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della provincia di Cuneo valli occitane guida delle NUOVO, DA SEMPRE.

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della provincia di Cuneovalli occitaneguida delle

N U O V O , D A S E M P R E .

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La linea verde delimita la parte del territorioche è di competenza dell’A.T.L. del Cuneese.

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SOMMARIO

L’Occitania pag. 3Benvenuti nelle Valli Occitane della Provincia di Cuneo! » 4L’Occitania a piedi » 5

VALLI PO, BRONDA, INFERNOTTO » 6I nomi del Monviso » 7Dal Mombracco al Buco di Viso » 8Alla scoperta dell’alta valle » 9Pittori in cammino » 10Fede religiosa e leggende » 11

VAL VARAITA » 12Artigianato “solare” » 13Sotto il Colle dell’Agnello » 14Casteldelfino e il bosco dell’Alevé » 15Poesia e nastri colorati » 16Gigli e delfini » 17Mistà e danza » 18I suoni della valle » 19

VAL MAIRA » 20Un’inglese a Dronero » 21Grandi maestri » 22I ciciu del Santo » 24Musei di valle » 26Nel paese di Matteo Olivero » 27Mangiar d’oc » 28Uno “spazio” tutto occitano » 29

VALLE GRANA » 32Formaggio Castelmagno » 33Santuario di Castelmagno » 34Novè » 36Feste in Coumboscuro » 37Sulle tracce di Pietro » 38Caraglio: seta, musica e arte » 39

VALLE STURA » 42Musei in quota » 43Vinadio in movimento » 44Frontiere di burro » 45Memoria delle Alpi in guerra » 46Le meraviglie di Pedona » 47Percorsi letterari e leggende » 48

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VALLE GESSO pag. 52L’orso e la segale » 53Memorie reali a Valdieri ed Entracque » 54Sulle tracce di lupi e gipeti » 57Le Parlate, teatro d’oc » 58Gastronomia di valle » 59Storie di pastori e migranti » 60

VAL VERMENAGNA » 62I Forti di Tenda » 63Ubi stabant cahtari » 64Pinocchio a Vernante » 65Il genio di Nòto e Jòrs » 66Paglia poesia parole » 67

VALLI AI PIEDI DELLA BISALTA » 68Stazioni botaniche » 69La certosa nei boschi » 70Collezione fotografica al Parco » 71Uomini illustri di Peveragno » 72Musica nuova con i Gai Saber » 73

VALLI DEL KYÉ » 74Itinerario partigiano » 75Montagne bucate e mestieri d’un tempo » 76L’arte di Giovanni Mazzucco » 77Civiltà e gusti dell’alpe » 78

BRIGASCO » 80Un santuario del neolitico » 81Foreste e villaggi arcaici » 82Paradiso di speleologi e botanici » 83

Indirizzi Utili » 84

Redazione dei testi: introduzione e Valli Po, Bronda, Infernotto, Valle Varaita, Valle Maira,Valle Gesso a cura di Leda Zocchi (Ass. Arealpina); Valle Stura, Valle Grana, Valle Vermenagna,

Valli della Bisalta, Valli del Kyè, Valli del Brigasco a cura di Fredo Valla (Ass. Arealpina)

Materiale fotografico: A.T.L. del Cuneese, C.M.Valli Po, Bronda, Infernotto, C.M.Valle Varaita,C.M. Valle Maira, C.M.Valle Stura, C.M. Valli Monregalesi, C.M. Alta Val Tanaro,

Ass. Culturale Marcovaldo, Chambra d’Oc, Coumboscuro Centre Prouvençal, Espaci Occitan,Parco Naturale Alpi Marittime, Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro,Terme di Vinadio,

Tiziana Aimar, Elisa Bono, Massimiliano Fantino, Roberto Gaborin,Laura Martinelli, Daniela Salvestrin, Marco Toniolo

Progetto grafico: Madisonadv - Cuneo - www.madisonadv.it

Stampa: TEC Arti Grafiche - Fossano - www.tec-artigrafiche.it

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L’OccitaniaL’Occitania è uno dei più vasti spazi linguistici europei.

Si estende su tre stati, Francia, Spagna, Italia, con una superficie di circa

200.000 kmq e una popolazione che supera i 10 milioni di abitanti.

In Italia, oltre che nelle Valli occitane piemontesi delle province di Cuneo

e Torino, comunità occitane si trovano in Liguria, a Triora e Olivetta San

Michele. Un’isola linguistica occitana di antichissima emigrazione è in

Calabria, a Guardia Piemontese.

Il nome Occitania è molto antico: risale per lo meno al XIV secolo, citato in

vari documenti.Nel medievo la poesia dei trovatori diede lustro alla lingua

d’oc,che ebbe prestigio anche fuori dal suo territorio: in Galizia,Catalunya,

Italia, Germania, Ungheria. Dante Alighieri, ad esempio, l’ebbe in

grandissima stima: nel Convivio (I, 13) disquisisce sul “prezioso parlare di

Provenza”e nella Divina Commedia (Purgatorio,Canto XXVI) usa l’occitano

per far parlare il trovatore Arnaud Daniel, definito “il miglior fabbro del

parlar materno”.

Nei tempi moderni,Frederi Mistral (1830 -1914),poeta provenzale,ottenne

per la sua opera in occitano il Premio Nobel per la letteratura (1904).

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Benvenuti nelle Valli Occitane della Provincia di Cuneo!Ci troviamo nell’estremo lembo orientale dell’Occitania, territorio

linguistico che si colloca per la maggior parte nel sud della Francia e si

estende fino alla piccola valle d’Aran in Catalunya (Spagna). Qui da noi

l’Occitania, con le sue tredici valli in territorio piemontese, con il suo

paesaggio aspro e montuoso, si differenzia dal resto del territorio

occitano. Arrivando dalla pianura padana, le valli si aprono a ventaglio

verso ovest: la corona di cime chiude l’orizzonte tingendosi di un tenue

rosa nelle prime luci del mattino e scomparendo in controluce nel cielo

della sera.

Rimaste poco accessibili per lungo tempo, le valli hanno sviluppato

peculiarità proprie, tanto nella lingua quanto nelle tradizioni. Ma chi

pensasse a questi luoghi come a dei mondi isolati sbaglia: sentieri e strade

sono state percorse incessantemente, fin dal Medioevo, da un versante

all’altro, sia in quello che oggi è territorio italiano, sia verso il territorio

francese.Prova ne sono la lingua d’oc che accomuna queste genti, il lascito

artistico dei pittori che vi hanno operato, i mestieri itineranti che

portavano le genti dal mare Mediterraneo alla montagna, da una valle

all’altra, dalle montagne alla pianura padana e oltre.

Le montagne richiedono un passo lento e costante nel risalire verso la

cima. Così ci vuole pazienza per scoprire, nei villaggi, nelle frazioni, nelle

vallette laterali, le bellezze di questo territorio che domanda di essere

percorso senza fretta, con occhio attento e passo silenzioso per cogliere

la natura del luogo e i segni dell’uomo che ha cercato di viverci.

Le tredici valli conservano un patrimonio di bellezze naturali, geologiche,

di carsismi, di flora, di fauna, di cultura architettonica, musicale, letteraria,

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La bandiera dell’Occitania

di tradizioni culinarie.Purtroppo,a causa dello spopolamento vissuto dalla

fine della seconda guerra mondiale in poi, il mantenimento di queste

ricchezze è affidato a un numero fin troppo esiguo di persone. Spesso i

prati lasciano il posto alla macchia, i caprioli e i cinghiali si riprendono il

terreno destinato agli orti.

Una nuova consapevolezza del rispetto e della tutela sia dell’ambiente sia

delle tradizioni ha fatto sì che venissero costituiti parchi naturali e che

sorgessero musei del territorio per conservare la memoria di ciò che è

stato e ribadire che la montagna è una ricchezza che non dobbiamo

lasciarci sfuggire di mano.

(Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv.page)

L’Occitania a piedi

Nel settembre 2008 è stato inaugurato un percorso in 60 tappe,

denominato Occitania a pè. La partenza è da Vinadio in Valle Stura e

l’arrivo è alla Vielha in Val d’Aran. L’itinerario supera le Alpi e i Pirenei, si

snoda per colline e valli,attraversa località storiche e trasmette l’emozione

della poesia dei trovatori e di una lingua che è patrimonio dell’umanità

(Info: www.chambradoc.it/LeAdesioni.page).

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Valli Po, Bronda, InfernottoLa Valle Po è una delle più corte valli occitane. Collocata al centro del

ventaglio che idealmente formano queste vallate, in poche decine di

chilometri raggiunge i 3841 m.s.l.m. con la cima del Monviso che domina

l’orizzonte verso occidente.

Si trova qui la parte più alta del Parco del Po Cuneese, posto a tutela delle

sorgenti del Po e della flora e fauna caratteristiche dell’ambiente

montano,ma anche di quello umido,che con le torbiere caratterizza alcuni

di questi alti pianori.

Già in epoche remote la valle conobbe insediamenti, di cui rimangono

ancora le incisioni rupestri che ci parlano di uomini e di donne in

preghiera verso il sole, la luna, le stelle. Alcune delle più significative si

trovano sul Mombracco,montagna dalla caratteristica forma arrotondata

che chiude la vallata nella parte più bassa. Altre testimonianze (coppelle)

si possono vedere sul versante opposto della valle a Bric Lombatera.

Numerosi siti ci parlano della civiltà contadina e pastorale, delle lotte di

religione che non risparmiarono neppure la valle Po, della devozione

religiosa che ha lasciato piloni, cappelle e luoghi di culto nei punti più

belli della valle, come il santuario di San Chiaffredo.

Il monachesimo medievale in Valle Po ha due siti di notevole pregio a

Staffarda e Rifreddo.

La storia ha segnato questi luoghi anche in epoche più recenti, ai tempi

della guerra partigiana, che in Valle Infernotto e in alta Valle Po iniziò

subito dopo l’8 settembre 1943.Alcuni dei sentieri percorribili ancor oggi

sono stati utilizzati dai partigiani, come in precedenza dalle carovane del

sale, dagli emigranti, dai pellegrini e dai cavatori di pietre.

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I nomi del Monviso

Il Monviso ha sempre suscitato nelle genti che lo hanno ammirato da

lontano e da vicino un certo reverenziale timore, tanto che gli antichi lo

credevano la montagna più alta del mondo.

Viene citato da Virgilio nell’Eneide, come Vesulus. Anche Dante, Petrarca e

Leonardo da Vinci ci raccontano la meraviglia che suscitava il Monviso. G.

Chaucer lo citò nei “Racconti di Canterbury” e Stendhal ne “La Certosa di

Parma”.

Il Monviso fu scalato per la prima volta dall’inglese Matthews nel 1861 e

nel 1863 da Quintino Sella che qui decise di fondare il C.A.I. Oggi nuovi

orizzonti per un turismo a misura d’uomo nascono dalla riproposta degli

antichi sentieri che attraversano boschi e borgate, che uniscono pascoli e

baite:“Orizzonte Monviso” è un percorso ad anello nell’Alta Valle Po con

deviazioni per scoprire realtà storiche e artistiche nascoste.

(Info: Ufficio Turistico Valle Po / Comunità Montana - www.vallipo.cn.it -

www.chambradoc.it/paesana/paesana.page)

Il Monviso

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Dal Mombracco al Buco di Viso

Si accede al Mombracco dai comuni di Sanfront,Rifreddo,Paesana,Barge,Envie, Revello.Questa particolare formazione geologica dalla forma a cupola che lacaratterizza è chiamata anche Montagna di Leonardo perché il genioitaliano parlò con ammirazione delle sue cave di pietra. Ancora oggi lamontagna è sfruttata per la sua famosa quarzite rosa, di cui si può vederel’estrazione sulla cima.Un percorso ad anello, denominato “Sentiero di Leonardo”, permette diritrovare su alcuni massi a mezza costa, che dominano la vallata, incisionie coppelle preistoriche. Infatti il Mombracco è stato abitato fin dalneolitico,anche per la presenza di grotte e ripari sotto roccia che offrironorifugio ai pastori ed alle loro famiglie. L’ultimo di questi ripari, abitato finoagli anni ’60 del secolo scorso, è Balma Boves, nel comune di Sanfront, lecui case sono state da poco trasformate in museo del territorio. Qui sonoconservati attrezzi e strumenti utilizzati dalla civiltà contadina che vivevadi pastorizia e castagne, con piccoli orti sui pendii digradanti (Info:www.marcovaldo.it).Risalendo la valle si costeggia il Po, che qui scorre ancora impetuoso ericeve il suo primo affluente, il Lenta, che scende da Oncino.Si giunge cosìall’ultimo paese della valle: Crissolo. Una strada a tornanti (parzialmentechiusa d’estate per evitare l’eccesso di veicoli nell’alta parte del Parco delPo e percorribile con un comodo bus navetta) conduce fino a Pian del Re.Qui si allarga la torbiera in cui il Po, uscito da sotto uno degli enormi massiscesi dal Monviso, percorre i suoi primi metri e dove vive la salamandranera, simbolo di questo territorio. Da Pian del Re numerosi sentiericonducono sulle cime circostanti: il Monviso, Punta Roma, Punta Udine eGranero e ai laghi che si estendono ai loro piedi.Incamminandosi da Pian del Re, un sentiero porta al Buco di Viso, primotunnel delle Alpi, risalente al 1478 quando il Marchese di Saluzzo perpotenziare il commercio del sale che arrivava dal delta del Rodano, decisedi facilitare il percorso alle carovane e di creare un passaggio più sicuro epiù breve sotto il Colle delle Traversette. In pochi anni il tunnel fu ultimato.Purtroppo la decadenza del Marchesato e gli inverni più rigidi dei secoliseguenti resero meno frequentato il Buco di Viso che solo recentementeè stato riaperto al passaggio, seppur in parte difficoltoso sul lato francesea causa di una frana non completamente rimossa.

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Alla scoperta dell’alta valle

A Crissolo sorge il Santuario di San Chiaffredo, in occitano Chafre, Jaufre

nel medioevo.

La festa del santo si celebra a settembre.La tradizione identifica Chiaffredo

con un soldato romano della Legione Tebea,come i commilitoni Maurizio,

Magno, Ponzio, Dalmazzo, Costanzo, Mauro, Pancrazio, santi tipici della

montagna occitana.

Alcuni fuggirono verso le valli del Monviso, dove Chiaffredo, inseguito dai

pagani, fu martirizzato. I numerosi ex voto esposti nel santuario

raccontano guerre, dolori e speranze del popolo di queste montagne.

Il ciclo della vita, il lavoro dei campi, la stalla, la scuola, le tradizioni sono

illustrati nel Civico Museo Etnografico di Ostana (Info: Comune di Ostana

0175.94915 – www.reneis.org), con attrezzi, oggetti, ricostruzioni di

ambienti e fotografie con didascalie in occitano e italiano.Da non perdere,

in giugno, la presentazione dei quaderni tematici del Museo, a cura

dell’Associazione “I Rënéis”.

A Ostana fervono iniziative comunitarie: feste campestri, canti corali,

concorsi di letteratura, raduni di alpini, mostre fotografiche e cura

dell’ambiente.Un lavoro attento ha trasformato il paese in un laboratorio

di architettura alpina e per queste caratteristiche Ostana ha ricevuto il

riconoscimento per “I Borghi più belli d’Italia”.

Sulla destra dell’asse vallivo, Oncino è stato per secoli il comune più

importante dell’alta valle, grazie ai pascoli e all’abbondanza di bovini. Nel

medioevo i monaci di Staffarda vi portavano le mandrie a pascolare.

Presso il lago dell’Alpetto sorse il primo rifugio del Club Alpino Italiano,

oggi affiancato da un nuovo edificio. Sui crinali c’è il Buco delle Fantine,

fate piccole e pelose, ma operose e pulitissime, che al mattino facevano il

bucato e i montanari, dalle case, vedevano i loro panni stesi ad asciugare.

Da Oncino partono numerosi sentieri che oltrepassano il crinale verso la

Valle Varaita.

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Pittori in cammino

Paesi e borgate della Valle Po nascondono piccoli tesori di arte popolare.

Un artista originale operò fra Settecento e Ottocento: si firmava Giors

Boneto pitore di Paizana, dal nome del suo paese natale. Fu pittore

itinerante,esponente di quella schiera di artisti contadini che affrescavano

soggetti sacri sui piloni e sulle facciate delle case in cambio di pochi

denari, sovente della sola ospitalità.

Giors Boneto dipinse dalla natia Valle Po fino alle pendici della Bisalta.

Profonda fu la sua conoscenza della tecnica dell’affresco che si

accompagnava alla vastità dei soggetti: santi, Madonne, Cristo in croce,

deposizioni, cherubini, serafini… Il suo stile naïf, ma personale, è

riconoscibile a distanza di secoli.

In Alta Valle, opere di Boneto si possono vedere a Crissolo, Oncino, Ostana

e Paesana: 44 affreschi firmati o attribuiti a partire dal 1780. E ancora più

numerose sono le opere reperibili nella bassa valle Po e nelle vicine Varaita

e Maira. Dobbiamo allo studioso Gianni Aimar, il censimento e la

catalogazione del lavoro di questo artista.

Pittore di buona scuola accademica fu invece Giovanni Borgna “Netu”

(1854-1902). A Martiniana Po si trovano la casa natale, con lapide

celebrativa sulla facciata, e la tomba di famiglia da lui stesso affrescata.

Cresciuto sui banchi dell’Accademia delle Belle Arti di Torino, Borgna

affrontò cicli di affreschi complessi e impegnativi in cappelle e chiese delle

valli, della pianura vicina, fino al ponente ligure.

In valle Po, la sua opera si può ammirare a Pratoguglielmo, Paesana,

Sanfront, Envie, Calcinere, Rocchetta. Scorrendo l’elenco delle località e

delle opere dipinte nella sua breve carriera si rimane meravigliati

dall’attività frenetica del pittore: sono più di quaranta i luoghi delle

province di Cuneo, Imperia, Savona,Torino e Asti che conservano affreschi

dell’artista.

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Fede religiosa e leggende

Staffarda, Rifreddo, Revello e Barge furono sede di abbazie che oggi sono

tra i monumenti medievali di maggior rilievo e la cui visita ci trasporta

nell’epoca d’oro del Marchesato di Saluzzo.

Ancor più antico è il Monastero di Pagno, fondato dai Longobardi, asilo di

Beatrice, figlia del re Desiderio. Per lei i monaci dettarono un’epigrafe

ispirata ai versi di Virgilio. L’importanza di Pagno venne meno nell’825

quando l’abbazia fu affidata all’abate valsusino della Novalesa.

Dopo il mille, al termine delle scorrerie saracene, la famiglia marchionale

contribuì alla fondazione di nuovi centri monastici. Nel XII secolo

Manfredo I di Saluzzo chiamò i cistercensi a Staffarda, tra Saluzzo e

Revello. L’abbazia crebbe in possedimenti: un inventario della seconda

metà del XII secolo rivela la consistenza del suo scriptorium, compren-

dente importanti codici miniati. In seguito i marchesi patrocinarono la

creazione a Rifreddo del Monastero femminile di Santa Maria della Stella,

di cui sono visibili la facciata della chiesa e alcuni muri con pregevoli

manufatti in terracotta. A Revello, nel 1291, Tommaso I di Saluzzo e la

moglie Aloisia di Ceva istituirono il Monastero delle Domenicane di Santa

Maria Nova. Un monastero (il Convento della Trappa) sorse nel XIII secolo

ad opera dei Certosini sul Mombracco.

Oggi l’eredità delle abbazie del Marchesato è raccolta dal nuovo

Monastero Cistercense di Pra d’ Mill, immerso nei boschi di castagni sulle

montagne di Bagnolo Piemonte (Info: www.dominustecum.it).

La cristianizzazione del territorio, così evidente in chiese, cappelle e centri

monastici, cela credenze più arcaiche. La mitologia delle antiche società

agro-pastorali è sopravvissuta in forma orale con figure sovrannaturali,

alcune benigne, altre spaventose. Oltre alle fantine dell’alta valle, che

insegnarono alle donne a tessere e a cucire, alle masche pelose e

dispettose delle grotte del Mombracco, le leggende raccontano di uno

zoo fantastico che va dal gatto pitois, con gli occhi di fuoco, alla serpe

crestata di Envie, all’uccello pitapenas dei paesi dell’Infernotto, al terribile

ravas, mangiatore di uomini che viveva in una grotta nei boschi di Barge,

in una località dove nel Medioevo sorse una cappella intitolata alla

Madonna della Rocca.

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Val VaraitaLa Val Varaita è attraversata dall’antica strada per la Francia che porta al

Colle dell’Agnello. Si estende da Piasco a Chianale.

Il centro della valle è Sampeyre, cioè San Pietro, da Peire in occitano.

