La forza dell'acqua - Gal Prealpi e Dolomiti - Progetto Mulini

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ühlen M ulini LA FORZA DELL’ ACQUA Itinerari nei territori del LAG Wipptal del GAL Alto Bellunese e del GAL Prealpi e Dolomiti DIE KRAFT DES WASSERS Wanderwege auf den Gebieten des LAG Wipptal, des GAL Alto Bellunese und des GAL Prealpi e Dolomiti

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In occasione della conclusione del Progetto di cooperazione transnazionale Mühlen-Mulini è stata realizzata una pubblicazione riguardante le antiche attività manifatturiere legate all’uso dell’acqua. I racconti che potrete leggere rappresentano alcune testimonianze di storia, tradizione e memoria dei territori interessati dal progetto. La pubblicazione può essere richiesta gratuitamente presso gli uffici del Gal.

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ühlen

Mulini

LA FORZA DELL’ ACQUA

Itinerari nei territori del LAG Wipptal del GAL Alto Bellunese e

del GAL Prealpi e Dolomiti

DIE KRAFT DES WASSERS

Wanderwege auf den Gebieten des LAG Wipptal, des GAL Alto Bellunese

und des GAL Prealpi e Dolomiti

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Indice

Mühlen/Mulini7 Un progetto di cooperazione transnazionale

sull’uso dell’acqua come forza motriceEin grenzübergreifendes Kooperationsprojekt über den Gebrauch des Wassers als Antriebskra%

Regionalmanagement Wipptal 13 Il villaggio dei mulini. Museo all’aperto

Mühlendorf. Museum im Freien

GAL Alto Bellunese19 Gli opifici del Cadore

Die Wasserwerke im Cadoretal

25 Alla scoperta degli opifici idraulici del CadoreAuf Entdeckungsreise der Wasserwerke im Cadoretal

28 La roggia dei mulini di Lozzo di CadoreDie „roggia dei mulini“ in Lozzo di Cadore

GAL Prealpi e Dolomiti 47 Racconti di storie, tradizioni e memorie

Erzählungen von Geschichten, Traditionen und Gedenken

53 L’ex o2icina fabbrile OrzesDie ehemalige schmiedewerkstatt „Orzes“

61 La LevàdaDie “Levada”

71 Le sementi antiche macinate nei muliniDie antiken in den Mühlen Gemahlenen Saatsorten

78 Riferimenti bibliograficiLiteraturverzeichnis

IdeazioneGal Alto BelluneseGal Prealpi Dolomiti

TestiAdriana De Lotto, Iolanda Da Deppo, David Rech, Loredana Facchin, Gianni De Vecchi, Stefano Sanson

Referenze fotograficheArchivio fotografico del Gal Alto Bellunese, Archivio fotografico del Gal Prealpi Dolomiti, Archivio fotografico del Regionalmanagement Wipptal, Archivio fotografico di Caterina Dal Mas, Archivio fotogra-fico di Loredana Facchin, Archivio fotografico di Gianni De Vecchi, Archivio fotografico di Stefano Sanson

Progetto grafico e impaginazioneAndrea Turato con Marianna MazzuccoPatchwork StudiArchitettura (www.patchworkstudio.it)

MappePatchwork StudiArchitettura

Si ringrazianoBarbara Aldighieri, Caterina Dal Mas, Leo Baldovin Carulli, Viviana Ferrario, Costante Fontana, Renzo Burlon, Maurizio De David, Rino Pasa, Bruna Rossa, Guerrino Rossa, Ermenegildo Bugana, Annarosa Levis, Lino Canal, Giovanna Zanandrea

Partner del progetto Mühlen/Mulini

Regionalmanagement WipptalNoesslacherstrasse 7, A-6150 Steinach am Brenner www.rm-tirol.at

Gruppo di Azione Locale Alto Bellunese Palazzo Pellegrini, via Padre Marino, 32040 Lozzo di Cadore (BL)www.galaltobellunese.com

Gruppo di Azione Locale Prealpi e DolomitiPiazza della Vittoria 21, 32036 Sedico (BL)www.gal2.it

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GAL Alto Bellunese

GAL Prealpi e Dolomiti

I territori dei partner del progetto

Die Gebiete der Projektpartner

RegionalmanagementWipptal

ntll

GABe

GAe

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Negli anni Sessanta del XX secolo in seguito allo sviluppo indu-striale e al conseguente definitivo abbandono delle attività rurali, alla costruzione di sbarramenti per lo sfruttamento idroelettrico e, non ultimo, al verificarsi di alcuni eventi calamitosi, come l’allu-vione del 1966, vengono portati a compimento l’abbandono e la scomparsa di buona parte degli opifici sorti lungo i fiumi e i torrenti per sfruttarne la forza motrice. Permangono oggi tuttavia, ancora numerose, le testimonianze materiali e immateriali (memorie, saperi, leggende) di quest’epoca proto-industriale. Il progetto Mühlen/Mulini si è posto come obiettivo la conoscenza e il recupero dell’aspetto della storia locale legato all’uso della risorsa idrica nei territori del Bellunese e del Tirolo austriaco. Mühlen/Mulini coinvolge le aree di competenza dei Gal Alto Bellunese, Prealpi e Dolomiti e Regionalmanagement Wipptal, accumunati dalla ricchezza di corsi d’acqua e da un patrimonio di beni materiali e memorie a essi riconducibili che rappresentano oggi un’opportu-nità anche in ambito turistico. Ogni partner ha sviluppato nell’area delle azioni locali proprie fina-lizzate a raggiungere specifici obiettivi, mentre la cooperazione si è

Mühlen/MuliniUn progetto di cooperazione transnazionale sull’uso dell’acqua come forza motriceEin grenzübergreifendes Kooperationsprojekt über den

Gebrauch des Wassers als Antriebskra'

Der industrielle Fortschritt führte zur endgültigen Stillegung der ländlichen Tätigkeiten und in den sechziger Jahren des XX. Jahrhunderts standen der größte Teil aller entlang der Flüsse und Wildbäche errichteten Wasserwerke für die Nutzung der Wasserantriebskra% endgültig außer Betrieb. Ziel des Projekts Mühlen/Mulini ist es das Wissen und die Wiederentdeckung dieses mit der Nutzung des Wassers als Energiequelle verbundenen Aspekts der Lokalgeschichte in den Gebieten um Belluno und im österreichischen Tirol zu fördern.Mühlen/Mulini umfasst die Projektgebiete des Gal Alto Bellunese, des Gal Prealpi e Dolomiti und des Regionalmanagements Wipptal, die sich alle durch ihre zahlreichen Wasserläufe und durch ihren Reichtum an Materialgütern und auf diese zurückzuführenden Gedenkstätten auszeichnen: Aspekte die heute eine Ressource ins-besondere für den Tourismus darstellen. Das Regionalmanagement Wipptal, Projektleiter, hat eine Verö2entlichung über die mit dem Wasser verbundenen Volkslegenden und über die Errichtung einer Zugangsbrücke zu dem Wasserfall „Sandeswasserfall“, in der Nähe des Mühlendorfs in Gschnitz, Mühlenortscha% finanziert. Auf dem Projektgebiet des Gal Alto Bellunese, intervenierte die Gemeinde von Lozzo an dem Standort der „La roggia dei Mulini“, entlang dem Wildbach Rin, wo noch zahlreiche gut erhaltene Wasserwerke an-zutre2en sind. Im Palazzo Pellegrini wiederum in Lozzo di Cadore, wurde ein Besucherzentrum eingerichtet. Schließlich hat der Gal Prealpi e Dolomiti die finanziellen Mittel für die Realisierung eines Wanderpfads zwischen Santa Giustina und Sedico, für die räum-liche Planung der Zugangsbereiche zur Mühle der Santa Libera in Salzan, Santa Giustina und für die Sanierung der ehemaligen Werkstatt aus dem neunzehnten Jahrhundert in der Örtlichkeit San Francesco in Belluno zur Verfügung gestellt.

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Mulino di Santa Libera a Salzan, Comune di Santa Giustina

Mühle der Santa Libera in Salzan, Gemeinde von Santa Giustina

attuata attraverso il confronto sui di2erenti approcci al turismo e, nello specifico, alla creazione di percorsi sul tema dell’acqua.

Le azioni locali in breve

Il Regionalmanagement Wipptal, Gal capofila del progetto, ha finanziato una pubblicazione sulle leggende legate all’acqua e la costruzione di una passerella di accesso alla cascata Sandeswasserfall, per consentire ai visitatori di beneficiare della nebulizzazione naturale delle acque, presso il “Paese dei mulini” (Mühlendorf) a Gschnitz. Qui, una decina di anni fa, sono stati rico-struiti, con materiali originali o riprodotti in scala naturale, antichi mulini, granai, forni e lavanderie. Nell’area del Gal Alto Bellunese, il Comune di Lozzo è intervenuto sul sito de “La roggia dei mulini”, lungo il rio Rin, dove si trovano ancora ben conservati diversi opifici idraulici. Sono stati ricostruiti un tratto dell’antica roggia e una ruota idraulica e restaurati la centralina “Baldovin Carulli” e il mulino “dei Pinza”. Per valorizzare l’area e fornire informazioni più approfondite sul percorso de La roggia, il Gal ha allestito presso Palazzo Pellegrini, sempre a Lozzo di Cadore, un Centro visitatori. Infine, il Gal Prealpi e Dolomiti ha messo a disposizione i fondi per la creazione di un percorso ciclo-pedonale tra Santa Giustina e Sedico. L’itinerario corre inizialmente lungo il torrente Veses e collega la centralina idroelettrica dell’Altanon al Mulino di Santa Libera a Salzan. Proseguendo quindi in direzione Sedico si sale lungo l’asta del Cordevole, attraversando i luoghi in cui le “antiche rogge” alimentavano un tempo i numerosi opifici locali. Sono stati inoltre migliorati gli spazi di accesso al Mulino di Santa Libera, in cui periodicamente vengono svolte visite didattico-educative con prove di macinatura. Infine, il finanziamento ha permesso di restau-rare l’ex o2icina ottocentesca Orzes, in località San Francesco a Belluno. L’o2icina, che utilizzava per il funzionamento dei macchi-nari l’acqua derivata dal torrente Ardo, è l’ultima testimonianza delle attività di lavorazione del ferro un tempo ferventi nella zona; qui al primo piano dell’edificio è stato creato uno spazio espositivo.Entrambi i Gal bellunesi hanno inoltre promosso ricerche storiche relative agli interventi finanziati nell’ambito del progetto.

