La medicina a Viterbo nel Trecento e Quattrocento ... · vaiolo, il tifo, lo scorbuto e la peste...

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sione del medico; esse erano “assistenti” e “terapeuti” non accademici ai quali ricorreva il popolo che non poteva permet- tersi cure diverse 3 . In taluni casi, nelle famiglie più povere, erano le donne che curavano i vari mali con decotti, infusi ecc., utilizzando erbe riconosciute come idonee allo scopo. Si ricorreva spesso alle pre- ghiere, ai pellegrinaggi ed ai guaritori. Una figura particolare era il “barbiere chirurgo” che utiliz- zava la sua “scienza” sia per tagliare i capelli che per cavare sangue, estrarre denti e curare fratture, lussazioni, piaghe e ferite, operazioni di cosiddetta “bassa chirurgia”. Al vertice della gerarchia delle arti mediche erano i chi- rurghi, i quali esercitavano il mestiere utilizzando alcuni stru- menti, quali: pinze, seghe, mar- telli ecc. Tutte le suddette operazioni chirurgiche, tuttavia, erano causa di un’elevata mortalità, per l’insorgere di infezioni e per il dolore, al quale non si poteva ovviare perché non si conosce- vano anestetici adeguati. consultazione di cronache loca- li, riforme e statuti comunali. MEDICI E CIARLATANI Il termine “medico” riferito al periodo di cui ci si sta occu- pando è molto ambiguo e si rife- risce a diverse figure sociali, dal ciarlatano al professore univer- sitario 1 . L’aggettivo “ciarlatano” non era utilizzato in senso dispregia- tivo, in quanto stava ad indicare la provenienza da Cerreto (cer- retani), paese nei pressi di Spoleto. Molti di questi “ciarla- tani” esercitavano la professione spostandosi di paese in paese, in occasione di mercati, fiere, feste ed usavano vendere sulle piazze una serie di intrugli, come elisir di lunga vita o filtri magici; ricorrevano tuttavia anche a far- maci più “seri”, sottoposti al controllo degli speziali. In alcuni casi le medicine somministrate, sebbene non fos- sero all’altezza di curare il mala- to, esercitavano un effetto bene- fico, suggestionandolo positiva- mente 2 . Poiché la medicina medioe- vale non apparteneva ad un sistema “chiuso”, varie altre figure esercitavano la “profes- M iseria, carestie, insicurezza per le strade e all’interno delle città, incuria delle più ele- mentari norme igieniche sono i fattori che caratterizzano per lo più il periodo medievale e cau- sano l’insorgere di gravi epide- mie, che la medicina del tempo non era in grado di debellare. Si è constatato che, a partire dal XII secolo, in Europa si è avuta in media una pestilenza, più o meno grave, ogni dieci o quindici anni; con il termine pestilenza, infatti, si indicava qualsiasi tipo di malattia epide- mica, che si diffondeva con estrema facilità, anche per cause diverse dal contagio (intossica- zioni, carenze alimentari ecc…). Altre malattie erano: la mala- ria, il fuoco di Sant’Antonio, il vaiolo, il tifo, lo scorbuto e la peste bubbonica. Dalla lettura delle cronache del tempo, tutta- via, non si riesce a distinguere esattamente il tipo di malattia che colpiva in un dato periodo una zona, in quanto le epidemie venivano indicate genericamen- te con i termini di: “morìa”, “grande mortalità”, “morbo” o “peste”. Per ricostruire il fenomeno preso in analisi, è stata utile la 1 H. SCHIPPERGERS, Il giardino della salute, la medicina nel Medioevo, Milano 1988, p. 90. 2 A. CAROSI, Speziali e spezierie a Viterbo nel ‘400, Viterbo 1988, p. 114. 3 H. SCHIPPERGERS, op. cit., p. 90. La medicina a Viterbo nel Trecento e Quattrocento: epidemie, espedienti e cure VALENTINA BERNESCHI 20

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sione del medico”; esse erano“assistenti” e “terapeuti” nonaccademici ai quali ricorreva ilpopolo che non poteva permet-tersi cure diverse3.

In taluni casi, nelle famigliepiù povere, erano le donne checuravano i vari mali con decotti,infusi ecc., utilizzando erbericonosciute come idonee alloscopo.

Si ricorreva spesso alle pre-ghiere, ai pellegrinaggi ed aiguaritori.

Una figura particolare era il“barbiere chirurgo” che utiliz-zava la sua “scienza” sia pertagliare i capelli che per cavaresangue, estrarre denti e curarefratture, lussazioni, piaghe eferite, operazioni di cosiddetta“bassa chirurgia”.

Al vertice della gerarchiadelle arti mediche erano i chi-rurghi, i quali esercitavano ilmestiere utilizzando alcuni stru-menti, quali: pinze, seghe, mar-telli ecc.

Tutte le suddette operazionichirurgiche, tuttavia, eranocausa di un’elevata mortalità,per l’insorgere di infezioni e peril dolore, al quale non si potevaovviare perché non si conosce-vano anestetici adeguati.

consultazione di cronache loca-li, riforme e statuti comunali.

MEDICI E CIARLATANIIl termine “medico” riferito

al periodo di cui ci si sta occu-pando è molto ambiguo e si rife-risce a diverse figure sociali, dalciarlatano al professore univer-sitario1.

L’aggettivo “ciarlatano” nonera utilizzato in senso dispregia-tivo, in quanto stava ad indicarela provenienza da Cerreto (cer-retani), paese nei pressi diSpoleto. Molti di questi “ciarla-tani” esercitavano la professionespostandosi di paese in paese, inoccasione di mercati, fiere, festeed usavano vendere sulle piazzeuna serie di intrugli, come elisirdi lunga vita o filtri magici;ricorrevano tuttavia anche a far-maci più “seri”, sottoposti alcontrollo degli speziali.

In alcuni casi le medicinesomministrate, sebbene non fos-sero all’altezza di curare il mala-to, esercitavano un effetto bene-fico, suggestionandolo positiva-mente2.

Poiché la medicina medioe-vale non apparteneva ad unsistema “chiuso”, varie altrefigure esercitavano la “profes-

Miseria, carestie, insicurezzaper le strade e all’interno

delle città, incuria delle più ele-mentari norme igieniche sono ifattori che caratterizzano per lopiù il periodo medievale e cau-sano l’insorgere di gravi epide-mie, che la medicina del temponon era in grado di debellare.

Si è constatato che, a partiredal XII secolo, in Europa si èavuta in media una pestilenza,più o meno grave, ogni dieci oquindici anni; con il terminepestilenza, infatti, si indicavaqualsiasi tipo di malattia epide-mica, che si diffondeva conestrema facilità, anche per causediverse dal contagio (intossica-zioni, carenze alimentari ecc…).

