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La difficile modernizzazione Stato, contadini e ricercatori sociali nella Polonia socialista di Paolo Pezzino Esiste nella Polonia contemporanea una classe contadina con caratteri di omogeneità e di coesione sociale e politica? Il sorgere nel 1980-81 di un movimento contadino autono- mo ed autogestito all’interno di Solidarnosc ha riproposto questo tema, dato che alcuni studiosi polacchi l’hanno interpretato come la riprova della presenza di uno strato sociale unitario, dotato di memoria storica collettiva e di una propria identità, espressione di un’opposizione generalizzata e globale nei confronti dello Stato socialista. Si deve quindi affermare che la politica agraria della Repubblica popolare polacca, con i suoi ripetuti tentativi di liquidare l’agri- coltura privata a favore del settore socializ- zato, ha avuto l’effetto, contraddittorio ri- spetto al fine ricercato, di rinsaldare la com- pattezza dei contadini? O, viceversa, dobbia- mo sostenere la tesi prevalente nella sociolo- gia polacca degli anni sessanta e settanta, se- condo la quale il paese ha attraversato, nel secondo dopoguerra, una serie di trasforma- zioni (industrializzazione - urbanizzazione - integrazione nelle strutture politico-ammini- strative dello Stato) che hanno definitiva- mente risolto la questione agraria, intesa co- me questione contadina, eliminando l’isola- mento dei singoli villaggi, trasformando la famiglia contadina in struttura aperta, of- frendo possibilità di impiego in settori extra- agricoli, coinvolgendo le aziende individuali nella gestione socializzata dell’economia, in altre parole modernizzando le campagne e sostituendo ai “contadini” uno strato di far- mers orientato verso la produzione mecca- nizzata di beni di consumo alimentare? Queste sono le domande alle quali cerche- rò di rispondere in questo saggio, basandomi principalmente sulle indagini sociologiche condotte nelle campagne soprattutto negli anni sessanta. Analizzerò, anzitutto, i carat- teri generali della scuola di sociologia rurale polacca; cercherò di delineare, quindi, sulla base dei dati disponibili, le caratteristiche del processo di modernizzazione in atto nel se- condo dopoguerra, ed il suo impatto sulle strutture “tradizionali” della società contadi- na; ritornerò brevemente, infine, sul proble- ma della persistenza dei contadini come clas- se e sul significato da attribuire al loro movi- mento politico dell’inizio degli anni ottanta. La scuola sociologica polacca La sociologia rurale polacca si delinea come scienza autonoma negli anni venti e trenta del Novecento1, ma sui temi della questione agraria e contadina già nell’Ottocento ven- 1 Vedi B. Galeri, Rural Sociology in Poland, in B. Galeri (ed.), Rural Sociology in Poland, Warszawa, IFIS- PAN, 1976, pp. 7-45, e Z.T. Wierzbicki, Half a century of rural sociology in Poland, ivi, pp. 47-76. È negli anni trenta che vengono fondati i principali istituti di indagine socio-economica sulle campagne. Italia contemporanea”, giugno 1985, n. 159.

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La difficile modernizzazioneStato, contadini e ricercatori sociali nella Polonia socialista

di Paolo Pezzino

Esiste nella Polonia contemporanea una classe contadina con caratteri di omogeneità e di coesione sociale e politica? Il sorgere nel 1980-81 di un movimento contadino autono­mo ed autogestito all’interno di Solidarnosc ha riproposto questo tema, dato che alcuni studiosi polacchi l’hanno interpretato come la riprova della presenza di uno strato sociale unitario, dotato di memoria storica collettiva e di una propria identità, espressione di un’opposizione generalizzata e globale nei confronti dello Stato socialista.

Si deve quindi affermare che la politica agraria della Repubblica popolare polacca, con i suoi ripetuti tentativi di liquidare l’agri­coltura privata a favore del settore socializ­zato, ha avuto l’effetto, contraddittorio ri­spetto al fine ricercato, di rinsaldare la com­pattezza dei contadini? O, viceversa, dobbia­mo sostenere la tesi prevalente nella sociolo­gia polacca degli anni sessanta e settanta, se­condo la quale il paese ha attraversato, nel secondo dopoguerra, una serie di trasforma­zioni (industrializzazione - urbanizzazione - integrazione nelle strutture politico-ammini­strative dello Stato) che hanno definitiva­mente risolto la questione agraria, intesa co­me questione contadina, eliminando l’isola­mento dei singoli villaggi, trasformando la famiglia contadina in struttura aperta, of­

frendo possibilità di impiego in settori extra­agricoli, coinvolgendo le aziende individuali nella gestione socializzata dell’economia, in altre parole modernizzando le campagne e sostituendo ai “contadini” uno strato di far­mers orientato verso la produzione mecca­nizzata di beni di consumo alimentare?

Queste sono le domande alle quali cerche­rò di rispondere in questo saggio, basandomi principalmente sulle indagini sociologiche condotte nelle campagne soprattutto negli anni sessanta. Analizzerò, anzitutto, i carat­teri generali della scuola di sociologia rurale polacca; cercherò di delineare, quindi, sulla base dei dati disponibili, le caratteristiche del processo di modernizzazione in atto nel se­condo dopoguerra, ed il suo impatto sulle strutture “tradizionali” della società contadi­na; ritornerò brevemente, infine, sul proble­ma della persistenza dei contadini come clas­se e sul significato da attribuire al loro movi­mento politico dell’inizio degli anni ottanta.

La scuola sociologica polacca

La sociologia rurale polacca si delinea come scienza autonoma negli anni venti e trenta del Novecento1, ma sui temi della questione agraria e contadina già nell’Ottocento ven-

1 Vedi B. G aler i, Rural Sociology in Poland, in B. G aleri (ed.), Rural Sociology in Poland, Warszawa, IFIS- PAN, 1976, pp. 7-45, e Z.T. Wierzbicki, Half a century o f rural sociology in Poland, ivi, pp. 47-76. È negli anni trenta che vengono fondati i principali istituti di indagine socio-economica sulle campagne.

Italia contemporanea”, giugno 1985, n. 159.

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gono pubblicate opere di economisti, storici ed etnologi di grande importanza per gli svi­luppi successivi della sociologia rurale. No­nostante gli ostacoli frapposti dagli Stati oc­cupanti ad un’autonoma attività di ricerca, soprattutto nella zona soggetta alla Russia, la questione nazionale diventa uno dei temi prevalenti negli studi degli scienziati sociali e, al suo interno, particolare attenzione vie­ne dedicata alla questione contadina, che comprende un ventaglio di temi, dall’aboli­zione del servaggio alle relazioni tra proprie­tari e contadini dopo l’affrancamento (rifor­ma agraria)2, al coinvolgimento delle masse contadine nella lotta per l’indipendenza na­zionale3.

A seguito di questa fondamentale esigenza politica, si sviluppa una serie di studi di ca­

rattere socio-economico e, anche sotto l’in­fluenza dell’ideologia populista, si rintrac­ciano nei caratteri della cultura contadina i dati di autenticità nazionale e di salvaguar­dia dei valori “polacchi” nel periodo della spartizione della patria comune4. La sociolo­gia rurale è perciò fortemente condizionata dagli studi etnografici su tradizioni e stili di vita nelle campagne5, ma, fin dai suoi inizi, si enuclea un filone di studi sulla struttura agraria, in relazione all’esigenza di favorire il sorgere di una middle class contadina, for­te economicamente ed imbevuta di spirito patriottico6; si delineano così due scuole di pensiero e di ricerca nell’approccio ai pro­blemi delle campagne, che sono emblemati­camente rappresentate dalle monografie sui villaggi7 e dalle ricerche di economia azien-

2 Secondo Kwasniewicz la questione contadina nella prima metà dell’Ottocento consiste soprattutto nel problema dell’affrancamento, mentre successivamente sono i temi delle relazioni fra proprietari e contadini, della sovrappopo­lazione agricola e della fame di terra a balzare in primo piano (W. Kwasniewicz, Rural areas and the process o f insti­tutionalization in Poland, paper, presentato al XII European congress o f rural sociology, Budapest, 24-29 luglio 1983).3 “The agrarian question became therefore the key problem in all Polish uprisings; it determined the attitude of all social groups and political factions and has tened the introduction o f reforms by the propertied classes and by the go­vernments o f the partitioning Powers” (S. Kieniewicz (ed.), History o f Poland, Warszawa, PWN, 1979, p. 338). E Thomas e Znaniecki scrivevano subito dopo la prima guerra mondiale; “la situazione nazionale richiedeva urgente­mente una rapida trasformazione della classe contadina in un corpo dotato di coscienza nazionale e culturalmente costruttivo [...] e infatti in nessun altro paese la nobiltà e la classe intellettuale cittadina hanno rivelato altrettanto in­teresse attivo all’organizzazione dei contadini come in Polonia negli ultimi cinquant’anni” (W.I. Thomas, F. Zna­niecki, Il contadino polacco in Europa e in America, trad, it., Milano, Comunità, vol. II, p. 147).4 Sull’influenza del populismo sulle organizzazioni contadine di vedano D. Galaj, The Polish peasant movement in politics: 1895-1969, in H. A. Landsberger (ed.), Rural protest: peasant movements and social change, London, Mac­millan, 1974, pp. 324-325; S. Kieniewcz (ed.), History o f Poland, cit., p. 485; G.D. Jackson, Peasant political move­ments in Eastern Europe, in H .A . Landsberger (ed.), Rural protest, cit., p. 283 e sgg., fornisce un buon quadro com­parativo sulla diffusione dell’ideologia populista fra i movimenti politici dell’Europa orientale. Per quanto riguarda la Polonia, l’ideologia populista rafforza l’idea che « Polish national identity (is) in the caracter of the Polish peasant [...] and national regeneration only in a program that focused first on the regeneration of the peasantry” (ivi, p. 296).5 Si veda A. Kloskowska, The cultural anthropology approach in Polish sociology: past and present, in Actes du X Ie Congrès International d ’Histoire des sciences, Wroclaw, Ossolineum, 1968, p. 303 e sgg.6 Scrivevano Thomas e Znaniecki: “Organizzando socialmente e unificando gli interessi economici dei contadini me­diante un sistema di istituzioni cooperative sarebbe possibile creare un vasto e coerente corpo sociale, la cui enorme energia economica e psicologica potrebbe essere rivolta a scopi di difesa e di espansione nazionale. I contadini diven­terebbero così il fondamento sociale dell’unità nazionale, come la nobiltà ne è stata in passato il fondamento politi- co”(W.I. Thomas-F. Znaniecki, Il contadino polacco, cit., vol. II, p. 248).7 II metodo delle monografie di villaggio trovò il suo più significativo cultore in F. Bujak (1875-1953), professore al­l’Università Jagellonica di Cracovia; è lui che realizza il passaggio delle monografie prevalentemente etnografiche diffuse nella seconda metà dell’Ottocento a quelle integrali (vedi J . Turowski, Monografie approach in rural sociolo­gy, in “Village and Agriculture”, 1980, p. 126 e sgg.