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Il villaggio dei mulini a Gschnitz

Das Mühlendorf in Gschnitz

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Regionalmanagement Wipptal Il villaggio dei mulini. Museo all’apertoMühlendorf. Museum im Freien

Das Mühlendorf befindet sich in einer linken seitlichen Talebene des Wipptals, im Gschnitztal, das sich von Westen bis Osten über unge-fähr 20 Kilometer erstreckt. Das Wipptal befindet sich im Süden von Innsbruck, reicht bis an die italienische Grenze und umfasst eine Haupttalebene in Richtung Nord-Süd und sieben Nebentäler. Das Mühlendorf befindet sich in der Ortscha% Gschnitz, einer Gemeinde mitten in der Talebene auf einer Höhe von 1242 Metern.Das Mühlendorf ist ein kleines Museum im Freien, in dem man Wassermühlen für die Ausmahlung von Getreide, eine Schmiedewerkstatt, eine Sägerei und andere kleine Werkstätten bewundern kann. Hier werden auch regelmäßig Volksfeste, auf denen die traditionellen Handwerkstätigkeiten der Vergangenheit, wie zum Beispiel das Brotbacken im Holzofen und das Schären der Schafe gezeigt werden veranstaltet.Die Wasserräder der Werkstätten werden vom Sandeswasserfall be-trieben; am Fuße der Schlucht wurde eine Stahlsohle befestigt, um den Besuchern die Gelegenheit zu bieten von der Aerosolwirkung des auf dem Gestein herunterprassenden Wasserstroms zu pro-fitieren. Zahlreiche wissenscha%liche Studien haben nämlich belegt, dass das Einatmen dieser Mikropartikel, die sich in der Lu% freisetzen den Atemwegen und der Lunge wohltut; desweiteren stimuliert der hohe Anteil an negativen Ionen das Immunsystem und reduziert wirkungsvoll die Häufigkeit von Asthmaanfällen bei Allergikern.Das Tal von Gschnitz ist reich an Geschichte und Volkslegenden, die mit den umliegenden Gebirgsketten verbunden sind. Es wird erzählt, dass im Jahre 1288 neun “Schwaighöfe”(Bergalmhütten) erworben worden sind, von denen sich sieben in der Talebene von Gschnitz befanden und das Ortszentrum darstellten. Die Ursprünge der Tiroler Erbfolge gehen genau auf diese neun Schwaighöfe zurück: diese Erbfolge wurde dann später auch in allen anderen Talgegenden der Region übernommen. Die neun Bergalmhütten sind auch auf dem Wappen der Gemeinde abgebildet: drei waagrechte Streifen, die aus jeweils sechs abwechselnd weißen und schwarzen Rauten bestehen symbolisieren die Dächer der neun Schwaighöfe.

Il villaggio dei mulini (Mühlendorf) è situato in una delle valli laterali di sinistra della Wipptal, la Gschnitztal, che scorre da ovest ad est per circa 20 chilometri. La Wipptal si trova a sud di Innsbruck e si estende fino al confine italiano, comprende una valle principale in direzione Nord-Sud e sette laterali. Il villaggio sorge a Gschnitz, il comune situato in fondo alla valle, a quota 1242.Il Mühlendorf rappresenta un piccolo museo all’aperto in cui è possibile ammirare mulini ad acqua per la macinazione del grano, un o2icina del fabbro, una falegnameria e altri piccoli laboratori. Periodicamente vengono proposte anche delle rievocazione delle attività del passato, come ad esempio la cottura del pane con forno a legna e la tosatura delle pecore. Le ruote degli opifici sono alimentati dalla cascata Sandes (Sandeswasserfalls), ai piedi della quale è stata collocata una piat-taforma in acciaio che consente ai visitatori di godere dell’e2etto aerosol creato dall’impatto dell’acqua sulla roccia. Diversi studi hanno infatti dimostrato che l’inalazione delle microparticelle che si di2ondono in aria creano un significativo beneficio alle vie

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respiratorie e ai polmoni, inoltre l’elevata concentrazione di ioni negativi stimolano il sistema immunitario e riducono la frequenza di attacchi d’asma in persone allergiche. La valle di Gschnitz è ricca di storie e leggende legate alle montagne circostanti. Si racconta che nel 1288 furono acquistati nove Schwaighöfe, masi alpini, sette dei quali nella vallata di Gschnitz, che costituivano il centro del villaggio. Il diritto di successione tirolese ebbe origine proprio dai nove Schwaighöfe e fu in seguito adottato in tutte le altre valli della regione. I nove masi sono ritratti anche nello stemma del comune: tre strisce orizzontali formate da sei losanghe ciascuna, di colore bianco e nero alternati simboleg-giano, per l’appunto, i tetti dei nove Schwaighöfe.

Dettaglio della ruota di un mulino presso il villaggio dei mulini

Detail des Mühlrades im Mühlendorf

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Il mulino Del Favero e il mulino Da Pra - Calligaro

Das Mulino Del Favero und Mulino Da Pra - Calligaro

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La ricchezza di corsi d’acqua in Cadore ha permesso lo sviluppo di un sistema proto-industriale di opifici e impianti azionati a forza idraulica che si è protratto fino ai primi decenni del Novecento, quando a mettere in moto macine, seghe e telai è progressivamente subentrata l’energia elettrica. Numerose memorie documentarie, cartografiche, di fonte orale e la conservazione dei manufatti, consentono oggi di raccontare un aspetto dello sfruttamento dell’acqua che per secoli ha connotato l’economia del territorio cadorino. Durante la Repubblica di Venezia, le concessioni idriche venivano rilasciate dalla Magnifica Comunità di Cadore che aveva mante-nuto, anche sotto la Dominante, l’antico privilegio, sancito nel 1664, sulle acque locali. Questo privilegio era un esplicito riconoscimento dell’importanza che tale bene rivestiva per le comunità locali, così come i boschi e i pascoli che sono, ancora oggi, perlopiù di proprietà collettiva.Per quanto riguarda la documentazione storica, risultano impor-tanti, soprattutto per il rilevamento della consistenza numerica degli opifici idraulici in Cadore nel XVIII secolo, le “Anagrafi Venete,

GAL Alto BelluneseGli opifici del CadoreDie Wasserwerke im Cadoretal

Die zahlreichen Wasserläufe des Cadoretals haben die Entwicklung eines proto-industriellen Systems von mit Wasserkra% betrie-benen Werkstätten und Anlagen, die bis in die ersten Jahrzehnte des zwanzigsten Jahrhunderts in Betrieb standen ermöglicht. Danach wurden die Mühlen, Sägereien und Webmaschinen mit elektrischem Strom betrieben. Die vielen Schri%belege, Mappen und mündlichen Überlieferungen, neben der guten Erhaltung der Bauten ermöglichen heute einen Einblick auf den traditionell ver-ankerten Gebrauch und die bedeutende Rolle des Wassers, das im Laufe der Jahrhunderte das Gebiet des Cadoretals nicht zuletzt auch in landscha%licher Hinsicht geprägt hat. Im Jahre 1766 belegen die “Venetischen Register” für Pieve, mit Pozzale, Calalzo, Nebbiù, Tai, Sottocastello und Damos insge-samt “zweiunddreißig Kornmahlgänge, sechs Holzsägen, zwei Wolltuchwalkmaschinen und fünfunddreißig Webstühle“. Im Jahre 1790 gibt Giuseppe Monti allein für den Bezirk von Pieve bekannt, dass hier 8 Mühlen, 1 Walkmaschine, 3 Holzsägen, 18 Schleifscheiben und 3 Schmiedeeisen in Betrieb stehen. Technische Daten und Angaben zu den Besitzern können den im neunzehnten und zwanzigsten Jahrhundert üblichen Genehmigungen, die im Archiv des Bauwesens von Belluno und in den Archiven der Gemeinden aufbewahrt sind entnommen werden. Im gesamten Cadoretal standen während des neunzehnten Jahrhunderts die Mühlen mit Kornmahlgängen und Pfeilern für

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die Enthülsung der Gerste, die Wolltuchwalkmaschinen, die Webe- und Färbungswerkstätten hauptsächlich für den lokalen Bedarf in Betrieb, obwohl auch kleine Erzeugungsmengen für den ö2ent-lichen Markt nicht fehlten. Eng mit der Nutzung der Wasserläufe als Antriebskra% verbunden waren vor allem die Sägewerke “auf venezianische Art”, wo tausende von Holzbrettern in verschie-denen Breiten und Durchmessern hergestellt wurden: diese waren unter anderem für den Bedarf der lokalen Gemeinscha%, in erster Linie aber für den venetischen Markt und andere Aussenmärkte bestimmt.Gegen Ende des neunzehnten Jahrhunderts wurde in Calalzo di Cadore mit dem Wasserlauf des Wildbachs Molinà eine Bandsägemaschine für die Herstellung von didaktischem Material aus Holz und auch die ersten Maschinenanlagen für die Herstellung von Brillen und Brillengläsern angetrieben. Die Brillenherstellung des Cadoretals erfreute sich in den darau2olgenden Jahrzehnten eines beachtlichen wirtscha%lichen Erfolgs.Längs der kleineren Wildbäche standen die Werkstätten wegen der geringeren Wasserförderungsleistung nicht durchgehend in Betrieb, und mussten auch über mehrere Monate hinweg stillge-legt werden. Anders war die Situation an den Flüssen Piave und am Boite, wo vor allem Sägewerke “auf venezianische Art”, im Kontext eines bedeutenden Marktgeschehens im Bereich des Holzgewerbes praktisch ununterbrochen das ganze Jahr in Betrieb standen.In den Mühlen waren die im Cadoretal am meisten verwen-deten Wasserräder waagrecht ausgerichtete oberschlächtige Zellenräder. Der Durchmesser und die Länge des Rades richteten sich nach der Wasserförderungsleistung und nach dem Gefälle des Wasserzuflusses; als Baumaterial wurde meist Lärchenholz ver-wendet. Nach den zwanziger Jahren des zwanzigsten Jahrhunderts waren auch die ersten Freistrahlturbinen für die Erzeugung von elektrischem Strom anzutre2en. Diese waren insbesondere für die Nutzung von Wasserläufen mit geringer Förderungsleistung und gutem Gefälle geeignet. Zuletzt sei auch erwähnt, dass auf dem gesamten Gebiet des Cadoretals mit Beginn des zwan-zigsten Jahrhunderts eine intensive Nutzung der Wasserreserven für die Stromerzeugung stattgefunden hat, was zu tiefgreifenden Gebietsveränderungen sowohl in landscha%licher, als auch in ökologischer Hinsicht geführt hat. Die erste Anlage im Cadoretal wurde am Wildbach Molinà, im Gemeindebezirk von Domegge di Cadore im Jahre 1902 von der Stromgesellscha% “Società elettrica Barnabò, Giacobbi, Pante e C.” errichtet.

situazione per comune del 1766” conservate nell’Archivio di Stato di Belluno e il manoscritto di Giuseppe Monti “Cronache Cadorine” (Prospetto del 1790, Biblioteca Storica Cadorina di Vigo di Cadore, ms. 499, f. 458). Sono queste le principali fonti alle quali ha attinto, per il Settecento, l’architetta Caterina Dal Mas che ha svolto per il Gal Alto Bellunese le ricerche storiche propedeutiche all’individuazione dell’itinerario “Mulini” alle quali si deve buona parte delle informa-zioni e dei dati riportati nella presente pubblicazione. Caterina Dal Mas e Barbara Miot sono anche le progettiste dei lavori eseguiti sul sito.Nel 1766 le Anagrafi Venete riportano ad esempio per Pieve, con Pozzale, Calalzo, Nebbiù, Tai, Sottocastello e Damos “trentadue ruote da mulino da grani, sei seghe da legname, due folli da panni di lana, trentacinque telari da tela”. Nel 1790 Giuseppe Monti dà notizia, per il solo territorio di Pieve, della presenza di otto molini, un follo, tre seghe, 18 mole e tre batti ferro. Per l’Ottocento forni-scono dati numerici la Guida storico-alpina del Cadore di Ottone Brentari (1866) e Dal Pelmo al Peralba dello storico Antonio Ronzon (1873-1896). Notizie di carattere anche tecnico e relative ai proprie-tari si possono invece desumere dalle pratiche otto-novecentesche per le concessioni di derivazioni depositate presso l’archivio del genio Civile di Belluno e negli archivi dei Comuni. Va rilevata invece la mancanza di informazioni puntuali sui prodotti lavorati, la loro origine e quantità e sull’organizzazione del lavoro all’interno di queste piccole fabbriche, che si possono solo parzialmente desu-mere da testimonianze di fonte orale, rintracciabili soprattutto su pubblicazione di storia locale.