Altre malattie erano: la mala-ria, il fuoco di Sant’Antonio, ilvaiolo, il tifo, lo scorbuto e lapeste bubbonica. Dalla letturadelle cronache del tempo, tutta-via, non si riesce a distinguereesattamente il tipo di malattiache colpiva in un dato periodouna zona, in quanto le epidemievenivano indicate genericamen-te con i termini di: “morìa”,“grande mortalità”, “morbo” o“peste”.

Per ricostruire il fenomenopreso in analisi, è stata utile la

1 H. SCHIPPERGERS, Il giardinodella salute, la medicina nelMedioevo, Milano 1988, p. 90.

2 A. CAROSI, Speziali e spezierie aViterbo nel ‘400, Viterbo 1988, p.114.

3 H. SCHIPPERGERS, op. cit., p.90.

La medicina a Viterbonel Trecento e Quattrocento:epidemie, espedienti e cure

VALENTINABERNESCHI

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esterni venivano portati a matu-razione con fichi e cipolle cotte,tritate e mescolate con lievito eburro, venivano poi incisi, scari-ficati e cauterizzati.

I medici, i chirurghi, i ciarla-tani e quanti altri facevano leloro diagnosi quasi esclusiva-mente analizzando le orine delmalato e consultando gli astri inbase al segno zodiacale delpaziente ed i rimedi applicaticonsistevano per lo più nell’ef-fettuare salassi.

ARTI MEDICHEIN VITERBO

Dall’analisi delle fonti viter-besi appare assai difficile rico-struire la presenza dei medici sulterritorio di Viterbo tra il XIV eil XV sec., ed ancora più diffici-le è conoscere le cure alle qualigli stessi ricorrevano.

Lo Statuto comunale del1237, anno in cui già sono costi-tuite quelle dei fabbri e dei bar-bieri, alla rubrica 220 del I libro,menziona le societates et com-pagnie artium Civitatis, per cuiè noto che la presenza dei bar-bieri, categoria ritenuta seconda-ria in campo medico, è attestatadal XIII sec. Per la comparsadell’Arte dei Medici e degliSpeziali si dovrà invece attende-re il 13068 e nel 1344 i Medicisono con i giudici e notai9, men-tre gli speziali manterranno laloro autonomia. A causa del pro-fondo cambiamento politicoavvenuto, la maggior parte deglistatuti conservati delle arti viter-besi è della seconda metà delsecolo XV e della prima del

espedienti ai quali la medicinadel tempo ricorreva per cercaredi sconfiggere le pestilenze.

Un rimedio posto in essereera quello di far evitare il conta-gio, allontanando le persone dailuoghi infetti, in quanto, comegià fin dai tempi di Ippocrate eGaleno, che nei loro trattati ave-vano attribuito all’atmosfera lacausa delle pestilenze, si ritene-va che il morbo fosse diffusonell’aria e che con la stessa sidiffondesse all’uomo6.

Un secondo rimedio era ilsalasso, che permetteva di elimi-nare una parte consistente disangue umano, che si pensava,contenesse la malattia.

Tale operazione, come daillustrazioni dell’epoca, venivadi solito effettuata ponendo ilmalato seduto su una sedia,facendogli stringere in manouna bacchetta per provocare unmaggior flusso di sangue, appo-nendo al braccio un appositolaccio e facendo sgorgare dallazona intorno al gomito uno zam-pillo di sangue, che successiva-mente veniva “analizzato” inbase al colore e alla coagulazio-ne per individuare i rimedi piùappropriati7.

Si riteneva anche utile pur-garsi con pillole d’aloe, purifica-re l’aria con il fuoco dove veni-vano bruciati unguenti, resine ederbe aromatiche e sostenere ilcuore con triaca, frutti e piantedi buon odore.

Rimedi per l’infezione con-tratta erano anche l’assunzionedi sciroppi cordiali e gli ascessi

C’erano inoltre medici piùprestigiosi che costituivano ungruppo piuttosto ristretto di dot-tori, formatisi nelle università eabilitati alla professione; taliindividui erano esponenti deiceti più abbienti e avevano unaclientela selezionata. Il loropunto di partenza era la forma-zione universitaria che si basavasull’apprendimento delle artiliberali: trivio e quadrivio4.

Se la medicina era esercitatain modo approssimativo edimprovvisato in tempi ordinari ele cure prestate avevano nellamaggior parte dei casi soltanto ilmerito di accelerare maggior-mente la fine della vita delpaziente, al verificarsi di grandiepidemie e pestilenze era ancorapiù difficile curare l’enormenumero di malati, in quanto nonsi era in grado di conoscerel’origine delle infezioni.

È indubbio che il fallimentodella medicina scolastica neiconfronti della peste abbiadeterminato una crisi notevoleall’interno della disciplina edella professione medica. Laconseguenza più immediata ditale crisi fu la forte rivalità econcorrenza tra gli esponentidella categoria. Fisici, chirurghie barbieri, che sembravano avertrovato un equilibrio di ruoli efunzioni, si accusarono, gli uni egli altri, di incompetenza, rite-nendosi ciascuna classe l’unicain grado di far fronte con serietàall’avanzare dell’epidemia5.

ESPEDIENTI E CUREMeriterà esporre in breve gli

4 H. SCHIPPERGERS, op. cit., pp.160-167.

5 J. AGRIMI, C. CRISCIANI,Storia del pensiero medico occi-dentale, Roma 1993, p. 7.

6 K. BERGDOLT, La peste nera ela fine del Medioevo, CasaleMonferrato (AL) 1997, pp. 30-31.

7 H. SCHIPPERGERS, op. cit., p.

106.8 ARCHIVIO COMUNALE DI

VITERBO (A. C. V.), pergamena325/3, in A. CAROSI, op. cit., p.15.

9 A. C. V., pergamena 1380, in A.CAROSI, op. cit., p. 15.

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Dagli scritti dello storicoFeliciano Bussi, emerge un per-sonaggio, Raniero, professore dimedicina, padre di tale Giacomoda Viterbo, vissuto circa nellametà del 130011.

Un altro medico segnalato èmaestro Girolamo “dottore diMedicina”, risulta che svolgessequesta professione soltanto dalCoretini, il Bussi infatti lo anno-vera tra i personaggi di spiccodell’epoca (1380), senza fareaccenno al suo mestiere12.

Si ritiene che, anche se noncontenuti in elenchi ufficiali,altri professionisti abbiano eser-citato la scienza medica duranteil secolo in esame, in quanto,come già citato, è stato proprioin questo periodo che si formòtale Arte nella città di Viterbo.

