La Pentola D'Oro
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Transcript of La Pentola D'Oro
Anno VIII - Numero I - Gennaio, Febbraio, Marzo 2012 - Euro 7,00
Rivista uffi ciale della SAPS: centro ricerche per lo studio di materialie forme degli strumenti di cottura
Gennaio, Febbraio, Marzo 2012
Identità Golose 2012
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Identità Golose 2012Il Congresso Internazionale di Cucina d’Autore che ha parlato alla gente
EDITORIALE
a cura di Angelo Agnelli
I dentità Golose 2012, Congresso Internazionale
di Cucina d’Autore, con l’ottava edizione
consumata a Milano dal 5 al 7 febbraio scorso
negli spazi del MiCo-Centro Congressi, è
entrata nel pieno della sua maturità. Tanti i
temi selezionati per gli incontri e dibattiti che
si sono susseguiti nelle tre giornate: “Oltre il mercato”,
“Identità vent’anni: giovani grandi chef”, “Identità Naturali:
se le conosci le ami”, “Identità Donna”, “Dossier Dessert”,
“Identità di Carne” e “Identità di Pasta”. Quella del 2012
è stata una kermesse in cui, secondo
me, si sono visti meno tecnicismi
e filosofie tesi a stupire, dove i
rappresentanti della nostra cucina
hanno lasciato il posto al cuore e alla
passione, alle cose reali, tralasciando
tutto il resto. Sarà che in un momento
di crisi come quello che stiamo
vivendo oggi c’è bisogno di tornare
alle cose concrete senza tanti fronzoli,
a cose che quando le vedi nel piatto le
capisci già dall’occhio...
Gli chef che si sono susseguiti sul palco
delle conferenze di Identità Golose
2012 hanno quindi sapientemente
rappresentato il valore “comune” che
rappresenta oggi la cucina agli occhi
di chi la paga. Così l’aria che si respirava in questa
edizione di Identità Golose è stata più “naturale”,
prodotta da gente cauta, antiretorica, la cui storia è fatta
più di sacrifici che di gloria: ed è questo che bisogna
continuare a dire, in modo semplice, della nostra
ristorazione. In questo, hanno aiutato sicuramente
le sezioni del congresso milanese 2012 dedicate ai
giovani e alle donne tra i fornelli. Concretezza nel
saper fare la cucina, maturità, professionalità, pulizia e
consapevolezza sono stati i caratteri fondamentali su cui
quasi tutti hanno puntato. Noi di Pentole Agnelli - che
abbiamo messo le nostre attrezzature a disposizione dei
numerosi chef impegnati a cucinare durante Identità
Golose 2012 - li riteniamo i migliori baluardi per
una ristorazione di cultura in grado di riconquistare
gli ospiti delusi. Noi diciamo anche a gran voce che
l’arte della cucina è il risultato di una ricerca costante e
meticolosa, una gioiosa immedesimazione tra il presente
e il passato che deve annullare, nella degustazione di
un piatto, ogni lontananza di spazio e di tempo ed
esaltare ciò che l’ha saputa trasformare:
comprese le giuste pentole che in si
usano a cucinare una ricetta e che
sono corresponsabili del risultato di
una perfomance.
Baldassare Agnelli con le sue pentole
rappresenta un marchio di garanzia per
chi cucina con consapevolezza perché
da sempre le sue pentole sono curate
in ogni minimo dettaglio e rispondono
a requisiti specifici di conduttività
termica, maneggevolezza e conformità
alle leggi.
Fin dai materiali di cui sono prodotte:
trattasi di Alluminio, Antiaderenti,
Rame, Pietra Ollare, Ferro, Acciaio,
e anche per piani di cottura a fuoco,
a induzione o a elettricità. Grazie alla sua esperienza
secolare nel settore, l’azienda Baldassare Agnelli non
deborda mai nell’approssimazione, nel semplicismo e
nelle mode, ma sa sempre adattare la sua produzione di
pentole alle esigenze del tempo che muta, rifiutando
di produrre novità solo per la novità. La kermesse
milanese più ricca che mai ci ha saputo far gustare la
convinzione che il confronto tra le realtà di eccellenza
debba essere vivo, continuo e complice oltre che
un’occasione per avvicinare il pubblico alla qualità.
Concretezza nel saper fare la cucina, maturità, professionalità, pulizia e consapevolezza
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Identità Golose 2012: cronaca del Congresso Internazionale di Cucina d’Autore e della qualità made in Italy
SOMMARIO
Garante per la radiodiffusione e l’editoria Registro Nazionale della stampa N. 5386 del 23/10/96.
Rivista uffi ciale della SAPS.Centro ricerche per lo studio dei materiali e forme degli strumenti di cottura.
Periodico trimestraleAnno VIII - Numero Igennaio, febbraio, marzo 2012
Registrazione al Tribunale:nr. 1 del 7/1/2005Spedizione Postale:Poste Italiane Spa Spedizione in Abbonamento Postale 70% Lo/BgCasa editrice: SPEB s.r.l.Presidente: Marino LazzariniDirettore Responsabile:Paolo AgnelliDirettore Editoriale:Maurizio Di Diocell. +39 340 12 00 187Comitato Direttivo:Baldassare Agnelli, Angelo AgnelliMaurizio Di Dio, Luca Bilotta Massimiliano PezzoniTesti e foto:Maurizio Di DioHa collaborato:Claudia BaraleRedazione:Via S. Giorgio, 6 - 24122 BergamoProgetto grafi co:L’Azzurro - Tel. 035 315 347Pubblicità & advertising:uffi [email protected]. +39 348 25 50 502Stampa:Quadrifolio S.p.A. 24052 Azzano S. Paolovia Emilia, 17 (BG)
È vietata ogni riproduzionedi testi e fotografi e.
Servizi e foto a cura di Maurizio Di Dio
Per il servizio su Identità Golose Milano 2012 si ringrazia MAGENTA BUREAU per le informazioni e le immagini.
Identità Golose 2012
Cronaca del Congresso
Internazionale di Cucina d’Autore
e della qualità made in Italy pag. 6
Primo giorno pag. 10
Massimiliano Alajmo e Corrado Assenza,
Alessandro Negrini e Fabio Pisani
per Aimo e Nadia Moroni,
Mauro Uliassi e Moreno Cedroni,
Lorenzo Cogo, Enrico Panero,
Pietro Leemann, Simone Salvini,
Pietro Zito, Andrea Berton e Gianluca Fusto,
Franco Aliberti, Felice Sgarra, Enrico Crippa,
Cesare Battisti, Alice Delcourt
Secondo giorno pag. 28
Carlo Cracco e Matteo Baronetto,
Paolo Lopriore, Italo Bassi e Riccardo Monco,
Enrico e Roberto Cerea, Massimo Bottura,
Aurora Mazzucchelli, Viviana Varese,
Antonia Klugmann, Davide Scabin,
Claudio Sadler, Niko Romito,
Gennaro Esposito, Iside De Cesare,
Cristina Bowerman, Marianna Vitale
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Terzo giorno pag. 50
Paolo Donei, Alessandro Gilmozzi,
Alfio Ghezzi Daniel Facen,
Pino Cuttaia, Andrea Aprea,
Rosanna Marziale, Igles Corelli e Aldo Zivieri,
Sergio Motta e Daniel Canzian
Gli Strumenti di Cottura
di Identità Golose Milano 2012
Alluminio 7 mm, Alu-Inox,
Al Black per induzione pag. 66
Sono le pentole prodotte
da Baldassare Agnelli, utilizzate dagli chef
durante Identità Golose Milano
SAPS
I campioni della cucina
si allenano in SAPS pag. 68
Come da tradizione il Centro di Ricerca
e Formazione di Lallio ha ospitato il ritiro
precampionato della competizione europea,
dove la NIC ha ottenuto la medaglia d’argento
PIATTO D’AUTORE
Piatto d’Autore vince Alex Guzzi pag. 71
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Il7 febbraio scorso ha chiuso i
battenti a Milano con un edizione
da record l’edizione meneghina
di Identità Golose 2012, che
da quest’anno prende il nome di
Identità Milano.
È stata la più ricca, affollata, celebrata e riuscita di
sempre. I saloni fieristici di via Gattamelata in 3 giorni
hanno registrato il gran pienone di pubblico: giovane,
attento, partecipe, curioso.
Protagonisti i cuochi della ristorazione professionale
d’Italia selezionati dall’organizzazione capitanata dal
giornalista Paolo Marchi.
“Era il nostro ottavo anno qui, siamo diventati punto di
riferimento per la tavola creativa, per l’innovazione - ha
commentato Paolo Marchi, una delle due menti
della manifestazione - le difficoltà economiche spingono a
cambiare, a re-inventarsi”.
Grande affluenza di pubblico, ma anche presenze
importanti che Claudio Ceroni, patron di Magenta
Bureau, da sempre braccio organizzativo di Identità
Golose ha commentato così: “più 30% sia di pubblico
che di aziende, quasi 7.800 richieste di pre-accredito che
sono diventate circa 10mila presenze calcolando gli arrivi
dell’ultimo minuto, quasi 900 giornalisti e foodblogger, oltre
80 espositori, 6 sale a disposizioni contro le 3 del 2011,
Le diffi coltà economiche spingono a cambiare, a re-inventarsi
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circa 80 relatori contro i 18 della prima edizione,
una rassegna stampa di oltre 400 articoli scritti da
testate di ogni tipo in previsione dell’evento, ai quali si
aggiungeranno quelli post evento”.
Le pentole Baldassare Agnelli - ricordiamo che
l’azienda di Bergamo è stata partner tecnico di
questa edizione - ancora una volta ha dimostrato
la sua leadership nel settore della ristorazione
professionale, attraverso la capacità di fornire
con le proprie attrezzature tutte le cucine delle
sale conferenze in cui si sono succeduti gli 80
chef, oltre quelle a disposizione degli espositori
e dell’organizzazione. Pentole di ogni forma e
materiale adatte sia ai paini cottura a fuoco che a
quelli induzione. “Le pentole Agnelli sono state una
garanzia per il successo ottenuto da Identità Golose
L’intervento di Baldassare Agnelli a Identità Golose ha ribadito la vicinanza al settore e la stima verso il duro lavoro degli chef
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2012 - ha commento Claudio Ceroni di Magenta
Bureau - dimostrando, oltre la qualità dei suoi prodotti
che non si discute, anche la capacità di sostenerci dal
punto di vista del servizio professionale puntuale ed
affidabile”. Angelo Agnelli ha così commentato
l’esperienza di Identità Golose di Milano: “molti
degli chef che si sono succeduti sul palcoscenico della
manifestazione ci conoscono e ci apprezzano da tempo
sia per la qualità dei nostri prodotti che per l’impegno
profuso con il nostro centro di ricerca Saps dove i nostri
prodotti si migliorano anche grazie al loro contributo.
E per questo li considero dei veri e propri ambasciatori
delle nostre pentole. L’ intervento di Baldassare
Agnelli a Identità Golose è stato deciso proprio in
considerazione di ciò e per ribadire la nostra vicinanza
al settore e la stima verso il duro lavoro degli chef”.
Sopra:Alessandro Borghese allo stand Pentole Agnelli
Pino Cuttaia del Ristorante La Madia
Sotto:Roberto ed Enrico Cerea del Ristorante Da Vittoriocon Italo Bassi dell’Enoteca Pinchiorri
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Primo giornoMassimiliano Alajmo e Corrado Assenza, Alessandro Negrini e Fabio Pisani per Aimo e Nadia Moroni, Mauro Uliassi e Moreno Cedroni, Lorenzo Cogo, Enrico Panero, Pietro Leemann, Simone Salvini, Pietro Zito, Andrea Berton e Gianluca Fusto, Franco Aliberti, Felice Sgarra, Enrico Crippa, Cesare Battisti, Alice Delcourt
A Milano all’ottava edizione di
Identità Golose, la terza nel
capoluogo meneghino, è andato
in scena il tema che ruotava
intorno al concetto “Oltre il
Mercato”.
Un tema illustrato ampiamente dagli chef relatori,
che hanno evidenziato la tendenza alla riscoperta
degli ingredienti e alla valorizzazione della materia
prima, attraverso la ricerca concreta del gusto nelle
sue sfumature, anche quelle emotive. Chef guest star si
sono avvicendati sul palco dell’auditorium principale
e in quelli delle altre sale collegate, con l’obiettivo di
spiegare quindi alla platea che li ascoltava il percorso
professionale che li ha portati a raggiungere certi
risultati in cucina, oltre il mercato.
Hanno iniziato questo percorso Massimiliano
Alajmo e Corrado Assenza, che hanno inaugurato
la tre giorni di Identità Milano in una Sala
Auditorium di Milano City che domenica 5 febbraio
era colma di gente. Il cuoco e chi il pasticciere. Amici.
Con i ruoli che sul palco durante la perfomance dei
due sembrano confondersi, pur ritrovandosi a lavorare
sulla stessa materia, sensazione, partendo certo dai
rispettivi punti di vista: tesi, antitesi e la sintesi, “figlia
della nostra amicizia”, ha detto il “maestro” di Noto
Corrado Assenza. Che ha sottolineato la versatilità
dell’intelligenza, “nel mio percorso sono fiero di tenere
insieme umanesimo e scientificità...”.
Prima di raccontare il suo piatto forte: ovviamente
un dolce, il Cuturro di grano. In Sicilia si chiamano
Cuturro, (etimo che risale probabilmente all’arabo),
le preparazioni a base di grano macinato in modo
artigianale in casa - lasciato a bagno in acqua, cotto a
vapore e poi mantecato con il latte.