Un evento di grande richiamo è la Baia di Sampeyre:si celebra ogni cinque

anni nei giorni di carnevale per ricordare la cacciata dei Saraceni dalla Val

Varaita, avvenuta verso l’anno mille secondo la tradizione.

Partecipano alla sfilata centinaia di figuranti, organizzati come un esercito

con comandanti, guardie, cavalleria, fanti e i sapeurs che abbattono le

barriere di tronchi lasciate dai Saraceni in fuga e bandiere (esposte nel

Museo etnografico - Info: www.comune.sampeyre.cn.it). Anche i perso-

naggi femminili sono riservati agli uomini. Il tutto in un tripudio di nastri

ricamati a fiori, rosazze e coccarde di seta, accompagnati dalle musiche e

dai balli occitani.

A Bellino, Blins, più in alto nella Val Varaita, la baia si celebra ogni tre anni.

Il cerimoniale rimanda ai miti primaverili e solari, propri delle comunità

agricole arcaiche con i loro simboli di fertilità, mentre è pressoché assente

l’aspetto militare caratteristico della baia di Sampeyre.

Una baia minore si celebrava anche a San Maurizio di Frassino.

A Sampeyre, Casteldelfino e Pontechianale lo sviluppo turistico degli

anni Sessanta ha in parte alterato l’architettura originale, ma gli edifici

storici dei paesi e delle borgate mostrano ancora l’ampia varietà di

soluzioni architettoniche del passato. In località Tè-nòu, sopra Torrette di

Casteldelfino, presso un lariceto, sorge l’unica frazione con i tetti

parzialmente coperti a scandole (assicelle di larice).

Nella valle si trova il Santuario di Valmala, dedicato alla Madonna della

Misericordia e meta di pellegrinaggi, sul luogo dove la tradizione vuole

che il 6 agosto 1834 la Madonna si sia rivolta ad alcune innocenti

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pastorelle in occitano. Essa apparve come una “signora piangente”.

Punto di accoglienza turistica è la Porta di Valle (Info: Via Provinciale -

12020 Brossasco - Tel. 0175.689629 - www.segnavia.piemonte.it), con

caffetteria, libreria specializzata in editoria locale, montagna, cartine del

territorio, prodotti locali, e sede dell’agenzia turistica Segnavia che fa

incoming e propone pacchetti turistici in valle Varaita, nelle altre valli

occitane e nel saluzzese.

Artigianato “solare”

Caratteristica valligiana è la produzione di mobili rustici in uno stile

ispirato al mobilio di un tempo e detto “Val Varaita” benché i decori,

risalenti ai culti primordiali del sole e delle acque, siano comuni a tutto

l’arco alpino e si ritrovino nelle civiltà antiche del Mediterraneo. Madie,

cassapanche, oggetti scolpiti del Queyras e della valle Varaita oggi sono

nei Musei di Grenoble, Gap e Cuneo e in molte collezioni antiquarie

d’Europa e d’America.

Architettura tipica a Chianale

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Sotto il Colle dell’Agnello

Chianale, a pochi km dal confine con la Francia, è il più alto paese della

valle, dominato dal Colle dell’Agnello (2748 m). Il paese è stato

riconosciuto fra “I borghi più belli d’Italia”. La sua architettura alpina è

valorizzata dalle case in pietra, dalle lose dei tetti, dal ponte romanico che

unisce le due parti del paese, attraversato dal fiume Varaita e dalle chiese

risalenti agli anni del Delfinato.

A Chianale convissero abbastanza pacificamente cattolici e ugonotti: di

fianco alla chiesa romanica di Sant’Antonio si trova una casa medievale

indicata come tempio protestante.

Il paese conserva con orgoglio le sue caratteristiche occitane, i toponimi

e la parlata della gente. Nel Medioevo gravitò nell’orbita di Briançon,

facendo parte assieme agli altri comuni dell’alta valle, all’Alta Val Chisone,

alla Valle di Oulx e al Queyras, della Repubblica degli Escartons,

un’esperienza di autonomia sopravvissuta fino al 1713, allorché i territori

al di qua delle Alpi furono uniti ai possedimenti dei Savoia,oggi riproposta

dalla proficua collaborazione fra Comunità Montana, i Comuni e il Parco

del Queyras con progetti di tipo culturale, turistico ed economico.

Una ricetta tipica di Chianale e della Val Varaita sono le raviole,preparate con patate e toma, formaggio fresco di latte di mucca.Eccocome:cuocere 1,5 kg di patate,passarle e mescolarle a 500 g di toma.Aggiungere un uovo e impastare. Aggiungere quindi 500 g di farinafino ad ottenere un impasto consistente.Tagliare la pasta a fette di 3

cm. Infarinare la tornoira (tavola di legno daibordi alti) e formare dei rotolini di 2 cmdi diametro. Tagliare quindi a pezzettiarrotolando con il palmo della mano

nella tipica forma a fuso delle raviòlas.Disporle sul tavolo e cospargerle di farina.Cuocere

in acqua bollente salata e quando tornano a galla raccoglierle con laschiumarola. Condire le raviòlas con panna e burro fuso.

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Casteldelfino e il bosco dell’Alevé

Si chiama Alevé il bosco di pini cembri, elvo in occitano, sui monti diCasteldelfino e Sampeyre, fino ai 2700 m di quota: è una delle cembretepiù estese delle Alpi, percorsa da sentieri che fanno capo al lago Bagnour,dove sorge un piccolo rifugio per escursionisti. Già nel 1387 gli statuti diCasteldelfino vietavano lo sfruttamento del bosco. Una passeggiatanell’Alevè può farci incontrare volpi,camosci,marmotte e lepri.Un animaletipico, seppur difficile da incontrare, è la civetta capogrosso, mentre nelleore calde della giornata è possibile scorgere il volo lento della poiana.I pinoli (garilhs) del cembro si mangiavano e davano olio per le lanterne.Con le gemme si facevano suffumigi per le vie respiratorie e con la resinasi preparavano balsami e confetti medicamentosi. Il legno del cembro eraadatto alla fabbricazione delle suole in legno (seps) degli zoccoli, calzatidai bambini e dagli anziani che ne apprezzavano la leggerezza e il calore.Soprattutto veniva usato per il mobilio: madie, cofanetti, tavoli, sedie,cassapanche. La sua pasta tenera si prestava all’intaglio dei motivitradizionali derivanti da primitivi culti solari: rosazze, serpentine, spirali.Il Museo del Mobile, a Castello di Pontechianale (Info: tel. 348.7125650 –349.1466050), allestito in una dimora tradizionale, raccoglie esempi dimobili e decorazioni che i contadini della valle Varaita seppero svilupparenei secoli con fitti intagli simili a ricami.Ancor oggi la Val Varaita si distingueper le numerose aziende artigiane specializzate nel mobile rustico conattenzione sia alle forme tradizionali sia al moderno design.

A Casteldelfino, il centro visita dell’Alevè (Info: Parco del Po, tel.0175.46505) offre un campione di foresta con gli animali tipici: gufo reale,capriolo,marmotta, lepre,cinghiale e prepara all’escursione nella cembreta.L’inverno è il periodo migliore per assaporarne i silenzi, rotti dai richiamidella nocciolaia, uccello che dimentica i nascondigli dove ripone i pinoli,assicurando in questo modo la propagazione naturale del bosco. Accantoal centro visita lo Spazio Escartons, dove è possibile ricevere informazionistoriche. Nella chiesa di Sant’Eusebio, ai piedi dei ruderi del castellodelfinale,si trova il Museo della Religiosità Popolare,dedicato ai santi dellevalli occitane.

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1617

Poesia e nastri colorati

Alla letteratura occitana contemporanea la Val Varaita ha dato due poeti:

Tavio Cosio di Melle e Antonio Bodrero (Barba Tòni Baudrier) di Frassino

(Info: www.chambradoc.it/melle/melle.page).

Il comune di Melle dedica a Tavio Cosio una manifestazione annuale con

passeggiata letteraria nei luoghi che hanno ispirato la sua poesia e i suoi

racconti. La sua opera è reperibile nelle librerie locali.

Antonio Bodrero fu poeta, sostenitore della causa occitana e del

piemontese. Stupiva per il suo anticonformismo. Chi lo ha conosciuto lo

ricorda come un sapiente (barba appunto), ipnotico nel conversare di

lingua, religione, politica, origine e storia delle parole.

Alla apparente semplicità dei suoi versi si intreccia una grande profondità

di pensiero. Sono versi che attingono ai misteri della montagna, alle

divinità ancestrali e al mondo naturale. Poeta di paesaggi, pose sotto le

barme le dimore dei sarvanòts (fauni), nei ciliegi infiorati vide focolari

accesi alla gloria di Dio, nelle stelle i lumi delle baite dei trapassati…:

“Que de quiar, benèit i ouèi, quouro n’er’un per meiro

e la nouèch e i vitoun treiàven a fa’ stéle;

dihen encàa i estéle quouro grinoùr i bòouco:

Bafarà, mé pa tro; qui crè pa vène a vèire: nous sén i quiàr di meire, nove,

di vosti rèire”.

(Quante luci, benedetti gli occhi, quando ce n’era una per baita / e la

notte i montanari giocavano a far stelle; / dicono ancora le stelle

quando amore le guarda: / “Ridete forte, ma non troppo; chi non crede

venga a vedere: / noi siamo le luci delle baite, nuove dei vostri avi”)

Di Bodrero è in preparazione l’opera omnia.

In particolari giorni di festa le donne di Casteldelfino, Pontechianale,

Bellino e Sampeyre indossano il costume con cuffie lavorate al tombolo,

scialli e grembiuli di seta su pesanti abiti neri di foggia monacale. L’abito

è ornato da bindels (nastri). A Sampeyre e a Frassino la cuffia è spesso

sostituita da un fazzoletto (mochet de la testa). Caratteristico è l’abito

dell’alta valle detto gonela con tre piegoni sul lato posteriore. L’oreficeria

che completa l’abbigliamento è costituita da un lungo giro di grani dorati

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con cuore o croce in oro.Rare sono le occasioni in cui gli uomini indossano

l’antico costume: un abito nero con giacca a code, calze bianche al

ginocchio e feluca.

Gigli e delfini

Sono simboli che compaiono, incisi nella pietra, sulle fontane, sui capitelli,

sopra gli architravi nei paesi della Castellata: Casteldelfino, Pontechianale,

Bellino.

Il delfino ricorda il periodo in cui l’Alta Valle Varaita fu parte del Delfinato,

mentre il giglio allude al periodo successivo, quello del regno di Francia.

Casteldelfino - Chateau Dauphin in epoca delfinese - fu la capitale

dell’Escarton della Val Varaita. Del periodo delfinese il paese conserva i

ruderi del castello, gli affreschi della parrocchiale e, lungo la via maestra,

nobili dimore e una fontana medievale. La borgata che ancor oggi si

chiama Confine ricorda l’antica frontiera con il Marchesato di Saluzzo.

L’architettura rurale occitana ha il suo santuario nelle borgate di Bellino,

Blins in occitano, paese tra i più suggestivi. Pilastri rotondi, architravi

megalitici,bifore,passaggi coperti,meridiane affrescate, tetti in lose e têtes

coupées sono memoria del saper fare. Ma Blins è anche paese di scrittori.

Nelle librerie della valle si trovano le opere di Janò di Vielm, all’anagrafe

Giovanni Bernard, autore di “Steve”(primo romanzo in occitano delle Valli)

e de “Lou Saber”,dizionario enciclopedico con 12 mila termini nell’occitano

di Blins.Un altro libro importante è “Nosto Modo”, di Jean-Luc Bernard, che

fu la prima opera a descrivere in modo sistematico la cultura materiale e

orale di questo paese occitano.

Nell’antica scuola elementare di Celle di Bellino è allestito il Museo del

Tempo e delle Meridiane (Info: tel. 0175.95110 - comune.bellino@

tiscalinet.it ).La visita introduce all’itinerario tra le meridiane affrescate su

case e edifici religiosi in tutto il paese, che in passato ebbe alcune

botteghe di gnomonisti.Pannelli fotografici suggeriscono una riflessione

sul tempo, mentre un filmato scandisce lo scorrere delle stagioni con

dodici proverbi in occitano.

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1819

Mistà e danza

Nel Quattrocento il buon governo del Marchesato di Saluzzo e i rapporti

con il Delfinato favorirono il fiorire delle arti.Chiese,pitture e sculture sono

collegate da un itinerario artistico denominato Mistà, che in occitano

significa immagine sacra.

La scultura ebbe tra i principali interpreti la scuola degli Zabreri della Val

Maira con fonti battesimali e portali con colonnine e capitelli scolpiti.

Significative le chiese di Sampeyre, Villar, Casteldefino e Bellino. Le

scuole artistiche del brianzonese influenzarono l’arte della Castellatadove, a Bellino, Casteldelfino e Chianale, si incontrano numerose teste di

pietra che risalgono alla consuetudine dei celto-liguri di appendere le

teste dei nemici uccisi in battaglia attorno alle

proprie case. Un caso a parte è il bel portale

quattrocentesco in stile flamboyant della

parrocchiale di Sant’Andrea a Brossasco. Cinque-

centesca,e legata al ricordo della peste,è la cappella

di San Rocco a Brossasco.

In pittura, i fratelli Tommaso e Matteo Biasacci di

Busca lasciarono numerosi affreschi in Valle Varaita.

L’opera di questa famiglia di pittori itineranti, attivi

tra il Piemonte meridionale e la Liguria di ponente,

si può ammirare nella parrocchiale di Sampeyre(Madonna del Latte, Strage degli Innocenti, Fuga in Egitto, Adorazione dei

Magi, Passione e Resurrezione del Cristo), nella chiesa di Casteldelfino e

a Valmala. Lo stile è arcaico, di passaggio fra il romanico e il gotico, come

le pitture della Parrocchiale di San Massimo a Isasca,e quelle sulla facciata

della Parrocchiale di Rossana, con un bel portale gotico fiorito in

terracotta. Le pitture di Rossana sono particolarmente curiose poiché

mostrano figure angeliche che suonano strumenti della tradizione

medievale, alcuni dei quali sono tornati in auge con la rinascita musicale

occitana della fine degli anni Sessanta del secolo scorso. In realtà la musica

in Valle Varaita non ha mai conosciuto momenti di vero oblio. Il repertorio

di danze ballate in occasione di feste o semplicemente per divertirsi

comprende decine di balli. I più noti sono: corenta, giga, contradança,

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borea, mescla, sposin… Sono danze a figure che impegnano anche decine

di ballerini contemporaneamente. Numerose sono le proposte di corsi di

danza aperti anche ai balli dell’Occitania d’oltralpe.

I suoni della valle

A Venasca, storicamente il centro più importante del fondovalle, con una

bella chiesa barocca e un mercato famoso per la commercializzazione

delle castagne, si trova la Fabbrica dei Suoni, il primo parco tematico

italiano incentrato sul suono e sulla musica. L’obiettivo della Fabbrica è

quello di avvicinare bambini e ragazzi al mondo musicale con un

approccio ludico-laboratoriale, suscitando curiosità ed interrogativi. I

laboratori, inseriti nel percorso di visita, consentono di distinguere fra

suono e rumore, di tradurre il significato delle caratteristiche del suono

con attività concrete, visibili o manipolabili, di sperimentare la vibrazione

dei suoni e la propagazione dell’onda sonora nello spazio. Una sezione

presenta strumenti musicali provenienti da tutti i cinque continenti.

Per la conoscenza dei principali strumenti musicali della tradizione

occitana la Fabbrica propone laboratori di ghironda, organetto diatonico,

galobet, tamburin e fifre, con informazioni sulla loro costruzione,un ascolto

dal vivo e l’esecuzione di canti e balli occitani (Info: tel. 0175.567840,

www.lafabbricadeisuoni.it)

All’ombra del robusto castello dei Signori di Sampeyre, a Piasco, a pochi

km da Venasca, si trova il Museo dell’Arpa (Info: tel. 0175.270511 -

www.museodellarpavictorsalvi.it) dove sono esposte le arpe storiche

raccolte da Victor Salvi, affermato arpista esibitosi sotto la direzione del

maestro Arturo Toscanini e fondatore di un’azienda che egli ha voluto qui

per la rinomata tradizione artigianale della Val Varaita e del Saluzzese nella

lavorazione del legno. La fabbrica di arpe da lui fondata oggi copre il 90

per cento del mercato professionale. La collezione racchiude ottantasei

pezzi costruiti a partire dal 1700 fino alla prima metà del ‘900, spaziando

dall’Europa all’Africa,all’Asia.È possibile vedere infatti l’evoluzione tecnica

ed espressiva di uno strumento spesso poco conosciuto.

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2021

Val MairaIn Val Maira la lingua occitana conserva sonorità trobadoriche, ma sono

il suo paesaggio e l’arte a fare la parte del leone. Da qualche anno il suo

territorio è scelto come scenario dal cinema e dalla televisione e un film

pluripremiato, “Il vento fa il suo giro” (in occitano L’aura fai son vir) del

regista Giorgio Diritti, vi è stato interamente girato.

La valle segue il corso del torrente Maira, da cui si dipartono suggestive

valli e combe, come quelle di Albaretto e Celle, di Marmora, Preit, Unerzio

ed Elva che salgono con sentieri e strade militari verso i crinali, i valichi

e le cime, con varietà di rocce e piante. In alcune località esposte a solatio

fioriscono essenze mediterranee come la lavanda.

La linea di frontiera che divide l’Italia dalla Francia fu valico per emigranti

e contrabbandieri. Durante il secondo conflitto mondiale venne

attraversata da partigiani italiani e maquis francesi che, tra il maggio e

il luglio 1944, al Col Sautron e a Saretto sul versante della Val Maira, e a

Barcelonnette in Francia, stabilirono un accordo politico-militare nella

lotta antifascista. Dell’accordo di Saretto rimane ancor oggi una lapide-

ricordo.

La capitale della valle è Dronero (Draonier in occitano), che ha titolo di

città da due secoli e mezzo. Per scoprirla occitana è bene andarci il

giorno di mercato, orecchiare tra i banchi, nei caffè, sentire la gente

venuta da San Damiano, da Elva, da Acceglio, dalla vicina La Ròcha

(Roccabruna) che disinvolta parla occitano.

La sua storia parla di ugonotti e valdesi, ma anche di famiglie

aristocratiche, uomini di lettere, artisti, giornalisti e politici tra cui spicca

la figura di Giovanni Giolitti, primo ministro del Regno d’Italia, a cui è

dedicato un Centro Studi (Info: www.giovannigiolitti.it). Dronero è ricca

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di monumenti, palazzi e chiese che ricordano un medioevo fiorente. Si

caratterizza per l’arditezza del suo ponte merlato sul Maira e per il foro

frumentario ottagonale della prima metà del XV secolo.

Un’inglese a Dronero

L’esploratrice e scrittrice inglese Freya Stark (1893-1993), legata alle

personalità più in vista del suo tempo, come Churchill e il mitico

Lawrence d’Arabia, visse a Dronero parte dell’adolescenza e vi tornò nel

1919. Nell’autobiografia descrive Dronero “città fra due torrenti, in mezzo

a un’ampia e bella valle… ha una cattedrale medievale con fini lavorazioni

in cotto di stile gotico-lombardo… Il ponte, merlato e immensamente alto,

abbraccia l’intera valle che giace molto più sotto ricoperta di bianche pietre

di fiume, su cui tremuli pioppi e noci gettano morbide ombre azzurrine”.

Traversado - Passaggio al Passo della Gardetta

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2223

Grandi maestri

Scoprire Elva è come dischiudere una porta segreta, trovare i segni di un

mondo che è stato, rinvenire un libro scomparso che narra la vita di

quando le idee andavano a piedi e vivere in altitudine non era

isolamento dal mondo.

Lassù, sullo spartiacque con la Valle Varaita, Elva appare sospesa sulla

conca in mezzo ai prati falciati, circondata dalle cime del Pelvo, del

Chersogno e della Marchisa, montagne che superano i tremila metri.

La chiesa, dedicata a Santa Maria Assunta, è sopra uno sperone di roccia.

Figurazioni arcaiche decorano il portale: têtes coupées della tradizione

celto-ligure, mascheroni beluini, Atlante e la sequenza donna-catena-

serpente. L’arco del presbiterio è ornato con i simboli dello zodiaco, una

sirena romanica che divarica le estremità, San Giorgio e il drago, il

calderone dei dannati che cuociono per i loro peccati.

L’interno ospita gli affreschi di Hans Clemer, pittore fiammingo attivo nel

Marchesato di Saluzzo tra la fine del ‘400 e il 1508, anno in cui partì per la

Provenza dove lavorò a Tarascon, Pertuis e Vinon… altre terre d’Occitania.

A Saluzzo Clemer si sposò e tenne bottega con allievi locali.

