La dolce vita di William Klein

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Era il 1956, e il giovane “anti-fotografo” di New Yorkvenne invitato a Roma dal maestro Federico Fellini. Un articolo di Michele Smargiassi su La Domenica di Repubblica del 11 aprile 2010

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stato con il suo fascino stralunato, da Moravia(«una visione impressionante ma terribilmenteesatta») a Pasolini («ci voleva un newyorchese per-ché i romani si conoscessero a fondo») allo stessoFellini («Roma è unfilm, e Klein lo ha gira-to»). Ma forse solo oggiche Klein torna a Ro-ma, cinquant’anni do-po, invadendo i Mer-cati di Traiano con unamostra inevitabil-mente fuori dai cano-ni, forse solo ora quel-l’indigeribile libro-an-timonumento (ripub-blicato finalmente daContrasto, con succu-lenti inediti) può en-trare nello scaffale del-le memorie collettivedella città eterna, per-ché il tempo sa ricono-scere i classici dietroqualsiasi maschera.

Era il 1956 e Kleinnon aveva ancora trent’anni. Apolide intellettuale,ragazzo ebreo di famiglia ungherese nato nei quar-tieri bui di Manhattan e poi scappato a Parigi, pit-tore-arredatore-designer cresciuto alla scuola diLéger (il primo stipendio glielo dà una rivista italia-na, Domus), era inciampato nella fotografia du-

rante uno dei suoi ritorni a casa, riguardando laGrande Mela con gli occhi golosi ed estranei di unémigré intellettuale. L’unica cosa che sapeva di fo-tografia era che non voleva farla, ovvero non voleva

fare quelle foto che ve-deva sui rotocalchi, mavoleva «fare anti-foto, oalmeno anti-belle-fo-to». Diceva: «I pittori sisono liberati delle re-gole, perché i fotografino?». E allora maltrattòla sua Leica M fino a far-la urlare, costringen-dola ad atti iconici con-tro natura: sgranati,sfocati, mossi, fuori-quadro, sbilenchi.Quel libro che riuscì aricavarne, col suo titoloincomprensibile (LifeIs Good & Good for Youin New York: TranceWitness Revels), fu unagranata esplosa nelcuore del mainstream

fotografico del dopoguerra. Una strage senza su-perstiti. In un colpo solo, Klein assassinò l’umane-simo fotografico modernista con tutti i suoi miti (l’i-stante decisivo, la composizione perfetta, il lin-guaggio universale) che proprio allora stava cele-brando il suo trionfo internazionale con la più cele-

Quandoquel «gran vitellone, falso, bido-nista, masochista, affascinante, scal-tro, capobanda, astuto come un salu-miere napoletano, che odora tutto, as-sorbe tutto, imbroglia tutti, che fa truc-chi, che si trascina dietro il suo esercito

assurdo ed equivoco di fannulloni, puttane, pro-duttori, starlet, magnaccia, assistenti, vecchi amici,giornalisti svedesi, esegeti ecc.», insomma quandoFederico Fellini in persona gli chiese di raggiunger-lo a Roma per diventare il suo assistente sul set di Lenotti di Cabiria, cosa poteva mai fare il giovane Wil-liam Klein, fotografo acerbo, ambizioso e irrequie-to, all’inizio di una luminosa carriera? Lasciò tutto epartì di corsa, come un apostolo chiamato da Cri-sto. Poi a Roma tutto finì fellinianamente, i soldi pergirare non c’erano, i produttori sparirono, le ripre-se furono rinviate, il giovanotto Klein si trovò disoc-cupato in pieno caput mundi e s’arrangiò a suo mo-do, bighellonando, fotografando, inventandosiqualche servizio per Vogue, paparazzando per stra-da, facendosi venire in mente che forse poteva ri-petere lì, fra rovine classiche e rovine moderne, ilmiracolo del suo libro su New York, il libro dopo ilquale la fotografia nel mondo non fu più la stessa.

E così fu Roma: ritratto superbo, innamorato, ir-riverente, dadaista e surreale di una città, conden-sato delle sue glorie grandi e infime, «da Cesare alTotocalcio», il libro davanti a cui si levarono il cap-pello tutti gli amici romani che Klein aveva conqui-

bre mostra della storia dell’obiettivo, The Family ofMan. Dopo Klein, non si riebbe più.

