.Viene migliorato, rispetto alla situazioneattuale, anche il parametro che riguarda non au-tosufficienti che accedono a prestazioni residen-ziali la cui situazione economica viene definitatenendo conto anche dell’eventuale figlio che pos-

L’integrazione sociosanitaria: un percorso da condividere

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sa contribuire. Inoltre, se abbiamo ricondotto nelcalcolo del reddito tutti i redditi esenti, abbiamoanche permesso la deduzione delle spese certifi-cate a fini fiscali, (badantato, colf, ecc). La proce-dura di revisione dell’Isee che abbiamo messo apunto, che si è avvalsa del confronto con Regio-ni e Comuni e con tutte le categorie interessate,parti sociali, enti locali, forum del terzo settore edella famiglia, è arrivata a buon punto. Entro unpaio di mesi dovremmo cominciare con i decre-ti attuativi e contiamo di portarla a regime all’i-nizio dell’anno prossimo.“La presa in carico degli anziani non auto-sufficienti, un contributo per conoscere e de-cidere”, questo il titolo della nostra pubbli-cazione. Quanto è rilevante, secondo lei, po-ter disporre di flussi informativi dedicati?Si tratta, senza dubbio, di un tema cruciale. Ladisponibilità di informazioni consente ai deciso-ri di progettare, di impostare politiche di carat-tere sociosanitario efficaci.Abbiamo ottenuto, edè un notevole passo in avanti, che nel decretosemplificazione che è appena passato all’esame

del Parlamento, venisse inserita la riforma del si-stema informativo dei servizi sociali, come, delresto, prevede la legge.Questo ci consente ora dicostruire dei moduli informativi in grado di dia-logare con altri sistemi, primo fra tutti, ovvia-mente, il Nsis, il sistema informativo del Mini-stero della salute e, attraverso questo scambio diinformazioni, arrivare a costruire la cartella so-ciale. Si tratta di informazioni centralizzate pres-so l’Inps, alle quali, però, potranno accedere tut-ti i soggetti interessati, prima di tutto, natural-mente, i Comuni.In conclusione, stiamo attivando tutti i canali dis-ponibili, stiamo utilizzando le risorse esistenti,cercando di ottimizzare gli sforzi, di semplificarele procedure, consapevoli che, di questi tempi, lastrada per acquisire nuove risorse si presenta im-pervia, ma credo che l’importante sia sapere do-ve si vuole arrivare e, in accordo con la disponi-bilità degli altri Ministeri, primo fra tutti quellodella salute, speriamo che entro la fine della le-gislatura il Piano per la non autosufficienza pos-sa essere davvero avviato.

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L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia

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el 2050 ci saranno molti più nonniche nipoti: secondo le stime del-l’Oms (Organizzazione mondialedella sanità) gli over 60 passeranno

da 650 milioni a 2 miliardi. Secondo la stessa Or-ganizzazione, nel 2020 la popolazione anziana inEuropa sarà superiore a quella che il sistema sa-nitario potrà ragionevolmente sostenere.In questo panorama, l’Italia è uno dei Paesi eu-ropei con il maggior indice di invecchiamento,che significa crescita esponenziale delle spese dicura per anziani, ospedaliere e territoriali per ilprossimo futuro.Recentemente è stata presentata al ParlamentoEuropeo la Road Map for EuropeanAgeing Research,che identifica tra le priorità per il futuro della ter-za età:�vivere più anni, ma in salute;�mantenere e rafforzare le capacità mentali;�garantire la qualità e sostenibilità dei sistemi diprotezione sociale;

� favorire il benessere della terza età a casa e ne-gli ambienti comunitari;

� sconfiggere le ineguaglianze nell’invecchia-mento.Il quadro demografico ed epidemiologico mettein luce la necessità di una particolare attenzione,presente e futura, alle politiche assistenziali deglianziani non autosufficienti, sia sotto il profilo sa-

nitario, sia in quello socio-sanitario e più pro-priamente sociale. Più bisogni che spesso convi-vono, saldamente embricati, nella stessa personae che rappresentano la sfida dell’integrazione trai vari soggetti istituzionali (Asl, Comuni, ecc…)e tra loro e quelli della sussidiarietà orizzontale,tra professionisti in una visione multidisciplinare.Si pone, pertanto, proprio per favorire l’integra-zione socio sanitaria, un problema di “governan-ce” che dato l’ordinamento nazionale e regiona-le trova nel distretto socio sanitario (Asl) il luogoottimale per coordinare le reti che operano sulterritorio (Asl, Comuni, volontariato, ecc.) e lerisorse che provengono da diverse fonti (Sta-to/Inps, Regioni,Asl, Comuni, ecc.).Assicurare,in sintesi, la presa in carico del paziente (compe-tenze sanitarie e sociali) e la continuità assisten-ziale ospedale-territorio (Pua: Punto unico di ac-cesso, percorsi di cura, ecc…).Il Piano sanitario nazionale 2011 - 2013 (appro-vato dal Governo, ora all’attenzione dei soggetticompetenti per la conclusione dell’iter), indivi-dua i pazienti che maggiormente necessitano dicontinuità nelle cure, che sono:�pazienti post-acuti dimessi dall’ospedale che corrono ri-schi elevati, ove non adeguatamente assistiti, di ritornoimproprio all’ospedale; essi necessitano di competenzecliniche ed infermieristiche, con l’affidamento ad un ca-se manager, in una struttura dedicata o a domicilio;

L’ASSISTENZA AGLI ANZIANINON AUTOSUFFICIENTI IN ITALIA

di Angelo Lino Del FaveroPresidente di Federsanità Anci

NdR L’articolo è tratto dal “Secondo Rapporto sulla non autosufficienza in Italia Anno 2011” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a cura di Angelo Lino Del Favero

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�pazienti cronici, stabilizzati sul territorio, con elevati bi-sogni assistenziali e rischio di ricoveri inappropriati ovenon adeguatamente assistiti; il percorso di cura richiedeuna forte integrazione tra team multidisciplinare di cu-re (medico, infermiere ed assistente sociale), con luogo dicura il domicilio del paziente o una struttura protetta;

�pazienti cronici complessivamente in buone condizio-ni di salute che hanno come obiettivo il monitoraggiodel loro stato di salute, risiedono al domicilio e hannole caratteristiche necessarie per essere educati all’auto-cura e al self empowerment (diabete, asma).La risposta ai bisogni assistenziali sopraindicatipuò essere sintetizzata nello schema che segue:� servizi domiciliari;� servizi residenziali;� servizi semiresidenziali;� trasferimenti monetari;� sostegni al lavoro privato di cura.L’assistenza continuativa, in termini di offerta, èpotenziata altresì da nuove formule di residen-zialità “intermedia” sempre più importante peraccelerare i processi di dismissione ospedaliera

quali: ospedali di Comunità (gestiti da Mmg epersonale infermieristico), strutture intermedie diriabilitazione post acuzie, nuclei presso Rsa, di-missioni protette, ecc…

LE CURE DOMICILIARILa dimensione domiciliare delle cure e la varie-tà dei soggetti pubblici e privati interessati rive-stono oggi un’importanza strategica.L’assistenza domiciliare nel corso degli ultimi de-cenni si è focalizzata, anche sollecitata dai problemiposti dalla non autosufficienza,nelle forme più com-plesse quali l’Assistenza domiciliare integrata (Adi).Nella quasi totalità delle Regioni italiane le curedomiciliari sono inserite nelle cure primarie e l’am-bito elettivo in cui si pongono è il distretto sociosanitario che rappresenta nella sua dimensione ter-ritoriale anche il luogo ottimale di realizzazionedelle attività integrate con il comparto sociale.L’assistenza domiciliare consente un migliora-mento di qualità di vita del paziente e significa-tivi risparmi economici anche rispetto a degen-

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TABELLA 1 - Assistenza domiciliare integrata, casi trattati – Italia 2007 – 2008 – 2009

Anno Casi trattati2007 385.2782008 400.4112009 442.129

FIGURA 1 -Assistenza domiciliare integrata – casi anziani ogni 100 residenti anziani –Anno 2009

Fonte: Ministero della Salute - SIS (Sistema Informativo Sanitario) Assistenza domiciliare integrata – Anno 2009 – Dati provvisori

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L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia

ze extra ospedaliere residenziali.L’assistenza domiciliare integrata presenta valoriinteressanti sia nella dimensione dinamica, sia peril valore assoluto degli utenti presi in carico.Nella figura 1 si individua una media nazionaledi presa in carico Adi pari al 3,66%, un valore ditutto rispetto destinato a crescere nel tempo.Nel confronto regionale si collocano in ottimaposizione le Regioni FriuliVenezia Giulia, Emi-lia Romagna e Umbria (quest’ultima in partico-lare a compensazione della modesta ricettività ex-traospedaliera), buona la collocazione delle dueRegioni del Centro Sud Abruzzo e Basilicata, inposizione altrettanto soddisfacente Regioni co-meVeneto e Lombardia, a seguire Calabria,Cam-pania, Sardegna e Sicilia.La complessità nelle cure domiciliari oggi è de-terminata da più fattori che, per presenza ed en-tità, determinano anche la complessità del singo-lo caso. Possono citarsi:� il quadro clinico (comorbilità, livello non auto-sufficienza, evolutività della situazione, intensi-tà e pluralità dei bisogni, presenza di un quadrodepressivo);

� il quadro psicologico (grado di consapevolezzadel paziente,modalità di reazione all’evento, gra-do di accettazione di situazione e servizio, con-dizioni emotive del contesto familiare e qualitàdei rapporti affettivi);

� il quadro socio-ambientale (contesto abitativo ecompatibilità con la disabilità, qualità e quanti-tà di tempo dedicato dal caregiver, condizionieconomiche e relazioni sociali).Fra le caratteristiche che rendono le cure domi-ciliari di fatto tutelanti e capaci di garantire unabuona gestione del paziente, rientrano l’amplia-mento di numero, qualità e tipologia di presta-zioni attraverso varie professionalità, la fornituradi ausili a domicilio e l’allungamento delle fasceorarie e della reperibilità serale e nel week-end.Altro aspetto qualificante è rappresentato dallaflessibilità, sia nell’utilizzo di livelli assistenziali diintensità diversificata, in base al grado di com-promissione del quadro generale del paziente, sia

nell’attivazione anche contestuale di servizi di va-ria tipologia (assistenza domiciliare integrata -Adi,servizio di assistenza domiciliare - Sad, CentriDiurni, iniziative di sollievo ecc).Uno scenario in evoluzione quindi, che prevedeil passaggio dalla fornitura di prestazioni a domi-cilio alla erogazione di servizi, in base ad un Pia-no assistenziale individualizzato (Pai) quale ri-sposta al quadro globale di paziente, famiglia e ca-regiver, costantemente sottoposto a rivalutazionealla luce dell’evolutività rapida delle situazioni incarico.Il modello organizzativo, garante di una buonagestione degli interventi a favore dei pazienti fra-gili più in generale ed in particolare delle curedomiciliari, presuppone:� la presenza di una regia dell’intero sistema sani-tario e socio-sanitario per i pazienti cronici, nonautosufficienti, portatori di disabilità;

� il governo clinico, con il pieno coinvolgimentodei mmg/pls quale risorsa capillarmente pre-sente;

� la continuità di intervento assistenziale;� le porte uniche di accesso distrettuale ai servizi;� la valutazione multidimensionale della com-plessità dei bisogni;

� l’integrazione fra ospedale e territorio (accordiper dimissioni protette).L’andamento della domanda di cure domiciliariè in costante aumento non solo nel numero to-tale di pazienti, ma anche per la loro complessi-tà. Sono persone di qualunque età compromes-se nel grado di autonomia per malattia, disabilitào comorbilità, che necessitano di interventi do-miciliari qualificati per continuare a vivere nellapropria abitazione.Alcune tipologie più frequenti di pazienti sono:�anziani con comorbilità, affetti da demenza, esi-ti di fratture e/o di accidenti cerebrali, ecc.;

�pazienti oncologici;�adulti con gravi patologie (es. SLA, SV, pazien-ti terminali, con esiti da gravi cerebrolesioniacquisite, ecc.);

�con malattie rare;

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�minori in età pediatrica con gravi patologie.Gli anziani sono la tipologia numericamente piùconsistente di pazienti in carico, considerato cheda studi longitudinali è emerso che il 75% è dietà > 74 anni.

I SERVIZI RESIDENZIALINell’ambito dei servizi residenziali dal 2000 al2005 vi è stata una naturale crescita delle Rsa eResidenze Socio Sanitarie destinate a fornire ser-vizi a pazienti più complessi e una progressiva ri-duzione dei posti letto nelle residenze assisten-ziali a minor intensità assistenziale.

Complessivamente comunque la residenzialità ex-traospedaliera è stabile nel tempo.Com’è noto la spesa in carico dei cittadini con-cerne la componente sociale,mentre la quota sa-nitaria è sostenuta dal Ssn; spesso le due spese siequivalgono, anche se la realtà cambia da Regio-ne a Regione.Gli anziani assistiti sono 345.093 attorno al 3%della popolazione anziana residente, contro un va-lore dei paesi europei mediamente del 6% (conpunte dell’8%), assai prossime a Regioni del NordItalia con sistemi sanitari performanti.La tabella 2 (riportata anche nel Rapporto sulla non

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TABELLA 2 - Anziani ospitati nelle diverse strutture residenziali nelle Regioni italiane, anno 2005

Regioni RSA Residenze Residenze Altre Totale Anzianisocio- assistenziali residenze tipo anziani ricoverati persanitarie ricoverati 1.000 anziani

Piemonte 5.947 14.154 28.867 1.234 50.199 51,6Valle d’Aosta 157 1.070 76 44 1.347 53,8Lombardia 63.392 3.326 2.203 1.607 70.528 38,4Bolzano 688 3.771 0 5 4.464 55,7Trento 6.107 0 22 298 6.427 65,2Veneto 5.572 29.327 5.978 1.388 42.266 46,5FriuliVG 8.406 9.138 2.677 623 20.842 76,3Liguria 7.457 12.832 851 1..08 22.179 52,0Emilia-Romagna 7.498 23.624 10.273 228 41.624 43,8Toscana 13.418 1.343 4.042 696 19.499 23,2Umbria 703 1.562 747 174 3.186 15,7Marche 3.217 2.355 5.024 89 10.684 30,9Lazio 4.526 861 7.539 1.461 14.387 14,2Abruzzo 1.769 1.813 1.252 422 5.255 18,9Molise 52 1.124 349 212 1.736 24,6Campania 755 550 3.312 571 5.189 5,9Puglia 159 2.927 3.784 994 7.864 11,2Basilicata 0 186 309 226 720 6,1Calabria 587 834 550 252 2.224 6,1Sicilia 771 3.036 4.790 1.010 9.606 10,6Sardegna 875 398 1.396 2.229 4.898 16,8ITALIA 132.052 114.229 84.040 14.771 345.093 29,8% 38,3 33,1 24,3 4,3 100,0

Note: Il numero degli anziani ospitati dalle strutture residenziali è dato dal numero di anziani presenti al 1° gennaio di ogni anno più gli anziani accolti durante lo stesso annoFonte: L’assistenza agli anziani non autosufficienti – Rapporto 2009 – Maggioli Editore, a cura di N.N.A. (Network Non Autosufficienza) pag. 57.

TABELLA 3 - Posti letto residenziali per gli anziani, anni 1999-2005

Tipologia presidi Numero posti letto1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

RSA 71.359 73.565 83.144 87.919 87.360 95.734residenze socio-sanitarie 118.591 85.490 62.597 87.733 90.583 85.777 95.620residenze assistenziali 118.422 90.522 78.517 79.151 80.481 75.080 73.972TOTALE 237.013 247.371 214.679 250.028 258.983 248.217 265.326p.l. per 1.000 anziani 23,0 23,4 20,1 22,9 23,3 21,8 22,9

Note: occorre rammentare che gli anziani, specie se autosufficienti, vengono ospitati anche nelle comunità socio riabilitative, nelle comunità alloggio ed in altre ancora, qui non considerate.Fonte: L'assistenza agli anziani non autosufficienti - Rapporto 2009 - Maggioli Editore a cura di N.A.A. (Network Non Autosufficienza) pag. 56.

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autosufficienza in Italia - Anno 2010 del Ministerodel Lavoro e delle Politiche Sociali) sintetizza l’in-contro tra domanda e servizi offerti nelle diversetipologie residenziali, nonché la capacità di ri-sposta delle Regioni, in materia.Le strutture, come si deduce dalla tipologia, sonorivolte ad anziani non autosufficienti, con pro-blematiche anche di tipo sanitario e alla sempli-ce assistenza di utenti autosufficienti con varieproblematiche assistenziali.La tabella 3 indica, invece, la dinamica nel tem-po delle tre principali tipologie Rsa, ResidenzeSocio Sanitarie,Residenze Assistenziali. Come sipuò osservare, dal 2000 al 2005 vi è una natura-le crescita delle Rsa e Residenze Socio Sanitariedestinate a fornire servizi a pazienti più complessie una progressiva riduzione dei posti letto nelleresidenze assistenziali a minor intensità assisten-ziale.Il rapporto 2011 analizza i dati per gli anni 2007-

2008-2009, rilevati dal Sistema Informativo Sa-nitario (SIS) sulle strutture extraospedaliere pub-bliche e private accreditate, che erogano presta-zioni di assistenza sanitaria ad anziani, nonché adisabili fisici, psichici e pazienti psichiatrici. Conil modello STS24 vengono rilevate le attività pre-dette relativamente all’assistenza semiresidenzia-le e residenziale. I dati, gli obiettivi e la natura del-la rilevazione con l’Nsis si ritiene siano sufficien-temente omogenei da consentire un’attendibilecomparazione dei valori nella dimensione tem-porale e spaziale.In Italia gli anziani assistiti in strutture sanitarieresidenziali sfiorano il 2%, ovvero utenti per100.000 anziani, pari a 1.871,7 nel 2007, 1.894,8nel 2008, 1.969,1 nel 2009, in aumento nel tem-po, dovuto al travaso di pazienti da strutture perautosufficienti a Rsa e tipologie similari idoneead assistere il paziente non autosufficiente.L’aspetto più interessante che emerge dalle figu-

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TABELLA 4 - Strutture residenziali anziani. Italia 2007 – 2008 – 2009

Anni utenti x 100.000 anziani posti letto2007 1.871,7 152.7452008 1.894,8 154.8592009 1.969,1 162.676

FIGURA 2 - Utenti e posti letto in strutture residenziali per anziani anni 2007-2009

Fonte: Ministero della Salute - SIS (Sistema Informativo Sanitario)

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re 2 e 3, sono le differenze regionali nell’offertadi posti letto, peraltro già emerse anche nel Rap-porto sulla non autosufficienza in Italia – Anno2010. Per quanto attiene l’anno 2009 si possonoindividuare quattro gruppi di Regioni:�un primo a cui appartengono FriuliVenezia Giu-lia,Trento, Bolzano,Veneto, Lombardia, con in-dici di anziani assistiti nelle strutture citate dal 4al 5%;

�un secondo gruppo dal 2 al 3%, con Emilia Ro-magna, Piemonte;

�un terzo tra l’1 e il 2%, con Toscana, Liguria,Umbria,Abruzzo,Marche;

�un quarto con le Regioni al di sotto dell’1%,Lazio, Sicilia, Sardegna e Campania con lo 0,06%.Nelle Regioni con una buona o discreta offertadi posti letto extra ospedalieri, (orientativamen-te al di sopra della media nazionale 1,97%), sonopresenti processi di continuità assistenziale traospedale-territorio, favoriti anche da strutture diofferta “intermedie” per facilitare la dimissionedei pazienti post acuti più complessi. Nelle altrerealtà il sovra utilizzo o uso improprio dell’ospe-dale è inevitabile con pesantissimi costi per il Ssn.È ormai ampiamente dimostrato che un efficacemodello sanitario e socio sanitario è strettamen-te correlato al modello erogativo dei servizi, cherispetti l’incidenza dei tre macro livelli assisten-

ziali individuati dalla programmazione nazionale(5% prevenzione, 44% ospedale, 51% territorio).

I TRASFERIMENTI MONETARITerza importante componente dell’assistenza aglianziani non autosufficienti e disabili è costituitadai trasferimenti monetari, in primis, a livello na-zionale: indennità di accompagnamento per gliinvalidi civili, di competenza dell’Inps, in subor-dine gli assegni di cura erogati principalmente sufinanziamento regionale da Asl ed Enti Locali.

L’indennità di accompagnamentoL’indennità di accompagnamento è erogata dal-l’Inps, previo accertamento di apposita Commis-sione con sede nell’Asl di competenza. I requisi-ti per beneficiare dell’indennità di accompagna-mento sono:�disabilità al 100%, incapacità di svolgere gli attiquotidiani e deambulare senza accompagnatore;

�non essere ricoverato gratuitamente in Istituto.L’indennità è erogata universalmente a prescin-dere dall’età e dalle condizioni di reddito e in mo-do uniforme senza distinzione della gravità delgrado di salute del paziente.Il contributo è finanziato dalla fiscalità generalee concesso senza obbligo di rendicontazione evincoli di destinazione della spesa.

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FIGURA 3 -Assistenza agli anziani in strutture residenziali - utenti ogni 100 anziani - anno 2009

Fonte: Ministero della Salute - SIS (Sistema Informativo Sanitario)

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L’indennità di accompagnamento nasce comecompensazione economica alla capacità di reddi-to pregiudicata dall’inabilità al lavoro, successiva-mente viene estesa agli over 65, che nel corso de-gli anni sono diventati i principali fruitori e cau-sa principale dell’incremento esponenziale dellarelativa spesa.Nelle due figure 4 e 5 che seguono, elaborate sudati “Fonte INPS”, sono riportate le indennità diaccompagnamento, distribuite per Regioni pergli anni 2008-2009-2010-2011 e per classi di età,che forniscono un quadro completo del feno-meno.

Ipotesi di riordino dell’indennità diaccompagnamentoLo scostamento così consistente nell’accesso ai be-nefici tra le Regioni del Nord Italia e del Sud e Iso-le, spiegabile solo in parte dal diverso contesto so-ciale, porta alla constatazione che i criteri di acces-so sul territorio nazionale non sono omogenei e cheil modello,pertanto,dev’essere ripensato.Anche per-ché paradossalmente sono più numerosi i benefi-ciari di pensioni e assegni di accompagnamento nel-le Regioni con popolazione più“giovane”,e quin-di con una minore incidenza degli over 75 anni, ri-spetto a Regioni a forte indice di invecchiamento.

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FIGURA 4 - Complesso delle indennità di accompagnamento per Regione anni 2008 - 2011

Fonte: Rielaborazione INPS

FIGURA 5 - Distribuzione delle indennità per fasce di età per Regione -Anno 2010

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La revisione legislativa in atto della materia assi-stenziale prevede l’introduzione e il rafforzamen-to dei principi di sussidiarietà verticale od oriz-zontale con trasferimento delle funzioni assisten-ziali ai livelli più prossimi ai cittadini.Al fine dimeglio integrare le prestazioni monetarie, con l’at-tività dei servizi pubblici e privati destinati alla nonautosufficienza, si ipotizza di “trasferire” la gestio-ne dell’indennità di accompagnamento a livelloregionale attraverso la costituzione di un “Fondonazionale per l’attività sussidiaria alla non auto-sufficienza” da ripartire con criteri standardizzatitra le Regioni, in base al bisogno oggettivo.

FAMIGLIA,ASSISTENTI FAMILIARI ESUSSIDIARIETÀAssistenti familiariDal dopoguerra a oggi, la famiglia italiana ha su-bito notevoli processi evolutivi connessi allo svi-luppo economico e sociale, al cambiamento distili ed abitudini di vita, accelerati dai processi diglobalizzazione e dai nuovi strumenti di comu-nicazione. Le famiglie del nuovo millennio sonocaratterizzate dalla presenza di più tipologie (mo-nogenitoriali, famiglie con separazioni, ecc.),mul-tidimensionalità del ruolo femminile (lavoro, as-sistenza, “sandwich generation”), riduzione del tas-so di natalità, uscita tardiva dei figli dal nucleo ori-ginario, aumento del numero degli anziani e di-sabili.I fenomeni sinteticamente citati e l’impossibilitàquindi per la famiglia di far fronte alle esigenzeassistenziali degli anziani fragili, disabilità, ecc.,hanno creato le condizioni per un autentico boomdella presenza delle “badanti”, o meglio definite,assistenti familiari (si stima che dal 2001 al 2008siano aumentate di 400.000 unità).Queste ultime sono lavoratrici straniere spesso“irregolari” provenienti per larga parte dai Paesidell’Est europeo, con presenze anche significati-ve di comunità del Sud America e Asia.Oggi il fenomeno “badanti” è stimato per difet-to in 770.000 unità, parte delle quali senza un re-golare contratto di lavoro.

La nuova opportunità è stata ben accolta dalla fa-miglia, motivata a mantenere il più a lungo pos-sibile l’anziano nella propria abitazione, con i pro-pri affetti, il proprio mondo.Inoltre, la carenza di servizi pubblici per l’anzia-no non autosufficiente e l’ampio ricorso al soste-gno monetario hanno contribuito a far lievitarela citata “anomala” modalità assistenziale, che hacomunque svolto la funzione di ammortizzatoresociale e tenuta della nuova situazione derivantedall’aumento progressivo dell’età media.La diffusione del lavoro irregolare è stata anchefavorita da una delle lacune del nostro modelloassistenziale monetario: il mancato obbligo di darconto delle spese sostenute.Le criticità che caratterizzano il fenomeno del“badantato” possono essere molto sistematica-mente così sintetizzate:� l’abusivismo che ha determinato una consisten-te presenza di “lavoratori in nero”;

� la qualità professionale delle assistenti familiari,spesso inadeguata. Lo stesso vale per la cono-scenza di lingua, usi e culture locali;

� l’attività è maturata molto spesso “disconnessa”dal servizio pubblico con gravi pregiudizi per laqualità assistenziale (soprattutto dei pazienti piùcomplessi).È indispensabile, pertanto, che debbano essere at-tivate per le assistenti familiari politiche destina-te a migliorare la qualità dell’assistenza, in primiscon la formazione; inoltre ad incentivare la rego-larizzazione lavorativa, a far incontrare in modosistematico domanda ed offerta, ad integrare le“badanti” nella rete dei servizi pubblici.

Caregiver familiareNel nuovo modello di cure domiciliari, assumeparticolare rilievo la figura del caregiver familia-re (se ne stimano 9 milioni in Italia).Il caregiver è il parente o affine che si prende cu-ra a domicilio, o per situazioni definite e partico-lari all’interno delle strutture della rete, del pro-prio familiare, persona fragile non autosufficien-te, di qualunque età, in modo prevalente e con-

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tinuativo, seppur per livelli di intensità diversi,provvedendo a tutte le funzioni quotidiane deibisogni primari (igiene personale, alimentazioneecc) e alla cura della persona, aiutando ed inte-grando prestazioni di carattere sanitario-assisten-ziali.Spesso l’individuazione del caregiver avviene pernecessità, per designazione familiare o attraversoun meccanismo di selezione spontaneo da partedi un congiunto che volontariamente si assumel’impegno di assistere il parente, instaurando conesso una relazione pressoché esclusiva. La faticarichiesta per assolvere all’impegno del prendersicura è ancora oggi poco visibile, identificata conil mondo dei legami parentali ed affettivi, che vie-ne spesso dato per scontato.Il caregiver si trova a dover mediare tra i propribisogni, quelli della persona curata e quelli del re-sto della famiglia, oltre a quelli del mondo del la-voro, rischiando che esigenze e bisogni persona-li siano accantonati, con ricadute negative sull’e-quilibrio psico-fisico. Il carico assistenziale de-termina spesso un elevato livello di stress sia perla fatica fisica, sia per l’impatto con la malattia cro-nica e la non autosufficienza.Anche quando èpresente la figura dell’assistente familiare (badan-te), rimane a carico della famiglia un impegnoassistenziale (es. giornate di permesso della ba-dante, ruolo di “datore di lavoro”, ecc.).Il lavoro di cura è prevalentemente prerogativadella donna che, in molti casi lavoratrice, accudi-sce anche la persona ammalata.Nello scenario sociale di oggi non si identifica-no ancora interventi che si facciano carico in mo-do coordinato di questi bisogni complessi; quelliattuati in questi anni, per quanto meritori, sonosettoriali e limitati. Sempre più quindi si palesa lanecessità di strutturare meccanismi di supporto aquesta figura di assistente-organizzatore sui varipiani del bisogno, cioè quello pratico-tecnico,quello emotivo, quello della conciliazione tra itempi dedicati all’assistenza e i tempi lavoro.In Italia oggi la rete di servizi socio-sanitari, maanche sanitari, è integrata e completata in una

percentuale di tutto rispetto dal caregiver fami-liare o privato, perno del sistema.Oggi è necessaria la valorizzazione ed ufficializ-zazione del ruolo e della funzione del caregiver,in quanto essenziale alla tenuta del sistema di wel-fare, contribuendo al contenimento dei costi del-l’assistenza. Inoltre il suo impegno di cura va ri-condotto all’interno del PianoAssistenziale Indi-vidualizzato.Altrettanto prioritario è il riconoscimento di di-ritti e doveri del caregiver, al fine di non lasciar-lo solo come supplente di carenze istituzionalinegli interventi a sostegno della domiciliarità.Ta-le figura è infatti soggetta al rischio di crisi sulversante psicologico, emozionale e pertanto an-che di ammalarsi, potendo divenire a sua volta bi-sognosa di cure e mettendo in difficoltà il siste-ma familiare in cui è inserita.Il presupposto della tenuta del sistema comples-sivo si trova nella negoziazione-mediazione-ac-cordo fra caregiver familiari e rete di servizi isti-tuzionali.Si ritiene inoltre necessario individuare i criteridi riconoscimento giuridico della funzione delcaregiver familiare, declinando i punti principaliper una piena identificazione da parte delle Isti-tuzioni del suo ruolo come realtà di servizio allepersone non autosufficienti, istituendo beneficidi varia natura, sulla base del “peso” assistenziale.

Percorsi normativiSono quindi due i percorsi normativi inerenti alriconoscimento e impiego del caregiver che ri-chiedono modifiche e/o integrazioni:a) Legge104/92A livello nazionale è la normativa che riconosceil caregiver; essa prevede la possibilità di usufrui-re di permessi e altre tipologie di agevolazioninell’ambito lavorativo. La condizione attuale peraccedere a tali permessi è che la persona da assi-stere sia in possesso della certificazione di handi-cap con connotazione di gravità (articolo 3, com-ma 3, della Legge 104/1992).Tale legge richiederebbe oggi una revisione de-

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terminata dall’evoluzione del sistema dei servizi.In particolare è ravvisata la necessità di una revi-sione dei criteri per accedervi e dei conseguentibenefici.Ipotesi di modifica di criteri di accesso ai bene-fici:�certificazione di invalidità civile dal 75% al 100%,anche in assenza di assegno/indennità di ac-compagnamento;

�dichiarazione di un centro specialistico di biso-gno assistenziale intenso, seppur temporaneo, an-che non riconducibile alla condizione di inva-lidità civile;

�accesso a percorsi formativi diversificati per in-tensità e durata in base all’impegno assisten-ziale;

�maggior flessibilità nell’utilizzo dei permessi la-vorativi, correlandoli al bisogno (anziché tregiorni mensili);

� flessibilità di orario di lavoro.b) Modifiche Lea e ipotesi di inserimentodel ruolo del caregiver nell’ambito delle cu-re domiciliari.Carente è la normativa relativa ai Lea sanitari, chead oggi non prevedono figura e ruolo del care-giver non professionale fra coloro che partecipa-no all’erogazione delle cure e all’assistenza a do-micilio, nonostante possa garantire un contribu-to significativo al percorso di cura.Il suo riconoscimento nell’espletamento di taleruolo e l’eventuale attribuzione di un assegno dicura, richiede quale presupposto vincolante:� la ricomprensione nel Pai (Piano assistenziale in-dividualizzato) di tipologia di attività e tempodedicato dal caregiver all’assistito;

� l’accesso a percorsi formativi, laddove organiz-zati dalle strutture socio-sanitarie di riferimen-to (es.Asl).L’assegno di cura a sostegno del mantenimento adomicilio di persone fragili, di qualunque età, gra-vemente compromesse nell’autonomia, è la for-ma di riconoscimento da prevedere nei Lea del-l’attività dedicata dal caregiver alla cura ed all’as-sistenza del malato, compartecipando al raggiun-

gimento degli obiettivi previsti nel PAI.Solo l’alta e la media intensità assistenziale pos-sono prevedere il riconoscimento dell’assegno dicura di importo rapportato al livello assistenzia-le. Tali contributi possono essere garantiti ancheattraverso fondi specifici messi a disposizione siada Enti previdenziali pensionistici (es. Inpdap) siada Fondazioni, Banche ecc.È di competenza dei Servizi sanitari regionali ladefinizione dell’importo dell’assegno di cura e deilivelli di intensità assistenziale.Alla luce del ruolo strategico che il caregiver haassunto nel sistema di welfare oggi, diverrebbeutile sia rivedere le normative in materia, sia me-glio definirne ruolo ed impegno, ufficializzandol’attività di cura ed assistenza da esso garantita.Ta-le figura deve essere altresì sostenuta e supporta-ta da una rete di servizi istituzionali, oltre che dainiziative informative, formative e di sollievo.

La sussidiarietà e il terzo settoreAltra dimensione di primaria importanza è il te-ma della sussidiarietà che si esprime attraverso leComunità Locali del volontariato, corpi inter-medi di assoluta importanza per una vitalità e re-sponsabilizzazione dal basso sui grandi temi so-ciali del Paese.La valorizzazione del terzo settore dev’essere vi-sta come un’estensione delle capacità di inter-vento dello Stato, come un grande strumento adisposizione della collettività per condividere dalbasso l’organizzazione dei servizi e l’interpreta-zione dei bisogni della persona.La sussidiarietà va intesa come occasione di svi-luppo e responsabilizzazione sociale, in una pro-spettiva nella quale, ove risulti utile, lo Stato e laP.A. lascino che la libera iniziativa si coniughi conl’associazionismo solidale, traslando funzioni “ver-ticalmente” verso il basso a livelli più prossimi alcittadino, con programmazione e gestione dei ser-vizi.Insomma un auspicabile passaggio dal welfare sta-te al welfare community, che ponga al centro leistituzioni locali, i cittadini e le loro formazioni

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sociali, fondazioni, associazioni, realtà private so-ciali nate dalla tradizione cristiana, laica e socia-lista; il protagonismo attivo, quindi, dei cittadinie dei diversi attori sociali nella costruzione e ge-stione della rete dei servizi.Il legislatore statale ha proposto, soprattutto conla L. 328/2000, un modello di Stato sociale nelquale gli Enti non profit sono chiamati a svolge-re un ruolo primario nel nuovo sistema di inter-venti e servizi socio assistenziali e socio-sanitari.È stata affidata alle Regioni la competenza di ema-nare specifici atti di indirizzo per regolamentarei rapporti tra Enti Locali e terzo settore, con par-ticolare riferimento all’affidamento dei servizi al-la persona.

SOSTENIBILITÀ E LONGTERM CARELa sostenibilità del sistema socio sanitario assi-stenziale, nel breve e medio periodo, è argomen-to di grande attualità in tutti i Paesi a welfare evo-luto e soprattutto per quelli come in Italia uni-versalistici e finanziati per larga parte dalla fisca-lità generale.I “motori” principali della spesa, com’è noto, so-no l’invecchiamento della popolazione, il mi-glioramento della condizione di vita e di reddi-to, lo sviluppo delle tecnologie e della ricerca me-dica.L’area soggetta alle sollecitazioni più forti è quel-la della non autosufficienza, che in Italia supera,in termini numerici, i 2,6 milioni di persone.Nel corso dei prossimi decenni, nonostante il mi-glioramento significativo delle condizioni di sa-lute e di autonomia degli over 65, la pressione sul-la spesa sarà pesante e potrà assumere dimensio-ni assai critiche (anche in ambito sanitario), so-prattutto se non saranno offerte opportunità as-sistenziali nella fase post acuta nella dimensioneextra ospedaliera residenziale e domiciliare.A fronte dello scenario che si prospetta è di tut-ta evidenza che lo Stato non è in grado, da solo,di sostenerne il peso. In una visione sussidiaria delrapporto tra i vari “attori”, il Pubblico dovrà mo-dificare il proprio ruolo da erogatore di buona

parte dei servizi e provvidenze a soggetto rego-latore dei processi assistenziali, pubblici, privati,del terzo settore.L’universalismo alla base del modello italiano diwelfare deve comunque assumere una maggiorecapacità di selezionare ed individuare i soggettieffettivamente bisognosi, analizzando con cura ivari benefici di carattere fiscale, previdenziale, as-sistenziale offerti ai vari livelli e armonizzando illoro impiego, evitando duplicazioni ed abusi.Un ruolo significativo è affidato, comunque, intutti i modelli assistenziali europei, alla famiglia,alla possibilità dell’utente di scegliere la tipologiaassistenziale preferita e l’erogatore dei servizi.La sostenibilità del modello assistenziale, della longterm care e più in generale del Ssn sono affidati,oltre che alla ricerca di un’attenta appropriatez-za ed efficienza dei percorsi di cura, anche allosviluppo di altri due “pilastri” accanto a quellocentrale pubblico:� i fondi sanitari integrativi, che obbligatoriamentedevono destinare almeno il 20% delle risorse al-la non autosufficienza e cure odontoiatriche aiFondi Pensione;

�assicurazioni private su base individuale e vo-lontaristica.La maggiore attenzione, per la dimensione quan-titativa e rilevanza sociale, va rivolta ai fondi in-tegrativi e alle loro prospettive di sviluppo.I fondi sanitari integrativi rappresentano una ri-sorsa per supportare il Ssn attraverso una più ap-propriata gestione delle risorse private, la cosid-detta spesa out of pocket che rappresenta, in Ita-lia, una quota ragguardevole della spesa comples-siva sanitaria, stimata attorno al 22 – 25%; vale adire non meno di 25 miliardi di euro.Solo una minima parte della spesa privata (15%)è organizzata attraverso forme di assicurazioni pri-vate e organizzazioni mutualistiche, fondi inte-grativi; l’altra componente si rivolge al mercatosenza alcuna capacità negoziale.Circa gli iscritti ed assistiti ai principali fondi sa-nitari italiani si riportano i dati (evoluzione 1998-2008) elaborati dal Censis nel 2010 (tab. 5).

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La sanità integrativa è destinata a crescere, so-prattutto, sotto la spinta della contrattazione col-lettiva e dei bisogni dei cittadini di disporre di ri-sposte personalizzate, ma soprattutto tempestivee di qualità.Oggi la ripartizione della spesa sanitaria privatain Italia, secondo un’elaborazione Saniteia su da-ti Istat 2008, è suddivisa secondo la ripartizionedella figura 6.La long term care che oggi non trova, soprattut-to nelle Regioni del Centro Sud, adeguata co-pertura pubblica dovrebbe costituire una dellearee assistenziali di sviluppo dell’assistenza inte-grativa. L’obiettivo dovrebbe essere la contratta-zione collettiva e le formule incentivanti, l’allar-gamento della mutualità integrativa alla più am-pia platea degli aventi titolo.Andrebbero “soppesati” a riguardo costi e bene-fici per lo Stato di una ulteriore incentivazione,anche fiscale, delle forme predette, che con la lo-

ro diffusione consentirebbero un maggior “con-trollo fiscale” sulle prestazioni e un conseguenteincremento del gettito.La disciplina necessita di un completamento siasulle regole di governance, sia sulla strutturazio-ne di un organo di vigilanza sull’operato dei fon-di, a garanzia di trasparenza e correttezza gestio-nale.

TESI PER UNA RINNOVATA POLITICASULLA NONAUTOSUFFICIENZAL’Italia deve oggi affrontare con sollecitudine unarivisitazione complessiva della materia, che in unapproccio globale, disciplini la dimensione assi-stenziale (sanitaria e sociale) e gli aspetti connes-si di natura fiscale e previdenziale.È indispensabile, infatti, definire una “cornice”nazionale delle politiche socio-sanitarie (Psn 2011– 2013), dei livelli di integrazione tra soggetti isti-tuzionali (Regioni - Asl - Comuni), tra mondi

TABELLA 5 - Iscritti e assistiti ai principali fondi sanitari italiani anni 1998 - 2008

Anni Iscritti Assistiti1998 657.962 1.436.2082004 3.570.000 4.900.0002008 6.396.700 11.145.112

Var.% 1998-2008 872,2 676,0Var.% 2004-2008 79,2 127,5

Fonte: Carla Collicelli, Fondazione Censis Milano, Previmedical, Milano 6 luglio 2010

FIGURA 6 - La ripartizione della spesa sanitaria privata in Italia

Fonte: Guzzanti E, L’assistenza primaria in Italia dalle condotte mediche al lavoro di squadra. Edizioni iniziative sanitarie,2009 - pag.953

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professionali, tra pubblico e privato non profit, inuna prospettiva di promozione della sussidiarietàorizzontale.A tale scopo si offrono una serie di spunti di ri-flessione sulle peculiarità del nostro sistema so-cio-sanitario in cui si ritiene urgente intervenireper garantire nel prossimo futuro politiche rigo-rose e di qualità a favore, in particolare, degli an-ziani in condizione di bisogno socio-sanitariocomplesso.

Innovazione nei modelli erogativi dei servizi�Rafforzamento del Distretto socio sanitario co-me “cabina di regia” della rete dei servizi terri-toriali, punto d’incontro degli attori istituzio-nali, professionali, del terzo settore;

�Predisposizione dell’”Atto specifico di Pro-grammazione Integrata”, previsto dall’articolo9 del Patto per la Salute 2010-2012, finalizza-to a favorire i processi di deospedalizzazione ela dotazione dei posti letto e di residenzialità,di semi residenzialità e l’organizzazione del-l’assistenza domiciliare. Il programma citato,dovrà avere l’obiettivo primario del supera-mento del grave divario Nord–Sud nell’offer-ta dei servizi extra ospedalieri per la non au-tosufficienza;

�Promozione di strutture residenziali per anzia-ni secondo standard qualitativi e dimensionalieuropei, in particolare Residenze Sanitarie As-sistenziali, in grado di fornire adeguate risposteassistenziali, sociali e sanitarie, ad un’utenza sem-pre più complessa nel quadro clinico;

�Favorire, attraverso gli strumenti programmato-ri regionali, la riconversione dei piccoli ospeda-li in strutture “intermedie” (hospice, ospedali dicomunità, dimissioni protette verso nuclei diRSA, ecc…), rivolte ai pazienti post acuti par-ticolarmente impegnativi;

�Attivazione in ogni Distretto, in collaborazionecon la rete dei medici di medicina generale, del-l’assistenza domiciliare più avanzata (Adi), arti-colata su più livelli (Infermieristico, riabilitati-vo, Adimed/terminalità), in grado di soddisfare

le diverse tipologie di utenza. Il servizio dovràgarantire in un prossimo futuro la copertura nel-le 24 ore su 7 giorni;

�Promozione e riconoscimento della figura delcaregiver familiare e di ogni forma di sussidia-rietà orizzontale;

�Attivare strumenti e processi per la “regolariz-zazione” delle assistenti familiari, la loro forma-zione e integrazione nella rete dei servizi.

Azioni per la sostenibilità del sistema di LongTerm Care�Modifica dei Lea con trasferimento di funzionie risorse dall’ambito ospedaliero al territorio, al-le non autosufficienze, alla domiciliarietà, nel ri-spetto dei costi standard dei macro livelli assi-stenziali;

�Sviluppo dei fondi integrativi, principalmenteattraverso la contrattazione collettiva e l’incen-tivazione fiscale, al fine di allargare la platea deibeneficiari;

�Disciplina della compartecipazione alla spesa,anche nelle cure domiciliari, secondo criteri diequità e tutela sociale;

�Favorire iniziative e progetti di sostegno dellepolitiche di invecchiamento attivo e “medicinad’iniziativa”.

Riforma delle erogazioni monetarie�Revisione dell’attuale assetto dell’indennità diaccompagnamento: si propone il trasferimen-to delle competenze dal livello centrale a quel-lo regionale, finalizzata alla gestione integra-ta delle risorse al livello più prossimo al citta-dino;

�L’accesso all’indennità di accompagnamentodovrà essere uniforme sul territorio, correla-to alle condizioni economiche del beneficia-rio. L’indennità va differenziata su vari livel-li monetari in ragione della gravità della dis-abilità.

Promozione della sussidiarietà e terzo settore� I principi di sussidiarietà trovano esplicito ri-

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LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

ferimento nella nuova formulazione dell’art.118 della Costituzione: “… Stato, Regioni,Città metropolitane, Province e Comuni fa-voriscono l’autonoma iniziativa dei cittadi-ni singoli ed associati, per lo svolgimento diattività di interesse generale sulla base di prin-cipi di sussidiarietà.”. Il quadro nazionale diriferimento va completato con l’adozione di

normative e di indirizzi regionali attuativi.

Disabilità, non autosufficienza e tecnologie� Il piano sanitario di sanità elettronica va inte-grato con un programma per la diffusione del-la telemedicina, della ricerca tecnologica a sup-porto della disabilità e monitoraggio-assistenzaa domicilio del paziente.

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L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia: evoluzioni e prospettive

Negli Stati Uniti,The American Reco-very and Reinvestment Act of 2009(ARRA) ha autorizzato un finan-ziamento di 1,1 miliardi di dollari

per la “Comparative Effectiveness Research”1 conlo scopo di comparare i benefici ed i rischi deidifferenti interventi e delle strategie per preveni-re, diagnosticare, trattare e per il monitoraggiodelle condizioni di salute “in real world settings”.Scopo di tale ricerca è quello di migliorare l’ef-ficacia e l’appropriatezza delle prestazioni, delleprocedure e dei servizi sviluppando e dissemi-nando informazioni “evidence-based” ai pazien-ti, ai clinici e agli altri decisori, così che si evi-denzino gli interventi più efficaci e più adatti aisingoli pazienti nelle specifiche circostanze in cuisi trovano.Gli interventi si riferiscono ai farmaci, alle pro-cedure, ai dispositivi e alle tecnologie mediche,alla diagnostica e alla organizzazione e gestionedei servizi sanitari.Tale ricerca richiede lo sviluppo, l’espansione el’uso di una varietà di fonti informative e di me-todi capaci di valutare la “comparative effecti-veness”, nonché di divulgare ampiamente i ri-sultati.L’Agenas, seguendo concetti, metodologia e in-dicatori che bene si inquadrano nell’analoga ini-ziativa in corso negli Stati Uniti, ha condotto una

ricerca riguardante tre Aziende sanitarie locali edue Società della salute appartenenti a 3 Regio-ni italiane, avvalendosi di una metodologia inno-vativa che ha permesso l’utilizzo e la lettura con-giunta dei dati relativi al periodo 1 luglio 2010 –30 giugno 2011, derivanti dai flussi informatividel Nsis riguardanti l’assistenza ospedaliera, l’A-di, l’assistenza residenziale e semiresidenziale.I risultati ottenuti sono importanti, perché indu-cono a riflettere sui ritardi accumulati in alcunisettori del Ssn, e su ciò che è ormai indifferibilerealizzare per renderlo più efficace, centrato suibisogni delle persone espressi nelle singole co-munità e capace di sostenere l’effetto del progressoscientifico e sociale.Entrando nel dettaglio, destano perplessità alcu-ni riscontri:1) le notevoli diversità rilevate negli ambiti geo-grafici oggetto della ricerca, sono comprensi-bili negli Stati Uniti, non a caso definiti un“non sistema” per la estrema eterogeneità diun gran numero di committenti e di erogato-ri, ma questa non dovrebbe essere la caratteri-stica di un Ssn;

2) il dato riguardante gli accessi mensili degli in-fermieri nell’Adi, confermerebbe il dato uffi-ciale che attribuisce a ciascun assistito nell’an-no solo 25 ore di assistenza, in grande mag-gioranza svolta da infermieri, un dato impos-

1 Fonte: US Department of Health and Human Services. Report to the President and the Congress, June 30, 2009.

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L’ASSISTENZA AGLI ANZIANINON AUTOSUFFICIENTI IN ITALIA:EVOLUZIONI E PROSPETTIVE

di Elio GuzzantiDirezione Scientifica IRCCS “Oasi” -Troina (En)

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sibile da paragonare rispetto ad altri Paesi in-dustrializzati;

3) degli assistiti nei servizi residenziali, in un an-no di presa in carico vengono ricoverati inospedale il 3,8% nelVeneto (DM 0,8 giorni),il 4,5% inToscana (DM 1 giorno), il 15,3% inLombardia (DM 2,5 giorni);

4) tra gli assistiti a domicilio, nel periodo conside-rato sono stati ricoverati inToscana il 25% (DM3,8 giorni), in Lombardia il 35,5% (DM 13,5giorni), inVeneto il 50% (DM 7,5 giorni);

5) gli assistiti a domicilio, considerando gli acces-si con codice triage bianco o verde, hanno ef-fettuato accessi impropri al PS nel 21,6% deicasi in Lombardia, nel 23,1% nelVeneto e nel48,7% inToscana;

6) la percentuale di persone istituzionalizzate pre-se in carico in strutture residenziali per dementiè stata 1,4 in Lombardia, 3,4 inToscana, 25 nelVeneto, così dimostrando che questo grandeproblema clinico, assistenziale e, soprattutto, so-ciale e familiare, è ben lungi dall’essere affron-tato in modo accettabile.

A tale riguardo, occorre aggiungere che la ricer-ca Agenas, avendo come obiettivo “la presa in ca-rico di persone con bisogni socio-sanitari com-plessi”, seppur in questo momento limitata perragioni contingenti e relative alla disponibilità deidati ad una fascia di età ben precisa, dovrebbe ne-gli sviluppi futuri essere estesa a tutti i soggetti tu-telati dalla Legge n.18 del 3 Marzo 2009 “Rati-fica ed esecuzione della Convenzione delle Na-zioni Unite sui diritti delle persone con disabili-tà, con Protocollo opzionale, fatta a NewYork il13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorionazionale sulla condizione delle persone con di-sabilità”.Allo stato attuale, in Italia poco o nulla si cono-sce dei problemi che vanno ponendo, e con ca-ratteristiche particolari, le persone di età inferio-re ai 65 anni, benché risulti che esse pesano per

circa il 33% sui costi della long term care.Nel 2008 i Comuni italiani hanno destinato agliinterventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 mi-lioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil.Della spesa sociale, il 38,7% è assorbita dai servi-zi di supporto ai cittadini, il 34,5% al funziona-mento delle strutture e il 26,8% (pari a 1.785.416)è destinato a trasferimenti in denaro2.I Comuni gestiscono singolarmente il 75% dellaspesa sociale e il 25% in forma associata tra Co-muni. Alle Asl è affidata la gestione del 31% del-la spesa sociale inVeneto, del 15% inToscana, del7% in FriuliV.G. I Comuni del Nord-Est spen-dono 155 euro per abitante, nel Nord-Ovest 129,nel Centro 126, nelle Isole 95, nel Sud 52.La spesa per i disabili è di 1 miliardo e 408 mi-lioni di euro, una media di 2500 euro pro capitel’anno (che passa da 658 euro al Sud ai 5075 delNord-Est), che comprende l’assistenza domicilia-re a 37 mila disabili, come tali considerando lepersone di età superiore ai 6 anni ed inferiore ai65 anni che vivono in famiglia, ed escludendo iresidenti nei presidi assistenziali socio-sanitari.La spesa per gli anziani ammonta a 1 miliardo e400 milioni di euro (che passa dai 59 euro del Suda 165 nel Nord-Est), e comprende l’assistenza do-miciliare sociale a 191 mila anziani, cioè all’1,6%del totale degli anziani.Vanno considerate, inol-tre, le quote pagate dagli assistiti (933 milioni dieuro) e la partecipazione del Ssn per 1 miliardoe 116 milioni di euro, per un totale complessivodi 8 miliardi e 712 milioni di euro. Il Ssn nel 2008è stato finanziato per circa 100 miliardi di euro.Nel documento dei Comuni non vengono for-niti dati circa il personale che assicura gli inter-venti e i servizi sociali citati.L’Assistenza domiciliare integrata nel 2006 ha presoin carico 414.153 persone, delle quali 62.511(12,2%) di età inferiore a 65 anni, e 351.201 di65 anni e oltre, pari al 3% del totale della popo-lazione anziana.

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2 Fonte: Istat: L’indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni.Anno 2005.http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20080626_00/testointegrale20080626.pdf

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L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia: evoluzioni e prospettive

Nei Presidi residenziali socio-sanitari nel 2005 sonostati ospitati 229.628 anziani, pari al 2% delle per-sone di 65 anni e oltre residenti in Italia, un nu-mero inferiore alla media di altri Paesi europeicome l’Inghilterra (5,44%, anno 2005) e la Ger-mania (4,54% anno 2003) o rispetto a quella de-gli Stati Uniti (4,76%, anno 2004).Tra il 1995 e il 2006 in Italia:� i posti letto ospedalieri sono diminuiti da330.556 a 257.137 (-22%);

� le persone di 65 anni e oltre sono aumentate da9.401.072 a 11.760.958 (+25,1%).L’Institute of Medicine nel 20093, nell’indivi-duare le priorità dei temi da sviluppare per laComparative Effectiveness Research, ne ha conside-rate 100 sulle quali svolgere 293 progetti di ri-cerca, e le più importanti le ha espresse nell’or-dine indicato nella tabella 1.In particolare, poi, una raccomandazione è statafatta per lo studio delle malattie rare.Dal National Institutes of Health UndiagnosedDiseases Program4, iniziato nel maggio 2008, èemerso che circa la metà dei pazienti ha proble-mi neurologici, il 40% è costituito da giovani nel-l’età evolutiva e il 60% è rappresentato da donne,che raggiungono il 70% della casistica che com-prende anche le persone di età compresa tra i 30e i 60 anni.Una delle fondamentali conclusioni finora emer-se dal programma è che il cervello rappresenta lanuova frontiera della medicina, visto che il nu-mero di pazienti con problemi neurologici è cir-

ca pari al totale dei pazienti attribuibili a tutte lealtre branche specialistiche.L’altra conclusione riguarda il rapporto tra i me-dici e i pazienti e le loro famiglie, quest’ultimiparticolarmente sensibili e riconoscenti quandoi medici mostrano impegno professionale ed uma-no verso di loro, quale che sia la diagnosi.La Costituzione dell’Organizzazione Mondialedella Salute (agenzia tecnica delle Nazioni Uni-te) adottata nel 1946, dichiara che la salute è unostato di completo benessere fisico, mentale e so-ciale e non consiste solamente nell’assenza di ma-lattia o di infermità e che il possesso del migliorstato di salute che egli è in grado di raggiungerecostituisce uno dei diritti fondamentali di ogniessere umano.La Costituzione della Repubblica Italiana, entra-ta in vigore il 1 gennaio 1948, dichiara che la Re-pubblica tutela la salute come fondamentale di-ritto dell’individuo e interesse della collettività.Da tutto ciò consegue che la prevenzione, la cu-ra e la riabilitazione vanno considerate in modounitario e continuo, e che tutta la medicina di-venta preventiva, sia pure operativamente distin-ta in tre fasi5.Vi è, infatti, la prevenzione “primaria” che miraad individuare e combattere tutte le condizioni epossibili cause di malattia che derivano dall’am-biente fisico, biologico e sociale, un compito svol-to da decenni dalla Sanità Pubblica, con la parte-cipazione dei medici condotti in funzione di uf-ficiali sanitari.

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TABELLA 1 - Priorità dei temi da sviluppare per la “Comparative Effectiveness Research”

La organizzazione dell’assistenza sanitaria 50Le disparità razziali ed etniche 29Le limitazioni funzionali e le disabilità 22Le malattie cardiovascolari 21La geriatria 21I disordini psichiatrici 17I disordini neurologici 17La pediatria 16

3 Fonte: Igleart JK. Prioritizing Comparative Effectiveness Research: IOM Recommendations. N Engl J Med 2009:361:325-327.4 Fonte: Gahl A,Tifft C.“The NIH Undiagnosed Diseases Program”. JAMA,May 11, 2011;305:1904-1905.5 Fonte:Guzzanti E. La Medicina Preventiva: collegamento tra servizi ospedalieri e di territorio.Atti delleVI Giornate su “L’Ospedale in Italia”. Istituto Italiano di Medicina Sociale. Roma, 1977.

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L’evoluzione nel tempo della demografia, dell’e-pidemiologia e della medicina richiedono oranuove conoscenze,metodi e mezzi di prevenzio-ne primaria,ma richiedono soprattutto la forma-zione in medicina generale, che non è la medici-na interna.Per essere un buon medico che tutela la salute,ancora prima che curare la malattie, si devono co-noscere i comportamenti, gli atteggiamenti e i va-lori della popolazione e si deve saper comunica-re con le persone affinché cambino consapevol-mente il loro atteggiamento verso i problemi del-la salute.Recuperando, infatti, lo spirito del medico con-dotto, ma non più isolato perché coadiuvato dainfermieri e da altre figure sanitarie e sociali, ilnuovo medico di medicina generale, operante incentri di sanità o case della salute dove collaboracon altri colleghi, oltre ad orientare positivamentele persone assistite verso la pratica della preven-zione primaria, è anche in grado di ottenere laconsapevole adesione alla prevenzione seconda-ria dei fattori precursori delle malattie e/o dellecondizioni morbose già presenti ma ancora asin-tomatiche.La rinnovata medicina di famiglia, in collabora-zione con gli ospedali, svolge altresì un ruolo de-terminante nella prevenzione terziaria, impeden-do o limitando l’evolvere delle condizioni croni-che verso le ricadute, le recidive, le comorbiditàe le disabilità.La riforma sanitaria che verrà non si può limita-re a modificare gli assetti istituzionali, ma deveproporre un cambio di paradigma, cioè un orien-tamento verso la “prevenzione in medicina”, va-le a dire un atteggiamento attivo e di contrastoche lotta fino all’ultima spiaggia.Nel 1978, dapprima la legge 180 abolisce gliospedali psichiatrici e affida la tutela della salu-te mentale ai Dipartimenti di Salute Mentale,che operano nelle comunità, da cui dipendonoi Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC)da istituire presso alcuni ospedali generali, macon un numero limitato di posti letto, per i trat-

tamenti sanitari obbligatori ed altre particolariemergenze.Quindi la legge 194 provvede alla tutela socialedella maternità e l’interruzione volontaria dellagravidanza, con effetti sugli ospedali e sui con-sultori familiari.Dal 6 al 12 settembre 1978 si tiene al Alma-Ata(Kazakistan, allora parte dell’Urss) una Confe-renza promossa dall’Oms che si chiude con unaDichiarazione, nella quale si afferma il principiodella essenzialità della Primary health care perchéin tutte le comunità del mondo si possa realizza-re l’equità, l’accessibilità e la sostenibilità per latutela della salute.Considerata da molti una Dichiarazione validasolo per i Paesi in via di sviluppo, in Italia, inve-ce, sembra trovare un degno accoglimento.La legge 23 dicembre 1978, n. 833, che ha isti-tuito il Servizio sanitario nazionale, disponeva che:�La legge dello Stato, in sede di approvazione delPsn, fissa «i livelli delle prestazioni sanitarie chedevono essere, comunque, garantite a tutti i cit-tadini».

�Con D.P.R., sono gradualmente unificate, neitempi e nei modi stabiliti dal Psn, le prestazionigià erogate dai disciolti enti mutualistici, dallemutue aziendali e dagli enti, casse, servizi e ge-stioni autonome degli enti previdenziali.

�Alla gestione unitaria della tutela della salute siprovvede in modo uniforme nell’intero territo-rio nazionale con una rete completa di Usl chesi articolano in distretti sanitari di base, qualistrutture tecnico-funzionali per l’erogazione deiservizi di primo livello e di pronto intervento.

�Gli enti ospedalieri sono sciolti (e con essi i con-sigli dei sanitari) e i relativi presidi diventano sta-bilimenti delle Usl di riferimento. Gli ospedalisono ordinati in dipartimenti, per l’integrazio-ne delle competenze tra specialità affini e com-plementari, anche attraverso il lavoro di grup-po e per il collegamento tra servizi ospedalieried extra-ospedalieri.Negli anni ’80 l’istituzione dei “distretti sanitaridi base”, definiti dalla legge 833 del 1978 come

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“strutture tecnico-funzionali per l’erogazione deiservizi di primo livello e di pronto intervento”5

era ritenuta come prioritaria ed urgente, oggi in-vece è la loro funzione di governance del terri-torio a dover essere supportata.L’assistenza sanitaria primaria deve essere intesacome il complesso delle attività e delle prestazio-ni sanitarie e socio-sanitarie dirette alla preven-zione, al trattamento delle malattie e degli inci-denti di più larga diffusione e di minore gravitàe delle malattie e disabilità ad andamento croni-co, quando non necessitano di prestazioni spe-cialistiche di particolare complessità clinica e tec-nologica6.Dal punto di vista organizzativo, la medicina dibase nella moderna concezione si differenzia dal-la tradizionale figura del medico “solista” perchéil medico di medicina generale ed il pediatra do-vranno essere affiancati da un gruppo di altre fi-gure professionali sanitarie, e dovranno avere lapossibilità di un facile e pronto riferimento ad al-cuni specialisti, in particolare l’ostetrico-gineco-logo, il cardiologo, lo psichiatra e l’odontoiatra.Se a tutto ciò si aggiunge la possibilità che per-sonale dipendente da altri enti od organismi, qua-li assistenti sociali e gli addetti ai servizi di assi-stenza domiciliare, possa essere inserito in pro-grammi congiunti di azione verso gli individuied i gruppi vulnerabili ed a rischio, ecco com-pletarsi la fisionomia del distretto che è la vera es-senza della riforma sanitaria.La medicina di base e quella ospedaliera non pos-sono isolatamente risolvere i complessi problemisanitari di una società moderna e, perciò, ricono-sciuta la complementarità dei rispettivi ruoli, de-vono stabilire delle forme di collaborazione trauna medicina di base, da organizzare, ed una me-dicina ospedaliera, da rivedere nel suo ruolo e nel-le sue funzioni.Il Servizio sanitario nazionale, infatti, ha bisognodi un nuovo modello culturale, ancor prima cheorganizzativo, di cui la medicina di base e quella

ospedaliera rappresentano le due metà tra lorocomplementari ed indissolubili.Nel 1999 con d.lgs n. 300, il Ministero della sa-nità viene denominato “Ministero della salute” equesto lascia ben sperare che, oltre ad adeguarsiai termini health e santé, che sin dalla Costitu-zione adottata nel 1946 caratterizzano l’agenziatecnica delle Nazioni Unite per la tutela della sa-lute con gli acronimiWho/Oms, ci si sta diri-gendo verso un modello di tutela della salute cheha carattere “proattivo”. Infatti, anzitutto pro-muove la salute con l’informazione e la forma-zione delle persone, impegnandole in stili di vitasani e dissuadendoli da comportamenti nocivi asé e agli altri; poi previene i fattori di rischio co-nosciuti e le malattie già presenti, ma asintoma-tiche; quindi diagnostica e cura le patologie pre-senti, acute e croniche; se necessario riabilita lefunzioni menomate a causa di malattie o infor-tuni; nei casi necessari, fornisce l’assistenza pal-liativa.Da qualche tempo, però, si è cominciato a parla-re di “cure primarie”,“cure palliative”, ecc., espres-sioni che contrastano con la terminologia uffi-ciale dei tre Livelli di assistenza (Lea):l’Assistenza collettiva e sanità pubblica, l’Assistenzadistrettuale e l’Assistenza ospedaliera.La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha devolutol’assistenza sanitaria alle Regioni, ma nel quadrodei Lea stabiliti dallo Stato e sempre consideran-do i tre Lea tra loro integrati, come emerge anchedal Patto per la salute per gli anni 2010-2012.TheWorld Health Report 2008 dellaWho è dedi-cato al 30° anniversario della dichiarazione di Al-ma-Ata e porta il significativo titolo: “PrimaryHealth Care: Now more than ever”.Si sostiene nel rapporto che, di fronte al mutaredella demografia e della epidemiologia e in pre-senza di nuove condizioni economiche e socialiche con il loro mutare creano diseguaglianze trai Paesi e all’interno degli stessi, occorre una nuo-va configurazione della assistenza sanitaria, trop-

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6 Fonte: Guzzanti E, Longhi T. Medicina di base e medicina ospedaliera. Federazione Medica 1985; 9:1005-1011 (editoriale).

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po sbilanciata verso l’assistenza ospedaliera e fo-calizzata sulle specializzazioni, le tecnologie e glispecifici problemi di singole malattie.Occorre quindi rivalutare la Phc che è una con-dizione necessaria, anche se non sufficiente, pergarantire alle singole comunità la tutela della sa-lute in condizioni di equità.Gli orientamenti della programmazione nazio-nale sono rivolti proprio in questa direzione.

BOZZA DI PIANO SANITARIONAZIONALE 2011-20137:Centralità delle cure primarieIn un contesto fortemente orientato verso il sa-pere specialistico vi è la necessità di una visioneintegrata ed olistica dei problemi di salute, dellesingole persone e della comunità a cui esse affe-riscono.Tale compito è affidato anche alle cure primarie, inparticolare alla medicina generalista e alle altre com-ponenti dell’assistenza convenzionata, in una logi-ca di rete. I principali obiettivi ad esse affidati sono:�promuovere il benessere e affrontare i principa-li problemi di salute della comunità.

�prendere in carico i pazienti in modo globale ecompleto.

� sviluppare le competenze e valorizzare il ruo-lo del personale infermieristico.

� favorire la continuità assistenziale.�concorrere ai processi di governo della domanda.�misurare il mantenimento e il miglioramento del-lo stato di salute del singolo e della comunità.

� favorire l’empowerment dei pazienti.Le cure primarie sono riconosciute nelle strate-gie aziendali, nelle quali viene affidata al distret-to la governance del sistema per l’erogazione di li-velli appropriati.

Continuità delle cure ed integrazioneospedale territorioPer gli assistiti che vengono dimessi dall’ospeda-le e presi in carico sul territorio, la continuità del-

le cure deve essere garantita, già durante il rico-vero, da un’attività di valutazione multidimen-sionale che prenda in esame sia le condizioni cli-niche sia quelle socio assistenziali del paziente aifini di definire, in accordo con il Mmg e duran-te il ricovero stesso, il percorso più idoneo in rap-porto ai servizi esistenti.Anche nella gestione delle cronicità il Mmg è ilprincipale riferimento e corresponsabile di unagestione integrata del percorso diagnostico tera-peutico più appropriato per il paziente.La gestione della cronicità può prevedere un’or-ganizzazione territoriale che comprenda la pos-sibilità di disporre di posti letto territoriali/serviziresidenziali gestiti da Mmg e personale infermie-ristico, all’interno di apposite strutture di cura in-termedie, e al contempo percorsi dedicati per ilricovero ospedaliero.Il Punto Unico di Accesso (PUA) è una modali-tà organizzativa che facilita la collaborazione e ilcoordinamento tra le componenti, pubbliche enon, sanitarie e sociali impegnate nel percorso dicura sanitario per:�pazienti post-acuti dimessi dall’ospedale che cor-rono rischi elevati se non vengono loro assicuratele necessarie competenze cliniche ed infermieri-stiche, in una struttura dedicata o a domicilio;

�pazienti cronici, stabilizzati sul territorio, che ri-chiedono l’assistenza di team multidisciplinaripresso il domicilio del paziente o in una strut-tura protetta;

�pazienti cronici in buone condizioni di salute, ilcui monitoraggio si effettua nel loro domicilio,educandoli alla collaborazione attiva per l’auto-cura.La gestione della cronicità richiede la definizio-ne di una rete assistenziale che integra le variecomponenti istituzionali e non, può avvalersi diposti letto territoriali/servizi residenziali gestitida Mmg e personale infermieristico, anche in qua-lità di case manager,ma anche delle famiglie, del-le associazioni, delle istituzioni profit e non pro-

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7 Documento approvato dalla Conferenza Unificata il 22 Settembre 2011, in fase di ridefinizione.

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fit, in altre parole il ricchissimo capitale socialeche caratterizza moltissime realtà locali italiane.

Il volontariatoIl mondo del volontariato e del terzo settore ècostituito da una pluralità di enti e di organizza-zioni che, pur essendo molto diverse tra loro, so-no accomunate dalla finalità di contribuire allarealizzazione del pubblico interesse, la tutela del-la salute nel suo significato più ampio.Il ruolo svolto dai soggetti della società civile nel-l’ambito della tutela della salute e del sistema in-tegrato dei servizi sociali è di straordinaria im-portanza, in particolare per la umanizzazione delservizio e per le istanze etiche di cui è portatore,con effetti innovativi nel Ssn.In questa prospettiva il volontariato nelle sue di-verse espressioni, diventa fondamentale strumen-to di integrazione al sistema pubblico, in attua-zione del principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.).Il coinvolgimento dei familiari e del volontaria-to nei percorsi sanitari è l’elemento essenziale perpermettere al paziente di esprimere la propria opi-nione per i servizi erogati.Occorre consentire al mondo del volontariato edel terzo settore di effettuare interventi non par-cellizzati, ma sinergici e coordinati con le attivi-tà delle istituzioni.

IL PATTO PER LA SALUTE 2010-2012Il Patto per la Salute, sancito il 3 dicembre 2009per gli anni 2010-2012 tra lo Stato, le Regioni ele P.A., prevede, tra l’altro, che i posti letto ospe-dalieri non possano superare 4 ogni mille abitan-ti, comprensivi dello 0,7 per la riabilitazione e lalungodegenza post-acuzie, con il conseguenteadeguamento delle dotazioni organiche.Le norme attuali, infatti, impongono alle Regio-ni di non superare per il personale sanitario la spe-sa registrata nel 2004, diminuita dell’1,4% per cia-scuno degli anni che vanno dal 2007 al 2012.Poi-ché nel 2009 la popolazione consisteva di

60.340.328 unità sui circa 241 mila posti lettoconsentiti è prevedibile che i ricoverati in condi-zioni gravi, critiche, con pluripatologie e instabi-li, rappresentino un carico tale da rendere im-probabile che una dotazione organica in ridu-zione possa farsi carico anche dell’assistenza di-strettuale.D’altro lato, lo stesso Patto per la salute, al fine difacilitare i processi di deospedalizzazione, stabili-sce l’obbligo per le Regioni di un atto di pro-grammazione integrata dei posti letto di residen-zialità e semiresidenzialità e l’organizzazione del-l’assistenza domiciliare per i pazienti anziani e glialtri pazienti non autosufficienti.

LE “LINEE DI INDIRIZZO” DELLE REGIONIPER IL CONFRONTO CON IL GOVERNO(FEBBRAIO 2012)Le linee di indirizzo oggetto di confronto tra Sta-to e Regioni riprese dal nuovo Patto per la salu-te per gli anni 2013-2015 ancora in fase di dis-cussione sono:1. Cure primarie con lo sviluppo di forme asso-ciative complesse.

2. Sviluppo delle reti che permettano una mag-giore presa in carico dei cittadini, soprattuttocon riferimento alla cronicità e alla non auto-sufficienza.

3. Forte integrazione con il sistema socio-sanitario.4. Nuove regole per i piani di rientro delle Re-gioni in disavanzo per assicurarne l’efficacia dalpunto di vista della qualità dei servizi e del go-verno della spesa.

5. Garanzia di investimenti adeguati per poter so-stenere le innovazioni e l’ammodernamentotecnologico delle strutture.

Il Gruppo Indipendente per lo Studio dell’AssistenzaPrimaria (GISAP)8, con un proprio contributo, hainteso confermare quanto in Italia è stato scritto eprescritto per l’affermazione della Assistenza Pri-maria nell’ambito dei Distretti, sostenendo che so-lo una rivalutazione,normativa,professionale ed or-

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8 Fonte: Guzzanti E. et al. L’Assistenza Primaria in Italia: dalle condotte mediche al lavoro di squadra. Edizioni Iniziative Sanitarie, Roma 2009.

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ganizzativa, della medicina generale, della pediatriadi libera scelta e della continuità assistenziale potràrendere più stabile e sostenibile il malfermo assettoattuale del Servizio sanitario nazionale (tab. 2).I libero professionisti operanti in convenzione nelterritorio, riorganizzati nelle loro modalità di la-voro, con un impegno più significativo in termi-ni di partecipazione oraria e di collaborazione in-terprofessionale e pluridisciplinare, possono rea-lizzare in Italia quanto ha ribadito laWho nel2008.

PAZIENTI AD ALTO GRADO DI TUTELA9

Nell’ambito delle patologie, ce ne sono alcunedi grande rilevanza medica e sociale in quanto:�generano situazioni di disabilità gravissima e non

emendabile ad andamento cronico, di cui spes-so non sono noti i meccanismi patogenetici chele scatenano né si dispone di mezzi terapeuticicapaci di debellarle o, almeno, di arrestarne ilprocesso degenerativo;

�hanno un devastante impatto psicologico ed ope-rativo sulle famiglie chiamate a farsi carico dioneri, anche economici, inversamente propor-zionali all’offerta assistenziale del servizio pub-blico;

� sono responsabili di elevati costi complessivi diassistenza contenibili solo attraverso una rispostadel sistema sanitario coordinata ed efficiente;

� sollevano nuove complesse e delicate questionietiche con cui le Istituzioni ed il Paese tutto so-no chiamati a confrontarsi.

TABELLA 3 - Professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione

Infermiere 314.000 Assistente sanitario 8.600Infermiere pediatrico 10.000 Tecn. prev.Amb. e lavoro 30.000Ostetrica 15.500 Tecnico laboratorio 30.000Fisioterapista 40.000 Tecnico radiologia 21.000Logopedista 8.000 Dietista 3.000Ortottista 3.000 Igienista dentale 2.200Podologo 1.200 Tecnico audiometrista 1.200Tecn. riabilitaz. Psichiatrica 3.000 Tecnico audioprotesista 2.500Terap.Neuro età evolutiva 1.500 Tecnico neurofisiopatologia 1.500Terap.Occupazionale 1.000 Tecnico ortopedico 3.000Educatore professionale 25.000 Tecnico fisiop.Cardiocirc. 3.000

Il totale di professionisti sanitari (esclusi medici e chirurghi odontoiatri) è pari 369.100 su 22 profili professionaliIl totale dei Medici chirurghi e odontoiatri è pari a 370.374

TABELLA 2 - Assistenza Distrettuale

Medici di medicina generale 45.626 Distretti 742Pediatri di libera scelta 7.389 DSM 179Medici di continuità assistenziale 15.013 SERT 545Medici dell’emergenza territoriale 3.445 Farmacie 17.524

di cui 1.412 pubblicheMedicina dei servizi 2.164 Riab. ex art. 26 775

(27.486* posti r.)Medici specialisti 13.453 Res. psichiatr. 1.552

(17.101* posti r.)Altre professionalità 584 Res. anziani 4.516

(227.315* posti r.)Farmacisti 45.000TOTALE 122.624 TOTALE 271.902

N.B. I dirigenti sanitari del SSN sono 114.794 di cui 110.904 medici (85%)

9 Fonte: Piano Sanitario Nazionale 2011-2013: documento approvato in Conferenza Unificata del 22 settembre 2011.

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Le patologie in questione riguardano in parti-colare:�pazienti in stato vegetativo e di minima co-scienza;

�pazienti affetti da malattie neurologiche dege-nerative ed invalidanti;

�pazienti affetti da demenza.L’efficiente coordinamento delle tante figure pro-fessionali coinvolte nel contrasto a queste dram-matiche patologie è possibile solo realizzando unarete integrata di servizi sanitari e sociali, nella qua-le preziose sono le figure dei Mmg e dei Pls nonsolo nell’iniziale ruolo diagnostico e di correttoindirizzo del paziente presso le strutture da coin-volgere, ma soprattutto nel loro ruolo di inter-faccia tra paziente, famiglie e strutture operative,dai Centri di Alta Specializzazione fino al terri-

torio, garanti dell’efficacia, qualità, tempestivitàed aggiornamento degli interventi prescritti neiconfronti di chi, dimesso, ritorna presso il suo do-micilio. Superfluo appare il sottolineare quantoimportante, in questo contesto, può essere l’ap-porto del volontariato10.Le tabelle 4 e 5, a dimostrazione dell’ingente in-vestimento nella riorganizzazione dell’assistenzaprimaria in Inghilterra, riportano la spesa in per-centuale del Pil e pro capite di 23 programmi diassistenza delle Primary CareTrust inglesi per glianni 2009-2010.Per una programmazione globale di servizi, pre-sidi e processi assistenziali dovranno essere perse-guite logiche di hub and spoke, rifiutando logichelocalistiche e non disdegnando accordi interre-gionali.

TABELLA 4 - Primary Care Trusts, England, 2009-2010: gross expenditure for 23 programmes (103,97 £ billion)

Mental Health Disorders 11,26 Endocrine,Nutritional and Metabolic Problems 2,89Problems of Learning Disability 3,15 Healthy Individuals 2,11Neurological 4,14 Problems of the Skin 2,08

18,55 Problems ofVision 1,93Problems of Circulation 8,00 Infectious Diseases 1,91General Medical Services/Personal Medical Services 7,70 Disorders of Blood 1,40Cancers &Tumours 5,86 Conditions of Neonates 1,28Problems of the Musculo Skeletal System 4,76 Adverse Effects and Poisoning 1,07Problems of the Genito Urinary System 4,63 Problems of Hearing 0,50Problems of the Respiratory System 4,59Problems of the Gastro Intestinal System 4,58Problems due toTrauma and Injuries 3,74Maternity and Reproductive Health 3,62Social Care Needs 3,50Dental Problems 3,30

10 A tal proposito si richiama il Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 approvato in Conferenza Unificata del 22 settembre 2011 che rileva l’importanza del volontariato quale strumen-to di integrazione al sistema pubblico, in attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà.

TABELLA 5 - Primary CareTrusts, England, 2009-2010: gross expenditure per head of population for selected programmes

Mental Health Disorders 216,73 £Problems of Learning Disability 60,53 £Neurological 79,72 £

356,72 £Problems of Circulation 154,03 £General Medical Services/Personal Medical Services 148,20 £Cancers &Tumours 112,81 £Musculo-Skeletal System 91,52 £Respiratory System 88,42 £Gastro Intestinal System 88,12 £Total Gross Expenditure per head 2009-2010: 2.001,00 £

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epidemiologia indica che nei prossimianni il fenomeno dell’invecchiamentodella popolazione è destinato ad au-mentare. Anche se le dinamiche de-

mografiche ed epidemiologiche non devono con-dizionare in senso pessimistico l’impegno ad in-tervenire in modo adeguato per migliorare la con-dizione vitale delle persone anziane bisognose disupporti, resta come riferimento il recente datopubblicato dall’Istat secondo il quale mantenen-do gli attuali livelli di sopravvivenza nelle varieetà della vita, nei prossimi anni il 50% della po-polazione maschile supererà gli 81 anni e il 25%gli 88. Per il genere femminile il 50% supererà gli86 anni e il 25% i 92. Ovviamente, nelle ultimedecadi abbiamo assistito ad un forte migliora-mento delle coorti, per cui il 90enne di oggi vi-ve in una condizione nettamente migliore rispettoal suo coetaneo di 30-40 anni fa; ma, anche fattigli adeguati aggiustamenti sul piano biologico eclinico, il fenomeno dell’aumento dei molto vec-chi deve richiamare l’attenzione dei programma-tori. Un altro dato, sempre di fonte Istat 2012,deve essere tenuto in considerazione nella pro-spettiva dei servizi per gli anziani; riguarda il gua-dagno di spettanza di vita ottenuto dal 1992 al2011, e cioè 5.4 anni per gli uomini e 3.9 per ledonne. Questo tempo di vita in più è la conse-guenza per il 70% e l’80%, rispettivamente peruomini e donne, del calo della mortalità dopo i45 anni. Ciò significa che il progresso è stato ot-

tenuto con interventi mirati nella vita adulta e an-ziana e tra questi in particolare attraverso un ade-guato supporto fornito dai servizi per le personefragili. Lo scenario quantitativo deve essere com-pletato con ulteriori indicazioni secondo le qua-li oggi sono in atto rilevanti modificazioni del-l’incidenza di alcune malattie dell’età avanzata; adesempio, la demenza presenta un trend impor-tante in questa direzione.Anche se la prevalenzacontinuerà ad aumentare a causa dell’incremen-to della spettanza di vita e quindi della sopravvi-venza di persone ammalate, il fenomeno deve es-sere analizzato con attenzione rispetto all’evolu-zione dei servizi, almeno a medio termine. Peral-tro sembra essere in controtendenza con l’au-mento di malattie quali il diabete, l’ipertensione,arteriosclerosi, ritenute esse stesse fattori di ri-schio di demenza, creando prospettive comples-se che rendono difficile la programmazione e laconduzione dei servizi.Le incertezze sul piano quantitativo indicate pre-cedentemente suggeriscono l’esigenza di spostarel’attenzione dal piano dei numeri a quello della qua-lità e dell’identificazione dello specifico bisogno.Certo, alcuni parametri quantitativi non possonoessere trascurati, ma si deve dare centralità al biso-gno della singola persona, attraverso una precisa va-lutazione della condizione che ha portato alla per-dita dell’autosufficienza e alla situazione attuale, an-che per evitare la comparsa di fattori che ulterior-mente aggravano la vita della persona fragile.