I suoi affreschi nella Parrocchiale di Elva sono il capolavoro delle valli

Elva - Chiesa di Santa Maria Assunta

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occitane. Nel territorio del Marchesato, fino ad allora fedele alle tendenze

artistiche tardo gotiche, lo stile di Hans Clemer rappresentò una vera

rivoluzione artistica per la sua contemporaneità e l’introduzione di

elementi della pittura italiana coeva.

La Crocifissione, le Storie del Cristo e della Vergine della chiesa di Elva

mostrano un forte senso drammatico e un’attenzione per il ritratto

psicologico, evidenti nei visi delle pie donne e degli apostoli sgomenti

attorno al feretro della Madonna. Altre opere di Clemer sono a Saluzzo,

Revello, Bernezzo, Pagno, ma qui in Val Maira il visitatore troverà a Celle

Macra, nella parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, un’altra sua

opera: la pala d’altare con la Madonna in trono circondata da Santi,su fondi

in oro,datata 1496,splendido amalgama fra cultura figurativa provenzale-

lombarda e tecnica pittorica tedesca.

Tra i boschi, poco discosto dal paese di Celle Macra, nella cappella di San

Sebastiano,si trova l’opera di un altro importante artista del Quattrocento

occitano, il pittore Giovanni Baleison (Johannes de Baleisonis), originario

di Demonte nella vicina Valle Stura, che operò in un territorio a cavallo

delle Alpi tra Piemonte, Liguria e Nizzardo. Il ciclo di affreschi comprende

un Dio Glorioso, il Martirio del Santo, il Limbo, la Città Celeste, le Virtù, il

Purgatorio e l’Inferno. Dello stesso autore sono la Madonna all’esterno di

un edificio di Bassura di Stroppo e gli affreschi nella Cappella dei Santi

Sebastiano e Fabiano di Marmora, raffiguranti il Cristo Glorioso, la

Madonna in Trono fra San Sebastiano e San Costanzo, gli Evangelisti, le

Storie dell’Infanzia di Cristo e dell’Infanzia di San Sebastiano.

L’itinerario pittorico in Alta Valle Maira si completa con gli affreschi di

Tommaso Biazaci nella parrocchiale dei Santi Giorgio e Massimo a

Marmora che mostrano San Cristoforo, San Girolamo e San Francesco che

riceve le stimmate. Di grande fascino è la Cappella di San Peire a Macra,

dove si può scoprire una Danza Macabra con testi in occitano mescolati

a francese antico, iconografia assai rara per questi territori.

Una visita che procura emozione per la collocazione e le proporzioni

dell’edificio in stile romanico è quella alla Chiesa di San Peire a Stroppo,

isolata su uno sperone, con gli affreschi dell’abside e una suggestiva

Adorazione dei Pastori di un pittore anonimo nella cappella laterale.

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L’itinerario termina con una delle più antiche chiese della valle, San

Salvatore di Stroppo, con campanile a vela e affreschi altomedievali che

rappresentano episodi della Genesi e la Danza di Salomè e affreschi

quattrocenteschi con Cristo benedicente, gli Evangelisti, gli Apostoli e i

Santi Caterina e Antonio.

La scultura del Quattrocento in Val Maira conobbe l’importante bottega

dei fratelli Zabreri (Chabrier in occitano), originari di Pagliero, che

portarono la loro opera in numerose località del Marchesato di Saluzzo.

Agli Zabreri furono commissionati i portali delle parrocchiali di Dronero

e di San Damiano Macra. Capitelli figurati provenienti dalla loro bottega

sono nella Parrocchiale di Sant’Antonio a Pagliero. Fonti battesimali

“firmati Zabreri” sono a Canosio e Pagliero in Val Maira e in numerose

chiese delle valli occitane.Hanno forma di calice con un nodo al centro del

fusto. La tazza è poligonale, decorata sul bordo da iscrizioni. Negli spicchi

le foglie di acanto sono accompagnate dallo stemma dei committenti.

Ma l’arte in questa valle non è esclusivo appannaggio degli edifici religiosi.

La si trova anche nelle dimore civili, come nel lazzaretto di Caudano,

borgata di Stroppo, recentemente restaurato, che presenta sulla facciata

a vela delle interessanti bifore con teste scolpite e il caratteristico nodo

di Salomone, assunto come simbolo dalla locale comunità montana.

Motivi decorativi, opera di artisti locali, sono a San Damiano Macra e

Villar d’Acceglio, sede fra l’altro di un carnevale arcaico fra i più

interessanti delle valli occitane. Edifici signorili di epoca medievale con

alte facciate a vela e aperture monofore o bifore in pietra lavorata si

trovano a Castellaro, Combe, Vernetti, Unerzio, Preit. Furono dimora di

quella borghesia contadina e montanara di cui si ha notizia negli atti

notarili dei secoli XV e XVI.

I ciciu del Santo

Nel territorio pedemontano di Villar San Costanzo si incontrano tesori

artistici e ambienti rari. Nella Riserva naturale dei ciciu (pupazzi), fra

castagni, pioppi e betulle, si innalzano circa 400 formazioni geologiche

a forma di fungo, con un diametro variabile tra 2 e 7 metri e un’altezza

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che in alcuni casi raggiunge gli 8 metri. La loro formazione avrebbe

avuto inizio 12.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione. I ciciu si

sarebbero formati per l’erosione delle acque che nei millenni dilavarono

il suolo lasciando, in corrispondenza di grossi massi di gneiss, colonne di

terra compatta sormontate da grandi pietre.

Nella bella stagione i ciciu appaiono di colore rossastro col buffo cappello

scuro; d’inverno si mutano in pinnacoli che emergono dalla neve.

L’escursione fra i ciciu avviene lungo i percorsi attrezzati, mentre

l’accoglienza è garantita dal Centro Visita all’ingresso della Riserva. L’area

esterna è un sito per il bouldering ma è vietato arrampicarsi sui ciciu

poiché si rischierebbe di rovinarli per sempre (Info: Ente di Gestione dei

Parchi e delle Riserve Naturali Cuneesi - tel. 0171.734021).

Una leggenda popolare

attribuisce il fenomeno dei

ciciu a un miracolo del martire

Costanzo: i nemici pagani che

lo inseguivano per ucciderlo,

furono pietrificati dalla volontà

divina. Costanzo, santo della

Legione Tebea, è avvolto nella

leggenda. Una lapide murata

nella chiesa parrocchiale

avrebbe ricoperto le reliquie del martire.In essa si legge in latino:“Qui riposa

Costanzo,martire del Signore,che appartenne alla Legione Tebea”. Attorno

al culto del martire,nel medioevo,sorse un complesso monastico.La Chiesa

di San Costanzo al Monte, nei boschi sopra il paese, fu eretta verso l’inizio

dell’VIII secolo per volontà del re longobardo Ariperto II, ricostruita dopo le

invasioni saracene da maestranze lombarde che vi portarono i loro modelli

nelle absidi,scandite da sottili lesene e abbellite in alto da gallerie.La cripta

costituisce una vera e propria chiesa inferiore.Risanata la piana acquitrinosa,

i benedettini eressero l’Abbazia dei Santi Pietro e Costanzo nel luogo

dell’attuale parrocchiale. Oltre alla cripta affrescata da Pietro da Saluzzo

(storie di San Giorgio,Madonna,Santi,Evangelisti), la chiesa conserva la torre

campanaria con fregi romanico-gotici e muri in pietra lavorata.

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Musei di valle

A Elva troviamo la prova che un tempo la montagna assicurava piùche la semplice sopravvivenza con il lavoro dei campi, la cura deicapi di bestiame, la lavorazione del latte. Nei periodi morti del lavoroagricolo i montanari si ingegnavano a svolgere altri mestieri,arrivando talvolta lontano. Gli uomini di Elva partivano in autunno araccogliere i capelli da lavorare nelle case elvesi e da vendere poi inFrancia, Germania, Inghilterra e anche Stati Uniti per farne parrucche.A ricordo di questa attività, la comunità ha voluto collocare presso la“casa della meridiana”, esempio di architettura contadina originale eraro, il Museo dei Pelassiers, che attraverso gli attrezzi, le immagini eun video racconta di questo mestiere che portò gli elvesi in giro peril mondo.Altro mestiere dell’emigrazione stagionale, tipico della valle, fuquello degli acciugai, che partivano dalla valle Maira per comperarele acciughe che poi rivendevano girando con un carrettino. Agliacciugai è dedicato il Museo Seles di Celle di Macra. Altri musei sullavita d’un tempo sono La misoun d’en bot di Borgata Chialvetta adAcceglio (Info: tel. 0171 99017), il Museo della Canapa di PrazzoInferiore (via Nazionale 22) e L’escolo de mountanho di BorgataMaschero a Stroppo (Info: 0171.999220 - 999112).Più a valle, nella casa di Dronero, Luigi Mallé, originario dellacittadina e direttore dei musei civici di Torino, lasciò in eredità alcomune arredi, suppellettili, libri, dischi e fotografie. Inaugurato nelgiugno del 1995, il museo (www.marcovaldo.it) ospita una collezionedi arte antica e contemporanea con opere di grandi maestri cherispecchiano il gusto eterogeneo di Mallé: si passa da dipinti edisegni di autori piemontesi del Settecento, a soggetti religiosi digusto arcadico, a paesaggi e ritratti di fiamminghi - opere acquistatedal Mallè presso il mercato antiquario - fino ai quadri di pittoriastratti contemporanei: Lucio Fontana, Umberto Mastroianni,Adriano Parisot.

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Nel paese di Matteo Olivero

In un suo famoso autoritratto Matteo Olivero si mostra con foulard rosso

al collo, occhio attento, cappello nero, barba lunga e affusolata.

Nato ad Acceglio, nel 1879, in frazione Pra Rotondo, è stato nei tempi

moderni il più celebre pittore delle valli occitane. Olivero viene ricordato

non solo come “pittore delle nevi” o “tragico interprete delle sue

montagne”, così come lo chiamarono i critici d’arte alle mostre di

Grenoble, Roma, alla Biennale di Venezia e alle expositions di Parigi, ma

anche per aver saputo intuire le idee originali e i fermenti tumultuosi

della pittura a cavallo del Novecento.

La sua opera è presente in collezioni e musei. Numerosi suoi quadri sono

conservati nel Municipio di Saluzzo e prossimamente verranno esposti

in un museo a lui dedicato. Qui in Val Maira si possono ammirare i luoghi

che lo ispirarono. Ma nei suoi dipinti troviamo altri scorci della

montagna occitana delle valli Po, Grana e Varaita: furono per lui fonte

d’ispirazione i corsi d’acqua, il sole e la neve, le mattinate e le cime.

Nel 1902, in Svizzera, Olivero incontrò Segantini, cui lo unì non solo

l’amore per il mondo alpino, ma soprattutto la capacità di affrontare la

pittura attraverso la scomposizione dei colori nei loro elementi. Preso

dalla passione per il divisionismo, Matteo Olivero intrattenne, a partire

dal 1903, una nutrita corrispondenza con Giuseppe Pellizza da Volpedo,

autore del famoso “Quarto Stato”.

Rimasto orfano di padre ancora bambino, la madre Lucia Rosano rimase

per l’artista l’unico punto di riferimento. Ella lo seguì nei suoi molti

spostamenti, da Torino (1896) a Saluzzo (1906), a Calcinere (1923-26).

Uno dei soggetti più famosi di Olivero fu appunto il grandioso quadro

“L’attesa” che ferma l’incedere lento e il gesto stanco della madre.

Quando lei morì, anche il pittore decise di porre fine ai suoi giorni.

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Mangiar d’oc

La ricchezza paesaggistica e storico-artistica della valle favorisce il turismo

escursionistico e culturale (Info: www.percorsioccitani.it) che riscuote

successo sia nei paesi di lingua tedesca, con l’afflusso di turisti da

Germania,Svizzera e Austria,sia nelle vicine regioni italiane.Ciò ha favorito

il rientro in valle di forze giovani: sia figli e nipoti dei montanari emigrati

negli anni Sessanta, sia giovani originari della città che sono venuti ad

abitare in Val Maira scegliendo uno stile di vita meno concitato di quello

urbano. L’inversione di tendenza ha fatto sì che i giovani valligiani, che

pensavano di emigrare per cercare fortuna in città, decidessero di restare.

Così si sono sviluppati nuovi mestieri agricoli, artigianali, turistici.Sovente

i nuovi arrivati hanno fatto propria la lingua occitana dando vita a

iniziative culturali, mostre, musei, itinerari, concerti. Numerosi sono i

ristoranti eccellenti, i bed&breakfast e le aziende agrituristiche sorte in

seguito a questa ondata di neo-ruralismo che ha visto crescere aziende

giovani, zootecniche e casearie, specializzate in formaggi bovini e caprini

di qualità (a Elva, Podio di San Damiano Macra, La Morra di Villar San

Costanzo), forni artigianali (a Roccabruna, Villar San Costanzo, Dronero,

San Damiano Macra), produzioni di sapori tradizionali (a San Damiano

Macra), infusi di erbe alpine, quali genepy e achillea erbarota (a San

Damiano Macra), vino biologico tra cui spiccano il Nebbiolo di Dronero e

altri vini, per ora coltivati fuori valle sulle colline del Saluzzese, che hanno

salvato dall’estinzione gli antichi vitigni della media Val Maira.Tra le tante

suggestioni gastronomiche, lo comaut (crema di zucca), macarons e trifolas

(maccheroni e patate con funghi), los fesqueiròls (piatto di pasta condita

con cipolla e pancetta, piselli e formaggio), los panets (calzoni di mele), la

torta dels Techs di Dronero. Alcuni ristoranti propongono menù occitani

completi in alcuni giorni della settimana.

Indirizzi e recapiti di ristoranti, aziende, bed&breakfast e informazioni sui

prodotti sono reperibili presso la Comunità Montana - www.vallemaira.cn. it

o presso l’Ufficio di Informazioni Turistiche di Dronero - iatvallemaira@

virgilio.it - tel. 0171.917080 - fax 0171.909784.

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Uno “spazio” tutto occitano

Espaci Occitan sorge a Dronero (via Val Maira 19) in una caserma

trasformata in moderno centro culturale (tel. e fax 0171.904075). Creato

da un’iniziativa della Comunità Montana Val Maira, ha l’ambizione di

collegare i territori occitani d’Italia con il grande “spazio” di lingua e

cultura d’oc dalle Alpi ai Pirenei, all’Atlantico, al Mediterraneo, e si

propone come primo polo culturale dedicato al mondo occitano in

Italia.

La sua realizzazione, resa possibile anche dal riconoscimento della

minoranza linguistica occitana da parte dello Stato Italiano con la legge

482 del 1999, ha rappresentato una svolta storica. Con Espaci Occitan,

infatti, per la prima volta gli enti del territorio si sono fatti carico della

tutela e della promozione della lingua e della cultura occitana, temi fino

ad allora svolti dall’associazionismo privato.

Oggi Espaci Occitan è un’Associazione di Enti pubblici del territorio

occitano alpino (Info: www.espaci-occitan.org). Comprende un Istituto di

Studi, un Museo Sonoro della Lingua (Sòn de lenga), uno Sportello

Linguistico e una Bottega dei Prodotti Occitani.

Il Museo Sonoro della Lingua Occitana, realizzato in forma multimediale

con suggestioni dinamiche adatte a tutte le età, vuole condurre il

visitatore attraverso la geografia, la storia, la civiltà d’Occitania.

Letteratura, musica, storia, vita materiale, folklore e organizzazione

sociale del territorio sono illustrate da postazioni audio-video che

accompagnano in un viaggio interattivo e virtuale nel mondo occitano.

Si può scegliere la lingua di navigazione fra italiano, occitano, inglese e

francese.

La Mediateca di Espaci Occitan raccoglie testi sulla letteratura occitana

e materiali multimediali sulla e in lingua occitana. Filmati e documentari,

cd rom, audiocassette e cd musicali sono disponibili per la consultazione

nei locali appositamente predisposti e suddivisi per aree tematiche.

L’Istituto di Studi Occitani viene costantemente implementato

quantitativamente e qualitativamente con nuove offerte di servizi,attività

rivolte a un pubblico eterogeneo,divulgazione tramite internet.Lo spazio,

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aperto allo scambio e al confronto con le altre minoranze italiane ed

europee, è predisposto anche per convegni, proiezioni pubbliche, mostre,

presentazioni di libri e iniziative culturali.

È dotato di uno Sportello Linguistico on line e propone inoltre corsi di

alfabetizzazione a vari livelli, erogati con lezioni on line, fino al

conseguimento della capacità di esprimersi in lingua d’oc. Prodotti delle

valli, opere dell’editoria locale, artigianato e informazioni turistiche

trovano il loro spazio nella Bottega.

Espaci Occitan si colloca in un territorio che valorizza le proprie

caratteristiche linguistico-culturali.Oggi un percorso ad anello attraverso

la valle Maira viene proposto sul sito www.percorsioccitani.it.

Nel paese di Roccabruna, il comune ha dedicato vie e piazze a personaggi

della civiltà occitana con insegne bilingui italiano/oc. Sono ricordate le

regioni d’Occitania, Provenza, Delfinato, Guascogna, gli artisti del

Quattrocento glorioso, come il pittore Hans Clemer e gli scultori Zabreri,

personaggi eclettici come Giacomo Inaudi di Roccabruna, calcolatore

mentale di fama mondiale citato nell’Enciclopedia francese Larousse, il

Nobel Federico Mistral cantore della Provenza, l’ideologo umanista

François Fontan e i più celebri trovatori medievali tra cui Arnaud Daniel,

Peire Vidal, Marcabrun e la Contessa de Dia.

Poesia e prosa hanno sempre trovato nelle genti della Val Maira un

terreno fertile, dove coltivare racconti e rime. Di questa valle sono alcuni

tra i maggiori scrittori del risveglio occitano in Italia, avvenuto negli

anni Sessanta del secolo scorso. Le loro opere, pubblicate da editori

locali, si trovano nelle librerie, nelle biblioteche e sono disponibili

presso Espaci Occitan. Tema ricorrente è la nostalgia per un passato

popoloso e fiorente contrapposto all’attualità dei paesi spesso

abbandonati. Tra i nomi da ricordare: Pietro Ponzo di Preit, Pietro

Antonio Bruna Rosso (Tòni d’ l’Aura) autore di poesie brevi e del “Piccolo

Dizionario del Dialetto Occitano di Elva”, Piero Raina (Pietro d’Seze). Nel

cuore di questo poeta c’è la montagna, simbolo e archetipo: in basso il

mondo affannato, inquinato, cupo degli uomini soli nella folla; in alto il

mondo sano, puro, luminoso di una solitudine serena perché in

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contatto con la memoria e il trascendente. Per Raina la montagna

muore quando l’uomo l’abbandona. Celebre è la sua poesia “Cadranno

le case dei villaggi”:

Toumbaren i casei di vilage

Sla mountagno abandounà

Un al bot senzo tapage

I casei dle noste ruà

Bouch d’erbo biancho, rousier sarvage

Enfoungaren le bianque rei

Ai pe da c’les muraie

Esquiapa da l’auro e dal soulei

Troup d’sarvan la sero

Saiaren dai bosq tenebrous

Per viroundar sle quintaine silenziouse

A escoutar le vous misteriouse

Que dousse ancaro dapé i lindal

Desert di meisoun

Countaren le storie di minà.

Cadranno i casolari dei villaggi / Sulla montagna abbandonata /

Uno alla volta senza rumore. / I casolari delle nostre borgate /

Cespi d’assenzio, roseti selvaggi / Affonderanno le bianche radici /

Ai piè di quelle mura / Spaccate dal vento e dal sole

Torme di Silvani la sera / Usciranno dai boschi tenebrosi /

Per aggirarsi sui vicoli silenziosi / Ad ascoltare le voci misteriose /

Che soavi ancora, presso le soglie / Deserte delle case /

Racconteranno le favole di bimbi.

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Valle GranaDi tutte, la Valle Grana è la più vicina a Cuneo. All’imbocco di questa

piccola valle, ancora caratterizzata da una fervida vita agricola, si trova

Vignolo, alla testa Castelmagno, con le sue tredici frazioni e con un

santuario tra i più noti delle Alpi Occidentali.

Si possono ammirare splendidi paesaggi, caratterizzati da folti castagni,

faggi e conifere, che in alto lasciano il posto ai pascoli con rari esemplari

di flora protetta che hanno reso famoso il formaggio Castelmagno.

Centro economico importante nel fondovalle è Caraglio, antico

insediamento romano, oggi sede di iniziative culturali e culla della nuova

musica occitana di Lou Dalfin “esportata” in Italia e in Europa.

Significative sono le iniziative per la promozione della cultura occitana

che si svolgono annualmente nei Comuni di Monterosso Grana e

Castelmagno.