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dale8. I due filoni, tuttavia, spesso si fondo­no nell’opera di singoli studiosi: così, ad esempio, Bujak elaborò uno schema per orien­tare e sistematizzare le numerose monografie di villaggio, attraverso il quale cercava di passare dalla tipicità dei casi studiati ad una descrizione analitica del retroterra economi­co regionale9, mentre Krzywicki, il principale esponente della scuola economica orientata vero il marxismo, non disdegnava il ricorso al metodo monografico.

Ai primi del Novecento escono alcune fon­damentali opere generali sulla questione con­tadina, ma è solo col raggiungimento dell’in­dipendenza nazionale che si apre il periodo di impetuoso sviluppo degli studi di sociolo­gia rurale: lo Stato polacco, infatti, si ritrova con una questione agraria irrisolta ed una forte componente politica espressione delle campagne, rappresentata dai vari partiti con­tadini. Il dibattito sulla riforma agraria, per­ciò, attraversa praticamente tutta la storia della Repubblica polacca; d’altra parte i con­tadini rappresentano un elemento fonda- mentale, sia per il reclutamento nell’esercito nazionale, impegnato nella guerra contro la Russia, sia ai fini della politica di colonizza­zione nelle zone e prevalente etnia non po­lacca.

Rispetto alle principali tendenze metodo- logiche del periodo precedente, che pure con­tinuano a produrre numerosi studi, compare un nuovo filone di ricerca, forse il contributo

più originale della sociologia rurale polacca, e cioè la raccolta e lo studio delle memorie contadine. Il metodo era stato sperimentato tra i primi dall’americano Thomas e dal po­lacco Znaniecki nella loro opera sul contadi­no polacco10, e fu successivamente perfezio­nato dal secondo, ritornato in Polonia e tito­lare, dal 1920, della cattedra di sociologia presso l’Università di Poznan, e dal suo allie­vo principale, Chalasinski.

Il problema dell’influenza di Znaniecki sulla sociologia polacca è, tuttavia, comples­so: l’opera sul contadino polacco era poco conosciuta in Polonia, ed è stata tradotta so­lo nel 1976. Tuttavia il metodo dell’utiliz­zazione dei documenti personali ha avuto un’ampia diffusione, evolvendosi, sotto la sua guida, dalla raccolta di lettere a quella di memorie, la cui stesura veniva promossa bandendo appositi concorsi. Il primo, an­nunciato da Znaniecki nel 1921, concerneva autobiografie di lavoratori; ad esso risposero 149 persone, e le biografie più significative furono pubblicate, nel 1924 e nel 1930, nei primi due volumi della serie dei “Materiali” dell’Istituto di Sociologia di Poznan11.

L’importanza del contributo teorico di Znaniecki risiede soprattutto nella sua teoria del “coefficiente umanistico” , cioè nel ruolo assegnato all’esperienza e alla coscienza del­l’individuo nei processi evolutivi della socie­tà: « That property of cultural phenomena, objects of a humanistic study, that essential-

8 II principale esponente della scuola economica, orientata verso il marxismo, fu L. Krzywicki (1859-1941), studioso di economia, demografia, antropologia e sociologia, e direttore dell’Istituto di economia sociale di Varsavia.9 Analogo tentativo fu successivamente fatto da W. Grabski (1873-1938), che sviluppò la sua attività di studio­so nella zona occupata dalla Russia e, dopo l’indipendenza, fu per due volte primo ministro, nel 1920 e nel 1923- 25.10 L’opera, la cui traduzione italiana abbiamo già più volte citato, fu pubblicata a Chicago-Boston nel 1918-1920 e edita nuovamentee a New York nel 1927. In America il metodo introdotto dai due autori declinò, sia per le critiche sull’utilizzazione e la procedura di raccolta dei materiali usati, rivolte negli anni trenta da Dollard, Blumer ed altri, sia per l’accusa di soggettivismo, ed è stato ripreso solo negli anni settanta in studi sull’educazione e la mobilità so­ciale (W.W. Adamski, Memoir-based sociology: between intuition and quantification, in “Sisyphus. Sociological Studies” vol. II, 1982, p. 101 e sgg).11 Z. Dulczewski, Florian Znaniecki as the originator o f the autobiographical method in sociology, in “Sisyphus. Sociological Studies”, vol. II, 1982, pp. 75-86.

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property of theirs that as objects of theoreti­cal reflection they are already objects given to someone in his experience or are someo­ne’s conscious actions, might be termed the humanistic co-efficient of those phenome­na”12. Ciò portava a centrare l’attenzione sui rapporti tra l’individuo e “those groups with which he is connected by primary group rela­tions”13.

Vengono così raccolte sistematicamente le memorie contadine con competizioni e con­corsi, e si approfondisce, tramite questi ma­teriali, la definizione del mondo contadino come insieme omogeneo di relazioni sociali centrate sul villaggio e la famiglia, fondato su autonomi codici culturali che rappresenta­no anche criteri di stratificazione sociale.

Proseguono contemporaneamente gli stu­di sulla struttura aziendale e le basi economi­che dell’economia contadina, collegati alle discussioni in atto sulla struttura agraria otti­male per la Polonia14: in queste il contadino veniva definito soprattutto attraverso il suo rapporto con il mercato del lavoro ed in rela­zione alla quantità di terra posseduta, trami­te cioè parametri riferiti alla struttura dei rapporti economici e di produzione. La crisi degli anni trenta e l’interruzione dell’emigra­zione all’estero rendevano particolarmente acuto il problema della disoccupazione agri­cola ed accentuavano l’attenzione per le ana­lisi economico-strutturali.

Le due scuole differiscono non solo nel metodo (del resto entrambe utilizzano ele­menti degli studi dell’altro tipo)15, quanto

nell’esito finale cui pervengono, in relazione a quelli che vengono individuati come ele­menti costitutivi della società contadina: nel­la prima il contadino è definito nel suo rap­porto con un insieme di reticoli sociali, strut­turati nel villaggio ed articolati intorno alla famiglia, che delimitano la sua cultura e de­terminano quelle caratteristiche di separatez­za e chiusura agli influssi esterni che gli sono proprie, mentre nella seconda, influenzata dal marxismo, è il rapporto col mercato capi­talistico (e quindi l’apertura della società contadina ai processi di sviluppo delle forze produttive che, seppure contraddittoriamen­te, attraversano la Polonia con più intensità a partire dalla seconda metà del XIX secolo) a fornire le coordinate generali della questio­ne agraria: sovrappopolazione, disoccupa­zione, fame di terra, stratificazione interna al settore agricolo provocata dal possesso dei mezzi di produzione. Il metodo delle memo­rie, così come è utilizzato all’interno di que­sto quadro di riferimento, cessa di essere fi­nalizzato ad un’analisi tipologico-funzionale delle relazioni tra gli elementi presi in consi­derazione, per divenire fonte atta a costruire un quadro statistico, in cui conta più il crite­rio della rappresentatività del campione che quello della “intuitive typological reconstru­ction”16. Ma nella versione di Krzywycki si perde quella costruzione teorica, basata sul coefficiente umanistico di Znaniecki, che rappresentava la chiave di volta della sua opera di raccoglitore di memorie: “For Krzy- wicki, the autobiographies or letters were not

12 F. Znaniecki, The importance o f memoirs for sociological studies, articolo del 1923, ora in ’’Sisyphus. Sociologi­cal Studies”, vol. II, 1982, p. 10.13 Z. Dulczewski, Florian Znaniecki, cit., p. 80.14 II dibattito si sviluppa soprattutto negli anni trenta, in seguito alle discussioni sulla riforma agraria e la disoccupa­zione agricola: si veda M. Carbone, La questione agraria in Polonia (1918-1939), Napoli, Giannini, 1976, p. 206 e sgg.15 II metodo delle memorie fu utilizzato anche da Krzywicki e la sua scuola, non tanto per costruire tipologie sociali, quanto come supporto alle ricerche sui fattori economici e strutturali della crisi nelle campagne (W.W. Adamski, Memoir-based sociology, cit., p. 105 e sgg.).16 W.W. Adamski, Memoir-based sociology, cit., p. 113.

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the description of certain independent con­scious processes, but rather a source of in­formation about actual events in the au­thors’ lives... That is why Krzywicki’s me­thod was more acceptable for Marxists than was the method of Znaniecki”17.

Dopo la seconda guerra mondiale i termini della questione contadina cambiano radical­mente: lo spostamento delle frontiere rispet­to al periodo interbellico e le migrazioni for­zose dei polacchi da est e dei tedeschi dalle terre occidentali del nuovo Stato eliminano la composizione multietnica, caratteristica della società prebellica18; la riforma agraria liquida la grande proprietà fondiaria e crea una struttura basata principalmente sulla piccola proprietà contadina. Proprio questo dato costituisce il nucleo della questione agraria nella Repubblica popolare polacca: da una parte, infatti, una simile struttura agraria doveva essere inquadrata nella ge­stione socialista dell’intero apparato econo­mico, oltre che neutralizzata nei suoi perico­losi riflessi politici, dall’altra doveva essere messa in grado di rispondere alle domande

generali che le venivano rivolte per il riforni­mento del mercato interno, ed ai compiti specifici assegnatele all’interno dei vari piani economici nelle differenti fasi dello sviluppo postbellico. Si tratta di due questioni che continuamente si accavallano, e per le quali sono state ricercate e sperimentate soluzioni diverse, a seconda degli orientamenti preva­lenti nella politica economica.