Riguardo al XV secolo, sep-pure con note difficoltà, si è riu-sciti a ricostruire alcune biogra-fie di medici, che di seguito siritiene presentare brevemente.

Il personaggio che le fonticitano più spesso è SanteCerasa; lo ritroviamo per esem-pio nell’elenco dei maestri discuola, offerto dalle Riforme delComune del XV secolo. Tale

scritto testimonia a Viterbo,come in altre città italiane, lapresenza dei barbieri, che agiva-no come medici pur essendolontani dalle conoscenze deiprofessionisti di formazioneaccademica.

I MEDICI A VITERBOÈ opportuno, affrontando il

tema della medicina a Viterbo,segnalare i medici più illustri.

Le notizie che si possonoavere dai documenti viterbesi,su tale argomento, come giàaccennato, sono scarse e fram-mentarie, tanto che è stato moltodifficile realizzare un quadrocomplessivo dei nominativi deiprofessionisti che fecero parte ditale categoria.

Riguardo al XIV secolo, leinformazioni raccolte sono statedesunte dalla letteratura storio-grafica su uomini illustri viter-besi, in quanto le cronache uffi-ciali contenevano per lo piùnotizie di carattere storico-poli-tico, argomenti ritenuti forse piùinteressanti per i cronisti del-l’epoca; il Trecento infatti èstato ricordato maggiormenteper le guerre e le lotte intestine.

XVI. La fine del potere comuna-le comportò infatti un rigidocontrollo pontificio su Viterbo,da cui nacque l’esigenza diaggiornare le norme di tutti glistatuti a cominciare da quellocittadino (1469).

Lo Statuto comunale del1469 ricorda vari mestieri e inuna rubrica del detto statuto silegge: «Non obstante eorum sta-tuto vel ordinamento barbierijteneantur de die et nocte sangui-nare et radere: et tendentibus etradentibus se in apotecis eorumnon potere nec accipere probarba ultra quattuor denarios:et denegans et contrafaciens indecem libras vic qualibet punia-tur possintque a qualibet accu-sari; et accusator seu denuntia-tor habeat meditatem pene: etteneatur secrete…»10.

In questa parte dello statuto,in deroga ad eventuali disposi-zioni contenute nello stesso, siimpone un determinato orarioper i barbieri; tale obbligo eralegato a motivi di salute pubbli-ca, in quanto, come già accenna-to, i barbieri avevano anche ilcompito di togliere il sangue.

È dunque evidente che questo

10 BIBLIOTECA DEGLI ARDENTIDI VITERBO (B. A. V.), StatutusComunis Viterbij (III Rubr. 91), inL. MEZZELANI, Arti e mestierinegli Statuti Viterbesi del XV seco-lo, Roma 1968, p. 15.

11 B. A. V., ms. II.C.IV.20, F. BUSSI,Degli uomini illustri di Viterbo,Viterbo 1737, p. 238.

12 G. CORETINI, Brevi notizie dellacittà di Viterbo, Bologna 1972, p.113; F. BUSSI, op. cit., p. 215.

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detto cronista così del medesimolasciò scritto all’ Anno 1472. Etanco farò mentione, che lanostra Cipta avia homini, chenon molto amavano nostroComune, perché nel detto tempodelli Mesi di Sectembre, etOctobre fu cavato de Priori M.Gentile, lo quale era Medico, etfurono de trivigiatto, essendomolti infermi per la cupiditàrenuntiò Priorato, et fecie vanto,che fu messo al patre chiamatoAngilello, et diceva Angilello deM. Gentile»17.

Tra gli altri professionisti èricordato Valerio Flacco, il qualesi inserisce, nella documentazio-ne viterbese, tra i medici dellaseconda metà del Quattrocento.

Dal suo testamento, datato 15gennaro 1473, sottoscritto inRoma «per gli atti del notaroAngelini di Perugia», si appren-de che il suo vero cognome nonera Flacco, ma Simonelli, infat-ti, secondo la consuetudine degliumanisti del tempo, che amava-no cambiare il proprio nome,assumendo quello di illustri per-sonaggi classici, aveva sceltoquesta soluzione “di moda”.«Eximius vir artium et medici-nae doctor magister Valeriusquondam magistri IacobiSimonelli de Viterbio, nuncRomanam Curiam sequens…»18.

Risiedeva a Viterbo presso lacontrada di S. Quirico19.

Riguardo le vicende piùimportanti di tale maestro, sipuò riportare il suo matrimonio,avvenuto il 1 dicembre 1459,con madonna Cecilia Cerrosi del

li metterò in questo volume»16.Le informazioni fornite sia

dagli storici che dal cronistaNiccolò della Tuccia certificanola formazione dei medici piùaccreditati e confermano lacompletezza del loro sapere,secondo i canoni del periodo.

Un altro medico, Gentile daViterbo, è così presentato dalBussi:

«Nella Filosofia, e nellaMedicina fu questo Gentile unuomo di tal fondo, e di tal ripu-tazione, che meritò di servire diMedico il suddetto PonteficeInnocenzo VIII, e però vero, chequanto più egli fu in ciò fortuna-to, altrettanto disgraziato fureso dalle pessime procedure diun suo figliuolo chiamatoDominico, che essendo ScrittoreApostolico, s’indusse a falsifica-re alcune Lettere Pontifice, perle quali fu condannato a doverterminare la sua vita sopra unpatibolo, senzaché il dilui geni-tore, che pur molto potea pressoil Pontefice, liberar lo potesseda sì vergognosa, e funestamorte. La dilui cattura succedet-te il dì 6 di Settembre dell’Anno1490, scrivendo il mentovatoBuccardo ne’ suoi Diarj: “Die 6Septembris captus fuitDominicus Magistri Gentili deViterbio Scriptor Apostolicuspro falsificatione LitterarumApostolicarum ecc.” CodestoMedico però, di cui parimente famenzione il Covelluzzo alla pag.60 a tergo, è d’uopo credere,che fosse predominato da sover-chia avidità di dinaro, mentre il

documento dichiara che il medi-co in questione venne candidatoall’incarico di insegnante nel-l’anno 1472, ma vi rinunciò afavore di Gaspare da Verona. Sisa che il Cerasa era legatoall’ambiente del cardinaleBessarione, era corrispondentedel Campano e di FrancescoMaturanzio ed era inoltre autoredi versi13. Dal Bussi si legge:

«… Circa gli stessi anni1470, fiorì eziandio questo sog-getto per nome Sante Cerasio, ilquale fu uno dei gran letteratidel suo Secolo. De esso fa men-zione Gio. Antonio Campano nellibro settimo delle sue Lettere, eparticolarmente nell’ultima…».