I prodotti

Nell’Ottocento, mulini con macine per cereali e pile da orzo, folli da panno, laboratori di tessitura e tintoria lavoravano ancora principal-mente per soddisfare la richiesta locale, anche se non mancavano produzioni rivolte al mercato esterno. Dall’attività agricola, prevalentemente di sussistenza, la popo-lazione cadorina otteneva granoturco per farina da polenta, preparazione base della dieta alimentare. Il cereale, spesso insuf-ficiente per i bisogni delle famiglie veniva acquistato nei mercati

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di Vittorio Veneto e Conegliano, non diversamente accadeva per il frumento destinato soprattutto alla panificazione. L’orzo, al contrario, era prodotto in quantità su2iciente e veniva impiegato soprattutto nelle minestre e, tostato e macinato, come surrogato del ca2è. Nei mulini oltre al granoturco e al frumento erano maci-nate anche la segale e piccole quantità di grano saraceno. Il lavoro svolto nelle gualchiere, nelle tessiture e nelle tintorie rispondeva per lo più ai fabbisogni locali, e spesso era eseguito su ordinazione. Tuttavia al lanificio Pordon di San Vito di Cadore veni-vano conferite, per essere lavorate, anche lane provenienti dalla Pusteria e dalla Val di Zoldo (Pordon, 2009). Altro discorso riguarda la produzioni fabbrili che, accanto alla forgia-tura di attrezzi e strumenti di lavoro e di uso quotidiano, conobbe in alcune aree una forte specializzazione rivolta sia al mercato nazio-nale sia estero. È il caso di Cibiana, dove la fabbricazione di chiavi ebbe un notevole impulso già a partire dalla fine del XVIII secolo, fino ai primi decenni del XX. Erede di questa importante tradizione artigianale, a Cibiana è oggi ancora attiva un’industria di chiavi, che produce per il mercato internazionale. Strettamente legate alla presenza d’acqua e al suo impiego come forza motrice erano le segherie “alla veneziana”, dove si produce-vano migliaia di assi, di diverse misure e spessore, destinante a soddisfare i bisogni del territorio, ma soprattutto quelli del mercato veneto e non solo.Alla fine dell’Ottocento, a Calalzo di Cadore l’acqua del torrente Molinà azionava la sega a nastro della ditta di Vincenzo To2oli, fondata nel 1898, per la fabbricazione di materiale didattico e giochi in legno e dava forza, già da due decenni, ai primi macchinari per la fabbricazione di montature e lenti per occhiali (fabbrica Frescura e Lozza). L’occhialeria cadorina nei decenni successi assunse un’im-portanza mondiale. Nel quadro dell’ampia bibliografia sull’occhialeria cadorina per quanto riguarda la storia e la nascita dell’industria rimane ancora fondamentale il testo di De Lotto Dallo smeraldo di Nerone agli

occhiali del Cadore, pubblicato nel 1956.Mulino sul torrente Piova (inizi del Novecento)

Mühle am Wildbach Piova (Anfang des zwanzigsten Jahrhunderts)

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Gli opifici

Lungo i torrenti minori, a causa della modesta portata idrica, gli opifici non funzionavano con continuità e il lavoro era sospeso anche per più mesi. Diversamente accadeva sul Piave e sul Boite dove, soprattutto le segherie ‘alla veneziana’, inserite nell’importante sistema del mercato del legname, lavoravano ininterrottamente quasi tutto l’anno. Nel XIX e XX secolo i processi di utilizzazione dell’acqua erano sostanzialmente uguali in tutta l’area cadorina. Nei mulini, la più di2usa tipologia di ruote idrauliche era verticale a cassettoni, con raccolta dell’acqua ‘per di sopra’. Il diametro e la lunghezza della ruota dipendevano dalla portata idrica e dal disli-vello di caduta, il materiale impiegato per la sua costruzione era legno di larice. Il movimento circolare veniva trasmesso per mezzo dell’albero motore all’ingranaggio che, posto internamente all’o-pificio, consentiva di azionare la macina superiore, mentre quella inferiore era fissa. Nelle segherie ‘alla veneziana’, la ruota idraulica di dimensioni ridotte era collocata sotto l’edificio e collegata al sistema biella-manovella tramite l’albero di trasmissione. Questa tipologia funzionava sui fiumi e torrenti principali. Dopo gli anni ‘20 del Novecento fecero la loro comparsa le turbine Pelton, per la produzione di energia elettrica, particolarmente adatte a sfruttare corsi d’acqua con portate limitate e buoni salti. Va ricordato, anche se non è il tema di questa pubblicazione, che, a partire dai primi anni del Novecento, è stato avviato in tutto il Cadore un intenso uso delle risorse idriche per la produzione di energia elettrica, che ha comportato grandi cambiamenti del territorio, anche sul piano paesaggistico, oltre che ecologico. Il primo impianto in Cadore fu realizzato sul torrente Molinà, in territorio del Comune di Domegge di Cadore, nel 1902 per opera della “Società elettrica Barnabò,

Giacobbi e C.”, costituitasi nel medesimo comune nel 1901 (Dal Mas, De Angelis, 1997).

Alla scoperta degli opifici idraulici del CadoreAuf Entdeckungsreise der Wasserwerke im Cadoretal

L’itinerario tematico proposto nell’ambito del progetto “Mulini”, di cui si fornisce una mappa schematica nelle prossime pagine, prende in considerazione, a titolo esemplificativo, solo alcuni siti presenti nel medio Cadore, nella valle del Boite, a Zoppé di Cadore dove sono ancora conservati opifici idraulici e dove sono state posizionate delle tabelle informative. Tuttavia, le testimonianze materiali e le memorie legate all’esistenza di mulini, segherie, fucine e altri impianti a forza idraulica sono molte di più. In questa breve guida si è scelto di dedicare più spazio al percorso de “La roggia dei mulini” a Lozzo di Cadore dove, grazie a finanziamenti europei, tra il 1997 e il 2000 (progetto Ra2aello), è stato promosso il primo intervento di recupero e sistemazione dell’area che conserva nume-rosi manufatti legati all’uso dell’acqua. Il sito oggi, con il secondo stralcio di lavori finanziato nell’ambito di Mühlen/Mulini, si presenta come una sorta di museo all’aperto, da visitare per conoscere un frammento importante della storia del territorio cadorino. I dati e le informazioni riportati nelle schede sono tratti dalla ricerca Mühlen/Mulini condotta da Caterina Dal Mas per il Gal Alto Bellunese.

Der thematische im Rahmen des Projekts „Mühlen/Mulini“ vorge-schlagene Naturwanderpfad, von dem auf den folgenden Seiten eine schematisch dargestellte Mappe beigelegt wird führt als Beispiele von den in der Vergangenheit zahlreich auf dem Gebiet anzutre2enden Wassernutzungswerken nur einige im mittleren Cadoretal, im Boitetal und in Zoppé di Cadore an, weil diese auch heute noch zu besichtigen sind. Die materiellen Zeugnisse und Dokumentarbelege der Existenz von Mühlen, Sägewerken, Schmieden und von anderen mit Wasserkra% betriebenen Anlagen und Werkstätten sind weit umfangreicher. Der Naturwanderpfad der „La roggia dei mulini“ in Lozzo di Cadore bewahrt zahlreiche mit der Wassernutzung verbundene Bauten. Der Standort zeigt sich heute als Museum im Freien, das uns Einblick auf einen be-deutenden Teil der Geschichte des Cadoretals bietet. Alle in den Datenkarten angeführten Informationen wurden der von Caterina Dal Mas für den Gal Alto Bellunese durchgeführten Recherche “Mühlen/Mulini” entnommen.

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Opifici idraulici studiati nel progetto Mühlen/Mulini Untersuchte Hydraulikanlagen im Projekt Mühlen/Mulini

Zoppèm

ulino

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segheria

Lozzo

opifici sul rio Rin

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La roggia dei mulini di Lozzo di CadoreDie „roggia dei mulini“ in Lozzo di Cadore

localizzazione via de la Ruoiba (Lozzo di Cadore)Idrografia rio RinSituazione proprietà privataConservazione buonaUtilizzo turisticoAccessibilità libera agli spazi esterni e su richiesta a quelli interni

Il sito è uno dei più significativi esempi in Cadore di sfruttamento dell’acqua per la produzione di forza motrice. I lavori eseguiti in questi anni hanno consentito di recuperare gli opifici conser-vandone, nella maggior parte dei casi, l’assetto e la destinazione d’uso originari e di ricostruire le rogge e le ruote andate perdute nel tempo. Inoltre, per accedervi agevolmente è stato sistemato il sentiero che attraversa interamente il luogo.La presenza di un’area artigianale lungo il rio Rin ai piedi del monte Revis, nel comune di Lozzo di Cadore, è ben documentata a partire almeno dal XVIII. Si legge nelle Anagrafi Venete del 1766 che a Lozzo vi erano “dieci ruote da mulino da grani, una sega da legname, un follo da panni di lana, sedici telari da tela e cinque mole”. I docu-menti successivi testimoniano una certa vivacità imprenditoriale, fino a metà del XX secolo, che vede l’apertura di nuovi opifici e la riconversione di quelli esistenti a nuovi tipi di produzioni. Grandi trasformazioni della zona si ebbero in seguito all’incendio che, nel 1867, coinvolse parte degli opifici e in seguito all’alluvione del 1882 che comportò notevoli danni. Dal Registro dei contribuenti dell’imposta sui fabbricati del Comune di Lozzo del 1903 (Archivio comunale di Lozzo di Cadore) sappiamo che erano in attività cinque mulini, una sega, una fucina, una bottega da fabbro e due folli da panni. Particolarmente interessante risulta essere la Pratica n. 67 – Piccola Derivazione, conservata presso l’Archivio del Genio Civile di Belluno e datata 22 dicembre 1923, dalla quale si apprende che l’acqua del rio Rin produce “forza motrice in servizio di sette mulini, di una gualchiera e di una segheria…”.