Persino lui pensò di essersi fatto terra bruciata at-torno. Di aver detto l’ultima parola su e con la foto-grafia, di essersi definitivamente «sbronzato di fo-tografia». Voleva dedicarsi solo al cinema (ci riu-scirà in effetti, ma solo una decina d’anni dopo). Fel-lini era di passaggio a Parigi: riuscì a incontrarlo. Gliportò in dono una copia di New York. Il maestro losbalordì: «Ce l’ho già, la tengo sul comodino. Perchénon vieni a Roma a farmi da assistente?». Era gene-roso di inviti, il signore di Amarcord, un po’ meno diprebende. Giornate intere nell’«atmosfera da bou-doir soffocante» in cui il regista romagnolo teneva isuoi annoiati esilaranti casting, «le puttane veniva-no a presentarsi a Fellini munite di fotografie tuttescattate quindici anni fa, più curate le starlet di qua-rant’anni, spaccone per strada, timide con Fellini».Risate, pacche sul sedere, pochi soldi in giro.

Ma a Klein andava bene così. Fuori c’era Roma, ecos’era Roma nel ’59 ce lo possiamo immaginare.Dolce vita, Cinecittà, paparazzi, star internaziona-li, via Veneto; e sullo sfondo, quel che all’occhio ma-nierista del giovane William piaceva di più, le rovi-ne di una classicità smandrappata e le pompe dibenzina, i pescivendoli e gli onorevoli, i prelati e iborgatari, la cappa clericale, la caciara nelle strade,il ronzio delle Vespe, la «ghost town» mussolinianadell’Eur, i bizantini cerimoniali dell’apogeo demo-cristiano. Quel che a Pasolini suonava rivoltante,per l’anti-ideologico Klein era una cornucopia di te-sori, un cesto di perline spaiate con cui costruire col-

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 11 APRILE 2010

l’immagineVizi capitali

Era il 1956, e il giovane “anti-fotografo” di New Yorkvenne invitato a Roma dal maestro Federico FelliniAd attenderlo né gloria né soldi, ma strade chiassose abitate da rovineimperiali e pompe di benzina, pescivendoli e onorevoliUn caos metropolitano che oggi rivive in una grande mostra allestitain quel cuore della città eterna che sono i Mercati di Traiano

PIAZZA SAN PIETROUna folla di fedeli radunata in piazza San Pietro per vedere il papa

La dolce vita di William Klein

MICHELE SMARGIASSI

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IL LIBRO E LA MOSTRA

Contrasto pubblica una nuova edizionedi William Klein Roma (due volumi,184 più 48 pagine, 90 illustrazioni, 69 euro)

È il diario visivo del soggiornoromano di William Klein, chearrivò nella capitale nel 1956per collaborare come aiutoregista di Fellini sul setdel film Le notti di CabiriaLa raccolta di fotoè accompagnata da testi

dello stesso Klein e da citazioni d’autoreSessanta scatti del fotografo sarannoesposti da mercoledì 14 aprile al 25 luglioa Roma, ai Mercati di Traiano, nella mostraWilliam Klein Roma Fotografie 1956-1960

Repubblica Nazionale

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lane spettacolari. Riagguantò la Leica e scattò comeun matto. Per campare, s’inventò qualche serviziodi «moda ambientata» da vendere a Vogue, spac-ciando mascherate con amici e modelle per presti-giosi inviti a feste di aristocratici romani dai nomiimprobabili, «Marchese de’ Campari Soda» o «Ba-rone del Bollito Misto». Per inciso, l’antimodestoKlein ritiene una delle foto prese allora per Vogue inpiazza di Spagna, con gli abiti optical delle modelleche richiamano le strisce pedonali, «una delle piùbelle fotografie di moda mai realizzate». «Ha un oc-chio che sembra un coltello, crudele, scandalosoma non cattivo», lo ammirava Sophia Loren a cui ca-pitò di incrociarlo, «sono sicuro che è segretamen-te innamorato della nostra pazza Roma».