In questa lettera il Campanoscrivendo a Perotto arcivescovodi Siponto, definisce SanteCerasa: «studiosissimus».

Ancora dallo scritto del Bussisi apprende quanto il Campanostimasse l’illustre dottore: «…potendosi altresì riscontrare lastima grande che il dettoCampano facea de esso SanteCerasa…»14.

Il Signorelli nella sua Viterbonella storia della chiesa nominaSante Cerasa, definendolo«valente letterato» tra gli uma-nisti più illustri di Viterbo15.

Niccolò della Tuccia, notocronista viterbese del XV seco-lo, riporta la notizia dell’appari-zione, nel gennaio del 1472, diuna stella cometa, della qualeafferma: «… un mastro SantoBocca Cerasa medico, filosofo eastrologo, fe’ molti giudici, liquali, se mi verranno alle mani,

13 M. MIGLIO, Cultura umanisticaa Viterbo nel ‘400, in Culturaumanistica a Viterbo, Viterbo1991, pp. 13-14, 25.

14 F. BUSSI, op. cit., p. 232.15 G. SIGNORELLI, Viterbo nella

storia della chiesa, Viterbo 1907-1940, pp. 161-162.

16 I. CIAMPI, Cronache e statuti

della città di Viterbo, Firenze1872, p. 102.

17 F. BUSSI, op. cit., p. 239.18 ARCHIVIO DEL MONASTERO

DEI SS. SIMEONE E GIUDA DIVITERBO, pergamena autentica,in C. PINZI, Storia della città diViterbo, Roma 1887-1993, p. 234.

19 G. MARINI, Degli archiatri pon-

tifici, Roma 1784, p. 202, in C.PINZI, op. cit., p. 234.

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aggiungendo la notizia fornitadal Covelluzzo (Giovanni diIuzzo), cronista viterbese del-l’epoca, che alla pagina 58 dellasua cronaca per l’anno 1471enuncia: «… anco fo memoria,che nel detto tempo la nostraCiptà si veniva reintegrando dehomini, de li quali erano moltistudenti, et molti in Corte deRoma, tra li quali era M. ValerioMedico del Papa »27.

I MEDICI VITERBESI E LEPESTILENZE

Come si è potuto constataredalla documentazione esamina-ta, la maggior parte dei mediciviterbesi appartiene alla cerchiadi umanisti che orbitava attornoalla curia pontificia, graziesoprattutto al legame tra Roma eViterbo, città che ospitò diversipapi.

E’ opportuno esaminarecome i medici viterbesi abbianodovuto affrontare le pestilenze,che si sono presentate nei perio-di durante i quali la popolazioneera affidata alle loro cure; non èdetto infatti che nella loro vita sisiano trovati ad assistere inprima persona i malati colpitidall’ondata di epidemie.

con Niccolò Perotti. ValerioFlacco infatti appare tra i testi-moni della donazione che ilBessarione fa (a Viterbo nel1468) della sua biblioteca allacittà di Venezia «MagisterValerius de Viterbio»24.

Il Volaterrano, a proposito diFlacco, dice: «Al nostro tempoValerio Flacco viterbese, sotto ilpontificato di Sisto IV del qualeera medico, morì ancor giovanein molto credito presso tutti.Trovandosi in umile stato e sco-nosciuto, venne menato a Romadal cardinale Bessarione (nel1468), che lo feee scegliere permedico di Paolo II»25.

Il dotto medico, nello svolge-re la professione, seguiva il pon-tefice, per il quale lavorava, neisuoi spostamenti, dandogli deiconsigli utilissimi per la suasalute.

Si ricorda, a tale riguardo,che Paolo II morì il 26 luglio1471 per apoplessia, dopo esser-si cibato di meloni, nonostanteValerio Flacco gli avesse piùvolte raccomandato di evitarequel cibo difficile da digerire26.

Anche il Bussi confermaquanto riportato da altri storici,

fu Angelo di Viterbo, che portòuna dote di 412 ducati d’oro20.

Dal suddetto testamento, siapprende inoltre che, da questaunione, nacquero quattro figli:Giacomo, Placido, Marzia ePaolina21; quest’ultime abbrac-ciarono la vita religiosa pren-dendo i voti presso il monasterodei SS. Simeone e Giuda, delquale Paolina divenne badessanel 1522.

Valerio Simonelli morì tra il15 gennaio e il 24 agosto del1473, anno in cui sua moglieCecilia acquistò, a nome deisuoi figli minori ed eredi, un ter-reno presso la tenutaRespampani22.

Il primogenito Giacomosposò madonna Caterina degliOrsini, morì nel 1506; ebbe unsolo figlio chiamato Valerio, ilquale, con un suo testamento del30 settembre 1518, lasciò tutti ipropri averi per la costruzionedella chiesa della Madonna dellaQuercia23.

Altre notizie del famoso per-sonaggio sono tramandate fram-mentariamente in relazioneall’attività dell’AccademiaBessarionea e ai suoi contatti

20 Pergamena aut. del MONASTE-RO DI S. SIMEONI, in C. PINZI,op. cit., p. 234.

21 A. DEL MONASTERO DEI SS.SIMEONE E GIUDA DI VITER-BO, perg. aut., in C. PINZI, op.cit., p. 234.

22 ARCHIVIO DI STATO DIVITERBO (A. S. V.), prot. IV, not.

A. Finizi, in C. PINZI, op. cit., p.234.

23 A. S. V., prot. 22, not. A. Alma-diani, in C. PINZI, op. cit., p. 234.

24 G. LOMBARDI, Saggi, Roma2003, p. 257.

25 VOLATERRANO, Commentario-rum Urbanorum, lib. 21, in C.PINZI, op. cit., p. 234.

26 C. PINZI, op. cit., p. 23427 F. BUSSI, op. cit., p. 229.

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ritenne finalmente la malattia«un contagio e non una corru-zione dell’aria»34.

EPIDEMIE DEL TRECENTO AVITERBO

Le notizie riportate sono trat-te dalle cronache del tempo;cronisti utili alla nostra indaginesono stati: Pier Gian PaoloSacchi (1399-1476), Niccolòdella Tuccia (1400-1476),Giovanni di Iuzzo (1400-1481)e Francesco d’Andrea, del qualeè incerta la data di nascita, si sasoltanto che morì nel 1455.

Tranne Francesco d’Andrea,tutti e tre i cronisti sopra citatioccuparono cariche pubbliche aViterbo, vissero gli stessi tempidifficili e problematici dellarestaurazione pontificia, dopo illungo periodo dello scisma, tuttie tre soffrirono il duro periododelle lotte intestine, mai del tuttosopite in città e nella provincia,se mai acuite, specialmente nellaprima metà del secolo35. E’ dallaconsultazione degli scritti deisuddetti cronisti che si è riuscitiad individuare gli anni in cui lacittà di Viterbo fu colpita daondate epidemiche.