La roggia del Mulino Da Pra-Calligaro

Die künstlichen Wasserkanäle der Mühle Da Pra-Calligaro

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Der Standort ist eines der bedeutendsten Beispiele der Wassernutzung als Antriebskra% im gesamten Cadoretal. Die während der letzten Jahre dank der europäischen Finanzierung umgesetzten Restaurationsarbeiten haben es ermöglicht die Wasserwerke und die im Laufe der Jahre zerstörten künstlich er-richteten Wasserkanäle und Wasserräder wiederinstandzusetzen. Die Präsenz einer entlang dem Wildbach Rin eingerichteten Handwerkszone am Fuße des Berges Revis, ist bereits seit min-destens dem XVII gut dokumentiert. Die im Archiv aufbewahrten Dokumente belegen eine gewisse unternehmerische Lebha%igkeit, denn bis zur Mitte des XX. Jahrhunderts wurden neue Anlagen er-ö2net und die bereits existierenden für neue Produktionstypologien umgebaut. Seit dem Jahre 1915 und danach im Jahre 1926, wurde die Stromzentrale Baldovin, die nach und nach sämtliche entlang dem Wildbach angesiedelte Anlagen mit Strom versorgte in Betrieb gesetzt. Die meisten dieser Anlagen stellten dann in der zweiten Häl%e des zwanzigsten Jahrhunderts, und insbesondere nach der Hochwasserkatastrophe im Jahre 1966 ihren Betrieb ein.

Gli opifici elencati sono:1. Molino di Baldovin Lucio fu Giovanni2. Molino di Baldovin Gaspare fu Mariano3. Molino di Baldovin Giovanni fu Gio-Batta4. Molino degli Eredi Zanella in Loda Luigi5. Molino di Calligaro Bianco Argentina fu Lorenzo6. Gualchiera di Da Prà Costantino fu Giovanni7. Molino di Calligaro Cian Giuseppe8. Molino Baldovin Giovanni fu Lorenzo9. Sega Comunale.La relazione, che accompagna la pratica, riporta inoltre che una seconda derivazione, posta più a valle, dava forza anche a una ruota da fabbro. Un cambiamento importante si ebbe a partire dal 1926, data nella quale iniziò a funzionare la centralina elettrica Baldovin che, pian piano, andò a fornire elettricità a tutti i nuovi impianti che si insediarono lungo il torrente. La maggior parte di essi cessò l’attività nella seconda metà del ‘900 e in particolare a seguito dell’alluvione del 1966.

Ruota del Mulino Da Pra-Calligaro

Mühlenrad der Mühle Da Pra-Calligaro

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Centralina idroelettrica Baldovin Carulli

L’o2icina per la produzione di energia elettrica (com’era chiamata agli inizi del XX secolo una centrale idroelettrica) dei fratelli Baldovin Carulli sfruttava le acque del Rio Rin, captate da una diga di sbar-ramento situata in località Le Spesse. La ditta aveva inizialmente (1915) costruito una centralina in fondo al paese, in località Ronzie, per fornire di elettricità alcuni impianti, di sua proprietà, per la lavo-razione del legname. In seguito, visto l’aumentare del fabbisogno di energia, venne fatta domanda per la costruzione di una nuova o2icina. La diga, per la formazione del bacino artificiale, fu costruita nel 1926 in tronchi di legno, mentre la condotta era in gran parte in cemento, tranne che per l’ultimo pezzo in ferro. La posizione del nuovo manufatto, costruito a monte degli altri opifici esistenti, fece sì che la diga, con le sue opere di derivazione, andasse a sostituire quelle di presa più antiche. Inoltre, l’acqua in uscita dalle turbine, per mezzo del canale di scarico, veniva restituita alla roggia e utiliz-zata dai sottostanti mulini. Nel 1946-‘47 lo sbarramento in legno fu sostituito da uno più moderno in calcestruzzo. Con il passare del tempo, la centralina andò a fornire corrente elet-trica ad un’utenza sempre più ampia dell’intero paese. L’alluvione del 1966 danneggiò parte delle opere di captazione e della condotta, e la fornitura di energia fu sospesa per qualche mese. Verso gli anni ‘70 subentrò nella gestione dell’attività Leo Baldovin, discendente della famiglia proprietaria, che nel 1989 rinnovò la concessione idrica e tuttora gestisce la piccola centrale a scopo didattico.

Die Werkstatt für die Stromerzeugung der Gebrüder Baldovin Carulli nutzte den Wasserlauf des Wildbachs Rin, der an der Örtlichkeit Le Spesse in einem Staudamm aufgefangen wurde. Das Unternehmen hatte anfangs eine Stromzentrale am Ende der Ortscha% gebaut, um einige ihrer eigenen Anlagen für die Holzverarbeitung mit Strom zu versorgen. Im Jahre 1926 wurde eine neue Zentrale, die immer mehr Verbraucher der gesamten Ortscha% mit Strom versorgte er-richtet. Um die siebziger Jahre trat Leo Baldovin, ein Abkömmling der Eigentümerfamilie der Zentrale in die Unternehmensleitung ein. Im Jahre 1989 erneuerte er die Genehmigung für die Nutzung der Wasserkra%, und auch heute noch verwaltet er diese kleine Stromzentrale für didaktische Zwecke.

Centralina idroelettrica Baldovin-Carulli. Il quadro comandi all’interno dell’o2icina

Stromzentrale Baldovin Carulli. Die Schalttafel im Inneren der Werkstatt

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Mulino Del Favero

L’attuale mulino Del Favero con molta probabilità è lo stesso ra2i-gurato su una tavoletta votiva, donata per “Grazia ricevuta da Baldassare de fu Gerolamo de Mejo li 8 agosto 1764”, dove è ra2i-gurato un opificio idraulico con tre ruote lignee. Il mulino è inoltre tra quelli indicati nell’elenco di “riconoscimento antico diritto d’uso delle acque del Rio Rin”, sotto il nominativo “Molino di Baldovin Lucio fu Giovanni”. Anticamente presentava tre ruote idrauliche, due del diametro di 3 metri e una del diametro di 2,05 metri, che producevano una potenza pari a 3,35 HP, per mezzo di un salto di 5,3 metri, e che azionavano due macine ed un pila orzo. Le ruote idrau-liche a cassette di legno furono sostituite dai proprietari, durante la Seconda Guerra Mondiale, con una turbina di tipo Pelton, come risulta dal progetto datato 1943. La turbina di tipo Pelton, ancor oggi visibile, è installata in un pozzetto circolare del pavimento del locale seminterrato. Al piano primo dello stesso opificio, nel periodo compreso tra gli anni 1920-50, lavorava una piccola tessi-tura a conduzione familiare della famiglia Baldovin.Nel 1977 fu rinnovata la concessione per il funzionamento del mulino con scadenza nel 2007. L’attività proseguì saltuariamente sino al 1985 circa, a seguito della morte del padre i figli rinunciarono alla concessione che fu dichiarata decaduta nel 1993.

Die heutige Mühle Mulino Del Favero ist wahrscheinlich bereits auf einer Votivtafel vom 8. August 1764 abgebildet: auf dieser ist ein Wasserwerk mit drei hölzernen Rädern zu sehen. Die Wasserräder setzten zwei Kornmahlgänge für Getreide und einen Pfeiler für die Enthülsung der Gerste in Betrieb. Im Laufe des zweiten Weltkriegs wurden sie mit einer noch heute zu sehenden Freistrahlturbine ersetzt. Im ersten Stock desselben Wasserwerks war in der Zeit zwi-schen 1920-50 eine kleine Webewerkstatt im Familienbetrieb tätig. Diese Tätigkeit wurde dann als Gelegenheitsarbeit bis ungefähr 1985, Jahr in dem der Vater starb weitergeführt. Die Erben ver-zichteten im Jahre 1993 auf die Erneuerung der in diesem Jahre abgelaufenen Genehmigung.

Mulino Del Favero

Mühle Del Favero

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Mulino Da Pra-Calligaro

L’edificio, oggi detto mulino “Da Pra e Calligaro”, è indicato tra quelli riportati nell’elenco di “riconoscimento antico diritto d’uso delle acque del Rio Rin”, ed esattamente sotto il nominativo “Molino di Baldovin Gaspare fu Mariano”, per la parte a monte, e “Molino di Baldovin Stefin Giovanni fu Gio Batta” per la metà posta a valle.Dal Registro dei Contribuenti dell’Imposta sui Fabbricati del 1903

(Archivio Comunale di Lozzo di Cadore), risulta essere adibito per una metà (quella più a monte) a follo da panni e per l’altra a fucina. Quest’ultima in seguito convertita in mulino. Anche la metà più a monte, dopo essere stata venduta, fu successivamente trasformata a uso mulino, come risulta da un disegno del 1923. Il piano terra di entrambe le proprietà ospitava due macine da grano, mentre il piano superiore era di servizio ai mugnai. Nella parte inferiore del fabbricato fu successivamente aggiunto un nuovo volume che ospitò per un periodo una fucina da fabbro. I due mulini presenti nell’edificio furono fra i primi, di quelli lungo la roggia, a cessare le attività. Alla fine del XX secolo, sono state ricostruite, a scopo turi-stico e dimostrativo, una ruota idraulica e parte della roggia.

Das Gebäude ist im Register der “antiken Zuweisung von Nutzungsrechten der Gewässer des Wildbachs Rio Rin” einge-tragen. Im Register der Steuerzahler der Grundsteuer aus dem Jahre 1903 geht hervor, dass das Gebäude zur Häl%e (die berg-aufwärts gelegene) für den Einsatz von Wolltuchwalkmaschinen und in der anderen Häl%e als Schmiedewerkstatt genutzt wurde. Im Erdgeschoß beider Gebäudeteile standen zwei Kornmahlgänge in Betrieb, und im Obergeschoß befand sich der Dienstraum der Mühlenwerkführer. Das untere Gebäudeteil wurde dann später mit einem Anbau erweitert, in dem für eine gewisse Zeit eine Schmiedewerkstatt in Betrieb war. Gegen Ende des XX. Jahrhunderts wurde ein Teil der künstlich errichteten Wasserkanäle und ein Wasserrad für touristische Zwecke und für die Lehrschau rekonstruiert.

Mulino Da Pra - Calligaro

Mühle Da Pra-Calligaro

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Mulino “dei Pinza” e piccola o'icina fabbrile

Il mulino, conosciuto oggi come “dei Pinza”, è citato in un mano-scritto datato 21 marzo 1810 in cui si riferisce circa la volontà di dividere il molino Zanella a metà e dove si attestano le condi-zioni cui erano soggetti i vari comproprietari. L’edificio, indicato con il nome di Molino degli eredi Zanella in Loda Luigi” (porzione a monte), “Molino di Calligaro Bianco Argentina fu Lorenzo” (parte centrale), “Gualchiera di Da Pra Costantino fu Giovanni” (parte più a valle), risulta tra quelli dell’elenco “di riconoscimento antico diritto d’uso delle acque del Rio Rin”. Addossato al lato sud-est del fabbri-cato vi era un altro volume, di cui restano solo le tracce dei muri perimetrali, utilizzato come gualchiera. L’opificio, come risulta da un disegno del 1885, aveva una sua ruota idraulica che sfruttava un salto di circa 3 metri, per azionare i macchinari all’interno, al piano terra vi era l’apparato per la battitura e ‘digrassatura’ dei tessuti, mentre in quello superiore si trovava il follo da panni.Nel 1903 l’edificio ospitava ancora due mulini di proprietari di2e-renti. Dopo il secondo conflitto mondiale all’interno del fabbricato fu realizzato un piccolo vano e collocata una fucina da fabbro e al piano superiore venne attrezzato un laboratorio a servizio della fucina. Il trapano e il so2ietto per la forgia sfruttavano il movimento di una delle due ruote che faceva girare la macina da grano. Le attività che si svolgevano erano modeste e legate soprattutto alla fabbricazione e al restauro di strumenti agricoli di uso locale. Grazie alla conservazione di buona parte dei macchinari, degli attrezzi da lavoro e di alcuni piccoli manufatti e semilavorati, la fucina, nell’am-bito del progetto “Mulini”, è stata restaurata e riordinata diventando uno spazio espositivo.