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Per completare il piatto, la polpa della sogliola passata in padella, erba cipollina, olio e caviale. Suggestioni fi nali: il formaggio di merluzzo
È lo strato iniziale di un dessert che man mano
si arricchisce di aromi straordinari: mandorla di
Noto, pistacchio di Bronte, miele d’arancio che
Corrado Assenza manipola con sapienza dosi e
specialità. Alajmo (antitesi) ha ribaltato i concetti e
ha giocato sulla pura sensazione lattica, imprinting
gustativo primordiale (il seno materno), quindi dalla
potenza evocativa straordinaria: il tutto, però, in
rigorosa assenza di latte e derivati, altrimenti sarebbe
troppo semplice: latte di ceci ottenuto frullando
il legume lasciato a bagno, cotto e poi passato al
microonde. Su questa crema si poggiano gamberi
rossi, capperi dissalati e purea di ceci classica, arrotolata
nel mais croccante soffiato. Sorprende il latte di ceci?
Quello di sogliola deriva dal pesce spolpato e, al
minipimer, usato da collagene per unirsi con mandorle
e senape. Condisce un risotto mantecato ovviamente
senza burro sfruttando alghe dolci e aromatizzato con
un succo di cozze e vongole. Per completare il piatto,
la polpa della sogliola passata in padella, erba cipollina,
olio e caviale. Suggestioni finali: il formaggio di
merluzzo (!), ossia trippe del pesce frullate con acqua
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e olio, poi sifonate e fatte solidificare o le cagliate
vegetali (ricotta di mandorle, di pistacchio, di sesamo
tostato e un cacio di nocciole), ottenute aggiungendo
acqua e cloruro di magnesio alla materia prima base,
per avere una sorta di caglio. Infine il “banale” burro
d’olio, che nasce dall’unione dell’extravergine con
il burro di cacao, l’acqua e la lecitina: è l’idea per
una pasta sfoglia caramellata o una crema pasticciera
montata, ovviamente, all’olio.
Subito dopo è stata la volta dell’omaggio a Aimo
e Nadia Moroni, ambasciatori della ristorazione
italiana e fondatori dello storico locale bistellato
Michelin di Milano. Un omaggio tributato attraverso
una girandola di remake d’autore, a testimonianza di
una vitalità, quella di Aimo e Nadia, che continua a
tenere svegli i nostri cuochi. Per primo Massimiliano
Alajmo che ha elaborato gli spaghettini di mozzarella
conditi con cipollotto cotto sottovuoto e una salsa
di datterini, poi Corrado Assenza che ha voluto
recuperare l’origine siciliane dei Moroni, “i più grandi
cuochi siciliani”, facendo spirare il vento iodato delle
cozze appena aperte sul piatto, infine il tributo di
Alessandro Negrini e Fabio Pisani, giovani e fedeli
cuochi professionisti del ristorante Aimo e Nadia che
hanno presentato la ricetta originale degli spaghettini
con cipollotti, peperoncino, alloro e pomodorini
del piennolo: un inno del cuore alla semplicità, alla
squisitezza, all’amicizia ed al rispetto.
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Subito dopo nella stessa sala, un po’ in ritardo sulla
tabella di marcia, è stata la volta della magnifica
coppia marchigiana Mauro Uliassi e Moreno
Cedroni, che si è cimentata in un derby culinario
tutto senigalliese. Le comuni radici hanno dato sfogo a
diverse interpretazioni personali, utilizzando gli stessi
ingredienti.
Uliassi ha iniziato con una seppia manipolata al
minimo - “se il pesce lo pulisci troppo, gli togli l’anima”
è la filosofia di Uliassi - così via solo la sabbia, le
viscere rimangono, cottura tradizionale ed è subito
un’esplosione iodica e fenica, che nel piatto si
amplifica con la salsa a base di fegato della stessa
seppia, granita di ricci marini, carbone al nero e
bouquet di erbe aromatiche.
Cedroni risponde chiamando la mamma e
reinterpretando a suo modo un piatto classico, seppie
coi piselli e l’uovo: ahh, che goduria il cibo della
mamma, della memoria!
Altro prodotto di mare, le cannocchie, e altre formule
gastronomiche. Uliassi le pensa tradizionali, olio-
limone-prezzemolo, e le modernizza cotte con acqua
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di vongole, dai carapaci estrae il succo e ci fa anche il brodo,
poi maionese alla cannocchia , cubi di bianco di cedro, salsa
di prezzemolo. Cedroni le sfuma al cognac e le guarnisce
con salsa di carciofi, patata dolce, carciofi croccanti e ravioli
al vapore. Il terzo prodotto era di terra: Uliassi ha proposto
l’alzavola, un piccolo anatroccolo che vive nelle foci del
fiumi e si ciba di alghe e sementi con alghe e sementi di
papavero, di zucca, di lino e di girasole, tostate, con tocco
finale di trito d’ostrica su civet dell’alzavola stessa e olio di
perilla, un’erba che regala l’indispensabile nota vegetale.
Cedroni invece si è cimentato in un baccalà in olio cottura
su letto di lepre cruda, ragù, verdure, ricoperto di una
salsa di lepre cotta con patata dolce, pomodoro, scalogno,
carote… Una riduzione di ribes e un brodo leggero di
lampone hanno completato il piatto.
Le comuni radici hanno dato sfogo a diverse interpretazioni personali, utilizzando gli stessi ingredienti
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Lorenzo Cogo ha aperto invece la sezione dei giovani
con L’Acquario, un piatto giocoso che viene servito come snack
nel suo nuovo ristorante El Coq, dove in un semplice vasetto di
vetro ha racchiuso granita di dashi, preparata congelando il brodo
di alga kombu aromatizzato alkatsuobushi, (tonnetto giapponese in
scaglia), asparago di mare e cozze, fettine sottili dikumquat e fumo di
legno di faggio. Poi “Omaggio alla barbabietola”: una base di yogurt,
latte e yogurt disidratati, una gelèe di martini rosso e budino di
barbabietola in scaglie essicate.
Stesso palcoscenico, ma altro giovane chef e altra
filosofia. Enrico Panero infatti esprime una cucina
chiara, semplice, e la sua performance la titola
enigmaticamente “Contrasti
apparenti”.
Enrico Panero è un piemontese
di Savigliano in provincia di
Cuneo che ha appena 25 anni.
Una sorta di Marcantonio
(è alto quasi due metri) che,
seppur giovanissimo ha sulle
spalle una sana e intelligente
gavetta. Un intelligente
apprendistato, che dopo avere
conseguito i diploma all’Istituto
Alberghiero G. Donadio
di Dronero in provincia di
Cuneo, si sposta a Borgomanero nel Novarese
per lavorare al Ristorante Pinocchio e poi passare
a Milano da Aimo e Nadia. Nel 2006 è da Ugo
Alciati al Ristorante Guido di Pollenzo.
Una puntata a Lanzarote al
ristorante Isla de Lobos sotto la
guida di Denis Cappellino e nel
2007 Panero, anni a quel punto
20, imbocca un sentiero che sta
percorrendo tuttora. Oscar Farinetti
apre a Torino la madre di tutti i
punti Eataly ed Enrico è nella brigata
di Guido per Eataly - Casa Vicina.
Seguiranno Eataly Tokyo e Eataly
New York, ma anche una sosta nella
cucina di Mark Ladner a Manhattan,
ristorante Del Posto, e in quella
Uno degli aspetti più importanti dell’edizione 2012 è stato il talento espresso dai giovani chef non ancora trentenni
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di Victor Arguinzoniz all’Asador Etxebarri, nel
paesino di Atxondo vicino Bilbao: “L’esperienza
da Victor mi ha cambiato la vita per la ‘semplicità’ con
la quale lavora la materia prima”. E, si badi bene, in
questo caso semplicità sta per essenzialità, è sinonimo
di purezza, la stessa che cerca nei suoi piatti adesso
che è l’executive chef del Marin, il ristoro del
Porto Antico a Eataly Genova. Il crudo di Palamita,
trenette e acciughe è la prima ricetta proposta: c’è
il ricordo del Giappone in un piatto che è tutto
ligure, rassicura nella sua presentazione e stupisce
piacevolmente per l’abbinamento della pasta calda sul
pesce crudo. La prima, profumata da limone verde
nell’impasto, è fresca e aromatica, la seconda dialoga
con il sugo di acciughe e mostra con naturalezza la
grande versatilità del pesce azzurro, troppo a lungo
considerato pescato minore. Con la seconda ricetta
Enrico ricorda la sua infanzia adagiando una triglia
su suolo piemontese con una crema di topinambur.
Il contrasto apparente è creato da una fetta di foie
gras appena scottato, una presenza ingombrante solo
nell’idea, perché il viaggiatore Panero ne utilizza la
grassezza senza renderlo protagonista e esaltare il gusto
tutto mediterraneo della triglia farcita di pomodorini,
pinoli, basilico e scorza di limone.
Il pesce è racchiuso in due croccanti cialde di
“marinara”, una focaccia tipica ligure che cuoce in
una teglia e assume le dimensioni di un panettone e
il gusto pieno di una focaccia. Esperienze di culture
differenti, grandi esempi di tecnica e maestri del
rispetto della materia prima permettono così a Enrico
di proporre una cucina con i piedi in Liguria vista
mare e la testa sempre in giro per il mondo.
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“Il cibo è una filosofia messa in pratica”. Così Pietro Leemann, che da 20 anni propone una cucina gastronomica
vegetariana nel suo Joia proprio in centro di Milano, ha aperto Identità Naturali. I suoi piatti sono non solo senza
carne e pesce ma anche senza uova e frumento e con ingredienti biologici, stagionali e locali.
Leemann è l’emblema della cucina attenta e politicamente corretta
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Più che una scelta di cucina, quella di Simone
Salvini è una vera e propria filosofia di vita,
che trasmette attraverso l’Organic Academy,
ovvero l’Accademia di alta cucina naturale e vegeriana.
Salvini è voluto andare alla base della cucina vegana,
tenendo come filo conduttore il seme: “Da lì nasce
tutto. È anche il simbolo dell’inizio di un viaggio”.
Semi che vengono utilizza per le preparazioni base e
per i semilavorati. Così lo chef
non si è
concentrato nella preparazione di piatti di alta cucina,
ma è tornato alle origini, cercando di spiegare come
fare a casa alimenti quali il seitan e il tofu. “Il seitan che,
tradotto, significa carne vegetale - ha raccontato Salvini -
ma è anche Ricco di forza”. Tecniche semplici, ma che
necessitano di passione e di pazienza: tutto racchiuso
nel Risotto alla zucca gialla preparato da Salvini con
del “burro vegano”. “Burro che in realtà è
realizzato con le mandorle tritate e i semi
di zucca”.
Pietro Zito, pugliese, lo
abbiamo già fatto conoscere da
queste pagine in un numero del
2010 dedicato alla sua splendida
terra. ha le radici ben piantate
nella sua Puglia . “La terra - dice
lui - è importantissima: quando è
incontaminata, regala aromi, profumi
e sapori unici”.
Senza contare che dalla sua terra
attinge materie prime uniche:
che produce direttamente nel
suo orto e le porta a tavola senza
contaminazioni, “per emozionare e
trasferire tutto il prodotto al tavolo”.
Il seme è il simbolo dell’inizio di un viaggio
La terra quando è incontaminata, regala aromi,
profumi e sapori unici
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In una giornata che, in sala auditorium, ha
messo in scena contaminazioni, connubi, unioni
apparentemente contro natura, a chiudere le lezioni
pomeridiane è stata una strana coppia, quella composta
da Andrea Berton e Gianluca Fusto.
Due nomi propri, cinque caratteristiche: rigore,
precisione, materia prima, dettagli, evoluzione.
Scienziati del gusto dunque, ingegneri del sapore che
hanno però scoperto solo empiricamente, «cucinando
insieme», quel che poteva accomunarli nel comune
tentativo di avvicinare i mondi opposti dal quale
provengono, quello salato e quello dolce.
La tecnica della pasticceria entra in cucina, ad esempio,
in un piatto come l’Insalata mista liquida, dove
l’insalata (salicornia, glacialis e foglie d’ostrica) viene
resa liquida frullandola e apportando una componente
zuccherina; l’oliva di ogni buona salad è in paté, che si
lega in una crema al cioccolato, ingrediente feticcio di
Fusto, con po’ di sale a regalare note iodate.
Poi la parte croccante: il topinambur, o meglio la sua
corteccia che viene cotta, essiccata e infine fritta.
Si conclude col condimento: limone d’Amalfi
che viene prima addolcito con lo sciroppo, quindi
gelificato e montato come una mousse.
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E l’antipasto è servito! Ma il primo piatto dolce/
salato? Ecco a voi i “nuovi” spaghetti alla carbonara,
con le quattro componenti classiche (pasta, uovo,
bacon e pecorino) ribaltate in un gioco di strutture e
densità. Gli spaghetti vengono marinati negli agrumi
e poi dolcificati, cotti e raffreddati in olio di mandorla,
che regala i propri sentori; l’uovo è in una crema
inglese al glucosio atomizzato (che dolcifica meno e
lega di più); il pecorino è in emulsione; il bacon cotto
al microonde e poi tritato per fornire la componente
croccante. Tocco finale, una
gelatina di pepe nero.
Ultima idea-provocazione, il dolce, che a questo punto
sarà anche salato: una bignolata in cui i bigné all’olio,
svuotati e resi croccanti all’esterno, sono riempiti
con una crema ottenuta centrifugando peperoni; il
liquido così ottenuto viene unito in una crema a
base di cioccolato bianco; completano un’emulsione
al prezzemolo e una crema di limone e, di nuovo,
cioccolato bianco.