PESTE NERALa prima data riportata da

tutte le cronache è il 1348.Non è un caso che venga

segnalato proprio il 1348, unaricca documentazione, infatti,sia in Italia che in Europa, loricorda come l’anno della“Peste Nera”, una delle peggio-ri epidemie della storia. Tra gliscritti più noti dell’epoca si

fonti dichiarano che in quelperiodo venne richiesto il pareredell’a noi noto maestro Gentile,il quale proponendo al ConsiglioComunale la sospensione dellafiera di settembre, assicurò chela peste stava cessando per lagraduale riduzione delle intem-perie dell’aria30.

Consiglio del 3 settembre:«Celeberrimus doctor magisterGentilis, unus ex MM. DD.Prioribus, dicit: Quia pestisdecrescere iam incepit, ut quasiaeris intemperies penitus abieritetc…»31.

Ciò conferma come la causadi tali malattie era dunque ricer-cata dalla medicina del temponegli influssi maligni presentinell’aria, i quali erano il mezzodi trasmissione dei germi, che siintroducevano negli organismiattraverso l’acqua32.

Queste credenze rimaseroalla base del pensiero medicoper tutto il Medio Evo.

A Viterbo le cose comincia-rono a cambiare in occasionedella pestilenza del 1493.

Questa circostanza costrinsea prendere dei provvedimentiper far fronte alla diffusione delmorbo; le prime iniziative furo-no assunte nel settembre deldetto anno, sopprimendo lafiera33, poi, nel 1494, si pensò diabbattere la malattia facendovenire un flebotomo da Romaper praticare salassi, che fu inseguito licenziato, poiché lapestilenza non si arrestava.

Si volle allora ricorrere ad unchirurgo, che, dopo lunghi studi,

A Viterbo, come in altre città,i dottori non erano in grado digarantire una guarigione a tutticoloro che contraevano unamalattia, i medici, come già cita-to, non avendo una soluzionesicura per sfuggire le pestilenze,consigliavano prevalentementedi evitare il contagio, allonta-nandosi dalle zone più colpitedal “morbo”.

Da un frammento dei Ricordidi casa Sacchi, riguardo unapestilenza del 1449, si legge:«Ricordo che nel detto annofugii la gran peste che era inViterbo con il mio figlioloFrancesco Alessandro. Fu delmese di magio a dì 23 et andai aMontefiascone et poi a Cellenoet ad Orvieto, e lì mi fermaicommodamente, e così vi ricor-do figlioli miei quando vengonosimili influenze di peste e morìavogliate fugire; perché secondodicano li famosi e valentissimimedici, non ci è altro migliorrimedio se non fugir presto dalunga e tornar tardi»28.

Per capire quanto la medicinadel tempo fosse lontana dallaverità, si può accennare allapestilenza scoppiata a Romanella primavera del 147629 e dif-fusasi, con l’avvicinarsi dellastagione estiva, anche a Viterbo,dove tuttavia, intorno al mese disettembre, l’epidemia cominciòa ridursi. Gran parte della popo-lazione, tra coloro che eranomorti o fuggiti, era diminuita edi germi, che avevano favorito ilcontagio, si stavano esaurendoper l’irrigidirsi del clima. Le

28 G. LOMBARDI, I Ricordi di CasaSacchi, Manziana (Roma) 1992, p.84.

29 G. SIGNORELLI, op. cit.; C.PINZI, op. cit., p. 264.

30 C. PINZI, op. cit., p. 269.31 B. A. V., Riforme, XX, p. 166, in C.

PINZI, op. cit., p. 269.32 C. PINZI, op. cit., p. 269.

33 B. A. V., Riforme, XXV, p. 5 e seg.,in G. SIGNORELLI, op. cit., p.189.

34 Ricordi Priori I, p. 169, in G.SIGNORELLI, op. cit., p. 189.

35 G. LOMBARDI, I Ricordi di casaSacchi, Manziana (Roma) 1992, p.17.

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Europa37.In sintonia con altri docu-

menti, tutte le cronache viterbe-si affermano: «fu in Viterbo granmortalità»38.

In questo anno, interessante èil testamento di “Cecco di mes-sere Paltomo” nobile viterbese,segnalato dallo storico CesarePinzi; da tale testamento sideduce che, nei territori dellaTuscia, sparì più della metàdella popolazione.

Il Pinzi evidenzia anchecome il contagio e il dilagaredella peste fossero dovuti allepessime condizioni igienichedella popolazione, che abitava in

dall’Asia. Il medicoarabo Ibn Hatimahsupponeva che avesseavuto origine in Cina.Il vero focolaio d’ini-zio era presumibil-

mente situato in Asia centrale,dove, durante gli scavi nellecatacombe cristiane, gli archeo-logi hanno registrato, riferitaagli anni Trenta del XIV secolo,una mortalità notevolmente ele-vata, l’epidemia in seguito, rag-giunta l’India e la Cina, si diffu-se in Europa. La malattia fu cau-sata da una razza di topi, i rattineri, che si infiltravano tra lemerci sulle navi mercantili; ilbacillo è loYersinia oPas teure l laPestis. Lapeste colpìinizialmentel’Italia delsud, comin-ciando dallaSicilia, risalìla penisoladalle cittàcostiere fino ac o n t a g i a r etutto il centro

ricordano le pagine di GiovanniBoccaccio e Matteo Villani chesi soffermano sul fenomenodella peste a Firenze. «… giàerano gli anni della fruttiferaIncarnazione del Figliuolo diDio al numero pervenuti mille-trecentoquarantotto, quandonella egregia città di Fiorenza,oltre ad ogni altra italica nobi-lissima, pervenne la mortiferapestilenza…; nascevano nelcominciamento d’essa a’ maschie alle femmine parimente o nel-l’anguinaia o sotto le ditellacerte enfiature… s’ incominciòla qualità della predetta infermi-tà a permutare in macchie nere elivide… oltre a cento milia crea-ture umane si crede per certodentro alle mura della città diFirenze essere stati di vitatolti…»36 (Decameron).

Ma dove nacque la pestilenzae come si diffuse?