I SERVIZI PER GLI ANZIANILa loro funzione e i rischi di un declino

di MarcoTrabucchiUniversità di RomaTorVergata e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia

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ALCUNE CONSIDERAZIONI DI METODOIn questo scenario particolarmente incerto si col-loca l’attuale difficile condizione economica delPaese, che costringe ad una diffusa riduzione deibudget in area sanitaria, socio-sanitaria e assisten-ziale. Non è questa la sede per valutare le sceltesul piano economico-organizzativo, anche per-ché se ne riconosce l’importanza strategica per ilnostro futuro come nazione. È però necessarioriassumere – seppure schematicamente – il ruo-lo dei servizi per l’anziano fragile e i rischi ai qua-li incorre l’insieme della comunità, se la prote-zione da loro esercitata venisse meno perché nonadeguatamente finanziati; cioè al fine di permet-tere a chi deve compiere scelte difficili di dispor-re di conoscenze per un’adeguata valutazione delrapporto tra costi e benefici (o tra tagli e perdi-te). Sullo sfondo vi è il paradosso di una societàche invecchia assistendo ad una strategia di de-clino dei servizi quando proprio in queste circo-stanze sarebbe necessario uno sviluppo o quantomeno il protrarsi della condizione precedente.Come premessa all’elencare le aree che più di al-tre vedrebbero ridotta la loro funzione a causa ditagli, vanno fatte alcune considerazioni di meto-do. La prima riguarda direttamente la dimensio-ne dei supporti finanziari per i servizi rivolti al-le persone non autosufficienti; non è sempre ne-cessario un impegno di rilevanti dimensioni intermini assoluti, perché in alcune zone del Pae-se basterebbe mantenere l’attuale livello, senza at-tuare tagli, per garantire la continuazione di ser-vizi adeguati.Ovviamente sarebbe necessario re-cuperare l’inflazione. Diversa è la situazione so-prattutto nel Sud, dove sono necessari investi-menti di dimensioni più rilevanti, tenendo con-to della rapidità dell’evoluzione sul piano demo-grafico e sociale, per cui la transizione avvienecon velocità più che doppia rispetto alle aree delNord.Un altra premessa riguarda l’approccio generaleai problemi di servizi per le persone non auto-sufficienti; non devono essere esaminati in unaprospettiva che enfatizza la crisi.Abbiamo gli stru-

menti per affrontare anche le difficoltà di oggi,purché si accettino le sfide e il principio che ilcambiamento è necessario.Molte aree di conser-vazione vanno superate con determinazione, so-prattutto da parte degli operatori. Per ottenerequesti risultati è necessaria una logica di fondoper cui i risparmi hanno un’impostazione bot-tom up; chi si trova a contatto ogni giorno con ilbisogno non solo identifica più facilmente le areedi spreco o di futilità,ma è anche in grado di en-trare nelle aree più delicate, dove il risparmio co-sta in termini di funzionalità, ma può essere ge-stito con il dovuto impegno e con inventiva. Inquesto campo l’introduzione delle tecnologie del-l’informazione e comunicazione porteranno adun notevole risparmio di tempo da parte deglioperatori sia nell’assistenza territoriale che istitu-zionale. Però l’ICT richiede una reale e non so-lo formale capacità di adattamento. In questa stes-sa direzione è necessaria una drastica riduzionedegli impegni burocratici che pesano sul sistemadelle cure all’anziano e che coinvolgono opera-tori a tempo pieno, che potrebbero essere meglioutilizzati, ed operatori a tempo parziale che ve-dono parte del loro impegno lavorativo indiriz-zato verso obiettivi sostanzialmente inutili. Unavera spending review dovrebbe incominciare pro-prio dai settori che oggi hanno invece il ruoloprincipale nell’identificazione dei risparmi, conl’effetto ovvio di indirizzare i tagli verso le fun-zioni operative invece che verso quelle burocra-tiche. Non si riesce infatti a comprendere che so-lo un cambiamento profondo potrebbe, da un la-to, rendere davvero efficaci i risparmi e, dall’altro,fare in modo che questi non vengano vissuti co-me l’ennesimo atto di ingiustizia e di mancato ri-conoscimento di chi lavora direttamente con lepersone anziane non autosufficienti.Il sistema ha un bisogno sempre più rilevante disperimentazioni per identificare strade nuove peraumentare l’efficacia dei servizi a costi control-lati; un declino complessivo del sistema porte-rebbe alla sterilizzazione di qualsiasi tentativo dicambiamento, con la soddisfazione di chi ha la

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sola preoccupazione di conservare la “macchina”e non di migliorare i risultati. Nella stessa otticasi colloca la problematica legata alla formazionedel personale di tutti i livelli. Se la riduzione deifinanziamenti colpisce in modo drastico – comepurtroppo sta avvenendo in molte zone – la pos-sibilità di continuare la formazione delle perso-ne che lavorano nei servizi, si andrà incontro aduna progressiva decadenza del sistema, popolatoda attori sempre meno capaci sul piano tecnicoe meno motivati sul piano psicologico. Non èchiaro a chi gestisce che ogni macchina ha unapropria obsolescenza dopo un certo numero dianni e che nei servizi ad alta intensità di lavoroil modo per continuare la “manutenzione” dellamacchina umana di chi lavora è la formazione atutti i livelli e con le più diverse tecnologie, ade-guate ad ogni specifica situazione. In particolareil lavoro di équipe risentirebbe di una riduzionedella formazione, perché è basato su delicati equi-libri che a loro volta sono fondati su competen-ze e sensibilità. Il problema del lavoro nei servi-zi per anziani è di gran lunga il più delicato ri-spetto a qualsiasi altra problematica organizzati-va, perché sono in gioco fattori umani, econo-mici, tecnici, organizzativi. Il mancato governodi quest’area da parte di chi ha responsabilità pro-grammatorie ha portato a situazioni diverse, spes-so critiche; un ulteriore taglio in un area già allimite per quanto riguarda i salari delle diversecategorie di lavoratori porterebbe ad una crisigrave. Si tenga presente che la soddisfazione delpersonale rispetto al proprio lavoro (retribuzio-ni, ritmi, condizioni complessive, ecc.) nei ser-vizi per le persone anziane si riflette immediata-mente e senza tamponi sulla qualità dell’assistenzae quindi sui suoi aspetti tecnici e relazionali. Èuna criticità che deve far analizzare la delicatez-za di qualsiasi atto che possa indurre un declinoe che deve vedere alleati operatori e program-matori, nonché decisori politici, nel tentativo diridurre la dimensione dei tagli, le modalità conle quali vengono messi in atto e quindi le con-seguenze sull’assistenza.

I SERVIZI E IL RISCHIO DI DECLINOPassando ad analizzare gli effetti diretti dei taglisui servizi, e quindi sulle persone assistite, è ne-cessario ricordare l’obiettivo di fondo dei servi-zi stessi, cioè il loro ruolo nel mantenimento del-la libertà e della dignità della persona anziana.Nella nostra società il fatto stesso di non esserepiù giovani induce ad una progressiva margina-lità, nonostante le affermazioni teoriche sull’in-vecchiamento attivo al quale vengono dedicateattenzioni specifiche, quanto inutili (sono l’indi-retta conferma che la persona non più giovanedeve essere oggetto di interventi ad hoc,mentreuna società equilibrata dovrebbe essere in gradodi adattarsi alle esigenze di tutte le categorie dicittadini, attraverso capacità di accoglienza co-struite sull’adesione spontanea e governata dascelte politiche precise). I vecchi non autosuffi-cienti spesso trovano nei servizi la protezione suf-ficiente per esprimere al meglio il residuo di ca-pacità e di autonomia del quale sono capaci; unservizio domiciliare, ad esempio, che offre al cit-tadino un controllo ripetuto della sua condizio-ne di salute ed un rinforzo della capacità fun-zionale attraverso la riabilitazione dà allo stessola capacità di uscire di casa, di non essere dipen-dente da condizioni di salute precarie e quindidi sviluppare rapporti sia nell’ambito della fami-glia sia delle microcomunità vitali. Questo è unrisultato che concretamente permette alla per-sona una maggiore libertà di fare, con ciò au-mentando anche la propria autostima e la valu-tazione soggettiva della propria condizione, rin-forzando il desiderio di dignità che è presente inogni individuo. Se quel certo servizio viene ri-dotto sul piano quantitativo o peggiorato sul pia-no quantitativo, gli effetti negativi si riflettono abreve sulla persona fragile, anche perché fre-quentemente non dispone di supporti alternati-vi. Il rapporto tra servizi e persona fragile va ali-mentato attraverso interventi plurimi caratteriz-zati da disponibilità di sistemi organizzati e dioperatori motivati ed abituati a gestire le diffi-coltà, in grado di mobilizzare le risorse naturali

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presenti nell’ambiente. L’obiettivo è instaurare unmodello di intervento plurimo, indirizzato a di-versi obiettivi, dalla cura delle malattie cronicheper evitare riacutizzazioni e bloccarne l’evolu-zione verso il peggioramento, alla perdita del-l’autosufficienza che dipende dalle malattie, allamarginalità individuale e sociale che ne deriva,alla crisi dell’anziano cognitivamente integroquando intuisce la perdita di libertà e di collo-cazione comunitaria. Per chi ha una funzione co-gnitiva ridotta le considerazioni sono molto si-mili e riguardano l’incapacità di mantenere an-che i piccoli spazi vitali concessi dalla pur limi-tata prospettiva di chi ha perso la memoria, l’o-rientamento, la capacità di relazione.La salute dell’anziano è per definizione gover-nata da fattori plurimi; infatti la capacità di in-terpretare la realtà personale, la situazione eco-nomica, la rete di relazioni, la solitudine sonofattori che interferiscono pesantemente con lasopravvivenza (cioè il misuratore più indiscuti-bile della condizione di salute) oltre ovviamen-te ai fattori biologici. Un servizio adeguato de-ve tenerne conto, anche se l’obiettivo principa-le è la salute somatica, pena il non raggiungi-mento di obiettivi importanti; uno dei rischi deitagli è che i risparmi vengano compiuti preva-lentemente nella valutazione dell’individuo (per-dendo quindi la possibilità di costruire un “cru-scotto” che governa le varie dimensioni dell’e-sistenza) e nelle aree del sostegno alle difficoltàpsicosociali. Il tutto ha ricadute sulla salute stes-sa intesa in senso somatico, per cui l’individuosi ammala più frequentemente e quindi deve ri-correre a servizi sanitari ben più costosi di quel-li assistenziali. Ma anche nell’ambito della salu-te se i servizi diminuiscono la loro attenzione,in particolare in senso proattivo, limitando il pro-prio intervento solo alle situazioni di malattiaconclamata, si verifica certamente un aumentodell’uso dei servizi stessi.Ad esempio, se un ser-vizio di assistenza domiciliare si limita a sorve-gliare, ad esempio, i parametri di un diabete enon estende il proprio interesse alle varie situa-

zioni che concorrono a determinare uno statodi fragilità, sarà molto facile che la persona am-malata vada incontro ad una crisi ipoglicemicaper mancata sorveglianza del quadro generale.In questo senso le ripetute affermazioni sullacomplessità che caratterizza la vita della perso-na che invecchia, e che quindi dovrebbe carat-terizzare anche gli interventi, richiede un ap-proccio complessivo che è lontano da quellostrettamente legato ad una malattia. Il declino inquesto campo avrebbe, ad esempio, il nome diuna focalizzazione per ragioni di disponibilitàeconomica e quindi di tempo per gli interven-ti solo su malattie predefinite, perché adeguata-mente rappresentate all’interno delle procedureche accompagnano gli interventi. La medicinadei protocolli, nata per risparmiare, si rivela sem-pre più la medicina della burocrazia (che di persé costa) e la medicina degli outcome non rag-giunti.Il declino dell’assistenza alle persone anziane ri-schia di coinvolgere anche la collettività che co-stituisce la cornice all’interno della quale si svi-luppa la vita di chi ha perso la propria autosuf-ficienza. Infatti colpisce anche le famiglie cheassistono la persona anziana; la presenza di ser-vizi adeguati permette alla famiglia una vita me-no angosciante, sia sul piano pratico (i servizi ri-ducono il peso dell’assistenza alla persona nonautosufficiente) sia sul piano psicologico, perchéchi è concentrato sull’assistenza perde contatticon l’esterno ed aggrava la propria solitudine. Inun momento di crisi economica di molte fami-glie la riduzione dei servizi comporta anche unaumento delle spese per servizi sostitutivi, conun aggravio della condizione finanziaria. In al-ternativa si riducono le cure, con conseguenzenegative per lo stato di salute. Una considera-zione particolare è indotta dalla eventuale ridu-zione dei supporti economici diretti, come l’in-dennità di accompagnamento. In questo mo-mento sarebbe un provvedimento con conse-guenze pesanti su molti nuclei famigliari, cheutilizzano il contributo per equilibrare il bilan-

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cio famigliare. D’altra parte anche i contributisostituitivi dei servizi in molti casi rappresenta-no una modalità di risparmio (perché di di-mensioni inadeguate) e non rispondono alla do-manda delle famiglie di essere accompagnate nel-le difficoltà. Il duplice effetto ha ricadute di-sastrose, perché il nucleo famigliare perde sup-porti sul fronte pratico e su quello psicologico;il tutto si verifica assieme a forti cambiamentidel mercato del lavoro perché alcuni compo-nenti del nucleo famigliare tornano a casa dopoun licenziamento e sono indotti a sostituire lecosiddette badanti di origine straniera. Anchequeste ultime spesso risentono della riduzionedei servizi domiciliari, perché si trovano ad ope-rare senza “le spalle coperte”.Il declino riguarda la città come luogo di intera-zione tra le persone, perché vi sarà un numerocrescente di persone anziane da accompagnare eda curare, sostituendosi ai servizi in crisi; il vo-lontariato e le aggregazioni spontanee hanno unruolo importante,ma non raggiungeranno mai lacapacità di sostituire servizi inadeguati a causa del-la diversa competenza tecnica; d’altra parte per ilprincipio di sussidiarietà le energie che crescononella comunità devono essere dirette a finalità di-verse da quelle di sostituzione.A prescindere da-gli aspetti economici (gli enti locali si trovano asvolgere compiti per i quali non hanno adeguatecapacità finanziarie), la pressione sulle comunitàlocali provocherà una perdita di fiducia nelle di-namiche collettive e quindi una reale perdita dicapitale sociale.Anche il volontariato vive confrustrazione il compito di sostituire i servizi, sa-pendo bene di non essere adeguatamente prepa-rato.Nell’ottica indicata il declino colpisce anche lepersone sane, siano essi anziani o giovani. I primiinfatti vivono le incertezze e le paure di una con-dizione che sentono non protetta; i giovani d’al-tra parte guardano con preoccupazione alla pro-pria collocazione in una comunità che non siprende cura delle persone più deboli. La spesa peri servizi alle persone non autosufficienti non è in-

fatti interpretata come una sottrazione,ma comeun’assicurazione.Una particolare attenzione viene dedicata dallacittà al declino qualitativo e quantitativo dei ser-vizi residenziali. Infatti le case di riposo (inten-dendo con questo termine la miriade di deno-minazioni inventate dalla burocrazia) rappresen-tano il luogo che assorbe tutte le crisi delle fami-glie di fronte ad un anziano che non è più possi-bile assistere a casa; se questo luogo, a causa delladecadenza complessiva, non risponde più sul pia-no qualitativo né su quello quantitativo alle ri-chieste della comunità, le ricadute sono partico-larmente pesanti. Infatti nella città si formanogruppi di anziani non autosufficienti che rappre-sentano un continuo richiamo a compiti inevasi(anche perché vi è una contemporanea riduzio-ne dei servizi domiciliari); cioè comporta un dis-agio pratico perché molte persone abbandonatericorrono ai servizi ospedalieri, con aumento dicosti, ma anche subendo le conseguenze negati-ve dell’ospedalizzazione stessa, ed un disagio psi-cologico perché nelle strade della città si diffon-de l’angoscia per un numero crescente di perso-ne non adeguatamente curate.La riduzione dei servizi comporta anche una cri-si delle prestazioni nelle residenze, che la collet-tività è in grado di valutare rispetto alla capacitàdi mantenere l’autosufficienza e di gestire le ma-lattie intercorrenti.Tenendo in considerazione ilprogressivo invecchiamento della popolazione re-sidente, la condizione di grave compromissionefunzionale e l’alta prevalenza di ospiti affetti dademenza, si comprende come la riduzione deiservizi prestati rischi di ricadere su outcome im-portanti come la durata della vita, la condizionesoggettiva di benessere, la presenza di segni chetestimoniano direttamente il basso livello dellecure (piaghe da decubito, cadute, denutrizione,contenzioni, ecc.).Questa condizione induce gra-vi danni sui residenti ed è fonte di preoccupa-zione per le famiglie che vivono con angoscia ilcontatto con famigliari non adeguatamente cu-rati. Nel complesso il disagio si esprime anche

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come una complessiva perdita di capacità pro-grammatoria; il servizio viene prestato sulla basedi un continuo adattamento alle richieste, senzauna visione complessiva, che discenda da una pre-cisa impostazione culturale. Il declino economi-co diventa rapidamente - oltre che un declinooperativo - anche un declino delle idee e dei mo-delli che permetterebbero un miglioramento neltempo dell’assistenza nelle residenze (ma anchenel complesso dei servizi).

Stiamo vivendo una situazione molto delicata. Lastoria e la civiltà del nostro Paese impongono at-tenzione e cura, mentre la crisi spinge in sensoopposto.Ma la capacità di mediazione di opera-tori, programmatori e politici permetterà certa-mente, nel breve periodo, di identificare stradesulle quali le persone più fragili possono goderedi adeguati supporti, senza che su di loro ricadal’accusa di contribuire alla crisi economica dellaNazione.

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er integrare la rete per la long term ca-re e qualificarne l’efficacia occorre in-nanzitutto definire il perimetro di ser-vizi e correlate risorse che devono esse-

re connessi. È, pertanto, essenziale partire dalla fo-tografia dei comparti che si vorrebbe connette-re, analizzando le loro caratteristiche e specifici-tà. Per costruire reti di servizi sociali è importan-te, inoltre, comprendere le dinamiche emergen-ti nei processi di riproduzione sociale, per co-struire un sistema coerente con la società, con isuoi bisogni e con la sua cultura.A questo si ag-giunge la necessità di analizzare la geografia deiproduttori e delle loro caratteristiche, perché neiservizi socio-sanitari è la struttura dell’offerta, dinorma, a determinare le specificità dei servizi.Al-la luce di questi tre passi analitici preliminari (lastruttura del welfare, i meccanismi di riproduzio-ne sociale prevalenti, la rete d’offerta) è possibileipotizzare traiettorie di policy capaci di generareintegrazione dei servizi.Questo ordine logico rap-presenta la traccia seguita nel presente scritto.

FOTOGRAFIA DEI SERVIZI E DELLEPOLITICHE DIWELFAREIl welfare sanitario, socio-sanitario e sociale ita-liano vale complessivamente 198 miliardi/anno,ovvero 3.300 euro per abitante, rappresenta il 13%del Pil e costituisce il più grande settore dell’e-conomia.Di questo importo il Ssn consuma circa 106 mld

all’anno, ovvero il 7% del Pil, a cui occorre ag-giungere 30 mld di spesa out of pocket delle fa-miglie per la sanità privata, cioè 2 altri punti per-centuali di Pil, per un totale di 136 mld di spesasanitaria del Paese pari al 9% del Pil.La spesa sociale del Paese, ammonta invece, com-plessivamente, a 62 mld annui.Nella tabella 1 nel-la pagina successiva è possibile osservarne la com-posizione: essa si divide in quattro principali com-parti: 16,8 mld per gli assegni familiari; 16,8 mldper il contrasto alla povertà; 16,4 mld per l’assi-stenza alla non autosufficienza, tutti gestiti diret-tamente da Inps attraverso trasferimenti finanzia-ri, e 8,6 mld di spesa sociale dei Comuni, che so-no utilizzati invece in prevalenza per finanziarel’offerta di servizi reali.Emergono dalla composizione della spesa alcunitratti di specificità del quadro istituzionale – nor-mativo italiano. Innanzitutto, nel mare magnumdella spesa socio-assistenziale la quota di servizierogata dai Comuni è minima, rappresentandosolo 8,6 mld rispetto al totale di 62 mld di spesasociale.Qui emerge un primo paradosso: nel no-stro Paese è attribuita ai Comuni la responsabili-tà ultima del sistema sociale, quando essi dispon-gono di così poche risorse rispetto al totale.Una seconda specificità del tutto italiana riguar-da il ruolo dell’Inps e le implicazioni rispetto almix di trasferimenti finanziari versus servizi, checaratterizza il nostro Paese rispetto ai sistemi diwelfare degli altri Paesi europei. Il principale En-

LA RETE DEI SERVIZIPER LA LONG TERM CARE

di Giovanni Fosti, Ornella Larenza, Francesco Longo,Andrea RotoloCERGAS (Centro di Ricerca sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale), SDA (Scuola di Direzione Aziendale),Università Bocconi,Milano

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La rete dei servizi per la Long Term Care

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TABELLA 1 - Le componenti del welfare sociale italiano

milioni in % PilSPESA PERASSISTENZA SOCIALE NEL 2010 61900 4,0Sostegno delle responsabilità familiari 16863 1,1Assegni familiari 6347 0,4Detrazioni fiscali per familiari 10516 0,7Contrasto povertà 16801 1,1Assegno per famiglie con tre figli, social card 800 0,1Pensioni sociali 4001 0,3Integrazioni pensioni al minimo (stima) 12000 0,8Non autosufficienza e handicap 16394 1,1Indennità di accompagnamento 12600 0,8- di cui per anziani non autosufficienti 8800 0,6Pensioni ai ciechi e sordomuti 1338 0,1Altre pensioni agli invalidi civili 2456 0,2Offerta di servizi locali 8605 0,6Assistenza sociale (servizi) 8605 0,6Altre spese 3237 0,2

Spesa delle famiglie per assistenti familiari (stima) 9200 0,6Compartecipazione ai servizi offerti dai Comuni 933 0,1

te previdenziale del Paese spende, al di fuori delsistema previdenziale, ben 33 miliardi di euro neisistemi socio-assistenziale e socio-sanitario sottoforma di indennità di accompagnamento, invali-dità e indennità per varie disabilità e sostegno alreddito minimo, soprattutto per gli anziani, a cuisi aggiungono 16,8 mld di sostegno alle famiglie.Si tratta di un’ingente quantità di risorse utiliz-zate esclusivamente per trasferire moneta alle fa-miglie, senza precisi indirizzi di policy o di uti-lizzo. I trasferimenti monetari dell’Inps per ser-vizi socio-assistenziali e socio-sanitari rappresen-tano una modalità di intervento eterodossa nelpanorama europeo, sicuramente non scevra dicontraddizioni.Guardando alla spesa europea perla sola funzione di protezione dalla disabilità1, ri-sulta infatti evidente come il nostro Paese desti-ni la quasi totalità di queste risorse a trasferimen-ti monetari, diversamente dai nostri pari EU cheprivilegiano servizi o mix più bilanciati tra ser-vizi e trasferimenti monetari.Allo stesso modo,l’analisi comparata delle riforme intercorse nel-l’ultimo decennio con riferimento all’offerta diservizi residenziali e domiciliari2 per anziani dai

65 anni in su in Europa mostra come, nel nostroPaese, entrambe le categorie di servizio non ab-biano conosciuto lo sviluppo di Paesi quali Olan-da, Regno Unito, Francia e Germania, mante-nendo inalterato un sistema sostanzialmente fon-dato sul trasferimento diretto di denaro ai citta-dini.Quanto agli effetti perversi prodotti dal sistema,basti pensare che si tratta di denaro pubblico perpolitiche socio-sanitarie rivolte principalmentealla LTC, per un valore complessivo di 33 miliar-di, che diventa privato e scompare in un merca-to informale e frammentato.Una delle anomaliepiù evidenti prodotte da questo sistema sta quin-di nel fatto che tali risorse non siano convoglia-te verso un’offerta di cura industrializzata,ma con-tribuiscano a sbriciolare il sistema di offerta ren-dendolo, tra l’altro, sempre più opaco agli occhidi chi programma gli interventi sociali e sociosa-nitari sul territorio. Non poche riserve si posso-no avanzare infine con riferimento all’equità delsistema. Dall’indagine Istat3 sui bilanci delle fa-miglie risulta infatti che non sempre i soggettiportatori delle situazioni di bisogno più gravose

1 EUROSTAT, ESSPROS 2008.2 Pavolini, E., Ranci, C., (2008), Journal of European Social Policy,Vol 18(3): 246–259.3 ISTAT It-Silc09.

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siano anche i primi ad essere intercettati dal si-stema: il 58% delle indennità di accompagna-mento (tra le principali misure a favore dei nonautosufficienti, non sottoposte al test dei mezzi eche da sola vale 12,6 mld di euro), ad esempio,ricade su beneficiari le cui famiglie si collocanoentro i primi 6 decili di reddito mediano equiva-lente.Un secondo peculiare meccanismo assistenzialeè costituito dalle badanti che sono stimate in 800mila unità con una spesa che era stata valutata dal-l’Irs qualche anno fa attorno ai 12 mila euro/annoa famiglia e complessivamente circa 10 miliardidi euro l’anno per l’intero Paese4. Considerati ifisiologici spill over tra i due meccanismi (i tra-sferimenti Inps e il ricorso alle badanti), si puòpensare che in futuro questi valori continuino acrescere. I dati sulle prestazioni di protezione so-ciale, infatti,mostrano come la sola spesa per pen-sione di invalidità civile sia triplicata negli ultimi20 anni passando da 5 miliardi di euro nel 1990a circa 15 miliardi nel 2010.

In Italia, le badanti sono più dei dipendenti delsistema sanitario nazionale, che ammontano a cir-ca 650 mila unità5. L’esplosione del fenomeno èavvenuta in soli dieci anni e smentisce il luogocomune che vuole che il nostro sia un Paese im-mobile. Il nostro Paese in realtà è tutt’altro cheimmobile, al contrario, il nostro Paese si trasfor-ma, manca però la capacità di riconoscere que-sto dinamismo e di conseguenza di governarlo.Questo dovrebbe essere un segnale d’allarme perchi si occupa di pianificazione sociale.Una ulteriore rilevante componente del welfaresocio-sanitario è la sanità out of pocket, quella chei cittadini pagano di tasca propria e che vale 30miliardi di euro.Questa comprende varie tipolo-gie di spese: dalle visite odontoiatriche (10 mi-liardi) ad alcuni farmaci e soprattutto in generaletutte le visite specialistiche.È molto frequente, in-fatti, che si acceda ai servizi di una struttura ospe-daliera solo dopo la visita specialistica a pagamen-to: in sostanza si paga un accesso al sistema, poi sicontinua gratuitamente nel perimetro pubblico.

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4 Pasquinelli S., Rusmini G. (2008), Badanti: la nuova generazione, IRS.5 Annuario statistico nazionale - Attività gestionali ed economiche delle Asl e Aziende ospedaliere - Anno 2008. Ministero della Salute.

TABELLA 2 - Consumo sanitario per abitante

Codice Ambito Mediana costo Media costo % media su % cumulataper res per res costi totali

u21 Ricoveri ospedalieri €631 €631 38% 38%c12 Farmaceutica €247 €252 15% 53%b22 Specialistica €219 €195 12% 65%e20 Medicina Generale € 72 € 72 4% 69%m19 Anziani € 57 € 68 4% 73%s26 Salute mentale € 59 € 58 3% 76%r8 Prevenzione e Sanità Pubblica € 55 € 50 3% 79%n12 Disabili € 23 € 32 2% 81%q22 Pronto Soccorso € 37 € 39 2% 84%P8 Riabilitazione e lungodegenza € 29 € 32 2% 86%h27 Domiciliari € 20 € 20 1% 87%l18 Materno Infantile € 18 € 16 1% 88%d6 Protesica € 20 € 22 1% 89%f13 Pediatria Libera Scelta € 13 € 14 1% 90%t8 Dipendenze € 14 € 14 1% 91%g8 ContinuitàAssistenziale € 9 € 9 1% 91%o8 Hospice € 3 € 4 0% 92%i7 Screening € 4 € 4 0% 92%

Altri costi non ripartiti €148 8% 100%a30 Totale €1.673 €1.671 100%

Fonte: Longo,Tasselli, Salvatore, Organizzare la salute sul territorio, 2010

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In sintesi, dei 3.300 euro ad abitante, quindi, 1.400sono nel perimetro decisionale dei cittadini (in-clusa la spesa Inps, che viene trasferita ai cittadi-ni i quali ne decidono le forme di impiego) e ilsettore pubblico, di conseguenza, pesa nel suocomplesso per i restanti 1900 euro circa ad abi-tante, con una componente largamente minori-taria in capo ai Comuni.Inoltre, per quanto attiene alla sola spesa socio-as-sistenziale, va sottolineato come sia costituita qua-si esclusivamente da trasferimenti di moneta allefamiglie (33 mld pari alla componente Inps),men-tre i servizi reali sono residuali (meno di 8,6 mldannui, pari alla spesa sociale degli enti locali).Data la rilevanza del Ssn nel complesso della spe-sa socio-sanitaria, è opportuno disporre di un qua-dro conoscitivo della sua spesa e della sua alloca-zione per ambiti di intervento.A questo propo-sito, la tabella 2 della pagina precedente mostra illivello di consumo sanitario per abitante, a pre-scindere dal tipo e dalla natura di erogatore, perognuno dei principali ambiti di intervento del Ssne la loro incidenza relativa sul totale.Una prima constatazione riguarda il fatto che,non-ostante nell’immaginario collettivo la sanità sia spes-so identificata con l’ospedale, i ricoveri e i prontosoccorso assorbono solo il 40% della spesa sanita-ria complessiva (106 miliardi pari a 1700 € per abi-tante). Possiamo quindi dire che oramai il ricove-ro ospedaliero è il “socio di minoranza” del siste-ma pur rappresentandone l’aspetto più visibile epiù prestigioso; al contrario, i servizi territoriali so-no dispersi,pertanto meno visibili,ma non per que-sto meno rilevanti in termini di risorse assorbite.L’analisi dei trend ci dice inoltre che l’ospedaleha un tasso di crescita pari a zero mentre la sani-tà specialistica cresce a tassi del 7% annuo, i ser-vizi per i disabili del 10% annuo ed i servizi peranziani, come la riabilitazione domiciliare, hannoanch’essi tassi di crescita importanti.Di fatto nonsolo il ricovero ospedaliero è socio di minoranzadel sistema sanitario,ma in prospettiva lo sarà sem-pre di più, come dimostrato dalla riduzione deiposti letto: l’Italia aveva nel ‘97 280.000 posti let-

to pubblici che sono oggi diventati 180.000. Inol-tre, alla riduzione dei posti letto si è accompa-gnata quella del totale dei ricoveri.Sono invece in grande aumento le strutture ter-ritoriali come le residenze per anziani, hospicelungodegenza, strutture per riabilitazione: in po-che parole tutto ciò che ha a che fare con la sani-tà a minore intensità specialistica, quasi tutta ri-volta alla LCT degli anziani e dei disabili.Nel 2008,ad esempio, l’assistenza residenziale era offerta da1.419 strutture pubbliche (26,7 % del totale) e3.901 strutture private accreditate (73,3% del to-tale), l’assistenza semiresidenziale contava nellostesso anno un numero di strutture pubbliche pa-ri a 979 (41,% del totale) e private accreditate pa-ri a 1.367 (58,3% del totale). L’analisi longitudi-nale tra il 2005 e il 2008 mostra un trend in net-ta crescita per il privato accreditato (sebbene untrend positivo interessi anche le strutture pubbli-che seppur in minor misura) in questi due setto-ri di offerta sociosanitaria; in particolare, nell’of-ferta di strutture semiresidenziali la variazione èpari al 3,8%,mentre nel residenziale arriva al 5,8%.Non esiste una contabilità che ufficializza la spe-sa del Ssn per la LTC: la possiamo ricavare e de-durre dalla tabella 2, estrapolando le componen-ti che sono prevalentemente erogate per pazien-ti in LTC. Essa è composta dalla spesa per anzia-ni (4% del Ssn), disabili (2%), riabilitazione e lun-godegenza (2%), cure domiciliari (1%) per un to-tale del 9% del Ssn, che corrisponde a circa 10mld di euro.Nel complesso, a disposizione della LCT nel wel-fare complessivo italiano vi sono quindi 16,4 mlddell’Inps,10 mld del Ssn e una quota degli 8,6 mlddei Comuni, stimabili in 2 mld. In totale, si trattapertanto di 28,4 mld,di cui 16,4 sono trasferimentimonetari alle famiglie e 12 servizi reali agli utenti.

ANALISI DELLE PRINCIPALITRASFORMAZIONI DEI PROCESSI DIRIPRODUZIONE SOCIALEPer analizzare i cambiamenti nei processi di ri-produzione sociale, proponiamo alcuni dati che

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caratterizzano la Regione Lombardia, la più po-polosa e ricca del Paese che costituisce per mol-ti versi la rappresentazione più avanzata e matu-ra di molti processi di trasformazione presenti sulterritorio nazionale. Evitiamo in questo modo diproporre dati medi nazionali che spesso rischia-no di compensare tra di loro gli estremi degli sco-stamenti, impedendo di cogliere i segnali dei fe-nomeni emergenti.Sottolineiamo l’aumento del tasso di occupa-zione femminile (al 41,6 % in Lombardia e ol-tre il 60% a Milano6, target degli obiettivi EUdi Lisbona) che modifica la geografia dei po-tenziali caregiver familiari; l’immigrazione (1milione di nuovi italiani su 10 milioni di lom-bardi7) da cui arriva la maggior parte dei nuo-vi caregiver; l’invecchiamento, a sua volta distin-guibile nella crescita numerica dei “giovani vec-chi” sani e benestanti il cui problema princi-pale è la valorizzazione esistenziale e dei “gran-di vecchi” (ultra-ottantenni); la clusterizzazio-ne economica e sociale; la crescita delle sepa-razioni e delle famiglie “puzzle”, anche in fasidi età avanzate; l’aumento rilevante della mo-bilità professionale e per motivi di studio, sia subase pendolare sia settimanale, modificando lageografia delle presenze e dei radicamenti so-ciali.Particolarmente profonda è la clusterizzazione so-ciale emergente, cioè l’aumento della distanza trai diversi segmenti sociali, sia rispetto alla diffe-renze economico-patrimoniali, sia rispetto allacultura e alle competenze disponibili, sia osser-vando la ricchezza e la profondità delle reti so-ciali di inserimento.In questo contesto, il tema della cura e dellavalorizzazione degli anziani assume notevolerilevanza, soprattutto se si pensa che in Lom-bardia esistono oggi più famiglie con almenoun anziano che famiglie con almeno un mi-

nore8. La speranza di vita alla nascita è arriva-ta a 84,6 anni per le donne e 79,4 anni per gliuomini, con una speranza di vita a 80 anni ri-spettivamente di 10,2 e 8,5 anni. La maggio-ranza degli anziani in Italia, tuttavia, non ma-nifesta condizioni di salute o limitazioni per-cepite come gravi o gravissime. Solo il 16,4%degli anziani lombardi afferma di stare “maleo molto male”, mentre meno della metà di co-loro che hanno più di 65 anni soffre di limita-zioni (gravi o non gravi) nello svolgere le at-tività quotidiane9.Non meno importante è la situazione dei disabi-li, questione sulla quale la prima criticità è rap-presentata dalla scarsità di informazioni e statisti-che aggiornate. Secondo un’indagine del 2004-2005, si stima che nel nostro Paese vi siano circa2 milioni e 600 mila persone con disabilità (il4,8% della popolazione di 6 anni e più che vivein famiglia) che arrivano a 2 milioni e 800 milase si considerano coloro che risiedono nei presi-di socio-sanitari.Di questi risulta confinato il 2,1%e, tra le persone di oltre 80 anni, la quota rag-giunge circa il 22,3%. In generale, il 3% della po-polazione di più di 65 anni presenta difficoltà nel-lo svolgimento delle attività quotidiane, cioè hadifficoltà ad espletare le principali attività di cu-ra della propria persona (vestirsi o spogliarsi; la-varsi mani, viso, o il corpo; tagliare e mangiare ilcibo, ecc.)10.Sul lato dei principali meccanismi di riproduzio-ne sociale si osserva come la maggior parte dellefunzioni avvengano in seno alle famiglie, senza al-cun supporto pubblico, né sul piano finanziario,né sul piano di offerta di servizi.A questo pro-posito, si pensi a tre specifici processi:(a)La conciliazione famiglia-lavoro, soprattuttoper l’assistenza degli anziani, dei disabili o deifigli, con un tasso di occupazione femminile al60%, è interamente organizzata e sostenuta dal-

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6 ISTAT, 2011, Rilevazione sulle forze di lavoro (dati 2010).7 Rapporto ISMU, 2009.8 ISTAT, 2010, Famiglia in cifre.9 ISTAT, 2011, Rapporto sulla Coesione Sociale.10 ISTAT, Indagine sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari del 2004-2005.

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le famiglie, attraverso molteplici forme (tate,nonni, genitori in part time, rinunce femmi-nili al lavoro, ecc.).Nel 2009, si calcola che so-no state prestate 3 miliardi di ore di aiuto in-formale, 2,2 miliardi delle quali sono state pre-state da donne11;

(b)Una consistente fetta di anziani non autosuf-ficienti non è in carico a servizi pubblici e sisostiene prevalentemente con caregiver perso-nali informali; ad esempio, in Italia il 6,6% de-gli anziani ultra 65enni utilizza una badante,una percentuale che aumenta nelle regioni delNord, in cui il rapporto diventa di circa unosu dieci. È la forma più diffusa di assistenza, do-po quella fornita dai familiari12;

(c)I giovani anziani stanno diventando sempre piùspesso i caregiver di grandi anziani, grazie al-l’innalzamento dell’età di autosufficienza e divita attiva.

I processi di riproduzione prevalenti che caratte-rizzano la fetta mediana e quantitativamente piùrilevante della società avvengono in autonomiada parte delle famiglie. Queste si rivolgono pre-valentemente a caregiver o mediatori informali,non qualificati e non inseriti in un sistema “in-dustrializzato”. Sono privati e figure informalicome la badante (si stimano circa 126.000 badanti,tra regolari e irregolari, solo sul territorio lom-bardo13), la babysitter, l’amica straniera che accre-dita la connazionale per la ricerca del lavoro e del-la casa in affitto.Nei processi di riproduzione so-ciale prevalenti esiste, quindi, una radicale ato-mizzazione della domanda e polverizzazione del-l’offerta, in assenza di interventi e di regia pub-blica.In questo quadro le famiglie si sentono semprepiù sole, isolate e affaticate, generando una pro-gressiva diluizione dei legami sociali. La frase piùspesso citata dagli adulti delle famiglie è “sono

stanco/a”, indicatore di fatica, frustrazione e scar-sa accoglienza sociale reciproca.

LA GEOGRAFIA DEI PRODUTTORIGli schemi produttivi del welfare sociale italianosono distribuiti in tre grandi modelli, dalle con-figurazioni profondamente diverse:a) la produzione diretta attraverso aziende o entipubblici;b) la produzione esternalizzata a soggetti terzi cheerogano prestazioni in nome e per conto degli at-tori pubblici;c) l’offerta sul mercato finanziata dalle famigliecon risorse proprie o con i trasferimenti finan-ziari di parte pubblica.Il primo modello, costituito dalla produzioneattraverso aziende o enti pubblici, si limita og-gi quasi esclusivamente ad alcuni servizi socio-sanitari (salute mentale, dipendenze, maternoinfantile), alla funzione di accesso e counseling(assistenti sociali), agli alloggi popolari. In que-sto ambito gli schemi della produzione sonoquelli tradizionali delle grandi burocrazie pro-fessionali pubbliche, molto specializzati, proce-duralizzati, basati su professionisti qualificati,strutturati e protetti. Questa quota di produ-zione sta diventando residuale, essendo consi-derata dal sistema troppo costosa, troppo rigida(si pensi agli orari) e specialistica. Un esempiosu tutti è quello dell’ADI, l’Assistenza Domici-liare Integrata per gli anziani. Nel 2008 sonostati trattati sul territorio nazionale 829 casi ogni100.000 abitanti, con una media di 22 ore al-l’anno per ogni singolo caso, con significativedifferenze tra le regioni14. È evidente che que-sto tipo di risposta data dal pubblico non è suf-ficiente a coprire i bisogni espressi oggi dallapopolazione anziana non autosufficiente.Al pro-posito si osservi nella successiva figura 1 la quo-

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11 ISTAT, 2011, Rapporto annuale.12 Pasquinelli Rusmini 2008 Badanti la nuova generazione.13 D.Mesini, S. Pasquinelli e G. Rusmini, 2006,Qualificare il lavoro privato di cura, IRS.14 Annuario statistico del Sistema Sanitario Nazionale.

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ta ormai predominante di gestori privati, anchenell’ambito socio-sanitario.Il secondo meccanismo produttivo è attraversosoggetti terzi, sia di natura profit sia non profit,che erogano prestazioni per nome e per conto disoggetti pubblici. In ambito sociale prevalgono glierogatori non profit, mentre in ambito socio-sa-nitario vi è un panorama misto tra profit e nonprofit. Si tratta per lo più di erogatori di piccolee medie dimensioni che operano su mercati lo-cali. Sono ancora pochi i soggetti “industriali” cheoperano su scala nazionale, ad esempio alcunecooperative della Regione Emilia Romagna e al-cuni player nazionali nell’ambito delle struttureprotette per anziani e riabilitazione. Questi pro-duttori catturano oramai il 70-80% delle risorsedel welfare sociale e socio-sanitario pubblico de-dicato all’erogazione di servizi. La competizioneè molto marcata, la flessibilità imposta a questomercato è fortissima (si pagano solo ore effettiveerogate di servizio) e i costi riconosciuti ai fatto-ri produttivi sono molto bassi (gli stipendi deglioperatori sono sempre molto vicini al minimocontrattuale).I produttori privati si distinguono, a loro volta, tracoloro che erogano prestazioni finali complete(gli accreditati) e quelli che erogano prestazioni

intermedie (appaltati). I secondi rappresentanospesso una soluzione ambigua in quanto l’appal-to, di fatto, copre praticamente tutto il processoproduttivo e l’unico elemento che rimane in ca-po al formale gestore pubblico è l’accreditamen-to. Rimane a questo proposito imperscrutabilecome mai nel primo caso (accreditamento), in cuisi tratta dell’assegnazione di una porzione di oli-gopolio di fatto senza il pericolo di nuovi con-correnti entranti, non vi sia la gara d’appalto,men-tre nel secondo caso, che è una fornitura parzia-le pro tempore, esso sia obbligatorio. Inoltre, i pri-vati si distinguono tra coloro che possono chie-dere tariffe aggiuntive agli utenti, oltre il finan-ziamento pubblico, e quelli a cui ciò è vietato.Rientrano tra i primi i gestori di strutture per an-ziani accreditate, tra i secondi i gestori di struttu-re per pazienti psichici o tossicodipendenti e tut-ti gli “appaltatori”.Il terzo schema è quello che trova una sua ragiond’essere nella specificità delle nostre politiche diwelfare, ampiamente caratterizzate dai trasferi-menti alle famiglie. L’EUROSTAT15 ha calcolatoche in Italia oltre il 70% della spesa per protezio-ne sociale è rappresentato da trasferimenti mo-netari, mentre meno del 30% è invece costituitoda erogazione di servizi. Le risorse trasferite da-

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P o s ti le tto R OAm b u la to r i e

La b o ra to r i S e m ire s id e n z ia liS tru ttu re S tru ttu re

R e s id e n z ia li

1 9 9 7 1 7 % 5 4 % 8 % 5 %

2 0 0 7 2 1 % 6 0 % 5 7 % 7 3 %

0 %

1 0 %

2 0 %

3 0 %

4 0 %

5 0 %

6 0 %

7 0 %

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FIGURA 1 - Crescente ruolo del privato accreditato

Fonte: Elaborazioni SDA Bocconi su dati Ministero della Salute

15 EUROSTAT, Database Esspros 2008.

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gli attori istituzionali pubblici, integrate da risor-se proprie delle famiglie, alimentano il terzo sche-ma produttivo, che è un esteso mercato in cuioperano anche attori profit e non profit,ma è po-polato soprattutto da caregiver informali perso-nali, non formati, non certificati e non industria-lizzati in alcun modo. Si tratta di 800.000 badan-ti straniere, di centinaia di migliaia di babysitter,ecc. In questo schema produttivo prevalgono con-tratti informali e le retribuzioni sono molto bas-se, prevalentemente in nero o in grigio (si dichiaramolte meno ore di quelle effettivamente svolte)con una significativa variabilità tra i diversi con-testi geografici.Nel 2008, solo per l’assistenza pri-vata ai non autosufficienti, si stima siano stati spe-si circa 9 miliardi di euro16. È dunque probabileche per estensione finanziaria questo terzo “com-parto” produttivo, superi per estensione gli altridue, ovvero la produzione pubblica e quella pri-vata contrattata.Le tre configurazioni produttive presentate han-no scarse forme di interscambiabilità e di aper-tura reciproca, a partire dall’estrema difficoltà de-gli operatori di muoversi da un comparto all’al-tro. Una Oss/Ota di una cooperativa difficilmenteriesce ad inserirsi nel sistema pubblico, così co-me per una badante informale è difficile diven-tare una Oss/Ota di una cooperativa.La mobilità fra i tre comparti è molto modesta equesto rende difficile una politica e una crescitacomplessiva di sistema. Si tratta di tre mondi chescarsamente dialogano tra loro, sul lato della in-tegrazione o della mobilità dei fattori produttivi.Questo ha però anche riflessi critici sulla manca-ta integrazione dei servizi dei tre ambiti. L’infer-miere professionale che assiste un anziano a do-micilio per conto di una società, su committen-za della Ausl, non dialoga con la badante, di cuinon può riconoscere il ruolo formale (ricordia-mo che si tratta di circa 800.000 operatori in unPaese che impiega, nell’ambito del proprio Ssn,650.000 persone), la quale, anzi, ai suoi occhi, ef-

fettua una molteplicità di procedure “illegittime”in quanto non ha una qualificazione formale ido-nea per svolgerle. Ciò determina ridondanze emancati processi di coordinamento che distrug-gono valore nel sistema complessivo.Il quadro interpretativo e strategico rispetto allescelte di make or buy assunte dal pubblico apparedebole su più fronti. Da un lato, è stato orienta-to in larga misura da esigenze di contenimentodei costi e di esternalizzazione delle relazioni sin-dacali, e in quanto tale la relazione con i sogget-ti privati, profit e non profit, non è stata assuntapienamente come ambito prioritario di policy.I produttori privati accreditati o appaltati si ca-ratterizzano per essere estremamente piccoli eframmentati. Questo impedisce di avere econo-mie di scala e di specializzazione.Essi sono di norma dei produttori locali concen-trati su un’unica area di disagio (i minori, o i tos-sicodipendenti, o i malati psichici, ecc.) e spessoper una sola fase del processo assistenziale. Que-sto determina frammentazione dei servizi e man-cata ricomposizione per gli utenti.Ad esempio,un anziano che necessita prima di lungodegenza,poi di riabilitazione intensiva, poi estensiva, poidi Adi e poi di Sad, di norma entra in contattocon cinque Aziende diverse.Il posizionamento che gli attori del sistema sonoandati ad assumere trova la propria vera debolez-za nel fatto che quasi tutti i produttori accredita-ti dal pubblico hanno sviluppato modelli di bu-siness quasi esclusivamente orientati al finanzia-mento pubblico, non avendo sviluppato compe-tenze distintive di natura imprenditoriale, né peril fundraising di tipo filantropico, né per servizi apagamento interamente finanziati dagli utenti.Pertanto non esistono cooperative di badanti o dibabysitter.Le condizioni di lavoro interne ai produttori ac-creditati e appaltati sono spesso estremamente dif-ficili. Paradossalmente nel caso di organizzazioninon profit, le condizioni contrattuali e le retri-

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16 IRS 2008, Badanti la nuova generazione.

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buzioni sono spesso più basse che nel profit, innome di un presunto orientamento valoriale.Am-pia è la fascia del lavoro precario o di lavoro ac-quisito in format pesanti o dispersivi (poche oreal giorno di lavoro, sparse però nell’arco dell’in-tera giornata e dell’intera settimana, retribuzionesolo delle ore erogate al cliente finale, ecc.).Que-sto determina un alto turn over tra gli operatori,deboli identificazioni organizzative e soprattuttoun’insufficiente professionalizzazione del settore.In una recente ricerca del Cergas Bocconi17 èemersa una differenza di costo aziendale per oralavorata per profili professionali identici – Oss/Ota– del 50% tra pubblico e privato (15 euro all’oracontro 23).Un secondo elemento di debolezza dell’impo-stazione strategica degli attori pubblici è quellarelativa ai caregiver informali: mentre questi at-tori stanno progressivamente andando a rappre-sentare la componente principale degli interven-ti, continuano ad avere un peso molto residualedal punto di vista delle policy pubbliche.Nel settore informale ovviamente non esistonopreparazioni tecniche, qualifiche, percorsi di ve-rifica o di aggiornamento, prospettive di carrie-ra. Ciò che si registra è invece la presenza di retisociali tra i caregiver, che funzionano come mec-canismo di accreditamento nel mercato.Esse han-no anche un significato di sostegno emotivo re-ciproco e di scambio di informazioni e di com-petenze. Queste reti informali sono molto piùforti dei deboli tentativi degli enti pubblici di co-difica e legittimazione di questi caregiver.

UNA DIAGNOSI COMPLESSIVAIl sistema di welfare sociale per la LTC è com-plessivamente povero, soprattutto nei confrontieuropei e del tutto sbilanciato su trasferimentimonetari alle famiglie, senza un ruolo attivo dicounseling e di supporto.Questo alimenta la so-litudine delle famiglie, la frammentazione delleprestazioni e la mancata industrializzazione del

comparto, basato soprattutto su erogatori infor-mali individuali.Inoltre il focus dei servizi è di tipo tradizionale(disabili, anziani non autosufficienti), trascuran-do quasi completamente le principali criticitàemergenti dai processi di trasformazione socialein corso (es. giovani anziani, solitudine sociale,ecc.).Vi è un disallineamento tra il cuore dei ser-vizi di welfare sociale e i bisogni emergenti del-la società.La quota rilevante di risorse monetarie a desti-nazione sociale e socio-sanitaria detenuta dallefamiglie rompe lo schema implicito classico chevede “i problemi nella società e le risorse finan-ziare nel settore pubblico per affrontarle”.Da an-ni quote rilevanti di risorse finanziarie per la ri-produzione sociale sono già detenute dalle fa-miglie, ma non ricomposte in una offerta strut-turata a pagamento da alcun attore. Lo stesso ter-zo settore è tradizionalmente sbilanciato sui ser-vizi erogati e finanziati per conto del settore pub-blico.La crisi finanziaria ed economica aggrava il qua-dro, riducendo sia le risorse private, sia quelle pub-bliche e aumentando i problemi.Il settore sanitario ha un livello di spesa in mediaeuropea a livello nazionale (il 7% contro il 9% diFrancia e Germania). I risultati in termini di out-come e di ammodernamento del settore sonobuoni.Rilevante il processo di deospedalizzazio-ne e di sviluppo di servizi territoriali in corso, co-sì come l’incidenza del settore privato accredita-to, arrivato a produrre oltre il 20% del budget sa-nitario nazionale.Le principali criticità nel settore sanitario sono lafragile strutturazione dei servizi territoriali e am-bulatoriali, la debole o assente integrazione traospedale e territorio e tra sanità e sociale. La dif-ficoltà a organizzare le interdipendenze tra que-sti comparti, a fronte di pazienti prevalentemen-te cronici e quindi stabilizzati, determina azioniinefficaci e più costose.

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17 F. Longo, E.Tanzi, 2010, I costi della vecchiaia, Milano, Egea.

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CHE FARE?Per impostare una policy di costruzione di unarete d’offerta di servizi per la LTC è decisivo de-finire il perimetro di gioco, ovvero quali compartidel welfare e quali risorse debbano essere presein considerazione.A giudizio di chi scrive è ne-cessario comprendere i servizi socio-assistenzialiofferti dai Comuni di norma sotto forma di ser-vizi reali (2 mld per la LTC su 8,6 complessiviper il settore socio-assistenziale), i servizi socio-sanitari del Ssn quantificati in 10 mld (ovvero lacomponente socio-sanitaria del Ssn), e la spesa diprotezione sociale pagata dalle famiglie che com-prende almeno i 16,4 mld trasferiti dall’Inps, a cuiprobabilmente si aggiungono ulteriori risorse deipazienti, sia in ambito sanitario sia in ambito so-ciale, che però nessuna statistica ha finora moni-torato. Questi 28,4 mld di spesa nazionale per laLTC presentano almeno i seguenti problemi:� sono erogati da attori diversi non integrati traloro;

� la quota prevalente di risorse sono in mano al-le famiglie, senza una forte azione di counselinge di valutazione dei servizi selezionati in itine-re ed ex post da parte di soggetti professionaliz-zati;

� l’offerta è strutturata largamente su care giverinformali, non organizzati e non specificatamenteprofessionalizzati;

� la rete di offerta formale è fatta prevalentemen-te da piccoli produttori locali che curano unasola fase del processo assistenziale e spesso unsolo ambito di cura.Per risolvere queste rilevanti criticità bisogna sot-tolineare le caratteristiche istituzionali, organiz-zative e di policy del settore. Non esiste un fon-do sociale nazionale strutturato e la spesa qui pre-sentata come spesa complessiva per il welfare so-ciale è frutto di un’analisi scientifica che, ex post,ha ricostruito gli importi del comparto che ope-ra attraverso numerosi schemi e programmi fram-mentati e mai ricomposti neanche contabilmen-te. Il quadro legislativo formale è largamente tra-dito da quello sostanziale: per legge le compe-

tenze in maniera sociale sono di competenzaesclusiva delle Regioni, ma nei fatti sono agitecentralmente dall’Inps, così come i Comuni han-no delle responsabilità istituzionali importanti,madetengono una quota residuale delle risorse. I pia-ni di zona fino ad oggi non sono riusciti neppu-re ad integrare del tutto le esigue risorse socio-assistenziali dei Comuni coinvolti in uno stessoambito. Nel Ssn non esiste ad oggi una precisadefinizione di spesa socio-sanitaria in genere eper la LTC in particolare. La mancata esplicita-zione di chiari perimetri di spesa e di azione inambito socio-assistenziale e socio-sanitario, ren-de impossibile l’integrazione delle risorse. Infine,sono rari i servizi in cui risorse delle famiglie siintegrano in modo significativo con quelle pub-bliche, se non limitatamente al caso del pagamentodelle rette delle strutture protette. Di norma lecure domiciliari della famiglia avvengono con labadante informale, che ovviamente non è inte-grata con il Sad del Comune, il quale non è in-tegrato con l’Adi della Ausl.Per affrontare le criticità presentate nello scena-rio dato sono possibili tre percorsi, fondati su vi-sioni diverse di quale sia il punto di ricomposi-zione più opportuno ed efficace.

Riforma macro-istituzionale per determinare ilpooling di tutte le risorse per la LTCIn questo caso si cerca di costruire un unico sog-getto pubblico che assommi in sé tutte le risorseoggi disponibili ma frammentate per la LTC. Sipotrebbe trattare del livello regionale, a cui l’Inpstrasferisce la gestione delle risorse per la non au-tosufficienza (come prevede la legislazione esi-stente). La Regione detiene già le risorse socio-sanitarie del Ssn e potrebbe cercare di attrarre leesigue risorse socio-assistenziali dei Comuni nel-l’unico pool di risorse per la LTC.Rimane da sta-bilire quale debba essere il livello istituzionale lo-cale per la effettiva gestione dei servizi a cui laRegione trasferisce le risorse in maniera ricom-posta. Potrebbe trattarsi di associazioni obbliga-torie di Comuni, coincidenti con gli ambiti dei

La rete dei servizi per la Long Term Care

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piani di zona, oppure dei distretti delle Ausl, incoerenza ai diversi scenari istituzionali regionali.

Counseling alle famiglie per aumentare la lorocapacità di ricomposizione e integrazioneUna visione opposta può trascurare l’aggregazio-ne delle risorse a livello sovraordinato delegandoalle famiglie il lavoro di ricomposizione, facilitateda processi semplificati di “shopping around” tra idiversi attori distributori di servizi e risorse (Inps,Comuni,Ausl). Il modello è tanto più facilitatoquanto più i soggetti del welfare garantiscono tut-ti semplice trasferimento di moneta agli utenti ealle loro famiglie, affinché siano queste a fare il poo-ling delle risorse, per acquisire poi i servizi in ma-niera unitaria ed integrata.Parte dei contributi pub-blici possono rimanere in forma di servizi ma deb-bono essere così flessibili e manovrabili dalle fa-miglie, affinché esse possano più facilmente inte-grarle con altre componenti da loro acquisite.A ti-tolo d’esempio, se un servizio di cure domiciliariè erogato da un erogatore accreditato finanziato daun voucher pubblico, questo rende più semplicealla famiglia l’acquisto di servizi o ore di servizioaggiuntive dallo stesso produttore sociale.

Aggregazione dell’offerta che agisce su diversimercati pubblici contemporaneamente,offrendo un servizio integrato alle famiglieUna ulteriore o diversa visione può basarsi su una

forte integrazione dell’offerta,attraverso due innova-zioni fondamentali: aggregare i care giver informaliin agenzie strutturate (es. cooperative) e trasformarei produttori in reti di servizi integrate utili per ognifase del processo di assistenza ed ogni stadio del biso-gno. A titolo d’esempio, una grossa cooperativa so-ciale dovrebbe essere in grado di garantire la badan-te a pagamento, il servizio di Adi pagato dall’Ausl, ilservizio di Sad finanziato dal Comune,il letto di sol-lievo, il centro diurno,ecc. In questo caso, a prescin-dere dalla frammentazione delle fonti di finanzia-mento, il paziente e la sua famiglia trovano una piat-taforma di servizi integrata e ricomposta.Ognuna di queste visioni detiene vantaggi e svan-taggi simmetrici opposti. Esse possono anche par-zialmente essere sintetizzate tra loro, anche se sibasano su razionali distinti e specifici. La primaritiene cruciale l’esistenza di un unico soggettopubblico responsabile dell’intera filiera dei servi-zi e dell’aggregato delle risorse. La seconda ritie-ne che sia la famiglia il migliore integratore deiservizi. La terza considera l’integrazione dei pro-duttori la chiave per aggregare i servizi.La scelta dell’una o dell’altra opzione dipende an-che da opzioni ideologiche e di valore, tutte quan-te legittime.Pur nella ricchezza e varietà delle so-luzioni possibili, ciò che preme sottolineare agliautori è l’esigenza di mettere a fuoco i confini delproblema e di scegliere almeno una delle visionidisponibili.

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assistenza residenziale agli anziani nonautosufficienti rappresenta da diversi an-ni una sfida e una prova di maturità perle Regioni italiane.

I presupposti di questa sfida sono fondati sui prin-cipali trend socio-demografici e programmatoridella sanità italiana: invecchiamento della popo-lazione, aumento della sopravvivenza di personecon patologie croniche ed invalidanti, trasfor-mazione della rete ospedaliera con riduzione deiposti letto e focalizzazione sull’acuzie, scompo-sizione del sistema di tutela assistenziale delle fa-miglie.Le risposte delle Regioni risultano ad oggi mol-to difformi, sia in termini quantitativi che quali-tativi, con un forte gradiente Nord-Sud.Bisognadel resto riconoscere che l’assenza di una nor-mativa nazionale di riferimento non ha facilitatolo sviluppo omogeneo dei servizi.

LA NORMATIVA NAZIONALEIl termine di Residenza sanitaria assistenziale (Rsa)venne introdotto in Italia alla fine degli anni ’80e formalizzato nella legge finanziaria del 1988(L.11 marzo 1988 n. 67, art. 20) che stanziò unalinea di finanziamento destinato alla realizzazio-ne di una rete di strutture sul modello delle Nur-sing Homes statunitensi.Dopo la Finanziaria del 1988 alcune indicazionirelative alla realizzazione di Residenze Sanitarieper Anziani compaiono nel DPCM 22 dicembre

1989, successivamente sostituito dal D.P.R. 14gennaio 1997, relativo ai requisiti costruttivi edorganizzativi.Le prestazioni residenziali vengono quindi indi-viduate in due importanti decreti: il DPCM 14febbraio 2001 (Decreto sulla Integrazione Socio-Sanitaria) e il DPCM 29 Novembre 2001 (De-creto sui Livelli essenziali di assistenza), che risul-tano tuttavia per alcuni aspetti contradditori e dinon sempre univoca interpretazione. Sulla base diquesti provvedimenti le prestazioni residenzialisono state riconosciute come prestazioni “socio-sanitarie” con parziale copertura dei costi da par-te del Ssn che deve garantire un contributo noninferiore al 50% del costo globale della presta-zione. La restante quota (in genere definita “al-berghiera”) rimane in carico all’ospite o, in casodi sua incapienza economica, al Comune di resi-denza. Le Regioni hanno comunque normatol’argomento in modi molto difformi, così comeper altri aspetti regolatori del settore (Pesaresi2009).Anche in considerazione delle differenti sceltenormative adottate dalle Regioni, nel 2004 il Mi-nistero della salute e la Conferenza Stato Regio-ni, nel definire le linee per il Nuovo sistema in-formativo sanitario (Nsis), hanno costituito nel-l’ambito del Progetto Mattoni un gruppo di la-voro specifico (Mattone n. 12) per la definizionedelle prestazioni residenziali e semi-residenziali.Il lavoro del Mattone n. 12 si è sviluppato in paral-

I SERVIZI RESIDENZIALI IN ITALIAFocus sugli anziani non autosufficienti

di Enrico BrizioliAmministratore Delegato, Istituto di Riabilitazione Santo Stefano - Gruppo KOS

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lelo con un’analoga revisione normativa avviatadalla Commissione Lea producendo al terminedue documenti di centrale importanza:1) Il Documento sulle Prestazioni Residenziali eSemiresidenziali del Ministero della Salute(www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_733_allegato.pdf );

2) Il Decreto Ministeriale 17 dicembre 2008“Isti-tuzione della banca dati finalizzata alla rileva-zione delle prestazioni residenziali e semiresi-denziali”.

Il Documento della commissione Lea indica an-che la necessità di adottare strumenti diValuta-zione multidimensionale (Vmd) e di definire 4classi di prestazioni, successivamente riprese dalDM 17.12.2008 e caratterizzate da diversi livellidi complessità:Livello R1 – Assistenza sub-intensiva in regi-me residenziale (hospice, comi etc.)Livello R2 – Assistenza residenziale ad eleva-ta integrazione sanitariaLivello R2 D – Assistenza residenziale speciali-stica per soggetti con demenza senileLivello R3 – Assistenza residenziale a bassa in-tegrazione sanitariaL’attribuzione dell’ospite al corretto livello di as-sistenza dovrà avvenire mediante strumenti di ana-lisi del case-mix assistenziale derivati dai dati del-laValutazione Multidimensionale.Purtroppo il gruppo di lavoro n. 12 del proget-to Mattoni e la commissione Lea non sono ri-usciti ad ottenere dalle Regioni il consenso sul-l’adozione di un unico strumento diValutazio-ne Multidimensionale e di analisi del Case-mix.Hanno quindi individuato un set minimo di in-formazioni necessario ad alimentarie il Flussoinformativo residenziale (Far) che rappresentauna base dati comune ai più diffusi strumenti inuso e può essere da essi alimentato automatica-mente.Di conseguenza il DM 17.12.2008 prevede cheil flusso informativo nazionale possa essere ali-mentato indifferentemente da uno dei tre stru-menti validati dal Ministero (RUG, SVAMA,

AGED), nonché da eventuali diversi strumentigià adottati dalle Regioni, a condizione che pergli stessi vengano prodotti idonei files di trans-codifica che ne documentino l’idoneità ad ali-mentare correttamente il flusso informativo na-zionale. Il flusso doveva risultare operativo dal 1°gennaio 2011,ma ad oggi il sistema non è anco-ra a regime.

LA NORMATIVA REGIONALELe diverse Regioni hanno provveduto in questianni a regolamentare il settore residenziale sullabase di modelli abbastanza diversi (Pesaresi, 2009).In quasi tutte le Regioni sono stati individuati al-meno due livelli di assistenza residenziale, carat-terizzati da differente complessità assistenziale esanitaria.Alcune Regioni hanno individuato unlivello assistenziale autonomo per l’assistenza aisoggetti con demenza senile. L’elencazione dellediverse normative regionali prescinde gli obietti-vi di questo contributo, che vuole invece presen-tare i principi generali legati alle scelte normati-ve delle Regioni.La diversificazione dei livelli assistenziali, tuttavia,è stata talvolta legata alla gestione di una specifi-ca fase assistenziale. In diverse Regioni infatti, spe-cie in assenza di un adeguato sviluppo delle strut-ture di lungodegenza post-acuzie, le strutture re-sidenziali a maggior capacità assistenziale (comu-nemente denominate Rsa) sono state destinatealla gestione a tempo determinato della dimis-sione ospedaliera, della stabilizzazione clinica, del-la rieducazione funzionale.Queste scelte organizzative tendono ad essere su-perate dagli indirizzi della Commissione Lea edallo stesso Decreto 17.12.2008, che assegnanoalle strutture residenziali non il ruolo di gestionedella post-acuzie,ma quello di garantire adegua-ti livelli di assistenza a tutti i soggetti non auto-sufficienti, per tutto il tempo in cui perdurano lecondizioni di bisogno legate alla non autosuffi-cienza.Per quanto attiene all’utilizzo di sistemi di valu-tazione multidimensionale (Vmd) si registra una

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grande varietà di soluzioni, spesso legate alla pro-duzione di strumenti artigianali piuttosto che astrumenti effettivamente validati in campo na-zionale o,meglio, internazionale (Bernabei 1995,Gallina 2006, Ferrucci 2001, Hawes 1997). Dadiversi anni, tuttavia, è strutturato l’uso preva-lente di strumenti come il VAOR/RUG e loSVAMA, oltre al sistema SOSIA, utilizzato inLombardia, anche se quest’ultimo in realtà nonpuò essere considerato uno strumento diVmd(Ferrucci 2001).In quasi tutte le Regioni l’accesso ai servizi resi-denziali è subordinato ad una valutazione di ap-propriatezza da parte di una UnitàValutativa cheopera presso il Distretto sanitario.In termini di standard di offerta le Regioni han-no adottato criteri di programmazione moltodifformi (ISTAT 2003), con grandi differenzetra le Regioni del Nord (che prevedono, e ga-rantiscono, uno standard medio superiore ai 40posti letto per 1000 anziani) rispetto a quelle delCentro (tra 10 e 20 pl per 1000 anziani) e a quel-le del Meridione (inferiori a 10 pl per 1000 an-ziani).Le scelte delle Regioni del Nord appaiono in li-nea con l’esperienza dei principali Paesi del NordEuropa che individuano un parametro di offertadi 5-6 posti letto per 100 anziani (50-60 x 1.000)come standard di riferimento (Wittemberg 1998,Comas-Herrera 2003).Tuttavia il gradiente geografico di questi dati puòtrovare giustificazione in diversi parametri de-mografici e, soprattutto, socio-economici e cul-turali.In termini di standard di servizio i criteri e i para-metri adottati sono altrettanto difformi, e questosi ripercuote sulle tariffe di servizio che presen-tano una variabilità molto forte sia per quantoconcerne la tariffa totale (che varia da 84 a 160euro), che per quanto attiene alle tariffe alber-ghiere in carico all’ospite (Brizioli 2006, Pesare-si 2009).Su questo ultimo punto si segnala la profonda di-versità di vedute tra le Regioni che hanno rite-

nuto di dover vincolare le strutture “convenzio-nate” a garantire una soglia massima di tariffa al-berghiera e quelle che hanno invece ritenuto didover lasciare libertà nella determinazione di que-ste tariffe.

STANDARD ASSISTENZIALICome abbiamo visto, le singole Regioni applica-no e misurano gli standard assistenziali secondocriteri non sempre assimilabili e coerenti.In linea di massima il parametro più comune-mente utilizzato è quello dei “minuti di assisten-za giornaliera”, intesa come somma totale del po-tenziale di assistenza espresso dalle unità di per-sonale in servizio nella struttura nell’arco delle24 ore.I minuti di assistenza sono l’indicatore più co-munemente utilizzato per qualificare il livello diassistenza erogata, presupponendo una correla-zione tra l’entità delle risorse messe in campo ela intensità e qualità del servizio che ne deriva(Brizioli, 2006).Nei minutaggi di assistenza vengono in genereconteggiati solo le figure di assistenza al pazien-te: personale infermieristico, operatori socio-sa-nitari (Oss o Osss), terapisti della riabilitazione,animatori.Viene escluso dal conteggio il perso-nale amministrativo e tecnico-logistico di sup-porto.Vengono conteggiati i minuti effettivamente la-vorati ogni giorno, su media mensile, dal perso-nale impiegato.Alcune Regioni utilizzano indicatori leggermentedifferenti (numero di addetti per posto letto, tur-nistica specifica ecc.), che sono tuttavia ricondu-cibili allo stesso concetto.Gli standard di assistenza utilizzati variano in me-dia dai 90 ai 150 minuti / die., con importantidifferenze tra le diverse Regioni, non sempre giu-stificate dai livelli di complessità assistenziale del-le strutture.Il Documento della commissione Lea proponealcuni standard di riferimento che vengono pre-sentati di seguito nella tabella 1.

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L’applicazione degli standard assistenziali deve tut-tavia tener conto del lay-out organizzativo e del-le dimensioni globali della struttura. Nelle strut-ture di dimensioni più piccole, infatti, appare qua-si sempre necessario adottare standard più eleva-ti per assicurare la necessaria turnistica su 24 oreed i servizi di coordinamento.Le strutture residenziali sono strutture delle reteterritoriale ed il paziente deve ricevere l’assisten-za da parte del suo medico di medicina generale(mmg). I farmaci, le prestazioni specialistiche, gliausili e i presidi sanitari sono garantiti al pazientedal Ssn su prescrizione del mmg. L’organizzazio-ne dell’assistenza medica di base in Rsa presentatuttavia spesso notevoli problematiche logisticheed organizzative. Generalmente un pool di mmgfornisce l’assistenza presso la Rsa garantendo la lo-ro presenza a rotazione, ma questo difficilmentepuò assicurare la continuità e la tempestività de-gli interventi. Per questo molte strutture si dota-no comunque di un proprio sistema di assistenzamedica, anche quando la cosa non è espressamenterichiesta dalla normativa regionale.

L’ANZIANO NONAUTOSUFFICIENTENELL’ORGANIZZAZIONE DELLA RSAI trend osservati negli ultimi anni evidenzianoun progressivo aggravamento delle condizioni

cliniche medie degli anziani ricoverati in Rsa.Si tratta di un fenomeno legato alla progressivariduzione dei posti letto ospedalieri e alla paral-lela organizzazione dell’assistenza a domiciliocon il supporto delle “badanti”. La selezione diuna casistica sempre più complessa impone daun lato una organizzazione delle strutture sem-pre più orientata a gestire bisogni sanitari com-plessi, dall’altro la necessità di un’attenta valuta-zione dei bisogni sanitari degli ospiti, per la lo-ro corretta allocazione e per la programmazio-ne dell’assistenza.L’organizzazione delle strutture residenziali deri-va dalla sintesi delle normative di settore (a par-tire dal DPCM 22 settembre 1989, fino ai ma-nuali di accreditamento delle Regioni) integratacon la cultura derivata dai settori ospedaliero, al-berghiero e socio-assistenziale.La storia delle strut-ture e la loro vocazione caratterizzano spesso losbilanciamento di ciascuna di esse verso l’uno ol’altro di questi modelli.Alcuni punti sono tutta-via fermi e generalmente condivisi (Trabucchi,2002).Nelle strutture vocate a gestire elevate com-plessità assistenziali e sanitarie l’organizzazio-ne deve cercare di mantenere il necessar ioequilibrio tra standardizzazione dei processi eumanizzazione, ricordando sempre che per l’u-

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TABELLA 1 - Standard previsti dal documento della Commissione Lea

Prestazioni * Standard qualificanti **R1 Guardia medica: h 24

Assistenza medica: 300 minuti / die per nucleoInfermiere: h 24Assistenza globale > 210 min /die per ospite di cui assistenza infermieristica > 90 min/die per ospite

R2 Assistenza medica: 160 minuti / die per nucleoInfermiere h 24Assistenza globale > 140 min / die per ospite di cui assistenza infermieristica > 45 min / die per ospite

R2D Assistenza: 120 minuti / die per nucleoInfermiere h 12Assistenza globale > 140 min / die per ospite di cui assistenza infermieristica > 36 min / die per ospite

R3 Assistenza medica: 80 minuti / die per nucleoInfermiere h 8Assistenza globale > 100 min / die per ospite di cui assistenza infermieristica > 20 min / die per ospite

SR Staff: Infermiere,OSS,AnimazioneAssistenza globale > 50 min / die per ospite

SRD Staff: Infermiere,OSS, PsicologoTerapia cognitiva e orientamentoAssistenza globale > 80 min / die per ospite

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tente la Rsa deve poter essere la “sua casa”.Anche per favorire questo equilibrio le struttureresidenziali sono organizzate per “nuclei” all’in-terno dei quali deve poter essere svolta almenol’80% dell’attività assistenziale e relazionale (assi-stenza, cura, igiene personale, attività relazionale,animazione etc.).Il Nucleo è l’ambiente di vita del paziente e de-ve garantire per quanto possibile una caratteriz-zazione familiare e spazi comuni di soggiorno didimensioni medio-piccole.Gli utenti devono co-stituire una piccola comunità insieme al perso-nale (quanto più possibile stabile) e ai familiari (ilcui accesso alle strutture deve essere favorito inogni modo).Ogni nucleo è coordinato da un “responsabile dinucleo”, rappresentato di norma da una figura in-fermieristica di coordinamento, che organizza illavoro e coordina le diverse professionalità pre-senti e la loro interazione con gli ospiti, i fami-liari e i volontari.I servizi generali esterni al nucleo devono garan-tire lo svolgimento delle attività comunitarie (at-tività di animazione complessa, spettacoli, incon-tri con la comunità) le terapie riabilitative (pale-stra, box di terapia), l’attività spirituale (luogo diculto), alcuni servizi alla persona (barbiere, po-dologo).Tenendo anche conto delle dimensioni minimedelle stanze e dei servizi generali e tecnici, la su-perficie complessiva delle strutture residenzialidovrebbe essere tarata tra 40 e 50 metri quadricomplessivi per ospite.Le dimensioni che meglio garantiscono il rap-porto tra efficienza e umanizzazione delle strut-ture sono definibili nel range 80-120 posti let-to (4-6 nuclei). Il DPR 14 gennaio 1997 indi-vidua una organizzazione massima su 120 pl equindi dimensioni massime di 6.000 mq. Lestrutture residenziali dovrebbero essere realizza-te, preferibilmente, all’interno dei centri abita-ti, pur con la necessità di garantire adeguati spa-zi verdi esterni.L’organizzazione operativa dell’attività assisten-

ziale è basata su organigramma, funzioni, stru-menti e tempi. I tempi dell’organizzazione devo-no essere strutturati sulle esigenze degli ospiti piut-tosto che su quelle degli operatori, ma devonoanche consentire l’equilibrato flusso delle attivi-tà della struttura.Secondo quanto stabilisce il DPR 14 gennaio1997 strumenti fondamentali dell’organizza-zione sono la Valutazione multidimensionale(Vmd), il Piano di assistenza individuale (Pai),e la struttura Multiprofessionale delle équipes(MP).LaVmd è lo strumento base per la lettura, inter-pretazione, programmazione dei problemi del-l’ospite. L’orientamento attuale è sempre più ri-volto all’utilizzo di strumenti validati in ambitointernazionale, gestibili su supporti informatici,confrontabili su banche dati di grandi dimensio-ni, capaci di sviluppare un profilo gerarchico deiproblemi ed impostare i profili di trattamento(Ferrucci 2001).Il Pai è il programma di lavoro organico dell’é-quipe multiprofessionale: è costruito a partire dal-laVmd e definisce obiettivi, condivisione (anchecon i familiari) assegnazione di compiti, parame-tri e strumenti di monitoraggio e verifica. La co-struzione del Pai costituisce il primo passaggiodel lavoro dell’équipe multiprofessionale, deve es-sere sviluppato con il contributo di tutti gli ope-ratori che interagiscono quotidianamente con l’o-spite e sono in grado di riferire sui suoi specificibisogni e comportamenti. Il Pai prevede obietti-vi generali e particolari, con attività definite as-segnate ai singoli operatori e con momenti dicondivisione. Elemento strategico del Pai è la suadiscussione e condivisione con i familiari, ancheperché rappresenta un momento di forte presad’atto delle sue reali condizioni e dei suoi biso-gni, nonché di comprensione del lavoro dell’é-quipe (De Masi, 2001).Le riunioni periodiche di aggiornamento del Pairappresentano il fulcro del piano di lavoro stesso,soprattutto se sono l’occasione per condividereosservazioni ed informazioni essenziali per mo-

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dulare e correggere il lavoro dei singoli (Trabuc-chi, 2002).L’équipe MP è formata dall’insieme degli ope-ratori. La sua operatività non si risolve sempli-cemente nelle riunioni periodiche e nella co-struzione e gestione del Pai, ma in una filosofiadi lavoro condivisa e nella circolazione continuadelle informazioni. L’équipe MP deve riuscire asuperare il modello gerarchico delle professionirealizzando un piano confronto orizzontale.L’organizzazione del lavoro deve essere espressio-ne dello sviluppo dei piani di assistenza e devepoter essere tarata su modelli non necessariamentemeccanici come quelli dei reparti ospedalieri. Lapresenza dell’infermiere nell’arco della giornataè anch’essa espressione dei singoli piani di lavorosviluppati nei nuclei. Strumenti tarati sull’assor-bimento specifico di risorse per profilo profes-sionale, come i RUG (Brizioli 2003, Brizioli2007), consentono di definire standard organiz-zativi tarati sull’effettivo carico assistenziale degliospiti presenti. Sempre prendendo a riferimentoil sistema RUG si può calcolare l’indice di casemix complessivo di un nucleo o di una struttura,e quindi verificare i livelli di assistenza effettiva-mente erogati ed i carichi di lavoro delle diversefigure professionali.Nell’ambito della organizzazione della Rsa unariflessione particolare merita il tema del NucleoAlzheimer.Per NucleoAlzheimer si intende un’a-rea di degenza e di vita specificamente dedicata asoggetti con disturbi cognitivi e del comporta-mento, strutturato in modo da costruire intornoal pazienti un “ambiente protesico” che facilitil’orientamento e limiti le interazioni critiche trail paziente e l’ambiente (Gold, 1991). Il NucleoAlzheimer prevede ambienti ed arredi specifica-mente progettati, oltre a codici colore, strumentidi controllo ambientale, e soprattutto il “giardinoalzheimer”, spazio di libero uso, ricco di stimolisensoriali, che faciliti il controllo del wandering(Cannara, 2004).Alcune Regioni, come la Lom-bardia hanno previsto la realizzazione di questinuclei nell’ambito della organizzazione delle Rsa.

Il DM 17 dicembre 2008 li prevede come livel-lo assistenziale a sè stante. Il dibattito sui NucleiAlzheimer data in realtà fin dai primi anni ’90,con opinioni contrapposte di chi teme una“ghet-tizzazione” del paziente demente e di chi, al con-trario, intende riservare un ambiente specialisti-co a più elevato valore assistenziale.Gli studi rea-lizzati sull’argomento hanno dimostrato un mi-gliore adattamento dei pazienti, una riduzionedelle pratiche di contenzione fisica e farmacolo-gica, un minor burn-out degli operatori (Sloan,1995, Soto 2008).Ad oggi, comunque, la realiz-zazione dei Nuclei Alzheimer deve prevedere spe-cifici requisiti sia di tipo progettuale che orga-nizzativo e deve individuare precisi criteri di ac-cesso riservati alle fasi centrali di malattia in cuisi manifestano in modo più produttivo disturbidel comportamento.

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I servizi residenziali in Italia

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Di fronte all’allungamento della vitamedia della popolazione, una dellesfide più importanti che i servizi sa-nitari si trovano a dover affrontare è

quella di assistere a domicilio malati a complessi-tà assistenziale molto elevata, con patologie cro-nico-degenerative spesso presenti contempora-neamente, in molti casi con una evoluzione cli-nica irreversibile verso la fine della vita.Per certi versi, si tratta di una popolazione di ma-lati, quasi sempre molto anziani,“nuova”dal pun-to di vista epidemiologico, in gran parte colle-gata al miglioramento delle condizioni di vitadelle società moderne e agli sviluppi straordina-ri delle tecnologie mediche, che hanno condot-to ad un rapido incremento dell’aspettativa di vi-ta per ciascuno di noi.D’altra parte, proprio per-ché si tratta di una popolazione “nuova” di ma-lati, con bisogni complessi, è richiesta una rifles-sione approfondita su modelli di risposta assi-stenziale nuovi rispetto al passato, soprattutto perquanto riguarda le cure domiciliari. È ormai do-cumentato, sia dalla letteratura (1,2) sia dall’e-sperienza clinica quotidiana, che a fronte dellaprogressiva riduzione della necessità di ricoveriospedalieri per molte patologie acute, è inveceaumentata in modo molto consistente la richie-sta, spesso impropria, di ricovero per malati an-ziani, con età media superiore ai 75-80 anni, af-

fetti da patologie cronico-degenerative: l’ospe-dale, però, è profondamente inadeguato, sia sulpiano organizzativo sia su quello delle compe-tenze degli operatori che vi lavorano, a fornirerisposte appropriate ai bisogni di questi malati,che invece devono avere la possibilità di esserecurati a domicilio.Una visione organizzativa moderna per la rispo-sta ai bisogni di questi malati non può limitarsiad una valutazione dei bisogni fisici dei pazienti(i sintomi, la riduzione dell’autonomia, ecc.),madeve tener conto, sempre di più, anche di altribisogni fondamentali, di natura psicologica, so-ciale, spirituale, e delle aspettative e preferenzedel malato e dei suoi familiari rispetto ai tratta-menti possibili. Per dare una risposta reale a que-sti bisogni, anche nella persona molto anziana onel malato che si avvia alla fine della vita, è ne-cessario garantire interventi interdisciplinari emultiprofessionali, soprattutto a domicilio, conoperatori sempre più competenti non solo suglielementi clinici dell’assistenza, ma anche sugliaspetti relazionali ed etici dei percorsi di cura. Ècertamente un cambiamento profondo quelloche si propone alla nostra attenzione, anche dalpunto di vista organizzativo: più si allunga la vi-ta, ad esempio, più aumentano, per molte pato-logie cronico-degenerative, le possibilità di scel-ta rispetto alle diverse opzioni terapeutiche ga-

OLTRE IL ‘‘VUOTO ASSISTENZIALE’’La lettura dei bisogni ed il paradigma della continuità delle cureper l’assistenza domiciliare del malato fragile, complesso

di Gianlorenzo Scaccabarozzi1, Carlo Peruselli2, Fabio Lombardi31 Direzione Dipartimento Interaziendale Fragilità ASL/AO Lecco2 Direzione S.C. Cure Palliative,ASL Biella3 Servizio Continuità delle Cure Dipartimento Interaziendale Fragilità ASL/AO Lecco

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rantite dallo sviluppo delle tecnologie (con i re-lativi costi economici e sociali) e diventa più evi-dente la necessità, soprattutto per gli operatori(medici, infermieri, fisioterapisti, ecc.) diretta-mente impegnati nell’assistenza, di sapersi con-frontare con queste possibilità. L’attenzione cre-scente ai bisogni di natura relazionale e alle pre-ferenze dei malati si colloca, peraltro in modonaturale, all’interno del cambiamento ormai av-viato da tempo nei riferimenti etici prevalentidella medicina in generale, con l’attenzione sem-pre maggiore all’autonomia del malato rispettoad una visione paternalistica del rapporto con ilpaziente che ormai dovrebbe essere soltanto unretaggio del passato. Come vedremo in seguito,alcuni Documenti molto recenti del Servizio sa-nitario inglese si pongono in questa prospettiva,includendo le necessarie risposte assistenziali aquesti bisogni complessi e alle preferenze dei ma-lati all’interno di standard organizzativi da ga-rantire da parte dei servizi sanitari.Con l’aumentodella sopravvivenza ci si ammala più tardi in età,la malattia dura più a lungo perché “si muore do-po” ed aumenta il numero degli anni vissuti incondizioni di fragilità spesso estrema.Cambianoi bisogni sanitari, cambia la complessità, il ruolodel malato e della famiglia e deve cambiare pro-fondamente l’organizzazione rivedendo i settingassistenziali, il ruolo dei professionisti ma anchela loro formazione e l’insegnamento della clini-ca (3). Il cambiamento non è solo quantitativo,vi è una correlazione positiva tra età, disabilità edinstabilità clinica, aumenta l’indice di fragilità ver-so valori elevati, significativa è la correlazione traetà e disabilità psichica.