Lavatoi

Lungo il percorso de La roggia dei mulini sono conservati due lavatoi, uno con copertura lignea e l’altro che sfrutta l’acqua di uscita della roggia del Mulino Del Favero. Si tratta di due tipologie molto diverse tra loro, il primo costringeva la lavandaia a stare in piedi curva sul piano inclinato, il secondo, al contrario, posto quasi all’altezza del terreno obbligava le donne a stare in ginocchio.

Mulino “dei Pinza”

Mühle “dei Pinza”

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Lavatoio lungo la roggia dei mulini a Lozzo di Cadore

Waschplatz entlang der „künstlichen Wasserkanäle der Mühlen“

Die Mühle wird in einem Handschri%werk vom 21. März 1810, in dem verschiedene Miteigentümer eingetragen sind erwähnt. Auf der südöstlichen Seite des Gebäudes befand sich ein Erweiterungsbau, von dem heute nur noch die Überreste der Außenmauern zu sehen sind: diese Räumlichkeiten wurden zum Tuchwalken genutzt. Wie einer Abbildung aus dem Jahre 1885 zu entnehmen ist, befanden sich im Erdgeschoß ein Gerät für das Klopfen und das “Entfetten” der Sto2e, und im Obergeschoß stand eine Tuchwalkmaschine in Betrieb. Im Jahre 1903 standen im Gebäude noch zwei Mühlen unterschied-licher Besitzer in Betrieb. Nach dem zweiten Weltkrieg wurde im Gebäude ein kleiner Raum für eine Schmiede, und im Obergeschoß eine Werkstatt für die Schmiedestücke eingerichtet. Die hier ausgeführten Tätigkeiten waren bescheidener Art und insbesondere mit der Herstellung und Instandhaltung von landwirtscha%lichen Geräten für den lokalen Gebrauch verbunden. Im Rahmen des Projekts “Mühlen/Mulini” wurde die restaurierte Schmiedewerkstatt zu einem Museumsraum umgewandelt.

Entlang des Verlaufs der künstlich errichteten Wasserkanäle sind noch 2 ö2entliche Waschplätze zu sehen. Es handelt sich hierbei um zwei unterschiedliche Arten von ö2entlichen Waschplätzen: am ersten mussten die Waschfrauen gekrümmt am schräg ange-brachten Waschbrett stehen, am zweiten mussten die Waschfrauen sogar knien, weil das Waschbrett fast am Boden angebracht war.

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Am Standort der roggia dei mulini sind auch andere Gebäude, in denen früher Handwerkstätten in Betrieb waren zu besichtigen:• Die Wollweberei der Gebrüder Zanella, deren Tätigkeit gegen Ende der 50ger Jahre nach nur wenigen Jahren Betrieb eingestellt wurde.• Die Schmiedewerkstatt Baldovin Marin, die gegen Ende des XIX. Jahrhunderts geö2net wurde, schmiedete Gegenstände und Geräte für den alltäglichen und landwirtscha%lichen Gebrauch.• Das Fabrikgebäude der Gebrüder Baldovin Carulli wurde um die zwanziger Jahre errichtet: hier stand ein Sägewerk und zwei Schreinereien in Betrieb. Auf dem anderen Ufer des Wildbachs war ein zweites, mit dem ersten über zwei Brücken verbundenes Sägewerk tätig. Die Sägewerke blieben bis ungefähr zum Jahre 1955 geö2net, während die Schreinereien ihren Betrieb noch ein paar Jahre länger im Bereich der Fertigung von Möbeln, Türen und Fenstern fortsetzten.

Lanifico Fratelli Zanella, fucina Baldovin Marin e fucina Da Pra Fauro, segheria - falegnameria Baldovin Carulli

Nel sito de La roggia dei mulini sono presenti altri edifici che, un tempo, ospitavano attività artigianali:a. Il lanificio Fratelli Zanella iniziò a lavorare durante la Seconda Guerra Mondiale e venne successivamente trasferito nell’ edificio di nuova costruzione, oggi ancora visibile. La lana lavorata era per lo più di produzione locale, ma piccoli quantitativi provenivano anche da alcune zone della vicina Carnia. L’attività venne cessata alla fine degli anni ’50;b. La fucina Baldovin Marin (oggi trasformata in abitazione), aperta verso la fine del XIX secolo, forgiava oggetti e attrezzi di uso quoti-diano e agricolo;c. La fucina Da Pra Fauro, attiva fino alla prima metà del Novecento, era specializzata nella fabbricazione dei carri e nella ferratura dei cavalli;d. L’opificio dei fratelli Baldovin Carulli, realizzato attorno agli anni Venti, era sede di varie attività. Al piano terra erano funzionanti una segheria e a quelli superiori due falegnamerie. Sulla sponda opposta del Rio, operava una seconda segheria collegata alla prima mediante due ponti, uno per il trasferimento del legname e l’altro come passaggio pedonale. Le segherie rimasero aperte fino al 1955 circa, mentre le falegnamerie continuarono l’attività ancora per qualche anno, producendo mobili e serramenti.

Mappa del sito “La roggia dei mulini”

Mappe der Webseite „Die künstlichen Wasserkanäle der Mühlen“

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Il torrente Veses, sullo sfondo l’ostello Altanon

Hostel Altanon am Veses Bach

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Già in epoca medievale, l’organizzazione socio-economica dei nuclei urbani del territorio del GAL Prealpi e Dolomiti, era basata soprattutto sugli scambi commerciali e su alcune attività manifat-turiere. Le maggiori ricchezze si ricavavano dalla lavorazione della lana derivante dal di2uso allevamento di pecore e, soprattutto nel Feltrino, dal commercio di un particolare tipo di panno (il feltro); dall’attività delle fucine per la forgiatura del ferro e la fabbricazione delle lame (famose quelle di Belluno e di Santa Giustina), stretta-mente connessa con i principali siti estrattivi come lo zoldano; dalla lavorazione del legname da costruzione proveniente dal Primiero, dal Cadore e dall’Alpago. La scarsità di cereali è all’origine di uno sviluppo più tardivo dei mulini da macina, fino all’inizio del secolo XVII, ad esempio, il mais non era ancora conosciuto. In questo breve opuscolo abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti legati a queste antiche attività, svolte nel territorio interessato dal progetto di Cooperazione. I racconti che leggerete, strettamente connessi agli interventi realizzati, rappresentano alcune testimonianze di storia, tradizione e memoria.

GAL Prealpi e Dolomiti Racconti di storie, tradizioni e memorieErzählungen von Geschichten, Traditionen und Gedenken

Bereits im Mittelalter war die sozialwirtscha%liche Organisation der Stadtzentren des Gebiets des GAL Prealpi e Dolomiti ins-besondere auf den wirtscha%lichen Handelsverkehr und auf vereinzelte Produktionstätigkeiten gestützt. Die bedeutendsten Einkommensquellen waren die Wolltuchverarbeitung dank der vor Ort weit verbreiteten Schafszucht und vor allem in der Gegend um Feltre der Handel eines ganz speziellen Sto2s (des Filzes); die Schmiedetätigkeiten für die Herstellung von Schmiedeeisenstücken und die Herstellung von Klingen (die aus Belluno und Santa Giustina waren besonders berühmt), die eng mit den größten Bergbauwerken wie das im Tal von Zoldo ver-bunden waren; die Verarbeitung des Holzes für den Bau, das aus den Gegenden von Primiero, aus dem Cadoretal und aus Alpago stammten. Die Knappheit an Getreide war der Grund für die verspä-tete Entwicklung der Mühlen mit Mühlensteinen, weil beispielweise bis zu Beginn des XVII. Jahrhunderts der Mais hier noch unbekannt war. In dieser Kurzzusammenfassung wollten wir einige Aspekte der antiken Tätigkeiten, die auf dem Gebiet des Kooperationsprojekts üblich waren vertiefen. Die Erzählungen, die Sie hier lesen werden beziehen sich direkt auf die umgesetzten Interventionen und sind Belege der Geschichte, der Tradition und des Andenkens an ver-gangene Zeiten.

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Il primo riguarda l’ex o2icina fabbrile dei fratelli Orzes, Attilio e Federico. L’o2icina si trova a Belluno, all’interno dell’abitato di San Francesco, piccolo e antico borgo sorto sulla riva sinistra del torrente Ardo. Il fabbricato sorge in prossimità di una chiesetta costruita nel 1606 per volere del canonico Vendrando Egregis e dedicata a San Francesco da Paola, il santo calabrese patrono dei naviganti e dei pescatori e in quanto tale, protettore anche del borgo che dall’acqua del torrente traeva l’energia necessaria per dare movimento ai propri opifici. Il secondo racconto, legato al percorso ciclopedonale tra Santa Giustina e Sedico, narra di una singolare opera: la levàda, così denominata perché sollevava artificialmente il letto del Cordevole di almeno tre metri, obbligando una parte della sua acqua a entrare in un canale artificiale, detto la roia (roggia), esistente sulla sini-stra orografica del torrente stesso, indispensabile per trasportare i tronchi alle segherie.L’ultimo racconto è incentrato sulle sementi antiche macinate nei mulini. Oggi le superfici a seminativo sono pressoché tutte investite a mais in condizioni di monocoltura intensiva, i campi colpiscono per la loro omogeneità, le piante sono vicinissime le une alle altre e le spighe sono disposte su piani paralleli ad altezze sempre uguali. Una situazione ben di2erente rispetto alla metà del secolo scorso, quando spiccava una marcata diversità di specie, di varietà, di paesaggio e di tecniche di coltivazione.