Una sala con tante
bolle profumate per
giocare e stupire con
tutti i sensi è quella che
ha presentato Franco
Aliberti: tanta allegria e
l’entusiasmo tipico dei suoi
vent’anni.
A Identità Milano Aliberti,
ha voluto proporre la
sua sperimentazione
sensoriale. Così la sala si è
riempita di profumo, grazie
all’esplosione delle bolle.
Andrea e Gianluca, due nomi propri, cinque caratteristiche: rigore, precisione, materia prima, dettagli, evoluzione
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Il tutto per realizzare un dolce classico, che è la zuppa
inglese. “Ho preparato la salsa al cacao e la crema alla
vaniglia, ed entrambe le ho trasformate in sfere. Mancava il
savoiardo e l’alkermes, il liquore: con questo ho fatto un’altra
bolla, un po’ più grande, che ha racchiuso le altre due, in una
sorta di matrioska dolce”. Alla fine il risultato nel piatto:
che però era ancora da girare e shakerare, per fondere
gli elementi: e il gioco è fatto.
La semplicità di volere portare in tavola i sapori
della terra madre. Così è Felice Sgarra da Andria,
del Ristorante Umami. Felice ha studiato all’istituto
alberghiero di Roccaraso paese di montagna famoso
per le sue piste da sci in Abruzzo così diversa dalla
sua Andria invece che è una città a due passi dal mare,
circondata di olio, cultivar Coratina per la precisione,
con una forte tradizione culinaria, comune a tanta
parte della Puglia. La cucina di Sgarra è ricca di colore,
non c’è piatto che non splenda e si distingua per
ricchezza. Piatti ricchi di passione e di ingredienti,
per accentuare al massimo la loro golosità. Cucina
innovativa, la voglia costante di svecchiare certe
proposte e certe formule prima di tutto per vocazione
e poi per non ripetere il noto, quei posti che in
fondo non distingui dagli altri perché omologati tra
loro. Non ci sono tradimenti, non vi possono essere
dubbi sul fatto che l’Umami e Sgarra siano in Puglia,
ad esempio la Burrata di Andria con l’ostrica rossa è
Puglia su Puglia, solo che non si è abituati a vederle
nello stesso piatto. Particolare importante: Felice sa
anche proporre validi dessert, come cuoco sa andare
oltre il lato salato di un ristorante. È lui che ha chiuso
la giornata dedicata a quelle Identità Vent’Anni che, si
spera, diventeranno i protagonisti della cucina italiana
di domani. Ma che già oggi sono una realtà ben
consistente.
Tante bolle profumate per giocare e stupire con tutti i sensi.È la sala presentata da Franco Aliberti
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Sgarra arriva dalla Puglia dove
“si pensa ancora che il mangiare bene
corrisponda al mangiare tanto”. Una
terra che, come il conterraneo Pietro
Zito, ama tanto da volerla rispettare,
utilizzando con saggezza le materie prime
che essa offre. “Stiamo vivendo un momento
difficile, è inutile nasconderci - ha esordito Sgarra -
eppure, nonostante il periodo, cerco di volare in alto, con
gli ingredienti pugliesi”. Materie prime che arrivano
direttamente dalle coltivazioni di famiglia, come
i cristauri, particolari erbe che crescono sulla Murgia.
“Adesso ho iniziato anche a costruire, fuori dal ristorante,
un orto didattico, che chiamerò Orto à portèr. Vuole essere
un’area didattica dove far crescere le erbe aromatiche
spontanee e dove realizzerò anche delle aree particolari, per
stupire con tutti i sensi”.
Stupisce nella sua elegante semplicità, Felice Sgarra, 30
anni appena fatti proprio a Identità Milano.
Il piatto Spaghettoni di taralli con pomodorino di
Torre Guarceto su pesto di cristauri e caciocavallo
podalico è “una sorta di bandiera italiana -
spiega Sgarra - dove cerco di avere il massimo rispetto per le
materie prime, senza particolari evoluzioni”.
E stupisce ancora con il secondo piatto, la millefoglie
all’extravergine con mousse di parata e ricotta su
gelatina di mela cotogna e mandorle pralinate. “Un
dessert dove ho utilizzato pochissimo zucchero, giusto quello
a velo, perché la dolcezza viene data dagli altri ingredienti”.
È saggezza, quella di Sgarra, cresciuto nei campi,
quando con il fratello gemello Riccardo, al posto di
andare a giocare a calcio, lavorava nei campi con il
padre. Sacrifici, che ora vengono ripagati.
Difficile abbinare l’idea di “cucina naturale” con
quella di cucina stellata? Niente di più sbagliato: lo
dimostra alla grande Enrico Crippa del Ristorante
Piazza Duomo di Alba (Cuneo), che ha proposto a
Identità Milano tre ricette vegetali dove la ricerca
gastronomica, l’esaltazione dei sapori e la “naturalità”
vanno di pari passo. Nel primo caso delle “insalate
cotte”, Enrico innesca giochi cromatici e gustativi
che sono concentrati di sapore. Le insalate (radicchio,
scarole e altro) vengono cotte sottovuoto e insaporite
con l’aggiunta di diversi “aromi”: dai peperoni di
Senise alle “acciughe e olive” di memoria campana,
all’olio di vinaccioli e olive taggiasche. Sistemate
nel piatto a mo’ di tavolozza, vengono impreziosite
con polveri colorate (sempre di origine naturale,
dal riso Venere essiccato all’alga Nori) e con gli “oli
essenziali” di cottura, per non perdere un briciolo
di sapore. Rape e salsiccia invece è un omaggio al
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territorio langarolo, dove la rapa
è quella di Cervere e la salsiccia
di Bra che prende la forma di
una polpetta. Il piatto però è
solo apparentemente semplice.
Le polpette sono ricoperte di
gelatina di rapa - cotta fino a
ottenerne una sorta di tè, poi addensato, addizionate
di cubetti di foie gras, tartufo nero, dadi e petali
di rapa, erbette piccanti e germogli di rapa. Infine
l’olio di nocciole, emblema del territorio. A seguire
la tinca “in carpione”, che interpreta l’attualissimo
tema “oltre il mercato”, visto che la sua disponibilità
dipende dai capricci della natura. I colori - naturali e
incredibili - della livrea vengono riprodotti sul fondo
del piatto con spruzzi di zafferano e nero di seppia.
Altrettanto eleganti nell’impiattato cangiante e nella
sensibilità gustativa sono state le tagliatelle di salsa di
pomodoro alla maizena per celiaci; la rilettura della
lepre alla royale, con cavolo
nero, salsa di foie gras, salsa di
vino rosso a evocare il sangue,
ginepro e cardamomo nero
per il camino; nonché l’inedito
bunet orizzontale, tavolozza per
foglie di caffè e torta di nocciole,
polvere di tartufo e corteccia di grano saraceno.
A concludere la giornata delle identità naturali
hanno pensato due maestri del genere, di
casa proprio a Milano. Cesare Battisti del
Ristorante Ratanà per primo, che fondando
la sua piccola maison su opzioni povere e
anticonformiste, si è posto subito il problema
di realizzare piatti tipici tenendo al guinzaglio
la filiera grazie alle cascine della zona. Dalle sue
mani è uscita una sinfonia di tuberi di stagione,
perché i frutti del momento sono anche ciò
di cui ha bisogno il nostro corpo nei diversi
microclimi. Dalla pastinaca alla scorzonera,
dal topinambur alla radice di prezzemolo.
Bolliti e passati con il passaverdura della nonna,
per valorizzare rusticità e personalità degli
ingredienti, vengono mescolati con altre radici
affettate e spadellate, per esaltare il piatto con
una testura croccante. Più alcune radici amare,
del cavolo nero per rievocare testure originarie,
un crumble di peperoncino amazzonico e un
giro di olio di zucca estratto a freddo. A seguire
una ex collaboratrice di Battisti, nonché allieva
di Viviana Varese, l’americana Alice Delcourt,
che un anno fa ha aperto la sua Erba Brusca,
ristorantino forte di un orto che è un tripudio di
frutta e verdura, impiantato con terra fresca nel
cuore di Milano, proprio sopra una fonte di acqua
sorgiva. Un’oasi nel deserto di smog e grattacieli,
dove l’ortaggio passa direttamente dalla pianta alla
casseruola senza subire l’oltraggio del frigorifero.
Emblema del suo naturalismo una tarte tatin con
la pasta brisée a base di Parmigiano anziché
zucchero e una guarnizione di barbabietole,
zucca, cipolle e topinambur, opportunamente
caramellata e rovesciata. Più una crema di rafano e
yogurt greco in finitura per mitigare la dolcezza.
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Secondo giorno
Il secondo giorno di Identità Goilose
si apre con il duo Carlo Cracco
- Matteo Baronetto sul palco/
cucina all’auditorium principale:
la classica michetta imbottita viene
reinterpretata facendo gonfiare nel
microonde un panetto di seitan home made, se ne
ottiene una sfera leggera, croccante e vuota all’interno,
da riempire con fettine di lingua di vitello bollita,
soncino, fiori di piselli per la nota erbacea che ricordi
il bagnet verd alla piemontese (e si aggiunge anche
qualche cappero
salato…),
fiori di anice
per i sentori
di eucalipto, pasta
di nocciole. La Milano
sbagliata, che fa il verso al noto
cocktail e ancor più parodia la
cotolette riscaldate di troppe trattorie
alla buona, con la crosta che ormai si stacca e la carne
troppo cotta, viene ribalta dai due chef: il rettangolo di
fesa di fassone è cruda e si sovrappone a un’impanatura
separata, ottenuta bagnando carta da forno nell’uovo,
passando il tutto nel pan carré sbriciolato e poi
friggendo, una grattuggiata di scorza di limone a
concludere il piatto. Matteo Baronetto ripesca dal
proprio know howprofessionale una materia “antica”
come il salmone, lo marina (sale, zucchero, pepe nero
e aneto), sostituisce il banale ricciolo di burro col foie
gras per dare grassezza con più eleganza e aggiunge in
Carlo Cracco e Matteo Baronetto, Paolo Lopriore, Italo Bassi e Riccardo Monco, Enrico e Roberto Cerea, Massimo Bottura, Aurora Mazzucchelli, Viviana Varese, Antonia Klugmann, Davide Scabin, Claudio Sadler, Niko Romito, Gennaro Esposito, Iside De Cesare, Cristina Bowerman, Marianna Vitale
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“Non è nulla di ciò che sembra”. È con piglio
dadaista che Paolo Lopriore ha voluto declinare
la sua contemporaneità culinaria.
Il tema “Oltre il mercato”, innanzitutto. Che può
significare non fermarsi davanti al prodotto, per
quanto eccellente. Molti lo giudicano il cuoco
più coraggioso d’Italia, lui con i capelli arruffati,
la fronte sudata e il grembiule schizzato come
un Pollock. A vederlo aggirarsi per i viottoli pii
della Certosa di Maggiano, si immagina subito
conclusione croccantezza e profumi di sottobosco
con il tartufo nero spezzato grossolanamente tra le
dita. A finire la cucina del carbone: Cracco ha trovato
in Francia un raro produttore di «buon carbone»,
ottenuto “come una volta”, selezionando i legni e
bruciandoli in una gran catasta. Il prodotto non ha
residui sgradevoli o dannosi per la salute e consente
allo chef di portare direttamente a tavola l’effetto-
cottura. Il carbone, reso incandescente e aromatizzato
con semi di cumino, cuoce così di fronte al
commensale tanti spiedini di piccoli gamberi di Santa
Margherita; a parte, una salsa con alghe e colatura
di alici (per dare sapidità), miele, yoghurt per la nota
acida, germogli di coriandolo per quella erbacea-
aromatica nel quale intingere i deliziosi bocconcini di
crostaceo.
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Identità Golose 2012
una vocazione un po’ mistica: arte, sregolatezza, il
demone dell’avanguardia... Nato a Como nel 1973
da una famiglia popolare, con mamma Rosa cuoca
dilettante a trasmettergli un imprinting decisivo,
dopo l’alberghiero Paolo è subito incappato nel suo
incontro karmico: in via Bonvesin de la Riva, al primo
stage, c’era Gualtiero Marchesi in agguato. Lacrime
e sangue, certo, ma anche il rito emozionante di
un’iniziazione, quel contagio che lo ha portato dritto
dritto nel gotha della cucina internazionale. A Milano
si ferma dal ’90 al ’92; seguono il servizio militare e
un intermezzo fugace all’Enoteca Pinchiorri, prima di
raggiungere il maestro dal ’93 al ’95 nel nuovo retiro
di Erbusco. Non mancano le tappe francesi, la prima
da Ledoyen e poi da Troisgros con Michel Porthos, nel
densissimo biennio ’95-’97. Si apre quindi il capitolo
boreale: fino al 1999 Paolo si ferma alla Bagatelle di
Oslo in quello che definisce il suo periodo più bello
(«le notti bianche erano una festa per noi cuochi; all’uscita
dal ristorante andavamo in discoteca e nei parchi»). La strada
è ormai spianata per una cucina originale, curiosa
dei boatos che cominciano ad arrivare dalla Spagna,
pervicacemente italiana nel patrimonio citazionale e
nell’orizzonte gustativo, ludica e naïf sopra un sostrato
complesso. Non potrebbe trovare scenario migliore
di una rentrée all’Albereta, dove in felice diarchia con
Enrico Crippa viene messo a punto il Menu Oggi,
terreno di dialogo con il Maestro di sempre.