L’IDENTIFICAZIONE DEI MALATI ADELEVATA COMPLESSITÀ ASSISTENZIALE ELE PRESTAZIONI NECESSARIE PERRISPONDERE AI BISOGNIUn primo elemento organizzativo con il quale ènecessario confrontarsi è quello dell’identifica-zione precoce dei malati ad elevata complessitàassistenziale. Una delle condizioni per una mag-

giore efficacia nella risposta per questi malati èinfatti quella del superamento di un modello or-ganizzativo che “insegue” le criticità (cliniche, as-sistenziali) nel momento in cui si presentano, perconcentrarsi invece su modelli di intervento disorveglianza proattiva, che garantiscano interventiprecoci e una discussione anticipata sui tratta-menti possibili di fronte a situazioni di emergen-za. Molti sono gli strumenti proposti a questoscopo, ad esempio la preparazione e condivisio-ne, da parte di gruppi di medici di famiglia, di re-gistri di malati che “si avviano alla fine della vi-ta” (4): in ogni caso, è necessario prevedere, nel-l’ambito di una valutazione multidimensionaleadeguata, la definizione preliminare di alcuni ele-menti, relativi all’autonomia fisica e cognitiva, aisingoli quadri patologici, al supporto familiare esociale, che possono aiutare ad identificare i ma-lati con bisogni assistenziali potenzialmente com-plessi, per poter attivare percorsi di monitorag-gio e sorveglianza adeguati (2,5,6). Nella tabella1 è indicata la casistica delle situazioni comples-se assistibili al domicilio elaborata in riferimentoai profili/bisogni di cura definiti nel documento“Nuova Caratterizzazione dell’assistenza territo-riale domiciliare e degli interventi ospedalieri adomicilio” approvato dalla Commissione Nazio-nale per la definizione e l’aggiornamento dei Leail 18 ottobre 2006 e dal successivo D.M.17.12.2008 che ha istituito il sistema informati-vo per il monitoraggio dell’assistenza domicilia-re. Tale contributo è stato elaborato alla luce diun recente ed innovativo provvedimento dellaGiunta regionale lombarda sulla qualificazionedella rete dell’assistenza domiciliare in attuazio-ne del PSSR 2010-2014 (Deliberazione n.IX/1746 del 18/05/2011 e Decreto n.7211 del2/08/2011 Direzione Generale Famiglia, Con-ciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale) chesta orientando lo sviluppo dei servizi domicilia-ri sulla visione di insieme dei bisogni. L’attenzio-ne è spostata dall’offerta dei servizi alla domandacon l’obiettivo di contrastare il fenomeno del-

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TABELLA 1 - Casistica delle situazioni complesse assistibili al domicilio

CARATTERIZZAZIONECASISTICASITUAZIONICOMPLESSEASSISTIBILIALDOMICILIO1.Persone fragili in condizionedi disabilità,comorbilità,polipatologia che si trovanonella fase postacuta a seguito di:a. Fratture di femore,protesi d’anca,di ginocchio,politraumab.Amputazione di artoc. Insufficienze d’organod. Scompensometabolicoe.Complicanze settiche di ferite chirurgichef. Quadri settici complicatig. Laringectomiah.Tracheostomia

2.Persone affette dapatologie neurologiche:a. Esiti di Ictus cerebrib. Patologie neurologiche progressive o evolutive del SNC- SNP:neurodegenerative specifiche (Morbo diAlzheimer,Morbo di Parkinson;MSA;Corea di Huntington;Morbo a corpi di Lewy;Encefalopatia spongiforme;Malattie cerebrovascolari

c. Malattie del motoneuroned. Stati vegetativi,di minima coscienza

3.Persone in fase avanzata dimalattia per le quali sono indicate le curepalliative con intensità differenziata(curedi supporto,simultanee,curedi fine vita ):

a. Malati oncologicib.Malati non oncologici:• Scompenso cardiaco cronico con particolare riferimento ai malati in classeNYHA IV e a quelli refrattari a trattamento• Insufficienza respiratoria cronica con particolare riferimento a pazienti che necessitano di assistenza alla ventilazione e /o diO2 terapia continuativa• Evoluzione dimalattie neurologiche complesse• Evoluzione di Demenze Parkinson e Parkinsonismi emalattie cerebrovascolari• Insufficienza epatica o renale in fase avanzata• Insufficienzamultiorgano e stati polipatologici• Esiti sfavorevoli di trapianto d’organo• Disabilità gravi in esiti ed evoluzione di patologie genetichemalformative,degenerative dell’età neonatale,infantile,giovanile• Evoluzione degli stati vegetativi

PROCESSOORGANIZZATIVODI VALUTAZIONEEPRESA INCARICO• Accoglienza attraverso il Centro territoriale di riferimento,fulcro strategico della rete dei servizi per la non autosufficienza e della rete locale di cure palliative:i caremanager sanitari e sociali lavorano insieme nella stessa sede e discutono il caso concordando le azioni successive

• Attivazione della continuità di cura negli ospedali con personale dedicato al caremanagement:- i dati clinici ed assistenziali vengono trasferiti dalla équipe ospedaliera a quella domiciliare/residenziale/hospice e viceversa al fine di programmare tempi emodalità di attuazione del PAI

- ledifficoltàdella famiglia,che spessocomplicano ladimissioneospedaliera,vengonoaffrontatee superate,proponendosoluzioni idoneeecondivise allediverse situazioni• Valutazionemultidimensionale socio-sanitaria e socio-assistenziale integrata attraverso strumenti di valutazione clinica,funzionale e sociale:- Valutazione di primo livello attraverso una scheda di triage- Valutazione di secondo livello con l’eventuale identificazione di un bisogno complesso con definizione dei livelli di gravità attaverso l’identificazione del grado didipendenza per domini

- Valutazione sociale (rete assistenziale,economica di base,condizione abitativa,ambiente di vita)- Formulazione del PAI e valorizzazione economica differenziando il costo sanitario da quello sociale

• Gestione della pratiche di assitenza protesica limitando l’uso di ausili e presidi inutili• Condivisione del PAI con ilmedicodi famiglia e supervisione nell’attuazionedello stesso da parte del caremanager sanitario e sociale garanti nei confronti della famiglia• Condivisone con la famiglia ed indirizzo all’Unità diOfferta per la presa in carico• Presa in carico da parte dell’équipe interdisciplinare domiciliare,semiresidenziale,residenziale,in hospice conmodalità che tengano conto:- del pieno rispetto dell’autonomia e dei valori della persona- della globalità e continuità dell’intervento terapeutico/assistenziale sulle 24 ore- del valore della collaborazione professionale- dell’intensità di un’assistenza completa,continuativa,ed in grado di fornire risposte specifiche,tempestive,efficaci ed adeguate al mutare dei bisogni fino all’ultimoistante di vita

• Composizione dell’équipe di cura in base ai bisogni rilevati e al relativo PAI:infermiere,medico specialista (internista,fisiatra,palliativista),terapisti della riabilitazione(fisioterapista,logopedista),dietista,psicologo,assistente sociale, ASA/OSS,educatore,specialisti consulenti,all’interno della quale viene identificato il casemanager

• Pianificazione dei profili di cura a livelli di intensità differenti anche in base al livello di autonomia raggiunto dal caregiver inmerito alle competenze acquisite e/o adeventi intercorrenti

• Coordinamento interventi e valutazione in itinere dell’appropriatezza del percorso di cura• Verifica ed eventuale rivalutazione• Conclusione e valutazione degli esiti

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SEGUE DALLA PAG. DI FIANCO TABELLA 1 - Casistica delle situazioni complesse assistibili al domicilio

PRESTAZIONIMEDICHEDIBASEESPECIALISTICHE

PRESTAZIONIINFERMIERISTICHE

PRESTAZIONIRIABILITATIVE

PRESTAZIONISOCIALI

PRESTAZIONIASSISTENZIALI

PRESTAZIONIDIPROMOZIONEESO-STEGNODELLAMU-TUALITÀ FAMILIARE

• Contatti con i centri specialistici di riferimento• Cura degli aspetti preventivi• Monitoraggio delle condizioni cliniche e dell’evoluzione dimalattia• Interventi per gestione della nutrizione artificiale (sonde nutrizionali,PEG,ecc.)• Interventi per gestione ventilazione e/o cannula tracheale• Monitoraggio terapie complesse• Valutazione,monitoraggio e trattamento dei sintomi• Prescrizione terapie• Prescrizione eventuali indagini diagnostiche• Gestione delle complicanze• Gestione degli eventi intercorrenti• Revisione terapie croniche a favore di terapie di supporto• Supporto nelle scelte di fine vita• Sospensione dei trattamenti non appropriati e rimodulazione degli interventi• Rilevazione di problematiche psico-sociali,primo sostegno e attivazione risorse professionali competenti• Rilevazione aspetti spirituali,primo sostegno e attivazione risorse professionali competenti• Supporto al caregiver• Prescrizione e adeguamento ausili• Interventi di adeguamento del domicilio alle esigenze del paziente• Programma riabilitativo di mantenimento• Aiutomantenimento posizione• Interventi per conservare il massimo confort possibile per il malato• Procedure diagnostico terapeutiche per controllo sintomi• Mantenimento parametri vitali• Nursing,interventi di tipo educativo e trasferimento competenze• Gestione sonda nutrizionale• Gestione tracheostomia e cannula tracheale• Gestione incontinenza• Gestione alvo• Garantire integrità cutanea e trattamento delle lesioni cutaneee• Prevenzione e/o trattamento di lesioni cutanee• Rilevazione problematiche psico-sociali,primo sostegno e attivazione risorse professionali competenti• Supporto relazionale e comunicativo al caregiver• Interventi di tipo educativo riguardanti l’adeguamento degli ambienti,istruzione all’utilizzo degli ausili• Prescrizione e adeguamento ausili• Trasferimenti e posture corrette• Prevenzione retrazioni• Mobilizzazione passiva• Stimolazione sensoriale• Prevenzione complicanze• Trattamento finalizzato al mantenimento e/omiglioramento funzionalemotorio e/o comunicativo• Anamnesi sociale• Lettura del bisogno socio-assistenziale• Mappatura della rete socio-assistenziale:rilevazione e valutazione delle risorse esistenti potenziali e reali attraverso la somministrazione della“carta di rete”;rilevazione e valutazione del carico di cura della famiglia attraverso la somministrazione di strumenti ad hoc

• Analisi dellamappatura di rete e proposta di suddivisione e/o ridistribuzione dei carichi di cura• Attività di consulenza e informazione• Colloqui di accompagnamento della famiglia nella rete dei servizi (domande,valutazioni,sostegno,monitoraggio)• Attività di sostegno alla famiglia per orientarsi nel contesto organizzativo,istituzionale e informale della rete sociale e sociosanitaria• Sostegno nella ricerca di unAssistente Familiare e nel suo inserimento• TutoringAssistenti Familiari (monitoraggio del percorso di cura a partire dall’inserimento in famiglia dell’Assistente Familiare)• Valutazione di sostegni economici ed individuazione delle forme più appropriate di erogazione (contributi,buoni,voucher)• Counselling di supporto alle famiglie:orientamento,sostegno e sviluppo delle potenzialità del caregiver,promuovendone atteggiamenti attivi,propositivi e stimolando le capacità di scelta

• Igiene personale al malato con difficoltàmotoria• Alzata dal letto• Vestizione• Igiene al malato allettato• Igiene al malato con lesioni cutanee• Gestione della corretta postura nel letto• Gestione della cute nei punti amaggior rischio di lesione (idratazione,applicazione di sistemi di protezione)• Bagno• Mobilizzazione assistita• Utilizzo degli ausili• Partecipazione ad un programma dimobilizzazione ad orari,in coordinamento con la famiglia e/o altri operatori che accedono al domicilio• Aiuto e cura nell’organizzazione e gestione dell’alloggio• Aiuto nella preparazione e/o fornitura dei pasti• Colloquio per proporre alla famigliamomenti strutturati di incontro di auto-mutuo aiuto• Attività di assistenza,fornita dall’ASA/OSS,presso il domicilio del paziente per permettere ai famililiari di partecipare agli incontri di automutuo aiuto

CARATTERIZZAZIONEDELLEPRESTAZIONI INFUNZIONEDEIBISOGNI

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l’abbandono della persona con bisogni comples-si (“vuoto assistenziale”), sostenendo e svilup-pando la capacità della rete dei servizi di pren-dersi cura delle persone e delle loro famiglie ol-tre che del curare, azione questa più concentratasulla malattia. In sostanza, oltre a garantire un’ap-propriata gestione delle risorse e la sostenibilitànel lungo periodo, il percorso di presa in caricograduale e precoce del malato deve prevedere unconcreto sostegno della famiglia ma anche, più in

generale, del care giver, badante, vicino di casa,volontario. La famiglia protagonista del progettodi cura viene in tal modo affrancata dal bisogno.La tabella 1, rappresenta accanto ai consolidati in-terventi in grado di rispondere ai bisogni clinicidel malato complesso, puntualmente identificatiper ogni professionalità (prestazioni mediche dibase e specialistiche, infermieristiche, riabilitati-ve, sociali ed assistenziali) le prestazioni di pro-mozione e sostegno della mutualità famigliare,psicologiche ed educative a cui l’attuale sistema

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SEGUE DA PAG. 75 TABELLA 1 - Casistica delle situazioni complesse assistibili al domicilio

PRESTAZIONIPSICOLOGICHE

PRESTAZIONIEDUCATIVE

• Analisi della domanda di aiuto• Valutazione disagio psicologico e risorse personali• Individuazione intervento più opportuno• Proposta e accordo• Intervento per il contenimento e la gestione delle emozioni dolorose:ansia,angoscia,rabbia,paura,senso di incertezza,vissuti di morte,ecc.

• Rielaborazione dei vissuti dolorosi che lamalattia comporta• Accompagnamento nel percorso di consapevolezza ed accettazione dellamalattia

• Sostegno volto amigliorare la comunicazione all’interno del sistema familiare• Sostegno finalizzato ad unamigliore compliance ai trattamenti (alleanza di cura)• Aiuto per favorire un percorso di adattamento funzionale alla situazione di crisiconnessa alla malattia

• Guida e supporto nei processi decisionali eticamente sensibili• Guida e supporto nella comunicazione con i familiari problematici e fragili(affetti da patologie“psichiatriche” o neurologiche,disabili,ecc.)

• Guida e supporto nella comunicazione dimalattia con figli minorenni

Attività fisica col malatoe/o con il familiare

Attività con gli operatori

Interventi professionaliall’interno di progetti diauto-mutuo aiuto rivolti alcaregiverValutazione delle risorsesocio-relazionali

Percorsi di mantenimentodelle capacità relazionali ecognitive

Attività educative asupporto del caregiver(badante) e/o del nucleofamigliare

Colloquio di valutazione delladomanda di aiuto psicologico

Colloquio di sostegnopsicologico

Consulenza psicologica

CARATTERIZZAZIONEDELLEPRESTAZIONI INFUNZIONEDEIBISOGNI

Consulenza e/o percorso breve di sostegno psicologico individuale alle persone in luttoAttività di invio accompagnato ad altri serviziConsulenza operatori di linea sul caso (infermieri,medici,assistenti sociali,dietista,educatori,ecc.)Consulenze operatori con funzioni di coordinamentoConsulenza operatori su disagio lavorativo (burn-out)Partecipazione riunioni di équipe e/ominiéquipe sul casoSupervisione psicologica periodica di gruppi intraprofessionali e interprofessionaliRaccordo e/o consulenza figure chiave del sistema e altri professionisti (MMG,pediatri di libera scelta,medici direparto,ecc.)Consulenza operatori di linea sul caso (infermieri,medici,assistenti sociali,dietista,educatori,ecc.)Supervisione facilitatori di gruppi autonomiIntervento in gruppi autonomi a partire damotivata richiesta del facilitatore in situazioni specificheCoordinamentoTecnico (fasi di promozione,realizzazione,valutazione)• Valutazione del livello di cognitività residua (MMSE/SMMSE)• Valutazione del livello di stress del caregiver di riferimento (CBI)• Ricognizione autobiografica• Individuazione di linguaggi/canali comunicativi appropriati• Valutazione dell’ambiente domestico (in collaborazione con il Fisioterapista)• Colloquio e conversazione con il caregiver e/o con il malato• Stimolazione attiva al mantenimento delle capacitàmanuali e prassiche,se presenti,della vita quotidiana (vestirsi,lavarsi,cucinare,telefonare…),in collaborazione con l’OSS

• Assistenza/supervisione alle attività della vita quotidiana per il mantenimeto delle capacità residue.• Trattamento finalizzato al recupero della capacità comunicativa (in collaborazione con il logopedista)• Attività di stimolazione cognitiva adeguate al livello di deficit cognitivo presente• Attività ludico-ricreative sia al domicilio che all’esterno,laddove possibile• Attività occupazionali sulla base della storia e delle risorse delle persona (malato e/o con il caregiver)• Sperimentazioni di percorsi specialistici nelle arti-terapie o animazionemusicale• Supporto e predisposizione di ambienti protesici• Attività educative a supporto del caregiver (badante) e/o del nucleo famigliare

segue da pag. 73

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di cure domiciliari mediamente, nel nostro Pae-se, dedica scarsa o nulla attenzione.

LAVALUTAZIONE DEI BISOGNI DEIMALATI E DELLE LORO PREFERENZERISPETTO AI PERCORSI DI CURA, LAMEDICINA DELLA COMPLESSITÀLa valutazione adeguata dei bisogni dei malati adelevata complessità assistenziale è certamente unpassaggio indispensabile per un possibile pro-gramma di cure domiciliari. La medicina dellacomplessità, il cui paradigma di riferimento si di-versifica da quello della medicina della evidenza“riduci e/o risolvi”, richiede cure e competenzeparticolari, in parte diverse da quelle necessarieper la fase acuta della malattia perché diversi so-no i bisogni del malato e della sua famiglia, che èsì partecipe e protagonista del piano di cura maanche oggetto di attenzione e quando necessariodi assistenza. In questo senso parliamo di malat-tia del nucleo famigliare perché gestire a casa unmalato complesso ha significative ripercussionisulla vita sociale, sui progetti, sulle aspirazioni del-la famiglia. Per certi versi, altrettanto e forse an-cor più complessa è la valutazione delle prefe-renze dei malati rispetto alle diverse opzioni te-rapeutiche possibili, ad esempio di fronte a situa-zioni di emergenza o di potenziale rischio per lavita.Queste difficoltà,ma anche opportunità, so-no naturalmente più evidenti quando ci si occu-pa di malati in assistenza domiciliare che si av-viano alla fine della vita per malattie cronico-de-generative: per una valutazione e discussione re-lativa alle preferenze dei malati è necessario, co-me accennato in precedenza, garantire agli ope-ratori che si occupano direttamente dell’assisten-za (medici, infermieri, ecc.) percorsi formativi chepermettano di acquisire competenze adeguate, siarelazionali sia etiche, oltre alla possibilità di un la-voro in équipe che permetta un confronto real-mente multidisciplinare ed interprofessionale.Quando si parla di valutare le preferenze nellepersone anziane, certamente una delle sfide piùcomplesse alle quali cercare di dare una risposta

è quella del confronto con i malati con gravi pro-blemi cognitivi, ad evoluzione verso un inevita-bile peggioramento: per questi aspetti, alcune re-centi esperienze, condotte in Francia e negli Sta-ti Uniti, sembrano poter aprire interessanti pro-spettive di sviluppo, soprattutto per quanto ri-guarda le preferenze rispetto alle scelte terapeu-tiche che riguardano la fase finale della vita, conl’utilizzo di metodi originali, quali il “Card sor-ting” (7,8).

I BISOGNI DEI FAMILIARIQuando si riflette sull’assistenza domiciliare amalati con bisogni assistenziali complessi, non èpossibile naturalmente dimenticare che questotipo di assistenza è in gran parte garantita dai fa-miliari o comunque da coloro che sono defini-ti i “caregivers”. Senza voler entrare nei dettaglidi questa tematica, che va al di là degli obiettividi questo articolo, per i familiari di questi mala-ti, accanto ai bisogni concreti di supporto pra-tico per l’assistenza a casa, assumono grande ri-levanza anche i bisogni di natura relazionale. Lecause più frequenti di disagio per i familiari so-no l’incertezza rispetto ai trattamenti, la non co-noscenza delle modalità più appropriate di assi-stenza, i cambiamenti di ruolo all’interno dellafamiglia, le difficoltà economiche, il ridotto sup-porto sociale (9).Questi disagi condizionano inmolti familiari sintomi gravi di natura psicolo-gica (ansia, depressione), insonnia, perdita di pe-so: addirittura, per le persone di età >65 anniche assistono i propri familiari malati alla finedella vita, è stato documentato, durante le fasidel lutto, un rischio di mortalità superiore al 60%rispetto ad un gruppo di controllo di personedella stessa età che non assistono malati termi-nali (10). In questo senso, una organizzazionedell’assistenza domiciliare che garantisce un ade-guato supporto ai caregivers è in grado di svol-gere, nei confronti di queste persone, una fun-zione positiva di natura preventiva, con una ri-duzione significativa del rischio di morte du-rante le fasi del lutto (11).

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IL DOCUMENTO DEL NATIONALINSTITUTE FOR CLINICAL EXCELLENCE(NICE)Il Documento del NICE sugli standard di quali-tà per le Cure di fine vita in Gran Bretagna rap-presenta un importante riferimento per lo svi-luppo dei servizi di cure domiciliari orientati al-la medicina e alla cura della complessità. Il Do-cumento, prodotto dal NICE nel 2011 (12), sipropone come un contributo importante di ri-flessione, non solo in riferimento alle cure deimalati che si avviano alla fine della vita ma più ingenerale rispetto alle cure di malati ad elevatacomplessità assistenziale. I 16 standard di qualitàdefiniti per le Cure Palliative (tabella 2) conten-gono infatti molti dei punti che abbiamo elenca-to in precedenza come elementi centrali di qua-lità nella organizzazione dell’assistenza domicilia-re per malati ad elevata complessità.Lo standard n.1 afferma che i malati che si av-viano alla fine della vita vanno identificati in mo-

do tempestivo, in modo da permettere una sor-veglianza precoce dei loro bisogni e per garanti-re risposte efficaci in tempi rapidi.Molti degli standard successivi (n.2,3,5,6,12,14)si soffermano sulla necessità di garantire una ade-guata valutazione dei bisogni e delle preferenzedi questi malati, non solo per quanto riguarda gliaspetti fisici, ma anche per quelli psicologici, so-ciali e spirituali. Di notevole importanza, comerilevato in precedenza, appare la sottolineaturasulla valutazione delle preferenze dei malati,“conla possibilità di discutere, sviluppare e rivedere unpiano personalizzato di cura riferito ai trattamentiattuali e futuri”.Grande attenzione viene posta alla necessità digarantire continuità di cura (standard n.4,8,10,11)e coordinamento nei processi assistenziali, pur inpresenza di diversi possibili erogatori di cura (me-dici di medicina generale, infermieri per l’assi-stenza domiciliare, servizi di cure palliative spe-cialistici, servizi per l’emergenza).Anche per i fa-

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TABELLA 2 - 16 standard di qualità definiti per le cure palliative - NICE

1. People approaching the end of life are identified in a timely way.2. People approaching the end of life and their families and carers are communicatedwith,and offered information,in an accessible and sensitiveway in response totheir needs and preferences.

3. People approaching the end of life are offered comprehensive holistic assessments in response to their changing needs and preferences,with the opportunity todiscuss,develop and review a personalised care plan for current and future support and treatment.

4. People approaching the end of life have their physical and specific psychological needs safely,effectively and appropriatelymet at any time of day or night,includingaccess tomedicines and equipment.

5. People approaching the end of life are offered timely personalised support for their social,practical and emotional needs,which is appropriate to their preferences,andmaximises independence and social participation for as long as possible.

6. People approaching the end of life are offered spiritual and religious support appropriate to their needs and preferences.7. Families and carers of people approaching the end of life are offered comprehensive holistic assessments in response to their changing needs and preferences,andholistic support appropriate to their current needs and preferences.

8. People approaching the end of life receive consistent care that is coordinated effectively across all relevant settings and services at any time of day or night,anddelivered by practitionerswho are aware of the person’s currentmedical condition,care plan and preferences.

9. People approaching the end of life who experience a crisis at any time of day or night receive prompt,safe and effective urgent care appropriate to their needs andpreferences.

10.People approaching the end of life whomay benefit from specialist palliative care,are offered this care in a timely way appropriate to their needs and preferences,atany time of day or night.

11.People in the last days of life are identified in a timely way and have their care coordinated and delivered in accordancewith their personalised care plan,includingrapid access to holistic support,equipment and administration ofmedication.

12.The body of a personwho has died is cared for in a culturally sensitive and dignifiedmanner.13.Families and carers of peoplewho have died receive timely verification and certification of the death.14.People closely affected by a death are communicatedwith in a sensitiveway and are offered immediate and ongoing bereavement,emotional and spiritual supportappropriate to their needs and preferences.

15.Health and social careworkers have the knowledge,skills and attitudes necessary to be competent to provide high-quality care and support for peopleapproaching the end of life and their families and carers.

16.Generalist and specialist services providing care for people approaching the end of life and their families and carers have amultidisciplinaryworkforce sufficient innumber and skill mix to provide high-quality care and support.

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miliari che garantiscono assistenza, viene defini-ta la necessità di valutare i loro bisogni e prefe-renze, con una particolare attenzione alle tema-tiche relazionali e al supporto emotivo.Infine (standard n.15 e 16) è fortemente sottoli-neata la necessità di garantire percorsi specifici diformazione per gli operatori, per migliorare le lo-ro competenze nel supporto ai bisogni e alle pre-ferenze di malati e familiari.Come descritto in precedenza, l’intero Docu-mento, con la ripetuta sottolineatura sulla neces-sità di valutare e dare una risposta ai “bisogni e al-le preferenze”di malati e familiari si colloca, a no-stro parere, in una prospettiva originale e moder-na di organizzazione dei servizi per i malati adelevata complessità assistenziale, anche se si rife-risce in particolare ad una categoria specifica diquesti pazienti, quelli che si avviano alla fine del-la vita. È il segnale che, anche in un contesto diassistenza domiciliare, l’attenzione ai bisogni nonsolo fisici dei malati e dei familiari e al rispettodella loro autonomia per quanto riguarda le scel-te di cura è ormai un elemento imprescindibilein un processo di valorizzazione della qualità del-le cure, comprendendoli all’interno di possibilielementi per l’accreditamento di questi servizi.

LA COMPLESSITÀ ASSISTENZIALE ÈINDOTTA DAI “BISOGNI” DELLEORGANIZZAZIONI SANITARIE?La complessità assistenziale dei malati è correlatanaturalmente a un intreccio di bisogni di naturafisica, psicologica, sociale, dei pazienti stessi e deiloro familiari.Tuttavia, di fronte alle molteplici al-ternative terapeutiche che la tecnologia medicaoggi potenzialmente propone anche per le pato-logie cronico-degenerative, forse qualche rifles-sione dovrebbe essere fatta anche sulle motiva-zioni che portano ad alcune scelte terapeuticherispetto ad altre, con la conseguenza di un im-patto tecnologico e di complessità assistenzialemolto diverso.Senza voler entrare nei dettagli, ma per fornirecomunque uno spunto di riflessione al riguardo,

ci soffermiamo brevemente sui risultati di unostudio pubblicato recentemente negli Stati Uni-ti (13). La ricerca pubblicata studia le percentua-li di posizionamento di sonde per alimentazioneartificiale in malati con demenza in fase avanza-ta negli ospedali americani.Malgrado il fatto chemolti studi abbiano da anni documentato che l’u-tilizzo di sonde per alimentazione artificiale nonprolunga la sopravvivenza in questi pazienti, népreviene le polmoniti da aspirazione o l’insor-genza di ulcere da decubito, ancora oggi oltre il30% dei malati con demenza avanzata assistiti inStrutture Residenziali negli Stati Uniti è porta-tore di questo tipo di sonde. L’analisi fatta sullecaratteristiche degli ospedali che hanno posizio-nato queste sonde ha evidenziato una grande va-riabilità nelle percentuali di posizionamento, chevariano dallo 0% al 38%: questa grande variabili-tà non è affatto in rapporto con i bisogni e le pre-ferenze dei malati quanto piuttosto con le carat-teristiche degli ospedali, con una percentuale diposizionamenti significativamente maggiore ne-gli ospedali privati rispetto a quelli pubblici, aquelli di maggiori dimensioni e collegati a istitu-zioni accademiche rispetto a quelli con minor nu-mero di posti letto. Senza naturalmente voler ge-neralizzare un’esperienza che è riferita ad una or-ganizzazione sanitaria molto diversa dalla nostra,forse è il momento, anche nel nostro Paese, di pro-porre alcune riflessioni rispetto all’appropriatez-za di alcuni trattamenti invasivi, di dubbia o nondocumentata efficacia, in malati anziani con pa-tologie cronico-degenerative, considerando se l’in-dicazione a questi trattamenti viene posta real-mente in rapporto ai “bisogni e alle preferenze”di malati e familiari o piuttosto ai bisogni indot-ti da alcune organizzazioni sanitarie.

UNA NUOVA RISPOSTA ORGANIZZATIVAUna nuova risposta organizzativa parte dalla con-tinuità delle cure, rivedendo gli assetti organizza-tivi dell’ospedale e del territorio. La continuitàdelle cure è da considerarsi come una sorta di"software", capace di far interagire tra loro i vari

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terminali della rete divenendo quindi uno stru-mento fondamentale per la corretta presa in ca-rico del malato fragile caratterizzato da un biso-gno sociosanitario complesso. Ciò significa go-vernare le interdipendenze tra le parti del siste-ma conciliando ruoli e responsabilità per svilup-pare gli atti di cura ed assistenza in una prospet-tiva temporale (Pai).Perché tale paradigma venga compreso, definito,standardizzato e poi sistematicamente applicato,deve poggiare su solide basi dottrinali.Nei primianni dello scorso decennio, numerosi autori han-no efficacemente teorizzato la continuità dellecure come la modalità in cui una serie di eventisanitari viene generalmente vissuta come coerentecon le necessità mediche e sociali di un determi-nato paziente, distinguendola da altre caratteristi-che di un percorso di cura grazie a due elemen-ti fondamentali che la caratterizzano: focus sulsingolo individuo e assistenza nel tempo (14,15).L’Organizzazione mondiale della sanità stessa con-sidera la “continuità delle cure” uno degli indi-catori più sensibili del buon funzionamento di unServizio sanitario, perché aggiunge al tradiziona-le concetto di cura quello della presa in carico delpaziente ai diversi livelli della rete assistenziale. Ilcontinuo potenziamento e sviluppo della conti-nuità assistenziale sono inoltre costante oggettodi considerazione nei documenti di programma-zione ed indirizzo in campo sanitario e socio-sa-nitario. Il Piano sanitario nazionale 2011-2013,al punto 2.7.2 “Continuità delle cure ed integrazio-ne ospedale territorio”, afferma che “uno dei prin-cipali obiettivi del Ssn è garantire la continuitàdelle cure:a) tra i diversi professionisti intra ed extraospeda-lieri, in modo che la frammentazione nata dallosviluppo di competenze ultraspecialistiche si in-tegri in un quadro unitario;b) tra i diversi livelli di assistenza soprattuttonel delicato confine tra ospedale e territorio,il post dimissione, che il paziente a volte si ve-de costretto ancora ad affrontare da solo, al difuori di un percorso conosciuto e condiviso”.

Per permettere una efficace pianificazione dellacontinuità di cura, in grado tra l’altro di ridurrela probabilità di ricoveri ripetuti, diventa indi-spensabile riconoscere correttamente i bisogni sa-nitari e socio assistenziali del malato e della suafamiglia. Infatti un progetto di continuità di cu-ra dovrà necessariamente focalizzarsi sulla cen-tralità del malato rispetto ai nodi della rete, sullamultidisciplinarietà dell’offerta assistenziale e sul-la centralità dei sistemi di relazione che consen-tono di far interagire tra loro le figure professio-nali sanitarie e sociosanitarie. L’approccio unita-rio inoltre migliora l’appropriatezza del percorsodi cura favorendo un equilibrato utilizzo delle ri-sorse.Il modello organizzativo necessario per garantireil corretto trasferimento di informazioni al pa-ziente e alla sua famiglia, al medico di famiglia, aiservizi territoriali o ad una struttura intermedia,richiede tempo, pazienza e attenta programma-zione, costituendo l’interfaccia tra situazioni conpeculiarità cliniche, terapeutiche ed assistenzialimolto diverse. Qualunque miglioramento nellacontinuità di cura per malati con bisogni assi-stenziali complessi richiede, perciò, una specificaformazione alla complessità, una lettura delle in-formazioni cliniche attraverso la lente del biso-gno ed un importante investimento sull’organiz-zazione sia ospedaliera che territoriale. Non piùla disaggregazione dei bisogni dei malati e dei fa-miliari in funzione degli assetti organizzativi del-la Azienda sanitaria, spesso diversi persino all’in-terno dei distretti sociosanitari della stessa Azien-da (i “bisogni delle organizzazioni”), ma un de-cisivo cambiamento dell’organizzazione che for-nisca una risposta tempestiva e unitaria.Un caso paradigmatico è la pianificazione di unadimissione ospedaliera, che deve essere conside-rata come un processo e non come il sempliceatto conclusivo del ricovero iniziando il più pre-cocemente possibile durante il periodo di de-genza (figura 1). La stessa relazione di dimissio-ne può rappresentare uno strumento cardine del-la continuità di cura (attraverso i Servizi Conti-

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nuità Cure - SCC), permettendo non solo la sta-diazione puntuale della patologia e dei percorsidiagnostico-terapeutici messi in atto durante ladegenza, ma contenendo anche tutte le infor-mazioni necessarie per la gestione (case mana-gement) post acuta del malato, sia per quello cheriguarda la terapia farmacologica che per la ge-stione del follow-up domiciliare (16,17). Proprioin questa fase è infatti maggiore il rischio di per-dita o alterazione di informazioni, causa non ul-tima di outcomes sfavorevoli o di precoce ri-ospedalizzazione.

CONCLUSIONIL'allungamento della vita media ha come conse-guenza inevitabile un incremento delle patologiecronico-degenerative in fasce di popolazione di etàsempre più anziana,patologie che quasi sempre gliinterventi medici attuali possono solo controllaree non “eliminare”. Poiché tali situazioni cliniche,che conducono spesso a condizioni di grande fra-gilità con elevati bisogni assistenziali, sono semprepiù frequenti, il sistema sanitario attuale, soprattut-to nei Paesi a più elevato benessere economico,non può più sopravvivere senza profondi cambia-menti organizzativi e senza un’alleanza con la pro-pria comunità (R.Bengoa,WHO, 2001).Il domicilio rappresenta certamente il luogo pri-

vilegiato dove garantire cure al malato fragile ecomplesso,ma solo se questa eventuale scelta delmalato e della famiglia è supportata da una orga-nizzazione che garantisce cure a casa di elevataqualità e che non li lasci soli di fronte alle diffi-coltà. Le nuove risposte di cura ed assistenza ri-chiedono tuttavia un profondo cambiamento or-ganizzativo, un ripensamento della medicina ter-ritoriale, del ruolo dei distretti, del contributodella medicina di famiglia, cambiamenti che, as-sicurando la qualità professionale e l’efficacia de-gli interventi, riducano in modo sostanziale il di-sagio e la sofferenza legati alla malattia.La presa in carico di queste situazioni coinvolgeinfatti l'intero sistema familiare e più in generaledi tutti coloro che forniscono care-giving. Le fa-miglie si caricano infatti di compiti assistenzialiparticolarmente gravosi nelle situazioni più pro-blematiche di non autosufficienza, disabilità, ter-minalità.Occorre pertanto che le politiche di welfare e leinfrastrutture del sistema sanitario e sociale si or-ganizzino per garantire una gestione efficace e as-sistenza al malato complesso e alla sua famigliaprivilegiando quando possibile il domicilio attra-verso strategie appropriate, personale ben adde-strato e dedicato, standard per l’assistenza ben fun-zionanti. Il modello operativo del Chronic Care

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FIGURA 1 - Analisi del processo dimissione protetta e pianificazione continuità della cura

1. Individuazione del bisogno

2. Segnalazione cartacea /telefonica

3. Prima valutazione documentazione e giudizio su appropriatezza e rispetto della tempistica della segnalazione

4. Valutazione del caso

5. Colloqui con personale infermieristico/medico

6. Colloquio con il malato /famigliari/caregiver

7 Pianificazione della appropriata Continuità di Cura

8. Contatti con la ReteTerritoriale (MMG,erogatori,Hospice,RSA,etc.)

9. Informazioni sul processo in atto ai Reparti di Degenza,al malato e ai suoi famigliari

10. Check finale pre-dimissione

11. Verifica avvenuta dimissione

12. Archiviazione documentazione cartacea

13. Inserimento dati nel database

14. Valutazione del buon esito della procedura

Repartodegenza

SCC

Reparto

SCC

Rep/Scc

SCC

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Model è un significativo riferimento al riguardo,in quanto basato sulla continuità della cura e sul-l’interazione tra la famiglia ed il team multi pro-fessionale: le evidenze scientifiche e le buone pra-tiche applicate in alcune realtà italiane dimostra-no che i malati, quando ricevono trattamenti in-tegrati, un supporto al self-management ed unattento monitoraggio e supporto, migliorano laloro qualità di vita e ricorrono meno all’assisten-za ospedaliera. L'esperienza sviluppata in questianni anche nel nostro Paese, in particolare nellecure palliative domiciliari, e le importanti rifles-sioni che sono alla base degli standard proposti daNICE in Gran Bretagna per le cure di fine vitaconfermano anche che, accanto alla necessaria

competenza tecnica, i bisogni dei malati fragili,ad elevata complessità assistenziale, richiedonocompetenze in ambito relazionale ed etico in gra-do di garantire risposte adeguate a questi bisognie il rispetto dei loro desideri e preferenze rispet-to ai trattamenti, elementi ormai imprescindibiliin una visione moderna della medicina. In que-sto orizzonte, non solo tecnico ma anche cultu-rale, la continuità di cura tra professionisti diver-si e diversi livelli di assistenza, soprattutto nel de-licato confine tra ospedale e domicilio, è in gra-do di introdurre significativi miglioramenti nonsolo della qualità di vita delle persone malate e dicoloro che li assistono, ma anche dell’efficienzadel sistema socio sanitario nel suo complesso.

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I nodi della Long Term Care in Italia

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idiQuesto lavoro intende fare il punto

sulle questioni di maggior rilievonell’assistenza continuativa agli an-ziani non autosufficienti (long term

care, LTC) nel nostro Paese.Quello di long termcare è un bisogno complesso, che richiede inter-venti di aiuto nelle attività di base della vita quo-tidiana ma anche prestazioni sanitarie, per un pe-riodo di tempo prolungato. Crediamo per que-sto sia utile adottare una prospettiva ampia, chericomponga il quadro di tutti gli interventi de-stinati a questo scopo (centrali e locali).Il nostro contributo si prefigge due obiettivi. Pri-mo, offrire una panoramica sullo stato dell’artedelle varie misure di sostegno alla LTC nel con-testo odierno: cosa sta cambiando negli ultimi an-ni nell’assistenza sociosanitaria, nei servizi dei Co-muni per gli anziani, nelle prestazioni moneta-rie?1Tali cambiamenti saranno affrontati nella pri-ma parte dell’articolo. Secondo, mettere a fuoco

le prospettive future di evoluzione del settore. Leopzioni di policy sono diverse, per di più ricon-ducibili a due differenti modelli alternativi, chesaranno esaminati nella parte successiva del con-tributo.

IL QUADROATTUALELe tendenze complessiveLe più recenti stime sulla spesa pubblica a favoredegli anziani2 non autosufficienti indicano che ta-le voce assorbe l’1,28% del Pil e che negli ultimisette anni ha conosciuto un incremento (nel 2004l’incidenza era pari allo 1,05%) (tabella 1). La no-stra assistenza continuativa è dominata dai trasfe-rimenti monetari: circa la metà delle risorse è im-piegata nell’indennità di accompagnamento, lacomponente con maggior peso; per quel che at-tiene ai servizi, quelli di natura sanitaria hannoun ruolo nettamente più importante rispetto agliinterventi di tipo assistenziale gestiti dai Comu-

I NODI DELLA LONG TERM CAREIN ITALIA

di Cristiano Gori1 e Laura Pelliccia 2

1Network Non Autosufficienza (NNA)2Asl Milano Due

TABELLA 1 - Spesa pubblica per LTC per anziani non autosufficienti, quota (%) del Pil, 2004 e 2010 e variazione 2004-2010

2004 2010 Variazione 2004-2010Componente sanitaria per LTC 0,45 0,51 +0,06Indennità di accompagnamento 0,48 0,62 +0,14Spesa sociale dei Comuni 0,11 0,15 +0,04Totale 1,05 1,28 +0,23

Fonte: elaborazione NNA su dati RGS

1 In questo paper sono riportati i principali dati di sintesi, mentre per un approfondimento più analitico delle principali fonti informative nazionali sulla non autosufficienza si rimanda airapporti del Network NonAutosufficienza (NNA), “L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia”, scaricabili dal sito www.maggioli.it

2 Intesi convenzionalmente, per fini statistici, come le persone con 65 anni e più.

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ni. Questo modello di intervento cash-oriented siè andato rafforzando negli anni più recenti, con-siderato che l’incremento di risorse dell’ultimoquinquennio ha privilegiato proprio le presta-zioni monetarie. Lo sbilanciamento del nostrowelfare sulle prestazioni monetarie e la necessitàdi potenziare gli interventi in natura sono, peral-tro, noti da tempo: già nel 1997 la CommissioneOnofri3 aveva autorevolmente auspicato questopassaggio.

I servizi sociosanitariUna larga fetta dell’assistenza agli anziani rien-tra tra le competenze del Ssn: oggi si può sti-mare che i servizi sociosanitari assorbano lo0,86% del Pil, rispetto allo 0,63% di inizio se-colo4 (Tab. 2). La maggior parte di questa com-ponente sanitaria della nostra spesa per LTC èrivolta agli ultrasessantacinquenni (0,51% del Pil,tabella 1). In media nell’ultimo decennio la spe-sa sociosanitaria ha conosciuto una discreta ac-celerazione (7,73% annuo), tipica delle spese agerelated (tab. 2).La crescita della spesa sociosanitaria va, comun-que, interpretata alla luce dell’espansione com-plessiva del Ssn.Crediamo, infatti, sia utile verifi-care com’è cambiata l’importanza dei servizi so-ciosanitari nell’ambito dell’intera sanità. È im-

portante adottare questa prospettiva poiché, ne-gli ultimi quindici anni, la programmazione sani-taria ha esortato il rafforzamento dei servizi ter-ritoriali. Secondo il noto slogan “meno ospeda-le, più territorio”, si sarebbero dovute potenzia-re le risorse per l’assistenza distrettuale (di cui l’as-sistenza agli anziani fa parte) per conseguire mi-glioramenti in termini di appropriatezza e di ef-ficienza.Negli ultimi dieci anni è, effettivamente, au-mentato il peso della spesa per LTC sulla spesasanitaria complessiva (11,7% contro 11,2%): inaltre parole, la crescita della LTC ha superato quel-la dell’Acute care (tabella 2).Tuttavia, se riflet-tiamo sullo spostamento di risorse tra queste duecomponenti in una prospettiva di così lungo pe-riodo (10 anni), ciò che emerge è che la redi-stribuzione dall’acute alla LTC ha assunto pro-porzioni modeste (solo lo 0,5% del budget del-la sanità) rispetto all’atteso massiccio spostamen-to di risorse dall’ospedale al territorio; come di-re che la fisionomia del modello di spesa non èmolto cambiata. Il dato medio nazionale va con-siderato con cautela perché – come sempre – rac-chiude in sé rilevanti differenze regionali. In ognimodo, sarebbe utile approfondire la riflessionesulle ragioni per le quali la distribuzione dellefette nella “torta della spesa Ssn” sia rimasta in-

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3 La nota Commissione di esperti, presieduta dal Prof.Onofri e nominata nel 1996 dall’allora Presidente del Consiglio Prodi con l’incarico di individuare i nodi della nostra spesa pubblicaper il welfare.Ne è risultato un illuminante rapporto, per molti aspetti ancora oggi attuale (Commissione per l’analisi della compatibilità macroeconomiche della spesa sociale, 1997).

4 Non esistono statistiche sulla complessiva spesa delle Regioni per i Lea sociosanitari. Si può ovviare utilizzando le stime della spesa del Ssn per LTC della RGS che costituiscono unabuona approssimazione della spesa sociosanitaria.Di fatto sono considerate nella componente sanitaria per LTC i seguenti Lea sociosanitari: l’assistenza territoriale rivolta agli anziani e ai disabili, l’assistenza psichiatrica, l’assistenza rivoltaagli alcolisti e ai tossicodipendenti, l’assistenza ospedaliera erogata in regime di lungodegenza.

TABELLA 2 - Spesa del Ssn per Acute care e LTC (2000, 2005, 2010)

2000 2005 2010Stima spesa sanitaria pubblica per Ltc (milioni)^ 7.541 10.917 13.371Variazione media annua 2000-2010 7,73%

Spesa sanitaria pubblica perAcute Care sul Pil 5,0% 5,9% 6,46%Spesa sanitaria pubblica per Ltc sul Pil 0,63% 0,76% 0,86%Spesa sanitaria pubblica sul Pil 5,6% 6,7% 7,32%

QuotaAcute care della spesa sanitaria 88,8% 88,7% 88,3%Quota Ltc della spesa sanitaria 11,2% 11,3% 11,7%

Ns elaborazione su dati Rgs; ^Pil dell’anno *quota spesa sanitaria pubblica per Ltc sul Pil; (Pil 2010=stima Istat a marzo 2011)

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variata e sulle conseguenze che ciò ha significa-to per servizi ed utenti.L’ultimo decennio ha significato per i servizi so-ciosanitari un graduale rafforzamento, si è visto.L’Adi è probabilmente il servizio dove i progres-si sono più evidenti, almeno in termini di diffu-sione: la quota di anziani servita è costantemen-te aumentata5 (figura 1). Permane un ampio di-vario tra il Sud e il Centro-Nord in termini diutenza servita, ma il livello di diffusione del ser-vizio è aumentato in tutte le ripartizioni territo-riali (al Sud – come noto – nell’ultimo quin-quennio la diffusione è stata favorita dagli incen-tivi del Fondo per le Aree Sottoutilizzate, la cuierogazione dipende, tra gli altri indicatori, anchedalla copertura dell’assistenza domiciliare6).Per vedere come sta cambiando il volto dell’Adi,non basta, però, osservarne la copertura. Meritauna riflessione anche l’intensità (indicatore = oreper utente) con cui viene erogato il servizio: nel-l’ultimo decennio le ore annue dedicate a ciascunutente sono gradualmente calate7. La tendenza è,quindi, quella di ampliare l’utenza, riducendo laquantità di prestazioni da dedicare a ciascun be-

neficiario: in sintesi, si danno meno (accessi) a più(utenti). Un fenomeno indicativo del fatto chenonostante stiano aumentando le risorse destina-te all’Adi (si veda il seguito), la domanda per que-sto tipo di interventi sta crescendo ad una velo-cità maggiore; le Asl, pertanto, fronteggiano lemaggiori richieste aumentando il numero di ca-si e riducendo la durata media degli interventi perciascun caso. In numerose realtà, ne emerge unprofilo dell’Adi come intervento che assume, inmisura crescente, un profilo “prestazionale” ca-ratterizzato dall’erogazione di alcune singole pre-stazioni e non da una vera e propria presa in ca-rico.Per quel che concerne le risorse del Ssn per l’as-sistenza domiciliare, oggi la quota di spesa dedi-cata a questi servizi è molto eterogenea da Re-gione a Regione (dallo 0,3% del totale della spe-sa sanitaria nel Molise al 3,1% nel Friuli, figura2), con il Centro-Nord che tendenzialmente de-dica a questo regime assistenziale quote maggio-ri del Meridione. Da notare che rispetto alla si-tuazione d’inizio secolo (2002) la maggior partedelle Regioni ha allargato la propria fetta di ri-

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FIGURA 1 - Evoluzione della copertura e dell’intensità dell’ADI (numero indice,2001=100)

Ns elaborazioni su dati Mef-Dps e Annuario Statistico Ssn

5 Tra il 2001 e il 2009 è passata dall’1,9 al 3,6%.6 Il Cipe ha stanziato quote del Fondo per leAree Sottoutilizzate per quelle regioni del Mezzogiorno che realizzano miglioramenti in alcuni servizi essenziali (aree strategiche denominate

“Obiettivi di servizio” ), tra i quali “i servizi di cure per l’infanzia e gli anziani”. Per monitorare i progressi compiuti dalle Regioni nell’assistenza agli anziani, l’indicatore utilizzato è proprioil livello di copertura dell’Adi tra la popolazione 65+.

7 La media nazionale di ore annue per utente è passata da 27 ore del 2001 a 21 del 2009.

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sorse per l’assistenza domiciliare,ma l’aumento diincidenza ha avuto intensità differenti, con un’ac-celerazione spiccata solo in alcune Regioni delCentro Nord. In sei Regioni l’importanza del-l’assistenza domiciliare si è ridotta.A livello nazionale, nell’ultimo decennio, è lieve-mente cresciuta la quota di spesa sanitaria dedi-cata all’Adi (dall’1% del 2002 all’1,2% del 2009,figura 2).Ciò testimonia che alcuni progressi so-no stati compiuti, ma l’incidenza di questa vocerimane talmente esigua da far pensare all’esisten-za di margini di ampliamento ancora sfruttabili.Più in generale, il dato sulla quota di spesa sani-taria dedicata all’Adi si può leggere insieme a quel-li sulla complessiva spesa per servizi sociosanitari(cioè per la maggior parte dei servizi LTC: 0,86%del Pil per tutti gli utenti, 0,51% se si restringe ai65+). Si tratta di quote di spesa contenute rispet-to al budget globale del Ssn e ancora di più lo so-no rispetto alla spesa complessiva di welfare o aquella pubblica totale. Sarebbe, dunque, possibilerealizzare incrementi di spesa significativi per ilsociosanitario togliendo ad altri settori quote di

risorse per loro marginali.A differenza di quanto osservato per l’Adi, l’evo-luzione dei servizi residenziali procede ad un rit-mo molto più lento (tabella 3): gli anziani assisti-ti dal Ssn nel 2003 erano l’1,6% e, in sei anni, laquota ha raggiunto il 2%.Come sta cambiando l’assistenza residenziale?Trai mutamenti di maggior rilievo risulta una cre-scita d’importanza delle strutture che offrono as-sistenza di tipo socio-sanitario (che aumentanoin termini di posti letto e degenze) a discapito dialtre tipologie di residenze con funzioni preva-lentemente tutelari-alberghiere; in secondo luo-go sta variando la composizione dell’utenza isti-tuzionalizzata: aumenta la quota di ospiti ul-traottantenni, si riduce la percentuale di ospiticon meno di 75 anni e aumenta la presenza dianziani non autosufficienti (Pesaresi e Brizioli,2009).Secondo la fotografia più recente (Istat, 2012) sitratta di un’offerta, quella residenziale, che svol-ge prevalentemente funzioni di tipo sociosanita-rio (il 71% dei posti letto residenziali ha queste

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FIGURA 2 - Incidenza (%) dell’assistenza domiciliare sulla spesa sanitaria per regione,valori 2002 e 2009

Ns elaborazioni su dati Mef-Dps (esclusa Calabria per dati n.d. e Sicilia per dati 2002 anomali)

TABELLA 3 - Anziani assistiti dal Ssn in strutture residenziali (%)

2003 2005 2007 2009Anziani assistiti in strutture residenziali (%) 1,6 1,8 1,9 2,0

Fonte: Annuario statistico SSN

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caratteristiche). Solo il 10,6% dei posti letto peranziani non offre alcuna assistenza sanitaria, il49,9% si rivolge a pazienti che richiedono curemedico-infermieristiche quotidiane, il 18,1% as-sicura trattamenti sanitari di base, il 21,3% garan-tisce un alto livello di assistenza sanitaria (tratta-menti essenziali per il mantenimento delle fun-zioni vitali).La distribuzione dei servizi residenziali è oggimolto eterogenea tra le aree del Paese (figura 3).Gli squilibri sono molto profondi specialmentenell’offerta sociosanitaria, dove spostandoci daNord verso Sud le distanze tra le dotazioni sonomolto pronunciate. Questi divari nell’offerta re-sidenziale tra le Regioni, come quelli dell’Adi, ri-chiamano l’attenzione sulla necessità di poten-ziare gli interventi per promuovere il raggiungi-mento di standard di adeguatezza dei servizi so-ciosanitari in tutto il Paese8.

I servizi socialiI Comuni, in qualità di registi del welfare locale,sono responsabili degli interventi socio assisten-ziali per gli anziani. In generale il welfare muni-

cipale ha conosciuto un lento e costante svilup-po nell’ultimo decennio, nonostante il quale que-sto comparto continua a soffrire di uno storicosottofinanziamento9.Come già anticipato a confronto delle altre pre-stazioni di assistenza continuativa, quelle erogatedai Comuni rappresentano una voce di modestaentità (0,15% del Pil nel 2010, tab.1, non così di-verso dal valore del 2004, 0,11%). Cifre indicati-ve della debolezza del sostegno riconosciuto alleesigenze di tipo tutelare e assistenziale rispetto adaltri bisogni (ad esempio quelli sanitari). Per dipiù l’offerta di servizi per gli anziani dei Comu-ni risulta fortemente diversificata tra i territori: èdifficile individuare un comune denominatore diservizi presenti in tutte le realtà, ad esempio unaquota importante delle amministrazioni del Me-ridione sono ancora sprovviste del Servizio assi-stenza domiciliare (Sad) e anche al Centro, nonsono pochi i Comuni scoperti10.È importante, in ogni caso, capire come nel re-cente contesto economico e normativo si sonoevoluti i servizi comunali per gli anziani. Le ul-time evidenze indicano una riduzione dell’utenza

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FIGURA 3 - Posti letto in unità socio-assistenziali e sociosanitarie per ripartizione geografica,2009,per 1000 residenti

Fonte: Istat

8 Si tratta di favorire l’esigibilità dei Lea sociosanitari che – in virtù del Dpcm 29/11/2001 – tutte le Regioni dovrebbero garantire (per una discussione degli interventi compiuti sinorasi rimanda a Cembrani et.al, 2010).

9 I dati più recenti evidenziano un’incidenza della spesa sociale comunale sul Pil dello 0,42% (Fonte Istat, Gli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli e associati) non tanto diver-sa dallo 0,3% registrato a metà anni ’90 dalla Commissione Onofri.

10 Una questione che va necessariamente collegata alla mancata definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali, la cui urgenza si ripropone in questa fase di disegno delle rego-le del federalismo; per una panoramica di come le recenti politiche hanno affrontato questo tema si rimanda a Banchero (2011).

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raggiunta dal servizio (la quota di anziani presiin carico dal Sad è passata dall’1,8% del 2006all’1,6% del 2008, tabella 4). Sono segnali che te-stimoniano come i servizi socio-assistenziali ri-volti agli anziani non abbiano ancora ricevutoadeguate spinte propulsive per adeguare l’offer-ta ai bisogni dell’invecchiamento. Una tendenzasulla quale ha inciso anche la grande diffusionedelle assistenti familiari (“badanti”) che, se da unlato ha contenuto le domande, allo stesso tempoha posto la necessità di ripensare il servizio. Ladisponibilità di assistenti familiari spinge, infatti,verso il Sad domande di anziani particolarmen-te fragili e lo chiama, pertanto, ad affrontare in-terventi sempre più complessi.D’altra parte,mol-ti operatori del Sad lavorano con anziani segui-ti anche da un’assistente familiare, che ha soven-te minore esperienza e qualificazione. La sfida èqui coordinare le diverse professionalità in gio-co affinché chi lavora nel Sad sostenga e accom-pagni l’assistente familiare, attraverso forme ditutoraggio.Su questo quadro già critico si innestano i prov-vedimenti di finanza pubblica dell’ultimo bien-nio. Lo Stato ha azzerato il “Fondo non autosuf-ficienze” e ha progressivamente prosciugato il“Fondo Nazionale Politiche Sociali”. Le ammi-

nistrazioni hanno subito ulteriori strette dall’ina-sprimento del patto di stabilità e dalla riduzionedei trasferimenti a titolo di finanziamento gene-rale11. Si stima che lo sforzo finanziario richiestoai Comuni risulti tale che nel solo 2012 la spesasociale sia destinata a subire una riduzione del13%12 (Ifel, 2011b).Tutto ciò potrebbe significare per il prossimobiennio un’inversione di marcia del welfare ter-ritoriale, un passo indietro nel lento processodi sviluppo. Nei servizi sociali gli ultimi dueanni – secondo le impressioni comunementeriportate dagli operatori – sono stati caratte-rizzati da una fatica per la difesa dei livelli diservizio raggiunti a fine decennio; nell’imme-diato futuro potrebbe non essere più possibilemantenere tali standard (tabella 5). Il realizzar-si di questo probabile scenario avrebbe pro-fonde conseguenze sul sistema italiano di LTC:significherebbe un’ulteriore marginalizzazionedei Comuni e la sua centratura sempre più for-te su indennità di accompagnamento e servizisociosanitari.

L’indennità di accompagnamentoCome premesso, l’indennità di accompagnamen-to13 è, tra gli interventi pubblici per gli anziani

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TABELLA 4 - SAD per gli anziani: presa in carico, Italia, 2006-2008

2006 2007 2008Quota di anziani presi in carico (per cento anziani) 1,8 1,7 1,6

Fonte Istat

TABELLA 5 - Le fasi dei servizi sociali

Sviluppo graduale degli interventi socialiA fine decennio i servizi assorbono lo 0,42% del Pil; la spesa comunale per gli anziani rappresenta lo 0,15% del Pil.Stabilizzazione della spesaSforzo dei Comuni per mantenere i livelli di servizio precedentemente raggiuntiAspettative di riduzione della complessiva spesa sociale comunale (-13% nel 2012, Fonte Ifel) e di riduzione del livello dei servizi offerti

2000-2009

2010-2011

2012-2013

11 L’Ifel (2011a) prevede che la crescita della spesa corrente comunale nel biennio appena concluso sia estremamente ridotta (+2,5%,praticamente ferma in termini reali); i valori sono de-dotti dalla variazione 2009-2011 della spesa corrente conti delleAmministrazioni comunali, quadro tendenziale 2010-2013, tratto da Ifel (2011a).

12 È la riduzione di spesa necessaria per coprire lo sforzo finanziario di 6,2 miliardi (come somma dei tagli ai trasferimenti e dell’inasprimento del Patto richiesto dalle manovre dell’ultimobiennio). La proiezione tiene conto del grado di rigidità degli impegni dei vari settori. Queste stime sono da rivedere solo leggermente al ribasso per l’alleggerimento degli oneri (520milioni) disposti dalla Legge di stabilità 2012.

13 La discussione di questo paragrafo si concentra sull’indennità di accompagnamento.Non bisogna dimenticare, però, che a livello decentrato si stanno diffondendo altri contributi eco-nomici a favore delle persone non autosufficienti, gli assegni di cura erogati da Regioni e Comuni.

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non autosufficienti, quello di maggior rilievo fi-nanziario14. Pur non essendo una misura rivoltaesclusivamente agli anziani, la maggior parte del-l’utenza (circa i tre quarti) è ultrasessantacinquennee la utilizza principalmente per remunerare le as-sistenti familiari.Nell’ultimo decennio sono decisamente aumen-tati gli anziani che ricevono questa misura - dal6% del 2002 al 9,5% del 2008, cioè + 58% in set-te anni (elaborazioni Lamura e Principi, 2009 sudati Inps) - fenomeno che ha comportato unaforte accelerazione della relativa spesa15. La gran-de maggioranza dei fruitori dell’accompagna-mento è anziana: il 23,6% sono persone fra i 65e 79 anni e il 49,7 sono ultra ottantenni. L’inci-denza delle persone anziane sul totale dei fruito-ri, inoltre, è cresciuta costantemente nello scorsodecennio.Quali fattori hanno trainato la crescita della dif-fusione dell’indennità? Le cause vanno ricercatenon soltanto nelle caratteristiche proprie di que-sto strumento, ma anche negli aspetti più gene-rali del nostro modello di welfare. Possono esse-re così sintetizzate:L’aumento dei “grandi anziani”. L’indennità è l’u-nica misura nazionale stabile a sostegno delle spe-se causate agli anziani dalla non autosufficienza.Mentre tutta la popolazione anziana si amplia, au-mentano in modo particolare le persone con al-meno 75 anni di età (+ 23% tra il 2002 e il2009)16, che sono i principali percettori dell’ac-compagnamento.La crescita d’informazione e consapevolezza. In pas-sato la prestazione era meno conosciuta dalla po-polazione e a molti pareva impossibile che la nonautosufficienza comportasse il diritto a un soste-gno economico indipendente dal reddito (si pen-sava che i diritti si limitassero alla sanità ospeda-liera e alle pensioni).Nell’ultimo decennio, inve-

ce, sono aumentate sia l’informazione in propo-sito sia la consapevolezza dei propri diritti di an-ziani e famiglie. Molto spesso sono gli operatoridi Comuni e Asl, di fronte a famiglie che chie-dono cosa fare per il parente non autosufficien-te, a suggerire di richiedere l’indennità.La diffusione delle assistenti familiari. L’indennitàcostituisce il principale contributo pubblico uti-lizzabile dalle famiglie nella remunerazione del-le assistenti familiari (badanti). Il valore delle de-trazioni e deduzioni fiscali esistenti, infatti, è as-sai limitato e condizionato alla retribuzione re-golare dell’assistente. L’esigenza di pagare le ba-danti ha portato un numero crescente di fami-glie a chiedersi se esista un sussidio pubblico uti-lizzabile a tal fine e ad individuarlo nell’accom-pagnamento, sovente – come detto – indirizza-te in tal senso dai servizi pubblici. Lo scorso de-cennio ha visto il boom delle badanti ed è pro-prio allora che la spesa per le indennità si è im-pennata. Probabilmente, la diffusione delle assi-stenti familiari rappresenta la principale ragionedella crescita della spesa per le prestazioni d’in-validità civile in Italia.I pochi servizi di cura a domicilio. La diffusione del-le assistenti familiari s’intreccia con le debolezzedel welfare pubblico. Su questo aspetto, più an-cora che sugli altri, bisogna essere cauti nelle ge-neralizzazioni poiché alcune Regioni negli scor-si anni hanno migliorato sensibilmente la propriaofferta grazie ai “Fondi regionali per la non au-tosufficienza”; prospettive di sostenibilità di taliinterventi, tuttavia, appaiono indebolite dopo lepiù recenti manovre economiche. Sembra possi-bile, comunque, rilevare una tendenza valida an-che in gran parte delle realtà avanzate. L’offerta adomicilio di servizi a titolarità pubblica è com-posta perlopiù da interventi di natura sanitaria,prevalentemente infermieristici, concepiti come

14 Come noto,è una delle prestazioni d’invalidità civile e viene riconosciuta, indipendentemente dalle condizioni economiche, alle persone con invalidità totale che necessitano di assistenzacontinua per deambulare e/o svolgere gli altri atti quotidiani della vita.Nel 2012 il valore è di 492 euro mensili, e non vi sono vincoli di utilizzo e obblighi di rendicontazione.

15 La serie dell’Inps è l’unica che parta dall’inizio dello scorso decennio e consideri autonomamente le persone 65+; i dati non vanno però oltre il 2008. Altre fonti (Istat) collocano la quo-ta di anziani che ricevono l’indennità di accompagnamento al 12,5% (sempre al 2008); esistono discrepanze metodologiche tra la rilevazione sui trattamenti pensionistici Istat e le infor-mazioni tratte dalla banca dati Inps. Per un confronto si rimanda a Chiatti et al (2010).

16 Nel medesimo periodo, le persone in età 65-74 anni sono aumentate del 6%.

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prestazioni per rispondere a una specifica critici-tà/patologia ben circoscritta. La presenza di ser-vizi che svolgano funzioni di assistenza tutelare(aiuto nelle attività di base della vita quotidiana),di aiuto domestico, di sorveglianza e più in ge-nerale di cura (care) è esigua. Infatti, come si è vi-sto, i servizi sociosanitari dell’Adi sono cresciuticostantemente nel decennio ma si concentranosu singole prestazioni,mentre i servizi sociali deiComuni sono assai pochi e in tendenziale dimi-nuzione. L’unica risposta pubblica alla pressanterichiesta delle famiglie di essere sostenute nel-l’impegno quotidiano di cura, dunque, è l’inden-nità di accompagnamento.Le carenze degli interventi a tutela del reddito. Le pre-stazioni d’invalidità civile svolgono, tradizional-mente, una funzione integrativa rispetto alle debo-lezze delle politiche contro la povertà e la disoccu-pazione, in particolare nelle aree economicamen-te più deboli (Gori, 2011).Nello scorso decennio,l’indennità di accompagnamento – invece che lepensioni d’invalidità, come accadeva in passato –sembra aver compiuto questa funzione integrativain misura crescente. Effettivamente, la percentualedi anziani utenti è sopra la media nazionale nelleRegioni meno sviluppate economicamente.Peraltro, il maggior ricorso all’indennità nelle Re-gioni meridionali non si presta a semplificazioni.Esiste, infatti, una certa correlazione tra le per-centuali di fruizione della prestazione e il tasso dinon autosufficienza in Italia.Detto altrimenti, l’e-levato impiego dell’indennità nelle Regioni me-ridionali è in parte dovuto a una presenza dellanon autosufficienza superiore rispetto al resto delPaese, aspetto che non sorprende poiché la diffu-sione di quest’ultima è sempre inversamente cor-relata ai livelli di sviluppo economico e d’istru-zione (Istat, 2009). In ogni modo, la maggiore dif-fusione della non autosufficienza spiega solo unaparte dell’utilizzo particolarmente esteso dell’ac-compagnamento in Regioni come Calabria,Cam-

pania, Sardegna e Abruzzo (Chiatti et al., 2010).Infine, e nondimeno, è bene ricordare che l’in-dennità ha conosciuto nello scorso decennio unaforte diffusione anche nelle aree più avanzate delPaese (si vedano i dati in Chiatti et al., 2011).L’assenza di requisiti d’accesso standardizzati. L’ac-certamento dei requisiti per ricevere l’indennitàè basato su criteri generici e non standardizzati(a differenza di quanto accade per le pensioni d’in-validità). Le norme, infatti, indicano che ha di-ritto all’accompagnamento chi “si trovi nell’im-possibilità di deambulare senza l’aiuto permanentedi un accompagnatore” e/o “abbisogni di un’as-sistenza continua, non essendo in grado di com-piere gli atti quotidiani della vita”. Le leggi vi-genti, però, non esplicitano quali siano gli attiquotidiani della vita cui fare riferimento per in-dividuare tali condizioni e né, tanto meno, in chemodo e con quali strumenti valutativi questi deb-bano essere esaminati sul piano funzionale. Esi-ste, pertanto, un ampio spazio di discrezionalitànel decidere chi possa ottenere l’accompagna-mento e chi no, discrezionalità che consente diampliare l’utenza nel rispetto delle regole forma-li (su questo punto, come sul successivo, sono sta-te recentemente introdotte alcune modifiche, ilcui impatto si potrà verificare solo in futuro; siveda Giacobini, 2011).La separazione tra soggetto che riconosce il diritto allaprestazione e soggetto che ne sopporta gli oneri finan-ziari. La legge assegnava infatti alle Regioni, tra-mite le Commissioni Asl, il compito di riceverele domande mentre lo Stato, tramite l’Inps, fi-nanziava le relative prestazioni. Questa asimme-tria sembra aver contribuito alla crescita dell’in-dennità, poiché chi riconosceva il diritto alla pre-stazione non aveva incentivi al contenimento del-la spesa. Recentemente, come detto, attraversomodifiche di aspetti procedurali e organizzativi,si è cercato di rimediare a questa criticità17.Nell’ultimo biennio, l’aspetto dell’indennità di

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17 Dal 2010 si è tentato di rimediare a questi problemi di responsabilizzazione con modifiche procedurali: oggi è l’Inps che riceve le domande, le commissioni di accertamento delle Aslsono integrate da un medico dell’Inps e la decisione ultima sui verbali spetta sempre all’Inps (Giacobini, 2011).

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accompagnamento che ha destato maggiore at-tenzione è stata la crescita del numero dei bene-ficiari e della relativa spesa18. Ci si è tuttavia di-menticati dei nodi irrisolti di questa prestazione,ovvero di una serie di limiti che presenta sul pia-no dell’appropriatezza, dell’efficienza e dell’e-quità:� la procedura di valutazione dei requisiti che dan-no diritto all’indennità si presta ad una certa dis-crezionalità poiché a livello nazionale mancanocriteri standardizzati per accertare la non auto-sufficienza dei richiedenti;

� si prevede per tutti i beneficiari un unico livel-lo della prestazione (492 euro)19.C’è ampio con-senso tra gli esperti nel riconoscere che l’eroga-zione a tutti i beneficiari della stessa cifra, senzatener conto del diverso grado di bisogno assi-stenziale dei richiedenti, costituisca un esempiodi iniquità verticale;

�non esistono vincoli di utilizzo degli importi ri-cevuti. Le famiglie non sono in alcun modo te-nute a rendicontare come hanno speso l’asse-gno. La mancanza di controlli sulla spesa assicu-ra spazio a fenomeni di assunzione del persona-le in forma irregolare e non fornisce alcuna as-sicurazione sulla qualità della care erogata gra-zie all’indennità.

� la gestione dell’indennità risulta totalmente scol-legata dalla rete di servizi sociali e sociosanitarilocali ed è lasciata, infatti, interamente alle fa-miglie, senza che a questa prestazione sia colle-gato nessun intervento d’informazione, orien-tamento o presa in carico. Esiste, dunque, unanetta frattura tra i due sistemi di sostegno allanon autosufficienza: da un lato c’è l’accompa-gnamento governato dallo Stato, dall’altro i ser-vizi locali offerti da Regioni,Asl e Comuni, sen-za alcun coordinamento o integrazione tra i duemondi.

LE PROSPETTIVE PER IL FUTUROL’evoluzione dei servizi di long term care (LTC)dipenderà dalle scelte che saranno adottate a li-vello nazionale e locale. Nel dibattito pubblicocircolano diverse strategie per fronteggiare l’au-mento del bisogno di assistenza continuativa e –a nostro parere – le opzioni in campo possono es-sere ricondotte a due orientamenti opposti, tra iquali si polarizzano le prospettive per il futuro:1. lo sviluppo delle soluzioni assicurative privatedi LTC;

2. la costruzione di un’infrastruttura nazionale perle LTC.

Lo sviluppo delle soluzioni assicurativeIl rischio che insorga la non autosufficienza puòessere affrontato tramite soluzioni assicurative ditipo privato, le quali possono assumere la formasia di polizze mutualistiche-collettive, sia di con-tratti stipulati individualmente dagli interessati. Sitratta di una strategia che nel nostro Paese susci-ta sempre maggior interesse.Quali opportunità e limiti sono connessi a que-ste soluzioni? C’è spazio in Italia per il loro svi-luppo? Che ruolo potrebbero assumere le assicu-razioni20 rispetto alla copertura garantita dal si-stema pubblico? Si tratta di domande cui anchel’Ocse ha recentemente cercato di rispondere (Box1). Ne è emersa una diffusione limitata delle as-sicurazioni di LTC tra gli Stati membri.Anche inprospettiva, l’Ocse afferma che lo spazio di cre-scita di queste soluzioni sembra decisamente esi-guo: si tratta di prodotti che continueranno a svol-gere un ruolo di nicchia.In Italia il mercato delle assicurazioni private haorigini piuttosto recenti, una diffusione ancoramolto limitata ma in crescita, soprattutto legata alfatto che alcune categorie professionali hanno in-serito nei propri contratti fondi per la LTC; si trat-

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18 Per frenare questo fenomeno, nella convinzione che fosse originato da frodi diffuse, è stata avviata una massiccia campagna di controlli, nota come “lotta ai falsi invalidi”. Una discussio-ne critica della “lotta ai falsi invalidi” si trova in una parte monografica del numero 4/2011 della rivistaWelfare Oggi (Maggioli Editore).

19 Non si considera qui l’indennità per i non vedenti.20 In questo paragrafo con il termine “assicurazioni private” s’intende l’insieme delle tutele assicurative private, dunque polizze individuali + le (maggiormente diffuse) forme assicurative

collettive legate principalmente ai contratti di categoria.

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ta principalmente di comparti solidi come i ban-cari, gli assicurativi, i dirigenti d’impresa. Si sti-ma che gli assicurati del 2009 fossero, complessi-vamente, 335.000 di cui circa 15.000 con poliz-ze individuali e 320.000 con polizze collettive(Rebba, 2010).Alle ragioni che negli altri Paesi hanno impedi-to il decollo delle polizze integrative si aggiun-gono alcune peculiarità del nostro sistema di wel-fare. Il lungo dibattito sulle possibilità di riforma

dell’assistenza agli anziani, mai sfociato in cam-biamenti effettivi, ha generato a lungo incertez-za sulle garanzie pubbliche (in pratica, contraria-mente a quello che è avvenuto per sanità e pen-sioni, non è mai stato definito il “primo pilastro”).Questa situazione non ha certo incoraggiato ladomanda di polizze. In altri contesti internazio-nali (ad esempio la Francia), invece, dopo che loStato ha definito il proprio perimetro d’intervento- esplicitando i diritti soggettivi delle persone non

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BOX 1 - La valutazione dell’OCSE delle assicurazioni private per la LTC

Il recente rapporto “Help wanted? Providing and paying for Ltc” (Ocse, 2011) ha indagato il ruolo e l’ampiezza del mercato privato di LTC nell’area Ocse: inmedia in questi Paesi le polizze coprono soltanto l’1,5% della spesa totale (pubblico +privato) per LTC. A eccezione di realtà quali gli Stati Uniti e il Giapponedove la quota raggiunge il 5-7%, negli altri Stati il ruolo delle assicurazioni non supera il 2% (figura 4).Anche nei contesti dove l’intervento pubblico offre mino-ri garanzie, si preferisce ricorrere all’informal care o acquistare servizi out of pocket. E’ risultato inoltre, da approfondimenti su specifici Paesi come Stati Unitie Francia, che ad essere assicurati sono soprattutto i ceti con reddito e patrimonio piuttosto alti e con elevato livello di istruzione.Molti si aspettano che questo mercato sia destinato a crescere nei prossimi anni. Il punto che ha suscitato maggiore attenzione da parte dell’Ocse è quantoquesta crescita possa avere un carattere universale: le soluzioni assicurative si potranno estendere/saranno accessibili alla maggior parte della popolazione?Pur riconoscendo le opportunità che le polizze possono offrire alle famiglie nell’affrontare il rischio di non autosufficienza, il rapporto ha individuato una seriedi fattori che si prevede ostacoleranno la diffusione di questi prodotti:•le assicurazioni non sono accessibili a tutta la popolazione: per i meno abbienti i premi verrebbero ad assorbire una quota troppo alta di risorse, così da sco-raggiarne la sottoscrizione;•in secondo luogo le persone che già presentano livelli di rischio alto (ad esempio gli over 70) sarebbero considerate dalle compagnie non assicurabili;•gli individui non hanno un’adeguata percezione del rischio connesso all’insorgere della non autosufficienza e sono riluttanti a investire in anticipo per questaesigenza, specie se alle prese con altre poste impegnative come il finanziamento della casa, dell’istruzione ecc.;•le assicurazioni collettive, come i fondi di categoria, hanno il merito di contenere i premi e di mitigare il fenomeno delle esclusioni dei soggetti particolarmen-te esposti al rischio.Ciò nonostante, l’Ocse ha constatato che anche il successo di tali soluzioni è stato modesto.L’intervento pubblico, secondo l’Ocse, può solo leggermente mitigare questi problemi dei mercati assicurativi.Gli incentivi fiscali sono utili a incoraggiare la do-manda ma possono rivelarsi anche critici sul piano dell’equità: di fatto finiscono per finanziare i soggetti benestanti, che sovente avrebbero comunque stipulatoil contratto, anche in assenza di benefici fiscali.La valutazione complessiva che ne è deriva è, quindi, quella di un settore – le assicurazioni private di LTC – che crescerà ma conservando le caratteristiche dimercato di nicchia, di risposta alle esigenze di una parte minoritaria della popolazione; difficilmente, invece, esso diventerà la principale risposta al crescente bi-sogno di LTC.Questo giudizio dell’Ocse è condiviso, a livello internazionale, dalla gran parte degli esperti di LTC.

Fonte: Ocse 2011

FIGURA 4 - Quota della spesa totale per Ltc coperta dal mercato delle assicurazioni private

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autosufficienti - è aumentata la consapevolezzasulle prestazioni lasciate a carico delle famiglie;ciò ha favorito lo sviluppo delle soluzioni inte-grative.Sovente, nella discussione pubblica nazionale, ri-corrono proposte che confidano nelle potenzia-lità delle polizze integrative per migliorare l’assi-stenza e risolvere i problemi di sostenibilità delsistema di welfare. In genere, però, per esaminarel’efficacia e la fattibilità di tali riforme si fa rife-rimento quasi esclusivamente a ipotesi ed argo-mentazioni maturate riferendosi alle prestazionisanitarie, trascurando così le specificità della con-dizione di non autosufficienza.Sulle possibilità di sviluppo delle polizze inte-grative nel nostro Paese, un recente studio havalutato alcune ipotesi di riforma (Rebba, 2010):l’analisi ha considerato vari interventi che loStato potrebbe intraprendere per incoraggiarela diffusione delle assicurazioni private. Lo sce-nario di massima evoluzione prevede il passag-gio dalle 335.000 posizioni censite a 3 milioniin sei anni, mentre non vengono fornite ipote-si per anni successivi. In ogni modo,Rebba evi-denzia che queste forme assicurative possonocostituire una risposta per una parte minorita-ria degli italiani.Il punto decisivo, spesso non adeguatamente espli-citato, riguarda quale ruolo dovranno assumerele assicurazioni: l’obiettivo consiste nel mante-nere e potenziare l’attuale copertura fornita dalprimo pilastro – quello degli interventi pubbliciper la LTC – riconoscendo alle polizze un ruo-lo integrativo, di gestione dei rischi che restanocarico delle famiglie? Oppure si intende restrin-gere la responsabilità dello Stato nei confrontidegli anziani non autosufficienti, ridimensionandole prestazioni oggi garantite e la platea dei bene-ficiari? In questo secondo caso le assicurazioni

avrebbero una funzione sostitutiva. Le analisi con-dotte a livello internazionale, sintetizzate dal-l’Ocse, concordano con quelle focalizzate sul no-stro Paese (Rebba, 2010)21 nell’indicare che – da-te le ridotte possibilità di espansione delle assi-curazioni - l’unica strada realisticamente imma-ginabile consiste in un loro (contenuto) ruolointegrativo.

La costruzione di un’infrastruttura nazionaleCosa serve oggi, invece, al nostro Paese per raf-forzare l’assistenza agli anziani non autosuffi-cienti in una prospettiva nazionale? La rispostapuò arrivare dalle esperienze degli altri Stati eu-ropei che hanno riformato i propri programmidi LTC.Generalmente nel resto d’Europa – co-me in Italia – l’erogazione dell’assistenza agli an-ziani è affidata ai livelli di governo locale. Qua-si tutti i Paesi dell’area continentale hanno rea-lizzato – negli ultimi due decenni22 – riformenazionali finalizzate a creare migliori condizio-ni per l’azione del welfare locale. In questi pro-cessi di rinnovamento si possono cogliere alcu-ni tratti comuni:� sono stati predisposti sistemi di monitoraggiosull’assistenza locale, per verificare che in tutti iterritori fossero rispettati standard di offerta siaa livello qualitativo che quantitativo;

� lo Stato ha assunto il ruolo di cabina di regia,assicurando – oltre al presidio dei sistemi di mo-nitoraggio – funzioni di orientamento e ac-compagnamento per i territori;

� lo Stato ha sostenuto finanziariamente i livellidecentrati, partecipando al cofinanziamento deiprogrammi gestiti a livello locale.L’insieme degli elementi menzionati ha costitui-to un’infrastruttura nazionale che ha sorretto losviluppo dell’assistenza agli anziani a livello de-centrato.Tale infrastruttura, però, è ancora assen-

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21 Lo studio ha considerato diversi scenari: lo status quo, l’aumento dei benefici fiscali a parità di offerta pubblica, l’aumento consistente di benefici fiscali per le sole polizze collettive, unmix di parziale aumento degli incentivi fiscali e di aumento dell’offerta pubblica. Per ogni ipotesi ha stimato l’aumento dei costi (in termini di spesa pubblica per Ltc e fiscal expenditure),la fattibilità e il livello di equità (Rebba, 2010).

22 Ad esempio l’Austria nel 1993, la Germania nel 1995, la Francia nel 1997, 2001, 2007, la Spagna nel 2006, il Portogallo nel 1999 e nel 2006.