In tale situazione la sociologia polacca è ri­masta strettamente subordinata alle esigenze politiche di intervento nelle campagne diven­tando essa stessa uno degli strumenti di tale intervento, del quale predisponeva il quadro di riferimento scientifico ed influenzava in grado rilevante le scelte19. La subalternità è stata ovviamente massima nel periodo della collettivizzazione, quando le ricerche con­dotte erano esclusivamente rivolte ad eviden­ziare la presenza di una struttura di classe nelle campagne, tale da giustificare l’azione di collettivizzazione e la lotta contro i kulaki20. Tuttavia anche in quegli anni fu conservato un certo margine di autonomia di ricerca, che si evidenziò in esiti non previsti e

17 Z.T. Wierzbicki, Half a century o f rural sociology, cit., p. 53. Tra le due guerre furono tenute 17 competizioni per memorie scritte. Il metodo suscitò anche le riserve di Grabski, che in uno scritto del 1936, commentando la pubblica­zione di una serie di memorie di contadini, notava come queste non offrissero un quadro “oggettivo” della stratifica­zione sociale delle campagne, ma ne rendessero l’immagine che gli organizzatori del concorso volevano evidenziare, indirizzando in tal senso, tramite il modo stesso in cui era compilato il bando, le memorie dei partecipanti al concor­so (W. Grabski, Memoirs o f peasants and the social milieu o f the Polish rural areas, ristampato in ’’Sisyphus. Socio­logical Studies” vol. II, 1982, pp. 17-24).18 Nel 1921 i cittadini della Repubblica polacca appartenenti a minoranze nazionali ammontavano al 31 per cento della popolazione (soprattutto ucraini, ruteni, bielorussi e tedeschi), e gli ebrei a circa il 3 per cento; nel secondo dopoguerra, dopo lo spostamento di confini e le migrazioni di massa conseguenti, il 98 per cento del­la popolazione del nuovo stato era di nazionalità polacca (S. Kieniewicz ed., History o f Poland, cit., pp. 555 e 608).19 Negli anni della collettivizzazione la sociologia rurale era stata ufficialmente bandita; è solo nel 1957 che fu ria­perto l’Istituto di economia sociale e ricomparve la “Rassegna di sociologia”, fondata nel 1930 da Znaniecki. Nel 1961 fu creato il Gruppo di sociologia rurale dell’Istituto di filosofia e sociologia dell’Accademia polacca delle scien­ze (IFIS-PAN). Nel 1967 le cattedre universitarie di sociologia rurale erano sedici (Z.T. Wierzbicki, Half a century, cit., pp. 54-56).20 A tal fine era stato creato presso la sezione agricola del Comitato centrale del PZPR (Partito operaio unificato po­lacco) un Gruppo per lo studio della struttura sociale nelle campagne, finanzianto dal ministero di Agricoltura, diret­to da J. Tepicht, che condusse nel 1947-48 una prima indagine campionaria su 120 villaggi. Il Gruppo costituì nel 1950 l’Istituto di economia agraria, che proseguì, sempre sotto la direzione di Tepicht, le ricerche sui villaggi campio­ni, la seconda delle quali fu effettuata nel 1952 (si veda J.C. Szurek, Aux origines paysannes de la crise polonaise, Le Paradou, Actes Sud, 1982, cap. 4° e p. 120 e sgg.).

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contraddittori con le aspettative politiche, grazie anche ad una continuità metodologica con gli studi del periodo prebellico, e al man­tenimento dei tradizionali campi di ricerca. Così studiando la stratificazione interna al settore contadino secondo canoni rigorosa­mente marxisti-leninisti per individuare lo strato di contadini ricchi che rappresentava il principale bersaglio politico di quegli anni, si arrivò invece ad evidenziare la realtà del di­vario regionale della struttura agraria21 e la presenza diffusa di una figura, quella del- l’operaio-contadino, difficilmente inquadra­bile in quei canoni. E ancora, negli anni cin­quanta e sessanta, si sottolineava ossessiva­mente il processo di modernizzazione delle campagne22, evidenziando la disgregazione del tradizionale mondo contadino a seguito dell’azione statale e sostenendo la tesi della scomparsa dei “contadini”, funzionale al ri­fiuto di considerarne realisticamente la pre­senza sociale ed il peso politico anche nella Polonia socialista, ma contemporaneamente venivano portate avanti indagini monografi­che23 e campionarie che restano fondamenta­

li per una esatta comprensione dei processi sociali in atto nelle campagne. Infine tra anni sessanta ed inizio degli anni settanta, si ap­profondì lo studio dei processi di differenzia­zione tra agricoltori individuali, non più per sostenere una nuova campagna contro le pre­sunte tendenze all’accumulazione capitalisti­ca degli agricoltori più forti, ma viceversa per individuare quello strato di agricoltori “professionali” maggiormente in grado di ri­spondere agli stimoli di una politica agraria che, in una fase in cui le autorità parlavano della Polonia come del Giappone dell’est eu­ropeo, mirava soprattutto all’incremento della produttività.

In questo insieme di studi, che ho breve­mente delineato, è indubbiamente il filone di analisi economico-strutturale quello più dif­fuso, sia in una versione dogmaticamente marxista, sia in un’accezione più spiccata- mente tecnico-aziendalista. Tuttavia viene utilizzato tutto il bagaglio metodologico del­la tradizione della sociologia rurale polacca, dalle monografie di comunità ai concorsi di memorie24, anche se questa grande mole di

21 L’inchiesta del 1952 aveva come fine l’individuazione dei vari strati di biedniaki, sredniaki e kulaki (contadini po­veri, medi e ricchi) ai fini di accelerare la lotta di classe nelle campagne. 1 ricercatori si trovarono, tuttavia, davanti ad una tale varietà di figure sociali da non riuscire a comprenderle entro gruppi di superficie omogenei; essi furono perciò costretti ad articolare l’analisi a livello di realtà regionali, all’interno delle quali le tre figure base avevano con­notazioni diverse, e si articolavano oltrelutto in sottogruppi, quali “vecchi” e “nuovi” sredniaki, “operai-contadini” ecc. Le regioni individuate furono otto e corrispondevano alle grandi divisioni socio-geografiche della realtà agricola polacca, tanto che i quadri regionali individuati quindici anni dopo sulla base di un’analisi incrociata di fattori geo­grafici, economici e sociali, sono quasi identici a quelli dell’indagine del 1952 (P. Dabrowski, Cadres régionaux de l ’agricolture polonaise, in “Études Rurales”, janvier-juin 1967, pp. 5-40. Si confronti J.C. Szurek, Aux origines, cit., p. 70 e sgg.).22 I filoni di ricerca individuati da Wierzbicki e Szwengrub per il periodo 1956-67 sono sei, e tutti centrati sui temi del mutamento sociale (L.M. Szwengrub, Rural and agricultural sociology in Poland, 1945-1972, in 10th Polish Confe­rence of Rural Sociologists, Problems o f the development o f agriculture and information on the state o f rural socio­logy in various countries, Warsaw, Marck 1971, pp. 203-216 e L.M. Szwengrub-Z.T. Wierzbicki, Rural community studies in Poland, in J.L. Durand-Drouhin, L.M. Szwengrub, I. Mihailescu eds., Rural communities studies in Eu­rope, vol. 1, Oxford, Pergamon Press, pp. 103-148).■3 Tuttavia l’approccio integrale di Bujak è stato trascurato, mentre si sono diffuse monografie a carattere etnogra­fico e sociologico centrate su uno o più problemi specifici. È stato J. Topoloski a riproporre in quegli anni l’esigenza di una monografia integrale (J. Topolski, Problemy metodologiczne badali wsi (Problemi metodologici degli studi di villaggio) in “Kwartalnik Kultury Materialnej”, 1966).24 I concorsi di memorie tenuti fino al 1966 erano 287, al 1970 oltre 400, al 1980 più di 1.000 (dati di F. Jakubczak, in Z. Dulczewski, Florian Znaniecki, cit., p. 83).

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studi ha ormai solo lontane relazioni di af­finità con lo specifico metodo di Znaniecki e, soprattutto per quanto riguarda i con­corsi, rischia di cadere continuamente nel­l’esaltazione agiografica dei risultati della politica del regime23 * 25. Ma la continuità me­todologica permette, alla fine degli anni settanta, ad alcuni studiosi di recuperare quella che è stata definita la tradizione “umanistica” della sociologia rurale polac­ca26, accreditando, davanti alle prime mani­festazioni di organizzazione sindacale auto­noma degli agricoltori e soprattutto dopo l’esplodere del caso Solidarnosc, l’immagi­ne di una peasantry compatta ed omogenea che rivendica, in opposizione allo Stato so­cialista, una propria specifica collocazione nella società.

È quindi possibile rilevare nelle ricerche dei sociologi polacchi, nonostante le tipolo- gizzazioni schematiche spesso adottate, indi­catori ed elementi, spesso non utilizzati dal ricercatore stesso ma chiaramente evidenti, dell’esistenza di trends opposti a quelli della modernizzazione così ripetutamente sottoli­neati: ciò, oltre a confermare il valore cono­scitivo delle ricerche in questione27, mi ha permesso di analizzare, sulla base di tale fon­te, l’andamento del processo di adattamento della società contadina alle strutture della Repubblica popolare polacca, arrivando a conclusioni spesso molto distanti da quella “ufficiali” .