Ma certo che lo era. A modo suo, ovviamente. Co-me Nerone amava la stessa città cantandone l’in-cendio. Sfogliare ora il suo Roma (più riuscito deisuccessivi Tokyo e Mosca) è come tuffarsi nel cata-logo di un caos, in un labirinto di immagini lontaneda qualsiasi ordinata messa in forma: ma c’è del me-todo in quella follia. Bisogna leggere Klein per sco-prirlo, non basta guardarlo. Perché oltre al Klein ar-tista, al Klein fotografo, al Klein aspirante regista,Roma svelò un quarto Klein, lo scrittore, o megliol’assemblatore di scritture, il collagista di ritagli eframmenti che mescola avanguardie europee eamericane, beat e dada. Le lunghe didascalie dellesue foto, raccolte ora in un volume a parte, sono unpatchwork di citazioni (Leopardi Pasolini Belli Mi-chelet Stendhal Goethe...) mescolate ad appuntifolgoranti, dove traduce in parole quell’estetica del

disordine organizzato che chiamò «foto-automa-tografia della strada». I suoi ritratti verbali di perso-naggi famosi, ottenuti per accumulazione di detta-gli, rivaleggiano con i suoi stessi scatti. Qualcheesempio? Mario Soldati: «Scrittore, regista, buon-gustaio, vivace, spiritoso, ha letto i classici, esibizio-nista, vorrebbe fare l’attore, somiglia vagamente aGroucho Marx». Alberto Moravia: «Habitué dellecliniche, osserva clinicamente i suoi personaggi,annoiato, infelice, le mani legate, sinistro, Moraviascruta questa vita ingrata». Cesare Zavattini: «Scrit-tore, umorista, furbo, buono, coraggioso, impetuo-so, sentimentale, molto impegnato, pieno di ener-gia e di idee buone o cattive, capisce tutto, ha vistotutto».

A ottantadue anni, William Klein è oggi un grade-vole, sornione americano a Parigi, che dopo la lun-ga e anch’essa molto eccentrica parentesi cinema-tografica è tornato alla fotografia. Ma anche quandoil Centre Pompidou, cinque anni fa, gli dedicò unomaggio degno di un maestro del Novecento, nonresistette alla tentazione di evadere da qualsiasi cor-nice, e riempì il salone centrale con gigantografie deisuoi vecchi negativi massacrati a pennarello rosso.Anche il suo ritorno romano sarà tutt’altro cheun’imbalsamazione. Volteggianti in mezzo alle ro-vine imperiali, le sue fotografie faranno di nuovocozzare fra loro «tutte le Rome che ho conosciuto»:quella classica, quella felliniana, quella indefinibiledi oggi, e per l’ennesima volta Klein sarà l’irridente,sapiente, ironico poeta del caos metropolitano.

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LA COLLINA DELLE TRE FONTANE“Compiute le devozioni, ingoiato il cibo, si riposano: stesi, seduti o con la testa ciondoloni”

DOPO LA SFILATA“La sfilata è finita. Gli spettatori si arrampicano sulla scalinata guidati da un ufficiale borioso”

LE GIOVANI DONNE“Le ragazze sono tenute chiuse; per questo cercano di uscire”

PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO“Il più antico palazzo dei papi, la Scala Santa... ed è qui dove ha luogo il meeting dei comunisti”

LO SCOOTER“Ha permesso alla gioventù di farsi smaliziata,alla morale di evolversi, all’amore di esprimersiÈ la più grande rivoluzione dei costumi...”

MODELLE IN PIAZZA DI SPAGNA“Gli uomini iniziarono subito a pensareche queste ragazze fossero prostitute impazzitee si avvicinarono, cercando di palpare il culo”

‘‘StendhalMa nel 1515, la borghesia e il popolinocredevano fermamente ai miracoli:ogni villaggio aveva i suoi e c’era bisognodi rinnovarli ogni otto o dieci anni

‘‘Giuseppe Gioachino BelliChi popolo po’ esse, e chi sovrano,che ciàbbi a casa sua ’na cuppolettacom’er nostroSan Pietr’ in Vaticano?

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