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te nel nostro Paese. Nonostante un lungo dibat-tito non si è arrivati a una riforma organica delsettore23 e lo sviluppo dei servizi è rimasta unaquestione lasciata alla sensibilità dei vari territo-ri. Anche il percorso di costruzione del federali-smo non è risultato sinora in grado di tessere unarete di protezione efficace per gli anziani non au-tosufficienti di tutte le Regioni. Sarebbe, invece,necessaria un’alleanza tra Stato e Regioni, fatta diimpegni reciproci che i vari livelli di governo as-sumono per raggiungere obiettivi concreti di raf-forzamento dei servizi.Per promuovere questa “infrastruttura nazionalea sostegno del welfare locale”, così come inse-gnano le esperienze internazionali, lo Stato do-vrebbe incrementare gli stanziamenti e le Regionidovrebbero impegnarsi anch’esse a rafforzare lerisorse dedicate al settore. Potrebbero essere adot-tate soluzioni che, in un contesto di nuovi finan-ziamenti statali, incentivino le Regioni ad au-mentare il proprio sforzo finanziario per soste-nere i servizi. L’ipotesi potrebbe consistere in mec-canismi di addizionalità dei finanziamenti stataliper quelle Regioni che aumentano la quota de-gli stanziamenti destinati all’assistenza agli anzia-ni o che sostengono, con risorse proprie, inizia-tive di rafforzamento di questi servizi.La questione dell’incremento dei finanziamenti èquanto mai delicata nell’attuale stato della finan-

za pubblica.Tuttavia, la spesa per LTC assorbe unafetta talmente esigua di risorse (cfr. la parte sulletendenze complessive in questo contributo) chesarebbero sufficienti minimi spostamenti all’in-terno del complessivo bilancio pubblico per in-crementarla significativamente (Gori e Lamura,2009).Numerosi esperti concordano sull’esigen-za di sanare lo storico sottofinanziamento di que-sta voce e sono già state avanzate proposte co-erenti con questa finalità24.L’obiettivo di lungo termine dovrebbe essere quel-lo di fissare i Livelli essenziali di assistenza per inon autosufficienti, stabilendo standard adeguatidi offerta per le Regioni. Così come oggi sonogarantiti standard uniformi per i servizi di sanitàacuta (ad esempio la quantità di posti letto ospe-dalieri), dovrebbero essere assicurate garanzie ana-loghe per i servizi rivolti agli anziani; questa de-terminazione dovrebbe riguardare congiunta-mente i servizi sociosanitari e quelli socio assi-stenziali. Una simile riforma dovrebbe estender-si anche all’indennità di accompagnamento, e do-vrebbe essere l’occasione per correggere le criti-cità di cui oggi soffre il nostro sistema di presta-zioni monetarie (quelle discusse nel paragrafo sul-l’indennità di accompagnamento).La logica alla base di questo processo dovrebbeconsistere nella gradualità: lo richiedono tanto ilcontesto economico odierno quanto l’impegno

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23 Per un confronto tra le proposte avanzate per il nostro Paese negli ultimi 15 anni si rimanda a Gori (2008).24 Tra gli altri si vedano Irs (2012), Gori, a cura di, (2010), Beltrametti (2008).

BOX 2 - L’infrastruttura nazionale per la non autosufficienza

Cabina di regia statale per lo sviluppo dei servizi decentratiPotenziamento dei finanziamenti dal CentroSistema di monitoraggio snelloSviluppo della rete territoriale dell’assistenza improntato alla discrezionalità-sensibilità delle singole RegioniAssenza di standard nazionaliDebolezza dei sistemi di monitoraggioAssenza di meccanismi di premialitàAlleanza Stato-Regioni per implementare i servizi per gli anzianiInvestimenti per dare credibilitàProcesso di attuazione del federalismoPatto per la saluteLep = obiettivo di lungo periodoPercorso di graduale avvicinamentoObiettivi concreti di miglioramento specifici per ogni territorio

I capisaldi delleriforme degli altriPaesiIl caso italiano

L’esigenza attuale

Le occasioni per lariformaLa logica

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attuativo necessario. La situazione attuale, inoltre,è di tale eterogeneità che occorre, evidentemen-te, tenere conto dei livelli di offerta esistenti inciascuna Regione. Potrebbe essere impostato unpercorso progressivo, individuando specifici “obiet-tivi di servizio”, aree chiave sulle quali concen-trare gli sforzi di implementazione. Si trattereb-be, dunque, di fissare per ogni territorio obietti-vi di miglioramento riferiti agli specifici serviziprescelti (incrementi di offerta per il successivo

biennio rispetto ai livelli rilevati all’inizio del per-corso, poi lo stesso per il biennio seguente e co-sì via); potrebbero essere richiesti avanzamenti,oltre che nella quantità di servizi erogati, in altredimensioni dell’assistenza (ad esempio il comple-tamento delle procedure di autorizzazione e ac-creditamento, le dotazioni di personale, l’appro-priatezza). Questi indicatori dovrebbero esserel’oggetto di un efficace sistema nazionale di mo-nitoraggio (box 2)25.

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25 Il concetto degli “obiettivi servizio” deriva dalla programmazione strategica nazionale a favore delle Regioni che fruiscono di fondi europei (obiettivo 2); il suo significato consiste nelfissare obiettivi da raggiungere in termini di particolari prestazioni, in questo caso assistenza domiciliare e asili nido. Una proposta riguardante un più ampio utilizzo del concetto di“obiettivi servizio” al welfare è stata elaborata dalla Commissione Politiche Sociali della Conferenza delle Regioni, in merito si veda Banchero, 2011.

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Dieci domande sull’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia

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1. Perché la politica dimentica gli anzianinon autosufficienti?Non certo per i numeri. Gli ultra-ottantenni, iprincipali utenti dell’assistenza, sono – da tempo– in costante crescita: da 1.8 milioni nel 1990 (3%della popolazione) a 3.5 milioni nel 2010 (6%) eagli attesi 4.5 milioni del 2020 (7,5%) (tab. 1).La politica non ne parla perché asseconda un sen-timento di rimozione collettiva, che riguarda tut-ti coloro i quali non siano – in qualche modo –coinvolti nella realtà degli anziani non autosuffi-cienti. La ragione è semplice: nessuno di noi amapensare che potrebbe esserne, un giorno, toccatoné immaginarsi – ad esempio – come un 85en-ne con l’Alzheimer.La politica non ne parla, nondimeno, perché nelnostro Paese i Governi hanno tradizionalmenteuna ridotta capacità di decidere in autonomia esono assai soggetti all’influenza di lobbies e cor-porazioni di vario genere.Non esistono, però, in-cisivi gruppi di pressione a favore degli anzianinon autosufficienti.2. Perché oggi bisogna parlarne?Perché il Governo si trova davanti a un bivio, po-

co visibile ma cruciale. Deve decidere se lasciareche il sistema pubblico di assistenza agli anzianinon autosufficienti inizi il proprio declino – dicui già si vedono i primi segni – o se porre le ba-si per il suo consolidamento. Scegliere la secon-da possibilità vorrebbe dire dar vita a un Patto perle persone autosufficienti insieme a Regioni eComuni.Un Patto che definisca una visione stra-tegica di questo cruciale ambito del welfare nelmedio periodo (cinque anni) e che preveda al-cune azioni per cominciare a tradurla in pratica.3. Cos’è l’assistenza agli anziani non auto-sufficienti?L’assistenza alle persone anziane non autosuffi-cienti (long term care) comprende la varietà diservizi e interventi – sociali e sanitari – forniticon continuità a persone anziane che hanno bi-sogno di assistenza costante a causa di disabili-tà fisica o psichica. I principali interventi a (al-meno parziale) finanziamento pubblico sono iservizi territoriali (servizi domiciliari e centridiurni), le strutture residenziali e l’indennità diaccompagnamento. I principali interventi pri-vati sono l’assistenza fornita direttamente dalle

DIECI DOMANDE SULL’ASSISTENZAAGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI IN ITALIA

Network Non Autosufficienza (NNA)Anna Banchero, Enrico Brizioli, Cristiano Gori,Antonio Guaita, Franco Pesaresi,MarcoTrabucchi

TABELLA 1 - L’incremento della popolazione 80+ in Italia

Anno 1990 2010 2020Persone con almeno 80 anni (milioni) 1.8 3.5 4.5% sul totale della popolazione 3 6 7.5

Fonte Istat

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famiglie e il ricorso alle badanti.Ai fini statisti-ci vengono definite anziane le persone con al-meno 65 anni ma la maggior parte degli uten-ti dell’assistenza continuativa ne ha almeno 80(tab. 2).4. Perché fare riferimento al Governo na-zionale, se i servizi per gli anziani compe-tono a Regioni e Comuni?Perché lo Stato può svolgere un ruolo decisivoper la promozione dell’assistenza agli anziani, at-traverso una riforma nazionale che metta il wel-fare locale in condizione di operare adeguata-mente. Riforme di questo tipo, negli ultimi 20anni, sono state compiute in gran parte dei Pae-si europei (a partire da Francia e Germania, sinoallo Spagna).Tutte hanno condiviso i medesimiingredienti:� la definizione di alcuni standard (quantitativi e,a volte, qualitativi) validi per l’intera nazione;

� lo sviluppo dei servizi alla persona, a lato dei tra-sferimenti monetari;

� il maggior coinvolgimento finanziario dello Sta-to, in forma di co-finanziamento;

� il ruolo di cabina di regia svolto dallo Stato (mo-nitoraggio, accompagnamento dei territori, ve-rifica).In Italia l’ipotesi di una riforma è stata discussadurante gran parte della Seconda Repubblica (inparticolare tra il 1997 e il 2008) senza mai veni-re realizzata.Tra i Paesi dell’Europa centro-meri-dionale, quelli più simili al nostro, solo due nonhanno introdotto una riforma nazionale: Italia eGrecia (tab. 3).5. Perché le recenti scelte dello Stato in ma-teria di finanza pubblica hanno penalizza-to particolarmente i servizi per gli anzianinon autosufficienti?La responsabilità di questi servizi è suddivisa trale politiche sociali (Ministero delWelfare) e la sa-nità. Il precedente esecutivo ha ridotto del 92%i fondi dello Stato dedicati alle politiche sociali,delle quali gli anziani costituiscono il più ampio

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TABELLA 2 - Percentuale di persone 65+ che ricevono interventi per la non autosufficienza (interventi pubblici ebadanti)1, 2008-2009

%Strutture residenziali 2,6Servizi di assistenza domiciliare (SAD) del Comune 4,1Assistenza domiciliare integrata (ADI) dellaASL 2,8Indennità di accompagnamento 9,5Badanti 7,6

Fonte: www.maggioli.it/rna

1 Gli anziani che vivono nel territorio (escludendo quelli ospiti di strutture residenziali) non di rado ricevono contemporaneamente più di uno degli interventi elencati (sad,adi, indennità,badanti);l’indennità, in particolare. viene impiegata molto spesso per coprire parte della remunerazione delle badanti.Con la denominazione di strutture residenziali s’intendono qui tutte le diverse ti-pologie di residenze per anziani esistenti (residenze protette, residenze assistenziali e residenze sanitario-assistenziali). L’indennità è un contributo monetario di 492 euro mensili, erogato – in-dipendentemente dalle loro condizioni economiche - agli anziani che hanno bisogno di assistenza continua per deambulare e/o svolgere gli altri atti quotidiani della vita.

TABELLA 3 - Le riforme nazionali dell’assistenza ai non autosufficienti nei Paesi dell’Europa a 15 più simili all’Italia

Paese AnnoAustria 1993Germania 1995Francia 2001Spagna 2006Portogallo 2006Grecia -Italia -

Fonte: www.forumterzosettore.it

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gruppo di utenti. I finanziamenti sono in discesada 2.526 milioni di euro annui (2008) a 200(2013) (tabella 4).Tra le diverse linee di finanzia-mento per il sociale ne esisteva una interamentededicata alla non autosufficienza (il fondo nazio-nale per la non autosufficienza, 400 milioni nel2010), che non esiste più (tabella 5).Per quanto riguarda la salute, invece, la preoccu-pazione per le scelte nazionali riguarda il futuroprossimo venturo. L’atto fondamentale dello Sta-to per determinare finanziamenti e interventi insanità è il Patto per la Salute, che ha valore trien-nale. Il Patto per la Salute 2013-2015 deve essereapprovato in autunno: la bozza esistente non con-tiene obiettivi a favore della non autosufficienza.6. Quali sono i primi segni del declino?A livello generale, nello scorso decennio gran

parte delle Regioni (responsabili del maggiornumero dei servizi) ha avviato, autonomamen-te, propri percorsi di riforma per potenziare ilsistema. Mentre, fino a qualche tempo fa, l’a-spettativa era che tali percorsi continuassero,oggi si registrano difficoltà crescenti a proce-dere con quanto previsto e, sempre più spesso,anche a mantenere ciò che è stato sinora rea-lizzato (tab. 6).A livello concreto, in numerosi territori già sirilevano diversi sintomi dell’inizio del decli-no, la cui presenza, se non s’interverrà, è de-stinata a diffondersi. Essi riguardano: a) l’im-possibilità per le famiglie di trovare le infor-mazioni e consigli che richiedono, b) l’abbas-samento della qualità, c) il peggioramento del-le condizioni di lavoro, d) la non autosufficienza

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TABELLA 4 - La riduzione dei fondi statali per le politiche sociali, 2008-20132

milioni di euro numero indice (2008=100)2008 2.526 1002010 1.472 582013 200 8

Fonte: Elaborazioni di Misiani in www.astrid.eu

2 La tabella considera l’insieme dei diversi fondi statali per il sociale. Prima delle decurtazioni, i principali di questi erano il Fondo Nazionale Politiche Sociali, il Fondo per i NonAutosufficienti,il Fondo Politiche per la Famiglia, il Fondo per il Servizio Civile.

TABELLA 5 - Il fondo nazionale per la non autosufficienza

Anno Stanziamento2008 3002009 4002010 4002011 0

Fonte: www.forumterzosettore.it

TABELLA 6 - Le incertezze nelle riforme regionali per le persone non autosufficienti

Legislatura regionale 2005-2010

In molte Regioni avviamento di percorsi di riformabasati su nuova progettualità, incremento della spe-sa, e rafforzamento dei servizi

Legislatura regionale 2010-2015:aspettative inizialiAttesa di consolidamento delle riforme

Legislatura regionale 2010-2015:realtà attualeInvece, difficoltà a procedere con i percorsi previstie/o a mantenere quanto già realizzato

Fonte: www.maggioli.it/rna

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come causa di diseguaglianza (le conseguenzesono presentate più in dettaglio in tabella 7).Si tende sovente a ritenere che il rischio di de-clino costituirebbe un problema principalmenteper il Meridione, dove il sistema dei servizi risul-ta più fragile e, dunque, più facilmente danneg-giabile. In realtà non è così, e non solo perché leRegioni meridionali possono beneficiare di fon-di europei destinati ai servizi domiciliari. Il pun-to, oggi e nel prossimo futuro, è che in assenza diun robusto intervento dello Stato anche il siste-ma di welfare delle Regioni settentrionali è de-stinato ad un notevole peggioramento.7. Perché nell’assistenza alle persone nonautosufficienti tutti sanno “cosa bisogne-rebbe fare” mentre il punto è “cominciarea farlo”?Di una riforma nazionale del settore si discute da15 anni, a partire dal 1997. Se ne sono occupateCommissioni di matrice politica (le principali so-no la commissione Onofri, 1997, con il Gover-no Prodi I, e la commissione Maroni-Sirchia,2003, con il Governo Berlusconi), i sindacati deipensionati (che hanno presentato proprie propo-ste), commissioni tecniche (in particolare quelleistituite presso il Ministero della Salute per la re-visione dei Lea, 2006-2007), sino ad arrivare aldisegno di legge presentato dal Ministro Ferrero(Governo Prodi II nel 2007).Sono state elaborate, nondimeno, numerose ana-lisi e proposte presentate autonomamente da esper-ti. Inoltre, le riforme realizzate negli altri paesi of-frono numerosi spunti, con riferimento alle stra-de da seguire così come agli errori da non ripe-

tere. Complessivamente, in questo settore emer-ge tra chi se ne occupa una notevole consonanzadi vedute sulle cose da fare, che si ritrova in benpochi altri ambiti delle politiche pubbliche.In Italia, dunque, non sono necessarie ulteriorianalisi e riflessioni, ora bisogna iniziare a con-frontarsi con la concreta attuazione dei necessaripercorsi di riforma.8. In che senso questa riforma costa poco?A soffrire di un finanziamento inadeguato sono iservizi alla persona, nel territorio (a domicilio,centri diurni) e nelle strutture residenziali. I ser-vizi assorbono oggi una quota assai limitata di spe-sa pubblica e ciò produce un paradossale “van-taggio” (tab. 8). Poiché gli stanziamenti dedicatisono esigui, se ne potrebbe produrre una robustacrescita con sforzi marginali rispetto alla tortacomplessiva del bilancio pubblico. Infatti, si puòavviare una riforma storica con uno stanziamen-to di soli 400 milioni di euro.Nel tempo, sarà necessario incrementare ulte-riormente le risorse dedicate. Le esigenze dei con-ti pubblici potranno impedire di farlo nell’im-mediato ma lo sviluppo potrà essere modulatonegli anni in base all’evoluzione del quadro eco-nomico. D’altra parte rispondere alla non auto-sufficienza non costituisce un’esigenza solo di bre-ve periodo, dato che stiamo parlando della sfidaprincipale del welfare italiano nei prossimi 20 an-ni. Peraltro, neppure in prospettiva si tratta di unsettore particolarmente oneroso:oggi la spesa pub-blica dedicata rappresenta il 1,28% del Pil e – se-condo uno studio svolto per il Ministero delWel-fare – la soglia minima da raggiungere nei pros-

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TABELLA 7 - Quali sono le concrete conseguenze che il declino dell’ assistenza agli anziani non autosufficienti produce?

Le conseguenzeLe famiglie non ricevono le informazioni e i consigli che richiedono

Un welfare in declino è di bassa qualitàUn lavoro spesso sfruttatoLa non autosufficienza come origine di diseguaglianza

Esempi pratici- Indebolimento dei servizi di informazione/consulenza- Servizi domiciliari sempre più concentrati solo sulle singole prestazioni- La riduzione dei finanziamenti spinge a diminuire la qualità dei servizi- Meno risorse nei servizi si scaricano (anche) sugli operatori- Nelle strutture residenziali un gruppo crescente di famiglie non riesce a pa-gare retta o lo fa solo a costo del proprio impoverimento

- In generale, aumentano gli anziani che rimangono esclusi dai servizi pubblici

Fonte: www.maggioli.it/rna

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simi dieci anni per rispondere adeguatamente aibisogni della popolazione anziana ammonta allo1,5% mentre quella auspicabile allo 1,7%.Per va-lutarne l’impatto sulla finanza pubblica, basta con-frontare queste cifre con le voci del bilancio com-plessivo in tabella 8.9. Non si potrebbero affrontare le maggio-ri necessità di assistenza con il ricorso adassicurazioni private?Alcuni ritengono che lo sviluppo delle assicura-zioni private possa costituire la principale rispo-sta all’invecchiamento. Gli studi concordano nelritenere che non sia così e che alle assicurazionidebba essere riservata una funzione esclusiva-mente integrativa di un maggiore sforzo pubbli-co. Anche l’Ocse è recentemente intervenuta –con un autorevole rapporto (HelpWanted? Provi-ding and paying for long-term care) – per smontarel’illusione che le assicurazioni private possano farvenir meno la necessità di maggiore spesa pub-blica.In proposito, peraltro, c’è ampio consenso in Eu-ropa mentre solo in Italia – da più parti – si con-tinua a sostenere il contrario.Dunque, la vera do-manda è: perché se in tutta Europa si riconosceche le assicurazioni private non possono costi-tuire la principale soluzione, nel nostro Paese que-sta opinione è così diffusa?

10. Cosa rispondere a chi afferma che ot-tenere anche un incremento contenuto dirisorse per la non autosufficienza sarà dif-ficile nei prossimi anni?Rispondiamo che bisogna mettere meglio a fuo-co cosa accadrebbe in caso contrario. Senza il ne-cessario aumento dei finanziamenti pubblici, in-fatti, la qualità dell’assistenza peggiorerà e la pos-sibilità di essere assistiti adeguatamente dipende-rà sempre più dalle disponibilità economiche diognuno. In sintesi: incremento della spesa pub-blica o welfare residuale, non ci sono alternative.Rispondiamo, inoltre, che è una questione di scel-te. Durante la “Seconda Repubblica”, le personenon autosufficienti sono rimaste escluse dalle prio-rità della politica. La mancata introduzione dellariforma nazionale costituisce, infatti, il sintomodella difficoltà della politica di vedere il cambia-mento della società, con la sempre più ampia dif-fusione della non autosufficienza. Non è un de-stino che ciò accada anche in futuro. Qualora vifosse una scelta politica a favore delle persone nonautosufficienti e dei loro familiari, si noterebbeche 400 milioni sono una cifra risibile per l’av-viamento della riforma e che il passaggio delle ri-sorse dedicate dall’attuale 1,28% del Pil all’1,7%,attraverso un percorso graduale di 10 anni, è as-solutamente fattibile.

Dieci domande sull’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia

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TABELLA 8 - Spesa pubblica per l’assistenza agli anziani, per la protezione sociale e spesa complessiva, Italia, 2009-2010

InterventoServizi alla personadi cui:Servizi territoriali (0,24)Strutture residenziali (0,40)Indennità di accompagnamentoTotale spesa assistenza anzianiSpesa protezione sociale (pensioni, sanità e altro)Spesa pubblica complessiva

% del Pil0,64 [AREA IN DIFFICOLTA’]

0,661,2827,550,9

Fonte: Ragioneria Generale dello Stato

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a non autosufficienza è un concetto ampio,correlato sia all’età che allo stato di salute del-l’individuo, e si esprime non soltanto nellaincapacità totale o parziale di compiere le “nor-

mali azioni della vita quotidiana” ma anche nel nonriuscire a far fronte a quelle esigenze di natura econo-mica e sociale che si concretizzano in un adeguato red-dito, un’abitazione con caratteristiche microclimatiche,strutturali e di accesso compatibili con l’igiene e la si-curezza dell’ambiente e dell’individuo e una rete so-ciale protettiva1.Esistono a livello internazionale numerosi indi-catori e relative scale di valutazione per la indivi-duazione dei bisogni dei pazienti non autosuffi-cienti, strumenti provenienti da Paesi con siste-mi sanitari profondamente diversi tra loro, il cherende ragione della difficoltà di confrontare datie struttura organizzativa dei servizi erogati. I cri-teri più utilizzati si basano sulla capacità di svol-gere autonomamente varie attività della vita quo-tidiana (le cosiddette ADL, activities of daily li-ving) supportati da più complessi sistemi di rile-vazione del bisogno sociale.In molti casi, il termine “non autosufficiente” èutilizzato come sinonimo di “disabile”, concet-to in realtà più complesso, come esplicitato neldocumento dell’Oms del 2001 dal titolo Inter-national Classification of Functioning, Disability and

Health (ICF) secondo il quale un disturbo, strut-turale o funzionale, deve essere rapportato a tut-ti gli aspetti della salute umana (udire, cammi-nare, imparare e ricordare) e a quelli “collegati”(mobilità, istruzione, partecipazione alla vita so-ciale). L’ICF non riguarda solo le persone condisabilità, ma riguarda tutte le persone; ha dun-que un uso e un valore universale. Rispetto aciascuna delle centinaia di voci classificate, adogni individuo possono essere associate percen-tuali di “funzionamento”, dalle quali dipende illivello di disabilità che comprende sia la restri-zione delle attività sia la limitazione di parteci-pazione. L’adozione della metodologia Oms, an-cora sperimentale nei Paesi europei compresal’Italia, ci permetterà nel futuro di disporre diinformazioni più precise per individuare i sog-getti disabili e tra questi quelli che rispondonoalle caratteristiche di essere non autosufficienti.La questione non è di secondaria importanza sesi pensa che la corretta rilevazione dei bisognisanitari e sociali è fondamentale per stabilire latipologia e la quantità delle prestazioni da ero-gare nel contesto dove vive la persona, il relati-vo finanziamento e la conseguente durata del-l’assistenza erogata. La long term care, infatti, se-condo l’Ocse, si riferisce a “ogni forma di assi-stenza fornita a persone non autosufficienti lungo un

I FONDI SANITARIE SOCIOSANITARI INTEGRATIVIUna sfida finanziaria per la non autosufficienza

di Isabella MastrobuonoDirezione sanitaria aziendale del PoliclinicoTorVergata, Roma

1 L.Beltrametti, I.Mastrobuono,R. Paladini: L’assistenza ai non autosufficienti: aspetti di politica economica e fiscale.Relazione per il Gruppo di lavoro intercommissione sulla riforma fisca-le del CNEL, anno 2000. La definizione esprime un concetto ampio di non autosufficienza che ingloba anche gli aspetti di natura sociale e di relazione e si ispira alle definizioni adottatein molti Paesi industrializzati dove vigono Fondi ad hoc come la Germania ed i Paesi Bassi.

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periodo di tempo esteso senza data di termine prede-finita”.La principale fonte di dati utilizzata per stimare ilnumero di disabili in Italia è l’indagine Istat sullecondizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari del2005 condotta su un campione di 60.000 famiglie.I disabili sono 2.757.108, pari a circa il 5% della

popolazione di sei anni e più che vive in famiglia.Sono 1.098.000 gli anziani gravemente disabili(ovvero con incapacità di compiere almeno dueabituali funzioni della vita quotidiana), e 600.000i soggetti con meno di 65 anni affetti comunqueda disabilità, pari al 21% del totale2.È probabile che il dato Istat sia sottostimato in

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2 Considerando i diversi livelli di disabilità,quello più grave è rappresentato dal confinamento,che implica la costrizione permanente in un letto o su una sedia nonché il confinamento in casa per im-pedimento fisico o psichico.Risulta confinato il 2,1% della popolazione di sei anni e più,e tra le persone di ottanta anni e più la quota raggiunge circa il 25% (19%maschi e 28% femmine).Sono 180mila i confinati in casa,di cui il 70% donne ed il 77 % ultra sessantacinquenni che non sono in grado di utilizzare il telefono,di gestire i propri soldi o di assumere le medicine. Il 2,2% delle persone disei anni e più presenta disabilità nel movimento,con quote significative dopo i 75 anni:nella fascia d’età 75-79 anni la quota arriva al 9,9% e nelle persone di 80 anni e più il tasso raggiunge il 22,5%(17,6%maschi contro 24,8% per le femmine).Circa il 3% della popolazione di sei anni e più presenta invece difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane,cioè ha difficoltà ad espletare le prin-cipali attività di cura della propria persona (quali vestirsi o spogliarsi, lavarsi, tagliare e mangiare il cibo).Tra i 75 ed i 79 anni,sono circa il 12% le persone che presentano tale tipo di limitazione;tra gliultraottantenni,circa una persona su tre ha difficoltà a svolgere autonomamente le fondamentali attività quotidiane.Le difficoltà nella sfera della comunicazione,quali l’incapacità di vedere,sentire oparlare,coinvolgono circa l’1% della popolazione di sei anni e più.Risultano circa 352mila ciechi totali o parziali,877mila persone con problemi dell’udito più omeno gravi e 92mila sordi prelinguali(sordomuti). Ben il 33% dei disabili è portatore di almeno due disabilità contemporaneamente fra disabilità nelle funzioni, disabilità nel movimento e disabilità sensoriali.Di questi il 33% è rappre-sentato dal sesso maschile e il restante 67% da quello femminile.Più dell’80% delle persone con più tipologie di disabilità ha un’età superiore ai 75 anni.

FIGURA 1 - La disabilità in Italia

Fonte: Istat 2007

FIGURA 2 - Persone di 6 anni e più disabili per classi di età e sesso

Anno 2005 (Per 100 persone dello stesso sesso e classe di età)

persone con meno di 65 anni

persone con 65 anni e oltre(con disabilità non grave)

anziani affetti da non autosufficienza graveovvero con incapacità di compiere almenodue abituali funzioni quotidiane

anziani che vivono in strutture residenziali

6-44 45-54 55-64 65-69 70-74 75-79 80 e più TOTALE

Maschi

Femmine

Maschi e femmine

0,9 0,8 0,9 1,4 1,3 1,3 2,2 2,7 2,54,5

6,5 5,57,7

11,49,7

13,4

20,817,8

35,8

46,944,5

3,36,1 4,8

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quanto la rilevazione raccoglie valutazioni sog-gettive che risentono di differenze culturali ecognitive, non considera i soggetti di età infe-riore ai 6 anni di età per la inadeguatezza delquestionario (si stimano, secondo alcuni studi,43.000 bambini 0-5 anni disabili assumendouna prevalenza alla nascita di disabilità pariall’1%), esclude i pazienti affetti da patologiepsichiatriche e non rileva i soggetti istituzio-nalizzati.Non tutti i soggetti disabili sono non autosuf-ficienti, anche perché tra i disabili vi sono sog-getti sordi, muti e ciechi a buon diritto collo-cati in questo ambito, ma che non necessitanodi certo di residenzialità e di assistenza domi-ciliare integrata, e non tutti i non autosufficientisono anziani, anche se in questa fascia di sog-getti la non autosufficienza è più frequente. In-fatti, in Germania e nei Paesi Bassi3, le perso-ne non autosufficienti assistite dai rispettivi Fon-di sono il 2,3% ed il 3,6% del totale della po-polazione, di cui il 23-25% al di sotto del 65esi-mo anno di età. L’indagine Istat riferisce che il3% della popolazione di sei e più anni ha dif-ficoltà nelle principali funzioni della vita quo-tidiana.Per stabilire, anche se approssimativamente, il nu-mero di non autosufficienti nel nostro Paese, bi-sogna ricorrere anche ad altre fonti informativecome, ad esempio, il numero delle indennità diaccompagnamento attualmente erogate e legateall’istituto dell’invalidità civile, disciplinata conla legge 30 marzo 1971 n.118 “Conversione in leg-

ge del decreto legge 30 gennaio 1971 n.5 e nuovenorme in favore dei mutilati ed invalidi civili” chedefinisce invalidi civili “ i cittadini affetti da me-nomazioni congenite od acquisite, anche a carattereprogressivo, compresi gli irregolari psichici per oligo-frenie, di carattere organico o dismetabolico, insuffi-cienze mentali derivanti da difetti sensoriali e fun-zionali che abbiano subito una diminuzione della ca-pacità lavorativa non inferiore ad un terzo, o, se mi-nori di 18 anni, che abbiano difficoltà persistenti asvolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.Ai soli fini dell’assistenza socio-sanitaria e della con-cessione della indennità di accompagnamento, si con-siderano mutilati ed invalidi i soggetti ultra sessanta-cinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgerei compiti e le funzioni proprie della loro età”.Ai sog-getti con tali caratteristiche vengono ricono-sciuti benefici economici (assegno di invalidità,pensione di inabilità, indennità di accompagna-mento e benefici di natura socio-assistenziale:assistenza protesica, esenzione del ticket per vi-site e prestazioni di diagnostica).L’“Indennità di accompagnamento agli invalidi civilitotalmente inabili”, istituita nel 1980 con la Leggen.18 dell’11 febbraio, è corrisposta indipenden-temente dal reddito del soggetto o della sua fa-miglia; i beneficiari sono, secondo dati Inps 2011,circa 2 milioni (pari al 3,1% della popolazione, inlinea con gli altri Paesi), compresi i ciechi, sordo-muti e minori, con una spesa complessiva di 13miliardi di euro nel 20104.È probabile dunque che il numero di soggetti nonautosufficienti, esclusi ciechi e sordomuti, sia pa-

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3 Fondo per la non autosufficienza in Germania:ne fruisce il 2,3% della popolazione,cioè 1.900.000 persone.Di tale quota:il 22,5% è di età inferiore a 65 anni, il 14,7% è di età compresa tra 65 e 75 an-ni e il 63,3% è di 75 anni ed oltre.L’assistenza è erogata è per il 68% a domicilio e per il 32% in residenze. I costi nel 2003 erano pari a 17.6 miliardi di euro.Fondo per la non autosufficienza dei PaesiBassi:assiste 588.000 persone (di cui 63.000 fino all’età di 18 anni) e cioè il 3,6% della popolazione (16,5 milioni) distinti in:anziani 391.000,disabili 113.000,pazienti psichiatrici 84.000.Il 43% è assistitoin residenze ed il 57% a domicilio. Il costo è progressivamente aumentato nel tempo ed è passato dai 12,8 miliardi di euro del 1998 ad oltre 20,5 miliardi di euro nel 2008 con contributi ormai del12,15% ed un costo mensile di circa 320 euro a persona. Il Fondo per la non autosufficienza in Francia è limitato ai cittadini al di sopra del 65esimo anno di età;è finanziato attraverso la fiscalità gene-rale, è prevista la compartecipazione al costo,proporzionata al reddito,da parte dei cittadini che accedono ai servizi,con esenzioni solo per le persone con più di 60 anni con un reddito non superio-re a 935 euromensili. Il modello francese destina circa 2,5 miliardi di euro all’anno (escluse le compartecipazioni) per garantire i servizi assistenziali a 800.000 cittadini francesi.

4 L’ indennità di accompagnamento spetta anche ai ciechi assoluti, alle persone che sono sottoposte a chemioterapia o a altre terapie di day hospital e che non possono recarsi da so-le all’ospedale (sentenza Corte di Cassazione n° 1705/1999), ai bambini minorenni incapaci di camminare senza l’ aiuto di una persona e bisognosi di assistenza continua (sentenzaCorte di Cassazione n° 1377/2003), alle persone affette dal morbo di Alzheimer e sindrome di Down, alle persone affette da epilessia, sia a coloro che subiscono attacchi quotidiani,sia a coloro che abbiano sporadiche “crisi di assenza”, a coloro che, pur incapaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (mangiare, vestirsi, pulirsi) necessi-tano di accompagnatore perché sono incapaci (in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva e cognitiva, addebitabili a forme avanzate di stati patologici) di rendersi conto dellaportata dei singoli atti che vanno a compiere e dei modi e dei tempi in cui gli stessi devono essere compiuti (sentenza Corte di Cassazione n° 1268/2005).

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ri a circa 1.700.000 persone, di cui 1.100.000 an-ziani5.

L’ATTUALE FINANZIAMENTODELLANONAUTOSUFFICIENZA ED I POTENZIALI SCENARIIl problema del finanziamento della non autosuf-

ficienza non può essere affrontato senza conside-rare congiuntamente la spesa sanitaria e sociale,soprattutto per le prestazioni che più la caratte-rizzano e cioè le prestazioni sociosanitarie6.È difficile stabilire l’ammontare delle risorse dis-ponibili in questo settore, anche considerando le

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5 La longevità ed il conseguente invecchiamento della popolazione acuiranno il problema legato alla non autosufficienza;nel 2011, in Italia la popolazione di soggetti di età eguale o superiore a 65anni è di 12.301.537 persone,pari al 20.3% del totale della popolazione di 61.016.804 abitanti con una distribuzione maggiore nel Nord del Paese ed i trend demografici evidenziano per il pros-simo futuro un aumento della popolazione anziana fino ad oltre il 30% della popolazione totale con un incremento di quella ultrasettantacinquenne (+25% pari a più di 1.400.000 persone so-prattutto donne,nei prossimi 10 anni). Secondo i dati ISTAT 2005 gli anziani non autosufficienti sono 1.098.000 (esclusi gli istituzionalizzati pari a circa 160.000 persone), tra i quali sono diffusele malattie croniche (cardiopatie, ictus, bronchite cronica, enfisema, cirrosi epatica, tumore maligno, Parkinson,Alzheimer e demenze senili); ed infatti il 13,1% della popolazione ha almeno unamalattia cronica grave, il 13,3% della popolazione ha tre o più malattie croniche.Tali valori arrivano al 14% nel Sud e nelle Isole, rispetto al 12% del Nord.Negli ultimi cinque anni nella popolazione anziana sono aumentati:- il diabete dal 12,5% al 14,5%- l’ipertensione arteriosa dal 36,5% al 40,5%- l’infarto del miocardio dal 4% al 6,3%- l’artrosi – artrite dal 52,5% al 56,4%- l’osteoporosi dal 17,5% al 18,8%.

6 Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare,mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazionisanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra azioni di cura e quelle di riabilitazione. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:• le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidan-ti di patologie congenite e acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale.Dette prestazioni di competenza delleAUSL e a carico del-le stesse sono inserite in progetti personalizzati di durata medio-lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell’ambito delle strutture residenziali e semiresidenziali;• le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o diemarginazione condizionanti lo stato di salute.Tale attività di competenza dei comuni sono prestate con compartecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi.• le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolari rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono preva-lentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase termi-nale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.Tali prestazioni sono finanziate con il fondo sanitario e con il fondo sociale (o direttamente dal cittadino) e sono svolte prevalentemente a domicilio o in strutture residenziali esemiresidenziali.

FIGURA 3 - La geografia della spesa pubblica - Indennità di accompagnamento (2011)

* Comprese le indennità ai ciechi, sordomuti e minori

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somme aggiuntive derivanti da contributi e do-nazioni disposti da privati, enti, fondazioni, orga-nizzazioni internazionali e da Organismi dell’U-nione Europea.Secondo il “Rapporto sulla non autosufficienza inItalia” del 2010, la spesa per persone non auto-sufficienti nel 2007 è stata di 17,3 miliardi, pariall’1,3% del Pil, di cui 7 miliardi di componentesanitaria (0,46%), 8,2 miliardi di indennità di ac-compagnamento (0,54%) e 2 miliardi dei Comuni(0,13%). Gli ultimi dati Censis 20117 riferisconodi una spesa per disabili e non autosufficienti di29,45 miliardi di euro per la “long term care” dicui il 46,4% spesa sanitaria, 43,3% spesa per in-dennità di accompagnamento e 10% socio-assi-stenziale locale.Per quanto riguarda la componente sanitaria, èassai complesso in realtà stabilire quante risorsesono destinate alla non autosufficienza poiché èalta la percentuale di inappropriatezza che si re-gistra soprattutto in ambito ospedaliero, dove so-no concentrati i casi che dovrebbero trovare sulterritorio la più adeguata risposta ai bisogni. In-fatti, il ricorso alle attività ospedaliere degli an-ziani è alto, come dimostrano i dati dell’anno 2010con un tasso di ospedalizzazione che sale a 198,80dai 65 ai 74 anni ed è oltre il 310,34 dai 75 anniin poi rispetto al valore medio di 174,5 per mil-le abitanti.La ricerca dell’Agenas “La presa in carico degli an-ziani non autosufficienti”, condotta su 7.237 an-ziani identificati nei record dei flussi Far e Siad(flussi per la rilevazione delle attività residenzia-li e di assistenza domiciliare) presentata a Romail 28 marzo scorso, dimostra inequivocabilmen-te che degli assistiti nei servizi residenziali, in unanno di presa in carico, vengono ricoverati inospedale il 3,8% nelVeneto (DM 0,8 giorni), il4,5% inToscana (DM 1 giorno), il 15,3% in Lom-bardia (DM 2,5 giorni).Tra gli assistiti a domi-cilio, sono stati ricoverati inToscana il 25% (DM3,8 giorni), in Lombardia il 35,5% (DM 13,5

giorni), inVeneto il 50% (DM 7,5 giorni).Gli as-sistiti a domicilio, considerando gli accessi concodice triage bianco o verde, hanno effettuatoaccessi impropri al PS nel 21,6% dei casi in Lom-bardia, nel 23,1% nelVeneto e nel 48,7% inTo-scana.Valorizzare la spesa sociale e socio assistenziale de-stinata alla non autosufficienza è ancora più com-plesso per la contemporanea partecipazione di piùistituzioni.Nel 2008, i Comuni italiani hanno destinato agliinterventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 mi-lioni di euro (0,42% del Pil). Della spesa socia-le, il 38,7% è assorbita dai servizi di supporto aicittadini, il 34,5% al funzionamento delle strut-ture e il 26,8% (pari a 1.785.416) è destinato atrasferimenti in denaro. I Comuni gestiscono sin-golarmente il 75% della spesa sociale e il 25% informa associata.Alle Asl è affidata la gestione del31% della spesa sociale inVeneto, del 15% inTo-scana, del 7% in FriuliV.G. I Comuni del Nord-Est spendono 155 euro per abitante, nel Nord-Ovest 129, nel Centro 126, nelle Isole 95, nelSud 52. La spesa per i disabili è di 1 miliardo e408 milioni di euro, una media di 2500 euro procapite l’anno (che passa da 658 euro al Sud ai5075 del Nord-Est), e comprende l’assistenzadomiciliare a 37 mila disabili, come tali consi-derando le persone di età superiore ai 6 anni edinferiore ai 65 anni che vivono in famiglia, edescludendo i residenti nei presidi assistenziali so-cio-sanitari. La spesa per gli anziani ammonta a1 miliardo e 400 milioni di euro (che passa dai59 euro del Sud a 165 nel Nord-Est), e com-prende l’assistenza domiciliare sociale a 191 mi-la anziani, cioè all’1,6% del totale degli anziani.Vanno considerate, inoltre, le quote pagate dagliassistiti (933 milioni di euro) e la partecipazio-ne del Ssn per 1 miliardo e 116 milioni di euro,per un totale complessivo di 8 miliardi e 712 mi-lioni di euro.A tale spesa si aggiunge quanto stabilito nella

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7 Convegno “Non autosufficienza: solidarietà tra generazioni, per unWelfare moderno di comunità” Roma 22 marzo 2012.

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legge quadro per la realizzazione del sistema in-tegrato di interventi e servizi sociali, n. 328 dell’8novembre 2000, ove si prevede che la defini-zione dei livelli di assistenza sociale (Liveas) siacontestuale a quella delle risorse da assegnare alFondo nazionale per le politiche sociali, tenuto con-to delle risorse ordinarie già destinate alla spe-sa sociale dalle Regioni e dagli Enti locali, nelrispetto delle compatibilità finanziarie definiteper l’intero sistema di finanza pubblica dal do-cumento di programmazione economico-fi-nanziaria. In realtà, va rilevato che non solo ta-le fondo è decrescente negli anni, ed oggi pariad appena 69,5 milioni di euro per tutto il li-vello nazionale, ma anche che una parte di es-so destinata a finanziare le attività rivolte allanon autosufficienza è stata azzerata con le re-centi manovre finanziarie.Un ulteriore elementodi difficoltà nell’accesso ai servizi previsti dallalegge quadro 328/2000 è rappresentato dal fat-to che, secondo quanto stabilito dalla legge me-desima, condizione per il godimento del dirit-to alle prestazioni sociali è il possesso di un red-dito inferiore ad una determinata soglia.A taleriguardo, va precisato che non esistono tra i Co-muni criteri uniformi nella valutazione del red-dito, il cosiddetto indicatore di situazione eco-nomica (ISE), nella determinazione delle sogliedi reddito e nella valutazione dello “stato di bi-sogno”, con il rischio di escludere alcuni an-ziani perché aventi un reddito appena superio-re alla soglia prevista e, comunque, sulla base direquisiti non oggettivi e difformi nel territorionazionale.Nel prossimo triennio, a seguito dell’obbligo diraggiungimento dell’equilibrio di bilancio, su en-trambe le spese, sanitaria e sociale, si abbatteran-no una serie di provvedimenti legislativi di gran-de impatto.La spesa pubblica per la sanità è stata pari a113.457 milioni di euro nel 2010 (7,3% del Pil),spesa che è cresciuta di oltre 11 miliardi di eurodal 2007,mentre il finanziamento tende propor-zionalmente a diminuire, attestandosi per il 2010

a 106 miliardi di euro. L’attuale spesa pubblica èassorbita per oltre il 49,6% dai pazienti over 65,che, come è noto, registrano epidemiologicamentele malattie di più frequente riscontro in tale fa-scia di età: malattie cardiovascolari, oncologiche,respiratorie croniche ed obesità.Il finanziamento pubblico per la sanità aumente-rà solo dello 0,5% nel 2012 e dell’1,4% nel 2013,con una riduzione della spesa di circa 8 miliardidi euro (che diventeranno 17 miliardi nel 2015).Con la Legge 15 luglio 2011, n. 111 “Conversio-ne in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 lu-glio2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la sta-bilizzazione finanziaria (GU n. 164 del 16-7-2011)”, si introducono il tetto nazionale per i dis-positivi medici, la riduzione del tetto della far-maceutica territoriale al 12,5% (oggettivamenteuna decisione controcorrente alla volontà politi-ca di potenziare il territorio) e, a partire dal 2014,ulteriori forme di compartecipazione alla spesada parte dei cittadini.Sul finanziamento pubblico della sanità pende an-che l’applicazione dei costi e fabbisogni standardintrodotti con il D.Lgs n.68 del 6 maggio 2011“Disposizioni in materia di autonomia di entrata del-le regioni a statuto ordinario e delle province, nonché dideterminazione dei costi e dei fabbisogni standard nelsettore sanitario” in applicazione della Legge 42 del5 maggio 2009 sul federalismo fiscale, sulla basedel quale sono state avanzate numerose proiezio-ni, molte delle quali ritengono che il finanzia-mento possa essere diminuito sulla base del bench-mark con le Regioni più virtuose (104 miliardidi euro secondo Pamolli, 2011).Sulla spesa sociale si abbatteranno i provvedimen-ti recenti di stabilizzazione finanziaria (Legge 14settembre 2011 n.148 “Conversione in legge del de-creto legge 13 agosto 2011, n.138 recante ulteriori mi-sure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per losviluppo”) che riduce di 6,5 miliardi nel 2012 il fi-nanziamento agli enti locali, fino agli 11,4 del 2014,mentre dalla riforma dell’assistenza (indennità diaccompagnamento, assegni di invalidità, pensionidi reversibilità) dovranno ottenersi, entro il 2014,

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risparmi per 20 miliardi di euro, pena il taglio ditutte le agevolazioni fiscali vigenti8.Il legame tra l’evoluzione della spesa sanitaria equella sociale è strettissimo. Una drastica ridu-zione e senza una strategia precisa della spesa so-ciale può riflettersi sul versante sanitario deter-minando una maggiore richiesta di servizi so-prattutto di emergenza e vanificare, nelle Regio-ni in piano di rientro, gli sforzi per la riduzionedella spesa sanitaria.Sono a rischio dunque soprattutto le prestazionisociosanitarie, che rientrano nel forziere della spe-sa sociale, caratterizzata, rispetto a tutti i Paesi eu-ropei, da una tendenza a garantire prestazioni indenaro piuttosto che in servizi.Dai dati Eurostat relativi al 2008 emerge che sultotale delle prestazioni di carattere sociale, l’Italiasi caratterizza per un valore del 26,5% della spe-sa sociale sul Pil, di cui il 19,2% in denaro con-tro il 7,3 in servizi, situazione opposta rispetto ai15 Paesi dell’Euro (16,8 contro il 9,2), con pun-te del 13% in servizi in Svezia contro il 15% diprestazioni in denaro.Il disegno di Legge “Delega al Governo per la rifor-ma fiscale e assistenziale” documento Camera deiDeputati n. 4566, presentato dal Ministro Tre-monti il 29/07/2011 prevede all’articolo 10 “In-terventi di riqualificazione e riordino della spesa in ma-teria sociale”, i seguenti obiettivi:� riordino dei criteri, inclusi quelli relativi all’in-validità e alla reversibilità, dei requisiti redditua-li e patrimoniali, nonché delle relative situazio-ni a carattere personale e familiare per l’accessoalle prestazioni socio-assistenziali9;

� integrare ed armonizzare le risorse destinate alsociosanitario e dei “diversi strumenti previ-denziali, assistenziali e fiscali di sostegno alle con-

dizioni di bisogno, in modo da evitare dispen-diose duplicazioni di servizi e sovrapposizioni edi realizzare una gestione integrata del welfareassistenziale”;

�“moralizzare il sistema frenando il dilagare del-le contribuzioni monetarie dirette (in partico-lare le indennità di accompagnamento)”;

�promuovere il welfare society e le realtà di ter-zo settore;

� ridisegnare gli indicatori necessari ad individuarela corretta situazione economica dei cittadini(con riferimento al nucleo familiare);

� istituire un fondo per la indennità sussidiaria al-la non autosufficienza da ripartire alle Regionisulla base di indicatori standardizzati (età, resi-denti, fattori ambientali);

� riorganizzare il settore in modo da renderlo uninsieme unitario, anche sotto il profilo del fi-nanziamento, per il tramite delle Regioni, deiComuni o dell’Inps.Il presupposto della delega è quello della separa-zione del dovere fiscale da quello di assistenza so-ciale, della riqualificazione e integrazione delleprestazioni socio-assistenziali in favore dei sog-getti “autenticamente bisognosi”.Si tratta di modifiche strutturali epocali, che richie-deranno tempo per la messa a regime e comunquedovranno avvenire in un contesto di grande sforzoallocativo delle risorse disponibili da parte delle Re-gioni e dei Comuni per garantire l’accesso ai servi-zi. In questo senso dovrebbero essere dettate conanticipo le regole per l’utilizzo della nuova IMU(Imposta Municipale Unica) e comunque le rifor-me avverranno in un contesto organizzativo carat-terizzato da una strutturazione dei servizi territo-riali profondamente deficitaria, con particolare ri-guardo all’assistenza domiciliare e residenziale.

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8 La riduzione delle agevolazioni riguarda le famiglie e investe le più comuni detrazioni e deduzioni che la maggioranza dei contribuenti applica al momento della presentazione del-la denuncia dei redditi: detrazioni per lavoro dipendente, deduzioni per la prima casa, detrazioni forfettarie per carichi di famiglia (figli, coniuge...), detrazioni per spese sanitarie ecosì via. La Manovra stabilisce all’articolo 40 che queste restrizioni non si applicano qualora entro il 30 settembre 2013 siano adottati provvedimenti legislativi in materia fiscaleed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrap-pongono alle prestazioni assistenziali, tali da determinare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2013 ed a 20.000 milionidi euro annui a decorrere dall’anno 2014.”

9 La legge n.214 del 22 dicembre 2011 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, prevede all’art. 5 l’introduzione dell’ISEE per la conces-sione delle agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie, da stabilirsi con decreto da emanarsi entro maggio 2012, con ilquale saranno individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie, nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1 gennaio 2013, non possono essere più riconosciu-te ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata nel decreto stesso.

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GLI SCENARI EVOLUTIVI E LE PROPOSTEIl numero di non autosufficienti, soprattutto an-ziani, è destinato ad aumentare: secondo alcuneproiezioni, la variazione tra il 2010 ed il 2050 po-trebbe essere dell’83% con stime di finanziamen-to delle attività e prestazioni di circa 19 miliardidi euro, di cui 4 miliardi per la forma più gravedi non autosufficienza (tabelle 1 e 2).Le conseguenze dell’invecchiamento demograficoin termini di cronicizzazione delle patologie ed au-mento dei casi di non autosufficienza e disabilità me-dio-grave anche in soggetti non necessariamente an-ziani, impongono una riorganizzazione del sistemadell’offerta assistenziale quali il potenziamento deiservizi del territorio (con particolare riferimento al-l’assistenza domiciliare integrata e non alla residen-zialità), l’integrazione tra ospedale e territorio e losviluppo di modelli organizzativi innovativi che ga-rantiscano la continuità assistenziale secondo un ap-proccio multidisciplinare,ed un ripensamento dei si-stemi di finanziamento per il reperimento delle ri-sorse necessarie a soddisfare una domanda semprecrescente di servizi sanitari e sociosanitari.È impos-sibile, allo stato attuale, pensare in Italia di ricorreread un aumento dei finanziamenti pubblici, sia per

quanto riguarda la sanità che per i servizi sociali,perla congiuntura economica e con gli obblighi che de-rivano al Paese dalla sua appartenenza all’Unione Eu-ropea, né tantomeno prevedere l’introduzione di unanuova tassa per l’istituzione su base obbligatoria diun fondo per la non autosufficienza come in Ger-mania o nei Paesi Bassi. Le risorse finanziarie perquesto settore sono scarse ovunque nel mondo e perquesto appare strategica la collaborazione tra settorepubblico e privato, for profit e no profit, per assicu-rare adeguati finanziamenti.In Italia emerge dall’analisi dei dati sulla compo-sizione della spesa sanitaria un’alta percentuale dispesa privata (oltre 30 miliardi di euro), valore trai più alti del mondo di cui ben l’87,2% è “out-of-pocket”, mentre il 14% circa è veicolato daifondi sanitari e sociosanitari integrativi (settorein forte crescita) e solo il 3% circa dalle assicura-zioni. Tali dati sono indicativi della necessità diorientare ed organizzare in senso strutturale que-sta componente privata della spesa, incentivandoe sostenendo nuove fonti di finanziamento, in par-ticolare guardando ai fondi sanitari e sociosanita-ri integrativi10.I fondi sono “Organizzazioni prevalentemente pri-

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10 La legge 833 del 1978 istitutiva del Ssn, all’articolo 46“La Mutualità volontaria è libera”, cita quanto segue:“È vietato agli enti, imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi formaal finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite ed aventi finalità di erogare prestazioni integrative dell’assistenza sanitaria prestata dal servizio sanitario nazionale”: il Le-gislatore, quindi, pur limitandone l’ambito, non considerava i due mondi antitetici, non negava la possibilità che, attraverso forme consortili, si potesse arrivare a costituire un settore di fi-nanziamento integrativo rispetto al Ssn. Il tema dei fondi,o meglio delle forme di finanziamento privato in sanità,è stato affrontato per la prima volta nella legge 30 dicembre 1991,n.412,do-ve si riportava la possibilità di ricorrere a sperimentazioni gestionali riguardanti, tra l’altro,modalità di pagamento e remunerazione dei servizi ed erogazione di servizi e prestazioni “ancheda parte di associazioni volontarie di mutua assistenza aventi personalità giuridica.” Con il D.Lgs n.502 del 1992 di riforma del Ssn, all’articolo 9, il Legislatore propone però un salto in avan-ti delle forme integrative di assistenza prevedendo, in via sperimentale,“forme di assistenza differenziate per particolari tipologie di prestazioni”, le quali, di fatto, potevano consistere:• nel concorso della spesa sostenuta dall’interessato per la fruizione delle prestazioni a pagamento;• nella possibilità per soggetti singoli o consortili o per le mutue volontarie di negoziare con gli erogatori delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale modalità e condizioni per as-sicurare qualità e costi ottimali, con la corrispondente rinuncia da parte dell’interessato alla fruizione delle prestazioni in forma diretta e ordinaria per il periodo della sperimentazione.Il D.Lgs 502/1992 nella sua prima proposizione prefigurava, quindi, per i fondi una funzione alternativa al Ssn, un passaggio che avrebbe potuto “minare” il concetto universalistico e quindilo spirito della Legge 883/78 e, per tale ragione, l’art. 9 fu modificato nel decreto legislativo n. 517/93, prevedendo l’istituzione di fondi integrativi sanitari “finalizzati a fornire prestazioniaggiuntive rispetto a quelle assicurate dal Servizio sanitario nazionale”. Per questi fondi si specificarono le fonti istitutive e si elaborò un apposito regolamento (successivamente non ap-provato) per disciplinarne le modalità di costituzione, di scioglimento e di vigilanza, nonché la composizione degli organi di amministrazione e di controllo e le forme di contribuzione.Nel 1998,con la Legge n.419 di delega al Governo per la razionalizzazione del Ssn, il tema viene affrontato limitando l’operatività dei fondi alla erogazione di “prestazioni aggiuntive,eccedenti i li-velli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale,con questi comunque integrate” ed il conseguente D.Lgs 229 del 1999 introduce,all’articolo 9, i cosiddetti fondi doc,“fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.... finalizzati a potenziare l’erogazione di trattamenti e prestazioni non comprese nei livelli uniformi ed essenziali di assistenza”,definendo i seguentiambiti di applicazione:prestazioni aggiuntive erogate da professionisti e da strutture accreditate,ticket,medicina non convenzionale,cure termali e assistenza odontoiatrica non compresa nei Lea.L’attivazione dei fondi era subordinata alla emanazione di successivi decreti, dei quali l’unico ad essere stato approvato fu il provvedimento fiscale (D.Lgs.41 del 18 febbraio 2000), che definivagli aspetti fiscali dei nuovi e vecchi fondi integrativi, privilegiando i fondi doc,che avrebbero goduto dei vantaggi fiscali rispetto a quelli sostituivi (cioè che erogano le stesse prestazioni del Ssn).Tali fondi non hanno avuto successo per una serie di ragioni tra le quali il fatto che le prestazioni previste non costituiscono una parte rilevante della domanda della popolazioneche si iscrive ai fondi, come più avanti sarà chiarito, mentre il rimborso della quota di partecipazione alla spesa per gran parte delle prestazioni vale esclusivamente per gli eroga-tori accreditati e non anche autorizzati, creandosi per i fondi l’impossibilità di garantire il proprio equilibrio economico-finanziario.Più realisticamente,con la Finanziaria 2008 (Legge 244 del 27 dicembre 2007,articolo 1,comma 198),ed il successivo Decreto 31 marzo 2008 del Ministero della Salute si è cercato di superarela distinzione tra fondi doc e non doc,attraverso un meccanismo di armonizzazione delle agevolazioni fiscali.Ci si è resi conto dell’inutilità di tale discriminazione,e si è cercato così di porre finealle“penalizzazioni” fiscali per i fondi che erogano prestazioni comprese nei Livelli essenziali di assistenza.La novità principale introdotta dal decreto emanato,dunque,è stata quella di individuarenegli ambiti di intervento degli enti,casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale,sia le prestazioni sanitarie già assicurate dai rispettivi statuti e regolamenti,sia le pre-stazioni sociosanitarie di cui all’articolo 3 septies della 502/92 e le prestazioni odontoiatriche con l’impegno,nel prossimo triennio,di raggiungere per queste ultime due tipologie una quota noninferiore al 20% dell’ammontare complessivo delle risorse destinate alla copertura di tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti. Il Decreto 31 marzo 2008 rimanda, infine, a due decreti suc-cessivi la disciplina sul funzionamento dell’Anagrafe dei fondi integrativi del Ssn e la regolamentazione dei criteri e delle modalità di calcolo del limite percentuale di cui sopra. Il successivo decre-to del gennaio 2010, in sintonia con le precedenti decisioni normative ha avviato l’anagrafe e stabilito la tipologia delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie di riferimento per il 20%.

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vate, variamente nominate, che raccolgono, su base vo-lontaria, risparmio dei singoli cittadini o di gruppi dicittadini o risparmio di tipo contrattuale, al fine di for-nire prestazioni che integrano quelle assicurate dal Ser-vizio sanitario nazionale, secondo modalità non orien-tate al profitto”11. Essi sono cresciuti negli ultimianni:ad oggi, il numero di iscritti ai fondi stima-to è pari a 6.396.700 e 10.341.210 sono gli assi-stiti (Labate 2008),mentre per il 2011 la stima po-trebbe salire a 13 milioni di assistiti, quale conse-guenza della stipula dei nuovi contratti di lavorodei diversi settori, da ultimo quello dell’Artigia-nato che comprende circa 1.200.000 tra artigia-ni e piccoli imprenditori, e quello dei dipenden-ti precari e flessibili degli studi professionali cheattraverso Cadiprof vede iscritti 250.000 giovanilavoratori, e quello dei dipendenti della coopera-zione sociale che riguarda 215.000 addetti.Oltreai fondi deve essere considerata la realtà del mon-do assicurativo, per il quale il Rapporto Ceis Sa-nità (2007) indica che nel 2004 il 6,1% delle fa-miglie aveva sottoscritto almeno una polizza sa-nitaria ed il 3,4% della popolazione aveva coper-tura assicurativa (oltre 1 milione di persone).Analizzando i dati sulle prestazioni erogate, i fon-di risultano sostanzialmente sostitutivi del Ssn, es-sendo orientati prevalentemente verso la com-ponente della specialistica e dell’odontoiatria,madebbono tutti destinare secondo quanto previstodai decreti ministeriali del 2008 e del 2010 al-meno il 20% delle risorse alle seguenti aree di in-tervento:

�prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da ga-rantire alle persone non autosufficienti al finedi favorire l’autonomia e la permanenza a do-micilio;

�prestazioni sanitarie a rilevanza sociale da ga-rantire alle persone non autosufficienti in am-bito domiciliare, semiresidenziale e residen-ziale;

�prestazioni finalizzate al recupero della salute deisoggetti temporaneamente inabilitati da malat-tia o infortunio;

�assistenza odontoiatrica compresa fornitura diprotesi dentarie.Si tratta di circa 900 milioni di euro pari ap-punto al 20% del totale delle risorse veicolatedai fondi medesimi, stimate in circa 4,5 miliar-di di euro.Appare fondamentale per la non autosufficienzapensare ad un mix di interventi e soluzioni checoinvolgano, tanto schemi pubblici, quanto sche-mi privati, individuando strumenti finalizzati al-la tutela contro il rischio di non autosufficienza,che consentano di canalizzare risorse pubblichee private e di trasferirne i vantaggi nel tempo fa-vorendo la responsabilizzazione individuale, so-stenendo fiscalmente i contratti volontari indivi-duali, ma soprattutto devono essere ricercati stru-menti che sostengano la dimensione collettiva,prevedendo, per esempio, polizze di gruppo checonsentano la “socializzazione dei rischi” e la ri-duzione dei problemi di selezione sfavorevole perle compagnie assicurative con conseguenti costi

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TABELLA 1 - Proiezione sul numero di non autosufficienti 2010-2050

Fonte 2010 2020 2030 2040 2050 Var.%2010-2050

Beltrametti [2006] 1.740.000 2.150.000 2.540.000 2.920.000 3.200.000 83.9%

TABELLA 2 - Stima del fabbisogno di spesa per LTC in miliardi di euro

Scenario 2004 2020 2030 2040 2050Solo 3° livello 1,9 2,6 3,2 3,7 4,0Tutti i livelli* 9,2 13,0 15,4 17,7 19,5

Fonte: AXA, “Protezione della persona e cambiamenti demografici: nuove frontiere e prospettive”. Anno 2008

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minori per gli assicurati. La dimensione colletti-va può essere organizzata sia su base “categoria-le” che su base “territoriale”, per esempio regio-nale, anche in considerazione della forte tenden-za federalista in ambito sanitario e assistenziale.I fondi sanitari e sociosanitari possono avere unruolo determinante,ma devono essere supporta-ti da una serie di azioni ed interventi quali: op-portuni incentivi fiscali,misure volte a favorire losviluppo delle organizzazioni no profit e di tuttele realtà esistenti nel settore, la loro promozio-ne/informazione, la predisposizione di progettiregionali per l’individuazione di linee guida e re-golamenti, il loro inquadramento nell’ambito deicontratti collettivi di lavoro, nazionali e locali, l’e-stensione degli ambiti applicativi e delle presta-zioni tutelate, la revisione del principio di accre-ditamento, secondo il quale le strutture accredi-tate, in possesso di requisiti di qualità certificati,possono operare, sia per conto e a carico del Ssn,sia per conto e a carico di fondi integrativi.Tali fondi, studiando opportuni meccanismi, po-trebbero consentire il collegamento dei settori sa-nitario e sociale/sociosanitario; infatti, per favo-rire la costituzione di fondi su base collettiva perla “long-term care”, si potrebbe pensare di indi-viduare specifici pacchetti di prestazioni finanziatisu base collettiva/aziendale con contributi fiscal-mente agevolati da parte dei datori di lavoro econ copertura garantita tanto ai dipendenti, perservizi, prestazioni e attività di più frequente uti-lizzo (visite specialistiche e diagnostica), quantoai loro familiari anziani, per la tutela contro il ri-schio di non autosufficienza.Potrebbero essere studiate, inoltre, formule checonsentano di collegare i fondi pensione a poliz-ze integrative LTC di gruppo, prevedendo la pos-sibilità che il fondo pensione offra ai propri be-neficiari una polizza integrativa LTC “di grup-po”.Tali polizze potrebbero essere sottoscritte at-traverso due modalità, anche cumulabili: 1) pre-mi mensili durante l’età lavorativa stabilendo ilvincolo per l’aderente a continuare i pagamentidopo l’eventuale trasferimento ad altro fondo pen-

sione, anche usando gli accantonamentiTFR, fi-scalmente incentivati; 2) premio unico al mo-mento del pensionamento per l’acquisto di unapolizza LTC secondo le condizioni stabilite dalfondo pensione.Ovviamente il mondo dei fondi si limita agliiscritti ed agli aventi diritto, ma pensare con i fi-nanziamenti resi disponibili che essi contribui-scano, almeno nel loro contesto, al finanziamen-to delle attività e delle prestazioni per i non au-tosufficienti presenti nei nuclei familiari è dove-roso.Il ricorso al mondo dei fondi integrativi comeveicolo di finanziamenti aggiuntivi per la non au-tosufficienza potrebbe anche generare sviluppoper il sistema Paese per due sostanziali motivi: l’e-rogazione di un numero maggiore di servizi allapersona non autosufficiente rende disponibili ri-sorse umane, soprattutto donne (le caregiver fami-liari per eccellenza), per il mondo del lavoro e puòcreare conseguentemente posti di lavoro per de-terminate figure professionali (infermieri, medi-ci, operatori dell’assistenza, riabilitatori).Allo stato attuale in Italia sono presenti 242.028posti letto residenziali e semiresidenziali (Ana-ste 2011) a fronte di un fabbisogno (su valori in-ternazionali) di 496.198 (dati Commissione na-zionale per la definizione e l’aggiornamento deiLea- 2007), e l’Adi viene erogata a 526.568 an-ziani (22 ore di assistenza su base annua- datiMinistero della salute 2009 confermati dalla Ri-cerca Agenas -) a fronte di un fabbisogno alme-no pari al 6%, e cioè 870.000 assistiti (per alme-no 8 ore a settimana, come da valori interna-zionali). Se tali valori di prestazioni effettiva-mente si raggiungessero si creerebbero ben400.000 posti di lavoro.In questo contesto si inserisce anche la propostadi convertire le attuali quote delle prestazioni so-ciali in moneta, o parti di esse, (prevalentementeindennità di accompagnamento) in servizi, al po-sto dei tagli lineari previsti dalla normativa in vi-gore, per avviare un sistema in grado di offrire inbreve tempo una risposta ai maggiori bisogni del-

I fondi sanitari e sociosanitari integrativi

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la popolazione e delle famiglie (non più sole adaffrontare i problemi).A titolo indicativo se si tra-sformassero in servizi solo 100 euro dei 480 men-sili delle indennità di accompagnamento, si dis-porrebbe di una cifra considerevole pari a circa 2miliardi di euro.Riduzioni dunque, finalizzate aduna crescita di sistema che consenta di reimmet-terle nel sistema Paese attraverso i fondi integra-tivi sanitari e sociosanitari (magari costituiti a li-vello provinciale, comunale e regionale) consen-tendo investimenti nel settore dell’edilizia e nuo-va occupazione (non nel sistema pubblico). Sen-za contare il fatto che si ridurrebbe drasticamen-te la quota di spesa sanitaria inappropriata legataall’utilizzo dell’ospedale quale principale, se nonunica, forma di risposta ai bisogni.È giunto il tempo per completare il quadro nor-mativo dei fondi integrativi: l’obiettivo finale è

quello di sviluppare una rete integrata tra pub-blico e privato quale passaggio fondamentale perdare impulso ad un modello italiano orientato al-la responsabilizzazione dei cittadini e a garantiredavvero la solidarietà intergenerazionale di cuitanto si parla e discute. In Italia ogni persona at-tiva finanzia oggi la spesa pubblica per pensioni esanità dedicata ai 65+ con risorse equivalenti adoltre il 31% del Pil pro-capite: nel 2050 tale va-lore potrebbe salire al 48,6%. Ogni persona oc-cupata, invece, finanzia la spesa pubblica per pen-sioni e sanità dedicata ai 65+ con risorse equiva-lenti ad oltre il 52,6% del Pil pro-capite, valoredestinato a salire nel 2050 al 62,3%. Non esistesolidarietà intergenerazionale in queste condi-zioni, abbiamo il dovere di pensare a soluzionianche innovative, di percorrere strade coraggio-se, libere da preconcetti ed ideologie.

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è modo e modo di arrivare al ca-polinea della propria esistenza.Quello all’interno di una Rsa èspesso il peggiore.

La situazione è ben nota: la popolazione italianaè tra le più longeve del mondo, e anche tra le piùvecchie, nel senso che il numero della popola-zione al di sopra dei 65 anni cresce sovrastandonettamente le generazioni più giovani: in certeregioni ogni 100 giovani di età 0-14 anni ci so-no 200 anziani.Un gran numero di anziani mol-to vecchi, per lo più donne, vivono da soli. Unacoppia di adulti 50enni può trovarsi con 4 geni-tori anziani, dovendosi prendere cura di alcuni diloro in condizioni precarie di salute. Situazioniche tutti conoscono avendole già sperimentate informa diretta o indiretta.La famiglia italiana generalmente non si tira in-dietro di fronte ai bisogni dei vecchi, grazie so-prattutto alla dedizione di figlie e nuore che – in-sieme ad altri impegni familiari e lavorativi – sisobbarcano anche il pesante ruolo di caregiver, ter-mine inglese che con una parola ne sintetizza cin-que: colui che si prende cura. I fenomeni migra-tori hanno decisamente aiutato: la presenza di cir-ca 800mila collaboratori domestici stranieri (det-ti “badanti”) è stata decisiva per mitigare il pesosociale del fenomeno, dato che le famiglie che ri-

corrono a un collaboratore domestico per l’assi-stenza a un anziano o a un disabile sono 2 milio-ni e mezzo (il 10,5% delle famiglie italiane).Dedizione delle famiglie, supporto di collabora-tori domestici, qualche intervento dei servizi as-sistenziali pubblici (peraltro molto disomogeneida Nord a Sud) consentono di mantenere al pro-prio domicilio la grande maggioranza di anzianicon malattie debilitanti e con perdita più o me-no marcata della propria autonomia. Quindi, diaccompagnare gli ultimi anni dell’esistenza di unapersona anziana nella dignità e tra gli affetti fa-migliari.Molto diverso è il destino di anziani non auto-nomi che per molteplici motivi (familiari, abita-tivi, economici, etc.) sono espulsi dalla propriacasa e dalla propria famiglia per ricoverarsi in quel-le che un tempo venivano denominate “Case diRiposo” e oggi “Residenze sanitarie assistenziali– (Rsa)”. Sono oltre 200mila i soggetti ospitati inqueste strutture (più diffuse al Centro-Nord ri-spetto al Sud) la cui permanenza genera nella mag-gioranza dei casi gravi forme di depressione e unarapida accelerazione dei processi involutivi fisicie psichici.A questo punto la domanda che si pone è: esi-stono soluzioni che consentano ad anziani, sin-goli o in coppia,“fragili” dal punto di vista socio-

UNA SOLUZIONE RESIDENZIALEPER ANZIANIIl Centro sociale di Lastra a Signa

di Gavino MacioccoUniversità di Firenze

NdR Il Centro sociale di Lastra a Signa Sheltered housing/ logements foyers si trova nei dintorni di Firenze e rappresenta un’ “innovativa” soluzione residenziale per anziani (“vec-chia” di quasi 40 anni).

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economico-familiare e con problemi di salute, dievitare di finire i propri giorni nelle RSA (per-ché sono prevalentemente loro che affollano que-ste strutture)? Le soluzioni ci sono, sono note daalmeno 40 anni, e recentemente stanno semprepiù diffondendosi in molti Paesi (tranne che inItalia).Si tratta di strutture costituite da miniapparta-menti raggruppati, dotati di servizi comuni:men-sa, biblioteca, lavanderia, palestra, pulizie, in cer-ti casi un ambulatorio infermieristico. I miniap-partamenti, per singoli o per coppie, del tutto in-dipendenti, sono dotati dei servizi essenziali, com-presa la cucina, con una scrupolosa attenzione al-le barriere architettoniche e alla facile agibilitàper il transito delle carrozzine.Quindi libertà as-soluta di vivere nel proprio appartamento in pie-na autonomia, e di utilizzare i servizi comuni (edi fruire della solidarietà degli altri ospiti) in ca-so di bisogno. In Francia e Svizzera queste strut-ture sono denominate logements foyers, nel RegnoUnito sheltered housing, dove qui è prevista la pre-senza di una figura denominata “warden”, una sor-ta di “portiere” con compiti di supervisione,coordinamento e supporto in caso di bisogno1. Sequeste sono soluzioni indirizzate esplicitamentealla popolazione anziana con differenti gradi difragilità, il co-housing nasce in Danimarca sulla spin-ta di ideali comunitari ed ecologisti le cui parolechiave sono: sostenibilità, progettazione parteci-pata, condivisione di spazi, attrezzature e risorse,socializzazione e mutualità.All’inizio è una tipo-logia abitativa che attrae giovani coppie, dive-nendo popolare in nord Europa e negli Usa, edestendendosi nel tempo anche a gruppi di anzia-ni, singoli o in coppia2.Dicevamo: in Italia niente.Tranne che a Lastra aSigna,Comune di 20mila abitanti nei dintorni diFirenze.Qui dal 1979 esiste il Centro Sociale, co-struito sul modello dei logements foyers. Un com-plesso residenziale composto di 25 miniapparta-

menti per due persone (36 m2) e 36 miniappar-tamenti per persone singole (20 m2), con una ca-pienza complessiva di 86 posti.Tale area è dotatadi numerosi e ampi spazi comuni. L’area dei ser-vizi comuni (fruibili dal resto della popolazione)include: il ristorante-mensa, il bar, la lavanderia,la biblioteca, la palestra, la sede di associazioni.Inizialmente vi erano collocati i servizi del Di-stretto socio-sanitario, attualmente sostituiti dal-la scuola materna comunale.Per descrivere questa esperienza – veramente uni-ca e originale – abbiamo usato la cronistoria.Unapproccio che aiuta a comprendere la nascita el’evoluzione di un’idea innovativa, della sua rea-lizzazione e dei suoi risultati.

FLASHBACKEra un caldo pomeriggio del luglio 1973 a Fi-renze.Villa MonnaTessa a Careggi, studio del Prof.Francesco Maria Antonini, ordinario di Geriatriaall’Università di Firenze. Intorno al tavolo dellariunione, oltre al fondatore della Geriatria italia-na, il sindaco di Lastra a Signa (un Comune neipressi di Firenze),Gerardo Paci, l’assessore ai ser-vizi sociali,Dolfo Poggesi, e l’autore di questo ar-ticolo, allora poco più che trentenne medico con-dotto dello stesso Comune, nella veste di facilita-tore dell’incontro tra Accademia e Amministra-zione locale.L’intenzione del Sindaco era quella di costruirenel territorio del Comune una Casa di Riposoper anziani (oggi si chiamerebbe Rsa). L’idea furapidamente smontata dal Prof.Antonini con gliargomenti che gli stavano più a cuore: le case diriposo sono la negazione della dignità degli an-ziani, perché li privano della libertà, perché la vi-ta quotidiana viene regolata dalla struttura e ciòli rende passivi e gli impedisce di utilizzare edeventualmente sviluppare le loro capacità residue– fisiche, intellettuali, affettive.A causa di tuttociò, questo era il ragionamento, le Case di Ripo-

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1 Sheltered and Retirement Housing - A Good Practice Guide, Parry &Thompson (Chartered Institute of Housing 2005)2 http://www.cohousing.org/node/16; http://www.cohousing.org/cm/article/related_denmark

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so non fanno altro che accelerare il decadimen-to degli ospiti, generando depressione e dispera-zione.“Esistono altre soluzioni per sostenere la fragili-tà, e anche le condizioni di handicap, degli an-ziani, senza privarli della libertà e della dignità.Se volete ve le mostro, poi decidete”, con questeparole Antonini ci congedò.Due mesi dopo eravamo con lui e con una ven-tina di specializzandi in Geriatria alla volta dellaFrancia (Grenoble e Alta Savoia) e della Svizzera(Ginevra) a visitare strutture per anziani costitui-te da miniappartamenti raggruppati, dotati di ser-vizi comuni: mensa, biblioteca, lavanderia, pale-stra, pulizie, in certi casi un ambulatorio infer-mieristico. I miniappartamenti, per singoli o percoppie, erano del tutto indipendenti, dotati di cu-cina, frigo,TV e servizi. Naturalmente ovunqueuna scrupolosa attenzione alle barriere architet-toniche e alla facile agibilità per il transito dellecarrozzine. Quindi libertà assoluta di vivere nelproprio appartamento in piena autonomia, e diutilizzare i servizi comuni (e di fruire della soli-darietà degli altri ospiti) in caso di bisogno.Le strutture visitate in Francia e Svizzera erano(e sono tuttora) denominate logements foyers,“re-sidences offrant aux retraités un logement indépendantavec possibilité de bénéficier de services collectifs (re-stauration, blanchissage, salle de réunion, infirmerie,etc.) dont l’usage est facultatif”.Alla fine del 1973 presso il Comune di Lastra aSigna fu costituita una commissione incaricata diprogettare una soluzione abitativa per anziani conle caratteristiche dei logements foyers osservati nel-la spedizione guidata dal professor Antonini. Unpaio di anni per preparare il progetto e trovare ifinanziamenti: i lavori iniziano nel 1976 e si com-pleteranno nel 1979, anno di inizio dell’attivitàdel Centro Sociale Residenziale.

LA CRONISTORIAPer descrivere la storia – dalla fondazione ai gior-ni nostri – del Centro Sociale abbiamo utilizza-to stralci dei documenti ufficiali prodotti nell’ar-

co di 35 anni.Rapporti con analisi e ricerche pub-blicati dall’amministrazione comunale, a testimo-nianza di una volontà,mai venuta meno nel tem-po, di documentare con precisione e rigore il cam-mino percorso. I Rapporti citati nella “cronisto-ria” sono naturalmente a disposizione di chiun-que desiderasse approfondire l’argomento.1976 - Completamento delle strutture por-tanti del Centro Sociale.Nell’occasione, il Co-mune di Lastra a Signa produce un Rapporto a cu-ra di M.Geddes,G.Maciocco eA.Perra,con la pre-sentazione del Sindaco Corrado Bagni (successiva-mente pubblicato sulla rivista Prospettive sociali esanitarie, 6.3.1978) in cui, tra l’altro, si legge:Il momento della progettazione del Centro So-ciale è stato preceduto da un ampio e approfon-dito studio da parte degli amministratori, urba-nisti e operatori sanitari.Un primo quesito si po-se: è corretto parlare di abitazioni per anziani?Su questo punto non esistono dubbi: quando ilnucleo familiare si riduce, quando gli anzianiabitano da soli la casa deve avere particolari ca-ratteristiche: essere di piccole dimensioni, esse-re dotata di una serie di accorgimenti che ga-rantiscano il massimo di comodità e di sicurez-za per chi vi abita.L'altro quesito fu: è più giusto raggruppare in-sieme gli appartamenti per anziani o disperder-li nelle altre strutture abitative? Per l'impossibi-lità di trovare in Italia esperienze valide cui fareriferimento, l’attenzione si è necessariamentespostata verso esperienze straniere.Le soluzioni adottate nei Paesi esteri sono mol-to differenziate: vi sono esempi in Usa, Svizze-ra e Finlandia dove vengono raggruppati insie-me centinaia di mini-appartamenti; in altri Pae-si come l'Inghilterra si è posto un limite di 50mini appartamenti ammettendo la possibilità dimini appartamenti «dispersi».In Danimarca in un primo tempo si rifiutò laconcezione di appartamenti raggruppati,ma re-centemente tale tendenza si è invertita.Questi sono i maggiori benefici degli apparta-menti raggruppati.