1. La modernizzazione

È noto che la caratteristica della struttura agraria polacca, rispetto a quella degli altri paesi socialisti, è di essere basata sulla pro­prietà privata della terra e su una rete di aziende coltivatrici, estese dai 2 ai 20 ettari, che ancora oggi occupano circa il 70 per cento della superficie agraria globale. Non è questa la sede per spiegare le ragioni stori­che di una simile deviazione dal modello so­vietico28: mi interessa invece sottolineare co­me la presenza dei produttori agricoli indi­viduali abbia sempre posto ai vari governi succedutisi nel dopoguerra problemi di compatibilità con la struttura politica ed economica della società polacca, ai quali si è cercato di ovviare con una politica agra­ria che, dopo il fallimento dell’esperimen­to di collettivizzazione forzata della fine an­ni quaranta e prima metà degli anni cin­quanta, ha sempre mirato ad una socializza­zione indiretta delle campagne, attraverso il controllo statale del mercato fondiario, del­la distribuzione dei mezzi di produzione e della commercializzazione di prodotti agri­coli.

Il quadro teorico entro il quale questa po­litica ha trovato collocazione è quello della modernizzazione: si è sostenuto, cioè, che a causa dei meccanismi socio-economici indot­ti dal regime socialista (industrializzazione, emigrazione urbana, controllo statale dei cen-

23 Per i rilievi critici ai concorsi si vedano A. Kfoskowska, Types o f personal documents, in “Sisyphus. SociologicalStudies”, vol. II, 1982, p. 71 e sgg., e J. Lutynski, Methodological issues in research based on autobiographies, ivi,p. 87 e sgg. Interessante quanto afferma uno dei più avvertiti sociologi polacchi contemporanei, che ritiene che un più corretto uso delle memorie possa essere favorito dalla verifica statistica dei documenti personali (W.W. Adam- ski, Memoir-based sociology, cit., p. 114 e sgg.).26 K. Gorlach, Polish peasant: social class or occupational group?, paper, presentato al XIIth European congress of rural sociology, Budapest, 24-30 luglio 1983.27 Ne è una riprova la notevole diffusione che gli studi di sociologi rurali hanno avuto all’estero, anche per la mole di traduzioni (delle quali per lo più mi sono servito per la stesura di questo saggio), soprattutto in lingua inglese e fran­cese, di saggi ed opere originariamente apparse in polacco.28 Rimando per questo punto al mio saggio su II contadino polacco tra opposizione ed integrazione. Politica agraria ed interèssi contadini nella Polonia socialista, pubblicato sulla “Rivista di Storia Contemporanea”, (1985, n. 3).

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tri nevralgici dell’economia), i contadini co­me classe hanno cessato di esistere, per lascia­re il posto ad un ceto di agricoltori moderni, coinvolti nell’organizzazione collettiva della produzione ed integrati nell’economia socia­lista.

La tematica della modernizzazione aveva una duplice valenza: dimostrare la non peri­colosità sociale e politica dei contadini, e quindi sostenere il mutamento di rotta della metà degli anni cinquanta, con l’abbandono della collettivizzazione forzata, e, d’altro la­to, mascherare, dietro le necessità di adegua­mento alle esigenze produttive di una moder­na struttura aziendale, la persistente compo­nente ideologica anticontadina e l’orienta­mento della politica agraria sfavorevole, con l’eccezione di brevi periodi, agli agricoltori individuali.

I sociologi polacchi hanno così elaborato un quadro di riferimento analitico che per­mettesse di fondare la tesi della “fine dei contadini”, il cui nucleo centrale era che, es­sendo stato eliminato a livello nazionale il possesso privato dei mezzi di produzione, sia pure con l’eccezione della terra, erano venute meno le tendenze all’accumulazione a danno degli agricoltori più poveri che spingevano il vertice della piramide contadina verso il ca­pitalismo e provocavano alla base processi di proletarizzazione, riproducendo nelle cam­pagne una divisione in classi. Scriveva così Galçski che “the change in the influencing factors and the change in the way of influen­

cing through the subordination of the mar­ket to the directives of planned economy ha­ve decidedly braked down the process of ca­pitalist trasformations of countryside”29.

In tale situazione la stratificazione tra contadini non sarebbe più fondata sulla differenziazione nel possesso di mezzi di produzione, riconducibile perciò alla dina­mica tipicamente capitalistica delle forze produttive, ma sarebbe riducibile a divari di tipo economico-professionale30: da ciò l’impossibilità dei contadini di manifestare una autonoma coscienza di classe e la con­ferma che il processo di sviluppo politico ed economico nazionale, e quindi anche la direzione della politica agraria, è saldamen­te in mano ai rappresentanti della classe operaia.

Per evidenziare il cambiamento e la crisi definitiva del “mondo contadino” vengono portati avanti intensi programmi di ricerca sulla realtà sociale delle campagne, si prose­guono le inchieste dell’Istituto di economia agraria di Varsavia sul campione di 120 vil­laggi individuato nel 1946-47, si effettuano nuove ricerche di tipo economico-azienda- le31: viene così delineato un processo, conti­nuo ed unilineare, che definisce la moderniz­zazione come passaggio dal semplice al com­plesso, cioè dalla società contadina tradizio­nale, chiusa in se stessa, separata e relativa­mente semplice nelle sue forme di articolazio­ne sociale, ad una moderna società industria­le32. Le comunità rurali si sarebbero così in-

29 B. G aleri, Rural sociology in Poland, cit., 24.30 Tale tesi si inserisce all’interno di quelle analisi di sociologi marxisti che sottolineano i processi di omogenizzazione delle società nelle quali la proprietà privata dei mezzi di produzione sia stata eliminata (si veda K. Gorlach, Polish pea­sant, cit., p.5 e 13). Un esempio di tale tesi applicata alle campagne polacche in B. Galenici, Sociological problems o f the occupation o f farmer, in “Roczniki Socjologii Wsi”, 1968, p. 14esgg.31 Z.T. Wierzbicki, Half a century, cit., p. 60.32 Così Turski, in un saggio classificatorio di vari modelli di modernizzazione, ne adotta uno dicotomico, che prevede il passaggio da un ambiente “naturale” ad uno “tecnico”, e arriva a individuare una scala della modernità, sui vari li­velli della quale i diversi paesi possono essere piazzati in un’analisi comparativa. La Polonia è collocata a metà della scala (R. Turski, Deux modèles de mobilité sociale, in R. Turski (red.), Les transformations de la campagne polonai­se, Wroclaw, Ossolineum, 1970, pp. 191-212).

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tegrate nella società nazionale, con l’acquisi­zione di modelli culturali e comportamenti so­ciali più articolati e mediati. Partendo da una definizione della società contadina polacca tra­dizionale estremamente semplificata e paradig­matica, tutta centrata a sottolinearne i caratteri di omogeneità culturale, di scarsa articolazione sociale, di assenza delle istituzioni statali, di isolamento nei confronti del mondo esterno33, e senza tener conto dei complessi rapporti di mediazione tra tradizionale e moderno, i socio­logi polacchi hanno buon gioco nell’esaltare le trasformazioni del secondo dopoguerra.

Lo schema del processo di apertura della società contadina, che è possibile individua­re da un’analisi generale degli studi in que­stione, parte dalla riforma agraria dell’im­mediato dopoguerra, che ha cancellato il contrasto di classe che contrapponeva i grandi proprietari ai contadini, liquidando la proprietà borghese e sostituendola con aziende coltivatrici: “The essential conflict: village vs. manor estate ceased to exist. That conflict had determined not only the econo­mic situation of peasant families... but it al­so largely had made for the... social and cul­tural isolation of the village”34. La distribu­zione della terra da parte dello Stato non so­lo elimina le cause strutturali della contrap­posizione tra comunità contadina e mondo esterno, ma pone fine alla tradizionale ostili­tà della prima nei confronti delle istituzioni statali e contribuisce ad integrarla nella so­cietà nazionale. D’altra parte il controllo statale dei principali mezzi di produzione

impedisce il consolidarsi di tendenze antago­nistiche nelle campagne: “The social structu­re is now marked by a continuum: farmers owning the family farm — the employees of state and cooperative organizations living in the country, a continuum... linking the pea­sant stratum with other different working people strata”35. Viene così eliminata anche la causa strutturale dei contrasti campa­gna-città, dato che la mentalità anticontadi­na dei ceti urbani nella Polonia prebellica, che trovava giustificazione nella struttura di classe allora esistente, si è dissolta nell’unità organica operai-contadini, cementata dall’a­zione dello Stato socialista36. Inoltre la dif­fusione di redditi da lavoro extra-agricolo tra le famiglie rurali ha favorito processi espansivi dei meccanismi di promozione so­ciale, attraverso i quali si è trasmessa l’in­fluenza delle città nelle campagne37. Gli agricoltori part-time, detti anche “ope­rai-contadini” , sono in tal modo ritenuti de­gli intermediari tra il villaggio e la città, tra produzione socializzata e produzione indivi­duale, figure di passaggio verso la posizione di lavoratore salariato del settore socializza­to. Così Szczepanski individua per i ceti agricoli una scala sociale che, basandosi sul­la rispondenza delle varie figure ad una struttura ideale per una società socialista, va dai contadini individuali agli operai delle aziende agricole statali, ed in essa gli “ope­rai-contadini” sono collocati più in alto dei contadini cooperatori, che pure rappresenta­vano, secondo le tesi ufficiali, l’esempio del-

33 Si veda ad esempio la delineazione che ne fa D. Mardowska, La structure sociale et les liens locaux, in R. Turski (red.), Les transformations, cit., p. 427.34 B. Gale§ki, Rural sociology, cit., p. 19.35 B. Gale^ki, Rural sociology, cit., p. 25.36 B. Gale§ki, Rural sociology, cit., p. 22. In realtà nelle città permanevano diffusi atteggiamenti anticontadini, che possono essere fatti risalire all’orientamento in tal senso della vecchia gentry, alla campagna contro i kulaki del dopoguerra, alla concorrenza tra operai e contadini per i posti di lavoro e gli alloggi nelle città (S. Nowakow- ski, Town dwellers versus village dwellers in Poland, in “The Journal of Contemporary History”, luglio 1969, pp. 111- 112) .37 R. Turski, Changes in the rural social structure, in J. Turowski, L.M. Szwengrub (eds.), Rural social change in Poland, Wroclaw, Ossolineum, 1976, pp. 47-74.