È possibile ammirare, nei paesi della valle, esempi di architettura alpina

che si è conservata nel tempo,visitare il Museo Etnografico di Sancto Lucìo

de Coumboscuro e a Castelmagno in fraz. Chiappi il Muzeou dal travai d’isi

(Museo del lavoro locale) e in fraz. Colletto il Pichot Muzeou, allestito in

una stalla.

Oltre alle testimonianze storico-artistiche di origine romanica e gotica, è

possibile cogliere negli affreschi di cappelle e parrocchiali il mecenatismo

dei marchesi di Saluzzo, che qui hanno dominato per secoli.

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Formaggio Castelmagno

Questo particolare formaggio “erborinato” è singolare per l’aroma e la

delicatezza,che gli vengono conferiti dall’alimentazione del bestiame,che

si nutre della ricca flora, delle particolari erbe, di piante aromatiche e di

fieni profumati. Il formaggio ha un’antichissima origine: infatti lo si

menzionava già nel 1277 come tributo ai Marchesi di Saluzzo in cambio

dell’usufrutto dei loro pascoli.

Oggi il Castelmagno è il simbolo di un’economia montana che sfrutta al

meglio le particolarità del luogo.Con l’obiettivo di mantenere i legami fra

uomo e territorio e una memoria indispensabile per le nuove generazioni,

si è sviluppato il progetto ecomuseale “Terra del Castelmagno”. Il progetto

intende tutelare il processo produttivo del Castelmagno illustrandone la

ricaduta sull’economia e sulle abitudini di vita locale. Il progetto

ecomuseale prevede anche il ripristino dei sentieri che portano alle

frazioni alte e la visita all’interno di un caseificio dove si lavora il formaggio.

Nel programma intervengono sinergicamente quattro ambiti fondamen-

tali: il formaggio Castelmagno, l’architettura alpina, il lavoro, il paesaggio.

Il Santuario di Castelmagno

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Santuario di Castelmagno

Castelmagno prende nome da un castello di forma quadrata, con

quattro torrioni agli angoli, di cui rimangono poche tracce nella borgata

Colletto. Il luogo era già stato interessato da un’occupazione romana

per la sua posizione strategica, infatti ci sono i resti di un’”arula”dedicata

a Marte. Il paese possiede un santuario dedicato a San Magno, a 1760

metri di quota, tappa di un itinerario religioso che, partendo da

Sant’Anna di Vinadio, si snoda attraverso le valli Maira e Varaita (santuari

di Valmala e Becetto) e raggiunge, in alta valle Po, il Santuario di San

Chiaffredo.

San Magno è ritenuto martire della Legione Tebea. Nel periodo di

iniziale evangelizzazione di queste terre, realizzatasi in gran parte nella

prima metà del terzo secolo, 6666 soldati furono richiamati

dall’imperatore Massimiano Erculeo dall’Egitto per frenare il

cristianesimo nelle Gallie. L’intera legione, tuttavia, in gran parte

d’origine tebea, si era nel frattempo convertita alla fede cristiana. Così i

soldati si rifiutarono di perseguitare i fratelli nella fede e, come

ritorsione, furono sterminati. Di loro c’è traccia all’ombra dei campanili

e dei piloni di tutto l’arco alpino, nonché nei nomi della gente delle valli:

Costanzo, Chiaffredo, Vittore, Magno, Dalmazzo, Maurizio, Felice,

Alessandro, Clemente, Vitale, Ottavio, Damiano, Defendente, Isidoro,

Mauro, Pancrazio.

Da tempo immemorabile si è consolidata la devozione popolare delle

genti della valle per San Magno, considerato protettore delle mandrie e

dei pascoli alpini. Nella ricorrenza del santo patrono, il 19 agosto, si

svolge fin dal 1700 una processione in alta quota: la statua del Santo -

in abiti da guerriero - viene condotta al santuario da una decina di

membri della baia, con abiti a coda e feluche, ornati di coccarde e nastri

di seta di vario colore (es livrees) legati alle alabarde. A differenza di altre

baias o abadie delle valli, che conservano un carattere popolare e

talvolta anche pagano con riferimenti stagionali quali il risveglio della

primavera, questo corteo mantiene un carattere cristianizzato (Info:

[email protected]).

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Il Santuario di San Magno, come lo si vede oggi, fu edificato tra il 1704

e il 1716, ma conserva documenti artistici precedenti di notevole

interesse. Oltre alla cappella affrescata da Pietro da Saluzzo è possibile

visitare la “Cappella Vecchia” del santuario, dove si possono vedere gli

affreschi di Giovanni Botoneri di Cherasco risalenti al 1514. Gli affreschi

occupano 17 scomparti che narrano l’ingresso trionfale di Gesù in

Gerusalemme, la sua condanna e la Passione.

A Castelmagno opera il Centro Occitano di Cultura “D. Dalmastro”,

un’associazione che da oltre trent’anni si adopera per la tutela e la

valorizzazione della lingua occitana. Il Centro pubblica anche un

periodico, La vous de Chastelmanh. Nell’ultimo decennio sono altresì

comparsi laboratori artigianali specializzati nella scultura del legno e

nella produzione dei biscotti artigianali.

La montagna attorno a Castelmagno parla ancora dello spopolamento

che la colpì nel dopoguerra. Alcuni dei villaggi e delle frazioni sono meta

di escursioni per gli amanti dell’architettura alpina, poiché mantengono

intatto l’aspetto delle realtà abitative del secolo scorso. Fra queste, le

più rimarchevoli sono l’antico villaggio di Narbona e le borgate di

Valliera, Battuira e Campofei, insediamenti montani che conservano

imponenti colonne circolari e caratteristici comignoli coi bocchi dei

fornelli decorati con pietre a raggiera.

Per gli amanti dell’alta quota è possibile risalire lungo i sentieri tracciati

ai monti Tibert e Tempesta, dai quali, nelle giornate di cielo terso, si può

osservare il grandioso paesaggio dell’arco alpino e della pianura

piemontese.

Poco distante “Lou Pertus d’la Patarasa”, dal nome di una fata gentile che

si dice abitasse nelle caverne, è una grotta con formazioni di cristalli di

calcite e ghiaccio perenne. Questo ci ricorda che in tempi passati tutto

veniva ricavato dalla natura.

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Novè

La cultura occitana possiede nelle proprie corde un’attenzione particolare

al canto natalizio. Le cerimonie e le rappresentazioni popolari collegate a

questa festività hanno una duplice connotazione: di festa religiosa, ma

anche di festa pagana del solstizio d’inverno, che preannunciava la

rinascita della natura.La cultura occitana, sempre molto attenta al mondo

naturale,ha conservato nella propria tradizione un ricco repertorio di Novè

che venivano cantate in queste occasioni, dove il popolo partecipava in

prima persona e non da spettatore. I Novè, ispirati ai testi delle Sacre

Scritture, hanno fatto riferimento anche ai racconti apocrifi e si sono

arricchiti nel tempo di ampliamenti originali: elementi di vita quotidiana,

situazioni comiche, personaggi contemporanei… Essi vengono eseguiti

ancor oggi nelle chiese delle valli nel periodo di Natale.

I più noti sono i Novè de Nòsta Dama dei Dòms di Avignone e i Novè de

Sabòli, scritti da Micolau Sabòli (1614-1675) nel XVII secolo.

Esperienze originali delle valli sono quelle dei gruppi L’Escabòt (Info:

0171.986142), formatosi nel 1999 con nove cantori delle valli Stura e

Grana, e La Cevitou, (Info: www.lacevitou.it - tel.0171.988103), il più antico

coro polifonico delle valli occitane, che ripropongono brani attinti dal

ricco filone della tradizione popolare occitana, diretta discendente

dell’ispirazione trobadorica.

Sancto Lucio de Coumboscuro - Roumiage

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Feste in Coumboscuro

Si va a Sancto Lucìo di Coumboscuro come in pellegrinaggio.All’inizio degli

anni Sessanta, in questa frazione di Monterosso Grana il risveglio, che

qui si definisce “provenzale”, mosse i primi passi grazie alla passione di

Sergio Arneodo, insegnante, poeta, autore di teatro e divulgatore

carismatico. Come il poeta Tòni Baudrier e il pensatore François Fontan in

valle Varaita, Arneodo infiammò le valli, rivelando che il patois che si

parlava era figlio della lingua dei trovatori e della lirica di Frederì Mistral.

Risale a quegli anni il periodico “Coumboscuro” e la nascita di un

laboratorio di scultura del legno.

Coumboscuro suscitò una generazione di poeti,cresciuti nell’ammirazione

della poesia provenzale. Una delle realizzazioni più importanti del

movimento di pensiero che si creò in Coumboscuro fu la scuola dove,

ancora oggi, l’insegnamento è in lingua d’oc. Così, tra gli alunni, nascono

nuovi piccoli poeti:

Nuèch NotteSoufîo l’auro enrabià: Soffia il vento arrabbiato:

i-arbou soun tuchi coujà, gli alberi sono tutti piegati,

i fuéie vòlen desperà. le foglie volano disperate.

En chan japo aval, Un cane abbaia laggiù,

elouégn envers lou bial. lontano, verso il torrente.

Tout es quiét, Tutto è silenzioso,

la luno espouncho sal sarét. la luna spunta sul dosso.

S’èstegnen i quiar ent’i ruà Si spengono le luci nelle borgate

e mi istou souléto a pensar… ed io rimango sola a pensare….

A Coumboscuro si svolgono manifestazioni culturali tra cui il Festenal,

incontro di musiche e tradizioni europee, mostre e convegni sulle lingue

minoritarie.La seconda domenica di luglio si tiene un’originale processione

religiosa dedicata alla Madonna. Particolarmente formativa, per la

conoscenza della cultura materiale delle valli occitane, è la visita al Museo

Etnografico (Info: www.coumboscuro.org - tel. 0171.98707), con sezioni

dedicate ai lavori agricoli,alla canapa,al latte,al ciclo del pane,all’artigianato

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(tessitura, falegname, bottaio, arrotino, intagliatore, tombolo), ai trasporti,

all’arredamento tradizionale, al vestiario e ai passatempi.

Da ricordare, nella parte più antica di San Pietro di Monterosso Grana, un

suggestivo museo all’aperto,perciò sempre visitabile,che ripropone scene

domestiche e antichi mestieri. I personaggi chiamati babaciu in dialetto,

sono a grandezza naturale.

Sulle tracce di Pietro

La valle conserva numerose opere di Pietro da Saluzzo che i documenti

dicono nato nella famiglia dei Pocapaglia.

Suoi gli affreschi della cappella di San Magno, nel santuario di

Castelmagno, eseguiti tra il 1475 e il 1480, quelli della cappella di San

Bernardo e Mauro a Valgrana (Madonna in Trono, San Bernardo da

Mentone, il Battista, gli Evangelisti, i Dottori della Chiesa e

un’Annunciazione) e nella cappella di San Sebastiano a Monterosso.

Pittore sensibile alle dolcezze cortesi, Pietro da Saluzzo non esprime

drammi ma si abbandona all’eleganza dei panni drappeggiati, al tono

pacato e disteso delle scene, ai gesti controllati dei suoi personaggi.

Fu,ai suoi tempi,un artista ricercato da committenti del Marchesato e delle

terre circostanti.Tenne bottega ed ebbe numerosi allievi.Lavorò per chiese

e confraternite. In pittura accolse le influenze lombarde, ma respinse la

lezione dello Jaquerio che nel Marchesato aveva prodotto opere di grande

valore, quali gli affreschi del Salone Baronale nel Castello della Manta.

Per chi volesse seguire un itinerario tra le sue opere,oltre a quelle descritte

in Valle Grana, si segnalano il ciclo già citato della Cappella di San Giorgio

a Villar San Costanzo in Val Maira, la Cappella di San Ponzio a Castellar in

Val Bronda, l’Annunciazione a San Bernardo di Ostana in Val Po, il Transito

della Vergine in Santa Maria in Nives a Centallo, l’Annunciazione in San

Giovanni Battista a Savigliano, il ciclo nella cappella della SS. Trinità a

Scarnafigi,gli affreschi nell’antica Parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo

a Verzuolo, le pitture della Cappella di Sant’Anna e in San Giovanni a

Piasco in Valle Varaita, la Santa Cecilia nella Cappella di Santa Maria della

Spina a Revello, l’affresco staccato di San Nicola da Tolentino in mostra

nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo.

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Caraglio: seta, musica e arte

Sbocco naturale delle valle verso la pianura agricola,Caraglio è,con Borgo

San Dalmazzo, l’unica cittadina delle valli occitane della provincia di

Cuneo a mostrare tracce di fondazione romana.

In frazione San Lorenzo sono stati rinvenuti i basamenti di un edificio

termale, laterizi, epigrafi e monete.

L’impianto urbanistico e l’architettura della cittadina conservano memorie

delle diverse epoche,dal medioevo romanico-gotico (ruderi del castello del

1128 abbarbicati sulla collina, palazzo dell’Antico Municipio, dimore di via

Brofferio, campanile della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, Chiesa di San

Giovanni Battista) al barocco (Chiesa di Santa Maria Assunta, Chiesa dei

Cappuccini),all’Ottocento con dimore aristocratiche,fontane e monumenti.

Nel 1198, la rivolta dei caragliesi contro il marchese di Saluzzo concorse

alla fondazione di Cuneo sul picco compreso fra i torrenti Gesso e Stura.

La ricchezza passata derivò in gran parte dall’essere Caraglio un crocevia

al centro di una fertile regione agricola e dal suo sviluppo protoindustriale

con cinque filande e filatoi per la produzione della seta.

Negli anni recenti Caraglio è diventata sede di attività culturali

all’avanguardia nel Piemonte sud-occidentale, organizzate e gestite

dall’associazione culturale Marcovaldo. Il calendario dell’associazione è

fitto di mostre internazionali d’arte contemporanea, di esposizioni

fotografiche,manifestazioni storico-letterarie e convegni tematici,ospitati

nel suggestivo Convento dei Cappuccini e nel Filatoio Rosso, edificio

seicentesco recuperato e restaurato, fra i più originali delle valli occitane,

con torri angolari cilindriche, due cortili interni e decorazioni in stucco e

in cotto (www.marcovaldo.it - tel. 0171.610258).

Il Filatoio, eretto dall’industriale della seta Giò Gerolamo Galleani, fu al

contempo opificio e dimora raffinata, testimone di un’epoca in cui nelle

campagne di Caraglio la seta dava lavoro a più di seicento persone.

La vivacità culturale odierna sembra riproporre il ricordo del grande

fermento di idee che vi fiorì nel XVI secolo, quando la Riforma protestante

si diffuse nella bassa Val Grana e la popolazione di Caraglio aderì

massicciamente, favorita dai Signori del luogo, i Solaro di Villanova, i cui

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membri più influenti si erano convertiti alla fede valdese.

A Caraglio vive il musicista più famoso dell’Occitania italiana: Sergio

Berardo, suonatore di ghironda, organetto, fifre, cornamusa e vari

strumenti elettrici, leader del gruppo Lou Dalfin, in italiano “il delfino”.

Berardo,artista carismatico,ha saputo reinventare la tradizione,aprirla alle

mescolanze di musiche e stili, creando un genere nuovo, un linguaggio

musicale coinvolgente in cui convivono suoni contemporanei e arcaici,

ritmi da discoteca, melodie millenarie ed echi di canzoni d’autore. Gli

strumenti in parte sono rimasti quelli della tradizione occitana alpina:

ghironda, organetto, cornamusa, violino, scacciapensieri, piffero, clarino.

Altri, come il fifre, il galobet, i tamburi di Provenza, si sono aggiunti

attingendo al patrimonio d’oltralpe, mescolati ai moderni strumenti

elettrici del rock contemporaneo.

Di Berardo si dice che impugni la ghironda come Jimmy Hendrix

impugnava la chitarra elettrica. La sua notorietà va ben al di là delle valli

occitane e gli appassionati che seguono i suoi concerti (migliaia di

giovani) e ascoltano i cd de Lou Dalfin (Info: www.loudalfin.it) scoprono

una cultura musicale antica interpretata con sonorità e linguaggi attuali.

Berardo ha allargato gli orizzonti della musica occitana che rischiava di

rimanere confinata all’interno degli spazi stabiliti dalla tradizione e dal

folk revival, rendendola in questo senso modernamente popolare. Ai

concerti egli ha affiancato l’attività didattica e moltissimi suonatori sono

cresciuti alla sua scuola.Sulla sua scia sono nati Lou Seriol della Valle Stura,

Lhi Jari della Val Vermenagna e i Gai Saber di Peveragno, Les Fuines della Val

Maira, i Chare Moulà e gli Aire d’Oustano della Val Po. In questo panorama

si distinguono anche altri gruppi musicali, Trobairitz d’òc, A fil de ciel,

Senhal, Troubaires de Coumboscuro, e sono attivi molti fisarmonicisti,

violinisti, clarinettisti e cantori popolari.

L’incontro e lo scambio di esperienze con i musicisti dell’Occitania è

diventata una consuetudine nella festa annuale de Lou Dalfin a

Castelmagno. In questa e in altre occasioni non manca l’esecuzione corale

dell’inno Se Chanta, l’unica canzone d’amore, e non di guerra, a cui è

capitato di diventare inno di un popolo, cantato ai quattro angoli

d’Occitania dalla Val Grana alla lontana Guascogna.

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Se chantaDenant de ma fenestra i a un aucelon

Tota la nuech chanta, chanta sa chançon

Se chanta, que chante

Chanta pas per iu

Chanta per m’amiga

Qu’es luenh de iu

Aquela montanhas que tant autas son

M’empachon de veire mieis amors ont son

Autas, ben son autas, mas s’abaissarèn

E mas amoretas vers iu tornarèm

Baissatz-vos montanhas, planas levatz-vos

Perqué pòsque veire mieis amors ont son

Trad.

Davanti alla mia finestra c’è un uccellino / Tutta la notte canta, canta la sua

canzone / Se canta, che canti / Non canta per me / Canta per la mia amica

/ Che è lontano da me / Quelle montagne che tanto alte sono /

Mi impediscono di vedere i miei amori dove sono / Alte, son ben alte, ma si

abbasseranno / E i miei amorini torneranno da me / Abbassatevi montagne,

alzatevi pianure / Affinché possa vedere i miei amori dove sono

Caraglio - Filatoio Rosso

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Valle SturaÈ una delle più lunghe e suggestive valli occitane, antica via romana verso

la Provenza e il Nizzardo attraverso il Colle della Maddalena (m 1996 s.l.m.)

e il Colle della Lombarda (m 2351 s.l.m.).

Quando i Romani conquistarono questi territori tennero conto delle

affinità etniche fra le popolazioni dell’uno e dell’altro versante:così la valle

Stura,assieme alle vicine Gesso e Vermenagna, fu aggregata alla Provenza,

che per grado di civiltà fu la provincia romana per antonomasia. Indizi

toponomastici, Piano Quarto e Piano Quinto a Gaiola, cippi, iscrizioni a

Marte, a Diana e alle divinità protettrici dei carri e delle strade mostrano

il tracciato della strada romana verso la Provenza.

La parlata occitana è ancora ampiamente diffusa su tutto il territorio fino

alle porte di Borgo San Dalmazzo. Nei paesi in quota la lingua d’oc è tra

le più arcaiche e meglio conservate dell’intera Occitania alpina.

La valle possiede paesaggi duri e spigolosi, con magnifici valloni laterali

(Arma,Bagni,Lombarda,Neraissa,Ferriere), imponenti opere militari come

il Forte Sabaudo costruito nell’Ottocento a Vinadio e severi campanili

romanici ad Aisone, Vinadio, Sambuco e Pietraporzio.

Per il suo carattere strategico di via di transito, fu spesso contesa e vide

passare numerosi eserciti.Nella valle si trovano anche originali costruzioni

di tronchi a blockbau a San Bernolfo (Bagni di Vinadio),con i tetti in paglia

nel vallone di Neraissa e con tetti a scandole a Ferriere.

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Musei in quota

La fama della Val Stura è oggi legata anche alla pecora sambucana, dal

caratteristico profilo camuso, il cui allevamento è stato rivitalizzato da

alcuni anni.Si tratta di un ovino autoctono, apprezzato innanzitutto per la

carne, per il formaggio e anche per la lana.

La pastorizia transumante era una delle attività più frequenti. Questo e

altro racconta il percorso museale Na draio per vioure (Una strada per

vivere) allestito dall’Ecomuseo della Pastorizia di Pontebernardo di

Pietraporzio che valorizza il patrimonio culturale,naturalistico ambientale

(Info: tel. 0171.955555 - www.vallestura.cn.it).