La peste nera arrivò

36 G. BOCCACCIO, Decameron,Roma 1995, pp. 17 e seg.

37 Cfr. K. BERGDOLT, op. cit., pp.51 e seg.

38 I. CIAMPI, op. cit., p. 34.

1 - Tempera su tavola - (29x28) sec. XV“Antonio del…da Paciano del contado diPeruscia amalato di febre aricomanami allaMadonna della Quercia fui esaudito”

2 – Tempera su tavola – (28x21) sec. XV“Io Iuliano da Vetralla avenno trene figliuoliamalati di febre mariconamai a la nostra donnae fui liberato”

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in diverseparti d’Europaallo scopo diconvertire glianimi e diffon-dere la pace.Si può dedurrequindi, che iBianchi eranopellegrini chesi stavanorecando a

Roma per il Giubileo del 1400(naturalmente la peste duròanche nell’anno del Giubileo).

EPIDEMIE DELQUATTROCENTO A VITERBO

Solitamente le epidemie sidiffondevano in seguito a spia-cevoli avvenimenti come lecarestie e le guerre, ne sonoesempi le ondate epidemicheche colpirono Viterbo tra il 1419e il 1467, ed in particolare neglianni 1419-20, 1449-50, 1462-65.

Nel 1467 ci fu un’ulteriorepestilenza, a questo periodo risa-le il culto della Madonna dellaQuercia, in quanto, per l’inter-vento miracoloso della VergineMaria, il popolo viterbese fusanato da tale epidemia.

Da questo avvenimento, deri-vò una forte devozione verso la

della Trinità, il cardinale diMonte Maggiore ancora in S.Francesco e il cardinaleCluniacense in Santa Mariadella Verità40.

Un’altra data importante perle epidemie viterbesi è il 1399,anno in cui le cronache riporta-no il passaggio di gente vestitadi bianco, che promuoveva laconcordia tra le persone, ma chefu forse la causa di una nuovaondata di peste chiamata appun-to “Peste dei Bianchi”. Gliscritti dell’epoca evidenzianoche questa epidemia causònumerosi decessi non soltanto aViterbo ma in molte città italia-ne.

Secondo una leggenda,all’origine del movimento deiBianchi, che si vuole nato inProvenza, sarebbero alcuneapparizioni miracolose avvenute

case anguste e sudice, all’inqui-namento delle acque, alla spor-cizia delle vie e alla convivenzaabituale delle persone con glianimali.

L’epidemia a Viterbo si arre-stò nel mese di settembre,lasciando la città spopolata econdizioni economiche disastro-se; soltanto la Chiesa ne risentìmarginalmente, poiché avevabeneficiato di copiosi lasciti,effettuati da famiglie nobilidecimate dalla malattia.

La crisi durò anche l’annosuccessivo, che fu povero di rac-colti; ovunque regnava lo sgo-mento e il terrore39.

Poiché le pestilenze colpiva-no una determinata zona conuna cadenza ciclica di dieci oquindici anni, altra data dasegnalare per Viterbo fu il 1363seguita dal 1368-69, periodo incui le cronache ricordano anchenumerosi decessi di cardinali,poiché la corte pontificia in que-gli anni soggiornava a Viterbo.

Tra i decessi si trovano anno-tati quelli dei seguenti cardinalie i luoghi delle loro sepolture: ilcardinale Marco da Viterbo in S.Francesco, il cardinale diCarcassona in S. Lorenzo, il car-dinale di Saragozza nella chiesa

39 C. PINZI, Storia della città diViterbo, vol. III, Roma 1887-1993,pp. 260-262.

40 I. CIAMPI, op. cit., p. 36.

3 – AD MAL DE PONTURA (COME SEGUE)Andreas olim Antonii de Guadagninis, notariledi Montefiascone, prot. 31, c. 10 verso.

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pa”, una sorta di medicinale,forse un infuso di Scilla minor,conosciuta anche col nome diScilla Pancratium, mista avino44.

Il cronista Pier Gian PaoloSacchi segnala un’altra epide-mia nel 1475-76.

Nell’anno 1476 anche la cro-naca di Iuzzo lascia una fortetestimonianza: «… si usavanomolte crudeltà con non trovarsiche sepoltura, né trovarsi daseppellire, e anco portare sopraa scale e’ corpi… vidi patri por-tare a sepellire figliuoli e con lescale sepellire… mancando lapeste febri terzane note, overochiamate doppie. Molti ne mori-ro con subversione di stoma-co»45.

Probabilmente questa epide-mia fu la causa del decesso diNiccolò della Tuccia mentreGian Paolo Sacchi morì «dopolonga infermità di colici e flussodi sangue»46.

Dalle Riforme comunali del1476 si apprende inoltre comenella città di Viterbo si ovviasseal contagio: i Priori riunitisi colgovernatore nel palazzo di S.Francesco decretarono che

Esaminando le immagini delXV - XVI secolo, si riscontrache moltissime sono le richiestedi guarigione da stati febbrili,che si possono ricondurre adepidemie influenzali.

Le cronache riportano epide-mie anche in altri anni …daNiccolò della Tuccia leggiamo:«anno domini 1470, … seguita-va en Viterbo… granne mortali-tà de vecchi et anche de giovani,et morevano de fevre e poncto-ra…»43.

E’ opportuno a questo puntofornire una breve definizione dipontura.

La pontura viene attualmenteidentificata come polmonite.

Tale malattia ha un iniziocaratteristico: un vivo dolorepuntorio all’emitorace, da cuil’appellativo pontura. Per pon-tura si faceva riferimento ad unamalattia degli organi respiratori,pleurite, polmonite, pleuropol-monite, probabilmente anche lapolmonite infettiva. Si può sup-porre si tratti della peste polmo-nare, ma non si ha sufficientedocumentazione per dimostrar-lo. Per sanare questo tipo dimalanno si ricorreva alla “scip-

Vergine, tanto che fu eretto unsantuario in suo onore.

Cominciarono ad essereesposti sotto l’immagine mira-colosa41 una serie di ex voto ditipo diverso: tavolette, acquarel-li e argenti42. Molto utili per lostudio sulle epidemie sono statele tavolette che presentano lafigura del malato e l’interventodella Vergine col Bambino, inquanto riportano l’iscrizionedella tipologia della grazia otte-nuta (l’invocazione allaMadonna avveniva per diversimotivi, non solo per malattia).

AD FARE SPOLIARE UNA FERITA IGNUDAAD APRIRE UNA FRATURA AD MAL DI SCROFOLI ET AD MALLE DI PHISTOLE ET AD OGNE MALINAAndreas olim Antonii de Guadagninis, notarile di Montefiascone, prot. 31, c. 7 verso.

XX, pp. 114, 148-149.1890, pp. 155-156.44 S. T. DI SILVESTRO, Diario, in

R.I.S. 2, 15/5 (1902-1920),Ephemerides Urbevetanae, vol. 2,ed. L. FUMI, p. 301.