Dal 2002 Paolo è chef della Certosa di Maggiano,
dove anno dopo anno sguinzaglia una cucina
aggressiva e senza fronzoli; la tecnica vi cede il passo
all’espressività, dissodando un gusto vergine, al di là
della “bontà” costituita. Ricerche in cui lo affianca
Anna Claudia Grossi, entusiasta padrona di casa.
Tanto disarmante quanto aggressivo il primo piatto:
un brodo istantaneo di carote (“perché sto cercando
sempre più una cucina espressa, quasi casalinga”).
L’ingrediente unico sono i semi di carota, rivitalizzati
per un giorno nell’acqua e passati al mixer. Questo
concentrato rappresenta la base del brodo, ottenuto
con il contagocce in un bicchiere di acqua calda.
Mentre l’“elemento di garanzia”, riconoscibile e anche
un po’ ruffiano, è la cozza fritta, aperta a vapore e
“accelerata” con un sospetto di lattuga di mare.
Secondo piatto: Bygdøy alle tre, in ricordo della via di
Oslo dove ha sede die Bagatelle, ristorante topico della
storia di Paolo. Nelle intenzioni dell’autore, l’analisi
di un sapore popolare, “perché la creatività è innanzitutto
un lavoro quotidiano”. Ecco allora sparpagliati sul piatto
con la mobilità cangiante di un’immagine mentale
la mucillagine naturale di semi di crescione,
l’evocazione del salmone delle feste,
macchie di aneto centrifugato e yogurt
per la parte grassa, uno straniante fiore di
limone per la nostalgia mediterranea, una
grattata di zucchero affumicato in zolletta,
l’acqua di mare a base di alghe in granita e
l’aringa nelle sue parti più leggere, le uova.
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Fare i grandi numeri in cucina significa solitamente garantire
centinaia e centinaia di coperti; a Identità Milano, che stravolge come
sempre il già noto, il concetto si declina invece in modo assai diverso.
Ossia: quattro cuochi, due ristoranti, 6 stelle Michelin e una lezione dal titolo:
“La massima espressione del pensiero conviviale in Italia”.
La mezza dozzina di stars da Guida Rossa sono quelle, tutte made in Italy, della
fiorentina Enoteca Pinchiorri e di Da Vittorio, nella bergamasca Brusaporto.
Quattro cervelli e otto mani, quindi, per spiegare alla platea il segreto del
duplice successo: sul palco sono Italo Bassi e Riccardo Monco, ormai da
anni primi chef del ristorante di Annie Féolde e Giorgio Pinchiorri, e i fratelli
Enrico “Chicco” e Roberto “Bobo” Cerea per il pari grado lombardo.
Italo Bassi e Riccardo Monco hanno proposto oppio raviolo farcito con
maialino di Mora romagnola e burrata di Andria.
I fratelli invece hanno cucinato un Piccione viaggiatore svolazzante dalle
Americhe all’Asia, con sosta obbligatoria nel Vecchio Continente.
Sul piatto rettangolare, una pellicola film riproduce il suo tragitto in tre tappe
e altrettante cotture: è simil-yankee l’hamburger di fegatini e interiora del
volatile, servito nel classico panino al latte con acetosella e una salsa mou di
foie gras; èa la européenne il petto nappato al fegato grasso (francese), cotto
sottovuoto, poi spadellato con un fondo cottura corretto al Porto (portoghese)
e infine servito abbinato a un pacchero (italiano) farcito di tartufo, panna e
patate; l’esausto uccello finisce la propria succulenta corsa in Asia: la coscia
viene cotta sottovuoto con salsa di soia e zenzero, poi glassata con aceto
balsamico, ketchup, aglio e zenzero, infine impiattata con miso, cerfoglio,
cipolline e coriandolo.
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Salito sul palco per raccogliere il premio per il piatto
dell’anno l’intervento di Massimo Bottura è una
dichiarazione di intenti precisa: tutto cambia perché
tutto rimanga uguale. “Io sono coinvolto in prima
persona, è bello vedere dall’interno una mente che ragiona
e come ragiona…. Un paese senza visione di futuro muore
lentamente…”. In poco piu di mezz’ora Bottura
ripercorre la storia della Francescana attraverso i
suoi piatti migliori: Spuma di mortadella e gnocco
croccante, Compressione di pasta e fagioli, il bollito
non bollito, il croccantino di foie gras. Per finire con
quello che sarà il suo futuro: l’impegno in una scuola
di Agraria nel modenese, occuparsi di giovani e creare
un link tra contadini e cuochi.
“Solitamente si dice che non ci sono donne sul palco dei
congressi, ed è una cosa che mi fa arrabbiare - così Paolo
Marchi apre in Sala Blu Identità Donna - perché a
guardar bene, negli ultimi dieci anni, sta venendo fuori una
generazione di donne chef nel senso francese del termine, cioè
capo, quello che comanda e ragiona con la propria testa, decide
i ruoli, fa la spesa, compone il menù, detta l’immagine del
ristorante. E riesce anche a fare dei figli. Bisogna dimenticare
il sesso e guardare solo a cosa c’è nel piatto”.
Ad aprire Identità Donna Aurora Mazzucchelli
del Ristorante Marconi di Sasso Marconi, miglior chef
emergente donna secondo la guida IG 2012. “Cucinare
mi ha dato libertà. È la libertà di comunicare la tradizione
della mia terra - ha esordito Aurora Mazzucchelli - le
mie esperienze di vita, il carattere forte che mi distingue”.
Corpo esile e capelli rossi a contrasto con la grande
È bello vedere dall’interno una mente che ragiona
e come ragiona... Un paese senza visione
di futuro muore lentamente...
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montatura nera e bianca degli occhiali, la cuoca del
Ristorante Marconi di Sasso Marconi non perde
occasione per raccontarsi a Milano attraverso le ricette
i profumi dell’Appennino. La sua è una storia di
famiglia dedita alla ristorazione, anzi alla cucina con
papà classico chef che lei vede come un idolo a cui
ispirarsi tra pentole e fornelli e la mamma che si divide
fra famiglia e cucina. Al ristorante Marconi, sulla prima
zona collinare dell’Appennino bolognese, nell’83
quando è stato aperto, si faceva prevalentemente una
cucina di pesce. Col fratello Massimo appena cresciuta
affianca i genitori dedicandosi alla sala con qualche
incursione in cucina soprattutto. Alla fine degli anni
’90 e l’inizio del nuovo secolo, con il fratello Massimo
con cui condivide idee e progetti nuovi, decide
di trasformare il classico locale di famiglia, in un
ristorante con cucina d’autore contemporanea.
La loro è stata una rivoluzione dosata, pacata, che ha
saputo rispettare il passato e dare vita ad un nuovo
percorso senza traumi, arrivando a conquistare vecchi
e nuovi clienti con una proposta nuova, (per lo storico
locale), moderna ed emozionante. Oggi il pesce, al
ristorante Marconi rimodellato negli ambienti alla
cucina attuale, in carta si trova sempre: fresco, leggero,
di giornata. Anche se il principale riferimento della
cucina di Aurora, oltre la freschezza, è il territorio.
Con l’utilizzo sapiente di erbe, di verdure, di funghi,
di selvaggina, di frutti, freschi e secchi, che popolano
le sue colline. Le ricette di Aurora mantengono
l’integrità dei prodotti così da far esprimere il loro
vero carattere: “Quando penso il piatto dapprima mi
entra nella pancia, quindi passa nella gola, infine nella
testa. Spesso racchiudo gli ingredienti all’interno, quasi a
volerli proteggere”, dice Aurora. Il suo è un rapporto di
intimità con gli alimenti. Da donna che ama, dona
e nutre. A parlare di ciò sono i suoi piatti. Come il
Risotto dai profumi del bosco insaporito da una crema
di mallo di noci lasciata riposare sotto spirito, una
polvere di funghi essiccati (porcini, finferli e spugnole)
Negli ultimi anni, è cresciuta una generazione di donne chef nel senso francese del termine, cioè capo, quello che comanda e ragiona con la propria testa, decide i ruoli, fa la spesa, compone il menù, detta l’immagine del ristorante
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- ha continuato. La sua è una cucina rassicurante con
radici nella tradizione delle origini e amore per i
prodotti della sua Campania.
Così quando è arrivata al Nord ha portato anche con
sé gusto e sapori della sua terra.
Sull’onda della memoria ecco la ricetta che la madre
le proponeva sempre a casa: pasta e patate con
estrazione di basilico, pecorino romano e totanetti,
aggiunti alla fine con una scottatura lampo, per far
sentire il tocco iodato del mare.
e scaglie di marroni (a proteggere). “Il territorio non
deve essere una chiusura - ha detto Aurora durante la sua
performance - occorre valorizzarlo mantenendosi ricettivi,
senza fossilizzarsi sul binomio territorio/tradizione”.
“Il potenziale creativo è alla portata di tutti. L’importante è
attingere dal proprio vissuto, conoscere innanzitutto se stessi e
avere il coraggio delle proprie idee”.
Così Viviana Varese la chef del Ristorante Alice a
Milano ha esordito sul palco dedicato alla cucina delle
donne. Con il più classico calore partenopeo, senza
paura degli stereotipi: “Mi scuso se non faccio julienne e
tutte quelle cose francesi, io le verdure le taglio da mamma”
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sul ristorante alle porte di
Udine: Antonia si trasferisce
per alcuni mesi al Ridotto
di Venezia, ma il suo futuro
sarà all’Argine di Vencò di
Dolegna del Collio, a ridosso
del confine con la Slovenia.
Velista appassionata e in barca
come in cucina sente forte il
concetto di territorio “in movimento”, non un luogo
definito e chiuso, ma come il mare una realtà fluida
definita a partire da chi lo vive. Da questo concetto
nasce una cucina che parte dall’ingrediente e la sua
conoscenza, indispensabile perché per il cuoco si
inneschi il processo creativo. “Non attingo solo dalla
memoria per creare un piatto, è un atto nostalgico, una ricerca
di conforto... La cuoca femmina ha sempre dovuto cucinare
per ‘dare da mangiare’, io invece voglio cucinare per creare
qualcosa per me, si tratta di un atto egocentrico”.
E i piatti che presenta riassumono questi concetti: con
il primo non c’è ricerca di creatività, si tratta di un
racconto di un percorso vegetariano. Viene ricreato
l’albume del’uovo con del latte solidificato con
dell’ agar xantana e unito a una purea di cavolfiore.
Il tuorlo viene avvolto in questa crema e l’apparente
semplice piatto è completato con fettine di cavolfiore
passate in padella per dare una piacevole nota arrostita.
Dall’osservazione della carne nasce invece la seconda
Per Antonia
Klugmann friulana doc,
la cucina è sempre stata
la sua passione. Così forte
che, mentre era iscritta
all’Università di Milano,
dove frequentava la facoltà
di Giurisprudenza e aver
superato un discreto numero
di esami, decide di lasciare gli studi e di diventare
chef. Frequenta corsi di cucina generale e pasticceria
della scuola Altopalato, intraprende un periodo di
apprendistato che per 4 lunghi anni la vede ai fornelli
dell’Harry’s Grill di Trieste, sotto la guida dello chef
Raffaello Mazzolini, e poi ancora altri e vari stage in
diversi ristoranti italiani. L’esperienza si interrompe a
causa di un incidente automobilistico che la costringe
a rimanere ferma per lungo tempo, praticamente
un anno. Sempre più entusiasta più dell’universo
della gastronoma, nel 2006 decide di aprire, insieme
al compagno Romano De Feo, l’Antico Foledor
Conte Lovaria a Pavia di Udine. Sono fondamentali
la stagionalità e l’elemento vegetale, due elementi
costanti nelle sue creazioni. Antonia comincia anche a
partecipare a varie manifestazioni: nel 2009 arriva in
finale come Miglior chef emergente del Nord Italia,
vince il torneo esordienti 2009-2010 della Prova
del Cuoco. Il 30 settembre 2011 è calato il sipario
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“Quando ho iniziato a fare il cuoco avevamo
davanti i francesi. Poi dal nulla sono arrivati
gli spagnoli e ci hanno sorpassati. Ora ci sono
i paesi del nord Europa e presto arriverà la
cucina del Perù. Io mi sono stancato di stare
sempre dietro. Ma fino a quando staremo qui
a dirci quanto siamo bravi a fare dei piatti
elaborati, parlando tra cento chef e qualche
critico o gourmet, la nostra cucina non ha
futuro. Dobbiamo riprendere in mano le nostre
tradizioni e diventare portavoce della vera
cucina italiana. Dobbiamo andare tra la gente,
altrimenti resteremo sempre indietro”.
Ha esordito così Davide Scabin nel suo
intervento dal titolo “Oltre il mercato
c’è la testa dello chef”, con cui ha voluto
riportare sotto la lente di ingrandimento
la personalità creativa degli chef, con il suo
corredo progettuale e riflessivo.
ricetta Le polpette di bollito, la purea di pomodoro secco e la cicoria. Come arrivare a preservare l’umidità di un
bollito in una polpetta? Sono i dettagli che fanno la differenza: all’interno c’è collo, guancia e cappello del prete, il
brodo è fatto di ossa di ginocchia così che il collagene l’ha reso denso.
Il piatto raggiunge l’equilibrio con un letto amarognolo di cicoria e foglie di papavero, un tocco dolce di arancio
candito. Piatti delicati e decisi di una cuoca che concilia sfida, prodotto e intelligenza. Una cucina di ricerca costante
di nuovi accostamenti e sensazioni e non di una rivisitazione della tradizione.