Sambuco ha realizzato presso le ex scuole elementari il Centro di

Documentazione di Valle. La struttura, attiva dal 1988, ha lo scopo di

documentare il patrimonio storico e culturale della valle e di valorizzare

le iniziative locali. Il centro ospita una mostra permanente dei costumi e

degli oggetti tradizionali de “Le Abbadie della Valle Stura”, con particolare

riferimento a quelle di Festiona e Sambuco, esempi significativi di baie

“cristianizzate”. Funge anche da punto di accoglienza dei visitatori e ha

uno spazio vendita di libri, pubblicazioni e materiali vari.

Pietraporzio - Fraz. Pontebernardo, sede dell’Ecomuseo della Pastorizia

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Vinadio in movimento

Grazie al recupero effettuato dalla Regione Piemonte, si può visitare a

Vinadio il Forte di Carlo Alberto, capolavoro di ingegneria e tecnica, uno

degli esempi più significativi di architettura militare delle Alpi occidentali.

La costruzione, iniziata nel 1834, impegnò fino a 4000 persone e si

concluse quattordici anni dopo. All’interno tre livelli di camminamento

ospitano la mostra interattiva “Montagna in Movimento” organizzata con

acuto senso spettacolare. Si definisce come una serie di ”percorsi

multimediali attraverso le Alpi meridionali. Un invito a rileggere il passato

per riflettere sul presente ed esplorare il futuro delle vallate alpine”. La

montagna, quindi, vista non come

frontiera e periferia, bensì come

cerniera,nodo di scambio.Attraverso

quaranta video-ambientazioni,più di

sessanta programmi video e

quattordici leggii interattivi, ci viene

resa l’immagine di una montagna

dinamica e flessibile,dove l’uomo ha

saputo coniugare adattamento

all’ambiente e creatività. (Info: Forte di Vinadio - tel. 0171.959151 -

www.fortedivinadio.it)

L’ultima domenica di ottobre si tiene a Vinadio la tradizionale Fiera dei

Santi. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso la fiera ruotava attorno alla

vendita delle patate (bòdis in occitano), dei bovini e degli ovini. Poi si è

affermata la Mostra della Pecora Sambucana, cui si affiancano concerti,

mostre e spettacoli per valorizzare le tradizioni del mondo pastorale,

nonché la degustazione dell’agnellone sambucano secondo varie ricette

della tradizione. (Info: Comunità Montana Valle Stura - tel. 0171.955555).

In frazione Bagni è possibile anche effettuare cure presso le terme che

utilizzano acqua ricca di zolfo, che sgorga a 55°C e viene utilizzata per

bagni, aerosol, inalazioni. Vengono praticati anche massaggi, fanghi e

fisioterapie. (Info: tel. 0171.959395 - www.termedivinadio.com)

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Frontiere di burro

...non avevo ancora sedici anni, sono partito per la Francia, a piedi attraverso

il Colle di Ciriegia; con altri abbiamo marciato fino a San Lorenzo del Var oltre

Nizza, e da lì siamo andati a Saint Raphaël, alla ventura...

... a dodici anni sono andato la prima volta a Barcellonnette. Dal mio paese

partiva un carro con i bambini sopra... ci portava fino a Pianche. Poi da

Pianche a Barcellonnette andavamo a piedi. A Barcellonnette, nel mese di

aprile, ogni giovedì, c’era il mercato dei bambini... Poi ho preso ad andare

dalle parti di Grasse...

Sono due testimonianze della Valle Stura di un tempo, tratte dal libro “Il

Mondo dei Vinti” dello scrittore Nuto Revelli. L’emigrazione stagionale

portava a Marsiglia,Tolone, la Crau, la Camargue, Nizza, Arles, Aix, Nîmes e

Avignone, raramente prendeva la direzione contraria verso la pianura

padana. Un tempo era normale viaggiare per le montagne. I bambini

venivano portati alle fiere per essere “affittati” come pastori.

Una particolarità della Valle Stura erano i migranti che sulla costa della

Provenza facevano ballare le marmotte chiedendo pochi soldi in cambio

di questo piccolo circo. Le frontiere erano di burro per chi conosceva i

passaggi sulle montagne e andare in Francia serviva a sbarcare il lunario

in un paese che ai più era familiare, dove si parlava la stessa lingua.

La conoscenza dei colli favoriva il contrabbando. Si portavano riso e

tabacco, si prendeva sale che costava poco e nelle valli si rivendeva

quindici-venti volte più caro.Al contrabbando la Comunità Montana Valle

Stura ha dedicato un museo a Ferriere, 1900 m di quota. Ambientato in

una casa ristrutturata, si chiama La mishoun de la couòntrabando (La Casa

del Contrabbando – Info: tel. 0171.96715) e prende le mosse da questa

pratica di frontiera, per mostrare la vita nella borgata, completata da un

filmato che raccoglie le testimonianze di chi svolse quest’attività

certamente illegale ma utile alla sopravvivenza in altitudine.

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Memoria delle Alpi in guerra

Le tracce sulle Alpi del secondo conflitto mondiale - guerra contro la

Francia, Resistenza e persecuzioni razziali – sono una rete ecomuseale

transfrontaliera (www.memoriadellealpi.net ).

In provincia di Cuneo si dipanano oltre quaranta “Sentieri della Libertà”,

che collegano luoghi e itinerari significativi per recuperarne la memoria

storica. Centri informativi sono a Cuneo, Borgo San Dalmazzo, Boves,

Dronero, Roccabruna e Sambuco, Ormea, con spazi, iniziative e materiali

per rivivere, con la mente e col cuore, pensieri, progetti, scelte,

sentimenti ed emozioni dei protagonisti di quegli anni. Si ricorda ad

esempio che nel 1940 il territorio della valle Stura fu occupato da

numerose divisioni alpine e di fanteria, cannoni e reparti di camicie nere

a cui Mussolini aveva affidato il compito di sfondare le linee francesi. La

Francia, già sconfitta dai Tedeschi, considerò l’attacco italiano “una

pugnalata alla schiena”.

Un Memoriale presso la stazione ferroviaria di Borgo San Dalmazzo

ricorda gli Ebrei di tutta Europa giunti a piedi dalla val Vésubie. Molti

furono accolti dalla popolazione ma alcune centinaia furono catturati e

avviati con le tradotte ai campi di sterminio tedeschi.

Nei giorni successivi all’8 settembre del 1943, sulle montagne occitane

si organizzarono i primi gruppi di resistenza. Un gruppo di antifascisti,

guidato da Duccio Galimberti, Dino Giacosa, Dante Livio Bianco, si riunì

a Madonna del Colletto, tra le valli Stura e Gesso, formando la “Banda

Italia Libera”. Essendo la postazione di Madonna del Colletto difficile da

difendere, la banda si spostò alla borgata Paralup, in cima al vallone di

Rittana tra le valli Stura e Grana, oggi interessata da un progetto di

conservazione architettonica ideata dalla Fondazione intitolata allo

scrittore partigiano Nuto Revelli. a (CN 12 P1)

camminare nella storia

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Le meraviglie di Pedona

Le origini romane di Borgo San Dalmazzo sono un enigma affascinante.

Ancora ci si chiede dov’era esattamente collocata Pedona “dalle bianche

torri”, municipium già nel primo secolo d.C. e sede di una statio doganale

che conservò a lungo una notevole rilevanza, in quanto posizione di

controllo sulle vie verso la Liguria e verso la Francia, ma non sfuggì alla

decadenza e alle incursioni saracene del X-XI secolo, come si legge nel

“Planctus super Pedonam” (Pianto per Pedona).

Tra i reperti archeologici, un’epigrafe, che attesta l’esistenza della

stazione della Quadragesima Galliarum, una necropoli del II-III secolo

vicina all’odierna abbazia e nuclei di tombe romane in altri punti della

città. Di particolare pregio è il rilievo funerario di due coniugi (metà del

I sec d.c.) conservato nel Museo Civico di Cuneo e la stele Victorina di

fine marmo bianco, dedicata a una donna, ma curiosamente decorata

con scudo e frecce.Testimonianza dei collegamenti con il mare troviamo

anche in un’ara dedicata a Nettuno dai piscatores, conservata a Mondovì

presso il seminario vescovile.

La prima menzione dell’Abbazia di San Dalmazzo è contenuta in un

diploma del 902 nel quale Ludovico III di Provenza la pose alle

dipendenze del vescovo Eilulfo di Asti.

Incerte sono anche le origini di San Dalmazzo o Dalmazio, patrono della

città. C’è chi lo ha indicato come evangelizzatore dell’antica Pedona.

Secondo un’antica versione, il Santo, soldato della Legione Tebea, fu

martirizzato dai sacerdoti d’Apollo.

La chiesa abbaziale di San Dalmazzo conserva una vasta cripta con

pregevoli decorazioni in stucco e marmi e capitelli altomedievali. Nella

cosiddetta Cappella Angioina si trovano affreschi dei fratelli Biasacci di

Busca e di Giovanni Baleison di Demonte (Info: www.sandalmazzo.com

e in particolare il Museo dell’Abbazia - www.sandalmazzo.com/museo/

index.htm ).

Ai primi di dicembre si tiene la tradizionale Fiera Fredda, istituita da

Emanuele Filiberto nel lontano 1569. Si chiama così poiché è l’ultima

occasione di festa prima dell’inverno. L’esposizione è divenuta assai

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Ferriere, sede della Casa del Contrabbando

rinomata per la degustazione e vendita della lumaca bianca, Helix

Pomatia Alpina, dalle carni bianche apprezzate dai buongustai, che ha il

suo habitat naturale nelle vicine valli alpine. Oggi la lumaca viene

allevata e cucinata in varie ricette più o meno tradizionali.

Percorsi letterari e leggende

Una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento, Lalla Romano,

nacque a Demonte nel 1906, in una famiglia sensibile alle arti ed alle

scienze. Durante gli anni universitari a Torino conobbe e frequentò

scrittori e intellettuali del calibro di Vincenzo Monti, Cesare Pavese, Mario

Soldati, Franco Antonicelli, Arnaldo Momigliano.

Tra i suoi romanzi, “La penombra che abbiamo attraversato” (1964) è

ispirato alla sua infanzia in Valle Stura. Gli anni trascorsi a Demonte

appaiono anche in un libro particolare,“Lettura di un’immagine”, che la

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scrittrice dedicò al padre Roberto e costituito da fotografie incise su

lastre in bianco e nero da lui scattate fra il 1904 e il 1914.

Ma Lalla Romano (scomparsa a Milano nel 2001) fu anche apprezzata

pittrice, frequentò la scuola torinese di Felice Casorati ed espose le sue

opere in mostre collettive e personali. A ricordo di ciò Demonte le ha

dedicato uno spazio, situato nel seicentesco Palazzo Borelli, dimora tra

le più prestigiose, eretta dai visconti Bolleris, Signori della valle fin dai

tempi di Giovanna d’Angiò (1376).

Lo “Spazio Lalla Romano” comprende una mostra permanente che

documenta paesaggi, atmosfere, forme e colori dei luoghi che hanno

esercitato un’influenza decisiva sulla formazione della sensibilità

artistica di Lalla Romano, a partire dai suoi quadri e dai disegni giovanili,

luoghi che traspaiono anche nei suoi libri. A fianco della mostra, una

biblioteca, un laboratorio didattico per promuovere la conoscenza e la

coscienza dell’opera letteraria di Lalla Romano coinvolgendo le scuole

e gli insegnanti, a cominciare da quelle locali per allargare il campo alla

regione transfrontaliera; quindi un centro studi sul paesaggio che ha

funzione di laboratorio permanente e multidisciplinare per indagare il

rapporto tra le diverse espressioni artistiche, la letteratura, la poesia, la

pittura, la fotografia e il paesaggio (Info: tel. 0171.618260 -

raffaella.degioanni@ marcovaldo.it).

Diversa è la storia di un poeta in lingua d’oc della Valle Stura, Giuseppe

Rosso, Bep Rous dal Jouve, uno dei migliori del Novecento occitano. Nato

a Borgo San Dalmazzo da una famiglia di margari originaria della media

valle, ebbe modo durante l’infanzia e la giovinezza di seguire le mandrie

di famiglia negli itinerari di transumanza dalla Valle Stura alla Valle Po.

Ciò gli valse una grande esperienza sulla civiltà montanara che seppe

sublimare nei versi della sua poesia.

Educatore e studioso eclettico, Bep Rous dal Jouve pubblicò anche studi

di toponomastica, architettura, storia, arte religiosa, pittura, tradizioni

locali e folklore. Oratore suadente, apprezzato critico d’arte, musicologo

e corista, appassionato fotografo, fu pure scultore su legno e poeta in

piemontese.

La sua opera poetica raccoglie versi in un occitano particolarmente ricco

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sia come vocabolario sia come espressione delle proprie emozioni.

Purtroppo la sua produzione non fu mai sistematicamente raccolta e

pubblicata, sebbene meriti di essere ritrovata per meglio comprendere

il genius loci della valle. Queste poche righe vogliono essere un omaggio

a un cantore della montagna occitana con l’augurio che la gente delle

valli e chi viene da fuori voglia riscoprire la sua opera.

Abou la chamiso bioncho

N’ai mec pus uno, de chamizo bioncho,

e ren la sortou per calar en villo.

Mi me la vestou per anar amount

entourn se làrguen i cavial di suco

trempà de sàouvo chardo énte l’erbasso,

adéou despoutentà di questaniha

que mouéren quiet dins lou darrìe bouòsc.

Con la camicia bianca / Ne ho solo più una, di camicie bianche, /

e non la uso per scendere in città. / La indosso per andare lassù, /

ove s’allargano le mandrie dei ceppi / fradici di linfa rossastra tra

l’erbaccia, / addio disperato dei castagni / che muoiono silenziosi

nell’ultimo bosco.

Letteratura e poesia in oc si nutrono di miti e leggende. Uno dei testi

poetici tradizionali più suggestivi della Valle Stura tramanda il passaggio

della Regina Giovanna d’Angiò, diretta a Napoli:“Nòstra Rèina Jana, tuchi

corrion al siu passatge, tuchi venion a lhi far omatge.Viva la rèina de nòstra

montanha e tot lo monde qu’aicì l’acompanha! (Nostra Regina Giovanna,

tutti accorrevano al suo passaggio, tutti venivano a renderle omaggio.

Viva la regina della nostra montagna e tutto il seguito che qui

l’accompagna)”

Le cronache che tramandano la figura della regina di Napoli e signora di

Provenza, la dicono donna di grande fascino, però dissoluta e crudele.

Giovanna ebbe quattro mariti e numerosi amanti e, accusata di omicidio,

fu strangolata nel 1382.

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Qui in valle invece è ricordata come dama benevola e un piccolo pianoro

a picco sulla stretta delle Barricate, barriera di roccia tra Bersezio e

Pontebernardo, viene ancora oggi ricordato come il “giardino della

Regina Giovanna”. Fa eccezione una leggenda della bassa valle in cui la

Rèina Jana torna quell’essere indiavolato tramandato dalle cronache del

medioevo. Qui si racconta che la bella Giovanna, in viaggio da Napoli

verso la Provenza, si stabilì sopra un monte dal clima particolarmente

salubre e vicino a una fresca sorgente. Ma di lì a poco venne una terribile

pestilenza, interpretata dagli abitanti del luogo come un castigo divino

per la presenza della peccatrice. Il popolo pregò quindi Giovanna di

andarsene: la regina acconsentì, ma in cambio pretese un paio di scarpe

adatte ai suoi piedi. Così si scoprì che aveva “piedi di gallina”, ossia che la

Rèina Jana era una strega.

Relax alle Terme di Vinadio in frazione Bagni

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Valle GessoIl Parco Naturale Alpi Marittime, di circa 29.000 ettari attorno al massiccio

dell’Argentera, è il più grande parco del Piemonte. Confina con il Parco

Nazionale francese del Mercantour, con cui è gemellato dal 1987. Così,

100.000 ettari di prezioso territorio alpino vengono protetti e nel 1993

hanno ottenuto il Diploma europeo per l’ambiente.

Il Parco ha come nota distintiva la vicinanza del mare, seppure numerose

cime con alcuni ghiacciai superino i tremila metri. Nel Parco sono state

classificate circa 1.900 specie di piante superiori con numerosi e preziosi

endemismi, ventisei dei quali di tipo esclusivo. Ricca è la fauna, con lo

stambecco in primo piano, camosci, mufloni provenienti dal Mercantour,

lupi, aquile, gipeti e falchi pellegrini. I Centri Visita della Valle Gesso si

trovano ad Entracque e Terme di Valdieri.

Tra i carsismi di rilievo della zona troviamo le grotte di Roaschia,

caratterizzate dalla risorgenza della Dragonera, con un sifone esplorato

fino a -35 metri, e le grotte del Bandito, sfruttate anche per l’estrazione

dell’oro alla fine del XIX secolo,ma famose soprattutto per il rinvenimento

di ossa dell’orso delle caverne (Ursus spelaeus), una specie di tre metri di

altezza e del peso di una tonnellata circa,estintosi 15.000 anni fa.Nel tratto

più a valle della gola del Rio Bedale si può osservare anche una profonda

incisione che forma un canyon con alte pareti rocciose.

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L’orso e la segale

L’orso si ritrova come figura principale anche nell’antico carnevale alpino

di Valdieri. Un orso di paglia di segale incatenato viene condotto per le

vie del centro storico da un domatore. L’orso tenta di aggredire le donne

e quando riesce a liberarsi ne sceglie una per un ballo. Infine fugge

lontano dalla gente e, sostituito da un pupazzo di segale, viene bruciato.

Partecipano al corteo anche i chiassosi “peroulier”, “i frà” che declamano

“epistule” scherzose e i simpatici “magnin”.

Il tema della segale è centrale per l’Ecomuseo della Segale, che si trova

nell’antica borgata di Sant’Anna di Valdieri: permette di scoprire abitudini,

curiosità sulla vita quotidiana e i lavori della gente di un tempo. Il progetto

museale ha recuperato alcune case e i tetti in segale nelle borgate di Tetti

Bartola e Tetti Bariau. Il Centro di documentazione propone percorsi

etnografici, come il sentiero cultura “Lou Viol du Tàit”, escursioni, laboratori

sulla cultura locale e sul tema della segale.

(Info: Comune Valdieri - tel. 0171.97109)

Pian del Valasco

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Memorie reali a Valdieri ed Entracque

L’area del Parco delle Marittime è un luogo di selvaggia bellezza.Nel 1855 i

Savoia vennero in visita in Valle Gesso e Vittorio Emanuele II ne rimase tanto

affascinato che i comuni di Valdieri ed Entracque,consapevoli dei vantaggi

che la presenza reale avrebbe portato,cedettero al futuro re d’Italia parte dei

propri terreni come riserva ad uso privato di caccia e pesca.

Vittorio Emanuele II scelse la Valle Gesso come dimora estiva e tra il Re

Galantuomo e la popolazione si stabilì un rapporto privilegiato. Il re

impegnò numerosa manodopera locale: guardie, portatori e battitori, che

durante le cacce spingevano i branchi di camosci a tiro del fucile regale, e

uno stuolo di servitori,cuochi e camerieri impiegati nelle palazzine di caccia,

in cui il re accoglieva monarchi di mezza Europa con le loro corti, amici ed

amanti.

A ricordo delle scappatelle amorose del Re Galantuomo rimane,alle Terme

di Valdieri, l’originale chalet della “Bela Rosin”decorato con legni traforati e

svolazzi in stile svizzero,che Vittorio Emanuele II fece costruire per ospitare

la giovane popolana Maria Rosa Vercellana, poi nobilitata con il titolo di

Contessa di Mirafiori.

Terme di Valdieri - Chalet della Bela Rosin

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Per favorire la frequentazione delle vicine terme dove sgorgano acque

a 25-29 gradi vennero edificati numerosi alberghi e lo stesso Vittorio

Emanuele II inaugurò nel 1857 il grandioso Hotel Royal. Una dimora

reale di caccia sorse a Sant’Anna di Valdieri, un’altra a San Giacomo di

Entracque. Da qui iniziano vari sentieri che conducono fino a Pian del

Rasur, con la possibilità di incontrare camosci e marmotte e godere dello

spettacolo dei ghiacciai del Monte Gelàs.

Tra i luoghi più suggestivi vi è il Piano del Valasco, ampio pianoro

circondato da cime a 1760 metri, attraversato da un torrente che forma

due bellissime cascate, dove Vittorio Emanuele II fece erigere una delle

più importanti e caratteristiche case di caccia: un solitario castello

quadrangolare munito di torri di guardia. Con una lapide del 1882, il

Club Alpino Italiano ricorda Vittorio Emanuele II che “le alte cure del

regno, qui nei gioghi delle Alpi Marittime, nel ludo di alpestri cacce ogni

anno riposava”.

I successori Umberto I e Vittorio Emanuele III vedranno confermati i loro

diritti sulla riserva, così, per oltre ottant’anni, la Riserva Reale ebbe il

merito di conservare, seppur a scopo venatorio, la fauna selvatica,

proteggendola dal bracconaggio e introducendo nel 1920-22 lo

stambecco portato dal Gran Paradiso. Scomparsa infine la monarchia,

dall’ex riserva nascerà parecchi anni più tardi l’attuale Parco delle Alpi

Marittime (Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv2004.page).