45 I. CIAMPI, op. cit., p. 413.46 G. LOMBARDI, op. cit., p. 139.47 VITERBO BIBLIOTECA DEGLI

ARDENTI (V. B. A.), Riforme,

42 A. CAROSI, G. CIPRINI, Gli exvoto di S. Maria della Quercia,Viterbo 1992, p. 9.

43 F. CRISTOFORI, Cronaca diAnzillotto viterbese dall’annoMCLXIX all’anno MCCLV conti-nuata da Nicola di Nicola diBartolomeo della Tuccia sinoall’anno MCCCCLXXIII, Roma

41 Il miracolo della scomparsa del-l’epidemia di peste dalla cittàvenne attribuito ad una tavolettache rappresenta l’immagine dellaMadonna a mezzo busto, con ingrembo il Bambino che appoggiail braccio sinistro sul seno dellamadre, e, con la mano destra, tienestretto un uccellino.

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tanto si potrebbe aver equivoca-to nell’interpretare il tipo dimalattia.RICETTE MEDICHE NEIDOCUMENTI NOTARILI DELXV SECOLO

Lo studio delle epidemie inViterbo è stato supportato daun’interessante indagine suirimedi posti in essere dallamedicina del tempo per debella-re le malattie.

Dalla consultazione di docu-menti notarili del viterbese delXV secolo, sono venute alla lucealcune importanti ricette con cuii notai accompagnavano i loro

nazionali e si nota che, nellamaggior parte dei casi, i feno-meni epidemici verificatisi inViterbo coincidono con quellinazionali. I picchi più alti dellemalattie si sono avuti infattinegli anni giubilari, quandograndi masse di pellegrini per-correvano le strade che condu-cevano alla capitale e attraversa-vano la città. Per quanto riguar-da gli anni in cui l’epidemia èsegnalata solo a Viterbo, si riba-disce che le cronache cittadinesono state spesso imprecisecirca le cause dei decessi, per-

venissero chiuse tre porte citta-dine, le altre rimaste aperte sot-toposte ad una guardia di cittadi-ni, per evitare l’accesso a coloroche provenivano dai luoghiinfetti. Furono chiuse le scuole,sospese le cerimonie nelle chie-se, per evitare di riunire uncospicuo numero di cittadini,accumulate vettovaglie fuoridelle mura, per sfamare gli abi-tanti del contado. Furono espul-si meretrici e mendicanti eallontanati dagli ospedali viter-besi tutti i ricoverati o sospetti dipeste. L’epidemia continuava adilagare e alcuni dei Prioriassunsero due becchini diOrvieto per togliere i cadaveridalle strade. Il 23 luglio si riunìun nuovo Consiglio per decreta-re pubbliche preghiere e proces-sioni con le reliquie dei Santi econ il corpo di Santa Rosa47.

Altre pestilenze furonosegnalate negli anni: 1478,1488, 1494.

Purtroppo i cronisti viterbesi,in molti casi, si sono limitati aliquidare con la generica espres-sione “grande morìa” il fenome-no epidemico, con l’impossibili-tà di separare i casi di peste dallealtre malattie. È utile confronta-re i dati viterbesi con i dati

AD DOGLIA DE DENTI AD VERMI HOC EST BACHI Giusti Bisentino senior Justus ser Luce Notarile di Montefiascone, prot. 37, c. 171 verso.

47 VITERBO BIBLIOTECA DEGLIARDENTI (V. B. A.), Riforme,XX, pp. 114, 148-149.

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comprensibili, è noto che perquesta tipologia di mali si ricor-reva ad un tipo di erba che è dif-ficile identificare.

AD FARE SPOLIARE UNAFERITA IGNUDA51

Andreas olim Antonii deGuadagninis.Tolle della tela nova et lavalacol sangue delle pore52 et deldecto panno fanne uno papiro elquale metterai in una lucerna etappicialo et vederai una bellafesta.

AD APRIRE UNA FRATURA53

Andreas olim Antonii deGuadagninis.Tolle del fele di una capra etfanne polvere et di questa polve-re mettene sulla fratura et cussisi apre.

AD DOGLIA DE DENTI54

Giusti Bisentino seniorBissuntinus Justus ser Luce.

Prendi radice de ortica etraschiala bene et poi la metti sula brascia et lassala stare multoet sia ben molla et poi la metti sunel dente et guarirà. Anque55 addicta doglia: «in nomine domininostri hic super (lettura incerta)

AD MAL DE PONTURA (COMESEGUE)48

Andreas olim Antonii deGuadagninis.

Fate che non magni cosanesciuna salvo una minestra dipanatella49 et non bevi, et si purevole bevere che bevi un poca diaqua cotta in termine di otto onove di, et quando sello sentesubito li si faccia una sdrifulatiosi lu sdrefula li stia direto etsdrefulato dinanti in nelle coste,et facto questo li si butti qatrocoppe di sangue et che dorma alcontrario dove ave el decto malesubito guarirà.

AD MAL DI SCROFOLI ET ADMALLE DI PHISTOLE ET ADOGNE MALINA50

Andreas olim Antonii deGuadagninis.

La scrofolosi (dal latino tardoscrofulae, ghiandole) è un’affe-zione delle ghiandole linfatiche,che presentano a volte nodulipurulenti e ulcerazioni.

Purtroppo la carta non è per-venuta per intero: nonostante irestauri effettuati la maggiorparte del documento è tuttorailleggibile. Da quanto si può tut-tavia dedurre dalle poche parole

atti (le ricette si trovano solita-mente o all’inizio o alla fine diun protocollo).

Da quanto è possibile dedur-re dalle annotazioni di rimediesaminati, a Viterbo, come inaltre città italiane (non è daescludere che molti notai viter-besi abbiano copiato le loro for-mule da altri ricettari) eranomolto utilizzate, per cure medi-che di ogni tipo, le erbe, allequali, fin dall’Alto Medioevo,veniva attribuito un poteremagico.

L’uso di curarsi con le piante,ovvero la “fitomedicina”, è diorigine antichissima: già l’uomopreistorico aveva imparato adistinguere in maniera empiricao casuale, erbe, radici, foglie,frutti e semi commestibili daquelli velenosi, per cibarsi, otte-nere benefici sulla salute ed ascopo difensivo.

E’ interessante riportare alcu-ni rimedi tratti da protocollinotarili dell’epoca. I notairedattori delle trascrizioni sono:Andrea Guadagnini e GiustoBisentino, entrambi diMontefiascone.

AD FARE BONA TENTA AD LEVARE (LICHIA) DE OMNE TENTASAPONE ODORIFORO Giusti Bisentino senior Bissuntinus Justus ser Luce,notarile di Montefiascone, prot.39, c.2 recto.

54 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 37 (1497-1499), c. 171 verso.

Montefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 7 verso.