Fino a quando staremo qui a dirci quanto siamo bravi a fare dei piatti elaborati, parlando tra cento chef e qualche critico o gourmet, la nostra cucina non ha futuro
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Claudio Sadler, fa della ricerca della tradizione l’essenza profonda
del proprio lavoro: “il mio obiettivo è quello di dare senso di naturalezza al
piatto” - ha detto dal palco di Identità 2012 che ha condiviso con la
sua collega Newyorchese Missy Robbins con cui vanta collaborazioni
passate.
Il Sadler pensiero è stato amplificato da un piatto della memoria,
rivisitato, come Astice e carciofi: chele d’astice appena scottate in tartare
su emulsione di rucola, olio e mandorle; di nuovo astice (la coda)
fritto nell’olio a 63° e poi sormontato di una maionese al dragoncello
sifonata e da petali di carciofo croccanti; infine la stessa verdura, ma
cotta sottovuota coi profumi di aglio e maggiorana, 90° per 20 minuti.
Liquirizia, dragoncello, salicornia e pepe a aromatizzare il tutto.
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Ancor prima che arrivasse a Identità Golose, di Niko
Romito parlavano sul web una serie di foto quasi
surreali che lo ritraevano mentre percorreva a cavallo,
con in mano due padelle di Alluminio a mantecare
Baldassare Agnelli, un paesaggio da fiaba pieno di neve.
Costretto dalla forte nevicata di quei giorni infatti
il cavallo è stato l’unico mezzo su cui Niko dal suo
locale ha potuto raggiungere una strada percorribile
dai classici mezzi per poi arrivare a Milano...
Il bistellato Michelin che lo scorso agosto ha aperto il
suo Ristorante Reale all’interno della nuova struttura
Casadonna a Castel di Sangro (un po’ scuola, un
po’ laboratorio, un po’ azienda agricola) è salito il
giorno dopo sul palco dell’auditorium principale,
La cucina è un gioco di equilibri, in cui si combinano i vari elementi per vedere come reagiscono
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con l’immagine di lui a cavallo sulla neve con i
“ferri del mestiere in mano” stampata nella testa dei
più oltre che con la solita timidezza che lo distingue.
Il suo è stato un intervento intriso di equilibrio tra
scienza, arte, tecnica e spettacolo coadiuvato da un
video di Elisia Menduni dove la musica e le immagini
che scorrevano sul grande schermo emozionavano
per ritmo ed eleganza…. Come le sue parole a tratti
scandite con la voce soffocata dall’emozione, ma
chiare e precise nel spiegare tutti gli elementi che
guidano alla progettazione e alla percezione di un suo
piatto. “La cucina è un gioco di equilibri, in cui combiniamo
gli elementi per vedere come reagiscono” ha spiegato Niko
Romito e, aiutato dal capolavoro video, la gente ha
potuto assistitere al suo “Reale percorso”. Immagini,
parole, musica, man mano che scorrevano in platea
andavano in crescendo come le emozioni. Lavagna
alla mano, Niko Romito ha tracciato la mappa delle
nostre sensazioni di fronte ad una pietanza: in ordine,
la vista, poi l’olfatto e infine il gusto. I primi due sono
stimolati dall’esterno, ovvero dagli ingredienti utilizzati
nella ricetta, mentre il sapore parte da dentro. La
capacità di ognuno di considerare i sapori è veicolata
dall’incrocio tra tratti ereditari e setting socio-
culturale, così la percezione dell’acido e dell’amaro
ha una base genetica e quella del dolce e del salato
risente dell’abitudine… La cucina è un gioco di
equilibri, in cui combiniamo gli elementi per vedere
come reagiscono” spiega Niko, dove la consistenza e la
tessitura conservano un livello di interpretazione che
si sprigiona e si rende accessibile all’olfatto attraverso
il tatto e l’udito, per esempio affondando una posata
nella pietanza o spezzando il cibo con le mani.
La temperatura è scienza, è chimica: più è elevata,
maggiori sono le sostanze volatili.
Elementi questi, che caratterizzano
i suoi ravioli ripieni di capocollo e
prosciutto glassato all’orzo: la carne
è cotta per dodici ore a 70°C, il
prosciutto tagliato al coltello prima è
immerso nell’acqua fredda, poi cotto
e filtrato, lasciando la sua acqua a
raffreddare nel sale; il tortello, fuori
glassato con l’infuso d’orzo, spaccato
con la forchetta rivela la doppia anima,
calda del capocollo e fredda del disco
di acqua di prosciutto gelata. Dolcezza,
sapidità, amaro, calore controllato che
si trovano anche nel suo dolce dove
la meringa nella meringa con caramello e lampone,
è leggermente affumicata in fase di montaggio per
saturarne gli alveoli, alla maniera di un gelato. “Il cuoco
e il pasticcere hanno idee diverse di dolce: al ristorante, dopo
un pasto, si cerca la freschezza e la leggerezza, un dolce che
non sia troppo dolce e che non invada il piatto”.
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Spesso per chi fa il mio mestiere la maggiore diffi coltà è tradurre con le parole giuste una sensazione, un pensiero o una semplice percezione
Dopo Niko Romito all’auditorium principale è la volta di
Gennarino Nazionale alias Gennaro Esposito del Ristorante
Torre del Saracino di Vico Equense.
Che attacca subito con quel suo modo tutto partenopeo
fatto di sguardi e gesti un discorso raffinato e sottile sulla
differenza tra Ingrediente (ingredior) e Sostanza (substantia).
“Avrei voluto essere giapponese”, esclama ironicamente Gennaro
Esposito raccontando come, a New York anni fa, durante la
sua ricerca di materie prime italiane, si imbatté in un grande
supermercato colmo di ogni ben di Dio del sol levante:
freschi, buoni, come fossero nati lì…. Ed ecco il suo pensiero,
stampato su un flyer e consegnato a tutti i partecipanti in sala:
“Spesso per chi fa il mio mestiere la maggiore difficoltà è tradurre
con le parole giuste una sensazione, un pensiero o una semplice
percezione. In questo caso l’idea dominante è che non tutto quello
che si trova in un piatto possa avere la stessa valenza. Qualcuno
potrebbe dire “bella scoperta !” e, probabilmente, non avrebbe
torto, ma il concetto è che ci sono cose che superano il
significato di ingrediente, cose che ridurre a semplice parte
di un tutto sarebbe sbagliato o frainteso. La soluzione per
rendere comprensibile in un linguaggio corretto il pensiero
cui ho accennato si è concretizzata nel modo più semplice: la
definizione delle parole Sostanza e Ingrediente è di per se la
giusta spiegazione. Dal latino Ingredior, ingrediente è quello
che c’è dentro una materia, ma delle parti, in pratica, che la
compongono. Dal latino Substantia, la sostanza è quello che
c’è sottostante ad una materia, anche oltre la parte sensibile
della materia stessa. Trasferito il concetto nel nostro mondo,
l’ingrediente è rinnovabile, interscambiabile, vive la sua vita a
portata dei nostri sensi, la sostanza è, invece,
protagonista, porta con
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se il bagaglio pesante e allo stesso tempo inevitabile
della storia di un territorio, della cultura, delle mani
e delle vicende di chi l’ha prodotta, ed, in ultimo,
anche di noi, artigiani trasformatori ed inventori
della materia. Gli esempi sono un gioco di cui non
vorrei privarvi, il contradditorio è obbligatorio. “In
pratica - dice Gennarino - bisogna mettere un po’ d’ordine
nei concetti di ingredienti e sostanze. La sostanza diventa
uno dei fattori più importanti
di riconoscibilità di un piatto e
la cucina italiana e una cucina
fatta di sostanza.” Gennarino
afferma la sua cucina di
territorio sostenendo che
bisogna ridisegnare la cucina
italiana con le sostanze
tipiche del posto. “Trasferito
il tutto nel nostro mondo -
spiega Esposito - l’ingrediente
è rinnovabile, interscambiabile,
vive la sua vita a portata dei
nostri sensi; la sostanza è invece
protagonista, porta con sé il
bagaglio pesante e allo stesso tempo inevitabile della storia
di un territorio, della cultura, delle mani, delle vicende di
chi l’ha prodotta”. E dello chef che la lavora. Le sostanze
sono ovunque, ma l’Italia ne è particolarmente ricca. Anzi:
sono la specificità nostrana in cucina: “Quando andavo ai
congressi in Spagna, dieci anni fa, l’ordine di importanza
era: chef, tecnica, prodotto. Ora anche loro stanno cambiando
priorità…”. A maggior ragione dovremmo farlo noi:
bisogna cercare maggiore autenticità, “l’approccio alla
cucina di noi protagonisti italiani non è abbastanza rigoroso,
spesso non pretendiamo che i nostri prodotti ci seguano.
Ci accontentiamo degli ingredienti e non, appunto, delle
sostanze”. Le tecniche possono viaggiare, le singole
sapienze anche, è ancora
l’anima dei prodotti a fare un
po’ di fatica. E giù quindi di
cucina “sostanziale”) firmata
Gennaro Esposito: quaglia
cotta (59° per 24 ore) in
burro di siero aromatizzato
al finocchietto marino, poi
rosolata e impiattata con
bietola selvatica appena saltata
e pesto con colatura di alici;
baccalà (morbidezza e umore;
la pelle croccante e agrodolce
perché spennellata di brodo di
carpione alla melassa di fichi)
su zuppetta di cipollotto, mela annurca e centrifugato
di finocchi (cremosità). Infine nell’insalata di ‘o pere e
‘o musso, ossia piedini e musetto di vitello: cipollotto e
sedano, centrifugato di sedano, gelatina di limone, sale
all’acciuga, marron glacé di castagne di Montella.
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Iside De Cesare, titolare e
chef insieme al marito Romano
Gordini del Ristorante “La
Parolina” di Trevinano di
Acquapendente, nell’alto viterbese,
ha ottenuto recentemente notevoli
riconoscimenti da parte della critica gastronomica
comprese una stella Michelin e “Miglore chef donna”
durante la scorsa edizione della manifestazione
milanese di “Identità Golose”. Nata a Roma nel
1973, Iside De Caesare abbandona ingegneria per
abbracciare il mondo della cucina facendo esperienza
dai grandi della ristorazione capitolina: Agata e
Romeo, Heinz Beck della Pergola ai Cavalieri Hilton,
Salvatore Tassa de’ Le Colline Ciociare di Acuto...
Alla Frasca di Castrocaro Terme, dove approda come
chef pasticciera, conosce Romano Goridni, reduce
da esperienze nelle cucine di Gualtiero Marchesi a
Erbusco, il Rigoletto a Reggilo e anche in Svizzera.
Cupido fra breccia fra i due tanto da farli decidere di
mettere su in quel di Trevinano, un nuovo locale, La
Parolina. Un piccolo ameno ristorante di campagna
in un minuscolo borgo tra Umbria, Lazio e Toscana
non proprio a portata di mano. All’inizio infatti per
i due è stata dura far arrivare fin lassù gente che non
passa di certo per caso. Ma li ha sorretti l’amore.
Quello romantico e quello per la cucina, ma anche
molta tenacia. Nessuna scorciatoia. Anzi, per rendersi
la vita un po’ meno impegnata
fanno anche due figli: prima
Azzurra e poi Giacomo. Così la
filosofia culinaria della coppia si
rafforza di pari passo con lo stato di
famiglia. In questo luogo intimo e
raccolto, semplice ma raffinato, con sei tavoli in tutto,
alla Parolina, Iside De Cesare interpreta uno stile di
cucina solido e collaudato con i migliori prodotti del
territorio, presentati attraverso abbinamenti ricercati.
Nella lezione di Identità Golose 2012 in Sala Blu,
ha dato sfogo alla forza delle sue idee: semplici ma
tremendamente efficaci, ed ha prodotto due piatti
giocati sul filo della memoria. Quella personale e
privata, legata ai ricordi materni e a un ingrediente
ancestrale. Tutto gira intorno all’uovo. Perché è un
ingrediente che Iside ama, primordiale e versatile, con
cui inventare interpretazioni meno ortodosse di icone
della tradizione. Iside nasce pasticcera, e si vede. Dalla
padronanza della tecnica, dalla precisione con cui dal
palco sciorina la sua personale grammatica: dosi esatte
al milligrammo, tempi di cottura, manualità e “trucchi”
da adottare per l’alchimia perfetta. Ed ecco i piatti:
l’uovo alla carbonara, un uovo spumoso dal tuorlo
croccante con crema di pecorino, guanciale croccante,
sbrisolona di pecorino e pepe nero. Dove la pasta
diventa un accessorio indispensabile: si guarnisce
il piatto con una sbrisolona lavorata a mano con il
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Step-line s.r.l. - Via Archimede, 21/A - S. Martino Buon Albergo - Verona - Tel. 045 99 49 35 - Fax 045 97 86 902 - [email protected]
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personale manuale di cucina. Il
Driskill Grill, cinque stelle per
danarosi gourmet, la prende
con sé.
È l’imprinting fondamentale
- pulizia e concentrazione dei
sapori - di scuola “kelleriana”.