Per una più approfondita conoscenza delle opportunità offerte dall’area

protetta e della Valle Gesso in generale è possibile visitare uno dei centri

di accoglienza che il Parco delle Marittime ha realizzato nei punti di

accesso di Entracque e Terme di Valdieri. (Info: Centro Visita Entracque -

tel. 0171.978616; Terme di Valdieri - tel. 0171.97208 - www.parco

alpimarittime.it).

Presso le Terme è stato aperto il Giardino Botanico Valderia, dal nome

della viola valderia endemica di questo territorio. Il giardino raccoglie

più di 450 specie degli ambienti naturali della zona: rocce silicee e

calcaree, prateria, torbiera, greto, pascolo, arbusteto.

La necropoli di Valdieri, aperta alla visita, e le incisioni rupestri del lago

del Vei del Bouc testimoniano la presenza di popolazioni preistoriche. La

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valle fu nota ai Romani per le sue sorgenti termali e, nel medioevo, fu

transito per le carovane del sale che giungevano dalla Provenza.

Medievali sono gli affreschi della Madonna del Gerbetto ad Andonno e

della cappella di San Giovanni a Valdieri. Il marmo bardiglio grigio cavato

nei pressi di San Lorenzo fu impiegato in epoca barocca nelle

parrocchiali di Valdieri ed Entracque. In quest’ultimo paese, il Museo di

Arte Sacra espone oggetti liturgici e quadri di scuola caravaggesca.

Paesi e frazioni hanno mantenuto in parte l’aspetto di un tempo ed è

possibile osservare tracce di antiche coperture in paglia; caratteristici

sono gli alpeggi con i recinti in pietra, chiamati “parc”, il “casot” in

pietrame che funge da abitazione del pastore e la “truna”con copertura

in terreno vegetale dove si conservano i formaggi. Il tutto prende il

nome di “gias” dal latino “iacere” (giacere) e rispecchia uno stile di vita

rustica.

La val Gesso non è tuttavia solo memorie reali, natura, storia e cultura

materiale. Spettacolare è l’impianto idroelettrico di Entracque, entrato in

funzione nel 1982, il maggiore d’Italia. Si articola in due salti distinti:

Chiotas-Piastra e Rovina-Piastra.

La sua costruzione, iniziata nell’ottobre 1969, ha richiesto tredici milioni

di ore lavorative e un complesso cantiere comprendente trentacinque

imprese fra edili ed elettromeccaniche, parte in quota per la

realizzazione delle dighe del Chiotas (130 metri di altezza) e del Colle

Laura, parte per la realizzazione dei fabbricati esterni, parte in galleria

per i canali di derivazione e le condotte forzate.

Con il trascorrere degli anni il mastodontico muraglione della diga della

Piastra è diventato una divertente e inconsueta palestra di roccia per gli

appassionati dell’arrampicata. Per soddisfare le curiosità dei visitatori,

sulla strada per San Giacomo di Entracque è stato creato il Centro

Informazioni “Luigi Einaudi”, dove è ospitato un modello degli impianti

collocati in alta montagna ed è visitabile con un trenino la centrale in

caverna con le gigantesche condotte e turbine (Info: Centro

Informazioni “Luigi Einaudi” - tel. 0171.978811 - fax 0171.078811).

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Sulle tracce di lupi e gipeti

Il Parco delle Marittime, che nel 1993 ha ottenuto il Diploma Europeo per

l’Ambiente,è ricco di camosci e stambecchi.Ospita inoltre due animali rari,

il lupo e il gipeto, di cui fino a pochi decenni fa si era persa traccia.

Il lupo è tornato risalendo a tappe l’Appennino e proprio in Valle Gesso,

verso il confine con il Parco francese del Mercantour, i segni della sua

presenza sono risultati particolarmente numerosi. Il suo arrivo ha creato

preoccupazione tra i pastori che ora devono difendere le greggi dagli

attacchi del predatore.

Ad Entracque, presso il Centro del Parco delle Alpi Marittime, i ricercatori

studiano il comportamento dei nuovi arrivati. Dopo aver contato gli

esemplari dalla Valle Vermenagna alla Valle Varaita, seguono d’inverno le

loro tracce sulla neve, d’estate “ululano”per le combe e i crinali, imitando il

richiamo del lupo o diffondendo ululati registrati. I lupi rispondono ai

ricercatori e in questi modo è possibile capire quanti sono (Info:

www.regione.piemonte.it/parchi/lupo/progetto/monitor.htm).

Avvistare un gipeto in volo è emozionante. Questo rapace ha un’ampia

apertura alare e compie tragitti lunghissimi, volando dalle Alpi Marittime

alle Cozie e sorvolando il mare fino alla Corsica.

Il Parco, frequentato da greggi, fornisce cibo abbondante a questi spazzini

d’alta quota, in grado di inghiottire le ossa intere (anche il femore di un

camoscio) e digerirle con succhi gastrici potentissimi.

I gipeti non sprecano nulla,si nutrono delle ossa e dei tendini degli animali

morti, quindi non hanno competitori alimentari. Sono intelligenti: a tarda

primavera volano puntualmente sopra i resti di slavine e valanghe,sperando

di trovare animali morti. Quando le ossa sono troppo grandi, per romperle

si alzano in volo e le lanciano sulle rocce da cinquanta metri di altezza.

Sulle Marittime i rilasci di gipeti sono cominciati nel 1993: da allora gli

avvistamenti sono continui e ogni segnalazione viene raccolta in una banca

dati. I rapaci rilasciati sono “marcati”e si riconoscono per le penne delle ali,

remiganti e timoniere,più chiare.Un gipeto delle Marittime è stato visto nei

cieli dell’Olanda e dopo circa tre mesi è stato osservato in Alta Savoia.

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Le Parlate, teatro d’oc

A Entracque ogni cinque anni si può assistere alla rappresentazione de “le

Parlate”(l’ultima si è tenuta nel 2005). Questa rievocazione della Passione

e Morte di Gesù viene fatta rivivere da attori e personaggi locali su un

palcoscenico presso la Confraternita di Santa Croce.Tutta la rappresenta-

zione, dalla preghiera nell’orto di Getzemani fino alla Sepoltura, è recitata

nella lingua occitana del luogo.

L’usanza risale al medioevo e si tiene nella Settimana Santa,ma particolare

suggestione riveste la giornata del Venerdì Santo, quando compaiono i

personaggi locali:al Timbajer (l’araldo) che fin dal primo mattino attraversa

le borgate annunciando il programma, al Capitani (il capitano), che nella

Domenica delle Palme è stato investito della carica da parte del parroco

priore. Al Capitani assieme a al

Tenenti (il Tenente) presenta i

personaggi al sindaco e chiede

l’autorizzazione allo svolgimento de

“le Parlate”.Ricevuta l’autorizzazione,

davanti alla confraternita di Santa

Croce si rappresentano la Passione e

Morte di Gesù, quindi la celebra-

zione prosegue con una proces-

sione accompagnata dai canti del Miserere e dello Stabat Mater lungo le

vie del paese, illuminate con lumi e torce. Ad accompagnare l’Urna Sacra

con il corpo del Cristo, ci sono i Trëzë Cavajer (i tredici Cavalieri) in frac e

feluca con una bandiera decorata di una croce d’argento in campo nero,

in rappresentanza dei tredici rioni, guidati da “al trezë”, il loro comandante.

La processione si conclude con la deposizione del Cristo nella chiesa

parrocchiale dove è convenuta l’intera popolazione.

Le Parlate, nate da una forte motivazione religiosa, rappresentano un

momento di fede, di storia e di tradizione, che richiede molto impegno

alla comunità del piccolo paese, posto ai piedi di suggestive falesie

calcaree e di aspre montagne.

(Info: www.chambradoc.it/cmgv/progettocmgv2004.page).

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Gastronomia di valle

Le ricette delle valli si rifanno alle coltivazioni ed ai prodotti tipici: gli

gnocchi di spinaci, il riso al latte con patate, porri e zucca, le trote con i

funghi porcini freschi, le cipolle ripiene di bietole e salsiccia, la torta di

ricotta. In queste preparazioni non manca la patata, risorsa primaria

nell’alimentazione delle Alpi occitane. In realtà la patata arrivò su queste

montagne abbastanza tardi, verso la fine del Settecento. Il suo nome in

occitano conosce diverse varianti: c’è chi la chiama trufa, chi tartifla, chi

trifola e diversissimo dagli altri è il nome bòdi in uso nelle valli Gesso e

Stura.

Terra, altitudine, acqua e clima fanno delle patate di montagna un

prodotto molto apprezzato.Nella cucina tradizionale delle Valli si trovano:

fritte, in padella, lessate con la

buccia per mantenerne il

sapore, schiacciate in forma di

purea e come ingrediente

essenziale per vari tipi di

gnocchi, raviolas, calhetas,

donderets, tondirets, con il riso

e con l’aioli, e persino in certe

torte salate.

Alcuni attrezzi tradizionali per la coltivazione della patata sono ancora

largamente impiegati: la zappa a due punte, il magau, importato sulle

montagne occitane dalla Provenza, e l’originale picha o bichard che di

punte ne ha una sola. Tuttavia si va diffondendo una rapida

meccanizzazione della produzione.

Fra le ricette tradizionali, e dal gusto particolare, troviamo anche los

talharins de Roascha, i taglierini alla moda di Roaschia,una pasta preparata

a mano. Il condimento è preparato con sei etti di cipolle affettate e

rosolate in 80 grammi di burro e quattro cucchiai di olio d’oliva assieme

a due etti di pancetta a dadini.Quando tutto è ben dorato, si aggiungono

due bicchieri di vino rosso e si fa cuocere per altri otto minuti. In questo

sugo si fanno saltare i taglierini precedentemente lessati.

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Storie di pastori e migranti

Le storie di emigrazione sono “la grande avventura” delle Valli occitane.

“... Non avevo sedici anni, sono partito per la Francia, a piedi attraverso

il Colle di Ciriegia. Con altri abbiamo marciato fino a San Lorenzo del Var,

oltre Nizza, e da lì siamo andati a Saint Raphaël, alla ventura...”: è una

testimonianza raccolta da Nuto Revelli nel suo libro “Il Mondo dei Vinti”.

L’emigrazione stagionale portava lontano, sul mare di Marsiglia, a

Tolone, nella Crau, nella Camargue, sulla riviera di Nizza, ad Arles, Aix,

Nîmes, Avignone e fino a Parigi.

I pastori di Roaschia andavano nella direzione opposta, verso la Pianura

padana, seguivano il corso del fiume Po. Uomini, donne e bambini

muovevano dalla Valle Gesso con centinaia di pecore, seguiti da un carro

con le masserizie essenziali, per una vita spartana… di giorno

camminare, la notte sotto le stelle.“Rubavano”l’erba dei pascoli lungo gli

Parco Naturale Alpi Marittime - Lago Valscura Inferiore

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argini e le lanche del fiume, perciò ebbero il soprannome di “gratta”, che

in dialetto vuol dire ladruncolo. Tornavano a primavera inoltrata

portando nella valle natia oggetti, usanze, canzoni e il buon vino delle

colline astigiane.

In una intervista filmata del 1996, conservata nell’archivio della

Ousitanio Vivo Film (Info: via Marconi - 12020 Venasca – tel. 0175.567606

- ousitanio. [email protected]), Lorenzo Giraudo detto Lencho d’ Charùa di

Roaschia, raccontò la sua storia:

“Scendevamo con il gregge, circa 180 pecore, e andavamo a piedi a

Fiorenzuola d’Arda in provincia di Parma, mio padre, mia madre e la

famiglia. Partivamo d’autunno, fine settembre, con il carro. Passavamo

per Cuneo, Bra, Alba, Asti, Alessandria,Tortona,Voghera, poi a Casteggio

e Stradella, dove fanno le fisarmoniche, fino a Castel San Giovanni,

Piacenza e San Giorgio Piacentino”.

I “gratta”erano nomadi in un mondo di sedentari. Ciò imponeva qualche

cautela e per non farsi capire i pastori di Roaschia si inventarono un

gergo: la bartolina e lo bartolòt erano la pecora e l’agnello, la bëjja la

toma, la donna la tubera, la ragazza la marmalha.

Le donne partecipavano a questa vita durissima:“Giorno dopo giorno alle

intemperie, pioggia e neve. Il carro era la nostra casa, le donne dormivano

sul cassone, gli uomini sotto il carro, coricati su una pelle di pecora”.

Parco Naturale Alpi Marittime - Stradaex militare per il Colletto di Valasco

Parco Naturale Alpi Marittime - Il Monte Matto

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Val VermenagnaNel medioevo la Valle è stata un’importante via di transito per le carovane

del sale e le comunicazioni dal Piemonte alla Liguria occidentale e al

Nizzardo.

La Val Vermenagna è certamente la valle dei balli e dei canti. D’estate si

susseguono feste patronali e campestri, vissute con forte partecipazione

popolare. In particolare a Robilante e Vernante i giovani mostrano un

grande attaccamento ai balli tradizionali occitani. Sia la danza figurata, al

suono della fisarmonica e del clarino, sia il canto hanno sviluppato forme

tipicamente locali, con uno stile canoro che tende verso i toni alti e un

passo di danza velocissimo, quasi impossibile da imitare.

Oggi la valle è l’unica della provincia di Cuneo percorsa da una strada e da

una linea ferroviaria internazionali, che collegano Torino e Cuneo a Nizza.

Limone P.te, in cima alla valle, è considerata il più importante centro

sciistico delle Alpi sud-occidentali. Le prime piste da sci sorsero nel 1907.

Nel 1936 si iniziarono gli impianti di risalita e i primi alberghi. Nel

dopoguerra le sue nevi diventarono meta di sciatori e turisti provenienti

dal Cuneese, dalla Liguria e dal Nizzardo (Info: www.limonepiemonte.it).

Nonostante l’intenso sviluppo turistico ed edilizio, il paese conserva una

notevole identità comunitaria e un dialetto d’oc con alcune curiose

peculiarità fonetiche. Una tradizione tipicamente occitana è la Baija,

celebrata in estate con una processione religiosa seguita da musiche e

danze.

Il tunnel stradale di Tenda, scavato nel 1883 per il traffico delle diligenze

postali, misura 3,3 km e fu tra i primi delle Alpi. La sua presenza favorisce

l’apertura verso il Nizzardo e la Provenza. Una rete viaria così sviluppata

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spiega anche, in parte, la presenza nella bassa valle di industrie estrattive

che assicurano molti posti di lavoro, limitando il fenomeno dell’emigra-

zione.

I Forti di Tenda

A fine Ottocento l’Italia eresse sul colle di Tenda (1850 m di quota), tra le

valli Vermenagna e Roya, un sistema di forti collegati da strade militari,

oggi trasformati in percorsi escursionistici di grande valore ambientale. Il

Forte Colle Alto, costruito dal 1888 al 1891, fu il perno di questo

schieramento contro la Francia.

Dai Forti di Tenda non fu mai sparato un colpo: allo scoppio della prima

guerra mondiale le loro artiglierie vennero infatti smantellate e utilizzate

sul fronte austriaco. Nel 1947, quando l’alta valle Roya passò alla Francia,

anche i Forti di Tenda cambiarono proprietario.

Escursione in MTB ai Forti di Tenda

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Ubi stabant cathari

Ad Rocavion, et est locus apud Cuneum, ubi stabant cathari qui venerant de

Francia ad habitandum... scriveva nel Duecento l’inquisitore Anselmo da

Alessandria.L’arrivo dalla Linguadoca dei primi eretici catari a Roccavione ri-

saliva al 1165.Essi avevano attraversato,come molti fuggitivi, il Colle di Tenda.

Roccavione risultava collocata alla confluenza di più strade,con un castello

dell’XI secolo di cui rimangono pochi ruderi. Partendo da qui, i catari

predicarono in Piemonte, Lombardia, Toscana e Veneto. Numerosi

personaggi vi transitarono: trovatori, nobili e cavalieri, tra cui alcuni

difensori della rocca di Montsegur, in cui si consumò il massacro dei catari,

episodio miliare nella storia dell’Occitania.

In giugno a Roccavione rivivono, alla luce delle torce, i fondamenti della

religione catara, i riti, il dramma della persecuzione, il sacrificio finale, con

musiche e scene di vita quotidiana del basso medioevo. Un centinaio di

persone in abito d’epoca ripercorrono gli eventi descritti nel Tractatus de

heretici dell’inquisitore Anselmo.

Che la Val Vermenagna sia una delle più antiche vie di transito attraverso le

Alpi, lo conferma il ritrovamento presso Roccavione (Bec Berciassa a 962 m

s.l.m.) di un insediamento dell’Età del Ferro. Il Colle di Tenda fu attraversato

anche per fini commerciali. I mestieri legati al traffico e ai trasporti hanno

trovato un proprio protettore in Sant’Eligio.Ancor oggi ricorre a Limone P.te

la tradizionale Baija ‘d sant Aloi, protettore dei carrettieri, fabbri-ferrai,

maniscalchi, sellai. Si festeggia l’ultima domenica di agosto: l’Abbà, perso-

naggio che guida la Baija sostenendo l’insegna del patrono,e i suoi confratelli

sfilano vestiti d’un ricco abito alla napoleonica,montando cavalcature cariche

di fiocchi, pennacchi e sonagliere, condotte da eleganti mulattieri che

impugnano un’asta sormontata di nastri e fiori.Giunti alla chiesa parrocchiale

del 1363,la più antica della Val Vermenagna con la facciata in pietra e portale

a sesto acuto, avviene l’investitura del nuovo Abbà.

Il corteo si ripete due volte nella giornata, accompagnato da corenta e

balet, danze tradizionali diffuse in tutta l’area occitana, e dal rimbombo

della polvere da sparo delle castagnette.

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Pinocchio a Vernante

A soli 6 km da Limone Piemonte si trova Vernante, che conserva un

centinaio di murales dedicati a Pinocchio. Accadde che negli anni ‘20 la

vernantina Margherita Martini prese servizio a Torino in casa di Attilio

Mussino, famoso illustratore di Pinocchio. Dopo aver perso il figlio e la

moglie, il pittore si ritirò a Vernante e vi trascorse gli ultimi anni di vita.Nel

1989, Bruno Carlet e Meo Cavallera ebbero l’idea di affrescare i muri delle

case con la storia di Pinocchio.

Si è creata così una suggestiva visione della famosa storia lungo il paese.

All’entrata nord è stato eretto un monumento a Pinocchio, opera di

artigiani locali (Info: www.comune.vernante.cn.it).

Fiore all’occhiello dell’artigianato di

Vernante sono anche gli ormai rari

“vernantins”, coltelli in acciaio temprato,

con manici di corna bovine e la

particolare chiusura a chiodo.Ne esistono

sia di diritti sia di ricurvi per i lavori

agricoli.

Una parte del territorio è inclusa nella

Riserva Naturale del Bosco e dei Laghi di

Palanfrè, compresa nel Parco delle Alpi

Marittime. L’area protetta si trova nella parte alta della Val Grande, sopra

l’abitato di Palanfrè,dove le praterie appaiono contornate da bianche rocce

calcaree.Pur non essendo molto vasta (1070 ettari circa), la riserva presenta

una varietà di microclimi che spiega l’enorme ricchezza faunistica sia di

uccelli sia di mammiferi, fra cui camosci, marmotte, martore e tassi.

La piccola frazione di Palanfrè, con il suo bosco di faggio a monte delle

case tutelato sin dal Settecento, ha conservato la fisionomia di una

borgata tradizionale. Le case sono state ristrutturate rispettando

l’architettura alpina di questi luoghi. Il Parco delle Alpi Marittime, che si

estende fin qui ed ha aperto un piccolo Centro Informazioni anche a

Vernante, propone il Sentiero Natura, una passeggiata nella faggeta ricca

di esemplari antichi e contorti.

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Il genio di Nòto e Jòrs

Il genius loci della Valle trova la sua rappresentazione nel “Museo della

Fisarmonica, della Musica e dell’Arte Popolare”di Robilante con le fisarmo-

niche a semitons e il banco da lavoro di Giuseppe Vallauri (nato a Robilante

nel 1896, morto nel 1984), conosciuto con l’appelativo di Nòto Sonador.

Suonatore di fisarmonica, ottimo esecutore di corenta e balèt, Vallauri fu

anche riparatore di fisarmoniche.La storia del folclore occitano lo annovera

tra i più grandi testimoni del patrimonio musicale di danza popolare.

A Nòto Sonador è dedicata la Festa della Fisarmonica organizzata in maggio.