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la superiorità della produzione socializzata su quella individuale38.

La diffusione di redditi extra-agricoli nelle campagne e l’esodo verso la città per l’aper­tura di sbocchi professionali in industria e nel terziario hanno agito nella stessa direzio­ne dell’operazione di redistribuzione fondia­ria operata dalla riforma agraria, ponendo fine al tradizionale problema della sovrappo­polazione agricola e alla fame di terra che ne conseguiva.

In tal senso nel processo di industrializza­zione estensiva degli anni cinquanta e sessan­ta viene individuato l’elemento chiave della soluzione della questione contadina nella Po­lonia popolare: mentre prima la mobilità so­ciale era legata esclusivamente alla quantità di terra posseduta, che determinava perciò direttamente la stratificazione all’interno delle comunità, ora si aprono nuove vie alla promozione sociale delle masse contadine, che portano all’esterno del villaggio. La terra cessa così di essere alla base del rango, della cultura e dei valori contadini, e diventa esclusivamente un bene correlato all’eserci­zio di una professione39.

La scala del prestigio diventa perciò più ampia e multidirezionale, i codici di valuta­zione dello stesso tendono a unificarsi a livel­lo nazionale, mentre in precedenza erano fondati localmente40. In stretta connessione con questi processi, è possibile individuare mutamenti fondamentali nei caratteri della famiglia contadina: si passa da una famiglia multiestesa, dominata da rapporti di subor­

dinazione gerarchica che trovano giustifica­zione nel suo prevalente orientamento verso la gestione dell’azienda, alla quale era sacrifi­cata l’individualità dei singoli membri (la cui posizione sociale veniva identificata con quel­la complessiva della famiglia di appartenen­za), ad una situazione in cui l’apertura di vie individuali alla mobilità sociale e la differen­ziazione delle possibilità occupazionali allen­tano, fino a scinderlo, il legame tra individuo e famiglia di provenienza, ridimensionando l’importanza delle strategie familiari e la fun­zione economico-produttiva della famiglia, a vantaggio di quella affettivo-sentimentale.

Scompaiono le famiglie multigeneraziona- li, e si modificano i rapporti fra membri della famiglia, che vengono impostati su un terre­no di parità. Il prestigio diventa legato più allo standard di vita che al possesso di terra, i nuovi nuclei familiari sono autonomi, le fun­zioni economiche della famiglia si correlano alla formazione di un reddito complessivo, e non sono finalizzate alla conservazione e ge­stione del patrimonio fondiario, il cui valore si relativizza, le funzioni pedagogiche sono considerate in rapporto all’educazione dei fi­gli, e non più alla loro preparazione alla suc­cessione al capofamiglia nella gestione del­l’azienda, la formazione professionale viene sempre più demandata alla scuola41. Alla tra­dizionale divisione del lavoro fra marito e moglie subentra una nuova situazione, nella quale la donna si occupa sempre più del lavo­ro dei campi e l’uomo di funzioni, come quella educativa nei confronti dei figli, un

38 J. Szczepanski, La structure sociale de la population rurale, in R. Turski (red.), Les transformations, cit., p. 15.39 B. G aleri, Les tendances des transformations dans la structure de la société rurale, in R. Turski (red.), Les tran­sformations, cit., pp. 37-55; E. Jagiello-Lysiowa, La terre et la profession, ivi, pp. 239-261; W.W. Adamski, Ten­dances des changements dans les attitudes sociales des paysans polonais, paper, presentato al III Congresso mondia­le di sociologia, Baton Rouge, 1972.40 M. Makarczyk, La stabilité et la mobilité professionnelle des agriculteurs, in R. Turski (red.), Les transforma­tions, cit., pp. 145-167; M. Pohoski, La mobilité socio-professionnelle des fils des paysans, ivi, pp. 115-144.41 D. Markowska, Trends of change in the contemporary rural family, in “Roczniki Socjologii Wsi”, 1968, pp. 80-104.

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tempo demandate alla moglie: il sistema pa­triarcale viene sostituito dall’uguaglianza tra i due partners42.

Tutti questi processi, insieme al migliora­mento delle infrastrutture territoriali e dei si­stemi di comunicazione, alla diffusione dei mass-media, alla presenza in periferia delle strutture partitiche e degli uffici statali, tol­gono al villaggio il suo carattere di microco­smo, incapsulato ma non integrato in un con­testo nazionale, e pongono perciò fine alla sua separatezza. I villaggi sono ormai inseriti in una rete di istituzioni omogenee diffuse su tutto il territorio nazionale, vengono aperti all’influsso della cultura urbana, ben integra­ti nelle nuove istituzioni statali. La rete di ser­vizi disponibili contribuisce a colmare il diva­rio tra campagne e città anche dal punto di vi­sta della qualità della vita; il villaggio come centro di elaborazione della cultura contadi­na lascia posto ad un’entità che è elemento di una struttura decentrata, ma non più separa­ta43. Una cultura contadina come elemento autonomo di organizzazione della società ru­rale, perciò, non esiste più: dell’antico corpus di essa vanno conservati solo quei valori che siano adattabili al nuovo contesto sociale44.

In conclusione la modifica del rapporto col mercato (pianificazione) e con i mezzi di pro­duzione (diminuzione dell’importanza del fattore terra), il mutato equilibrio tra risorse e popolazione (emigrazione e part-time), la rot­tura dell’isolamento culturale, il consolidar­si dei rapporti con lo Stato, contribuiscono a rompere il legame fondamentale fami­glia-proprietà, che stava alla base del sistema tradizionale di valori del mondo contadino. Passano in secondo piano le determinanti di classe, aumenta l’importanza delle conoscen­ze professionali e dei contatti con le istituzioni addette alla gestione dell’economia. Il risulta­to è l’evoluzione degli agricoltori polacchi da classe contadina a gruppo professionale45, il cui problema è quello di ricavare dall’azienda il massimo di redditività in termini di produ­zione e di reddito personale, e che, a tale fine, trova opportuna collocazione nella politica agraria. Il passaggio ad un’agricoltura di tipo “olandese”46 compare, come prospettiva, in alcuni studi degli anni in cui la Polonia sembra aver imboccato la strada di uno sviluppo eco­nomico intensivo47. I ricercatori polacchi, al­l’inizio degli anni settanta, abbandonate le pregiudiziali di carattere politico ed ideologi-

42 J. Turowski, State o f research on rural sociological problems, in B. Gale^ki (ed.), Rural Sociology, cit., pp. 77-104.43 R. Turski, Changes, cit., eD . Mardowska, La structure, cit. Per Turowski è l’integrazione delle varie comunità loca­li in unità amministrative (i comuni) e la formazione di nuove regioni socio-economiche che danno vita ad un complesso integrato di “rural-urban regions” (J. Turowski, Changes in the rural community, in J. Turowski-L.M. Szwengrub (eds.), Rural socio-cultural change in Poland, Wroclaw, Ossolineum, 1977, pp. 22-23).44 Così per Galaj vanno conservati, come valori positivi, la dedizione al lavoro, anche se duro, lo spirito di iniziativa, il senso di responsabilità, la tradizione di mutuo soccorso della società contadina polacca (D. Galaj, Transformations o f the countryside, in “Polish Perspectives”, giugno 1974, p. 45). Come tutto ciò sia compatibile con l’organizzazione so­ciale del lavoro nella Polonia contemporanea non è facilmente comprensibile, a meno che il primo degli elementi men­zionati non faccia aggio sui rimanenti.45 B. G aler i, Les tendances, cit.46 ’’L’appareil scientifique, notamment l’Institut d’Economie Agricole, mais aussi de nouveaux organismes nés après 1956, échaudé par la période stalinienne et privé de ses maîtres, s’était lancé dans un vaste programme de recherche baigné d’empirisme et de pragmatisme... adaptant aux conditions polonaises les conceptions moderni­stes et sélectionnistes en vigueur en Occident (notamment en France et en Hollande)” (J.C. Szurek, Aux origines, cit., p. 150).47 B. Weber, Selected values of traditional culture in the light o f two collections o f memoirs, in “Sisyphus. Sociolo­gical Stuedies”, vol. II, 1982, pp. 163-187.

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co contro le aziende di dimensioni maggiori, sottolineano il ruolo positivo di quelle azien­de che, proprio per le loro dimensioni, sono considerate le più adatte a garantire quello che era diventato il fine principale di una po­litica agraria sempre più selettiva, l’aumento della produttività per addetto48.

2. L’altra faccia della modernizzazione

Proprio l’avvio di una politica agraria più se­lettiva portò molti ricercatori ad una riconsi­derazione critica dei processi di modernizza­zione del ventennio precedente, spingendoli a sottolineare piuttosto le debolezze economi­che di un settore che risultava inidoneo a con­seguire i risultati produttivi sperati. In gene­rale tale constatazione portava non tanto a ri­considerare la contraddittorietà di una politi­ca agraria che ha sempre frapposto ostacoli allo sviluppo delle potenzialità dell’azienda privata49, quanto a rafforzare le tendenze ad una effettiva liquidazione della produzione agricola individuale, con un avventuroso

piano di sviluppo del settore socializzato e conseguente catastrofica riduzione della produzione globale dopo la metà degli anni settanta.

Tipico di questa nuova posizione è il rove­sciamento di giudizio sugli “operai-contadi­ni”, considerati sempre più un ostacolo alla diffusione di criteri di gestione aziendale ra­zionali, dei quali si sottolinea ora la resistenza che frappongono ai processi di concentrazio­ne fondiaria e di modernizzazione produtti­va, ed il disinteresse per i problemi locali e per attività politico-sociali svolte nel villaggio, a causa delle dure condizioni di vita di chi svol­ge un doppio lavoro. Si arriva così a progetta­re costosi quanto irrealistici piani di trasferi­mento in massa nelle città dei lavoratori agri­coli a part-time50 che, per quanto assurdi pos­sano oggi apparire, ci consentono tuttavia di apprezzare la notevole ampiezza di questo strato che, in un certo senso, “annacqua” l’impatto nelle campagne dei processi di in­dustrializzazione51.