Ex o2icina Orzes Al centro uno degli artigiani, ai lati due giovani apprendisti (anno 1960 circa)

Ehemalige Werkstatt Orzes In der Mitte einer der Handwerker, seitlich zwei junge Lehrlinge (ungefähr Jahr 1960)

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Individuazione degli interventi finanziati dal Gal nell’ambito del progetto di Cooperazione e dei principali luoghi di interesse

Ermittlung der vom Gal im Rahmen des Kooperationsprojekt finanzierten Interventionen und der bedeutendsten Standorte von historischem Interesse

Santa Giustina

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Ostello Altanon

Mulino di Santa Libera

Segherie dei Meli

La Levàda

Ex O6icina Orzes

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Segherie di Seghe di Villa

Belluno

Sedico

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L’ex o6icina fabbrile OrzesDie ehemalige schmiedewerkstatt „Orzes“

Loredana Facchin

L’edificio ha una storia lontana nel tempo, legata all’antica voca-zione produttiva del luogo e alla roggia, il canale artificiale e stabile di acqua corrente derivata dal torrente Ardo, che nel 1500 alimen-tava mulini, magli, fucine, seghe da legnami e folli da panni da Fisterre a Borgo Piave per un totale di 28 opifici, ma la cui esistenza è ancora più antica, come risulta dall’analisi di alcuni documenti della fine del 1200, dai quali si desume che sulla roggia dell’Ardo ci fossero già in quel tempo almeno 7 mulini. Da alcuni manoscritti conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia e riguardanti le antiche investiture e le concessioni all’u-tilizzo dell’acqua come forza motrice degli opifici ai tempi della Serenissima, si viene a sapere della conferma, con riferimento al Signor Paolo Veij, del “possesso dell’uso di una rodda da folo da panno, posto nella città di Belluno, in contrà San Francesco di Paola, sopra l’acqua del Fiume Ardo”. In fondo alla nota si legge “Adì 27 dicembre 1799 traslato al nome del signor Paolo Favretti ...”.Dalla lettura del testo dell’investitura si desume con chiarezza che nella zona esisteva un follo da panno già nel 1600. La follatura dei panni era uno speciale trattamento di compressione e scorrimento al quale venivano sottoposti i tessuti di lana per renderli più resi-stenti, compatti e impermeabili.Nel Catasto Napoleonico, la documentazione costituita da disegni (mappe) e registri (sommarioni) relativi al rilievo del terri-torio e2ettuato durante l’amministrazione francese tra il 1807 e il 1817, il fabbricato, contraddistinto dal numero 125 e di proprietà di Castellani Dorico, è indicato come casa “ad uso di follatoio con una superficie pari a 10 centesimi di pertica, circa 100 metri quadri”; la costruzione adiacente è un altro follatoio e quella sulla roggia è una abitazione. L’opificio conserva la stessa destinazione anche qualche decennio dopo come si legge nei documenti del Catasto

Sito dell’antica fucina Orzes a Belluno

Standort der ehemaligen Schmiedewerkstatt Orzes in Belluno

Ex o'icina Orzes

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austro-italiano che trattano inoltre dei passaggi di proprietà. Alcune di queste informazioni sono riportate nella pratica di concessione idrica della ditta Orzes conservata presso l’Archivio del Servizio Difesa Idrogeologica e Forestale di Belluno. Si tratta del documento intitolato Cenni storici, riferito al periodo compreso tra il 1855 e il 1922, che è parte integrante della domanda che gli artigiani, i fratelli Attilio e Federico divenuti proprietari nel 1919, avevano presentato nel Dicembre del 1922 al Ministro dei Lavori Pubblici, ai sensi del Regio Decreto 9 Ottobre 1919 recante disposizioni sulle derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche.La richiesta era finalizzata ad acquisire la riconferma del diritto di derivazione d’acqua, che il Comune aveva concesso la prima volta nel 1853 al Signor Rosson Francesco. Vengono richiesti moduli 6 d’acqua - il modulo è l’unità di misura dell’acqua corrente e corri-sponde a 100 litri al secondo - per produrre, sul salto di m 1,5, la potenza di 10,80 HP (Horse-power, corrispondente a circa 745 watt).L’attività dell’o2icina nei primi decenni del secolo scorso compare anche nelle pubblicazioni provinciali di carattere economico. Nella Guida Commerciale Industriale e Amministrativa di Belluno e Provincia, riferita agli anni 1924-1925, tra i 6 nominativi dei Fabbri meccanici che operano quasi tutti in città, si legge che la ditta Orzes fratelli è un’o2icina fabbrile per costruzione di carri, attività nota anche per chi lavorò nell’o2icina intorno agli anni ‘60 e legata in particolare alla produzione dei dischi delle ruote.Nell’Annuario della Provincia di Belluno degli anni 1935-1936, che riporta la ditta Orzes fratelli tra i 12 nominativi delle O2icine fabbrili di Belluno, il nome di Attilio è riportato con la qualifica di Capo mestiere Agg. Meccanici (Aggiustatori meccanici) e con lo stesso titolo lo troviamo indicato nell’Annuario del 1941.Nella Guida economico-turistica della Provincia di Belluno del 1958 l’attività è inserita nell’elenco delle 32 o2icine meccaniche della città con il nome di Orzes Giovanni, padre di Attilio e Federico. Un abitante del borgo ricorda con passione immagini di vita intorno all’o2icina appena dopo la Seconda Guerra Mondiale e racconta che spesso sullo spiazzo antistante, i due fabbri erano intenti a smontare i pezzi metallici di autocarri per recuperarne le parti riutilizzabili, con eccezione delle sfere dei cuscinetti che venivano

Ricostruzione ipotetica dal catasto napo-leonico. Tratto da Censo stabile - Mappe napoleoniche - disegno 1359 - Mappa del Comune Censuario di Nogarè - Mappa unica); A - Borgo San Francesco; C - Chiesa di San Francesco da Paola; 1 - Casa ad uso di folla-toio; 2 - Casa di propria abitazione; 3 - Casa ad uso di follatoio; R - Roggia; F - Fiume Ardo

Rekonstruktionshypothese des Napoleonischen Katasters, Auszug aus dem Gebäudezensus - Napoleonische Mappen - Zeichnung aus dem 1359 - Mappe der Erhebungsstelle des Gemeindebezirks von Nogarè - vereinheitlichte Mappe

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Catasto Austro-Italiano. Censuario di Nogarè - Mappa 12 (Particolare) - Impianto 1° Agosto 1936 - Foglio 4

Österreichisch-Italienischer Kataster. Erhebungsstelle von Nogarè - Mappe 12 (Ausschnitt) - Datenverarbeitungsanlage vom 1. August 1936 - Blatt 4

regalate ai ragazzini per “giocare a biglie” sulla strada all’epoca non asfaltata.Alcuni bozzetti corredati da misure, tracciati a penna biro su ritagli di carta da pacchi e di cartone e ancora riposti nell’armadietto vicino all’ingresso dell’o2icina, riproducono particolari di inferriate e di alari e ci rimandano all’attività degli anni ‘60-’70, periodo in cui le redini dell’o2icina erano state prese dal figlio di Federico, Giovanni detto “Giova” e dal figlio di Attilio, Gisberto detto “Toto”, quest’ul-timo si distingueva per il portamento di particolare signorilità dato che in o2icina, sotto l’abituale tuta da lavoro, indossava sempre una impeccabile camicia bianca. I fabbri oltre a creare oggetti arti-stici, come i tradizionali attrezzi ordinati da clienti della città per il corredo dei caminetti, realizzano manufatti destinati all’edilizia; a questo periodo risalgono a esempio la recinzione della scuola elementare di Borgo Prà e quella della ex Torrefazione Bristot.Alcune lavorazioni venivano e2ettuate all’esterno come ad esempio, ricorda un altro bellunese apprendista dai fratelli Orzes negli anni ‘60, la sagomatura di elementi in ferro realizzata inserendo il pezzo di ferro scaldato in uno stampo metallico dotato di fori di varie forme geometriche, così da ottenere, a seguito della pressione esercitata dai colpi del martello, la lavorazione plastica del ferro nella foggia desiderata. L’attrezzo utilizzato non c’è più da alcuni anni, mentre la permanenza di una pressa manuale a bilanciere, risalente agli anni ‘50, ci dà ulteriore conferma della saltuaria fruizione produttiva dello spazio esterno antistante il portone d’ingresso.In quegli anni l’o2icina era frequentata da ragazzi per imparare il mestiere, il lavoro iniziava al mattino e terminava alle diciassette. Nelle calde giornate d’estate, durante la pausa pranzo, la vicinanza del torrente diventava per i giovani apprendisti una divertente occasione per rinfrescarsi, da condividere magari con altri ragazzi e ragazze, e così anche a fine giornata.Negli stessi anni, al rumore dell’acqua che scorreva nel canale per provocare il movimento della ruota idraulica, si associavano i colpi del maglio con il quale si procedeva alla martellatura del pezzo metallico riscaldato per fargli assumere la forma voluta, tranne il venerdì. In questa giornata, infatti, l’operosità dei fabbri era in parte impiegata in una lavorazione particolare, non collegata alla

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realizzazione di manufatti in metallo ma rivolta piuttosto alla tradi-zione della cucina veneta: la battitura del baccalà. I pesci essiccati venivano legati in mazzi, sottoposti ai colpi del maglio e subito dopo messi a mollo nelle limpide acque della roggia per poi essere venduti nei vicini negozi della città. L’opificio fu attivo per gran parte del secolo scorso: la concessione idrica non fu più rinnovata dal 1976.Guardandosi intorno, sui tavoloni che formano il banco da lavoro e sui cavalletti in ferro senza ripiano, si vedono pezzi di ferro curvati o sagomati con riccioli che ci danno un’idea concreta delle lavorazioni eseguite negli ultimi periodi di attività, intorno all’anno 1987 come sembra ricordare il calendario ancora appeso vicino all’ingresso. Si tratta di manufatti destinati all’edilizia e all’abbellimento delle abitazioni come recinzioni, ringhiere per scale esterne ed interne, cancelli, inferriate, realizzati ricorrendo all’uso dell’energia elettrica.

Bereits im Mittelalter war die sozialwirtscha%liche Organisation der Stadtzentren des Gebiets des GAL Prealpi e Dolomiti ins-besondere auf den wirtscha%lichen Handelsverkehr und auf vereinzelte Produktionstätigkeiten gestützt. Die bedeutendsten Einkommensquellen waren die Wolltuchverarbeitung dank der vor Ort weit verbreiteten Schafszucht und vor allem in der Gegend um Feltre der Handel eines ganz speziellen Sto2s (des Filzes); die Schmiedetätigkeiten für die Herstellung von Schmiedeeisenstücken und die Herstellung von Klingen (die aus Belluno und Santa Giustina waren besonders berühmt), die eng mit den größten Bergbauwerken wie das im Tal von Zoldo ver-bunden waren; die Verarbeitung des Holzes für den Bau, das aus den Gegenden von Primiero, aus dem Cadoretal und aus Alpago stammten. Die Knappheit an Getreide war der Grund für die verspä-tete Entwicklung der Mühlen mit Mühlensteinen, weil beispielweise bis zu Beginn des XVII. Jahrhunderts der Mais hier noch unbekannt war. In dieser Kurzzusammenfassung wollten wir einige Aspekte der antiken Tätigkeiten, die auf dem Gebiet des Kooperationsprojekts üblich waren vertiefen. Die Erzählungen, die Sie hier lesen werden beziehen sich direkt auf die umgesetzten Interventionen und sind Belege der Geschichte, der Tradition und des Andenkens an ver-gangene Zeiten.

Disegno di un alare (anni ‘60-‘70)

Zeichnung eines Flügels (‘60-‘70ger Jahre)

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La LevàdaDie “Levada”

Gianni De Vecchi

La levàda è un singolare manufatto collocato a monte della roggia, lungo l’itinerario realizzato con il Progetto Mulini.La prima levàda (interamente di legno) sorse nel 1719, grazie a un accordo fra i vari proprietari di seghe, essa deviava in un canale arti-ficiale, la roia de le zate (roggia delle zattere), i tronchi destinati alle segherie (giunti fino a quell’opera di ingegneria idraulica mediante fluitazione sul Cordevole) e l’acqua necessaria al funzionamento di tutti gli opifici posti a valle.