Arricchiscono il museo, oltre ai costumi d’epoca e alle numerose foto, le

riproduzioni delle opere dello scultore contadino Giorgio Bertaina, Jòrs de

Snive (nato nel 1902, morto nel 1976), vissuto sulla montagna di Robilante

presso le Piagge.

Jòrs scolpiva su legno con il coltello, in uno stile che sembra emergere dai

tempi del romanico.Sono sculture ispirate al suo mondo:animali domestici

e selvatici, vacche al pascolo, suonatori di fisarmonica e clarino, l’osteria, gli

sposi che ballano.

Jòrs de Snive fece anche decine di bastoni da passeggio,ornati con scene di

vita, veri racconti scolpiti a 360° per tutta la lunghezza del bastone.

Particolarmente interessanti alcune sculture che rappresentano il braccio

severo della legge: carabinieri a cavallo che trascinano uomini in catene,

forse montanari presi con la bricolla del contrabbando.

Una storia vera quella del contrabbando nei paesi al confine con la Francia:

portavano riso e tabacco e prendevano sale che di là costava poco.

Contrabbandavano anche fisarmoniche; tornavano con lana, mucche e

pecore. Quando non c’erano carabinieri e finanza in agguato, le frontiere

erano inesistenti per chi conosceva i passaggi sulle montagne!

La visita al museo è piacevolmente accompagnata da pezzi tradizionali

eseguiti alla fisarmonica e da un sottofondo di suoni naturali, quasi a

immergere il visitatore tra sentieri e borgate di questa valle che,per i modi

di fare della sua gente, alcuni vogliono la più “marsigliese” delle Valli

Occitane (Info: Museo - tel. 0171.78101 - fax 0171.789103 - www.

chambradoc.it/ cmgv/progettocmgv2004.page).

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Paglia poesia parole

Il genius loci della Valle si vede anche nella costruzione delle case: alcune

borgate di Robilante (Tetti Rescasso, Snive e Merciandun) e di Vernante

(Tetto Serre e Val Grande di Palanfré) conservano l’usanza dei tetti di

paglia di segale, diffusa anche nelle vicine valli Gesso e Stura. A Robilante

con caratteristiche capriate in legno di castagno ricurvo, che si ritrovano

identiche soltanto in Inghilterra e Germania.

Genius loci è la lingua d’oc.

Limone P.te, il suo passato di centro agricolo, l’attualità del turismo che ha

inciso sull’assetto urbanistico sono, assieme alla patria occitana, il nucleo

ispiratore della poesia in oc di Giacomo Bellone, Dzacolin Bortela:

… . . .

Lè turna dzurn: È di nuovo giorno:

gi ommi is disvaggiu, gli uomini si svegliano,

i s’ sparu acol, si sparano addosso

i fan piurar li framme… fanno piangere le donne…

lè turna dzurn: è di nuovo giorno:

li framme i gi an la smans le donne hanno con sé il seme

cügiüya ‘nt la nöts, raccolto nella notte,

pur bröjar d’autri ommi… per far germogliare altri uomini…

Fin dagli anni Settanta, raccogliere la propria parlata occitana in un

dizionario è stato il grande merito di alcuni ricercatori spontanei.

L’occitano tra Robilante e Roccavione oggi è in un dizionario di tredicimila

voci (Info: www.chambradoc.it/CatalogoGenerale.page), realizzato con

passione dai ricercatori locali Lorenzo Artusio, Piermarco Audisio, Gianni

Giraudo,Eliano Macario.Un lavoro durato circa vent’anni. Il risultato fa dire

agli estensori che la parlata di entrambi i paesi ha “mantenuto un’ottima

dizione occitana e presenta interessanti corrispondenze con Boves,

Peveragno e Roccasparvera. L’influenza del piemontese è già forte, ma vi

si percepiscono le radici occitane, che conferiscono una apprezzabile

identità linguistica a coloro che ne fanno uso comune”.

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Valli ai piedi della BisaltaLa Bisalta, o Besimauda, sovrasta la città di Cuneo. Ha due cime, una di

2231 m, l’altra di poco più bassa. Ai suoi piedi sorgono le cittadine di

Boves, Peveragno, Chiusa Pesio e scendono i torrenti Colla e Josina.

La parlata locale mostra influenze dal piemontese, accentuate negli ultimi

decenni per l’abbandono delle frazioni montane. I fondamenti lessicali

del vocabolario rurale rimangono tuttavia occitani, come l’universo delle

leggende, costellato di personaggi mitici - u magu (il mago), u dràà (il

drago), le mäsque (le masche), u servägn (l’uomo selvatico), le fäie (le fate)

- che si ritrovano in tutto il territorio alpino di lingua d’oc.

La carta dei sentieri “Intorno alla Bisalta” descrive gli itinerari a piedi, a

cavallo e in mountain bike tracciati nel territorio (Info: Comunità Montana

- tel.0171.339957 - [email protected]; Parco Naturale Alta Valle

Pesio e Tanaro - tel. 0171.734021 - www.parks.it/parchi.cuneesi).

Nell’Ottocento Chiusa Pesio, Peveragno e Boves furono centri di attività

industriali: filande, laboratori di ceramica, lanifici, fornaci, concerie e

industrie per l’estrazione del tannino. Il Museo della Regia Fabbrica dei

Cristalli e della Ceramica, nell’antico Palazzo Comunale di Chiusa Pesio, ha

l’obiettivo di far conoscere il ruolo svolto da queste proto industrie nello

sviluppo del paese. Oggi le tre cittadine sono culturalmente vivaci, con

associazioni impegnate nella riscoperta delle tradizioni locali, le attività

sociali e la storia (Info: Scuola di Pace di Boves - www.scuoladipace.it), le

iniziative cinematografiche (Info: Associazione Ipotesi Cinema Piemonte

- tel. 0171.735341).

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La Certosa di Pesio

Stazioni botaniche

La parte più alta del comune di Chiusa Pesio, verso il massiccio calcareo

del Marguareis, è compresa nel Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro,

territorio interessante per numero di specie vegetali e per la presenza del

lupo.

La strada carrozzabile termina al Pian delle Gorre (1032 m), attrezzato a

Centro Visita.Da qui si sale al Rifugio Garelli, 900 m più in alto.Su un’altura

vicina c’è la stazione botanica dedicata agli studiosi Clarence Bicknell ed

Emile Burnat.

La stazione ospita una zona umida, con esemplari di Drosera e Pinguicola,

affascinanti carnivore delle Alpi, che “mangiano” insetti per assumere

sostanze azotate. Con mezz’ora di cammino si raggiunge una seconda

stazione botanica, posta presso un laghetto sotto l’imponente muraglia

del Marguareis (2651 m s.l.m.). Vi alligna una bella orchidea, la Scarpetta

di Venere (Cypripedium calceolus), assunta come simbolo del Parco.

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La certosa nei boschi

Si trova nel comune di Chiusa Pesio la Certosa fondata nel 1173, quando

i consignori di Morozzo donarono i terreni dell’alta valle all’ordine

certosino. I frati vi conservarono molte opere d’arte, tanto che già nel

Cinquecento si rese necessario un ampliamento. Nel Seicento vennero

realizzati il loggiato,che ancor oggi colpisce per la sua maestosità,e la scala

monumentale. I frati decisero l’edificazione di alcune grange per la

coltivazione dei terreni circostanti. Nel 1802 il governo napoleonico

soppresse la Certosa e i suoi tesori furono dispersi. L’edificio funzionò

nell’Ottocento come stabilimento idroterapico, finché fu chiuso nel 1915.

Soltanto dal 1934 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno

riportato allo splendore questo ammirabile edificio, luogo di meditazione

e pellegrinaggio, raccolto fra i castagni (Info: www.certosadipesio.org).

Al castagno,che tanto peso ha avuto nel sostentamento della popolazione

di queste zone,è dedicato il Museo della Castagna a Boves. Inaugurato nel

2000,occupa una parte della cascina Martinengo Marquet. Il museo è nato

nell’ambito di un progetto internazionale di valorizzazione di questo frutto.

All’interno si trovano una raccolta di attrezzi per la coltivazione della

castagna e dell’agricoltura tradizionale. Il museo propone anche percorsi

didattici per permettere un avvicinamento ai modi di lavorare di un tempo

(Info: Cascina Marquet - Via Roncaia, 24 - Boves - tel. 335.6777905).

Un notevole peso nella gastronomia locale hanno le diverse specie di funghi

che si trovano nei boschi ai piedi della Bisalta. A loro è dedicato il Museo

del Fungo e di Scienze Naturali di Boves, realizzato grazie al dottor Mario

Strani.Nelle otto sale che lo compongono sono raccolti oltre mille esemplari

di funghi in gesso o resina per mostrare le 250 specie che si trovano nella

zona,fossili,minerali,animali imbalsamati,conchiglie e una preziosa raccolta

di oltre 130 specie di farfalle del cuneese e alcune invenzioni tra Otto e

Novecento. Il Museo dispone anche di testimonianze sulle cave e fornaci

della provincia di Cuneo e un plastico del territorio. (Info: Comune di Boves

- tel. 0171.391834 - fax 0171.391856 - www.musei.provincia.cuneo.it)

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Collezione fotografica al Parco

Presso la sede del Parco Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro di Chiusa Pesio

è allestita un’esposizione permanente dedicata a un grande maestro della

fotografia contemporanea, Michele Pellegrino, nativo di questo paese.

Il percorso si articola in otto sezioni con trecento fotografie in bianco e

nero: Luoghi dell’Acqua, Incanti Ordinari, Visages de la Contemplation (vita

monastica),Alta Langa,Scene di Matrimonio,Alpi Liguri,Marittime e Cozie,

Monte Bianco e Tracce nel Tempo. Il significato della collezione è anzitutto

artistico-documentario.

Pellegrino si è dedicato alla fotografia dapprima come autodidatta,

riuscendo a cogliere gli sguardi degli uomini e la bellezza talvolta tragica

delle Valli,prima del grande spopolamento che negli anni Sessanta svuotò

paesi e borgate. Nel 1972,

Michele Pellegrino pubblicò il

suo primo libro di fotografie,

“Gente di Provincia”, seguito da

“Profondo Nord” sul tema

dell’esodo dalle montagne.

Tra le opere più recenti, a partire

dagli anni ’90: “Le Montagne

della Memoria”, “Il Tempo della

Montagna”, “Il Silenzio Magico

della Montagna”, “Una Traccia nel Tempo” e nel 2002 “Elva, un paese

occitano”.

La sua attenzione è stata catturata anche da un fiore, un sasso, l’acqua dei

ruscelli perché dice “l’importante è vedere non in modo freddo,meccanico,

ma con l’anima”. I suoi ritratti sono quasi uno studio psicologico degli

abitanti delle valli, di cui ha condiviso la vita e la miseria. Essi ci parlano di

gioie, malinconie, dignità e povertà di una popolazione prostrata, “un

mondo di vinti”come scrisse Nuto Revelli,un territorio marginale che,poco

per volta,sul finire degli anni Sessanta,riscoprì la propria identità.(Info:Parco

Naturale Alta Valle Pesio e Tanaro - tel. 0171.734990; www.vallepesio.it;

www.chambradoc.it/cmgv/ progettocmgv2004.page)

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Uomini illustri di Peveragno

Vie, piazze e monumenti di Peveragno ricordano i suoi uomini illustri. Tra

costoro Pietro Toselli,eroe delle guerre coloniali,e lo scrittore Vittorio Bersezio.

Nato nel 1856,Toselli morì in Etiopia nella celebre battaglia dell’Amba Alagi

del 1895. Con lui caddero diciotto ufficiali e circa duemila soldati.

Ai suoi ufficiali che lo sollecitavano a mettersi in salvo, rispose impavido,

sedendosi ad aspettare l’assalto delle truppe avversarie. Meritò la medaglia

d’oro con questa motivazione: “Trovandosi di fronte a 20-25mila nemici,

combatté strenuamente per ben sei ore e coll’eroico sacrificio della propria

vita e di quasi tutto il suo distaccamento, cagionò al nemico perdite enormi

che contribuirono efficacemente a ritardare l’avanzata”.

Il nome di Vittorio Bersezio brilla nelle lettere piemontesi. Fu giornalista,

scrittore e deputato. Nato nel 1828, morto nel 1900, combatté nella prima

guerra di indipendenza. Nel 1865 fondò la Gazzetta Piemontese che

diventerà il quotidiano “La Stampa”. Scrisse una quarantina di romanzi.

L’Enciclopedia Treccani lo definisce autore “ora di intrico e tenebrose

avventure, ora di semplice intreccio sentimentale”. Tra le sue commedie

dialettali, spicca “Le miserie d’ monsú Travet” del 1863, storia di un ligio

impiegato dello Stato che si ribella quando la sua dignità è messa in dubbio.

La vita di un terzo personaggio della tradizione locale affonda nella leggenda.

Charles de Gontaut,duca di Biron in Dordogna (1562-1602), localmente detto

Birùn, è il tragico protagonista di un’antica canzone rappresentata a

Peveragno nei giorni di carnevale. Questa probabilmente fu importata dai

peveragnesi che si recavano a Lione e Marsiglia per il mercato dei bozzoli.

Birùn,maresciallo di Francia,fu uomo bello e valoroso.Durante le guerre gallo-

ispane si guadagnò l’amicizia del re. Più tardi, accusato di fellonia, venne

giustiziato.

La ballata, recitata e cantata a cura della Compagnia del Birùn, associazione

peveragnese, narra che egli rifiutò la grazia poiché unda a i è pa‘d faiansa a i

è pa‘d pardun (dove non c’è colpa, non c’è perdono). Al boia che lo bendava

prima di giustiziarlo intimò di non toccarlo se non con la spada (Info:

www.compagniadelbirun.it).

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Musica nuova con i Gai Saber

Sono un gruppo di musicisti occitani di Peveragno.Tengono concerti nei

quattro angoli d’Occitania.Hanno fans in Italia e in Europa.Di loro parlano

le riviste specializzate.

Il loro fare musica non prescinde certo dall’appartenenza: la lingua d’oc è

utilizzata nelle canzoni; il protezionismo tuttavia si ferma qui. I musicisti

del Gai Saber ritengono che la tradizione lasciata a se stessa e riproposta

fedelmente risulti sterile, non produca più nulla, perciò s’industriano a

tradirla senza mai offenderla.

Occitania que t’en vas è il titolo della canzone guida del cd La fàbrica

occitana del 2007, in cui narrano i sogni della loro gente, un pople mesquiat

e bastard, inno agli abitanti di questa parte di mondo che la storia ha reso

meticcia sovrapposizione di liguri, celti e romani, di visigoti, arabi ed ebrei,

di italiani e francesi… Un popolo che nella mescolanza, e nonostante le

persecuzioni e l’ostracismo degli stati nazionali, ha saputo conservare

l’identità della lingua.

Nel gruppo convivono strumenti della tradizione occitana (fisarmonica a

semitons, fifre, ghironda, chabreta, arpa, tamborin e galobet) e sound

contemporanei con batteria, chitarra elettrica ed elementi elettronici. Il

repertorio mescola temi tradizionali e invettiva sociale, liriche troba-

doriche e arie da danza, canzonette e melodie sacre, in un caleidoscopio

di ritmi mediterranei, street-dance, drum’n’bass e suggestione latine.

Grazie ai Gai Saber e a decine di altri gruppi musicali oggi attivi nelle Valli

Occitane, la musica è diventata un importante elemento di aggregazione,

di creatività e di propagazione della lingua e cultura d’oc. Oggi i gruppi

musicali sono tra i migliori ambasciatori dell’Occitania nel mondo.

(Info: Associazione Culturale Gai Saber - via del Gavotto, 6 - 12026 Pevera-

gno - www.gaisaber.it - [email protected])

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Valli del kyèL’area comprende i comuni di Roccaforte Mondovì con Prea, Rastello e

Baracco, Villanova Mondovì nelle sue propaggini montane, le due

Frabose, Sottana e Soprana, con Miroglio in val Maudagna e la frazione

di Fontane in val Corsaglia.

Questa zona dall’orografia piuttosto articolata ha visto piccoli insedia-

menti stabili già dal Neolitico, testimoniati dal ritrovamento di lame

levigate in pietra verde.

Il nome deriva da “kyé”che indica “io”, forse derivante dal latino quid + ego

e affine alle forme occitane “ieu”o “iu”.Lo svuotarsi delle borgate ha influito

sulla conservazione della lingua, studiata per la prima volta alla fine degli

anni Sessanta e mantenuta da associazioni quali “Artusin”di Roccaforte e

Villanova Mondovì ed “E Kyè”di Fontane.Quest’ultimo sodalizio ha curato

la pubblicazione di una grammatica del kyé e costituisce un importante

centro di documentazione etno-linguistico.

Per conservare le tradizioni c’è anche l’impegno nell’allestire i presepi

viventi, che mostrano i mestieri alpini di una volta. La tradizione artigiana

è molto viva, orientata alla lavorazione di legno, ceramica, ferro battuto e

al “filet”. Sintomo di un ritorno alla montagna è la ricomparsa nei campi

più alti del grano saraceno, ingrediente fondamentale per la tipica

polenta.

Queste valli, e alcune località come Frabosa Soprana, sono conosciute da

decenni per un intenso turismo estivo invernale, soprattutto in prove-

nienza dalla Liguria.

Altre occasioni di visita le grotte di Bossea in val Corsaglia, destinate a

diventare, assieme all’Ecomuseo del Marmo di Frabosa Soprana, uno dei

fulcri di un’inedita offerta turistica basata sulla geologia del territorio.

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Roccaforte Mondovì - Pieve di San Maurizio

Itinerario partigiano

Su progetto dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, questo

itinerario collega località, edifici, cappelle e valichi che dal settembre 1943

all’aprile 1945 furono teatro della lotta partigiana. Tocca le borgate che

ospitarono i distaccamenti partigiani. Sono evocati il ripiegamento degli

uomini del Capitano Cosa nella primavera ’44 dalla Val Pesio, l’eccidio di

Pellone sopra Miroglio, i primi scontri con il nemico del gruppo di Enrico

Martini Mauri nel dicembre 1943 in Val Maudagna.

Si ripercorrono i luoghi delle bande autonome “Rinnovamento”nelle valli

Ellero e Corsaglia: Prea, centro delle operazioni della Brigata Valle Ellero

nell’estate del ’44, e Rastello, sede del comando della III Divisione Alpi. Si

giunge a Baracco, base operativa della Missione Alleata, poi a Fontane,

rifugio nel febbraio ’44 della banda di Ignazio Vian. Nel comune di

Villanova Mondovì si visita il Santuario di Santa Lucia che diede asilo ai

ribelli e ospitò la tipografia clandestina del giornale “Rinascita d’Italia”.

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Montagne bucate e mestieri d’un tempo

I fenomeni carsici, grotte e abissi creano, presso il gruppo montuoso

formato dalla Cima delle Saline, dal Mondolé, dal Mongioie e dal Pizzo

d’Ormea, un’area speleologica, che, assieme al vicino complesso

montuoso del Marguereis, è fra le più rilevanti d’Europa con centinaia di

km di gallerie già esplorate. Da questo sottosuolo emergono le acque

dell’Ellero, del Maudagna e del Corsaglia.

Nell’ambito di questo comprensorio esistono anche grotte turistiche,

come tali aperte al pubblico e non riservate soltanto alla stretta cerchia

degli specialisti. La grotta dei Dossi, presso Villanova M.vì, mostra una

successione di corridoi e sale con concrezioni variopinte e sfumature

colorate. Tracce di unghiate dell’orso delle caverne sono visibili nella

grotta del Caudano in val Maudagna. Qui d’inverno, le diverse

temperature fra esterno ed interno creano stalattiti e colonne di ghiaccio

con un gioco di colori e riflessi particolarissimi.Una particolarità di questa

grotta è il piccolo presepe ipogeo che vi viene allestito a Natale. Ma la

regina delle grotte delle valli del Kyé è senza dubbio Bossea in Val

Corsaglia, nel comune di Frabosa Soprana, aperta al pubblico dal 1874. È

la sola grotta viva e in pieno sviluppo nel panorama del turismo

speleologico italiano, ricchissima d’acqua, con un fiume perenne e i resti

dell’orso delle caverne. Bossea è sede di ricerca scientifica a livello

internazionale.

Una visita nel periodo natalizio in queste valli più appartate permette di

scoprire interessanti presepi, come quello di Prea, che prende vita nelle

piccole stradine medioevali raccolte intorno alla chiesa parrocchiale, e

quello di Pianvignale.Entrambi sono un’occasione per riscoprire i vecchi

mestieri: riecco allora gli attrezzi del früciau, il malgaro addetto alla

lavorazione del latte, i ciarbunè, ovvero i carbonai, e i mulattieri con il fuet

(frusta), che trasportavano il carbone a valle e gli intagliatori del legno, le

füsere (fusi) e i vindu (arcolai) per filare la canapa, i pîrò di rame (paioli) per

fare il bucato con la cenere, il cumandin e il sapin, attrezzi del boscaiolo per

trascinare i tronchi.