Ma, ancora di più, giocarono nel supera­mento dello stereotipo della modernizzazio-

48 A. Szmberg, Processes o f differentiation o f peasant farms in Poland, in J. Turowski-L.M. Szewengrub, Rural so­cial change, cit., pp. 173-201. Tutto l ’articolo vuole dimostrare come Pailargamento delle dimensioni aziendali sia condizione indispensabile per un successo della politica agraria “in fulfilling the basic task, namely the rapid increase of agricultural production” (p. 173).49 Un’eccezione è rappresentata dall’opera di revisione critica di Tepicht. Quello che probabilmente è il sociologo ru­rale polacco contemporaneo più famoso, rivedendo radicalmente l’impostazione dei propri studi precedenti ed appli­cando all’analisi delle campagne polacche le tesi di Chayanov sul modo di produzione contadino, arrivò a fondare teo­ricamente la necessità che in Polonia, nell’impossibilità di un irrealistico e troppo costoso sforzo dell’intensificazione del fattore capitale, la politica agraria dovesse creare le condizioni più adatte perché la famiglia contadina potesse ope­rare in un contesto di sicurezza, che favorisse lo sviluppo della produttività del suo lavoro. Le posizioni di questo scienziato, già allora marginato dal potere politico e dagli ambienti accademici, non hanno ovviamente trovato alcun seguito in Polonia (si veda J. Tepicht, Marxisme et agriculture: le paysan polonais, Paris, Armand Colin, 1973).50 D. Galaj et al., Proposed principles ofsolving the problem o f the peasant-worker population, in “Village and Agri­culture”, 1977, pp. 113-121.51 Va sottolineata inoltre la sua funzionalità allo sviluppo industriale del paese: esso costituiva una riserva di manodo­pera a basso prezzo, indirizzata verso i lavori più pesanti e dequalificati, che ha evitato oltretutto il collasso urbanisti­co delle città, investite dai processi di migrazione intensiva del dopoguerra (si vedano H. Slabek, Mutamenti nella stra­tificazione e nella posizione sociale dei contadini in Polonia (1944-1964). Rassegna critica, in “Rivista storica italia­na”, 1982, p. 757 e sgg.; B. G aleri, Solving the agrarian question in Poland, in ’’Sociologia ruralis”, 1982, n. 2, p. 154 e sgg.; P. Santacroce, Sviluppo economico e squilibri sociali in Polonia, Milano, Etas Libri, 1981, p. 28 e sgg. e cap. 2.2). Va inoltre sottolineata l’importanza della produzione di queste aziende ai fini della bilancia alimentare, ed il loro ruolo di assorbimento della disoccupazione nascosta nelle campagne (I. F renkel et a l., Changes in the labour force re­sources in agriculture, in “Village and Agriculture”, 1980, p. 26 e sgg.).

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ne, la crisi economica degli anni di fine de­cennio e le rovinose oscillazioni della politica agraria, che favorirono certo la manifesta­zione di un attivismo politico degli agricolto­ri individuali svincolato dai normali canali istituzionali in cui veniva di solito indirizza­to, e che troverà sbocco nella creazione dei sindacati agricoli all’interno di Solidarnosc. L’evidenziarsi non solo di critiche aperte alla politica economica governativa, ma anche di umori di contrapposizione frontale al siste­ma, ha riportato in ballo la persistenza del­l’identità sociale dei contadini come classe dopo trenta anni di politica agraria finalizza­ta invece a favorirne il dissolvimento nelle pieghe della nuova struttura sociale; nel ge­nerale smarrimento dei ricercatori polacchi, sempre più in difficoltà a seguire i rapidi mu­tamenti della società polacca fra fine anni settanta ed inizio anni ottanta, la sociologia rurale è stata forse la branca che maggior­mente ha denotato una “perdita di senso” dei modelli analitici prevalenti. Nei pochi studi contemparanei o successivi al periodo di Solidarnosc, questa si è manifestata in un rifiuto dello schema della modernizzazione: lo sforzo di creare organizzazioni politiche autonome degli agricoltori individuali è stato interpretato come riprova dell’esistenza di un mondo rurale sostanzialmente intatto nei suoi meccanismi di solidarietà interna, resi­stente ai programmi di sviluppo ed integra­zione messi in atto dallo Stato socialista. I contadini polacchi, insomma, da ceto pro­fessionale si sono ritrasformati in classe, e per giunta all’“opposizione” .

A mio avviso è necessario adottare una di­versa prospettiva di analisi che, attraverso uno schema multilineare, permetta di com­prendere la varietà di intensità e direzione delle forze che sono il prodotto dell’incontro

tra inputs modernizzanti e le strutture locali investite: è ipotizzabile che nel corso di tale processo i primi subiscano delle trasforma­zioni, in relazione all’intensità dell’opposi­zione che incontrano, alla natura delle rela­zioni sociali investite, alla qualità delle me­diazioni che si realizzano. Si tratta in altre parole di scomporre quello che viene definito processo di modernizzazione, senza limitarsi a constatarne gli esiti formali più evidenti, ma spingendosi a scoprire le nuove relazioni, spesso caratterizzate da più di un elemento di continuità col passato, che vengono a crearsi all’interno delle società investite da correnti di trasformazione.

Tale progetto non è realizzabile a partire dalle fonti su cui si basa questo saggio: la predisposizione ideologica dei ricercatori po­lacchi, le stesse modalità delle indagini effet­tuate, per lo più attraverso questionari netta­mente predisposti a evidenziare la dissoluzio­ne dei rapporti tradizionali, non rendono di­sponibile un insieme di dati e di analisi tale da permettere una ricostruzione del rapporto tra Stato e contadini alternativa rispetto a quella finora prevalente. Vi sono però nelle ricerche che ho utilizzato numerosi indizi, anche se spesso poco più che notazioni mar­ginali, che possono comporre un mosaico, al quale certo mancano molti pezzi, ma il cui disegno lascia intravedere una trama ben di­versa da quella ricostruita dagli scienziati po­lacchi.

Sono elementi tratti per lo più da analisi condotte a livello di comunità52, che consen­tono di individuare esiti complessi delle tra­sformazioni della società rurale nel secondo dopoguerra, non riconducibili né alla “scom­parsa” dei contadini, né alla loro continuità in quanto classe. In particolare le relazioni sociali a livello comunitario si dimostrano

52 Per una panoramica degli studi si veda K. Zawistowicz-Adamska, Rural economic-social systems and systems of subordination in the process o f change, in Poland at the P"1 Internazional Congress o f Anthropological and Ethnolo­gical Sciences, Wroclaw, Ossolineum, 1973, pp. 69-79.

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particolarmente persistenti, perché vengono ri­modellate come strumento di resistenza a im­pulsi esterni disgreganti, come durante il pe­riodo della collettivizzazione, o di manipola­zione degli esiti finali di processi di per sé non ritenuti negativi (è il caso dell’industrializzazio­ne), ma il cui impatto a livello di società locale si cerca comunque di attutire e condizionare.

Così il progetto elaborato a Varsavia, nel 1952, per rimuovere il 60 per cento degli agri­coltori dei Tatra e di parte dei monti Beskidi dalle loro aziende, spezzettate ed estese su terre di cattiva qualità, e trasferirli in aziende di pianure più ampie e produttive, dovette essere accantonato per l’opposizione delle comunità montane ad uno sradicamento che, oltre che geografico, era culturale e sociale53. E a Zimiaça, un villaggio del sud della Polo­nia con 800 abitanti, subito dopo la guerra si ricostituirono i tradizionali rapporti di coe­sione tra grandi proprietari e contadini pove­ri, sostenuti da relazioni di patronage cemen­tate da vincoli di parentela e vicinato: nel 1946 venne così eletto sindaco il più grande proprietario del villaggio, con il sostegno pressoché unanime di tutta la comunità. L’intervento delle autorità statali nel 1948, per imporre come sindaco un contadino po­vero, incontrò l’opposizione del villaggio e ne determinò un’attitudine difensiva che coinvolgeva anche gli strati più bassi e che si attutì solo dopo il 1956, quando si riaprirono meccanismi di scambio politico a livello loca­le meno controllati dal centro54.

Viceversa a Dobrzen Wielki, un villaggio del distretto di Opole che nel 1960 contava

3.026 abitanti, e dove era localizzata una fabbrica tessile, industria e comunità locale si influenzavano a vicenda. Il villaggio con­servava una propria identità sociale, eviden­ziata dall’alto tasso di endogamia e dall’at­teggiamento dei lavoratori pendolari, che continuavano ad avere in esso il proprio punto di riferimento; le cerimonie, soprat­tutto quelle di matrimonio, contribuivano a rafforzare la comunità, ed erano aperte a tutti. I legami familiari avevano ancora un peso notevole e la famiglia conservava aspetti di impresa estesa: così gli operai del­l’industria che ancora vivevano con i geni­tori versavano alle madri l’intero loro sala­rio. La direzione dell’azienda tessile era co­stretta a tener conto dell’opinione del villag­gio in vari campi di attività, ad esempio in relazione alle assunzioni, ed in tal modo era riuscita ad integrarsi nella comunità. Nell’a­zienda durante il lavoro le operaie cantava­no spesso inni religiosi, ed anche sul luogo di lavoro le relazioni interpersonali si con­solidavano secondo le norme della comunità locale55.

Commentando questo caso, Turowski ri­levava che “the organization of the factory, its norms and system of values are to a cer­tain degree subordinated to the village col­lectively”56. Del resto non erano mancate in altri casi preoccupazioni perché “les pay­sans ont imprimé à leurs nouveaux milieux la marque de leur culture traditionnelle, de leur style de vie, de leurs moeurs et de leurs aspirations. On peut donc parler d’un processus de ruralisation des villes (grandes

53 S. Ossowski, Condizioni e conseguenze sociali della pianificazione sociale, in Sociologia: applicazioni e ricer­che, Atti del IV Congresso mondiale di sociologia, Milano-Stresa, 8-15 settembre 1959, Bari, Laterza, 1959, p. 310.54 Z.T. Wierzbicki, Le village de Zmiaça, un demi siècle plus tard, in R. Turski (red.), Les transformations, cit., pp. 391-429.55 A. Olszewska, Anciennes et nouvelles structures de la campagne urbanisée, in R. Turski (red.), Les transforma­tions, cit., pp. 471-495.55 J. Turowski, Types and forms o f industrialization and rural socio-economic development, in J. Turowski-L.M. Szwengrub (eds.), Rural social change, cit., p. 41.