L’anno dopo Cristina è già alla
volta di Roma. Al Convivio
di Angelo Troiani scopre che
vuol dire qualità delle materie
prime e nel 2005 varca la
porta di Glass Hostaria, nuovo
locale che sta a Trastevere
quanto la polenta taragna sta a Siracusa: la vita
(gastronomica) del quartiere e quella (sentimentale)
di Fabio Spada, patron del ristorante, non saranno
più le stesse. La partenza è faticosa. Poi il pubblico
inizia ad arrivare e la sua cucina trova la quadratura
del cerchio: netta ma morbida, provocatoria ma con
testa, riconoscibile, sincretica, gustosissima. Arriva
pure la consacrazione: stella Michelin e la trasferta
americana di Identità Golose a New York. Ma Cristina
la “cuoca secchiona” continua a studiare e a leggere,
a insegnare, a sperimentare,
a incuriosirsi. “Non voglio
essere statica, mi piace evolvere
senza perdere il divertimento e la
creatività”. A Identità Milano
2012 mette in pista tutto il
suo carisma salendo sul palco
dedicato alla sezione Donne in
Cucina, concentrandosi solo
sulla sua idea di cucina, in cui
non c’è spazio per stereotipi
mattarello da un impasto di tuorli,
farina, burro e pecorino. Il secondo
piatto è un dessert, giocoforza, perché
il richiamo dolce, per Iside, non è mai
sopito: Sfogliatella riccia ripiena di
strudel con gelato di zuppa inglese.
“Ho voluto prendere la parte dolce
dell’Italia, il Nord dello strudel, il Sud della
sfogliatella napoletana, il Centro della zuppa
inglese, spogliarla della tradizione e unirla in
un unico dessert”, sottolinea la chef che
in prima persona vive in famiglia un
autentico puzzle culturale: lei romana
con madre milanese e padre calabrese,
il marito di Forlì da padre romagnolo e
mamma molisana. Dello strudel si usa
solo il ripieno, leggermente semplificato
e alleggerito ma arricchito con la
vaniglia, con cui farcire delle croccanti
sfogliatelle, e la zuppa inglese viene
presentata in versione gelato, con un
gusto di crema inglese predominante.E
per finire due dischetti, uno di pan di
spagna inzuppato nell’alchermes, uno di cioccolato
croccante.
A dispetto del nome Cristina Bowerman ha origini
pugliesi, di Cerignola, Foggia. E chef del Glass
Hostaria di Roma nascosto nel Vicolo del Cinque,
al di là del Tevere, a pochi passi da Santa Maria nel
quartiere più tradizionale della Roma popolare e
papalina.. Nel 1992, lasciata la Puglia con in tasca una
laurea in giurisprudenza, Cristina prepara crêpes e
cappuccini da Higher Ground, coffee
house di San Francisco, e nel frattempo
continua gli studi forensi. Il Dna
culinario però emerge prepotente. E
lei lo asseconda. Si trasferisce ad Austin
nel 1998 e nel 2003 colleziona un altro
pezzo di carta, stavolta quello giusto:
laurea in Culinary Arts. Disciplina
da accademia militare e perfetta
conoscenza delle basi sono le regole
ancora oggi impresse a fuoco nel suo
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sui ruoli sessuali ai fornelli. Le sue ricette sono un
manifesto laico di una collaborazione possibile (e alla
pari) tra scienza e cucina. L’obiettivo? Conoscere i
principi che dominano gli ingredienti per ottenerne
il massimo. Da qui nasce l’ossessione - di Cristina e
della sua brigata - di realizzare il purè “assoluto”, e
allo stesso modo arriva sul palco di Identità Donna il
primo dei due piatti: gnocchetti affumicati di patate,
guancette di baccalà, bagnacauda orientale, pomodori
confit e clorofilla di prezzemolo. Gelificazione e
retrogradazione degli ingredienti sono i principi alla
base di una tecnica di cottura che permette il minor
utilizzo possibile di farina o di grassi (nel caso del
purè). In altre parole: studio delle temperature per
ottimizzare il risultato. Poi
c’è l’omaggio alla cucina
orientale, con l’introduzione
del gusto umami nella
bagna cauda, tramite il
brodo dashi (fatto con alga
kombu e bonito). Nella
cucina senza confini di
Cristina si fa il giro del
mondo ma un fil rouge ideale
unisce Giappone e Langhe.
Così come non c’è distanza
tra il Dickson’s Farmstand di
New York e il Ghetto di
Roma grazie al pastrami, che
Cristina presenta con ciauscolo, giardiniera, arancia
essiccata e gelato di senape. La tecnica è mutuata
dall’America ed è capace di valorizzare ogni tipo
di carne, non solo il manzo: una sorta di salamoia,
per meglio dire“brine”, in cui il sale estrae i succhi
della carne per donare morbidezza e sapore. I semi
di mostarda della senape sono fermentati in casa, la
buccia d’arancia serve a donare solo il profumo e non
l’acidità.
Marianna Vitale ha passato da poco i 30 ed è chef
patron di Sud, insegna stellata di Quarto alle porte
di Napoli. Ma c’è voluto del tempo, però, perché
collegasse l’istinto della fanciullezza al desiderio adulto
d’esser cuoca. Da bimba osservava gente sedere di
continuo a tavola, in quel porto di mare che era la
casa di Napoli, a porta Capuana, con la stazione dei
pullman là dietro. “Avevo sempre fame, e di giocattoli ne
vedevo pochi”, ricorda. Allora provava gusto a scuotere
padelle e casseruole sull’esempio della nonna. E del
papà, cuoco di professione “che vent’anni fa preparava
pietanze attualissime”. Il tarlo della cucina sgranocchia
anche quando la missione ufficiale è lo studio. Si
laurea in Letteratura spagnola e come primo impiego
illustra ai turisti stranieri ogni anfratto di San Gregorio
Armeno e Decumani in una lingua che i napoletani
trovano storicamente familiare. Proprio in quell’angolo
di piazza San Domenico, nel 2008 si materializza la
svolta: la chiama a fare esperienza per un anno, ai
fornelli di Palazzo Petrucci,
da Lino Scarallo, «un
gran lavoratore di profilo
basso, che si pone un
solo obiettivo: ristorare».
È da lui che apprende
i contorni della cucina
semplice e di territorio.
Che la sua ambizione
spinge presto a trasferire
in un progetto tutto suo.
Anzi, tutto loro perché
Io vivo un rapporto libero con la cucina, è una relazione in cui si perde il confi ne tra il dare e l’avere, perché il vero piacere è sempre condiviso
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due tra chef e clienti. Un rapporto che può creare
dipendenza e diventare totalitario.
Per raccontare questo percorso intimo, Marianna ha
scelto il calamaro, un ingrediente della quotidianità
gastronomica partenopea, ma anche una materia
dai sapori cangianti, soprattutto quando si sceglie di
utilizzare le sue interiora, che a seconda delle singole
parti e dell’età dell’animale può regalare note dolci,
salmastre o amare. Quando è in amore, il calamaro
può avere anche 3 cuori. Nel racconto suggestivo di
Marianna - accompagnata sul palco da tutte le ragazze
della sua cucina - diventa un simbolo di un triangolo
culinario-amoroso ma soprattutto l’ingrediente
perfetto, unicamente con il suo “quinto quarto”
celato, per condire le linguine. Un piatto essenziale e
suadente: solo una nota verde (polvere di piselli) e una
viola (fiori essiccati) spezza lo spartito nero profondo
di questo mare-amaro.
nel frattempo sposa Pino Esposito, sommelier
gentile di casa a Quarto. È qui, nel cuore
difficile dei Campi Flegrei, che nel maggio
2009 aprono insieme il ristorante Sud tra i
venti di zolfo di Pozzuoli e lo scetticismo
generale: «Sapevo che la strada sarebbe stata
dura ma non sapevo per quanto». Meno
del previsto: a novembre 2011 arriva la
stella Michelin.Il riconoscimento, “del tutto
inaspettato”, arriva in realtà al culmine di
un tamtam costante che durava da due anni:
c’è chi scende da Milano o sale da Reggio Calabria
in giornata solo per provare la cucina colorata
di questa ragazza, che armeggia quinti quarti e
ingredienti poveri con regalità popolana. La sala Blu
di Identità Golose 2012, al suo arrivo si fa buia, note
di Sakamoto al pianoforte, nero nel piatto: sceglie
la multisensorialità Marianna Vitale per svelare un
matrimonio segreto sul filo delle metafore. Come
definire altrimenti un lavoro - quello di chef - che
richiede la totale dedizione, molte rinunce e perfino
giudizi negativi da chi guarda dal di fuori? Perché
“È ancora proibito pensare a una donna che scelga
consapevolmente di dedicare anche dodici ore della giornata
alla sua brigata, che diventa una famiglia più di quella vera.
Io vivo un rapporto libero con la cucina, è una relazione
in cui si perde il confine tra il dare e l’avere, perché il vero
piacere è sempre condiviso”. La genesi del piatto, dunque,
non come gesto egoistico ma come atto erotico a
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Uffi cio Italia: F.S.G. ITALIA S.R.L .Via Roma, 37A - 42049 S.Ilario D’Enza (RE)
Tf: 0522-902051 - Fax: 0522-902017Indirizzo mail: [email protected] - Web: www.fsg-italia.it
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Terzo giorno
L’ultima giornata di Identità
Golose 2012 apre i battenti
con li chef del Trentino a
turno sul palco dell’auditorium
centrale. Di alcuni di loro
abbiamo già ampiamente
parlato circa un anno fa da queste stesse pagine che
avevamo dedicato al Trentino e quindi ad alcuni di essi
dedicheremo oggi meno spazio.
Come a Paolo Donei, chef del Ristorante Malga
Panna di Moena (Trento) ispirato dalla cucina
dolomitica e ladina con prodotti locali che raccontano
le stagioni dei boschi di montagna. Ha cucinato il
risotto affumicato a ricordare la tipica zuppa d’orzo: il
riso è tostato e poi affumicato con trucioli di faggio,
che dà un aroma dolce e lieve a ricordare quella delle
costine di maiale affumicate della zuppa, qui sostituite
da cubetti di pancia cotta a bassa temperatura e poi
Paolo Donei, Alessandro Gilmozzi, Alfi o Ghezzi Daniel Facen, Pino Cuttaia, Andrea Aprea, Rosanna Marziale, Igles Corelli, e Aldo Zivieri, Sergio Motta e Daniel Canzian
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resa croccante in padella. L’olio ottenuto dalle gemme
di pino mugo raccolte in primavera dà il colore e il
profumo di bosco, rafforzati dall’aria di latte in cui
sono state infuse a freddo le gemme, i germogli danno
freschezza a un piatto “semplice” e goloso. L’agnello
viene invece marinato e cotto sottovuoto a bassa
temperatura con il raro e miele di erica e fiori (erica,
calendula, viola, camomilla), poi passato in forno con
carbone vegetale di ciliegio a ricreare la cottura nel
fieno con la stufa a legna. L’ultima “ricetta” è una
patata del suo campo, da cuocere in acqua e sale,
tagliare e mangiare intiepidita con un po’ di burro
di malga, la sua interpretazione di “oltre il mercato”:
riscoprire il valore delle cose semplici, dei prodotti
della terra.
“Oltre il mercato”: riscoprire il valore delle cose semplici, dei prodotti della terra
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Anche di Alessandro Gilmozzi avevamo già parlato
sul numero de La Pentola d’Oro dedicata al Trentino.
Sul Palco di Identità Gilmozzi ha parlato di fauna
e flora della catena del Lagorai, la sua casa: il gallo
forcello, la lepre e il cervo, il loro ambiente.
E nella prima ricetta del cervo e della
lepre Alessandro riproduce nel piatto il sottobosco
di cui si nutrono d’autunno. L’uso della lingua del
cervo si discosta dalla tradizione abituata ai salmì
e gli spezzatini, viene salmistrata con i sapori del
terreno licheni, foglie di betulla, bacche di ginepro…
Ugualmente la lepre, profumata, ma cruda.
Il sottobosco è ricreato con un tortino di muschio
con pinoli e polvere di licheni e porcino, la terra è
dipinta con nocciole tostate selvatiche in granella
e cipolla tostata, le prime nevi sono radici di rapa e
crema di caprino e panna di malga. Pinoli di pino
Cembro, aghi di abete, germogli e olio balsamico
completano l’habitat in cui sono adagiati cervo e
lepre. Nel secondo piatto Alessandro ha interpretato
le sue montagne: il gallo forcello è nel piatto insieme
agli alimenti di cui questo si nutre a oltre 1500 metri
d’altezza dove si trovano soprattutto profumi. Fiori di
erica, mirtilli, ginepri con cui viene marinato il petto
poi ridotto in tartare, il resto del gallo è cotto in un
braciere in cui bruciano la stessa flora d’alta quota.
Nella composizione del piatto torna l’ambientazione:
il terreno con streusel al ginepro, gli arbusti con
fegatini in tempura e i fiori in gel concentrato e sulla
sommità essiccati.
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Alfio Ghezzi, chef di Locanda Margon di
Trento invece ha ricordato che il Trentino non è solo
boschi e montagne, ma anche acqua. Quella gelida e
incontaminata dei laghi alpini del bacino del Sarca che
nascono da ghiacciai che ha permesso la conservazione
di diverse specie animali. Tra queste il salmerino alpino
(Salverinus Alpinus).
Allo chef è venuta l’idea di lavorarlo “come un
maiale” cioè senza buttare via niente, dalle uova al
fegato. I filetti vengono lavorati in modo simile al
gravlax nordico (marinato con sale e zucchero per
estrarre acqua e dare consistenza al pesce crudo),
passati in orzo tostato e serviti con una crema di mele
e coriandolo dalle esplosive note fresche ed erbacee.
Il fegato viene trattato come fosse un fegato grasso
d’oca - di cui ricorda incredibilmente la burrosità e la
ricchezza - spurgato nel latte, marinato in sale, pepe,
zucchero, buccia di limone e Vino Santo del basso
Sarca. Poi cotto sottovuoto e servito con una crema
di carote e bacche di corniole ad esaltarne la dolcezza.