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L’arte di Giovanni Mazzucco

Tra le testimonianze della pittura medievale troviamo gli affreschi di

Giovanni Mazzucco, protagonista del secondo Quattrocento nel

Monregalese.La sua biografia è incerta.Nel 1475 manda il figlio Domenico

a bottega dal pittore Roux ad Aix-en-Provence, episodio che allude a

rapporti anche artistici fra quest’area delle valli occitane meridionali e la

Provenza. Come pittore, il Mazzucco intervenne più volte in cantieri

domenicani, segno di uno stretto rapporto con la committenza di

quest’ordine monastico. Il suo linguaggio pittorico chiaramente

espressionista è caratterizzato da fisionomie bonarie e innocenti. A

Roccaforte Mondovì nella Pieve di San Maurizio, una Madonna del Latte

del 1486 gli è attribuita; gustose scene di vita agreste a margine di temi

religiosi dipinse nel Cascinale dei Frati presso i casali Bertini e nella

cappella dell’ex convento dei Domenicani di Peveragno del 1487, dove è

ancora leggibile la firma “Mazuchi”.

Altre opere sicuramente a lui attribuite, corrispondenti alla fase matura

della sua pittura, sono in un’area che si allarga alle valli circostanti ed alla

vicina pianura: il ciclo dell’Oratorio del S. Sepolcro di Piozzo del 1481, la

Madonna tra i SS. Pietro e Antonio Abate nella Cappella di S. Pietro in

Roncaglia a Bene Vagienna del 1485, il ciclo del S. Bernardo di Castelletto

Stura del 1488. Nel 1491 sigla gli episodi della vita della Madonna nel

Santuario del Brichetto a Morozzo,assai suggestivi per la gentile ingenuità

di vaga ispirazione giottesca.

Vengono invece riconosciute come opere giovanili del Mazzucco la

Madonna nel Santuario del Pasco a Villanova Mondovì, la Vergine col

Bambino della Madonna di Guarene, gli affreschi della Madonna della

Neve a Pian della Gatta, quelli della navata e della controfacciata del S.

Fiorenzo di Bastia Mondovì e infine la Crocifissione nell’antica sacrestia

della Parrocchiale di Niella Tanaro.

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Civiltà e gusti dell’alpe

Per fermare la memoria di un tempo, nelle terre del Kyè sono sorti vari

musei che formano una rete fra loro: il Museo Etnografico Cesare Vinaj,

nato nel 1981 e situato in località Fontane-Serra a Frabosa Soprana, è

dedicato al primo ricercatore linguistico in val Corsaglia. Vari i temi

illustrati: la carbonaia, la canapa, la coltura della castagna, la fienagione, il

bosco, la cucina,con la possibilità di approfondire i singoli argomenti sulle

numerose pubblicazioni monografiche edite dal museo stesso.

Il Museo della Montagna di Miroglio di Frabosa Sottana offre uno

sguardo sulla vita quotidiana di un tempo, il duro lavoro nei campi e nei

boschi. Viene sottolineata l’interazione tra l’uomo e gli animali, l’abilità

manuale artigiana del ciabattino, vengono presentati il torchio per l’olio

di noci, i sistemi di pesatura e gli attrezzi per la lavorazione della canapa.

Nella vicina val Casotto, in località Serra di Pamparato, il Museo degli Usi

e Costumi della Gente di Montagna è collocato in un ex convento

seicentesco, di cui conserva i pavimenti in pietra e i soffitti a cassettone.

Vi si possono vedere una cucina di una volta,un’aula di scuola e il processo

di lavorazione della canapa e del lino. (Info: http://musei.provincia.

cuneo.it/). Nel territorio di Ormea si segnala il Museo Etnografico Alta Val

Tanaro, fedele ricostruzione degli ambienti di vita e del lavoro contadino.

In queste valli il castagno ha sfamato generazioni di montanari e ha

costituito la base alimentare delle popolazioni rurali. Ha riscaldato i

casolari, ha fornito tannino per usi industriali e fogliame per il bestiame.

Le castagne hanno rappresentato una possibile alternativa ai cereali,

come cibo prevalentemente popolare, in virtù della facile reperibilità. Più

tardi l’alto valore alimentare è valso loro il nome di “ pane dei poveri”

perché portavano alle popolazioni meno abbienti energia e proteine. Le

castagne venivano arrostite o bollite in acqua o latte, consumate con latte

o vino come minestra; macinate servivano a preparare polenta, purè,

focacce, zuppe. Costituiscono ancor oggi un’importante voce di

produzione agricola ed hanno ottenuto il marchio IGP.Numerose fiere ed

eventi autunnali sono legati in particolare alle castagne bianche, dalle

quali si ricava la farina per molte ricette.

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Un elemento così caratterizzante la vita degli abitanti delle valli non

poteva non ricevere attenzione in un apposito spazio: l’Ecomuseo del

Castagno è sviluppato su tre siti: Monastero di Vasco, Fontane di Frabosa

Soprana, Serra di Pamparato.A Monastero di Vasco la sede è nella Crusà,

edificio religioso sconsacrato e recentemente ristrutturato. Nello spazio

antistante si possono ammirare alcune varietà di castagno e alcune specie

del sottobosco quali ribes, mirtilli e more. A Serra di Pamparato la

presentazione è incentrata sull’estrazione e l’uso del tannino e sulle

antiche fabbriche, primi esempi di industrializzazione delle vallate alpine.

La collocazione è nel Museo degli Usi e Costumi della Gente di Montagna.

Infine a Fontane un sentiero nel castagneto porta verso Case Ubbè, dove

è possibile vedere i tipici seccatoi per le castagne, osservare il rapporto

uomo-ambiente nei muretti a secco, nei terrazzamenti, nelle architetture

alpine.

Sinonimo quasi di montagna, conosciuti per i loro profumi e gusti

particolari sono i formaggi d’alpeggio. Nelle valli del Kyè, per antica

consuetudine, verso la fine di settembre, i margari scendevano dai pascoli

alti portando le grandi forme di Raschera per venderle durante le fiere e

i mercati. Il Raschera d’Alpeggio proviene da latte di vacche che pascolano

oltre i 900 metri.È un formaggio semigrasso, stagionato per un minimo di

trenta giorni. Il suo profumo ed aroma si caratterizzano per la stagionatura

nelle “selle”, locali ricavati direttamente nella terra per la stagionatura. Nel

tempo si sono affermate le sagre del Raschera e dei formaggi d’alpeggio

che si tengono a Frabosa Soprana e a Ormea ad agosto e settembre.

Altro prodotto che, con la patata, ha segnato la vita di queste terre è il

grano saraceno, introdotto al tempo delle incursioni saracene della fine

del primo millennio. Si semina in primavera e si raccoglie a fine estate,

perciò giunge a maturazione anche sopra i mille metri. Dal grano

saraceno, o furmentin, si ottiene una farina che ha il suo migliore utilizzo

nella polenta. In autunno a Pamparato si tiene la Fiera del Grano

Saraceno, mentre sagre della polenta saracena si tengono a Garessio, ad

Ormea capoluogo e nella frazione Barchi dove la polenta viene preparata

secondo la ricetta tradizionale a base di patate, farina di grano saraceno

e frumento, latte con panna, porri e funghi secchi.

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BrigascoQuando nel 1947 l’Italia e la Francia firmarono il Trattato di Pace, il

Brigasco, prima esteso su entrambi i versanti delle montagne, fu diviso tra

i due stati lungo il crinale: in val Roya,Tenda divenne francese come Briga

capoluogo che assunse il nome di La Brigue. All’Italia rimasero le frazioni

Piaggia,Upega e Carnino che formano il comune di Briga Alta, in provincia

di Cuneo, mentre il borgo di Realdo fu aggregato al comune di Triora, in

provincia di Imperia.

Il Saccarello (2200 m) è la montagna madre di queste terre aspre e

selvatiche con la bellissima foresta Navette, vasto tappeto di larici e abeti

bianchi esteso sulle pendici dei monti Bertand e Missun, sopra il villaggio

di Upega alla testata della Val Tanaro.

La parlata locale risente di influssi provenzali e liguri. Sono sicuramente

occitane le parole della terra, della famiglia e della pastorizia, che

storicamente fu l’attività più diffusa. Le popolazioni brigasche si

incontravano con quelle del vicino Nizzardo durante i pellegrinaggi al

Santuario di Laghet, presso La Turbie, e alla Vergine del Fontano (Nôtre

Dame des Fontaines), poco sopra La Brigue, che è detta la Cappella Sistina

delle Alpi per gli affreschi di Giovanni Canavesio di Pinerolo, eseguiti nel

1492.Accanto al Canavesio, si ammirano gli affreschi di Giovanni Baleison

della Valle Stura, a ricordo di un’epoca in cui i pittori scalcavano le

montagne portando colori e pennelli nelle bisacce.

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Un santuario del neolitico

La grande meraviglia di questi luoghi sono le quarantamila incisioni

rupestri, del monte Bego (2872 m), frequentato già nella preistoria.

Furono scoperte a partire dal 1897 dal botanico e archeologo inglese

Clarence Bicknell (1842-1918). Si trovano figure a corna, aratri, pugnali,

ruote solari, mappe, animali e figure antropomorfe. Chi volesse sapere di

più su questo grandioso distretto di arte rupestre, visiti i calchi esposti nel

Museo Civico di Cuneo e il Musée des Merveilles di Tenda.

Alle pendici del Bego, in località Casterino (frazione di Tenda), Bicknell

costruì uno chalet laboratorio, visitabile solo all’esterno. Bicknell ci saliva

per le sue ricerche. I comfort erano ridotti al minimo, l’ospitalità france-

scana, la vita regolata dalla luce del sole. Clarence vi decorò personal-

mente le stanze, dipinse motivi di fiori, figure dell’arte rupestre e cartigli

con sentenze in esperanto.

Briga Alta - Fr. Upega - Madonna della Neve

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Foreste e villaggi arcaici

Il Bosco delle Navette, percorso da una strada militare che porta a Tenda

in Val Roya e a Limone in Val Vermenagna, deve probabilmente il suo

nome agli imponenti larici usati per la costruzione delle navi. Numerosi

sentieri risalgono i crinali da cui godere la vista delle Alpi Liguri e

Marittime e del mare. Oggi il Bosco delle Navette è qualificato come SIC

(Sito di Interesse Comunitario) per le caratteristiche ambientali, ma già

nella Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d’Acqui, del periodo

napoleonico, si calcolò che contenesse 300.200 larici e 23.700 abeti.

Il territorio dell’alto bacino del Tanaro conserva esempi interessanti di

cultura materiale: villaggi distesi

lungo le curve di livello, costruiti in

pietra, talora con disposizione a

schiera o, come nel caso di Viozene,

alti e a più piani con diverse file di

balconi sulle facciate. In rari casi, per

esempio a Carnino, i tetti sono ancora

coperti di paglia di segale, come la

gran parte delle case di un tempo. Per

secoli l’attività prevalente fu

l’allevamento della pecora brigasca;

d’inverno le greggi migravano verso

la Liguria, spesso fino ai paesi costieri.

Qui si trovano toponimi che alludono

alle vie del sale e dell’olio, Passo e Cima delle Saline, Pian dell’Olio…

A Viozene sono conservati due quadranti solari, uno dipinto sulla “casa

del prete”, l’altro sulla facciata della chiesa di San Bartolomeo.

Una leggenda riguarda Pian Ballaur (2603 m), fra Upega e Carnino, dove

la tradizione vuole che si dessero convegno le streghe. Una pastorella,

non vedendo il padre tornare dal pascolo, decise di andargli incontro. Ma

fu rapita dalle masche che la condussero a Pian Ballaur per partecipare a

un ballo demoniaco. Parecchi giorni più tardi la pastorella fu ritrovata in

un fienile, con i piedi verdi per il gran ballare che aveva fatto sull’erba.

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Paradiso di speleologi e botanici

Verso ovest, a cavallo fra l’Italia e la Francia, lo sguardo corre dalla cresta

della Rocca dell’Abisso (2755 m) all’imponente muraglia calcarea del

Marguareis (2651 m). In questa zona le Alpi Liguri sono composte da

potenti strati di rocce (calcari e dolomie) che, essendo solubili all’azione

dell’acqua, hanno permesso lo sviluppo di immense reti di condotti

sotterranei.

Sono diversi i sistemi carsici conosciuti: quello del Marguareis, delle

Carsene con la sorgente del Pis del Pesio, della Mirauda, delle Masche, del

Mongioie, con alcune cavità tra le più importanti d’Italia, quali il sistema

di Piaggiabella con 13 ingressi e circa 40 km di sviluppo. Si tratta in

genere di grotte con andamento verticale nella prima parte e quindi

accessibili solo a speleologi esperti che fanno base alla Capanna

Morgantini, rifugio a 2219 m di quota. Sono invece facilmente visibili i

grandiosi segni esterni del carsismo: doline, campi solcati, pozzi, risorgive.

Tra gli spettacoli più suggestivi vanno segnalate le Vene del Tanaro.

Partendo da Viozene, passando per Carnino inferiore, lungo il sentiero

naturalistico si sale alla Colla di Carnino (1597 m) e si prosegue fino alla

risorgiva carsica, sovrastata da un robusto ponte tibetano.

In queste valli poco lontane dal mare, eppure immerse in un paesaggio

tipicamente montano, il botanico inglese Clarence Bicknell scoprì una

flora rara, tra cui il Rhaponticum scariosum bicnelli che lo ricorda nel nome,

una composita gigante, alta più di un metro e mezzo, con grossi capolini

simili alle infiorescenze di carciofo. Cresce in quattro località al mondo,

tutte sulle Alpi Liguri: sul versante sud del monte Fronti, sul monte

Toraggio,alle Salse di Mendatica,a nord di Monesi e nel vallone di Carnino.

Nel suoi taccuini Bicknell ritrasse la Saxifraga florulenta che deve

accumulare per 15-20 anni le sostanze necessarie alla fioritura, dopo di

che, assicurata la riproduzione, muore. A lui si deve il primo ritrovamento

in Italia del Sempervivum calcareum, specie endemica delle Alpi sud-

occidentali che si può osservare presso la Capanna Morgantini. Sui

ghiaioni calcarei alligna la Berardia subacaulis, specie veterana che risale

all’epoca della formazione delle Alpi.

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Per informazioni generali su territorio, mete storiche e d’arte, zone protette, escursioni, gastronomia,ospitalità e per ricevere materiale illustrativo:

A.T.L. (Azienda Turistica Locale) del Cuneese - Valli Alpine e Città d’ArteVia Vittorio Amedeo II, 8 A - 12100 Cuneo - tel. 0171.690217 - fax 0171.602773www.cuneoholiday.com - www.autunnocongusto.com - [email protected]

GAL “Terre Occitane” - Valli Po, Varaita, Maira, Grana, SturaVia Cappuccini, 29 - 12023 Caraglio (Cn) - tel. 0171.610325 - fax 0171.817981www.tradizioneterreoccitane.com - [email protected]

Comunità Montana Valli Po, Bronda e InfernottoVia Santa Croce, 4 - 12034 Paesana - tel. 0175.94273 - fax 0175.987082Ufficio Turistico: tel. 0175.94273 - www.vallipo.cn.it - [email protected]

Comunità Montana Valle VaraitaPiazza Marconi, 5 - 12020 Frassino - tel. 0175.970611 - fax 0175.970650www.vallevaraita.cn.it - [email protected]

Comunità Montana Valle MairaVia Torretta, 9 - 12029 San Damiano Macra - tel. 0171.900061 - fax 0171.900161www.vallemaira.cn.it - [email protected] Turistico: Dronero - tel 0171.917080 - fax 0171.909784 - [email protected]

Comunità Montana Valle GranaVia San Paolo, 3 - 12023 Caraglio - tel. 0171.619492 - fax 0171.618290www.vallegrana.it - [email protected]

Comunità Montana Valle Stura di Demonte Via Divisione Cuneense, 5 - 12014 Demonte - tel. 0171.955555 - fax 0171.955055www.vallestura.cn.it - [email protected]

Comunità Montana Valli Gesso e VermenagnaPiazza Regina Margherita, 27 - 12017 Robilante - tel. 0171.78240 - fax 0171.78604www.cmgvp.org - [email protected]

Comunità Montana BisaltaVia Madonna dei Boschi, 76 - 12016 Peveragno - tel. 0171.339957 - fax [email protected]

Comunità Montana Valli MonregalesiVia Mondovì Piazza, 1/d - 12080 Vicoforte - tel. 0174 563307 - fax 0174 569465 www.vallimonregalesi.it - [email protected]

Comunità Montana Valli Mongia Cevetta e Langa CebanaVia Case Rosse, 1 - Reg. San Bernardino - 12073 Ceva - tel. 0174.705600 - fax 0174.705645www.vallinrete.org - [email protected]

Comunità Montana Alta Val TanaroVia del Santuario, 2 - 12075 Garessio - tel. 0174.806721 - fax 0174.803714 www.cmaltavaltanaro.it - [email protected]

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indirizzi utili

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Per informazioni sulla cultura occitana, lingua e letteratura, tradizioni popolari, cinema, libri e riviste:

Espaci Occitan - Via Val Maira, 19 - 12025 Dronero - tel. 0171.904075/904158www.espaci-occitan.org - [email protected]

Chambra d’òc - Strada Arnaud Daniel, 18 - 12020 Roccabruna - tel. 0171.918971 - 328.3129801www.chambradoc.it - [email protected]

Coumboscuro Centre ProuvençalSancto Lucìo de Coumboscuro - 12020 Monterosso Grana - tel. e fax 0171.98707www.coumboscuro.org - [email protected]

Associazione Lou Soulestrelh - Via Roma, 27 - 12020 Sampeyre

Associazione Culturale La Cevitou - Frazione San Pietro, 89 - 12020 Monterosso Grana tel. e fax 0171.988102 - www.lacevitou.it

Sito internet delle Valli occitane del Piemonte www.ghironda.com

Per informazioni su siti e luoghi della cultura occitana, musei, esposizioni d’arte, manifestazioniculturali, feste:

Associazione Marcovaldo - Via Cappuccini,29 - 12023 Caraglio - tel.0171.618260 - fax 0171.610735 www.marcovaldo.it - [email protected]

Provincia di Cuneo - Sito tematico dedicato ai musei: http://musei.provincia.cuneo.it

Laboratorio Ecomusei - Via Nizza, 18 - 10125 Torino - tel. 011.4323845www.ecomusei.net - [email protected]

Atlante delle feste del Piemonte: www.atlantefestepiemonte.it

Per informazioni su parchi e riserve naturali:

Parco Naturale Alpi Marittime - Piazza Regina Elena, 30 – 12010 Valdieri - tel. 0171.97397www.parcoalpimarittime.it - [email protected]

Ente di Gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali Cuneesi Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio - tel. 0171.734021www.parks.it/parchi.cuneesi - [email protected]

Parco del Po Cuneese - Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo - tel. 0175.46505www.parcodelpocn.it - [email protected]

Parco Fluviale Gesso e Stura - Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo - tel. 0171.444501www.parcofluviale.cuneo.it - [email protected]

Sito dei parchi, riserve ed aree protette italiane: www.parks.it

Siti della Regione Piemonte su parchi, aree protette e rivista Piemonte Parchiwww.regione.piemonte.it/parchi - www.piemonteparchiweb.it

Gran parte dei Comuni citati nella guida dispongono di un sito internet con percorsi tematici.

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INFO

A.T.L. Azienda Turistica Locale del CuneeseVia Vittorio Amedeo II, 8 A - 12100 Cuneo

Tel. +39.0171.690217 - fax +39.0171.602773199.116633 N. UNICO INFO TURISMO

[email protected] - www.cuneoholiday.com - www.autunnocongusto.com

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI ALBERGHIERECONITOURS - CUNEO

TEL. +39.0171.698749 - FAX +39.0171.435728 - [email protected] ALTA VAL TANARO TURISMO - GARESSIO

TEL. +39.347.9156791 - FAX +39.0174.81981 - [email protected] TURISTICO ALPI DEL MARE - VICOFORTE M.VÌ

TEL. +39.0174.569016 - FAX +39.0174.565928 - [email protected] TERRE DI GRANDA - CUNEO

TEL. +39.0171.67575 - FAX +39.0171.649728 - [email protected] DI EMOZIONI - MONDOVÍ / FRABOSA SOTTANA TEL./FAX +39.0174.44343 - [email protected]

TURGRANDA / BLUPIEMONTE - CUNEOTEL. +39.0171.697668 - FAX +39.0171.699224 - [email protected]

V.A.L. BED & BREAKFAST - CUNEOTEL. +39.0171.437220 - +39.347.7730489 - [email protected]