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et petites), et c’est ce processus qu’il aurait fallu étuder en premier lieu”57. E lo stesso Turowski, pur parlando di disintegrazione delle tradizionali funzioni della comunità ru­rale (ma non di quella di controllo sociale), riconosceva che tale processo non era inte­grale “because there are many factors which maintain to some extent the elements of tra­ditional social community”58.

Altri hanno sottolineato la presenza con­temporanea nelle comunità di vecchie e nuo­ve forme di stratificazione sociale; così Adamski studiando un villaggio del voivoda­to di Bydgodszcz, che nel 1962 contava 756 abitanti suddivisi in 159 famiglie, nel quale aveva operato la riforma agraria e che era stato investito dai processi di emigrazione, riscontrava una scala del prestigio ancora fondata sulla terra, ed una correlazione posi­tiva fra quantità di terra posseduta e livello dei redditi. La comunità, tuttavia, era divisa: i contadini assegnatari della riforma, che provenivano da altre zone della Polonia, non erano integrati, perché considerati estranei al villaggio, mentre al vertice del prestigio re­stavano i vecchi proprietari, considerati i mi­gliori agricoltori. Era inoltre possibile indivi­duare due differenti schemi di mobilità so­ciale, ambedue legati, anche se con intensità diversa, al possesso di terra: da una parte gli agricoltori a tempo pieno, dall’altra i conta­dini part-time, che rappresentavano il punto di riferimento di coloro che fruivano esclusi­vamente di un salario. Permaneva, infine, il valore delle cerimonie ai fini della conferma

del prestigio e del rafforzamento dei vincoli comunitari59.

Su un altro terreno, quello della identifica­zione tra famiglia ed azienda contadina, il peso delle “persistenze” sembra particolar­mente forte: così Turowski doveva ricono­scere che “the connection of a farm with house-hold keeping and the family... although changed and modified, still remains”60; e Galeski, constatava che il processo di profes- sionalizzazione dei contadini polacchi era particolarmente lento e contraddittorio61 e reputava il lavoro contadino “a relic of a different mode of social organization of production, one not based on the division of occupations... that part of social division of labour which has so far not been fully mastered by the occupational model”62. Ga- laj, infine, ammetteva che spesso “the pea­sant family and its farm are an inseparable whole”63.

In relazione a ciò, possiamo riscontrare che il valore della terra ai fini della determi­nazione del prestigio non è affatto scompar­so: non solo gli agricoltori individuali vengo­no ritenuti, nella percezione comune della gerarchia sociale, molto al di sopra dei soci delle cooperative di produzione e degli ope­rai delle aziende agricole di Stato64, ma l’ap­prezzamento per il possesso della terra era vi­vo anche tra i giovani che rimanevano in campagna: così Adamski in un’inchiesta su tre distretti rappresentativi di situazioni di- versificate, riscontrava negli agricoltori più giovani un atteggiamento generalmente mo-

5' J. Szczepariski, Les paysans dans la société socialiste, in “Cahiers Internationaux de Sociologie”, 1967, p. 6.58 J. Turowski, Changes, cit., p. 20.59 W.W. Adamski, Grupy interesów w spolecznos'ci wiejskiej (Gruppi di interesse nella comunità rurale), Warszawa, Ossolineum, 1967.60 J. Turowski, Changes, cit., p. 82.61 B. Gale§ki, Les tendances, cit., p. 52-55.

B. G aleri, Sociological problems, cit., p. 13 e 25.63 D. Galaj, Transformations, cit., p. 44."4 L.M. Szwengrub, Les agriculteurs-membres des cooperatives agricoles productives et les ouvriers agricoles, in R. Turski (red.), Les transformations, cit., pp. 77-92; M. Pohoski, La mobilité, cit., p. 138.

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derato nei confronti della possibilità di intro­durre radicali trasformazioni nella struttura agraria e nelle forme di gestione della produ­zione, ed una confermata fiducia nella ge­stione aziendale su base familiare65. E Chala- sinski, chiedendosi quali potessero essere sta­te le motivazioni dei giovani agricoltori che tra il ’45 e il ’55, periodo certo non favorevo­le alla gestione agricola su base familiare, scelsero di non emigrare, nonostante le op­portunità di lavoro che si aprivano nelle cit­tà, riteneva che “were as a rule latent in the strong family ties”, e rilevava l’importanza del villaggio come centro di aggregazione so­ciale anche per chi svolgeva mansioni che lo portavano al di fuori della comunità, ma sce­glieva deliberatamente di non allontanarsi, perché quest’ultima veniva a riempire un “vacuum ideologico”66.

La persistenza di relazioni sociali a livello di comunità modellate secondo le tradizio­nali norme, l’identificazione tra famiglia ed azienda contadina, la perdurante importan­za del fattore terra nella scala del prestigio, non sono elementi residuali ormai depoten­ziati rispetto alle nuove relazioni indotte dal processo di modernizzazione, ma sono anzi in grado di influenzarne profondamente gli esiti finali. A riprova di questa tesi, è parti­colarmente utile l’analisi dell’articolazione dell’apparato amministrativo a livello peri­ferico, dato che questo rappresenta il princi­pale strumento di attuazione della politica statale nelle campagne e che quest’ultima, in

mancanza di meccanismi autonomi di mer­cato è la principale componente di quel pro­cesso.

3. L’apparato amministrativo locale

La struttura amministrativa polacca si arti­cola, a livello locale, in uffici dipendenti dai rada narodowa, consigli elettivi che operano a vari livelli, ed in uffici che sono l’articola­zione locale di apparati nazionali. In realtà anche i primi sono strettamente collegati al­l’amministrazione statale, perché molto spesso non solo funzionano come emanazio­ne dell’ente locale, ma sono inquadrati in strutture burocratiche piramidali facenti ca­po ai vari ministeri67. Nel sistema polacco l’apparato amministrativo assolve non solo alle proprie funzioni istituzionali, ma anche al compito fondamentale di trasferire al li­vello superiore tutti i conflitti di competenza che nascono a ciascun livello68: in tal modo l’integrazione verticale appare privilegiata ed il sistema si presenta formalmente con una forte caratterizzazione gerarchica69.

Secondo le teorie correnti, l’elemento di controllo democratico dovrebbe essere rap­presentato da un lato dai consigli elettivi che, attraverso il loro organo esecutivo, funzio­nano da “tutori” dell’apparato amministra­tivo ricadente nel loro campo d’azione, dal­l’altro dall’intreccio tra l’apparato stesso e la struttura di partito, cui viene demandato un

65 W.W. Adamski, Tendances, cit., p. 13.66 J. Chalasiriski, The young rural generation in the Polish People’s Republic, in J. Turowski-L.M. Szwengrub (eds.), Rural social change, cit., p. 271 e 274.67 R. Taras, The local political élites, in D. Lane, G. Kolankiewicz (eds.), Social groups in Polish society, London, Macmillan, 1973, pp. 233-301.68 W. Kuczynski, La seconda Polonia. Contraddizioni di un modello, Roma, Editori Riuniti, 1981, p. 49.69 II meccanismo di tramissione delle direttive, proprio perché fortemente centralizzato, è soggetto però a frequenti corto-circuiti: i quadri politici di base e i funzionari periferici, infatti, in presenza di notevoli oscillazioni politiche, e nell’impossibilità di seguire i criteri di volta in volta fissati a livello centrale, interpretano spesso la politica agraria secondo quelle che ritengono essere le reali aspettative dei dirigenti centrali. La mia opinione è che, in un contesto non caratterizzato dal livello di violenza politica dei primi anni cinquanta, proprio su tali distonie si basi quella re­lativa autonomia dell’apparato locale che lo rende permeabile alla rappresentanza politico-clientelare di interessi periferici.

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controllo generale del primo e che è articola­ta ai suoi stessi livelli. In tal modo il sistema dovrebbe funzionare secondo le seguenti fa­si: 1. elaborazione di direttive a livello locale per l’apparato amministrativo da parte dei consigli elettivi; 2. controllo delle direttive da parte dell’apparato di partito, che deve veri­ficarne la compatibilità ideologico-politi- co-programmatica con le direttive nazionali. Tale controllo si attua sia attraverso periodi­che riunioni tra strutture del partito e strut­ture amministrative, sia attraverso l’operato degli iscritti al partito che lavorano in queste ultime; 3. trasmissione delle direttive agli uf­fici, che ne ricevono anche dalle strutture dell’amministrazione di appartenenza cui so­no gerarchicamente subordinati. È al loro li­vello, quindi, che dovrebbe attuarsi la fusio­ne tra direttive centrali ed esigenze locali, pe­raltro già garantita dal controllo preliminare effettuato dal partito.

Il numero di enti, comuni ed organizzazio­ni operanti a livello locale è molto elevato: in tutti i comuni rurali esistono circa una venti­na di istituzioni, ed altre sono presenti solo in alcuni comuni. Il Consiglio comunale con­trolla direttamente circa un terzo di queste, e ha possibilità di supervisione e collegamento con quasi tutte le altre70. Gli uffici ammini­strativi che dipendono dai comuni sono an­che subordinati gerarchicamente agli uffici corrispondenti degli organismi rappresenta­tivi di grado superiore. Fino al 1973 si aveva un’articolazione dei Consigli popolari in tre livelli: wojewodstwo (voivodato), powiat (di­

stretto), gromada (villaggio). Nel 1973-75 una serie di riforme amministrative ha elimi­nato i distretti ed il villaggio, creando una struttura bipolare basata sul wojewodstwo, le cui dimensioni sono state ridotte notevol­mente, e sui gmina, i nuovi comuni che rag­gruppano un certo numero di vecchie circo- scrizioni: si è così passati dai 17 voivodati, più cinque voivodati urbani, di prima della riforma ai 49 voivodati attuali, e da 4.315 gromada a 2.365 gmina. Attualmente ogni gmina raggruppa 7-8 villaggi, ed ha una po­polazione media di 6.000-7.000 abitanti, contro i 3.000-4.000 precedenti, su una su­perficie di 120-130 kmq71.