Le uova sono servite sopra e dentro una “salsa
olandese”, classico accompagnamento per i piatti
di pesce. Accanto, dell’amaranto sbriciolato
che ricorda la polenta e aggiunge una
consistenza croccante al piatto.
Ultimo ingrediente, sempre di
territorio, un formaggio caprino
dall’antica razza autoctona della
Bionda Nana del Brenta, che ricorda
la panna acida.
Il salmerino alpino bisogna lavorarlo come un maiale, senza buttare via niente
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Daniel Facen, 47 anni, è lo chef del ristorante
“Anteprima” di Chiuduno in provincia di Bergamo.
Trentino d’origine, della Val Tesina di De Gasperi, ma
bergamasco d’adozione, è in cucina fin dalla tenera
età, curioso e affascinato da quegli insoliti cappelli
bianchi e alti indossati dai cuochi che gli hanno
subito fatto pensare che quella sarebbe stata la sua
strada. Considera Marchesi il più grande chef non
solo d’Italia, ma del mondo. Di lui, dice, “se fosse stato
in un qualsiasi altro paese al mondo sarebbe stato elevato a
mito e onorato per ciò che fa: cosa che qui in Italia purtroppo
Avevo sempre fatto ricerca e quando è arrivata l’avanguardia è stato stupendo, perché sentivo un movimento intorno a me
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non accade”. Scuola classica all’alberghiero di Levico
Terme e poi tanta gavetta. “Negli anni ’80 - dice - era
difficile entrare in cucine importanti: per arrivare ad uno chef
importante dovevi soffrire, oggi è molto più facile mettere in
curriculum uno stage da un grande chef e forse questo non
è un bene”. Nonostante ciò la sua tenacia lo porta a
lavorare in quegli anni con dei cuochi a quel tempo
molto importanti, Zuccoli, Mei, Penati, Gallina…
“La cucina creativa mi ha preso un sacco a quel tempo e ho
cominciato a farla - mi dice - dopo pochi anni però mi ero
accordo che avevo dei limiti e allora sono tornato alla cucina
classica e a leggere dei libri di chimica alimentare: soprattutto
Il cibo e la cucina - Scienza e cultura degli alimenti” di
Harold McGee”. Quindi la svolta con l’incontro con
Penati ad Anversa che sdogana la sua creatività.
Daniel oggi è considerato, ma anche lui si considera,
uno degli divulgatori della cucina “molecolare”.
La sua è una tecnica gastronomica basata sulla
convinzione che la perfezione del gusto, in qualsiasi
piatto, si può raggiungere studiando la composizione
chimico-fisica degli alimenti. La chimica alimentare
è il suo pallino che continua ad approfondire con lo
studio e la ricerca. Esperimenta soprattutto e collauda
nella sua cucina-laboratorio, tra fornelli e microscopi,
pentole e provette, in bilico tra scienza e ristorazione
mutando lo stato degli alimenti e creando nuovi
piatti. Si può dire che la sua filosofia di cucina è spinta
verso l’alto tasso tecnologico. Nel 2006 approda a
l’Anteprima, ma il rapporto con la famiglia Tallarini
inizia nel 1998. “Avevo sempre fatto ricerca e quando è
arrivata l’avanguardia è stato stupendo, perché sentivo un
movimento intorno a me. Quindi ero sulla strada giusta per
tecnica di cottura, estrazione del gusto, visione della cucina
dentro un altro mondo”.
E nel 2009 arriva la prima stella Michelin.
Daniel sul palco di Identità Milano ha raccontato
la sua passione e le emozioni che sente. Innamorato
della tecnica non per modificare, ma per portare idee
e pensieri nei piatti è partito dalla cucina tradizionale
e vuole spingersi oltre da curioso sperimentatore e
acuto ricercatore: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto
si trasforma”. Il cuoco chimico Facen insegue i suoi
ricordi di ragazzo, il rumore del torrente, il profumo
del latte appena munto e li mette nel piatto.
Una sfera di latte, un’anguilla gratinata e la trota
salmistrata in acqua profumata.
Nella sfera si adagiano castagne, uova di trota
disidratate, rabarbaro e ricreano il fiume e il suo greto,
poi le verdure del bosco come funghi, carote, rapa
bianca, barbabietola, asparago bianco e finocchio e
infine i pesci. Altre suggestioni e ricordi quando gioca
con il re dei boschi trentini, il cervo.
La tecnica ne sconvolge gli equilibri, ma mai la
sostanza: il contenitore è il brodo, la polenta è in
cialda, la barbabietola è un pane, la parte vegetale
una riduzione di piselli, il rosmarino viene “brinato”,
l’olio è in polvere e la carne trionfa in una cottura
tradizionale al rosa, unica nota “trasgressiva”.
Gli ingredienti sono tutti del territorio, la tecnica è al
servizio di ingredienti sempre ottimi e poco trattati.
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Pino Cuttaia che rapisce la sala con un inno accorato
all’importanza della memoria in cucina e della
salvaguardia del grande artigianato italiano.
Sceglie un piatto che racchiude come in
una Madia tutti i gesti, gli strumenti e gli ingredienti
della sua grammatica siculo-italiana: cannolo di
melanzana in pasta croccante.
Il cannolo è fatto con un disco di melanzana, è
farcito con una crema di melanzana, fatta con ricotta
vaccina e soffritto di cipolla, ed è “sigillato” con una
melanzana perlina tagliata a metà.
Tutt’intorno un nido di capellini croccanti, prima cotti
con pistilli di zafferano e poi passati in forno, un sugo
di pomodoro e una spolverata di Ragusano.
Un inno accorato all’importanza
della memoria in cucina
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Il primo dei giovani relatore della giornata, Andrea Aprea del Vun di
Milano, aveva invece da subito posto un dubbio ontologico alla platea,
“Pasta non pasta”, questo il titolo della sua lezione e travolto ogni
certezza, in un perfetto gioco di mimetismi, facendo travestire da verdura
il popolare impasto tricolore, e viceversa, con due “piatti in maschera”
come Linguine cotte all’estratto di cavolo rosso, burrata, aringa affumicata,
pinoli e germogli di crescione e Cannellone di sfoglia di rapa, ricotta di
bufala, catalogna, scampi e i loro consommé.
Secondo under 30 Francesco
Sposito - classe 1983, carriera
in ascesa su solide basi che si
chiamano Alain Passard e Igles
Corelli - conterraneo di Aprea ma
rimasto in Campania, alla Taverna
Estiadi Brusciano (Na), ha
traslato il proprio dato biografico,
attualizzando piatti tradizionalissimi
come la Pasta e fagioli, che si
aricchisce di una salsina fatta solo
con le valvole delle cozze femmine:
dieci chili di cozze, 400 grammi di
salsa!
Tocco aristocratico finale: quenelle
di tartare di gamberi.
Gennaio, Febbraio, Marzo 2012
Identità Golose 2012
60
Rosanna Marziale è chef del ristorante di famiglia
Le Colonne a due passi del’imponente facciata della
Reggia vanvitelliana, vanto della città di Caserta
capitale della Mozzarella di Bufala Campana.
Giovane donna, puntigliosa, attenta, curiosa, esteta,
Rosanna Marziale porta con se queste virtù fondate
su un sistema culturale stabile che le arriva soprattutto
dagli affetti e dagli insegnamenti della sua famiglia.
Fin da ragazzina assimila infatti la cultura dei
sentimenti come quella dei sapori soprattutto nel
ristorante di famiglia, respirandoli a pieni polmoni tra
gli impegni di studio e il divertimento.
Le sue incursioni nella cucina de’
“Le Colonne”, risalgono quindi all’età infantile e si
fanno sempre più frequenti man mano che cresce e si
occupanda dei lavori: da quelli iniziali più umili fino
ai più importanti attuali. Rosanna Marziale dimostra
subito una certa dedizione verso la pasticceria,
baluardo del locale, anche se non le basta. Viaggia,
tanto, non si perde una manifestazione in cui la cucina è protagonista, partecipa a degustazioni, a seminari formativi
anche da barman , prende il diploma di Sommelier, ma soprattutto si innamora della cucina di amore vero. Nel ’98
si mette tra i fornelli del suo ristorante in punta di piedi, prima da osservatrice poi provando e sbagliando anche a
volte, a fianco dello chef Fabio Verruto, grande esperto che vanta esperienze di locali in cui, oltre il cibo che va nel
piatto, entrano in pista importanti meccanismi che ti permettono di far funzionare un locale: l’organizzazione, la
pulizia, la concentrazione, la gestione del personale. La sua formazione a fianco di Fabio Verruto la porta a diventare
disciplinata, rigorosa, attenta. E lo stesso lo pretende da chi le sta a fianco.
In cucina ci vuole massimo rispetto fra le parti coinvolte, è come entrare in sala operatoria, ci dev’essere la massima concentrazione su quello che si fa
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Identità Golose 2012
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“In cucina - mi dice - ci vuole massimo rispetto fra le parti
coinvolte, è come entrare in sala operatoria, ci dev’essere la
massima concentrazione su quello che si fa, nessuna radio,
nessuna televisione, pulizia massima: durante il lavoro, a me
e ai miei collaboratori piace quella sana componente di stress
positivo”. Primo stage da Vissani, il più formativo, poi
in Spagna da Martin Berasategui.
Intanto Rosanna non smette mai un momento di
aggiornarsi, frequentando anche le cucine dei suoi
colleghi che contano sia in Italia e che all’estero.
Oggi Rosanna Marziale è alla guida del ristorante
di famiglia: una bravissima cuoca che interpreta
in modo originale soprattutto i prodotti tipici
campani, a partire dalla mozzarella di bufala,
di cui è “testimonial ufficiale, arricchendoli di
quell’accenno innovativo. La affiancano suo fratello
Loreto, la sorella Maria e la mamma che funge da
supervisore. Una squadra che oltre portare avanti
il Ristorante Le Colonne di Caserta, ha da gestire un
altro gioiellino dell’accoglienza, il “country restaurant”
immerso nella verde piana Caiatina. Una bella
tenuta colonica con 4 ettari di verde riattata e resa di
pregevolezza estetica che si chiama San Bartolomeo
Casa in Campagna aperta solo per particolari eventi.
A Identità Golose 2012 Rosanna era impegnata in
una serie di performance con il Consorzio della
Mozzarella di Bufala Campana, reduce dalla conquista
del riconoscimento “Personaggio dell’anno della
ristorazione”, categoria cuochi, aggiudicatole da
“Italia a Tavola” con un sondaggio lanciato via web.
E i 9655 consensi ricevuti dal pubblico votante che
l’hanno eletta prima chef d’Italia la dicono lunga sulla
sua genuinità e la grande professionalità di Rosanna
Marziale.
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Identità Golose 2012
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Nella sala dedicata a “Identità di Carne: di cotte e di crude”
martedì pomeriggio si sono avvicendati dei veri campioni
nell’arte dell’allevamento, della macellazione e del cucinare.
I primi a relazionare dal palco della sal Blu Aldo Zivieri
allevatore e Igles Corelli chef del Ristorante Atman di Pescia
(Pt). Zivieri è sinonimo di suini e bovini da generazioni, la
conoscenza di questi animali va oltre le mura della macelleria.
Passione e professionalità sono messe in campo per proporre
carni di qualità sempre migliore a chef sempre più esigenti e
conoscitori delle materie prime. Aldo Zivieri dichiara che il
suo lavoro è al sevizio di cuochi capaci di mettere nel piatto
i suoi gioielli e far capire al cliente la differenza. Perché c’è
carne e carne e le abitudini alimentari italiane sono ancora
legate a regionalismi e pigri tradizionalismi. Nelle mani di
Igles Corelli ogni ingrediente brilla di luce propria, non da
meno l’effetto che ottiene lavorando al coltello il capocollo
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Identità Golose 2012
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di mora romagnola di Aldo. Inusuale una tartare di
maiale, ma come abbiamo fatto a privarcene fino ad
ora? La carne è di una delicatezza e gusto incredibili,
è perfetta anche solo con crostini di pane d’Altamura,
fiori e germogli. Il macellaio spiega che il merito è
della Mora che risulta perfetta per il fresco, più della
Cinta che è più grassa, migliore per insaccati e salumi.
Le due razze sono state salvate, perché fino a 10 anni
fa gli esemplari di Mora non permettevano nessuna
tartare, un marketing migliore ha invece riportato in
vita la Cinta, ma non più di trent’anni or sono.
Una rivoluzione silenziosa che è poi una ripresa dal
passato: il cuoco, il macellaio-allevatore parlano la
stessa lingua, si conoscono e conoscono
gli animali e i loro gusti: li lasciano liberi
per l’Appennino per almeno due anni a
nutrirsi di ghiande, castagne, tuberi di cui
vanno ghiotti.
Focus sul capitolo frollature per
l’ultimo intervento di Identità di
Carne, incisivo come il coltello del
macellaio Sergio Motta: terza
generazione di macellai a Inzago,
nel profondo hinterland milanese tra
Milano e Bergamo. La sua carne piemontese allevata
nell’astigiano e macellata in proprio è una vera chicca
riconosciuta dai gourmet anche fuori dai confini
regionali e nazionali. Nella macelleria Motta si trova
la miglior razza d’Italia allevata nel territorio di
origine, macellata e frollata con uno speciale metodo
a due celle. Il maestro macellaio insegna che per
ottenere il massimo da una carne nel piatto bisogna
avere presenti quattro massime: razza, ambiente,
macellazione e maturazione. Quindi grande genetica,
cura pignola dell’alimentazione, macellazione attenta
alle diversità dei capi e frollatura di almeno 60 giorni.