Costruzione della levàda.

Rino Pasa, nato nel 1906 e segantino dall’età di 12 anni al seguito del padre, così raccontava: “Si piazzava un martìn (battipalo in ferro) pesante circa un quintale/un quintale e mezzo sul greto del Cordevole ancorato in alto a delle travi dove c’era una carrucola; indi 5-6 uomini, che reggevano ognuno il capo di una corda, lo sollevavano, e poi lo lasciavano cadere di colpo sulla testa del palo da conficcare, mentre uno degli operai dava la cadenza. I pali, di rovere (legno che immerso nell’acqua non marcisce) con la punta rinforzata da un rivestimento in acciaio, venivano conficcati fino a incontrare la roccia, quindi anche due-tre metri. Se ne piantava una fila in mezzo, una di fuori e una all’interno; indi si univano tutti i pali tra loro con legname di rovere a formare come tante stanze (camere le chiamavamo noi) poi riempite di grossi sassi. Infine il tutto veniva ricoperto dal mantèl costituito da parancole (tavolame di notevole spessore) di larice da noi fissate con grossi chiodi, a di2erenza dei nostri vecchi che invece usavano broche (cavicchi) di legno”.

Fluitazione del legname

Così rievocava quell’attività Rino Pasa: “Verso la fine di maggio e per circa 40-45 giorni, quando il Cordevole cresceva per il disgelo della neve in montagna e c’era meno pericolo di brentane (piene),

Itinerario realizzato in comune di Sedico con individuazione de La Levàda

Im Gemeindebezirk von Sedico einge-richteter Wanderpfad mit Besichtigung der La Levàda

Segherie dei Meli

La Levàda

Segherie di Seghe di Villa

torr

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te C

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Sedico

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aveva luogo la menàda (fluitazione) del legname che, proveniente dall’Agordino, doveva arrivare alle nostre segherie. A condurre a destinazione i tronchi provvedevano i menadàs, uomini forti e coraggiosi in gran parte di Cencenighe, ai quali, dalla Muda in giù, si univano gli operai (e anche i segantini) dei Meli e Seghe di Villa. Tutti erano dotati dell’andiér, un’asta necessaria per movimen-tare o recuperare il legname, lunga dai 3 ai 12 metri (a seconda del bisogno) provvista ad un’estremità di uno spuntone e di un uncino in ferro. Quello dei menadàs era un lavoro duro e pericoloso (10-12 ore in acqua e non c’erano a quei tempi stivali) che richie-deva gran colpo d’occhio e agilità. Senza calzini, ai piedi un paio di zoccoli (con sopra una cinghia di cuoio e muniti sotto di grif - piccoli ramponi - per non scivolare), i calzoni arrotolati fin sopra il ginoc-chio, essi erano costretti talvolta a saltare da un tronco all’altro per districare con l’andiér le taie che si erano aggrovigliate formando uno sbarramento e provocando un pericoloso innalzamento del livello dell’acqua. Qualcuno ci lasciò la pelle, altri (non sappiamo se considerarli più fortunati) si ruppero le gambe: vennero caricati su una carretta e portati a casa in tali condizioni (anche l’ospedale era un lusso!).

La roggia e le sue porte

Maurizio De David, residente nelle segherie dei Meli, così ricordava: “Quando giungeva il momento dell’arrivo dei tronchi, veniva collo-cato alla levàda, prima del salto, diagonalmente rispetto al letto del Cordevole, il restèl (rastrello), uno sbarramento che si esten-deva per tutta la larghezza dell’alveo e che, nel mentre, consentiva all’acqua di scorrere liberamente, deviava le taie costringendole ad imboccare il canale artificiale (roia de le zate) e a dirigersi verso le segherie poste a valle.L’accesso a quel canale era regolato dalla bocaporta, un apparato provvisto di una pesantissima porta (il portàz) larga sette metri, alta circa tre, fatta con tavoloni di larice aventi un grosso spessore (circa 10 cm); essa poteva essere alzata o abbassata (ci volevano quattro uomini per alzarla) utilizzando delle catene che si avvolgevano attorno a un fuso di legno posto al culmine di una robusta intelaia-tura pure di legno.

La Levàda

Die Levàda

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La bocaporta della levàda. Si trovava all’inizio della roggia; sulla sinistra si intravedono le prime due porte laterali

Die Schleusenkammer der levàda im Anfangsbereich des künstlich errichteten Wasserkanals. Links sind die ersten zwei Seitentüren zu erkennen

Rino Pasa raccontava: “Quel portàz era sempre sollevato: veniva calato solo in circostanze eccezionali o in caso di alluvioni e di bren-tane particolarmente forti. Davanti alla bocaporta, la cui soglia era di rovere per evitare che l’acqua ne erodesse il fondo, si metteva un restèl (una specie di griglia dalle maglie molto ampie) fatto di travi di rovere da cm 20 x 20 squaradi (di sezione quadrata e lavo-rati a mano): in caso di brentana, serviva ad ammortizzare la forza dell’acqua e ad impedire che le piante, trascinate dalla corrente, entrassero nel canale con le immaginabili conseguenze”.Guerrino Rossa, residente a Seghe di Villa, il cui padre lavorò nelle segherie, riferisce: “Lungo i primi cento metri di quel canale, c’erano quattro porte laterali rivolte verso il torrente stesso, tutte provviste di un’intelaiatura avente il fuso in alto e le catene, per essere mano-vrate a seconda del bisogno. La prima, detta la sboradora, la più larga delle quattro, era molto vicina alla bocaporta: aprendola, si scaricavano nel Cordevole i sassi fatti rotolare fin là dalla corrente. Attraverso la seconda aper-tura si eliminava la ghiaia; sollevando le paratie della terza e della quarta, si rimuoveva la leda (il limo) e si regolava il flusso dell’acqua.

Si festeggia nei pressi della levàda

“Sull’ultima taia della menàda - continuava Maurizio De David - veniva attaccato un ramo di pez (abete rosso) e i menadàs facevano in modo che questa arrivasse alla levàda verso mezzogiorno per festeggiare, come da contratto, la fine dell’impegnativo lavoro. Lì, poco distante dall’imbocco della roggia, c’era un grande magaz-zino che, oltre a contenere tutto il legname usato per il restèl e a conservare in una stanzetta gli attrezzi, aveva una cucina dove alcune donne quel giorno cuocevano su una grande caliera (caldaia di rame) un’enorme polenta. I proprietari delle segherie o2rivano il pranzo a tutti i menadàs: polenta, formaggio, salame e vino in abbondanza, provvedendo nel contempo al loro pagamento. Infine i menadàs vendevano le aste degli andiér e dei sapìn (attrezzi simili alla zappa con punta in ferro stretta e adunca per movimentare i tronchi) che erano state ricavate da cime di larici cresciuti all’in-terno del bosco e per questo motivo molto sottili. Le ultime menàde avvennero verso il 1926-27.

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La paura per le piene e le alluvioni

Quando si scatenava la furia del Cordevole, gli operai delle segherie, anche di notte e sotto la pioggia battente, dovevano correre alla levàda per mettere in sicurezza la roia de le zate e, di conseguenza, le segherie, rischiando ogni volta la pelle. Così raccontava Rino Pasa: “In caso di piene o alluvioni, si calava giù il portàz della bocaporta per impedire che troppa acqua danneggiasse le opere del canale e le segherie poste a valle. Non era una cosa semplice! Si toglieva la putrella di ferro che bloccava il portàz in alto, si inseriva al suo posto un muràl (travicello di legno) sul quale un segantino, sicuro di sé e svelto a scappare, faceva col manarìn (ascia) due - tre tap (tacche): dopo pochi secondi il muràl si schiantava e la porta, così liberata, cadeva di colpo. Una volta stavamo lavorando, durante una piena, su alla bocaporta e l’acqua, dopo aver coperto tutto il portàz, che era stato calato, saltò addirittura al disopra di esso e noi facemmo appena in tempo a scappare. Arrivavano di quelle ondate da far paura! Se la brentana era particolarmente grande, dopo aver calato il portàz della bocaporta, bisognava aprire in fretta tutte e quattro le porte laterali, sollevandone le paratie, per scaricare più acqua possi-bile nel sottostante Cordevole: l’acqua arrivava con una velocità e una pressione talmente forti da portar via talvolta la passerella e anche qualche paratia”.

La levàda oggi

Nel 1966, anno della tremenda alluvione, il salto della levàda fu inte-ramente colmato dai sassi e dalla ghiaia, trasportati dalla furia delle acque, per cui il letto del Cordevole venne livellato, mentre le opere di presa all’imbocco del canale furono irreparabilmente danneg-giate, con interruzione definitiva del secolare flusso d’acqua. Oggi si può camminare sul suo mantèl (riportato in parte alla luce nel 2008) che, a prima vista, sembra uno strano sentiero rivestito di pietre; della roia de le zate sono rimasti solo i manufatti in cemento che ci consentono di identificare la bocaporta, le porte laterali e il tratto iniziale di quel canale artificiale.

Una parte in muratura del mantello della levàda riscoperto nel 2008

Ein Teil des Mantels von Mauerwerk Levada 2008 wiederentdeckt

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Die “levàda” war eine so bezeichnete Einrichtung (levare=heben), weil sie das Flussbett des Cordevole auf künstliche Weise min-destens drei Meter anhob, und somit ein Teil des Flusswassers gezwungenermaßen in einen künstlich errichteten Kanal, den man roia (roggia) nannte umleitete. Dieser befand sich auf dem linken Au2angbecken des Wildbachs, das für die Beförderung der Holzstämme zu den Sägewerken und für den Betrieb aller flussabwärts gelegenen Wasserwerke diente. Die erste (komplett aus Holz gefertigte) „levàda“ geht auf das Jahr 1719 zurück, und wurde im Laufe der Zeit mehrmals umgebaut und repariert: sie stand bis 1966, Jahr der schrecklichen Hochwasserkatastrophe in Betrieb. Das Gefälle der „levàda“ wurde komplett mit dem von der starken Wasserflut beförderten Geröll und Kies aufgefüllt, und das Flussbett des Wildbachs war daher geebnet. Die Schleusenarbeiten am Beginn des Kanals wurden definitiv zerstört und der jahrhun-dertelang genutzte Wasserlauf unterbrochen. Heute kann man auf dem „Scha%“ (der zum Teil im Jahre 2008 ausgegraben wurde), der auf den ersten Blick wie ein seltsamer mit Steinen bedeckter Pfad erscheint spazieren gehen; vom künstlich errichteten Wasserkanal (roggia) sind nur die Überreste der Zementbauten unter denen man das Haupttor, die seitlichen Tore und den ersten Abschnitt des künstlichen Wasserkanals erkennen kann erhalten geblieben.