52 Pore stanno probabilmente perpori: orifizi della pelle in cuisboccano le ghiandole sudoriparee sebacee.

53 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 7 verso.

48 ARCHIVIO DI STATO DIVITERBO (A. S. V.), notarile diMontefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 10 verso.

49 Minestra fatta con pane.50 A. S. V., notarile di

Montefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 7 verso.

51 A. S. V., notarile di

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La medicina a Viterbo nel Trecento e Quattrocento: epidemie, espedienti e cure

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Bissuntinus Justus ser Luce.Recipe libre quatro de sapo-

ne facto senza fuoco ut (sai) etpestalo bene in uno mortaro, etpoi mescici dentro una oncia depolvere de viole de mammola etpesta insieme, poi mescici unaoncia de carofani et un poco decanfora et una oncia de zenna-nio et una oncia de anisi pesticon una oncia flore de mimoseet un poco de mosto stemperatocon aqua rosata tepida, et pestaomne cosa; fa palla de rossosapone.

AD FARE BONA TENTA61

Giusti Bisentino seniorBissuntinus Justus ser Luce.

In primis pigliarai unobochale de vino acetoso, recipeonce quattro de galla, recipeonce quattro de vetriolo roma-no, recipe once tre de gombaarabica et mesticale insieme; fabona tenta.

AD LEVARE (LICHIA) DEOMNE TENTA 62

Giusti Bisentino seniorBissuntinus Justus ser Luce.

Recipe sal ammonio, vetrio-lo, suco de lamboni et fanneaqua, poi con uno pestello pista-lo supra la (lichia) et leverando-si via.

A FARE COLORE63

Andreas olim Antonii deGuadagninis.

Ancora una volta gran partedella carta è andata perduta enon è possibile riportare perintero la ricetta, tuttavia si leg-gono, anche se con difficoltà,due ingredienti: mele e aceto.

Guadagninis. Habi una poca di salvia et

pestala in una (testo deleto) pol-vere et tritala et poi habi unopochi di virmicelli che stannosotto alli sassi, metteli in scudel-la di aceto forte di vino et lavalibene in dui volte et pestali nellomortaro di aqua di vite et mesti-cale polvere supra. Facta reci-pe.

AD MAL DI DOGLIE E DIPODAGRA59

Andreas olim Antonii deGuadagninis.

Purtroppo lo stato di conser-vazione del documento non per-mette di riportare la ricetta, ci silimita dunque ad indicare il tito-lo.

La diffusione del mais comealimento di base a partire dalXV secolo provocò l’insorgeredi una devastante malattia dacarenza nutrizionale chiamata“pellagra”, che si manifesta condermatiti e diarrea. La causadella pellagra pose per secoli unenigma medico fino a quandogli scienziati del ventesimosecolo spiegarono il mistero. FuColombo nel 1492 a scoprire ilmais nel Nuovo Mondo e a por-tarlo in Spagna da dove si diffu-se in tutta Europa, Africa setten-trionale, Medio Oriente, India eCina.

I protocolli notarili esamina-ti, oltre a ricette mediche, neriportano alcune di erboristeria edi alchimia che è utile trascrive-re qui di seguito.SAPONE ODORIFORO60

Giusti Bisentino senior

virgo nostri egregia pro nobisAppollonia funde preces addominum ne procreati divinummorbo gravamine dentium(imposit) et oculorum, et est per-fectissima recepta»56.

AD VERMI HOC EST BACHI 57

Giusti Bisentino seniorBissuntinus Justus ser Luce.

Recipe olio petrolio et ongela bocha dello imbricolo per lenare del naso, ancora ongini lipolsi et fanni mondi lupini, itemad piglia su nel dente et torchacon questo stesso li nari delnasu et li polsi guarirà et proba-tum est.

AD MAL DE FEVRE CONTI-NUA ET TERZANA ET INOMNIA MODO (COMESEGUE)58

Andreas olim Antonii de

1502), c. 2 recto.62 A. S. V., notarile di

Montefiascone, prot. 39 (1499-1502), c. 2 recto.

63 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 7 recto.

1497), c. 11 verso.59 A. S. V., notarile di

Montefiascone, prot. 31 (1495-1497), c. 8 verso.

60 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 39 (1499-1502), c. 2 recto.

61 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 39 (1499-

55 Sta per anche.56 Le parole della preghiera rivolta a

S. Apollonia sono le stesse utiliz-zate in altre ricette dell’epoca.

57 A. S. V., notarile diMontefiascone prot. 37 (1497-1499), c. 171 verso.

58 A. S. V., notarile diMontefiascone, prot. 31 (1495-

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REFERENZE BIBLIOGRAFICHEDELLE IMMAGINI

1 Tempera su tavola – (29x28) sec. XV- G. CIPRINI, A. CAROSI, Gli ex votodi Santa Maria della Quercia, Viterbo1992.

2 Tempera su tavola – (28x21) sec. XV- G. CIPRINI, A. CAROSI, Gli ex votodi Santa Maria della Quercia, Viterbo1992.

3 AD MAL DE PONTURA (COMESEGUE) Andreas olim Antonii deGuadagninis, notarile di Montefiascone,prot. 31, c. 10 verso; Archivio di Stato diViterbo (A.S.V.).

4 AD FARE SPOLIARE UNA FERITAIGNUDA; AD APRIRE UNA FRATU-RA; AD MAL DI SCROFOLI ET ADMALLE DI PHISTOLE ET AD OGNEMALINAAndreas olim Antonii de Guadagninis,notarile di Montefiascone, prot. 31, c. 7verso; A.S.V.

5 AD DOGLIA DE DENTI; ADVERMI HOC EST BACHI GiustiBisentino senior Justus ser Luce, notariledi Montefiascone, prot. 37, c. 171 verso;A.S.V.

6 AD FARE BONA TENTA; ADLEVARE (LICHIA) DE OMNETENTA; SAPONE ODORIFORO GiustiBisentino senior Bissuntinus Justus serLuce, notarile di Montefiascone, prot.39,c.2 recto; A.S.V.

BIBLIOGRAFIA GENERALE

FONTI MANOSCRITTE

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Viterbo, Archivio di StatoProtocollo 37, c. 171 verso, notarile diMontefiascone, Giusti B. senior Bissun-tinus Justus ser Luce.

Viterbo, Archivio di Stato,Protocollo 39, c. 2 recto, notarile diMontefiascone, Giusti B. senior Bissun-tinus Justus ser Luce.

Viterbo, Archivio di Stato,Protocollo 31, c. 7 recto, c. 7 verso, c. 8verso, c. 10 verso, c. 11 verso, notarile diMontefiascone, De Guadagninis A.

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