In sala Blu porta su due grandi carrelli una carcassa
Nelle mani di Igles ogni ingrediente brilla di luce propria
Identità Golose 2012
di bue intero degna della formaldeide di Damien Hirst, condotta alla soglia estrema della
sua capacità espressiva. Di razza piemontese e nutrita a fieno e farina gialla, è stata macellata
quando la coda si è mostrata coperta del giusto strato di grasso e frollata per 5 lunghi mesi,
girando il celebre triangolo di Lévi-Strauss sul
lato stimolante del putrido. Per finire sotto i
riflettori trionfali del congresso e la percussione
dei flash dei gourmet. La premessa sta in un
esperimento ardito, nato dallo spaiamento fra
la vendita di anteriori e posteriori in bottega: il
prolungamento dello stoccaggio da 3 settimane
a 4 mesi alla temperatura di 0 gradi. L’analisi
della muffapenicillium, compiuta da ricercatori
universitari, ha svelato parametri invariati.
Tanto da spronare Sergio a sfidare la soglia
massima dei nove mesi. Ottenendo una carne che
si è sciolta nella bocca degli happy few convenuti
a Inzago Lombardo.
Mentre il calo è corrisposto a pura disidratazione:
uno strumento di concentrazione naturale,
alternativo agli armamentari high-tech.
Daniel Canzian, discepolo di Gualtiero Marchesi, ha offerto la sua spalla di cuoco
all’eccellenza della produzione artigianale. Omaggiando la tessitura tenera e il gusto maturo
della carne con svariati passi indietro sotto il segno di una magistrale “anticucina”.
A cominciare dalla tartara servita con tre salse, maionese alla senape, salsa verde piemontese
e sugo di pomodoro piccante, per non inquinare una materia prima dalla complessità pari ai
grandi salumi evoluti. Per proseguire con Carne e pesce, ovvero filetti di manzo e branzino
non conditi, tagliati spessi per valorizzare le testure. Fino alla rilettura del gulash di filettone
con cipollotto anziché cipolla e salsa separata al vino rosso e fondo bruno, che si è giovata fin
dei ritagli di quella monumentale montagna di quintali.
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Identità Golose 2012
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Gli Strumenti di Cottura di Identità Golose Milano 2012
Alluminio 7 mm, Alu-Inox, Al Black per induzione
Le Pentole Agnelli in alluminio da 7 mm di spessore, con fondo per induzione, sono
strumenti di cottura professionali e resistenti. Studiate apposta per i piani di cottura
ad induzione, queste pentole Baldassare Agnelli sono perfette per qualsiasi tipo di
cottura: per friggere, per mantecare primi piatti, per cucinare secondi piatti a
base di pesce e carne.
Il manico possiede una guaina
antiscotto e antiscivolo innovativa,
per una presa più sicura. Al fondo
è stata applicata una piastra traforata
in doluzione “ferrina” che la rende idonea per le cucine a induzione.
Le pentole Baldassare Agnelli in alluminio per induzione 7 mm sono
estremamante resistenti. Prodotte in alluminio per Alimenti, queste pentole
sono igieniche e versatili, oltre che maneggevoli. L’alluminio permette
un’importante conducibilità termica a garanzia di una temperatura costante su
tutta la superficie, per una cottura omogenea, e risparmio di energia.
Alu - Inox è la linea di strumenti di cottura, in acciaio con il cuore
in alluminio, creata da Pentole Agnelli. Le pentole sono state studiate
appositamente per essere compatibili anche con i piani a cottura ad
induzione e sono realizzate internamente ed esternamente in acciaio:
fra i due strati di acciaio è racchiuso uno strato di alluminio di circa due
millimetri. In tal modo, il cuore in alluminio, conferisce agli strumenti di
cottura un maggior risultato per quanto riguarda la distribuzione del calore
sui fianchi e in superficie, migliorandone le prestazioni, riducendo tempi di
cottura e permettendo un notevole risparmio energetico.
La manutenzione è estremamente semplice: i prodotti di questa linea sono
lavabili in lavastoviglie oppure a mano, con detersivi tradizionali.
Sono le pentole prodotte da Baldassare Agnelli, utilizzate dagli chef durante Identità Golose Milano
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Gli Strumenti di Cottura di Identità Golose Milano 2012
Il centro di ricerca Pentole Agnelli ha messo appunto
un innovativo rivestimento di grande resistenza,
per garantire performance eccezionali: di
durata nel tempo e di antiaderenza.
Di più, questo sistema, lo ha anche
applicato agli strumenti di cottura in
alluminio da 7 mm di spessore, per
le cotture a induzione.
La grande novità è quella di aver
rivestito con l’innovativo B-Cristal lo
strumento di cottura in pur-alluminio per
alimenti sia dentro che fuori, garantendo:
- altissima durata;
- antiaderenza totale;
- facilità di pulizia in qualsiasi lavastoviglie
e con qualsiasi detergente
- facilità d’uso sui piani di cottura ad induzione
La pentola Al Black B-Cristal in alluminio nella versione
5 mm e 7 mm per induzione si presta, in modo particolare,
là dove lo strumento di cottura diventa parte del servizio,
dove lo “spadellare” viene eseguito a vista.
L’induzione è applicata ad una tecnica di cottura rapida
e violenta, tenuto conto che si arriva in breve tempo a
temperature altissime. Le Al Black B-Cristal, con lo speciale
rivestimento antiaderente di ultima generazione, oltre
che impreziosire l’estetica e la durata del rivestimento,
addolciscono le cotture ad induzione rendendole anche
più facili da gestire. Saps, il centro di ricerca di Baldassare
Agnelli, testa quotidianamente strumenti di cottura
professionali e sistemi di lavoro atti a migliorare il lavoro
in cucina e la qualità dei cibi, sempre in osservanza della
valorizzazione delle materie prime usate.
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SAPS
I campioni della cucina si allenano in saps
La Nazionale Italiana
Cuochi è tornatadal
Galles, dove ha
partecipato agli
Europei di Cucina
in calendario dal 14
al 16 febbraio scorso, con una più cheprestigiosa
medaglia d’argento e quindiseconda solo ai tedeschi
futuri organizzatoridei mondiali. L’ennesimo
risultato importante ottenuto con dedizione e
impegno assoluto, frutto di allenamenti duri e di una
preparazione mentale perfetta.
Prima dell’evento,infatti, la NIC si era incontrata,
in una sortadi ritiro precampionato, al “Centro di
Ricercae Formazione” Saps di Lallio, all’interno
della Baldassare Agnelli, per l’ultima provagenerale
di realizzazione del menù di cucinacalda, attraverso
tecniche stabilite dal regolamento interno in linea
con gli indirizzi della WACS. La selezione della
NIC, scesa nel”campo di allenamento” per affrontare
l’ennesima sfida internazionale fra pentole e fornelli,
era formata dal Senior Chef Angelo Giovanni Di
Lena, dal Senior Chef Gaetano Ragunì, dal Senior
Chef Francesco Gotti, dal Senior chef Gioacchino
Come da tradizione il Centro di Ricerca e Formazione di Lallio ha ospitato il ritiro precampionato della competizione europea,
dove la NIC ha ottenuto la medaglia d’argento
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SAPS
Si sono consumate professionalità, confronto, passione e dedizione verso l’arte del cucinare
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e con unimpegno disciplinato e costante
cerca di valorizzare la figura delcuoco quale
professionista di qualità che lavora con passione
ecura, attenzione e scientificità. Siamo un team,
un’associazione,ma anche una palestra di vita umana
e professionale dove juniore senior chef, durante le prove e gli
allenamenti di cucina per lecompetizioni, studiano insieme
soluzioni gastronomiche dall’altovalore culinario”.
Una filosofia in piena sintonia con l’azienda cheda
anni è felice di ospitare la nazionale e che, visti
i risultati, ha anche portato molto bene al team.
“Entusiasmo, passione, made in Italy, professionalità e voglia
di crescere - ha aggiunto il patron Baldassare Agnelli -,
sono gli attributi che uniscono la Nazionale Italiana Cuochi
e il Centro di Ricerca e Formazione Saps nato 10 anni fa,
e diventato nel tempo un importantepunto di riferimento
per le iniziative legate alla promozionedella cucina made in
Italy. Qui si studiano soluzioni per produzioni gastronomiche
dall’alto valore culinario.
Disciplina,ordine, saperi, sapori, professionalità, rigore,
pulizia, sonosolo alcuni degli elementi fondamentali che la
NazionaleItaliana cuochi è riuscita a trasmettere durante la
sua per-formance in Saps”.
L’ultimo allenamento prima della competizione
è come da tradizione una bella pagina di cultura,
anche dal sapore umano. Una pagina scritta con la
volontà costante di chi la porta avanti nell’intento di
migliorarsi sempre più.
Antonio Sensale, dal Junior Chef Fabio Mancuso,
dal Junior Chef Domenico Spadafora, dal Junior
Chef Giovanni Lorusso. La supervisione e la giuria
tecnica era invece formata dal Team Manager NIC
Fabio Tacchella, dal Capitano Gianluca Tomasi,
dal Senior Chef Carmelo Trentacostie dal Senior
Chef Ljubica Comlenic. Nel corso della giornata
si sono consumate professionalità, confronto, passione
e dedizioneverso l’arte del cucinare, che hanno poi
dato forma e sostanza a piatti estremamente curati
e raffinati, come il trancio di merluzzo con cozze
e pomodoro, salsa di acciughe, raviolo di gamberi
rossi su purea di sedano, rapa e lenticchie beluga;
il lombo di agnello in mantello di pancetta con
pavé di zucca,crocchetta di carne e giardinetto di
ortaggi e funghi; la mousse al cioccolato e caramello
con pere alla cannella, finanziere alle nocciole,
semifreddoall’arancia e salsa di lamponi.
“La NIC - ha affermato Fabio Tacchella -, è
l’emanazione ufficiale della Federazione Italiana Cuochi
SAPS
Un team, un’associazione, ma anche una palestra
di vita umana e professionale
SAPS - Centro di Ricerca e Formazione è sostenuto da:
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Piatto d’autore 2012
Piatto d’Autore vince Alex Guzzi
Alex Guzzi, giornalista di Corsera
ha vinto la V° edizione di “Piatto
d’Autore”: Il premio nazionale
giornalistico gastronomico - ideato
da Cm Comunicazione di Grazia
Saporiti - che ormai da molti
anni vede la partecipazione dei giornalisti e dei media
nazionali impegnati in un’originale gara culinaria dal vivo.
Partner tecnico principale e supporter di prim’ordine,
ormai fin dalla prima edizione, le Pentole Agnelli con il
Centro di Ricerca e Formazione SAPS. UNa gara quella
di martedì 24 gennaio scorso a suon di ingredienti
di alta qualità cucinati come vuole la tradizione della
cucina italiana e come vuole il regolamento che
prevede la scelta e il corretto utilizzo dello strumento
di cottura per produrre la ricetta. Alex Guzzi si è
aggiudicato la prestigiosa Pentola d’Oro Baldassare
Agnelli. Il noto giornalista gourmet ha preparato la sua
“Arista all’agro di birra”, durante la gara finale organizzata
nella prestigiosa cornice dell’Hotel Westin Palace di
Milano, sbaragliando gli altri 13 concorrenti. Alla serata
di gala, condotta da Maria Teresa Ruta, hanno partecipato
oltre 200 ospiti tra cui esponenti del mondo dello
spettacolo, giornalisti e addetti ai lavori. La giuria che ha
assegnato il premio, era composta invece da Clara Barra
del Gambero Rosso, da Andrea Cuomo giornalista del
Il giornalista del Corriere della Sera si è aggiudicato la Pentola d’Oro nella sfi da ai fornelli con i colleghi
Gennaio, Febbraio, Marzo 201272
Piatto d’autore 2012
quotidiano Il Giornale, dallo chef dell’Hotel Westin
Palace Augusto Tombolato, dal famoso chef Aimo
Moroni patron del Ristorante bistellato milanese Aimo
e Nadia. Supervisori della finale la Nazionale Italiana
Cuochi capitanati da Gianluca Tomasi, Fabio Momolo,
Marco Valetta, Gaetano Ragunì e Francesco Gotti.
Per l’occasione tutte le ricette di Piatto d’Autore 2012
sono state racchiuse in un volume dallo stesso titolo.
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Piatto d’autore 2012
Prima sequenza da sinistra verso destra: Alessandra Gesuelli (Il giornale, Capital Living), Gloria Ciabattoni (QN). Seconda sequenza da sinistra verso destra:Silvana Casarotto (Casa e Country), Cristiana Ceci (D La Repubblica, Marie Claire Travel), Patrizia Ribuoli (On the road), Carla Chelo (Studio Aperto). Terza sequenza da sinistra verso destra: Luigi Franchi (Catering), Maria Luisa Cocozza (TG5), Marina Caccialanza (Grande cucina), Alex Guzzi (Corriere della Sera). Quarta sequenza da sinistra verso destra: Sara Tieni (Vanity fair), Maria Celeste Crucillà (Oggi), Rosanna Ercole Mellone (Vogue).
Un’originale gara culinaria dal vivo con protagonisti i giornalisti
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Anno VIII - Numero I - Gennaio, Febbraio, Marzo 2012 - Euro 7,00
Rivista uffi ciale della SAPS: centro ricerche per lo studio di materialie forme degli strumenti di cottura