La levàda nel 1947-48. In primo piano una famiglia da Seghe di Villa

La levàda im Jahre 1947-48 mit einer Familie aus Seghe di Villa im Vordergrund

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Le sementi antiche macinate nei muliniDie antiken in den Mühlen Gemahlenen Saatsorten

Stefano Sanson

Il mulino di Santa Libera viene oggi utilizzato per scopi didatti-co-educativi. Tra le attività più interessanti viene periodicamente riproposta la macinatura tradizionale di alcune varietà di sementi di un tempo, quale ad esempio il mais sponcio.La cosiddetta agro-biodiversità, ossia quell’insieme di antiche specie e varietà locali coltivate, frutto di un lento e continuo processo di adattamento localizzato ad opera dell’uomo e dell’am-biente, oggi è soggetta ad un grave rischio di erosione ed estinzione, soccombendo ad un insostenibile confronto rispetto agli ibridi moderni. Le antiche varietà così intimamente collegate al territorio, oltre che serbatoio di geni per i moderni processi di selezione, assu-mono oggi sempre più valenza culturale, didattica, paesaggistica, turistica, gastronomica e salutistica.Riferendosi in particolare al territorio dei Comuni di Santa Giustina Bellunese e di Sedico è interessante esaminare i dati pubblicati dall’Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia relativi al Catasto Agrario all’anno 1929. In questo dettagliato resoconto il Comune di Santa Giustina conferma la spiccata vocazione agricola che non smentisce la rilevante presenza di molini; il 36% della superficie agraria e forestale è destinata a seminativo semplice e arborato, con ben 405 ettari a mais, tra l’altro tutti consociati a fagiolo, 56 ettari a frumento senza altro riferimento ad altri cereali minori. Simile la situazione per il Comune di Sedico che sul totale della superficie, il 15,7% è investito a seminativo con 376 ettari a mais, di cui 180 consociati a fagiolo, 44 ettari a frumento e 4 ettari a orzo. Già in quegli anni le cosiddette biade grosse, mais e frumento tenero, rappresentano pressoché l’intero panorama agricolo, andato sempre più ad impoverirsi in agro-biodiversità, tanto che il mais, sul finire degli anni 50, assumerà una condizione di monocol-tura fino ai giorni nostri. I molini, di conseguenza, si specializzarono alla molitura di quell’unico cereale rimasto in zona. I criteri ispiratori

Itinerario realizzato in comune di Santa Giustina con individuazione del mulino di Santa Libera

Im Gemeindebezirk von Santa Giustina eingerichteter Wanderpfad mit Besichtigung der Mühle von Santa Libera

Ostello Altanon

Mulino di Santa Libera

fiume Piave

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Santa Giustina

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per l’attribuzione dei nomi alle varietà, si basavano su personali esperienze e interpretazioni, il più delle volte riferiti ad una carat-teristica morfologiche della pianta o del seme, alla località di coltivazione preceduto spesso dall’aggettivo nostrano o ancora al nome o soprannome di chi ha fornito la semente. È facile infatti incontrare stesse varietà, chiamate con nomi diversi, come anche varietà diverse con nomi uguali. Ogni paese, ogni frazione e ogni famiglia contadina, inoltre, attribuiva e applicava alle proprie varietà coltivate, personali principi di selezione. Nel XX secolo il mais inizia una nuova storia fatta di moderna agronomia e dove in maniera sintetica possiamo delineare due fasi temporali ben distinte. Fino agli anni sessanta un continuo processo di selezione partecipata a cura degli stessi agricoltori, volto alla creazione e miglioramento delle varietà locali partendo da germoplasma riprodotto liberamente, poi un incessante distacco culturale dalle sementi e un ricorso massiccio alle più promettenti, quanto avide, varietà ibride commerciali.Tutte le antiche varietà bellunesi sono infatti a impollinazione libera, ovvero capaci di generare individui simili tra loro, capaci di ripresentare le caratteristiche ottimali dei semi di partenza e reim-piegabili in semina, mentre le sementi commerciali ibride, per e2etto del fenomeno dell’eterosi, risultano essere molto produttive e esigenti, ma non più utilizzabili in semina, rendendo gli agricoltori dipendenti dal mercato. Gli anni sessanta sono, infatti, contraddi-stinti dalla cosiddetta Rivoluzione Verde e Agroindustriale, in cui si a2ermano i mais ibridi dentati americani adatti all’alimentazione del bestiame, supportati da una capillare opera di catechizzazione e promozione da parte degli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura e dai Consorzi Agrari, volta a promuovere una nuova maiscoltura finalizzata alla zootecnia, con lo sviluppo di moderne tecniche di coltivazione grazie all’apporto congiunto di chimica, meccanica e genetica. Saggiamente però fin dagli inizi del secolo scorso, su tutto il terri-torio nazionale si susseguono iniziative scientifiche di raccolta e conservazione delle principali antiche varietà tradizionali italiane di mais. In queste raccolte i nomi delle varietà che si ripetono e che ritroviamo nelle memorie degli agricoltori e mugnai intervistati,

Trebbiatura a Soranzen

Dreschen in Soranzen

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Essicazione tradizionale del mais nei poggioli

Traditionelle Trocknung der Maiskolben an den Balkongeländern

sono il citatissimo Fiorentino nelle varianti macchiato, grande, feltrino, l’odierno famoso Sponcio, l’Ungherese, il Bragantino, il Cinquantino e poi altri dai nomi più generici come Nostrano seguito dall’indicazione del Comune o frazione di prelievo. Tutte le varietà citate, oggi raccolte e disponibili in varie Banche del Germoplasma, in una logica di rinnovata positiva riscoperta della polenta tradizio-nale e in generale dell’attrattiva turistica dei prodotti agroalimentari tradizionali locali, si contraddistinguono rispetto ai moderni mais ibridi, per l’altissimo valore e potenziale gastronomico. Il colore aranciato e soprattutto il carattere di frattura vitrea della cariosside, ossia la compattezza e durezza dell’amido e dunque il peso etto-litrico elevato, sono la prerogativa per ottenere farine per polenta di assoluto valore qualitativo e rispondenti alle aspettative della locale tradizione alimentare.

Il Mais Fiorentin

Il mais Fiorentin è la varietà assai ricorrente sia nei riferimenti bibliografici, sia nelle testimonianze orali, dunque appare oltre che esclusiva del territorio bellunese, tra le più rinomate e tradizio-nali. L’etimologia di questo particolare nome è oggi sconosciuta, mentre più chiare sono le caratteristiche morfo-fisiologiche anche se riferite a una molteplicità di diverse tipologie. L’elevata variabilità riguarda soprattutto la forma della spiga e il peso della semente, mantenendo però integro quel prezioso carattere di frattura vitrea ed elevato peso ettolitrico della granella, che le rende partico-larmente pregiate per la produzione della farina per polenta. Le spighe sono per lo più cilindriche e allungate, talvolta leggermente coniche, le cariossidi di colore arancio vivo di piccole dimensioni e forma rotondeggiante e come per tutte le locali antiche varietà di mais ad impollinazione libera, il tutolo è di colore bianco. Fra le caratteristiche negative di questa varietà, che ne ha segnato per molti versi l’abbandono, è la scarsa vigoria della pianta che deter-mina seri problemi di stroncamento e allettamento, nonché rese produttive alquanto limitate.

Il Mais Cinquantin

Con il termine Cinquantin, talvolta anche Quarantin sono indicate

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Die Mühle von Santa Libera wird heute für didaktische Zwecke genutzt. Zu den interessantesten Aktivitäten gehört eine regel-mäßig veranstaltete Vorführung des traditionellen Mahlvorgangs einiger antiker Saatgutsorten wie zum Beispiel der Maissorte “sponcio”.Die sogenannte biologische Vielfalt in der Landwirtscha%, oder besser gesagt die Gesamtheit der antiken Sorten und der vor Ort angebauten Saatgüter, das Ergebnis eines minutiösen und konti-nuierlichen Anpassungsprozesses unter der gezielten Leitung des Menschen und der natürlichen Umgebung sind heutzutage von ihrem definitiven Aussterben gefährdet, weil sie der untragbaren Gegenüberstellung mit den modernen Kreuzungszüchtungen aus-gesetzt sind. Die antiken Saatgutsorten, die so eng mit dem Gebiet verbunden sind, dienen nicht nur als Genspeicher für die mo-dernen Ausleseverfahren sondern haben heutzutage auch immer mehr kulturelle, didaktische, landscha%liche, touristische, gastro-nomische und gesundheitliche Wertigkeit. Im Laufe des XX. Jahrhunderts begann der Mais eine neue Geschichte im Bereich der modernen Agronomie. Die sechziger Jahre charakterisierten sich durch die sogenannte Grüne und Agroindustrielle Revolution, während sich die amerikanischen gezackten Hybridmaissorten für die Viehzucht und die zootechni-schen Aktivitäten durchgesetzt haben. Klugerweise sind jedoch bereits seit Beginn des letzten Jahrhunderts auf dem gesamten Nationalgebiet wissenscha%liche Initiativen der Sammlung und Aufbewahrung der bedeutendsten antiken einheimischen Maissorten im Gang. In diesen Sammlungen finden wir folgende Sorten: vom o% erwähnten Fiorentino, über den berühmten Sponcio, bis zum Ungarischen, und dem Bragantino, über den Cinquantino bis hin zu allgemeineren Sorten wie dem Nostrano (Einheimischen) gefolgt von der Angabe des Gemeindebezirks oder des Ortsteils der Entnahmestelle.

le varietà caratterizzate da una evidente precocità di maturazione che rende possibile le semine ritardate in aree dalle condizioni climatiche particolari e dove è possibile la semina come secondo raccolto dopo il frumento o orzo. Tradizionalmente il nome è legato ai presunti cinquanta giorni che necessità per la sua maturazione, ma la realtà dimostra la necessità di un periodo ben più lungo. Alla pari del Fiorentin, si riscontrano più tipologie, anche molto disformi tra loro. Nella libera interpretazione di selezione nel passato è stato infatti probabilmente più volte incrociato con altre varietà e tra queste sembra con il pregiato Marano. È spesso ricordato dagli agricoltori e mugnai locali, che lo apprezzavano oltre che per la citata precocità, per la qualità della granella. Le piante sono gene-ralmente a taglia bassa, non proprio vigorose, spighe cilindriche, semi di colore arancio a forma arrotondata e di medie dimensioni. Le produzioni sono simili a quelle del Fiorentin.

Il Mais Sponcio

Lo Sponcio è l’antica varietà oggi più conosciuta, alla quale dal 1998 un locale progetto di valorizzazione le ha dato successo, elevandola da varietà a rischio di erosione genetica a qualificata risorsa impren-ditoriale oggi presente nelle tavole e nei menù delle famiglie e della ristorazione bellunese.La scelta di valorizzare questa varietà è motivata, oltre che dalla forma inconfondibile a rostro del seme che lo rende molto originale (da cui il nome dialettale sponcio, cioè che punge), dalle ottime caratteristiche vitree e dal colore arancio, tali da rendere farine per polenta di ottima qualità. Presenta semi di medie dimensioni e una spiga cilindrica con il caratteristico colore bianco del tutolo. La pianta è ben conformata con stocco abbastanza vigoroso. Rispetto alle varietà sopra descritte, nel territorio di Santa Giustina e Sedico, lo Sponcio è ricordato come varietà meno di2usa e più tradizionale delle aree del feltrino centrale e occidentale.

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Finito di stampare nel mese di aprile 2015presso Tipografia Piave S.r.l. Belluno