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Appartamenti raggruppati con certi servizi co-muni rappresentano una buona soluzione percoloro che desiderano avere minori responsa-bilità e che necessitano di maggiori cure per-sonali.Quando i problemi da affrontare vanno oltrequello della ricerca di alcuni accorgimenti cheda soli permettono una vita autosufficiente edal problema degli anni si aggiungono la solitu-dine e tutta una gamma di necessità che com-promettono l'indipendenza e la libertà fisica epsicologica del vecchio occorre dare qualchecosa di più alla casa descritta.A questo stadio dinecessità la casa non può rimanere a sè stante,isolata, sia pure ripetuta nella sua nuova molte-plicità di standard attrezzati. Ma deve parteci-pare ad un sistema organizzato che faccia capoad nucleo di servizi comuni.1984 - Viene pubblicato un Rapporto “IlCentro Sociale” (a cura di S. Barzini,A. Bini,C. Cappellini, Q. Cartei, G. Giacomelli, G. Ma-ciocco, C. Poggi,V, Ragonese, GB. Ravenni,A.Scarafuggi) in cui – nell’introduzione del Sinda-co, C. Bagni – si legge:Il progetto iniziale del Centro era quello di crea-re una struttura residenziale che rispondesse al-le necessità abitative della fascia di popolazioneanziana più esposta a rischi di tipo sociale, sen-za ricorrere alle classiche soluzioni della casa diriposo o dell'ospizio. Ci si rese ben presto con-to che per ottenere questo risultato era neces-sario che si realizzassero due condizioni fonda-mentali:- le residenze dovevano essere caratterizzate dalmassimo di libertà e di autonomia per chiavrebbe dovuto abitarvi: appartamenti singolio doppi dotati di cucina e servizi, un vero eproprio condominio con la possibilità - e nonl'obbligo - di fruire di spazi per la vita collet-tiva;- la zona residenziale doveva essere inserita in uncontesto più ampio di servizi aperti a tutta lapopolazione.Il Centro Sociale fu così progettato come cen-

tro di servizi integrati: residenze per anziani (conalcuni appartamenti destinati a situazioni diemergenza), ristorante, lavanderia, palestra perattività motorie di riabilitazione, sedi per am-bulatori, per attività amministrative e associa-zionistiche.Realizzare il progetto, attivare molteplici e dif-ferenziati servizi ha richiesto anni di impegna-tivo lavoro a vari livelli: politico, amministrati-vo, finanziario, tecnico.Abbiamo dovuto adat-tare il progetto a esigenze nuove che emergeva-no in corso d'opera: si sono dilatati gli spazi de-stinati a quelle attività motorie per i giovani chehanno registrato negli ultimi anni un eccezio-nale incremento, è stata collocata nel Centro lasede della biblioteca comunale in spazi inizial-mente finalizzati ad altri scopi, per un certo pe-riodo alcuni locali sono stati utilizzati per acco-gliere classi della scuola elementare.Oggi possiamo dire di aver conseguito gli obiet-tivi principali che ci eravamo proposti e apertonuove prospettive: il Centro Sociale è diventatoun riferimento importante per la vita della co-munità locale, un punto di aggregazione, anchee soprattutto giovanile, in una nuova zona diespansione residenziale.Una parte del progetto mantiene invece i con-notati di una partita aperta: avere strutturato lazona residenziale in miniappartamenti autono-mi, collocandoli in un centro di servizi, di persé attenua ma non annulla i rischi di segrega-zione, di emarginazione e di depressione per chivi abita. L’esperienza di questi anni ci insegnache la tipologia della struttura gioca un ruolorilevante ma non definitivo: abbiamo imparatoche il “fattore umano” è di gran lunga più im-portante ed essenziale.“Fattore umano” sono i rapporti che si stabili-scono tra gli anziani, la loro capacità di autono-ma iniziativa e di partecipazione; è la sensibilitàe la competenza professionale che gli operatoridevono possedere nell’affrontare processi com-plessi e delicati come quelli dell'invecchiamen-to di una comunità; è la disponibilità della gen-

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te nello stabilire e mantenere legami di solida-rietà; è infine la nostra capacità di amministra-tori di cogliere con la necessaria prontezza i rea-li bisogni della collettività.Il “fattore umano” non si adotta con regolaredelibera,magari si potesse... La partita è tutta dagiocare: c’è posto e c'è bisogno del contributodi tutti.Concludendo, il Centro Sociale ha rappresenta-to l’occasione di sperimentare un nuovo ap-proccio con le problematiche della terza età chesi concretizza nel tentativo di ricostruire queirapporti umani la cui rarefazione costituisce unodegli aspetti più gravi dell’“essere vecchi”. Il da-to rilevante della nostra esperienza è che que-sto, oltre a essere possibile, è anche economica-mente e socialmente vantaggioso rispetto ad unoschema assistenziale in cui non esistono rappor-ti interpersonali e tutte le contraddizioni si crea-no e si risolvono tra singolo ed istituzione.Tut-tavia è evidente che la nostra esperienza non puòsopperire alle necessità di anziani in stato di di-pendenza psico-fisica. Strutture come il Centrosono inadeguate a far fronte a tali problemi, ameno che non si prevedano aree protette in cuisi invertano i rapporti personale-assistiti e vi sipossano fornire cure.Ma anche in questo caso, a nostro avviso, è ne-cessario uno stretto rapporto con il proprio ha-bitat sociale e culturale, un solido legame con larealtà del paese o del quartiere.1992 -Viene prodotto un nuovo Rapportodal titolo “La casa comune per gli anziani- Analisi del Centro Sociale di Lastra a Si-gna” (a cura di A. Bini, S. Fontanelli, D. Gazzar-ri, L. Landi, G. Maciocco,A. Perra, C. Poggi, F.Rossi Prodi,A. Stocchetti) in cui si esaminano gliaspetti strutturali/architettonici del Centro e ven-gono riportati i dati di un’indagine sulla popola-zione residente effettuata nel 1990, le cui con-clusioni sono le seguenti:Dall’analisi dei dati e dalla valutazione incrocia-ta degli stessi, riteniamo possibili alcune consi-derazioni conclusive.

l. Il Centro Sociale rappresenta una struttura conun discreto livello di socializzazione interna edun sufficiente grado di integrazione con il ter-ritorio circostante. I motivi di questo risultatosono da ricercare nel riferimento territoriale cheha regolato e regola le ammissioni, nella omo-geneità dello status sociale, nella omogeneità dicondizioni psicofisiche. Questi elementi con-sentono uno sviluppo interno della struttura, suinteressi comuni, su possibilità di dialogo su te-mi comuni, sulla riscoperta di vissuti riferibili asituazioni personali e sociali simili. Questo ele-mento di omogeneità è importante in quantoevita divisioni sull'appartenenza, riscontrabilispesso in strutture comunitarie alle quali si ac-cede in età avanzata, e consente la produzionedi iniziative programmate e basate sul consen-so, ma sopratutto il recupero e/o l’acquisizionedi comportamenti improntati alla solidarietà.2. Emerge dall’esame dei dati un apprezzamen-to da parte degli anziani della condizione di to-tale libertà in cui vivono all'interno del CentroSociale.La struttura pertanto è al servizio dell'individuo cherimane protagonista assoluto della propria vita.Tale condizione è raramente riscontrabile nellestrutture tradizionali ove invece la presenza de-gli anziani è funzionale ai ritmi e alle esigenzedella gestione.3. La valutazione dei motivi che hanno deter-minato la scelta per gli ospiti di lasciare la pre-cedente abitazione sono per la quasi totalità ri-feribili alle condizioni igienico-ambientali del-la casa ed alle difficoltà derivanti dalla presenzadi barriere architettoniche. In tal senso appareevidente come il Centro Sociale abbia rispostopiù a problemi che riguardano l'ambiente che aproblemi che riguardano la persona.Dalla valutazione della struttura che viene fattadagli anziani prevale, a conferma li quanto so-pra, un apprezzamento degli aspetti connessi al-l’ambiente interno e ai servizi.In tal senso appare anche evidente come un mi-glioramento delle condizioni ambientali,ma so-

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prattutto la possibilità di usufruire di servizi es-senziali in modo facile e adeguato alle difficol-tà personali, riduce notevolmente il grado di di-pendenza dell’anziano. Quest'aspetto tuttaviaapre una riflessione sul rilievo che, in una poli-tica dei servizi tesa a valorizzare il più possibileil mantenimento delle persone nel proprio am-biente, deve avere l’intervento volto ad elimi-nare nei luoghi di vita quotidiana degli anziani,e non solo, tutti quegli aspetti dell’ambiente (ca-sa) che riducono i margini dell'autosufficienza.Dai risultati dell'indagine emerge chiaramentecome il Centro Sociale abbia rappresentato, so-pratutto per le persone sole, l’unica alternativaesistente.Occorre tenerne conto e, là dove è pos-sibile, è necessario risolvere nel luogo di abita-zione quei problemi che oggi gli intervistati han-no risolto nel Centro Sociale.Dai dati della ricerca emerge, tra l’altro, che:Poco meno della metà dei residenti del CentroSociale (47,9%) si trova in condizione di comple-ta autonomia fisica, la restante parte (52,1%) regi-stra gradi variabili di dipendenza: ciò richiede lapresenza di un adeguato supporto assistenziale,do-mestico e infermieristico.Nessun caso tuttavia hasuperato, nella Scala di dipendenza-autonomia diDelcros e Lanoe, il punteggio di 65, espressionedi un grado grave di dipendenza. È osservazionecomune che le persone non autosufficienti di va-rio grado rimangono all’interno del Centro So-ciale grazie a un’efficace rete di supporti e rela-zioni (familiari, vicini, assistenti domestiche delCentro,personale infermieristico del Distretto), eche sono assolutamente rari i casi di ricoveri inRSA,mentre i decessi dei residenti avvengono al-l’interno del Centro o in ospedale al termine diuna fase acuta di dipendenza terminale.2005 - L’Amministrazione Comunale deci-de di avviare una riflessione pubblica sul-l’esperienza e sul ruolo del Centro Sociale,per fare un bilancio di trent’anni di attivi-tà e individuare le prospettive future. Oltreal Dipartimento di Sanità pubblica dell’Univer-sità di Firenze viene coinvolto nell’iniziativa il Di-

partimento di Sociologia della stessa Università.In due anni e mezzo di lavoro – con la collabo-razione di un gruppo di studenti universitari diLastra a Signa – viene raccolto e selezionato ilmateriale storico-documentale disponibile e ven-gono intervistati i residenti del Centro Sociale etutti coloro che – a vario titolo: amministratori,gestori, operatori,medici curanti, infermieri, etc.– hanno “vissuto” l’esperienza del Centro Socia-le.Viene sentita anche la voce di chi sta “fuori”dal Centro Sociale per valutare la percezione del-la popolazione generale sulla struttura.Al termine di questa ricerca viene orga-nizzato un convegno “Il Centro Sociale. Unpatrimonio della comunità” (7 novembre2008), di cui vengono pubblicati gli atti.Dall’intervento di Nedo Baracani, professore diSociologia, riportiamo i seguenti significativipassi:Le storie che ci sono nelle interviste delle va-rie persone sono molto interessanti: oggi nonc’è tempo di andare a fondo su questo, ma do-vranno in qualche modo essere rese disponibi-li perché c’è un altro passo da fare, e cioè tra-sformare il Centro Sociale in qualche cosa chesvolga un ruolo pubblico più ampio. La me-moria è una dimensione di grande rilevanzaperché ci fornisce identità, perché lega le ge-nerazioni l’una all’altra, perché ci permette diriflettere e valutare.Quando abbiamo preso in mano per la primavolta l’insieme delle persone che sono transita-te da qui, e siamo andati a vedere quanto c’era-no state, gli eventi che erano avvenuti duranteil corso della loro permanenza, come e dove èavvenuto il decesso, quale era l’età in cui avve-niva la perdita e la diminuzione dell’autosuffi-cienza, ecco qui ci siamo resi conto di quantoera prezioso tale materiale: prezioso non soltan-to per noi, per il Comune,ma di interesse vera-mente generale.Come si è tenuto in piedi il Centro Sociale ecosa succederà nel futuro? Nei primi trent’annisi è tenuto in piedi per l’impegno delle perso-

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ne in modo quasi automatico, nel senso che que-sta comunità ha avuto una sua continuità neltempo, ha mantenuto la sua struttura, ma noncredo che ci possa fidare di questo, cioè l’oriz-zonte culturale del Centro Sociale andrà ripen-sato secondo i cambiamenti demografici, socia-li, culturali che stanno avvenendo. E cito solouna cosa: il successo di questa struttura dipendedal fatto che, con quattro persone, si fa funzio-nare una struttura molto complessa, perché simantengono i legami con le famiglie di prove-nienza, ed è su quel fronte che bisogna fare unlavoro estremamente importante. Sono però giàapparse le famiglie che scelgono di comprare sulmercato l’assistenza e di fornirla all’interno delCentro: il futuro è già cominciato, ed è comin-ciato come avviene spesso cioè senza che nes-suno lo decida: i comportamenti dei singoli fan-no emergere i fenomeni.E vengo all’ultimo punto di questa riflessione.Siamo di fronte a un modello. Guardate che èuna pretesa grossa proporsi come modello, im-pegnativa, nel senso che noi possiamo offrire adun pubblico la considerazione di risultati rag-giunti, ma se sviluppiamo la pretesa che sia unmodello, dobbiamo anche saper indicare conprecisione le condizioni in cui questo modellopuò funzionare; quindi probabilmente è un mo-dello che potrà essere replicato solo in certe real-tà, proprio perché si basa sull’unione di risorsepubbliche, di risorse volontarie, di risorse pro-fessionali ma al fondo c’è sempre la famiglia.

DISCUSSIONEIl Centro Sociale nasce dalla volontà di dare unarisposta assistenziale pubblica a una fascia di po-polazione anziana “fragile” dal punto di vista eco-nomico e della condizione abitativa e familiare.Si deve tener conto che all’epoca della sua nasci-ta – anni 70 – molti anziani del Comune di La-stra a Signa vivevano in aree rurali, in casolari pri-vi il più delle volte di riscaldamento, telefono, ba-gno; inoltre non era passato molto tempo dallaterribile alluvione dell’Arno del 1966 che aveva

inondato il centro storico della cittadina, rendendopoi precaria l’abitabilità di molti fabbricati. Diquesta situazione erano gli anziani il gruppo cheaveva più sofferto.La condizione di autosufficienza fisica era un re-quisito per poter fare la domanda di ammissioneal Centro Sociale,ma molte situazioni erano“bor-derline”: per esempio un anziano con una graveartrosi, con annessi problemi della deambulazio-ne, era “non autosufficiente” nella casa di origi-ne, abitando al 3° piano di una casa senza ascen-sore, ma diventava “autosufficiente” all’internodel Centro Sociale, semplicemente affidandosi al-l’uso del bastone. Inoltre l’autosufficienza non erarichiesta a una persona che entrava al Centro So-ciale con il coniuge, perché in questo caso il co-niuge stesso si sarebbe fatto carico del suo neces-sario supporto nello svolgimento delle attivitàquotidiane.Tuttavia la questione di come il Centro Socialepotesse affrontare le situazioni di perdita tempo-ranea o permanente della non autosufficienza deiresidenti diventò ben presto oggetto di discussio-ne, come emerge chiaramente da un passo del-l’introduzione del Sindaco Bagni (Rapporto1984):“È evidente che la nostra esperienza non puòsopperire alle necessità di anziani in stato di dipen-denza psico-fisica. Strutture come il Centro sono ina-deguate a far fronte a tali problemi, a meno che non visi prevedano aree protette in cui si invertano i rapportipersonale-assistiti e vi si possano fornire cure.”In sostanza, si temeva che il Centro Sociale nonfosse in grado di garantire l’assistenza degli an-ziani quando questi perdessero l’autosufficienza esi prospettò l’ipotesi di creare all’interno del Cen-tro delle “aree protette”dotate di un numero mag-giore di personale per rispondere in maniera ade-guata ai maggiori bisogni emergenti.La risposta al problema posto nel 1984, ovveroagli inizi dell’esperienza del Centro Sociale, la tro-viamo qualche anno dopo,nel Rapporto del 1992dove si afferma:“Poco meno della metà dei residentidel Centro Sociale (47,9%) si trova in condizione dicompleta autonomia fisica, la restante parte (52,1%)

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registra gradi variabili di dipendenza: ciò richiede la pre-senza di un adeguato supporto assistenziale, domesti-co e infermieristico. È osservazione comune che le per-sone non autosufficienti di vario grado rimangono al-l’interno del Centro Sociale grazie a un’efficace rete disupporti e relazioni (familiari, vicini, assistenti dome-stiche del Centro, personale infermieristico del Distret-to), e che sono assolutamente rari i casi di ricoveri inRSA, mentre i decessi dei residenti avvengono all’in-terno del Centro o in ospedale al termine di una faseacuta di dipendenza terminale”.Ciò che ha consentito a una consistente parte diresidenti con problemi di autonomia, insorti acausa di malattie o semplicemente a causa dellasenescenza, di rimanere all’interno del Centro So-ciale non è stata – fortunatamente – la creazionedi un’area “protetta”, né un incremento del per-sonale di assistenza. Con le risorse “interne” alCentro Sociale si è fatto fronte alla vera sfida diuna residenza per anziani del modello “logementsfoyers/sheltered housing”, quella di garantire la per-manenza dei residenti con crescenti problemi diautonomia, in condizioni di libertà.Se – come sta emergendo nel dibattito scientifi-co – la salute è in primo luogo“la capacità di adat-tarsi e autogestirsi”(“La salute non è un’entità fis-sa. Essa varia per ogni individuo in relazione al-le circostanze. La salute è definita non dal medi-co, ma dalla persona, in relazione ai suoi bisognifunzionali”), anche il concetto di autonomia va-ria in relazione alle circostanze, alle caratteristi-

che dell’ambiente, al supporto dei servizi alla per-sona, alle relazioni affettive e di aiuto solidale.Il Centro Sociale di Lastra a Signa è riuscito acreare le condizioni di sufficiente autonomia perdecine di persone che in altre circostanze sareb-bero state condannate alla “non-autosufficienza”,grazie alle sue risorse “interne”: l’assenza di bar-riere architettoniche, la possibilità di fruire di ser-vizi comuni, l’aiuto domestico di quattro bravis-sime operatrici, l’intervento di personale infer-mieristico e riabilitativo del distretto, l’aiuto so-lidale dei vicini, il ruolo dei medici di famiglia, lapresenza delle famiglie e di eventuali “aiutanti”,e – infine - la volontà politica dell’Amministra-zione Comunale che nell’arco di più trent’anni –pur con diverse sfumature – ha assicurato la ne-cessaria attenzione e l’indispensabile sostegno eco-nomico, garantendo nel contempo la presenza dicoordinatori capaci, competenti e appassionati.Il citato Rapporto del 1992 contiene i risultati diuna indagine svolta tra i residenti del Centro So-ciale, attraverso un questionario. Nelle Tabelle 1e 2 riportiamo alcuni dati significativi, che di-mostrano – tenendo conto dell’età delle persone(età mediana 76-80 anni) - complessivamente li-velli più che soddisfacenti di percezione delle sta-to di salute e di condizione esistenziale. Da se-gnalare le altissime percentuali di persone (tra cuianche quelle con problemi di autonomia) cheescono di casa tutti i giorni o più volte alla setti-mana.

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TABELLA 1 - Percezione di salute/benessere

Bene Così così MaleCome si sente 50,6% 28,8% 19,1%

Molto buono,buono Così così Abbastanza cattivo, cattivoCome giudica il suo stato di salute 47,9% 21,9% 30,1%

Mai A volte SpessoSi sente solo 47,9% 24,6% 27,3%Si sente dimenticato 69,8% 15,1% 9,5%Si sente inutile 42,9% 28,7% 23,2%

Molto soddisfatto Così così Non soddisfattoÈ soddisfatto della sua vita attuale 67,1% 13,7% 19,2%

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A conferma della solidità assistenziale del Cen-tro Sociale, a tutti gli effetti un condominio siapur “protetto”, anticipiamo qualche dato moltogenerale sulla storia delle 200 persone che tra il1979 e il 2010 sono “uscite” dal Centro Sociale,ricavato dalla ricerca attivata con la convenzio-ne tra Comune di Lastra a Signa e Università diFirenze3.Di queste 200 persone, 152 sono decedute al Cen-tro Sociale (73) o all’Ospedale (79, provenientidal Centro Sociale), 24 sono tornate nelle pro-prie famiglie, 24 sono state trasferite in una Re-sidenza sanitaria assistenziale (Rsa).Dei 200 ex-residenti del Centro Sociale, 71 han-no vissuto un periodo prolungato (superiore ai6 mesi, ma per diversi di essi il periodo è duratoalcuni anni) in condizioni di grave dipendenzafisica o psichica grazie all’assistenza garantita dal-le risorse del Centro Sociale. Delle 24 personeche sono state trasferite in Rsa, 17 hanno rice-vuto all’interno del Centro Sociale un’assisten-za continua per almeno 6 mesi, e il motivo deltrasferimento è il più delle volte legato all’im-possibilità di controllo della persona durante leore notturne.

CONCLUSIONIÈ la prima volta che scrivo un articolo sulla sto-ria del Centro Sociale. Una storia lunga finoraquasi quarant’anni e che ho seguito da vicino co-me operatore sanitario (medico condotto e poiresponsabile di distretto), come professionista (di-versi miei pazienti erano tra i residenti del Cen-tro Sociale), come cittadino di Lastra a Signa (ho

abitato per molti anni a duecento metri dalla strut-tura).Il primo pensiero – su cui ho più volte riflettuto– è la straordinarietà dell’evento: un’opera natadal genio di un professore universitario e dallalungimirante, appassionata volontà politica di unamministratore pubblico.Il secondo pensiero va ad alcuni protagonisti diquesto progetto che sono nel frattempo scom-parsi, il professor Francesco Antonini, il maestrodella gerontologia, e Saverio Fontanelli, un gran-de assistente sociale che ha seguito per molti an-ni la gestione del Centro Sociale. Nel suo inter-vento nel corso del citato convegno del 2008, ri-vendicando il valore dell’esperienza del CentroSociale, come prevenzione e anche come alter-nativa alla soluzione residenziale in Rsa, aveva af-fermato: “Nell’esperienza di tutti i giorni vedia-mo come la residenzialità così com’è (le Rsa, ndr)fa precipitare da una condizione anche piccolaad una grande di non-autosufficienza” (…) “De-vo dire che tutta la letteratura scientifica sulle Rsadimostra che esse riescono a cancellare tutto quel-lo che uno sa fare. L’esempio classico è sull’in-continenza: tutti gli anziani delle Rsa devono di-ventare incontinenti perché è molto più facilemettere il pannolone che andare a facilitare l’e-screzione urinaria fisiologica di una persona an-ziana. Tutto ciò è terrificante perché fa regredi-re una persona adulta allo stato di un neonato:un colpo inferto alla sua dignità.Una persona in-continente accelera il processo di decadimentofisico e psichico in maniera enorme. ” (…) “(ilsuccesso del Centro Sociale) dipende dal fatto

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TABELLA 2 - La vita nel Centro Sociale

Comodità dei servizi Libertà Compagnia AltroQuali sono le cose che apprezzadi più al Centro Sociale? 40,7% 20,8% 23,4% 15,1%

Tutti i giorni Più volte la settimana Raramente MaiQuante volte le capitadi uscire di casa? 74,0% 17,8% 2,7% 5,5%

3 Giacomo Mazzoni, Ricerca sul Centro Sociale Residenziale (CSR) di Lastra a Signa, dalla Relazione conclusiva della ricerca, febbraio 2012.

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che ha agito nel rispetto dell’impostazione ini-ziale di riferimento: quella di stare attenti a quel-lo che i residenti del Centro Sociale, non solo sa-pevano ancora fare, ma avrebbero di nuovo po-tuto fare. I residenti della struttura assumevanoanche compiti di piccola responsabilità all’inter-no della struttura stessa, tipico di chi è residentedi un posto, attento al suo accudimento, alla suamanutenzione e al suo buon funzionamento. L’a-ver introdotto fin dall’inizio questa regola nonscritta, contagiosa, è stato l’elemento grazie alquale il Centro Sociale ha prodotto ciò che haprodotto”.Saverio Fontanelli aveva perfettamente ragionecitando la letteratura scientifica a proposito deidanni generalmente inflitti dalle Rsa, prima alladignità e poi alla salute degli ospiti.Scrive una delle più importanti riviste geriatri-che: “Sebbene la sua portata non sia chiarita leforme minori e maggiori di depressione sono dif-fuse nella popolazione delle nursing home (equi-valenti delle nostre Rsa).Questa affermazione ap-pare corretta alla luce dei fattori che entrano ingioco in queste strutture: l’inattività, il declinonelle competenze funzionali (vedi incontinenza),la perdita di autonomia personale, l’inevitabileconfronto con i processi della morte e del mori-re abituali nelle nursing home”4.Un autorevole studio comparato richiesto da Bru-xelles al professor Roberto Bernabei, a capo deldipartimento di Scienze gerontologiche, geriatri-che e fisiatriche dell'Università Cattolica del Sa-cro Cuore, rivela che l’Italia delle Rsa si distin-gue sul piano internazionale in una serie di cat-tive pratiche. Prima assoluta fra otto nazioni nel-l’utilizzo delle spondine dei letti e di cinghie cheimmobilizzano i pazienti al tronco come mezzidi contenzione. Siamo terzi invece dopo Repub-blica Ceca e Olanda per quanto riguarda le pia-ghe da decubito.Nell’uso di psicofarmaci c'è chi

ci va più pesante: Finlandia, Francia, Israele, masecondi a quest’ultimo Stato abbiamo i ricovera-ti meno coinvolti nelle attività sociali. Quanto aidepressi veniamo solo dopo gli olandesi. Siamoindietro nel trattamento del dolore e vantiamo fragli internati più incontinenti d'Europa5.Il terzo pensiero è più che altro un ragionamen-to di politica socio-sanitaria. Il Centro Sociale ènato anche con un contributo finanziario dellaRegioneToscana, quindi in Regione sapevano, apartire dagli anni 70. quale innovazione si svilup-pava a Lastra a Signa. Una certa attività promo-zionale del Comune, con pubblicazioni e conve-gni, ha dato qualche visibilità esterna alla strut-tura: il libro degli ospiti, provenienti da varie re-gioni italiane e anche dall’estero, è pieno di ap-prezzamenti e ringraziamenti. Il via vai delle de-legazioni era, tra l’altro, molto utile perché sti-molava i residenti a fare bella mostra dei vari lo-cali e anche dei loro appartamenti. Eppure non-ostante tutto ciò l’esperienza del Centro Socialenon si è replicata in nessuna regione italiana.Col-pisce in particolare l’assoluta rimozione del pro-getto praticata dalla Regione Toscana.Altri era-no, in Toscana e altrove, evidentemente gli inte-ressi. Erano quelli delle Rsa e dei loro sponsor.Un ricco business quello delle Rsa che ha tenu-to da parte le innovazioni che si sviluppavano inquesto campo, che ha limitato fortemente la cre-scita dell’assistenza domiciliare perché il grossodelle risorse dell’assistenza agli anziani erano in-dirizzate al pagamento delle rette delle Rsa, e –cosa più grave – ha messo in secondo piano, pro-ducendo gravi danni, la dignità e la salute dellepersone anziane.A proposito di business, anche il Centro Socialeha un budget annuale comunale (non paragona-bile con quello delle Rsa) per la gestione dellastruttura: le spese per il personale, il costo del ri-scaldamento, dell’illuminazione e della manuten-

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4 Abrams RC,Teresi JA, Butin DN., Depression in nursing home residents. Clin Geriatr Med. 1992 May;8(2):309-22.5 Assessment of nursing home residents in Europe: the Services and Health for Elderly in LongTERm care (SHELTER) study.Graziano Onder1*, Iain Carpenter2, Harriet Finne-So-

veri3, Jacob Gindin4,Dinnus Frijters5, Jean C Henrard6,Thorsten Nikolaus7, EvaTopinkova8,MatteoTosato1, Rosa Liperoti1, Francesco Landi1, Roberto Bernabei1 and the SHEL-TER project, BMC Health Services Research 2012, 12:5, vedi L’Espresso: M. D'Amico. Rsa, viaggio nei "capolinea" dove l'Italia confina i suoi vecchi, 8 marzo 2012.

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zione ordinaria e straordinaria degli spazi comu-ni. Alla fine dell’anno il costo (annuo) a caricodell’Amministrazione Comunale, per residente (iresidenti pagano per l’affitto mensile dell’appar-tamento da 40 a 200 euro in relazione alla con-dizione economica e familiare, singolo o coppia),è di soli 5.000 euro.Il disinteresse della RegioneToscana verso il Cen-tro Sociale di Lastra a Signa è durato fino al re-cente 2008, quando all’interno dell’Assessorato èstato deciso di rivalutare l’esperienza finanziandoun complesso progetto di ricerca che ha coinvol-to Sanità Pubblica, Geriatria, Sociologia e Stati-stica dell’Università di Firenze e la FondazioneMichelucci per gli aspetti architettonici e urba-nistici. L’obiettivo è quello di un’ampia valuta-zione dei risultati ottenuti dal punto di vista sa-nitario e sociale, la rilevazione della situazione at-tuale dei residenti dal punto di vista sanitario esociologico, l’analisi architettonica della strutturacon ricerca di modelli analoghi a livello naziona-le e internazionale, le possibili indicazioni sulleprospettive future.Alla fine la buona notizia: il progetto del CentroSociale è stato inserito come “modello innovati-vo” nel nuovo Piano Socio-Sanitario IntegratoToscano 2012-2015, con il testo che segue:“Per questo motivo Regione Toscana ha soste-nuto l’avvio e consolidamento del Centro Socia-le Residenziale di Lastra a Signa, un innovativomodello residenziale in cui miniappartamenti ospi-tano anziani ultrasessantacinquenni autosufficientiin condizioni di particolare fragilità economica,sociale e familiare. Il Centro è strutturato in mi-

niappartamenti, assegnati sulla base di bandi co-munali ed inserito all’interno di una struttura piùampia dove trovano sede uffici per servizi alla per-sona, biblioteca, asilo nido, scuola materna e unamensa. È prevista la possibilità per i residenti diusufruire di assistenza domestica in caso di ne-cessità.Il Centro rappresenta una peculiarità territorialeda valorizzare e prendere come riferimento perla diffusione di modelli similari in altri contestiterritoriali in quanto realizza l’idea della comu-nità aperta, solidale e a misura di persona. I fatto-ri che rendono il Centro Sociale unico nel suogenere sono:�promozione e garanzia di libertà personale edautonomia;

�costi contenuti, permettendo la conduzione diuna vita dignitosa;

�elevati livelli di socializzazione e creazione di re-ti di solidarietà sia all’interno del centro che ver-so la collettività esterna;

�assenza di barriere architettonica;�ottima accessibilità ai servizi ed alla infrastrut-ture esterne.La prospettiva è che il Centro Sociale possa assu-mere anche la connotazione di un centro di stu-dio, di ricerca e di formazione nell’ambito dellaqualità della vita degli anziani, rappresentando unmodello di riferimento e fornendo indicazioniprovenienti da un’esperienza concreta sviluppatainToscana per praticare soluzioni assistenziali dif-ferenti, meno costose e socialmente più graditeagli anziani.”Come dice il proverbio: meglio tardi…

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Il titolo è intenzionalmente molto lungo; ogniparola si propone come chiave di lettura deitemi che qui saranno sviluppati e, commen-tate una per una, costituiscono una sorta di

riassunto introduttivo. Il contributo si focalizzasul ruolo e funzione del distretto nell’ambito del-la non autosufficienza (NA), in continuità con uncontributo per l’indagine sui distretti1 sugli aspet-ti valoriali ed etici posti alla base dei servizi pub-blici rivolti alla non autosufficienza (NA), in cuisi richiamavano i contenuti della nostra Carta Co-stituzionale e delle grandi leggi di riforma sani-taria e sociale.

“IL DISTRETTO…”Il punto di partenza è che il distretto dovrebberivestire uniformemente in tutto il Paese un ruo-lo primario nell’ambito dell’organizzazione ederogazione dei percorsi di cura, assistenza e so-stegno nel complesso mondo della non autosuf-ficienza. Pur nelle sue diverse interpretazioni ope-rative, in molti territori ha già dimostrato il van-taggio di essere elemento portante nei servizi afavore delle persone non autosufficienti. Meritaoggi dare maggiore uniformità territoriale a que-sto vantaggio, portando i distretti a divenire con

omogeneità strutture delle Asl, e quindi del Ser-vizio sanitario, caratterizzate dall’essere soggettidell’ambito pubblico che trasferiscono nella pra-tica l’idea che il problema della non autosuffi-cienza non appartiene alla sfera privata,ma ad unpiù compiuto sistema di protezione improntatoalla qualità ed appropriatezza, all’universalità, purselettiva, ed alla solidarietà.Noi auspichiamo, peril bene di tutti, che ciò divenga patrimonio degliinterventi organizzati nei settecento distretti deiventi Sistemi sanitari regionali e negli ottomilaComuni d’Italia.Per chi lavora nel distretto, cura e assistenza allepersone anziane con perdita dell’autonomia nonpossono infatti diventare un problema personaledei singoli e delle famiglie,ma essere responsabi-lità assunta dalla comunità, che così esplicita ilproprio impegno nel sostenere benessere e qua-lità di vita di questa sempre più ampia fascia dipopolazione. Il lavoro del distretto assume inevi-tabilmente, a seconda dei diversi contesti e orga-nizzazioni, variegate e molteplici sfumature. Purin una inevitabile disomogeneità nei diversi man-dati regionali e aziendali, nelle differenti praticheintraprese nelle singole realtà, la larga maggioranzadei distretti italiani è impegnata e fortemente co-

IL DISTRETTO NELLATUTELA DELLASALUTE DELLE PERSONE ANZIANENON AUTOSUFFICIENTI E DEI CAREGIVER ALTEMPO DELLA CRISI

di Paolo Da Col1,AntoninoTrimarchi2, Gilberto Gentili31 Direzione Distretto n.1,Trieste - Azienda per i Servizi Sanitari n.1 “Triestina”2 Direzione Distretto Socio Sanitario ULSS 17 Est-Montagnana3 CARD Italia (Presidenza)

1 I Quaderni di Monitor, 8° Supplemento al numero 27 2011 di Monitor dell’Agenas:“La rete dei distretti sanitari in Italia” http://www.agenas.it/monitor_supplementi.html

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involta nell’offrire le migliori risposte possibili,compatibilmente con le risorse quantitative e qua-litative assegnate, ai problemi che direttamente oindirettamente riguardano ormai un cittadino sudieci, condizionato nella sua vita per lunghi-lun-ghissimi periodi dalla NA.Infatti, in questo universo si muovono nel Paesetra i 2,5 e i 3,5 milioni di persone che hanno per-duto la propria autonomia; inoltre, si calcola chealmeno altre due persone per ogni non autosuf-ficiente siano coinvolte nel problema.Appare co-sì ancora più evidente l’enorme dimensione delproblema.Ci si domanda come, in una logica pub-blica, non si sia ancora definitivamente deciso cheper governare un problema di questa portata sianecessario disporre di strutture e organizzazionispecifiche.A nostro parere queste non possonoessere che i distretti, soprattutto se declinati co-me non solo sanitari, ma sociosanitari.Nei soli ultimi 10 anni la popolazione ultra75enneè aumentata di circa il 25% e si stima che nel 2030gli ultra ottantenni saranno poco meno di 8 mi-lioni (raddoppiati rispetto ad oggi).Cresce anchel’indice di dipendenza,misurato dal rapporto per-centuale fra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 e più) e quella in età attiva (15-64anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del2011. Nel 2050 questo rapporto dovrebbe salirea 84,7.La povertà, che oggi colpisce una famiglia su die-ci, è un evento purtroppo spesso coincidente conla NA, e ne allarga ulteriormente la dimensionedel problema. Ogni giorno in distretto si osser-vano infatti persone in cui le due condizioni,NAe povertà, coesistono e si amplificano a vicenda.La deprivazione economica condiziona le possi-bilità di affrontare la NA, e genera un rischio, og-gi più consistente che in passato, di impoveri-mento della persona e dei suoi familiari.Per la NA noi pensiamo sia irrinunciabile attrez-zare il nostro welfare quantomeno verso una pro-tezione analoga a quella oggi generalmente ga-

rantita nell’accesso alle cure mediche, in cui – al-meno come presupposto teorico – dovrebbe es-sere raro l’impoverimento causato dalle spese me-diche. In altri termini, qui si apre, e per esigenzedi spazio dobbiamo anche chiudere, la questionedei Lea, ampiamente irrisolta nell’ambito dellanon autosufficienza.A nostro parere il sistema è già in ritardo a defi-nire con chiarezza e lungimiranza le politiche perla long term care.Uno degli scopi di questo contributo è convin-cere sui vantaggi conferiti dal puntare sul distret-to quale struttura organizzativa capillare del ter-ritorio, dove scorre la vita di queste persone. Siprofila l’opportunità di affidargli la supervisioneglobale degli interventi, riunificandoli in una re-gia unitaria, così come – vedremo oltre – occor-re ricomporre la frammentazione delle risorsepubbliche oggi troppo disperse. Il distretto do-vrebbe a nostro parere sviluppare la funzione di“unità organizzativa per la NA”, presidio che puòrealizzare con appropriatezza gli interventi di cu-ra e assistenza centrati sulla persona e sui familia-ri. Inoltre, il distretto “forte” può vincere l’igno-ranza sulle cure primarie, pilastro della NA.

“…NELLA TUTELA DELLA SALUTE…”Se adottare il termine “salute”potrebbe qui a pri-ma vista apparire incongruo o quantomeno pro-blematico, viene in buon soccorso il ragionamentoche alcuni esperti, in accordo conWho, stannoconducendo per la ridefinizione della “SALU-TE”, da non intendere più come stato “perfettoe completo”,ma condizione dinamica che si mo-difica in quanto variabile è la capacità adattativadel soggetto. In questa nuova visione che si vamettendo a fuoco, coerente con i presupposti del-l’ICF, la salute viene infatti definita e misurata co-me capacità di affrontare le difficoltà (coping) e difarvi fronte con adattamenti continui (adapting)2.In una dimensione semplificata, perlomeno ri-guardo agli aspetti comunicativi, qui la salute po-

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2 Vedi www.saluteinternazionale.org

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trebbe in ogni caso essere riferita alla “qualità divita e benessere”, elementi ben percepiti e com-presi da questi soggetti e dai loro familiari.Un concetto analogo era già contenuto nel Psn1998-2000, in cui si parlava di “convivere attiva-mente con la cronicità”. Per un nuovo approccio aquesto tema, sia comunicativo che operativo, datempo nel nostro gruppo stiamo tuttavia cercan-do di abolire dal nostro vocabolario termini qua-li “cronico, cronicità”, perchè evocano atteggia-menti mentali o comportamenti tesi alla rinun-cia, rassegnazione, riduzionismo.Parole quali “cu-re di lungo termine, lungoassistenza, cure conti-nuative” ci sembrano possano contrastare even-tuali inerzie, testimoniare più facilmente l’attitu-dine all’azione, alla presa in carico prolungata,quindi a rispettare il “fattore tempo”, che è la ca-renza più rilevante avvertita dagli assistiti e certa-mente elemento portante dei servizi di prossimi-tà a queste persone.

“…DELLE PERSONE ANZIANE NONAUTOSUFFICIENTI…”Le persone sono al centro dei nostri ragionamenti.In tutta la trattazione, consapevolmente talora ascapito di appesantimenti, si preferirà parlare di“persone anziane”, anziché “anziani”, per enfa-tizzare che la nostra costante attenzione e riguar-do va innanzitutto al rispetto della soggettivitàdell’individuo, di una “vita che permane sacra”anche se condizionata da svantaggi. Inoltre, im-plicitamente la soglia di anzianità viene colloca-ta oltre i 65 anni, epoca della vita in cui la perdi-ta dell’autonomia e le comorbidità aumentanonotevolmente e pesano ancor di più, date le ri-dotte capacità compensative.“Persona” è termi-ne per noi preferibile ad altri sostanzialmente si-nonimi, perché ci sembra attesti con maggioreforza che la dignità delle persone sta al primo po-sto per chiunque operi in questo campo. Si usa iltermine al plurale,“persone”, anziché al singolare,a ricordare l’universo di cittadini coinvolti.Scegliamo invece, per esigenze di spazio e di in-cisività comunicativa, di non affrontare la que-

stione della definizione della non autosufficien-za. In questo contributo, la si considera eventosempre e comunque rilevante, in quanto l’indi-pendenza e l’autonomia compromessa, anche senon totalmente perduta, va in ogni caso ricono-sciuta e sostenuta. Per lo più in modo implicito,il nostro pensiero prevalente andrà quasi semprealle persone gravemente non autosufficienti, incui i bisogni sono maggiori; i servizi dovrebbe-ro assegnarvi priorità di attenzione e intervento,consapevoli che in Italia appartengono ad un uni-verso di centinaia di migliaia di cittadini, con pa-ri o superiore carico di sofferenza ed impegno acarico dei familiari e care giver.

“...E DEI CARE GIVER…”Nella trattazione sarà infatti costante la congiun-zione della visione della salute della persona NAcon quella dei familiari e care giver. Non è cer-to originale, ma non poteva essere omessa. Spo-siamo infatti senza esitazione la visione per cuinel campo della non autosufficienza pari atten-zione va simultaneamente prestata alla persona daassistere e al familiare o care giver, questi ultimisempre più spesso minacciati nella loro integritàpsico-fisica da carichi di lavoro o di sofferenza ri-levanti (per lo più sono donne e solo per esigen-ze di spazio solamente si cita il problema dellaconciliazione del lavoro con il lavoro di cura) equindi potenziali candidati ad ammalarsi.Tuttoquesto ovviamente amplia e aggrava le responsa-bilità dei servizi pubblici.Va altresì ricordato cheil lavoro di distretto ormai ha consolidate abitu-dini negli approcci unitari agli assistiti e ai fami-liari, in tutte le fasce di età.Ci piace immaginare che queste persone e fami-glie possono trovare risposte alla NA nel propriodistretto, tanto da testimoniare un alto senso diappartenenza sentendole con il riconoscimentodel “mio distretto”.In un distretto all’altezza del suo mandato – e po-sto in condizione di agire in misura e senso ap-propriato - utenti e familiari dovrebbero trovaretutto ciò che serve per l’intero percorso di ge-

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stione della NA: dall’informazione-accoglienzaall’orientamento; alla valutazione; alla presa in ca-rico, sviluppata in una progressione di setting dicura adeguati alle esigenze contestuali.Queste at-tenzioni si mantengono salde e solide nelle di-verse fasi (lunghe,molto lunghe!) della malattia edella condizione, nei diversi luoghi di vita, se-condo tipologie di assistenza (ambulatoriale, do-miciliare, residenziale, semiresidenziale, eventual-mente ospedaliera) tra loro connesse in intelli-gente e coerente continuità, erogate (dal sistema)e vissute (dall’individuo e dai familiari) semprecome rispettose della dignità e libertà.A chi competa la regia di questo “ricamo” di in-terventi volti a tenere in equilibrio assistenza for-male e informale rappresenta oggi probabilmen-te lo snodo ancora più scoperto e controverso. Il“fai da te” spesso prevale.Nella nostra esperienza e premessa culturale, spet-ta al distretto, anche in base ad evidenze già dis-ponibili che ciò effettivamente avviene, con ap-prezzabili risultati di efficacia, efficienza, econo-micità, equità, in molti dei nostri territori. Delresto, se è unanime il consenso sulla necessità dicostruire e mantenere reti di supporto alla NA, siribadisce che va identificato e sorretto adeguata-mente chi questa responsabilità debba portare equali istituzioni pubbliche debbano essere prota-goniste. NA e distretto, a nostro giudizio, costi-tuiscono un binomio inscindibile e virtuoso.

“…AL TEMPO DELLA CRISI”A noi sembra che nel corso degli ultimi anni ilproblema della non autosufficienza sia stato valu-tato e affrontato non adeguatamente. Una delleprincipali motivazioni, avanzata dalle Istituzionie dalla Società nel suo insieme, è data dalla scar-sità di risorse necessarie a fronteggiare questa “epi-demia” (v. oltre i commenti su questo terminesempre più in uso). Oggi corriamo il rischio ditrascurare ancora di più l’argomento, dato che lelimitazioni di questa natura sono divenute anco-ra più stringenti.Nel corso dell’esposizione cercheremo di rilan-

ciare la questione sotto punti di vista diversi daquelli immediatamente collegati alle restrizionieconomico-monetarie, inserendola in un più am-pio contesto di considerazioni. Il tema della NAappartiene a pieno titolo alle protezioni del wel-fare, la cui esistenza oggi è minacciata e richiedeviceversa maggiori cure e attenzioni soprattuttoin questa partita, pena la sua scomparsa.Attualmente per questa fascia di popolazione so-no investite risorse pari a circa 1,28% del Pil(0,49% per la parte sanitaria), valore consideratounanimemente insufficiente. È necessario incre-mentarle, opzione ora improbabile, ma da porrecomunque sin d’ora con convinzione tra le prio-rità per il futuro, a cui destinarne di nuove nonappena disponibili.Tuttavia, già oggi potrebbe es-sere possibile fare di più ad isorisorse, con rior-ganizzazioni che diano maggiore forza al distret-to, eliminando sprechi legati a cattiva conoscen-za dei bisogni, con riequilibrio del rapporto do-manda-offerta, puntando di più alla valutazionepartecipata della resa e degli esiti delle azioni mes-se attualmente in campo.Per questo, il distretto è bene che sia non solo sa-nitario, ma sociosanitario, ovvero ad alta integra-zione, nel cui budget dovrebbero confluire risorsee fattori produttivi di parte sanitaria e sociale.Come premessa, per molti versi anche conclusio-ne, a nostro parere la cura e assistenza alle perso-ne non autosufficienti richiede, prima di ogni al-tra riflessione sull’impatto della sostenibilità eco-nomica, maggiore apertura culturale, determina-zione, motivazione diffusa, acquisita anche attra-verso una saggia e capace opera di comunicazio-ne sociale volta a trasmettere non timori ma va-lori. Gli impedimenti alla sostenibilità secondo noisono generati innanzitutto dalla tolleranza sui va-lori “non negoziabili”, dai dubbi di una societàche stenta ad assumere responsabilità collettive.Esistono in questa fase particolare del nostro Pae-se molti presupposti perché si possa procedere al-la creazione di una sorta di “new-deal” per la nonautosufficienza. Cercheremo di delinearne le op-portunità. Le persone e i loro familiari ci chiedo-

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no di pensare che eventuali esposizioni debitoriedell’oggi per sostenerli rappresentano in realtà in-vestimenti con ottima resa futura per tutti, ad esem-pio in quanto elevano la coesione sociale, uno deideterminanti della salute. In questo periodo di cri-si economica occorre vigilare che non si diffondaanche una crisi di visione autentica del problema,si perdano di vista e magari si rinunci ai principifondanti i nostri sistemi di protezione sociale.

L’esposizione che segue illustrerà, dopo alcu-ne premesse di carattere generale, sei argo-menti-chiave della NA dal punto di vista di chiopera nel distretto. Il testo nei box pone in im-mediata evidenza concetti e informazioni checi sembrano essenziali per la comprensione delragionamento, nonché i punti chiave utili aduna più facile consultazione dei contenuti delcontributo fornito.

Attualmente il distretto agisce per la NA in unsistema complesso e molto variegato, che presen-ta alcuni nodi di carattere generale, riassunti nelbox 1, condizionanti gli interventi a favore deipropri assistiti in condizione di non autosuffi-cienza (NA).Le principali criticità vissute nel distretto posso-no essere così sinteticamente riassumibili:1. Si osserva un aumento costante della doman-da, sempre più complessa, con divaricazionecrescente rispetto alle capacità di risposta isti-tuzionale ma anche privata; le risorse in cam-po appaiono sempre più insufficienti, se nonin senso assoluto almeno rispetto ai bisogni(espressi o nascosti): questo genera insoddisfa-zione e frustrazione negli assistiti, nei loro fa-miliari e negli operatori.

2. Si riscontra ancora un’eccessiva frammentazio-ne delle risorse, delle competenze, degli inter-

venti; l’erogazione di benefici economici pre-vale largamente rispetto ai servizi. L’integrazio-ne sociosanitaria e interistituzionale sono sfa-vorite da imperfetti meccanismi di coordina-mento; non sempre al distretto viene assegnatoin modo esplicito e definitivo il ruolo (pur giàsancito da leggi e norme) di unità organizzati-va specializzata nell’assistenza alle persone nonautosufficienti; sussiste grande disomogeneità diazioni per la NA non solo tra i distretti di Re-gioni diverse, ma anche all’interno della stessaRegione.

3. Esiste una dissociazione tra l’enfasi enunciata da-gli indirizzi istituzionali verso l’assistenza domi-ciliare e le reali capacità operative delle orga-nizzazioni territoriali (dissociazione tra princi-pii e pratiche), per cui essa ancora oggi si fondalargamente sull’assistenza informale privata, squi-librio che induce ad adottare soluzioni di tipo

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BOX 1 - PER ORIENTARSI: alcuni nodi generali del sistema

1. Continuo spostamento a destra della curva delle età nella popolazione, con aumento dei “grandi anziani” e dei soggetti con bisogni complessi/elevati.2. Prevalenza della “informal care” rispetto alla “formal care”, in uno scenario prospettico di sicuro aumento dei soggetti necessitanti assistenza a fronte di al-trettanto certa riduzione dei potenziali care givers.

3. Aumento delle persone ad alto carico assistenziale, soprattutto con deficit cognitivo.4. Impatto di questo mutamento del quadro demografico ed epidemiologico nel mercato del lavoro e delle regole per il pensionamento (coinvolge soprattut-to per le donne).

5. Incertezza sulle responsabilità collettive verso questi soggetti fragili e sui loro diritti tematici (LEA); forte pressione delle risposte “di mercato” con insuffi-ciente/inadeguata presenza del versante pubblico; mancano i presupposti per lo sviluppo del mercato assicurativo e dei fondi integrativi di settore.

6. Riduzione delle attuali capacità di spesa pubblica e privata (quest’ultima sostiene ca. il 50% della spesa totale per la NA); timore di un collasso del sistema pub-blico e di impoverimento dei privati.

7. Rischio di welfare delegante con risposte di bassa qualità.8. Crescente attitudine del sistema pubblico a privilegiare, rispetto allo sviluppo dei servizi, l’erogazione di benefici economici, assegnati oggi con scarsa equità(vedi ad es. le indennità di accompagnamento) e con lo svantaggio di un’assenza di controlli sul loro utilizzo, di un elevato rischio di “lavoro di cura in nero”.

9. Grandi disomogeneità territoriali nei servizi e tendenza a porre il baricentro dell’attenzione verso le strutture residenziali piuttosto che gli interventi domiciliari.10.Scarso riconoscimento del lavoro delle famiglie, dell’offerta di respite care, dell’importanza della presa in carico nel tempo lunghissimo.

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residenziale, sempre gravate da effetti collatera-li per la persona assistita e da problemi di ordi-ne organizzativo ed economico per il sistema.

Considerazioni preliminari alla lettura del testoLa condizione di non autosufficienza non è equi-valente a quella di malattia, nemmeno se questaè di lungo termine.Abbandonare i termini “cronicità” e “cronico”,da sostituire con parole quali “di lungo termine,di lunga durata”, può facilitare propositi e azioniverso interventi riattivativi-riabilitativi.L’approccio alla persona anziana non autosufficienterichiede metodi e conoscenze tecniche specifiche,diffusamente presenti nei distretti, che devono sem-

pre coinvolgere i familiari nel progetto di cura.Nella persona in condizione di NA generalmentesi associano comorbidità,difficoltà personali del con-testo socio-economico-relazionale,per cui è neces-sario un approccio integrato. Per questo, è preferi-bile l’indirizzo sociosanitario del distretto, organiz-zazione pubblica“specializzata”per interventi nellaNA,“eccellente”quindi se manifesta non solo com-petenze sanitarie ma concretamente sociosanitarie.Nei paragrafi successivi mireremo soprattutto apresentare proposte fattibili, sviluppando alcunitemi centrali del lavoro di distretto a favore dellepersone anziane con NA, nell’idea che, ove que-ste non siano consolidate, possano rappresentareuno stimolo e guida per il miglioramento.

È facilmente riscontrabile che i distretti operanoin modo diverso nelle differenti realtà regionali,con interpretazioni della funzione poco omoge-nee. Non è facile quindi tracciare “un compor-tamento medio” verso questi assistiti, né avrebbemolto senso.Tuttavia, pur nelle molto differentiinterpretazioni, il distretto a nostro parere si pre-senta ancora oggi come il miglior candidato adorganizzare nel territorio, in cui scorrono le vitedi queste persone, gli interventi, e in particolarele azioni innovative in questo delicato ambito deiservizi alla persona.In schematica sintesi, il distretto:�può essere luogo di accettazione formale delledomande e di avvio dell’iter per l’ottenimen-to/erogazione di servizi e benefici (sia di tipomonetario che prestazionali);

�può offrire, attraverso il Punto unico integratocon i servizi sociali comunali, informazione edorientamento, ed auspicabilmente anche una

prima temporanea protezione-presa in carico;�eroga prestazioni in modo diretto (con fattoriproduttivi propri) ovvero indiretto, attraversoconvenzioni/contratti con soggetti esterni assi-cura l’offerta di servizi (es. domiciliari e resi-denziali ) ed assicura continuità assistenziale.A questo si aggiungono, e ne costituiscono fon-damento, le attività territoriali proprie delle cu-re primarie svolte dai Mmg e dai medici del-l’assistenza primaria, che, anche in questo casoin modo variegato, costituiscono risorse del di-stretto.Per trovare occasioni di miglioramento si illu-strano alcune pratiche, che conosciamo come con-solidate in moltissimi distretti.Una loro matura euniforme attuazione, con buon coordinamento econtinuità, potrebbe facilitare l’accettazione del-l’idea che, per questa materia, al distretto meritaaffidare il compito specifico (specializzato) di cu-ra e assistenza della persona in stato di NA.

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MACRO-SCENARI DI INTERVENTO DEL DISTRETTOPER LE PERSONE ANZIANE NONAUTOSUFFICIENTI

BOX 2 - PER ORIENTARSI: ruolo preminente del distretto nella non autosufficienza

Il distretto, preferibilmente di tipo sociosanitario, rappresenta la struttura operativa che meglio può organizzare ed offrire risposte unitarie, globali, coordina-te, continuative, quindi integrali ed integrate, alle domande complesse vissuta dalle persone e famiglie che affrontano una condizione di perdita dell’autonomia.Il suo lavoro di prossimità territoriale è tanto più incisivo quanto più integrato con quello dei servizi sociali, personalizzato, flessibile nel tempo rispetto al-l’evoluzione delle condizioni delle persone e del contesto di vita.

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1. Accoglimento-informazione-primo orien-tamento: è esperienza comune riscontrare ildisorientamento e la disperazione vissuti dai fa-miliari che iniziano a vivere l’esperienza di as-sistere una persona anziana con perdita dell’au-tonomia. Da innumerevoli ricerche, sondaggi edal lavoro quotidiano emerge costantemente chela prioritaria richiesta ed attesa dei cittadini èrappresentata dall’esigenza di avere un punto dicontatto di facile accesso, disponibile all’ascol-to, competente nello spiegare“le regole del gio-co”, le varie opzioni delle possibili soluzioni erimedi. Se in questa fase di primo contatto l’i-stituzione riesce a farsi percepire come alleata(empatica) delle difficoltà manifestate, la do-manda spesso si ridimensiona, cala la tensionedei richiedenti e cresce la loro soddisfazione peri servizi resi, influenza positivamente l’efficaciadei passi successivi della presa in carico;non in-frequentemente la domanda espressa può anchechiudersi qui. È necessario pertanto investirviancora di più, con priorità assoluta, anche negliaspetti quantitativi e qualititativi (formazione adhoc) del personale dedicato.

2. Valutazione dei bisogni: chi lavora nel di-stretto crede ovviamente al valore della media-zione tecnica del bisogno. Ciò per noi costi-tuisce oggi una convinzione ex-post più cheex-ante, avendo sperimentato l’utilità della va-lutazione multidimensionale-multiprofessiona-le nei successi degli interventi. Essa ovviamen-te è premessa inevitabile alla progettazione del-le risposte personalizzate.Nella valutazione,ne-cessariamente multidisciplinare, sguardi con-giunti si pongono l’obiettivo di ricostruire unamappa unitaria bisogni-risorse, tra le quali si de-ve avere la capacità di includere sempre la per-sona stessa e la famiglia, per renderle soggetti enon solamente oggetti destinatari dei servizi edelle prestazioni (per quanto ricchi ed artico-lati).

3. Il progetto individualizzato: costituisce l’e-sito della valutazione, rendendola concreta, vi-va e tangibilmente utile. Non a caso, oggi in

qualche realtà distrettuale l’UVD si è evolutain UMP, unità multiprofessionale di progetto.Nel progetto sono descritte le azioni da intra-prendere, l’intensità quali/quantitativa, la scan-sione temporale, le corresponsabilità di attua-zione da parte dei vari attori (appartenenti al-le istituzioni o all’ambito informale) e, a nostroparere irrinunciabilmente, identificato il casemanager.

4. La presa in carico: sulla scorta del progetto,la sua realizzazione sostanzia la presa in carico;in corso d’opera questo potrà essere aggiorna-to in funzione di mutamenti del contesto, del-le esigenze, sempre con la finalità del massimobeneficio possibile per l’individuo e la fami-glia. La presa in carico, oltre a caratterizzarsiper indici di complessità proporzionati alle esi-genze, esprime la sua credibilità soprattutto nel-l’adattamento temporale. La presa in carico ètale solamente se così è percepita dai destina-tari e, data la duratura condizione di NA,“tie-ne nel tempo lungo”, ovvero si protrae nel lun-go-lunghissimo periodo, senza venire mai me-no, anche quando peggiorano le malattie e ledifficoltà di vita correlate al deteriorarsi dellefunzioni vitali e/o all’incapacità dell’ambientedi cura domiciliare-domestico di farvi fronte.È caratteristica di un “buon” lavoro distrettua-le non desistere, non ritirarsi, (oggi si direbbe“non abbandonare la nave”….),“darsi da fare”anche quando molti o molto potrebbero af-fermare “non c’è più niente da fare”.

5. La formazione-educazione dei care gi-ver: merita un cenno specifico a parte questonuovo impegno esercitato da qualche distret-to più pronto a seguire l’evoluzione dei biso-gni e ad adattarsi alle diverse esigenze. NellaNA questo aspetto è fondamentale. È impor-tante non solo per assicurare indici di coper-tura più efficaci lungo tutto l’arco della gior-nata, nelle lunghe settimane e mesi, allargan-do la cerchia delle persone di cura competen-ti, ma soprattutto per aumentare le capacità diadattamento dei care giver (coping and adap-

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ting), sempre a rischio di incorrere in carichidi sofferenza a loro volta patogeni.

6. La valutazione degli esiti: in sanità, e forseancor più nel mondo del sociale, la principalepreoccupazione da tempo è rivolta alla spesa, al-le risorse e ai fattori produttivi da acquistare-consumare (l’input – generalmente visto comeda ridurre); a questa nel tempo, in una visionesimil-tayloristica certamente qui impropria, si èaffiancata (o sostituita) quella sulla “produzionee produttività” (l’output, ovviamente atteso inaumento). In tutto ciò è rimasto coinvolto an-che l’ambito del lavoro di cura nella NA, a no-stro parere penalizzandolo.Oggi, fortunatamente,si assiste ad una crescente valorizzazione dell’a-spetto ben più pregnante dell’attenzione alla va-lutazione degli esiti (outcome, volti all’ottimiz-zazione): i risultati e la resa degli interventi rap-presentano da un lato punto di arrivo, dall’altropunto di partenza per conoscere l’impatto sul-le persone di quanto agito. Su questo aspettooccorre trovare il modo di coinvolgere mag-giormente le UVD/UMP, il cui lavoro oggi vi-ceversa spesso si rivela troppo sbilanciato nellasola fase valutativa-progettuale.

Un distretto che riesca a dare matura e uniformeattuazione alle sei fasi di lavoro può meritare l’at-tributo di “eccellente”.“L’eccellenza” non puòessere collegata solamente all’alta tecnologia. Bendi più vale l’alta relazione e umanizzazione dellecure; espressioni di “pratiche high-touch” meri-tano maggiore considerazione di quelle “high-tech”.Occorre valutare l’opportunità di costituire al-l’interno dei distretti “unità funzionali integrateper la non autosufficienza”, cui affidare il compi-to di valutare, insieme a soggetti terzi, l’intero ci-

clo delle diverse fasi del percorso, con lo scopo disuggerire miglioramenti continui verso servizisempre migliori tarati sulla centralità delle perso-ne. Una valutazione partecipata dei servizi per laNA riguardo agli aspetti dell’input, dell’output e,soprattutto, dell’outcome può costituire una verainnovazione e progresso del lavoro nel distretto.Per realizzare tutto questo occorrono professio-nisti capaci, per molti versi specializzati, le cui di-verse attività richiedono un coordinamento eduna regia unica/unitaria. Questi due soli aspettigiustificano ampiamente l’esistenza del distretto.Ancora, il distretto può esercitare la funzione distimolo e garanzia verso l’obiettivo primario de-gli interventi: il recupero-riattivazione-riabilita-zione del funzionamento globale del soggetto,non solamente il mantenimento dello status quoo una“generica manutenzione”della persona (box3).Questo, certamente non sempre effettivamen-te possibile da raggiungere,ma altrettanto sicura-mente sempre da perseguire, conferisce vero va-lore agli interventi (value for money).Al di fuo-ri di questa prospettiva si tornerebbe ad un pas-sato in cui la perdita dell’autonomia nell’anzianoera per lo più vissuta come situazione immodifi-cabile, per molti (erroneamente) epifenomenoineluttabile dell’invecchiamento.Enfatizziamo questo aspetto, perché ci sembrascontato. Sarebbe di aiuto anche usare parole di-verse da quelle usualmente pronunciate: ad esem-pio, perché non parlare di (e realizzare) “azioni-interventi per l’autonomia possibile” invece che“per la non autosufficienza”? Se il distretto potràcontribuire anche solamente a rovesciare l’attitu-dine culturale e operativa votata all’inerzia, rivi-talizzando contesti di rassegnazione, avrà già rag-giunto un buon successo.

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BOX 3 - PER ORIENTARSI: nel lavoro territoriale-distrettuale per la non autosufficienza

I paradigmi del lavoro territoriale nella NA non possono essere quelli della guarigione, bensì della cura continuativa, della tensione al mantenimento o alrecupero maggiore possibile dell’ indipendenza/autonomia.Il “buon” distretto transita dalla logica di intervento sul sostegno alla dipendenza verso quella per il conseguimento dell’autonomia possibile.Risorse ed azioni di riabilitazione-riattivazione-recupero della persona NA, più che per l’accudimento conservativo, rappresentano sempre il miglior mo-do di spendere i soldi e divengono così i migliori investimenti.

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Il distretto “forte” è in grado di offrire rispostearticolate per l’autonomia possibile in diversi set-ting di cura, quindi con servizi di assistenza do-miciliare, residenziale, semiresidenziale. Per que-sto la funzione distrettuale spazia da quella di pro-duzione a quella di governo, alla committenza, al-la facilitazione della messa in rete.Tanto maggio-ri e migliori saranno, tanto più potrà esserci co-ordinamento efficace e continuità assistenziale,requisiti che condizionano in modo importantela qualità finale dei risultati.

L’assistenza domiciliarePosto che le cure domiciliari offerte dal sistemapubblico (sanitario e sociale) è bene costituisca-no il primo pilastro e l’architrave portante di unsistema per la NA,oggi si osserva invece che que-sto ancora non è dato in molte parti del Paese.Forse, almeno per l’ambito sanitario, questo nonè avvenuto quando si sono lasciati “deboli” i di-stretti; viceversa, l’offerta è oggi almeno decoro-sa, soprattutto in relazione alla flessibilità e allacontinuità assistenziale, quando sono stati proiet-tati ad essere strutture “forti”.CARD da sempre coltiva questo argomento, ri-tenendolo centrale nello sviluppo dei servizi ter-ritoriali, naturalmente prioritario quando si af-fronta la NA.Senza ripetere quanto affermato nel“Manifesto per le cure domiciliari” presentato alCongresso Nazionale CARD del 2011 e ripresoe ampliato nel “Secondo Rapporto sulla non au-tosufficienza in Italia, 2011”, del Ministero delLavoro e delle Politiche Sociali (cap. 4.3.1), pre-

me qui sottolineare che in queste condizioni,quantomeno sicuramente nelle sue forme menoimpegnative, l’opzione domiciliare costituisce ilcardine essenziale del sostegno alla persona e aifamiliari, preferibile soprattutto perché la più adat-tabile ai livelli di gravità/intensità.Ciò vale in primis con riferimento all’assistenzaformale, da potenziare, che rappresenta il miglio-re riconoscimento delle Istituzioni per il lavorodi cura svolto dalle famiglie.A chi sostiene la ne-cessità di lasciare o dare più spazio all’assistenzadomiciliare di tipo informale, rispondiamo chequesta ha valore se poggia su solidi servizi orga-nizzati dall’ambito pubblico, secondo noi attra-verso il distretto, dotato per questo di adeguaterisorse proprie, oppure derivanti da esternalizza-zioni-convenzioni (v. oltre).In tema di nuovi interventi del distretto, meritaqui dar rilievo all’educazione-istruzione delle as-sistenti familiari, le c.d.“badanti”. Sono risorsaormai diffusa in tutto il territorio nazionale, esclu-sivamente privata, salvo considerarla soluzione chesi avvale del supporto pubblico in quanto i costisono quasi sempre sostenibili grazie alle indenni-tà di accompagnamento o ad altri contributi eco-nomici erogati dal settore pubblico. Il distrettopuò ben entrare in gioco con i percorsi di for-mazione di questo personale, cercando di diffon-dere l’acquisizione delle competenze minime, atutela della qualità assistenziale. Esistono nume-rose esperienze di distretti in cui si sono svolti consuccesso questi corsi di formazione, che hannocontribuito ad elevare la capacità di fronteggiare

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PRENDERE IN CARICO: DOVE? COME?

BOX 4 - PER ORIENTARSI: (s)punti essenziali sull’assistenza domiciliare

Per l’assistenza domiciliare attualmente leAsl spendono ca. l’1% dei propri budget. Si calcola che per “ADI” sia investito l’1% del PIL, cui si aggiunge lo 0,29% peri servizi domiciliari sociali (come riferimento generale, si ricorda che il 26% del PIL è dedicato a sanità e previdenza).Circa il 5% della popolazione anziana è raggiunta da servizi domiciliari pubblici (varie tipologie).In Italia nel 2009 sono stati trattate in ADI 450.000 persone (+ 70.000 vs 2007), ma con presenza discontinua e di bassa intensità.1,5 milioni sono i lavoratori subordinati domestici (colf+”badanti”), di cui il 75% stranieri.Circa 900.000 si pensa siano oggi le“badanti” in Italia,ma la cifra è ritenuta damolti sottostimata (in ogni caso,il valore è circa il doppio degli utenti di cure domiciliari o de-gli ospiti in residenze!).I costi,a totale carico delle famiglie,superano ormai i 10miliardi di euro/anno (per indennità di accompagnamento lo Stato nel 2010 ne ha spesi 14).Un cittadino ultra65enne su sei - dieci al Nord - dispone oggi di una “badante” (7% in media in tutto il Paese), valore che sale al 48% delle persone non auto-sufficienti; in media queste assistenti lavorano in casa per 5 hr/die.

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a casa situazioni molto impegnative, a riprova diquanto flessibili ed innovative debbano essere lecompetenze distrettuali.Per completezza, riportiamo “i titoli” di alcuneriflessioni aggiuntive meritevoli di citazione, ri-mandando ad altre occasioni gli approfondimenti:�è provato che in assistenza domiciliare non si fameno che in assistenza residenziale;

� in una visione “terapeutica”, le cure domiciliariben condotte sono sostanzialmente prive di “ef-fetti collaterali”, con la sola eccezione di porreattenzione alle situazioni ad elevato rischio diistituzionalizzazione domestica a causa di pro-tratto isolamento, esclusione sociale e solitudine;

�un circuito di cure domiciliari pubbliche è pie-namente efficace (credibile) se, oltre ad essereglobale e comprensivo, è in grado di offrire an-che interventi in urgenza ed emergenza, sia peresigenze di tipo sanitario che sociale (Adi effet-tiva); per questo servono reti di attori ancora piùsinergiche, appartenenti non solo a soggetti pub-blici, ma comunque ben coordinate tra loro daun organismo unico, che nella nostra idea do-vrebbe essere il distretto;

�è indispensabile intensificare la diffusione, anchesperimentale, delle tecnologie per la home ca-re, che possono elevarne efficacia ed efficien-za. Molti Paesi europei (ad es. Inghilterra, Da-nimarca, Svezia) stanno investendo ingenti ri-sorse (dalle decine alle centinaia di milioni dieuro) nel settore della telemedicina, teleassistenza,telemonitoraggio, teleinformazione, nell’idea chequeste tecnologie possono arricchire (in parte

sostituire) gli interventi degli operatori del ter-ritorio, aumentando le possibilità di lunga per-manenza a casa in sicurezza, riducendo i rischidi ricovero (in ospedale o casa di riposo) e lepreoccupazioni dei familiari.

L’assistenza residenzialeL’assistenza residenziale è l’opzione assistenzialecui più spesso si pensa di ricorrere nella NA, siada parte dei parenti sia di molti operatori.Non siconoscono dati attendibili se questa propensionecoincida anche con le preferenze degli stessi sog-getti anziani assistiti.Ovviamente tali scelte sonofortemente condizionate dall’offerta locale. Il di-stretto interviene in questo settore con moltepli-ci attività, tutte rilevanti e complesse: a) nei con-fronti della persona attraverso le valutazioni pre-ingresso (in genere mediante UVD/UVG); b) perl’organizzazione del sistema, con la partecipazio-ne alla programmazione dei fabbisogni, delle au-torizzazioni o accreditamenti, alla stesura delleconvenzioni con le strutture residenziali, stru-mento di gestione e garanzia della qualità assi-stenziale. Si richiama anche qui l’attenzione sul-la necessità di disporre nel distretto di compe-tenze all’altezza di queste funzioni; ove non esi-stenti, ovviamente la qualità delle azioni ne ri-sente, con ripercussioni negative facilmente in-tuibili.In genere si sente parlare di “ricovero in casa diriposo”: auspichiamo che questa dizione spariscadal gergo sia degli operatori sia dei profani. Digran lunga preferibile sarebbe pensare e agire in-

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BOX 5 - PER ORIENTARSI: l’assistenza residenziale

I dati disponibili indicano che negli ultimi anni l’uso dell’assistenza residenziale è rimasto sostanzialmente invariato, è molto difforme tra le varie Regioni,anche per le notevoli disparità di offerta (con picchi speculari di eccesso o carenza-assenza di offerta).Attualmente,nella popolazione anziana il tasso di utilizzazione della lungodegenza e della riabilitazione è, rispettivamente,0,8% e 2,5%;quello delle residenze 1,2%.Nel 2005, 350.000 (valore arr.) anziani sono stati ospitati in 265.000 posti letto. Il tasso di utilizzo delle strutture per anziani era superiore al 90%.Quanto a gestione e proprietà: nel 67% sono strutture private, 33% pubbliche; delle private il 22% apparteneva a imprese non profit, il 17% ad Enti reli-giosi; un ulteriore 18% a società private commerciali.Il tasso di ricoverati per mille abitanti ultra65enni è del 18 ‰ (11‰ M, 25‰ F); la metà di essi presenta una demenza.Il tasso di istituzionalizzazione in Italia è stabile da anni,attorno al 3% della popolazione totale. Alcuni fenomeni possono spiegare il dato:diffusione delle assistenti fa-miliari (sono quasi un milione); alti costi a carico diretto delle famiglie (mediamente attorno ad almeno 15.000 €/anno; range 1.500- 2.550 €/mese);offerta variegata(da 0,7‰ p.l. inVal d’Aosta, a 50% in FriuliV.Giulia; incerta e reticente accettazione ad accogliere la crescente domanda di assistenza a persone con demenza.Il 50-60% delle rette è a totale carico degli utenti o dei familiari; nel 35% vi è contribuzione pubblica alla copertura della spesa; solamente l’8% degli ospi-ti non paga nulla (indigenti).

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FIGURA 1 - PER ORIENTARSI: residenzialità e domiciliarità nelle Regioni italiane

La figura correla l’assistenza agli anziani in strutture residenziali – utenti ogni 100 anziani – con l’assistenza domiciliare integrata – casi di anziani ogni 100residenti anziani.

(Fonte: Secondo Rapporto sulla non autosufficienza in Italia, 2011, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – p. 26)

vece in termini di “soggetto per il quale è ade-guata l’assistenza residenziale”, ad evidenziare chenon si tratta di offrire riposo (sfuggendo alla pos-sibilità che diventi eterno) bensì un forte impe-gno di lavoro con finalità ricapacitative del sog-getto. Nemmeno appropriato è il termine “rico-vero”, in quanto l’ingresso in struttura residen-ziale non può essere evento assimilabile al rico-vero ospedaliero. Piuttosto, consiste in un’acco-glienza in un processo idealmente condiviso e at-tivo fin dalle fasi iniziali.Anche su questo si con-centra il lavoro degli operatori del “buon” di-stretto, per verificare che esso sia inevitabile (giu-dizio che deve emergere dalla valutazione inUVD/UMP, a garanzia della persona), privo di“effetti collaterali” (sempre probabili, a differen-za dell’Adi), parte di un programma finalizzato epersonalizzato, inserito in un percorso continua-tivo in cui la permanenza o il rientro a domici-lio devono essere sempre obiettivi primari.Preme infine sottolineare che gli operatori del di-stretto che vogliano collocare in una giusta pro-spettiva l’assistenza residenziale è bene tenganopresenti tre nodi fondamentali:1. Chi si occupa della persona anziana non auto-sufficiente ha nelle sue mani la vita di questapersona. È dovere delle Istituzioni pubblichetutelare questa vita sacra e assumersene la re-

sponsabilità, tanto più quanto più essa divienefragile.

2. Serve un impegno comune per il rispetto deidiritti del soggetto fragile in struttura residen-ziale. Tra i compiti del distretto dovrebbe ri-entrare quello di organizzare un’offerta di ele-vata qualità il più possibile vicina ai luoghi divita usuali dell’anziano, complementare e real-mente paritaria rispetto all’alternativa domici-liare o semiresidenziale, contribuendo a ren-dere questi Lea opzioni parimenti attraenti econvenienti per la persona, per i familiari, peril sistema.

3. Costituisce priorità orientarsi verso una ospi-talità temporanea, con l’ obiettivo prioritariodel rientro a casa grazie a programmi di recu-pero-riattivazione-riabilitazione, che non de-vono mai recedere anche nell’ipotesi di unapermanenza definitiva, quantomeno per man-tenere stabili le condizioni iniziali. In ogni ca-so, va condivisa fra tutti la consapevolezza cheall’ospite si stanno imponendo condizioni divita nuove e molto diverse. La buona assisten-za accompagna questo cambiamento, per con-trastare ed evitare lo scadimento della qualitàdella vita, il senso di solitudine o abbandono.

Non può essere solamente compito del distrettotrovare giusti equilibri tra le risposte di assisten-

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za domiciliare e residenziale, ma certamente do-vrebbe sempre far sentire la sua voce e le giusteragioni a chi porta le responsabilità supreme.Nella figura 1 si riporta un’utile rappresentazionegrafica in cui si possono vedere le comparazioniregionali tra assistenza residenziale o domiciliare.Si osserva come lo sviluppo dell’una o dell’altrapresenti uno sviluppo armonico in poche realtà,a conferma che esistono dei pregiudizi (“ideolo-gie”?), che un “buon” distretto potrebbe correg-gere, a vantaggio di tutto e di tutti.

L’assistenza semiresidenziale - i centri diurniIn Italia non è ancora pratica diffusa.Tuttavia, ul-timamente stanno diffondendosi i centri diurni“assistiti” orientati all’accoglienza delle personeanziane con deficit cognitivo, tema secondo noitalmente rilevante da meritare pur breve citazio-ne separata (vedi oltre, paragrafo successivo).Il distretto dovrebbe farsi parte attiva per la dif-fusione e crescita dei centri diurni. Così come

in ogni distretto dovrebbe funzionare un servi-zio domiciliare medico-infermieristico almeno12h/7,meglio se esteso 24h/7, nonché una gam-ma di offerta residenziale adeguata qua-li/quantitativamente alle esigenze dei residenti,a buona ragione a queste due opzioni assisten-ziali bisognerebbe aggiungere anche quella del-l’assistenza semiresidenziale, che, senza lasciarsifuorviare dal termine, va intesa come pratica ri-entrante tra quelle più vicine alla domiciliaritàpiuttosto che alla residenzialità.Un freno alla loro diffusione e richiesta sta cer-tamente nella scarsa attrattiva economica per gliospiti, dato che generalmente i costi sono pocodiversi da quelli di una residenzialità non inten-siva. I vantaggi della frequentazione dei centridiurni si vanno via via però rendendo sempre piùevidenti rispetto al rallentamento del decadimentocognitivo, ai comportamenti problematici, oltreche – è più intuitivo – costituire funzione di re-spiro per i familiari.

La demenza rappresenta oggi la più impegnativaespressione della NA della persona anziana.Senza dilungarsi, si sottolinea qui che questo pro-blema, sia per gli aspetti della difficoltà terapeu-tica (sostanzialmente assenza di farmaci efficaci)sia per quelli assistenziali – soprattutto per la lun-ga durata – è considerata da tutti, tecnici e fa-miliari, la più temibile e gravosa forma di NA,in quanto sempre progressiva, dalle necessità as-sistenziali sempre crescenti, generatrice di cari-chi di sofferenza e impegno economico-assi-stenziale incrementali, fino a livelli schiaccianti,sicuramente possibili quando la sua durata siapluriennale.Va riconosciuto che purtroppo le Istituzioni ita-

liane hanno iniziato ad accorgersi della dimen-sione del fenomeno quando era già esploso e aquel punto difficilmente gestibile. L’imprepara-zione del mondo dell’assistenza ha erroneamen-te alimentato le attese verso soluzioni medico-farmacologiche e confidato senza fondamentonelle competenze della scienza, senza giungere aconsiderare il problema, almeno fino a quandonon esisteranno terapie veramente efficaci, comeeminentemente proprio dell’assistenza sociale, cheè visibilmente sottodotata rispetto al problema(vedi box 7). Le enormi restrizioni del fondo na-zionale per la non autosufficienza testimonianoquanto lontano sia un approccio realistico ed equodella situazione.

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BOX 6 - I centri diurni integrati

In Italia nel 2006 erano stati censiti poco meno di 700 centri, per un totale di 12.000 posti e 16.000 utenti (123 giornate/utente).85 erano dedicati a persone con M.diAlzheimer (1.680 posti).

LA DEMENZA

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BOX 8 - PER ORIENTARSI: il distretto per le persone i cui ricordi svaniscono - un racconto invece di altre parole

Giulia è una signora di 85 anni.Vedova da 15 anni, vive da sola con la sua pensione minima, in un piccolo appartamento in un caseggiato di edilizia popolare di periferia. Esce pochissimo di ca-sa, solamente se accompagnata.Da circa tre anni, l’unica figlia (Anna, 58 anni) le fa visita un paio d’ore ogni giorno, non senza rimostranze dei suoi familiari (ma-rito e 3 figli si sentono per questo trascurati), per evitarle totale solitudine e isolamento. Le tiene in ordine la casa, le porta la spesa, cucina, si assicura che man-gi in modo adeguato almeno una volta al giorno, che assuma correttamente le medicine (tante).Giulia è dipendente per tutte le attività quotidiane.La sua storia per il distretto inizia tre anni fa, quando la figlia si era rivolta al medico di famiglia avendo osservato nella madre crescenti problemi di memoria, dif-ficoltà a prendersi cura della casa, incapacità a cucinare; nel fare le spese aveva smarrito somme importanti di denaro. Giulia aveva anche iniziato a manifestaremomenti di aggressività e disturbi comportamentali (inversione sonno-veglia, urla di notte). Il Mmg, su richiesta della figlia, l’aveva inviata al Centro Distrettualeper le demenze, ove le era stato diagnosticato: deterioramento cognitivo lieve di probabile tipo primario (MMSE 22/30); ridotta autonomia per gli atti strumen-tali (IADL 4/8), parzialmente conservata l'autosufficienza per gli atti quotidiani della vita (ADL 6/6).Gli specialisti del team Distrettuale (psicologo, neurologo, geriatra, infermiere esperto) avevano spiegato alla figlia che allo stato era improbabile l'ottenimento del-l’indennità di accompagnamento.Per trovare sostegni alternativi era stata indirizzata al Punto Unico Integrato del Distretto per preparare insieme la domanda di ot-tenimento dei benefici economici connessi al fondo regionale per l’autonomia possibile e l’assistenza diretta dei servizi sociali del Comune. Inoltre,era stato contat-tato il Centro di salute mentale che,per l’insonnia e l’aggressività, aveva concordato con il Mmg una terapia con farmaci e programmato il monitoraggio trimestrale.A distanza di tre anni dal primo contatto con il distretto,Giulia ancora oggi vive a casa.Sono ben controllati (quasi risolti) i problemi comportamentali (prosegue la terapia con psicofarmaci), anche se all’ultima valutazione cognitiva – è rivalutata an-nualmente dal punto di vista cognitivo e neurologico – si è riscontrato un netto peggioramento delle capacità cognitive (MMSE 14/30), e scadimento degli atti divita quotidiani (ADL 3/6 – non si lava più da sola, presenta occasionale incontinenza e la figlia deve provvedere anche al cambio d’abito).La figlia continua a partecipare 2-3 volte all’anno agli incontri distrettuali di gruppo di educazione terapeutica e di sostegno psico-emotivo,e occasionalmente riceveconsulenza personale.Ultimamente il distretto l’ha aiutata a preparare la domanda di aggravamento per l’invalidità civile;ha ottenuto l’indennità di accompagnamen-to, grazie alla quale ha assunto una“badante”,circa 5 ore al giorno per 5 giorni alla settimana,pagata grazie a questo beneficio e al contributo del fondo regionale (intotale circa 800 euro/mese). La figlia riesce così ad essere un po’ più libera per prendersi cura di sè e della propria famiglia, ad aver qualche momento di respiro.Giulia, dopo una resistenza iniziale, ha tratto grande beneficio dalla relazione con la “sua badante”; il suo tono dell’umore è cresciuto e ha accettato la propostadegli operatori del distretto, che volevano rafforzare la sua socializzazione, di inserirsi nel Centro Diurno Assistito distrettuale. Questo consente, tra l’altro, di“coprire” i due giorni della settimana“scoperti” dall’assenza della “badante”. La spesa è sostenuta grazie ad un ulteriore contributo economico collegato al bud-get di salute individuale distrettuale (pari circa a 140 euro/settimana, per la retta giornaliera e il servizio di trasporto).In prospettiva, la situazione sembra poter “tenere” e non sembrano probabili eventi imminenti in grado di alterare una situazione per ora stabilizzata.

L’integrazione sociosanitaria è indispensabile peraffrontare le persone con problemi complessi, cosìnumerose tra quelle in condizioni di NA e tali darichiedere risposte altrettanto complesse.A parte lostrumento della delega dei Comuni alle Aziendesanitarie, a nostro parere sono ancora insufficienti eimperfetti gli strumenti istituzionali per realizzarel’integrazione delle risorse delle due parti (sanita-ria e sociale). Uno degli aspetti fondamentali delprogetto sta nella definizione della mappa proble-mi-risorse e qui ci sembra interessante indicare pos-sibili approcci innovativi per fondere tra loro le ri-sorse di provenienza multi-istituzionale con quelledella persona, della famiglia, della comunità.

Se la metodologia del progetto personalizzato costi-tuisce la forma più avanzata di trasferimento nellapratica del riconoscimento della complessità, i tem-pi sono maturi per introdurre strumenti coerenti.L’idea è far convergere le risorse dell’ambito sa-nitario e sociale in un’unica “dote” sociosanitariadella persona, per congiungere ciò che anche lenorme identificano come prestazioni “indistin-guibilmente e inscindibilmente” legate (presta-zioni sanitarie a rilevanza sociale e sociali a rile-vanza sanitaria).Questo può avvenire sia a livello “macro-istitu-zionale” che “micro-individuale”.Il primo - livello macro - contempla l’opportuni-

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BOX 7 - PER ORIENTARSI: gli interventi dei comuni

Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata,hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro,un valore pari allo 0,42%del Pil nazionale. La spesa media pro capite è pari a 111 euro,ma le differenze territoriali sono significative: si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un mas-simo di 280 nella provincia autonoma diTrento.Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-Nord e la Sardegna,mentre il Sud (esclu-se le Isole) presenta i livelli più bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro).

Senza ripetere quanto ampiamente disponibile inletteratura, il racconto di come in un distretto si

possa vivere un caso ci sembra possa dare mag-giore incisività all’esposizione (box 8).