La proliferazione di organizzazioni ed enti a livello locale è di solito vista come una ri­prova della istituzionalizzazione dei rapporti sociali nelle campagne. La realtà, tuttavia, è molto più complessa: da una parte è stata ri­levata la presenza di numerose contraddizio­ni inerenti alla struttura del modello, tra il principio di autogoverno e quello di control­lo gerarchico, tra l’appiattimento verso il basso e la struttura gerarchica del sistema, tra fine ultimo, imposto a livello di pianifica­zione centrale, e mezzi per perseguirlo, tra i legami verticali e quelli orizzontali delle isti­tuzioni agricole72. D’altra parte proprio l’e­strema frammentazione delle competenze ha reso problematica l’attuazione di un reale elevato grado di controllo, favorendo la for­mazione dei centri di potere locali, sostanzia­ti di rapporti personali e clientelari73, che sfuggono alle rigide direttive del piano e al

70 W. Piotrowski, Formai institutions and organizations in Poland's rural areas, in J. Turowski-L.M. Szwengrub (eds.), Rural socio-cultural change, cit., pp. 27-44.71 Si veda J. Brzezinski, Le fonctions sociales des coopératives dans la formation des microrégions rurales en Polo­gne, in “Sociologia ruralis”, 1977, n. 1/2, p. 141 e sgg. La riforma è collegata da Kuczynski alla volontà di aumenta­re la pressione amministrativa sulle aree rurali (W. Kuczinski, La seconda Polonia, cit., pp. 73-74).77 M. Halamska, Functioning o f the system o f agricultural production in the rural commune, in “Village and Agri­culture”, 1980, pp. 153-164.73 La formazione di legami clientelari era già stata rilevata negli anni della collettivizzazione, legata alla possibilità di utilizzare risorse pubbliche attraverso i nuovi strumenti amministrativi creati dallo Stato (J. Tepicht, Marxisme et agriculture, cit., p. 112).

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controllo gerarchico strutturalmente orga­nizzato. È così vero che la comunità si è “aperta” , ma più nel senso di una maggiore articolazione degli interessi che in quello del­la dissoluzione di relazioni sociali tradiziona­li: in altre parole la comunità locale conserva il carattere di luogo centrale di competizione per l’accaparramento di risorse essenziali, ed in tale competizione vengono utilizzati lega­mi familiari e personali che, nel nuovo conte­sto, assumono un più chiaro carattere clien­telare.

Si è così formata nel secondo dopoguerra un’élite politica locale, che fonda il suo pote­re sulle nuove risorse messe a disposizione della periferia da parte dello Stato, facendo leva sulla necessità per quest’ultimo di coin­volgere i contadini nelle proprie strutture per ottenerne il consenso. È un punto questo ri­levato con grande chiarezza da Lewis, che nota come il contadino polacco “join the po­litical and economic Organization operating in the countryside but more with a view to pursuing traditional (anti — or at best non — socialist) objectives through the institutio­nal means available... In this respect the de­centralisation of the administrative structure and the emphasis in political organizations on practical, peasant-oriented work has hel­ped the rural community to preserve its pea­sant identity. The extension of State bureau­cracies into the locality has led to a dilution of the procedures of formal control, a pea- santization of formal organization with nu­merous local institutions overlapping both in function and membership and with the spread of diverse formal and informal ties throughout the institutional network. The drive to involve the village’s ‘leading’ far­mers in State institutions further contributes

to the rapresentation of peasant interests wi­thin them. Thus an institutional group, or lo­cal élite, emerges whose members are fre­quently personally involved in the matters decided. They are, therefore, open to the personal influences and informal pressures of the local community”74. Del resto anche alcuni politologi polacchi, J. Wiatr e A. Przeworski, hanno rilevato che “ ... the inte­gration of interests is much more likely to oc- curr horizontally at each separate level and independently of the structure of political or­ganizations... Competition takes place at each level of the political system but it is not integrated nationally along the vertical lines of political organizations... Interests are of­ten integrated horizontally at the local le­vel”75. Kuczynski conferma che “per quanto riguardava... l’apparato, specie quello eco­nomico e locale, la necessità di una loro (sic) collaborazione con le autorità centrali raf­forzava la dipendenza del centro dalle loro (sic) richieste, specialmente quelle relative agli investimenti”76. Scrive infine Brzezinski che “il se forme dans de nombreuses commu­nautés locales une sorte de système non for­mel de représentation; des personnes hardies et éloquentes se chargentes de représenter les intérêts de la société. Les autres acceptent leur action, la leur confient même, s’enga­geant rarement eux-mêmes, sauf dans de cas exceptionnels”77. Taie élite, di estrazione prevalentemente contadina, si mantiene at­traverso una fitta rete di conoscenze e di le­gami personali, familiari o di amicizia, che è utilizzata per sfuggire alla rigidità di una struttura istituzionalmente centralizzata in misura elevata.

È così possibile mettere in atto una serie di accorgimenti informali per aggirare gli osta-

74 P. Lewis, The peasantry, in D. Lane-G. Kolankiewicz (eds.), Social groups, cit., p. 74.75 J. Wiatr, A. Przeworski, Control without opposition, in J. Wiatr (ed.), Studies in Polish Political System, Wroclaw, Ossolineum, 1967, p. 134.76 W. Kuczynski, La seconda Polonia, cit., p. 113.77 J. Brzezinski, Les fonctions sociales, cit., p. 148.

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coli che la legislazione e la politica agraria oppongono ad un più libero articolarsi delle relazioni economiche e sociali nelle campa­gne: privilegi nell’assegnazione di mezzi di produzione, mancate dichiarazioni di transa­zioni di terra, suddivisione fittizia della stes­sa per evitare la tassazione progressiva, asse­gnazione di vantaggiosi contratti di produ­zione da parte di enti statali, tutti atti possi­bili solo con la manipolazione delle strutture pubbliche.

La stratificazione sociale nelle campagne continua così ad operare principalmente at­traverso meccanismi di scambio locali: i gruppi di interesse che sono stati individua­ti78 si caratterizzano per un riadattamento delle tradizionali strutture sociali alla pene- trazione dell’apparato burocratico-ammini- strativo a livello locale, utilizzandolo ai fini del proprio consolidamento. È interessante notare come di solito siano i contadini più solidi, con maggiore quantità di terra, quelli che sono più coinvolti nell’utilizzazione delle strategie clientelari: il possesso di terra non è perciò secondario nella definizione della col- locazione nella scala sociale, anche se va as­sociato ad una complessa gestione dei mecca­nismi politico-amministrativi che si accom­pagnano all’attività produttiva. Coerente­mente a questo schema, gli operai-contadini occupano un livello inferiore nella comunità, sia dal punto di vista del prestigio che da quello economico, e, significativamente, in essi è riscontrabile un minor bisogno di ac­cordare i valori della società locale con la nuova struttura istituzionale diffusa nel dopoguerra79. Sono invece proprio i contadi­ni più coinvolti nel processo di istituzionaliz­zazione dei rapporti sociali, e quindi in teoria più “moderni", quelli che si dimostrano più attaccati al valore della proprietà, proprio in quanto la loro attività continua a fondarsi su 7 *

un’azienda individuale all’interno della qua­le si realizza un’unità fra famiglia ed impre­sa; sono essi a sviluppare quella rete di con­tatti personali che, in assenza di un mercato libero con funzioni di integrazione verticale, permette loro di articolare la propria azione prevalentemente ed efficacemente a livello locale.

Alla luce di quanto detto, mi sembra di poter concludere che la revisione in atto negli ultimi anni fra i sociologi polacchi abbia semplicemente capovolto l’analisi sulla mo­dernizzazione fino ad allora prevalente: mentre in questa i contadini erano sussunti tout court all’interno del processo, e scom­parivano come soggetti sociali attivi, travolti dai grandi flussi di cambiamento del secondo dopoguerra, ora si afferma viceversa che la loro identità sociale non è stata praticamente toccata da questi ultimi. Entrambe queste posizioni considerano i due termini del rap­porto, i contadini con la loro specifica valen­za sociale e lo Stato, come elementi distinti ed opposti che possono entrare in contatto solo nella misura in cui si negano reciproca­mente.

Ho sottolineato nel corso del saggio che, viceversa, la società contadina è mutata pro­prio riadattando le sue strutture tradizionali agli impulsi che le provenivano dallo Stato socialista, e del resto la sua elasticità è uno dei caratteri che le consente di preservarsi in contesti varianti, modificando anch’essa la forma delle proprie relazioni sociali, ma con­servandone il fine ultimo di realizzazione del ruolo economico e del prestigio sociale, in al­tre parole dell’identità, dei contadini in quanto ceto sociale.

Del resto un esame non superficiale delle richieste avanzate dal movimento autonomo dei contadini, nei pochi anni in cui ha potuto manifestare la sua azione, rivela la ricerca di

7S W.W. Adamski, Grupy interesów, cit.'9 Si veda a tal proposito P. Lewis, The peasantry, cit., p. 67 e pp. 82-83.

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una collocazione istituzionale all’interno dell’economia nazionale, al riparo dalle oscillazioni di una politica agraria troppo spesso indirizzata da motivazioni ideologi­che anticontadine. Il dramma della Polonia sta proprio nell’incapacità del sistema politi­co, per motivi interni ed internazionali, a ri­spondere a domande tutto sommato “mode­

rate”, ma che in quel particolare contesto si presentano con una carica dirompente. Ma è certo che ancora manca una chiave di lettura generale della crisi polacca che tenga conto dell’incidenza, a livello della società, di tren- tacinque anni di regime socialista.

Paolo Pezzino

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"Linea gotica 1944: eserciti, popolazioni, partigiani". A tti del convegno di Pesaro, set­tembre 1984 (in corso di stampa).