DISTRETTO, INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA, NONAUTOSUFFICIENZA

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BOX 9 - PER ORIENTARSI: le indennità di accompagnamento

1,2 milioni sono i cittadini che percepiscono l’indennità di accompagnamento (+58% dal 2004 al 2010;nel decennio precedente +20%).La copertura è pari al 12,5%.Nel complesso il numero dei pensionati per invalidità e assegni sociali ammonta, al 31 dicembre 2010, a 4 milioni 480mila. Si tratta di circa 2 milioni 115mila maschi e 2milioni 365mila femmine che vivono nel 15,9% dei casi nel Nord-Ovest,mentre il 19,9% risiede nel Nord-Est, il 21% nel Centro, il 28,9% nel Sud e il 13,7% nelle Isole.Per queste è impegnato oggi lo 0,56% del PIL (vs 0,49% per SSR, 0,13% per socioassistenziale) con un incremento + 0,14% negli ultimi 6 anni.Negli ultimi 10 anni la spesa è quasi raddoppiata (da 8 a 14 mil.€- valori arr.).Molti ritengono che, per le dimensioni raggiunte, non può più essere considerato strumento del tutto equo e di efficacia ottimale, rispetto all’investimento.

tà di creare un “Fondo nazionale sociosanitario”,“terza gamba” del sistema di welfare per la perso-na, da affiancare alle altre due,quella del fondo sa-nitario e del fondo sociale, da cui si dovrebberoestrarre quote da far confluire a questo scopo nelterzo fondo (ovviamente, ripartendolo tra le Re-gioni, secondo criteri nuovi di pesatura capitaria).Potrebbe consentire di superare le criticità delle“zone grigie” (di confine) delle prestazioni e com-petenze sanitarie/sociosanitarie o socioassistenzia-li, che spesso frenano o bloccano la realizzazionedelle risposte integrate per i problemi complessi.Il secondo,a livello micro,è mirato direttamente al-la persona con NA: si riferisce alla possibilità di co-stituire un “paniere” di risorse integrate persona-lizzate, di provenienza sanitaria e sociale, costituitoda servizi e, molto meno, da contributi economi-ci, che confluiscono nel “budget individuale di sa-lute“, in cui sono posti in equilibrio gli obiettivi disalute del programma personalizzato con le risor-se, correlate alle azioni per il raggiungimento di ta-li obiettivi in un dato arco temporale. Si tratta diagire a livello locale,molto decentrato, in prima ipo-tesi a livello di distretto/ambito.Azienda Sanitarialocale e Servizi Sociali dell’Ambito (Comune) tra-sferiscono alle unità decentrate (distretti,unità ope-rative zonali dei SSC) una quota delle loro dispo-nibilità attuali (e, in prospettiva, quelle future) sot-to forma di budget annuale specifico, su cui gli ope-ratori possono contare per una determinata seriedi interventi ad alta integrazione,mirati sui casi piùproblematici. L’impatto di una simile iniziativa sa-rebbe positivo per qualità e tempestività delle ri-sposte a favore delle persone con stati di NA ad ele-vata complessità, evitando agli operatori dispendiodi energie per negoziare “chi paga cosa”. Ciò da-rebbe immediato impulso evolutivo all’integrazio-

ne professionale e gestionale, in discendenza da in-novative modalità di integrazione istituzionale.In sintesi, rimandando ad altre trattazioni per alcuniapprofondimenti, questo “portafoglio congiunto” -in disponibilità al distretto/ambito - diviene lo stru-mento coerente con la mappa problemi-risorse col-locata al centro del programma individualizzato.An-cora, in questa ipotesi appare vincente il fatto che sistimola la ricerca di“soluzioni alternative sostitutivead isorisorse”, con responsabilità dei professionisti ariconvertire le risorse delle risposte ”tradizionali”(ades., spostando quelle impiegate per assicurare l’assi-stenza residenziale verso opzioni domiciliari,global-mente intese,sostitutive,di maggiore efficacia ed eco-nomicità), confezionando una sorta di “abito su mi-sura”, evoluzione avanzata dell’auspicata“umanizza-zione delle cure”.Ulteriore vantaggio è costituitodal fatto che in questo modo i contributi non sonopiù erogati alle strutture ma alle stesse persone assi-stite (leggi: non più finanziamenti standard a strut-ture o servizi, ad es. di tipo residenziale, bensì risor-se legate direttamente alla persona, soluzione moltopiù flessibile e meno soggetta a sprechi).Il budget di salute individualizzato così immagi-nato e agito valorizza un’altra risorsa molto im-portante, che va via via facendosi sempre più pre-sente nella NA: l’amministratore di sostegno, chepuò così partecipare più attivamente alla costru-zione del “paniere” e al monitoraggio del consu-mo di risorse e all’esito ottenuto.Infine, la pratica del budget di salute genera la diffu-sione della valutazione degli esiti; può contribuire arivedere le strategie di uso delle risorse, in primis lepratiche di assegnazione e utilizzo delle indennità diaccompagnamento,oggetto di ampia riconsiderazio-ne, che attualmente costituiscono il pilastro portan-te degli interventi pubblici per la NA (vedi box 9) .

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A nostro parere, per rafforzare questo istituto ne-gli aspetti di equità ed efficacia, oltre che di ef-ficienza, un’idea (con)vincente potrebbe esserequella di congiungere la visione medico-legale,propria delle commissioni per l’accertamentodell’invalidità civile, con quella, ad orientamen-to clinico-assistenziale, delle équipe multidisci-plinari (UVD,UMP, ecc.), in modo da ampliarela visione globale, le analisi di appropriatezza diassegnazione e uso, sostanzialmente con il finedi ricomporre un bilancio costi/benefici/equità.In altri termini, si tratta, a nostro avviso, di inse-rire questa indennità, indipendentemente dai cri-teri e vincoli per la sua assegnazione, nel pro-gramma personalizzato e in particolare tra le ri-sorse disponibili, monitorando costantementenel tempo i risultati ottenuti rispetto a quelliprogrammati.La proposta nasce dall’osservazione che nelle“commissioni invalidi” sono spesso presenti pro-fessionisti del territorio e dei distretti, taloramembri anche delle UVD/UMP, per cui, in pra-tica, si tratterebbe di fondere concretamente ledue modalità di lavoro in un’unica operatività.Il tutto dovrebbe essere connesso alla possibili-tà di rimodulare nel tempo il beneficio secon-do esigenze e andamento dell’attuazione del pro-getto individualizzato, quindi verso l’alto o ver-so il basso, in base allo sguardo congiunto versola persona dell’UVD/UMP, opzione che ci pa-re molto più sensata e giovevole di quella di sco-vare gli illeciti.Tutto questo naturalmente è inpalese contrasto con scelte che vanno nella di-rezione di accentuare i vincoli legali e burocra-tici del processo di valutazione ed attribuzionedel beneficio.Al termine di queste considerazioni sull’assisten-za domiciliare, residenziale e semiresidenziale, esi-genze di spazio consentono solamente di accen-nare al nodo dell’esternalizzazione di questi ser-vizi.

Premesso che nel campo della NA“c’è posto pertutti”, a nostro parere va riconosciuto lealmenteche la delega totale di produzione esterna di que-sti servizi da parte del pubblico NON ha porta-to MAI i frutti sperati, anzi ha presentato svaria-ti effetti sfavorevoli, purtroppo talora oggetto diclamorosi fatti ripresi dai media.Il pregiudizio che il settore pubblico comportiinevitabilmente costi maggiori e minore qualitànon è più sostenibile.Un giusto mix pubblico-privato, ben governatoda un ambito pubblico competente ed attento afissare più che subire, regole e tariffe, rappresentaa nostro parere la scelta migliore, il cui valore siaccresce quando i produttori appartengano adimprese no profit ed all’impresa sociale in parti-colare.La realizzazione di valide reti a sostegno delle per-sone e dei familiari richiede ingenti risorse e im-pegni, sinergie e collaborazioni multiple, che gua-dagna in efficacia ed efficienza se ben governatada regole chiare e da un’istituzione pubblica digaranzia.Quest’ultima, nella nostra convinzione,pensiamo debba essere il distretto.A ribadirne al-cune ulteriori ragioni, oltre a quelle più volteespresse:a) è l’unica organizzazione territoriale di sistemain cui può coesistere l’attenzione rivolta allapersona ed al care giver, sui quali va tarata l’of-ferta complessiva dei servizi, e al governo deisoggetti esterni, negli aspetti quantitativi e qua-litativi;

b) la sua azione, complessivamente intesa, ha giàsolide basi di riferimento culturale (basti pen-sare alla vasta letteratura della primary healthcare, della community care), legislative e nor-mative (nazionali e regionali);

c) si presenta come la prima struttura operati-va del mondo sanitario chiamata a favorirel’integrazione sociosanitaria ed intersetto-riale.

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IL DISTRETTO E L’EPIDEMIA DELLA NONAUTOSUFFICIENZA

BOX 10 - PER ORIENTARSI

Si stima che una diminuzione dell’incidenza della NA pari all’1% determini 190.000 casi in meno all’anno.

La NA è considerata da molti oggi un’“epide-mia”, termine per molti versi ovviamente im-proprio, ma utile per sottolineare la dimensionee il trend di frequenza in crescita del fenomeno,nonché per richiamare l’attenzione sulla necessi-tà di avviare azioni preventive volte a contrastar-ne o ritardarne la comparsa, non potendo il si-stema sostenere e accontentarsi delle sole “misu-re di contenimento” (interventi di cura e assi-stenza).Queste misure con finalità preventive possono ri-guardare vari aspetti del lavoro territoriale e di-strettuale.Uno, oggi trascurato, consiste nel mettere in cam-po maggiori iniziative volte a favorire l’invec-chiamento in buona salute e in attività: stili divita, comportamenti individuali e collettivi, cir-costanze e fattori ambientali rappresentano am-biti di intervento molto promettenti (si pensi adesempio a quanto si può/deve fare per la pre-venzione degli incidenti domestici e delle ca-

dute, che non richiede necessariamente l’im-piego di personale sanitario).Un secondo aspet-to, che va ulteriormente potenziato in quantoha già ben contribuito ai grandi successi dell’al-lungamento della vita e all’aumento degli anniliberi da disabilità, è quello di rafforzare le azio-ni mediche di provata efficacia su alcune causedeterminanti le condizioni di invalidità (bastipensare alle complicanze delle malattie cerebro-vascolari e ai trattamenti ipotensivi nella quartaetà, che hanno rovesciato il destino di moltissi-mi nostri anziani). Del tutto incerte, purtroppo,appaiono oggi le possibilità di prevenire la de-menza.Anche solo ritardare la comparsa delle manife-stazioni che generano perdita dell’autonomia sa-rebbe già un grande successo (vedi box 10).Il distretto, per la sua natura di struttura della com-munity care e titolare delle forze della della pri-mary health care potrebbe essere molto più co-involto nella realizzazione di questi obiettivi.

Chi opera nel distretto trova conferma ogni gior-no di quanto riportato in letteratura, ovvero os-serva che il peso della NA grava effettivamenteoggi in larghissima parte sulle famiglie, che nesopportano con preponderanza l’onere econo-mico, psico-emotivo, e anche fisico, e intervienequale anello di congiunzione concreto tra il mon-do del “dovere pubblico” e del “possibile priva-to”. Si ribadisce qui quanto più volte già affer-mato, ovvero che il primo riconoscimento di que-sto lavoro da parte delle Istituzioni pubbliche stanel sapere offrire servizi “forti”, pre-requisito perinvocare eventualmente maggiore solidarietà.Inoltre, noi pensiamo che al distretto dovrebbe es-sere affidata esplicitamente con urgenza questa fun-zione, riassumibile - con i limiti del metodo – nel-

lo slogan, iperbolico ma efficace:“la NA è un proble-ma della famiglia e come tale va affidato alle competenzedi chi delle famiglie è chiamato ad occuparsi: il distretto”.Sul campo, tocchiamo con mano gli aspetti urgentidella questione: la presenza di un’offerta di solu-zioni sempre carente, se non assente; l’enormitàdelle spese da sostenere, sempre più spesso incom-patibili con i redditi disponibili (calanti); la conci-liazione del tempo di cura ed i tempi e ritmi dellavoro (quando c’è). Capita sempre più spesso diessere consultati da care givers preoccupati del nonpoter evitare un calo di presenza al lavoro per as-sistere congiunti non autosufficienti.Ci accorgia-mo sempre più spesso che i familiari - per lo piùle donne - richiedono ai datori di lavoro contrat-ti part time o riduzione delle ore lavorative; le do-

RICONOSCERE IL LAVORO DELLE FAMIGLIE

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mande per il riconoscimento dell’invalidità civileincludono quasi sempre anche quella per ottene-re i benefici connessi alla legge 104, il cui impattoglobale tuttavia non è stato sufficientemente valu-tato e chiarito,ma che alcune stime ufficiose indi-cano come più oneroso addirittura dell’intero am-montare delle indennità di accompagnamento.In questi tempi di crisi osserviamo che cresce ilnumero di coloro che addirittura abbandonano illavoro, trovando meno penalizzante la perdita delsalario rispetto alle spese in un’assistenza privata.Non viene sufficientemente valorizzato il datoche i costi medi mensili di assistenza per una per-sona NA superano molto spesso i salari mensilimedi di vaste fasce di lavoratori.In tutto questo si inserisce il tema stringente, ac-cennato nell’introduzione, delle disuguaglianze.Sono crescenti nel Paese quelle legate alle dispari-tà territoriali di offerta di servizi; alla capacità di ri-sposta ai bisogni nei diversi strati sociali della po-polazione; alla povertà, in cui possono incorrere siagli stessi soggetti colpiti dalla NA che i familiari.In una visione di società solidale, tutto questo de-ve indurre a prendere in considerazione non tan-to“se”,ma“quanto” sia riconosciuto da parte del-

la comunità l’insieme di questi svantaggi,“come”cercare di ridurre queste disuguaglianze che in-terferiscono pesantemente con una vita dignito-sa. Si sottolinea il termine: comunità, non solocollettività, per aprire una porta alla considera-zione del ruolo “curativo di supporto” della co-munità, la quale, oltre a ragioni etico-valoriali,potrebbe trovare conveniente (a fini di riduzionedei costi collettivi) contribuire in prima personaall’affrontamento e gestione della “epidemia”.Un esempio per tutti di una modalità di partecipa-zione-condivisione è rappresentato dalla eventualediffusione della banca del tempo, in cui oltre al giànoto fenomeno dello“scambio”di servizi (prestazioniscambiate tra soggetti/famiglie), si potrebbe inserireuna formula di“accumulo di punti”equivalenti a di-ritti di accesso futuro a prestazioni, voucher o bene-fici. La partecipazione avverrebbe quindi in previ-sione di possibili situazioni analoghe che potrebberopresentarsi in futuro a chi oggi vuole impegnarsi acontribuire a rendere meno grama la vita altrui. Sipotrebbe definire quindi una“generosità interessata”,ma verosimilmente vantaggiosa per tutti.Tutto que-sto, a nostro parere,dovrebbe avvenire in stretto col-legamento con i distretti e gli ambiti.

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PENSARE OGGI AL FUTURO.

BOX 11 - PER ORIENTARSI: cosa suggerisce l’OCSE per il nostro futuro

Secondo l’Ocse tre sono le direttrici future nella long term care in Italia:1. sviluppo dei servizi e formazione;2. identificare meglio il target che percepisce le indennità di accompagnamento;3. adottare politiche per un welfare più ampio e per lo sviluppo degli interventi, con diffusione delle tecnologie di home care.

Occorre rivolgere uno sguardo più attento allepersone non autosufficienti con gli occhi dell’oggie anche del domani.Autorevoli organismi internazionali recentemen-

te hanno dedicato al tema interessanti contribu-ti. Se ne citano solamente alcuni passi di Oecd-Ocse nel box 11.

Verso la conclusione di questo articolo, rilancia-mo l’immagine di un “new deal per la non auto-sufficienza”, ovvero di uno sforzo eccezionale digenerosità, che può alimentare iniziative pubbli-che in tempi straordinari per costruire nuove in-frastrutture sociali volte a realizzare più solide re-

ti di attività formali e solidali, a congiungerle conquelle informali, evitando che si trasformino inreti di pietra, ragnatele o labirinti i cui nobili in-tenti si disperdono e producono, all’opposto, in-successi e situazioni controproducenti. Ne po-trebbe uscire una società non certo più povera,

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ma anzi più ricca, più pronta ad affrontare i de-cenni post 2030 i cui scenari nelle prospettive at-tuali sono ben più allarmanti di quelli tracciati,ad esempio, per gli aspetti demografici, econo-mici e previdenziali.Dato il tempo della crisi, un altro slogan di inci-tamento per uscire da una sorta di pensiero “uni-co” di sconfitta potrebbe essere:“senza guardarepiù tanto ai soldi, pensiamo ai soli”. In cui “soli” so-no certamente tutte le persone NA, e molti diquelli che con loro o attorno a loro vivono, av-vertendo il medesimo senso di solitudine.Dobbiamo infatti essere sempre più convinti chese è giusto affidare le nostre speranze ai rimedidella medicina, al progresso delle tecnologie,ma-gari anche all’espansione delle risorse disponibi-li in un futuro in cui lo sviluppo riprenderà, il ve-ro progresso nell’affrontare il delicatissimo temadella NA consiste nel riconoscere la costante cen-tralità del valore della persona non più autono-ma, unica posizione che ci può portare a consi-derare il futuro non come da temere, ma comedoverosamente da governare con un “ricamo”diinterventi che portano ricchezza a tutti, avvici-namento intergenerazionale e alleanze di reci-procità.Il distretto, nelle sue espressioni migliori, è ancheluogo di partecipazione delle comunità. Lo stes-so chronic care model, da molti preso a riferi-mento, espressamente prevede il contributo del-le comunità per la gestione delle malattie di lun-ga durata. Non è facile trovare toni e modi giu-sti per condividere queste convinzioni con altri.In questa fase di crisi economica occorre costruireanche su questi temi patti sociali e intergenera-zionali, giustamente oggi al centro dell’attenzio-ne dell’azione riformatrice del nuovo Governoin altri campi. Non possono essere solamente lepensioni a dover preoccupare le generazioni fu-ture, ma anche lo stato di salute, di indipenden-za e capacità di autosostentamento dei “proprivecchi”.Ciò che le persone non autosufficienti ei loro familiari attendono oggi dalle Istituzioni edalla Collettività è maggiore certezza dei diritti,

non maggiori espressioni di solidarietà collettiva.Se è certo che anche nello scenario più ottimistae prudente le esigenze e la domanda di servizi au-menteranno enormemente nel volgere di pochianni, noi tecnici non possiamo lasciarci travolge-re dall’impreparazione. È già accaduto in passato,con ripercussioni pesantemente negative, quan-do troppe domande non accolte hanno trovatorisposta nel mercato (basti pensare solo alle “casedi riposo” e alle c.d.“badanti”), che oggi riuscia-mo a governare poco e male. Possiamo pensarebene al presente solo guardando al futuro, per nonlasciare in eredità alle prossime generazioni (mol-to prossime!) un ulteriore fardello di difficoltà divita.In una prima fase, un soffio d’aria nuova potreb-be spirare verso il “new deal” anche senza incre-mentare l’attuale spesa. A riguardo, ci uniamosenz’altro a chi propone di procedere senza in-dugio (urgenza dettata proprio dal tempo di cri-si, che non consente rinvii o temporeggiamenti)alla riconversione delle ingenti risorse oggi già incampo,molto frammentate e disperse, spesso malimpiegate; alla loro redistribuzione e riallocazio-ne, in direzione di una maggiore equità ed effi-cacia, per ottenere da queste ultime anche mi-gliore efficienza (e non viceversa).Infatti, giova ricordare che se anziché dei soli co-sti ci preoccupassimo di valutare l’equilibrio co-sto/efficacia delle azioni troveremmo che nei ser-vizi alla persona la vera efficacia ed equità si as-socia invariabilmente alla buona efficienza (so-prattutto se si guarda lontano). Chi, come noi,opera nei distretti al servizio delle persone, in par-ticolare dei soggetti deboli, non può non essereconvinto che la massima attenzione di tutti vaconcentrata sull’esigenza indifferibile di realizza-re per le persone e i familiari più vulnerabili unavasta gamma di servizi a baricentro pubblico, for-temente decentrati nell’erogazione, gestione e va-lutazione, in cui diritti e doveri delle parti sianocondivisi e resi espliciti. Dall’attuale (straripantee per molti versi errata) preminente supremaziadell’erogazione di benefici monetari occorre pas-

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sare a buone pratiche innovative di servizi di gran-de prossimità,“leggeri” per oneri gestionali e “pe-santi” per le ricadute virtuose sulla qualità di vi-ta delle persone e dei familiari.Se tutto questo è avvertito non come retorica dibelle parole,ma opportunità vera di attuazione diazioni concrete da mettere in campo, non si puòevitare di decidere che occorre individuare un’or-ganismo-organizzazione-struttura-agenzia-ente-soggetto istituzionale pubblico cui affidare que-sto onere, che va assunto con convinzione, pas-sione e spirito di disciplina.Riunificare la frammentazione è il primo obiet-tivo di una nuova politica di interventi per la NA.Pensiamo di non essere di parte nel riaffermareche al distretto può essere affidato questo man-dato e il distretto può prendersene carico, con ri-gore per lo sviluppo. È già accaduto, sta accaden-do. Il nostro auspicio e la nostra richiesta è chepossa verificarsi in tutto il nostro Paese, in tuttele Regioni, in ogni territorio e comunità locale;sempre di più grazie alla valorizzazione del per-sonale e alla crescita delle loro competenze.Sostenere pertanto i distretti significa – a nostroavviso – rendere più probabile questo percorso.

Nel distretto, pensare al futuro della NA signifi-ca saper leggere il presente, con elevato spiritocritico e con robuste capacità operative.Chiudiamo con le parole del testo di presenta-zione dell’ultimo Forum sulla Non autosufficienzatenutosi nel mese di aprile a Bari, sotto il contri-buto e patrocinio di Agenas.“La solidarietà e l’equità nell’accesso alle cure, la par-tecipazione dei cittadini e la centralità dei bisogni del-le popolazioni, l’integrazione delle aree di assistenzaed infine la continuità assistenziale, mediante una vi-sione complessiva ed indirizzo delle persone nelle ade-guate sedi di cura-trattamento, sono i punti chiave peraffrontare il tema della non autosufficienza, in linea delresto con i contenuti della Dichiarazione di Alma-Ata,confermati e ripresi, di recente, da altri documenti del-l’Organizzazione Mondiale della Sanità (tra cui lacarta diTallinn del 2008 e il report “Primary HealthCare - Now MoreThan Ever” di Almaty, 2008).L’assistenza agli anziani non autosufficienti può esse-re adeguata ed appropriata solamente se per principiorispettosa della dignità e libertà dell’individuo.Vannocostruite reti, a baricentro territoriale, con esplicito man-dato di governo ad un’organizzazione unitaria, che og-gi appare poter essere preferibilmente il distretto.”

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EXECUTIVE SUMMARYLa ricercaAgenas svolta negli anni 2010-2012 nascedall’esigenza di misurare attraverso un approccio me-todologico rigoroso alcuni aspetti di qualità del pro-cesso assistenziale di presa in carico dei soggetti nonautosufficienti.L’aspetto più innovativo ha riguardato la metodolo-gia messa a punto attraverso l’utilizzo integrato, conprocedure di record linkage, dei dati amministratividerivanti da diversi flussi informativi NSIS, sia quellipiù tradizionali (flussi relativi alle schede di dimissio-ne ospedaliera e alle attività di pronto soccorso) sia dipiù recente attivazione afferenti al territorio (flussoSIAD sull’assistenza domiciliare e flusso FAR sull’as-sistenza residenziale e semiresidenziale).Il processo assistenziale è stato analizzato tenendo con-to delle sue fasi essenziali:1. accesso, tale fase intercetta il bisogno di assistenza econsiste nel primo accesso del soggetto nel siste-ma, a seguito della segnalazione proveniente da at-tivatori diversi (Mmg,dimissione protetta ospeda-liera, familiare, servizi sociali, ecc.) e nella decodi-fica della domanda dell’individuo stesso;

2. valutazione multidimensionale (VMD) dei bisogni assi-stenziali e creazione del Piano diAssistenza Individua-le (PAI), laVMD rappresenta un importante mo-mento di integrazione tra le necessità sociali e quel-le sanitarie,seguita dalla predisposizione di un PAI;

3. coordinamento attuativo, tale fase viene esplicitata in-dividuando ruoli (case manager) e meccanismioperativi (procedure organizzative e professionali,audit,ecc.) tra diversi operatori,e si occuperà di fa-cilitare l’implementazione e lo sviluppo del per-corso integrato di assistenza sociosanitario indivi-duato;

4. monitoraggio, questa fase è caratterizzata da inter-venti di valutazione periodica delle condizioni del-l’assistito, anche per una rimodulazione del pianodi assistenza.

La definizione di indicatori che misurassero i quattroambiti ha richiesto in particolare, una lettura criticadelle informazioni raccolte nei flussi ministeriali SIAD(assistenza domiciliare) e FAR (assistenza residenzia-le e semiresidenziale), alla luce dell’effettiva disponi-bilità del dato nelle regioni,tenendo conto che i sud-detti flussi sono stati approvati con Decreti Ministe-riali 17 dicembre 2008 e sono a regime dal 1° gen-naio 2012.La ricerca si è articolata in diverse fasi:� l’identificazione di un framework concettuale sulprocesso organizzativo di presa in carico per i sog-getti non autosufficienti,che si è fondato sulla revi-sione della letteratura scientifica;

� la definizione di un set di indicatori relativo alle di-verse fasi del processo organizzativo di presa in ca-rico per gli anziani con bisogno sociosanitario com-plesso;

� la costruzione degli algoritmi per l’identificazionedelle coorti degli assistiti e per il calcolo degli indi-catori;

� il calcolo degli indicatori nei contesti oggetto dellaricerca, alcuni dei quali prevedono lo svolgimentodi analisi multivariabili e procedure di standardizza-zione.Per poter monitorare il processo di presa in carico so-no stati identificati 36 indicatori, distribuiti tra i di-versi ambiti di misurazione, che riguardavano l’ac-cessibilità, la corrispondenza tra caratteristiche valu-tative e risposta erogata, l’erogazione del servizio e ilmonitoraggio.Tali indicatori sono stati discussi e con-

LA RICERCA AGENASValutazione dell’efficacia e dell’equità di modelli organizzativiterritoriali per l’accesso e la presa in carico di personecon bisogni sociosanitari complessi

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divisi dal gruppo di ricerca e ne sono infine stati se-lezionati 15,che hanno le caratteristiche di rilevanzae validità (face validity) e sono calcolabili anche nel-l’attuale fase di iniziale implementazione dei flussiSIAD e FAR.Il sistema di indicatori è stato applicato in via speri-mentale in 3Aziende sanitarie locali (Asl di Milano,Ulss 6Vicenza e Ulss 4 AltoVicentino-Thiene) e 2Società della Salute (SdS Fiorentina e SdS Pisana),ap-partenenti a 3 Regioni italiane (Lombardia,Toscana,Veneto). La popolazione osservata in queste realtà èquella dei residenti ultra64enni che accedono ai ser-vizi durante il periodo 1 luglio 2010 - 30 giugno2011,a seguito di una valutazione multidimensiona-le con esito di bisogno sociosanitario complesso.Il progetto mette pertanto a disposizione dei deciso-ri e degli operatori della rete dei servizi uno stru-mento in grado di:�descrivere le modalità con cui la domanda di assi-stenza della popolazione anziana incontra la rispo-sta fornita dai servizi a propria disposizione (in con-tinuità assistenziale con l’ospedale, tramite medicodi famiglia o assistente sociale, tramite la rete fami-liare, ecc.); descrivere il livello di copertura di que-sto bisogno da parte dell’offerta, secondo le diversetipologie di presa in carico (residenziale, semiresi-denziale o domiciliare) e,di conseguenza,una stimadel bisogno inevaso o che ha trovato risposta tra-mite altri canali (propri o privati);

�valutare se l’esito della valutazione multidimensio-nale trova conferma nel piano assistenziale indivi-duale in termini di appropriatezza e risorse impie-gate;

�misurare il tempo intercorso per la presa in carico,dalla valutazionemultidimensionale all’effettiva ero-gazione del servizio (ammissione in RSA o presta-zione domiciliare);

�valutare l’effetto protettivo del processo di presa incarico nel ridurre il ricorso ai servizi ospedalieri ogli accessi impropri al pronto soccorso,da parte de-gli anziani durante il periodo di cura.La proposta che emerge dalla ricerca e ne costituisceil valore principale è rappresentata dal frameworkme-todologico che è stato costruito in forma condivisa

con tre regioni, accomunate da una tradizione posi-tiva di rilevazione dei dati con valenza informativadei fenomeni sociosanitari,mentre sono differenzia-te nei modelli organizzativi di long term care.È utile ricordare che finora abbiamo avuto a dispo-sizione solo alcune informazioni di tipo descrittivosul dato di offerta in assistenza domiciliare integratae in assistenza residenziale (es. 448.641 persone an-ziane inADI/anno 2009;con 19 ore medie annue diassistenza).Con l’utilizzo dei nuovi flussi, seppur im-plementati in forma graduale e differenziata nelle re-gioni invece,è possibile cominciare a conoscere emi-surare il livello di gravità del paziente e diversi altriaspetti che possono essere utili per la programmazio-ne, l’organizzazione,il monitoraggio e il governo deipercorsi.Tali flussi solo ora si misurano sulla capacitàdi cogliere gli elementi essenziali di un sistema di cu-re e assistenza molto diversificato.L’ottica è quindi quella di raccogliere progressiva-mente e secondo una logica di “processo” le infor-mazioni relative ai contatti del singolo individuo coni diversi nodi della rete di offerta del Servizio sanita-rio nazionale e rendere disponibile, a livello sia na-zionale sia regionale,un patrimonio condiviso di da-ti, centrato sull’assistito.Questa idea è stata perseguita con un lavoro puntua-le e critico, volto a evidenziare spunti di migliora-mento ed elementi di incertezza su cui riflettere.Neè risultato un sistema di monitoraggio che consentedi identificare in maniera rigorosa e valorizzare inmodo condiviso i punti in comune nelle tre regionicoinvolte rispetto ad ognuna delle fasi fondamentalidel processo di presa in carico (segnalazione-accesso;valutazione multidimensionale-piano individuale diassistenza-coordinamento attuativo e monitoraggio-rivalutazione).Questi strumenti di misurazione del processo assi-stenziale intendono apportare un contributo al lavo-ro già in essere presso diversiTavoli istituzionali, de-dicati sia allo sviluppo dei flussi informativi sia al mo-nitoraggio dell’erogazione dei livelli essenziali di as-sistenza nel nostro Paese,con un’attenzione specificaal corretto equilibrio tra attività e risorse assegnate alLea ospedaliero e al Lea territoriale.

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Il presente testo è stato redatto da ModestaVisca,Francesco Profili,Bruno Federico,Gianfranco Da-miani, Paolo Francesconi, Paolo Fortuna,AnnaMaria Maestroni,Mariadonata Bellentani con lacollaborazione del gruppo della ricerca

Una delle sfide dei sistemi sanitari del mondo in-dustrializzato consiste nel garantire assistenza in-tegrata, efficace e appropriata per la presa in ca-rico di persone con bisogno sociosanitario com-plesso.L’Organizzazione mondiale della sanità e la Co-munità Europea sostengono l’adozione di stra-tegie volte ad assicurare l’accesso all’assistenzaper tutti, un elevato grado di qualità e la soste-nibilità finanziaria del sistema e, inoltre, la va-lorizzazione del ruolo della famiglia e della co-munità nell’ambito delle politiche di long termcare.In Italia il fenomeno coinvolge circa tre milionidi persone, tre quarti dei quali sono anziani incondizioni di non autosufficienza parziale o to-tale ed è un problema che caratterizza lo scena-rio attuale e del prossimo futuro, come eviden-ziato dalle proiezioni Istat, 20111.Inoltre, in base alle analisi svolte attraverso un si-stema di indicatori socio-economici, negli ultimitempi la popolazione anziana è interessata da im-portanti segnali di indebolimento delle condi-zioni sociali2.In sostanza, anche a fronte dei forti processi dicrisi che a partire dal 2008 hanno interessato il

nostro Paese, le fasce d’età anziane sembrano di-stinguersi per un sensibile peggioramento dellecondizioni di vita e per la crescita dei fenomenidi esclusione sociale. Particolarmente critico ap-pare lo scenario attuale, che presenta equilibri ge-nerazionali inconsueti in quanto il sostegno pri-mario viene fornito ancora oggi dalle famiglie;attualmente i familiari chiamati ad assumere lafunzione di caregiver di anziani non autosuffi-cienti, per l’allungamento generale della vita me-dia, possono essere figli adulti-anziani di genito-ri “grandi-anziani”.Le politiche esistenti a livello nazionale e regio-nale affermano da anni la necessità che il sistemadi welfare si riorganizzi sostanzialmente, dal pun-to di visto programmatorio e operativo, tramiteservizi specifici di supporto, di guida, di informa-zione per la persona non autosufficiente e la suafamiglia.In diverse regioni italiane sono stati recentemen-te sviluppati alcuni modelli organizzativi con loscopo di facilitare l’accesso ai servizi territorialidi persone con bisogni sociosanitari complessi edi garantirne la continuità nell’assistenza. Il Pun-to Unico d’Accesso o la Porta Sanitaria di Ac-cesso alla rete dei servizi territoriali, le Unità ter-ritoriali di assistenza primaria, sono esempi di spe-rimentazioni condotte in alcune regioni (ad esem-pio FriuliVenezia Giulia, Puglia,Toscana,Veneto,Sardegna). L’obiettivo è mettere a punto servizidi cure a lungo termine, per affrontare non solole problematiche strettamente sanitarie,ma anche

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1 Istat: Il futuro demografico del paese. Previsioni regionali della popolazione residente al 2065. 28 Dicembre 2011.2 45° Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese.Anno 2011.

LA RICERCA AGENASLa presa in carico degli anziani non autosufficienti

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le difficoltà nello svolgimento delle normali atti-vità della vita quotidiana.Si sottolinea la dimensione di percorso, perchéspesso l’autonomia psicofisica non si perde al-l’improvviso; tuttavia, la rete dei servizi pare far-si carico dei tratti conclusivi del percorso di per-dita dell’autosufficienza, quando cioè la crisi del-la rete informale di sostegno dell’anziano è ormaidivenuta totale e permanente e la famiglia non èpiù in grado di sostenere, da sola, la funzione dicaregiver.Rispetto al sistema dell’offerta, inoltre,sia nelle politiche sociali degli attori pubblici eprivati, sia nelle culture professionali delle figurecoinvolte, si è progressivamente diffusa e raffor-zata una convinzione che sia necessario predi-sporre un ventaglio di servizi corrispondente aidiversi gradi di non autonomia e ai diversi biso-gni di supporto, privilegiando quanto più possi-bile la cura nel luogo abituale di vita della perso-na, per ricorrere al ricovero definitivo in struttu-ra residenziale come ultima istanza. Mantenerel’anziano a casa propria, rispettando il suo biso-gno di identità, di appartenenza, di salvaguardiadel suo ambiente domestico, di relazione, di sod-disfazione dei bisogni legati all’esistenza quoti-diana, compresi quelli sanitari, sostenendo la fa-miglia in modo sistematico, è probabilmente l’u-nica via perseguibile per coniugare etica ed eco-nomia e per passare dalle enunciazioni di princi-pio alla pratica.La programmazione sanitaria nazionale sostieneda tempo (dal Psn 1998-2000 fino al Psn 2006-2008 e alla proposta di Psn 2011-2013) la sceltadi garantire, per quanto possibile, alla persona nonautosufficiente di rimanere nel proprio contestodi vita. L’assistenza a domicilio sembra soprattut-to rispondere a un obiettivo di diversa qualità deiservizi, profondamente innovativo, collegato a unsistema di valori che pongono la persona al cen-tro dei servizi.La regia di questi sistemi, tuttavia, non sempre èben delineata ed emerge di frequente una diffi-coltà nell’accesso ai servizi sanitari territoriali, contardivo riconoscimento dei bisogni di salute in-

dividuali. Ugualmente problematiche sono le fa-si di individuazione del processo assistenziale piùappropriato per rispondere ai bisogni di salutedell’individuo e del coordinamento organizzati-vo di tale processo.Nell’obiettivo di migliorare l’efficacia e la quali-tà dell’assistenza è condivisa l’opportunità di orien-tarsi verso i sistemi che prevedano l’organizza-zione del lavoro in team multidisciplinari e mul-tiprofessionali, che siano organizzati sul percorsoassistenziale del paziente e centrati sui principi diun’assistenza complessiva e integrata, che valo-rizzino in particolare il monitoraggio dei proces-si e i risultati delle attività in un’ottica di traspa-renza e responsabilizzazione.La letteratura internazionale ha dimostrato che isistemi così sviluppati hanno dato risultati inco-raggianti in termini di riduzione di ospedalizza-zione o utilizzo del pronto soccorso; manteni-mento del livello funzionale e cognitivo, riduzio-ne dei costi, maggiore soddisfazione del pazien-te (Béland, 2011).Per ottenere risultati efficaci ed efficienti, con-siderando quanto le risorse a disposizione sianolimitate, è necessario comprendere i bisogni dicoloro che ricevono i servizi socio-sanitari, qua-le requisito fondamentale per il processo deci-sionale di allocazione delle risorse stesse. In par-ticolare, è necessario considerare che gli anzia-ni hanno bisogno di risposte molto flessibili edifferenziate in un percorso assistenziale indivi-dualizzato, che tenga conto della loro diversitàe specificità.Risulta necessario e inderogabile il ricorso tantoalla funzione di programmazione quale strumen-to per governare, per decidere, per gestire il siste-ma sanitario ai vari livelli istituzionali, quanto al-la funzione di monitoraggio attraverso un siste-ma unico riproducibile di indicatori che controllie verifichi i risultati in termini di produzione disalute, salvaguardando in tal modo la garanzia del-la tutela della salute dei cittadini, l’uniformità edequità di accesso ai servizi che ne consegue.Ad oggi mancano sistemi informativi consoli-

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dati e banche dati sistematizzate sul territorio,quando invece un sistema informativo organiz-zato è un supporto indispensabile, per la valuta-zione qualitativa dell’attività erogata. Per tali fi-nalità oltre all’esistenza di una base dati occorreche i dati siano affidabili, vi siano report accu-rati, definizioni standardizzate, una metodica dimisura comune e informazioni riguardanti va-riabili di struttura.A livello nazionale vi sono passi importanti ver-so una più approfondita conoscenza del territo-rio, che è segnata dal passaggio dai modelli di ri-levazione tradizionali, basati su fattori produttivi,organizzazione e attività a livello aggregato (adesempio FLS 21 su guardia medica, farmaceuticaconvenzionata,ADI, assistenza programmata; STS24 su assistenza sanitaria semiresidenziale e resi-denziale) ai nuovi flussi informativi del territoriodel Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS),tra cui:�assistenza residenziale e semiresidenziale (flussoFAR,D.M. 17/12/2008);

�assistenza domiciliare (flusso SIAD, D.M.17/12/2008);

� sistema informativo nazionale delle dipendenze(SIND,D.M. 11/06/2010);

� sistema informativo della salute mentale (SISM,D.M. 15/10/2010);

�prestazioni farmaceutiche in distribuzione di-retta (D.M. 31/07/2007);

� flusso informativo sull’hospice (D.M.06/06/2012).Questi flussi hanno in comune l’ottica di rac-cogliere progressivamente e secondo una logicadi “percorso” le informazioni relative ai contat-ti del singolo individuo con i diversi nodi dellarete di offerta del Ssn e rendere disponibile, a li-vello sia nazionale sia regionale, un patrimoniocondiviso di dati, centrato sull’assistito.Obietti-vo generale è quello di migliorare l’accesso allecure e la loro qualità ponendo l’assistito al cen-tro del sistema, incrementando conseguente-mente l’efficienza e l’efficacia dell’assistenza sa-nitaria.Da diversi rapporti in materia, sappiamo tutta-

via che il sistema dei servizi territoriali è spes-so ancora “fragile”, soprattutto rispetto alle cu-re domiciliari e ben poco conosciuto, malgra-do emerga unanimemente la necessità di testi-moniare quanto si sta facendo, per darne contoai cittadini, valorizzare l’impegno quotidiano ditanti operatori e rilevare le criticità per con-sentire il miglioramento. Sono ben pochi anchei parametri di riferimento nel sistema sociosa-nitario territoriale. Il Patto per la salute 2010-2012 prevedeva l’adozione di un atto di pro-grammazione integrata in materia di organiz-zazione domiciliare e residenziale; tuttora ema-nato solo da alcune Regioni al loro interno.Ri-mane il riferimento previsto dal Quadro Stra-tegico Nazionale 2007-2013, tra gli “Obiettividi Servizio” per le Regioni del Mezzogiorno:entro il 2013 raggiungere una percentuale dianziani trattati in ADI rispetto al totale della po-polazione anziana (65 anni e oltre) pari al 3,5%(Codice S.06). Oltre a questo target, per tene-re conto del fatto che l’aumento della popola-zione assistita va accompagnato anche da un in-cremento dell’intensità delle prestazioni eroga-te allo scopo di migliorare la qualità del servi-zio offerto, è previsto che l’incidenza della spe-sa per l’assistenza domiciliare integrata risulti al-meno pari a quella dell’anno considerato comebaseline (a partire dal 2008) dal meccanismo ge-nerale.In questo quadro complesso, che si muove a li-vello nazionale tramite un insieme di Gruppi dilavoro eTavoli di raffronto,monitoraggio e veri-fica degli impegni assunti per garantire l’eroga-zione dei livelli essenziali di assistenza e il rispet-to dell’equilibrio economico-finanziario, si puòinserire anche la ricerca-pilota Agenas qui pre-sentata, che ha cominciato a lavorare, con tre Re-gioni, su questo patrimonio informativo per co-noscere il processo assistenziale della persona an-ziana non autosufficiente.Il progetto costituisce un ulteriore sviluppo diuna linea di ricerca in tema di primary health ca-re (Guzzanti, 1985) sviluppato da tempo daAge-

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nas con diversi progetti, alcuni dei quali3 avevanoevidenziato diverse criticità in materia di presa incarico dei soggetti anziani non autosufficienti edi assistenza domiciliare, tra cui:�discontinuità del processo di presa in carico dal-la prima segnalazione del bisogno alla defini-zione e realizzazione degli interventi necessari;

�mancata periodica rivalutazione del caso e delgrado di disabilità oltre che dell’efficacia degliinterventi;

� frequente mancanza di un approccio multidi-mensionale e di integrazione socio-sanitaria;

�estrema differenziazione nelle risorse dedicatetra le regioni.Il progetto è stato inserito nell’ambito del pro-gramma di ricerca autofinanziatoAgenas nell’an-no 2010, con il titolo “Valutazione dell’efficacia edell’equità di modelli organizzativi territoriali per l’ac-cesso e la presa in carico di persone con bisogni sociosa-nitari complessi”, poi sintetizzato in“Progetto P.I.C.- Presa In Carico”.A tale progetto hanno partecipato tre Regioni

italiane (Lombardia,Veneto,Toscana) e altre Uni-tà operative, quali l’Istituto di Igiene dell’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore, l’Ars Toscana,il Dipartimento di Scienze Motorie e della Salu-te dell’Università di Cassino. La durata è di 18mesi e il progetto è stato realizzato nel periodo 1settembre 2010-1 marzo 2012.Ai lavori del progetto si sono uniti anche alcuni rap-presentanti del Ministero della salute - DirezioneNSIS - che hanno accolto favorevolmente l’oppor-tunità di condividere riflessioni su questa materia edi raccordare attività e studi che si stanno svolgen-do in diversi ambiti.Va, infatti, rilevato che il Mini-stero della salute sta lavorando alla costruzione di in-dicatori di supporto alle analisi e ai confronti rela-tivi alle performance sanitarie ed economiche-ge-stionali nell’ambito del Ssn, al fine di supportare ilmonitoraggio del bilanciamento Lea-costi.

OBIETTIVO DELLA RICERCAL’obiettivo generale della ricerca è stato definiree sperimentare un sistema di indicatori per mo-

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3 • Studio preliminare sul problema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti e Progetto ASSI-Assistenza per gli anziani non autosufficienti in Italia (2002-2004);• “La condizione dell’anziano non autosufficiente.Analisi comparativa delle attuali forme di tutela e delle potenziali prospettive” (2004-05);• “Rilevazione delle tipologie di assistenza sociosanitaria agli anziani non autosufficienti e sperimentazione di un sistema di rilevazione dei costi commisurato alla valutazione della non autosufficienza e alla condizione sociale” 2007-08;

• Studio sui Fondi per la non autosufficienza nelle Regioni 2009-2010.

GRUPPODELLARICERCAIl progetto è stato elaborato da Agenasnell’ambito del proprio programma di ricercaautofinanziata 2010 e svolto nell’arco di 18 mesi.

Coordinatore scientifico:Mariadonata Bellentani, sezione OrganizzazioneServizi Sanitari (OSS),Agenas.

Project Manager:ModestaVisca, sezione OSS,Agenas([email protected]).

Hanno partecipato le Regioni:ARSToscana, Lombardia,Veneto;e le Università:Università Cattolica del SacroCuore di Roma eUniversità di Cassino.

Gruppo di lavoro:Vanda Bacci,GianfrancoDamiani,EricaFalaschi,Bruno Federico,Paolo Fortuna,PaoloFrancesconi,Fabiola Ganucci,Andrea Iacopini,AnnaMariaMaestroni,AntonioMatteazzi,Francesco Profili,Matilde Razzanelli,TaddeoMauro,Maria ConcettaVerdina.

I contributi inerenti le strategie dellaLongTermCare regionali (Allegato 1)sonoa curadi:• Regione Lombardia:AnnaMariaMaestroni1,Rosella Petrali2;

1 Asl di Milano,Dipartimento Programmazione,Acquisto e Controllo,Direttore SC ControlliAreaSocio Sanitaria.2 Regione Lombardia,Direzione GeneraleAssessorato Famiglia,Conciliazione, Integrazione eSolidarietà Sociale,DirettoreVicario.

• RegioneToscana:MatildeRazzanelli1,EricaFalschi2,FabiolaGanucci3,Andrea Iacopini4,VandaBacci5,MarcoGiuntini6,Sabrina Biondi7,Sara Fagni8,GiuseppeCecchi9;

1,2 Osservatorio di Epidemiologia,settoreEpidemiologia dei servizi sociosanitarie dei percorsi assistenzialiAgenzia Regionaledi Sanità dellaToscana.3 Osservatorio sociosanitario SdS Firenze.4 Sistemi Informativi NonAutosufficienza,Sociale eSanitàTerritoriale per le SdS di Pisa,Pontedera,Volterra,Usl 5 di Pisa.5 Sistema Informativo eTecnologie Informatiche(settore sociosanitario),RegioneToscana.

6 Ufficio Programmazione Saff SdS Zona Pisana.7 Ufficio Coordinamento Servizi SociosanitariZona Pisana.8 Unità Funzionale Assistenza SocialeTerritorialeZona Pisana.9 Società della Salute - Zona Pisana Azienda,Usl 5 di Pisa.

• RegioneVeneto:AntonioMatteazzi1,TaddeoMauro1,Paolo Fortuna1.

1 Direzione dei servizi sociali,Ulss 6 diVicenza.

Review board:NerinaDirindin,MarcoTrabucchi,GianfrancoDamiani,MimmaCosentino,Paolo Francesconi.

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nitorare il processo organizzativo di presa in ca-rico di persone di età pari o superiore a 65 annicon bisogno sociosanitario complesso, ossia di per-sone anziane con condizione di non autosuffi-cienza4 rilevata da una valutazione multidimen-sionale5, attraverso l’utilizzo integrato di flussi in-formativi correnti afferenti al Nuovo Sistema In-formativo Sanitario (NSIS), da quelli più tradi-zionali e consolidati (scheda di dimissione ospe-daliera - SDO, pronto soccorso - PS) a quelli dipiù recente attivazione, in particolare il flusso del-l’assistenza domiciliare (SIAD) e il flusso dell’as-sistenza residenziale e semiresidenziale (FAR).

IL PROCESSO ORGANIZZATIVO DI PRESAIN CARICO DEGLI ANZIANI CONBISOGNO SOCIO SANITARIOCOMPLESSO DA PARTE DEL SISTEMA DIREGOLAMENTAZIONE: DEFINIZIONELa presa in carico dell’anziano non autosufficienterichiede la convinta adesione a un approccio glo-bale, indispensabile per migliorare la qualità di vi-ta e ridurre il rischio di disabilità o di progres-sione della stessa verso i gradi più avanzati.La promozione della continuità assistenziale, losviluppo della dimensione territoriale, l’attenzio-ne per l’integrazione, rappresentano ormai lineedi tendenza obbligate per il miglioramento deglioutcome delle politiche sanitarie pubbliche. Lacapacità del sistema di garantire una effettiva pre-sa in carico integrata, a fronte di una domanda diassistenza caratterizzata dalla crescita della com-plessità e delle legittime aspettative individuali, hauno dei suoi snodi nel ribaltamento culturale eoperativo del punto di vista attraverso il quale sicostruiscono i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali.Tale punto di vista non può che es-

sere basato sui bisogni, e quindi sulla domanda,piuttosto che sull’offerta, al di fuori di ogni logi-ca meramente prestazionale. I sistemi sanitari so-no chiamati ad assicurare risposte alla richiestacrescente di qualità e tale richiesta trova la sua ori-gine nella necessità di garantire efficienza e so-stenibilità dei sistemi, ma anche nell’accresciutoe sempre più esigente bisogno dei cittadini di ri-sposte efficaci, di presa in carico effettiva, di at-tenzione per la qualità della vita.L’ospedale, che rappresenta tuttora la principalestruttura sanitaria di riferimento, oltre a non es-sere stato concepito e realizzato, a livello archi-tettonico, organizzativo e funzionale, per acco-gliere questa tipologia di pazienti, si trova in unafase di progressiva modificazione del proprio ruo-lo, sempre più orientato verso la cura dell’acuziee verso gli interventi diagnostico-terapeutici adalta tecnologia,mentre è scarsamente proteso ver-so pazienti con necessità di cura a lungo terminee/o ad elevata complessità clinico-gestionale.Perciò sulla base di esperienze positive compiutein altri paesi si può affermare che la risposta piùappropriata alle problematiche assistenziali lega-te alla cronicità, disabilità e fragilità sia rappre-sentata dalla realizzazione di un “sistema” in gra-do di garantire risposte tempestive ed efficaci aibisogni complessi, sia sanitari sia sociali, molte-plici e mutevoli nel tempo, attraverso un model-lo di presa in carico del paziente solido,ma al tem-po stesso flessibile, che faccia da ponte tra l’ospe-dale e il territorio, che favorisca l’integrazione so-cio-sanitaria a tutti i livelli di assistenza.Quindi si parla di una nuova concettualizzazionedel sistema di garanzia della salute come “rete diservizi”, dove le componenti sociali e sanitariedell’assistenza sono strettamente correlate, ovve-

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4 Si definisce non autosufficiente il soggetto che non è in grado di svolgere una o più attività della vita quotidiana -ADL (Activities of Daily Living) senza essere aiutato. Le ADL ov-vero le attività della vita quotidiana corrispondono all’autonomia nel camminare, salire le scale, chinarsi, coricarsi, sedersi, vestirsi, lavarsi, fare il bagno, mangiare (OECD, 2007).

5 La valutazione multidimensionale è una parte fondamentale del processo di presa in carico globale della persona e si configura come un’operazione dinamica e continua che se-gue il soggetto non autosufficiente nel suo percorso dentro la rete dei servizi sociosanitari e ne rappresenta nel tempo l’evoluzione. Si tratta del momento valutativo che esplo-ra le diverse dimensioni della persona nella sua globalità, ovvero la dimensione clinica, la dimensione funzionale, la dimensione cognitiva, la situazione socio-relazionale-ambienta-le. La finalità dellaVMD è la seguente: esplora in maniera sistematica le diverse dimensioni della persona sulle diverse problematiche; assicura maggiore appropriatezza ai succes-sivi interventi di cura e riabilitazione; predispone al coordinamento e all’integrazione tra interventi di carattere sanitario e interventi sociali nei confronti della persona inseritanella rete dei servizi sociosanitari per i soggetti non autosufficienti; predispone alla individuazione della tipologia di servizio, struttura e intervento più appropriati a fronteggiarele esigenze della persona non autosufficiente; pone le condizioni per definire il progetto personalizzato. (Glossario integrazione socio sanitaria Siquas-Agenas)

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ro un circuito assistenziale che accompagni l’e-volversi dei bisogni dell’anziano e della sua fami-glia, fornendo interventi diversificati,ma in con-tinuità tra di loro. Per gli anziani fragili e non au-tosufficienti, piuttosto che interventi specifici esettoriali, è indispensabile prevedere dei percorsidi assistenza che garantiscano l’effettiva presa incarico globale, attraverso l’attivazione e il realefunzionamento di tutta la rete dei servizi socio-sanitari, con particolare attenzione all’efficienzanon solo di ciascun servizio, ma anche dei mec-canismi di collegamento.Il processo organizzativo di presa in carico deglianziani con bisogno sociosanitario complesso do-vrebbe prevedere lo sviluppo di quattro macro fa-si, strategiche per ottenere la migliore risposta intermini di salute da parte della persona interessa-ta: l’accesso al sistema, la valutazione multidi-mensionale dei bisogni assistenziali e la predispo-sizione del Piano di Assistenza Individuale, il co-ordinamento attuativo con azione di case mana-gement e infine il monitoraggio e rivalutazione.�La prima fase prende avvio con la segnalazionedel bisogno, da parte della persona, dei suoi fa-miliari o degli operatori sanitari o sociali; con-siste nella rilevazione del bisogno e nella deco-difica della domanda. Gli operatori coinvolti inquesta fase possono essere un infermiere e/o unassistente sociale e/o un amministrativo, che, invia personale, telematica o per telefono, si preoc-cupano della registrazione del caso, con la com-pilazione di una scheda di contatto e una primaanalisi del bisogno. Il paziente riceve le primeinformazioni in merito alla rete dei servizi dis-ponibile per il suo caso ed è orientato per le fa-si successive.

�Nella seconda fase si attiva una valutazione mul-tidimensionale del bisogno dell’assistito.Questapuò rappresentare un primo momento di inte-grazione tra le necessità sociali e quelle sanita-rie.Tale valutazione può essere condotta secon-do due modalità: strutturale o funzionale. Nelprimo caso è prevista la presenza di un’unità de-dicata alla ricomposizione delle varie dimensio-

ni del bisogno di salute, definite da vari profes-sionisti (in diverse regioni italiane nota comeUnità diValutazione Multidimensionale). La se-conda modalità prevede, invece, l’attivazione diprocedure di valutazione multidimensionale di-rettamente nelle sedi di erogazione o attraversol’azione del medico di medicina generale.A seguito dell’analisi multidimensionale è pro-dotto un Piano di Assistenza Individuale (PAI)personalizzato e centrato sul bisogno sanitario esociosanitario del soggetto.

�La terza fase prevede l’attivazione di meccani-smi di integrazione, facilitazione e coordina-mento, indispensabili per la concreta realizza-zione del PAI e per una effettiva continuità as-sistenziale. Il processo organizzativo deve pre-vedere il collegamento funzionale degli eroga-tori e dei professionisti coinvolti nel processo as-sistenziale.I principali meccanismi di integrazione sonorappresentati da: analisi dei fabbisogni e delle ri-sorse disponibili; contratti sostenibili con eroga-tori funzionali al soddisfacimento dei bisogni;attivazione di programmi inseriti in una logicadi lungo-assistenza, che tenga anche conto dieventuali necessità di assistenza intermedia (di-scharge planning; standardizzazione della forma-zione dei professionisti coinvolti; standardizza-zione delle regole professionali attraverso auditclinici e applicazione delle logiche della Evi-dence Based Medicine all’interno di percorsidiagnostico-terapeutico-assistenziali).Un momento importante è l’individuazione diuna funzione di case manager per il singolo as-sistito (Kanter 1989), che si occuperà di facili-tare l’implementazione e lo sviluppo del per-corso di assistenza socio-sanitario individuato. Ilcase manager è spesso un infermiere che seguetutta la parte organizzativa e facilita i contattidella persona assistita con gli operatori e con lestrutture organizzative di riferimento.

�La quarta fase prevede la rivalutazione – a livel-lo individuale – delle condizioni di salute dellapersona assistita, attraverso l’intervento di pro-

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TABELLA 1 - Le quattro fasi del processo di presa in carico dell’anziano non autosufficiente da parte del sistema sanitario

Fasi1.Accesso:• Intercettazione del bisogno/accesso

• Decodifica iniziale del bisogno di assistenza

2.Valutazione Multidimensionale del bisogno eproduzione di un PianoAssistenziale Individuale

3.Coordinamento attuativo tra erogatori e azione dicase management

4.Monitoraggio e rivalutazione

Chi

Infermieri/Operatori sanitari di Assistenza e/oAssi-stenti sociali e/oAmministrativi.Può avvenire in via personale, telematica o per tele-fono.

• Modalità strutturale:presenza di una unità dedicata allaricomposizione delle varie dimensioni del bisogno.

• Modalità funzionale: procedure di valutazione mul-tidimensionale nelle sedi di erogazione.

Case Manager; clinici; professionisti della salute estrutture sanitarie coinvolte.

Professionisti sanitari specificamente individuati perquesta funzione (Mmg;Geriatra; Infermiere etc.).

Attività• registrazione del caso con la compilazione di unascheda di contatto;

• prioritarizzazione del bisogno: prima analisi del bi-sogno;

• informazione e orientamento del paziente alle fasisuccessive.

• valutazione multidimensionale;• definizione del PAI.

• individuazione del Case Manager;Coordinamento,gestito dal Case Manager, rivolto a clinici e a strut-ture di riferimento;

• definizione di meccanismi di coordinamento per ilcollegamento funzionale degli erogatori e dei pro-fessionisti coinvolti al fine di realizzare interventiintegrati sull’intera popolazione bersaglio.

• valutazione delle condizioni di salute dell’assistito;• valutazione a livello di sistema per la verifica el’indirizzo della continuità assistenziale.

fessionisti sanitari e sociali specificamente iden-tificati per questa funzione (Mmg, geriatra, in-fermiere, assistente sociale, ecc.) e la valutazio-ne – a livello di sistema – dell’effettiva attiva-zione della continuità assistenziale (valutazionedei programmi di committenza; valutazione del-la formazione dei professionisti coinvolti; valu-tazione del grado di attivazione dei percorsi dia-gnostico terapeutici assistenziali sulla popola-zione assistita).Le quattro fasi del processo organizzativo di pre-sa in carico istituzionale sono sinteticamente rap-presentate nella tabella 1.

METODIInizialmente il gruppo di ricerca ha condiviso al-cune definizioni operative riguardanti l’assisten-za domiciliare integrata e l’assistenza residenzia-le e semiresidenziale, tenendo conto dei decretiministeriali dei flussi informativi6 e di altri docu-menti programmatori di riferimento (vedi Box1).Tali definizioni non sono ovvie, infatti sonoben note le diversità presenti nei modelli regio-nali per quanto concerne l’“assistenza domicilia-

re integrata” e le diverse tipologie di assistenza re-sidenziale, nonostante lo sforzo di razionalizza-zione operato dal Programma Mattoni del Ssn eda successivi documenti della Commissione Lea.Si fa riferimento, in particolare, al documento del-l’ottobre 2006 sulla caratterizzazione delle curedomiciliari e al documento del 2007 con le ca-tegorie di residenze riprese poi nel flusso infor-mativo FAR (categorie R1,R2,R2D,R3, SR1,SR2).Va evidenziata la scelta di fondo della ricerca, cheha inteso rilevare l’ADI erogata direttamente dal-le aziende sanitarie locali tramite servizi pubbli-ci e privati accreditati. A tale definizione si ri-conducono anche i casi di erogazione dei servi-zi ADI da parte di strutture pubbliche e privateaccreditate, alle quali il cittadino si rivolge a se-guito di attribuzione di un credit o un voucherdi tipo sociosanitario.Non si prendono in consi-derazione, nella ricerca, i sostegni di tipo econo-mico, quali gli assegni di cura, le indennità di ac-compagnamento, che non sono oggetto della ri-levazione dei flussi ministeriali considerati. L’ap-porto di tipo sociale, familiare o professionale, è

6 D.M. 17 dicembre 2008.

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stato misurato in alcuni indicatori, nei limiti stret-tissimi considerati dai flussi SIAD e FAR.

Fonte dei datiFonte dei dati sono alcuni dei flussi amministra-

tivi correnti: SDO (schede di dimissione ospeda-liera), PS (pronto soccorso), FAR (prestazioni re-sidenziali e semiresidenziali) e SIAD (monitorag-gio dell’assistenza domiciliare). In aggiunta le re-gioni hanno fornito un codice identificativo uni-

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BOX 1 - Definizione assistenza domiciliare integrata e assistenza residenziale

Le cure domiciliari rilevate dal flusso SIAD rilevano la parte più strettamente sanitaria dell’assistenza domiciliare con alcuni elementi dell’area socio-assistenziale.Essasi incardina sulla famiglia (tenuta alla cura,alla custodia e alla fornitura degli alimenti),sui servizi sociali (domiciliari,economici e residenziali),sulla rete vicinale e sulvolontariato,che nel loro insieme costituiscono la rete socio-assistenziale.Pertanto all’assistenza sanitaria possono concorrere anche la famiglia,l’assistenza privata apagamento e altri componenti della rete socio-assistenziale (ad esempio:Operatori Socio-Sanitari del Comune o del Distretto).Il flusso informativo SIAD rileva il complesso integrato di interventi,procedure e attività sanitarie e socio-sanitarie erogate in forma programmata da operatoriafferenti al Ssn a persone assistite presso il proprio domicilio in coerenza con il decreto attuativo del suddetto sistema,di cui al D.M.17 dicembre 2008,pubblicato inGazzetta Ufficiale n.6 del 9 gennaio 2009 (Da:Specifiche Funzionali dei tracciati SIAD,dicembre 2011,eMattone 13 -Assistenza primaria e prestazioni domiciliaripubblicato sul sito internet www.nsis.salute.gov.it).Il flusso,previsto come obbligatorio a partire dal 1°gennaio 2012 quale requisito vincolante per l’accesso ai fondi del finanziamento integrativo a carico dello Stato,ingenerale è finalizzato a:- dare conto dei problemi di salute e assistenza a soggetti in regime domiciliare,compresi i malati in cure palliative;- iniziare amisurare l’integrazione socio-sanitaria attraverso l’inserimento di alcuni elementi (es.presenza del supporto sociale);- documentare l’attività dellaVMDeffettuate dai servizi distrettuali o da altri organismi secondo imodelli regionali - la valutazione dell’assistito in cure domiciliari è unadelle principali innovazioni del flusso,che va a rendere conto non soltanto di“quanto” si è fatto nel periodo di competenza,ma anche del“perché” lo si è fatto.

ADIL’assistenza domiciliare integrata è la forma di assistenza domiciliare che richiede diverse competenze professionali sanitarie e sociali al fine di rispondere ad unbisogno complesso di persone,in condizioni di non autosufficienza parziale o totale e che necessitano di un’assistenza continuativa di tipo sociosanitario.Lo scopoègarantire l’assistenzapresso il domicilio dell’assistitoo,per favorire le dimissioni,completare trattamenti complessi eseguiti inospedaleo in struttura residenziale.Si realizza tramite l’erogazione coordinata e continuativa di diverse prestazioni tra loro integrate,sia sanitarie (medica,infermieristica,riabilitativa) sia socio-assistenziali (cura della persona,fornitura dei pasti,cure domestiche) al domicilio,da parte di diverse figure professionali.La responsabilità clinica è attribuita al medico dimedicina generale e la sede organizzativa è nel distretto.L’attivazione dell’ADI richiede una volta intercettato ilbisogno,la valutazionemultidimensionale e la definizione di un piano personalizzato di assistenza,con individuazione degli obiettivi di cura e dei tempi di recupero,delle tipologie di intervento e della frequenza degli accessi.La valutazione è effettuata con diversi professionisti:Mmg,infermiere,terapista della riabilitazione,assistente sociale,specialista di riferimento dell’azienda sanitaria e,se necessario,lo psicologo.

Assistenza residenziale e semiresidenzialeL’assistenza residenziale e semiresidenziale è definita come l’insieme di interventi,procedure e attività sanitarie e sociosanitarie erogate a persone non autosufficientie non assistibili a domicilio,in condizioni di cronicità e/o relativa stabilizzazione delle condizioni cliniche,all’interno di idonee strutture“accreditate” per la specificafunzione.Per unità d’offerta accreditata si intende un’unità organizzativa di risposta assistenziale di carattere residenziale e/o semiresidenziale.

Il flussoFARIl flusso FARmonitora l’assistenza residenziale e semiresidenziale.Le informazioni rilevate sono riconducibili principalmente a:• dati anagrafici dell’assistito;• contenuti informativi associati alle strutture erogatrici e alla tipologia di prestazioni erogate;• dati relativi all’ammissione e alla dimissione dell’assistito dalla singola struttura;• valutazione;• conclusione dell’assistenza.Le prestazioni in assistenza residenziale e semiresidenziale sono state raggruppate in tipologie omogenee per livelli assistenziali,malgrado non tutte le regionirispettino la classificazioneministeriale condivisa dal ProgammaMattoni - Mattone 12 e sancita nel DM17 dicembre 2008.

CodiceTipologie di Prestazioni residenziali e semiresidenziali per persone anziane (flusso FAR)R1Trattamenti erogati in Unità d’offerta Residenziali intensive a persone non autosufficienti ad alto grado di intensità assistenziale,essenziale per il supporto allefunzioni vitali e in particolare:ventilazionemeccanica,ossigenoterapia continua,nutrizione enterale o parenterale protratta,trattamenti specialistici ad alto impegno(riferiti a persone in condizione di stato vegetativo o coma prolungato,persone con gravi insufficienze respiratorie,persone terminali ecc.).R2Trattamenti erogati in Unità d’offerta Residenziali a persone non autosufficienti con elevata necessità di tutela sanitaria:curemediche e infermieristiche quotidiane,trattamenti di recupero funzionale,somministrazione di terapie e.v.,nutrizione enterale,lesioni da decubito profonde,ecc.).R2DTrattamentierogatiapersonecondemenzasenilenelle fasi incui ildisturbomnesicoèassociatoadisturbidelcomportamentoe/odell’affettività (Unitàd’offertaResidenziali).R3Trattamenti erogati in Unità d’offerta Residenziali di lungoassistenza e dimantenimento,anche di tipo riabilitativo,erogate a persone non autosufficienti con bassanecessità di tutela sanitaria (Unità d’offerta Residenziali di Mantenimento).SR1Trattamenti Semiresidenziali - trattamenti di riabilitazione e dimantenimento per anziani erogati in Unità d’offerta o in centri diurni.SR2Trattamenti Semiresidenziali Demenze - trattamenti di cure estensive per persone con demenza senile che richiedono trattamenti di carattere riabilitativo,riorientamento e tutela personale erogate in Unità d’offerta o in centri diurni.

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voco anonimo a livello regionale e la data di se-gnalazione del bisogno assistenziale da parte del-l’utente (non prevista nei tracciati ministerialiFAR e SIAD,ma raccolta in sede regionale). L’i-dentificativo univoco è la chiave di linkage uti-lizzata per collegare le informazioni dell’utentecontenute nei diversi flussi.La richiesta dati ai referenti regionali del proget-to è avvenuta specificando i criteri di estrazionerecord per ogni flusso (tabella 2).Sono state, inoltre, create tre variabili, identifica-te dal Gruppo della ricerca, sulla base di oppor-tuni algoritmi che tengono conto degli assi fon-damentali della valutazione del bisogno (autono-mia, aspetti cognitivi, disturbi del comportamen-to, supporto sociale, mobilità) presenti nei flussiSIAD e FAR. Le tre variabili sono�asse funzionale: proxy della condizione motorio-funzionale dell’anziano;l’asse funzionale, determinato dalla combina-zione del profilo autonomia funzionale e delgrado di mobilità, è stato definito sommando ivalori ottenuti dalle due variabili (1 = lieve, 2 =moderato, 3 = grave) e classificando la variabi-le su tre livelli (lieve: punteggio 2-3, moderato:punteggio 4, grave: punteggio 5-6);

�asse sanitario: proxy della condizione sanitariadell’anziano;

l’asse sanitario si basa su tre livelli di gravità cre-scente ed è stato determinato sulla base di un al-goritmo che considera tre variabili: assistenza in-fermieristica, potenziale riabilitativo e preven-zione trattamento da decubiti (si veda Allegato2 in coda alla ricerca);

�Charlson Index7: indice di comorbilità dell’an-ziano;l’Indice di Charlson è un indice sintetico di co-morbilità, che assume valori 0 (nessuna comor-bilità), 1 (bassa comorbilità), 2 (comorbilità gra-ve); si calcola applicando un algoritmo alle dia-gnosi (primarie e secondarie) da dimissione ospe-daliera ricavate da tutti i ricoveri effettuati dalsoggetto in un dato periodo di tempo (tre anniprecedenti alla data di rilevazione dell’Indice diCharlson).Sono state, inoltre, raccolte informazioni della po-polazione ultra sessantaquattrenne residente neiterritori oggetto dell’indagine.Al termine di queste operazioni è stato creato ununico database a livello centrale.

Definizione delle patologie targetLa popolazione target è costituita dai residentiultra sessantaquattrenni con esito di bisogno so-cio-sanitario complesso a seguito della valuta-zione multidimensionale, presi in carico in assi-

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TABELLA 2 - Campi richiesti per ogni flusso

FlussoFAR

SIAD

SDO

PS

Dati aggiuntivi

Selezione01/07/2010 ≤ Data dimissione ≤ 30/06/2011 o datadimissione non valorizzata01/07/2010 ≤ Data conclusione presa in carico ≤30/06/2011 o data conclusione presa in carico nonvalorizzata30/06/2007 ≤ Data dimissione ≤ 01/10/2011

01/04/2010 ≤ Data accesso ≤ 01/10/2011

EstrazioneTutto il tracciato record

Tutto il tracciato record

Data ammissioneData dimissioneReparto ammissioneReparto dimissioneDiagnosi di dimissione principaleDiagnosi di dimissione secondarieDRGData accessoCodice triageIdentificativo univocoData segnalazione

7 D’HooreW, Sicotte C,Tilquin C, 1993: Risk adjustment in outcome assessment: the Charlson comorbidity index. Methods of Information in Medicine [1993, 32(5):382-7].

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stenza residenziale/semiresidenziale o assistenzadomiciliare integrata, in data antecedente al 1luglio 2011.Per alcuni indicatori l’analisi è limitata ai sogget-ti presi in carico in data compresa nel periodo diriferimento (1 luglio 2010 - 30 giugno 2011),mentre per altri indicatori sono stati presi in esa-me tutti coloro per i quali viene rilevato almenoun giorno di presa in carico durante il periododi riferimento, anche se la presa in carico è stataantecedente al 1 luglio 2010.

Processo di definizione degli indicatoriLa scelta degli indicatori è stata effettuata tenen-do conto prioritariamente della loro fruibilità intermini di scelte programmatorie e dalla dispo-nibilità dei dati dei flussi informativi.In generale, i criteri qualitativi che hanno guida-to la definizione degli indicatori sono�Rilevanza: livello di soddisfazione dei bisogniconoscitivi reali da parte dell’informazione sta-tistica.

�Accuratezza: capacità dell’informazione statisti-ca di descrivere correttamente i fenomeni. Puòessere inficiata da-elevata percentuale di missing;-disomogeneità nella codifiche adottate.

�Tempestività: tempo che intercorre tra il verifi-carsi dell’evento e la disponibilità del dato;

� Interpretabilità: facilità di interpretazione degliesiti. Può essere coadiuvata dalla disponibilità diinformazioni supplementari e/o metadati.

�Continuità: disponibilità dell’informazione sta-tistica senza interruzioni temporali.

Il set di indicatori è stato definito seguendo ideal-mente il processo organizzativo di Presa In Cari-co (PIC) da parte del sistema di regolamentazio-ne (tabella 3).Definiti gli indicatori, alcuni sono stati in segui-to scartati a causa della scarsa qualità del dato.Le cause principali che hanno determinato que-sta scelta sono state le seguenti:�nel processo di presa in carico regionale non èprevista azione e, di conseguenza, il relativocampo del flusso non è valorizzato sistemati-camente;

� i dati presenti nei flussi informativi non descri-vono accuratamente l’attività erogata, a causa diproblematiche organizzative legate all’inseri-mento dati o della scarsa tempestività nella dis-ponibilità del dato;

�elevata percentuale di dati mancanti nella com-pilazione del campo.Il periodo di riferimento per il calcolo dell’indi-catore va dal 1° luglio 2010 al 30 giugno 2011.

Disponibilità dei dati nelle RegioniLa tabelle che seguono mostrano, per area geo-grafica indagata e per ambito assistenziale (assi-stenza domiciliare integrata e assistenza residen-ziale/semiresidenziale) l’effettiva disponibilità, nelperiodo di riferimento, dei dati derivanti dai flus-si informativi SIAD e FAR utili a monitorare lefasi di presa in carico [+ dati disponibili; - datinon disponibili; + (dati aggiuntivi) indica che leinformazioni sono ricavate da dati aggiuntivi re-gionali/aziendali].

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TABELLA 3 - Ambiti di misurazione per la definizione del set di indicatori

Fasi del processo di Presa In Carico (PIC)AccessoValutazione multidimensionale e PianoAssistenza IndividualeCoordinamento attuativo e azione di case managementMonitoraggio e rivalutazione

Ambiti di misurazioneAccessibilitàCorrispondenza tra caratteristiche valutative e servizi erogatiErogazione del servizioRivalutazione

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Assistenza domiciliare integrata - anziani (≥ 65)NB: i dati tra parentesi in neretto si riferiscono ai nomi campo del tracciato del flusso ministeriale

Macrofase 1:ACCESSOMicrofase 1a) segnalazione

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data - + (dati aggiuntivi ) + (dati aggiuntivi)chi segnala (presa in carico/soggetto richiedente) + + +servizio richiesto - - -Note microfase 1a): Il cittadino o chi per lui segnala un bisogno (cittadino/familiare - ospedale - Mmg - sociale). La Lombardia non ha i dati aggiuntivi

Microfase 1b) prima lettura del bisogno e attivazione percorso valutativoAsl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentino

e Pisa e UlssVicenzadata attivazione percorso valutativo(presa in carico/data) + (data di primo accesso) + (data segnalazione 1a) + (data segnalazione 1a)Note microfase 1b):Tale fase è svolta da chi riceve la segnalazione (Punto insieme in Toscana - Mmg in Lombardia - Mmg, ass. sociale, distretto in Veneto); si valuta se il bisogno è semplice ocomplesso, si decide se attivare il percorso

Macrofase 2:VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE E PIANIFICAZIONEMicrofase 2a) valutazione multidimensionale

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data di valutazione (valutazione/data) + + +dati valutativi (valutazione/patologia/disturbi/ alimentazione/trattamenti riab/…. tutti dati valutativi) + + +Dati valutativi aggiuntivi Intensità assistenziale Intensità assistenza tutelare Intensità assistenziale(sono stati utilizzati del profilo di cura (livello isogravità) del profilo di curaper la validazione di algoritmiper la definizione del profilo di livelliassistenziali sulla base di dati comuni)Note Microfase 2a): La data della valutazione è la data della seduta collegiale conclusiva della UVM (in Lombardia corrisponde al primo accesso al domicilio)

Macrofase 4:MONITORAGGIO E RIVALUTAZIONEMicrofase 4a) rivalutazione

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data di rivalutazione(rivalutazione/data) + + +motivo(rivalutazione/motivo) + + +dati valutativi (valutazione/confermaprecedente/ nuovi dati valutativi) + + +

Microfase 4b) sospensioneAsl Milano* Sds Firenze UlssAltoVicentino

e Pisa e UlssVicenzadata inizio (data inizio) + + +data fine (data fine) + + +Motivo (motivo) + + +

Microfase 4c): conclusioneAsl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentino

e Pisa e UlssVicenzaMotivo (conclusione / motivazione) + + +data conclusione + + +dati valutativi (in caso di dimissione da vivo) + +

*Note microfase 4b) La Lombardia registra la sospensione solo per ricovero ospedaliero < 16 gg

Macrofase 3:COORDINAMENTOATTUATIVOTRA EROGATORI EAZIONE DI CASE MANAGEMENTMicrofase 3a) erogazione dei servizi

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

dati di erogazione(erogazione: + + +• Dati obbligatori: (dati obbligatori (solo dati (eccetto “numerodata accesso/tipo operatore e facoltativi) obbligatori) e tipo prestazioni”)• Dati facoltativi:numero accessi/tipo prestazioni/numero prestazioni)

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Algoritmi di calcolo degli indicatoriPer ogni indicatore sono stati definiti gli op-portuni numeratori, denominatori, var iabi-li dipendenti o indipendenti, tramite speci-fici algoritmi di calcolo. Alcuni algoritmi si

basano su linkage tra le informazioni dei va-ri flussi.Ai fini del calcolo degli indicatori I1, I1 bis, I1 tersi è proceduto, in primo luogo, all’identificazio-ne dei non autosufficienti nei dati multiscopo8.In tale indagine il soggetto è classificato come non

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Assistenza residenziale e semiresidenziale - anziani (≥ 65)NB: i dati tra parentesi in neretto si riferiscono ai nomi campo del tracciato del flusso ministeriale

Macrofase 1:ACCESSOMicrofase 1a) segnalazione

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data - + (dati aggiuntivi ) + (dati aggiuntivi)chi segnala (richiesta inserimento/ iniziativa) + + +servizio richiesto - - -provenienza(ammissione/tipo struttura provenienza) + + +Note microfase 1a): Il cittadino o chi per lui segnala un bisogno (cittadino - ospedale - Mmg - sociale…). La Lombardia non ha i dati aggiuntivi

Microfase 1b) prima lettura del bisogno e attivazione percorso valutativoAsl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentino

e Pisa e UlssVicenzadata attivazione percorso valutativo + (data di ammissione) + (data segnalazione 1a) + (data segnalazione 1a)Note microfase 1b): tale fase è svolta da chi riceve la segnalazione (Punto insieme in Toscana - Mmg in Lombardia - Mmg, ass. sociale, distretto in Veneto); si valuta se il bisogno è semplice ocomplesso, si decide se attivare il percorso

Macrofase 2:VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE E PIANIFICAZIONEMicrofase 2a) valutazione multidimensionale

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data di valutazione (valutazione/data) + + +dati valutativi (valutazione/dati valutativi) + + +motivazione (richiesta inserimento/motivazione (vedi tracciato 1)) + + +Note microfase 2a): La data della valutazione è la data della seduta collegiale conclusiva della UVM

Macrofase 4:MONITORAGGIO E RIVALUTAZIONEMicrofase 4a) rivalutazione

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

data di rivalutazione (valutazione/datase tipo valutazione = rivalutazione (2/3)) + + +motivo (rivalutazione/tipo) + + +dati valutativi (rivalutazione/nuovi dati valutativi) + + +

Microfase 4b) conclusione dimissioneAsl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentino

e Pisa e UlssVicenzadata di dimissione (dimissione/data) + + +motivo (dimissione/tipologia) + + +

Macrofase 3:COORDINAMENTOATTUATIVOTRA EROGATORI EAZIONE DI CASE MANAGEMENTMicrofase 3a) erogazione dei servizi

Asl Milano Sds Firenze UlssAltoVicentinoe Pisa e UlssVicenza

erogatore (codiceAsl/codice struttura) + + +data ammissione (ammissione/data) + + +tipologia prestazione (prestazione/tipo) + + +tariffa prestazione + + +data dimissione (dimissione/data) + + +motivo (dimissione/tipologia) + + +

segue da pag. 154

8 Istat 2007: Indagine 2004-2005 Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari Anno 2005.http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070302_00/testointegrale.pdf

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autosufficiente se presenta la modalità “solo conl’aiuto di qualcuno” in almeno uno dei seguentiitem:�può mettersi e alzarsi da letto da solo;�può sedersi e alzarsi da una sedia da solo;�può vestirsi e spogliarsi da solo;�può lavarsi le mani e il viso da solo;�può mangiare da solo, anche tagliando il cibo dasolo.Altresì sono considerati non autosufficienti tutticoloro che hanno risposto“Sì” all’item:“Costrettosempre a letto anche disponendo dell’aiuto diqualcuno per alzarsi” (indipendentemente dallerisposte fornite agli altri item).Una volta classificati i soggetti non autosufficienti,ai fini del calcolo della prevalenza attesa, sono sta-te calcolate le prevalenze strato-specifiche (età egenere) di non autosufficienza sui dati multisco-po.Tali prevalenze sono state applicate alla strut-tura per età e genere regionale ottenendo il nu-mero dei soggetti prevalenti attesi.Per il calcolo dell’incidenza attesa i soggetti nonautosufficienti prevalenti attesi sono divisi per lestime di sopravvivenza della non autosufficienzada letteratura (2,9 anni per gli uomini e 5 anniper le donne)9.Per ogni indicatore è stato definito il dominio, ladefinizione, il significato e le modalità di calcolo,

ecc. come riportato a titolo esemplificativo in ta-bella 4.

Il calcolo degli indicatoriGli indicatori possono essere definiti secondoquattro macro-categorie.

RapportoDefinito un numeratore e un denominatore, laformula di calcolo prevede il rapporto numera-tore/denominatore. In alcuni casi il risultato èespresso con un coefficiente moltiplicativo per-centuale.

TassoSi tratta di un rapporto (numeratore/denom-inatore) nel quale il denominatore misura anchela componente temporale legata all’esposizione.Quindi al denominatore non si trova la sempli-ce sommatoria dei soggetti, ma la sommatoriadei periodi di esposizione di ogni soggetto (tem-po-persona). Nel nostro caso il denominatore èrappresentato dalla somma delle giornate di pre-sa in carico effettuate da ogni anziano. Il coeffi-ciente moltiplicativo del tasso può essere espres-so in giorni-persona, mesi-persona o anni-per-sona.Sia per il tasso sia per il rapporto, la standardiz-

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TABELLA 4 - Esempio di scheda indicatore

Nomedell’indicatoreDescrive il dominio del processo di presa in carico nel quale si inserisce l’indicatoreDescrive l’indicatore, i casi definiti e come questi si combinano tra loro tramite l’algoritmo di calcoloIndividua ciò che l’indicatore intende misurare e la sua interpretabilitàRiporta l’algoritmo di selezione dei casi che costituiscono il numeratore (o la variabile dipendente)

Riporta l’algoritmo di selezione dei casi che costituiscono il denominatore (o la variabile indipendente)

Riporta la formula di calcolo dell’indicatore, che indica come si combinano tra loro numeratore e denominatore (o variabile dipendentee indipendente)Indica le eventuali variabili per le quali l’indicatore è standardizzato o aggiustato

Fonte del datoRiporta osservazioni derivanti dal calcolo e le peculiarità delle aree di studio

Id IndicatoreDominioDefinizioneSignificatoNumeratore(oVariabiledipendente)Denominatore(oVariabileindipendente)Formulamatematica

Standardizzazione(o aggiustamenti)FontiNote

9 Keeler E., Guralnik J. M.,Tian H.,Wallace R. B., Reuben D. B., 2010.The Impact of Functional Status on Life Expectancy in Older Persons. J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2010 July;65(7): 727-733.

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zazione per altre variabili presuppone l’applica-zione dei tassi/rapporti strato-specifici regionaliad una struttura strato-specifica standard, co-mune alle tre Regioni.Tramite la standardizza-zione il confronto tra regioni non risentirà piùdell’effetto delle variabili per le quali si è stan-dardizzato.

Indice di correlazioneSi valuta la correlazione tra due variabili, dellequali almeno una è di tipo quantitativo. La misu-ra utilizzata è il coefficiente di correlazione diSpearman.Valori prossimi allo 0 indicano un’as-senza di correlazione tra le due variabili; valorivicini a +1 una forte correlazione positiva; valo-ri vicini a -1 una forte correlazione negativa.Adesempio alcuni degli indicatori valutano quantoil profilo valutativo è correlato con la tipologiadel processo di presa in carico.Oltre alla stima puntuale, l’indice ha o meno unasignificatività statistica (individuata da un valoredel p<0.05 nelle tabelle dei risultati), in assenzadella quale la correlazione tra le due variabili puòdirsi casuale, non vera.In alcuni casi l’indice è stato aggiustato per altrevariabili, ottenendo così una misura di correla-zione che non risente dell’effetto di queste ulti-me.In sede di presentazione dei risultati, viene sem-pre inserita una tabella descrittiva dei diversi va-lori della variabile dipendente per ogni modalità(livello) di quella indipendente.

Indice di associazione (Odds Ratio)Si valuta l’associazione tra due variabili, entram-be di tipo qualitativo. La variabile dipendente èsempre di tipo binomiale, presenta cioè due solemodalità (ad esempio Sì/No).L’Odds Ratio varia tra 0 e + ∞, il valore 1 indi-ca assenza di associazione tra le due variabili, unvalore <1 indica che al variare della variabileindipendente diminuisce la probabilità che lavariabile dipendente assuma la modalità indivi-duata come “caso”, un valore >1 viceversa in-

dica un aumento in questa probabilità. Natu-ralmente valori crescenti indicano associazionipiù forti.L’esempio tipico del nostro studio è quello in cuisi desidera misurare la variazione nella probabili-tà che l’anziano sia inserito in un percorso (adesempio residenziale vs domiciliare) all’aggravar-si (o al miglioramento) di una dimensione valu-tativa (ad es. livello di mobilità o presenza di re-te sociale).L’Odds Ratio aggiustato, calcolato tramite model-lo di regressione logistica, fornisce una misura del-l’associazione in studio priva del possibile effettoconfondente di altre variabili. L’intervallo di con-fidenza (IC) è calcolato al 95%.Anche l’Odds Ratio, in sede di presentazione deirisultati, è sempre accompagnato da una tabelladescrittiva, che riassume come si combinano traloro le modalità della variabile dipendente e in-dipendente.

RISULTATILa popolazione oggetto di studio risulta distri-buita in territori diversi: di tipo metropolitanoper la Asl di Milano e la Società della Salute diFirenze, prevalentemente urbano per la Societàdella Salute Pisana e per la Ulss diVicenza, di ti-po extraurbano per l’Ulss Alto-Vicentino (ta-bella 5).Gli anziani ultra sessantaquattrenni rappresenta-no il 17% circa nelle UlssVenete, il 26,8% nellaSocietà della Salute di Firenze, il 24,3% nella So-cietà della salute Pisana e il 23,4% nella Asl di Mi-lano (tabella 5).Nel periodo di riferimento, sono stati identifica-ti 7.759 record nei flussi FAR e SIAD, corri-spondenti a 7.237 persone prese in carico di età≥65 anni e residenti nelle realtà locali delle tre re-gioni coinvolte. Il 47% dei soggetti ha una età ≥85anni e il 65% circa sono donne.Nel flusso FAR i soggetti con età ≥85 anni so-no il 53,0% con valori che oscillano dal 42,5%nelle Ulss Venete al 56,3% della Asl di Milano(tabella 6). In tutte le realtà studiate le donne

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hanno un’età media superiore a quella degliuomini.Nel flusso SIAD i soggetti con età ≥85 anni so-no il 39,9% con valori che variano dal 24,9% nel-

le UlssVenete al 49,1% delle Società della SaluteToscane (tabella 7). Come per il flusso FAR intutte le realtà studiate le donne hanno un’età me-dia superiore a quella degli uomini.

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TABELLA 5 - Informazioni demografiche

Area di studioAsl Milano SdS Firenze SdS Pisa UlssAltoVicentino UlssVicenza

Distretti 7 1 1 2 4Popolazione totale dellaAsl/SdS 1.593.400 368.901 195.473 188.265 318.436Popolazione >64 anni nellaAsl/SdS 372.782 98.861 47.414 32.573 54.378% Popolazione > 64 anni dellaAsl/SdSsul totale della popolazione della Regione 18,9 8,2 3,9 3,3 5,6% Popolazione > 64 anni nellaAsl/SdS 23,4 26,8 24,3 17,3 17,1

Distribuzione (%) della Popolazione >64 anni delleAsl/SdS nelle diverse tipologie di territorioArea di studio

Asl Milano SdS Firenze SdS Pisa UlssAltoVicentino UlssVicenzaArea Metropolitana 100 100 0 0 0Area Urbana 0 0 94,5 36,0 36,3Area Extraurbana 0 0 5,5 47,3 63,7Area Montana 0 0 0 16,8 0

TABELLA 7 - Distribuzione per età e genere dei nuovi assistiti in domiciliare, nel periodo di riferimento - flusso SIAD

SIADArea di studio Genere N 65-74 75-84 85+

% % %Asl Milano M 1.253 20,7 45,7 33,6

F 1.545 14,4 40,4 45,2TOT 2.798 17,3 42,7 40,0

SdS Firenze-SdS Pisa M 147 17,0 39,5 43,5F 295 10,8 37,3 51,9

TOT 442 12,9 38,0 49,1Ulss AltoVicentino – UlssVicenza M 151 31,1 47,0 21,9

F 146 32,2 39,7 28,1TOT 297 31,7 43,4 24,9

Totale M 1.551 21,4 45,2 33,4F 1.986 15,2 39,8 45,0

TOT 3.537 17,9 42,2 39,9

TABELLA 6 - Distribuzione per età e genere dei nuovi assistiti in strutture residenziali e semiresidenzialinel periodo di riferimento - flusso FAR

FARArea di studio Genere N 65-74 75-84 85+

% % %Asl Milano M 876 12,1 42,7 45,2

F 2.255 6,1 33,3 60,6TOT 3.131 7,8 35,9 56,3

SdS Firenze-SdS Pisa M 47 21,3 31,9 46,8F 121 10,7 37,2 52,1

TOT 168 13,7 35,7 50,6UlssAltoVicentino - UlssVicenza M 280 20,0 53,6 26,4

F 643 9,5 41,0 49,5TOT 923 12,7 44,8 42,5

Totale M 1.203 14,3 44,8 40,9F 3.019 7,1 35,0 57,9

TOT 4.222 9,1 37,9 53,0

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TABELLA 8 - Distribuzione per tipologia di assistenza dei nuovi assistiti in domiciliare e residenziale/semiresidenziale nelperiodo di riferimento per percorso - Flusso SIAD e FAR

Flusso SIAD e FARArea di studio R1 R2 R2D R3 SR1 SR2 ADI TotaleAsl Milano 0,9 % 51,5 % 0,3 % - - - 47,2 % 5.929SdS Firenze - SdS Pisa - - 0,3 % 25,4 % 0,7 % 1,1 % 72,5 % 610UlssAltoVicentino - UlssVicenza - 46,8 % 0,8 % 23,4 % 3,7 % 1,0 % 24,3 % 1.220Totale 56 3.626 32 440 50 18 3.537 7.759

TABELLA 9 - Distribuzione per variabile di valutazione dei nuovi assistiti in assistenza residenziale e semiresidenziale,nelperiodo di riferimento - Flusso FAR

Area di studio Autonomia Disturbi Disturbi del Grado di Supporto Asse(%) Cognitivi Comportamento Mobilità sociale funzionale

(%) (%) (%) (%) (%)Asl Milano N. 3.131 1 13,8 36,6 47,8 7,2 - 13,4

2 31,5 34,5 52,2 35,7 - 21,03 54,7 28,9 - 57,1 - 65,6

SdS Firenze - SdS Pisa N. 168 1 4,8 19,6 56,0 26,8 30,4 17,32 20,2 52,4 44,0 14,3 45,8 16,13 75,0 28,0 - 58,9 23,8 66,6

UlssAltoVicentino - UlssVicenza * N. 923 1 2,6 31,3 96,6 10,4 15,7 11,42 58,6 50,5 3,4 15,9 24,9 14,73 38,8 18,2 - 73,7 59,4 73,9

Totale ** N.4.222 1 11,1 34,8 58,8 8,7 18,5 13,12 36,7 38,7 41,2 30,5 29,0 19,53 52,2 26,5 60,8 52,4 67,4

LEGENDATabella 9 Autonomia Disturbi Disturbi del Grado di Supporto AsseCognitivi Comportamento Mobilità sociale funzionale

1 Autonomo Assenti/lievi Assenti Assenti/lievi Presente Lieve2 Parzialmente Moderati Presenti Moderati Parziale/ Moderato

autonomo Temporaneo3 Totalmente Gravi Gravi Assente Grave

dipendente

* Nelle aree Ulss Alto Vicentino - Ulss Vicenza il totale dei casi presi in carico che hanno ricevuto una valutazione multidimensionale per autonomia e asse funzionale è N.871; persupporto sociale è N. 690.** Il totale di tutte le aree di studio per autonomia e asse funzionale è N. 4.170; per il supporto sociale è N. 3.989.

La tabella 8 mostra la distribuzione della tipologia diassistenza erogata in ambito domiciliare e residen-ziale/semiresidenziale; nelle aree di studio toscanecirca tre quarti degli assistiti ricevono assistenza do-miciliare, mentre il 25% è ospite di strutture per ri-abilitazione e mantenimento (R3).NellaAsl di Mi-lano gli assistiti a domicilio sono il 47,2%,mentrepoco più della metà sono ospiti di strutture a bassanecessità di tutela sanitaria (R2).Infine nelle Ulss ve-nete il 24,3% riceve assistenza domiciliare, il 46,8%è ospite di strutture in R2 e il 23,4% in strutture R3.Dal confronto delle tabelle 9 e 10 si osserva chele persone anziane assistite in ambito residenzia-le presentano una maggiore gravità nel livello diautonomia nelle attività della vita quotidiana(88,9% con dipendenza moderata/grave) e han-

no una ridotta mobilità (91,3% con dipendenzamoderata/grave) rispetto alle persone anziane inassistenza domiciliare (rispettivamente 85,3% e81,7%). Esiste a riguardo una notevole variabili-tà tra gli ambiti territoriali analizzati, considera-to il diverso approccio nella presa in carico dellapersona non autosufficiente, che riflette peculia-rità organizzative tipiche dei contesti esaminati.Nel flusso FAR il 41,2% dei presi in carico hadisturbi del comportamento, mentre nel flussoSIAD il 31,2% presenta disturbi classificati comemoderati o gravi.Per quel che concerne il supporto sociale circa il50% degli ospiti di strutture residenziali non ha unsostegno socio-familiare;mentre il 18,5% degli as-sistiti a domicilio è in tale condizione (tabella 9).

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Differenze si riscontrano per il livello cognitivoe i disturbi del comportamento (quindi chi ha undisturbo di tipo cognitivo è più probabile che ab-bia un disturbo nel comportamento). Non vi ècorrelazione tra mobilità e il livello cognitivo (ta-bella 11). Esiste una moderata correlazione tra di-pendenza in termini di autonomia e livelli di mo-bilità per i soggetti rilevati nel flusso FAR,men-

tre la correlazione risulta più elevata nei soggettiin assistenza domiciliare (tabella 11).Per poter monitorare il processo di presa in cari-co sono stati identificati 36 indicatori, distribuititra i diversi ambiti di misurazione, che riguarda-vano l’accessibilità, la corrispondenza tra caratte-ristiche valutative e risposta erogata, l’erogazionedel servizio e il monitoraggio.

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TABELLA 10 - Distribuzione per variabile di valutazione dei nuovi assistiti nel periodo di riferimentoin assistenza domiciliare - Flusso SIAD

Area di studio Asse Autonomia Disturbi Disturbi del Grado di Supporto Assesanitario° (%) Cognitivi Comportamento Mobilità sociale funzionale(%) (%) (%) (%) (%) (%)

Asl Milano N. 2.798 1 72,1 10,0 54,1 66,6 12,6 0,2 12,52 20,2 60,6 22,8 15,2 36,6 99,8 35,93 7,7 29,4 23,1 18,2 50,8 - 51,6

SdS Firenze - SdS Pisa N. 442 1 56,1 8,4 25,4 62,3 20,1 54,8 15,72 27,4 15,6 47,5 33,9 6,8 34,8 7,23 16,5 76,0 27,1 3,8 73,1 10,4 77,1

Ulss AltoVicentino - UlssVicenza * N.297 1 54,2 72,6 83,6 99,7 71,1 90,7 75,52 38,7 17,9 7,7 - 7,6 8,0 6,63 7,1 9,5 8,7 0,3 21,3 1,3 17,9

Totale ** N. 3.537 1 68,6 14,7 52,9 68,8 18,3 13,0 17,82 22,6 51,6 24,6 16,3 30,5 85,6 29,93 8,8 33,7 22,5 14,9 51,2 1,4 52,3

* Nelle aree Ulss Alto Vicentino - Ulss Vicenza il totale dei casi presi in carico che hanno ricevuto una valutazione multidimensionale per autonomia e asse funzionale è N.274; per disturbicognitivi, disturbi del comportamento e grado di mobilità è N. 287; per supporto sociale è N. 225.** Il totale di tutte le aree di studio è per autonomia e asse funzionale N.3514; per disturbi cognitivi, disturbi del comportamento e mobilità è N. 3.527; per supporto sociale è N. 3.465.° cfr Allegato 2

LEGENDATabella 10 Asse Autonomia Disturbi Disturbi del Grado di Supporto Assesanitario* (%) Cognitivi Comportamento Mobilità sociale funzionale(%) (%) (%) (%) (%) (%)

1 Lieve (bassa) Autonomo Assenti/lievi Assenti/lievi Assenti/lievi Presente Lieve2 Moderato Parzialmente Moderati Moderati Moderati Parziale/ Moderato

(intermedia) autonomo Temporaneo3 Grave Totalmente Gravi Gravi Gravi Assente Grave

(elevata) dipendente

TABELLA 11 - Correlazione di Spearman tra le variabili della valutazione, aggiustata per età e genere

Area di studio Autonomia Disturbi Cognitivi Grado di MobilitàFAR Disturbi Cognitivi Asl Milano 0,45*** -

SdS Firenze - SdS Pisa 0,14 -UlssAltoVicentino -UlssVicenza 0,38*** -

Grado di Mobilità Asl Milano 0,57*** 0,27*** -SdS Firenze - SdS Pisa 0,63*** 0,01 -UlssAltoVicentino -UlssVicenza 0,44*** 0,03 -

SIAD Disturbi Cognitivi Asl Milano 0,52*** -SdS Firenze- SdS Pisa 0,31*** -UlssAltoVicentino –UlssVicenza 0,70*** -

Grado di Mobilità Asl Milano 0,70*** 0,42*** -SdS Firenze- SdS Pisa 0,67*** 0,24*** -UlssAltoVicentino –UlssVicenza 0,91*** 0,70*** -

Legenda Tabella 11: *p<0,05 ** p<0,01 *** p<0,001

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Tali indicatori sono stati discussi e condivisi dalgruppo di ricerca e ne sono, infine, stati selezio-nati 15, che hanno le caratteristiche di rilevanzae validità (face validity), calcolabili anche nella at-tuale fase di iniziale implementazione dei flussiSIAD e FAR.Di seguito si riportano le caratteristiche e i risul-tati dei principali indicatori sviluppati, descrittiin schede per ambiti di misurazione.Per quel che concerne l’equità, sono stati iden-tificati tre indicatori trasversali a tutti gli altriindicatori; l’equità è riconducibile all’effettodel livello di istruzione (presente sia nel flus-so SIAD sia nel FAR), alla condizione econo-mico-reddituale (presente solo nel flusso FAR)e all’indice di deprivazione a livello di sezio-ne censimento, sulle diverse dimensioni inda-gate. In questa ricerca, la valutazione dell’e-quità non è stata possibile per incompleta dis-ponibilità dei dati necessari per il calcolo de-gli indicatori.

ACCESSIBILITÀIndicatore 1; I Bis; I TerCon il fine di valutare se la domanda di servizi diassistenza per l’anziano non autosufficiente è statasoddisfatta nelle tre realtà coinvolte nel progetto, èstato calcolato il numero atteso di anziani non au-tosufficienti nel periodo di riferimento di un anno.Sulla base dei dati di attività rilevati, nella Asl diMilano è stato preso in carico l’81,6% dei nonautosufficienti attesi (Indicatore I1Ter). In partico-lare il 39,7% ha avuto un piano di assistenza do-miciliare (Indicatore I1) e il 42,9% un inserimen-to in struttura residenziale o semiresidenziale (In-dicatore I1Bis). Circa quattro non autosufficientisu cinque, quindi, trovano assistenza da parte deiservizi territoriali o residenziali. Resta insoddi-sfatto poco meno del 20% della domanda,del qua-le non siamo in grado di conoscere la tipologiaed il livello di assistenza.Il valore dell’indicatore non è disponibile (n.d.)inToscana eVeneto.

LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

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Indicatore 1

I 1Accessibilità.Rapporto (percentuale) tra numero di anziani non autosufficienti assistiti in ambito domiciliare e numero stimato di anziani non autosuffi-cienti nel periodo di riferimento.Indica il grado di accessibilità da parte dell’anziano non autosufficiente al sistema di assistenza domiciliare integrata.Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) assistiti inADI nel periodo di riferimento (data valutazione valorizzata e camporivalutazione nullo).Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) attesi nel periodo di riferimento.(Numeratore/Denominatore) x 100.Flusso SIAD; Istat.

Id IndicatoreDominioDefinizione

SignificatoNumeratore

DenominatoreFormulamatematicaFontiNote

Indicatore 1

Nuovi anziani non autosufficienti Oss/AttArea di studio Osservati Attesi (%)Asl Milano 2.744 6.906 39,7SdS Firenze – SdS Pisa n.d. n.d. -Ulss AltoVicentino – UlssVicenza n.d. n.d. -

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Indicatore 1 Bis

I 1BisAccessibilità.Rapporto (percentuale) tra numero di anziani non autosufficienti assistiti in ambito residenziale/semiresidenziale e numero stimato di an-ziani non autosufficienti nel periodo di riferimento.Indica il grado di accessibilità da parte dell’anziano non autosufficiente al sistema di assistenza residenziale e semiresidenziale.Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) ospiti in strutture residenziali/semiresidenziali nel periodo di riferimento(data valutazione valorizzata e campo rivalutazione nullo).Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) attesi nel periodo di riferimento.(Numeratore/Denominatore) x 100.Flusso FAR; Istat.

Id IndicatoreDominioDefinizione

SignificatoNumeratore

DenominatoreFormulamatematicaFontiNote

Indicatore 1 Bis

Nuovi anziani non autosufficienti Oss/AttArea di studio Osservati Attesi (%)Asl Milano 2.963 6.906 42,9SdS Firenze – SdS Pisa n.d. n.d. -UlssAltoVicentino – UlssVicenza n.d. n.d. -

Indicatore 1 Ter

I 1TerAccessibilità.Rapporto (percentuale) tra numero di anziani non autosufficienti assistiti in ambito residenziale/semiresidenziale e domiciliare e numerostimato di anziani non autosufficienti nel periodo di riferimento.Indica il grado di accessibilità da parte dell’anziano non autosufficiente all’assistenza domiciliare diretta, semiresidenziale e residenziale.Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) assistiti in ambito residenziale/semiresidenziale e domiciliare nel periodo di riferi-mento (data valutazione valorizzata e campo rivalutazione nullo).Numero di nuovi anziani non autosufficienti (≥65 anni) attesi nel periodo di riferimento.(Numeratore/Denominatore) x 100.Flusso FAR; flusso SIAD; Istat.

Id IndicatoreDominioDefinizione

SignificatoNumeratore

DenominatoreFormulamatematicaFontiNote

Indicatore 1 Ter

Nuovi anziani non autosufficienti Oss/AttArea di studio Osservati Attesi (%)Asl Milano 5.632 6.906 81,6SdS Firenze – SdS Pisa n.d. n.d. -Ulss AltoVicentino – UlssVicenza n.d. n.d. -

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Indicatore 2

I 2 (I 2 a;I 2 b;I 2 c;I 2 d)Accessibilità.Proporzione di assistiti che accedono al sistema di presa in carico su segnalazione ospedaliera (I 2 a), dei servizi sociali (I 2 b),medica (I 2c) o del familiare/utente (I 2 d) sul totale degli assistiti.Esprime la capacità dell’ospedale (I 2 a),dei servizi sociali (I 2 b),del Mmg (I 2 c) o del familiare/utente stesso (I 2 d) di segnalare il bisogno deter-minando l’attivazione del processo di presa in carico istituzionale, sia esso in assistenza domiciliare sia in assistenza residenziale/semiresidenziale.Totale segnalazioni da rete ospedaliera (SIAD: presa in carico/soggetto richiedente=3,4 + FAR: richiesta inserimento/iniziativa=6) nel pe-riodo di riferimento.Totale segnalazioni da servizi sociali (SIAD:presa in carico/soggetto richiedente=1 + FAR:richiesta inserimento/iniziativa=4) nel periodo di riferimento.Totale segnalazioni da medico (SIAD:presa in carico/soggetto richiedente=2 + FAR:richiesta inserimento/iniziativa=5) nel periodo di riferimento.Totale segnalazioni da rete familiare o utente (SIAD: presa in carico/soggetto richiedente=6 + FAR: richiesta inserimento/iniziativa=1,2,3)nel periodo di riferimento.Totale assistiti nel periodo di riferimento.(Numeratore / Denominatore) x 100.Età, genere.Flusso SIAD; FAR.* In RegioneToscana la voceAltro corrisponde alla rete utente.* * In RegioneVeneto la voceAltro corrisponde alla rete ospedaliera.***Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore a

Numeratore bNumeratore cNumeratore d

Denominatore a,b,c,dFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 2

Area di studio Segnalatore assistiti % %standardizzata

Rete ospedaliera 113 1,9 1,9Asl Milano Servizi sociali 14 0,2 0,2N. 5.929 Medico 2.121 35,8 35,9

Rete utente 3.529 59,5 59,3Altro 152 2,6 2,6Rete ospedaliera 6 1,0 1,0

SdS Firenze - SdS Pisa Servizi sociali 181 29,7 29,3N. 610 Medico 61 10,0 9,8

Rete utente 44 7,2 7,2Altro* 318 52,1 52,8Rete ospedaliera 0 0,0 0,0

Ulss AltoVicentino - UlssVicenza Servizi sociali 11 3,2 3,3N. 341 Medico 30 8,8 6,6

Rete utente 89 26,1 29,7Altro 211 61,9 60,4

Indicatore 2I soggetti che attivano il processo organizzativodi presa in carico sono costituiti, prevalentemen-te, dalla “rete utente” per l’area di studio lom-barda; “rete utente” e “servizi sociali” per quelletoscane; per le aree di studio venete sono costi-tuiti da soggetti provenienti dalla “rete ospedalie-ra” per l’ambito domiciliare e dalla “rete utente”per l’ambito residenziale. Questo dato è stretta-mente correlato al modello organizzativo sceltodalle singole regioni; ad esempio, nella RegioneVeneto l’ADI rilevata dal flusso SIAD appartieneprevalentemente al livello c.d. “ADI-MED” dimedia/alta gravità e di provenienza per lo piùospedaliera.

Le differenze sui soggetti “attivatori” ci consen-tono, tramite uno studio sul processo assistenzia-le, di conoscere più analiticamente le diverse for-me di assistenza domiciliare che le regioni han-no sviluppato e che confluiscono nel flusso SIAD.Per la Regione Lombardia, la prevalenza dell’at-tivazione da parte della “rete utente” è coerentecon il modello “consumer choice” o,meglio, con lascelta di incentrare il sistema sul bisogno e la ri-chiesta del cittadino.Per la RegioneVeneto la par-te pubblica indirizza e controlla la scelta in am-bito sociosanitario. Per la Toscana, il modello adalta integrazione sociosanitaria rende la compo-nente sociale particolarmente attiva nella pro-mozione del servizio.

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CARATTERISTICHEVALUTATIVE EDEROGAZIONE DEL SERVIZIOIndicatore 3La dimensione sociale, misurata tramite il livellodi copertura fornito dalla rete sociale (assente,temporaneo o presente), è una possibile discri-minante tra percorso domiciliare/semiresidenzialee residenziale, a parità di compromissione fun-zionale dell’anziano.InToscana l’assenza di copertura sociale rispet-to alla presenza aumenta di circa cinque voltela probabilità di accedere ad un percorso resi-denziale piuttosto che ad un’assistenza domici-liare o semiresidenziale (Odds Ratio aggiustato

per età, genere ed asse funzionale è 4,77, IC 95%2,78-8,17).Anche inVeneto la componente so-ciale si conferma come determinante nella scel-ta del piano assistenziale. L’assenza della coper-tura da parte della rete aumenta la probabilitàdi accedere ad una struttura residenziale di ben38 volte (Odds Ratio aggiustato per età, genereed asse funzionale pari a 38,38, IC 95% 18,90-77,91).Entrambe le Regioni quindi, a parità di gravitàfunzionale, età e genere emersa in sede di valuta-zione, propendono verso il percorso residenzialenei casi di scarsa copertura sociale dell’anzianonon autosufficiente.

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Indicatore 3

I 3Corrispondenza tra caratteristiche valutative ed erogazione del servizio.Misura dell’associazione tra livello di copertura sociale (presente, temporaneo, assente) e tipologia di assistenza erogata (residenziale, di-versa da residenziale) nel periodo di riferimento.Indica quanto aumenta la probabilità che un anziano non autosufficiente sia preso in carico in assistenza residenziale nelle tipologie connecessità di tutela sanitaria (R2-R3), invece che in assistenza semiresidenziale o domiciliare, al diminuire della copertura sociale.L’assenza di un supporto informale è stata identificata nella letteratura come un fattore di rischio significativo che contribuisce all’istitu-zionalizzazione degli anziani fragili e delle persone con disabilità che altrimenti avrebbero potuto essere assistiti al domicilio.Tipologia di risposta nel periodo di riferimento: residenziale (RSA R2/R3) vs altro= 1 (variabile prestazione/tipo da FAR = R2 o R3)= 0 (variabile prestazione tipo da FAR = SR1, SR2 o record SIAD)Livello di copertura sociale nel periodo di riferimento (Assente,Temporaneo, Presente)= 0 presente (SIAD valutazione/supporto sociale = 1; FAR livello fragilità/sociale = 1)= 1 temporaneo (SIAD valutazione/supporto sociale = 2; FAR livello fragilità/sociale = 2)= 2 assente (SIAD valutazione/supporto sociale = 3; FAR livello fragilità/sociale = 1)Regressione logistica.Asse funzionale, Età,Genere.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Variabile dipendente

Variabileindipendente

FormulamatematicaStandardizzazione(covariate)

Indicatore 3

Copertura sociale R2,R3 ADI,SR1,SR2N N OR grezzo OR aggiustato

(IC 95%) (IC 95%)SdS Firenze e presente 43 250 1 1SdS Pisa (N. 608) temporaneo 73 157 2,70 (1,76-4,14) 2,69 (1,75-4,14)

assente 39 46 4,93 (2,89-8,42) 4,77 (2,78-8,17)UlssAltoVicentino, presente 80 202 1 1UlssVicenza (N.841) temporaneo 118 52 5,73 (3,78-8,69) 1,97 (1,12-3,48)

assente 374 15 62,96 (35,34-112,15) 38,38 (18,90-77,91)

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LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

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Indicatore 4Nel valutare l’aderenza tra valutazione e rispostaerogata, è stata inoltre misurata l’associazione traquest’ultima e le diverse dimensioni della valuta-zione: grado di mobilità, autonomia funzionale,deficit cognitivo, disturbi del comportamento.In Toscana il determinante principale nella scel-ta della tipologia di assistenza sembra essere lacomponente sociale. Le altre dimensioni infattinon mostrano un’associazione statisticamente si-gnificativa con la risposta erogata (residenziale vssemiresidenziale/domiciliare).In Lombardia si rileva invece una moderata asso-ciazione tra il grado di mobilità dell’anziano e laprobabilità di accedere ad una struttura residen-ziale, così come tra quest’ultima e il livello di au-tonomia funzionale, il profilo cognitivo e i distur-bi del comportamento.Una grave compromissio-ne motoria rispetto ad una lieve aumenta la pro-

babilità di risposta residenziale del 69% (Odds Ra-tio 1,69, IC 95% 1,40-2,04), del 24% (Odds Ratio1,24, IC 95%1,04-1,48) invece all’aggravarsi dellacompromissione funzionale. Un deficit cognitivograve rispetto al lieve aumenta del 62% la proba-bilità (Odds Ratio 1,62, IC95% 1,42-1,84), men-tre la presenza di disturbi del comportamento rad-doppia la probabilità (Odds Ratio pari a 2,12, IC95% 1,90-2,37).InVeneto le varie dimensioni della valutazioneincidono tutte quante sul ricorso alla residenzia-lità. In particolare la compromissione nell’auto-nomia funzionale (Odds Ratio 129,30 IC 95%68,70-243,37) e il grado di compromissione mo-toria (Odds Ratio 35,10, IC 95% 23,84-51,68).Determinante è anche il livello di deficit cogni-tivo (Odds Ratio 3,92, IC 95% 2,59-5,93 ), cosìcome la presenza di disturbi del comportamento(Odds Ratio 3,59, IC 95% 1,04-12,44).

Indicatore 4

I 4Corrispondenza tra le caratteristiche valutative ed erogazione del servizio.Misura dell’associazione tra caratteristiche funzionali, cognitive e comportamentali e tipologia di assistenza erogata (residenziale, diversada residenziale) nel periodo di riferimento.Indica quanto aumenta la probabilità che un anziano non autosufficiente sia assistito in assistenza residenziale, invece che semiresidenzialeo domiciliare, al peggiorare delle sue caratteristiche funzionali, cognitive e comportamentali.Tipologia di risposta nel periodo di riferimento:residenziale (RSA R2/R3)vs altro= 1 (variabile prestazione/tipo da FAR = R2/R3)= 0 (variabile prestazione tipo da FAR = SR1,SR2 o record SIAD)Grado di mobilità (SIAD: valutazione/grado mobilità; FAR: livello fragilità/mobilità) nel periodo di riferimento.Autonomia nella vita quotidiana (SIAD: valutazione/autonomia; FAR: livello fragilità/vita quotidiana) nel periodo di riferimento.Profilo cognitivo (SIAD: disturbi/cognitivi; FAR: livello fragilità/cognitivo) nel periodo di riferimento.Disturbi comportamentali (SIAD: disturbi/comportamentali; FAR: livello fragilità/disturbi comportamentali) nel periodo di riferimento.Rete sociale.Regressione logistica.Età,Genere.Flusso FAR; Flusso SIAD.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Var dipendente

Var indipendente aVar indipendente bVar indipendente cVar indipendente dVar indipendente eFormulamatematicaAggiustamentoFontiNote

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La ricerca Agenas

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AD

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IDI

Indicatore 4

Grado di mobilità R2,R3 ADI,SR1,SR2 OR aggiustato(IC 95%)

Asl Milano lieve 219 352 1(N. 5.383) moderato 1.089 1.025 1,52 (1,25-1,84)

grave 1.747 1.421 1,69 (1,40-2,04)SdS Firenze e SdS Pisana lieve 38 96 1(N. 608) moderato 23 30 1,94 (1,00-3,78)

grave 94 327 0,73 (0,47-1,14)UlssAltoVicentino,UlssVicenza lieve 57 234 1(N. 1.200) moderato 135 33 16,94 (10,32-27,79)

grave 664 77 35,10 (23,84-51,68)

Autonomia R2,R3 ADI,SR1,SR2 OR aggiustato(IC 95%)

Asl Milano lieve 219 352 1(N. 5.383) moderato 1.089 1.025 0,36 (0,31-0,43)

grave 1.747 1.421 1,24 (1,04-1,48)SdS Firenze e SdS Pisana lieve 8 37 1(N. 608) moderato 30 73 1,86 (0,77-4,46)

grave 117 343 1,57 (0,71-3,47)UlssAltoVicentino,UlssVicenza lieve 17 203 1(N. 1.136) moderato 454 98 55,55 (31,92-96,68)

grave 334 30 129,30 (68,70-243,37)

Profilo cognitivo R2,R3 ADI,SR1,SR2 OR aggiustato(IC 95%)

Asl Milano lieve 1.132 1.514 1(N. 5.383) moderato 1.053 637 2,07 (1,82-2,35)

grave 870 647 1,62 (1,42-1,84)SdS Firenze e SdS Pisana lieve 33 112 1(N. 608) moderato 85 213 1,32 (0,83-2,11)

grave 37 128 0,96 (0,56-1,65)UlssAltoVicentino,UlssVicenza lieve 273 256 1(N. 1.200) moderato 427 54 6,32 (4,50-8,88)

grave 156 34 3,92 (2,59-5,93)

Disturbi del comportamento R2,R3 ADI,SR1,SR2 OR aggiustato(IC 95%)

Asl Milano assenti 1.463 1.865 1(N. 5.383) presenti 1.592 933 2,12 (1,90-2,37)SdS Firenze e SdS Pisana assenti 91 278 1(N. 608) presenti 64 175 1,09 (0,75-1,59)UlssAltoVicentino,UlssVicenza assenti 834 341 1(N. 1.200) presenti 22 3 3,59 (1,04-12,44)

Rete sociale R2,R3 ADI,SR1,SR2 OR aggiustato(IC 95%)

SdS Firenze e SdS Pisana presente 43 250 1(N. 608) temporanea 73 157 2,69 (1,75-4,12)

assente 39 46 4,86 (2,84-8,32)UlssAltoVicentino,UlssVicenza presente 104 207 1(N. 905) temporanea 129 59 3,95 (2,65-5,88)

assente 390 16 45,10 (25,79-78,85)

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Indicatore 5Con riferimento a tutti i presi in carico nel per-corso residenziale durante il periodo di riferi-mento, è stata valutata l’appropriatezza in meri-to all’accesso a strutture per dementi da parte dianziani con disturbi del comportamento. L’anali-si si è limitata al sottogruppo di popolazione conun deficit cognitivo moderato o grave.L’appropriatezza organizzativa è molto buona. InLombardia l’86% dei presi in carico in struttureper dementi presenta effettivamente disturbi del

comportamento. In Toscana tale percentuale ar-riva al 100%, mentre inVeneto al 70% (IndicatoreI 5 A).Sono state evidenziate difficoltà invece nel gradodi copertura del bisogno degli anziani con dis-turbi del comportamento. Le tre Regioni nonsembrano avere risorse sufficienti per il soddisfa-cimento della domanda. In Lombardia l’1,4% de-gli anziani con disturbi del comportamento è sta-to inserito in strutture per dementi, inToscana il3,4%, inVeneto il 25% (Indicatore I 5 B).

LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

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Indicatore 5

I 5Corrispondenza tra caratteristiche valutative ed erogazione del servizio.5A Percentuale di anziani non autosufficienti assistiti in strutture R2d che presentano profilo cognitivo medio grave e disturbi del com-portamento, sul totale degli assistiti in strutture R2d nel periodo di riferimento.5B Percentuale di anziani non autosufficienti assistiti in strutture R2d con profilo cognitivo medio grave e disturbi del comportamento,sul totale di anziani con deficit cognitivi e disturbi del comportamento assistiti in strutture residenziali nel periodo di riferimento.5A Indica, tra gli anziani non autosufficienti ospiti nelle strutture residenziali per dementi (R2d), coloro assistiti appropriatamente, inquanto teoricamente elegibili per questo percorso assistenziale (R2d); valori elevati indicano che l’offerta assistenziale in strutture perdementi (R2d) è erogata ai soggetti che necessitano di questa tipologia di assistenza.5B Indica la percentuale di anziani non autosufficienti ospiti di struttura residenziale teoricamente elegibili in strutture per soggetti con“disturbi del comportamento” e deficit cognitivi (R2d), effettivamente ospiti in queste strutture; valori elevati indicano che molti soggettiaffetti da disturbi del comportamento e deficit cognitivi ricevono un’offerta assistenziale in strutture a loro dedicate (R2d).Totale degli assistiti in percorso R2d con disturbi del comportamento=2 nel periodo di riferimento (variabile prestazione/tipo da FAR =R2d).Totale ospiti in percorso R2d.Totale ospiti con disturbi del comportamento nelle strutture residenziali.casi con variabile livello di fragilità/disturbo cognitivo=2,3.Numeratore/Denominatore x 100.Età,Genere.Flusso FAR.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore *

DenominatoreA*Denominatore B** Si selezionano solo iFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 5A

Area di studio Anziani con profilo Anziani assistiti %cognitivo medio-grave in strutture R2d

e disturbi del comportamentoAsl Milano 18 21 85,7SdS Firenze e SdS Pisa 2 2 100,0UlssAltoVicentino,UlssVicenza 7 10 70,0

Indicatore 5B

Area di studio Anziani con profilo Anziani con disturbo %cognitivo medio-grave del comportamento assistiti

e disturbi del comportamento in strutture residenzialiAsl Milano 18 1.256 1,4SdS Firenze e SdS Pisa 2 58 3,4UlssAltoVicentino,UlssVicenza 7 28 25,0

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Indicatore 6Nell’ambito della domiciliarietà è stata valutata laquota di erogazione destinata a soggetti che, sul-la base della valutazione multidimensionale, nonrisultavano essere in una situazione di bisogno, inquanto hanno una lieve problematicità sanitaria,una lieve compromissione motoria e un’ottimacopertura sociale.

In Toscana circa 8 casi su 100 accedono ai per-corsi domiciliari pur essendo in una situazione diquesto tipo, inVeneto circa un caso su due,men-tre in Lombardia non si rilevano casi con questecaratteristiche.Tale indicatore, al momento, risente della non pie-na capacità dell’asse sanitario di rilevare il bisognosanitario dalle informazioni presenti nel flusso SIAD.

La ricerca Agenas

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IDI

Indicatore 6

I 6Corrispondenza tra caratteristiche valutative ed erogazione del servizio.Proporzione di anziani con bassa complessità di bisogno (mobilità e asse sanitario) e con supporto sociale presente assistiti in ambitodomiciliare sul totale degli anziani assistiti in assistenza domiciliare.Indica il volume dell’offerta domiciliare (%) erogata a soggetti che non necessitano della stessa in quanto dai dati valutativi risulta chehanno un bisogno lieve (Mobilità eAsse sanitario) e una copertura socio-familiare.Numero di assistiti in domiciliare nel periodo di riferimento con asse sociale 1, asse sanitario 1 (dalle schede di transcodifica allegato 2) evalutazione/grado mobilità=1 (da SIAD).Numero di assistiti in domiciliare nel periodo di riferimento.(Numeratore/Denominatore) x 100.Età,Genere.SIAD; schede transcodifica per asse sanitario (allegato 2).Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore

DenominatoreFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 6

Area di studio Anziani inADI Assistiti inADI % %con bassa complessità grezza standardizzata

del bisognoAsl Milano 1 2.798 0,0 0,0SdS Firenze - Sds Pisa 37 442 8,4 8,4Ulss AltoVicentino - UlssVicenza 113 225 50,2 53,8

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Indicatore 7Limitatamente ai percorsi semiresidenziali, è sta-to valutato se la presa in carico in presenza di undeficit cognitivo moderato/grave fosse avvenutain centri diurni dedicati alle persone con demenza(SR2), piuttosto che in centri diurni di manteni-mento o riabilitativi (SR1).In Toscana il ricorso al primo tipo di assistenzadiurna è maggiore. In presenza di deficit cogni-tivo due casi su tre accedono al centro diurno perdemenza. InVeneto la situazione è invertita, so-lamente quattro casi su dieci accedono in centridiurni per demenza,molto probabilmente a cau-

sa di una mancanza di offerta da parte dei servi-zi. In Lombardia non sono stati rilevati accessi aipercorsi semiresidenziali da parte di anziani conun profilo valutativo come quello analizzato.Il risultato di tale indicatore è condizionato, ol-tre che dal modello organizzativo regionale, an-che dalla capacità di offerta nelle singole regionie nei singoli territori. Inoltre, in Lombardia nonè previsto specificatamente l’accreditamento dicentri diurni per dementi/Alzheimer, pur risul-tando che diversi centri diurni erogano assisten-za dedicata a questa tipologia di pazienti.

LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

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Indicatore 7

I 7Corrispondenza tra caratteristiche valutative ed erogazione del servizio.Rapporto tra il numero di anziani con deficit cognitivo assistiti in centri diurni per dementi (SR2) e il numero di anziani con deficit cogni-tivo assistiti in centri diurni per trattamenti di riabilitazione e mantenimento (SR1).Esprime il grado di utilizzo dei centri diurni per demenza (SR2) da parte di soggetti con deficit cognitivi. La presenza in strutture semire-sidenziali per trattamenti di riabilitazione e mantenimento (SR1) di soggetti che hanno deficit cognitivi indica un’offerta poco appropriata,probabilmente dovuta ad un’inadeguata disponibilità di posti ospite in strutture SR2.Numero assistiti nel periodo di riferimento con:•profilo deficit cognitivo moderato grave (FAR: livello fragilità/cognitivo=2,3)Si selezionano solamente FAR: prestazione tipo SR2Numero assistiti nel periodo di riferimento con:•profilo deficit cognitivo moderato grave (FAR: livello fragilità/cognitivo=2,3)Si selezionano solamente FAR: prestazione tipo SR1Numeratore/DenominatoreDato non disponibile per la Lombardia.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore

Denominatore

FormulamatematicaNote

Indicatore 7

Area di studio Anziani con deficit cognitivo medio grave assistiti in centri diurni RapportoSR2 SR1

SdS Firenze – SdS Pisa 7 4 1,8UlssAltoVicentino – UlssVicenza 12 29 0,4

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EROGAZIONE DELL’ASSISTENZA EMONITORAGGIOIndicatore 8Tramite procedure di record linkage con i dati ospe-dalieri è stata misurata, a parità di asse funziona-le, la tempestività con la quale un anziano dimessovivo da un ricovero ospedaliero accede ai serviziin percorso residenziale/semiresidenziale (primaammissione in struttura) o domiciliare (primo ac-cesso domiciliare da parte di un operatore).Al percorso domiciliare si accede mediamente in8 giorni in Lombardia, in 13 giorni inToscana ein 7 inVeneto.

L’accesso al percorso residenziale è più veloce,probabilmente in funzione della maggior gravitàdella situazione socio-sanitaria dell’anziano di-messo. Nell’area lombarda avviene mediamentein 4 giorni, nelle aree toscane in 4-5 giorni, nel-le aree venete, dove le situazioni a maggior com-plessità non vengono inserite in lista d’attesa, en-tro un giorno dalla dimissione. Le ragioni di va-riabilità tra le Regioni su questo indicatore ri-chiedono approfondimento, potendo dipendereda: meccanismi di dimissione protetta, capacità etipologia dell’offerta sul territorio e criteri di ele-gibilità.

La ricerca Agenas

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Indicatore 8

I 8Erogazione del servizio.Tempo medio intercorso tra dimissione ospedaliera in regime di ricovero ordinario ed erogazione del servizio.Esprime la tempestività con cui è avvenuta l’erogazione del servizio programmato in strutture residenziali e/o domiciliari dalla dimissionedall’ospedale in regime di ricovero ordinario. È un indicatore di continuità assistenziale tra l’ospedale e i servizi di comunità, valori ridottisono sinonimo di continuità di cura.Giorni trascorsi dalla data di dimissione da ospedale (variabile data-dim da SDO) alla data di prima erogazione del servizio (SIAD: eroga-zione data accesso; FAR: ammissione/data) per i dimessi da ospedale in regime di ricovero ordinario, assistiti inADI o strutture residen-ziali entro 30 giorni dalla dimissione, durante il periodo di riferimento.Totale dimessi da ospedale in regime di ricovero ordinario nel periodo di riferimento, assistiti inADI o strutture residenziali entro 30giorni dalla dimissione.Numeratore/Denominatore.Asse funzionale.SIAD; FAR.SIAD, FAR, SDO.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizioneSignificato

Numeratore

Denominatore

FormulamatematicaStandardizzazioneStratificazioneFontiNote

Indicatore 8

Flusso Area di studio Dimessi Tempo (gg.)media media Mediana 25 75

standardizzata perc.le perc.leSIAD Asl Milano 649 8,1 8,0 5 1 13

SdS Firenze – SdS Pisa 123 12,8 13,4 11 4 20UlssAltoVicentino – UlssVicenza 217 6,8 6,6 4 1 10

FAR Asl Milano 1.132 3,8 5,1 0 0 0SdS Firenze – SdS Pisa 29 4,6 2,8 0 0 3UlssAltoVicentino – UlssVicenza 140 1,2 3,0 0 0 0

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LA PRESA IN CARICO DEGLI ANZIANI NONAUTOSUFFICIENTI

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Indicatore 9

Flusso Area di studio Tempo (gg.)media media standardizzata mediana 25 perc.le 75 perc.le

SIAD Asl Milano N. 1.911 1,7 1,8 0 0 2SdS Firenze - SdS Pisa N. 319 89,9 100,8 33 5 106UlssAltoVicentino - UlssVicenza N.182 31,4 23,0 5 0 33

FAR Asl Milano N. 3.131 0,0 0,0 0 0 0SdS Firenze - SdS Pisa N. 114 53,6 62,8 38 18 75UlssAltoVicentino - UlssVicenza N.871 45,5 75,4 10 6 26

Indicatore 9

I 9Erogazione del servizio.Tempo medio intercorso tra la data di valutazione multidimensionale e la data erogazione del servizio.Esprime la tempestività dell’erogazione del servizio (assistenza domiciliare o assistenza residenziale/semiresidenziale) a seguito di valutazione multidi-mensionale.Valori elevati indicano tempi di attesa elevati per l’erogazione del servizio in assistenza residenziale e in assistenza domiciliare integrata.Sommatoria dei giorni trascorsi dalla data di valutazione multidimensionale (SIAD valutazione/data; FAR valutazione/data) alla data di ero-gazione del servizio (SIAD: erogazione/data accesso; FAR: ammissione/data) nel periodo di riferimento.Totale assistiti con erogazione del servizio nel periodo di riferimento.Numeratore/Denominatore.Asse funzionale.SIAD; FAR.In Lombardia la data della valutazione e dell’erogazione coincidono.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizioneSignificato

Numeratore

DenominatoreFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 9Al fine di valutare la tempestività nell’erogazionedell’assistenza è stato valutato il tempo intercorsotra la valutazione multidimensionale e il primo ac-cesso alle prestazioni assistenziali (primo accesso diun operatore in assistenza domiciliare o ammissio-ne in struttura residenziale/semiresidenziale).Dato ilmodello organizzativo a centralità della richiestadella persona,nel quale la valutazione è effettuata con-testualmente alla presa in carico in struttura residen-ziale/semiresidenziale, l’indicatore in Lombardia è sta-to calcolato esclusivamente per il percorso domiciliare.In Lombardia a circa 2 giorni dalla valutazione mul-tidimensionale avviene il primo accesso al domiciliodell’anziano, inToscana avviene mediamente in 90giorni, inVeneto i giorni sono 31.Un caso su due inToscana riceve assistenza entro il primo mese dallavalutazione,mentre inVeneto entro 5 giorni.In struttura residenziale/semiresidenziale si entramediamente dopo 54 giorni inToscana, 45 gior-ni inVeneto. Un anziano su due entra in struttu-ra entro 10 giorni dalla valutazione inVeneto,men-tre inToscana entro 38 giorni.Anche questi risultati richiedono uno specifico ap-profondimento non solo per l’iniziale e parziale im-

plementazione dei flussi informativi,ma anche perle modalità di valutazione multidimensionale, per idiversi assetti della rete di offerta e per i diversi cri-teri di elegibilità degli assistiti.Ad esempio nella RegioneToscana esistono diver-si percorsi di accesso immediato in assistenza do-miciliare e residenziale, legati alla gravità del biso-gno e all’urgenza, che non transitano per l’UnitàdiValutazione Multidimensionale (UVM) in quan-to gestiti da altre modalità che rispondono più tem-pestivamente alla necessità assistenziale (alcuni ca-si di dimissione protetta, le urgenze, ecc.). La re-stante casistica rilevata dai flussi, che transitava inUVM, era quindi meno urgente con conseguentimaggiori tempi nell’erogazione dell’assistenza.Le informazioni, considerato il periodo di riferi-mento, sono risultate incomplete in tutte le Regio-ni comprendendo solo una parte della casistica; ilflusso era, infatti, in un periodo di sperimentazionee la rilevazione dei dati era in fase di adeguamentoalle specifiche funzionali dei flussi ministeriali.Con-siderata la fase di sperimentazione dei flussi ministe-riali, sono stati rilevati problemi di qualità del datoche possono aver inficiato la valorizzazione del ri-ferimento temporale (ad es. la data di valutazione).

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Indicatore 10 e 10 BisRispetto all’erogazione del servizio da partedelle diverse figure professionali sulla base delbisogno assistenziale derivato dall’asse sanitario(ottenuto dalla pesatura di alcune informazio-ni presenti nel flusso SIAD), il numero giornial mese con almeno un accesso della figura in-fermieristica non è risultato correlato al biso-gno assistenziale in tutte le realtà osservate. Nel-

le aree venete e nell’area lombarda il dato diaccesso medio mensile non varia significativa-mente al variare del profilo valutativo, risul-tando pari a circa 3 giorni medi mensili inLombardia e a meno di un giorno al mese inVeneto. Nelle aree toscane i giorni medi men-sili della figura infermieristica passano da 1,1giorni per il livello di bisogno lieve, a 2,3 peril livello moderato, a 3,3 per quello grave (In-

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Indicatore 10

I 10Erogazione del servizio.Correlazione tra numero di giorni/mese con almeno un accesso infermieristico al domicilio e bisogno sanitario, a parità di copertura sociale.Esprime la relazione tra l’impiego di personale infermieristico in assistenza domiciliare e il bisogno sanitario dell’anziano non autosuffi-ciente, a parità di supporto socio-familiare dell’assistito.All’aumentare del bisogno dovrebbe corrispondere un aumento del numero diaccessi medi della figura professionale.Somma dei giorni al mese con almeno un accesso infermieristico (variabile erogazione/tipo operatore=3 ed erogazione/data accesso) nelperiodo di riferimento.Profilo bisogno di prestazione infermieristica (derivato dall’asse sanitario) nel periodo di riferimento.

Coefficiente di correlazione.Copertura sociale (variabile valutazione/supporto sociale), asse funzionale, età, genere.SIAD.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizioneSignificato

Variabile dipendente

VariabileindipendenteFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 10

Area di studio Livello Media giorni con almeno IC 95% Nun accesso al mese

Asl Milano Lieve 2,85 (2,77-2,92) 2.005Moderato 3,22 (3,07-3,37) 566Grave 2,93 (2,71-3,17) 213

SdS Firenze – SdS Pisa Lieve 1,09 (0,95-1,24) 203Moderato 2,30 (2,00-2,64) 92Grave 3,34 (2,87-3,87) 53

UlssAltoVicentino – UlssVicenza Lieve 0,79 (0,65-0,96) 133Moderato 0,83 (0,62-1,08) 65Grave n.d. - 14

Correlazione di Spearman tra numero medio di giorni con almeno un accesso e asse sanitarioArea di studio Coeff corr.Adj IC 95% p NAsl Milano -0,05 (-0,10 0,00) 0,032 2.784SdS Firenze – SdS Pisa 0,22 (0,10 0,34) 0,000 348UlssAltoVicentino – UlssVicenza -0,05 (-0,16 0,05) 0,298 212

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dicatore I 10). Il dato non varia se si standardiz-za per Indice di comorbosità di Charlson (In-dicatore I 10 Bis).Questo indicatore, che deve essere consolidato, èsicuramente utile da un punto di vista della pro-grammazione per rendere più appropriata l’of-ferta di assistenza; deve essere interpretato tenen-do conto della molteplicità delle variabili in gio-

co, prima di tutto di carattere organizzativo (adesempio attività e tempi lavoro di queste figureprofessionali). L’importanza dell’asse sanitario, va-lidato attualmente solo con specifici strumenti divalutazione multidimensionale, richiederebbe nelprossimo futuro la necessità di aggiungere alcu-ne informazioni ai flussi attuali per renderlo piùrobusto.

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Indicatore 10 Bis

I 10BisErogazione del servizio.Correlazione tra numero di giorni/mese con almeno un accesso infermieristico al domicilio e bisogno sanitario, a parità di copertura so-ciale e indice di comorbosità di Charlson.Esprime il grado di adeguatezza/coerenza tra l’impiego di personale infermieristico in assistenza domiciliare e il bisogno di assistenza in-fermieristica derivato dall’asse sanitario, a parità di supporto socio-familiare dell’assistito e di Indice di comorbosità di Charlson.Somma dei giorni al mese con almeno un accesso infermieristico (variabile erogazione/tipo operatore=3 ed erogazione/data accesso) nelperiodo di riferimento.Profilo bisogno di prestazione infermieristica (derivato dall’asse sanitario) nel periodo di riferimento.

Coefficiente di correlazione.Copertura sociale (variabile valutazione/supporto sociale),Charlson Index, età, genere.SIAD.Il dato non è disponibile per la Lombardia.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Variabile dipendente

VariabileindipendenteFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 10 Bis

Area di studio Livello Media giorni con almeno IC 95% Nun accesso al mese

SdS Firenze – SdS Pisa Lieve 1,09 (0,95-1,24) 203Moderato 2,30 (2,00-2,64) 92Grave 3,34 (2,87-3,87) 53

UlssAltoVicentino – UlssVicenza Lieve 0,73 (0,60-0,89) 143Moderato 0,81 (0,61-1,05) 67Grave n.d. - 15

Correlazione di Spearman tra numero medio di giorni con almeno un accesso e asse sanitarioArea di studio Coeff corr.Adj IC 95% p NSds Firenze – SdS Pisa 0,24 (0,12 0,35) 0,000 348UlssAltoVicentino – UlssVicenza - 0,07 ( -0,17 0,03) 0,194 225

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Indicatore 11I due percorsi, domiciliare o residenzia-le/semiresidenziale, si distinguono per quanto ri-guarda il ricorso ai servizi ospedalieri da parte deiloro assistiti, durante il periodo di presa in cari-co. Mediamente tra gli anziani in assistenza resi-denziale/semiresidenziale della Lombardia il 15,3%viene ricoverato in ospedale durante la perma-nenza in struttura, il 4,5% tra gli anziani dellaTo-scana, il 3,8% tra quelli delVeneto. Il ricovero èpiù frequente tra gli assistiti al domicilio: 35,5%in Lombardia, 25% inToscana, 50% inVeneto.Mediamente, in un anno di presa in carico da par-

te dei servizi residenziali, il ricovero ospedalierodura 2,5 giorni in Lombardia, 0,8 giorni inVe-neto, 1 giorno inToscana.La degenza ospedaliera media degli anziani assi-stiti al domicilio è maggiore. In un anno di pre-sa in carico si rilevano mediamente 13,5 giornidi degenza in Lombardia, 7,5 giorni inVeneto,3,8 giorni inToscana.Evidentemente la struttura residenziale è un am-biente più protetto, in grado di evitare il ricorsoal ricovero ospedaliero da parte dell’anziano, co-sì come l’eventuale accesso improprio al prontosoccorso.

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Indicatore 11

I 11Erogazione del servizio (tempistica).Totale pro-capite dei giorni di ricovero (Aggregate Bed Day Rate) nel periodo di riferimento, per DRG chirurgico o medico, da parte de-gli ospiti in strutture residenziali (codice R1, R2, R2d, R3 da flusso FAR) e anziani in assistenza domiciliare integrata.È una misura del ricorso al ricovero in ospedale da parte degli anziani assistiti in strutture residenziali e in assistenza domiciliare integrataespressa in giorni medi di degenza nel periodo di riferimento.Somma dei giorni di degenza nel periodo di riferimento (SDO: datdim – datamm) effettuati da soggetti durante l’assistenza inADI o RSA(SIAD: sospensione/motivazione=1 e sospensione/data inizio compresa nel periodo di riferimento; FAR: prestazione/tipo=R1,R2,R2d,R3e dimissione/tipologia=3 e dimissione/ data compresa nel periodo di riferimento) per ricoveri ordinari.Totale anni - persona in assistenza domiciliare - assistenza residenziale R1, R2, R2d, R3 durante il periodo di riferimento.Numeratore/Denominatore.Età,Genere.Età,Genere,Charlson Index.SDO, FAR, SIAD.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore

DenominatoreFormulamatematicaStandardizzazione IStandardizzazione IIFontiNote

Indicatore 11

Flusso Area Assistiti Totale % Tasso Tassodi studio ricoverati (prevalenti) Ricoverati standardizzato I standardizzato II

assistiti (*anno-persona) (*anno-persona)SIAD Asl Milano 987 2.784 35,5 13,5 n.d.

SdS Firenze – SdS Pisa 187 747 25,0 3,8 4,9Ulss AltoVicentino – UlssVicenza 377 754 50,0 7,5 7,3

FAR Asl Milano 959 6.251 15,3 2,5 n.d.Sds Firenze – SdS Pisa 8 178 4,5 1,0 1,1UlssAltoVicentino – UlssVicenza 53 1.388 3,8 0,8 1,0

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Indicatore 12

I 12Erogazione del servizio.Numero di accessi al pronto soccorso per codice bianco e verde (triage accesso) senza successivo ricovero degli anziani non autosuffi-cienti in assistenza domiciliare nel periodo di riferimento.Indica il livello di utilizzo inappropriato del pronto soccorso da parte degli anziani non autosufficienti assistiti in assistenza domiciliare equindi il bisogno di copertura sanitaria non soddisfatto con l’assistenza domiciliare.Numero di accessi al PS con codice bianco/verde (data accettazione al PS compresa nel periodo di riferimento) effettuati da soggetti du-rante l’assistenza inADI, nel periodo di riferimento.Totale soggetti in assistenza domiciliare durante il periodo di riferimento.Numeratore/Denominatore x 100.SIAD, flusso del pronto soccorso.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore

DenominatoreFormulamatematicaFontiNote

Indicatore 12

Area di studio Numeri accessi al PS %Asl Milano (N. prevalenti 2.784) 602 21,6SdS Firenze – SdS Pisa (N. prevalenti 747) 364 48,7UlssAltoVicentino – UlssVicenza (N. prevalenti 754) 174 23,1

Indicatore 12 Bis

Area di studio Numeri accessi Tasso Tasso stand Tasso stand per età,al PS (*anno-persona) per età e genere genere e Indice di Charlson

(*anno-persona) (*anno-persona)Asl Milano(N. prevalenti 2.784) 602 0,7 0,7 n.d.SdS Firenze - SdS Pisa(N. prevalenti 747) 364 0,6 0,7 0,7UlssAltoVicentino - UlssVicenza(N. prevalenti 754) 174 0,3 0,4 0,3

Indicatore 12Dalla valutazione del ricorso improprio al prontosoccorso (PS) considerando gli accessi al PS con co-dice triage bianco o verde effettuati da anziani in

carico ai servizi domiciliari è emerso che per ognicento assistiti in ADI risultano 21,6 accessi impro-pri al pronto soccorso nell’area di studio lombarda,48,7 nelle aree toscane, 23,0 nelle aree venete.

Indicatore 12 Bis

I 12BisErogazione del servizio.Tasso di accesso al pronto soccorso per codice bianco e verde (triage accesso) senza successivo ricovero degli anziani non autosufficien-ti in assistenza domiciliare nel periodo di riferimento.Indica il livello di utilizzo inappropriato del pronto soccorso da parte degli anziani non autosufficienti assistiti in assistenza domiciliare equindi il bisogno di copertura sanitaria insoddisfatto con l’assistenza domiciliare.Numero di accessi al PS con codice bianco/verde (data accettazione al PS compresa nel periodo di riferimento) effettuati da soggetti du-rante l’assistenza inADI, nel periodo di riferimento.Totale anni-persona in assistenza domiciliare durante il periodo di riferimento.Numeratore/Denominatore.Età,Genere,Charlson Index.SIAD, flusso del pronto soccorso.Trattandosi di casi presi in carico, la stessa persona può essere contata più di una volta.

Id IndicatoreDominioDefinizione

Significato

Numeratore

DenominatoreFormulamatematicaStandardizzazioneFontiNote

Indicatore 12 BisMediamente inun anno,un assistito al domicilio effettua0,7 accessi impropri nella area di studio lombarda e inquelle toscane, 0,3 accessi nelle aree di studio venete.Tale indicatore, come del resto l’I 12, ci fornisce

indirettamente informazioni sulla stabilità del Pia-no di Assistenza Individuale domiciliare (ad esem-pio si pensi ai casi in cui il paziente è clinicamenteinstabile con una rete assistenziale poco adeguatanon in grado di interpretare la sintomatologia).

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVEIl tema degli anziani non autosufficienti in Italiaè stato trattato da tempo e da molti punti di vista.La ricerca Agenas, svolta in collaborazione conesperti e con tre Regioni che hanno banche datiinformative consolidate, è stata rivolta a fornire uncontributo utile per la definizione e sperimenta-zione di un sistema in grado di trasformare i datiindividuali trasmessi con i flussi del NSIS (in par-ticolare flusso SIAD e flusso FAR) in informa-zioni, sotto forma di indicatori, essenziali per laprogrammazione, organizzazione e governance deiservizi di assistenza domiciliare, semi-residenzialee residenziale per gli anziani non autosufficienti.La raccolta di informazioni quantitative in que-sto progetto pilota è stata indirizzata a sperimen-tare un sistema in grado di misurare l’appropria-tezza del processo di presa in carico (tanto in ter-mini di accessibilità che di continuità assistenzia-le), in ciascun ambito territoriale studiato.Si era consapevoli che questi flussi sono recenti einnovativi e che cominciano ora a indagare i ser-vizi del territorio, affrontando così un ambito an-cora molto inesplorato e difficile da raccoglierein valori sintetici per la varietà delle esperienze ela specificità di interventi personalizzati.Spiegare il valore di questi flussi esula da questaricerca, ma è utile ricordare che finora abbiamoa disposizione solo alcune informazioni di tipodescrittivo sul dato di offerta in assistenza domi-ciliare integrata e in assistenza residenziale (es.448.641 persone anziane inADI/anno 2009; con19 ore medie annue di assistenza). Con l’utilizzodei nuovi flussi NSIS, seppur implementati in for-ma graduale nelle diverse Regioni invece, è pos-sibile cominciare a conoscere e misurare il livel-lo di gravità del paziente e diversi altri aspetti chepossono essere utili per la programmazione, l’or-ganizzazione, il monitoraggio e il governo deipercorsi.Tali flussi solo ora si misurano sulla ca-pacità di cogliere gli elementi essenziali di un si-stema di cure e assistenza molto diversificato.Un’attività di conoscenza del sistema territorialeche tiene conto dei riferimenti nazionali di par-

tenza condivisi da diversiTavoli di lavoro (tra cuiCommissione Lea; Programmi Mattoni del Ssn;Gruppi di lavoro sui flussi SIAD e FAR).I flussi SIAD e FAR e gli indicatori che qui sipropongono, riguardano:�dati individuali (caratteristiche clinico-funzio-nali, cognitivo-comportamentali e socio-rela-zionali degli anziani che hanno segnalato il bi-sogno e sono stati valutati, caratteristiche dei PAIdefiniti, servizi erogati, proxy di esiti, ad esem-pio, utilizzo ospedale tramite linkage con SDO);

�dati di sintesi (caratteristiche della popolazionedi anziani che hanno segnalato il bisogno/sonostati valutati, caratteristiche dei PAI definiti, ser-vizi erogati, utilizzo PS/Ospedale a livello Re-gionale/aziendale/distrettuale).L’ottica è quindi quella di raccogliere progressi-vamente e secondo una logica di “processo” le in-formazioni relative ai contatti del singolo indivi-duo con i diversi nodi della rete di offerta del Ser-vizio sanitario nazionale e rendere disponibile, alivello sia nazionale sia regionale, un patrimoniocondiviso di dati, centrato sull’assistito.Questa idea è stata perseguita con un lavoro pun-tuale e critico, volto a evidenziare spunti di mi-glioramento ed elementi di incertezza su cui ri-flettere. Ne è risultato un sistema di monitorag-gio che consente di identificare in maniera rigo-rosa e valorizzare in modo condiviso i punti incomune nelle tre Regioni coinvolte rispetto adognuna delle fasi fondamentali del processo dipresa in carico (segnalazione-accesso; valutazio-ne multidimensionale-piano individuale di assi-stenza-coordinamento attuativo e azione di casemanagement e monitoraggio-rivalutazione).Questa attività è stata arricchita dal coinvolgi-mento di professionisti sanitari e sociali nelle di-verse realtà locali partecipanti che, tramite il lorolavoro sul campo, sono stati capaci di apportarecontributi nella ricostruzione del complesso filoche unisce ogni nodo del processo assistenzialenella rete ospedale-territorio, oltre a fornirci ele-menti di interpretazione degli indicatori che sistavano costruendo.

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Al contempo, è stato sviluppato un questionariosemi-strutturato mirato a leggere le caratteristi-che organizzative dei sistemi regionali, per ap-profondire le scelte che ogni Regione ha opera-to per dare risposta ai cittadini, indagando diver-si aspetti (es. tempi di attesa, livello di informa-tizzazione, operatori coinvolti nella valutazionemultidimensionale, finanziamenti regionali). In-teressante rilevare che ogni Regione si sta orien-tando verso modalità per costruire il processo as-sistenziale insieme alla persona e alla sua famiglia,incoraggiando la persona ad un ruolo attivo ver-so la sua malattia.Tuttavia le stesse Regioni evi-denziano che questo percorso è ancora da arric-chire e rilevare con indagini mirate.È opportuno chiarire che non vi era un’ipotesidi ricerca da verificare (ad esempio il grado di mi-glioramento delle condizioni di salute rispetto al-l’offerta dei servizi domiciliari e residenziali), inquanto il grado di completezza delle informazioniafferenti al flusso non consente tali prospettive. Illavoro si è basato, invece, sul tentativo di speri-mentare un modello di monitoraggio della presain carico in grado di trasformare in informazio-ni una mole notevole di dati che talora rischianodi essere raccolti soltanto per soddisfare un debi-to informativo.La proposta che emerge dalla ricerca e ne costi-tuisce il valore principale è rappresentata dal fra-mework metodologico che è stato costruito informa condivisa con tre Regioni, accomunate dauna tradizione positiva di rilevazione dei dati convalenza informativa dei fenomeni sociosanitari,mentre sono differenziate nei modelli organizza-tivi di long term care.La ricerca con un approccio culturalmente inno-vativo, oltre a condividere principi di fondo re-lativi al processo di presa in carico da parte del si-stema diWelfare, ha utilizzato in modo integratodati amministrativi per produrre informazioni uti-li all’organizzazione e al governo locale dei ser-vizi, superando la logica tradizionale della rac-colta dei dati esclusivamente per soddisfare debi-ti informativi.

Inoltre, la conoscenza dei dati integrati sul pro-cesso assistenziale, prodotti a livello locale e ag-gregabili a livello regionale e nazionale, consen-te di supportare meccanismi di policy making ba-sati sulle evidenze. In tal modo è possibile orga-nizzare strategie specifiche a tutela dei soggettianziani non autosufficienti, affrontando un pro-blema emergente e talora sottovalutato. Il puntocentrale, come già evidenziato in diversi atti pro-grammatori, è un’organizzazione di servizi cen-trata sui bisogni della persona, nella complessitàdel suo percorso assistenziale.Ciò è in linea con quanto affermato dal DPCM14 febbraio 2001 sull’integrazione sociosanitariae declinato nei più recenti documenti di caratte-rizzazione dei Lea domiciliari e residenziali e diprogrammazione sanitaria (dal Psn 1998-2000 fi-no alla proposta di Psn 2011-2013).Alcuni requisiti per la governance, su cui il pro-getto ha lavorato:�condivisione del processo assistenziale per la pre-sa in carico;

�condivisione obiettivi;�disponibilità dati individuali sistematicamenteraccolti e registrati;

�possibilità di trasformazione di dati individualiin informazioni su adesione percorsi / livelloraggiungimento obiettivi;

� informazioni valide e che permettano confron-ti nel tempo e nello spazio;

�capacità di leggere e interpretare le informa-zioni.L’aver riportato i valori di alcuni indicatori in di-versi ambiti (come, ad esempio, l’indicatore re-lativo ai tempi di attesa intercorrenti tra la valu-tazione multidimensionale e l’erogazione del-l’assistenza) rappresenta un tentativo di eviden-ziare la fattibilità di un unico sistema di monito-raggio in contesti diversi,mentre non ha, in que-sta fase, alcuna finalità di confronto e interpreta-zione affrettata. Infatti si è ben consapevoli cheogni confronto tra realtà diverse richiede non so-lo un maggiore consolidamento della base in-formativa, ma anche un’analisi approfondita di

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una serie di fattori di tipo organizzativo e assi-stenziale.La ricerca ha evidenziato quanto sia importan-te un lavoro comune tra esperti, rappresentantiregionali e professionisti impegnati quotidiana-mente nell’assistenza, per promuovere un mi-glioramento delle modalità di rilevazione deiflussi, tenendo conto di ciò che l’esperienza di-mostra: i flussi si alimentano in termini di com-pletezza e affidabilità solo sulla consapevolezza,da parte del soggetto che li raccoglie, della loroutilità per il miglioramento dell’attività assisten-ziale.In quest’ottica la proposta di monitoraggio del-l’intero processo assistenziale delle persone an-ziane non autosufficienti intende contribuire al-le scelte di priority setting. Infatti le esigenze disostenibilità economica e la contingente crisi fi-nanziaria acuiscono la necessità di effettuare unreale priority setting con regole di sistema, perevitare diseguaglianze di accesso e trattamenti of-ferti da un sistema diWelfare. Si rafforza, in que-sto modo, anche l’indicazione di valorizzare eco-nomicamente l’intero programma di assistenza,accessibile e realizzato con criteri di appropria-tezza organizzativa, e non la somma delle singo-le prestazioni.Questa indicazione è coerente con quanto pre-visto dalla normativa vigente, all’art. 8-sexies delD.lgs. 502/92 e successive modificazioni, laddo-ve chiarisce la necessità di remunerare program-mi di assistenza “a forte integrazione tra area ospe-daliera e territoriale, sanitaria e sociale, con particolareriferimento all’assistenza per patologie croniche di lun-ga durata”; nonché “programmi di assistenza a ele-vato grado di personalizzazione della prestazione odel servizio reso alla persona”. Secondo questa nor-ma, i processi, una volta conosciuti nelle loro fa-si fondamentali, saranno “remunerati in base al co-sto standard di produzione del programma di assi-stenza”.Analogamente, la proposta di ridefinizione deilivelli essenziali di assistenza del 2008 suggerivadi orientare il sistema all’intero processo assi-

stenziale e non alle singole prestazioni, per ri-uscire a garantire accessibilità e continuità assi-stenziale.Riteniamo che un impegno volto a rilevare illavoro compiuto in molte zone del nostro Pae-se a favore degli anziani non autosufficienti ab-bia un grande valore civile, perché è la rispostamigliore alle denunce di “mala assistenza” cherischiano di comprendere in modo acritico tut-te le realtà, anche quelle più virtuose. In parti-colare si valorizza il lavoro di molte migliaia dioperatori che svolgono un lavoro di alto livellospesso in condizioni difficili, i quali sono pesan-temente frustrati da affermazioni che non ri-spettano il loro ruolo professionale, l'impegnoprofuso, l'intelligente generosità. Sono questi stes-si professionisti che hanno interesse a confron-tarsi e lavorare sia sugli aspetti critici che sullepotenzialità di questi nuovi strumenti, per pas-sare da un concetto di “debito informativo” aquello di uno strumento di governo clinico, piùo meno raffinato, ma base essenziale e comune,da utilizzare ed eventualmente migliorare in for-ma condivisa.Va rilevato che i servizi per la non autosuffi-cienza sono ancora fragili e che quindi la mi-surazione dei loro risultati rappresenta un pas-so avanti molto significativo. Infatti le struttureospedaliere ad alta tecnologia sono da anni co-involte in atti di rilevazione degli outcome, at-traverso l'utilizzazione di precisi indicatori,men-tre i servizi domiciliari e residenziali sono sem-pre stati autoreferenziali, quasi ci fosse un'in-conscia incertezza sul loro ruolo e sulla loro ef-ficacia. Se nel recente passato non hanno avu-to lo sviluppo quantitativo e qualitativo che sa-rebbe stato necessario è anche conseguenza del-la crisi culturale che li ha accompagnati: la ri-cerca di Agenas si pone in controtendenza e mi-ra a mettere “le carte in tavola”, offrendo ai pro-grammatori di tutti i livelli dati utili per il go-verno dei servizi, al fine di compiere scelte for-temente innovative. Peraltro gli indicatori rile-vati sono la testimonianza della qualità dei ser-

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vizi forniti nelle tre Regioni prese in conside-razione, qualità che permette di utilizzare in fu-turo i risultati come punti di riferimento ancheper altre realtà.Le informazioni Agenas possono essere utilmen-te interpretate tramite un sistematico confrontotra ciò che viene osservato, ad esempio, la corre-lazione tra le caratteristiche valutativo progettua-li degli anziani presi in carico e la tipolo-gia/quantità dei servizi erogati e l’atteso ossia ibisogni stimati, standard condivisi, medie regio-nali, differenze rispetto al pregresso, etc.Gli indicatori rilevati nello studio non riguar-dano direttamente le aree della cura, cioè nonmisurano cambiamenti di condizione del frui-tore dei diversi servizi domiciliari e residenzia-li. Si deve però rilevare che molti dei dati ana-lizzati hanno ricadute di fatto sullo stato di sa-lute e sulla qualità della vita; devono quindi es-ser considerati dei proxy di grande significatoanche in questo ambito. Si pensi, ad esempio, altasso di ospedalizzazione di persone in assisten-za domiciliare o ospite di residenze; infatti il tra-sferimento in ospedale di anziani che potreb-bero ricevere un trattamento anche nel luogonaturale di vita comporta un forte stress psico-logico, accompagnato dai ben noti rischi del-l'ospedalizzazione (infezioni, delirium, immo-bilizzazione, etc.). Un altro esempio, tra i mol-ti e significativi offerti dalla ricerca, è il tasso dipresa in carico appropriata di persone affette dademenza e da disturbi del comportamento. Èuna delle condizioni che maggiormente grava-no sulla famiglia e sulla sua possibilità di con-durre una vita normale; servizi adeguati in que-st'area hanno quindi una incisiva ricaduta sullavita della famiglia stessa, con conseguenze sul-le modalità assistenziali e sulla possibilità di evi-tare circuiti viziosi a danno della persona am-malata.Eventuali differenze tra una Regione e l'altrarispetto ai vari indicatori potranno essere rile-vate in una fase successiva, a seguito di un mag-giore consolidamento dei flussi informativi e

del sistema di indicatori.Tali differenze potran-no essere interpretate in due modi. Il primoconsidera la diversa struttura della rete dei ser-vizi per le persone non autosufficienti e le ov-vie conseguenze a livello di alcuni risultati; aquesto proposito sarà necessaria nel prossimofuturo una valutazione in grado di analizzare idiversi percorsi e quindi di indicare quali sonopiù razionali ed efficaci, collegando le variabilidi servizio ai risultati ottenuti. Il secondo inve-ce potrebbe suggerire che alcuni servizi sonomeno efficaci di altri nel garantire un buon li-vello di assistenza alle persone anziane fragili eche quindi vanno modificati nelle loro moda-lità operative. Ovviamente la caratteristica difondo deve essere l’apertura a nuove prospetti-ve, evitando arroccamenti che spesso sono lanaturale conseguenza della mancata esposizio-ne ai confronti.Il sistema di monitoraggio presentato nella ri-cerca rappresenta un contributo per l’assunzio-ne delle decisioni dei programmatori e per laformazione degli operatori. In queste aree trop-po spesso hanno prevalso criteri teorici che, sep-pure utili, hanno portato a costruire modelli po-co realistici e alla formazione di operatori chenon sono in grado di collegare le nozioni rice-vute con la prassi di tutti i giorni. Invece l’uti-lizzazione degli indicatori permette di costrui-re “ponti” tra la teoria e la pratica, con risultatimolto significativi sull’espletamento quotidianodei servizi.Una ricaduta importante di una conoscenza viavia più approfondita del processo assistenziale,potrebbe essere, per il prossimo futuro, la co-struzione di linee di indirizzo a livello naziona-le, che permettano di orientare le scelte opera-tive delle singole Regioni e offrano strumentidi controllo non repressivi, ma volti al migliora-mento della qualità. In questa prospettiva si va-lorizza l’autonomia regionale, che potrebbe con-tare su una base conoscitiva indiscussa, sulla qua-le costruire le specificità dei propri provvedi-menti.

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In conclusione, i risultati prodotti possono esse-re utilizzati a supporto di azioni di evidence ba-sed policy making a livello nazionale e regionale epotenzialmente rappresentano uno strumento digovernance a livello aziendale e locale.La prospettiva è quella di mettere a regime siste-mi di calcolo automatici degli indicatori definitiin alcuni ambiti aziendali con produzione di re-portistiche periodiche ad esempio a livello di di-stretto, considerando anche lo stato di depriva-zione socioeconomica; sperimentare, inoltre, l’u-tilizzo di reportistiche prodotte con finalità di or-ganizzazione e governo dei servizi socio-sanitariper anziani non autosufficienti.Questi strumenti di misurazione del processo as-sistenziale intendono apportare un contributo allavoro già in essere presso diversi Tavoli istitu-zionali, come specificato in premessa, dedicatisia allo sviluppo dei flussi informativi, sia al mo-nitoraggio dell’erogazione dei livelli essenzialidi assistenza nel nostro Paese, con un’attenzio-ne specifica al corretto equilibrio tra attività erisorse assegnate al Lea ospedaliero e al Lea ter-ritoriale.Per meglio rispondere ai bisogni delle persone

non autosufficienti le indicazioni programmato-rie anzitutto sono rivolte a:�affermare principi universalistici nell’accesso alle pre-stazioni socio-sanitarie da parte di persone che han-no subito una perdita permanente (parziale/totale)dell’autonomia, delle abilità fisiche, sensoriali, co-gnitive, relazionali.Perdita,questa,che porta a un’in-capacità di compiere gli atti essenziali della vita quo-tidiana senza l’aiuto rilevante di altre persone;

� individuare, per il cittadino, livelli di certezzanelle modalità di accesso, presa in carico e nel-le tipologie di offerta assistenziale appropriateper la risposta al bisogno accertato;

�definire le nuove modalità di compartecipazio-ne degli assistiti e/o dei loro familiari al costodelle prestazioni socio-sanitarie privilegiandol’assistenza a domicilio;

� introdurre elementi di omogeneità territorialee di equità nella compartecipazione delle per-sone ai costi dei servizi, garantendo risorse re-gionali aggiuntive a quelle di provenienza sani-taria e sociale già destinate;

� sostenere ed estendere il sistema pubblico deiservizi socio-sanitari integrati a favore delle per-sone non autosufficienti, disabili e anziane.

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LE STRATEGIE REGIONALI PER LA LONGTERM CARE IN REGIONE LOMBARDIAL’attuale modello diWelfare, ispirato al principiodella sussidiarietà, nasce da una sostanziale sem-plificazione della struttura organizzativa, caratte-rizzata da alcuni elementi essenziali tra cui la tu-tela della centralità del cittadino e la sua libertà discelta all’interno del sistema. La ristrutturazionedel sistema ha portato in via prioritaria ad un’im-portante revisione e qualificazione della rete d’of-ferta nel settore sociosanitario e sociale attraver-so l’introduzione dell’accreditamento regionale,posto come condizione imprescindibile per l’e-sercizio dell’attività erogativa per conto del FSRnel rispetto di specifici requisiti basati sulla qua-lità delle prestazioni, e sulla definizione di crite-ri per l’accesso ai servizi.Le trasformazioni demografiche ed epidemiolo-giche avvenute in questi anni hanno fatto emer-gere la necessità di un ulteriore sviluppo della po-litica di welfare regionale, non più basata su ag-giustamenti settoriali, ma sul rafforzamento deilegami tra le diverse componenti della società eaffrontando i problemi in termini di sostenibilitàe partecipazione.Con la Legge Regionale n.3/2008“Governo del-la rete delle Unità d’offerta sociosanitarie e so-ciali” e con la Legge Regionale n.33/2009 “Te-sto unico delle leggi regionali in materia di sani-tà”, che abroga la L.R.31/97, la Regione ha in-teso richiamare i principi di sussidiarietà oriz-

zontale e verticale e di libera scelta del cittadino,perseguendo tra gli obiettivi prioritari l’adegua-tezza della rete delle Unità d’offerta ai bisogni so-ciali e sociosanitari, la personalizzazione degli in-terventi e la promozione dell’integrazione dellefunzioni sanitarie e sociosanitarie con quelle so-ciali di competenza dei Comuni. I provvedimen-ti citati rinforzano il ruolo della Regione comeente preposto alla programmazione, all’indirizzo,al coordinamento, controllo e supporto nei con-fronti delle Aziende sanitarie locali (Asl), alle qua-li viene riconosciuta la piena autonomia nella pro-grammazione a livello locale della rete d’offertain linea con le indicazioni regionali e con le li-nee di indirizzo formulate dai Comuni.Il Programma Regionale di Sviluppo e il PianoSocio Sanitario 2010-2014, che rappresenta lostrumento di programmazione integrato nel qua-le sono indicate le linee d’indirizzo del sistemaregionale nelle politiche in ambito sanitario e so-ciosanitario, sanciscono come obiettivo priorita-rio delle azioni programmatorie il passaggio “dal-la cura al prendersi cura”, rinforzando la scelta re-gionale di porre al centro del sistema la personae la sua famiglia sostenendo a livello territorialedistrettuale l’integrazione e l’unitarietà fra i di-versi interventi sanitari, sociosanitari e sociali, lacontinuità tra le diverse azioni di cura e assisten-za, incoraggiando un ruolo attivo della personanella gestione della propria malattia.L’evoluzione dei bisogni, caratterizzata principal-

ALLEGATO 1Il contesto regionale di riferimentodelle aree di studio

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mente dalla cronicizzazione delle malattie, dal-l’invecchiamento della popolazione e dall’incre-mento delle condizioni di fragilità sociale, ha de-terminato una progettazione innovativa che col-loca nel territorio il luogo privilegiato dell’inte-grazione nella logica di una presa in carico glo-bale e continuativa, finalizzata a garantire la mi-glior qualità di vita possibile della persona e del-la sua famiglia, attraverso un’offerta di servizi re-golata secondo i principi dell’efficacia, dell’effi-cienza, dell’appropriatezza, della semplificazionedei rapporti amministrativi e della responsabiliz-zazione degli enti.Le strategie di sviluppo della IX Legislatura, purconfermando alcuni capisaldi del sistema lom-bardo ispirato alla sussidiarietà, si orientano a po-litiche di innovazione e sviluppo che prevedono:� la promozione di interventi sulle persone, vistenon più come portatrici di un bisogno e desti-natarie dell’intervento, ma soggetti in grado dipartecipare alla costruzione della risposta (dalgoverno dell’offerta al governo della domanda);

� il potenziamento di un’effettiva libertà di sceltarispetto ai percorsi e non più solo rispetto aglierogatori (co-progettazione del proprio percor-so di salute e di vita);

� il rafforzamento del ruolo del terzo settore chesuperi quello di mero erogatore di servizi;

� la promozione dell’integrazione, superando lo-giche organizzative settoriali.Si è inteso così rinforzare il ruolo importante ri-vestito dalla famiglia nel potenziamento del li-vello territoriale delle cure e dell’assistenza in par-ticolare dell’ambito domiciliare. Proprio in taleprospettiva ha confermato la funzione di coordi-namento delle Asl dei servizi territoriali nella lo-ro declinazione distrettuale, attraverso:� lo sviluppo di centri per l’assistenza domicilia-re, dislocati a livello distrettuale, con l’obiettivodi assicurare modalità uniformi di accesso ai ser-vizi, informare, orientare e accompagnare neipercorsi all’interno della rete dei servizi il citta-dino e la sua famiglia;

� il potenziamento dell’assistenza domiciliare in-

tegrata con particolare riguardo ai bisogni com-plessi, promuovendo un miglioramento quali-quantitativo dei servizi stessi;

� l’identificazione di unità residenziali dedicateper l’assistenza ai casi complessi e soluzioni al-ternative alla residenzialità con particolare rife-rimento alle situazioni di fragilità sociale.

Caratteristiche e organizzazione del sistemasociosanitario lombardo e dell’area disperimentazioneIl territorio lombardo si estende su di una super-ficie complessiva di kmq 23.861, di cui il 40,5%rappresentato da aree montane e una densità dipopolazione per kmq di 415,7. La popolazioneresidente al 01/01/2011 è di 9.917.714 abitantidi cui il 51,1% femmine e il 10% stranieri; la fa-scia degli ultra sessantacinquenni è pari al 19,2%con un incremento significativo osservato in que-sti ultimi dieci anni in particolare della fascia deigrandi anziani (85+). L’indice di vecchiaia è paria 143,1.Il sistema sociosanitario lombardo è attualmenteorganizzato in 15Asl, all’interno delle quali sonopresenti 86 distretti (cui va aggiunto il distrettodi campione d’Italia), con una densità di popola-zione quantitativamente differente, cui viene ri-conosciuta un’autonomia sostanziale nel disegnoorganizzativo, nella programmazione e nelle mo-dalità erogative dei servizi e delle prestazioni inbase alle specificità territoriali su base distrettua-le. La separazione tra soggetti erogatori (aziendeospedaliere e strutture private accreditate), e sog-getti acquirenti (Asl) e la graduale esternalizza-zione dei servizi socio-sanitari a soggetti eroga-tori istituzionali e a nuovi soggetti pubblici e pri-vati, profit o non profit hanno favorito uno svi-luppo del ruolo delle Asl nell’ambito della tutelae controllo attraverso il rafforzamento delle fun-zioni di programmazione, acquisto di servizi econtrollo delle prestazioni nell’ottica del perse-guimento dell’integrazione sociosanitaria tra il si-stema sanitario, sociosanitario e sociale: tra i pun-ti significativi di tale modello vi sono l’istituzio-

Allegato 1

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ne all’interno delle Asl della figura del direttoresociale, del dipartimento delle Attività Socio Sa-nitarie Integrate (A.S.S.I.) e il rafforzamento del-la partecipazione responsabile al processo deci-sionale programmatorio regionale dei cittadini,degli enti locali e di tutti gli attori del sistema(pubblici e privati, profit e no profit).Una delle funzioni principali attribuita al distret-to è quella di “tutela” della popolazione e di de-clinazione operativa delle attività sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali in modo da rappre-sentare i bisogni della comunità locale attraversoil coordinamento della realizzazione delle attivi-tà programmate a livello aziendale, in stretta col-laborazione con i Comuni e i diversi interlocu-tori sul territorio, presidiando altresì la libertà discelta del cittadino nell’accedere ai servizi socio-sanitari presenti sul territorio.Sia in ambito sanitario sia sociosanitario sono pre-visti livelli di esercizio delle attività di erogazio-ne dell’assistenza: il livello autorizzativo, basato surequisiti di esercizio nazionali e specifici regio-nali, il livello di accreditamento istituzionale spe-cifico per tipologia d’offerta rilasciato a seguitodi verifica del possesso di specifici requisiti ulte-riori stabiliti dalla Regione.Quest’ultimo livellorappresenta la condizione “sine qua non” per ac-cedere alla contrattualizzazione delle prestazioni,ponendo a carico del Ssr i costi delle prestazioniriconosciute nei livelli essenziali di assistenza.L’assistenza continuativa agli anziani è rappre-sentata principalmente da servizi e prestazioni dicarattere domiciliare, semiresidenziale e residen-ziale.Nell’area della domiciliarietà sono ricompresi iservizi di assistenza domiciliare integrata (ADI)erogata tramiteVoucher/Credit, garantiti da entiprivati accreditati e, in misura sempre minore, dalservizio pubblico, che costituiscono una rete im-portante in grado di consentire la permanenza adomicilio anche di situazioni complesse (StatiVe-getativi - SV, Sclerosi Laterale Amiotrofica - SLA)e di terminalità oncologica e non oncologica.Al-l’interno di quest’area sono previsti anche con-

tributi economici a sostegno delle famiglie cheassumono in proprio il carico assistenziale di per-sone non autosufficienti o con bisogni comples-si (SV, SLA).L’offerta di servizi residenziali e semiresidenzialiper anziani in Regione Lombardia si caratteriz-za per un numero consistente di posti letto nelleResidenze Sanitarie Assistenziali (RSA), pari acirca 60.000 posti distribuiti in modo omogeneosul territorio che svolgono funzioni prevalente-mente orientate alla lungo assistenza anche di ca-si particolarmente complessi (stati vegetativi,ma-lattie neurologiche degenerative, SLA, gravi dis-abilità) mediante l’erogazione di prestazioni me-diche, infermieristiche, riabilitative e animative.Le RSA garantiscono, oltre ai ricoveri ordinaridefinitivi, la possibilità di ricoveri temporanei disollievo e di Pronto Intervento a sostegno dellefamiglie che assistono presso il proprio domici-lio persone non autosufficienti.All’interno dellarete delle RSA sono presenti anche i nuclei de-dicati all’assistenza di persone affette da demen-za con disturbi comportamentali (Nuclei Alzhei-mer) con specifici requisiti di accreditamento.Nella rete d’offerta semiresidenziale sono ricom-presi i Centri Diurni Integrati (CDI) che garan-tiscono prestazioni mediche, infermieristiche, ri-abilitative e animative in regime diurno a sup-porto della domiciliarietà. Sul territorio regiona-le sono presenti sia in ambito sanitario sia socio-sanitario una rete hospice e un sistema di offertadi prestazioni riabilitative in area specialistica (in-tensiva), generale geriatrica (estensiva) e di man-tenimento.Sostanzialmente in linea con i dai sociodemo-grafici regionali sono i dati riferiti al territoriodell’Asl di Milano, ambito regionale coinvoltonella sperimentazione. Nella tabella 1 sono illu-strati i principali indicatori relativi alla popola-zione oggetto dello studio.Il territorio dell’Asl di Milano presenta un siste-ma di offerta quantitativamente importante.La rete d’offerta in ambito sanitario è rappresen-tato nella tabella 2, comprendendo inoltre da qual-

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che anno e in via sperimentale anche una rete diOspedalizzazione Domiciliare Cure Palliative edi Cure Subacute collocate nella fase intermediadel percorso assistenziale.Il sistema dell’offerta in ambito sociosanitario, inparticolare quello rivolto all’assistenza delle per-sone anziane, ricomprende tutte le tipologie pre-viste dal sistema lombardo e viene illustrato nel-la tabella 3. Come si può vedere, l’offerta quan-titativamente più significativa è rappresentata dal-le RSA con 8.918 posti letto accreditati contrat-tualizzati distribuiti su 67 strutture: in linea conquanto previsto dalle regole regionali, le RSA del

territorio offrono la possibilità di ricoveri ordi-nari definitivi e di sollievo e di assistenza a per-sone affette da demenza con disturbi comporta-mentali (Nuclei Alzheimer per un totale di 159p.l.). È presente, in aggiunta all’offerta illustrata inambito sanitario, anche un numero di struttureaccreditate contrattualizzate che operano nel cam-po della riabilitazione sia in regime di ricoverosia ambulatoriale/domiciliare per un totale di 824posti letto e poco più di 500.000 prestazioni am-bulatoriali/domiciliari. Nell’area semiresidenzia-le sono presenti 27 CDI per un totale di 707 po-sti contrattualizzati.

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TABELLA 1 - Caratteristiche della popolazione oggetto dello studio

N° distretti 7Popolazione totale dellaAsl/Zona Distretto 1.593.400Popolazione >64 anni nellaAsl/Zona Distretto 372.782% Popolazione > 64 anni nellaAsl/Zona Distretto 23,40Popolazione >84 anni nellaAsl/Zona Distretto 51.028Area Metropolitana 100%

TABELLA 2 - Rete dell’offerta sanitaria dell’Asl di Milano

Tipologia di strutture NumeroAziende ospedaliere 7Presidi ospedalieri 11Aziende Ospedaliere Universitarie/Policlinici Universitari 2IRCCS pubblici 3IRCCS privati 8Ospedali privati accreditati 14Totale posti letto N.10.073 di degenza per acuti

N. 1.692 di riabilitazione

TABELLA 3 - Rete dell’offerta sociosanitaria

N.strutture N.posti a contratto/volumi accr.Residenza SanitariaAssistenziale (RSA) 67 8.918Centro Diurno Integrato (CDI) 27 707Hospice 4 43ADIVoucher 24Riabilitazione (ex.Art.26)Strutture di ricovero (totale) 6 824Specialistica 3 148Generale geriatrica 5 546Mantenimento 4 130Prestazioni (totale) 18 512.820Ambulatoriale 18 376.276Domiciliare 10 136.544

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Il sistema di presa in carico della nonautosufficienza e “fragilità”Il processo di valutazione ed erogazione dell’as-sistenza rivolto alle persone anziane si inseriscein un più complesso processo, che ha come obiet-tivo prioritario quello di garantire la libertà discelta e di facilitare l’accesso del cittadino ai ser-vizi anche attraverso l’informazione, l’orienta-mento e l’accompagnamento della persona incondizioni di bisogno, ma soprattutto di garan-tire risposte appropriate ai bisogni espressi.La coesistenza di problematiche sanitarie e socia-li spesso interdipendenti tra loro nella persona“fragile” rende necessaria la valutazione dei biso-gni a partire dalle priorità e dalle caratteristichedell’intervento necessario a rispondere ai biso-gni espressi dalla persona nelle diverse fasi dellavita. Nel processo di presa in carico la multidi-mensionalità della valutazione dei bisogni e l’im-postazione multiprofessionale dei processi oltrealla coerenza e continuità del percorso di cura edi assistenza consentono di sostenere la personae la sua famiglia nel passaggio fra le diverse mo-dalità assistenziali. Proprio per tale motivo il ri-conoscimento del bisogno viene attuato attraver-so la valutazione multidimensionale dei bisogni(sanitari, funzionali, sociali): il percorso assisten-

ziale si configura così come un percorso di rete.Nel sistema lombardo non esiste una gestione“centralizzata” delle liste di attesa,ma ogni strut-tura/ente erogatore (ADI) ha una propria lista in-terna i cui criteri di tenuta sono stabiliti a livelloregionale.

Le fasi della Presa In CaricoNel sistema lombardo l’accesso ai servizi socio-sanitari avviene in modo diretto e nel rispettodella libera scelta della struttura erogatrice da par-te del cittadino.Non sono previste ad oggi valu-tazioni ex ante da parte del servizio pubblico, siaper accedere ai servizi residenziali/semiresidenziali(RSA, CDI) sia domiciliari. Le modalità tuttaviadifferiscono parzialmente nel caso in cui il citta-dino necessiti di una presa in carico domiciliare,per la cui attivazione è obbligatoria la richiestadel Mmg/Pls (ricettario regionale) che esplicitile motivazioni e la necessità della domiciliazionedelle prestazioni. È tuttavia in corso una speri-mentazione a livello regionale per la revisione delprocesso di presa in carico che introduce una va-lutazione ex ante dei bisogni finalizzata ad orien-tare una presa in carico globale e il setting più ap-propriato.Nel progetto PIC è stata condivisa tra le Unità

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TABELLA 4 - Il sistema di presa in carico nelle SdS coinvolte nel progetto - Regione Lombardia

L’accesso ai servizi/strutture avviene in modo diretto: il cittadino, previa acquisizione della richiesta di attivazione del servizio (ADI, hospi-ce, riabilitazione richiesta Mmg/Pls su ricettario regionale) e/o della modulistica prevista nel caso delle strutture residenziali e semiresi-denziali (RSA,CDI,NA), sceglie liberamente l’erogatore.Nel caso di pazienti ad alta complessità (Stati vegetativi) è previsto un livello au-torizzativo da parte dell’Asl che attesti la presenza dei requisiti per la gratuità del ricovero.L’ente erogatore scelto dal cittadino a seguito della richiesta prende in carico la persona e procede ad effettuare una valutazione multidi-mensionale dei bisogni attraverso l’equipe multidisciplinare e formula un Piano diAssistenza Individualizzato (PAI) che viene condivisocon il Mmg/Pls (solo nel caso dell’ADI) e con il cittadino e/o la sua famiglia.Nel PAI viene definita la programmazione dell’assistenza(Azioni) e gli obiettivi assistenziali orientati ai problemi e alla valutazione degli esiti.Nel caso di ricovero in RSA l’erogatore procede allaclassificazione del livello di fragilità dell’ospite compilando la scheda SOSIA; nel caso dell’ADI a seguito della valutazione l’erogatore indi-vidua il profilo assistenziale appropriato (Voucher/Credit).Con la presa in carico l’erogatore individua all’interno dell’equipe una figura di riferimento per il monitoraggio e il coordinamento dell’as-sistenza, che rappresenti il riferimento per la persona e per la sua famiglia.

Nel corso della presa in carico viene monitorata costantemente l’evoluzione dei bisogni mediante rivalutazioni periodiche che possonoesitare in una rivalutazione con riformulazione del PAI (cambio profilo voucher/credit nel caso dell’ADI; cambio classe SOSIA nel casodelle RSA) e modifica degli obiettivi assistenziali. Durante il periodo di presa in carico l’Asl effettua un monitoraggio costante dell’utenzaassistita e può procedere ad una verifica diretta del percorso assistenziale.Al raggiungimento degli obiettivi l’ente erogatore procede alladimissione della persone garantendo la continuità assistenziale all’interno della rete.

Accesso

ValutazioneMultidimensionaledelbisognoeproduzionediunPianoAssistenzialeIndividuale (PAI)Coordinamentoattuativo traerogatori e azione dicasemanagementMonitoraggio erivalutazione

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Operative delle regioni coinvolte nella speri-mentazione una mappa concettuale del sistemadi presa in carico: nella tabella 4 viene descrittoil processo di presa in carico dei bisogni complessisociosanitari nella realtà operativa dell’Asl di Mi-lano, seguendo i parametri definiti nella mappaconcettuale del progetto.

La fase di segnalazione e attivazionedell’assistenzaLa segnalazione del caso può essere fatta da tutticoloro che, a diverso titolo, ne valutino l’oppor-tunità a favore di una persona in condizioni difragilità, per esempio dalla famiglia, dai servizi so-ciali del Comune di residenza, dalle associazionidi volontariato, da operatori delle strutture di ri-covero e cura sanitarie e sociosanitarie.L’attivazione del percorso di cure domiciliari, diquello riabilitativo e di quello di cure palliative(hospice) viene fatta su ricetta regionale dalMmg/Pls, o dal medico specialista ospedaliero al-l’interno del percorso “dimissioni protette”, lad-dove previsto, previo accordo con il medico dimedicina generale. Solo nel caso delle cure do-miciliari il Medico di cure primarie/pediatra difamiglia è il responsabile clinico del paziente, co-stituendosi come punto di riferimento per l’ero-gatore e per la famiglia al fine di garantire la con-tinuità diagnostico-terapeutica.Nel caso delle RSA e del CDI il cittadino/famigliaaccede direttamente alla RSA scelta, presentandouna domanda di inserimento unitamente alla cer-tificazione medica compilata dal Mmg/Pls.

La fase della valutazione dei bisogni,della stesura del PAI e dell’individuazionedel case managerLa struttura erogatrice scelta dal cittadino proce-de alla valutazione analitica dei bisogni, alla ste-sura del PAI e definisce l’obiettivo di cura e assi-stenza. Nel caso delle RSA l’erogatore è tenutoalla compilazione della scheda SOSIA (scheda diosservazione intermedia dell’assistenza) median-te la quale viene attribuita una classe di “fragili-

tà” e la conseguente tariffa a carico del FSR.Nelcaso dell’ADI l’erogatore di cure domiciliari as-segna il voucher sulla base dei bisogni rilevati edel PAI secondo parametri prestabiliti adottati dal-l’Asl (n. accessi, case-mix assistenziale, complessi-tà) e definiti nei requisiti di accreditamento. Il sog-getto erogatore assume così la responsabilità del-l’erogazione delle prestazioni necessarie al rag-giungimento degli obiettivi, individuando il re-sponsabile del percorso assistenziale ed informandol’assistito e la sua famiglia in merito alle figureprofessionali coinvolte (case–mix professionale), al-le prestazioni previste dal PAI in funzione degliobiettivi. A tale scopo viene predisposto e co-stantemente aggiornato il fascicolo sociale e sa-nitario nel quale è contenuta tutta la documen-tazione necessaria alla gestione della presa in ca-rico (il consenso informato alle cure, la docu-mentazione sanitaria, le scale di valutazione, l’e-sito della valutazione, il PAI e la scheda SOSIAnel caso delle RSA).La fase di erogazione delle cure si esplicita cosìattraverso la messa a disposizione dell’assistito edella sua famiglia di tutte le competenze profes-sionali necessarie per tutto il periodo che risultinecessario, a supporto di un’adeguata e appro-priata risposta ai suoi bisogni secondo un’otticadi integrazione con tutti gli attori del sistema.L’erogatore è tenuto all’assolvimento del debitoinformativo (requisito di accreditamento) nei con-fronti dell’Asl e della regione con cadenza tri-mestrale (tranne l’ADI che è mensile) che con-tiene tutte le informazioni clinico-assistenziali edeconomiche relative alla popolazione assistita.L’Asl mantiene un ruolo di costante monitorag-gio e verifica delle prestazioni erogate in gradodi consentire una valutazione in itinere ed ex postdell’appropriatezza delle prestazioni erogate e at-tuare un costante monitoraggio dei volumi pro-dotti.

La fase di rivalutazione/monitoraggioL’aggiornamento del case–mix assistenziale e del-le prestazioni correlate è in capo all’erogatore, sia

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in termini di tipologia sia di intensità di cura, me-diante un monitoraggio periodico dei bisogni ela conseguente valutazione degli esiti.Tale moni-toraggio può esitare in un rinnovo/modifica delprofilo di cura (voucher,ADI) o della classe SO-SIA nella direzione di una minore o maggiore in-tensità, anche correlata alla variazione del mix difigure professionali necessarie al raggiungimentodell’obiettivo di cura e assistenza. La durata delperiodo di erogazione, l’intensità di cura e il ca-se-mix professionale, sono correlati all’evoluzio-ne dinamica dei bisogni dell’assistito.

La fase di dimissioneIl raggiungimento dell’obiettivo di cura prefissa-to comporta la chiusura del PAI in accordo conl’assistito/sua famiglia in modo da garantire lacontinuità assistenziale attraverso i diversi nodidelle rete.In tutte le fasi del percorso di presa in carico l’Aslmantiene un costante monitoraggio delle presta-zioni erogate e può intervenire attraverso una ve-rifica in itinere o ex post dell’appropriatezza diquanto erogato.

Il sistema informativo sociosanitario lombardoL’introduzione in ambito sociosanitario dell’ac-creditamento istituzionale ha consentito di in-trodurre come requisito specifico per le singoleUnità d’offerta un debito informativo, attuatomediante la compilazione di un tracciato recordstabilito dalla regione, in grado di fornire le in-formazioni clinico-assistenziali-sociali ed eco-nomiche relative all’utenza assistita. I flussi in-formativi costituiscono un debito informativoobbligatorio che le strutture erogatrici devonoassolvere secondo le indicazioni e le modalità sta-bilite dalla regione (trimestrale per RSA, CDI,hospice, riabilitazione e mensile per l’ADI).Adoggi il sistema informativo sociosanitario rilevainformazioni nell’ambito dell’assistenza residen-ziale/semiresidenziale agli anziani (RSA, CDI),nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata,nell’ambito della disabilità (RSD, CDD, CSS),

della riabilitazione, delle dipendenze, dei consul-tori, degli hospice. Un flusso informativo speci-fico è stato inoltre sviluppato per la rilevazionedei requisiti di accreditamento e per la tenuta diun’anagrafe regionale delle strutture sociosani-tarie. Il debito informativo così strutturato con-sente alla regione di assolvere il proprio debitoinformativo nei confronti del Ministero della sa-lute, mediante l’invio alle scadenze previste deiflussi SIAD e FAR.L’introduzione di un sistema omogeneo di clas-sificazione dei bisogni della persona con bisognosociosanitario complesso ha permesso in questianni di costruire un osservatorio epidemiologicodella popolazione anziana e di effettuare un mo-nitoraggio costante sull’evoluzione della “do-manda” espressa in grado di orientare le azioniprogrammatorie regionali.

Il sistema di finanziamento lombardo della nonautosufficienza/anzianiNell’organizzazione della Regione Lombardia lerisorse economiche destinate all’ambito dell’assi-stenza agli anziani sono in capo all’Assessorato Fa-miglia, Conciliazione, Integrazione e SolidarietàSociale. Le risorse finanziarie destinate alla Dire-zione Generale sono di tre tipi:� le risorse autonome, derivanti dal bilancio re-gionale, il Fondo sociale regionale;

� le risorse vincolate, fondi assegnati a interventispecifici di derivazione statale, come la quota as-segnata alla Regione Lombardia del Fondo na-zionale per le Politiche Sociali, o provenientidall’Unione Europea;

� la quota parte socio-sanitaria del Fondo sanita-rio regionale.I flussi di finanziamento sono illustrati nella figu-ra 1: per il Fondo sociale regionale e il Fondo na-zionale per le politiche sociali, il flusso dei finan-ziamenti passa dalla Direzione Generale alle Asle da queste direttamente agli ambiti distrettuali.Gli ambiti gestiscono i fondi direttamente, indi-rizzandoli ai gestori dei servizi sociali, oppure me-diante i Comuni che, a loro volta, fanno conflui-

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re le risorse ai gestori o le erogano direttamenteai cittadini nell'ambito dell'area sociosanitaria, leAsl erogano i servizi e gli interventi quasi esclu-sivamente attraverso i gestori di servizi sociosa-nitari.La figura 2 mostra un aumento delle risorse del

Fondo sanitario del 20,6% rispetto al 2005. Nel2009 la somma proveniente dal Fondo sanitario,principale fonte di finanziamento della spesa, hacostituito l’82,8% delle risorse complessive. Nelperiodo 2005-2009 l’area anziani ha assorbito inmedia il 60% delle spese correnti complessive.Ri-

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FIGURA 1 - Flussi di finanziamento della Regione Lombardia

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1.600.000.000

1.400.000.000

1.200.000.000

1.000.000.000

800.000.000

600.000.000

400.000.000

200.000.000

02005 2006 2007 2008 2009

Quadro complessivo delle risorse (valori in euro) Composizione delle risorse (2009 - valori in euro)

FIGURA 2 - Andamento delle risorse anni 2005-2009 e composizione delle risorse nel 2009

1.446.898.246

1.522.866.635

1.536.819.545

1.744.500.718

1.697.225.758Fondo Sanitario:145.000.000;

83% RisorseAutonome;127.187.168;

7%

Risorse Vincolate;172.103.560;

10%

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spetto ai dati riportati si evidenzia che le risorseregionali destinate alla cura e all’assistenza deglianziani hanno assorbito il 63% dell’intera quotadel FSR attribuita alle Asl.Nel 2010 nell’Asl di Milano le risorse destinateall’area anziani hanno assorbito il 56,9% dell’am-montare complessivo, in particolare impegnandoil 67,4% del Fondo sanitario regionale, il 3,9% delFondo nazionale delle politiche sociali, il 4% delFondo sociale regionale, l’intera quota del Fon-do per le non autosufficienze (FNA),mentre so-no pari al 24,7% del totale le risorse messe a dis-posizione dai Comuni che afferiscono al territo-rio di competenza (tabella 5).

LE STRATEGIE REGIONALI PER LA LONGTERM CARE IN REGIONETOSCANAL’organizzazione del servizio sanitario,sociosanitario e sociale della Regione ToscanaIl Servizio sanitario toscano (Ssr) è organizzato in16Aziende sanitarie, di cui 12 sonoAziende sani-tarie locali (Asl) e 4Aziende ospedaliero-universi-tarie (AOU); ciascunaAsl è a sua volta articolata inzone-distretto: è questo il livello di governo in cui

si attua l’integrazione delle attività sociali e sanita-rie svolte dalle aziende sanitarie e dai Comuni.Compete alla zona-distretto la valutazione dei bi-sogni sanitari e sociali della comunità e l’orga-nizzazione dei servizi necessari a soddisfarne i bi-sogni assistenziali.La L.R. n. 60/2008 (modifiche alla L.R. n.40/2005), dopo una fase di sperimentazione, hainoltre introdotto nel Ssr le Società della Salute(SdS),Consorzi Pubblici tra Asl e Comuni, comenuovo modello organizzativo per il governo, laprogrammazione e la gestione delle attività sani-tarie territoriali, sociosanitarie e sociali integratein ambito di zona-distretto.Attualmente le SdSinToscana sono 25, a fronte delle 34 zone distretto,e altre sono in via di costituzione.Secondo la suddetta legge istitutiva, gli obietti-vi che le Società della Salute perseguono, con ilcoinvolgimento delle comunità locali, sono:a) consentire la piena integrazione delle attivitàsanitarie e socio-sanitarie;

b) assicurare il governo dei servizi territoriali e lesoluzioni organizzative adeguate per garantirela presa in carico integrata del bisogno sanita-

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TABELLA 5 - Risorse impiegate nel 2010 dall’Asl di Milano per gli interventi rivolti alle persone anzianee ai soggetti non autosufficienti (%)

Risorse 2010 %Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS) 3,9Fondo Sociale Regionale 4,0Fondo Sanitario Regionale 67,4Risorse Comuni 24,7

Normativa Regionale di Riferimento

• DGR14 dicembre 2001 n.7435“Requisiti per l’autorizzazione al funzionamento e per l’accreditamento delle Residenze SanitarioAssistenziali per anziani (RSA)”;• DGR9maggio 2003 n.12902“Modello Lombardo delWelfare:attivazione del voucher sociosanitario per l’acquisto di prestazioni domiciliari socio-sanitarieintegrate”;

• L.R.12marzo 2008,n.3“Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”;• DGR13 giugno 2008 n.7438“Determinazioni in ordine all’individuazione delle unità d’offerta sociosanitarie ai sensi dell’art.5,comma 2,della l.r.3/2008”;• DGR6 agosto 2008 n.7915“Determinazioni in ordine al miglioramento quali-quantitativo dell’assistenza garantita a persone affette da sclerosi laterale amiotrofica(SLA) e a persone che si trovano nella fase terminale della vita,con particolare attenzione alla terapia del dolore e alle cure palliative a favore di pazienti oncologici”;

• DGR26 novembre 2008 n.8501 - allegato 17“Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario regionale per l’esercizio 2009”;• DGR16 settembre 2009 n.10160“Determinazioni inmerito agli interventi sperimentali per persone che si trovano in stato vegetativo e per persone affette damalattie dei motoneuroni,in particolare da sclerosi laterale amiotrofica”;

• DGR17 novembre 2010“Piano Socio Sanitario 2010-2014”;• DGR28 settembre 2010 n.2856“Piano Regionale di sviluppo della IX legislatura”;• DGR6 dicembre 2011 n.2633“Determinazioni in ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2012”.

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rio e sociale e la continuità del percorso dia-gnostico, terapeutico e assistenziale;

c) rendere la programmazione coerente con i bi-sogni di salute della popolazione;

d) promuovere l’innovazione organizzativa, tec-nica e gestionale;

e) sviluppare l’attività e il controllo sia sui deter-minanti di salute sia sul contrasto delle di-suguaglianze.

Nella sperimentazione del progetto PIC sono sta-te coinvolte due Società della Salute toscane: laSdS Fiorentina e la SdS Pisana (figura 3).

Caratteristiche socio demografiche regionali edelle aree di studio toscaneI residenti in Toscana al 01/01/2011 sono3.749.813 (fonte: Istat); gli anziani ultra sessanta-cinquenni sono 872.766, pari al 23,3% della po-polazione, in maggioranza donne. In tabella 6 so-no presentati alcuni indicatori relativi alle zonecoinvolte nella sperimentazione, parallelamente

agli stessi indicatori riguardanti l’intera Regione.La popolazione delle due Società della Salute (SdS)coinvolte nello studio è in linea con la popola-zione regionale per quanto riguarda sia la distri-buzione di genere che i dati relativi alla speranzadi vita alla nascita.Rispetto agli altri indici demografici segnaliamoinvece che la zona fiorentina ha un indice di vec-chiaia (popolazione 65+/popolazione 0-14) mag-giore rispetto sia allo stesso indice calcolato perla SdS Pisana sia rispetto all’indice regionale. LaToscana nel suo complesso ha un valore di que-sto indice molto più alto sia di quello italiano siadi quello delle altre due Regioni coinvolte nellasperimentazione (rispettivamente 144,0 per l’I-talia, 141,9 per la Lombardia e 139,9 per ilVene-to). Anche l’indice di dipendenza anziani, cheindica quanti ultra64enni risiedono in Toscanaogni 100 persone di età compresa tra i 15 e i 64anni, è più alto nella SdS Fiorentina rispetto siaal dato regionale che a quello della SdS Pisana.

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FIGURA 3 - Mappa della Toscana con le aree di studio del progetto PIC

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In entrambe le SdS considerate la percentuale dipopolazione che, secondo i dati del 2001, vive inzone deprivate è inferiore al dato regionale, stes-so dicasi per il tasso di mortalità generale.

Principi e strategie della LongTerm Care regionaleCon la L.R. 66/2008 la RegioneToscana ha isti-tuito il Fondo per la non autosufficienza, attra-verso il quale vengono coperte diverse tipologiedi servizi socio-sanitari, appropriati rispetto ai bi-sogni accertati della popolazione anziana ultra ses-santacinquenne non autosufficiente.

Con D.G.R.T. n. 370/2010 è stato approvato il“Progetto per l’assistenza continua alla persona an-ziana non autosufficiente”, che definisce regole diaccesso, attori del sistema e strumenti per la pre-sa in carico dell’anziano non autosufficiente inuna logica attuazione di percorsi assistenziali per-sonalizzati all’interno di un sistema di valutazio-ne del bisogno di assistenza condiviso su tutto ilterritorio regionale.I principi generali del progetto sono:a) l’orientamento alla prevenzione della non au-tosufficienza;

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TABELLA 6 - Indicatori socio-demografici

SdS Pisana SdS Fiorentina ToscanaPopolazione 2011 197.118 371.282 3.749.813Popolazione 65+ 45.876 94.610 872.766Indice vecchiaia 2010 187,99 214,04 182,89Indice dipendenza anziani 2010 36,17 40,7 36,37Speranza di vita alla nascita 2008 m 79,54 79,95 79,65Speranza di vita alla nascita 2008 f 84,88 84,96 84,77% popolazione residente in zone deprivate 2001 36,64 34,38 40,08Tasso std e mortalità generale 473,77 456,78 481,05

FIGURA 4 - Il modello organizzativo per la presa in carico dell’anziano non autosufficiente

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b) la promozione della domiciliarietà nel rispet-to dell’appropriatezza;

c) il pieno utilizzo della rete dei servizi territo-riali;

d) la continuità assistenziale ospedale - territorio;e) la presa in carico del cittadino attraverso pro-getti di assistenza personalizzati, condivisi conla famiglia.

Il modello organizzativo (figura 4) dei servizi ri-volti alla non autosufficienza si basa su:�Una rete di accesso unitaria per i cittadini (Pun-ti Insieme e PUA) dove avviene la raccolta ditutte le segnalazioni di bisogno, l’apertura e lagestione delle cartelle informatizzate degli assi-stiti e l’invio all’Unità diValutazione Multidi-sciplinare. Punto Insieme e Punto Unico di ac-cesso rappresentano uno dei principali strumentiper l’integrazione sociosanitaria, nonché una ga-ranzia della realizzazione di un sistema unitariodi accoglienza che mira a garantire su tutto ilterritorio regionale omogeneità ed equità dellapresa in carico. È a questo livello che il cittadi-

no presenta il suo bisogno: se il bisogno rileva-to è semplice, cioè di natura esclusivamente so-ciale o sanitaria10, il cittadino viene orientato ver-so la richiesta di servizi sanitari tramite il Mmgo verso la richiesta di servizi sociali tramite l’as-sistente sociale; se il bisogno rilevato è comples-so, tale cioè da richiedere una valutazione mul-tidimensionale e la realizzazione di un progettoassistenziale personalizzato, viene richiesta la va-lutazione del cittadino all’Unità diValutazioneMultidisciplinare.

�L’Unità diValutazione Multidisciplinare (UVM),composta da un team di professionisti (un me-dico di distretto, un infermiere, un assistente so-ciale e al bisogno, lo specialista), procede con lavalutazione multidimensionale del cittadino, cheha espresso il bisogno attraverso la somministra-zione di un protocollo valutativo, omogeneo sututto il territorio regionale11, che descrive la si-tuazione della persona dal punto di vista cogni-tivo - comportamentale, clinico, funzionale e so-cio-ambientale (figura 5).

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10 Per i bisogni semplici di tipo sanitario l’accesso è attivato dai Mmg:- Assistenza Infermieristica domiciliare: l’accesso al servizio viene garantito a tutti i cittadini su presentazione della richiesta da parte del medico e viene - in via generale - ero-gato dagli operatori che lavorano presso i presidi dislocati nel quartiere di residenza o di domicilio del paziente;- Assistenza domiciliare programmata (ADP) consiste in visite domiciliari a cadenza periodica del Mmg a favore di assistiti che, a causa dell’età avanzata o della presenza di gravipatologie croniche, necessitano di un controllo clinico, ma non possono recarsi autonomamente in ambulatorio;- Assistenza domiciliare integrata (ADI) è il servizio di assistenza a domicilio per i casi complessi, che viene proposto dal Mmg e autorizzato dal Medico di distretto. Il servizioprevede l’attivazione di un piano di assistenza personalizzato e multi professionale - coordinato dal Mmg in collaborazione con i servizi sanitari e sociali - che può comprende-re, oltre all’assistenza medica, anche quella sociale e infermieristica e l'attività di riabilitazione.Per i bisogni semplici di tipo sociale l’accesso è attivato dalle Assistenti Sociali attraverso il segretariato sociale.

11 Dall’ottobre del 2010 è stato introdotto il nuovo modello di valutazione multidimensionale con le scale previste dalla RegioneToscana (DDRT n°1354/2010).

PIANO ASSISTENZIALEPERSONALIZZATO

L iv e ll i Isog ra v it à d e l b is og n oIACA

Adeguatezzasociale

DEFINIZIONE QUANTITÀRISORSE per assistenza

tutelare nel percorso domiciliare

Indicazione Percorsoresidenziale /domiciliare

SettoreSOCIO

AMB IENTALE

SettoreCOGNITIVO

COMPORTAMENTALESettore

FUNZIONALESettoreCLINICO

FIGURA 5 - Schema di valutazione UVM

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�LaValutazione Multidimensionale rappresentalo strumento operativo che consente un’analisidettagliata del grado di complessità dei bisognidell’anziano ed è l’atto prioritario e ineludibilein funzione del quale viene redatto il progettoassistenziale personalizzato. LaValutazione mul-tidimensionale è corredata da procedure in gra-do di classificare gli anziani non autosufficientiin base al “livello isogravità del bisogno”, inte-so come pari livello di esigenze assistenziali afronte di profili di bisogno differenti. In parti-colare sono stati individuati 5 livelli isogravitàdel bisogno, definiti tramite il raggruppamentoragionato dei 27 profili di bisogno risultanti dal-la combinazione del grado di dipendenza nelleBADL (Basic Activity Daily Living), del livellodi compromissione cognitiva e dei disturbi diumore e comportamento, come illustrato in ta-bella 7. Indicativamente potremmo descrivere idiversi profili come segue:-L.Isogravità 1. persone pienamente collabo-ranti, senza problemi di memoria né disturbidel comportamento, che necessitano di un aiu-to fisico leggero non continuo per compierele attività di base della vita quotidiana;-L.Isogravità 2. persone che, oltre ad avere bi-sogno di un aiuto fisico leggero non continuoper compiere le attività di base della vita quo-tidiana, presentano un leggero decadimentocognitivo e/o moderati disturbi del compor-tamento che riducono la loro collaborativitànell’assistenza; oppure persone pienamente col-laboranti, che però necessitano di moderatoaiuto per compiere le attività di base della vi-ta quotidiana;

-L.Isogravità 3. persone che, oltre ad avere biso-gno di un aiuto lieve e non continuo per com-piere le attività di base della vita quotidiana,pre-sentano un grave decadimento della funzionecognitiva o gravi disturbi del comportamentoche rendono l’assistenza più difficile; oppurepersone che necessitano di un aiuto fisico di li-vello intermedio per compiere le attività di ba-se della vita quotidiana,poco collaboranti a cau-sa di un decadimento della funzione cognitivamoderato o grave o che presentano un livellomoderato nei disturbi del comportamento;-L.Isogravità 4. persone che necessitano di unaiuto fisico pesante per compiere le attività dibase della vita quotidiana, poco collaboranti acausa di un grave o moderato decadimento del-la funzione cognitiva e che presentano distur-bi del comportamento di livello moderato; op-pure persone che necessitano di assistenza pe-sante o totale nello svolgimento delle attivitàdi base della vita quotidiana, come nel caso diuno stato vegetativo persistente;-L.Isogravità 5. persone che necessitano di unaiuto fisico pesante per compiere le attività dibase della vita quotidiana, per niente collabo-ranti a causa di un decadimento della funzio-ne cognitiva moderato o grave, ma soprattut-to di gravi disturbi del comportamento che ri-chiedono peraltro sorveglianza continua.

�La verifica costante dei risultati conseguiti daiprogetti assistenziali personalizzati, in relazioneai loro esiti di carattere sociale e di salute e al lo-ro impatto in termini di sostenibilità economi-co finanziaria.

�La realizzazione di un sistema informativo sui ser-

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TABELLA 7 - Criteri di classificazione del livello di isogravità del bisogno

Dipendenza BADL Dipendenza BADL Dipendenza BADLLieve Moderata Grave

Disturbi Disturbi Disturbi Disturbi Disturbi Disturbi Disturbi Disturbi Disturbicomp / comp / comp / comp / comp / comp / comp / comp / comp /umore umore umore umore umore umore umore umore umore

Assenti-Lievi Moderati Gravi Assenti-Lievi Moderati Gravi Assenti-Lievi Moderati GraviAssente-Lieve 1 2 3 2 3 4 4 4 5Moderata 2 2 3 3 3 4 4 4 5Grave 3 3 4 3 4 5 4 5 5

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vizi della non autosufficienza basato sul principiodella cartella unica informatizzata dell’assistito,dove si registra tutto il percorso assistenziale, dal-la segnalazione all’erogazione e conclusione.

�L’assistenza continuativa agli anziani non auto-sufficienti è rappresentata principalmente da ser-vizi e prestazioni di carattere domiciliare, semi-residenziale e residenziale.In particolare-Area della domiciliarietà e semiresidenzialità:• gli interventi domiciliari sociali e sanitariforniti direttamente dal servizio pubblico;

• gli interventi di sostegno alle funzioni assi-stenziali della famiglia che si assume in pro-prio in carico assistenziale della persona nonautosufficiente;

• il sostegno economico per l’assistente fami-liare;

• i buoni servizio o i titoli per l’acquisto delservizio.

-Area della semiresidenzialità:• centro diurno modulo di base;• centro diurno Alzheimer.-Area delle residenzialità:• ricovero temporaneo e di sollievo in RSA;• ricovero permanente in RSA.

Il processo di presa in carico declinato nellediverse fasiSulla base della normativa vigente, in Regione

Toscana il percorso assistenziale si può suddivi-dere in una sequenza di fasi ben individuate:1. segnalazione2. presa in carico3. valutazione4. erogazione/sospensione5. rivalutazione/conclusioneNel progetto PIC è stata tracciata una mappa con-cettuale del sistema di presa in carico che fossecondivisibile da tutte le Unità Operative coin-volte nel progetto: in tabella 8 si descrivono lemodalità di presa in carico dei bisogni comples-si sociosanitari nelle realtà operative delle due uni-tà di ricerca toscane, all’interno della mappa con-cettuale condivisa con le altre Regioni.

Liste di attesa

Società della Salute FiorentinaCome previsto dal nuovo regolamento della SdSdi Firenze le persone anziane o adulte con di-sabilità possono essere ospitate presso residenzesanitarie assistenziali (RSA) se l’Unità diValuta-zione Multidisciplinare ha definito un PAP di ti-po residenziale, a seguito dell’accertamento di unacondizione di elevato bisogno assistenziale (Li-vello Isogravità 4 o 5 e assegno di accompagna-mento) e di assoluta inadeguatezza ambientale cherende impossibile un piano assistenziale domici-liare. Nella SdS di Firenze le procedure d’acces-

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TABELLA 8 - Il sistema di presa in carico nelle SdS coinvolte nel progetto - Regione Toscana

Per la SdS di Firenze l’accesso del cittadino al percorso della non autosufficienza avviene attraverso i 5 Punti Insieme o tramite segnala-zione postale diretta al PUA.Nella SdS Pisana sono attivi 4 Punti Insieme, uno dei quali svolge anche attività di PUA, e uno è in corso di apertura; inoltre la rete di ac-cesso per la non autosufficienza è integrata dalle sedi dove opera il segretariato sociale.Per le SdS di Pisa e Firenze l’UVM è unica ed è costituita da:un medico di distretto, infermiere, assistente sociale, ed eventualmente il geriatra e il neurologo; viene sempre invitato anche il Mmg.Le schede di valutazione sono compilate al domicilio dell’utente dall’assistente sociale e dall’infermiere di riferimento, attivati dal PUA.Talischede compilate sono valutate in sede collegiale dall’UVM e da tale valutazione scaturisce il PianoAssistenziale Personalizzato, trasmes-so sia all’utente sia al Mmg e all’assistente sociale.Il PAP deve essere accettato sottoscritto dall’utente/familiare: è prevalentemente l’assistente sociale che funge da riferimento per i pa-zienti in questa fase e che, in qualità di case- manager, assicura l’erogazione dei servizi/prestazioni entro 60/90 gg. dalla presentazione del-l’istanza (segnalazione).

Il case - manager monitora la corretta applicazione del PAP e segnala all’UVM eventuali incongruenze. È prevista una rivalutazione deiPAP che può essere programmata dall’UVM (al massimo entro un anno dal PAP) o richiesta direttamente dall’utente o dal familiare nelcaso di mutate esigenze.

Accesso

ValutazioneMultidimensionale delbisognoeproduzionediun PianoAssistenzialeIndividuale (PAI)Coordinamentoattuativo traerogatori e azione dicasemanagementMonitoraggio erivalutazione

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so ai ricoveri definitivi in RSA sono basate sullacomposizione di graduatorie gestite presso l’Uf-ficio Unico Integrato e determinate in base a unpunteggio assegnato all’utente dall’UVM; in ca-so di parità, la posizione in graduatoria è deter-minata secondo l’ordine cronologico di valuta-zione in UVM.Per le altre tipologie di inserimento in RSA –quali ricoveri temporanei, ricoveri post-acuzie eper urgenze e ricoveri di sollievo – e per i Cen-tri Diurni per non autosufficienti, in caso di tem-poranea indisponibilità di risorse, l’utente vieneposto in lista d’attesa per l’attivazione effettiva del-le singole prestazioni non disponibili, secondo unagraduatoria. La posizione in lista d’attesa è deter-minata dall’ordine cronologico di definizione delPAP: a parità di data, hanno la precedenza le per-sone più anziane d’età.

Società della Salute PisanaIn base al regolamento per l’accesso alle presta-zioni del sistema integrato degli interventi e ser-vizi sociali, valido per tutta la Usl 5 di cui la Zo-na Pisana fa parte, è previsto12 l’inserimento del-le domande degli utenti in liste di attesa, specifi-che per ogni tipologia di servizio, laddove non siapossibile procedere con l’erogazione tempestiva.I criteri di gestione e ordinamento di ogni tipo-logia di lista di attesa sono esplicitati in manieratrasparente nel disciplinare di funzionamento delservizio specifico. In casi particolari, ovvero incondizioni di emergenza, comunque previsti neidisciplinari, è possibile derogare all’inserimentoin lista di attesa e procedere immediatamente al-l’attivazione del servizio.Nella realtà della Zona Pisana le liste di attesasono molto importanti nell’ambito della gestio-ne delle domande di ammissione in RSA e/oCentro Diurno Alzheimer. Invece per quanto ri-guarda i servizi di domiciliarità non esiste di fat-

to una lista di attesa, per quanto l’apposito di-sciplinare13 preveda la possibilità di inserire i ca-si, secondo l’ordine cronologico di definizionedel PAP, di anziani non autosufficienti in due ti-pologie di lista:� lista di attesa per l’assistenza domiciliare diretta;� lista di attesa per l’assistenza domiciliare indiret-ta (contributi).Invece sulla base dei disciplinari per l’accesso aiservizi residenziali14 e servizi semi-residenziali15,l’ufficio dell’Unità funzionale di Zona gestisce lalista d’attesa unica per persone non autosufficientiper l’accesso in RSA (con differenziazione tramodulo base, modulo cognitivo comportamen-tale, modulo riabilitativo, modulo stati vegetati-vi) e una lista per accesso ai Centri Diurni Alz-heimer. Il criterio di posizione nella graduatoriaè quello cronologico di definizione del PAP, sideroga a questo principio solo in caso di situa-zioni di urgenza valutate in UVM.

Livello di informatizzazione del sistemainformativo per il monitoraggio dell’assistenzadomiciliare e delle prestazioni residenziali esemiresidenzialiA livello regionale la normativa primaria di rife-rimento è costituita dalla Legge regionale 18 di-cembre 2008, n. 66 “Istituzione del Fondo regio-nale per la non autosufficienza”, dove, tra le altrecose, l’art. 17 prevede l’attivazione di un “flussoinformativo regionale sulla non autosufficienzanell’ambito dei sistemi informativi gestionali ter-ritoriali in forma integrata”.Il sistema informativo per il monitoraggio del-l’assistenza domiciliare e delle prestazioni resi-denziali e semiresidenziali nasce nel 2010, per ri-spondere alle esigenze conoscitive espresse sia dallivello regionale che da quello nazionale, assicu-rando la copertura del debito informativo mini-steriale relativo ai flussi SIAD e FAR.

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12 Allegato 2 della delibera 25/2009 della SdS di Pisa, art. 16.13 Allegato 6 della delibera 25/2009 della SdS di Pisa, art. 7.14 Allegato 7 della delibera 25/2009 della SdS di Pisa, art. 7.15 Allegato 8 della delibera 25/2009 della SdS di Pisa, art. 4.

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A livello nazionale l’attività di rilevazione dei duedomini all’oggetto è disciplinata rispettivamentedai decreti ministeriali:�decreto ministeriale del 17 dicembre 2008“Isti-tuzione del sistema informativo per il monito-raggio dell'assistenza domiciliare”, noto comeflusso SIAD o AD;

�decreto ministeriale del 17 dicembre 2008“Isti-tuzione della banca dati finalizzata alla rileva-zione delle prestazioni residenziali e semiresi-denziali”, noto come flusso FAR o RSA.Per quanto riguarda il flusso ministeriale SIAD,l’ambito di rilevazione riguarda tutti gli interventisanitari ovvero socio-sanitari caratterizzati dai se-guenti aspetti:�presa in carico dell’assistito;�valutazione multidimensionale dell’assistito;�definizione di un piano/programma/progettodi assistenza individuale;

� responsabilità clinica in capo a medico di me-dicina generale, pediatra di libera scelta o al me-dico competente per la terapia del dolore, pur-ché afferenti al distretto/Asl.Il flusso FAR definisce invece l’ambito di rileva-zione come costituito dalle prestazioni residen-ziali e semiresidenziali erogate in:�Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA)�Struttura semiresidenziale per persone anziane (CDe CDA) e quindi rivolte alla popolazione con età:- superiore a 65 anni- inferiore a 65 anni, nel caso di presenza di pa-tologie degenerative assimilabili al decadimentosenile.

Il debito informativo ministeriale prevede, a par-tire dal 1 gennaio 2012, l’invio mensile dei dati peril flusso SIAD e trimestrale per il flusso FAR, seb-bene la RegioneToscana abbia programmato in-vii mensili per entrambi i flussi, data l’unitarietà diprocesso e di informazioni di presa in carico perentrambe le tipologie di prestazioni erogate.

Il sistema di finanziamentoCon la legge finanziaria 2007 venne istituito pres-so il Ministero della solidarietà sociale un fondo

nazionale denominato “Fondo per le non auto-sufficienze” al fine di garantire l’attuazione dei li-velli essenziali delle prestazioni assistenziali su tut-to il territorio nazionale con riguardo alle perso-ne non autosufficienti e destinato alle regioni.Con la Legge finanziaria 2010 il Fondo naziona-le per la non autosufficienza non è stato più rifi-nanziato.La Regione Toscana, prima con una fase pilota,poi con legge regionale 66/2008 istituisce il Fon-do regionale della non autosufficienza, finanzia-to da:a) risorse provenienti dal Fondo sanitario regio-nale destinate al sostegno dei servizi sociosa-nitari a favore delle persone non autosufficienti,disabili e anziane, secondo le indicazioni delpiano sanitario e sociale integrato regionale;

b) risorse provenienti dal Fondo sociale regionale;c) risorse provenienti dal Fondo nazionale perl’assistenza alle persone non autosufficienti,nonché da eventuali ulteriori risorse naziona-li trasferite per finalità coerenti con gli obiet-tivi della legge;

d) risorse provenienti da lasciti o donazioni, com-patibili con questa finalità sociosanitaria.

Il Fondo regionale viene ripartito fra le Zone sul-la base di:� indicatori di carattere demografico;� indicatori relativi all’incidenza delle persone di-sabili e non autosufficienti sulla popolazione;

� indicatori relativi alle persone non autosuffi-cienti, disabili e anziane accolte nelle struttureresidenziali e semiresidenziali.Inoltre una quota pari al 10% del Fondo è fina-lizzata a sostenere lo sviluppo omogeneo del si-stema in ambito regionale con particolare riferi-mento ai comuni montani e ai piccoli comuni insituazione di disagio.La legge regionale prevede inoltre, sia il concor-so finanziario dei comuni all’alimentazione delFondo secondo quanto indicato in appositi pattiinteristituzionali, sia il concorso finanziario delleAusl attraverso la spesa sanitaria per la non auto-sufficienza sostenuta storicamente.

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Il Fondo deve essere trasferito con vincolo di de-stinazione alle Società della Salute, o alle Zonedistretto dove non siano state costituite le SdS,che lo gestiscono con contabilità separata per ilfinanziamento delle prestazioni previste.La RegioneToscana, in continuità con l’assegna-zione delle risorse avvenuta nella fase pilota del-l’avvio del progetto, non ha destinato tutte le ri-sorse del Fondo per la non autosufficienza alleSocietà della Salute come previsto dalla L.R.66/08,ma ha riservato una quota delle stesse perla copertura di quote sanitarie aggiuntive asse-gnate direttamente alle Aziende Usl per la ridu-zione delle liste di attesa per le RSA.Nel 2010 la Società della Salute di Firenze per larealizzazione di servizi a sostegno della non au-tosufficienza per gli anziani, che riguardano, ret-te di ricovero presso RSA, rette per la frequen-za di Centri diurni non autosufficienti, contri-buti per il “servizio assistenza familiare” e perquello di “sostegno alle cure familiari”, ha im-piegato 48 milioni di euro, finanziati per pocopiù della metà con il Fondo sanitario regionale(57,8%), per il 23,6% con il Fondo regionale perla non autosufficienza, per il 15,7% con risorsecomunali e per il restante 2,9% con il Fondo so-ciale regionale.

Nel 2010 la Società della Salute di Pisa per i ser-vizi a sostegno della non autosufficienza degli an-ziani e disabili, che riguardano in particolare ret-te di ricovero in strutture a gestione diretta e con-venzionate, rette per la frequenza di Centri diur-ni non autosufficienti, contributi per il “servizioassistenza familiare”, assistenza domiciliare inte-grata erogata in forma diretta, servizi per anzia-ni fragili, assetti organizzativi per PUA e UVMha impiegato 18 milioni di euro finanziati perpoco più di due terzi con il Fondo sanitario re-gionale (69,7), per il 26,1% con il Fondo regio-nale per la non autosufficienza, per l’1,5% conuna quota del Fondo nazionale per le non auto-sufficienze e per il restante 2,6% con il Fondosociale regionale.A tali risorse occorre inoltre aggiungere circa5.500.000,00 di servizi per anziani e disabili co-perti con risorse comunali non inseriti nella ta-bella 10.

LE STRATEGIE REGIONALI PER LA LONGTERM CARE IN REGIONEVENETOL’organizzazione del servizio sanitario,sociosanitario e sociale venetoIl Servizio sanitario veneto è organizzato in 21Aziende Unità locali socio-sanitarie (Aziende Ulss);

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TABELLA 10 - Risorse impiegate nel 2010 dalla SdS Pisana per gli interventi di non autosufficienza

Risorse euro %Quota regionale del Fondo nazionale per le NonAutosufficienze (N.A.) 275.860,3 1,5Quota regionale del Fondo nazionale per le politiche sociali 472.371,4 2,6Quota del Fondo Sanitario Regionale 12.550.042,0 69,7Altri finanziamenti regionali (specificare)Fondi Regionali per la NonAutosufficienza 4.704.255,6 26,1

18.002.529,3 100

TABELLA 9 - Risorse impiegate nel 2010 dalla SdS Firenze per gli interventi di non autosufficienza

Risorse importi in euro %Quota regionale del Fondo nazionale per le NonAutosufficienze (N.A.)(FNA sia regionale sia nazionale) e Fondi Regionali per la NonAutosufficienza 11.328.755,9 23,6Quota regionale del Fondo nazionale per le politiche sociali (FSR sia regionale che nazionale) 1.402.531,9 2,9Quota del Fondo Sanitario Regionale 27.743.958,2 57,8Risorse comunali 7.533.606,5 15,7totale 48.008.852,7 100,0

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ciascuna di queste è organizzata in distretti.Il distretto viene definito dal legislatore regiona-le come“l’articolazione organizzativo-funzionale del-l’Ulss finalizzata a realizzare un elevato livello di in-tegrazione tra i diversi servizi che erogano le prestazionisanitarie e tra questi e i servizi socio-assistenziali inmodo da consentire una risposta coordinata e continua-tiva ai bisogni sociosanitari della popolazione”16. Neldettaglio il Distretto socio-sanitario viene indi-cato come il centro di riferimento per l’accessoa tutti i servizi dell’Azienda Ulss, polo aggregan-te di tutti i servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali territoriali, sede di gestione e coor-dinamento operativo e organizzativo dei serviziterritoriali.Risponde in modo unitario e globale ai bisognidi salute della popolazione attraverso la defini-zione e la realizzazione di percorsi integrati dipromozione della salute venendo a costituire co-sì il suo mandato fondamentale che lo realizza,nell’ambito delle indicazioni della DirezioneAziendale e delle risorse assegnate, attraverso lemacro funzioni esplicitate nella DGR 3242 del30.11.2001, ovvero:�accoglimento, analisi, valutazione e orientamentodella domanda e organizzazione della risposta;

�analisi e valutazione dei bisogni di salute;�gestione diretta di servizi ed interventi cherientrano nel “livello di assistenza distrettuale”,avvalendosi di operatori e di unità operative pro-prie, oppure attraverso rapporti convenzionalicon operatori o organizzazioni esterne;

� realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria alivello gestionale ed operativo, nonché a livelloistituzionale;

�governo dei consumi di prestazioni indirette (far-maceutiche, specialistiche ambulatoriali e ospe-daliere, protesica) attraverso l’attività di orien-tamento del cittadino e, soprattutto, la piena in-tegrazione nell’organizzazione distrettuale del-la Medicina Convenzionata.

Nella sperimentazione del progetto PIC sonostate coinvolte due Ulss: l’Unità locale socio sa-nitaria N. 6 “Vicenza” e l’Unità locale socio sa-nitaria 4 “AltoVicentino”. La prima è compostada 4 distretti e comprende 39 Comuni; la secondaè composta da 2 distretti e comprende 32 Co-muni.

Caratteristiche socio demografiche regionali edelle unità di ricercaI residenti della RegioneVeneto al 01/01/2011sono 4.937.854, con una maggiore presenza fem-minile (2.523.964).Tra questi, le persone che al1° gennaio 2011 hanno compiuto 65 anni sono982.283, pari al 19,89% della popolazione com-plessiva. In questo sottoinsieme della popolazio-ne, le donne costituiscono la stragrande maggio-ranza della popolazione: oltre il 58% degli ultrasessantacinquenni sono di sesso femminile. IlVe-neto è inoltre caratterizzato da una forte immi-grazione, grazie alla quale si arrivano a contare408.616 stranieri residenti, circa il 10% della po-polazione. La speranza di vita alla nascita è di 79anni per gli uomini e di 84,8 anni per le femmi-ne; per entrambi i sessi un valore maggiore ri-spetto al dato nazionale.La provincia diVicenza conta una popolazione di866.398 abitanti ed è la quarta provincia per nu-mero di abitanti. Le persone con almeno 65 an-ni residenti in questa Provincia sono 162.790, pa-ri al 18,79% della popolazione residente totale;questa percentuale è in linea con la stessa calco-lata per la popolazione residente in Regione.I Comuni che appartengono all’Ulss 6 contano320.461 residenti.Dalla figura 6 è possibile nota-re che gli adulti (15-64 anni) costituiscono la mag-gioranza della popolazione residente e che la po-polazione anziana ha una numerosità maggioredella popolazione under 15.Per quanto riguarda gli adulti, sebbene costituisca-no la maggioranza della popolazione residente, bi-

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16 L.R. 5/1996 “Piano socio-sanitario regionale per il triennio 1996/1998” p. 8 Assistenza territoriale.

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sogna considerare che l’indice di struttura della po-polazione attiva è maggiore di uno.L’indice di strut-tura è un indicatore del grado di invecchiamentodella popolazione attiva: le 25 generazioni più vec-chie (tra i 40 e i 64 anni) sono più numerose del-le 25 generazioni più giovani (dai 15 ai 39 anni)che saranno destinate a sostituirle. Pertanto se daun lato è positivo che la popolazione attiva costi-tuisca quasi i due terzi della popolazione residen-te nel territorio, dall’altro è negativo che questaparte di popolazione sia concentrata nelle classi etàpiù elevate e sia quindi destinata a spostarsi a bre-ve nelle classi inattive della popolazione.

L’Unità locale socio sanitaria 4 “AltoVicentino”(Ulss 4) ha una popolazione meno numerosa:188.265 abitanti.Analogamente all’Ulss diVicenza,nel territorio di questa Ulss la maggioranza del-le persone ha un’età compresa tra i 15 e i 64 an-ni. Anche in questo caso, in linea con il valore re-gionale, l’indice di struttura della popolazioneadulta è maggiore di uno.

I principi e le strategie della Long Term Careregionale17

Il Sistema sanitario regionale nelVeneto sostan-zia quattro principi fondamentali:

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FIGURA 6 - Grafico a torta della popolazione dell’Ulss 6 per fascia di età

Giovani 14,97%

Adulti 66,18%

Anziani 18,85%

FIGURA 7 - Grafico a torta della popolazione dell’Ulss 4 per fascia di età

Fonte dei dati: demo.istat.it

Giovani 15,22%

Adulti 65,45%

Anziani 19,34%

17 Rapporto statistico 2011, RegioneVeneto, cap. 9 - I Servizi per le persone anziane non autosufficienti.

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� l’universalità ossia l’essere rivolto a tutta la po-polazione di riferimento;

� l’equità ossia la garanzia di un’uguale opportunitànel raggiungimento e nel mantenimento di obiet-tivi di salute individuali e nella garanzia di unifor-mità delle prestazioni sul territorio regionale;

� l’umanizzazione dell’assistenza socio-sanitaria;� l’integrazione socio-sanitaria.Più in dettaglio, si possono individuare alcuni ele-menti peculiari dell’esperienza veneta, che rap-presentano punti fermi dell’assistenza socio-sani-taria regionale:� la conferma dell’importanza del modello socio-sanitario, integrato nelle due componenti assi-stenziali fondamentali per la tutela della salutenella sua globalità;

� la valenza della programmazione pubblica qua-le riferimento metodologico unitario e sistemi-co su cui sviluppare un’offerta diversificata e mi-rata alle reali esigenze della popolazione;

� la centralità della concezione di “filiera della sa-lute”, non solo per garantire la continuità del-l’assistenza e una presa in carico globale del pa-ziente, ma più in generale interpretando l’inve-stimento sulla salute come elemento di progressolocale, come diritto del singolo e dovere dellacollettività, come creazione di un “valore” per ilterritorio locale.L’integrazione socio-sanitaria si conferma strate-gia fondante del modello veneto, da perseguire atutti i livelli del sistema, quale approccio che in-terpreta in modo completo l’obiettivo di tutela-re la salute e il benessere al di là di logiche setto-riali e autoreferenziali.All’allungamento della vita media non semprecorrisponde un effettivo miglioramento della suaqualità: l’aumento dell’età determina la riduzio-ne dell’autosufficienza, spesso aggravata da pluri-patologie e dall’isolamento sociale. La perdita del-l’autosufficienza dell’anziano comporta la com-parsa di bisogni assistenziali a cui le famiglie, sem-pre meno numerose spesso sono incapaci di farfronte e di svolgere, quindi, un ruolo efficace dicaregiver.

È priorità della programmazione regionale pro-muovere la permanenza della persona anziana nelproprio contesto di vita, anche quando non au-tosufficiente.Rappresentano, dunque, strategie prioritarie del-la programmazione regionale:� l’estensione uniforme su tutto il territorio re-gionale del servizioAssistenziale Domiciliare In-tegrata (ADI);

� la promozione dell’integrazione degli interven-ti domiciliari svolti dai Comuni e dalle Azien-de Ulss, consolidando l’integrazione tra le curedomiciliari in tutto il territorio regionale;

� il consolidamento dei contributi economiciquale supporto alla famiglia che sostiene il ca-rico assistenziale della persona non autosuffi-ciente, nonché la promozione di interventi disollievo alla famiglia (attivazione di moduli sol-lievo, soggiorni ad alta protezione, centri diur-ni, ecc.);

� la piena applicazione della L.R.n.30/2009, a ga-ranzia dell’universalità di accesso al servizio e deldiritto di scelta delle prestazioni da parte dei de-stinatari, nel rispetto dei criteri generali dellaprogrammazione regionale in materia socio-sa-nitaria;

� il potenziamento, nei limiti previsti dalle risor-se disponibili, delle strutture complementari avalenza riabilitativa o intermedia finalizzate alrientro a domicilio;

� la promozione di azioni di selezione, formazio-ne e accompagnamento delle persone che assi-stono gli anziani all’interno delle famiglie.Un ulteriore obiettivo della programmazione re-gionale è rappresentato dal consolidamento e dal-la valorizzazione del sistema della residenzialitàsocio-sanitaria sviluppatasi nelVeneto.In quest’ambito rappresentano azioni strategiche:�attualizzare il sistema dell’offerta di residenzia-lità nell’ambito della programmazione regiona-le e nei limiti delle risorse a ciò destinate;

�proseguire nello sviluppo delle strutture resi-denziali (Centri di Servizio) e semiresidenziali(Centri Diurni) aperte al territorio, in grado di

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erogare oltre alla tradizionale accoglienza resi-denziale, altri servizi di supporto alla domici-liarietà (es. fornitura pasti, servizi assistenziali eriabilitativi, ecc.), fino a ricomprendere struttu-re di ricovero intermedie (es. ospedali di co-munità);

�garantire il diritto alla libera scelta, che nel cam-po della residenzialità si concretizza nella facol-tà del cittadino di scegliere la struttura residen-ziale (Centro di Servizio) maggiormente ri-spondente ai bisogni in riferimento alla proprienecessità.

Il sistema di presa in carico declinato nellediverse fasi

SegnalazioneLa segnalazione di un bisogno socio-sanitario ela richiesta di accedere alla rete dei servizi può es-sere fatta dalla stessa persona in stato di bisogno,oppure dal tutore o dall’amministratore di soste-gno, da un suo famigliare o anche dagli operato-ri sanitari, sociosanitari o sociali che hanno in ca-rico la persona.La domanda specifica dei servizi per i quali si chie-de l’attivazione può essere presentata in qualsiasipunto della rete dei servizi, Comuni, Distretto,Medico di medicina generale, che provvederan-no a trasmetterla alla Unità diValutazione Mul-tidimensionale Distrettuale (UVMD).

AccessoL’Unità diValutazione Multidimensionale Di-strettuale (UVMD) costituisce, per le persone conbisogni socio-sanitario complessi, lo strumentoper accedere al sistema integrato dei servizi sociosanitari, che necessita del coordinamento interi-stituzionale e dell’integrazione delle risorse.

Valutazione Multidimensionale del bisogno,produzione e definizione del Piano AssistenzialeIndividuale (PAI)La prima funzione dell’UVMD è quella di ga-rantire la valutazione multidimensionale e multi-

professionale, cioè la lettura dei bisogni sanitari esociali della persona, necessaria per identificare gliinterventi e le risposte più appropriate, nel rispettodel principio di equità, sussidiarietà e sostenibili-tà di accesso ai servizi e alle prestazioni dei servi-zi socio-sanitari del territorio.Tale funzione è supportata da strumenti di va-lutazione che sono uniformi su tutto il territo-rio regionale. Lo strumento utilizzato nella Re-gioneVeneto è la scheda SVaMA. È uno stru-mento di valutazione multidimensionale che ana-lizza le diverse dimensioni dell’autonomia del-l’anziano e il supporto fornito dalla rete socia-le. La scheda SVaMA è stata adottata con deli-berazione della Giunta RegionaleVeneto n. 3979del 9.11.99 ed è entrata in uso dopo un perio-do di sperimentazione (P. Benetollo, S. Caffi, P.Fortuna, G.Valerio, L.Mauri - 1998) quale uni-co e completo strumento di lavoro per l’acces-so alla rete dei servizi. I livelli sui quattro assi“cognitivo“,“attività di base della vita quotidia-na”, “mobilità” e “ necessità di cure sanitarie”rilevati con strumenti validati concorrono a de-terminare 17 profili aggregati sulla base dell’a-nalisi statistica finalizzata a individuare gruppi aeguale consumo di risorse assistenziali. Il quin-to asse, quello sociale, pur non essendo stato uti-lizzato per la definizione dei 17 profili è un as-se estremamente importante per valutare la te-nuta della rete nella presa in carico della perso-na valutata. È stata validata la riproducibilità del-la valutazione SVaMA con la concordanza intra-osservatore e inter-osservatore (R. Girardello, P.Benetollo, R. Fabrello, P. Fortuna, F. Gioia, G.Vale-rio - 1998), sono stati determinati i carichi as-sistenziali e le distanze relative dei profili (P. For-tuna, E. Ceschin, L.Mauri, E. Gregori, G.Viganò,M.Maglio, P.Chiotto,G.Ruscitti – 2008) ed è sta-to validato il valore predittivo dei profili nel de-finire i percorsi di cura (P. Fortuna,G.Viganò, E.Gregori 2007), il rischio di ospedalizzazione (M.Saugo - 2010) e di mortalità (P. Fortuna, F. Bil-lari, L. Breviglieri - 2002). Nel 2006 è stata vali-data definitivamente la scheda SVaMA (P.Galli-

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na, M. Saugo, M.Antoniazzi, P. Fortuna, R.Toffa-nin, S. Maggi, P. Benetollo).La seconda azione della l’UVMD consiste nell’e-laborare il progetto individualizzato (PAI), e au-torizzarne la realizzazione. L’UVMD deve quin-di individuare la migliore soluzione operativa pos-sibile per rispondere alle esigenze del soggetto, inlinea con il sistema di offerta presente localmen-te, garantendo una presa in carico globale dellapersona in condizioni di bisogno socio sanitario.

UVMD: organizzazione ed erogazione delleprestazioni socio-sanitarie definite nel PAIL’UVMD è pertanto responsabile nei casi com-plessi della realizzazione del PAI, individua i pro-fessionisti da coinvolgere dipendenti dal Distret-to o dal Comune, definisce le prestazioni, i servi-zi, la loro misura, le modalità e tempi, nonché isoggetti tenuti a sostenerne la relativa spesa.A garanzia della concreta realizzazione del pro-getto individuale, l’UVMD individua il case ma-nager, cioè l’operatore di riferimento per la per-sona e la sua famiglia, che ha il compito di veri-ficare la realizzazione delle varie fasi del proget-to, di raccordare il sistema dei servizi della reteformale ed informale, di monitorare gli interventistessi e di concretizzare così la realizzazione delpiano assistenziale individuale.

Monitoraggio e rivalutazioneL’UVMD ha anche il compito di seguire nel tem-po la persona, programmando verifiche periodi-che, fornendo quindi risposte appropriate secon-do i principi di equità, sussidiarietà, sostenibilitàe trasparenza di accesso ai servizi e alle prestazio-ni del territorio. La funzione di verifica, solita-mente su domanda e/o su importante variazio-ne delle condizioni della persona, viene svoltaconfrontando i risultati con quelli attesi, attivan-do, ove occorra, un’azione di analisi obiettiva del-le criticità incontrate.A tale scopo l’Ulss utilizzaindicatori di verifica definiti dalla Programma-zione Regionale e locale. L’UVMD, quindi, nonsolo programma e gestisce il PAI, ma ne attua il

monitoraggio e la verifica dei risultati. Esercitaqueste funzioni coordinando e valutando le in-formazioni relative agli assistiti che vengono for-nite dalle figure professionali coinvolte nel Pro-getto Assistenziale e in base alle quali eventual-mente modifica il PAI stesso.La rivalutazione UVMD non ha una periodicitàdefinita, ma è determinata dalla modifica dei bi-sogni dell’assistito.

Liste di attesaPer l’assistenza domiciliare integrata non sonopreviste liste di attesa.L’accesso al sistema dell’assistenza socio-sanitariaresidenziale è gestita con il sistema delle Impe-gnative di residenzialità attribuite ad ogni Ulssdalla Regione. Per l’accesso in convenzione in unCentro di Servizio per anziani non autosufficientiè richiesta ai Distretti socio-sanitari l’attivazionedi una valutazione multidimensionale, con la com-pilazione della scheda SVaMA,con la conseguentediscussione del caso in UVMD. L’Unità diValu-tazione Multidimensionale Distrettuale attribui-sce un punteggio in base al quale la persona ri-chiedente viene collocata nella graduatoria uni-ca della residenzialità.I Centri di Servizio erogativi delle prestazioniresidenziali possono consultare in qualsiasi mo-mento le graduatorie di residenzialità aggiorna-te e possono contattare in tempo reale le perso-ne a cui viene attribuita l’impegnativa di spesa ehanno scelto quel Centro di Servizio (solitamentei contatti tra Centro di Servizio e caregiver av-vengono precedentemente all’ingresso, in virtùdel fatto che le strutture residenziali chiamano lepersone in base alle graduatorie da esse consul-tabili).

Livello di sviluppo del sistema informativo per ilmonitoraggio dell’assistenza domiciliare e delleprestazioni residenziali e semiresidenzialiIl SID-ADI, istituito nel 2005 dalla RegioneVe-neto, è il sistema informativo relativo all’assisten-za distrettuale integrata. IL SID-ADI garantisce il

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debito informativo dell’Ulss nei confronti dellaRegione nell’ambito dell’assistenza domiciliareattraverso l’estrazione e l’invio trimestrale di unset di dati basato su record individuali (rilevazio-ne sul singolo caso). La RegioneVeneto infine ot-tempera al debito informativo ministeriale Flus-so SIAD.Il SID-ADI è inoltre uno strumento utile alla ve-rifica e alla valutazione sia sul singolo caso sia sulcomplesso dell’attività svolta dall’Ulss e dal sin-golo distretto nell’ambito dell’assistenza domici-liare.L’utilizzo gestionale di questo sistema informati-vo è demandato agli operatori dei distretti Socio-Sanitari,ma anche a operatori di altri servizi Ulssche erogano le prestazioni di assistenza domici-liare.Il SID-ADI è pensato allo scopo di rilevare, ag-gregandoli sul singolo utente, tutti i trattamentidi assistenza domiciliare programmati nell’ambi-to delle 6 forme assistenziali (profili ADI) non-ché i trattamenti domiciliari sporadici e occasio-nali effettuati al di fuori di programmi o proget-ti assistenziali specifici.Nello specifico per ciascun assistito a domicilioviene aperta, al momento della prima presa in ca-rico, una “posizione/cartella utente”, nella qualeconfluiscono tutte le informazioni relative alle va-lutazioni e ai servizi erogati dall’azienda.Una volta aperta una “posizione utente”, vannosempre compilate le sezioni “anagrafica” (i cui da-ti, solitamente, vengono precompilati sulla basedelle informazioni esistenti negli archivi azienda-li) e “valutazione”, in cui sono contenute le in-formazioni relative ai problemi di salute, ai biso-gni assistenziali e alle risposte programmate.Vengono quindi registrati gli accessi domiciliarieffettuati da tutti gli operatori.Il sistema informativo della residenzialità è inte-grato nell’Edilizia Residenziale Pubblica azien-dale, attraverso moduli specifici per la gestionedei diversi aspetti (raccolta della domanda, ge-stione delle preferenze espresse dall’utente, valu-tazione, messa in lista di attesa, emissione del-

l’impegnativa, accoglimento in struttura, gestio-ne delle presenze/assenze, rendicontazione, fattu-razione, reportistica) ed è accessibile direttamen-te dai Centri di Servizio per consultazio-ne/alimentazione/verifica/reportistica/fattura-zione.Il livello di informatizzazione della residenzialitàha un ruolo cruciale dal momento che l’accessoai Centri di Servizio è subordinato alla presenta-zione della domanda da parte dell’assistito, alla va-lutazione e all’eventuale successivo inserimentoin graduatoria. Il compito dei servizi centrali èquello di governare il sistema e monitorare la cor-retta gestione delle impegnative di residenzialità,vigilando affinché il sistema funzioni al meglio.La conclusione del percorso di assegnazione del-l’impegnativa di residenzialità avviene a cura delDistretto o dei servizi centralizzati in capo al Co-ordinamento Distretti.I dati di rilascio e di chiusura delle impegnativedi residenzialità vengono costantemente inseritiattraverso un Portale dedicato, nel Datawherehou-se regionale.

Il sistema di finanziamentoIl modello veneto, che prevede l’integrazione traservizi sanitari e sociosanitari, richiede che anchele risorse finanziarie siano gestite in modo inte-grato.Il finanziamento delle spese correnti del SSSR(art. 25 L.R. 56/1994) è assicurato da una seriedi voci in entrata:�quota di riparto del Fondo sanitario nazionale,tenuto conto della mobilità sanitaria tra regio-ni per tipologia di prestazioni;

� finanziamenti delle attività sociosanitarie;�concorso del bilancio regionale per quanto ri-guarda i maggiori livelli assistenziali garantiti al-la popolazione residente (art.13 D. Lgs. N.502/1992);

�compartecipazione dei cittadini alla spesa sani-taria;

� rimborsi delle spese per prestazioni erogate a cit-tadini stranieri;

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�contributi vincolati assegnati dalla Regione e daaltri enti pubblici o privati al fine di promuove-re la ricerca sanitaria finalizzata.Le risorse regionali sono destinate al finanzia-mento:�dei costi d’esercizio sostenuti dalle Aziende Ulss(anche Aziende Ospedaliere e IOV) per l’ero-gazione dei Lea e delle prestazioni relative aimaggiori livelli assistenziali;

�di interventi per la realizzazione di obiettivi edaltre attività sanitarie;

�delle attività sociosanitarie;�degli interventi realizzati attraverso il Fondo re-gionale per la non autosufficienza.Dal punto di vista della distribuzione qualitativadei costi d’esercizio, i parametri obiettivo sono iseguenti:

�assistenza territoriale 51%;�assistenza ospedaliera 44%;�attività di prevenzione 5%.Le risorse della gestione corrente del FSSR sonodestinate all’erogazione dei livelli essenziali di as-sistenza come stabiliti (DGR 951/2011) dalla Re-gione delVeneto (Lea definiti a livello nazionale,eventualmente incrementati) e il loro riparto puòavvenire attraverso due modalità:a) finanziamento in base a quota capitaria;b) finanziamento a funzione sulla base di costistandard di funzionamento dei servizi per quan-to concerne i servizi sanitari reciprocamenteresi tra Aziende, pubbliche e private, il sistemadi remunerazione si basa su tariffe predeter-minate che, ai sensi della normativa vigente,sono periodicamente aggiornate.

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TABELLA 11 - Riparto del Fondo regionale per la non autosufficienza perAzienda Ulss.Veneto -Anno 2010 (valori in migliaia di euro)*

Fondo regionale Fondo nazionale Totale assegnato alle(sanitario + sociale) non autosufficienza Aziende Ulss

Ulss 4 -AltoVicentino 25.908 834 26.742Ulss 6 -Vicenza 49.109 1.461 50.571Veneto 675.250 28.865 704.115

* I dati fanno riferimento alla DGR 3569/2010.

TABELLA 13 - Composizione del Fondo regionale per la non autosufficienza per destinazione e Azienda Ulss.Veneto -Anno 2010(*)

Residenzialità Domiciliarietà Residenzialità Centri diurni Fondo Totaleanziani anziani disabili per disabili nazionale assegnato alle

e disabili non autosufficienza Aziende Ulss

Ulss 6 -Vicenza 35.309.610 4.860.720 2.998.280 5.940.840 1.461.440 50.570.890Ulss 4 -AltoVicentino 18.926.080 3.061.390 1.285.620 2.635.150 834.100 26.742.340Veneto 456.448.740 91.158.370 49.219.150 78.423.740 28.864.522 704.114.522

(*) I dati fanno riferimento al DGR 3569/2010Fonte: Agenzia Regionale Socio Sanitaria del Veneto

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TABELLA 1 -Transcodifica punteggi SIAD (versione 2) in SVaMA per calcolo valore asse “necessità di assistenza sanitaria”

SVaMAmonodimensionale punteggio SIAD tracciato 1 punteggiovalutazione sanitaria “presa in carico” assegnato

AssistenzaInfermieristica

diabete insulinodipendente 5 patologia prevalente/concomitante ICD 9.1 corrispondente 5scompenso cardiaco in classe 3-4 NYHAcon necessità di monitoraggio 10 patologia prevalente/concomitante ICD 9.1 corrispondente 10cirrosi scompensata con necessità di monitoraggio 10 patologia prevalente/concomitante ICD 9.1 corrispondente 10tracheostomia 5 valutazione/tracheostomia/ bisogno presente valore 1 5ossigenoterapia a lungo termine 5 valutazione/ossigeno terapia/ bisogno presente valore 1 5sondino naso-gastrico, gastrostomia 10 alimentazione/enterale/ bisogno presente valore 1 10cvc nutrizione parenterale o terapia infusionale quotidiana 10 alimentazione/parenterale/ bisogno presente valore 1 10catetere vescicale 5 valutazione/gestione catetere/ bisogno presente valore 1 5ano artificiale e ureterostomia 5 valutazione/gestione stomia /bisogno presente valore 1 5

valutazione/controllo dolore/ bisogno presente valore 1nefrostomia terapia peridurale o terapia antalgica con oppioidi 10 valutazione/assist Stato terminale Onc /bisogno presente 1 10

valutazione/assist Stato terminale non Onc / bisogno presente 1ulcere distrofiche e/o lesioni chirurgiche 5 non rilevabile 0respiratore / ventilazione assistita no valutazione/ventiloterapia/ bisogno presente valore 1 nodialisi no non rilevabile no

totale assistenza infermieristica (VIP)

TABELLA 2 -Transcodifica punteggi SIAD (versione 2) in SVaMA per calcolo valore asse “necessità di assistenza sanitaria”

SVaMAmonodimensionale punteggio SIAD tracciato 1 punteggioValutazione cognitiva e funzionale “presa in carico” assegnato

TrattamentoDecubiti

assenza di rischio 0 valutazione/ cura ulcere cutanee 1-2-3-4°/bisogno assente valore 2 0rischio elevato, lesione di 1 o 2 grado 10 valutazione/cura ulcere cutanee 1-2°/bisogno presente valore 1 101 piaga di 3 o 4 grado 152 piaghe di 3 o 4 grado 25 valutazione/ cura ulcere cutanee 3-4°/bisogno presente valore 1 20decubiti (VPIA) prevenzione-trattamento

TABELLA 3 -Transcodifica punteggi SIAD (versione 2) in SVaMA per calcolo valore asse “necessità di assistenza sanitaria”

SVaMA copertina punteggio SIAD tracciato 1 punteggioValutazione in sede UVMD “presa in carico” assegnato

PotenzialeResiduo

nullo trattamentiRiab/ neurologico-ortopedico-di mantenimento0 bisogno assente valore 2 0

parziale 5 trattamentiRiab/ di mantenimento/ bisogno presente valore 1 5buono 20 trattamentiRiab/ ortopedico /bisogno presente valore 1 20elevato 25 trattamentiRiab/ neurologico/ bisogno presente valore 1

potenziale residuo (VPOT)AssistenzaInfermieristica

Calcolo del bisogno di assistenza infermieristica e riabilitativaNECESSITÀ DIASSISTENZA SANITARIAtotale assistenza infermieristica (VIP)prevenzione-trattamento decubiti (VPIA)potenziale residuo (VPOT)Totale assistenza infermieristica e riabilitativa (VSAN)

Codificaasse

Calcolo del valore dell’asse sanitarioasse sanitario “necessità di assistenza sanitaria” (PSAN) VSAN1 0-5 Bassa/Lieve2 10 - 20 Intermedia/Moderata3 ≥25 Elevata/Grave

Finito di stampare nel mese di settembre 2012

ALLEGATO 2Algoritmo di transcodifica dell’asse sanitario